XIV Legislatura - Dossier di documentazione | |||||||
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento istituzioni | ||||||
Altri Autori: | Servizio Studi - Dipartimento istituzioni | ||||||
Titolo: | Riforma dell'ordinamento della Repubblica - A.C. 4862 e abb. - Iter alla Camera (prima deliberazione) - Discussione in Assemblea: sedute dal 3 agosto al 21 settembre 2004 | ||||||
Serie: | Progetti di legge Numero: 580 Progressivo: 2 | ||||||
Data: | 11/03/05 | ||||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni | ||||||
Riferimenti: |
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Servizio studi |
progetti di legge |
Riforma dell’ordinamento A.C. 4862 e abb.
Iter alla Camera (prima deliberazione) Discussione in Assemblea:
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n. 580/2 Parte XVI |
11 marzo 2005 |
Camera dei deputati
La documentazione predisposta in occasione dell’esame, in prima deliberazione, del disegno di legge costituzionale A.C. 4862, recante Modificazioni di articoli della parte II della Costituzione, e delle proposte di legge costituzionale abbinate, si articola nei seguenti volumi:
§ dossier n. 580, contenente la scheda di sintesi per l’istruttoria legislativa, le schede di lettura, il testo a fronte tra la Costituzione vigente e le modifiche apportate dall’A.C. 4862, nonché la normativa di riferimento;
§ dossier n. 580/1, contenente i testi dei progetti di legge costituzionale;
§ dossier n. 580/2, suddiviso in più volumi, contenente l’iter dei progetti di legge al Senato e alla Camera, e gli atti e i documenti dell’indagine conoscitiva e delle audizioni informali svolte dalla I Commissione della Camera;
§ dossier n. 580/3, contenente una selezione della recente dottrina in materia;
§ dossier n. 580/4, contenente schede di comparazione su alcuni aspetti dei sistemi costituzionali di cinque Paesi europei (Italia, Francia, Germania, Regno Unito e Spagna);
§ dossier n. 580/5, contenente schede di approfondimento su alcuni aspetti del disegno di legge costituzionale A.C. 4862 (procedimento legislativo; adempimenti normativi; regime dei quorum; sistema elettorale), e una sintesi per temi delle audizioni tenute nel corso dell’indagine conoscitiva svolta dalla I Commissione della Camera.
§ dossier n. 580/6, contenente le schede di lettura sul testo licenziato per l’Assemblea dalla I Commissione della Camera (A.C. 4862-A), il testo a fronte tra la Costituzione vigente e le modifiche apportate dall’A.C. 4862-A, la cronologia dell’iter in Commissione ed altra documentazione;
§ dossier n. 580/7 (Seconda edizione), contenente una scheda di lettura sul testo approvato dalla Camera in prima deliberazione, la cronologia dell’iter alla Camera e un testo a fronte.
DIPARTIMENTO istituzioni – sezione affari costituzionali
SIWEB
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File: ac0555bp
SOMMARIO
Senato della Repubblica
PARTE I:
A.S. 2544 - Testi dei disegni di legge, voti e petizioni presentati al Senato della Repubblica
PARTE II:
A.S. 2544 – Tabelle riepilogative dell’iter del provvedimento. Esame in Commissione affari costituzionali dal 23 ottobre al 13 gennaio 2004
PARTE III:
A.S. 2544 - Esame in Commissione affari costituzionali dal 14 al 16 gennaio 2004. Esame in sede consultiva presso le Commissioni Difesa, Bilancio, Finanze, Istruzione, Industria, Igiene e sanità, Politiche Unione europea, Questioni regionali
PARTE IV:
A.S. 2544 - Esame in Assemblea dal 22 al 29 gennaio 2004
PARTE V:
A.S. 2544 - Esame in Assemblea dal 3 al 10 febbraio 2004
PARTE VI:
A.S. 2544 - Esame in Assemblea dall’11 al 25 febbraio 2004, seduta n. 547
PARTE VII:
A.S. 2544 - Esame in Assemblea dal 25 febbraio, seduta n. 548, al 3 marzo 2004
PARTE VIII:
A.S. 2544 - Esame in Assemblea del 9 marzo al 16 marzo 2004, seduta n. 563
PARTE IX:
A.S. 2544 - Esame in Assemblea dal 16 marzo, seduta n. 564, al 17 marzo 2004, seduta n. 565
PARTE X:
A.S. 2544 - Esame in Assemblea dal 17 marzo, seduta n. 566, al 23 marzo 2004
PARTE XI:
A.S. 2544 - Esame in Assemblea il 24 marzo 2004, sedute nn. 571 e 572
PARTE XII:
A.S. 2544 - Esame in Assemblea il 25 marzo 2004. Approvazione.
Camera dei deputati
I testi dei progetti di legge costituzionale esaminati dalla Camera dei deputati in prima deliberazione sono riportati nel dossier n. 580/1.
PARTE XIII:
A.C. 4862 – Tabelle riepilogative dell’iter del provvedimento. Esame in sede referente e consultiva
PARTE XIV:
A.C. 4862 - Indagine conoscitiva: sedute dall’11 al 26 maggio 2004
PARTE XV
A.C. 4862 - Indagine conoscitiva: sedute dal 15 al 23 giugno 2004. Audizioni informali
PARTE XVI
A.C. 4862 - Discussione in Assemblea: sedute dal 3 agosto al 21 settembre 2004
PARTE XVII
A.C. 4862 - Discussione in Assemblea: sedute dal 22 settembre 2004 al 29 settembre 2004
PARTE XVIII
A.C. 4862 Discussione in Assemblea: sedute dal 30 settembre 2004 al 6 ottobre 2004
PARTE XIX
A.C. 4862 - Discussione in Assemblea: sedute dal 7 ottobre 2004 al 13 ottobre 2004
PARTE XX
A.C. 4862 - Discussione in Assemblea: sedute dal 14 ottobre 2004 al 15 ottobre 2004
INDICE della parte XVI
Relazione della I Commissione Affari costituzionali
§ A.C. 4862-A, (Governo), Modificazione di articoli della Parte II della Costituzione
Seduta del 3 agosto 2004 (Discussione sulle linee generali)
Seduta del 13 settembre 2004 (Seguito discussione sulle linee generali)
Seduta del 14 settembre 2004 (Seguito discussione sulle linee generali)
Seduta del 15 settembre 2004 (Seguito discussione sulle linee generali)
Seduta del 16 settembre 2004 (Esame questioni pregiudiziali-Esame art. 1)
Seduta del 21 settembre 2004 (Esame artt. 32-34)
N. 4862-72-113-260-376-468-582-721-874-875-877-966-1162-1218-1287-1403-1415-1608-1617-1725-1805-1964-2027-2116-2123-2168-2320-2413-2568-2909-2994-3058-3489-3523-3531-3541-3572-3573-3584-3639-3684-3707-3885-4023-4393-4451-4805-5044-A
¾
CAMERA DEI DEPUTATI ¾¾¾¾¾¾¾¾ |
RELAZIONE DELLA I COMMISSIONE PERMANENTE (AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI) |
presentata alla Presidenza il 28 luglio 2004
(Relatore: BRUNO)
sul
DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE
n. 4862
APPROVATO, IN PRIMA DELIBERAZIONE,
DAL SENATO DELLA REPUBBLICA
il 25 marzo 2004 (v. stampato Senato n. 2544)
presentato dal presidente del consiglio dei ministri
(BERLUSCONI)
dal vicepresidente del consiglio dei ministri
(FINI)
dal ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione
(BOSSI)
e dal ministro per le politiche comunitarie
(BUTTIGLIONE)
di concerto con il ministro dell'interno
(PISANU)
e con il ministro per gli affari regionali
(LA LOGGIA)
Modificazione di articoli della Parte II della Costituzione
Trasmesso dal Presidente del Senato della Repubblica
il 30 marzo 2004
e sulle
PROPOSTE DI LEGGE COSTITUZIONALE
n. 72, d'iniziativa dei deputati
ZELLER, BRUGGER, WIDMANN
Modifiche alla parte seconda della Costituzione
Presentata il 30 maggio 2001
n. 113, d'iniziativa del deputato BIELLI
Modifiche agli articoli 64 e 138 della Costituzione
Presentata il 30 maggio 2001
n. 260, d'iniziativa dei deputati
SPINI, ANGIONI
Modifiche agli articoli 83, 85, 86, 87, 88 e 92 della Costituzione in materia di elezione e di attribuzioni del Presidente della Repubblica
Presentata il 30 maggio 2001
n. 376, d'iniziativa dei deputati
BUTTIGLIONE, VOLONTÈ, RICCARDO CONTI,
GRILLO, ROTONDI, TANZILLI
Modifiche alla Costituzione concernenti la formazione e le prerogative del Governo e il potere di scioglimento anticipato delle Camere
Presentata il 31 maggio 2001
n. 468, d'iniziativa del deputato CONTENTO
Modifica dell'articolo 138 della Costituzione, concernente la procedura di revisione costituzionale
Presentata il 4 giugno 2001
n. 582, d'iniziativa del deputato COLA
Modifiche all'articolo 135 della Costituzione in materia di composizione della Corte costituzionale
Presentata il 6 giugno 2001
n. 721, d'iniziativa del deputato PISAPIA
Modifica degli articoli 71, 98, 100, 101, 103, 104, 107, 111, 135 e 137 e abrogazione dell'articolo 99 della Costituzione
Presentata il 12 giugno 2001
n. 874, d'iniziativa del deputato SELVA
Modifica all'articolo 138 della Costituzione, concernente il divieto di modifica della Costituzione negli ultimi nove mesi della legislatura
Presentata il 15 giugno 2001
n. 875, d'iniziativa del deputato SELVA
Modifiche alla Costituzione in materia di elezione diretta e di attribuzioni del Presidente della Repubblica
Presentata il 15 giugno 2001
n. 877, d'iniziativa del deputato SELVA
Modifica all'articolo 83 della Costituzione in materia di elezione del Presidente della Repubblica
Presentata il 15 giugno 2001
n. 966, d'iniziativa del deputato BIANCHI CLERICI
Modifiche agli articoli 117 e 118 della Costituzione, concernenti le competenze delle Regioni e delle Province in materia di istruzione e di formazione artigiana e professionale
Presentata il 21 giugno 2001
n. 1162, d'iniziativa del deputato PERETTI
Modifiche agli articoli 75 e 138 della Costituzione in materia di innalzamento del numero delle firme necessarie per l'indizione dei referendum
Presentata il 3 luglio 2001
n. 1218, d'iniziativa del deputato VOLONTÈ
Modifiche alla parte seconda della Costituzione
Presentata il 5 luglio 2001
n. 1287, d'iniziativa del deputato PISAPIA
Modifiche agli articoli 60 e 67 della Costituzione
Presentata il 10 luglio 2001
n. 1403, d'iniziativa dei deputati
LUSETTI, BOTTINO, CIANI, FIORONI, MILANA,
OSTILLIO, PASETTO, CAMO, ANNUNZIATA
Modifiche alla Costituzione concernenti l'istituzione del Senato federale e la composizione della Corte costituzionale
Presentata il 24 luglio 2001
n. 1415, d'iniziativa del deputato ZACCHEO
Modifiche agli articoli 57, 131 e 132 della Costituzione, concernenti il distretto speciale di Roma capitale e le regioni Lazio e Tuscia-Sabina
Presentata il 24 luglio 2001
n. 1608, d'iniziativa dei deputati
MANTINI, GIOVANNI BIANCHI, QUARTIANI
Modifiche alla Costituzione in materia di Senato federale, riduzione del numero dei deputati e composizione della Corte costituzionale
Presentata il 19 settembre 2001
n. 1617, d'iniziativa del deputato SODA
Modifiche agli articoli 71 e 75 della Costituzione in materia di referendum propositivo collegato all'iniziativa legislativa popolare e di referendum abrogativo
Presentata il 20 settembre 2001
n. 1725, d'iniziativa dei deputati
OLIVIERI, KESSLER
Modifiche alla Costituzione in materia di Senato federale, riduzione del numero dei deputati e composizione della Corte costituzionale
Presentata il 9 ottobre 2001
n. 1805, d'iniziativa del deputato COSTA
Modifiche agli articoli 56 e 57 della Costituzione, in materia di composizione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica
Presentata il 19 ottobre 2001
n. 1964, d'iniziativa del deputato SERENA
Abrogazione dell'articolo 59 della Costituzione, concernente i senatori a vita.
Presentata il 14 novembre 2001
n. 2027, d'iniziativa dei deputati
PISICCHIO, TONINO LODDO, VIANELLO
Modifica dell'articolo 58 della Costituzione, in materia di elezione dei senatori della Repubblica
Presentata il 27 novembre 2001
n. 2116, d'iniziativa dei deputati
BOLOGNESI, VIOLANTE, TURCO, BATTAGLIA, LEONI, MONTECCHI, LOLLI, CHITI, SERENI, LUCÀ, LUMIA, RUZZANTE, GIACCO, AMICI, DI SERIO D'ANTONA, RAFFAELLA MARIANI, ZANOTTI, MAGNOLFI, TOLOTTI, SANDI
Modifica all'articolo 118 della Costituzione concernente il ruolo del Terzo settore nella riforma dello Stato
Presentata il 18 dicembre 2001
n. 2123, d'iniziativa del deputato PAROLI
Modifica all'articolo 126 della Costituzione in materia di impedimento permanente, morte e dimissioni del presidente della Giunta regionale
Presentata il 19 dicembre 2001
n. 2168, d'iniziativa del deputato BUONTEMPO
Modifiche agli articoli 83, 85 e 86 della Costituzione in materia di elezione del Presidente della Repubblica a suffragio universale diretto e di presentazione delle relative candidature
Presentata il 15 gennaio 2002
n. 2320, d'iniziativa dei deputati
ZELLER, BRUGGER, WIDMANN, DETOMAS, COLLÈ
Disposizioni concernenti la procedura per la modifica degli statuti delle regioni a statuto speciale
Presentata l'11 febbraio 2002
n. 2413, d'iniziativa del deputato COLLÈ
Modifiche agli articoli 58, 65, 70, 72 e 122 della Costituzione, in materia di elezione e funzioni del Senato della Repubblica
Presentata il 26 febbraio 2002
n. 2568, d'iniziativa dei deputati
VITALI, ARNOLDI, MARRAS
Modifiche al titolo IV della parte seconda della Costituzione concernente la magistratura
Presentata il 26 marzo 2002
n. 2909, d'iniziativa dei deputati
MAURANDI, CARBONI, KESSLER, LADU,
TONINO LODDO, MARAN
Modifiche all'articolo 138 della Costituzione, concernenti la procedura di revisione degli Statuti speciali delle regioni autonome
Presentata il 25 giugno 2002
n. 2994, d'iniziativa del deputato OLIVIERI
Disposizioni concernenti la procedura per la modifica degli statuti delle regioni a statuto speciale
Presentata il 9 luglio 2002
n. 3058, d'iniziativa del deputato BOATO
Modifiche agli articoli 92 e 94 della Costituzione in materia di forma del Governo
Presentata il 22 luglio 2002
n. 3489, d'iniziativa del deputato STUCCHI
Modifica all'articolo 57 della Costituzione, in materia di elezione dei senatori della Repubblica
Presentata il 17 dicembre 2002
n. 3523, d'iniziativa del deputato CENTO
Modifica degli articoli 92, 94 e 134 della Costituzione, in materia di forma di governo
Presentata il 7 gennaio 2003
n. 3531, d'iniziativa del deputato MONACO
Norme sul Governo di legislatura e sullo statuto dell'opposizione
Presentata il 13 gennaio 2003
n. 3541, d'iniziativa del deputato PACINI
Modifiche all'articolo 117 della Costituzione, in materia di riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni
Presentata il 15 gennaio 2003
n. 3572, d'iniziativa del
CONSIGLIO REGIONALE DELLA PUGLIA
Disposizioni concernenti la forma di governo regionale
Presentata il 22 gennaio 2003
n. 3573, d'iniziativa del
CONSIGLIO REGIONALE DELLA PUGLIA
Attribuzione alla potestà statutaria regionale della competenza in materia di fonti del diritto
Presentata il 22 gennaio 2003
n. 3584, d'iniziativa dei deputati
CHIAROMONTE, MONTECCHI, GALEAZZI, KESSLER, OLIVIERI, ROGNONI, NICOLA ROSSI, MICHELE VENTURA
Disposizioni concernenti la stabilità del Governo e il riconoscimento di uno statuto dell'opposizione
Presentata il 23 gennaio 2003
n. 3639, d'iniziativa dei deputati
CABRAS, ROBERTO BARBIERI, BOVA, CALDAROLA, CHIANALE, CHIAROMONTE, MARAN, MONTECCHI
Modifiche alla parte seconda della Costituzione, concernenti il Parlamento, l'elezione del Presidente della Repubblica e il Governo
Presentata il 5 febbraio 2003
n. 3684, d'iniziativa del deputato MANTINI
Modifiche alla Costituzione in materia di forma di governo, garanzie istituzionali, statuto dell'opposizione e revisione della Costituzione
Presentata il 13 febbraio 2003
n. 3707, d'iniziativa del deputato LA MALFA
Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione
Presentata il 21 febbraio 2003
n. 3885, d'iniziativa dei deputati
BRIGUGLIO, ARRIGHI, BELLOTTI, BENEDETTI VALENTINI, CIRIELLI, COLA, GIULIO CONTI, DELMASTRO DELLE VEDOVE, LEO, MESSA, ANGELA NAPOLI, PAOLONE, PEZZELLA, ROSITANI, VILLANI MIGLIETTA
Modifiche agli articoli 114, 116, 131, e 135 della Costituzione e istituzione della Regione autonoma di Roma capitale
Presentata il 10 aprile 2003
n. 4023, d'iniziativa del deputato FRANCESCHINI
Modifica all'articolo 60 della Costituzione, in materia di procedure di approvazione delle leggi elettorali
Presentata il 29 maggio 2003
n. 4393, d'iniziativa del deputato PISAPIA
Modifica all'articolo 138 della Costituzione,
concernente la procedura di revisione costituzionale
Presentata il 16 ottobre 2003
n. 4451, d'iniziativa del deputato COSTA
Soppressione dello status giuridico di regione a statuto speciale e di provincia autonoma
Presentata il 31 ottobre 2003
n. 4805, d'iniziativa dei deputati
PERROTTA, CIRO ALFANO, BRUSCO, FRAGALÀ, LEZZA, MILANESE, NICOTRA, PARODI, PERLINI, RANIELI, RICCIUTI, ANTONIO RUSSO, SANTORI, SGARBI, TARANTINO, ALFREDO VITO
Modifiche alla parte seconda della Costituzione, concernenti l'ordinamento della Repubblica
Presentata l'11 marzo 2004
n. 5044, d'iniziativa del deputato FIORI
Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione,
in materia di riduzione del numero dei deputati e dei senatori
Presentata il 1o giugno 2004
Onorevoli Colleghi! - Il disegno di legge costituzionale di iniziativa governativa recante «Modificazioni ad articoli della parte seconda della Costituzione» è stato approvato, in prima deliberazione, con modificazioni, dal Senato della Repubblica il 25 marzo 2004 ed il suo esame è stato avviato il 7 aprile scorso dalla I Commissione (Affari Costituzionali), ove si è proceduto all'abbinamento con le altre proposte di legge costituzionale recanti modifiche ai medesimi articoli della parte seconda della Costituzione oggetto di novella da parte del disegno di legge governativo. Tenuto conto della particolare rilevanza politico-istituzionale dei temi trattati nell'ambito di tali progetti di legge ed attesa l'esigenza di procedere a una compiuta attività istruttoria, l'Ufficio di presidenza della Commissione, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha convenuto sull'opportunità di procedere, ai sensi dell'articolo 79, comma 5, del regolamento, ad un'indagine conoscitiva sulle tematiche riguardanti la modifica della parte seconda della Costituzione, con particolare riferimento ai seguenti quattro argomenti: la forma di governo, il Senato federale, i rapporti tra lo Stato e le Regioni e il sistema delle garanzie. Lo svolgimento delle audizioni ha avuto luogo dal 18 maggio al 23 giugno 2004 e, complessivamente, sono stati auditi 36 docenti universitari in materie pubblicistiche. Successivamente, dopo la conclusione della discussione di carattere generale, la Commissione ha deliberato di adottare come testo base per il seguito dell'esame il disegno di legge costituzionale già approvato in prima deliberazione dal Senato, con riferimento al quale sono stati presentati circa 430 emendamenti. Entrando nel merito dei contenuti dell'articolato licenziato dall'altro ramo del Parlamento, occorre premettere che esso prefigura un intervento di riforma di ampio respiro, trattandosi di un testo recante 43 articoli, volti a sostituire o a modificare più della metà degli 80 articoli che compongono la Parte seconda della Costituzione, concernente l'ordinamento della Repubblica. A fini di maggior chiarezza espositiva, si darà conto di tale testo procedendo per temi omogenei, piuttosto che seguendo la numerazione degli articoli, illustrando, di volta in volta, successive modifiche conseguenti alle proposte emendative approvate dalla I Commissione in sede referente.
Il testo in esame conferma la preferenza per un sistema bicamerale, superando tuttavia il tradizionale «bicameralismo perfetto», attraverso l'introduzione di una differenziazione tra le due Assemblee con riguardo sia alla loro composizione sia alle loro funzioni. In particolare, la Camera dei deputati muta, quanto a struttura, soltanto nel numero, passando da seicentotrenta a cinquecento componenti, oltre i dodici eletti nella circoscrizione Estero. A tale proposito, va rilevato come il nuovo articolo 56 della Costituzione approvato dal Senato prevedesse, in realtà, una riduzione dei deputati a quattrocento unità che, tuttavia, ad una più approfondita valutazione effettuata anche tenendo conto della composizione numerica delle Assemblee parlamentari dei paesi dell'Unione europea aventi una dimensione demografica analoga a quella italiana, si è ritenuta eccessiva, in quanto non in grado di garantire il dispiegarsi di un'adeguata ed effettiva rappresentanza degli elettori. Un'analoga correzione è stata apportata, per le medesime ragioni, anche con riguardo al numero dei senatori, la cui consistenza numerica, in un primo tempo ridotta dal Senato da trecentoquindici a duecento unità, è stata successivamente riportata ad un numero pari a duecentocinquantadue senatori. Tale ramo del Parlamento, peraltro, muta la sua denominazione in Senato federale della Repubblica, così da costituire l'organo costituzionale che connota la scelta federale del progetto di riforma in esame e l'organo nel quale si intende realizzare il raccordo tra le potestà normative delle autonomie e dello Stato. Il nuovo testo dell'articolo 57 della Costituzione dispone che, quanto a modalità di elezione, i senatori sono eletti su base regionale e che di tale consesso continuano a fare parte i sei senatori eletti nella circoscrizione estero, unitamente ai senatori a vita che sono stati Presidenti della Repubblica e a quelli di nomina presidenziale. Il numero di questi ultimi, tuttavia, non può essere superiore a tre, come dispone una novella apportata all'articolo 59 della Costituzione. La connessione tra il sistema politico delle regioni e quello nazionale, che il testo in esame individua come elemento che garantisce la "rappresentanza territoriale" dei senatori, è individuata, tra l'altro, negli stessi requisiti richiesti per godere dell'elettorato passivo: in ciascuna regione, infatti, sono eleggibili a senatore gli elettori che hanno ricoperto o ricoprono cariche pubbliche elettive in enti territoriali o locali, all'interno della regione, oppure sono stati eletti deputati o senatori nella Regione ovvero che risiedono nella regione alla data di indizione delle elezioni. In tale contesto, si è peraltro ritenuto opportuno procedere, modificando il testo approvato dal Senato, anche all'allineamento del requisito anagrafico richiesto per l'eleggibilità a senatore a quello già previsto per l'eleggibilità a deputato, riducendolo da quaranta a venticinque anni di età. Il sistema elettorale del Senato, rimesso alla legge dello Stato, deve comunque «garantire la rappresentanza territoriale da parte dei senatori». Si prevede inoltre che l'elezione del Senato sia contestuale con l'elezione dei consigli regionali e che l'eventuale scioglimento anticipato di uno o più consigli regionali dia vita ad una legislatura regionale di durata ridotta per garantire che, comunque, il rinnovo del Senato avvenga contestualmente al rinnovo di tutte le assemblee legislative delle regioni e delle province autonome. A completamento di tale disposizione, la I Commissione ha altresì previsto, introducendo un nuovo comma al testo dell'articolo 60 della Costituzione, che ove, in caso di guerra, si proceda alla proroga del Senato, sono prorogati anche i Consigli regionali in carica. Più in generale, i rapporti tra Senato federale e dimensione regionale sono sottolineati da varie disposizioni concernenti l'organizzazione interna e le attività dell'organo, oltre che dalle norme sul procedimento legislativo e dalla valutazione delle leggi regionali sotto il profilo dell'interesse nazionale, di cui si dirà più avanti. Il testo dispone, tra l'altro, che i Presidenti delle Giunte regionali sono sentiti ogni volta che ne facciano richiesta e, reciprocamente, che anche i senatori espressi da una regione hanno il diritto di essere sentiti dal rispettivo consiglio regionale. Si prevede altresì che le proposte di legge presentate da più regioni in coordinamento tra loro sono poste all'ordine del giorno della Camera competente entro i termini stabiliti dal proprio regolamento e che il Senato federale esprima il parere sullo scioglimento del Consiglio regionale e sulla rimozione del Presidente della Giunta regionale, ai sensi dell'articolo 126 della Costituzione. Viene soppresso conseguentemente, il riferimento costituzionale alla Commissione parlamentare per le questioni regionali. Infine, rispetto all'articolato licenziato dal Senato, dal nuovo testo dell'articolo 57 della Costituzione è stato espunto il sesto comma, recante la disposizione riferita al mantenimento di rapporti di reciproca informazione e collaborazione tra i senatori e gli organi della corrispondente regione. Va comunque rilevato come rappresentanti delle regioni, pur non facendo parte della composizione ordinaria del Senato federale, concorrono comunque ad eleggere i componenti di organi costituzionali o di rilevanza costituzionale di spettanza di tale organo. Basti in proposito pensare all'elezione del Presidente della Repubblica, che è rimessa all'apposita «Assemblea della Repubblica», composta dai componenti delle due Camere ed integrata dai Presidenti delle Giunte regionali e da un numero variabile di delegati eletti dai Consigli regionali anche in rappresentanza degli enti locali. I Presidenti delle Giunte delle regioni e delle province autonome sono inoltre chiamati ad integrare il Senato federale in occasione dell'elezione di quattro giudici della Corte costituzionale e di un sesto dei membri del Consiglio superiore della magistratura. In relazione a tale adempimento va, tuttavia, segnalata una rilevante modifica introdotta dalla I Commissione rispetto al testo degli articoli 104 e 135 della Costituzione approvato dall'altro ramo del Parlamento, atteso che è stata riportata anche in capo alla Camera dei deputati la competenza in materia di elezione dei membri di tali organi che, secondo la Costituzione vigente, spetta al Parlamento in seduta comune. Quanto alle modalità di funzionamento delle Camere, rispetto al nuovo testo dell'articolo 64 della Costituzione approvato dal Senato, si è inteso uniformare il quorum per l'approvazione dei regolamenti parlamentari, che è ora pari, per entrambe le Assemblee, alla maggioranza assoluta dei componenti, con la conseguenza di ripristinare quanto attualmente già previsto in proposito dalla vigente Carta Costituzionale. Più in generale, in sede referente si è voluta espungere l'ulteriore differenziazione che il Senato aveva introdotto con riferimento alla validità delle deliberazioni delle due Assemblee, non essendo più prevista a tale fine la presenza dei due quinti dei componenti del Senato. Resta quindi confermato l'ordinario requisito della presenza della maggioranza dei componenti per la validità delle deliberazioni, che viene tuttavia corretto dall'ulteriore vincolo della necessaria presenza di senatori espressi da almeno un terzo delle regioni.
In ordine alle disposizioni riconducibili al cosiddetto «statuto dell'opposizione», in linea generale si è ritenuto opportuno non irrigidire, tramite un'apposita menzione nella Carta Costituzionale, il rinvio ai regolamenti parlamentari per la previsione delle modalità di iscrizione all'ordine del giorno di proposte e iniziative indicate dalle opposizioni, con riserva di tempi e previsione del voto finale, specificando altresì che la riserva in favore dei gruppi di opposizione della presidenza delle Commissioni cui sono attribuiti compiti ispettivi, di controllo o di garanzia non ricomprende la Commissione mista paritetica e il Comitato paritetico, rispettivamente disciplinati dai commi terzo e quarto del nuovo testo dell'articolo 70 della Costituzione. Un ulteriore intervento correttivo rispetto al testo approvato dall'altro ramo del Parlamento, ha riguardato la soppressione della disposizione che rimetteva al regolamento del Senato federale la garanzia dei diritti delle minoranze, in considerazione del fatto che tale Assemblea non è configurata come una «Camera politica». Resta ferma comunque l'introduzione della figura del «Capo dell'opposizione», le cui prerogative e la cui modalità di elezione dovranno essere definiti dal regolamento della Camera dei deputati. Con riferimento ad entrambe le Camere, resta confermato il divieto di mandato imperativo, benché anche l'articolo 67 della Costituzione sia oggetto di una novella che è volta a precisare che «ogni deputato o senatore rappresenta la Nazione e la Repubblica». Quanto al giudizio sui titoli di ammissione dei deputati e dei senatori, il nuovo testo dell'articolo 66 della Costituzione dispone che la Camera di appartenenza adotti le relative deliberazioni a maggioranza dei propri componenti, in luogo del quorum dei tre quinti dei componenti previsto dal testo approvato dal Senato, per la sola Camera dei deputati.
Passando ad esaminare le disposizioni concernenti il procedimento legislativo, deve premettersi che anche le modifiche apportate all'articolo 70 della Costituzione sono dirette alla già menzionata finalità consistente nel superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto, in virtù del quale ciascun progetto di legge deve essere approvato, in eguale testo, da entrambi i rami del Parlamento. Il testo in esame introduce infatti nell'ordinamento, accanto alle leggi approvate con procedimento bicamerale (anch'esse abbreviate nella procedura), leggi statali a carattere monocamerale, approvate cioè da uno solo dei due rami del Parlamento. È prevista bensì la possibilità, per l'altro ramo del Parlamento, di richiamare presso di sé il progetto di legge e di proporvi modifiche; ma i termini per questa fase eventuale sono ristretti (e dimezzati per le leggi di conversione di decreti-legge) e sulle modifiche proposte, in ogni caso, decide in via definitiva la Camera competente. Al fine di individuare la Camera competente, vige un criterio sostanzialmente mutuato dalla ripartizione delle competenze legislative tra lo Stato e le regioni dettata all'articolo 117 della Costituzione. In linea di massima, infatti, la Camera dei deputati esamina i disegni di legge concernenti le materie di cui al secondo comma di tale articolo, quelle cioè nelle quali lo Stato ha legislazione esclusiva. Il Senato federale, invece, approva i disegni di legge concernenti la determinazione dei principi fondamentali nelle materie di cui all'articolo 117, terzo comma, nelle quali la potestà legislativa dello Stato concorre con quella delle Regioni. Per determinate materie di particolare rilievo resta, tuttavia, ferma la procedura bicamerale. A tale proposito, va comunque precisato che per assicurare maggiore celerità ai lavori parlamentari, evitando il tradizionale fenomeno della navette, si prevede che, ove un progetto di legge non sia approvato, dopo una prima lettura, da entrambe le Camere nel medesimo testo, i Presidenti delle due Assemblee convocano una Commissione mista paritetica incaricata di redigere, in ordine alle disposizioni controverse, un testo che non è emendabile e che è sottoposto al voto delle due Assemblee. Il procedimento bicamerale si applica all'esame dei disegni di legge concernenti: la perequazione delle risorse finanziarie, le materie di cui all'articolo 119 della Costituzione, la tutela della concorrenza, le funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane, il sistema elettorale di Camera e Senato e una serie di casi, partitamente elencati, in cui la Costituzione fa espresso rinvio alla legge dello Stato o della Repubblica. Il medesimo procedimento legislativo si applica anche ad altre materie previste in vari parti del nuovo testo costituzionale (determinazione dei casi di ineleggibilità ed incompatibilità con il mandato parlamentare; indennità spettante ai membri delle Camere; principi in materia di esercizio del potere sostitutivo di atti delle regioni). Quanto alle modifiche introdotte dalla Commissione in materia di procedimento legislativo, è stato in primo luogo disposto che l'esame dei disegni di legge concernenti il coordinamento di cui all'articolo 118, terzo comma primo periodo, sia di competenza della Camera dei deputati. La novità di maggiore rilievo riguarda tuttavia il procedimento legislativo cosiddetto «a prevalenza Senato», rispetto al quale è stato previsto che laddove il Governo dichiari che le modifiche proposte dalla Camera dei deputati sono essenziali per l'attuazione del suo programma e tali modifiche siano state approvate ai sensi dell'articolo 94, secondo comma, il disegno di legge è approvato dalla Camera dei deputati in via definitiva con le modifiche proposte, salvo che entro trenta giorni dalla data di trasmissione del disegno di legge, il Senato federale deliberi di non accogliere le modifiche con la maggioranza dei tre quinti dei propri componenti. Tenuto conto che l'unica Assemblea con la quale il Governo intrattiene un rapporto fiduciario è la Camera dei deputati, la disposizione da ultimo citata ha inteso riconoscere a tale Assemblea la possibilità di divenire la sede decisionale di ultima istanza anche con riferimento a materie ricomprese nell'ambito della competenza prevalente del Senato ma che possono essere di particolare rilevanza ai fini dell'attuazione del programma di Governo.
Tra le ulteriori modifiche introdotte dalla Commissione in materia di procedimento legislativo è da segnalare l'inclusione, nell'ambito delle materie su cui la funzione legislativa è esercitata con procedimento bicamerale, anche dei disegni di legge concernenti la determinazione dei proncipi fondamentali sull'armonizzazione della finanza pubblica e del sistema tributario, nonché dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e le norme generali sulla tutela della salute. Contestualmente, sono stati invece esclusi dall'esame bicamerale i progetti di legge concernenti l'esercizio dei diritti fondamentali di cui agli articoli da 13 a 21 della Costituzione.
Occorre rilevare che le questioni che possono sorgere tra le due Camere in ordine alla competenza per l'esame di progetti di legge sono decise, d'intesa fra di loro, dai Presidenti delle due Assemblee, i quali possono anche deferire la decisione ad un Comitato paritetico, composto da quattro deputati e da quattro senatori, designati dai Presidenti stessi proporzionalmente alla composizione delle due Camere. La decisione adottata non è sindacabile. In proposito, si fa presente che una ulteriore modificazione apportata in sede referente all'articolo 13 riguarda la soppressione della parola «legislativa», al fine di estendere l'area di insindacabilità sulle questioni di competenza, anche alla luce del più generale principio di insindacabilità degli interna corporis acta.
Riguardo al rapporto Governo-Parlamento, tra gli aspetti qualificanti del disegno di legge di riforma vi è il sostanziale rafforzamento del potere esecutivo o, per dire meglio, del Presidente del Consiglio dei ministri: figura che muta significativamente la sua denominazione in quella di Primo ministro. Ai sensi del nuovo articolo 95 della Costituzione, il Primo ministro «determina» (non più «dirige», come nel testo vigente della Costituzione) la politica generale del Governo e «garantisce» (non più «mantiene») l'unità di indirizzo politico e amministrativo: a tal fine l'attività dei ministri è dal Primo ministro diretta, e non soltanto promossa e coordinata. Ancora più rilevante in tal senso è il potere di nomina e di revoca dei ministri, che lo stesso articolo attribuisce al solo Primo ministro. Viene meno, dunque, il ruolo riconosciuto al Presidente della Repubblica nella determinazione della compagine ministeriale e, prima ancora, nella scelta del capo dell'esecutivo: il meccanismo di nomina del Primo ministro, come delineato dal nuovo articolo 92 della Costituzione, si traduce infatti, nella sostanza, in una designazione del premier da parte dell'elettorato. La candidatura alla carica ha luogo, infatti, mediante collegamento con i candidati all'elezione della Camera dei deputati. La legge elettorale dovrà comunque disciplinare l'elezione dei deputati «in modo da favorire la formazione di una maggioranza, collegata al candidato alla carica di Primo ministro». L'atto di nomina del Primo ministro resta affidato al Presidente della Repubblica, ma la scelta presidenziale non presenta margini di discrezionalità: essa ha luogo infatti «sulla base dei risultati delle elezioni della Camera dei deputati».
Quanto ai rapporti con il Parlamento, alla luce del peculiare ruolo attribuito al Senato federale, il circuito fiduciario non viene meno, ma interessa, nel nuovo testo costituzionale, la sola Camera dei deputati, nella forma della cosiddetta «fiducia implicita». Il nuovo testo dell'articolo 94 della Costituzione, infatti, non prevede più che il Governo, entro dieci giorni dalla sua formazione, si presenti alle Camere per ottenerne la fiducia, ma prevede che, entro dieci giorni dalla nomina, il Primo ministro illustri il programma del Governo alle Camere e sia tenuto a presentare, ogni anno, un rapporto sull'attuazione del programma e sullo stato del Paese. Un'ulteriore, sostanziale innovazione rispetto all'attuale forma di governo, consiste nell'attribuzione al Primo ministro della facoltà di chiedere, assumendosene la esclusiva responsabilità, al Presidente della Repubblica di procedere allo scioglimento della Camera, ai sensi della lettera a) del primo comma dell'articolo 88 della Costituzione. Il Capo dello Stato decreta lo scioglimento della Camera dei deputati ed indice le elezioni, da tenersi non oltre i successivi sessanta giorni, anche nei casi di morte, impedimento permanente o dimissioni del Primo Ministro ovvero nel caso in cui la Camera dei deputati approvi una mozione di sfiducia. La mozione, che non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione, deve essere firmata da almeno un quinto dei componenti la Camera, deve essere votata per appello nominale ed approvata dalla maggioranza assoluta dei componenti. Essa in caso di approvazione obbliga il Primo ministro alle dimissioni e comporta lo scioglimento della Camera dei deputati, non essendo contemplata, in questo caso, la possibilità di sostituire il Primo ministro. A tale proposito, è stato invece previsto che, in ogni altro caso in cui il Presidente della Repubblica sia tenuto a decretare lo scioglimento dell'Assemblea politica, tale procedura non è attivabile ove, entro dieci giorni dal ricorrere delle condizioni di cui alle lettere a), b) e c) del primo comma dell'articolo 88 della Costituzione, venga presentata alla Camera dei deputati una mozione, sottoscritta dai deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni e di consistenza non inferiore alla maggioranza dei componenti della Camera, nella quale si dichiari di voler continuare nell'attuazione del programma e si indichi il nome di un nuovo Primo ministro. È da notare, quindi, come in tutte le ipotesi esposte, la presentazione della mozione permette alla Camera di provocare la sostituzione del Primo ministro, non consentendo comunque il formarsi di una maggioranza diversa da quella espressa dalle elezioni.
La Commissione ha inoltre provveduto ad espungere dal testo approvato dal Senato la modifica apportata all'articolo 82 della Costituzione, ai sensi della quale si intendeva attribuire alle sole Commissioni d'inchiesta bicamerali (e quindi istituite con legge approvata dalle due Camere) i poteri e le limitazioni dell'autorità giudiziaria nello svolgimento delle proprie indagini. Si è in tal modo inteso sanare un vulnus nei confronti delle Commissioni di inchiesta cosiddette «monocamerali», atteso che le stesse risultavano prive di adeguati strumenti operativi e di indagine.
Con riferimento al Presidente della Repubblica, la nuova formulazione dell'articolo 83 della Costituzione modifica sia la composizione del collegio elettorale del Presidente della Repubblica, sia il quorum richiesto per la sua elezione. In particolare, in luogo del Parlamento in seduta comune, integrato dai delegati regionali, viene istituito un nuovo organo, denominato Assemblea della Repubblica, presieduta dal Presidente della Camera e composta dai membri delle due Camere, dai delegati eletti dai consigli regionali, in modo che sia assicurata la rappresentanza proporzionale rispetto alla composizione di ciascun consiglio, dai Presidenti delle Giunte delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e da un numero ulteriore di delegati eletti dalle regioni (un delegato per ogni milione di abitanti), scelti per almeno la metà tra i sindaci e i presidenti di Provincia o città metropolitana. Il quorum per l'elezione è modificato prevedendo che occorra la maggioranza dei due terzi dei componenti dell'Assemblea della Repubblica nei primi quattro scrutini e, dopo il quarto, la maggioranza assoluta (oggi si prevede la maggioranza dei due terzi dell'Assemblea nei primi tre scrutini e, dal quarto, la maggioranza assoluta). Il nuovo articolo 87 della Costituzione enumera i poteri presidenziali. Rispetto al testo vigente esso precisa che il Presidente della Repubblica è garante della Costituzione e rappresenta l'unità federale della Nazione. Al Presidente della Repubblica sono attribuiti nuovi poteri, come quello di indire le elezioni dei Presidenti delle regioni e dei Consigli regionali, nonché dei Presidenti e dei Consigli provinciali delle Province autonome di Trento e Bolzano. È altresì attribuita alla competenza del Capo dello Stato, sentiti i Presidenti di Camera e Senato, la nomina dei presidenti delle autorità amministrative indipendenti, nonché quella del Vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, nell'ambito dei componenti eletti dalle Camere. Al contempo, viene meno il tradizionale potere presidenziale consistente nell'autorizzazione della presentazione alle Camere dei disegni di legge governativi e di nominare i ministri, mentre - come si è detto - la nomina del Primo ministro è espressamente condizionata al risultato elettorale. Un'ulteriore innovazione introdotta dal testo in esame è la soppressione della controfirma ministeriale per una serie di atti presidenziali, quali, il rinvio delle leggi alle Camere per il riesame, l'invio di messaggi alle Camere, la concessione della grazia, la nomina dei senatori a vita, nel numero massimo di tre, la nomina dei giudici costituzionali di sua competenza, ridotti a quattro, lo scioglimento della Camera dei deputati ai sensi del già illustrato articolo 88 della Costituzione, la nomina del Vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, la nomina dei Presidenti delle autorità amministrative indipendenti e altre nomine attribuite dalla legge alla sua esclusiva competenza.
Anche il titolo V della parte seconda della Costituzione, che reca la disciplina in materia di regioni e autonomie locali, è fatto oggetto di sostanziali modifiche. In particolare, il primo comma dell'articolo 117 della Costituzione è riformulato escludendo gli «obblighi internazionali» dai limiti posti alla legislazione statale e regionale. Secondo il disegno di legge, quindi, Stato e Regioni legiferano nel rispetto della Costituzione e degli obblighi comunitari. Alla potestà esclusiva dello Stato viene riservata, con una modifica introdotta al secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione, la definizione delle norme generali sulla salute, mentre al terzo comma del medesimo articolo, che indica le materie rispetto alle quali è individuata una competenza legislativa concorrente tra lo Stato e le regioni, è stato aggiunto un ulteriore periodo, nel quale si stabilisce che lo Stato e le regioni si conformano ai principi di leale collaborazione e di sussidiarietà. Nel quarto comma dell'articolo 117 della Costituzione è quindi introdotto il riconoscimento in capo alle regioni della potestà legislativa esclusiva nelle materie dell'assistenza e organizzazione sanitaria, dell'organizzazione scolastica, della gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche, della definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della regione e, infine, della polizia locale. Resta comunque ferma la competenza esclusiva delle regioni in ogni altra materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. All'ottavo comma dell'articolo 117, si consente poi alle regioni di stipulare «intese» tra loro per il migliore esercizio delle proprie funzioni, eventualmente individuando organi comuni, dei quali è specificato il carattere «amministrativo». L'articolo 118 della Costituzione è quindi riformulato ampliando le materie e gli ambiti per i quali la legge statale disciplina forme di intese e coordinamento tra Stato e regioni e prevedendo, nell'ambito del principio di sussidiarietà, un esplicito riconoscimento per gli «enti di autonomia funzionale». La disciplina dei rapporti tra Stato e regioni è infine completata con la previsione, all'articolo 120 della Costituzione, che una legge statale disciplini, in conformità ai criteri di sussidiarietà e di leale collaborazione, i principi che assicurino da parte delle Regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni, il rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria, l'incolumità e la sicurezza pubblica in caso di pericolo grave, la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e, in particolare, la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. Va precisato che, in caso di mancato rispetto, da parte degli organi degli enti territoriali, delle predette finalità, viene confermata la titolarità del potere sostitutivo in capo al Governo, esercitabile secondo le modalità stabilite dalla legge. La Commissione ha inoltre introdotto una novella al vigente articolo 123 della Costituzione, espungendo il riferimento, da considerarsi oramai desueto a seguito dalla precedente riforma del titolo V, all'opposizione del visto da parte del Commissario del Governo sulle leggi di approvazione degli statuti regionali.
L'articolo 127 della Costituzione contempla, invece, l'interesse nazionale quale limite di merito per le leggi regionali, legittimando il Governo a sollevare, entro trenta giorni dalla pubblicazione della legge regionale, la questione relativa al mancato rispetto da parte della legge stessa, o di una sua parte, dell'interesse nazionale. Su tale questione è chiamato a pronunciarsi, entro i successivi trenta giorni, il Senato federale che, qualora condivida la valutazione del Governo, può rinviare la legge alla Regione, deliberando a maggioranza assoluta dei componenti e indicando le disposizioni pregiudizievoli. In tal caso, qualora entro i successivi trenta giorni il Consiglio regionale non provveda a rimuovere le disposizioni censurate, il Senato federale, entro ulteriori trenta giorni e sempre a maggioranza assoluta dei componenti, può proporre al Presidente della Repubblica di annullare l'intera legge o sue disposizioni. Rispetto al testo approvato dal Senato, la Commissione ha introdotto un termine, pari a quindici giorni, entro il quale il Capo dello Stato può emanare il conseguente decreto di annullamento. Sotto altro profilo, a Roma, come capitale della Repubblica federale, sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, anche normativa, nelle materie di competenza regionale, nei limiti e con le modalità stabilite dallo statuto della Regione Lazio, mentre il suo ordinamento è disciplinato con legge dello Stato. Si prevede poi che gli statuti delle regioni ad autonomia speciale debbano essere adottati, con legge costituzionale, previa intesa con la Regione interessata; è soppressa la previsione, oggi recata dall'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, che possano estendersi forme e condizioni particolari di autonomia ad altre regioni, diverse da quelle a statuto speciale. Sono infine modificate le ipotesi di scioglimento dei Consigli regionali, escludendosi lo scioglimento in caso di morte o impedimento permanente del Presidente della Giunta.
Il testo in esame modifica anche la composizione della Corte costituzionale. Fermo restando il numero complessivo dei giudici, fissato a quindici dall'articolo 135 della Costituzione, viene stabilito che spetta al Senato federale, integrato dai presidenti delle giunte delle regioni e delle province autonome, la designazione di quattro dei giudici di nomina parlamentare. Mentre il testo approvato dal Senato faceva venire meno il concorso alla nomina da parte della Camera dei deputati, questo è stato reintrodotto a seguito di una modifica approvata dalla Commissione, ed è stato fissato nel numero di tre. Il numero della componente di nomina parlamentare viene comunque portato a sette. È in conseguenza ridotto, in regione di quattro ciascuno, il numero dei membri nominati dal Presidente della Repubblica e dalle supreme magistrature. Per rafforzare l'indipendenza dei giudizi costituzionali, si prevede che, nei tre anni successivi alla cessazione della carica, il giudice costituzionale non possa ricoprire incarichi di governo, cariche pubbliche elettive o di nomina governativa, o svolgere funzioni in organi o enti pubblici individuati dalla legge. Inoltre, viene modificata la disciplina relativa alla scelta dei sedici cittadini chiamati ad integrare il collegio nei giudizi di accusa nei confronti del Presidente della Repubblica: l'elenco da cui trarre a sorte i sedici membri è compilato dalla Camera ed è necessario che i cittadini iscritti nell'elenco abbiano i requisiti per l'eleggibilità a deputato. Il disegno di legge costituzionale interviene anche sull'articolo 104 della Costituzione, modificando le modalità di elezione del Consiglio superiore della magistratura. In particolare, si propone che la quota di membri di nomina parlamentare non sia eletta dal Parlamento in seduta comune, bensì, per un sesto, dalla Camera dei deputati e, per un sesto, dal Senato federale, integrato dai presidenti delle giunte delle regioni e delle province autonome. Inoltre, il vice presidente del Consiglio superiore della magistratura è nominato dal Presidente della Repubblica e non più eletto dal Consiglio. Il testo in esame riformula infine l'articolo 138 della Costituzione, modificando l'istituto del referendum popolare confermativo nell'ambito del procedimento di revisione costituzionale. In particolare, il ricorso al referendum è reso sempre possibile, anche nell'ipotesi in cui la legge costituzionale sia approvata in seconda deliberazione, da parte di ciascuna Camera, a maggioranza di due terzi dei componenti. A seguito di una modifica approvata da parte della Commissione, è stata invece eliminata la disposizione, presente nel testo licenziato dal Senato, in base alla quale, in caso di approvazione di una legge costituzionale, in seconda deliberazione, con una maggioranza inferiore ai due terzi dei componenti, condizione per la validità del referendum confermativo, sarebbe stata la partecipazione al voto della maggioranza degli aventi diritto, analogamente a quanto già previsto dall'articolo 75 della Costituzione per il referendum abrogativo.
Da ultimo, l'articolo 43 del disegno di legge costituzionale reca un'articolata disciplina transitoria, differenziata in relazione alle diverse parti della riforma. In sintesi, sono immediatamente applicabili, a seguito dell'entrata in vigore della legge costituzionale, le disposizioni modificative del titolo V; la maggior parte della restante disciplina troverà applicazione a decorrere dall'inizio della XV legislatura; una parte di essa, e segnatamente quella concernente la riduzione del numero dei deputati e dei senatori, si applicherà invece a partire dalla legislatura che interverrà dopo il quinto anno successivo alla prima formazione della Camera dei deputati e del Senato federale secondo il nuovo ordinamento, prevedibilmente, nell'anno 2011, con l'avvio della XVI legislatura; specifiche disposizioni concernono, infine, il graduale rinnovo della Corte costituzionale e del Consiglio superiore della magistratura.
Conclusivamente, l'articolato in esame è frutto di un intenso e impegnativo lavoro istruttorio svolto dalla Commissione, volto ad introdurre correttivi migliorativi al testo trasmesso dal Senato, il cui impianto complessivo è stato oggetto di condivisione da parte della maggioranza della Commissione. A tale testo, tuttavia, potranno essere apportate, nella fase di esame in Assemblea, eventuali ulteriori modifiche, sulla base di approfondimenti da svolgere in sede di Comitato dei nove, con particolare riferimento alle tematiche concernenti il Senato federale, il procedimento legislativo e la ripartizione delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni.
Donato BRUNO, Relatore
PARERE DELLA II COMMISSIONE PERMANENTE
(Giustizia)
PARERE FAVOREVOLE
PARERE DELLA III COMMISSIONE PERMANENTE
(Affari esteri e comunitari)
La III Commissione,
esaminate, per le parti di propria competenza, il disegno di legge costituzionale C. 4862 e abb.: «Modificazione di articoli della parte II della Costituzione»,
premesso che:
la modifica del quarto comma dell'articolo 72 della Costituzione, di cui all'articolo 15 del disegno di legge in esame, esclude dal regime di riserva d'Assemblea i disegni di legge di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali e ne consente così l'approvazione in sede legislativa anche in Commissione, mentre sembra opportuno riservare all'esame delle Assemblee almeno i disegni di legge di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali che coinvolgano i diritti e le libertà fondamentali di cui alla Parte I della Costituzione; sempre nel testo del quarto comma dell'articolo 72 della Costituzione, di cui all'articolo 15 del disegno di legge, sarebbe opportuno specificare il riferimento all'Assemblea piuttosto che alla Camera in generale, visto che l'articolo 13, terzo capoverso, dello stesso disegno di legge distingue tra «Camere» ed «Assemblee»;
la nuova formulazione dell'articolo 80 della Costituzione, di cui all'articolo 16 del disegno di legge, si giustifica solo se l'esame dei disegni di legge di autorizzazione alla ratifica possa svolgersi secondo ciascuna delle procedure previste dal nuovo articolo 70 della Costituzione, di cui all'articolo 13 del presente disegno di legge; sembra invece preferibile che per tali disegni di legge venga seguita la procedura necessariamente bicamerale;
qualora invece si volesse mantenere la possibilità di approvare i disegni di legge di autorizzazione alla ratifica anche con leggi eventualmente monocamerali, il settimo comma dell'articolo 87 della Costituzione, di cui all'articolo 22 del disegno di legge in esame, dovrebbe prevedere non più l'«autorizzazione delle Camere», bensì l'«autorizzazione con legge»;
la modifica del primo comma dell'articolo 117 della Costituzione di cui all'articolo 34 del disegno di legge in esame espunge il riferimento agli obblighi internazionali quali limiti alla potestà legislativa dello Stato e delle Regioni, ponendosi in contrasto con quanto previsto dall'articolo 10 della Costituzione e dagli articoli 26 e 27 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati;
esprime
PARERE FAVOREVOLE
con le seguenti condizioni:
1. all'articolo 15, comma 1, il quarto capoverso sia sostituito dal seguente: «La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte dell'Assemblea è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa, nonché per i disegni di legge di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali che coinvolgano i diritti e le libertà fondamentali di cui alla Parte I della Costituzione»;
2. all'articolo 13, comma 1, terzo capoverso, primo periodo, dopo le parole: «La funzione legislativa dello Stato è esercitata collettivamente dalle due Camere per l'esame» siano inserite le seguenti: «dei disegni di legge di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali di cui all'articolo 80,»;
3. ove non si ritenga di accogliere la condizione di cui sub b), all'articolo 22, comma 1, settimo capoverso, le parole: «autorizzazione delle Camere» siano sostituite dalle seguenti: «autorizzazione con legge»;
4. all'articolo 34, il primo comma sia soppresso.
PARERE DELLA IV COMMISSIONE PERMANENTE
(Difesa)
PARERE FAVOREVOLE
PARERE DELLA VI COMMISSIONE PERMANENTE
(Finanze)
La VI Commissione,
esaminato il disegno di legge costituzionale C. 4862 ed abb., approvato in prima deliberazione dal Senato, recante modificazione di articoli della Parte II della Costituzione,
sottolineato l'estremo rilievo del provvedimento, il quale rappresenta uno dei più ampi interventi di riforma costituzionale finora realizzati, e comporta conseguenze particolarmente significative sulla forma di Governo e sui complessivi equilibri istituzionali del Paese,
rilevato come l'obiettivo di una più stretta connessione tra il sistema politico delle regioni e quello nazionale, al quale sono volte alcune previsioni del disegno di legge, in particolare relative all'elezione ed al funzionamento del Senato federale della Repubblica, non devono porsi in contrasto con il divieto di vincolo di mandato di ogni deputato e senatore sancito dal nuovo articolo 67 della Costituzione,
considerata, in riferimento alle previsioni di cui all'articolo 64, quarto comma, della Costituzione, la difficoltà ad attribuire un connotato costituzionale alla figura del «Capo dell'opposizione», che appare caratterizzata da caratteri più politici che giuridico-istituzionali, incidendo sui meccanismi di determinazione interni ai gruppi ed agli schieramenti, anche in considerazione dalla presenza, nell'attuale panorama politico italiano, di più gruppi di opposizione che non necessariamente si riconoscono in un unico schieramento,
rilevata la necessità di chiarire la portata della norma di cui all'articolo 67 della Costituzione, secondo la quale ogni deputato e ogni senatore rappresenta «la Nazione e la Repubblica»,
evidenziato come la riforma del procedimento legislativo delineata nel disegno di legge, volta a consentire di giungere ad una deliberazione definitiva sui provvedimenti in discussione in tempi certi e ad assicurare in tal modo la realizzazione del programma legislativo del Governo, presenti aspetti di notevole complessità, in particolare per quanto riguarda la concreta individuazione delle materie assegnate alla competenza principale di ciascuna Camera, ovvero di quelle rimesse all'esercizio bicamerale della funzione legislativa,
sottolineata la necessità di considerare attentamente le conseguenze che le modifiche apportate alla disciplina sul procedimento legislativo comporteranno sul ruolo e sul funzionamento degli organi parlamentari nel loro complesso e, in particolare, delle Commissioni parlamentari,
evidenziato come il meccanismo di elezione del Presidente della Repubblica delineato dal nuovo articolo 83 della Costituzione risulti, alla luce del più ampio coinvolgimento degli esponenti regionali, più articolato di quello ora vigente, in particolare per quanto riguarda il meccanismo di elezione degli ulteriori delegati regionali eletti dai Consigli regionali, i quali devono avere specifiche caratteristiche soggettive e devono essere preventivamente designati da un altro organo,
rilevata la particolare specificità della previsione di cui all'articolo 88, secondo comma, della Costituzione, in base alla quale lo scioglimento della Camera dei deputati da parte del Presidente della Repubblica è escluso a seguito della semplice presentazione alla Camera di un atto di indirizzo da parte di un numero qualificato di deputati appartenenti alla maggioranza,
evidenziato, sempre in riferimento all'articolo 88, secondo comma, della Costituzione, come la qualificazione dell'appartenenza di un deputato alla maggioranza possa risultare problematica, laddove questi muti la propria adesione al gruppo politico ovvero la sua posizione rispetto al programma di Governo, non essendo del resto possibile ritenere indefettibile il collocamento degli eletti in uno schieramento politico, anche in considerazione del divieto di mandato sancito dall'articolo 67,
rilevata l'opportunità di chiarire meglio la portata della norma di cui all'articolo 92, secondo comma, ultimo periodo, della Costituzione, secondo la quale la legge elettorale deve favorire la formazione di una maggioranza,
evidenziato, con riferimento all'articolo 114, terzo comma, della Costituzione, in base al quale a Roma, capitale della Repubblica federale, sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, anche normativa, come non risulti chiaro quale sia il rapporto tra le disposizioni dello Statuto della Regione Lazio, che definisce i limiti e le modalità secondo cui si articolano le particolari condizioni di autonomia della capitale, e l'ordinamento della capitale stessa, la cui disciplina è affidata alla legge statale,
considerato, con riferimento alle modifiche apportate all'articolo 117, quarto comma, della Costituzione, come tra le materie attribuite alla competenza legislativa esclusiva regionale si annoverino materie che possono coincidere, almeno in parte, con materie già rientranti negli ambiti della competenza legislativa esclusiva dello Stato ovvero in quelli attribuiti alla legislazione concorrente,
sottolineata la necessita di esaminare ulteriormente il testo alla luce delle modifiche che la Commissione di merito dovesse apportare a seguito dell'esame degli emendamenti,
esprime
PARERE FAVOREVOLE
con la seguente osservazione:
consideri la Commissione di merito la necessità che il processo di riforma costituzionale in senso federalista prospettato dal disegno di legge si accompagni alla tempestiva definizione dei meccanismi di funzionamento del federalismo fiscale, al fine di dare concreta attuazione alle previsioni relative all'autonomia finanziaria dei Comuni, delle Province, delle Città metropolitane e delle Regioni, ed al coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario di cui all'articolo 119 della Costituzione, tenendo conto dei risultati dell'Alta Commissione di studio sul federalismo istituita dall'articolo 3, comma 1 lettera b), della legge n. 289 del 2002.
PARERE DELLA VIII COMMISSIONE PERMANENTE
(Ambiente, territorio e lavori pubblici)
La VIII Commissione,
esaminato il disegno di legge costituzionale C. 4862, recante «Modificazione di articoli della Parte II della Costituzione», approvato, in prima deliberazione, dal Senato;
considerato che, anche in ragione degli ambiti di competenza della VIII Commissione, appare opportuno prospettare eventuali modifiche da apportare all'articolo 117, secondo e terzo comma, della Costituzione circa la ripartizione delle materie tra la legislazione esclusiva dello Stato e quella concorrente;
considerata, inoltre, l'opportunità di procedere ad eventuali interventi sull'articolo 117, secondo e terzo comma, volti a risolvere le questioni lasciate aperte dalla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, realizzata nel 2001, che ha dato luogo a continui e ripetuti interventi della Corte Costituzionale;
segnalata infine l'opportunità che nel testo costituzionale sia inserita una norma di chiusura, tipica peraltro dei sistemi di tipo federale, contenente una «clausola di supremazia» che riconosce la potestà legislativa dello Stato anche in materie di competenza regionale di fronte all'esigenza di preservare l'unità giuridica ed economica dello Stato;
esprime:
PARERE FAVOREVOLE
con le seguenti osservazioni:
a) in riferimento all'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, valuti la Commissione di merito il possibile inserimento della materia delle infrastrutture strategiche di interesse nazionale, insieme a quella delle grandi reti di telecomunicazioni, di trasporto e di navigazione, tra le materie attribuite alla legislazione esclusiva dello Stato;
b) all'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, valuti altresì la Commissione di merito l'opportunità che, per quanto riguarda la materia ambientale, si proceda all'attribuzione alla legislazione esclusiva dello Stato dei soli livelli generali ed uniformi di protezione ambientale, salvaguardia dell'ecosistema e delle aree naturali protette, prevedendo - per converso - l'assegnazione dei restanti ambiti della materia alla legislazione concorrente, secondo quanto di fatto già acquisito dall'ampia legislazione regionale vigente in campo ambientale;
c) infine, sempre all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, verifichi la Commissione di merito la possibilità di inserire tra le materie di legislazione concorrente, insieme al governo del territorio, anche le materie dell'urbanistica e della disciplina degli appalti pubblici.
PARERE DELLA XI COMMISSIONE PERMANENTE
(Lavoro pubblico e privato)
La XI Commissione,
esaminato il disegno di legge costituzionale C. 4862, approvato dal Senato;
premesso che nel corso dell'esame in sede consultiva si è registrata in Commissione un'ampia e diversificata gamma di orientamenti sugli aspetti qualificanti e di portata generale del disegno di legge;
sottolineato che la Commissione ha pertanto convenuto sull'opportunità di concentrare il suo parere sugli aspetti di più stretta attinenza alle materie del lavoro e della previdenza;
esprime
PARERE FAVOREVOLE
con le seguenti osservazioni:
all'articolo 117 della Costituzione, modificato dall'articolo 34 del disegno di legge, appare opportuno introdurre le seguenti precisazioni, anche alla luce dell'esperienza maturata nel corso del periodo di vigenza della legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001:
a) dovrebbe essere meglio chiarita la disciplina e la ripartizione di competenza tra Stato e regioni con riferimento alle misure volte ad incrementare le opportunità occupazionali, considerato anche il loro crescente rilievo comunitario, sancito dagli Accordi di Lisbona;
b) occorre poi valutare l'assetto delle competenze sulla materia della «tutela e sicurezza del lavoro», attualmente rimesso alla legislazione concorrente, attribuendo più chiaramente la competenza allo Stato o alle regioni, fermo restando il rispetto della normazione di origine comunitaria;
c) analogamente, occorre valutare l'assetto delle competenze sulla materia della «previdenza complementare e integrativa», attualmente rimessa alla legislazione concorrente dello Stato e delle regioni, attribuendo più chiaramente la competenza allo Stato o alle regioni,
d) al secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione, alla lettera l), dopo le parole: «civile e» dovrebbero essere aggiunte le seguenti: «disciplina dei rapporti di lavoro, ordinamento».
PARERE DELLA XII COMMISSIONE PERMANENTE
(Affari sociali)
La XII Commissione,
esaminato il disegno di legge C. 4862 Governo «Modificazione di articoli della Parte II della Costituzione»;
considerato che:
la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali deve essere garantita su tutto il territorio nazionale;
il provvedimento in esame non modifica la lettera m) del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione che demanda allo Stato la competenza esclusiva nella determinazione dei livelli essenziali di assistenza, a garanzia dei diritti fondamentali sanciti nella prima parte della Costituzione, tra cui il diritto alla salute;
il provvedimento non modifica inoltre il terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione che include la tutela della salute tra le materie oggetto di legislazione concorrente, nelle quali spetta allo Stato la definizione dei principi fondamentali;
esprime:
PARERE FAVOREVOLE
con la seguente osservazione:
valuti la Commissione di merito l'opportunità di definire più chiaramente la materia «assistenza e organizzazione sanitaria», che l'articolo 34, secondo comma, del provvedimento in esame attribuisce alla competenza legislativa esclusiva delle regioni, anche in rapporto alla materia «tutela della salute», oggetto di competenza legislativa concorrente.
PARERE DELLA XIII COMMISSIONE PERMANENTE
(Agricoltura)
La XIII Commissione,
esaminato il disegno di legge C. 4862 cost. Governo, approvato in prima deliberazione dal Senato, recante «Modificazione di articoli della Parte Il della Costituzione»,
esprime
PARERE FAVOREVOLE
con la seguente osservazione:
valuti la Commissione di merito l'opportunità di modificare l'articolo 117 della Costituzione al fine di includere tra le materie oggetto di legislazione concorrente la pesca marittima e gli interventi in materia di calamità naturali, nonché di assicurare una disciplina omogenea sul territorio nazionale di situazioni soggettive comparabili in campo agricolo.
PARERE DELLA XIV COMMISSIONE PERMANENTE
(Politiche dell'unione europea)
La XIV Commissione,
esaminato il testo del disegno di legge costituzionale C. 4862, approvato in prima deliberazione dal Senato;
rilevato che il provvedimento in esame costituisce una riforma ampia e articolata del sistema costituzionale vigente ed apprezzato in particolare che le modifiche introdotte alla Parte II, Titolo V della Costituzione completano in senso federale la riforma costituzionale già prevista dalla legge n. 3 del 18 ottobre 2001, riconoscendo alle regioni più adeguate competenze in via esclusiva;
considerato opportuno che il disegno di legge in esame - confermando la rilevanza della collocazione dell'Italia nell'ambito dell'Unione europea - rimette alla procedura di votazione di cui al nuovo articolo 70, primo comma, della Costituzione, come introdotto dall'articolo 11 del disegno di legge, la disciplina delle materie relative ai rapporti dello Stato con l'Unione europea; mentre prevede la procedura di cui all'articolo 70, secondo comma, della Costituzione, sempre introdotto dall'articolo 11, la disciplina, tra le altre, della materia relativa ai rapporti delle Regioni con l'Unione europea, radicandosi così in capo alle due diverse assemblee, rispettivamente Camera dei deputati e Senato della Repubblica, una competenza specifica in riferimento alla legislazione normativa comunitaria;
esprime
PARERE FAVOREVOLE
TESTO del disegno di legge costituzionale |
TESTO della Commissione |
Capo I MODIFICHE AL TITOLO I DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE |
Capo I MODIFICHE AL TITOLO I DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE |
Art. 1. (Senato federale della Repubblica). |
Art. 1. (Senato federale della Repubblica). |
1. All'articolo 55 della Costituzione, il primo comma è sostituito dal seguente: «Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato federale della Repubblica». |
Identico. |
Art. 2. (Camera dei deputati). |
Art. 2. (Camera dei deputati). |
1. L'articolo 56 della Costituzione è sostituito dal seguente: |
1. Identico: |
«Art. 56. - La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto. |
«Art. 56. - Identico. |
La Camera dei deputati è composta da quattrocento deputati e dai dodici deputati assegnati alla circoscrizione Estero. |
La Camera dei deputati è composta da cinquecento deputati e dai dodici deputati assegnati alla circoscrizione Estero. |
Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età. |
Identico. |
La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall'ultimo censimento generale della popolazione, per quattrocento e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti». |
La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall'ultimo censimento generale della popolazione, per cinquecento e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti». |
Art. 3. (Struttura del Senato federale della Repubblica). |
Art. 3. (Struttura del Senato federale della Repubblica). |
1. L'articolo 57 della Costituzione è sostituito dal seguente: |
1. Identico: |
«Art. 57. - Il Senato federale della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto su base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero. |
«Art. 57. - Identico. |
Il Senato federale della Repubblica è composto da duecento senatori eletti in ciascuna Regione contestualmente all'elezione dei rispettivi Consigli regionali, dai sei senatori elettivi assegnati alla circoscrizione Estero e dai senatori a vita di cui all'articolo 59. |
Il Senato federale della Repubblica è composto da duecentocinquantadue senatori eletti in ciascuna Regione contestualmente all'elezione dei rispettivi Consigli regionali, dai sei senatori elettivi assegnati alla circoscrizione Estero e dai senatori a vita di cui all'articolo 59. |
L'elezione del Senato federale della Repubblica è disciplinata con legge dello Stato, che garantisce la rappresentanza territoriale da parte dei senatori. |
Identico. |
Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a cinque; il Molise ne ha due, la Valle d'Aosta uno. |
Identico. |
La ripartizione dei seggi tra le Regioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, previa applicazione delle disposizioni del quarto comma, si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall'ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti. |
Identico. |
I senatori e gli organi della corrispondente Regione mantengono rapporti di reciproca informazione e collaborazione. |
Soppresso. |
I Presidenti delle Giunte regionali ed i Presidenti dei Consigli regionali devono essere sentiti, ogni volta che lo richiedono, dal Senato federale della Repubblica secondo le norme del suo regolamento. I senatori devono essere sentiti, ogni volta che lo richiedono, dai Consigli regionali della Regione in cui sono stati eletti secondo le norme dei rispettivi regolamenti». |
I Presidenti delle Giunte regionali ed i Presidenti dei Consigli regionali sono sentiti, ogni volta che lo richiedono, dal Senato federale della Repubblica con le modalità e nei casi previsti dal suo regolamento. I senatori sono sentiti, ogni volta che lo richiedono, dal Consiglio regionale della Regione in cui sono stati eletti con le modalità e nei casi previsti dai rispettivi regolamenti». |
Art. 4. (Requisiti per l'eleggibilità a senatore). |
Art. 4. (Requisiti per l'eleggibilità a senatore). |
1. L'articolo 58 della Costituzione è sostituito dal seguente: |
1. Identico: |
«Art. 58. - Sono eleggibili a senatori di una Regione gli elettori che hanno compiuto i quaranta anni di età e hanno ricoperto o ricoprono cariche pubbliche elettive in enti territoriali locali o regionali, all'interno della Regione, o sono stati eletti senatori o deputati nella Regione o risiedono nella Regione alla data di indizione delle elezioni». |
«Art. 58. - Sono eleggibili a senatori di una Regione gli elettori che hanno compiuto i venticinque anni di età e hanno ricoperto o ricoprono cariche pubbliche elettive in enti territoriali locali o regionali, all'interno della Regione, o sono stati eletti senatori o deputati nella Regione o risiedono nella Regione alla data di indizione delle elezioni». |
Art. 5. (Senatori a vita). |
Art. 5. (Senatori a vita). |
1. All'articolo 59 della Costituzione, il secondo comma è sostituito dal seguente: |
Identico. |
«Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Il numero totale dei senatori di nomina presidenziale non può in alcun caso essere superiore a tre». |
|
Art. 6. (Durata delle Camere). |
Art. 6. (Durata delle Camere). |
1. L'articolo 60 della Costituzione è sostituito dal seguente: |
1. Identico: |
«Art. 60. - La Camera dei deputati è eletta per cinque anni. |
«Art. 60. - Identico. |
La durata della Camera dei deputati non può essere prorogata se non per legge e soltanto in caso di guerra. |
Soppresso. |
Il Senato federale della Repubblica è eletto per cinque anni. |
Identico. |
La legge, approvata ai sensi dell'articolo 70, terzo comma, stabilisce, nel caso di scioglimento dei Consigli regionali in base all'articolo 126 o ad altra norma costituzionale, la durata della successiva legislatura regionale in modo da assicurare la contestualità di cui all'articolo 57, secondo comma». |
Identico. |
|
La durata di ciascuna Camera non può essere prorogata se non per legge e soltanto in caso di guerra. Con la proroga del Senato federale della Repubblica sono prorogati anche i Consigli regionali in carica». |
Art. 7. (Presidenza della Camera dei deputati e del Senato federale della Repubblica). |
Art. 7. (Presidenza della Camera dei deputati e del Senato federale della Repubblica). |
1. All'articolo 63 della Costituzione, il primo comma è sostituito dal seguente: |
Identico. |
«Ciascuna Camera elegge fra i suoi componenti il Presidente e l'Ufficio di Presidenza. Il Presidente è eletto con la maggioranza dei due terzi dei componenti l'Assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta». |
|
Art. 8. (Modalità di funzionamento delle Camere). |
Art. 8. (Modalità di funzionamento delle Camere). |
1. L'articolo 64 della Costituzione è sostituito dal seguente: |
1. Identico: |
«Art. 64. - La Camera dei deputati adotta il proprio regolamento con la maggioranza dei tre quinti dei voti espressi, comunque non inferiore alla maggioranza assoluta dei suoi componenti. Il Senato federale della Repubblica adotta il proprio regolamento con la maggioranza assoluta dei suoi componenti. |
«Art. 64. - Ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti. |
Le sedute sono pubbliche; tuttavia ciascuna delle due Camere e il Parlamento in seduta comune possono deliberare di adunarsi in seduta segreta. |
Identico. |
Le deliberazioni della Camera dei deputati e del Parlamento in seduta comune non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale. Le deliberazioni del Senato federale della Repubblica non sono valide se non sono presenti i due quinti dei suoi componenti e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale. Le deliberazioni del Senato federale della Repubblica non sono altresì valide se non sono presenti senatori espressi da almeno un terzo delle Regioni. |
Le deliberazioni della Camera dei deputati, del Senato federale della Repubblica e del Parlamento in seduta comune non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale. Le deliberazioni del Senato federale della Repubblica non sono altresì valide se non sono presenti senatori espressi da almeno un terzo delle Regioni. |
Il regolamento della Camera dei deputati garantisce le prerogative ed i poteri del Governo e della maggioranza ed i diritti delle opposizioni in ogni fase dell'attività parlamentare. Prevede le modalità di iscrizione all'ordine del giorno di proposte e iniziative indicate dalle opposizioni, con riserva di tempi e previsione del voto finale. Stabilisce le modalità di elezione e i poteri del Capo dell'opposizione. Riserva a deputati appartenenti a gruppi di opposizione la Presidenza delle commissioni, diverse da quelle di cui all'articolo 72, primo comma, delle Giunte e degli organismi interni, cui sono attribuiti compiti ispettivi, di controllo o di garanzia. |
Il regolamento della Camera dei deputati garantisce le prerogative del Governo e della maggioranza ed i diritti delle opposizioni. Stabilisce le modalità di elezione e le prerogative del Capo dell'opposizione. Riserva a deputati appartenenti a gruppi di opposizione la Presidenza delle commissioni, diverse da quelle di cui agli articoli 70, terzo comma, e 72, primo comma, delle Giunte e degli organismi interni diversi dal comitato di cui all'articolo 70, quarto comma, cui sono attribuiti compiti ispettivi, di controllo o di garanzia. |
Il regolamento del Senato federale della Repubblica garantisce i diritti delle minoranze in ogni fase dell'attività parlamentare. |
Soppresso. |
Il regolamento del Senato federale della Repubblica disciplina le modalità ed i termini per l'espressione del parere che ogni Consiglio o Assemblea regionale può esprimere, sentito il Consiglio delle autonomie locali, sui disegni di legge di cui all'articolo 70, secondo comma. |
Identico. |
I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto e, se richiesti, obbligo di assistere alle sedute. Devono essere sentiti ogni volta che lo richiedono». |
Identico». |
Art. 9. (Ineleggibilità ed incompatibilità). |
Art. 9. (Ineleggibilità ed incompatibilità). |
1. All'articolo 65 della Costituzione, il primo comma è sostituito dal seguente: |
Identico. |
«La legge, approvata ai sensi dell'articolo 70, terzo comma, determina i casi di ineleggibilità e incompatibilità con l'ufficio di deputato o di senatore». |
|
Art. 10. (Giudizio sui titoli di ammissione dei deputati e dei senatori). |
Art. 10. (Giudizio sui titoli di ammissione dei deputati e dei senatori). |
1. L'articolo 66 della Costituzione è sostituito dal seguente: |
1. Identico: |
«Art. 66. - Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità, entro termini tassativi stabiliti dal proprio regolamento. L'insussistenza dei titoli o la sussistenza delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità dei parlamentari proclamati sono accertate con deliberazione adottata a maggioranza dei tre quinti dei componenti l'Assemblea della Camera dei deputati ed a maggioranza dei componenti l'Assemblea del Senato federale della Repubblica». |
«Art. 66. - Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità, entro termini stabiliti dal proprio regolamento. L'insussistenza dei titoli o la sussistenza delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità dei parlamentari proclamati sono accertate con deliberazione adottata dalla Camera di appartenenza a maggioranza dei propri componenti». |
Art. 11. (Divieto di mandato imperativo). |
Art. 11. (Divieto di mandato imperativo). |
1. L'articolo 67 della Costituzione è sostituito dal seguente: |
Identico. |
«Art. 67. - Ogni deputato e ogni senatore rappresenta la Nazione e la Repubblica ed esercita le proprie funzioni senza vincolo di mandato». |
|
Art. 12. (Indennità parlamentare). |
Art. 12. (Indennità parlamentare). |
1. L'articolo 69 della Costituzione è sostituito dal seguente: |
1. Identico: |
«Art. 69. - I membri delle Camere ricevono un'identica indennità stabilita dalla legge, approvata ai sensi dell'articolo 70, terzo comma. |
«Art. 69. - Identico. |
Tale indennità non è cumulabile con indennità o emolumenti derivanti dalla titolarità di altre cariche pubbliche elettive». |
La legge disciplina i casi di non cumulabilità delle indennità o emolumenti derivanti dalla titolarità contestuale di altre cariche pubbliche». |
Art. 13. (Formazione delle leggi). |
Art. 13. (Formazione delle leggi). |
1. L'articolo 70 della Costituzione è sostituito dal seguente: |
1. Identico: |
«Art. 70. - La Camera dei deputati esamina i disegni di legge concernenti le materie di cui all'articolo 117, secondo comma, ivi compresi i disegni di legge attinenti ai bilanci ed al rendiconto consuntivo dello Stato, salvo quanto previsto dal terzo comma del presente articolo. Dopo l'approvazione da parte della Camera dei deputati, tali disegni di legge sono trasmessi al Senato federale della Repubblica. Il Senato, su richiesta di due quinti dei propri componenti formulata entro dieci giorni dalla trasmissione, esamina il disegno di legge. Entro i trenta giorni successivi il Senato delibera e può proporre modifiche sulle quali la Camera dei deputati decide in via definitiva. I termini sono ridotti alla metà per i disegni di legge di conversione dei decreti-legge. Qualora il Senato federale della Repubblica non proponga modifiche entro i termini previsti, la legge è promulgata ai sensi degli articoli 73 e 74. |
«Art. 70. - La Camera dei deputati esamina i disegni di legge concernenti le materie di cui all'articolo 117, secondo comma, ivi compresi i disegni di legge attinenti ai bilanci ed al rendiconto consuntivo dello Stato, nonché i disegni di legge concernenti il coordinamento di cui all'articolo 118, terzo comma, primo periodo, salvo quanto previsto dal terzo comma del presente articolo. Dopo l'approvazione da parte della Camera dei deputati, tali disegni di legge sono trasmessi al Senato federale della Repubblica. Il Senato, su richiesta di due quinti dei propri componenti formulata entro dieci giorni dalla trasmissione, esamina il disegno di legge. Entro i trenta giorni successivi il Senato delibera e può proporre modifiche sulle quali la Camera dei deputati decide in via definitiva. I termini sono ridotti alla metà per i disegni di legge di conversione dei decreti-legge. Qualora il Senato federale della Repubblica non proponga modifiche entro i termini previsti, la legge è promulgata ai sensi degli articoli 73 e 74. |
Il Senato federale della Repubblica esamina i disegni di legge concernenti la determinazione dei princìpi fondamentali nelle materie di cui all'articolo 117, terzo comma, salvo quanto previsto dal terzo comma del presente articolo. Tali disegni di legge, dopo l'approvazione da parte del Senato federale della Repubblica, sono trasmessi alla Camera dei deputati. La Camera dei deputati, su richiesta di due quinti dei propri componenti formulata entro dieci giorni dalla trasmissione, esamina il disegno di legge. Entro i trenta giorni successivi la Camera dei deputati delibera e può proporre modifiche sulle quali il Senato federale della Repubblica decide in via definitiva. I termini sono ridotti alla metà per i disegni di legge di conversione dei decreti-legge. Qualora la Camera dei deputati non proponga modifiche entro i termini previsti, la legge è promulgata ai sensi degli articoli 73 e 74. Qualora il Governo dichiari che le modifiche proposte dalla Camera dei deputati sono essenziali per l'attuazione del suo programma e tali modifiche siano approvate ai sensi dell'articolo 94, secondo comma, al disegno di legge si applica la procedura prevista dagli ultimi due periodi del terzo comma del presente articolo. |
Il Senato federale della Repubblica esamina i disegni di legge concernenti la determinazione dei princìpi fondamentali nelle materie di cui all'articolo 117, terzo comma, salvo quanto previsto dal terzo comma del presente articolo. Tali disegni di legge, dopo l'approvazione da parte del Senato federale della Repubblica, sono trasmessi alla Camera dei deputati. La Camera dei deputati, su richiesta di due quinti dei propri componenti formulata entro dieci giorni dalla trasmissione, esamina il disegno di legge. Entro i trenta giorni successivi la Camera dei deputati delibera e può proporre modifiche sulle quali il Senato federale della Repubblica decide in via definitiva. Qualora la Camera dei deputati non proponga modifiche entro i termini previsti, la legge è promulgata ai sensi degli articoli 73 e 74. Qualora il Governo dichiari che le modifiche proposte dalla Camera dei deputati sono essenziali per l'attuazione del suo programma e tali modifiche siano approvate dalla Camera dei deputati ai sensi dell'articolo 94, secondo comma, il disegno di legge è approvato dalla Camera dei deputati in via definitiva con le modifiche proposte, salvo che, entro trenta giorni dalla data di trasmissione del disegno di legge, il Senato federale della Repubblica deliberi di non accogliere le modifiche, con la maggioranza dei tre quinti dei propri componenti. I termini sono ridotti alla metà per i disegni di legge di conversione dei decreti-legge. |
La funzione legislativa dello Stato è esercitata collettivamente dalle due Camere per l'esame dei disegni di legge, anche annuali, concernenti la perequazione delle risorse finanziarie e le materie di cui all'articolo 119, e dei disegni di legge concernenti la tutela della concorrenza, le funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane, il sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato federale della Repubblica, nonché nei casi in cui la Costituzione rinvii espressamente alla legge dello Stato o alla legge della Repubblica, di cui agli articoli 27, quarto comma, 33, sesto comma, 114, terzo comma, 117, commi quinto e nono, 118, commi secondo e terzo, 120, secondo comma, 122, primo comma, 125, 132, secondo comma, 133, primo comma, 137, secondo comma, nonché per le leggi che disciplinano l'esercizio dei diritti fondamentali di cui agli articoli da 13 a 21. Se un disegno di legge non è approvato dalle due Camere nel medesimo testo dopo una lettura da parte di ciascuna Camera, i Presidenti delle due Camere convocano, d'intesa tra di loro, una commissione mista paritetica incaricata di proporre un testo sulle disposizioni su cui permane il disaccordo tra le due Camere. Il testo proposto dalla commissione mista paritetica è sottoposto all'approvazione delle due Assemblee e su di esso non sono ammessi emendamenti. |
La funzione legislativa dello Stato è esercitata collettivamente dalle due Camere per l'esame dei disegni di legge concernenti la perequazione delle risorse finanziarie e le materie di cui all'articolo 119, e dei disegni di legge concernenti la determinazione dei princìpi fondamentali sull'armonizzazione dei bilanci pubblici ed il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, la tutela della concorrenza, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, le norme generali sulla tutela della salute, le funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane, il sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato federale della Repubblica, nonché nei casi in cui la Costituzione rinvia espressamente alla legge dello Stato o alla legge della Repubblica, di cui agli articoli 33, sesto comma, 114, terzo comma, 117, commi quinto e nono, 118, commi secondo e terzo, secondo periodo, 120, secondo e terzo comma, 122, primo comma, 125, 132, secondo comma, 133, primo comma, e 137, secondo comma. Se un disegno di legge non è approvato dalle due Camere nel medesimo testo dopo una lettura da parte di ciascuna Camera, i Presidenti delle due Camere convocano, d'intesa tra di loro, una commissione mista paritetica, composta secondo il criterio di proporzionalità rispetto alla composizione delle due Camere, incaricata di proporre un testo sulle disposizioni su cui permane il disaccordo tra le due Camere. Il testo proposto dalla commissione mista paritetica è sottoposto all'approvazione delle due Assemblee e su di esso non sono ammessi emendamenti. |
I Presidenti del Senato federale della Repubblica e della Camera dei deputati, d'intesa tra di loro, decidono le eventuali questioni di competenza tra le due Camere in ordine all'esercizio della funzione legislativa. I Presidenti possono deferire la decisione ad un comitato paritetico, composto da quattro deputati e da quattro senatori, designati dai rispettivi Presidenti sulla base del criterio di proporzionalità rispetto alla composizione delle due Camere. La decisione dei Presidenti o del comitato non è sindacabile in alcuna sede legislativa». |
I Presidenti del Senato federale della Repubblica e della Camera dei deputati, d'intesa tra di loro, decidono le eventuali questioni di competenza tra le due Camere in ordine all'esercizio della funzione legislativa. I Presidenti possono deferire la decisione ad un comitato paritetico, composto da quattro deputati e da quattro senatori, designati dai rispettivi Presidenti sulla base del criterio di proporzionalità rispetto alla composizione delle due Camere. La decisione dei Presidenti o del comitato non è sindacabile in alcuna sede». |
Art. 14. (Iniziativa legislativa). |
Art. 14. (Iniziativa legislativa). |
1. All'articolo 71 della Costituzione, il primo comma è sostituito dal seguente: |
Identico. |
«L'iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere nell'ambito delle rispettive competenze ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale». |
|
Art. 15. (Procedure legislative ed organizzazione per commissioni). |
Art. 15. (Procedure legislative ed organizzazione per commissioni). |
1. L'articolo 72 della Costituzione è sostituito dal seguente: |
1. Identico: |
«Art. 72. - Ogni disegno di legge, presentato alla Camera competente ai sensi dell'articolo 70, è secondo le norme del suo regolamento esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa, che l'approva articolo per articolo e con votazione finale. |
«Art. 72. - Identico. |
Il regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per i disegni di legge dei quali è dichiarata l'urgenza. |
Il regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per i disegni di legge dei quali è dichiarata l'urgenza, le modalità e i termini entro cui deve essere avviato l'esame delle proposte di legge di iniziativa popolare. |
Può altresì stabilire in quali casi e forme l'esame e l'approvazione dei disegni di legge, di cui all'articolo 70, terzo comma, sono deferiti a commissioni, anche permanenti, composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari. Anche in tali casi, fino al momento della sua approvazione definitiva, il disegno di legge è rimesso alla Camera, se il Governo o un decimo dei componenti della Camera o un quinto della commissione richiedono che sia discusso o votato dalla Camera stessa oppure che sia sottoposto alla sua approvazione finale con sole dichiarazioni di voto. Il regolamento determina le forme di pubblicità dei lavori delle commissioni. |
Identico. |
La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa. |
Identico. |
Il Senato federale della Repubblica, secondo le norme del proprio regolamento, è organizzato in commissioni, anche con riferimento a quanto previsto dall'articolo 117, ottavo comma. Esprime il parere, secondo le norme del proprio regolamento, ai fini dell'adozione del decreto di scioglimento di un Consiglio regionale o di rimozione di un Presidente di Giunta regionale, ai sensi dell'articolo 126, primo comma. |
Il Senato federale della Repubblica, secondo le norme del proprio regolamento, è organizzato in commissioni. Esprime il parere, secondo le norme del proprio regolamento, ai fini dell'adozione del decreto di scioglimento di un Consiglio regionale o di rimozione di un Presidente di Giunta regionale, ai sensi dell'articolo 126, primo comma. |
Le proposte di legge di iniziativa regionale adottate da più Assemblee regionali in coordinamento tra di loro sono poste all'ordine del giorno dell'Assemblea nei termini tassativi stabiliti dal regolamento». |
Le proposte di legge di iniziativa regionale adottate da più Assemblee regionali in coordinamento tra di loro sono poste all'ordine del giorno della Camera competente nei termini stabiliti dal proprio regolamento». |
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Art. 16. (Procedure legislative in casi particolari). |
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1. All'articolo 73, secondo comma, della Costituzione, dopo le parole: «dei propri componenti,» sono inserite le seguenti: «e secondo le rispettive competenze ai sensi dell'articolo 70,». |
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2. All'articolo 74, secondo comma, della Costituzione, dopo le parole: «Se le Camere,» sono inserite le seguenti: «secondo le rispettive competenze ai sensi dell'articolo 70,». |
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3. All'articolo 77, primo comma, della Costituzione, dopo le parole: «delegazione delle Camere,» sono inserite le seguenti: «secondo le rispettive competenze ai sensi dell'articolo 70,». |
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4. All'articolo 77, secondo comma, della Costituzione, dopo le parole: «alle Camere» sono inserite le seguenti: «competenti ai sensi dell'articolo 70». |
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5. All'articolo 77, terzo comma, della Costituzione, dopo le parole: «Le Camere» sono inserite le seguenti: «, secondo le rispettive competenze ai sensi dell'articolo 70,». |
Art. 16. (Ratifica dei trattati internazionali). |
Art. 17. (Ratifica dei trattati internazionali). |
1. L'articolo 80 della Costituzione è sostituito dal seguente: |
Identico. |
«Art. 80. - È autorizzata con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi». |
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Art. 17. (Bilanci e rendiconto). |
Art. 18. (Bilanci e rendiconto). |
1. All'articolo 81 della Costituzione, il primo comma è sostituito dal seguente: |
Identico. |
«Sono approvati ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo». |
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Art. 18. (Commissioni parlamentari d'inchiesta). |
Soppresso. |
1. All'articolo 82 della Costituzione, l'ultimo periodo del secondo comma è sostituito dal seguente: |
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«La Commissione di inchiesta istituita con legge approvata dalle Camere ai sensi dell'articolo 70, terzo comma, procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria». |
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Capo II MODIFICHE AL TITOLO II DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE |
Capo II MODIFICHE AL TITOLO II DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE |
Art. 19. (Elezione del Presidente della Repubblica). |
Art. 19. (Elezione del Presidente della Repubblica). |
1. L'articolo 83 della Costituzione è sostituito dal seguente: |
1. Identico: |
«Art. 83. - Il Presidente della Repubblica è eletto dall'Assemblea della Repubblica, presieduta dal Presidente della Camera, costituita dai componenti delle due Camere, dai Presidenti delle Giunte delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano e da un numero di delegati eletti dai Consigli regionali. Ciascun Consiglio regionale elegge tre delegati, in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d'Aosta ha un solo delegato. I Consigli regionali eleggono altresì un numero ulteriore di delegati in ragione di un delegato per ogni milione di abitanti nella Regione. I delegati sono eletti, per non meno della metà, tra i sindaci, presidenti di Provincia o Città metropolitana della Regione, designati, a tal fine, dai rispettivi Consigli delle autonomie locali. |
«Art. 83. - Il Presidente della Repubblica è eletto dall'Assemblea della Repubblica, presieduta dal Presidente della Camera dei deputati, costituita dai componenti delle due Camere, dai Presidenti delle Giunte delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano e dai delegati eletti dai Consigli regionali in modo che sia assicurata la rappresentanza proporzionale rispetto alla composizione di ciascun Consiglio. Ciascun Consiglio regionale elegge tre delegati. La Valle d'Aosta ha un solo delegato. Ciascun Consiglio regionale elegge altresì un numero ulteriore di delegati in ragione di un delegato per ogni milione di abitanti nella Regione. I delegati sono eletti, per non meno della metà, tra i sindaci, presidenti di Provincia o Città metropolitana della Regione. |
Il Presidente della Repubblica è eletto a scrutinio segreto con la maggioranza dei due terzi dei componenti l'Assemblea della Repubblica. Dopo il quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta». |
Identico». |
Art. 20. (Convocazione dell'Assemblea della Repubblica). |
Art. 20. (Convocazione dell'Assemblea della Repubblica). |
1. All'articolo 85 della Costituzione, i commi secondo e terzo sono sostituiti dai seguenti: |
Identico. |
«Sessanta giorni prima che scada il termine, il Presidente della Camera dei deputati convoca l'Assemblea della Repubblica per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. |
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Se la Camera dei deputati è sciolta, o manca meno di tre mesi alla sua cessazione, la elezione ha luogo entro quindici giorni dalla riunione della Camera nuova. Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica». |
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Art. 21. (Supplenza del Presidente della Repubblica). |
Art. 21. (Supplenza del Presidente della Repubblica). |
1. All'articolo 86 della Costituzione, il primo comma è sostituito dal seguente: |
Identico. |
«Le funzioni del Presidente della Repubblica, in ogni caso in cui egli non possa adempierle, sono esercitate dal Presidente del Senato federale della Repubblica». |
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2. All'articolo 86, secondo comma, della Costituzione, le parole: «se le Camere sono sciolte o manca meno di tre mesi alla loro cessazione» sono sostituite dalle seguenti: «se la Camera dei deputati è sciolta o manca meno di tre mesi alla sua cessazione». |
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Art. 22. (Funzioni del Presidente della Repubblica). |
Art. 22. (Funzioni del Presidente della Repubblica). |
1. L'articolo 87 della Costituzione è sostituito dal seguente: |
1. Identico: |
«Art. 87. - Il Presidente della Repubblica è garante della Costituzione, rappresenta l'unità federale della Nazione ed esercita le funzioni che gli sono espressamente conferite dalla Costituzione. È il Capo dello Stato. |
«Art. 87. - Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato, rappresenta l'unità federale della Nazione ed è garante della Costituzione. |
Può inviare messaggi alle Camere. |
Identico. |
Indìce le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione. |
Indìce le elezioni delle nuove Camere, dei Presidenti delle Giunte regionali e dei Consigli regionali, dei Presidenti delle Giunte e dei Consigli provinciali delle Province autonome di Trento e di Bolzano e ne fissa la prima riunione. |
Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti. |
Identico. |
Indìce il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione. |
Identico. |
Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato ed i presidenti delle Autorità amministrative indipendenti. |
Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato e, sentiti i Presidenti delle due Camere, i presidenti delle Autorità amministrative indipendenti. |
Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l'autorizzazione delle Camere. |
Identico. |
Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere. |
Identico. |
Presiede il Consiglio superiore della magistratura e ne nomina il Vice Presidente nell'ambito dei suoi componenti. |
Presiede il Consiglio superiore della magistratura e ne nomina il Vice Presidente nell'ambito dei componenti eletti dalle Camere. |
Può concedere grazia e commutare le pene. |
Identico. |
Conferisce le onorificenze della Repubblica». |
Identico». |
Art. 23. (Scioglimento della Camera dei deputati). |
Art. 23. (Scioglimento della Camera dei deputati). |
1. L'articolo 88 della Costituzione è sostituito dal seguente: |
1. Identico: |
«Art. 88. - Il Presidente della Repubblica, su richiesta del Primo ministro, che ne assume la esclusiva responsabilità, ovvero nei casi di cui agli articoli 92, quarto comma, e 94, decreta lo scioglimento della Camera dei deputati ed indìce le elezioni entro i successivi sessanta giorni. |
«Art. 88. - Il Presidente della Repubblica decreta lo scioglimento della Camera dei deputati ed indìce le elezioni, da tenersi non oltre i successivi sessanta giorni, nei seguenti casi: a) su richiesta del Primo ministro, che ne assume la esclusiva responsabilità; |
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b) in caso di morte del Primo ministro o di impedimento permanente accertato secondo le modalità fissate dalla legge; |
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c) in caso di dimissioni del Primo ministro; |
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d) nel caso di cui all'articolo 94, terzo comma. |
Il Presidente della Repubblica non emana il decreto di scioglimento richiesto dal Primo ministro nel caso in cui, entro dieci giorni da tale richiesta, venga presentata alla Camera dei deputati una mozione, sottoscritta dai deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni in numero non inferiore alla maggioranza dei componenti della Camera, nella quale si dichiari di voler continuare nell'attuazione del programma e si indichi il nome di un nuovo Primo ministro». |
Il Presidente della Repubblica non emana il decreto di scioglimento nei casi di cui alle lettere a), b) e c) del primo comma, qualora entro dieci giorni venga presentata alla Camera dei deputati una mozione, sottoscritta dai deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni in numero non inferiore alla maggioranza dei componenti della Camera, nella quale si dichiari di voler continuare nell'attuazione del programma e si indichi il nome di un nuovo Primo ministro». |
Art. 24. (Controfirma degli atti presidenziali). |
Art. 24. (Controfirma degli atti presidenziali). |
1. L'articolo 89 della Costituzione è sostituito dal seguente: |
1. Identico: |
«Art. 89. - Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità. |
«Art. 89. - Identico. |
Gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Primo ministro. |
Identico. |
Non sono proposti né controfirmati dal Primo ministro o dai ministri i seguenti atti del Presidente della Repubblica: la richiesta di una nuova deliberazione alle Camere ai sensi dell'articolo 74, i messaggi alle Camere, la concessione della grazia, la nomina dei senatori a vita, la nomina dei giudici della Corte costituzionale di sua competenza, lo scioglimento della Camera dei deputati ai sensi degli articoli 92 e 94, la nomina del Vice Presidente del Consiglio superiore della magistratura nonché le nomine dei presidenti delle Autorità amministrative indipendenti e le altre nomine che la legge eventualmente attribuisca alla sua esclusiva responsabilità». |
Non sono proposti né controfirmati dal Primo ministro o dai ministri i seguenti atti del Presidente della Repubblica: la richiesta di una nuova deliberazione alle Camere ai sensi dell'articolo 74, i messaggi alle Camere, la concessione della grazia, la nomina dei senatori a vita, la nomina dei giudici della Corte costituzionale di sua competenza, lo scioglimento della Camera dei deputati ai sensi dell'articolo 88, la nomina del Vice Presidente del Consiglio superiore della magistratura nonché le nomine dei presidenti delle Autorità amministrative indipendenti e le altre nomine che la legge attribuisce alla sua esclusiva competenza». |
Art. 25. (Giuramento del Presidente della Repubblica). |
Art. 25. (Giuramento del Presidente della Repubblica). |
1. L'articolo 91 della Costituzione è sostituito dal seguente: |
Identico. |
«Art. 91. - Il Presidente della Repubblica, prima di assumere le sue funzioni, presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione dinanzi all'Assemblea della Repubblica». |
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Capo III MODIFICHE AL TITOLO III DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE |
Capo III MODIFICHE AL TITOLO III DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE |
Art. 26. (Governo e Primo ministro). |
Art. 26. (Governo e Primo ministro). |
1. L'articolo 92 della Costituzione è sostituito dal seguente: |
1. Identico: |
«Art. 92. - Il Governo della Repubblica è composto dal Primo ministro e dai ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri. |
«Art. 92. - Identico. |
La candidatura alla carica di Primo ministro avviene mediante collegamento con i candidati all'elezione della Camera dei deputati, secondo modalità stabilite dalla legge. La legge disciplina l'elezione dei deputati in modo da favorire la formazione di una maggioranza, collegata al candidato alla carica di Primo ministro. |
Identico. |
Il Presidente della Repubblica, sulla base dei risultati delle elezioni della Camera dei deputati, nomina il Primo ministro. |
Identico». |
In caso di morte, di impedimento permanente, accertato secondo modalità fissate dalla legge, ovvero di dimissioni del Primo ministro per cause diverse da quelle di cui all'articolo 94, il Presidente della Repubblica nomina un nuovo Primo ministro indicato da una mozione, presentata entro quindici giorni dalla data di cessazione dalla carica, sottoscritta dai deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni, in numero non inferiore alla maggioranza dei componenti della Camera dei deputati. Altrimenti, decreta lo scioglimento della Camera dei deputati ed indìce le elezioni». |
Soppresso. |
Art. 27. (Giuramento del Primo ministro e dei ministri). |
Art. 27. (Giuramento del Primo ministro e dei ministri). |
1. L'articolo 93 della Costituzione è sostituito dal seguente: |
Identico. |
«Art. 93. - Il Primo ministro e i ministri, prima di assumere le funzioni, prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica». |
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Art. 28. (Governo in Parlamento). |
Art. 28. (Governo in Parlamento). |
1. L'articolo 94 della Costituzione è sostituito dal seguente: |
1. Identico: |
«Art. 94. - Il Primo ministro illustra il programma del Governo alle Camere entro dieci giorni dalla nomina. Ogni anno presenta il rapporto sulla sua attuazione e sullo stato del Paese. |
«Art. 94. - Identico. |
Egli può chiedere che la Camera dei deputati si esprima, con priorità su ogni altra proposta, con voto conforme alle proposte del Governo. In caso di voto contrario, il Primo ministro rassegna le dimissioni e può chiedere lo scioglimento della Camera dei deputati. Si applica l'articolo 88. |
Egli può chiedere che la Camera dei deputati si esprima, con priorità su ogni altra proposta, con voto conforme alle proposte del Governo. La votazione ha luogo per appello nominale. In caso di voto contrario, il Primo ministro rassegna le dimissioni. |
In qualsiasi momento la Camera dei deputati può obbligare il Primo ministro alle dimissioni, con l'approvazione di una mozione di sfiducia. La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un quinto dei componenti della Camera dei deputati, deve essere votata per appello nominale e approvata dalla maggioranza assoluta dei componenti. In tal caso il Primo ministro sfiduciato si dimette e il Presidente della Repubblica decreta lo scioglimento della Camera dei deputati ed indìce le elezioni». |
In qualsiasi momento la Camera dei deputati può obbligare il Primo ministro alle dimissioni, con l'approvazione di una mozione di sfiducia. La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un quinto dei componenti della Camera dei deputati, non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione, deve essere votata per appello nominale e approvata dalla maggioranza assoluta dei componenti. Nel caso di approvazione, il Primo ministro si dimette e il Presidente della Repubblica decreta lo scioglimento della Camera dei deputati ed indìce le elezioni». |
Art. 29. (Poteri del Primo ministro e dei ministri). |
Art. 29. (Poteri del Primo ministro e dei ministri). |
1. L'articolo 95 della Costituzione è sostituito dal seguente: |
Identico. |
«Art. 95. - I ministri sono nominati e revocati dal Primo ministro. |
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Il Primo ministro determina la politica generale del Governo e ne è responsabile. Garantisce l'unità di indirizzo politico e amministrativo, dirigendo, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri. |
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I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri e individualmente degli atti dei loro dicasteri. |
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La legge provvede all'ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l'organizzazione dei ministeri». |
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Art. 30. (Disposizioni sui reati ministeriali). |
Art. 30. (Disposizioni sui reati ministeriali). |
1. L'articolo 96 della Costituzione è sostituito dal seguente: |
Identico. |
«Art. 96. - Il Primo ministro e i ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato federale della Repubblica o della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale». |
|
Capo IV MODIFICHE AL TITOLO IV DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE |
Capo IV MODIFICHE AL TITOLO IV DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE |
Art. 31. (Elezione del Consiglio superiore della magistratura). |
Art. 31. (Elezione del Consiglio superiore della magistratura). |
1. All'articolo 104, quarto comma, della Costituzione, le parole: «e per un terzo dal Parlamento in seduta comune» sono sostituite dalle seguenti: «e per un terzo dal Senato federale della Repubblica integrato dai Presidenti delle Giunte delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano». |
1. All'articolo 104, quarto comma, della Costituzione, le parole: «e per un terzo dal Parlamento in seduta comune» sono sostituite dalle seguenti: «per un sesto dalla Camera dei deputati e per un sesto dal Senato federale della Repubblica integrato dai Presidenti delle Giunte delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano». |
2. All'articolo 104 della Costituzione, il quinto comma è sostituito dal seguente: |
2. Identico: |
«Il Presidente della Repubblica nomina il Vice Presidente del Consiglio superiore della magistratura nell'ambito dei suoi componenti». |
«Il Presidente della Repubblica nomina il Vice Presidente del Consiglio superiore della magistratura nell'ambito dei componenti eletti dalle Camere». |
Capo V MODIFICHE AL TITOLO V DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE |
Capo V MODIFICHE AL TITOLO V DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE |
Art. 32. (Capitale della Repubblica federale). |
Art. 32. (Capitale della Repubblica federale). |
1. La denominazione del titolo V della Parte II della Costituzione è sostituita dalla seguente: «Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato». |
Identico. |
2. All'articolo 114 della Costituzione, il terzo comma è sostituito dal seguente: |
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«Roma è la capitale della Repubblica federale e dispone di forme e condizioni particolari di autonomia, anche normativa, nelle materie di competenza regionale, nei limiti e con le modalità stabiliti dallo statuto della Regione Lazio. La legge dello Stato disciplina l'ordinamento della capitale». |
|
Art. 33. (Approvazione degli Statuti delle Regioni speciali). |
Art. 33. (Approvazione degli Statuti delle Regioni speciali). |
1. All'articolo 116, primo comma, della Costituzione, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «previa intesa con la Regione interessata. L'assenso all'intesa può essere manifestato entro sei mesi dall'avvio del procedimento di cui all'articolo 138. Trascorso tale termine, le Camere possono adottare la legge costituzionale». |
Identico. |
Art. 34. (Competenze legislative esclusive delle Regioni). |
Art. 34. (Modifiche all'articolo 117 della Costituzione). |
1. All'articolo 117 della Costituzione, il primo comma è sostituito dal seguente: |
1. Identico. |
«La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario». |
|
|
2. All'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, dopo la lettera m), è inserita la seguente: «m-bis) norme generali sulla tutela della salute;». 3. All'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, sono soppresse le parole: «tutela della salute;» ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Lo Stato e le Regioni si conformano ai princìpi di leale collaborazione e di sussidiarietà». |
2. All'articolo 117 della Costituzione, il quarto comma è sostituito dal seguente: |
4. Identico. |
«Spetta alle Regioni la potestà legislativa esclusiva nelle seguenti materie: |
|
a) assistenza e organizzazione sanitaria; |
|
b) organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche; |
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c) definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione; |
|
d) polizia locale; |
|
e) ogni altra materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato». |
|
3. All'articolo 117 della Costituzione, l'ottavo comma è sostituito dal seguente: |
5. Identico. |
«La Regione interessata ratifica con legge le intese della Regione medesima con altre Regioni per il miglior esercizio delle proprie funzioni amministrative, prevedendo anche l'istituzione di organi amministrativi comuni». |
|
4. Le disposizioni previste dalla presente legge costituzionale si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano esclusivamente ove prevedano forme di autonomia più ampie rispetto a quelle di cui esse già dispongono, secondo i rispettivi statuti di autonomia e le relative norme di attuazione. |
6. Le disposizioni previste dai commi 1, 4 e 5 del presente articolo si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano esclusivamente ove prevedano forme di autonomia più ampie rispetto a quelle di cui esse già dispongono, secondo i rispettivi statuti di autonomia e le relative norme di attuazione. |
Art. 35. (Modifiche all'articolo 118 della Costituzione). |
Art. 35. (Modifiche all'articolo 118 della Costituzione). |
1. All'articolo 118, terzo comma, della Costituzione, le parole: «nella materia della tutela dei beni culturali» sono sostituite dalle seguenti: «con riferimento alla tutela dei beni culturali, alle grandi reti di trasporto e navigazione, alla produzione, trasporto, distribuzione nazionale dell'energia ed all'ordinamento delle professioni, sulla base dei princìpi di leale collaborazione e di sussidiarietà». |
1. All'articolo 118, terzo comma, della Costituzione, le parole: «nella materia della tutela dei beni culturali» sono sostituite dalle seguenti: «con riferimento alla tutela dei beni culturali. Disciplina altresì forme di intesa e coordinamento con riferimento alle grandi reti di trasporto e navigazione, alla produzione, trasporto, distribuzione nazionale dell'energia ed all'ordinamento delle professioni, sulla base dei princìpi di leale collaborazione e di sussidiarietà». |
2. All'articolo 118, quarto comma, della Costituzione, dopo la parola: «Comuni» sono inserite le seguenti: «riconoscono e» ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Essi riconoscono e favoriscono altresì l'autonoma iniziativa degli enti di autonomia funzionale per le medesime attività e sulla base del medesimo principio». |
2. Identico. |
Art. 36. (Modifica dell'articolo 120 della Costituzione). |
Art. 36. (Modifica all'articolo 120 della Costituzione). |
1. All'articolo 120 della Costituzione, dopo il primo comma è inserito il seguente: |
1. All'articolo 120 della Costituzione, il secondo comma è sostituito dai seguenti: |
«Con legge approvata dalla Camera dei deputati e dal Senato federale della Repubblica, a maggioranza dei propri componenti, sono disciplinati i princìpi che assicurino il conseguimento delle finalità di cui al comma successivo». |
«Con legge approvata dalla Camera dei deputati e dal Senato federale della Repubblica, a maggioranza dei propri componenti, sono disciplinati, nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione, i princìpi che assicurino da parte delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni il rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria, l'incolumità e la sicurezza pubblica in caso di pericolo grave, la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. |
|
Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto delle finalità di cui al secondo comma. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto dei princìpi di leale collaborazione e di sussidiarietà. |
|
Art. 37. (Modifica all'articolo 123 della Costituzione). |
|
1. All'articolo 123 della Costituzione, al secondo comma, è soppresso il secondo periodo. |
Art. 37. (Modifiche all'articolo 126 della Costituzione). |
Art. 38. (Modifiche all'articolo 126 della Costituzione). |
1. All'articolo 126, terzo comma, della Costituzione, al primo periodo, sono soppresse le parole: «, l'impedimento permanente, la morte» e il secondo periodo è sostituito dai seguenti: «Non si fa luogo a dimissioni della Giunta e a scioglimento del Consiglio in caso di morte o impedimento permanente del Presidente della Giunta. In tale caso, lo statuto regionale disciplina la nomina di un nuovo Presidente, cui si applicano le disposizioni previste per il Presidente sostituito. In ogni caso le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio conseguono alle dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti il Consiglio». |
Identico. |
Art. 38. (Leggi regionali ed interesse nazionale della Repubblica). |
Art. 39. (Leggi regionali ed interesse nazionale della Repubblica). |
1. All'articolo 127 della Costituzione, dopo il primo comma è inserito il seguente: |
1. Identico: |
«Il Governo, qualora ritenga che una legge regionale pregiudichi l'interesse nazionale della Repubblica, può sottoporre la questione al Senato federale della Repubblica, entro trenta giorni dalla pubblicazione della legge regionale. Il Senato federale della Repubblica, entro i successivi trenta giorni, decide sulla questione e può rinviare la legge alla Regione, con deliberazione adottata a maggioranza assoluta dei propri componenti, indicando le disposizioni pregiudizievoli. Qualora entro i successivi trenta giorni il Consiglio regionale non rimuova la causa del pregiudizio, il Senato federale della Repubblica con deliberazione adottata a maggioranza assoluta dei propri componenti, entro gli ulteriori trenta giorni, può proporre al Presidente della Repubblica di annullare la legge o sue disposizioni. Il Presidente della Repubblica può emanare il conseguente decreto di annullamento». |
«Il Governo, qualora ritenga che una legge regionale o parte di essa pregiudichi l'interesse nazionale della Repubblica, può sottoporre la questione al Senato federale della Repubblica, entro trenta giorni dalla pubblicazione della legge regionale. Il Senato federale della Repubblica, entro i successivi trenta giorni, decide sulla questione e può rinviare la legge alla Regione, con deliberazione adottata a maggioranza assoluta dei propri componenti, indicando le disposizioni pregiudizievoli. Qualora entro i successivi trenta giorni il Consiglio regionale non rimuova la causa del pregiudizio, il Senato federale della Repubblica con deliberazione adottata a maggioranza assoluta dei propri componenti, entro gli ulteriori trenta giorni, può proporre al Presidente della Repubblica di annullare la legge o sue disposizioni. Il Presidente della Repubblica, entro i successivi quindici giorni, può emanare il conseguente decreto di annullamento». |
Art. 39. (Abrogazioni). |
Art. 40. (Abrogazioni). |
1. All'articolo 116 della Costituzione, il terzo comma è abrogato. 2. All'articolo 126, primo comma, della Costituzione, l'ultimo periodo è soppresso. |
Identico. |
Capo VI MODIFICHE AL TITOLO VI DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE |
Capo VI MODIFICHE AL TITOLO VI DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE |
Art. 40. (Corte costituzionale). |
Art. 41. (Corte costituzionale). |
1. L'articolo 135 della Costituzione è sostituito dal seguente: |
1. Identico: |
«Art. 135. - La Corte costituzionale è composta da quindici giudici. Quattro giudici sono nominati dal Presidente della Repubblica; quattro giudici sono nominati dalle supreme magistrature ordinaria e amministrative; sette giudici sono nominati dal Senato federale della Repubblica, integrato dai Presidenti delle Giunte delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano. |
«Art. 135. - La Corte costituzionale è composta da quindici giudici. Quattro giudici sono nominati dal Presidente della Repubblica; quattro giudici sono nominati dalle supreme magistrature ordinaria e amministrative; tre giudici sono nominati dalla Camera dei deputati e quattro giudici sono nominati dal Senato federale della Repubblica, integrato dai Presidenti delle Giunte delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano. |
I giudici della Corte costituzionale sono scelti fra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria ed amministrative, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati dopo venti anni di esercizio. |
Identico. |
I giudici della Corte costituzionale sono nominati per nove anni, decorrenti per ciascuno di essi dal giorno del giuramento, e non possono essere nuovamente nominati. |
Identico. |
Alla scadenza del termine il giudice costituzionale cessa dalla carica e dall'esercizio delle funzioni. Nei successivi cinque anni non può ricoprire incarichi di governo, cariche pubbliche elettive o di nomina governativa o svolgere funzioni in organi o enti pubblici individuati dalla legge. |
Alla scadenza del termine il giudice costituzionale cessa dalla carica e dall'esercizio delle funzioni. Nei successivi tre anni non può ricoprire incarichi di governo, cariche pubbliche elettive o di nomina governativa o svolgere funzioni in organi o enti pubblici individuati dalla legge. |
La Corte elegge tra i suoi componenti, secondo le norme stabilite dalla legge, il Presidente, che rimane in carica per un triennio, ed è rieleggibile, fermi in ogni caso i termini di scadenza dall'ufficio di giudice. |
Identico. |
L'ufficio di giudice della Corte è incompatibile con quello di membro del Parlamento, di un Consiglio regionale, con l'esercizio della professione di avvocato e con ogni carica ed ufficio indicati dalla legge. |
Identico. |
Nei giudizi d'accusa contro il Presidente della Repubblica intervengono, oltre i giudici ordinari della Corte, sedici membri tratti a sorte da un elenco di cittadini aventi i requisiti per l'eleggibilità a deputato, che la Camera dei deputati compila ogni nove anni mediante elezione con le stesse modalità stabilite per la nomina dei giudici ordinari». |
Identico». |
2. L'articolo 3 della legge costituzionale 22 novembre 1967, n. 2, è sostituito dal seguente: |
2. Identico: |
«Art. 3. - 1. I giudici della Corte costituzionale che nomina il Senato federale della Repubblica sono eletti a scrutinio segreto e con la maggioranza dei due terzi dei componenti l'Assemblea. Per gli scrutini successivi al terzo è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei componenti l'Assemblea». |
«Art. 3. - 1. I giudici della Corte costituzionale nominati dal Senato federale della Repubblica e quelli nominati dalla Camera dei deputati sono eletti a scrutinio segreto e con la maggioranza dei due terzi dei componenti la rispettiva Assemblea. Per gli scrutini successivi al terzo è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei componenti la rispettiva Assemblea». |
Art. 41. (Referendum sulle leggi costituzionali). |
Art. 42. (Referendum sulle leggi costituzionali). |
1. All'articolo 138, secondo comma, della Costituzione, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e, nel caso in cui nella seconda votazione la legge sia stata approvata da ciascuna delle Camere con una maggioranza inferiore ai due terzi dei componenti, se non ha partecipato al voto la maggioranza degli aventi diritto». |
Soppresso. |
2. All'articolo 138 della Costituzione, il terzo comma è abrogato. |
1. Identico. |
Capo VII DISPOSIZIONI TRANSITORIE |
Capo VII DISPOSIZIONI TRANSITORIE |
Art. 42. (Disposizioni transitorie). |
Art. 43. (Disposizioni transitorie). |
1. Le disposizioni di cui al titolo I, al titolo II ed al titolo III della Parte II della Costituzione e le disposizioni di cui agli articoli 104, 126, 127 e 135 della Costituzione, come modificate dalla presente legge costituzionale, nonché le disposizioni di cui all'articolo 40, comma 2, della presente legge costituzionale si applicano a decorrere dall'inizio della XV legislatura, ad eccezione degli articoli 56, secondo comma, 57, secondo comma, e 59, secondo comma, della Costituzione, come modificati dagli articoli 2, 3 e 5 della presente legge costituzionale, che trovano applicazione per la successiva formazione della Camera e del Senato federale della Repubblica, trascorsi cinque anni dalle sue prime elezioni, salvo quanto previsto dai commi 2 e 3. |
1. Le disposizioni di cui al titolo I, al titolo II ed al titolo III della Parte II della Costituzione e le disposizioni di cui agli articoli 104, 126, 127 e 135 della Costituzione, come modificate dalla presente legge costituzionale, nonché le disposizioni di cui all'articolo 41, comma 2, della presente legge costituzionale si applicano a decorrere dall'inizio della XV legislatura, ad eccezione degli articoli 56, secondo e quarto comma, 57, secondo comma, e 59, secondo comma, della Costituzione, come modificati dagli articoli 2, 3 e 5 della presente legge costituzionale, che trovano applicazione per la successiva formazione della Camera dei deputati e del Senato federale della Repubblica, trascorsi cinque anni dalle sue prime elezioni, salvo quanto previsto dai commi 2 e 3. Per la formazione del Senato federale della Repubblica della XV legislatura, nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sette; il Molise ne ha due; la Valle D'Aosta uno.
|
2. In sede di prima applicazione della presente legge costituzionale, le prime elezioni del Senato federale della Repubblica, successive alla data di entrata in vigore della medesima legge, hanno luogo contestualmente a quelle della Camera dei deputati ed i senatori così eletti durano in carica per cinque anni. Alla scadenza dei cinque anni hanno luogo le nuove elezioni del Senato federale della Repubblica, nella composizione di cui all'articolo 57 della Costituzione, come modificato dall'articolo 3 della presente legge costituzionale. Tali elezioni sono indette dal Presidente della Repubblica ed hanno luogo contestualmente a quelle di tutti i Consigli o Assemblee regionali in carica a tale data, che sono conseguentemente sciolti. |
2. Identico. |
3. Per le elezioni del Senato federale della Repubblica e della Camera dei deputati, successive alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, e fino all'adeguamento della legislazione elettorale alle disposizioni della presente legge costituzionale, trovano applicazione le leggi elettorali per il Senato federale della Repubblica e la Camera dei deputati, vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale. |
3. Per le elezioni del Senato federale della Repubblica e della Camera dei deputati, successive alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, e fino all'adeguamento della legislazione elettorale alle disposizioni della presente legge costituzionale, trovano applicazione le leggi elettorali per il Senato della Repubblica e la Camera dei deputati, vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale. |
|
4. Le disposizioni dei regolamenti parlamentari vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale continuano ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore delle loro modificazioni conseguenti alla medesima legge. Le norme regolamentari incompatibili con la presente legge costituzionale cessano di avere efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge medesima. |
4. In sede di prima applicazione della presente legge costituzionale, il Senato federale della Repubblica nomina i giudici della Corte costituzionale di propria competenza alla scadenza di giudici già eletti dal Parlamento in seduta comune, ai sensi dell'articolo 135, primo comma, della Costituzione, vigente alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, ed alle prime scadenze di un giudice già eletto dalla suprema magistratura ordinaria e di un giudice già nominato dal Presidente della Repubblica. |
5. In sede di prima applicazione della presente legge costituzionale, il Senato federale della Repubblica, integrato dai Presidenti delle Giunte delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, nomina i giudici della Corte costituzionale di propria competenza alle prime due scadenze di giudici già eletti dal Parlamento in seduta comune, ai sensi dell'articolo 135, primo comma, della Costituzione, vigente alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, ed alle prime scadenze di un giudice già eletto dalla suprema magistratura ordinaria e di un giudice già nominato dal Presidente della Repubblica. La Camera dei deputati nomina i giudici della Corte costituzionale di propria competenza alle ulteriori scadenze di giudici già eletti dal Parlamento in seduta comune. |
5. Il quarto comma dell'articolo 135 della Costituzione, come sostituito dall'articolo 40 della presente legge costituzionale, non si applica nei confronti dei giudici costituzionali in carica alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale. |
6. Il quarto comma dell'articolo 135 della Costituzione, come sostituito dall'articolo 41 della presente legge costituzionale, non si applica nei confronti dei giudici costituzionali in carica alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale. |
6. In caso di cessazione anticipata dall'incarico di singoli componenti del Consiglio superiore della magistratura, già eletti dal Parlamento in seduta comune, il Senato federale della Repubblica procede alle conseguenti elezioni suppletive fino alla concorrenza del numero di componenti di sua competenza, ai sensi dell'articolo 104, quarto comma, della Costituzione, come modificato dall'articolo 31 della presente legge costituzionale. |
7. Identico. |
7. Nei cinque anni successivi alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale si possono, con leggi costituzionali, formare nuove Regioni con un minimo di un milione di abitanti, a modificazione dell'elenco di cui all'articolo 131 della Costituzione, senza il concorso delle condizioni richieste dal primo comma dell'articolo 132 della Costituzione, fermo restando l'obbligo di sentire le popolazioni interessate. |
8. Identico. |
8. Le popolazioni interessate di cui al comma 7 sono costituite dai cittadini residenti nei Comuni o nelle Province di cui si propone il distacco dalla Regione. |
9. Le popolazioni interessate di cui al comma 8 sono costituite dai cittadini residenti nei Comuni o nelle Province di cui si propone il distacco dalla Regione. |
9. I senatori a vita in carica alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale permangono in carica anche se il loro numero supera quello indicato dall'articolo 59, secondo comma, della Costituzione, come modificato dall'articolo 5 della presente legge costituzionale. |
10. Identico. |
10. Fino alla data di entrata in vigore delle leggi che, in piena attuazione dell'articolo 119, secondo e terzo comma, della Costituzione, individuano i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario ed istituiscono un fondo perequativo, i disegni di legge attinenti ai bilanci ed al rendiconto consuntivo dello Stato sono esaminati secondo il procedimento di cui al terzo comma dell'articolo 70 della Costituzione, come modificato dall'articolo 13 della presente legge costituzionale. |
11. Fino alla data di entrata in vigore delle leggi che, in attuazione dell'articolo 119, secondo e terzo comma, della Costituzione, individuano i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario ed istituiscono un fondo perequativo e comunque per un periodo non superiore a cinque anni dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, i disegni di legge attinenti ai bilanci ed al rendiconto consuntivo dello Stato sono esaminati secondo il procedimento di cui al terzo comma dell'articolo 70 della Costituzione, come sostituito dall'articolo 13 della presente legge costituzionale. Tali disegni di legge sono esaminati secondo la procedura normale di cui all'articolo 72, quarto comma, della Costituzione, come sostituito dall'articolo 15 della presente legge costituzionale. |
11. All'articolo 5 della legge costituzionale 22 novembre 1999, n.1, sono apportate le seguenti modificazioni: |
12. Identico. |
a) al comma 2, lettera b), sono soppresse le parole: «, impedimento permanente o morte»; |
|
b) dopo il comma 2 è aggiunto il seguente: |
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«2-bis. Nel caso di impedimento permanente o morte del Presidente della Giunta, il Consiglio nomina un nuovo Presidente». |
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12. Le disposizioni di cui al comma 11 si applicano in via transitoria anche nei confronti delle Regioni nelle quali, alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, siano già entrati in vigore i nuovi statuti regionali, ai sensi della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1. |
13. Le disposizioni di cui al comma 12 si applicano in via transitoria anche nei confronti delle Regioni nelle quali, alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, siano già entrati in vigore i nuovi statuti regionali, ai sensi della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1. |
13. All'articolo 1, comma 3, della legge costituzionale 31 gennaio 2001, n.2, nel primo periodo le parole: «il primo rinnovo» sono sostituite dalle seguenti: «i rinnovi» e la parola: «successivo» è sostituita dalla seguente: «successivi». |
14. Identico. |
|
15. Fino all'adeguamento dei rispettivi statuti e salvo quanto previsto dall'articolo 34, comma 6, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano. |
RESOCONTO
SOMMARIO E STENOGRAFICO
______________ ______________
504.
Seduta di martedì 3 AGOSTO 2004
presidenza del vicepresidente fabio mussi
indi
DEL PRESIDENTE PIER FERDINANDO CASINI
La seduta comincia alle 10,35.
Discussione del disegno di legge costituzionale: S. 2544 - Modificazione di articoli della parte II della Costituzione (Approvato, in prima deliberazione, dal Senato) (4862) e delle abbinate proposte di legge costituzionale: Zeller ed altri; Bielli; Spini e Angioni; Buttiglione ed altri; Contento; Cola; Pisapia; Selva; Selva; Selva; Bianchi Clerici; Peretti; Volontè; Pisapia; Lusetti ed altri; Zaccheo; Mantini ed altri; Soda; Olivieri e Kessler; Costa; Serena; Pisicchio ed altri; Bolognesi ed altri; Paroli; Buontempo; Zeller ed altri; Collè; Vitali ed altri; Maurandi ed altri; Olivieri; Boato; Stucchi; Cento; Monaco; Pacini; Consiglio regionale della Puglia; Consiglio regionale della Puglia; Chiaromonte ed altri; Cabras ed altri; Mantini; La Malfa; Briguglio ed altri; Franceschini; Pisapia; Costa; Perrotta ed altri; Fiori (72-113-260-376-468-582-721-874-875-877-966-1162-1218-1287-1403-1415-1608-1617-1725-1805-1964-2027-2116-2123-2168-2320-2413-2568-2909-2994-3058-3489-3523-3531-3541-3572-3573-3584-3639-3684-3707-3885-4023-4393-4451-4805-5044).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione...
MARCO BOATO. Signor Presidente, non il seguito ma l'inizio.
PRESIDENTE. ...reca la discussione del disegno di legge costituzionale, già approvato in prima deliberazione dal Senato: Modificazione di articoli della parte II della Costituzione e delle abbinate proposte di legge costituzionale di iniziativa dei deputati Zeller ed altri; Bielli; Spini e Angioni; Buttiglione ed altri; Contento; Cola; Pisapia; Selva; Selva; Selva; Bianchi Clerici; Peretti; Volontè; Pisapia; Lusetti ed altri; Zaccheo; Mantini ed altri; Soda; Olivieri e Kessler; Costa; Serena; Pisicchio ed altri; Bolognesi ed altri; Paroli; Buontempo; Zeller ed altri; Collè; Vitali ed altri; Maurandi ed altri; Olivieri; Boato; Stucchi; Cento; Monaco; Pacini; del Consiglio regionale della Puglia; del Consiglio regionale della Puglia; e dei deputati Chiaromonte ed altri; Cabras ed altri; Mantini; La Malfa; Briguglio ed altri; Franceschini; Pisapia; Costa; Perrotta ed altri; Fiori.
(Intervento del Presidente ed annunzio di questioni pregiudiziali - A.C. 4862 ed abbinate)
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vorrei richiamare l'attenzione di tutti sul fatto che stiamo per avviare l'esame di un provvedimento di grandissimo rilievo per la vita del nostro paese, che ridisegna profondamente l'ordinamento della Repubblica; si tratta di un impegno difficile, che richiede di fare appello al massimo equilibrio ed al comune senso di responsabilità. Vorrei ricordare, in proposito, come i nostri costituenti, pur in presenza di un contesto storico intriso di vive conflittualità, seppero dare al paese una Costituzione frutto di una mediazione alta e nobile. È mio auspicio che, nell'esaminare questo disegno di legge, la Camera possa riprendere quello spirito e dimostrare ai cittadini la capacità di operare responsabilmente nella ricerca di terreni comuni e di punti di convergenza, nell'interesse esclusivo dell'Italia.
Avverto sin d'ora che sono state presentate le questioni pregiudiziali di costituzionalità Violante ed altri n. 1 e Castagnetti ed altri n. 2 (vedi l'allegato A - A.C. 4862 ed abbinate sezione 1).
Per quanto riguarda l'ammissibilità di questioni pregiudiziali di costituzionalità riferite a disegni di legge di revisione costituzionale, debbo precisare che la loro presentazione ha dato luogo, in passato, a contestazioni, ritenendosi che la funzione di revisione costituzionale non potesse essere soggetta a censure preventive motivate sulla base di un contrasto con i principi costituzionali.
Cionondimeno, la prassi è nel senso di consentire la discussione e il voto di questioni pregiudiziali, comunque qualificate, relative a progetti di legge costituzionali e fondate su asseriti elementi di contraddizione tra il testo in esame e articoli o principi contenuti nella Costituzione. Nel caso in questione si fa in particolare riferimento ai criteri di ragionevolezza e proporzionalità elaborati dalla giurisprudenza costituzionale quali valori, quali principi supremi dell'ordinamento che, come tali, vincolerebbero anche l'esercizio del potere di revisione costituzionale.
Alla luce delle considerazioni che precedono e visto il contenuto dei documenti presentati, la Presidenza ritiene che le questioni pregiudiziali dei deputati Violante ed altri e Castagnetti ed altri possano essere ritenute ammissibili e, come tali, esaminate ai sensi dell'articolo 40 del regolamento.
Dunque, le questioni pregiudiziali di costituzionalità saranno votate dopo la conclusione della discussione sulle linee generali, nella parte antimeridiana della seduta di giovedì 16 settembre, prima di passare all'esame degli articoli del disegno di legge.
Per quanto riguarda l'ordine dei nostri lavori, per il mese di settembre e fino all'8 ottobre, ricordo che tale periodo sarà dedicato all'esame del disegno di legge di riforma della parte seconda della Costituzione, secondo il calendario che è stato comunicato all'Assemblea nella scorsa seduta.
Ribadisco, come già precisato in quella occasione, che, in caso di richiesta di esame di ulteriori argomenti da parte del Governo, i tempi indicati subiranno le corrispondenti variazioni.
È evidente, poi, che in tale caso potrà essere esaminata la possibilità di inserire argomenti di interesse dell'opposizione.
Informo, inoltre, che nel periodo indicato lo svolgimento di atti di sindacato ispettivo avrà luogo a partire da venerdì 17 settembre e, salvo che non siano previste altre sedute, nella giornata di lunedì e il venerdì pomeriggio, e che le interrogazioni a risposta immediata avranno luogo mercoledì 15 settembre, dalle 14 alle 15, e i restanti mercoledì del periodo, per consentire il rispetto del calendario deciso in Conferenza dei presidenti di gruppo, dalle 14,30 alle 15,30.
GERARDO BIANCO. Chiedo di parlare per un richiamo al regolamento.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GERARDO BIANCO. Signor Presidente, mi richiamo all'articolo 77 del regolamento, il quale stabilisce che, se all'ordine del giorno di una Commissione sono iscritti contemporaneamente progetti di legge identici o vertenti su materia identica, l'esame degli stessi deve essere abbinato.
Insieme con l'onorevole Biondi ed altri colleghi, sono presentatore di una proposta di legge costituzionale per l'istituzione di un'Assemblea costituente. Penso che tale proposta di legge verta su materia connessa a quella di revisione costituzionale e che, pertanto, l'esame della stessa avrebbe dovuto essere abbinato. Invece, tale abbinamento non è avvenuto e l'argomento non è stato preso in considerazione.
A mio avviso, dovrebbe essere sospeso lo svolgimento della relazione per poter riesaminare il problema anche alla luce della presentazione della proposta di legge costituzionale sopra richiamata. Condivido pienamente l'argomentazione che lei ha portato relativa all'importanza del tema in esame: si tratta di modificare circa 40 articoli, che investono tutta la nostra Costituzione, e la questione che ho sollevato dovrebbe essere preliminare all'esame stesso della materia che oggi è in discussione.
PRESIDENTE. Onorevole Gerardo Bianco, anzitutto nulla quaestio sulla pertinenza del suo richiamo al regolamento. La materia è attigua, ma diversa per quanto riguarda la modalità di revisione del processo costituzionale. Infatti, nel caso dei progetti di legge costituzionale in esame si segue una strada, mentre nel caso della proposta di legge costituzionale da lei richiamata si delega la materia ad un'Assemblea costituente. Questo fa parte della fattispecie legislativa.
Penso che ciò non possa in alcun modo impedire l'esame da parte della Camera dei deputati della materia in questione. Comunque, il presidente della Commissione affari costituzionali, onorevole Bruno, avrà modo, con la sua consueta cortesia e amabilità, di porre al centro delle sue riflessioni anche il quesito da lei sollevato.
(Discussione sulle linee generali - A.C. 4862 ed abbinate)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Ha facoltà di parlare il relatore, presidente della I Commissione, onorevole Bruno.
DONATO BRUNO, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il disegno di legge costituzionale d'iniziativa governativa, recante modificazioni di articoli della parte seconda della Costituzione, è stato approvato, in prima deliberazione, con modificazioni, dal Senato della Repubblica il 25 marzo 2004 ed il suo esame è stato avviato, il 7 aprile scorso, dalla I Commissione della Camera dei deputati, ove si è proceduto all'abbinamento con le altre proposte di legge costituzionale, recanti modifiche ai medesimi articoli della parte seconda della Costituzione oggetto di novella da parte del disegno di legge governativo.
Tenuto conto della particolare rilevanza politico-istituzionale dei temi trattati nell'ambito di tali progetti di legge ed attesa l'esigenza di procedere ad una compiuta attività istruttoria, l'ufficio di presidenza della Commissione, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha convenuto sull'opportunità di procedere, ai sensi dell'articolo 79, comma 5, del regolamento, ad un'indagine conoscitiva sulle tematiche riguardanti la modifica della parte seconda della Costituzione, con particolare riferimento ai seguenti quattro argomenti: la forma di Governo, il Senato federale, i rapporti tra lo Stato e le regioni e il sistema delle garanzie. Lo svolgimento dell'indagine conoscitiva ha avuto luogo dal 18 maggio al 23 giugno 2004 e, complessivamente, sono stati auditi 36 docenti universitari in materie pubblicistiche.
Successivamente, dopo la conclusione della discussione di carattere generale, la Commissione ha deliberato di adottare come testo base per il seguito dell'esame il disegno di legge costituzionale già approvato in prima deliberazione dal Senato, con riferimento al quale sono stati presentati circa 430 emendamenti.
Entrando nel merito dei contenuti dell'articolato licenziato dall'altro ramo del Parlamento, occorre premettere che esso prefigura un intervento di riforma di ampio respiro, trattandosi di un testo recante 43 articoli, volti a sostituire o modificare più della metà degli 80 articoli che compongono la parte seconda della Costituzione, concernente l'ordinamento della Repubblica.
A fini di maggior chiarezza espositiva, si dà conto di tale testo procedendo per temi omogenei, piuttosto che seguendo la numerazione degli articoli, illustrando, di volta in volta, successive modifiche conseguenti alle proposte emendative approvate dalla I Commissione in sede referente.
Il testo in esame conferma la presenza del sistema bicamerale, superando tuttavia il tradizionale «bicameralismo perfetto», attraverso l'introduzione di una differenziazione tra le due Assemblee con riguardo sia alla loro composizione sia alle loro funzioni. In particolare, la Camera dei deputati muta, in quanto a struttura, soltanto nel numero, passando da 630 a 500 componenti, oltre ai 12 eletti nella circoscrizione Estero.
A tale proposito, va rilevato come il nuovo articolo 56 della Costituzione approvato dal Senato prevedesse, in realtà, una riduzione dei deputati a 400 unità che, tuttavia, ad una più approfondita valutazione, effettuata anche tenendo conto della composizione numerica delle Assemblee parlamentari dei paesi dell'Unione europea aventi una dimensione demografica analoga a quella italiana, si riteneva eccessiva, in quanto non in grado di garantire il dispiegarsi di una adeguata ed effettiva rappresentanza degli elettori.
Un'analoga correzione è stata apportata, per le medesime ragioni, anche con riguardo al numero di senatori, la cui consistenza numerica, in un primo tempo ridotta dal Senato da 315 a 200 unità, è stata successivamente riportata ad un numero pari a 252 senatori.
Tale ramo del Parlamento, peraltro, muta la sua denominazione in Senato federale della Repubblica, così da costituire l'organo costituzionale che connota la scelta federale del progetto di riforma in esame e l'organo nel quale si intende realizzare il raccordo tra le potestà normative delle autonomie e dello Stato.
Il nuovo testo dell'articolo 57 della Costituzione dispone che, quanto a modalità di elezione, i senatori sono eletti su base regionale e che di tale consesso continuano a fare parte i sei senatore eletti nella circoscrizione Estero, unitamente ai senatori a vita che sono stati Presidenti della Repubblica e quelli di nomina presidenziale. Il numero di questi ultimi, tuttavia, non può essere superiore a tre, come dispone una novella apportata all'articolo 59 della Costituzione.
La connessione tra il sistema politico della regione e quello nazionale, che il testo in esame individua come elemento che garantisce «la rappresentanza territoriale» dei senatori, è individuata, tra l'altro, negli stessi requisiti richiesti per godere dell'elettorato passivo: in ciascuna regione infatti sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno ricoperto o ricoprono cariche pubbliche elettive in enti territoriali locali, all'interno della regione, oppure sono stati eletti deputati o senatori nella regione ovvero che risiedono nella regione alla data di indizione delle elezioni.
In tale contesto, si è peraltro ritenuto opportuno procedere, modificando il testo approvato dal Senato, anche all'allineamento del requisito anagrafico richiesto per l'eleggibilità a senatore a quello già previsto per l'eleggibilità a deputato, riducendolo da 40 a 25 anni di età. Il sistema elettorale del Senato, rimesso alla legge dello Stato, deve comunque garantire «la rappresentanza territoriale da parte dei senatori».
Si prevede inoltre che l'elezione del Senato sia contestuale all'elezione dei consigli regionali e che l'eventuale scioglimento anticipato di uno o più consigli regionali dia vita ad una legislatura regionale di durata ridotta per garantire comunque che il rinnovo del Senato avvenga contestualmente al rinnovo di tutte le assemblee legislative delle regioni e delle province autonome.
A completamento di tale disposizione, la I Commissione ha altresì previsto, introducendo un nuovo comma al testo dell'articolo 60 della Costituzione, che ove, in caso di guerra, si proceda alla proroga del Senato, sono prorogati anche i consigli regionali in carica. Più in generale, i rapporti tra Senato federale e dimensione regionale sono sottolineati da varie disposizioni concernenti l'organizzazione interna e le attività dell'organo, oltre che dalle norme sul procedimento legislativo e dalla valutazione delle leggi regionali sotto il profilo dell'interesse nazionale, di cui si dirà più avanti.
Il testo dispone, tra l'altro, che i presidenti delle giunte regionali sono sentiti ogni volta che ne facciano richiesta e, reciprocamente, che anche i senatori espressi da una regione hanno il diritto di essere sentiti dal rispettivo consiglio regionale. Si prevede altresì che le proposte di legge presentate da più regioni in coordinamento tra coloro sono poste all'ordine del giorno della Camera competente entro i termini stabiliti dal proprio regolamento e che il Senato federale esprima il parere sullo scioglimento del consiglio regionale e sulla rimozione del presidente della giunta regionale, ai sensi dell'articolo 126 della Costituzione. Viene soppresso conseguentemente il riferimento costituzionale alla Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Infine, rispetto all'articolato licenziato dal Senato, dal nuovo testo dell'articolo 7 della Costituzione è stato espunto il sesto comma, recante la disposizione riferita al mantenimento di rapporti di reciproca informazione e collaborazione tra i senatori e gli organi della corrispondente regione. Va comunque rilevato come rappresentanti delle regioni, pur non facendo parte della composizione ordinaria del Senato federale, concorrono comunque ad eleggere i componenti di organi costituzionali o di rilevanza costituzionale di spettanza di tale organo. Basti in proposito pensare all'elezione del Presidente della Repubblica, che è rimessa all'apposita «Assemblea della Repubblica», composta dai componenti delle due Camere ed integrata dai presidenti delle giunte regionali e da un numero variabile di delegati eletti dai consigli regionali anche in rappresentanza degli enti locali.
I presidenti delle giunte delle regioni e delle province autonome sono inoltre chiamati ad integrare il Senato federale in occasione dell'elezione dei quattro giudici della Corte costituzionale e di un sesto dei membri del Consiglio superiore della magistratura. In relazione a tale adempimento va, tuttavia, segnalata una rilevante modifica introdotta dalla I Commissione rispetto al testo degli articoli 104 e 135 della Costituzione approvato dall'altro ramo del Parlamento, atteso che è stata riportata anche in capo alla Camera dei deputati la competenza in materia di elezione dei membri di tali organi che, secondo la Costituzione vigente, spetta al Parlamento in seduta comune.
Quanto alle modalità di funzionamento delle Camere, rispetto al nuovo testo dell'articolo 64 della Costituzione approvato dal Senato, si è inteso uniformare il quorum per l'approvazione dei regolamenti parlamentari, che è ora pari, per entrambe le Assemblee, alla maggioranza assoluta dei componenti, con la conseguenza di ripristinare quanto attualmente già previsto in proposito dalla vigente Carta costituzionale.
Più in generale, in sede referente si è voluto espungere l'ulteriore differenziazione che il Senato aveva introdotto con riferimento alla validità delle deliberazioni delle due Assemblee, non essendo più prevista a tale fine la presenza dei due quinti dei componenti il Senato. Resta quindi confermato l'ordinario requisito della presenza della maggioranza dei componenti per la validità delle deliberazioni, che viene tuttavia corretto dall'ulteriore vincolo della necessaria presenza di senatori espressi da almeno un terzo delle regioni.
In ordine alle disposizioni riconducibili al cosiddetto «statuto dell'opposizione», in linea generale si è ritenuto opportuno non irrigidire, tramite un'apposita menzione nella Carta costituzionale, il rinvio ai regolamenti parlamentari per la previsione delle modalità di iscrizione all'ordine del giorno di proposte ed iniziative indicate dalle opposizioni, con riserva di tempi e previsione del voto finale, specificando altresì che la riserva in favore dei gruppi di opposizione della presidenza delle Commissioni cui sono attribuiti compiti ispettivi, di controllo o di garanzia non ricomprende la Commissione mista paritetica ed il Comitato paritetico, rispettivamente disciplinati dai commi terzo e quarto del nuovo testo dell'articolo 70 della Costituzione.
Un ulteriore intervento correttivo rispetto al testo approvato dall'altro ramo del Parlamento, ha riguardato la soppressione della disposizione che rimetteva al regolamento del Senato federale la garanzia dei diritti delle minoranze, in considerazione del fatto che tale Assemblea non è configurata come una Camera politica. Resta ferma comunque l'introduzione della figura del «Capo dell'opposizione», le cui prerogative e la cui modalità di elezione dovranno essere definiti dal regolamento della Camera dei deputati. Con riferimento ad entrambe le Camere, resta confermato il divieto di mandato imperativo, benché anche l'articolo 67 della Costituzione sia oggetto di una novella che è volta a precisare che «ogni deputato o senatore rappresenta la nazione e la Repubblica». Quanto al giudizio sui titoli di ammissione dei deputati e dei senatori, il nuovo testo dell'articolo 66 della Costituzione dispone che la Camera di appartenenza adotti le relative deliberazioni a maggioranza dei propri componenti, in luogo del quorum dei tre quinti dei componenti previsto dal testo approvato dal Senato, per la sola Camera dei deputati.
Passando ad esaminare le disposizioni concernenti il procedimento legislativo, deve premettersi che anche le modifiche apportate all'articolo 70 della Costituzione sono dirette alla già menzionata finalità consistente nel superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto, in virtù del quale ciascun progetto di legge deve essere approvato, in eguale testo, da entrambi i rami del Parlamento. Il testo in esame introduce infatti nell'ordinamento, accanto alle leggi approvate con procedimento bicamerale (anch'esse abbreviate nella procedura), leggi statali a carattere monocamerale, approvate cioè da uno solo dei due rami del Parlamento. È prevista bensì la possibilità, per l'altro ramo del Parlamento, di richiamare presso di sé il progetto di legge e di proporvi modifiche; ma i termini per questa fase eventuale sono ristretti (e dimezzati per le leggi di conversione di decreti-legge) e sulle modifiche proposte, in ogni caso, decide in via definitiva la Camera competente. Al fine di individuare la Camera competente, vige un criterio sostanzialmente mutuato dalla ripartizione delle competenze legislative tra lo Stato e le regioni dettata dall'articolo 117 della Costituzione. In linea di massima, infatti, la Camera dei deputati esamina i disegni di legge concernenti le materie di cui al secondo comma di tale articolo, quelle cioè nelle quali lo Stato ha legislazione esclusiva. Il Senato federale, invece, approva i disegni di legge concernenti la determinazione dei principi fondamentali nelle materie di cui all'articolo 117, terzo comma, nelle quali la potestà legislativa dello Stato concorre con quella delle regioni. Per determinate materie di particolare rilievo resta, tuttavia, ferma la procedura bicamerale. A tale proposito, va comunque precisato che per assicurare maggiore celerità ai lavori parlamentari, evitando il tradizionale fenomeno delle navette, si prevede che, ove un progetto di legge non sia approvato, dopo una prima lettura, da entrambe le Camere nel medesimo testo, i Presidenti delle due Assemblee convocano una Commissione mista paritetica incaricata di redigere, in ordine alle disposizioni controverse, un testo che non è emendabile e che è sottoposto al voto delle due Assemblee. Il procedimento bicamerale si applica all'esame dei disegni di legge concernenti: la perequazione delle risorse finanziarie, le materie di cui all'articolo 119 della Costituzione, la tutela della concorrenza, le funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane, il sistema elettorale di Camera e Senato e una serie di casi, partitamente elencati, in cui la Costituzione fa espresso rinvio alla legge dello Stato o della Repubblica. Il medesimo procedimento legislativo si applica anche ad altre materie previste in varie parti del nuovo testo costituzionale (determinazione dei casi di ineleggibilità ed incompatibilità con il mandato parlamentare; indennità spettante ai membri delle Camere; principi in materia di esercizio del potere sostitutivo di atti delle regioni).
Quanto alle modifiche introdotte dalla Commissione in materia di procedimento legislativo, è stato in primo luogo disposto che l'esame dei disegni di legge concernenti il coordinamento di cui all'articolo 118, terzo comma, primo periodo, sia di competenza della Camera dei deputati. La novità di maggiore rilievo riguarda tuttavia il procedimento legislativo cosiddetto «a prevalenza Senato», rispetto al quale è stato previsto che, laddove il Governo dichiari che le modifiche proposte dalla Camera dei deputati sono essenziali per l'attuazione del suo programma e tali modifiche siano state approvate ai sensi dell'articolo 94, secondo comma, il disegno di legge è approvato dalla Camera dei deputati in via definitiva con le modifiche proposte, salvo che entro trenta giorni dalla data di trasmissione del disegno di legge, il Senato federale deliberi di non accogliere le modifiche con la maggioranza dei tre quinti dei propri componenti.
Tenuto conto che l'unica Assemblea con la quale il Governo intrattiene un rapporto fiduciario è la Camera dei deputati, la disposizione da ultimo citata ha inteso riconoscere a tale Assemblea la possibilità di divenire la sede decisionale di ultima istanza, anche con riferimento a materie ricomprese nell'ambito della competenza prevalente del Senato, ma che possono essere di particolare rilevanza ai fini dell'attuazione del programma di Governo.
Tra le ulteriori modifiche introdotte dalla Commissione in materia di procedimento legislativo è da segnalare l'inclusione, nell'ambito delle materie su cui la funzione legislativa è esercitata con procedimento bicamerale, anche dei disegni di legge concernenti la determinazione dei principi fondamentali sull'armonizzazione della finanza pubblica e del sistema tributario, nonché dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e le norme generali sulla tutela della salute. Contestualmente, sono stati, invece, esclusi dall'esame bicamerale i progetti di legge concernenti l'esercizio dei diritti fondamentali, di cui agli articoli da 13 a 21 della Costituzione.
Occorre rilevare che le questioni che possono sorgere tra le due Camere in ordine alla competenza per l'esame di progetti di legge sono decise, d'intesa fra di loro, dai Presidenti delle due Assemblee, i quali possono anche deferire la decisione ad un Comitato paritetico, composto da quattro deputati e da quattro senatori, designati dai Presidenti stessi proporzionalmente alla composizione delle due Camere. La decisione adottata non è sindacabile.
In proposito, si fa presente che una ulteriore modificazione apportata in sede referente all'articolo 13 riguarda la soppressione della parola «legislativa», al fine di estendere l'area di insindacabilità sulle questioni di competenza, anche alla luce del più generale principio di insindacabilità degli interna corporis acta.
Riguardo al rapporto Governo-Parlamento, tra gli aspetti qualificanti del disegno di legge di riforma vi è il sostanziale rafforzamento del potere esecutivo o, per dire meglio, del Presidente del Consiglio dei ministri: figura che muta significativamente la sua denominazione in quella di Primo ministro.
Ai sensi del nuovo articolo 95 della Costituzione, il Primo ministro determina (non più dirige, come nel testo vigente della Costituzione) la politica generale del Governo e garantisce (non più mantiene) l'unità di indirizzo politico ed amministrativo: a tal fine, l'attività dei ministri è dal Primo ministro diretta, e non soltanto promossa e coordinata.
Ancora più rilevante in tal senso è il potere di nomina e di revoca dei ministri, che lo stesso articolo attribuisce al solo Primo ministro.
Viene meno, dunque, il ruolo riconosciuto al Presidente della Repubblica nella determinazione della compagine ministeriale e, prima ancora, nella scelta del capo dell'esecutivo: il meccanismo di nomina del Primo ministro, come delineato dal nuovo articolo 92 della Costituzione, si traduce, infatti, nella sostanza, in una designazione del premier da parte dell'elettorato.
La candidatura alla carica ha luogo, infatti, mediante collegamento con i candidati all'elezione della Camera dei deputati. La legge elettorale dovrà, comunque, disciplinare l'elezione dei deputati «in modo da favorire la formazione di una maggioranza, collegata al candidato alla carica di Primo ministro». L'atto di nomina del Primo ministro resta affidato al Presidente della Repubblica, ma la scelta presidenziale non presenta margini di discrezionalità: essa ha luogo, infatti, «sulla base dei risultati delle elezioni della Camera dei deputati».
Quanto ai rapporti con il Parlamento, alla luce del peculiare ruolo attribuito al Senato federale, il circuito fiduciario non viene meno, ma interessa, nel nuovo testo costituzionale, la sola Camera dei deputati, nella forma della cosiddetta «fiducia implicita».
Il nuovo testo dell'articolo 94 della Costituzione, infatti, non prevede più che il Governo, entro dieci giorni dalla sua formazione, si presenti alle Camere per ottenerne la fiducia, ma prevede che, entro dieci giorni dalla nomina, il Primo ministro illustri il programma del Governo alle Camere e sia tenuto a presentare, ogni anno, un rapporto sull'attuazione del programma e sullo stato del paese.
Un'ulteriore sostanziale innovazione rispetto all'attuale forma di Governo, consiste nell'attribuzione al Primo ministro della facoltà di chiedere, assumendosene la esclusiva responsabilità, al Presidente della Repubblica di procedere allo scioglimento della Camera, ai sensi della lettera a), del primo comma, dell'articolo 88, della Costituzione.
Il Capo dello Stato decreta lo scioglimento della Camera dei deputati ed indice le elezioni, da tenersi non oltre i successivi 60 giorni, anche nei casi di morte, impedimento permanente o dimissioni del Primo ministro ovvero nel caso in cui la Camera dei deputati approvi una mozione di sfiducia.
La mozione, che non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione, deve essere firmata da almeno un quinto dei componenti la Camera, deve essere votata per appello nominale ed approvata dalla maggioranza assoluta dei componenti. Essa, in caso di approvazione, obbliga il Primo ministro alle dimissioni e comporta lo scioglimento della Camera dei deputati, non essendo contemplata, in questo caso, la possibilità di sostituire il Primo ministro.
A tale proposito, è stato invece previsto che, in ogni altro caso in cui il Presidente della Repubblica sia tenuto a decretare lo scioglimento dell'Assemblea politica, tale procedura non è attivabile ove, entro dieci giorni dal ricorrere delle condizioni di cui alle lettere a), b) e c), del primo comma, dell'articolo 88 della Costituzione, venga presentata alla Camera dei deputati una mozione, sottoscritta dai deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni e di consistenza non inferiore alla maggioranza dei componenti della Camera, nella quale si dichiari di voler continuare nell'attuazione del programma e si indichi il nome di un nuovo Primo ministro. È da notare, quindi, come in tutte le ipotesi esposte, la presentazione della mozione permette alla Camera di provocare la sostituzione del Primo ministro, non consentendo comunque il formarsi di una maggioranza diversa da quella espressa dalle elezioni.
La Commissione ha inoltre provveduto ad espungere dal testo approvato dal Senato la modifica apportata all'articolo 82 della Costituzione, ai sensi della quale si intendeva attribuire alle sole Commissioni di inchiesta bicamerali (e quindi istituite con legge approvata dalle due Camere) i poteri e le limitazioni dell'autorità giudiziaria nello svolgimento delle proprie indagini. Si è in tal modo inteso sanare un vulnus nei confronti delle Commissioni di inchiesta cosiddette «monocamerali», atteso che le stesse risultavano prive di adeguati strumenti operativi e di indagine.
Con riferimento al Presidente della Repubblica, la nuova formulazione dell'articolo 83 della Costituzione modifica sia la composizione del collegio elettorale del Presidente della Repubblica, sia il quorum richiesto per la sua elezione. In particolare, in luogo del Parlamento in seduta comune, integrato dai delegati regionali, viene istituito un nuovo organo, denominato Assemblea della Repubblica, presieduta dal Presidente della Camera e composta dai membri delle due Camere, dai delegati eletti dai consigli regionali, in modo che sia assicurata la rappresentanza proporzionale rispetto alla composizione di ciascun consiglio, dai presidenti delle giunte delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano e da un numero ulteriore di delegati eletti dalle regioni (un delegato per ogni milione di abitanti), scelti per almeno la metà tra i sindaci e i presidenti di provincia o città metropolitana. Il quorum per l'elezione è modificato prevedendo che occorra la maggioranza dei due terzi dei componenti dell'Assemblea della Repubblica nei primi quattro scrutini e, dopo il quarto, la maggioranza assoluta (oggi si prevede la maggioranza dei due terzi dell'Assemblea nei primi tre scrutini e, dal quarto, la maggioranza assoluta).
Il nuovo articolo 87 della Costituzione enumera i poteri presidenziali. Rispetto al testo vigente, esso precisa che il Presidente della Repubblica è garante della Costituzione e rappresenta l'unità federale della nazione. Al Presidente della Repubblica sono attribuiti nuovi poteri, come quello di indire le elezioni dei presidenti delle giunte regionali e dei consigli regionali, nonché dei presidenti e dei consigli provinciali delle province autonome di Trento e Bolzano. È altresì attribuita alla competenza del Capo dello Stato, sentiti i Presidenti di Camera e Senato, la nomina dei presidenti delle autorità amministrative indipendenti, nonché quella del Vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, nell'ambito dei componenti eletti dalle Camere. Al contempo, viene meno il tradizionale potere presidenziale consistente nell'autorizzazione della presentazione alle Camere dei disegni di legge governativi e di nominare i ministri, mentre - come si è detto - la nomina del Primo ministro è espressamente condizionata al risultato elettorale.
Un'ulteriore innovazione introdotta dal testo in esame è la soppressione della controfirma ministeriale per una serie di atti presidenziali, quali il rinvio delle leggi alle Camere per il riesame, l'invio di messaggi alle Camere, la concessione della grazia, la nomina dei senatori a vita, nel numero massimo di tre, la nomina dei giudici costituzionali di sua competenza, ridotti a quattro, lo scioglimento della Camera dei deputati ai sensi del già illustrato articolo 88 della Costituzione, la nomina del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, la nomina dei Presidenti delle autorità amministrative indipendenti e altre nomine attribuite dalla legge alla sua esclusiva competenza.
Anche il Titolo V della parte II della Costituzione, che reca la disciplina in materia di regioni e autonomie locali, è fatto oggetto di sostanziali modifiche. In particolare, il primo comma dell'articolo 117 della Costituzione è riformulato escludendo gli «obblighi internazionali» dai limiti posti alla legislazione statale e regionale. Secondo il disegno di legge, quindi, Stato e Regioni legiferano nel rispetto della Costituzione e degli obblighi comunitari. Alla potestà esclusiva dello Stato viene riservata, con una modifica introdotta al secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione, la definizione delle norme generali sulla salute, mentre al terzo comma del medesimo articolo, che indica le materie rispetto alle quali è individuata una competenza legislativa concorrente tra lo Stato e le regioni, è stato aggiunto un ulteriore periodo, nel quale si stabilisce che lo Stato e le regioni si conformano ai principi di leale collaborazione e di sussidiarietà. Nel quarto comma dell'articolo 117 della Costituzione è quindi introdotto il riconoscimento in capo alle regioni della potestà legislativa esclusiva nelle materie dell'assistenza e organizzazione sanitaria, dell'organizzazione scolastica, della gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche, della definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della regione e, infine, della polizia locale.
Resta comunque ferma la competenza esclusiva delle regioni in ogni altra materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. All'ottavo comma dell'articolo 117, si consente poi alle regioni di stipulare «intese» tra loro per il migliore esercizio delle proprie funzioni, eventualmente individuando organi comuni, dei quali è specificato il carattere «amministrativo». L'articolo 118 della Costituzione è quindi riformulato ampliando le materie e gli ambiti per i quali la legge statale disciplina forme di intese e coordinamento tra Stato e regioni e prevedendo, nell'ambito del principio di sussidiarietà, un esplicito riconoscimento per gli «enti di autonomia funzionale».
La disciplina dei rapporti tra Stato e regioni è infine completata con la previsione, all'articolo 120 della Costituzione, che una legge statale disciplini, in conformità ai criteri di sussidiarietà e di leale collaborazione, i principi che assicurino da parte delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni il rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria, l'incolumità e la sicurezza pubblica in caso di pericolo grave, la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e, in particolare, la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. Va precisato che, in caso di mancato rispetto, da parte degli organi degli enti territoriali, delle predette finalità, viene confermata la titolarità del potere sostitutivo in capo al Governo, esercitabile secondo le modalità stabilite dalla legge.
La Commissione ha inoltre introdotto una novella al vigente articolo 123 della Costituzione, espungendo il riferimento, da considerarsi oramai desueto a seguito dell'approvazione della precedente riforma del Titolo V, all'apposizione del visto da parte del commissario del Governo sulle leggi di approvazione degli statuti regionali.
L'articolo 127 della Costituzione contempla, invece, l'interesse nazionale quale limite di merito per le leggi regionali, legittimando il Governo a sollevare, entro trenta giorni dalla pubblicazione della legge regionale, la questione relativa al mancato rispetto da parte della legge stessa, o di una sua parte, dell'interesse nazionale. Su tale questione è chiamato a pronunciarsi, entro i successivi trenta giorni, il Senato federale che, qualora condivida la valutazione del Governo, può rinviare la legge alla regione, deliberando a maggioranza assoluta dei componenti e indicando le disposizioni pregiudizievoli. In tal caso, qualora entro i successivi trenta giorni il consiglio regionale non provveda a rimuovere le disposizioni censurate, il Senato federale, entro ulteriori trenta giorni e sempre a maggioranza assoluta dei componenti, può proporre al Presidente della Repubblica di annullare l'intera legge o sue disposizioni.
Rispetto al testo approvato dal Senato, la Commissione ha introdotto un termine, pari a quindici giorni, entro il quale il Capo dello Stato può emanare il conseguente decreto di annullamento. Sotto altro profilo, a Roma, come capitale della Repubblica federale, sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, anche normativa, nelle materie di competenza regionale, nei limiti e con le modalità stabilite dallo statuto della Regione Lazio, mentre il suo ordinamento è disciplinato con legge dello Stato. Si prevede poi che gli statuti delle regioni ad autonomia speciale debbano essere adottati con legge costituzionale, previa intesa con la Regione interessata; è soppressa la previsione, oggi recata dall'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, che possano estendersi forme e condizioni particolari di autonomia ad altre regioni diverse da quelle a statuto speciale. Sono infine modificate le ipotesi di scioglimento dei consigli regionali, escludendosi lo scioglimento in caso di morte o impedimento permanente del presidente della giunta.
Il testo in esame modifica anche la composizione della Corte costituzionale. Fermo restando il numero complessivo dei giudici, fissato a quindici dall'articolo 135 della Costituzione, viene stabilito che spetta al Senato federale, integrato dai presidenti delle giunte delle regioni e delle province autonome, la designazione di quattro dei giudici di nomina parlamentare. Mentre il testo approvato dal Senato faceva venire meno il concorso alla nomina da parte della Camera dei deputati, questo è stato reintrodotto a seguito di una modifica approvata dalla Commissione, ed è stato fissato nel numero di tre. Il numero della componente di nomina parlamentare viene comunque portato a sette. È in conseguenza ridotto, in ragione di quattro ciascuno, il numero dei membri nominati dal Presidente della Repubblica e dalle supreme magistrature. Per rafforzare l'indipendenza dei giudizi costituzionali si prevede che, nei primi tre anni successivi alla cessazione della carica, il giudice costituzionale non possa ricoprire incarichi di governo, cariche pubbliche elettive o di nomina governativa, o svolgere funzioni in organi o enti pubblici individuati dalla legge.
Inoltre, viene modificata la disciplina relativa alla scelta dei sedici cittadini chiamati ad integrare il collegio nei giudizi di accusa nei confronti del Presidente della Repubblica: l'elenco da cui trarre a sorte i sedici membri è compilato dalla Camera ed è necessario che i cittadini iscritti nell'elenco abbiano i requisiti per l'eleggibilità a deputato. Il disegno di legge costituzionale interviene anche sull'articolo 104 della Costituzione, modificando le modalità di elezione del Consiglio superiore della magistratura. In particolare, si propone che la quota di membri di nomina parlamentare non sia eletta dal Parlamento in seduta comune, bensì, per un sesto, dalla Camera dei deputati e, per un sesto, dal Senato federale, integrato dai presidenti delle giunte delle regioni e delle province autonome. Inoltre, il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura è nominato dal Presidente della Repubblica e non più eletto dal Consiglio.
Il testo in esame riformula infine l'articolo 138 della Costituzione, modificando l'istituto del referendum popolare confermativo nell'ambito del procedimento di revisione costituzionale. In particolare, il ricorso al referendum è reso sempre possibile, anche nell'ipotesi in cui la legge costituzionale sia approvata in seconda deliberazione, da parte di ciascuna Camera, a maggioranza di due terzi dei componenti. A seguito di una modifica approvata da parte della Commissione, è stata invece eliminata la disposizione, presente nel testo licenziato dal Senato, in base alla quale, in caso di approvazione di una legge costituzionale, in seconda deliberazione, con una maggioranza inferiore ai due terzi dei componenti, condizione per la validità del referendum confermativo sarebbe stata la partecipazione al voto della maggioranza degli aventi diritto, analogamente a quanto già previsto dall'articolo 75 della Costituzione per il referendum abrogativo.
Da ultimo, l'articolo 43 del disegno di legge costituzionale reca un'articolata disciplina transitoria, differenziata in relazione alle diverse parti della riforma. In sintesi, sono immediatamente applicabili, a seguito dell'entrata in vigore della legge costituzionale, le disposizioni modificative del Titolo V; la maggior parte della restante disciplina troverà applicazione a decorrere dall'inizio della XV legislatura; una parte di essa, e segnatamente quella concernente la riduzione del numero dei deputati e dei senatori, si applicherà invece a partire dalla legislatura che interverrà dopo il quinto anno successivo alla prima formazione della Camera dei deputati e del Senato federale secondo il nuovo ordinamento, prevedibilmente, nell'anno 2011, con l'avvio della XVI legislatura. Specifiche disposizioni concernono, infine, il graduale rinnovo della Corte costituzionale e del Consiglio superiore della magistratura.
Conclusivamente, l'articolato in esame è frutto di un intenso e impegnativo lavoro istruttorio svolto dalla Commissione, volto ad introdurre correttivi migliorativi al testo trasmesso dal Senato, il cui impianto complessivo è stato oggetto di condivisione da parte della maggioranza della Commissione. A tale testo, tuttavia, potranno essere apportate, nella fase di esame in Assemblea, eventuali ulteriori modifiche, sia di carattere formale, al fine di un miglior coordinamento tra le diverse disposizioni da esso recate, quali ad esempio quelle relative alla controfirma del decreto di scioglimento della Camera dei deputati, sia di naturale sostanziale, sulla base di approfondimenti da svolgere in sede di Comitato dei nove, con particolare riferimento alle tematiche concernenti il Senato federale, il procedimento legislativo e la ripartizione delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione, senatore Calderoli.
ROBERTO CALDEROLI, Ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione. Signor Presidente, onorevoli deputati, sin dal momento dell'esposizione del proprio programma, sulla cui base il Governo ha ricevuto la fiducia del Parlamento, il Presidente del Consiglio dei ministri ebbe a sottolineare che la prima questione è costituita dalla riforma federalista dello Stato e dalla devoluzione di poteri effettivi di Governo alle regioni, in un contesto di equilibrio territoriale tra le diverse aree e di unità nazionale e nel rispetto dei principi di autonomia e di sussidiarietà.
La stagione delle riforme istituzionali ha conosciuto una sequenza di fallimenti, se non di controriforme accentratrici. Con la modifica del Titolo V della Costituzione - onore al merito - ha cominciato davvero a muoversi il sistema. Oggi siamo certamente di fronte ad un passaggio ulteriore per adeguare l'organizzazione ed il funzionamento delle nostre istituzioni alle esigenze di una moderna democrazia, capace di rappresentare le istanze della società e di trasformarle in deliberazioni responsabili e tempestive.
Come noto, nella prima parte della legislatura il Governo aveva presentato un disegno di legge costituzionale volto ad introdurre alcune materie specifiche nell'elenco relativo alle competenze legislative esclusive delle regioni. Attualmente le competenze regionali hanno un carattere meramente residuale, sebbene di natura generale. Si trattava di materie rilevanti, attinenti all'istruzione, alla polizia locale e alla sanità. Quel disegno di legge costituzionale (conosciuto dall'opinione pubblica come devolution o devoluzione), poi approvato in prima deliberazione sia dalla Camera sia dal Senato, perseguiva un obiettivo ben preciso: avvicinare ai cittadini il luogo in cui vengono fissate le regole, così da soddisfare maggiormente il parametro dell'adeguatezza ai bisogni.
L'adeguatezza configura uno degli aspetti in cui si manifesta il principio della sussidiarietà, assunto dalla Costituzione e dalla stessa Corte costituzionale quale parametro di attribuzione delle competenze legislative e normative; si individuava nella regione l'istituzione rappresentativa più idonea a rispondere ai bisogni della società, agevolando così il pieno esercizio del controllo democratico da parte dell'elettorato nei confronti degli eletti e dei governanti.
Su quell'impianto costituzionale, tanto rilevante quanto delimitato, si è poi innestato un più articolato lavoro di progettazione normativa che, inquadrando quella stessa proposta in una prospettiva maggiormente organica, ha delineato una riforma di ampio respiro. Infatti, una riforma di tipo federale implica naturalmente una ridefinizione dei poteri e della stessa procedura di legittimazione dell'autorità centrale; ossia un rafforzamento netto del potere dell'esecutivo e del suo vertice.
Infine, in un sistema istituzionale bilanciato si deve in modo corrispondente modificarsi il funzionamento e l'organizzazione delle Camere. La riforma costituzionale che la Camera dei deputati si avvia ad esaminare costituisce un passo significativo nella direzione indicata, quella dell'ammodernamento complessivo dell'impianto e dell'architettura delle nostre istituzioni, per renderle adeguate alle aspettative e alle esigenze che sono espressione della società.
Se questo è l'obiettivo complessivo della riforma, credo che il testo elaborato dalla Commissione affari costituzionali possa a buon ragione considerarsi una soluzione coerente ed efficace: una riforma per i cittadini.
Si tratta di una riforma che affronta alcune questioni cruciali tra loro strettamente collegate: il bicameralismo, la forma di Governo, la potestà legislativa delle regioni, la composizione della Corte costituzionale.
Per quanto riguarda il bicameralismo, in un'ottica di federalismo aggregativo, il progetto articola il nuovo Parlamento bicamerale nazionale in modo tale che un ramo, la Camera dei deputati, si fondi sulla legittimazione democratica dell'intera comunità e l'altro, il Senato federale, sulla legittimazione federativa dei vari enti territoriali. Il vero o principale contrassegno del federalismo deve essere colto, unitamente all'inversione del riparto delle competenze normative e alla valorizzazione dei poteri delle regioni, nella presenza di una Camera parlamentare costituita nelle forme proprie di assemblea rappresentativa delle organizzazioni territoriali di area vasta, che ne costituisca espressione e sintesi. La scelta che si è ritenuto di privilegiare è stata innanzitutto quella di escludere che la Camera di rappresentanza territoriale si formi attraverso un meccanismo elettivo di secondo grado, perché esso - come paventava lo stesso Mortati fin dai tempi dell'Assemblea Costituente - porterebbe ad attenuare l'immediatezza del legame rappresentativo fra elettori ed eletti.
Il progetto di riforma non si ispira dunque al modello tedesco, con un Senato organizzato similmente al Bundesrat, anche perché in concreto quel modello potrebbe determinare seri problemi di funzionalità e di continuità dell'azione legislativa. Una composizione simile a quella del Bundesrat, che in teoria potrebbe esprimere ancor più efficacemente le istanze e gli indirizzi dei singoli enti regionali, potrebbe tra l'altro rivelarsi inidonea ad assicurare una presenza contemporanea e continuativa dei vari rappresentanti regionali chiamati ad operare con impegno anche nei rispettivi territori. Né si possono dimenticare le difficoltà legate all'istituzione di una seconda Camera al di fuori di un procedimento di natura costituente. La riforma incide, infatti, sulla carne viva di organi costituiti e funzionanti, nonché su un determinato sistema politico e partitico. Mi pare sia stata attribuita al Presidente del Consiglio l'espressione secondo la quale «non si può chiedere ai tacchini di anticipare il Natale»: forse non sarà molto corretta costituzionalmente, ma certo rende l'idea della difficoltà di dover fare questo passaggio.
GIANCLAUDIO BRESSA. I senatori come tacchini...!
ROBERTO CALDEROLI, Ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione. La proposta elaborata rappresenta, in sintesi, un ragionevole punto di equilibrio tra le diverse istanze, quelle di rappresentanza territoriale e quelle ben evidenti di funzionamento complessivo del sistema.
Quanto mai opportuno è stato al riguardo l'inserimento del meccanismo della contestualità tra l'elezione del Senato e le elezioni dei consigli regionali. Quel meccanismo garantisce, assieme al principio della leale collaborazione fra i senatori e i rispettivi consigli regionali, un effettivo e concreto legame con il territorio rappresentato. Ma non vi è dubbio che il medesimo meccanismo possa essere ulteriormente affinato nel corso della discussione, proprio con l'obiettivo di sottolineare il nuovo carattere del Senato federale quale espressione dei territori.
Nella stessa direzione appare di fondamentale rilievo l'inserimento dei presidenti delle giunte regionali e dei consigli regionali ad integrazione del Senato federale per lo svolgimento di alcune fondamentali funzioni, tra cui l'elezione dei giudici costituzionali e del Presidente della Repubblica.
Dal canto suo, la modernizzazione delle strutture parlamentari costituisce un obiettivo fondamentale di questo disegno di riforma, da raggiungere anche attraverso la riduzione del numero dei deputati e dei senatori, nonché l'accelerazione e lo snellimento delle procedure parlamentari. A questo fine risulta decisiva la rottura dell'attuale bicameralismo perfetto e il connesso rafforzamento delle procedure monocamerali, secondo riparto per materia tra i due rami. Una moderna democrazia deve essere infatti in grado di funzionare con tempi adeguati alla rapidità di circolazione degli impulsi e delle informazioni che vengono dalla società, una società che si aspetta di ricevere risposte e soluzioni con modalità e tempi corrispondenti e che guarda criticamente alle sovrapposizioni e ai rallentamenti procedurali delle istituzioni rappresentative. Funzione residuale - ma solo sul piano quantitativo delle materie - assume poi il procedimento bicamerale, che viene riservato ad un numero ristretto - sebbene particolarmente significativo - di settori dell'ordinamento.
Tra questi vi sono i provvedimenti di attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, che costituisce lo snodo essenziale per la realizzazione concreta ed effettiva del processo federale e che per la sua complessità, derivante dall'implicazione di una serie di aspetti riguardanti competenze sia statali, sia regionali e sia locali, non poteva che essere rimesso alla comune valutazione di entrambi i rami del Parlamento.
A questa impostazione corrispondono poi modificazioni costituzionali che rafforzano il ruolo dell'opposizione nella Camera dei deputati. La governabilità non può essere infatti scissa dall'efficacia del controllo costante e decisivo da parte, oltreché del corpo elettorale, dell'opposizione parlamentare, secondo un modello efficace e trasparente di democrazia.
La riforma contiene indicazioni senz'altro importanti sul punto. L'attribuzione di poteri e compiti significativi all'opposizione intende rendere evidenti quelle responsabilità che ritengo costituiscano la linfa vitale della democrazia: efficacia dell'azione di governo ed efficacia dell'azione di controllo da parte dell'opposizione sono direttamente collegate tra loro.
Ritengo che la discussione in Assemblea potrà aggiungere utili contributi per delineare un sistema ancor più organico delle garanzie e dei bilanciamenti tra maggioranza ed opposizione.
Con la modifica dei poteri del Presidente della Repubblica viene sottolineato ulteriormente il carattere imparziale e neutrale che i costituenti del 1948 già vollero assegnare a questa figura. Il ruolo che la riforma attribuisce al Capo dello Stato risulta ancor più necessario in funzione di efficace contrappeso istituzionale, alla luce dei maggiori poteri assegnati, da un lato, alle autonomie locali e territoriali e, dall'altro lato, alla compagine governativa, in primo luogo alla figura del Primo ministro.
Il progetto fa emergere, insomma, la presenza di una istituzione neutrale super partes, che con azioni essenzialmente di controllo assicuri che l'attività di governo dei diversi livelli istituzionali della Repubblica, Stato ed autonomie territoriali, si esplichi secondo i parametri costituzionali.
Decisiva a tale riguardo - ed è la dimostrazione della maggiore responsabilizzazione istituzionale assegnata alla figura del Presidente della Repubblica - appare la previsione di tutta una serie di atti non più sottoposti alla controfirma ministeriale, ma considerati veri e propri atti presidenziali, il cui carattere neutrale e non strettamente politico risulta particolarmente evidente.
Per quanto riguarda la conformazione del Governo, il ruolo più forte assicurato all'esecutivo intende dare stabilità alle maggioranze ad esso collegate ed al Governo medesimo, il cui premier trova legittimazione diretta dalla volontà del corpo elettorale. I cittadini sapranno quindi di poter scegliere un premier ed una maggioranza di legislatura ad esso collegata. In particolare, il progetto fin dall'inizio rende impossibili i «ribaltoni» ed i cambi di maggioranza, volti ad eludere la volontà del corpo elettorale.
La maggioranza espressa dalle elezioni potrà cambiare non attraverso le manovre di palazzo, bensì esclusivamente con il ricorso ad una nuova consultazione elettorale.
La debolezza istituzionale del Governo e del Presidente del Consiglio ha caratterizzato la vita politica italiana a partire dal 1948; questo ha fatto sì che la storia della Repubblica fosse scandita da continue crisi di governo, legate alle fluttuazioni delle maggioranze parlamentari ed agli orientamenti partitici, indifferenti alle indicazioni dell'elettorato.
Prima della XII legislatura, la durata media di ciascun Governo non raggiungeva i trecento giorni. Il sistema politico italiano dal 1993 è cambiato profondamente; con la riforma elettorale del 1993, si è cercato di dare maggiore stabilità ai Governi, creando un sistema tendenzialmente maggioritario, che sicuramente ha garantito una maggiore coesione delle coalizioni rispetto al passato, ma non ha eliminato del tutto il rischio della disgregazione della compagine governativa e quello ad esso legato delle crisi di governo.
Potrà utilmente essere approfondito in una sede distinta da quella delle riforme costituzionali, ma in coerenza con l'impianto della riforma, anche il tema della legge ordinaria elettorale; ferma restando l'esigenza primaria di assicurare Governi e maggioranze stabili, potrà essere valutata con attenzione la possibilità di un sistema elettorale ad ispirazione proporzionale.
Il sistema attuale permette nei fatti di individuare con anticipo i candidati alla carica di Presidente del Consiglio e una coalizione di riferimento, ma non attribuisce all'esecutivo i poteri necessari per attuare il programma sulla cui base è stato scelto dagli elettori, né esclude la possibilità dei cosiddetti ribaltoni. Ciò è storicamente dimostrato dai «ribaltoni» interni ed esterni alla maggioranza espressa dalle elezioni, verificatisi nel corso della nostra storia repubblicana.
Adattare il nostro sistema istituzionale alle nuove esigenze della società, migliorando la funzionalità delle istituzioni richiede, evidentemente, Governi stabili. Secondo il progetto riforma il primo elemento di stabilità risiede, innanzitutto, nel voto dei cittadini, che costituisce la fase genetica della formazione del nuovo Governo, attraverso il quale i cittadini recuperano il potere di compiere scelte consapevoli tra programmi, coalizioni e maggioranze alternative, affidando al tempo stesso un mandato preciso a chi è chiamato a guidare il paese.
Più in generale, si assiste ad un complessivo e significativo rafforzamento della figura del premier che, del resto, risponde ad una logica tipica di gran parte delle democrazie parlamentari moderne. Tale processo di accentuazione si sviluppa, fra l'altro, nel potere di nomina e revoca dei ministri, nella costituzionalizzazione del programma di Governo (quale atto non solo politicamente ma anche giuridicamente rilevante e, dunque, tale da imporsi come direttiva guida per tutti i parlamentari di maggioranza, nonché per gli stessi componenti della compagine di Governo), nel potere di richiedere lo scioglimento della Camera dei deputati. Solo la stessa maggioranza scaturita dalle elezioni potrà indicare un nuovo premier, altrimenti il Presidente della Repubblica dovrà indire nuove elezioni.
In particolare, il potere del Primo ministro di incidere in modo significativo sullo scioglimento della Camera dei deputati è, ovviamente, legato alla necessità di superare eventuali difficoltà politiche dovute ad una maggioranza divisa o comunque non più omogenea che non consentirebbe la piena ed efficace realizzazione del programma di Governo. A tale riguardo, vorrei sottolineare un'importante disposizione introdotta nel corso del dibattito parlamentare in cui si prevede una possibile variante allo scioglimento automatico dell'Assemblea parlamentare, inizialmente previsto dal disegno di legge. Si tratta dell'eventuale applicazione di un meccanismo assimilabile a quello della cosiddetta sfiducia costruttiva, tale da consentire un equo bilanciamento tra la conservazione delle prerogative parlamentari, da un lato, e l'esigenza di fissare norme «antiribaltone», dall'altro.
Nel testo della riforma trova, poi, ulteriore espressione l'autonomia degli enti territoriali, con particolare riguardo alla potestà legislativa delle regioni. Si attribuisce, infatti, alle regioni potestà legislativa esclusiva in materie attinenti all'istruzione, alla sanità ed alla polizia locale, (ciò che nella pubblica opinione è conosciuta come devolution). Il potenziamento della potestà legislativa delle regioni mantiene inalterate le funzioni di unificazione proprie dello Stato e rafforza il ruolo degli enti titolari di potestà legislativa per materie rispetto alle quali è maggiormente avvertita l'esigenza di un adeguamento alle specifiche realtà territoriali in grado di adeguare le risposte dei rappresentanti ai bisogni essenziali dei rappresentati.
Il livello governativo esercitato dalle regioni consente, infatti, di assolvere almeno due funzioni fondamentali: in primo luogo, potenziare l'elemento più profondamente democratico che anima il sistema politico istituzionale, rimettendo le decisioni ad autorità più vicine e direttamente controllabili dall'elettorato; in secondo luogo, dare alle decisioni contenuti più prossimi alle esigenze delle popolazioni su cui le decisioni verranno a ricadere.
La disposizione introdotta si pone, dunque, in linea con l'esperienza contemporanea dello Stato sociale, vale a dire una forma di Stato basato sulla garanzia di prestazioni sociali, le cui erogazioni, viste le difficoltà incontrate dallo Stato centrale, devono essere fronteggiate, in applicazione del principio di sussidiarietà, al livello più vicino alla collettività interessata e, comunque, più congruo per garantire l'efficacia della prestazione.
Il progetto di modifica si muove peraltro in piena sintonia con il carattere aperto della nostra Costituzione, in particolare del principio autonomistico contenuto nell'articolo 5 della stessa, diretto ad avvicinare sempre di più l'istituzione alla realtà e alla identità delle articolazioni territoriali. La battaglia federalista, portata avanti prima di tutti dall'onorevole Umberto Bossi, ha avuto in effetti il merito di porre il grande problema della dislocazione dei poteri normativi e delle responsabilità effettive, in un contesto di equilibrio territoriale tra le diverse aree. Al riguardo, vorrei evidenziare come le note accuse di rottura del sistema siano, di fatto, smentite dalla conservazione in capo allo Stato di fondamentali competenze in materia, ad esempio, di livelli essenziali delle prestazioni, di norme generali sull'istruzione e di ordine pubblico e di sicurezza.
Il progetto recepisce, poi, alcune istanze volte a disciplinare la procedura di verifica del Senato circa il rispetto dell'interesse nazionale da parte delle leggi regionali. Non solo, ma finalità di tutela assai simili sono volte alla disposizione che modifica in senso estensivo i poteri statali già evocati dall'articolo 120 della Costituzione vigente in materia di poteri sostitutivi.
È stato rilevato, in sede di dibattito, che il Senato non sarebbe l'organo più adeguato per il vaglio dell'interesse nazionale. Inoltre, è stata sottolineata da parte di alcuni l'eccessiva farraginosità della procedura. Le eccezioni non sono da me condivise per alcune fondamentali ragioni. Innanzitutto, quello dell'interesse nazionale è un concetto elastico e relativo che configura un limite non di legittimità, ma di merito e, dunque, riconducibile alla sfera dell'opportunità politica. Pertanto, il Senato federale, proprio in quanto è, allo stesso tempo, organo politico e rappresentativo degli interessi legati al territorio, costituisce la sede naturale più adatta per una valutazione serena e ponderata delle leggi regionali. Del resto, questa scelta è coerente con l'impostazione tradizionale che il costituente del 1948 volle imprimere, riservando alle Camere la valutazione del prospettato contrasto con gli interessi nazionali o di altre regioni. Dall'altro lato, la previsione assume rilievo in quanto idonea ad evitare, contrariamente al sistema precedente, un intervento invasivo e generalizzato dello Stato nel porre in essere leggi in deroga al riparto delle competenze normative, in ipotesi considerate necessarie per insopprimibili ed infrazionabili esigenze di uniformità sempre difficili da dimostrare sul piano giuridico, oltre che su quello politico.
In sostanza, il fenomeno degenerativo riguardante quel limite era legato alla circostanza che l'interesse nazionale costituiva un elemento rafforzativo delle rivendicate competenze statali e, come tale, operante non soltanto in senso negativo, ossia nel senso che la legge regionale non potesse oltrepassarlo, ma anche nel senso che esso offriva la base per il legittimo esercizio della potestà legislativa dello Stato in settori teoricamente riservati all'attività regionale. Il quadro di riferimento è ora radicalmente mutato. Il progetto fa riferimento solo ad un limite di carattere negativo, ossia il controllo delle sole leggi regionali, le quali devono muoversi nel rispetto dell'interesse nazionale.
Infine, ritengo che la procedura, sebbene complessa, rappresenti il giusto contemperamento di esigenze e di certezza di meccanismi e termini con il rispetto delle prerogative costituzionali dei livelli di Governo a vario titoli interessati. Significative appaiono, inoltre, le modifiche apportate all'articolo 118 della Costituzione, in particolare quelle attinenti alle politiche concertative tra Stato e regioni, tanto che nel dibattito parlamentare è già stato ipotizzato l'ingresso di una nuova fonte di diritto, quella relativa alle cosiddette leggi di coordinamento. Non va dimenticato, infatti, che il miglioramento delle politiche delle infrastrutture, dell'energia, dei beni culturali e delle professioni deve essere perseguito anche attraverso azioni di coordinamento espressione del principio di leale collaborazione. Non a caso, la Corte costituzionale, con la nota sentenza n. 303, ha di recente affermato la compatibilità costituzionale della legge obiettivo in quanto ha ritenuto che in un particolare settore di carattere strategico, quello delle infrastrutture, lo Stato possa bene assumere le funzioni di coordinatore qualora si ravvisi l'esigenza di portare avanti progetti di ampio respiro, ritenuti essenziali per l'economia italiana nel suo complesso, purché nel quadro di un'azione concertativa con le regioni interessate e sulla base del principio di sussidiarietà e di leale collaborazione.
Questo sistema integrato Stato-autonomie territoriali può effettivamente risultare vincente in quanto in grado di contemperare le esigenze economiche di ampio respiro con quelle non meno importanti direttamente riconducibili al territorio. La novità introdotta potrebbe rappresentare una grande sfida, sia per l'economia italiana sia per le istituzioni del nostro paese, in una logica di federalismo cooperativo in cui i principali livelli di Governo, Stato e regioni, regolino i reciproci rapporti secondo le regole del dialogo e non del perenne conflitto interistituzionale.
Il progetto prevede poi una sostanziale modifica dell'articolo 135 della Costituzione sulla composizione della Corte costituzionale. Si attribuisce, infatti, peso significativo alle regioni per il tramite del Senato federale nella nomina di una parte dei giudici costituzionali. L'attuale composizione della Corte risponde ad una conformazione dello Stato non più assimilabile a quella vigente in cui le istanze autonomistiche assumono importanza sempre maggiore e decisiva.
La diversa composizione della Corte potrà auspicabilmente meglio corrispondere alla struttura in senso federale dello Stato. Al tempo stesso, essa potrà determinare una maggiore responsabilizzazione delle regioni stesse che verrebbero così coinvolte, sia pure indirettamente, in un processo delicato ed essenziale per il funzionamento del nostro sistema quale la nomina dei giudici costituzionali.
Non si tratta in ogni modo di considerare l'integrazione della Corte alla stregua di una mandato regionalista; la diversa composizione della Corte nasce invece dall'esigenza di prevedere la compresenza nell'organo di giustizia costituzionale - come già in numerosi ordinamenti stranieri - di tutte le componenti che esprimono il potere normativo primario. La disposizione costituisce, pertanto, la conseguenza naturale dell'attribuzione alle regioni della potestà legislativa di carattere generale, nonché della devoluzione alle regioni di poteri legislativi in via esclusiva per settori particolarmente significativi.
Tra le altre significative modifiche, vorrei limitarmi a richiamare quella relativa al sistema delle garanzie costituzionali, che viene generalmente rafforzato (si pensi all'elezione dei Presidenti delle due Camere, all'accertamento delle cause di ineleggibilità e di incompatibilità dei parlamentari, alle prerogative dell'opposizione), nonché la modifica dell'articolo 126, che interviene sullo spinoso tema delle vicende legate ai presidenti delle regioni, recependo l'istanza, da più parte avvertita, di stemperare il meccanismo del simul stabunt simul cadent.
Infine, merita sottolineare l'importanza della modifica dell'articolo 138, che rende sistematica la possibilità del ricorso alla consultazione referendaria per qualsiasi modifica di rango costituzionale, in ossequio ai principi della democrazia partecipativa.
Conclusivamente, non posso che auspicare un iter rapido e tempestivo del progetto già approvato dalla Commissione, che in questa sede colgo l'occasione per ringraziare, a partire dalla persona del suo presidente, onorevole Bruno, anche per il prezioso lavoro di «ripulitura» del testo. Nel complesso, si tratta di un progetto che, sebbene ulteriormente perfettibile nel corso dell'esame dell'Assemblea, delinea alcuni capisaldi da me sommariamente indicati, che ritengo debbano rimanere fermi nelle loro linee guida, a conferma di una riforma che dobbiamo al nostro paese per portare a compimento la modernizzazione delle sue istituzioni.
Oltre ai temi della rappresentanza territoriale del Senato federale e delle prerogative e garanzie della maggioranza e delle opposizioni, da me già richiamati, potrà poi trovare un momento di idonea riflessione il ruolo e la specificità delle regioni speciali, la funzione e il ruolo dei senatori a vita.
Da ultimo, non posso che rivolgere un pensiero ed un saluto a chi, prima e più di tutti, ha portato avanti la battaglia per il federalismo con tenacia e lungimiranza, l'onorevole Umberto Bossi (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana e di Forza Italia). Un pensiero rivolgo anche all'onorevole Tremonti, che buona parte di quel cammino ha condiviso e sostenuto, un cammino che mostrerà con chiarezza che il federalismo costituisce una risorsa efficace ed indispensabile per tutto il paese e non invece, come qualcuno vorrebbe far intendere, una mera sommatoria di strutture e funzioni dei livelli di governo centrale e territoriali. Quello non è federalismo (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)!
PRESIDENTE. La ringrazio, ministro Calderoli, e le auguro buon lavoro, visto che questo è il suo primo intervento in Assemblea, come ministro per le riforme.
Vorrei precisare sin d'ora che il termine per la presentazione degli emendamenti - in questo mi sono coordinato con il presidente della Commissione affari costituzionali - sarà quello ordinario di cui all'articolo 86, comma 1, del regolamento, come costantemente interpretato, vale a dire martedì 15 settembre, alle ore 10.
MARCO BOATO. Presidente!
PRESIDENTE. Prego, onorevole Boato.
MARCO BOATO. Signor Presidente, vorrei chiederle soltanto una precisazione sulla sua comunicazione: lei ha parlato di martedì, ma non è esatto.
PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Boato. Forse ho letto male. Si tratta di mercoledì 15 settembre, alle ore 10.
MARCO BOATO. Allora, adesso ci siamo!
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Boato.
È iscritto a parlare l'onorevole Follini. Ne ha facoltà.
MARCO FOLLINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ministro Calderoli, vorrei cogliere questa occasione per chiarire il punto di vista dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro sulla riforma di cui oggi si discute, l'apporto che ad essa vogliamo dare, anche per dissipare equivoci che, se lasciati in piedi, renderebbero il nostro cammino autunnale più controverso e più difficile. Non si può mettere in forse a questo bivio - è ovvio, ma va detto - né l'unità del paese né, per quanto sta in noi, l'unità della maggioranza, e noi, la maggioranza, dobbiamo collocare la nostra unità sul Governo dentro la cornice di una maggiore coesione di quello che si chiama abitualmente il sistema paese.
Siamo rigorosi sui principi e pronti al dialogo sulle soluzioni, ed è appunto un insieme di rigore e di dialogo che può fornire la tela per tessere una trama utile al paese prima che ad ognuno di noi, nel proprio particolare.
Una riforma costituzionale è un percorso: non è una sfida e non è una scorciatoia. Va affrontata con il passo giusto, che è innanzitutto quello del rispetto tra le idee, tra le proposte e tra le forze politiche. Non può essere costruita su muri invalicabili o su scadenze ultimative. Deve corrispondere, per quanto può, ad un interesse generale, o ad una sua approssimazione, o almeno a alla sua ricerca, ed è questa, appunto, la ragione che ci muove.
Noi siamo un partito che affonda le sue radici nella tradizione costituzionale del nostro paese. Ci riconosciamo con orgoglio in quel testo e in quelle fondamentali ragioni di identità, di tutti noi, che i padri costituenti, a suo tempo, furono capaci di scolpire.
La Costituzione del 1947 ha dato al paese un quadro istituzionale all'interno del quale esso ha potuto compiere grandi progressi, pur nel contesto di una situazione internazionale difficile e di un assetto politico interno del tutto particolare - e per qualche verso anomalo - nel panorama delle democrazie europee. La Costituzione è la stessa, ma l'assetto politico-istituzionale - la «Costituzione materiale», come si usa dire - non è uguale a se stesso.
Non lo è più per le modifiche formali che al testo costituzionale sono state apportate: mi riferisco, in particolare, al cambiamento del Titolo V della seconda parte della Costituzione; non lo è per il mutamento delle condizioni storiche, all'interno delle quali regole rimaste immutate assumono, inevitabilmente, un significato diverso: penso al cambiamento delle relazioni internazionali, al processo di integrazione europea, al terremoto subito dal sistema della rappresentanza politica, alle nuove leggi elettorali e all'avvento di un poderoso sistema di comunicazione.
Affrontare il tema della riforma costituzionale è, quindi, un dovere, un compito alto della politica, se si vuole disperdere l'alone di transitorietà che incombe sulle nostre istituzioni, in una tensione non risolta tra l'ansia di nuovi assetti - per la verità, in qualche caso, dai contorni un po' nebulosi - e la necessità di salvaguardare valori costituzionali che sentiamo far parte del patrimonio irrinunciabile della nostra storia repubblicana.
Noi riteniamo che, in questo campo, si debba procedere con spirito innovativo, ma anche, insieme, con una fondamentale prudenza, con una ragionevole attitudine a conservare il meglio della nostra tradizione. Dobbiamo evitare riforme squilibrate, come quella del Titolo V della seconda parte della Costituzione. Faccio fatica a rendere onore al merito del centrosinistra per tale riforma, poiché essa ha provocato un fitto contenzioso costituzionale ed ha visto la Corte costituzionale impegnata in una giurisprudenza qualche volta «creativa», altre volte debitrice delle lacune del testo votato nella scorsa legislatura.
Il completamento dell'ordinamento regionale nei suoi rapporti con lo Stato e l'adeguamento della forma di governo alle esigenze di un sistema bipolare sono gli obiettivi fondamentali del disegno di legge costituzionale che stiamo esaminando. Su tali filoni, che costituiscono, per così dire, la «nervatura» di questa riforma, l'UDC ha presentato in Commissione affari costituzionali alcune proposte emendative al testo approvato dal Senato della Repubblica.
Lo spirito è stato, ed è tuttora, quello di correggerne alcuni aspetti che ci parevano e ci paiono sbilanciati. Non ci opponiamo agli obiettivi di fondo della riforma, ma la vogliamo integrare, correggere e, in qualche punto, modificare.
Non entrerò in questa sede nel dettaglio delle nostre proposte di modifica, ma cercherò di fornire la chiave di lettura, anche per sgombrare il campo da qualche equivoco che può essere, qualche volta, interessato. Per quanto riguarda l'ordinamento federale, riteniamo necessario evitare ogni, anche lontano, equivoco sul principio di unità nazionale e sulle implicazioni che esso comporta in termini di cooperazione e di solidarietà tra tutti i soggetti che compongono la Repubblica.
È per questo che abbiamo voluto che emergesse a chiare lettere, dal testo, che lo Stato ed i soggetti delle autonomie agiscono sulla base dei principi di leale collaborazione e di sussidiarietà.
È per questo che proponiamo di inserire una tutela dell'interesse nazionale, in termini dinamici e preventivi, e non solo sanzionatori, della legislazione regionale, come nell'attuale articolo 39 del disegno di legge.
Condividiamo, per parte nostra, l'attribuzione di alcune significative competenze legislative, in via esclusiva, alle regioni. Proprio per questo, riteniamo importante prevedere che lo Stato possa intervenire con legge nelle materie di competenza regionale, allorché sia necessario garantire interessi unitari ed incomprimibili, interessi non elastici e non relativi.
Ricordo che ordinamenti federali di antica tradizione prevedono clausole del genere, definite di supremazia o di flessibilità, che garantiscono un equilibrio tra le esigenze dell'autonomia e quelle dell'unità. Dunque, non si comprende perché non si voglia inserire questa valvola di adattamento del rapporto tra lo Stato e le regioni anche nel nostro ordinamento.
Ad esigenze di equilibrio nella distribuzione dei poteri normativi si ispira, poi, la nostra proposta volta a rivedere il riparto di competenze legislative tra lo Stato e le regioni contenuto nell'articolo 117 della Costituzione. Con troppa generosità e, direi, con una certa dose di imprevidenza, il centrosinistra ha arricchito le competenze regionali e le competenze concorrenti, e di ciò è prova - come è noto e come ho osservato in precedenza - la recente e copiosa giurisprudenza della Corte costituzionale. Si tratta, ora, di ripensare tale problema con un doveroso spirito critico a cui immagino che anche la Lega non vorrà sottrarsi. Non è in questione la cosiddetta devoluzione; è in questione, questo sì, il contesto al cui interno essa si pone. Si tratta di un contesto che deve essere caratterizzato, da un lato, dal principio di sussidiarietà, dall'altro, dall'esigenza di ridurre costi, duplicazioni e complicazioni. Si tratta, in altre parole - secondo la regola europea -, di decentrare ogni volta che si può e di accentrare solo quando si deve. Questo è il principio di sussidiarietà ed a ciò si ispira il ragionamento che abbiamo cercato di promuovere.
Quanto alla forma di Governo, al premierato, non sottovalutiamo e non ci proponiamo di rovesciare l'evoluzione della realtà politico-istituzionale degli ultimi anni. Condividiamo il giudizio sull'importanza dell'impegno che una coalizione ed il suo leader assumono nei confronti dei cittadini all'indomani della competizione elettorale. Riteniamo, tuttavia, che l'assetto della forma di Governo non possa essere eccessivamente irrigidito. Riteniamo che il valore della coalizione non possa essere annichilito dalla leadership del Primo ministro. Riteniamo, in una parola, che vi debba essere un bilanciamento tra il Primo ministro e la sua coalizione. Infine, pensiamo che non sia prudente escludere il Presidente della Repubblica dal circuito politico-istituzionale, perché in un sistema partitico frammentato il Capo dello Stato può svolgere un ruolo prezioso, come tante volte abbiamo riscontrato, nei momenti di difficoltà della vita istituzionale del paese.
Ultimo punto: il ruolo del Senato. Tale ruolo appare oggi squilibrato, come hanno osservato in molti, e tra questi, per primo, il Presidente del Senato, poiché ha la possibilità di intervenire su numerose leggi di indirizzo politico senza essere legato al Governo dal rapporto fiduciario. Ciò può provocare un corto circuito del sistema e vanificare proprio quegli obiettivi di efficienza e speditezza dell'azione governativa che il premierato intende affermare. È necessario, quindi, ricondurre più propriamente il Senato ad organo di raccordo con il sistema delle autonomie, collocando con maggiore certezza la definizione dell'indirizzo politico presso la Camera dei deputati.
Non riteniamo che i nostri emendamenti siano le tavole della legge, né una sorta di undicesimo comandamento. Essi sono, per noi, una convinzione forte. Siamo, ovviamente, aperti ad un confronto costruttivo all'interno della maggioranza - e ci adopereremo per questo - e siamo aperti ad un confronto anche con l'opposizione, il cui apporto riteniamo decisivo per un duraturo esito della riforma costituzionale. Vale per voi e vale per noi, la regola secondo la quale non può accadere che, ad ogni legislatura, una maggioranza politica di segno diverso costruisca le riforme costituzionali secondo la propria opinione. Apprezzo che oggi, da parte vostra, vi sia tale considerazione, ma constato che, proprio da parte vostra, questa fondamentale regola della vita repubblicana è stata infranta nella scorsa legislatura.
Auspichiamo che da tale confronto emergano soluzioni, anche nuove, che rispondano alle esigenze che abbiamo segnalato; quanto chiediamo è che la discussione avvenga con libertà, nel rispetto delle opinioni e del contributo di tutti, senza insuperabili pregiudiziali identitarie, ponendo serenamente a confronto i valori di cui ogni forza politica si ritiene portatrice con quelli delle altre. Si tratta, in quest'ambito, non di affermare la propria identità ma di riconoscere e definire - per quanto è possibile, insieme - l'identità futura della Repubblica italiana.
Questa è la sfida, questo lo spirito con cui noi, l'UDC, la affrontiamo (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro e di Forza Italia - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Maccanico. Ne ha facoltà.
ANTONIO MACCANICO. È innegabile, signor Presidente e onorevoli colleghi, che chi vede oggi iniziare il dibattito sulla riforma costituzionale (della nota ampiezza) nell'ultima mezza giornata dei lavori parlamentari prima della sospensione estiva è posto in una condizione che definirei di singolare anomalia, con risvolti che sarebbero addirittura grotteschi se non si trattasse di temi di vitale importanza per il paese. È evidente, infatti, ed è apertamente riconosciuto, che questa seduta corrisponde ad un artificio procedurale teso a consentire, in base all'articolo 24 del regolamento, che alla ripresa, dopo le vacanze estive, si possa contingentare il tempo della discussione, il che, peraltro, è già avvenuto. Chi parla oggi sa, dunque, che si tratta di una fase del dibattito puramente strumentale ai fini procedurali e che il dibattito vero si svolgerà alla ripresa dei lavori, dopo le vacanze.
Ciò appare macroscopicamente dopo quanto è avvenuto il 26 luglio scorso in I Commissione affari costituzionali, quando un gruppo della maggioranza ha formalmente annunciato il congelamento delle proprie proposte emendative - non certo di lieve importanza - in tema di forma di Stato e di forma di Governo ed il ministro Calderoli ha annunciato un incontro di maggioranza nel mese di agosto, definito «Lorenzago 2», per esaminare le dette proposte.
L'opposizione ha riconosciuto più che legittimo un nuovo confronto interno alla maggioranza, dovunque fosse convocato, ma ha ritenuto che un'elementare regola di correttezza dovesse portare alla sospensione della discussione per evitare che il proseguimento del dibattito in sede referente avvenisse su un testo suscettibile di cambiamenti non secondari venendo, quindi, sostanzialmente svuotato della sua importanza.
La maggioranza ha respinto questa proposta, forse perché convinta che il testo in esame sarebbe rimasto sostanzialmente intoccabile, ma soprattutto perché voleva evitare che l'artificio regolamentare fosse compromesso (e, puntualmente, infatti, non è stato compromesso). Il testo in esame, quindi, è sostanzialmente quello del Senato, con qualche non secondario peggioramento.
Onorevoli colleghi, l'opposizione non ha mai negato la necessità di incisive riforme nell'organizzazione dello Stato, e ha quindi sempre ritenuto non condivisibile quella tesi, anche autorevole, di parte della dottrina, che ritiene non necessario un ammodernamento del nostro ordinamento e del nostro sistema politico, non opportuno allontanarsi dalle linee della Costituzione del 1948, solo necessario attuare meglio le regole vigenti. Di più, ha sempre riconosciuto che negli ultimi anni un processo di revisione profonda dell'ordinamento è stato avviato e che esso deve essere completato, pena una perpetua inefficienza del nostro sistema politico. Sotto tale aspetto, non si può dire che siamo all'anno zero delle riforme, né per quanto concerne la forma di Governo, né per quanto concerne la forma di Stato.
In merito alla forma di Governo, un problema è stato affrontato: quello della stabilità dei Governi sia a livello locale (regioni, province e comuni) sia a livello nazionale. Ciò è avvenuto seguendo indirizzi diversi ai due livelli. Mentre sul piano regionale e locale si è abbandonato il sistema parlamentare e si è proceduto adottando un modello semipresidenziale (e cioè elezione diretta dei presidenti di regione, dei presidenti di provincia e dei sindaci, con elezioni proporzionali dei consigli), a livello nazionale, sotto l'impulso del movimento referendario, si è seguito il metodo della riforma elettorale maggioritaria, rimanendo fedeli al paradigma del sistema parlamentare. Il bipolarismo italiano è nato da questa riforma.
Ora, nessuno nega che la sola riforma elettorale non possa essere sufficiente a risolvere i problemi di governabilità o di stabilità di una democrazia governante. Si riconosce, quindi, che innovazioni di stabilizzazione di natura costituzionale sono necessarie per garantire maggiore forza al Presidente del Consiglio e maggiore stabilità al Governo. Ma ciò non può avvenire che in due modi: o si cambia la forma di Governo per avvicinarla a quella semipresidenziale o presidenziale, ma con i contrappesi e le garanzie che sono proprie di questa forma di Governo, o si rimane fedeli al sistema parlamentare, adottando quelle misure di consolidamento del Governo e del Presidente del Consiglio che sono indispensabili e che sono ben presenti nel cosiddetto modello Westminster. Le norme riguardanti la forma di Governo contenute nel disegno di legge costituzionale sfuggono interamente all'uno e all'altro modello e danno vita a un sistema indefinibile contenente forzature e incongruenze che snaturano il sistema parlamentare e avviano l'ordinamento verso il puro arbitrio incontrollato.
Ho detto che in alcune parti il testo del Senato è stato peggiorato: è il caso proprio della forma di governo, le cui norme sono diventate ancora più farraginose. L'esigenza di stabilità sarebbe assicurata con una semplice disposizione che stabilisse lo scioglimento automatico delle Camere in caso di dimissioni del Presidente del Consiglio quando queste ultime non siano provocate o seguite entro pochi giorni da una mozione di sfiducia votata o sottoscritta dai deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni e indicante il nome del nuovo Primo ministro. Il vero problema della stabilità dei Governi di coalizione, che, purtroppo, esisteranno ancora a lungo nel nostro futuro, non sono le mozioni di sfiducia (mai un Governo della prima Repubblica è caduto su una mozione di sfiducia), ma il ritiro di una componente della coalizione di Governo e, quindi, la conseguente crisi extraparlamentare.
D'altra parte, solo con la minaccia di provocare lo scioglimento del Parlamento con le dimissioni può essere evitato questo rischio, ma ciò non può avvenire nel caso in cui il Presidente del Consiglio abbia perso la fiducia della propria maggioranza. Margaret Thatcher, quando si imbarcò nell'avventura della poll tax, perse la fiducia del suo partito e fu sostituita da Major e non fu in grado di provocare lo scioglimento delle Camere dei comuni.
Ora, le disposizioni per cui, per norma costituzionale, la candidatura alla carica di Primo ministro deve avvenire per obbligo costituzionale mediante collegamento con i candidati alle elezioni della Camera dei deputati cambia la forma di governo. È una forma di elezione diretta, per cui diventa difficile stabilire se la legittimità democratica del Presidente del Consiglio è fondata sulla elezione o sulla fiducia parlamentare. Che questa norma sia contenuta in una legge ordinaria, come la legge elettorale, è tollerabile; ma elevarla a obbligo costituzionale cambia radicalmente le cose.
La nuova formulazione, poi, dell'articolo 94 è inutile e dannosa in presenza della nuova formulazione dell'articolo 88: rende il Presidente del Consiglio arbitro assoluto della vita parlamentare, in un certo modo legibus solutus.
Ciò che più sorprende in una riforma così ampia della seconda parte della Costituzione è la completa assenza di norme di garanzia e di contrappesi efficaci al rafforzamento dell'istituto del Governo e del Presidente del Consiglio.
Che il Governo possa stabilire le priorità legislative e che il Presidente del Consiglio possa pretendere tempi certi per le decisioni parlamentari è accettabile, ma perché non bilanciare tali prerogative con la possibilità di un quorum adeguato di deputati in grado di investire direttamente la Corte costituzionale delle questioni di costituzionalità? Molte Costituzioni europee prevedono questa facoltà.
Inoltre, il testo non prevede il ricorso di ultima istanza alla Corte costituzionale per quanto riguarda le elezioni contestate; si tratta di tutelare i diritti fondamentali dei cittadini. Non si comprende perché, in una Camera eletta con il sistema maggioritario ed in presenza dell'intenzione largamente condivisa di rafforzare il bipolarismo, non si rivedano alcuni quorum per deliberare, concepiti quando il sistema elettorale era proporzionale, a partire dall'elezione del Presidente della Repubblica, del Presidente della Camera e degli organi di garanzia, nonchè nell'adozione dei regolamenti parlamentari.
La questione delle garanzie non è secondaria: tutto il costituzionalismo moderno è fondato sulla novità delle Costituzioni rigide e sui limiti da porre alle maggioranze per evitarne la tirannia; si è anche parlato, a questo riguardo, di limiti alla democrazia.
Gli articoli più problematici previsti dalla riforma riguardano, come è noto, la riforma del bicameralismo, con l'istituzione del Senato federale. Le critiche riguardano la composizione del Senato, la sua rappresentatività territoriale e le sue competenze.
Con la scelta dell'elezione diretta, la rappresentatività territoriale delle regioni non può essere assicurata soltanto dall'elezione contemporanea dei consigli regionali e del Senato: questa contemporaneità porta, nelle norme transitorie, a conseguenze paradossali, che saranno poste in evidenza nell'esame dei singoli articoli. La rappresentatività territoriale del Senato federale è strettamente collegata nel giudizio alla prossimità o meno della paretiticità della rappresentanza.
Quanto alle competenze del Senato, in particolare a quelle legislative, si dà luogo a tre tipi di leggi, che sarebbero fonti di conflitto costituzionale perenne, ed in ogni caso si avrebbe un organo legislativo sganciato dal rapporto di fiducia con il Governo, ma in grado di paralizzare l'attuazione del programma. I poteri di nomina dei giudici costituzionali, dei componenti del Consiglio superiore della magistratura, le competenze da attivare all'interno dello Stato a difesa degli interessi della nazione sono poteri esorbitanti, ingiustificati per il Senato federale.
È di ieri la presa di posizione dell'intera associazione dei costituzionalisti che, rompendo la posizione di neutralità sempre avuta in passato, ha lanciato un grido d'allarme attraverso il presidente Sergio Bartole. Non si può dubitare che la cultura giuridica italiana, sia pure con toni e sfumature diverse, consideri questa riforma un vero e grave pericolo per l'avvenire della nostra democrazia!
Onorevole Presidente, credo che dovremmo riflettere seriamente su questa riforma costituzionale; ritengo che si sia dinanzi ad un passaggio estremamente importante per la vita del nostro paese. Noi dovremo affrontare questo tema essendo consapevoli che la nostra Costituzione, la Costituzione nata dall'Assemblea Costituente, deve essere aggiornata e modificata; tuttavia, non possiamo sposare modelli di governo che sono del tutto estranei alla nostra tradizione giuridica.
Noi dovremo fare un grande sforzo collettivo, affinché questo testo sia ammodernato e diventi più vivo e maggiormente condiviso: dobbiamo completare un'opera cominciata e che richiede una grande passione ed un senso di unità. Se continueremo a portare avanti riforme di parte, soddisfacendo esigenze temporanee di alcune componenti del Parlamento, non arriveremo da nessuna parte!
È necessario che ci sia un grande sforzo per trovare la via di un ammodernamento che non sacrifichi i diritti di nessuno. L'ammodernamento del sistema costituzionale è fondamentale per l'avvenire del nostro paese. Abbiamo bisogno di grande solidarietà intorno a tale problema: non possiamo procedere ognuno per conto proprio, sulla base delle rispettive convenienze. È uno sforzo che va fatto e che, credo, saremo in grado di fare se veramente metteremo da parte alcuni pregiudizi.
Il paese si aspetta da noi un'opera di ammodernamento serio della nostra Costituzione ed è necessaria la collaborazione di tutte le parti presenti in Parlamento: non possiamo procedere a colpi di maggioranza. Forse, in passato abbiamo commesso qualche errore anche noi, ma in questa fase credo sia assolutamente indispensabile trovare il modo per avere una solidarietà maggiore sulle riforme costituzionali.
Vi è uno studio americano che riguarda le questioni istituzionali. I paesi del mondo democratico che hanno tassi di sviluppo particolarmente elevati hanno soprattutto una cosa in comune: sistemi politici efficienti. Creando un sistema politico efficiente, mettendo da parte tutti i nostri pregiudizi, riusciremo a fare quanto è necessario per il progresso del paese (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Verdi-L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fontanini. Ne ha facoltà.
PIETRO FONTANINI. Signor Presidente, signor ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione, onorevoli colleghi, quando all'inizio degli anni Novanta la Lega Nord, con il suo leader Umberto Bossi, lanciò all'interno del dibattito politico l'idea di riformare profondamente il sistema istituzionale italiano attraverso il federalismo, nessuno avrebbe mai immaginato che la classe politica italiana si sarebbe impegnata a riformare lo Stato italiano in senso federale. Grazie al programma di Governo che ha dato alle forze che compongono la Casa delle libertà la facoltà di riformare le istituzioni, tale riforma sta diventando realtà ed il prossimo 8 ottobre tutti noi, in questa Camera, saremo chiamati a dare l'assenso.
L'idea federalista che da sempre ispira le battaglie della Lega Nord è fondata sull'accettazione di determinate condizioni: la compresenza di più sovranità distinte e l'autogoverno. Il significato originario di federalismo presuppone, infatti, la compresenza di sovranità distinte, congiunte, però, da un accordo, un patto, il foedus.
Nella nostra visione di federalismo rientrano tutti i concetti che danno vita alla stessa idea federalista: l'autogoverno, le sovranità distinte ed il mantenimento in capo allo Stato centrale di poche competenze legislative, come la difesa, la politica estera, i principi generali della giustizia, gli standard minimi di politica sociale.
Con il federalismo, lo Stato favorisce la partecipazione politica ed il senso civico dei cittadini mediante l'autogoverno locale; sviluppa il senso di responsabilità degli eletti e la necessità per gli stessi di amministrare correttamente la cosa pubblica; rende più veloce ed efficiente la pubblica amministrazione; fa in modo che una certa quota delle tasse pagate dai cittadini resti sul territorio di loro residenza; valorizza l'identità dei popoli. In questo quadro, è appena il caso di ricordare che la battaglia per il federalismo, che costituisce la principale ragione fondativa della Lega nord, passa attraverso la devoluzione, che per noi è irrinunciabile (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana)! Essa costituisce, infatti, il fondamentale passaggio di redistribuzione delle competenze dell'ordinamento tra centro e periferia, attraverso cui può realizzarsi un processo federalista, che nasce come reazione ad un eccesso di centralismo. In questa ottica, si spiega l'opposizione manifestata dalla Lega Nord, nella scorsa legislatura, alla riforma pseudofederalista del centrosinistra che, oltre ad essere portata avanti con mere finalità elettoralistiche, finiva proprio con l'ostacolare la devoluzione, ingessando in un lungo elenco le competenze statali. Rilevavamo allora che la scelta, teoricamente condivisibile, di assegnare un certo numero di materie alle competenze dello Stato, per lasciare tutte le altre alle regioni, ribaltando la logica dell'articolo 117 della Costituzione, veniva svuotata dalla previsione di un elenco lunghissimo di materie riservate alla competenza esclusiva dello Stato. L'elencazione contenuta nel comma 2 dell'articolo 117 della Costituzione esclude inoltre le regioni da una serie di ambiti, nei quali, al contrario, sarebbe opportuno promuovere la possibilità di scelte differenziate, anche in chiave di concorrenza propositiva tra lo Stato e le regioni e tra le regioni stesse.
Le altre ragioni di insoddisfazione della Lega Nord riguardavano soprattutto la mancanza di una riforma dell'attuale bicameralismo, nonché la mancata creazione di una seconda Camera delle regioni e di una Corte costituzionale più rispettosa delle esigenze regionali, mediante il suo allargamento con membri designati dalle regioni e dal sistema delle autonomie.
A tutte queste carenze, segnalate dalla Lega Nord, intende sopperire il disegno di legge costituzionale al nostro esame, che affronta, oltre a questi nodi, anche quello del rafforzamento dell'esecutivo, mediante la sostanziale elezione diretta del Primo ministro e l'attribuzione ad esso di importanti poteri, tra cui anche quello di sciogliere la Camera dei deputati.
Signor Presidente, la scelta di precedere alla costruzione del federalismo, attraverso la devoluzione, per noi non è casuale. Innanzitutto, tale modello di avanzamento verso un'ampia e compiuta realtà federale è già stato realizzato in molti paesi. In altri termini, la devoluzione può, attraverso la maggiore autonomia e libertà attribuita alle regioni, condurre alla trasformazione dello Stato centralista in una nuova realtà statale, modellata sui principi federalisti. Inoltre, la devoluzione rappresenta un processo graduale e non traumatico, che realizzerà lo sviluppo economico e sociale di tutta la penisola, senza mettere in pericolo l'unità nazionale, come paventa in modo strumentale l'opposizione.
I punti di forza della presente proposta sono essenzialmente costituiti dall'importanza delle materie devolute, dal carattere aperto del processo di devoluzione e dagli obiettivi di efficienza e di autogoverno, che si intendono realizzare.
Per quanto riguarda il primo di questi aspetti, si consideri come, ad esempio, la tutela della salute richieda un'aderenza dei modelli organizzativi prescelti alle diverse realtà locali, che si differenziano innanzitutto sul piano demografico, ma anche, per esempio, sotto il profilo dell'incidenza delle diverse malattie professionali. Ciò, tuttavia, nel pieno rispetto di standard minimi di assistenza, che continuano ad essere di competenza statale. Proprio in Commissione, abbiamo approvato un emendamento che stabilisce che i principi generali della tutela della salute siano di competenza dello Stato.
Nell'ambito dell'istruzione e dell'organizzazione scolastica, una piena autonomia a livello regionale potrà garantire una maggiore aderenza della formazione alle reali esigenze e al contesto economico e produttivo in cui le istituzioni scolastiche operano.
Il settore dell'ordine pubblico, poi, è di importanza cruciale. La devoluzione in questo ambito costituisce la risposta più razionale alla domanda di sicurezza che proviene dai cittadini.
Non vi è dubbio che le diverse realtà territoriali pongano emergenze diverse. Se il contrasto alla grande criminalità organizzata richiede una forte regia centrale, lo stesso non può dirsi per la cosiddetta microcriminalità che richiede, per essere contrastata, una rapidità di intervento ed un controllo capillare del territorio, che potrà realizzarsi con la devoluzione di competenze anche in questa materia.
Quando si parla del carattere aperto della devoluzione, si intende alludere ad un modello che lascia alle singole regioni la scelta di attivare o meno determinate competenze. Ciò, oltre che rispondere ad un criterio di buon senso, appare pienamente rispettoso delle stesse autonomie regionali.
Sul punto, occorre rilevare che la formulazione originaria del testo era preferibile, in quanto prevedeva espressamente la possibilità per ciascuna regione di attivare il processo di devoluzione. Nella formulazione attuale, recependo osservazioni provenienti anche dalla Conferenza Stato-regioni, si è preferito non fare espresso riferimento ad un processo a più velocità; tuttavia, non sembra che la versione attuale del testo la escluda, imponendo un'attivazione contemporanea delle condizioni da parte di tutte le regioni.
Gli obiettivi della riforma sono quelli di favorire l'efficienza dei servizi nelle materie sopra indicate, sfruttando anche lo stimolo che proviene da una reale concorrenza tra i modelli adottati dalle varie regioni.
Le limitate esperienze che si stanno registrando in materia di istruzione e sanità a livello regionale già confermano questi effetti, destinati a prodursi in maniera assai più significativa con l'approvazione di questo disegno di legge.
Molti, soprattutto nel sud, si oppongono alla trasformazione dello Stato in senso federale, perché pensano che il processo di federalismo rimescoli in pratica le risorse e possa indebolire ancor di più le aree del Mezzogiorno; tuttavia, secondo noi, è proprio a causa di un'economia di sussistenza e completamente dipendente dallo Stato centrale che il centro-sud non ha potuto dare slancio alle proprie peculiarità e non è riuscito a svilupparsi in maniera autonoma.
Un altro aspetto da chiarire è che l'attivazione di un reale sistema di federalismo fiscale non vuole in alcun modo significare un'interruzione degli aiuti e della solidarietà verso le regioni più svantaggiate. Il principio della solidarietà e dell'aiuto concreto sono da sempre momenti ispiratori della Lega Nord che non vuole in alcun modo abbandonare il Mezzogiorno sotto i colpi dell'arretratezza e del mancato sviluppo.
Pensiamo che, solo attraverso un'autonomia fiscale ed impositiva compiuta, il Mezzogiorno e tutti i territori italiani avranno la possibilità di gestire in maniera differenziata il proprio percorso sociale ed economico e, pertanto, saranno maggiormente in grado di vedere salvaguardate le proprie diversità rispetto agli altri territori della penisola. Solo così si raggiungerà quella tanto invocata responsabilizzazione degli enti periferici che genera più efficienza nei servizi resi alla cittadinanza.
In conclusione, signor Presidente, vorrei svolgere una breve considerazione che attiene alle ripercussioni politiche per l'attuale maggioranza che potrebbero derivare dall'iter di questa riforma
La Lega Nord considera questo disegno di legge costituzionale fondamentale per la modernizzazione del nostro paese ed indispensabile anche per la tenuta della maggioranza di Governo. Ribadiamo ancora una volta che il federalismo realizzato attraverso la devoluzione è il cemento che ci unisce ai partiti del Polo: la sua bocciatura provocherebbe un terremoto devastante per la Casa delle libertà (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana e di Forza Italia - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zeller. Ne ha facoltà.
KARL ZELLER. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, la Sudtiroler Volkspartei da sempre si batte per il federalismo e per l'attribuzione di maggiori poteri alle regioni e province autonome. Dal 1948, i nostri rappresentanti in Parlamento lavorano per tale obiettivo ma, solo nel 2001, venne effettuato un primo significativo passo in tale direzione. Tuttavia, la riforma del 2001 risultava monca, in quanto non affrontava la trasformazione del Senato in Camera rappresentativa delle regioni, che poteva fungere da contrappeso alla Camera politica.
Per parecchio tempo abbiamo nutrito una certa speranza che questa maggioranza - soprattutto la Lega Nord, alla quale va attribuito il grande merito di aver fatto inserire la questione del federalismo nell'agenda nazionale - fosse in grado di presentare un progetto veramente federalista. Non neghiamo che qualche timido passo sia stato compiuto, come ad esempio in ordine alla partecipazione dei presidenti regionali all'elezione dei giudici costituzionali. Ma le nostre critiche si incentrano soprattutto sul Senato cosiddetto federale che, in verità, ha poco di federale: i senatori non sono espressione del consiglio o delle giunte regionali, come avviene in altre esperienze federali, ma - come dal 1948 - saranno eletti direttamente.
Manca un collegamento vero con il territorio - infatti, basta essere residente nella regione per essere eletto senatore - e tale lacuna non è stata temperata con la presenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome nel Senato federale.
Inoltre, la contestualità, costituzionalmente necessaria, tra elezione delle assemblee regionali e del Senato federale costituisce un grave ostacolo all'autonoma funzione delle istituzioni locali e lede lo stesso diritto di elettorato attivo, limitando la durata della legislatura regionale al 2011 e, successivamente, in caso di scioglimento anticipato del consiglio. Ciò per la necessità di commisurare la durata della successiva legislatura regionale alla scadenza naturale del Senato federale.
Si ha dunque l'impressione che la primaria esigenza sia quella di garantire la durata in carica dei senatori e non invece la rappresentanza delle regioni e, tantomeno, il rispetto dell'autonomia regionale. A nostro parere, la contestualità andrebbe quindi eliminata a favore di un rinnovo parziale del Senato federale, limitatamente alla componente rappresentativa della singola regione o provincia autonoma in concomitanza delle elezioni dei rispettivi organi elettivi.
È emblematico che il Senato sedicente federale abbia la competenza di dichiarare, su richiesta del Governo, che una legge regionale pregiudichi l'interesse nazionale della Repubblica, sottraendo tale competenza alla Corte costituzionale, che l'ha sin qui esercitata con ben altre garanzie di tutela per le autonomie regionali. Una tale competenza non verrebbe mai assegnata ad una Camera davvero rappresentativa delle regioni, in quanto ciò spetterebbe semmai alla Camera dei deputati o a entrambi i rami del Parlamento.
Altrettanto grave ci appare la reintroduzione dell'interesse nazionale quale limite delle competenze legislative delle regioni. Va ricordato che uno dei pregi della riforma del 2001 era proprio quello dell'abolizione dell'interesse nazionale e la sostituzione di tale parametro con i criteri della sussidiarietà e dell'adeguatezza.
Nella ormai celebre sentenza n. 303 del 2003 - citata dallo stesso ministro Calderoli - la Corte costituzionale aveva salutato con favore tale impostazione, ponendo in evidenza come l'equazione elementare «interesse nazionale uguale competenza statale» in passato avesse sorretto - cito testualmente - l'erosione delle funzioni amministrative e delle parallele funzioni legislative delle regioni. Fatto sta che la Corte costituzionale, fino ad oggi, è riuscita a risolvere i contenziosi tra Stato e regioni con l'ausilio dei criteri di sussidiarietà e di adeguatezza, senza alcuna necessità di ricorrere all'anacronistico criterio dell'interesse nazionale.
Il testo del Senato, che non brillava certamente di federalismo, è poi stato, purtroppo, ulteriormente peggiorato in Commissione affari costituzionali della Camera. Mentre il testo del Senato conteneva almeno una clausola di maggior favore per le regioni a statuto speciale, nel senso di applicare solo quelle parti della riforma che avessero apportato qualcosa in più alle autonomie speciali, con l'approvazione di due emendamenti a prima firma dell'onorevole Anedda, si modifica il testo approvato dal Senato, limitando la stessa clausola di maggior favore alle sole disposizioni dei commi 1, 4 e 5 dell'articolo 34 riguardante la devolution, rendendo applicabili direttamente ed immediatamente alle regioni speciali tutte le altre disposizioni del Capo V, e cioè anche in deroga a quanto diversamente disposto dagli statuti speciali e dalle relative norme di attuazione.
La clausola di maggior favore non riguarda, infatti, i commi 2 e 3 dell'articolo 34, con i quali si dispone che la disciplina delle norme generali sulla tutela della salute rientri tra le competenze esclusive dello Stato. Tuttavia, la tutela della salute, attualmente rientrante tra le competenze concorrenti, viene stralciata dall'articolo 117, comma 3; il che comporta indubbiamente una diminuzione dei poteri delle regioni e, con l'estensione di tali disposizioni alle regioni a statuto speciale, queste perdono qualcosa e si modificano in senso peggiorativo le relative attribuzioni statutarie in materia di igiene e sanità.
Particolarmente grave ci appare anche l'estensione dell'articolo 35, riguardante l'ampliamento dei settori di disciplina legislativa soggetti al coordinamento della legge dello Stato, in quanto ciò impatta su numerose materie riservate alla competenza primaria delle regioni a statuto speciale e delle province autonome (tutela dei beni culturali, ordinamento degli enti locali). Inoltre, anche per le materie che i cataloghi statutari ascrivono alla competenza concorrente, l'assenza della clausola di maggior favore fa venire meno l'esclusività delle norme di attuazione nella regolazione della specialità. L'applicazione diretta dell'articolo 36 del testo di riforma alle regioni a statuto speciale ha effetto abrogativo anche di quanto stabilito nel legge costituzionale n. 3 del 2001, in particolare dell'articolo 11 della legge n. 131 del 2003, la cosiddetta legge La Loggia.
È utile ricordare che, con sentenza n. 236 del 2004, la Corte costituzionale ha stabilito che non è in dubbio l'applicazione del potere sostitutivo, ex articolo 120, anche alle regioni speciali, ma le relative modalità devono essere disciplinate con norme di attuazione degli statuti. Lo stesso dicasi per la disciplina dell'interesse nazionale, posto che tale limite all'esercizio delle competenze legislative figura tutt'oggi negli statuti speciali, ma l'esecuzione viene fatta con le norme di attuazione. L'attuazione dell'articolo 120 e delle disposizioni statutarie non può avvenire con legge ordinaria, ma tramite - lo ripeto ancora una volta - l'emanazione di norme di attuazione. Quale esempio, per quel che riguarda l'interesse nazionale, cito il decreto legislativo n. 266 del 1992, con cui per la regione Trentino-Alto Adige è stato disciplinato il rapporto fra legislazione statale, regionale e provinciale (questa norma fu determinante per la chiusura del contenzioso con l'Austria).
Inoltre, la clausola di maggior favore in ordine alle competenze legislative ed amministrative delle regioni speciali era prevista anche nella legge costituzionale n. 3 del 2001, in particolare all'articolo 10. Per noi è un po' sconcertante che ora non si voglia più rispettare questo principio già consacrato nella norma testé citata.
Infine, se il testo dovesse restare tale, ne discenderebbe una clamorosa violazione dello Statuto di autonomia della regione Trentino-Alto Adige Süd Tirol, che costituisce l'attuazione dell'accordo tra De Gasperi e Gruber del 1946. Ne deriverebbero, altresì, la violazione di numerose misure contenute nel «pacchetto» concordato nel 1969 tra Italia e Austria, oltre che di ulteriori norme di attuazione, emanate per porre fine alla vertenza internazionale, pendente di fronte alle Nazioni Unite.
Tutto questo corpus di norme era stato consegnato, nel 1992, dall'Italia all'Austria con l'impegno, assunto formalmente davanti a quest'aula dall'allora Presidente del Consiglio Andreotti, a non procedere a modifiche unilaterali delle norme stesse.
Vorrei brevemente precisare quali norme effettivamente vengono menomate. Vengono colpite una serie di competenze della regione e delle due province autonome. Ad esempio: la competenza primaria per la tutela dei beni culturali, le intese previste nelle norme di attuazione per le grandi vie di comunicazione, le competenze in materia di produzione e distribuzione di energia elettrica, la competenza primaria sull'ordinamento dei comuni, la competenza concorrente per l'igiene e la sanità.
Chiediamo, quindi, con forza il ripristino della clausola di maggior favore, già prevista nel testo del Senato; non auspichiamo certo nulla di nuovo, quindi, ma solo di tornare al testo già votato dall'altro ramo del Parlamento.
In conclusione, vorrei sottolineare un'ulteriore esigenza, fortemente sentita dalla nostra provincia e della nostra regione: ci pare, infatti, assolutamente inadeguata la formula contenuta nell'articolo 33, relativa alla revisione degli statuti speciali. A noi sembra bizzarro voler limitare la necessità dell'intesa per la modifica degli statuti speciali solo ai primi sei mesi, dopodiché il Parlamento può operare come meglio crede. Sappiamo, invece, tutti che la procedura per la modifica di una legge costituzionale prevede ben altri limiti temporali rispetto a sei mesi.
A nostro parere, il carattere pattizio va salvaguardato in maniera più incisiva, ad esempio prevedendo l'innalzamento del quorum per la seconda deliberazione, in caso di mancato raggiungimento dell'intesa con la regione o provincia autonoma, ovvero la previsione di un referendum confermativo a livello regionale o provinciale, come nel caso della Sardegna.
La Sudtiroler Volkspartei è comunque aperta ad un confronto costruttivo con la maggioranza, in particolare con gli esponenti del Governo, e facciamo appello alla vostra sensibilità nei confronti delle autonomie speciali. Abbiamo lottato sessant'anni per ottenere tale autonomia e non vorremmo adesso, con una riforma denominata federale, perdere dei pezzi di storia e di competenze proprio in questa occasione.
Speriamo che il testo possa essere modificato e migliorato, nel senso da noi auspicato, altrimenti il nostro giudizio, a prescindere anche dalle implicazioni a livello internazionale - che non vorrei fossero dimenticate - non potrà che essere negativo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Craxi. Ne ha facoltà.
BOBO CRAXI. Signor Presidente, signor ministro delle riforme, intervenendo a nome del partito socialista, alla fine del dibattito odierno, ma all'inizio dello stesso sul disegno di riforma della nostra Costituzione, intendo innanzitutto ribadire che lo spirito che anima la nostra forza politica è quello di contribuire positivamente affinché tali riforme possano venire alla luce, godendo di un più ampio consenso parlamentare, e rappresentino così uno spirito condiviso tra le forze politiche dell'intero paese.
Il Nuovo PSI, o almeno ciò che resta di esso - forse non molto, ma comunque neanche poco -, sente tutta intera la responsabilità di partecipare ad un così vasto e ambizioso disegno di riforma, per contribuire all'ammodernamento e all'aggiornamento delle nostre regole costituzionali, senza venir meno allo spirito che saldò le forze politiche repubblicane al principio dell'unità della nazione.
È per questa ragione che ritengo che di esse dobbiamo farne il grande ed ambizioso obiettivo della seconda Repubblica, che ha preso vita dopo la fine traumatica della prima. È un obiettivo che va perseguito senza presupposti ideologici, senza fughe in avanti o pretese che corrispondano a disegni di parte, perché le regole sono fondative e segnano la coesistenza di tutti gli italiani.
Non ci sono, quindi, e non ci devono essere, nemici delle riforme; ed è bene chiarire all'inizio di questa discussione qual è la portata e l'obiettivo dichiarato di un moderno riformismo in materia costituzionale; ed è bene chiarire, anche, che una riforma costituzione deve essere il frutto di un ampio e condiviso lavoro, e non un parto frettoloso fatto a colpi di ultimatum, che per nessuna ragione potrebbe essere inseguito.
Noi abbiamo presentato una serie di emendamenti, durante la discussione in Commissione. Si tratta di emendamenti di merito riguardanti innanzitutto il Titolo V della Costituzione e i poteri del premier. Nel merito, riteniamo, anzitutto, che nelle materie concorrenti, ad esempio, sia giusto, ancorché necessario, dare luogo ad un regionalismo federato, consapevole e responsabile, che, solidalmente, concorra alla vita della nazione, promuovendo lo spirito di coesistenza e compartecipazione al sostegno diretto delle politiche pubbliche.
Siamo favorevoli ad avviare una coerente devoluzione di poteri dello Stato alle regioni; certamente organizzando in modo più efficiente i servizi da rendere ai cittadini, evitando tuttavia confusioni tra il carattere organizzativo di alcune fondamentali competenze e la loro diretta e specifica gestione. Nel campo della tutela della salute, della sanità, ad esempio (è proprio la tutela della salute il tema che vogliamo esplicitamente sottolineare), lo Stato e le regioni devono sapere conformarsi a principi di leale collaborazione e di sussidiarietà, senza, per nessuna ragione e motivo, offrire spazio agli squilibri, alle differenze e alle diseguaglianze, che già oggi tocchiamo con mano, tra le regioni ricche e quelle povere e che una scorretta interpretazione del dettato costituzionale non farebbe che aumentare con danni incalcolabili.
L'impianto costituzionale che dà vita anche ad una nuova Camera non può che ribadire il carattere unitario dello Stato e della nazione. Il principio federale, come insegnano i costituzionalisti e i federalisti di lungo corso, non può che sorreggersi innanzitutto sul decisivo e assoluto riconoscimento del carattere unitario della nazione e del necessario equilibrio fra i poteri legislativi. Ad esempio, l'eccessiva concessione di autonomia da parte dello Stato alle singole regioni in materia elettorale ha già generato una certa confusione e vistose incongruenze di carattere politico rivelatesi nella approvazione di alcuni statuti regionali.
In materia di scioglimento delle Camere, in particolare in materia di attribuzione di poteri al primo ministro, il sistema politico vigente, e più in generale le tendenze delle democrazie occidentali (quelle più evolute), spingono alla necessità di un esecutivo, e del suo premier, dotato di maggiori poteri decisionali. E il nostro stesso sistema elettorale, di fatto, ha reso consuetudinaria l'elezione diretta del Primo ministro ed in questo senso è giusto legiferare coerentemente con questa norma consuetudinaria.
Tuttavia, in materia di scioglimento delle Camere, si intenderebbe introdurre un'inedita concentrazione di potere nelle mani del Capo dell'esecutivo, generando così una vistosa incompatibilità con le prerogative del Capo dello Stato ed anche un principio assolutistico che stride con il carattere parlamentare su cui si fonda la nostra democrazia politica e su cui si fondano, soprattutto, i necessari contrappesi fra il premier e la sua condizione.
Noi riteniamo, in generale, che in materia elettorale si dovrebbe mettere mano a questo sistema. L'attuale sistema, varato, come ricordiamo, in una fase drammatica della storia repubblicana, non ha corrisposto alle aspettative, fatto salvo lo spirito bipolare dello stesso e la longevità delle legislature, contrassegnate però da vistose incompatibilità ed incongruenze politiche fra alleati dello stesso schieramento.
Ad un sistema octroyé, cioè imposto dall'alto, oggi io ritengo non sia declinare al passato i verbi se esprimiamo una decisa preferenza per un sistema elettorale proporzionale. Per uscire dal vago, voglio esprimere la nostra naturale propensione ad un sistema che mantenga intatto lo spirito dell'alternanza del bipolarismo, ma che introduca elementi più flessibili di formazione delle maggioranze parlamentari, legate ad un tempo da uno spirito programmatico e da un vincolo politico, ma più capaci di irrobustire per la propria parte politica il carattere dell'autonomia e del rispetto delle singole identità. Federalismo equo e solidale, equilibrio fra poteri dello Stato, un sistema proporzionale adatto ai nostri tempi: queste sono le ragioni dei socialisti e ad esse si ispireranno le nostre condotte parlamentari.
Queste sono anche delle condizioni per poter esprimere un voto positivo su questo disegno di legge. È un bene che da questa, e non da altre discussioni, prenda corpo una riforma della nostra Costituzione. Diversamente, non sarebbe affatto un fallimento, qualora non si raggiungesse l'obiettivo di un'approvazione in questa legislatura. È un bene ricorrere all'idea del metodo politico che fece della nostra Costituzione una delle più importanti e salde del continente europeo, e cioè pensare anche al ricorso ad una possibile Assemblea costituente.
Per questa, e non per altre ragioni, con alcune delle forze della maggioranza si è aperto un solco di carattere politico fino ad oggi non ancora ricomposto. Per quanto ci riguarda, con la Lega Nord Federazione Padana la questione è ancora aperta e non riguarda soltanto la compagna, onorevole Moroni, ma riguarda ed impegna tutto il nostro partito, che conseguentemente ai noti fatti non parteciperà ad alcuna discussione extraparlamentare sulle riforme.
Non ci sono conservatori o riformisti che si scontrano, ma culture politiche e democratiche che ancora oggi, a distanza di cinquanta e più anni, rappresentano ancora il più alto spirito unitario della nazione, che noi intendiamo mantenere saldo, difendere e contribuire a valorizzare.
È stato un errore - e ho concluso - nella scorsa legislatura procedere per strappi maggioritari; perseverare, oggi, sarebbe financo diabolico. Perseverare nel Parlamento e nella stessa maggioranza, ancorché le regole che stiamo per discutere e varare siano regole fondative. Le regole costituzionali dovrebbero essere l'obiettivo convergente di un'ampia maggioranza politica nel Parlamento, innanzitutto, e nella maggioranza, dove dovrebbe vigere il rispetto e il principio della pari dignità. Diversamente, non possono essere da parte nostra ritenute un vincolo di maggioranza politica - e né la nostra autonomia né l'autonoma formazione dei nostri convincimenti intendiamo conformare nel corso del nostro dibattito - le nostre opinioni e, alla fine, il nostro voto orientativo (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI e di Forza Italia).
GERARDO BIANCO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GERARDO BIANCO. Signor Presidente, vorrei rinverdire una antica consuetudine della prima Repubblica, come sopravvissuto di quel periodo: quella del deputato anziano che rivolgeva un saluto di augurio al Presidente della Camera, a tutti i funzionari, al Segretario generale, a tutto il personale della Camera, perché quello che ci aspetta credo sia un meritato riposo. Non sono presenti gli altri colleghi, ma penso che tutti sarebbero d'accordo nell'esprimere questo riconoscimento.
Vorrei fare un augurio anche a chi sta lavorando in questo momento, come un augurio va anche al Governo: sono convinto che il ministro Calderoli saprà apprezzare sia le vacanze nelle zone alpine sia quelle nelle spiagge del sud (Applausi).
PRESIDENTE. Direi che gli applausi dei colleghi rimasti sono segno di stima, non solo nei suoi confronti, e anche di condivisione delle sue parole.
Anch'io colgo l'occasione per rivolgere un augurio di buone vacanze a voi, nonché al ministro Calderoli e al sottosegretario Brancher, che rappresentano il Governo. In particolare, vorrei rivolgere un ringraziamento ai funzionari, al Segretario generale, a tutti i dipendenti della Camera dei deputati, che con tanta professionalità hanno assistito i nostri lavori. Naturalmente, a loro e alle loro famiglie vanno gli auguri di una buona estate.
Il seguito della discussione è rinviato alla seduta del 13 settembre.
La seduta termina alle 18,55.
Allegato A
DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE: S. 2544 - MODIFICAZIONE DI ARTICOLI DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE (APPROVATO, IN PRIMA DELIBERAZIONE, DAL SENATO DELLA REPUBBLICA) (4862-A) E DELLE ABBINATE PROPOSTE DI LEGGE COSTITUZIONALE: ZELLER ED ALTRI; BIELLI; SPINI E ANGIONI; BUTTIGLIONE ED ALTRI; CONTENTO; COLA; PISAPIA; SELVA; SELVA; SELVA; BIANCHI CLERICI; PERETTI; VOLONTÈ; PISAPIA; LUSETTI ED ALTRI; ZACCHEO; MANTINI ED ALTRI; SODA; OLIVIERI E KESSLER; COSTA; SERENA; PISICCHIO ED ALTRI; BOLOGNESI ED ALTRI; PAROLI; BUONTEMPO; ZELLER ED ALTRI; COLLÈ; VITALI ED ALTRI; MAURANDI ED ALTRI; OLIVIERI; BOATO; STUCCHI; CENTO; MONACO; PACINI; CONSIGLIO REGIONALE DELLA PUGLIA; CONSIGLIO REGIONALE DELLA PUGLIA; CHIAROMONTE ED ALTRI; CABRAS ED ALTRI; MANTINI; LA MALFA; BRIGUGLIO ED ALTRI; FRANCESCHINI; PISAPIA; COSTA; PERROTTA ED ALTRI; FIORI (72-113-260-376-468-582-721-874-875-877-966-1162-1218-1287-1403-1415-1608-1617-1725-1805-1964-2027-2116-2123-2168-2320-2413-2568-2909-2994-3058-3489-3523-3531-3541-3572-3573-3584-3639-3684-3707-3885-4023-4393-4451-4805-5044)
QUESTIONI PREGIUDIZIALI PER MOTIVI DI COSTITUZIONALITÀ
La Camera,
premesso che:
i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità elaborati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, sin dalla sentenza 1146/1988, fanno parte dei principi supremi dell'ordinamento, non disponibili neanche per le revisioni della Costituzione e per le altre leggi costituzionali, approvate ai sensi dell'articolo 138 della Costituzione;
il terzo comma dell'articolo 60 della Costituzione, quale risulterebbe per effetto dell'approvazione dell'articolo 6 del progetto in esame, prevedendo la cosiddetta «contestualità affievolita» tra elezioni dei senatori della regione e del relativo consiglio regionale, costringerebbe il corpo elettorale a votare per un Consiglio regionale il cui mandato si limiterebbe a completare quello del Consiglio precedente per la sola esigenza dei senatori in carica di non vedere rinnovato anticipatamente il loro mandato; ne conseguirebbe pertanto un'irragionevole compressione del principio di sovranità popolare solennemente affermato dall'articolo 1 della Costituzione e indubbiamente ricompreso nella categoria dei principi supremi;
il secondo comma dell'articolo 70 come verrebbe modificato dall'approvazione dell'articolo 13 del progetto, prevederebbe che il Senato federale possa decidere in proprio su alcune categorie di leggi, tra cui quelle di principio nelle materie concorrenti, e ancor più che con la propria inazione possa impedire qualsiasi esame delle medesime alla Camera dei deputati, l'unica Assemblea che il corpo elettorale eleggerebbe in un'unica tornata nazionale al fine di costituire un rapporto fiduciario col Governo; pertanto anche in tal caso si verificherebbe un'indebita compressione della sovranità popolare con un'irragionevole contraddizione interna rispetto al riconoscimento alla sola Camera del rapporto fiduciario col Governo;
l'articolo 94 della Costituzione, come verrebbe modificato dall'articolo 28 del progetto, nel legittimo e condivisibile intento di rafforzare la posizione del Governo, fonde in modo abnorme tre istituti (la corsia preferenziale, la questione di fiducia e lo scioglimento) tra loro strutturalmente distinti e configura pertanto una lesione del principio di separazione dei poteri ponendo il potere legislativo alla mercé dell'esecutivo; per di più, in modo irragionevole, disciplina in modo diverso due fattispecie del tutto analoghe, consentendo, in caso di rigetto della fiducia, in combinato con l'articolo 88, la possibilità di una sostituzione del Premier a maggioranza invariata, mentre in caso di approvazione della mozione di sfiducia prevede soltanto lo scioglimento automatico;
il quarto comma dell'articolo 117 della Costituzione, come verrebbe introdotto dall'articolo 34 del progetto, definirebbe irragionevolmente come «esclusive» alcune competenze regionali, determinando con ciò una gravissima difficoltà interpretativa: nel caso della cosiddetta «polizia locale» con la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza; nel caso dell'organizzazione scolastica con le competenze esclusivo dello Stato in materia di norme generali sull'istruzione nonché di livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritti e coi principi fondamentali della legislazione concorrente sull'istruzione; infine, nel caso dell'assistenza e dell'organizzazione sanitaria con le competenze esclusive statali sui livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritti e con le norme generali sulla tutela della salute che sarebbero introdotte dal medesimo articolo. Appare palesemente irragionevole che sulla medesima materia insistano competenze plurime definite tutte come «esclusive», termine che preclude di per sé qualsiasi sovrapposizione;
delibera
di non procedere nell'esame del disegno di legge.
9/4862-A/1. Violante, Castagnetti, Boato, Giordano, Cusumano, Sgobio, Intini, Zanella, Leoni, Loiero, Bressa, Mascia, Amici.
La Camera,
premesso che:
la giurisprudenza della Corte costituzionale ha più volte affermato (in particolare nella sentenza n. 1146 del 1988 e da ultimo nella sentenza n. 2 del 2004) che le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, pur approvate secondo la procedura di cui all'articolo 138, che consente la revisione del testo della Costituzione e l'adozione di altre leggi aventi rango costituzionale, non possono contenere norme che contrastino con i principi supremi dell'ordinamento costituzionale;
la nozione di principi supremi traduce l'idea del nucleo essenziale e immodificabi1e della Costituzione italiana, per incidere sul quale non è sufficiente il ricorso al mero potere di revisione costituzionale, il quale è pur sempre un potere costituito, tenuto quindi ad operare nell'alveo della Costituzione;
ritenuto che:
il sistema di governo delineato nell'atto Camera n. 4862, pur animato dal condivisibile intento di stabilizzare il sistema costituzionale italiano e di porre termine alla lunga transizione apertasi con la riforma del sistema elettorale, dà luogo ad una concentrazione di poteri nelle mani della persona del primo ministro che non ha pari negli altri ordinamenti democratici, soprattutto in Europa e che correttamente è stata definita di Premierato assoluto;
a tale concentrazione senza precedenti di poteri nel Premier corrisponde una drastica riduzione dei poteri del Presidente della Repubblica, incrinando ulteriormente la valenza garantistica del sistema costituzionale, contribuendo ad accentuare lo scenario di squilibrio evocato;
la forma di governo che ne consegue lede il principio supremo della separazione dei poteri e mette in crisi lo stesso principio della sovranità popolare;
ne risulta una marginalizzazione della Camera dei deputati, la quale è ridotta al rango di organo di mera ratifica delle decisioni governative, soprattutto in ragione della assurda disposizione contenuta nell'articolo 94 della Costituzione, come modificato dall'articolo 28 del progetto di legge, che combina il voto bloccato e conforme sulle proposte legislative formulate o accettate dal Governo, con la questione di fiducia e con l'eventuale conseguente scioglimento anticipato, attentando gravemente alla libertà di voto dei parlamentari, consustanziale al principio della democrazia rappresentativa;
il procedimento di formazione delle leggi è disciplinato in modo da poter produrre una paralisi della decisione legislativa per tutti i casi in cui sia previsto l'assenso del Senato alle leggi votate alla Camera e per quelli in cui la posizione del Senato prevale su quella della Camera, con lo svuotamento dei poteri di questo ramo del Parlamento e con la conseguente lesione del principio supremo della democrazia rappresentativa e di quello dell'equilibrio fra i poteri (articoli 1 e 139 della Costituzione);
la cosiddetta «devoluzione» che viene realizzata mediante il nuovo testo dell'articolo 117, comma 4, come modificato dall'articolo 34 del progetto, traducendosi nel conferimento alle regioni di potestà legislative espressamente qualificate come esclusive in materia dì organizzazione scolastica, organizzazione e assistenza sanitaria e polizia locale, in un quadro in cui sono del tutto ignorati i principi di perequazione finanziaria di cui all'articolo 119, apre la via alla frammentazione della cittadinanza in senso sostanziale, che si traduce in un'intollerabile diseguaglianza (articolo 3 della Costituzione) nel godimento dei diritti fondamentali garantiti nella I Parte della Costituzione, fra i cittadini italiani residenti nelle diverse regioni: un risultato che contrasta con il prìncipio supremo dell'unità ed indivisibilità della Repubblica (articolo 5 della Costituzione);
delibera
di non procedere oltre nell'esame del disegno di legge.
9/4862-A/2. Castagnetti, Violante, Boato, Giordano, Intini, Sgobio, Cusumano, Zanella, Loiero, Bressa, Leoni, Amici, Mascia.
RESOCONTO
SOMMARIO E STENOGRAFICO
______________ ______________
505.
Seduta di lunedì 13 settembre 2004
presidenza
del Presidente
pierferdinando Casini
indi
dei vicepresidenti PUBLIO FIORI E fabio mussi
Seguito della discussione del disegno di legge costituzionale: S. 2544 - Modificazione di articoli della parte II della Costituzione (Approvato, in prima deliberazione, dal Senato) (4862) e delle abbinate proposte di legge costituzionale: Zeller ed altri; Bielli; Spini e Angioni; Buttiglione ed altri; Contento; Cola; Pisapia; Selva; Selva; Selva; Bianchi Clerici; Peretti; Volontè; Pisapia; Lusetti ed altri; Zaccheo; Mantini ed altri; Soda; Olivieri e Kessler; Costa; Serena; Pisicchio ed altri; Bolognesi ed altri; Paroli; Buontempo; Zeller ed altri; Collè; Vitali ed altri; Maurandi ed altri; Olivieri; Boato; Stucchi; Cento; Monaco; Pacini; Consiglio regionale della Puglia; Consiglio regionale della Puglia; Chiaromonte ed altri; Cabras ed altri; Mantini; La Malfa; Briguglio ed altri; Franceschini; Pisapia; Costa; Perrotta ed altri; Fiori (72-113-260-376-468-582-721-874-875-877-966-1162-1218-1287-1403-1415-1608-1617-1725-1805-1964-2027-2116-2123-2168-2320-2413-2568-2909-2994-3058-3489-3523-3531-3541-3572-3573-3584-3639-3684-3707-3885-4023-4393-4451-4805-5044) (ore 11,05).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge costituzionale, già approvato in prima deliberazione dal Senato: Modificazione di articoli della parte II della Costituzione e delle abbinate proposte di legge costituzionale di iniziativa dei deputati Zeller ed altri; Bielli; Spini e Angioni; Buttiglione ed altri; Contento; Cola; Pisapia; Selva; Selva; Selva; Bianchi Clerici; Peretti; Volontè; Pisapia; Lusetti ed altri; Zaccheo; Mantini ed altri; Soda; Olivieri e Kessler; Costa; Serena; Pisicchio ed altri; Bolognesi ed altri; Paroli; Buontempo; Zeller ed altri; Collè; Vitali ed altri; Maurandi ed altri; Olivieri; Boato; Stucchi; Cento; Monaco; Pacini; del Consiglio regionale della Puglia; del Consiglio regionale della Puglia; e dei deputati Chiaromonte ed altri; Cabras ed altri; Mantini; La Malfa; Briguglio ed altri; Franceschini; Pisapia; Costa; Perrotta ed altri; Fiori.
Ricordo che nella seduta del 3 agosto 2004 è iniziata la discussione sulle linee generali.
LUCIANO VIOLANTE. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIANO VIOLANTE. Signor Presidente, siamo di fronte ad una situazione alquanto singolare, almeno per quanto riguarda il settore delle riforme costituzionali, perché, sul piano generale dell'attività della Camera in questa legislatura, è già capitato più d'una volta che, giunti in Assemblea, abbiamo appreso che il testo approvato dalla Commissione non era più quello su cui la maggioranza ed il Governo intendevano fare affidamento. Infatti, stando alle informazioni giornalistiche, mi pare che il centrodestra intenda proporre modifiche abbastanza rilevanti al testo che la Commissione affari costituzionali ha approvato.
Per questo motivo, affinché la discussione non si svolga a vuoto, su un testo che non c'è più, per capirci...
DONATO BRUNO, Relatore. C'è, c'è!
LUCIANO VIOLANTE. ...ho già chiesto informalmente al ministro, il quale ha cortesemente aderito, ed ora chiedo formalmente a lei, signor Presidente, che il ministro possa indicare alla Camera il quadro generale in cui si collocano le proposte correttive nonché quali siano le loro linee di fondo; chiedo ciò affinché possa svolgersi un dibattito di merito che abbia effettivamente ad oggetto le questioni proposte.
Signor Presidente, a me sembra che il susseguirsi di bozze e di proposte sia frutto di un'idea della riforma costituzionale come risultato di uno scambio politico all'interno della maggioranza. Non mi pare che sia questo il modo di riformare la Costituzione. So che molti colleghi della maggioranza hanno inteso riproporre il metodo già seguito dal centrosinistra nella scorsa legislatura. Tuttavia, se abbiamo commesso un errore, non mi pare il caso di riproporlo, perché ciò accrescerebbe i difetti del sistema.
Signor Presidente, desidero ricordare che, nel 1996, il centrosinistra si presentò all'elettorato proponendo una Commissione bicamerale per realizzare le riforme con l'opposizione. Si vinsero le elezioni, si costituì la Commissione bicamerale e si lavorò con le opposizioni. Alla fine, tutte le forze politiche, eccettuate la Lega e Rifondazione comunista, approvarono un testo. Il Presidente del Consiglio Berlusconi affermò addirittura che quello era il più bel giorno della sua vita (non so se ne abbia avuti di migliori successivamente, ma, in quel momento, così affermò). Giunto il testo all'esame dell'Assemblea, la Camera approvò la riforma federale con i voti di tutti, meno quelli della Lega e di Rifondazione comunista. Quindi, l'attuale Presidente del Consiglio, allora capo dell'opposizione, dichiarò in aula che l'opposizione si ritirava dal processo costituente, non intendeva più partecipare alla riforma costituzionale.
Signor Presidente, lei ricorderà che i lavori si fermarono. Molti partner dell'opposizione non erano d'accordo, ma i lavori si fermarono: il centrosinistra fermò i lavori.
In seguito, vi fu una spinta potente dei presidenti delle regioni, di centrodestra come di centrosinistra. In un'intervista, il presidente Ghigo dichiarò: «Sono fermamente convinto che questa riforma stralcio debba essere fatta». Si parlava della riforma già approvata dalla Camera - la riforma federale - che non era più andata avanti. A quel punto, il centrosinistra presentò il progetto di legge, le cui vicende furono molto travagliate: esso venne approvato, con soli quattro voti di scarto, con il voto contrario di tutta l'opposizione e quello favorevole della sola maggioranza.
L'errore fu quello di considerarsi maggioranza costituente, essendo in una fase di crisi politica. Tuttavia, dal punto di vista del rapporto tra maggioranza ed opposizione, credo che sia stato fatto tutto il possibile nella scorsa legislatura. Fu l'opposizione a ritirarsi dal processo costituente, non fu la maggioranza a tenerla fuori, com'è accaduto, invece, in questa legislatura!
Signor Presidente, la richiesta che abbiamo rivolto al ministro si basa anche sul comportamento da noi tenuto in Commissione. In Commissione l'opposizione ha presentato un centinaio di proposte emendative. La maggioranza ne ha presentate circa trecento. Mi sembra, dunque, che abbiamo manifestato il chiaro intento di realizzare una riforma positiva della Costituzione. A questo punto, si può operare solo avendo a disposizione un quadro chiaro. Al segretario dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, che invita l'opposizione ad approvare le proposte emendative del suo gruppo, rispondiamo che siamo disponibili; naturalmente le esamineremo. Se ne varrà la pena, le voteremo, come credo sia stato fatto anche in Commissione prima che altre proposte emendative fossero ritirate.
La nostra linea politica è quella di confrontarci, di capire bene cosa è stato realizzato. Non consideriamo la maggioranza di Governo una maggioranza costituente autosufficiente (a nostro avviso, sta qui la radice dell'errore profondo). È difficile rimediare dopo tre anni a ciò che non è stato fatto, ma siamo disponibili ad un confronto chiaro; vogliamo però conoscere con chiarezza il quadro delle proposte che il Governo presenterà.
Per questo motivo, la prego di valutare insieme al ministro quando quest'ultimo intenda esporre le linee di modifica del testo approvato dalla Commissione.
PRESIDENTE. Onorevole Violante, come le è noto, in base al regolamento, nell'ambito della discussione sulle linee generali, l'intervento del Governo è previsto all'inizio, dopo lo svolgimento della relazione da parte del relatore, e alla fine della medesima, in sede di replica. Peraltro, visto che tutti leggiamo i giornali e tutti sappiamo che sono state apportate determinate modifiche (almeno così è stato preannunciato) al testo all'esame del Parlamento, credo che la proposta da lei avanzata sia di buonsenso; essa non confligge con i tempi previsti, che restano tali. È chiaro che se il Governo è disponibile - lo chiedo al ministro Calderoli -, la Presidenza è assolutamente d'accordo a consentire lo svolgimento di un intervento integrativo da parte del Governo.
ROBERTO CALDEROLI, Ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ROBERTO CALDEROLI, Ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione. Signor Presidente, credo che la richiesta avanzata dal presidente Violante sia assolutamente giustificata e condivisibile nella sua prima parte. Quindi, il Governo si dichiara disponibile ad illustrare le modifiche che saranno sottoposte all'esame del Parlamento e che mirano a realizzare una riforma costituzionale che non sia solo della maggioranza. Infatti, durante la pausa estiva, sono state valutate le proposte presentate dall'opposizione in Commissione, cui devo dare atto di aver assunto un comportamento responsabile. Auspico che lo stesso discorso si possa fare anche rispetto all'esame dell'Assemblea.
Fermo restando che lavoreremo sul testo approvato dalla Commissione con le modifiche che sottoporremo all'esame dell'Assemblea, potrei dare la mia disponibilità per le ore 15,30 di oggi, per fare una sintesi di queste proposte, che si tradurranno in proposte emendative di iniziativa parlamentare da presentare entro i termini fissati, ovviamente con l'accordo che nulla venga modificato rispetto al calendario dei lavori e alla discussione sulle linee generali.
PRESIDENTE. Gli iscritti a parlare nella discussione sulle linee generali di questa mattina sono gli onorevoli Perrotta, Banti, Giordano, Guido Giuseppe Rossi e Mascia. Chi di questi colleghi intende intervenire questa mattina, può farlo tranquillamente; gli altri potranno farlo alla ripresa pomeridiana della seduta. Alle 15,30 ascolteremo il ministro.
(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 4862 ed abbinate)
PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione sulle linee generali.
È iscritto a parlare l'onorevole Perrotta. Ne ha facoltà.
ALDO PERROTTA. Signor Presidente, a dire la verità, sia la richiesta dell'onorevole Violante sia quella del ministro si integrano e la sua proposta è talmente logica che la condivido nel momento stesso in cui inizio a parlare.
Senza fare alcuna polemica, vorrei ricordare che, rispetto agli strombazzamenti di questa estate rispetto alla grande distruzione dello Stato che avrebbe portato la nostra devolution, tale iniziativa parte da lontano. Mi riferisco al tempo del Governo D'Alema, che, nel tentativo di fermare un po' le spinte autonomistiche che vi erano all'interno delle regioni, fece quella riforma (strombazzandola a destra e a sinistra), che era sicuramente insufficiente; ne fu prova evidente il fatto che gli stessi esponenti della maggioranza di allora dissero che era l'unica cosa che erano riusciti a fare, nella maniera meno peggiore possibile, considerato il momento politico. Ebbene, noi oggi ci accingiamo a continuare il lavoro, migliorando notevolmente e definendo meglio la devolution.
Io credo che i principi ispiratori che hanno mosso questo Governo siano stati sicuramente di grande valore. Vorrei però fare alcune considerazioni, riservandomi di intervenire nuovamente nel prosieguo del dibattito, dopo aver ascoltato il ministro.
Io mi auguro che nel testo definitivo venga eliminata la rappresentanza dei senatori nella quota estera. Infatti, visto che il Senato federale ha una grossa e specifica articolazione-impostazione regionale, non capisco in quale quota regionale metteremo - quella rappresentanza di senatori, di quale regione saranno espressione. Credo comunque che anche all'interno della maggioranza - sentivo anche il ministro Calderoli al riguardo - ci sia una forte intenzione di accettare questa impostazione. Credo inoltre che, proprio per la specificità regionale del Senato, noi abbiamo necessità di integrarlo con delle rappresentanze locali.
Permettetemi un'ulteriore considerazione, anche se sembrerà banale. Io credo che il Presidente della Repubblica non debba nominare i senatori a vita, ma i senatori od i parlamentari per la legislatura. Infatti, a cosa ci può servire - se non dal punto di vista della onorificenza personale - un senatore a vita che viene una volta ogni quattro, cinque anni al Senato? L'età si fa avanzata, ci sono gli acciacchi, si ha necessità di riposo. Quindi, per il Senato o per il Parlamento non avremmo quella capacità specifica per cui è stato nominato il parlamentare a vita. Il Parlamento deve avere anche il piacere di sfruttare le capacità intellettuali di queste persone (e questo, fatemelo dire, a 90, 95 anni, non è più possibile). Quindi, la proposta, che poi ho trasformato in un emendamento, è quella di far nominare non i senatori a vita ma quelli per la legislatura.
Ho visto poi una grande novità: si istituzionalizza finalmente nella devolution il rappresentante dell'opposizione. Questa è una cosa sottovalutata. Ma pensiamoci bene, colleghi: è la prima volta che nella storia della Repubblica italiana il rappresentante della opposizione viene istituzionalizzato. Esso viene istituzionalizzato per la prima volta al mondo! Non c'è nessuna nazione europea (mi sono andato a guardare questa estate tutte le Costituzioni), non c'è nessuna Costituzione neanche tra quelle delle nazioni da poco entrate in Europa (purtroppo quelle africane non le ho potuto esaminare, ma ho letto quella colombiana, quella messicana, quella peruviana), non c'è nessuna nazione al mondo (neanche quella americana!) che prevede il rappresentante dell'opposizione.
E guardate il grande passo in avanti: il presidente delle commissioni di controllo appartiene alle opposizioni. Ma quando mai ce lo siamo sognati! Quando mai! Anche nei momenti di grande assemblearismo della nazione, anche nei momenti di compromesso storico, non ci siamo mai sognati di attribuire la funzione di controllo all'opposizione. E questo credo vada a grande onore della maggioranza, che, nel momento in cui è maggioranza, attribuisce la funzione di controllo all'opposizione. Certo, noi ci auguriamo di restare sempre maggioranza e, per questo, credo che stiamo facendo una forma di karakiri.
Ma noi siamo per la devolution nel senso pieno del termine, e di ciò va dato atto ai «saggi», che hanno duramente lavorato ed hanno mostrato la loro volontà di varare effettivamente una riforma costituzionale che presenti anche elementi di notevole democraticità.
Permettetemi di suggerire anche ulteriori elementi, che ritengo non possano rimanere fuori da questa riforma. Dobbiamo, infatti, riservare allo Stato la competenza esclusiva nelle materie dell'energia e delle reti, anche se, in base a notizie di stampa, so che si tratta di una questione sulla quale, nel corso di questi ultimi giorni, si è lavorato.
Permettetemi, inoltre, di formulare una breve considerazione. Tutti noi ci siamo dimenticati, anche in occasione dell'approvazione della cosiddetta legge Tremaglia, che i cittadini eletti dalla Circoscrizione estero devono pagare le tasse: Pertanto, nell'ambito della riforma costituzionale dobbiamo inserire il requisito della residenza in Italia, poiché altrimenti, per quanto ne sappia, non potranno pagare né la tassa regionale, né quella comunale.
Inoltre, se in qualità di parlamentari volessero assumere qualcuno, non avendo la residenza probabilmente non potrebbero neanche farlo, o perlomeno risulterà complicato: allora, dovremmo dare alla normativa una certa interpretazione. Pertanto, partendo dal principio anglosassone per cui un cittadino che non paga le tasse non può votare, dobbiamo prevedere - mi sono permesso di farlo con le proposte emendative che ho presentato - che i cittadini eletti all'estero debbano possedere il requisito della residenza.
Per noi è naturale, poiché paghiamo le tasse e lo sappiamo; tuttavia né gli uffici della Camera dei deputati, né quelli della regione Lazio mi hanno potuto confermare che un cittadino che possiede solo la cittadinanza senza avere la residenza debba pagare le imposte: ciò non è possibile. Tale cittadino, infatti, potrà versare i contributi all'INPS e all'INAIL, ma non potrà pagare né l'addizionale Irpef regionale, né quella comunale. Immaginiamoci un senatore o un parlamentare, eletti nella Circoscrizione estero, che non paghino tali imposte: sarebbe un caso assurdo! Inoltre, tale parlamentare non è soggetto nemmeno al pagamento dell'imposta sui rifiuti solidi urbani e di una serie di tasse minori!
Vorrei soprattutto evidenziare un dato. Se tale parlamentare dovesse essere querelato, dove dovrebbe essere sporta la querela: a Bogotà? Ciò non è possibile, e pertanto egli deve avere in Italia la residenza anagrafica. Vorrei segnalare, pertanto, che ho presentato proposte emendative anche su tale argomento.
Se mi permettete, vorrei ringraziare la I Commissione della Camera dei deputati ed i cosiddetti saggi, perché hanno dovuto subire numerose, ingiuste critiche. In Italia, infatti, abbiamo l'abitudine non di leggere le carte e di studiarle, bensì di ottenere le informazioni dalla stampa. Pertanto, del loro pensiero abbiamo il riassunto del riassunto, elaborato da un giornalista! Al giornalista viene fatto un riassunto da parte del ministro competente, ma sul giornale viene pubblicato un altro riassunto, riguardo al quale muoviamo le nostre obiezioni!
Onorevoli colleghi, avete letto l'impianto del disegno di legge? Ho letto sui giornali critiche di norme che nell'impianto del provvedimento presentato alla Camera dei deputati non c'erano assolutamente! Ho letto critiche insussistenti, perché nel testo era scritto esattamente il contrario di quanto affermato dalla stampa! Allora, dobbiamo assumere una buona abitudine, perché ciò non è accaduto solo in occasione della devolution. Ciò accade spesso: è avvenuto, ad esempio, in occasione del decreto-legge concernente l'Alitalia e sul disegno di legge di riforma previdenziale.
Al riguardo, ricordo che dissi al Presidente che era inutile proseguire questa sceneggiata, perché ciò che viene detto in sede di Commissione, viene smentito nella Commissione stessa, poi viene corretto nella stessa sede, ma poi si giunge in aula e si ripetono sempre le stesse cose!
Non vorrei che anche questo dibattito - e concludo, signor Presidente - finisse nello stesso modo. Attendo di conoscere il lavoro svolto negli ultimi giorni, ma credo che la sede opportuna di dibattito sarà in occasione della presentazione delle proposte emendative, perché questa è la prassi istituzionale. Auspico, allora, che aspetti migliorativi del testo in esame - che, da quanto accennato precedentemente dal signor ministro e dal presidente della I Commissione, credo siano stati in parte già presentati - siano ben accolti.
Affermo ciò anche perché, su tale argomento, i deputati del gruppo di Forza Italia sono stati convocati ed ascoltati dal presidente del gruppo, che ha fornito spiegazioni ed ha risposto alle domande avanzate. Al riguardo, vorrei evidenziare che il lavoro svolto dal presidente della Commissione è stato straordinario, perché ha dimostrato una grande pazienza, ascoltando tutti ed anche «sopportando» tutti.
Ricordo che ho chiesto per tre volte che mi venisse spiegato il contenuto di un articolo, perché avevo sempre dubbi.
Credo che se scrivessimo tutte le norme così come abbiamo fatto per la devolution, con il tempo che abbiamo preso per esaminarla, probabilmente assisteremmo a minori contrasti in Parlamento, perché vi è stato il tempo di approfondire, di ascoltare e di ripetere. Mi auguro altresì, anche per l'atteggiamento che ho notato nel presidente Violante, che questa sia una normativa che, nell'interesse di tutti, sia varata nel modo migliore e, soprattutto, con la maggioranza più ampia possibile (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Banti. Ne ha facoltà.
EGIDIO BANTI. Signor Presidente, la Costituzione repubblicana del 1947 affonda le sue radici nella lotta di liberazione nazionale e nella Resistenza al nazifascismo e porta a compimento il processo unitario dello Stato, avviato nel secolo precedente, col Risorgimento. Anche per questo, la Resistenza del periodo 1943-1945 è spesso definita come «il secondo Risorgimento della nazione italiana».
La previsione del sistema regionale, attuato all'inizio degli anni Settanta dal centrosinistra di allora, nonostante la forte opposizione - anche ostruzionistica - della destra politico-parlamentare, s'inseriva in modo compiuto in tale cammino unitario. Esso sottolineava l'esigenza di rispettare e di valorizzare le autonomie, ma in un quadro compiuto, ed anzi esaltato, di unità nazionale. In tale prospettiva si ritrovavano le forze risorgimentali, ed anche quelle forze cattoliche che, rimaste in gran parte ai margini del cammino unitario, avevano trovato nell'insegnamento e nell'azione di Luigi Sturzo il valore delle autonomie locali.
Oggi si parla di federalismo. Un federalismo inteso come regionalismo rafforzato è già iscritto nel cammino politico-costituzionale degli anni Novanta e nelle modifiche al Titolo V della Costituzione, approvate dal Parlamento sul finire della scorsa legislatura e, poi, ratificate nel referendum confermativo. Tali modifiche possono di sicuro essere migliorate e meglio adattate all'insieme del sistema legislativo e normativo del nostro paese, anche allo scopo di ridurre i contenziosi, ma vanno considerate come un modello di riferimento perfettamente compatibile con lo spirito e con la lettera della Costituzione. Non così si può dire - a nostro avviso - di alcune delle caratteristiche del cosiddetto federalismo che l'attuale maggioranza politico-parlamentare intende introdurre, con il provvedimento oggi al nostro esame. Scuola, sanità e polizia locale sono elementi importanti dello Stato di diritto e del modello sociale di riferimento di una nazione. Le regioni, in Italia, sono venti: quindici a statuto ordinario e cinque a statuto speciale. È del tutto evidente che un federalismo fondato su un numero così rilevante di soggetti istituzionali può ben comprendere, rafforzandole, le competenze e le funzioni che la Costituzione, anche come oggi modificata, assegna alle regioni: lo può fare, ma non possono esistere venti sistemi sanitari, venti sistemi scolastici e venti polizie locali.
Sembra, dunque, evidente che l'obiettivo - del resto, mai del tutto nascosto - da parte della maggioranza, in particolare dalla componente che si riconosce nel programma politico della Lega Nord, non sia quello di un sistema con venti regioni - alcune delle quali, peraltro, sono assai piccole per territorio e per risorse disponibili - quanto un diverso modello macroregionale, che abbia al suo centro la Padania. In tale sistema, sanità, scuola e polizia potrebbero essere devolute, con passaggi successivi - alcuni dei quali già ipotizzati nel testo attuale - ad aggregati istituzionali di nuova formazione, non certo alle attuali regioni, perché altrimenti il sistema non funzionerebbe. In tal modo, però, si tornerebbe molto indietro rispetto allo stesso cammino risorgimentale, minando alle radici e non aggiornando ai tempi nuovi, come invece possibile e doveroso, lo spirito costituente del secondo dopoguerra, ed anche il confronto con l'Europa ne risulterebbe indebolito per l'insieme della nazione italiana.
Il gruppo della Margherita, pertanto, non intende sostenere un progetto del genere ed è convinto che esso non sia per nulla maggioritario, né nel paese né in questo Parlamento. Ci proponiamo, quindi, di sviluppare il confronto parlamentare, per ottenere significative modifiche volte a mantenere la Costituzione della Repubblica nel solco fecondo di quel patto costituzionale che, all'indomani della guerra e della lotta di liberazione, ha garantito quasi sessant'anni di pace, di democrazia e di sviluppo al nostro paese.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Guido Giuseppe Rossi. Ne ha facoltà.
GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Signor Presidente, signor ministro, nel mio intervento in sede di discussione sulle linee generali del disegno di legge costituzionale presentato dal Governo cercherò di non soffermarmi particolarmente su aspetti puntuali del provvedimento, sulle soluzioni prospettate, sulle proposte di ingegneria costituzionale avanzate, sulle modifiche che, rispetto al testo pervenuto dal Senato della Repubblica, sono già state apportate dalla Commissione affari costituzionali, su quelle che saranno apportate nei prossimi giorni, anche a seguito dell'ampio dibattito svoltosi nel corso della pausa estiva e dei lavori coordinati dal ministro Calderoli nonché sulle ulteriori modifiche che eventualmente potranno essere approvate in Assemblea. Nel mio intervento, invece, vorrei soffermarmi soprattutto sullo scenario generale che ha portato alla necessità di modificare molto profondamente con questo disegno di legge la nostra Costituzione e, soprattutto, sui temi e sulle problematiche che negli ultimi quindici o venti anni si è tentato di risolvere o a cui, quanto meno, si è tentato di fornire risposte da sinistra, da destra e dal centro. Infine, vorrei riferirmi anche alle ricorrenti critiche mosse a questo disegno di riforma, critiche che, a nostro avviso, non colgono la necessità di confrontarsi in maniera positiva con questo processo riformista, ma spesso e volentieri rispondono alla ben più dura ed arida legge della propaganda e della denigrazione politica del progetto degli avversari, a fini esclusivamente e meramente elettorali ed elettoralistici.
Per quanto riguarda le ragioni di fondo per cui si avverte la necessità di modificare così profondamente o quanto meno in maniera importante la nostra Costituzione, ad avviso del nostro gruppo parlamentare la risposta è molto semplice e molto chiara: la Costituzione italiana, che nasce nel dopoguerra e che è intimamente e profondamente legata al clima del dopoguerra, soprattutto nei suoi aspetti relativi alla forma di Stato e di governo, mostra tutti i suoi anni. Sembra quasi una banalità, ma non lo è: l'Italia di oggi non è più l'Italia di sessant'anni fa e, di conseguenza, a nostro avviso, è giusto, necessario ed utile che anche la Costituzione di questo paese possa e debba essere modificata.
L'affermazione per cui la Costituzione può e deve essere modificata poiché il nostro paese è cambiato profondamente non può essere contrabbandata come una volontà iconoclasta o addirittura, tra virgolette, «revisionista» di questo Governo di centrodestra nei confronti della Costituzione nata dalla Resistenza e dalle ceneri della dittatura fascista. Non può essere contrabbandata in questo modo, perché negli ultimi vent'anni tantissimi sono stati i tentativi di modificare la Costituzione, tentativi giunti, come ricordavo prima, da destra, dal centro e da sinistra. Tantissimi sono stati i dibattiti, le pubblicazioni, i disegni di legge, le Commissioni bicamerali che abbiamo ricordato prima. Gli stessi progetti di legge abbinati al disegno di legge governativo, che provengono da singoli parlamentari e da gruppi parlamentari di destra e di sinistra, sottolineano ancora una volta come la volontà di cambiare la Costituzione sia condivisa dall'intero panorama politico italiano. Purtroppo, questa mole di lavoro negli ultimi vent'anni non ha portato a risultati concreti, se si esclude la parziale riforma del Titolo V della Costituzione operata dal centrosinistra nella scorsa legislatura.
In ogni caso, questa mole di lavoro ha messo in evidenza un dato inconfutabile, ossia che esiste la necessità di modificare la nostra Costituzione. La Casa delle libertà userà tutti gli strumenti offerti dalla Costituzione vigente - mi riferisco, in particolar modo, alla procedura stabilita dall'articolo 138 della Costituzione - nonché gli strumenti politici a disposizione, con la possibilità di arrivare anche ad un'intesa con settori dell'opposizione, per dare una risposta a questa esigenza di cambiamento.
La storia politica recente - ma, a nostro avviso, anche in futuro questo sarà delineato in maniera più chiara - indica il ruolo guida svolto dalla Lega Nord Federazione Padana e da Umberto Bossi nel processo riformista.
La Lega Nord Federazione Padana nasce per portare a compimento la riforma costituzionale, con un interesse preponderante rispetto alla forma di Stato, tradotto attraverso l'opzione federalista, ovvero nasce dalla volontà di distribuire il potere fra i diversi soggetti che compongono la Repubblica: lo Stato centrale, le regioni, i comuni e le città metropolitane, al fine di attribuire maggiore capacità di autogoverno e maggiori responsabilità al territorio.
È questa la via, a nostro avviso, per evitare gli sprechi, le diseguaglianze sociali e per modernizzare il paese, dal momento che, cambiando la società e globalizzandosi sempre di più il mondo, occorre essere competitivi all'interno di questo nuovo scenario. Occorre modernizzare il paese, così ricco di potenzialità, e purtroppo, specularmente, così povero di senso dello Stato, inteso come rispetto di un interesse comune che travalichi gli interessi del «campanile», della categoria e della «bottega».
Dobbiamo anche sottolineare come il processo di riforma costituzionale in questo paese non sia ancora avvenuto in senso compiuto, mentre ciò è accaduto in maniera profonda negli altri paesi europei. Possiamo pensare alla Francia che, con l'esperienza del generale De Gaulle nel 1958, abbandona le sabbie mobili del parlamentarismo e si avvia all'esperienza della Quinta Repubblica, con il modello semipresidenziale. Possiamo pensare alla Spagna che viene fuori dall'esperienza autoritaria di Franco e subito, con grande coraggio, imbocca la via dell'innovazione, adottando il modello di una monarchia costituzionale basata sull'autonomia, sul regionalismo e su forme di semifederalismo molto avanzate: si tratta del modello delle Comunità autonome, con i poteri e le competenze che hanno in particolare la Comunità autonoma dei Paesi Baschi o della Catalogna.
Lo stesso Regno Unito, che non dispone di una Costituzione scritta nel senso classico inteso nei sistemi costituzionali continentali europei, ma che si basa su un'esperienza consuetudinaria, negli ultimi anni ha innovato molto attraverso la devolution, termine importato nella nostra esperienza, attribuendo i poteri dello Stato centrale alla Scozia, al Galles, ed aprendo il dibattito sulla funzione della seconda Camera dei Lord: anche in questo caso, vi è tutto un processo di rinnovamento importante e profondo.
La stessa Germania negli ultimi anni ha modificato più volte la propria Costituzione: soprattutto, occorre ricordare come la Germania, uscendo dall'esperienza del totalitarismo nazista, muti radicalmente la propria forma di Stato, passando da un modello fortemente centralista ed autoritario, come era quello nazista, ad un modello tendenzialmente federale, basato su una forte autonomia degli Stati federati tedeschi, tanto da equilibrare le ragioni di questi ultimi alle necessità di unità e di efficienza di tipo centrale. Qualcuno è arrivato a definire la Repubblica federale tedesca come uno Stato federale unitario, con una singolare definizione che, a mio avviso, rende bene l'idea.
Nulla di tutto questo è avvenuto in Italia: il passaggio dall'esperienza fascista alla democrazia ha sancito ovviamente il ritorno alla democrazia parlamentare, con una scelta assai chiara per quanto riguarda la forma di Governo. Si è scelto tuttavia un regime parlamentare con bicameralismo perfetto e quindi con una capacità di influenza molto significativa da parte delle Assemblee elettive sul potere esecutivo che, come conseguenza, ha portato instabilità negli ultimi cinquant'anni, con gli oltre 50 governi che si sono succeduti alla guida del paese.
Invece, per quanto riguarda la forma di Stato, nel 1946 non fu compiuta una scelta rivoluzionaria, ma una scelta di conservazione. La Repubblica italiana conservò la forma di Stato ereditata dallo Stato liberale unitario e, precedentemente, dall'esperienza dei Savoia e dal modello centralista napoleonico: si tratta di un sistema basato sul potere delle prefetture e sulla supremazia della burocrazia ministeriale. La stessa introduzione delle regioni non mutò sostanzialmente tale impostazione, tant'è che per oltre vent'anni l'attuazione delle regioni fu ostacolata. Fino a dieci anni fa, quando arrivò il vento del nord riformista della Lega, che è riuscito a dare, anche a Costituzione vigente, un protagonismo normativo e politico molto più incisivo alle regioni, queste ultime erano enti burocratici con un impatto molto limitato sulla politica del nostro paese.
Dunque, la condivisione di cambiare profondamente la Costituzione è ormai un patrimonio acquisito. Pochissimi sono coloro i quali, anche se legittimamente, hanno il coraggio di dire che la Costituzione va bene così com'è e che non deve essere assolutamente modificata. Ripeto, sono pochissimi, ed a loro va anche l'onore dell'onestà intellettuale. Non pochi, invece, sono coloro che, probabilmente, nulla vogliono cambiare e si appigliano alle questioni di carattere tecnico ed alle soluzioni di ingegneria costituzionale per rallentare il processo riformista. L'intento è chiaramente quello di bloccare le possibili riforme, condivisibili o meno, che si vogliono introdurre nel nostro paese. Ciò fa parte del deleterio costume e dell'ipocrisia politica di questo paese: la classe dirigente, fino ad oggi, non ha avuto il coraggio di rapportarsi in maniera diretta con i cittadini e gli elettori e di confrontarsi sui temi molto chiari. Vi è chi vuole cambiare la Costituzione e chi non vuole cambiarla: si tratta di posizioni assolutamente legittime ma devono essere espresse nella più totale chiarezza mentre, a nostro avviso, devono essere bandite le posizioni poco chiare, i «doppiogiochisimi» e tutte le operazioni che vogliono bloccare la possibilità di cambiare il paese e, dunque, la Costituzione, che è lo scheletro su cui si regge lo Stato.
Concluso il discorso sull'aspetto generale, vorrei analizzare brevemente le questioni costituzionali affrontate dalla riforma in esame. Innanzitutto, si tratta del superamento del bicameralismo perfetto. Quest'ultimo è nato nel dopoguerra con la volontà molto chiara di costruire un sistema di contrappeso al potere esecutivo perché si usciva dall'esperienza traumatica della dittatura fascista. Dunque, in quel momento ha avuto una sua logica ed una sua importanza ma, con il passare degli anni, con l'evoluzione della società, con la velocizzazione dei rapporti, il bicameralismo perfetto ha mostrato tutte le sue pecche. Mi riferisco, in particolare, all'incapacità di dare una risposta veloce dal punto di vista legislativo: spesso si verifica il rallentamento dei lavori parlamentari in estenuanti navette che, talvolta, non rispondono all'esigenza di migliorare il testo dal punto di vista normativo ma ad esigenze «corporative» - lo dico tra virgolette - con una Camera che tenta di imporre la propria visione o la propria supremazia rispetto all'altra.
Dunque, superare il bicameralismo perfetto è un imperativo, al quale dà una risposta proprio il disegno di riforma costituzionale che stiamo esaminando. Nel nuovo impianto costituzionale vi sarà sempre un sistema parlamentare, ma questo non sarà più un sistema bicamerale perfetto. Ci saranno infatti due Camere, elette con sistemi probabilmente diversi ed anche con compiti profondamente diversi: la Camera dà la fiducia politica al Governo, mentre il Senato svolge altre importanti funzioni, che sono di rapporto con le regioni e rispondenti a dinamiche diverse ed indipendenti dall'esistenza del Governo.
La seconda questione riguarda una maggiore operatività ed una maggiore stabilità dei Governi. Fino alla fine della cosiddetta Prima Repubblica ogni Governo durava poco (otto, nove, dieci o undici mesi); con l'avvento del sistema elettorale maggioritario si è prodotto un certo miglioramento, anche se l'esperienza dell'Ulivo è stata traumatica, con tre Presidenti del Consiglio nell'arco della XIII legislatura. Questa legislatura si sta invece avviando - questo è anche un augurio - ad avere un solo Esecutivo ed un solo Presidente del Consiglio per la sua intera durata. La risposta al problema della stabilità governativa finora è sempre passata attraverso la legge elettorale: si pensava che, modificando la legge elettorale, automaticamente si arrivasse ad una maggiore stabilità di Governo. Abbiamo visto però che non è del tutto così, perché i problemi sono molto più profondi. Questo disegno di legge di riforma costituzionale tenta proprio di dare una risposta al problema della stabilità di Governo, concedendo alcuni poteri ed alcune facoltà aggiuntive al Presidente del Consiglio (o al Primo ministro, nella dizione forse più esatta).
La terza questione è quella regionale e federale, che rappresenta, per così dire, la ragione sociale della Lega nord negli ultimi 15 anni, da quando cioè essa è comparsa sulla scena politica nazionale. Si tratta di un tema al quale tutti, o perlomeno tanti, hanno tentato di dare una risposta, ma è al tempo stesso un tema sul quale si esercita l'ipocrisia politica della classe dirigente di questo paese. Infatti, mentre pochissimi hanno il coraggio di dire che non bisogna dare più autonomia alle regioni e che non bisogna andare verso una svolta federale nel nostro paese, tutti, o tanti (comunque non pochi), si nascondono dietro una serie di motivazioni, spesso e volentieri pretestuose - che più avanti elencherò -, che non fanno chiarezza nei confronti dei cittadini. La Lega nord è, invece, nata soprattutto attorno ad un progetto politico di questo tipo ed ha quindi, al riguardo, le idee molto chiare: a nostro avviso, è bene che questo paese continui nel suo processo federalista (se così lo vogliamo definire), che è un processo nato a Costituzione vigente già negli anni novanta - e, al di là delle critiche, ha fatto forse qualche piccolo passo avanti con la riforma del titolo V della Costituzione - e che noi, con l'attuale riforma al nostro esame, vogliamo assolutamente lanciare come tema fondamentale per la rinascita del paese.
Con riferimento alle critiche, queste le definiamo pretestuose, in quanto collegate solamente ed esclusivamente ad una logica elettoralistica, che è quella di colpire le idee dell'avversario politico non perché tali idee possano o debbano essere colpite, ma soltanto per privare l'avversario politico di una possibile, se non probabile, arma elettorale, in quanto a mio avviso chi riuscirà a cambiare questo paese (ovviamente in meglio) riceverà un consenso elettorale da parte dei cittadini, i quali hanno bisogno ovviamente non di stravolgimenti, ma di vedere che comunque in questi anni qualcosa cambia. Dunque, le critiche sono le solite: il federalismo costa. Questo ormai è diventato una specie di mantra, di litania, che viene ripetuta da tanti: sindacalisti, imprenditori, uomini politici dell'opposizione (qualcuno anche della maggioranza, a dir la verità).
Il federalismo moltiplica i costi: vi sono varie cifre al riguardo, poiché ogni centro studi ne propone le più disparate: 10, 20, 60, 80 miliardi di euro (chi più ne ha, più ne metta!). Ma, signori miei, quanto è costato il centralismo fino ad oggi al nostro Stato? La risposta è molto chiara: due milioni di miliardi di vecchie lire, se non di più, che rappresentano il nostro debito pubblico, il più alto rispetto a quello registrato nei paesi dell'Unione europea. Questo è stato il costo del centralismo in questi cinquant'anni (è una cifra che possiamo anche quantificare!). Ci è costato in inefficienza, in spreco di risorse, che sono state usate per l'assistenzialismo e non per la crescita, legittima, di quei territori che, per diverse motivazioni storiche, economiche e sociali, devono ancora essere aiutati.
Dunque, il centralismo fino ad oggi ha presentato dei costi (è un dato chiarissimo). In tale contesto si può aprire un dibattito su quale sarà l'impatto del federalismo sulle finanze dello Stato. Ovviamente, a tale riguardo, abbiamo una visione sicuramente positiva; non si può certamente cambiare la situazione dall'oggi al domani, ma, a nostro avviso, il federalismo farà risparmiare soldi allo Stato, innanzitutto perché apporterà efficienza, mettendo i cittadini in relazione con i livelli locali, comunali, provinciali e regionali, anche con le città metropolitane. Collegherà, inoltre, i centri da cui saranno prelevate le imposte con i centri di spesa; ciò è avvenuto fino ad oggi in modo assolutamente parziale, comportando sprechi e dilapidazione di risorse che non hanno avviato lo sviluppo.
Nel sud si è preoccupati (qualcuno è in malafede, qualcun altro in buonafede) del fatto che il federalismo avrà un impatto negativo su tale parte del paese, ma la domanda che ci poniamo è la seguente: il centralismo ha apportato sviluppo al Mezzogiorno d'Italia? La risposta la conosciamo: si è registrato poco sviluppo, nonché poca capacità di creare un tessuto economico e sociale competitivo. Pertanto, si tratta di un sistema che ha fallito.
È per tale motivo che proponiamo un altro modello (lo chiamiamo federalismo anche per capirci meglio) che attribuirà alle classi dirigenti, alle classi politiche, ma anche a quelle sociali ed economiche, al tessuto vivace del paese, la capacità di potersi sviluppare e svincolare dalla tutela dello Stato centrale. E se ciò sicuramente per alcuni può essere positivo sotto il profilo dell'assistenzialismo e della distribuzione di risorse a pioggia, gestite probabilmente dalle solite élite locali, per altri può rappresentare anche un mancato sviluppo e mancata capacità di essere competitivi in questo paese.
La seconda obiezione che viene mossa è che modifiche così profonde alla Costituzione non possono essere concepite utilizzando i meccanismi previsti dalla Costituzione attuale, vale a dire con l'articolo 138, previsto dai costituenti come un meccanismo di modifica parziale o limitata di alcuni aspetti del testo costituzionale.
Anche a nostro avviso si tratta di un'obiezione che ha poco fondamento. È, infatti, il solito artifizio per rallentare la possibilità di varare riforme; a volte si propone di costituire una sorta di Assemblea costituente, araba fenice che, negli ultimi vent'anni, a turno, a destra ed a sinistra, viene rispolverata, ma che poi non trova una base comune, perché le Assemblee costituenti si costituiscono nei momenti storici importanti di grande travaglio, al termine di una guerra o dopo momenti di fratture profonde nel paese.
L'Italia non si trova in queste condizioni e, pertanto, dobbiamo ricorrere agli strumenti che ci propone la Costituzione, ovviamente in uno spirito collaborativo. A norma, infatti, della stessa, se una riforma costituzionale viene approvata con i due terzi dei componenti della Camera, non si fa luogo al referendum confermativo.
Un'altra obiezione riguarda il fatto che la riforma costituzionale deriverebbe dal ricatto di una forza della maggioranza. Questo è un altro aspetto singolare, in quanto in Europa vi sono esempi di maggioranze politiche che vincono le elezioni anche con la volontà di cambiare l'assetto costituzionale. L'esempio più lampante è quello del Regno Unito, in cui i laburisti di Tony Blair, alleandosi con i partiti autonomisti locali - soprattutto in Scozia -, hanno stracciato il conservatorismo dei conservatori sul tema della devolution, che diventa patto elettorale e, successivamente, modifica costituzionale.
Dunque, non ci siamo inventati nulla, in quanto le Costituzioni possono anche essere oggetto di patti elettorali, di patti di governo, trattandosi di un'offerta alla luce del sole fatta nei confronti dei cittadini che, quando vanno a votare, sanno che, votando quella coalizione, ci sarà il tentativo di cambiare la Costituzione.
Il federalismo è egoista, lo abbiamo già detto. Invece, nel centrosinistra, vi è chi afferma che la presente riforma è acqua fresca in quanto, dal punto di vista autonomista, costituisce un passo indietro rispetto alla riforma delle Titolo V. Al contrario, noi riteniamo che questa riforma sia il logico completamento di quel percorso politico iniziato quindici anni fa sotto la spinta prepotente e decisa della Lega Nord Padania.
Un'altra delle ricorrenti litanie riguarda la nascita di un nuovo centralismo regionale, passando dal centralismo dello Stato a quello delle regioni; dunque, comuni, province e città metropolitane dovranno sottostare al nuovo potere centrale delle regioni. Anche in questo caso si tratta di un artificio dialettico assolutamente non condivisibile; infatti, negli Stati autenticamente federali, i vari livelli di Governo convivono attraverso un bilanciamento di poteri. L'esempio più eclatante è rappresentato dagli Stati Uniti d'America, in cui Stato centrale e federale, Stati che fanno parte dell'Unione, contee e municipalità, convivono equilibrandosi, talvolta scontrandosi, ma giungendo poi a quel livello federale che, a nostro avviso, è vero sintomo di democrazia.
Concludo, sottolineando che tutti i temi affrontati da questa riforma costituzionale sono importanti e fondamentali per la vita del nostro paese. Probabilmente, con un po' di coraggio in più, si sarebbe potuto affrontare anche il tema dell'equilibrio tra i poteri dello Stato, magari anche incidendo sul rapporto tra politica e magistratura. Ma, ovviamente, questa è un'altra pagina che spero, nei prossimi anni, chiunque governerà questo paese avrà il coraggio di risolvere in quanto, dopo Tangentopoli, in Italia si è creata una situazione di squilibrio tra i poteri dello Stato e, mai come oggi, è necessario porre al centro del sistema la politica, quale espressione della volontà dei cittadini.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PUBLIO FIORI (ore 11,57)
GUIDO GIUSEPPE ROSSI. L'ultimo tema che intendo affrontare è quello relativo al referendum confermativo. Sappiamo che la nostra Costituzione, nel caso in cui le modifiche costituzionali non siano approvate con la maggioranza dei due terzi dei componenti la Camera, consente l'espletamento di un referendum confermativo.
Ebbene, il centrosinistra agita tale possibilità come se fosse una clava. Alcuni affermano addirittura di non voler partecipare neppure al dibattito parlamentare sulla modifica della Costituzione, dato che il referendum confermativo spazzerà via con il consenso dei cittadini tale riforma. Ebbene, riteniamo tale impostazione poco lungimirante e non congrua a perseguire gli interessi del paese; siamo convinti soprattutto che si scontrerà con la volontà degli elettori. Ricordo, inoltre, che siamo già passati parzialmente per questa soluzione, quando le forze di centrodestra hanno indetto il referendum confermativo per approvare o cancellare la riforma del Titolo V della Costituzione, perdendo il confronto elettorale, visto che i cittadini hanno dato ragione all'allora maggioranza. Il referendum confermativo, inteso come deterrente, a mio avviso porterà invece spiacevoli sorprese ai colleghi del centrosinistra, perché tra i cittadini italiani esiste la volontà di cambiare.
La riforma costituzionale da noi presentata riequilibra alcuni aspetti fondamentali, conferendo maggiori poteri al premier - senza peraltro sconfinare in una semidittatura dello stesso, come alcune critiche sembrano ventilare -, disegnando forme di devoluzione più efficaci e ponendo fine al bicameralismo perfetto, con svolte costituzionali positive per il paese. Ovviamente tutto è perfettibile e nulla è perfetto; tutto, quindi, può essere cambiato, ma non si può non cambiare nulla. È questo il messaggio che il gruppo parlamentare della Lega Nord Federazione Padana vuole dare in sede di discussione generale, prima di giungere alle votazioni previste nell'intenso mese di settembre. Ci saranno tempo e ribalta politica sufficienti per approfondire le questioni. In realtà, a chiedere ancora maggior tempo sono i soliti personaggi che tentano di impedire le riforme in Italia.
Signor Presidente, concludo ricordando che questa riforma «s'ha da fare», in quanto è utile al paese, perché tenterà di riportarlo all'avanguardia delle esperienze costituzionali dei paesi vicini, compresi quelli che fanno parte dell'Unione europea. In questi quindici giorni, presso la Camera dei deputati, si svolgerà quindi un passaggio fondamentale (anche se presumibilmente il Senato dovrà confermare le modifiche che saranno apportate in questa sede); i gruppi di maggioranza, ma a mio avviso anche quelli di minoranza, saranno chiamati ad assumersi le proprie responsabilità, ma l'approvazione della riforma costituzionale sarà, a mio avviso, il regalo più bello da fare al nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto parlare l'onorevole Di Teodoro. Ne ha facoltà.
ANDREA DI TEODORO. Signor Presidente, condivido l'opinione del collega secondo la quale vi è ormai, come patrimonio condiviso dalla larga parte delle forze politiche e dei cittadini, la necessità di cambiare profondamente il nostro impianto costituzionale. Il Governo, con il sostegno della maggioranza di centrodestra, ha presentato un progetto a tale riguardo, ampio e radicale, ispirato a principi autonomisti, federalisti e liberali, su cui vorrei soffermarmi durante il mio intervento.
Il federalismo è il modo, a livello di organizzazione statuale, con cui si realizza il principio della sussidiarietà, ovvero l'esaltazione dell'autonomia del cittadino e il suo primato sullo Stato. Cercherò di sviluppare in breve tale argomento.
Nella Dichiarazione americana di indipendenza è scritto che i Governi derivano la propria giusta autorità dal consenso dei governati; ogni qualvolta una determinata forma di Governo giunge a negare tali fini, è diritto del popolo modificarla o abolirla, istituendo un nuovo Governo. Il significato più profondo di tali assunti è che lo Stato ha la natura di un contratto, di un patto liberamente e volontariamente sottoscritto tra pari - i cittadini -, che liberamente e volontariamente decidono di associarsi.
Lo Stato, dunque, è una convenzione e, come ogni convenzione, vale e resta in vigore fin tanto che, e solo fin tanto che, così vogliono coloro che l'hanno istituita. Lo Stato non ha alcun carattere di immutabilità o immodificabilità: non è un'entità superiore alla società dei cittadini, poiché non è nient'altro che la forma convenzionale che questa società ha autonomamente stabilito di darsi. Poiché il valore dello Stato risiede tutto nel consenso di coloro che hanno contratto il patto di convivenza, esso non è autonomo dall'individuo, nel senso che deriva la sua sovranità da una sovrana, libera e volontaria decisione dell'individuo stesso.
Ciò è ancora più chiaro, se mi si consente tale paragone, leggendo il preambolo della Costituzione statunitense, che dice: noi, popolo degli Stati Uniti, allo scopo di ancor più perfezionare la nostra unione, decretiamo e stabiliamo... Il soggetto grammaticale e reale della frase è un pronome personale: noi, liberi individui riuniti assieme; noi, decretiamo e stabiliamo...; è nostro diritto decretare e stabilire; è dalle nostre decisioni che trae fondamento e legittimità l'istituzione di un governo; che noi fondiamo uno Stato significa che lo Stato è una nostra creazione, non un'entità superiore da cui noi discendiamo. La nostra Costituzione, invece, ha, ad esempio, un'impostazione completamente diversa, e non sottolinea tale autonomia dell'individuo rispetto allo Stato, nella misura in cui il soggetto dell'articolo 1 è lo Stato stesso («L'Italia è una Repubblica democratica»).
In sintesi, autonomia del cittadino significa che il cittadino è la fonte, il nomos della sovranità dello Stato, e non viceversa; significa che, essendo la sovranità conferita dal cittadino allo Stato, il cittadino può revocare tale sovranità allo Stato e mai viceversa. Dall'autonomia del cittadino discende necessariamente anche il suo primato sullo Stato. La dottrina liberale afferma precisamente tale principio: per garantire la libertà, la sovranità dello Stato deve essere limitata e il limite di essa si trova esattamente nell'esercizio libero e autonomo da parte del cittadino dei suoi diritti individuali, che precedono l'autorità dello Stato e che da essa non discendono.
Come hanno spiegato tutti gli autori liberali, tale dottrina conduce quale corollario alla concezione dello Stato minimo: più potere e più sovranità restano in mano all'autonomia del cittadino, più lo Stato rispetta i diritti di libertà dell'individuo, perché più limitata è la sua sovranità sul cittadino. Lo Stato delle libertà è lo Stato che comanda il meno possibile e che ha meno poteri possibili sui suoi cittadini: più lo Stato si restringe, più lo spazio della libertà si allarga. Tutto ciò è ben sintetizzato nella lapidaria affermazione di Thomas Jefferson: il governo migliore è quello che governa meno. I teorici dello Stato minimo americani, i libertarians, aggiungono anche, a proposito della necessità di ridurre le dimensioni troppo ingombranti dello Stato: di fronte a un problema qualsiasi della società, non chiederti come può intervenire lo Stato, ma chiediti quali interventi statali devono essere aboliti per migliorare la situazione.
Autonomia del cittadino, primato dell'individuo sullo Stato, garantismo e concezione dello Stato minimo conducono a un ulteriore concetto molto caro ai liberali: ciascun uomo è di diritto proprietario assoluto di se stesso, della sua vita e dei frutti di tale vita. Nessuno dei diritti di libertà individuale ha senso e può esistere laddove lo Stato espropri l'individuo di tale diritto su se stesso. Meno lo Stato ha potere sul cittadino, più il cittadino ha potere su se stesso e conserva la proprietà di se stesso. Uno Stato che si voglia rispettoso di questo diritto di proprietà naturale deve necessariamente autolimitarsi il più possibile. Quando lo Stato tende ad usurpare la sovranità e gli spazi di libertà del cittadino, il primo diritto che viene leso è proprio quello di proprietà. Ciò è particolarmente evidente nella dittatura fiscale dello Stato. In linea di principio, uno Stato rispettoso delle libertà non conosce il fisco. È invece possibile che venga stipulato un contratto economico tra individuo e Stato, o tra comunità e Stato, in forza del quale l'individuo paghi volontariamente allo Stato i servizi che lo Stato gli offra e di cui egli decida di avvalersi, ma con la possibilità di rescindere unilateralmente il contratto in qualunque momento, ad esempio qualora un privato offra il medesimo servizio a costo minore e con maggiori benefici. I libertarians hanno dimostrato come a fondamento delle vessazioni fiscali dello Stato - di cui lo Stato italiano costituisce un paradigma eccesso - stia, al contrario, la pretesa surrettiziamente monopolistica dello Stato stesso di imporre ai cittadini i suoi servizi in via esclusiva: lo Stato si fa pagare per un contratto che esso impone ai cittadini senza possibilità di rescissione. Imponendo il proprio monopolio sui servizi fondamentali della comunità, lo Stato stabilisce unilateralmente e arbitrariamente il proprio compenso sotto forma di prelievo fiscale.
Non essendoci concorrenza ed essendo il cittadino vincolato in modo non libero e non volontario al contratto con lo Stato, non esiste alcuna economicità del rapporto. Lo Stato fissa l'ammontare del prelievo fiscale unicamente in funzione delle sue esigenze di mantenimento e non della quantità e della qualità dei servizi erogati al cittadino, che tendono con il tempo a diminuire in maniera proporzionale all'aumentare dell'entità del prelievo.
Proprio e caratteristico della vessazione fiscale dello Stato, infine, è la suddivisione della comunità in due grandi gruppi di individui: i produttori di ricchezza e i produttori di tasse.
Un pensatore americano dell'Ottocento notava già che il risultato necessario dell'ineguale azione fiscale del Governo è quello di dividere la comunità in due grandi classi. La prima consiste di chi realmente paga le tasse e ovviamente sopporta tutto il peso del Governo e l'altra di chi riceve il proprio reddito attraverso trasferimenti statali ed è a tutti gli effetti mantenuto dal Governo. In poche parole, il risultato è quello di dividere la comunità in produttori e consumatori di tasse.
L'effetto, allora, di ogni aumento di tasse è quello di arricchire e rafforzare un gruppo ed impoverire e indebolire l'altro. L'ingiustizia e la diseguaglianza sociale, la nascita di una classe di individui privilegiati, i rappresentanti del potere pubblico (funzionari, burocrati, sindacalisti e politicanti), che hanno la possibilità di vivere e prosperare ben al di là dei propri mezzi economici grazie ai trasferimenti di denaro pubblico, sono l'esito più evidente della dittatura fiscale.
Estremizzando questo esito per cui l'azione fiscale dei governi diviene confisca prepotente da parte del potere statale e dei rappresentanti della ricchezza liberamente prodotta dai cittadini, il padre dei libertarians americani, Albert Jay Nock formula il paradosso secondo il quale, prendendo lo Stato, comunque lo si trovi, ed entrando nella storia in un momento qualsiasi, non si vede alcun modo per distinguere le attività dei suoi fondatori, amministratori e beneficiari da quelli di una classe di criminali di professione.
Non può essere lecito per lo Stato, in conclusione, fare ciò che è considerato illecito per il singolo individuo: espropriare il prossimo.
Dalla necessità per lo Stato di restare Stato minimo, garante delle libertà individuali e, in primis - come abbiamo cercato di dire - del diritto naturale di proprietà, del diritto di ciascuno di godere della ricchezza liberamente prodotta, discende la necessità della forma federale dello Stato, forma modulata dall'applicazione del principio della sussidiarietà.
Lo Stato, infatti, tende sempre ad espandersi, a nutrirsi di se stesso e a non sviluppare sempre di più la sfera della libera azione dell'individuo ma a sostituirsi all'individuo stesso. Ogni Stato, anche il più debole, rischia alla fine di essere troppo forte, poiché tende a porsi come la fonte prima e la giustificazione ultima dei diritti; a considerare la libertà dei cittadini come una propria concessione; a prendersi cura del cittadino come una creatura minorata, incapace di badare a se stessa; a stabilire limiti di autonomia e libertà del cittadino decidendo se e quando togliergli le dande della sua benevola assistenza.
Poiché, tuttavia, l'istituzione di uno Stato resta indispensabile ad ogni società per dare una forma ordinata alla propria convivenza - per citare John Locke: «Lo Stato è un male necessario» - è necessario che lo Stato sia congegnato in modo tale da ridurre al minimo la sua innata tendenza all'autoalimentazione ai danni dell'indipendenza degli individui. L'azione dello Stato deve allora essere regolata da una rigorosa applicazione del principio di sussidiarietà, per cui l'intervento pubblico avviene solo là dove e allorquando sia richiesto dal soggetto singolo o comunità privato-locale con tempi, risorse e modalità predefiniti, verificabili e limitati.
Al termine dell'intervento, che deve essere più breve possibile, la mano pubblica deve ritrarsi lasciando nuovamente campo libero al gioco dei soggetti della società. Soltanto così sarà possibile verificare l'operato degli amministratori pubblici, obbligandoli a fare nel tempo previsto e con la spesa pattuita quanto stabilito. Allora, anche le tasse che lo Stato chiede per i suoi servizi avranno un'altra legittimità, perché saranno frutto di un contratto volontario con i cittadini e le comunità, che potranno sempre risolverlo, potendo verificare immediatamente l'insolvibilità e l'attendibilità dello Stato.
Sussidiarietà significa, in definitiva, compressione estrema dell'interventismo statale in tutti i campi della vita del cittadino e riappropriazione di tutti quegli ambiti di vita oggi indebitamente regolati o occupati dallo Stato.
Sussidiarietà vuol dire anche «il più possibile da me stesso, il meno possibile dallo Stato». Questo è anche il senso del federalismo inteso come salvaguardia delle autonomie. Si deve dare massima libertà a tutte le comunità e ai gruppi spontanei che si formano nel seno della società in modo che possano provvedere a se stessi e ai propri bisogni con la ricchezza prodotta dal proprio lavoro. Sono gli individui i corpi della società e le comunità che debbono decidere interamente da soli come vivere, come impiegare le proprie risorse e per cosa spenderle.
Federalismo e sussidiarietà indicano chiaramente le linee di una riforma radicale dello Stato, nel senso di uno Stato delle libertà, massima compressione della spesa pubblica a favore dell'autofinanziamento delle comunità e dei singoli, federalismo fiscale, devoluzione alle comunità e alle libere associazioni fra singoli di tutti i servizi pubblici che potrebbero essere gestiti dagli individui e dalle comunità locali con maggiori benefici e minori costi, massima riduzione della tassazione diretta, eliminazione del maggior numero possibile di programmi di sviluppo finanziati direttamente dallo Stato a favore della detassazione come strumento principale per lo sviluppo.
In sintesi ed in conclusione, si potrebbe dire, coniando uno slogan: lo Stato deve andarsene da dove non lo si vuole, per restare, soltanto a richiesta, laddove si ha bisogno della sua presenza. Credo che debbano essere questi i principi a cui deve ancorarsi la riforma costituzionale che la Casa delle libertà deve portare a termine entro questa legislatura, perché, se noi siamo andati al Governo con il voto dei cittadini, proponendo una visione liberale e libertaria del rapporto tra Stato e cittadino, è giusto e corretto che noi si porti a termine, entro la fine della legislatura, il nostro programma di riforme. Tutto ciò che va nella direzione contraria a questi principi, tutto ciò che tende a ripristinare qualunque forma di statalismo, qualunque forma di prevalenza dello Stato sul cittadino, dello Stato sui corpi intermedi della società, che tende a negare il principio di sussidiarietà, che tende ad allontanare il progetto di riforma dello Stato italiano, della forma di Stato, della forma di Governo e della nostra Costituzione da questi principi è qualcosa che la Casa delle libertà non può e non deve accettare (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato al prosieguo della seduta.
La seduta, sospesa alle 12,15, è ripresa alle 15,40.
Si riprende la discussione.
(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 4862 ed abbinate)
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione, senatore Calderoli.
Avverto che, dopo l'intervento del ministro, avrà luogo una sospensione della seduta di 30 minuti.
Ha facoltà di parlare, signor ministro.
ROBERTO CALDEROLI, Ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione. Signor Presidente, anche se in termini inusuali ed al di fuori delle consuetudini regolamentari, credo sia assolutamente necessario, oltre che doveroso, fornire le risposte che mi sono state sollecitate dall'opposizione durante la prima parte della discussione sulle linee generali, anche allo scopo di puntualizzare a che punto si trovi il cammino della riforma.
I percorsi delle riforme, si sa, non sono mai agevoli, come hanno dimostrato le vicende delle Commissioni bicamerali istituite in passato e le vicissitudini che hanno caratterizzato la riforma del Titolo V della Costituzione attuata nella scorsa legislatura. Così è stato anche per questa riforma, che, partita dalla semplice devoluzione, si è mano a mano arricchita, fino a diventare un progetto che si compone di ben 43 articoli.
Alle difficoltà già presenti si sono unite quelle derivanti dalla forzata assenza, per motivi di salute, del ministro Bossi, il quale, com'è noto, è stato impossibilitato a seguire i lavori dal momento dell'approvazione al Senato fino alla conclusione dell'esame in Commissione alla Camera. In tal modo, si è venuta a ridurre quella spinta propulsiva che proviene dal titolare del dicastero.
Ad ogni modo, debbo un ringraziamento ai senatori e, in particolare, al relatore, senatore D'Onofrio, per il lavoro svolto presso l'altro ramo del Parlamento, nonché al presidente della I Commissione della Camera, onorevole Bruno, che ha svolto anche la funzione di relatore, ed a tutti i componenti, compresi quelli dell'opposizione, per la competenza ed il senso di responsabilità dimostrati nel corso dell'esame del disegno di legge costituzionale.
Ciò premesso, ricordo che ho assunto la carica prima che cominciasse l'esame del testo in Assemblea e, quindi, quando mancava poco tempo alla sospensione estiva dei lavori. Ho cercato di sfruttare la pausa - che taluno richiedeva - per consultare, su mandato della maggioranza, le forze politiche, le rappresentanze sociali e le istituzioni. A tal fine, ho proceduto al riesame di tutte le proposte emendative presentate in Commissione dalla maggioranza e dall'opposizione come se si dovesse ripartire da zero.
Ebbene, dalle consultazioni e dal riesame di cui ho appena detto è emersa una serie di proposte di modifica che hanno finito per convergere su soluzioni ampiamente condivise. Tutto ciò che, a mio giudizio, poteva essere migliorativo è stato portato, all'inizio del mese, alla valutazione di un tavolo tecnico di maggioranza dalla quale è emerso, a mio parere, un disegno di riforma più equo, più equilibrato e più ampiamente condivisibile dal paese.
Illustrerò, ora, le proposte emendative che la maggioranza sottoporrà all'esame del Parlamento.
Il problema affrontato per primo è stato quello del deficit di rappresentatività territoriale che era stato individuato nella disciplina originaria del Senato federale. Credo che a tale difetto potrà ovviare la proposta di integrazione di tale organo con due rappresentanti delle regioni - di cui uno espressione delle regioni medesime ed uno del mondo delle autonomie locali - i quali avranno sempre il diritto di partecipazione, quello di iniziativa legislativa e quello di voto in particolari materie attinenti agli interessi specifici delle regioni e del mondo delle autonomie.
Inoltre, per rafforzare ulteriormente il legame con il territorio, quella che, abbastanza impropriamente, è stata definita contestualità affievolita, dovrebbe lasciare il posto ad una contestualità vera, in conformità alla quale i senatori di ciascuna regione siano eletti contestualmente ai rispettivi consigli regionali e durino in carica tanto quanto gli stessi consigli.
È un principio di inversione: se prima le regioni erano suddite del Senato federale, con questa riforma guideranno i tempi di rinnovo periodico dei senatori delle rispettive regioni. Ovviamente, l'allineamento delle elezioni di tutti i consigli regionali e la necessità di arrivare ad una riduzione contestuale del numero di deputati e di senatori richiederanno norme finali che regolino la fase di transizione. Pertanto, rispetto al testo della Commissione, il potere di indizione delle elezioni dei consigli regionali tornerà nelle mani dei presidenti delle regioni. Credo sia il presupposto di una riforma che vorrebbe essere federalista.
Per quanto riguarda il Senato federale, sono stati eliminati i senatori eletti nella Circoscrizione estero e quelli di diritto e a vita, che troveranno uno spazio più opportuno a livello della Camera politica.
Si interverrà (mi auguro che le proposte siano accolte dall'Assemblea) sui regolamenti parlamentari. Sarà introdotto un quorum particolare per l'approvazione dei regolamenti nella Camera politica e reintrodotte norme di garanzia già presenti nel testo del Senato, ma soppresse nel corso dell'esame da parte della Commissione della Camera.
Sono previste strade per l'inserimento prioritario nell'ordine del giorno delle proposte di iniziativa del Governo e la definizione per via regolamentare di tempi certi entro cui arrivare alla loro valutazione. Credo che tale norma ridurrà l'eccessivo ricorso - molte volte in maniera impropria - allo strumento della mozione di fiducia che ha caratterizzato le ultime legislature.
Sarà prevista inoltre nel testo costituzionale l'espressione dei pareri sui decreti legislativi che ovvierà alla paradossale situazione verificatasi in quasi tutte le legislature, ossia che, dopo l'approvazione di una legge delega, i relativi decreti legislativi non sempre ottemperano al mandato affidato al Governo. È stato affrontato (e mi auguro anche risolto) il problema della controfirma degli atti presidenziali, differenziando le ipotesi in cui il ministro è solo proponente da quelle in cui è solo competente.
Resta la questione riguardante il Governo e il «premierato». Rispetto al testo della Commissione è stata affrontata anche la questione che non era presente nel testo precedente, del governo di minoranza, poiché il sistema dovrebbe favorire maggioranze di governo, ma non è in grado (come dovrebbe essere in ogni Costituzione) di garantire maggioranze assolute. Oltre a ciò, in caso di mozioni di sfiducia, ovviamente in caso di Governi ordinari, è previsto lo scioglimento della Camera a meno che alla stessa sia stato presentato, dalla maggioranza uscita dalle urne e con l'indicazione della volontà di proseguire per l'attuazione del programma di Governo, il nominativo del neo primo ministro incaricato.
Oltre al meccanismo che impedisce i cosiddetti ribaltoni parlamentari, ne è stato introdotto un altro che impedisce al premier di fare a sua volta i ribaltoni, ossia di modificare la propria maggioranza con ricorso a soccorsi esterni determinanti per la sua sopravvivenza.
All'articolo 114, ossia l'articolo che ha modificato la Costituzione della Repubblica definendone i vari livelli, per la prima volta è inserito il principio di leale collaborazione e di sussidiarietà come presupposto delle funzioni dei vari livelli che compongono la Repubblica.
Per quanto riguarda il tanto discusso articolo 117, si è intervenuti su tutte le materie concorrenti che hanno determinato i contenziosi davanti alla Corte costituzionale (credo che tutti conoscano le materie: le grandi opere, il trasporto, la navigazione, l'energia, la comunicazione, gli ordini professionali), Abbiamo introdotto ulteriori, puntuali correzioni rispetto a materie non ancora definite, ma che sicuramente sarebbero state oggetto in futuro di ulteriori controversie davanti alla Corte costituzionale.
Per quanto riguarda l'articolo 118, strettamente legato al mondo delle autonomie locali, sono state introdotte norme a garanzia di comuni, province, città metropolitane, della loro autonomia nell'esercizio delle funzioni amministrative e nell'esercizio delle potestà statuarie e regolamentari per porre un freno ai timori, anche legittimi, di neocentralismi regionali.
Io credo che il federalismo debba essere espressione della sussidiarietà in senso pieno e che quindi questo non debba andare solo a vantaggio delle regioni, ma di ogni altro organismo e livello di governo che adesso sottostanno, prevedendo tra l'altro forme di sussidiarietà che non siano solo verticali, ma anche orizzontali.
Sono stati introdotti poi riferimenti alle città metropolitane - altro argomento presente in Costituzione che langue in attesa di una normativa ordinaria -, prevedendo i principi con cui dar corso alla nascita di nuove province (credo che questo sia il riferimento ovvio e naturale), peraltro già presenti in Costituzione, che deve essere una nascita dal basso, e il potere associativo per determinate funzioni di comuni di particolari dimensioni e di particolare collocazione.
Nelle norme finali è stata introdotta poi una disposizione per la definizione dei tempi e delle modalità con cui prevedere al trasferimento di competenze ed è stato previsto che le stesse siano accompagnate dai conseguenti trasferimenti di risorse economiche, umane, strumentali e organizzative, senza che tutto questo determini un aggravio di costi complessivi; inoltre sono state introdotte norme che assicurino tempi certi per l'attuazione del federalismo fiscale.
Da ultimo, resta l'articolo 70, cioè quello che dovrebbe determinare la formazione delle leggi. Fatto salvo il principio della fine del bicameralismo perfetto, che credo sia l'ultimo esempio al mondo di una formula un po' vetusta e ormai modificata dai vari Stati, credo che si debba proporre un meccanismo - lo facciamo come maggioranza - che, da una parte, garantisca (mi auguro che sia così, ma siamo pronti ad ulteriori contributi) la funzionalità del sistema, la governabilità del sistema paese, e, dall'altra, superi il rischio del sistematico esproprio delle materie di competenza del Senato. Siamo disponibili, visto il carattere tecnico e la laicità della materia, a confrontarci con qualunque ipotesi vada nel senso degli obiettivi citati. Qui siamo nel campo dell'ingegneria parlamentare e credo che qualunque tipo di contributo possa essere utile perché il Parlamento funzioni bene e speditamente, al fine di garantire alla Camera politica il ruolo che ad essa viene attribuito (affiancare le funzioni di Governo, garantendo, quindi, la governabilità del paese) e al Senato quella funzione di garanzia che per noi resta il principio base per cui esso nasce.
Questa, in estrema sintesi, è la proposta che la maggioranza di Governo porterà al vostro esame e su cui il Governo esprimerà pareri positivi. Non ho citato molti altri particolari, che troveranno comunque spazio negli emendamenti che la Casa delle libertà presenterà entro le ore 10 di mercoledì.
Nessuno vuole fare riforme a colpi di maggioranza; molte delle proposte dell'opposizione, del mondo sociale e delle istituzioni sono già state recepite negli emendamenti che verranno presentati da parte delle forze che costituiscono la coalizione. Ora mi attendo un esame del Parlamento che mi auguro ispirato dall'assenza di pregiudizi e da riforme necessarie e non differibili, che abbiano come unico interesse quello dei cittadini. Io credo che si debba andare al di là del sistema partitico. La devolution è nata nel 2001; siamo nel 2004 e, presumibilmente, questa riforma vedrà la sua attuazione nel 2006. Credo che sia il caso di mettere da parte i pregiudizi, la collocazione politica e ideologica, per dare vita ad una riforma che comunque sappiamo non essere ulteriormente differibile e per fare qualcosa nell'interesse dei cittadini. In questo senso, Governo e maggioranza danno la propria assoluta disponibilità.
Infine, proprio perché si tratta di una questione che ritengo talmente logica e scontata, voglio fare anche una citazione relativa alle regioni e alle province a statuto speciale. Nel corso dell'esame in Commissione era stato introdotto un emendamento che finiva veramente per mettere a rischio la specificità di quelle regioni e di quelle province. Credo che nessuno all'interno della maggioranza volesse danneggiare o mettere in discussione tali principi e, pertanto, quello che sarà il contenuto di questa riforma sarà applicabile alle regioni e province a statuto speciale, nei limiti che tutto ciò comporti una maggiore forma di autonomia.
Resta un piccolo passaggio, che mi riservo di approfondire, rispetto all'argomento dell'intesa. Ricordo che la Costituzione prevede il termine «sentito» rispetto a quello che oggi (anche se in termini temporali limitati) dovrebbe essere oggetto di un'intesa, e mi auguro che la maggioranza dimostri la sensibilità per realizzare anche questo tipo di impegno nei confronti di alcune realtà, nate in situazioni particolari e che, quindi, hanno il diritto di essere rispettate.
Non so quale sarà l'esito dell'ulteriore esame da parte del Parlamento, ma vorrei segnalare che sono a disposizione sia per ascoltare i vostri interventi, nel corso della discussione sulle linee generali, sia per leggere attentamente le proposte emendative, così come ho già fatto in sede di Commissione, indipendentemente dal fatto che siano presentate da destra o da sinistra, da sopra o da sotto.
Se qualcuno ha qualcosa di bello da portare (Commenti), nell'interesse del paese, siamo disponibili ad accettarlo, al di là delle risate forse scontate, ma forse anche dovute... Come coalizione, siamo comunque determinati a realizzare questa riforma: vediamo di farla bene! Grazie, signor Presidente (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale e di deputati del gruppo dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro).
PRESIDENTE. La ringrazio, ministro Calderoli.
Come preannunziato, sospendo la seduta, che riprenderà alle 16,30.
La seduta, sospesa alle 15,55 è ripresa alle 16,30.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PUBLIO FIORI
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giordano. Ne ha facoltà.
FRANCESCO GIORDANO. Signor Presidente, spiace che il ministro Calderoli non sia qui presente - ma, nulla quaestio - poiché mi sarebbe piaciuto poter dire direttamente al ministro stesso che, onestamente, il quadro delle cosiddette modifiche non cambia per nulla il giudizio da noi espresso sull'impianto dell'ipotesi di riforma, un giudizio radicalmente negativo e che tale resta.
La spiegazione del ministro Calderoli è, infatti, reticente sulle questioni più rilevanti (Il ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione, senatore Calderoli, fa il suo ingresso in aula).
Signor ministro, ci risparmi la furbizia di dire che vorrebbe discutere con noi sulle modalità - e che si è aperti su tale terreno, ma sul punto tornerò in seguito - con cui risolvere la conflittualità permanente tra organi dello Stato. La verità è che proprio su tale punto siete divisi, avete una divergenza molto netta e molto esplicita e state tentando di prendere tempo per risolvere un problema di prima grandezza nelle modalità di organizzazione statuale che proponete. Altro che venire incontro alle esigenze dell'opposizione!
La verità è che, oltre al merito - che sostanzialmente non muta, anzi per certi versi si aggrava - anche il metodo che lei, signor ministro, ci ha proposto in questa sede, con grande tranquillità, è francamente singolare: lo dico con molto rispetto. Lei, signor ministro, afferma di aver tenuto, in questi mesi, molte riunioni tecniche di maggioranza e di avere ascoltato molte realtà. Dovrebbe sapere, occupandosi di tale materia, che se vi è un mutamento dell'asse su cui si è aperta la discussione, il luogo preposto a discutere formalmente delle modifiche è esattamente il Parlamento italiano o meglio la Commissione. Tutto si è fatto, invece, tranne che discutere nel luogo preposto.
Voi volete modificare gli assetti costituzionali della Repubblica e mutare la configurazione dei poteri da essa fissati. Tale progetto e tale « ambizione » non nascono - lo dicevo anche prima - da un dibattito politico-culturale e da una discussione che investe il paese e le sue forze politiche rappresentative. Signor ministro, tale discussione non nasce così. Voi avete portato il Parlamento italiano, a tappe forzate e senza una discussione all'altezza dei propositi che auspicate, e confezionate a questo Parlamento una pericolosa, confusa e, secondo noi, del tutto inefficace riforma costituzionale, che è frutto di equilibri precari e veti incrociati, in una maggioranza in crisi di consenso.
Cambiate parti vitali dell'ordito democratico fondativo della Repubblica, inseguendo ricatti e minacce di crisi. Questo è il punto. La modalità con cui volete imporre questa discussione è la metafora dell'idea di Parlamento che ci proponete in questa sede. Il Parlamento non è più il luogo in cui si elaborano e si mutano le leggi o si scrivono le regole che accompagnano e vincolano milioni di italiani e la loro esistenza quotidiana, ma un luogo privo di poteri reali, assoggettato e dipendente dagli esecutivi e dalle nuove prerogative del Presidente del Consiglio o, come si dice oggi, del premier. Questa, a nostro modo di vedere, è la vostra risposta ad una straordinaria mobilitazione e partecipazione democratica che si è conosciuta in questi anni, in virtù dell'esplosione di soggettività dei movimenti e del conflitto sociale. Voi, in tale maniera, colpite al cuore l'idea stessa della rappresentanza e alterate in maniera del tutto evidente il rapporto tra esecutivo e Parlamento. Voi cercate l'impermeabilità della soggettività sociale nei luoghi della decisione e costruite l'autoreferenzialità del potere politico con iniezioni di plebiscitarismo. Pensate di governare la complessità delle nostre società, prosciugandole della trama democratica che in esse era contenuta.
La differenza tra noi e voi è che voi decidete di concentrare i poteri esecutivi, anzi di accrescere i poteri del Presidente del Consiglio, per cercare nella competizione globale di valorizzare interessi non soggetti ad un condizionamento sociale, mentre noi (mi riferisco al gruppo di Rifondazione comunista) avremmo considerato un'ipotesi di modifica delle modalità di partecipazione del governo della cosa pubblica garantendo, ad esempio, ad ogni lavoratrice e ad ogni lavoratore la possibilità di decidere la propria rappresentanza sui luoghi di lavoro. Voi nella globalizzazione scegliete il cesarismo ed una confusa frammentazione e frantumazione localistica, noi la ricostruzione di una partecipazione democratica dal basso e il reale processo democratico e di risocializzazione della politica.
Sennonché, questo schema che ci contrapponete, oltre ad essere grave per la restrizione drammatica degli spazi democratici, è assolutamente inefficace. Voi assegnate alla Camera dei deputati la competenza ad emanare leggi su materie di competenza esclusiva dello Stato e al Senato quella su materie concorrenti tra Stato e regioni. Il nuovo Senato federale sarebbe sottratto dal vincolo di fiducia con il Governo. Il risultato finale, però, nella formulazione che ci proponete, è la paralisi, il rapporto conflittuale permanente tra organi dello Stato. Onestamente, su questo aspetto, non avete sciolto il nodo e oggi, proprio su questo punto, manifestate contraddizioni e avete difficoltà a trovare una soluzione certa.
In questo senso, a nostro modo di vedere, la Lega ha ordito bene la sua trama e fatto valere i suoi obiettivi. Con la cosiddetta devolution, a nostro giudizio, l'impianto generale risulterebbe tale per cui vi sarebbe la paralisi dello Stato centrale e si avvantaggerebbero, forse, solo alcune regioni, le più forti, magari quelle del nord. Con la devoluzione che voi proponete si alimentano le diseguaglianze territoriali in materia di sanità, istruzione, polizia locale. In tal modo - questo è il punto - venite meno ai principi di uguaglianza e di unità territoriale sanciti dalla Costituzione. D'altronde, questa forse è l'accusa che, in qualche misura, sopportate meglio, dopo che anche con la guerra in Iraq siete riusciti a contravvenire su un punto dirimente della nostra Carta fondativa. Mi riferisco all'articolo 11 che ripudia la guerra e, come si sa, il nostro paese è impegnato in un teatro di guerra fuori dalle regole e dai dettati costituzionali.
Il meccanismo di devoluzione che proponete è anticostituzionale, anche perché non tutela l'eguaglianza di tutti i cittadini. Vorrei capire per quale ragione un cittadino nato a Napoli, a Palermo o a Bari, la mia città, avrebbe minori tutele di uno nato a Milano, a Torino o a Bologna. Con il meccanismo che proponete è evidente che non vi sarebbe un'uguaglianza e un'universalità di diritti, che sono invece sanciti dalla nostra Costituzione.
Il vostro progetto è inaccettabile nel suo complesso: date più poteri al Presidente del Consiglio, minando funzioni, prerogative e ruolo del Presidente della Repubblica, alterando i rapporti e i contrappesi tra queste funzioni, avendo solo il premier la possibilità nei fatti di sciogliere le Camere, ricattando un Parlamento che, a questo punto, sarebbe votato all'eutanasia. Dall'altra parte - insisto - frantumate l'unità politica, istituzionale e sociale del paese.
Signor Presidente, mi avvio a concludere. Vi è una contraddizione singolare ed inquietante tra il localismo, peraltro solo delle regioni, leghista e «l'idoleggiamento» del premier. Questa è un'operazione confusa di compravendita, in cui si mescolano il localismo rozzo ed avido con l'enfasi del premier salvatore della patria. Persino l'elezione dei membri di nomina parlamentare del Consiglio superiore della magistratura e della Corte costituzionale con le modalità univoche di nomina del Senato federale verrebbero ad inquinare le funzioni di garanzia di tali organi.
Anche tra noi dell'opposizione, lo dico con sincerità, si registrano modalità di approccio differenti; abbiamo inoltre valutazioni diverse anche in ordine alla riforma del Titolo V della Costituzione: come è noto, noi l'abbiamo contrastata.
Non condividiamo gli irrigidimenti nel meccanismo, al quale peraltro anche lei ha fatto riferimento nella sua relazione, del sistema dell'alternanza. Vi sono quindi impostazioni di segno generale non identiche: tuttavia, sulla vostra proposta noi abbiamo svolto un'opposizione unitaria, contestando il vostro progetto e ritenendolo un disegno inefficace, ingiusto dal punto di vista sociale e francamente inaccettabile. Il vostro liberismo non vi rende liberali!
Noi vi chiediamo un «soprassalto» di ragionevolezza ed anche di democrazia: ritirate questo progetto di riforma costituzionale e discutiamone insieme! Come si vede, anche con le diversità esistenti non soltanto in una parte politica dell'emiciclo ma anche nell'altra, possiamo discutere apertamente, ricostruendo un iter democratico, perché le riforme si «fanno» in questo modo! Se non avrete questo «soprassalto» di democrazia, allora discuterete da soli con il Paese e nel Paese, e vorrà dire che, se sarete capaci di portare avanti le riforme, noi le contrasteremo attraverso l'uso del referendum (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Comunisti italiani)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Castagnetti. Ne ha facoltà.
PIERLUIGI CASTAGNETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, partecipiamo a questo dibattito per senso di dovere e di rispetto nei riguardi del Parlamento, in un momento nel quale le sue prerogative ci sembrano umiliate da una maggioranza che sta definendo, al di fuori di questo ramo del Parlamento, il testo di una riforma di sistema della Carta costituzionale, che dovremo cominciare a votare fra tre giorni. Siamo ancora a questo punto!
Veda, signor ministro, noi abbiamo ascoltato la sua relazione ed abbiamo tratto delle convinzioni ancora non definite, dal momento che, a nostro avviso, nella sua relazione non vi sono posizioni definite. Attendiamo quindi senza pregiudizi e con interesse di conoscere le proposte emendative presentate: in ogni caso, vorrei dirle che, da quanto da lei ha detto, non emerge una disponibilità ad accogliere il senso delle pregnanti contestazioni che le opposizioni hanno mosso a questo impianto di riforma di sistema del nostro quadro costituzionale.
Il disegno non cambia: per questa ragione, siamo costretti a ribadire, ed avremmo voluto non farlo, un nostro giudizio complessivamente negativo. Sarebbe stato semplicemente più serio non iniziare la discussione sulle linee generali prima di conoscere il nuovo testo di riforma, perché di questo si tratta!
Dalle cose dette dal ministro nella giornata di oggi, registriamo alcuni silenzi: noi non vogliamo giudicare i silenzi, ma nutriamo una certa apprensione, se mercoledì scopriremo che quei silenzi saranno «riempiti» con una serie di emendamenti.
Dalle anticipazioni di questi giorni sugli organi di stampa, abbiamo letto che in questa quarta o quinta bozza - non so a quale numero si sia giunti - predisposta dal ministro, vi era l'ipotesi di una terza Camera per dirimere i conflitti fra Camera e Senato: oggi, tuttavia, lei non ne ha fatto cenno.
Si è letto dai giornali di una ridefinizione dei contenuti della cosiddetta devolution e di un rinvio di cinque anni dell'implementazione del federalismo fiscale: lei oggi non ne ha parlato! Non c'è dubbio, tuttavia, che per molti versi il federalismo fiscale è il presupposto di quello istituzionale.
Abbiamo letto della difficoltà e anche dell'impossibilità di fare previsioni sui costi della riforma stessa (immagino che in Costituzione non si possa scrivere che la riforma non può comportare oneri aggiuntivi). Abbiamo tuttavia sentito nella giornata di sabato il Presidente del Consiglio assicurare, con affermazioni assolutamente non documentate, che il livello della spesa pubblica non aumenterà, mentre il dipartimento economico della Presidenza del Consiglio ipotizza la possibilità di un aumento del 40 per cento della spesa pubblica, così come fa l'ISAE e come dicono alcuni ricercatori delle Università Cattolica e Bocconi.
Insomma, lo stesso ministro dell'economia, allarmato, insieme alla Ragioneria generale dello Stato, hanno dato mandato alla Scuola superiore di economia e finanza di effettuare una stima dei costi. Questa sarà pronta, abbiamo letto, entro il 30 settembre; anche il professor Vitaletti, presidente dell'Alta commissione di studio sul federalismo fiscale, sarà «pronto» entro il 30 settembre.
Allora, ci apprestiamo ad assumere determinate decisioni senza sapere quali siano le ricadute fiscali, e non si tratta di un elemento secondario. Anche per questo vi chiediamo ancora: perché non ci diamo quella pausa di riflessione invocata da tante parti almeno per poter conoscere tali elementi prima di decidere? Perché siete così rigidi? Perché rifiutate anche appelli autorevoli? Perché siete così irragionevoli ed irresponsabili? Si tratta infatti di assumere decisioni non conoscendone le ricadute.
In tale situazione surreale siamo costretti, per serietà, a riferirci al testo ufficiale, come del resto ci ha invitato a fare il ministro, licenziato dalla Commissione affari costituzionali. Perciò, il nostro giudizio si fermerà soprattutto sul testo.
Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, il disegno di legge in esame ha una rubrica sobria - «Modificazione di articoli della parte II della Costituzione» - che sembra scritta apposta per camuffare un percorso di netta fuoriuscita dal nostro ordinamento costituzionale. Si tratta di un patto politico con cui ogni partito della maggioranza incassa qualcosa, incurante degli effetti devastanti prodotti da una logica più predatoria ed elettoralistica che riformista. Abbiamo l'impressione che tale patto tra i partiti della maggioranza si stia verificando e ripetendo anche sul blocco degli emendamenti. Se lei oggi non è stato in grado di presentare gli emendamenti è perché ancora sono in corso le trattative per tale patto tra le parti della maggioranza.
Non sono, dunque, gratuiti i pesantissimi giudizi espressi anche dal mondo accademico in questi giorni. Si è parlato di una Costituzione incostituzionale, che minaccia di essere impraticabile, in primo luogo perché mal costruita e perché ridotta ad un oggetto di baratto. Insisto su tale rilievo: il motivo esclusivo della partecipazione e della permanenza del suo partito, signor ministro, al Governo, sotto la bandiera stravagante e provincialotta della devolution, è lo stravolgimento della Costituzione, non la sua riforma.
Quanto al metodo, mi chiedo come non capiate che non è utile per il paese una riforma della Costituzione approvata, nonostante le sue parole gentili, muro contro muro, imposta da una maggioranza parlamentare eletta con voto maggioritario, dunque non costituente. Si tratterebbe di una Costituzione imposta da una metà del paese all'altra metà, come sognava un insigne ideologo protoleghista che concludeva con cipiglio di cinico intellettuale che poi si sarebbe solo trattato di mantenere l'ordine pubblico nelle piazze.
Riconosco - e non sono il primo - che anche noi abbiamo commesso alcuni errori, sia nel metodo, sia nel merito, anche se la modifica del Titolo V non può essere comparata con questa revisione di sistema della Costituzione per le ragioni ampiamente ripetute in sede parlamentare e scientifica. Si dice che questo progetto di revisione costituzionale sarebbe in vari ed importanti aspetti del suo impianto assai simile alle proposte fatte proprie da autorevoli esponenti del centrosinistra nella precedente legislatura. Non è assolutamente proponibile il tentativo di accostare istituti, certamente criticabili, ma compatibili con il nostro sistema costituzionale, ad istituti analoghi ai primi nell'idea generale, ma riproposti in forme del tutto diverse volte ad inficiare il sistema di garanzia delle libertà ed il pluralismo sociale e politico.
Noi non ci chiudiamo a riccio e non neghiamo l'utilità di un dialogo sulla Costituzione, al contrario. Tuttavia, il primo impegno di forze politiche responsabili dovrebbe essere quello di recuperare una conversione ai grandi fondamentali principi e valori della Costituzione. Il presupposto minimo per realizzare un dialogo è che si abbia la consapevolezza e la responsabilità di non compiere quel salto di qualità che vanificherebbe il potere costituitosi immutabilmente il 27 dicembre 1947, dal quale unicamente deriva un potere di revisione costituzionale, mettendo a rischio i diritti dei cittadini ed i principi fondamentali della Costituzione che, contrariamente a quanto si ritiene con una vulgata corrente, non sono previsti solo nella parte prima della Costituzione.
Non siamo stati capaci, purtroppo, di capire il messaggio di Dossetti di dieci anni fa, quando parlava di forme costituzionali in senso accrescitivo.
Si sarebbero dovute accrescere le garanzie per riequilibrare il sistema istituzionale con il nuovo assetto creato dalle modificazioni del sistema elettorale e politico. Per questo ci preoccupa e ci allarma che il processo di riforma del quale discutiamo sia frutto di un'iniziativa governativa, che si attribuisce in questo modo un potere costituente, attraverso il quale - lo dico con le parole di Dossetti, nelle quali si racchiude una verità tanto pacifica e condivisa, quanto calpestata - «una maggioranza, che non ha ricevuto alcun mandato al riguardo, si arrogherebbe un compito che solo una nuova Assemblea Costituente, programmaticamente eletta per questo e a sistema proporzionale, potrebbe assolvere, come veramente rappresentativa di tutto il nostro popolo, altrimenti sarebbe un autentico colpo di Stato». Chi in questa aula, chi, colleghi, oserebbe mai pensare che un'Assemblea Costituente, programmatica eletta per questo e a sistema proporzionale, approverebbe un progetto di riforma come quello che è all'esame del Parlamento?
Non è questa la migliore dimostrazione che la Costituzione, venuto meno il bilanciamento strutturale del sistema proporzionale, sia diventata veramente a rischio? Non è questa la migliore dimostrazione che vi è il bisogno di allargare l'area delle garanzie, giacché una Costituzione ha lo scopo di garantire le libertà? Non vogliamo tornare al sistema proporzionale: diciamo però che il potere costituente non nasce da un'elezione maggioritaria. Le giuste e necessarie misure per la stabilità e l'efficacia dell'azione di Governo saranno costituzionalmente e democraticamente efficaci se si sarà capaci di creare un'area di garanzie, di libertà e di autonomie per le zone non maggioritarie, per l'elezione e per i poteri delle supreme magistrature, per le autorità indipendenti, per le regole parlamentari condivise e non imposte. Tolte o gravemente menomate le garanzie, dare più poteri a chi già ne ha e dare più poteri di quanti non ne hanno i Governi di tutte le moderne democrazie, è un'operazione ad altissimo rischio democratico.
Il testo approvato dalla I Commissione, sotto questo aspetto, non solo delude tutte le speranze coltivate dai rappresentanti dell'opposizione, non accogliendone neppure una, ma ha peggiorato gravemente, come lei stesso ha riconosciuto, il testo del Senato. Si potrebbero richiamare molti esempi. La I Commissione ha soppresso la parola «legislativa» nell'ultimo periodo dell'ultimo comma dell'articolo 13 del disegno di legge costituzionale che sostituisce l'articolo 70 della Costituzione. Si tratta della menomazione della funzione della Corte costituzionale, quella di giudicare le leggi nel loro contenuto e nel loro procedimento. Con quella cancellazione si è sottratto al giudizio sulle leggi il sindacato sulla spettanza delle leggi all'uno o all'altro ramo del Parlamento, secondo il nuovo criterio di ripartizione della competenza legislativa come definito dal progetto di riforma. Il relatore ci assicura che così la Commissione ha deciso anche alla luce del più generale principio dell'insindacabilità degli interna corporis acta. Il latinorum fa sempre effetto e quello dell'onorevole Bruno vuol dire «facciamo quello che vogliamo e nessuno ci potrà dire nulla». Se dovesse passare, indicherà in forma dotta uno scippo di garanzie costituzionali!
Altro esempio: la Commissione affari costituzionali, nel terzo comma del nuovo articolo 70, ha sottratto all'esame collettivo delle due Camere le leggi che disciplinano l'esercizio dei diritti fondamentali di cui agli articoli 13 e 21. L'opposizione, sul presupposto che il maggioritario porti ad una devitalizzazione della riserva di legge, riteneva non più adeguata la riserva di legge e richiedeva che la sfera dei diritti fondamentali fosse garantita da uno speciale statuto procedurale in Parlamento. Il Senato aveva concesso solo che tali leggi fossero approvate collettivamente dalle due Camere, ma la I Commissione ha soppresso questa garanzia minima. Sul versante degli organi costituzionali di garanzia, finisce poi per scomparire la discrezionalità del Presidente della Repubblica nei due atti oggi più importanti: il potere di nomina del Presidente del Consiglio e dei ministri e soprattutto lo scioglimento delle Camere.
Degli 85 articoli che compongono la parte seconda della Costituzione, il disegno di legge costituzionale approvato dal Senato ne riscrive più della metà (43), ai quali vanno aggiunte le ulteriori modifiche dell'articolo 16 sulle procedure legislative in casi particolari, approvate dalla I Commissione, e le altre norme interessate dalle disposizioni transitorie della riforma. Ma la qualità è ben più impressionante della quantità: si definisce la nuova forma di Governo e si modifica la forma di Stato; vengono riscritti e pasticciati i rapporti tra Stato e regioni; vengono radicalmente riformati e privati di essenziali poteri tutti gli organi di garanzia. Anche se formalmente non viene emendata alcuna norma della prima parte della Costituzione, le riforme della seconda parte, volte a personalizzare e a concentrare il potere esclusivamente nella figura del primo ministro, a provocare una caduta di pluralismo politico e sociale e a ridurre pericolosamente le garanzie di libertà, incidono pesantemente sui principi della prima parte.
Il primo ministro è l'asse portante della nuova forma di Governo (il sistema ruota attorno a questa figura); i suoi poteri si rafforzano drasticamente ed in modo pericoloso in ogni direzione: verso il Presidente della Repubblica, il Parlamento e lo stesso Governo. Gli automatismi dei meccanismi di potere, vera ossessione di questo progetto, fanno strage della saggezza di due secoli di costituzionalismo, costruita sul sistema di pesi e contrappesi e di stanze di compensazione. L'insieme dei poteri del primo ministro apre, infatti, uno stravolgimento del sistema politico che mette a rischio il principio democratico.
Sarebbe persino difficile pensare che la riforma lasci effettivamente sopravvivere l'organo costituzionale Governo. Il Governo, in effetti, non è composto dal primo ministro e dai ministri, come afferma il primo comma dell'articolo 92 della Costituzione, ma dal solo primo ministro. Il Governo come organo collegiale è privato di poteri, che sono attribuiti esclusivamente al primo ministro e che invece, in altri ordinamenti, sono condivisi o almeno partecipati dall'organo collegiale. Il sistema politico costituzionale è messo a rischio - lo ripeto - da automatismi autoritari nei meccanismi di potere, da quell'autentica passione, tanto evidente ed ostentata, del Presidente del Consiglio per il governo personale, dalla pericolosa riduzione dei poteri di garanzia del Presidente della Repubblica in punti chiave del sistema istituzionale e dall'esplosivo accumulo di rischi eversivi insiti nel principio autoritario cui si ispira la disciplina del primo ministro e in quella della devolution.
Non discuto l'esigenza di un rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio e l'idea di premierato, ma denuncio con forza e preoccupazione il rischio, che si annida in questo progetto, che si disperda il patrimonio di check and balances dei paesi democratici e anche del nostro, costruito per proceduralizzare e bilanciare i poteri del primo ministro, mettendo conseguentemente a rischio il principio democratico che ispira la nostra Carta.
Rispetto alla formazione del Governo, così come esso già funziona sulla base delle modificazioni verificatesi nel sistema elettorale e nel sistema politico e che ora si vorrebbero scrivere nella Costituzione, vi è da registrare la variante imposta dalla riforma del Parlamento, da cui deriva, con il nuovo Senato, che la maggioranza deve sussistere nella sola Camera.
Anche se formalmente non si arriva ad attribuire la titolarità del potere esecutivo al solo primo ministro, l'insieme della disciplina impone che si debba trarre questa conclusione: basta leggere il secondo comma dell'articolo 94, il quale, stabilendo che il primo ministro determina la politica generale del Governo, si colloca in una prospettiva in cui è di fatto egli solo il Governo e non solo il suo capo.
Durante la vita dell'esecutivo, il rapporto Governo-Camera, ed in particolare il rapporto fra il primo ministro e la maggioranza parlamentare cui questi è collegato, è regolato da tre strumenti di importanza capitale per comprendere la strutturazione della forma di Governo: la questione di fiducia, il potere di scioglimento e la mozione di sfiducia.
La questione di fiducia non è esplicitamente nominata nel testo di riforma, ma è disciplinata dal secondo comma dell'articolo 94, laddove è prevista la facoltà del primo ministro di chiedere che la Camera dei deputati si esprima, con priorità su ogni altra proposta, con voto conforme alle proposte del Governo. In caso di voto contrario, il primo ministro rassegna le dimissioni, secondo la previsione apparentemente edulcorata del testo approvato dalla nostra Commissione affari costituzionali (mi riferisco alla modifica dell'articolo 88 che prevede una fattispecie particolare).
Anche in questo caso, a differenza di quanto previsto nel sistema vigente, la decisione di porre la fiducia diverrebbe monopolio assoluto del primo ministro - che non sarebbe nemmeno tenuto ad informare il Consiglio dei ministri - e potrebbe riguardare qualsiasi oggetto. Infatti, non è previsto alcun rinvio a casi previsti dal regolamento; per cui, nulla essendo escluso, la richiesta del primo ministro potrebbe riguardare persino una legge costituzionale o una decisione della Camera sull'insindacabilità, sull'autorizzazione a procedere o sulla verifica di elezioni.
Tuttavia, l'elemento più destabilizzante della questione di fiducia, come prevista dal progetto, è che essa, da minaccia di dimissioni del Governo, come è ora, diverrebbe una minaccia di scioglimento anticipato della Camera. Lo scioglimento semiautomatico che avrebbe luogo in questo caso si affianca al potere del primo ministro di proporre sempre ed in qualsiasi momento al Presidente della Repubblica lo scioglimento della Camera, di cui egli assumerebbe l'esclusiva responsabilità.
La questione di fiducia così posta è, quindi, la negazione del costituzionalismo europeo di matrice britannica, caratterizzato dalla presenza di numerosi meccanismi di flessibilizzazione, e costituisce uno strumento oltremodo pericoloso per la vita democratica.
La questione di fiducia può essere proposta solo alla Camera, poiché solo quest'ultima intrattiene il pur anomalo rapporto di fiducia con il Governo, ma vi è una fattispecie che consente di presentarla anche al Senato. Si tratta di un sistema molto complesso in cui si può notare il cuore del problema posto dal combinato disposto della questione di fiducia - che il Governo può porre alla Camera - e del singolare procedimento legislativo, a prevalenza senatoriale, contenuto nel secondo comma dell'articolo 70 della Costituzione, che costituisce, se non un unicum, certo una rarità costituzionale nei regimi a bicameralismo imperfetto.
Tuttavia dietro tale formulazione si intravede che la questione di fiducia di cui al secondo comma dell'articolo 94 della Costituzione - ossia quella per così dire normale posta alla Camera - rischia di essere non una extrema ratio utilizzabile in situazioni di particolare gravità, ma quasi una misura ordinaria cui ricorrere in ogni caso di «incaglio» o punto morto fra le due Camere. Lo svuotamento della rappresentanza parlamentare nella Camera dei deputati sarebbe allora molto forte, con conseguenze gravi sull'equilibrio del sistema.
Il cardine del parlamentarismo risulterebbe divelto: non sarebbe più il Parlamento a concedere la fiducia al Governo ma, all'opposto, il primo ministro che concede la fiducia al Parlamento.
L'intento, evidentemente, è quello di rendere possibile la sostituzione del primo ministro solo all'interno della maggioranza espressa dalle elezioni, impedendo i ribaltoni. Non intendo certo demonizzare l'intenzione volta ad impedire i ribaltoni, al contrario, ma ritengo che non tutto sia costituzionalizzabile, regolabile e prevedibile con una norma e che non possano essere risolti con regole costituzionali problemi del sistema politico e, in particolare, problemi di etica della politica.
Questa riforma, cari colleghi, ci propone una Costituzione robot, che mira a rendere automaticamente sempre più potente il primo ministro. Un primo ministro più forte del Presidente degli Stati Uniti, che non è eletto quale leader di una maggioranza parlamentare e non può porre la questione di fiducia né può sciogliere le Camere, più forte del Presidente e del primo ministro francesi, per assenza di contrappesi come il ricorso delle minoranze parlamentari alla Corte costituzionale, di cui non a caso non v'è traccia nel debole statuto dell'opposizione abbozzato dal quarto comma dell'articolo 64 e, ovviamente, censurato dalla nostra I Commissione, più forte del premier israeliano, eletto direttamente e ben più forte del Presidente del Governo spagnolo, del Cancelliere tedesco e del primo ministro svedese, i quali possono essere a certe condizioni disarcionati dalla loro maggioranza e, in taluni casi, anche da una maggioranza parlamentare diversa.
Infine - come ho accennato - non regge neppure il confronto con il sistema parlamentare praticato in Gran Bretagna e in alcuni paesi del Commonwealth che ne riproducono gli assetti costituzionali.
Dunque, una Costituzione robot che pretende - e non è meno grave - di realizzare la devoluzione dei poteri dello Stato alle regioni attraverso meccanismi automatici, che prescindono dalla capacità e possibilità delle regioni stesse di gestirli e finanziarli; meccanismi automatici che distinguono e differenziano in questo modo i diritti di cittadinanza degli italiani, realizzando la più incostituzionale e odiosa delle secessioni, quella appunto dei diritti.
Per tale motivo vi invitiamo a fermarvi: fatelo per responsabilità verso il paese, che non è né vostro né nostro! Fatelo per amore dell'Italia (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani e Misto-Socialisti democratici italiani - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nuvoli. Ne ha facoltà.
GIAMPAOLO NUVOLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che occorra rivolgere un plauso al ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione, senatore Calderoli, che stasera, esattamente un'ora fa, ha illustrato in quest'aula le novità rispetto al testo di riforma già noto. In modo particolare, le novità attengono alle richieste avanzate anche dalle forze di opposizione nonché dalle regioni a statuto speciale. Duole constatare, però, che quanto detto dal ministro Calderoli è caduto praticamente nel vuoto, come dimostrato dalle considerazioni prima svolte da autorevoli rappresentanti dell'opposizione, quali l'onorevole Giordano e l'onorevole Castagnetti. È un atto di insensibilità politica ed istituzionale che ci trova in disaccordo, come parlamentari della maggioranza e - tout court - della Camera.
Il fatto che il ministro Calderoli abbia informato la Camera in merito all'integrazione del Senato federale con due rappresentanti delle regioni, di cui uno in rappresentanza delle autonomie locali, è estremamente importante ed evidenzia la sensibilità rivolta nei confronti delle richieste provenienti dal mondo delle autonomie, sia regionali che degli enti locali.
Il ministro Calderoli ci ha inoltre informato che i senatori decadranno quando verranno meno i consigli regionali, invertendo in pratica i fattori. Inoltre, ha anche comunicato che le elezioni verranno indette dai presidenti delle regioni e che le norme contenute nel testo di riforma costituzionale che ci accingiamo ad approvare saranno applicate alle regioni a statuto speciale qualora accordino loro un'autonomia maggiore.
È stato anche inserito in modo chiaro ed inequivocabile il principio della sussidiarietà; inoltre sarà prevista anche una clausola di garanzia per gli enti locali, in modo da evitare il rischio di neocentralismi regionali. Si pongono anche i presupposti istituzionali per l'attuazione a breve termine di un federalismo fiscale, che sia però allo stesso tempo anche solidale.
Qualche problema è rimasto aperto; mi riferisco in modo particolare alle intese relative ai meccanismi di revisione degli statuti delle regioni ad ordinamento speciale tra lo Stato e le stesse regioni. È infatti previsto che, qualora non si raggiunga un'intesa entro sei mesi, le Camere saranno autorizzate a procedere autonomamente. Il ministro Calderoli ha comunque opportunamente osservato come il testo costituzionale attualmente in vigore preveda soltanto di «sentire» le regioni. È stato quindi comunque compiuto un passo in avanti, ma a mio avviso - come esponente della maggioranza e come rappresentante di una regione a statuto speciale, quale la Sardegna - bisogna andare addirittura oltre. Bisogna infatti modificare ulteriormente il testo, in modo che l'intesa costituisca una conditio sine qua non per procedere alla revisione degli statuti delle regioni ad ordinamento speciale.
Si è fatto poi un gran parlare di federalismo negli ultimi mesi e, in modo particolare, in queste ultime settimane, con l'avvicinarsi cioè dell'inizio dei lavori per l'esame e l'approvazione del disegno di riforma costituzionale.
Certamente l'obiettivo è costituito dall'ammodernamento dello Stato sulla base di un federalismo solidale, che naturalmente si sposi con un esecutivo più autorevole, più stabile e con la possibilità di incidere più celermente sulla soluzione dei problemi del paese.
Il federalismo non è dunque un'invenzione di questo Governo e non corrisponde ad un capriccio del Presidente Berlusconi, né dell'onorevole Bossi, né del ministro Calderoli, né di questa maggioranza. Il federalismo è una dottrina su cui poggiano gli Stati moderni e che a sua volta poggia su un retroterra culturale e storico ormai consolidato e di diffusa applicazione.
I tentativi di unione fra diverse comunità politiche condotti prima della fine del secolo XVIII - quando nacque nel Nord America il primo Stato federale - costituiscono la preistoria del federalismo. Quest'ultimo, nel senso moderno del termine, nacque sul finire del Settecento, alla periferia del mondo europeo, nelle ex colonie inglesi del Nord America. Il dilemma unità-autonomia, che le colonie avevano risolto negativamente mediante la secessione dalla madre patria, si ripresentò nel momento in cui esse avvertirono l'esigenza di mantenere in tempo di pace l'unione cementata dalla guerra. La Confederazione istituita durante il conflitto, e rimasta in vita nel periodo compreso fra il 1781 e il 1789, presentava i difetti tipici delle confederazioni del passato, lucidamente denunciati dal Federalist, la più importante opera teorica sul federalismo. Nel 1787 una Convenzione costituzionale elaborò a Philadelphia un progetto per una nuova unione, che, approvato dalle tredici ex colonie, costituì il prototipo delle Costituzioni federali moderne. Con esso fu attuato un sistema politico che contemperò, con un equilibrato rapporto di subordinazione giuridica e di coordinazione politica, l'autorità dei poteri federali con quella degli Stati membri, dividendo opportunamente fra gli uni e gli altri la sfera delle competenze politiche.
Al modello federale statunitense si ispirarono, fin dall'Ottocento, direttamente o indirettamente, altre costruzioni politiche: la federazione elvetica, del 1848; quella canadese, del 1867; le federazioni latino-americane dell'Argentina (1853), del Messico (1857) e del Brasile (1889). Nel nostro secolo sono nate la federazione australiana, nel 1901; quella sovietica, nel 1917, cui è succeduta la Federazione russa nel 1991; la Repubblica di Weimar (1919-1933); la Repubblica austriaca (1928-1938 e 1955); il Venezuela, nel 1936; e via dicendo. Vi è dunque un lungo elenco di paesi in cui si sono affermate Costituzioni federali.
Occorre dire che molte delle federazioni citate sono state tali solo in senso giuridico-formale, essendo effettivamente più simili al tipo dello Stato unitario. Il federalismo non è soltanto una questione di ingegneria costituzionale, poiché per calarsi nella realtà effettuale esso deve trovare condizioni favorevoli, nel senso di una tendenza al pluralismo, alla soluzione negoziata dei conflitti, al rispetto per le minoranze e alla tolleranza per le diversità.
Questi elementi sono favoriti, a loro volta, da un senso comunitario, da moderate diseguaglianze economico-sociali e da un livello di vita accettabile. Ciò mostra come il federalismo sia un rimedio certamente non sempre applicabile nell'immediato e spiega i limiti e le difficoltà cui vanno incontro gli sforzi dei movimenti federalisti che si propongono di realizzare unioni federali a livello continentale o anche planetario. Condizioni favorevoli di questo tipo, tuttavia, si hanno sicuramente in Europa e sorreggono il processo che la spinge verso un'Unione europea compiutamente federale. Nondimeno, queste considerazioni possono certamente valere per il nostro paese.
Per quanto attiene al disegno di legge in esame, mi pare opportuno sottolineare principalmente tre aspetti. In primo luogo, come esso sia frutto di un dibattito ampio, approfondito e consapevole. In secondo luogo, come esso costituisca un progetto organico finalmente complessivo e non parziale - come per esempio è stata la riforma del Titolo V nella passata legislatura - che risponde alle esigenze di ammodernamento della vita del paese, avvicinando le istituzioni alla gente secondo l'essenza del federalismo e del principio di sussidiarietà, in base al quale le decisioni debbono essere prese il più vicino possibile a coloro che da quelle decisioni sono principalmente coinvolti e da coloro che questi rappresentano. Desidero infine sottolineare come il disegno di legge in esame rappresenti, fin d'ora, una risposta rispettosa dell'identità istituzionale e dei valori comuni, ma nondimeno sia ragionevolmente aperto al dibattito e ai contributi di tutti coloro che si pongano come fine quello di dotare il paese di un apparato istituzionale che consenta di governare a diversi livelli territoriali sulla base del principio della responsabilità e del controllo democratico, fuori della logica della conservazione a tutti i costi. Infatti, il terreno costituzionale, cari colleghi, è di tutti e non è interesse di nessuno conservarlo frammentario e obsoleto.
Il disegno di legge costituzionale di iniziativa governativa al nostro esame, recante «Modificazioni di articoli della parte II della Costituzione» è stato presentato dal Governo al Senato il 17 ottobre 2003 ed è stato esaminato da quel ramo del Parlamento a partire dal 23 ottobre. Esso è stato, quindi, approvato dal Senato della Repubblica il 25 marzo 2004 e il suo esame è stato avviato il 7 aprile scorso dalla I Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati. Stiamo registrando su questi temi ormai un anno di dibattito parlamentare. Due ampie ed articolate indagini conoscitive, presso la I Commissione permanente del Senato prima e presso la I Commissione della Camera poi, hanno accompagnato il suo esame con il contributo di studiosi, istituzioni e parti sociali. Il dibattito complessivo si misura in centinaia di ore e migliaia di proposte emendative e di votazioni.
Quale che sia il giudizio che si voglia dare sul testo, esso è frutto di un lavoro del Governo e del Parlamento ampio, articolato e consapevole, non improvvisato e scevro anche di forzature e accelerazioni. Esso è frutto, quindi, di una ragionata prosecuzione e di un dibattito in corso da decenni che vuole rispondere alla unanimemente riconosciuta esigenza di adeguare la Carta costituzionale alla nuova realtà politica e sociale del paese.
Il testo è stato più volte e significativamente modificato, pur mantenendo coerenza con le impostazioni iniziali e con le ragioni profonde che hanno dato vita all'iniziativa.
Il testo della riforma ha come fine ultimo quello di adeguare le strutture della Repubblica alle nuove sensibilità, ai nuovi valori e alla nuova realtà dell'Italia e dell'Europa. Solo un'analisi miope può vedere dietro questo grande sforzo preoccupazioni contingenti a tattiche di breve periodo.
Si voglia o non si voglia riconoscerlo, tra l'altro, esso è da una parte la logica conseguenza della riforma del Titolo V, approvata alla fine della scorsa legislatura, che tanti guai ha determinato tra i quali, in modo particolare, l'enorme contenzioso tra autonomie locali, regioni e Stato centrale pendente presso la Corte costituzionale; dall'altra, la riproposizione, per temi come il premierato, di un dibattito cui hanno ampiamente contribuito, in senso del tutto analogo, le forze politiche di tutti gli schieramenti nel corso dei tentativi di riforma costituzionale intrapresi dalla Commissione De Mita-Iotti prima e dalla Commissione D'Alema poi.
Eccoci ora a valutare in questa Assemblea l'iniziativa del Governo Berlusconi. Vale la pena di sottolineare velocemente alcuni aspetti di merito tra quelli maggiormente innovativi della riforma: l'introduzione di un moderno premierato, dove si coniugano efficacemente poteri e responsabilità; l'istituzione di un Senato federale, dove le regioni sono finalmente portate dentro la funzione legislativa statale, come avviene in tutti gli Stati moderni; la devolution e il conseguente chiarimento intorno a tre fondamentali funzioni come la sanità, la scuola e la sicurezza. In questo contesto giova sottolineare la connotazione federale che il disegno di legge in esame mira a conferire all'ordinamento della Repubblica. Nell'ottica della riforma, l'organo deputato a concretizzare tale obiettivo diviene il Senato, che modifica la propria denominazione in Senato federale della Repubblica. La nuova struttura costituzionale prevede, infatti, il mantenimento del sistema bicamerale, all'interno del quale il Senato rappresenta il contesto istituzionale dove operare il raccordo tra potestà normative dello Stato e delle autonomie territoriali. Dovendo la composizione e la formazione del Senato assicurare il collegamento con le regioni, si prevede che il sistema elettorale del Senato garantisca la rappresentanza territoriale da parte dei senatori.
Per quanto attiene alla funzione legislativa, il progetto di riforma, nella prospettiva del superamento del bicameralismo perfetto, prevede leggi statali a procedura bicamerale e monocamerale, quest'ultima con possibilità di riesame da parte dell'altro ramo del Parlamento. Come detto, in aggiunta alle norme che regolano la composizione e i poteri del Senato federale, diverse disposizioni del disegno di legge di riforma affrontano aspetti di rilievo per le regioni e le autonomie territoriali locali. Si tratta in primo luogo della previsione della devoluzione di materie, esplicitamente e specificamente menzionate, alla competenza legislativa delle regioni, ovvero l'assistenza e l'organizzazione sanitaria, l'organizzazione scolastica, la gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche, la definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della regione e la polizia locale. Resta salva la competenza residuale delle regioni per ogni materia che non rientri espressamente nella competenza esclusiva dello Stato.
Non è questa la sede per ricordare tutti gli interventi operati dal disegno di legge in esame; tuttavia, poiché come è comprensibile il dibattito spesso si accentra sugli aspetti di maggior rilievo politico e istituzionale, quali il premierato e la riforma del Senato, vorrei dedicare un breve spazio ad alcuni interventi apparentemente marginali realizzati dalla riforma. Dico apparentemente marginali, perché essi in realtà sono contributi di grande chiarezza nel definire il cammino collaborativo e responsabile che Stato e autonomie territoriali, ma non solo, sono inevitabilmente chiamati a compiere. Così è, ad esempio, per le intese fra le regioni, di cui all'articolo 117, comma 8, della Costituzione, dove si specifica opportunamente il carattere amministrativo degli eventuali organi comuni istituiti per il miglior esercizio delle funzioni amministrative regionali.
Le modifiche introdotte al successivo articolo 118 prevedono un espresso riconoscimento degli enti di autonomia funzionale per lo svolgimento di attività di interesse generale. Si tratta di un aspetto che merita grande considerazione: sebbene non sia caduto sotto i riflettori accesi dai mass media sulla riforma, esso evidenza il ruolo della rete della società civile nei servizi ai cittadini e sostanzia il principio di sussidiarietà orizzontale al fianco della più seguita sussidiarietà verticale.
Proseguendo un discorso al quale ho accennato in apertura del mio intervento, desidero intrattenermi ancora un poco sulla questione delle autonomie speciali, la cui peculiarità è stata già riconosciuta dalla riforma costituzionale del 2001. Avendo riguardo agli statuti delle regioni ad autonomia speciale, si prevede che essi siano adottati con legge costituzionale (questa è una conferma) previa intesa con la regione interessata, che potrà manifestare il proprio assenso entro un certo termine (sei mesi dall'avvio del procedimento) decorso il quale le Camere potranno procedere all'approvazione della legge costituzionale. A tale proposito, invito caldamente ad una riflessione il Governo e la maggioranza: a mio parere, l'intesa non può essere un optional; inoltre, si deve prevedere che, qualora l'intesa manchi o non sia accordata, gli statuti delle regioni ad autonomia speciale non si possono modificare.
Sempre con riferimento al tema delle regioni a statuto speciale, desidero sottolineare che bisognerà evitare - e sono sicuro che lo si eviterà perché un'intenzione in tal senso non è stata manifestata né dal Governo né dalla maggioranza - di utilizzare il richiamo all'interesse nazionale, che mi sembra opportuno, come criterio per attuare una sorta di controllo di merito sulle leggi delle regioni a statuto speciale. Quindi, anche in ordine a questo punto specifico rivolgo una calda raccomandazione al Governo ed alla maggioranza - mi sia consentito rivolgerla anche all'opposizione - affinché si trovi una clausola o un qualunque modo per garantire in ogni caso l'autonomia delle regioni a statuto speciale.
In mancanza di vincoli che impediscano di procedere ad ulteriori approfondimenti, sono quelli testé indicati gli aspetti che, a mio giudizio, dovrebbero essere oggetto di riconsiderazione.
Ho limitato la mia analisi soltanto ad alcuni aspetti, in special modo a quelli meno trattati nel grande dibattito istituzionale in atto, per evidenziare quanto sia ampio ed articolato il progetto al nostro esame: il disegno di legge costituzionale che quest'Assemblea è chiamata ad esaminare contiene ben 43 articoli che modificano più di 40 articoli della parte seconda della Costituzione concernente l'ordinamento della Repubblica.
Va anche sottolineato - mi rivolgo soprattutto agli amici dell'opposizione - che la riforma costituzionale, non toccando la prima parte della Costituzione, non riguarda i fondamenti dell'ordinamento del paese e, tra essi, l'unità della Repubblica ed il valore delle autonomie. Noi non modifichiamo alcunché della prima parte della Costituzione! E per quanto concerne la parte seconda, piccoli e grandi interventi vengono efficacemente coniugati allo scopo di perseguire l'obiettivo dell'ammodernamento delle istituzioni alla luce dei principi di autonomia e di federalismo.
Nessuno nega che permangano alcune difficoltà, che il testo sia migliorabile - ho già chiesto che lo si faccia nel corso del mio intervento - e che esso possa e debba essere migliorato. Penso, ad esempio, al nuovo assetto conferito al Senato, che, sottratto a quel meccanismo di fiducia-scioglimento cui continua ad essere sottoposta la Camera, non dovrebbe costituire un insuperabile ostacolo alla realizzazione del programma di Governo. Penso, inoltre, alla disposizione - assente nel testo pervenuto dal Senato ed aggiunta nel corso dell'esame in sede referente qui alla Camera - secondo la quale, fino all'adeguamento degli statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle regioni a statuto speciale.
Per quanto riguarda tale aspetto, credo che il ministro Calderoli abbia già assicurato l'Assemblea che le norme del disegno di legge costituzionale in esame potranno applicarsi alle regioni a statuto speciale soltanto laddove esse rappresentino un ampliamento dell'autonomia. Vi sono dunque spazi di ulteriore intervento e lo spirito deve essere improntato all'apertura e alla collaborazione. Il lavoro svolto dal nuovo ministro per le riforme e dalla I Commissione Affari costituzionali, lodevolmente guidata dal presidente Bruno (nei giorni passati è stata avviata un'amplissima consultazione con esponenti delle istituzioni e della società) è evidentemente ispirato a questi criteri. Certo, chiunque ritenga che le riforme istituzionali siano importanti ed urgenti (e questa è la voce pressoché unanime, non di questa, ma almeno delle ultime quattro legislature) non può non ritenere che il cammino compiuto fin qui non può divergere completamente da quello svolto durante l'esame al Senato. Ulteriori modifiche al testo che sarà approvato dalla Camera sono auspicabili in termini migliorativi, ma senza vanificare l'ottimo lavoro finora compiuto sia dal Senato sia dalla I Commissione Affari costituzionali, per non privare il paese di una riforma di cui c'è bisogno e per cui c'è grande attesa e per consentire anche alla maggioranza di onorare un impegno sottoscritto al momento delle elezioni.
Vorrei concludere il mio intervento ricordando le parole del grande scrittore belga Charles Joseph de Ligne per il quale vi erano due specie di sciocchi, quelli che non dubitano di niente e quelli che dubitano di tutto. Il ministro e la maggioranza hanno dimostrato di avere qualche dubbio. Bisognerebbe che anche l'opposizione e qualche illustre politologo (penso ad esempio al professor Sartori) non dubitassero sempre e comunque di tutto. Credo che solo in questo modo si servano gli interessi del paese.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Montecchi. Ne ha facoltà.
ELENA MONTECCHI. Signor Presidente, l'informazione che il ministro Calderoli ci ha fornito (di ciò lo ringraziamo) è stata meno esaustiva degli specchietti informativi apparsi sul Corriere della sera e su Il Sole 24 ore perché in quel caso abbiamo potuto conoscere il presunto stato dell'arte del lavoro emendativo della maggioranza. Farò in larga misura riferimento al Corriere della Sera e a Il Sole 24 Ore più che alle informazioni che qui sono state fornite. Sulla base di tali specchietti sono in grado di esprimere un giudizio non positivo sul lavoro emendativo della maggioranza. Infatti, su alcune questioni decisive, quale quelle relative alle funzioni del Senato federale e della Camera politica, negli specchietti è presente ancora genericità e reticenza. Ciò significa evidentemente che nella maggioranza si sta ancora lavorando per vedere come definire meglio le funzioni del Senato federale. Questo quadro di informazioni consente di esprimere un giudizio negativo.
Ho letto con attenzione nei vari articoli le dichiarazioni del ministro Calderoli e l'ho ascoltato anche qui in quest'aula: il ministro ci invita al dialogo. Ma per dialogare bisogna sapere su cosa si dialoga e perché, e come mai siamo invitati oggi a dialogare. È un appello alla buona volontà, che noi accogliamo come tale; ma come mai a luglio non si poteva dialogare in Commissione? Come mai è stato detto «no» a qualunque proposta emendativa, persino alle proposte più sensate e alle più banali?
Ora leggiamo e ascoltiamo che la maggioranza ha accolto alcuni emendamenti; mi pare di intuire che riguardino in particolare - in base a quello che ho sentito qui - la collocazione degli eletti nella Circoscrizione estero e la questione dei senatori a vita, che mal starebbero in un Senato federale. Noi prendiamo atto di questo; è importante che almeno il dialogo sul terreno del buonsenso sia un patrimonio identitario comune delle persone di buona volontà e di buonsenso. Ma le questioni relative ai poteri del premier, al Senato federale, alla devoluzione, le vogliamo ridiscutere insieme? La maggioranza è pronta a valutare le condizioni per quel che si definisce di solito (e non fa scandalo) un compromesso trasparente? Queste domande appaiono - io suppongo - provocatorie, perché è molto difficile pensare di poter dialogare quando la logica politica - io sono appassionata di politica e quindi capisco - che ha guidato la maggioranza è stata quella di una necessaria, talora obbligata, mediazione interna.
Allora, noi non siamo stati in Commissione - questo peraltro è un paese ben strano, perché anche il dialogo diventa una questione di carattere ideologico - nel mese di luglio, quando qualche collega della maggioranza era perfino insofferente (c'era anche molto caldo) ...
ALFREDO BIONDI. Attenuanti generiche!
ELENA MONTECCHI. ...non siamo stati in Commissione perché siamo masochisti, ma perché cerchiamo di assolvere al nostro ruolo politico e di mandato; e non siamo guidati dalla logica della contrapposizione sterile: non lo siamo!
Già il collega Castagnetti ha fatto questo richiamo ma lo voglio fare anche io. Vedete, ci si dice, in qualche modo per giustificare nel dibattito politico l'azione della maggioranza di oggi, che il centrosinistra varò la riforma del Titolo V in una condizione di durissima contrapposizione (il che è anche vero, ma era una contrapposizione peraltro determinata da un clima politico). Già è stato ricordato però che quel testo era il frutto di una Commissione bicamerale, era il frutto di una mobilitazione del sistema delle autonomie delle regioni ed era il frutto di un dato politico, culturale e istituzionale (cioè i primi cinque anni degli anni Novanta), nel quale operavano persino forze sociali imprenditoriali: chi non ricorda il convegno della Fondazione Agnelli sulla questione della inevitabilità del federalismo? Chi non ricorda che la Confindustria fu alla testa di un rinnovamento istituzionale, a partire dal referendum sulla preferenza unica (va ricordato anche a Confindustria questo tema)? Noi non ci iscriviamo al partito dei conservatori; noi facemmo, pur negli errori politici, quella riforma, perché siamo per il cambiamento dell'assetto istituzionale di questo paese.
Ma siamo anche dei dirigenti politici e sappiamo che non c'è nessun mutamento di assetto istituzionale in grado di funzionare, e di essere insieme efficace, efficiente ed equo, se non è il frutto di una condivisione sociale, ancor prima che parlamentare. Ciò perché, se esso è frutto solo del lavoro del ceto politico ed istituzionale, si perviene alla «mitologia della riforma», e non all'efficacia della riforma stessa.
A tal proposito, allora, credo che la maggioranza sia afflitta da una malattia chiamata «mito della riforma istituzionale». Infatti, non si è proceduto speditamente in tal senso dopo l'approvazione della cosiddetta riforma La Loggia, da noi peraltro condivisa. Non si è proceduto speditamente e con coerenza, dal vostro punto di vista, con lo stesso testo della devolution, che giaceva, e giace ancora oggi, presso il Senato della Repubblica.
Ciò perché, in sede di Giunta per il regolamento sia della Camera dei deputati sia del Senato, la vostra maggioranza si è rifiutata di procedere all'integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali, vale a dire all'attuazione dell'articolo 11 della legge costituzionale di riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione. Vorrei ricordare che un argomento addotto da un collega della maggioranza in sede di Giunta per il regolamento della Camera è stato il seguente: dobbiamo controllare come sono le maggioranze!
Ad esempio, se ho ben capito, voi state avanzando adesso una proposta di composizione del Senato federale che prevede la presenza di rappresentanti degli enti locali e delle regioni. Vi faccio allora gli auguri! Come saranno nominati? A che modello si ispira tale proposta? È un mix di modello spagnolo e di Bundesrat? Qual è il modello di riferimento? Perché chi ha il mito della riforma non riesce ad essere almeno un po' riformista? Vorrei ricordare, allora, che attualmente esiste una Commissione parlamentare per le questioni regionali: perché non si punta a costituirla e non si parte da tale organo? Perché non lo si fa? Non si ricevono risposte plausibili da questo punto di vista.
A nostro avviso, porre mano ad una modifica sensibile della Costituzione è un atto necessario. Per questo motivo, ci siamo impegnati sulla cosiddetta «bozza Amato» e, come centrosinistra, ci siamo impegnati, attraverso un impianto emendativo, a proporre modifiche nel corso dell'esame alla Camera dei deputati. Riteniamo che occorra porre mano ad una modifica sensibile della Costituzione poiché non concepiamo il sistema federale come una precario equilibrio tra tante piccole patrie, unito ad un potere un po' più centralizzato.
Come credo di capire, leggendo il Corriere della Sera, si definisce una Commissione bicamerale a tutela dell'interesse nazionale. In primo luogo, ovviamente, vorrei osservare che vi è uno scontro frontale con le filosofie della devolution, poiché vi è una visione centralistica, la quale prevede non un sistema basato sulla concertazione, bensì il conflitto all'interno del sistema stesso. A quel punto, infatti, la Camera dei deputati, il Senato federale e le regioni cosa faranno quando si troveranno - se ho ben capito, poiché è molto difficile comprendere le intenzioni del Governo ed occorrerà attendere le proposte scritte - di fronte una Commissione bicamerale che impugnerà i provvedimenti in nome dell'interesse nazionale? Badate che, con tali proposte di riforma, si introduce nel sistema un enorme conflitto: ciò significherà il mancato funzionamento del sistema stesso rispetto agli interessi dei cittadini.
Per noi, pertanto, porre mano alla Costituzione, come ho affermato precedentemente, non significa creare tante piccole patrie, peraltro perdenti in Europa. Ciò non costituisce nemmeno un terreno di equilibrio tra interessi divergenti, vale a dire tra divergenti visioni politiche e tra divergenti calcoli tattici. Vi è, insomma, un problema di nobiltà dell'obiettivo. Ciò perché siamo chiamati anche a offrire risposte urgenti. Vorrei segnalare, in particolare, una questione che mi preoccupa molto, e che riguarda il rapporto tra gli Stati nazionali e l'Unione europea.
Qual è il rapporto tra le Costituzioni nazionali e la Costituzione europea? E, ancora, come regge un paese, con il suo apparato normativo e con la sua Costituzione, a fronte dell'ordinamento comunitario su materie enormi, che riguardano il mercato, la giustizia, la moneta? Non è necessario riflettere su quale sia l'impianto costituzionale e normativo che il nostro paese ha all'interno della sfida nell'Unione europea? O vogliamo trascinare questo paese in una condizione di enorme marginalità? Oppure dividerci tra il partito di coloro i quali sono euroscettici - e nella vostra maggioranza ci sono, ma è un po' come nella poesia di Carducci: l'asino che guarda il treno, ahimè! - e chi è felice che al di fuori della propria nazione arrivino i vincoli che cambiano gli statuti della propria nazione? No, perché, in tal modo, un paese perde: perde nella sua economia, perde nella sua società, nelle sue intelligenze!
Dunque, la questione di come si governa l'Italia in un contesto federale, con un autorevole Stato nazionale che guarda il suo ruolo nell'Unione europea, chiama in causa il senso di tale nazione. Ecco, vi è qualcosa di un po' più grande: perciò non mi appassiono alla discussione che - lo comprendo - proviene anche dal centrosinistra sulla questione dei costi. Le riforme costano.
Il tema è, a mio parere, un altro: chi si riconosce in un processo di riforma e quali sono i vincoli di responsabilità che si assume rispetto al federalismo fiscale e rispetto alla responsabilità del bilancio pubblico. Questo è il tema delicatissimo che vi è e che pochissimi affrontano. Ecco perché alcune forze sociali chiedono il ritorno ad un vecchio centralismo o, se non al centralismo, almeno ad un punto di controllo certo, riconosciuto. Ma, mentre in questo paese si chiede ciò, in altri paesi si sta riflettendo sulle città-Stato. In altri paesi, cioè, si sta riflettendo su cosa sia, all'interno di Stati forti, l'Europa delle regioni, delle aree territoriali; Stati-nazione forti, che sanno, grosso modo, anche nelle durissime dialettiche tra maggioranza e opposizione, dove vogliono andare, anche in condizioni di difficoltà, quali quelle della Germania rispetto al proprio bilancio e, soprattutto, rispetto alle questioni legate allo Stato sociale.
La vostra proposta di riforma ha diviso moltissimo, persino i costituzionalisti, spaccati tra una minoranza di lealisti, che abbiamo l'onore di leggere su qualche quotidiano amico vostro, ed una maggioranza di scettici, di perplessi, di preoccupati (al di là di Sartori, penso a chi, con dignità intellettuale, svolge il suo mestiere nelle università italiane).
Non c'è dubbio che una riforma porta sempre con sé osservazioni di studiosi della materia; sempre. Tuttavia, nella fattispecie, siamo oltre: anche dal mondo delle accademie e della ricerca ci provengono preoccupazioni che, ripeto, sono quelle non di coloro che hanno costantemente audience sulla stampa, ma di coloro i quali insegnano agli studenti italiani il diritto costituzionale. Noi dovremmo chiederci perché vi sono queste preoccupazioni. Spesso esse sono persino di comprensione di quel che esattamente s'intende fare.
Noi abbiamo a cuore l'idea di uno Stato federale, e l'idea di un Governo autorevole - ripeto - non l'abbiamo mai messa in discussione, così come l'esigenza di avere, nell'ambito del nuovo sistema elettorale, un'autorevolezza del premier, nel suo rapporto con il Parlamento.
Tuttavia, non possiamo consentire che si metta in discussione la rappresentanza nel suo statuto materiale in nome degli uomini soli al comando, che sono la semplificazione della complessità istituzionale e politica di questo paese, una semplificazione che non porta lontano. Noi abbiamo a cuore la visione di una riforma costituzionale sulla quale abbiamo lavorato con molta modestia anche per approssimazioni successive. Infatti, le visioni e le differenze sono state una ricchezza del centrosinistra...
PRESIDENTE. Onorevole Montecchi...
ELENA MONTECCHI. Signor Presidente, mi avvio alla conclusione. Noi abbiamo presentato emendamenti che sono l'espressione di tutto il centrosinistra. Lo ripeto: ciò è il frutto di un lavoro approfondito. Noi abbiamo a cuore che, dietro le scelte che si operano, ciascuno di noi sia chiamato a chiedersi, nel momento in cui esprime il proprio voto su una materia così importante e rilevante, se quel voto salvaguardi il principio di equità fra i cittadini, le garanzie di eguaglianza e i diritti.
Si tratta di questioni fondamentali, perché la Costituzione è, in qualche modo, la madre di ciò che siamo in una nazione. Allora, colleghi, esprimeremo un giudizio più compiuto nel corso dell'esame degli emendamenti, ma vi diciamo fin d'ora che le modifiche che avete introdotto non correggono un impianto che consideriamo sbagliato (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e di Rifondazione comunista - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.
GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, colleghe e colleghi, il professor Livio Paladin - uno dei più autorevoli ed insigni costituzionalisti che la dottrina giuspubblicistica del nostro paese ha avuto - aveva previsto che la crisi delle forze politiche che avevano dato vita al patto costituente portava con sé il rischio che venisse messo in discussione l'intero assetto costituzionale dell'ordinamento. Invitava, pertanto, a riflettere sull'onda lunga dell'intera storia costituzionale italiana, confermando la necessità concettuale e politica di non fare di ogni erba un fascio, distinguendo analiticamente con estrema cura quanto va ripensato a causa delle sue stesse origini da quanto si dimostra tuttora vivo e vitale. Condivido interamente questa riflessione per cui, a mio giudizio, il problema non è se si possa o meno cambiare la Costituzione; il problema è come cambiarla.
Noi vogliamo cambiare, noi siamo autentici riformatori. Riteniamo, infatti, che, da quando è stata approvata la nostra Costituzione, vi siano state nella storia costituzionale del nostro paese almeno due forti discontinuità: la prima, introdotta con il sistema elettorale maggioritario, ci deve porre il problema delle garanzie; la seconda è la riforma del Titolo V e la necessità che questo paese abbia un Senato federale, una Camera che sia autentica rappresentante degli interessi territoriali.
Poco fa il collega Nuvoli ha citato un dato e l'ha fatto sabato scorso anche il Presidente del Consiglio a Bari: mi riferisco a questo continuo rifarsi ad un abnorme contenzioso che il Titolo V avrebbe innescato tra Stato e regioni. Ciò è vero, perché quella riforma - come cercherò di dire anche in seguito - presentava sicuramente aspetti che devono essere corretti. Ma vi siete domandati qual è l'origine di quel contenzioso? Lo sapete che il contenzioso davanti alla Corte costituzionale è per quattro quinti proposto dalle regioni contro leggi che questo Governo e questa maggioranza hanno approvato? Vi rendete conto che all'origine di questo enorme contenzioso non c'è solo la riforma del Titolo V, ma anche la vostra proterva e continuata attitudine a non considerare la riforma del Titolo V come Costituzione vivente del nostro paese? Questa è una vostra responsabilità!
Come dicevo, noi siamo riformatori autentici e vogliamo cambiare. Non ci faremo mai iscrivere nel ruolo dei conservatori.
Abbiamo dimostrato la nostra volontà di cambiamento durante i lavori della Commissione, nel corso dei quali abbiamo presentato 80 emendamenti, che stavano ad indicare il senso ed il cammino della nostra volontà riformatrice. Questo nostro atteggiamento è stato tuttavia respinto e, nell'ultima fase dei lavori, anche, per certi aspetti, irriso.
In quest'aula, il 4 marzo 1946, durante i lavori dell'Assemblea costituente, Piero Calamandrei ebbe a dire: «Cerchiamo di esaminare i problemi costituzionali con spirito lungimirante. Quel senso storico che abbiamo imparato da Benedetto Croce non si deve trasformare in un gretto compromesso di partito che restringa il nostro campo visivo alle previsioni elettorali dell'immediato domani». Ricordo inoltre il richiamo di Livio Paladin, che espressamente parlava di «necessità concettuale di sapere distinguere ciò che va ripensato da ciò che si mostra ancora vitale». Piero Calamandrei, spirito lungimirante!
Ora è questo il clima? Una volta si sarebbe detto: è questa la temperie politico-culturale? Purtroppo, temo di no! C'è un libro di una malinconica bellezza di uno scrittore francese, Jean Claude Izzo, intitolato Casino totale, titolo evocativo, che reca nel frontespizio una fase di Jim Harrison: «Non esiste la verità: ci sono solo storie». Mi sembra che sia il titolo di questo libro sia la frase possano rappresentare un'utile chiave di lettura per comprendere quanto siamo chiamati a discutere oggi in questo ramo del Parlamento.
È una riforma costituzionale senza verità, ma con molte storie dietro; una riforma costituzionale senza verità, poiché la frammentarietà, la ritrosia, l'ambiguità delle soluzioni proposte dalla riforma appaiono prive della capacità di instaurare un vero e proprio modello costituzionale alternativo rispetto a quello vigente. Tuttavia, vi sono molte storie particolari dietro, che producono il pericolosissimo ed incredibile tentativo di superare, con un nuovo assetto costituzionale, le difficoltà di un sistema politico.
Volendo semplificare, brutalizzando questo ragionamento, avete fatto una verifica politica di maggioranza e l'avete chiamata riforma costituzionale. Questo è un fatto politicamente grave, che produce rotture con la storia e la cultura costituzionali del nostro paese: la prova «provata» di quanto sto sostenendo è sotto i nostri occhi, sulle pagine dei giornali di questi giorni.
È esemplificata dal ministro Calderoli che si affaccia al balcone e si esibisce in una imitazione della fumata bianca di vaticana memoria: habemus scriptum, ovvero abbiamo il testo, forte, più che dell'illuminazione dello Spirito Santo, dei voti, in questo caso non dei cardinali, ma dei leghisti, decisivi per la sopravvivenza presente e futura di questa maggioranza.
È l'apoteosi del tavolo tecnico dell'estate che conclude, pare di capire positivamente - lo vedremo al momento della presentazione degli emendamenti - il lavoro iniziato la scorsa estate dai saggi di Lorenzago. Siamo alla chiusura del cerchio: la riforma è nata e trova un equilibrio definitivo fuori dal Parlamento, con un accordo fra le sole forze di maggioranza.
Qui c'è il primo strappo con la storia costituzionale del nostro Paese e con la cultura costituzionale della nostra Repubblica.
La nostra Costituzione, come ha affermato Pombeni, è stata ed è un compromesso garantistico: un compromesso nel senso più alto del termine, vale a dire di promettere e insieme di dare attuazione ai principi di fondo espressi nella prima parte della Costituzione.
Chi mette sotto accusa la Costituzione per il suo carattere compromissorio, ha scritto Friesenham, in fondo rifiuta il principio democratico, proprio perché la nostra Costituzione è nata da un patto stretto fra forze contrapposte tra loro.
La nostra non fu all'origine, e non lo è mai stata, una Costituzione di maggioranza; è invece una Costituzione di tutti, alla quale le diverse forze, pur rimanendo antagoniste, e ripeto antagoniste e non distinte, possono richiamarsi ad eguale titolo, e che è adattabile per le sue aperture in varie direzioni, a mutamenti politici di diverso segno.
Perdere questo spirito costituente significa consumare un principio ispiratore fondamentale: lo spirito della nostra Carta fondamentale. Mi preoccupa la leggerezza con la quale si intende liquidare questo carattere di fondo della nostra Costituzione, perché il Governo e la sua maggioranza hanno bisogno di compattarsi su qualcosa di politicamente spendibile in campagna elettorale.
Qualcuno ha obiettato che è stato il Governo dell'Ulivo a rompere per primo la consuetudine dell'opportunità di larghe intese: non ho difficoltà a parlare di questo, ma con una necessaria premessa.
Il testo di riforma del Titolo V, che fu approvato con pochi voti di maggioranza a pochi giorni dalla conclusione della XIII legislatura, aveva avuto un confronto parlamentare lungo ed approfondito. In due passaggi parlamentari fondamentali si era manifestato un larghissimo consenso: il voto nella Commissione bicamerale presieduta dall'onorevole D'Alema ed i voti di conferma di quel testo alla Camera nel dicembre 1997 e nel gennaio 1998. Per citare un collega per tutti, l'onorevole Berlusconi votò a favore di quei testi. Poi, come tutti sappiamo, la discussione ed il voto sulla riforma costituzionale saltarono per una decisione politica del Polo delle libertà.
La discussione relativa alla sola parte del titolo V fu ripresa su pressione delle regioni e delle autonomie locali che premevano per la sua approvazione. Solo in quest'ultima fase il Polo, come ho detto prima per ragioni di opportunità politica, decise di cambiare il proprio voto favorevole e votò contro. Tuttavia, il contenuto della riforma era identico a quello votato in sede di Commissione bicamerale ed in aula alla Camera. Il confronto sul merito ed il consenso ottenuto da quel disegno riformatore sono ben altra cosa rispetto a quanto sta accadendo per questa vostra riforma.
Ciò detto, non mi sottraggo ad una valutazione di responsabilità non sul merito ma sul metodo di quel voto. Dal punto di vista metodologico votare la riforma nella solitudine della maggioranza dell'Ulivo è stato un errore. Tale utilizzo degli strumenti di normazione costituzionale fa dimenticare che una Costituzione di parte, in un ordinamento autenticamente pluralista, è una contraddizione che porta a rinnegare della Costituzione proprio l'essenza quale luogo espressivo di valori condivisi e di regole del gioco idonee ad assicurarne l'attuazione, la massima possibile alle condizioni storicamente date.
Se quello fu, sul piano del metodo, un errore, perché apre la prospettiva innaturale di fare e disfare la Costituzione a propria immagine e somiglianza, davvero pensate che quello che state facendo oggi voi sia più logico e plausibile? Vedete, credo sia ancora più grave: se la nostra fu una forzatura metodologica, perché sul merito anche voi avevate convenuto ben due volte in Parlamento, quella che vi apprestate a fare oggi è una vera e propria rottura costituzionale sul piano culturale e normativo.
Nella vostra proposta di riforma due sono i punti cruciali, entrambi convergenti verso l'obiettivo di devitalizzare la forza ordinativa della nostra legge fondamentale: il primo è l'esasperazione dei conflitti politici tra premier e Parlamento, tra Camera e Senato, tra Stato e regioni, tra Presidente della Repubblica, Governo e regioni; il secondo è l'affievolimento delle garanzie per come ridisegnate il ruolo del Presidente della Repubblica, il ruolo e le funzioni della Corte costituzionale, il rapporto tra maggioranza e minoranza, i diritti di cittadinanza. Nel primo caso l'esito è una politicizzazione della Costituzione; nel secondo caso il risultato è una sostanziale decostituzionalizzazione della Costituzione.
Prima di valutare gli effetti dei cambiamenti normativi che proponete, vorrei svolgere una breve considerazione di cultura costituzionale. Il vero obiettivo di questa riforma, non so se consapevolmente o meno, è quello di ridisegnare i confini tra politica e diritto costituzionale. Ciò avviene soprattutto, come vedremo, attraverso la ridefinizione della forma di Governo. Il diritto costituzionale, nelle sue più moderne e democratiche espressioni, è ad un tempo fine e confine della politica: il diritto delimita l'area in cui può svolgersi la politica, è un limite all'arbitrio della politica, e ne orienta le manifestazioni verso i valori fondanti l'ordinamento. La forma di Governo che voi proponete, quella che il professor Elia con una formula efficace ha definito il premierato assoluto, non è orientata a realizzare un modello costituzionale alternativo a quello vigente nel senso del presidenzialismo all'americana, del premierato all'inglese, del cancellierato alla tedesca, ma è il prodotto di un imbroglio costituzionale costruito su misura per formalizzare per il presente e per perpetuare per il futuro l'attuale sistema politico italiano, meglio ancora se nelle condizioni del presente.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO MUSSI (ore 18,05)
GIANCLAUDIO BRESSA. Questa superficiale ma terribile convinzione di poter surrogare con un irrigidimento autoritario la carenza di omogeneità politica non deve essere sottovalutata: il premierato assoluto rappresenta una riforma in senso autoritario della nostra Costituzione ed è soprattutto a questo che noi ci opponiamo e per questo vogliamo difendere la Costituzione, i suoi valori ed i suoi principi di democrazia.
Se si pretende di eleggere, di fatto, direttamente un primo ministro, che si insedia in un sistema parlamentare e che dispone verso la Camera sia della fiducia con voto conforme, sia dello scioglimento, allora si distrugge il sistema parlamentare o, meglio, si realizza il sogno autoritario di avere un'Assemblea legislativa democraticamente eletta, ma votata solo per approvare la volontà del primo ministro. Questa paradossale nuova normativa costituzionale comporta un'ulteriore grave conseguenza, che coinvolge anche la prima parte della Costituzione. I diritti e le libertà sanciti nella prima parte sono affermati in Costituzione solo in termini di principio o, al più, con una definizione generale del loro contenuto essenziale, rimettendo poi alla legge il compito di definirne i contenuti concreti, le modalità di esercizio e i limiti. È del tutto evidente che, spettando alla Camera di legiferare in via definita nelle materie attribuite alla potestà esclusiva dello Stato, il premier può, con il voto di fiducia conforme, ottenere la modifica delle discipline attuative di gran parte dei diritti previsti dalla prima parte della Costituzione, pur lasciando inalterati gli enunciati costituzionali.
Vedete, così si distrugge il fondamentale principio di democrazia, costituito dalla divisione dei poteri. Ma la riforma va oltre, perché parte dalla premessa non solo che il premier deve essere eletto direttamente, ma che attraverso l'elezione i cittadini trasferiscono a lui, e solo a lui, la propria sovranità: un principio singolare per una democrazia, tanto più singolare sulla base del nostro immutato articolo 1, che attribuisce la sovranità al popolo, del quale fanno parte anche i cittadini che non hanno votato per il premier vincente. Esposito ha scritto che il contenuto della democrazia non è che il popolo costituisca la fonte storica o ideale del potere, ma che abbia il potere. Non basta votare ogni cinque anni, bisogna poter esercitare il proprio potere democratico ogni giorno. La Costituzione vigente lo ha sempre garantito, ma questa vostra riforma può ridimensionare drasticamente questo potere in capo al popolo.
L'altra questione costituzionalmente cruciale che la riforma pone, è quella dell'affievolimento delle garanzie. La vostra riforma, con la ridefinizione delle funzioni e dei poteri del Presidente della Repubblica, con la politicizzazione della Corte costituzionale, con la possibilità per la maggioranza parlamentare, che risponde al primo ministro, di eleggere da sola il Capo dello Stato e gli altri organi di bilanciamento e di garanzia e con la devoluzione che, comportando la possibilità di scardinare i servizi universali (che sono la sostanza dei diritti di cittadinanza e la garanzia dei diritti di libertà e di eguaglianza), può aprire le porte alla secessione dei diritti per i cittadini italiani, produce un altro gravissimo strappo costituzionale. L'idea più corretta di Costituzione è che la Costituzione non è mera organizzazione dei poteri, ma è organizzazione dei poteri, funzionale alla garanzia dei diritti fondamentali. Si può sostenere che l'effettività dei diritti fondamentali deve trovare garanzia e svolgimento nell'organizzazione dei poteri costituzionali, ossia attraverso il sistema dei pesi e contrappesi, che non deve tendere tanto all'equilibrio dei poteri, quanto soprattutto alla limitazione dei poteri, contro qualunque forma di arbitrio. La Costituzione attuale, lunga, rigida, scritta, ci è riuscita, perché è permeata di quella elasticità che le deriva dall'armonia, dalla coerenza, dalla ragionevolezza e dall'equilibrio, che ne costituisce il fondamento.
Pensate davvero di avere fatto meglio e di essere riusciti a costruire un sistema pluralistico di valori e di poteri in funzione di garanzia? O, piuttosto, siete riusciti a comporre un vostro personale mosaico politico, nel quale ciascuno può rivendicare una tessera, come proprio successo politico? A me pare che più che una logica di revisione costituzionale vi abbia sorretto la logica mercantile della scambio: ognuno ha avuto in appalto un suo pezzetto di Costituzione. Ma il risultato che avete ottenuto non sta insieme, non ha una logica di sistema, non ha una cultura costituzionale di fondo condivisa. Giuseppe Maranini sosteneva che l'indirizzo politico di maggioranza, cioè le volontà maggioritarie che si affermano nella Camera e nel Senato quando si affronta la riforma della Costituzione, doveva, quale condizione di definitiva validità degli atti in cui veniva tradotto, fare sempre i conti con l'indirizzo politico fondamentale della Costituzione stessa, che faceva del sistema pluralistico di valori e di poteri in funzione di garanzia il proprio insuperabile elemento costitutivo. Per questo la vostra proposta di riforma, anche se l'approverete, è destinata a fallire. Non è la grande riforma vagheggiata. Non è la grande riforma che voi proclamate. È un apparentemente astuto groviglio di vostre piccole volontà - lasciatemi essere solo un attimo pungente in quest'occasione -, di vostre piccole vanità. Le soluzioni che avete trovato, se sono prive della capacità di instaurare un vero e proprio modello costituzionale alternativo a quello vigente, sono però capaci di «scassare» la Costituzione vigente.
Sono, inoltre, adatte a realizzare violazioni di principi costituzionali che non avete la forza e la capacità di cambiare. Per questo, la vostra è una riforma che produce forme, per dirla come il professor Mario Dogliani, di incostituzionalità circoscritta, le quali lasciano margini di politica costituzionale che possono impedire la rottura della continuità costituzionale. Quindi, anche se sconfitti oggi dai numeri, le nostre ragioni in difesa della Costituzione potranno essere fatte valere, e le faremo valere.
Per questo, come Giuseppe Dossetti, siamo convinti che la nostra Costituzione debba continuare ad essere amica e compagna di strada. Occorre, pertanto, riscoprire una forte passione, patriottismo disse Dossetti, per la Costituzione vigente per far capire che la vostra riforma il paese non la vuole. Il paese vuole cambiare; noi, forze di opposizione in questo paese, vogliamo cambiare, ma, per cambiare veramente, non servono le vostre astute alchimie. Serve, per dirla come Peter Haberle, una Costituzione che sia specchio del suo patrimonio culturale e fondamento della sua speranza.
Per questo tipo di riforma siamo disponibili da subito. Per fare da copertura ai vostri piccoli accordi politici non vi è disponibilità, né oggi né mai (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pisicchio. Ne ha facoltà.
PINO PISICCHIO. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, onorevoli colleghi, il dibattito di quest'oggi non riceve quell'aura di solennità che i padri costituenti seppero imprimere ad una stagione, ad un momento straordinariamente importante nella vita del nostro paese, quando vennero chiamati, con spirito costituente, a riscrivere la regola del gioco democratico per un paese che usciva da una devastante esperienza di dittatura.
Il dibattito di quest'oggi non ha eco all'interno delle grandi riviste e pubblicazioni di cultura politica come avvenne negli anni che accompagnarono l'esperienza della Costituente e probabilmente non si rispecchia nemmeno nella pubblica opinione, come sarebbe lecito e naturale attendersi, data la portata di una modifica ordinamentale che interviene nella regola di tutti, quella del gioco fondamentale.
Sono del parere - oggi è stato più volte evocato questo concetto nel corso del dibattito - che le Costituzioni non possano essere immaginate come strumenti nelle mani dei governi e di maggioranze di governo. Le Costituzioni sono fatte per durare nel tempo.
La nostra Costituzione - credo che anche coloro che non parteciparono alla sua stesura oggi possono certamente dichiarare di convenirne - è stata capace di durare nel tempo, nel corso dei decenni, con riferimento alla prima parte, ai principi fondamentali, e di reggere nella sua struttura ordinamentale, con riferimento alla seconda.
Da qualche tempo a questa parte, dall'avvento del sistema maggioritario in poi, con riferimento alla regola del gioco condivisa, che fece sì che la Costituzione fosse la grande legge di tutto il paese e di tutte le sue forze politiche, non è più così. Vi è stato - lo ribadisco - un primo strappo al termine della precedente legislatura, proprio con riferimento al titolo V, occasione non casuale di ripensamento, di rimaneggiamenti costituzionali.
Tale strappo venne compiuto dal centrosinistra. Ricordo di aver partecipato alle riunioni del vertice di quella coalizione e di avere rivolto un'ammonizione rispetto ad una questione di metodo. Infatti - signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi - intendo porre esclusivamente una questione di metodo; successivamente, avremo modo di intervenire sul merito degli articoli che saranno discussi nell'ambito della dialettica parlamentare.
L'obiezione che rivolsi ai miei amici del centrosinistra di allora era quella secondo la quale, pensando di raggiungere un risultato attraverso una maggioranza espressione unicamente di una parte politica, si sarebbe provocato uno strappo foriero di ulteriori strappi nel corso del tempo.
In questo caso, siamo di fronte ad una situazione analoga: l'utilizzo dell'articolo 138 della Costituzione per introdurre una modifica di impianto, una modifica ordinamentale che muterà in modo assai significativo il volto della nostra Costituzione, attraverso un'unica maggioranza espressa da un sistema diverso da quello proporzionale.
Vorrei che, al di là delle comprensibili schermaglie che fanno parte della dialettica parlamentare, vi fosse spazio per una riflessione sgombra da pregiudizi politici. Questo Parlamento è espresso sulla base di un sistema elettorale maggioritario, che chiama il Parlamento stesso ad esprimere un di più in termini di governo, creando inevitabilmente un vulnus in termini di rappresentatività.
La maggioranza proposta dall'articolo 138 della Costituzione è figlia di una logica assolutamente proporzionalistica; non vi è fibra della Costituzione vigente che non sia stata partorita da un impianto di tipo proporzionalistico! Per poco la nostra Carta costituzionale non contiene al suo interno anche l'indicazione della regola elettorale proporzionalistica (ricordiamo che emendamenti in tal senso furono trasformati in ordini del giorno poi accettati)!
Ebbene, utilizziamo l'articolo 138, uno strumento inserito dal costituente per effettuare modifiche non certo di impianto, bensì aggiornamenti o modifiche parziali, per cambiare in modo assolutamente sostanziale l'intero volto della nostra Costituzione. Dal punto di vista della Costituzione materiale, tutto ciò ha formalmente senso, ma non certo dal punto di vista della cultura e della valutazione politica, che pure siamo chiamati a compiere.
Si è parlato di spirito costituente e di regole condivise: attenzione, quindi, onorevoli colleghi, la Costituzione è la regola di tutti, quella fondamentale nonché la ragione per cui questo paese riesce a trovare un modo su cui confrontarsi in una dimensione democratica all'interno del suo sistema. Ecco allora che una riforma di questa portata o è condivisa largamente, oppure costituisce un piccolo aggiustamento, destinato a essere messo in discussione nella legislatura successiva, modificato dalla nuova maggioranza. È questo il circuito perverso nel quale ci stiamo immettendo, ovvero quello di una Costituzione che per intero, o per parti assai significative, viene modificata sulla sola base dei numeri, della contingente maggioranza di Governo che si riesce a costruire, espressa inoltre da un Parlamento eletto, a sua volta, su base maggioritaria e non proporzionale.
Mi avvio rapidamente alla conclusione ricordando come sia stato più volte invocato lo spirito costituente - l'incontro delle culture cattolica, democratica, socialista, laica - che produsse la Carta costituzionale cui furono estranee le culture della destra democratica nazionalista. Oggi quelle culture, che legittimamente rivendicano un ruolo nella scrittura delle regole del gioco, rischiano però di esprimere un gesto autoritario, portando avanti questo disegno.
La risposta è una e consiste nel ricorrere ad un'Assemblea costituente. Solo con essa, rappresentativa delle culture del paese e chiamata a scrivere le regole di tutti gli italiani, riusciremo a dare una riforma non provvisoria, bensì stabile nel tempo, perché sentita come effettivamente costituzionale dagli italiani. Tale risposta, infatti, aprirebbe nel paese un grande dibattito costituente di cultura e democrazia.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Olivieri. Ne ha facoltà
LUIGI OLIVIERI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, cercherò nel tempo a mia disposizione - e chiedo fin d'ora di essere autorizzato, qualora non riuscissi a svolgere le mie argomentazioni fino in fondo, alla pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento - di riportare in quest'aula, quindi nella sede propria, il dibattito sorto a seguito dell'infausta votazione che ha modificato in senso negativo il testo del disegno di legge proveniente dal Senato. Mi riferisco alla norma che ha introdotto il comma 15 dell'articolo 43 del disegno di legge costituzionale in esame.
Perché dobbiamo fare questo e perché ho il grato compito di parlare a nome dei deputati dell'opposizione eletti nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome?
Perché nel contempo vi è stato un discreto dibattito e i cinque consigli regionali delle regioni a statuto speciale hanno avuto modo, almeno al livello dei loro massimi rappresentanti, quali i presidenti, di elaborare un documento, di inviarlo al Governo, al Presidente della Camera, al presidente della Commissione, ai gruppi parlamentari ed ai deputati e senatori eletti in tali contesti regionali. Tale documento mette a fuoco l'assoluta indisponibilità ad accettare una norma che contrasteremo fino in fondo e, che qualora fosse approvata, consisterebbe nel cestinare oltre cinquant'anni di storia di regionalismo avanzato, di effettivo autonomismo e di modello di riferimento per il rapporto tra lo Stato centrale, gli enti locali e le regioni, con una dislocazione dei poteri in modo ottimale sul territorio.
È ben vero che vi sono stati alcuni incontri e alcune aperture. Inoltre, abbiamo poc'anzi ascoltato alcune precisazioni da parte del ministro per le riforme. Tuttavia, per quanto ci riguarda, è assolutamente doveroso entrare nel merito. Come hanno fatto in modo costruttivo i colleghi che mi hanno preceduto, dal momento che siamo nell'ambito della discussione generale e benché si parli non conoscendo ancora compiutamente le proposte sul testo, descritte in modo sommario (ma sappiamo benissimo che a livello costituzionale un punto o una virgola cambiano biblioteche intiere di ragionamenti), abbiamo il dovere di svolgere fino in fondo tale riflessione, nel contesto di una necessità assolutamente evidente. Infatti, non abbiamo compreso l'ottusità con cui la maggioranza della Commissione ha voluto modificare, peggiorandolo, il testo approvato a luglio, e, pur essendo in grado di prendere atto di un'eventuale retromarcia, nel contempo ci rendiamo conto di come con troppa semplicità e con scarsa dimestichezza con le questioni costituzionali si ponga mano a norme che sono il frutto di elaborazioni e ragionamenti complessi e dell'evoluzione della giurisprudenza della Corte costituzionale.
Pertanto, signor Presidente, l'intervento riguarderà esclusivamente l'impatto del comma 15 dell'articolo 43 del disegno di legge in esame. Tale disposizione prevede testualmente: «Fino all'adeguamento dei rispettivi statuti e salvo quanto previsto dall'articolo 34, comma 6, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano». L'intento di tale norma è di rendere indubitabile che le disposizioni della legge costituzionale in esame dispiegano la loro efficacia («si applicano») immediatamente e direttamente anche nell'ordinamento delle regioni a statuto speciale e delle province autonome. La dichiarazione di applicabilità è temperata dalla contestuale apposizione della clausola temporale e dalla conferma della clausola di maggior favore, sulla quale mi soffermerò successivamente. L'efficacia diretta ed immediata si estende, infatti, fino all'adeguamento dei rispettivi statuti, e dall'immediata e diretta applicabilità sono escluse le disposizioni recate nei commi 1, 4 e 5 dell'articolo 34, che detta i limiti generali alla potestà legislativa e alla competenza legislativa esclusiva delle regioni, secondo il richiamo alla clausola di maggior favore recata dal comma 6 dell'articolo 34, nel testo risultante dall'approvazione da parte della Commissione dell'emendamento 34.27, presentato dalla maggioranza.
Quanto al comma 15 dell'articolo 43 nel suo complesso, non si può non osservare, in via generale, che esso dichiara l'applicabilità del futuro testo della Costituzione anche per le disposizioni che sicuramente non trovano alcuna possibile eccezione negli statuti speciali. La dichiarazione di applicabilità costituisce una clausola generale, necessaria a regolare i rapporti fra le due fonti per tutte le parti della legge.
Le regioni a statuto speciale e le province autonome hanno però un ordinamento speciale soltanto limitatamente alle eccezioni disposte dai rispettivi statuti. Con una forma abbreviata, che si riferisce complessivamente a tutte le disposizioni del comma 15 dell'articolo 43, ne rende applicabili talune direttamente e immediatamente alle regioni a statuto speciale e alle province autonome anche in deroga a quanto diversamente stabilito dalle prerogative, potestà e competenze previste dagli statuti speciali.
Soltanto le modifiche alla disciplina della potestà legislativa portata dall'articolo 117 della Costituzione tramite la clausola di maggior favore potranno applicarsi alle regioni a statuto speciale e alle province autonome secondo la specificità dei rispettivi statuti.
Peraltro, la clausola temporale resta priva di contenuto normativo per il tempo in cui dovrebbe agire. Essa non incide sull'applicabilità di quella disposizione, né pone vincoli di oggetto o temporali al futuro legislatore costituzionale, che dovrà procedere all'adeguamento degli statuti speciali.
Regioni a statuto ordinario e regioni a statuto speciale sono equiparate nei confronti delle prerogative e delle potestà che quelle disposizioni riconoscono allo Stato e nei limiti che quelle dispongono alla loro potestà normativa o amministrativa. In particolare, la deroga all'applicabilità degli statuti speciali travolge l'intermediazione delle norme di attuazione e affida alla legge ordinaria la disciplina di dettaglio anche nei confronti delle regioni a statuto speciale.
Questa deroga disposta dalla legge costituzionale innova significativamente rispetto alla consolidata giurisprudenza costituzionale, che ha riconosciuto alle norme di attuazione e all'intervento delle commissioni paritetiche il carattere di strumentazione esclusiva attraverso la quale la legge dello Stato può disciplinare potestà, competenze e attribuzioni delle regioni a statuto speciale e delle province autonome.
Da ultimo, richiamo la sentenza della Corte costituzionale n. 236 del 2004, nota sicuramente ai cultori ma anche a molti colleghi.
Quanto all'impatto delle singole disposizioni, debbo osservare che, in particolare quelle che concernono il Parlamento e gli organi dello Stato, pur avendo riflessi su taluni aspetti dell'autonomia speciale, non hanno impatto diretto su norme statutarie. È possibile considerare gli effetti sulle disposizioni delle regioni o province autonome nell'ordinamento. Altre disposizioni incidono direttamente su norme statutarie ed è possibile verificare se la loro applicazione diretta costituisca una deroga o una diversa disciplina delle attribuzioni regionali.
Come vedete, si tratta di un intervento - che svolgerò successivamente - che cerca di entrare nel merito e che si pone proprio in un dibattito parlamentare dialettico affinché la maggioranza, che non ha ancora definito la normativa perché questo ramo del Parlamento non si è ancora pronunciato in materia, abbia la possibilità di riflettere e di rivedere alcune posizioni che altrimenti ci vedranno ostacolarle fine in fondo.
Di seguito esaminerò le questioni più rilevanti da un punto di vista sistematico, giuridico e politico. Per quanto riguarda le disposizioni relative alla composizione delle Camere e alla formazione della legge, disciplinate nel Capo I del disegno di legge, al numero dei deputati e di senatori e al sistema di elezione, lo statuto della regione Valle d'Aosta stabilisce che per l'elezione della Camera e del Senato il territorio della regione forma una circoscrizione elettorale. Questa disposizione trova corrispondenza per il Senato nel nuovo testo dell'articolo 57, comma 4, che conferma la Valle d'Aosta come una circoscrizione separata riservandole un seggio.
Quanto al sistema per l'elezione della Camera, la norma statutaria è soddisfatta dalla legge elettorale per la Camera stessa se quella continuerà a considerare il territorio della Valle d'Aosta come circoscrizione a sé stante ed il numero dei deputati non scenderà al di sotto dei 350. Infatti, sotto a questa cifra, per correggere gli effetti del quoziente potrebbe essere necessaria una disposizione che riservi il seggio.
Per la regione Trentino-Alto Adige, le disposizioni relative alla composizione e alla formazione delle Camere non incidono direttamente su disposizioni statutarie. Viene direttamente in rilievo soltanto l'attuazione della cosiddetta misura 111 del pacchetto di autonomia in ordine alla composizione dei collegi per l'elezione dei senatori nella provincia di Bolzano. Tale disposizione è attuata dalla legge n. 422 del 1991 e conservata dalle modifiche intervenute nel 1993.
Tuttavia, proprio considerando il rilievo che le due province autonome hanno rispetto alla regione Trentino-Alto Adige nell'attuale testo dell'articolo 116 della Costituzione, le leggi ordinarie che daranno attuazione al nuovo assetto di Camera e Senato dovrebbero considerare il numero complessivo di deputati e senatori espressi da ciascuna delle due province autonome, mentre secondo l'articolo 3, comma 4, dello statuto della regione Trentino-Alto Adige sarebbero assegnati cinque seggi senatoriali di fronte ad esigenze ben più precise; si dovrebbe poi considerare la ripartizione del territorio della provincia di Bolzano in collegi uninominali in modo da garantire il rispetto della misura 111.
Negli statuti delle regioni Sicilia, Sardegna e Friuli-Venezia Giulia non vi sono disposizioni sulle quali impatta direttamente la nuova disciplina della formazione e composizione degli organi nazionali. Una possibile applicazione potrebbe essere indotta, però, da una legge elettorale nazionale che scegliesse il territorio delle province come ambito di circoscrizioni elettorali; qualora questa norma ponesse vincoli territoriali, questi impatterebbero con l'autonomia delle suddette regioni in materia di ordinamento e circoscrizione degli enti locali.
Per quanto riguarda lo scioglimento e la proroga dei consigli regionali e delle province autonome, diretti a garantire la contestualità con il rinnovo del Senato, osservo quanto segue. Le disposizioni che consentono alla futura legge ordinaria di disciplinare lo scioglimento e la proroga dell'assemblea regionale siciliana, dei consigli regionali e dei consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano introducono una causa e una modalità di scioglimento non previste dagli statuti speciali. Poc'anzi abbiamo sentito le argomentazioni del ministro Calderoli in merito a questa situazione; derogano inoltre alle disposizioni statutarie che determinano la durata della legislatura. In particolare, per le province autonome di Trento e di Bolzano occorre considerare la disposizione statutaria secondo cui la durata di uno dei due consigli provinciali possa essere già abbreviata per conservare la contestualità dell'elezione con l'altro consiglio provinciale: mi riferisco all'articolo 48, comma 1, dello statuto di autonomia del Trentino-Alto Adige.
La regione a statuto speciale e le province autonome sono sicuramente soggette a «rifasatura» della contestualità nella prima elezione del Senato secondo le nuove norme. In questo caso, indipendentemente da quanto dispone il comma 15 dell'articolo 43 del disegno di legge al nostro esame, l'eccezione o la deroga alle disposizioni che negli statuti speciali disciplinano la durata della legislatura e le cause di scioglimento è disposta direttamente dalla disciplina della contestualità delle elezioni del Senato federale, disciplina della legge dello Stato, che garantisce la rappresentanza territoriale da parte dei senatori, l'articolo 57, comma 3, del testo al nostro esame. L'impatto di questa disposizione discende dalla scelta che la legge nazionale opererà in ordine all'eventuale connessione fra il sistema di elezione dei senatori e quello per l'elezione dei consigli regionali. In proposito, va tenuto presente che per le regioni a statuto ordinario la legge dello Stato determina i principi fondamentali per l'elezione degli organi regionali, mentre la potestà legislativa delle regioni a statuto speciale e delle province autonome incontra solo il limite dell'armonia con la Costituzione ed il rispetto dei principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica.
Per quanto riguarda il requisito della residenza per la eleggibilità a senatore, l'impatto di questa disposizione si può segnalare soltanto sotto il profilo della congruenza. Nella regione Valle d'Aosta, nel primo anno di residenza si avrebbe il titolo ad essere eletto senatore della regione, ma non si goderebbe dell'elettorato attivo e passivo per l'elezione del consiglio regionale. Nella provincia autonoma di Trento l'esclusione dell'elettorato attivo per il consiglio regionale è limitata al primo anno di residenza, mentre nella provincia autonoma di Bolzano la limitazione dura quattro anni.
In riferimento poi alle disposizioni relative al Presidente della Repubblica e alla disciplina del Governo (quello che troviamo nel capo secondo e terzo del disegno di legge al nostro esame) per quanto riguarda la rappresentanza delle province autonome di Trento e Bolzano nella formazione dell'Assemblea della Repubblica, la disposizione del nuovo articolo 83 della Costituzione non considera separatamente le due province autonome. In Commissione abbiamo portato avanti una battaglia per cercare di far capire che l'ordinamento giuridico-costituzionale della tripolarità del sistema autonomistico del Trentino-Alto Adige-Sud Tirol è qualcosa di specifico e quindi va assolutamente prevista la rappresentanza delle due province, che rappresentano il vero ente politico delle comunità territoriale. L'elezione dei tre delegati sarebbe affidata al consiglio regionale; inoltre, la regione Trentino-Alto Adige non raggiunge il milione di abitanti per l'indicazione di un ulteriore delegato e ha due consigli delle autonomie locali.
Per quanto concerne l'attribuzione al Capo dello Stato del potere di indire l'elezione del consiglio regionale, prevista dall'articolo 22, comma 3, essa deroga alle disposizioni degli statuti speciali, che attribuiscono l'indizione dell'elezione al presidente della regione e ai presidenti delle province autonome.
Per quanto riguarda poi le modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione, esse sono contenute nel capo V del disegno di legge al nostro esame.
Queste disposizioni sono quelle alle quali potrebbero applicarsi la clausola di maggior favore per le regioni a statuto speciale e per le province autonome e le limitazioni stabilite nel comma 6 dell'articolo 34 (a seguito dell'approvazione da parte della Commissione di merito di un apposito emendamento della maggioranza) con riferimento alle sole disposizioni di modifica dell'articolo 117 della Costituzione.
Tutte le disposizioni di questo capo V concernono il grado di autonomia delle regioni, i vincoli ed i limiti alla loro potestà, la riserva allo Stato di taluni ambiti di competenza, il potere di avocazione di taluni oggetti o materie, il potere di intervenire autoritativamente in sostituzione delle regioni inerti o inadempienti. L'applicabilità immediata e diretta anche alle regioni a statuto speciale ed alle regioni autonome è stabilita in deroga alle diverse attribuzioni, potestà, prerogative e competenze derivanti dai rispettivi statuti.
L'efficacia della clausola e la sua estensione a ciascuna delle nuove disposizioni costituzionali è stata oggetto...
PRESIDENTE. Onorevole Olivieri...
LUIGI OLIVIERI. ...di opinioni contrastanti espresse in dottrina ed in alcune pronunce della Corte costituzionale (ricordo, da ultimo, le sentenze nn. 236, 238 e 239 di quest'anno).
Nella parte del mio intervento che non riesco a svolgere - della quale chiedo che venga autorizzata la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna - troverete ulteriori argomentazioni. Speriamo che esse possano indurvi ad una riflessione, sia come Governo sia come maggioranza. A nostro parere, dovrebbero quanto meno essere accolte quelle che non sono lamentele, ma rivendicazioni di statuti, di storie e di capacità di amministrare che, finora, sono state compiutamente articolate in una Costituzione che ha saputo riconoscere alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome una maggiore capacità di rappresentanza (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. La Presidenza consente la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna, secondo i consueti criteri, del testo integrale dell'intervento dell'onorevole Olivieri.
È iscritto a parlare l'onorevole Biondi. Ne ha facoltà.
ALFREDO BIONDI. Signor Presidente, questo pomeriggio ho ascoltato molto volentieri l'intervento del ministro Calderoli.
Nell'esporre le sue argomentazioni, il ministro ha lasciato intendere che esse non hanno affatto carattere ultimativo e, quindi, ha lasciato integra la possibilità di penetrazione delle opinioni che, al riguardo, saranno espresse dagli altri. Del resto, è legittimo che, in questa sede, ciascuno abbia la possibilità di affermare, su temi di tale valenza, la propria particolare posizione, anche se, aderendo allo spirito della Costituzione, non si dovrebbe fare uso di proclami di belligeranza da opporre aprioristicamente a qualunque tesi provenga dall'altra parte. Il ministro l'ha detto con molta semplicità e serenità.
Orbene, se i toni si fossero adeguati alla «musica», ci sarebbe potuto essere un concerto diverso da quello che ho ascoltato.
Mi dolgo di doverlo rilevare perché, a fronte della disponibilità manifestata, ho udito motivazioni che, pur degne di rispetto dal punto di vista della loro genesi e dell'intima corrispondenza ad una particolare posizione politica, non si conformano a quello che dovrà essere, a mio giudizio, lo spirito del confronto cui saremo chiamati in sede di elaborazione e di valutazione delle proposte che saranno illustrate ed argomentate nel prosieguo dell'esame.
Debbo dire una cosa perché è la verità. Insieme al collega Gerardo Bianco, al quale mi accomuna una concezione, generazionale e politica, elaborata dal punto di vista dei «pezzi di antiquariato» che la Camera ospita nella sua sede, ho una visione che deriva da ciò che sento, prima ancora che da ciò che penso: indipendentemente dagli oggetti, dai temi e dagli articoli specifici sui quali le modifiche possono incidere, una riforma costituzionale deve avere una motivazione forte e deve iscriversi in una dimensione che abbia la caratteristica di riguardare il sentimento di tutti noi.
La riforma della Costituzione non appartiene alla maggioranza o all'opposizione, ad una parte politica o ad un'altra. La riforma costituzionale - dalla quale nasce una nuova Costituzione - è cosa che riguarda le regole, le modalità secondo le quali ci confrontiamo e la possibilità che queste modalità possano essere il più possibile ampie affinché il potere, che, come stabilisce la Costituzione, appartiene al popolo, venga esercitato in termini corrispondenti a tale appartenenza, al valore diretto che trova espressione nelle istituzioni ed attraverso le modalità con le quali il popolo manifesta la propria volontà.
Allora, ci sono cose da fare e cose da non fare: io credo che dobbiamo dedicarci all'esame di tutte queste problematiche con spirito laico.
Da vecchio liberale mi è sempre un po' dispiaciuto che su certi temi si sia proceduto più per slogan che per argomentazioni, per rispettare un'impostazione revanscista da un lato e conservatrice dall'altro, per esprimere una spinta evolutiva o la resistenza al nuovo che pure sempre esiste e che è incomprimibile in ciascuno di noi quando si affrontano i problemi dello Stato o la sua articolazione.
Signor Presidente, onorevole sottosegretario, il mio amico Donato Bruno, che è espressione del modo con il quale si deve fare il presidente della Commissione affari costituzionali (lo dico non per piaggeria, giacché ho più facilità a criticare che ad elogiare e qualcuno me lo rimprovera, ma sempre con bonomia), nella sua funzione ha avuto ed avrà la possibilità di dimostrare che l'esame è aperto. Non deve essere chiuso. Non interpreto il ruolo che dovrò svolgere all'interno del mio gruppo con la lealtà con la quale talvolta sono capace di trattenere le mie personali posizioni (tuttavia, sulle questioni di coscienza non ce la faccio a farlo e non devo nemmeno farlo). Occorre stabilire un dialogo perché, a mio avviso, su questa base può essere realizzata quella Costituente che credevo si potesse realizzare al di fuori.
Ho sentito dire da qualche collega che la Costituzione è nata da un incontro di volontà, divergenti all'origine ma convergenti nell'effetto che hanno prodotto, derivanti da un'epoca nella quale le grandi passioni politiche e le grandi ideologie si sono scontrate per poi incontrarsi in una soluzione che qualcuno, forse più fideista di me, potrebbe definire miracolosa. Ma i miracoli per coloro che ci credono sono eccezionali e portano alla santità, mentre per coloro che ci credono meno portano alla conclusione che esiste un momento in cui certe cose possono essere realizzate. Intendiamoci, cinquant'anni dopo tali cose si possono cambiare. La Costituzione, nata in epoca terribile e bella (terribile perché nasce a seguito di una vicenda di guerra esterna ed interna, di liberazione nazionale dall'oppressione dittatoriale) aveva consentito solo ai vincitori di partecipare all'analisi dei problemi e alla ricerca delle soluzioni da adottare; certamente, hanno avuto un livello qualitativo che nessuno discute dal punto di vista dell'apporto individuale e politico che i costituenti allora seppero dare nella Commissione dei 75 e successivamente nella definizione dei problemi. È anche vero che una parte dell'Italia, avendo perso la propria guerra e quella che ha fatto fare agli altri, non era rappresentata. Oggi siamo in una situazione (mi permetto di dire) diversa e migliore. Oggi in questo Parlamento non sono più in discussione i problemi riguardanti la libertà, i diritti individuali e collettivi. Trovo molto strano che, proprio perché non è più in discussione ciò che nell'elaborazione di allora rappresentava un cruccio, ossia la preoccupazione di non creare ipotesi e prospettive affinché ciò che era avvenuto nel passato potesse riproporsi, vi sia ora il timore (un po' lo avverto anch'io) di commettere qualche errore per cui nel cambiare si possa trascurare il bene giuridico protetto, ossia il diritto della collettività di vedersi rispecchiare nelle norme costituzionali. Proprio perché volevo la Costituente sento il dovere di dire che la Costituente siamo noi. Perché dobbiamo negarci ciò?
In fondo, qualcuno ha criticato la costituente, dicendo: ma perché una realtà politica polifonica e variamente collocata sui vari versanti della cultura e della politica dovrebbe delegare ad un gruppo di ottimati il compito di fare quello che si può fare in una Assemblea come questa? Io penso - può darsi che sia ottimista - che il Governo, per quello che ha detto il ministro delle riforme, abbia la volontà di farlo. Il ministro ha detto che è bene che la riforma che vogliamo fare non avvenga a colpi di maggioranza. Il centrosinistra teme e lamenta - se si estranea dalla valutazione e dall'integrazione possibile di ogni cosa - quello che si può fare, quando lo ha già fatto. Io sono convinto che l'onorevole Violante, che ha scritto oggi sul Riformista parole che in parte condivido, sappia bene che la recidiva non è un'attenuante, semmai un'aggravante; ma qui si vuole addebitare una recidiva a noi, quando furono lui e la maggioranza di allora a fare quello che a noi viene rimproverato solo potenzialmente (perché potremmo farlo). Non lo vogliamo mica fare! Noi vogliamo esporre, non imporre. Certo, non potete nemmeno condannare la maggioranza, se non c'è un accordo, a non essere più maggioranza (non di 4 deputati, ma di 100). Bisogna stare attenti. Io preferisco che ci sia un incontro, preferisco che il premier abbia poteri che gli garantiscano, nel premierato, la possibilità di scegliere i ministri, di revocarli se non vanno bene, di fare tutto ciò che renda l'esecutivo il più esecutivo possibile, purché il Parlamento non sia considerato un'appendice e, come dicono i francesi, un entité négligeable, una sorta di luogo in cui ci si deve andare per forza (per cui si arriva a dire: cosa hai da fare? Devo andare un po' in Parlamento...) No, non è così! Credo che dovremmo fare in modo che anche il problema dello scioglimento sia visto in certi termini, in modo da non consentire di stare in paradiso a dispetto dei santi, in modo che il premier possa, essendo stato eletto in un certo modo, se non vi è la fiducia, sciogliere questa Camera per questo motivo (certo, non perché non gli piace che abbiano votato in un modo piuttosto che in un altro). Secondo me, cari colleghi, questo dovremmo studiarlo, in modo che non appaia un potere sovraordinato, legibus solutus, e non diventi un arbitrio. Quindi, un premier rafforzato non è un premier arbitrario, e credo che su questo dovremmo trovare una soluzione. Io non sono un costituzionalista che può trovare la pillola giuridica per curare il male che si può intravedere, ma credo che si possa lavorare insieme su questo punto, per stabilire una condizione di reciprocità tra il Parlamento, in questo caso la Camera dei deputati, e il premier, che ha ottenuto dal popolo l'investitura e che, nel commisurare il rapporto tra la sua investitura e la fiducia del Parlamento, può dire che non si sente di governare in una situazione che può consentire o un ribaltone o un cambiamento di posizioni o una modifica del rapporto di reciprocità, che deve esserci sempre tra l'esecutivo e il Parlamento. Per questo io non credo che dobbiamo metterci a fare un discorso fideistico, ma, a fronte della fede, dobbiamo far prevalere le motivazioni della ragione, che richiedono e hanno richiesto nella lunga storia, pur rispettabile, della cosiddetta prima Repubblica quelli che sono stati i difetti del mal caduco dei governi e delle maggioranze. Vi è la necessità che non si provveda a curare il mal caduco con riesumazioni delle stesse situazioni, per evitare di determinare nel paese e nei confronti dell'elettorato quelle carenze che non si sono curate nella fase in cui avevamo la possibilità di farlo.
Quindi, credo che dovremmo metterci, attraverso le proposte emendative che verranno presentate, nelle condizioni di discuterne: non ritengo che la maggioranza sia arroccata su tale questione.
Per quanto concerne il tema della devoluzione - lo dico in italiano, perché sono monoglotta; vi sono coloro che conoscono le lingue, ma non sono tra essi -, vorrei rappresentare che sono favorevole a devolvere, nelle condizioni in cui è possibile, attraverso un rapporto maggiormente diretto, ciò che lo Stato, nella sua complessità - e, talvolta, nella sua estraneità rispetto ai problemi -, non è in grado di realizzare da solo. Su questo punto, non so se intervengo a titolo personale (parlo sempre per conto mio, nel senso che seguo il mio modo di ragionare); tuttavia mi domando: vogliamo creare due centralismi, oppure ce ne basta uno solo, che non vorremmo?
Non vediamo, nelle realtà regionali - mi rivolgo ai colleghi del gruppo della Lega Nord Federazione Padana, i quali, come spesso accade quando vi sono discussioni di carattere generale, non hanno l'empito della particolarità con la quale vedono i problemi ogni volta che essi devono essere affrontati, e magari, dal punto di vista della prurigine, non li solleticano in maniera particolare -, il rischio che corrono i governatori, che mi sembrano un po' come i governatori di Maracaibo o del Mozambico, che venivano disarcionati dai pirati della costa? Mi preoccupo perché non vorrei che vi siano realtà puntiformi e differenziate.
Se vogliamo la devoluzione, allora dobbiamo stare attenti e dobbiamo far sì che la linea di riferimento degli interessi generali dello Stato sia assumibile da quest'ultimo quando le devianze possano essere tali da determinare una divaricazione tra le finalità e i benefici collettivi che l'organizzazione statuale deve saper pur garantire da una parte e, dall'altra, le legittime ambizioni di legiferare su una materia piuttosto che su un'altra.
Badate che la carica di sindaco o di presidente di provincia non è comparabile a quella di presidente di regione, perché i sindaci ed i presidenti di provincia non varano leggi, mentre lo fanno i presidenti di regione. Se essi dovessero varare provvedimenti in contrasto con l'interesse generale, allora dovrà successivamente intervenire la Corte costituzionale.
Vorrei segnalare, al riguardo, che in Italia tutti affermano che l'ordine giudiziario è un ordine e non un potere dello Stato, ma poi, quando l'impotenza delle istituzioni si manifesta, si ricorre ai giudici, che costituiscono il vero potere, poiché nessuno successivamente li può giudicare, perché applicano una teoria di Caterina Caselli: «Nessuno mi può giudicare, nemmeno tu»! Allora, se i magistrati si giudicano da soli, possono stare ben tranquilli.
Al riguardo, anche la stessa Corte costituzionale, così come riformata dal provvedimento in esame, mi dà qualche piccola preoccupazione. Su questo argomento, vorrei evidenziare la differenza tra una Corte costituzionale «superpoliticizzata» - nell'accezione greca della parola, vale a dire non «partitizzata» - ed il rischio che essa sia, invece, espressione di situazioni regionali e locali, nelle quali le maggioranze si formano in base alla logica «io do una cosa a te, tu dai una cosa a me». Ritengo, pertanto, che il giudice delle leggi debba avere quella dimensione e, se volete, quella capacità di generalità e astrattezza che la norma dovrebbe possedere. Se la norma è incostituzionale, essa allora dovrebbe essere contro la legge più generale di tutte, vale a dire quella che garantisce la corrispondenza delle leggi alla Costituzione dello Stato, e vi sono pulsioni interne che la riconducono al natìo borgo selvaggio.
Affermo ciò anche con la preoccupazione che mi deriva da cinquant'anni di onorato servizio come professionista. So come si affrontano poi i problemi, e vorrei segnalare come la riforma varata dal Senato li abbia accentuati in maniera così forte che perfino Violante - non lo dico nel senso che se se ne è accorto lui, figuriamoci gli altri! - ha affermato che il centrosinistra fece uno sbaglio ad approvare da solo la riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione.
Poi, ho sentito dire da Bressa, che ha il dono di natura di essere un finissimo commentatore, specie quando ha torto...
PRESIDENTE. È lì che si vede la forza...
LUIGI OLIVIERI. Allora, è un grande avvocato...
ALFREDO BIONDI. Bisogna distinguere tra i grandi avvocati e quelli che trasformano l'avvocatura in un commercio di parole (ed anche di pensieri, qualche volta). L'onorevole Bressa, per potersi difendere, ha fatto un'affermazione interessantissima. Egli ha detto: «Però, erano d'accordo anche i presidenti delle regioni». Proprio perché in presenza di tale adesione - perché si parla di interessi non dico privati, ma «paraprivati», di coloro che nel potere vedono anche una realizzazione di se stessi e del proprio ruolo - bisognerebbe stare attenti. Se Ghigo, tanto per fare un nome, fa un'affermazione da presidente della regione e non piace come presidente della regione, allora manifesta un'espressione criticabile, poiché della maggioranza; se, invece, fa un'affermazione dando ragione alla minoranza che ha votato un provvedimento, improvvisamente diviene importante.
Cari colleghi, ho sentito molte volte definire «fini giuristi» coloro che sono d'accordo su certi argomenti, ed ho costatato che un grande giornalista ha definito un modesto avvocato come me, quando ho presentato un provvedimento, un «avvocaticchio» perché non gli piaceva il provvedimento stesso. Ora, so benissimo che la professione consente ormai anche a chi frequenta la scuola alberghiera di diventare avvocato, ma io ho compiuto un corso regolare di studi e non consento a nessun direttore di giornale - che non so se sia laureato - di potere definire un ministro come un «avvocaticchio».
Avevo proposto una riforma che riguardava un diritto del cittadino, quale non essere assoggettato a misure cautelari quando non è strettamente indispensabile, secondo i principi che il codice individua in termini assoluti. Ho avuto il piacere - io che sono un laico convinto - di sentire il Papa, parlando in un convegno di giuristi e magistrati cattolici, affermare che non si può usare la custodia cautelare come strumento di acquisizione della prova. Sante parole: le avevo scritte anch'io in un decreto per il quale un grande giornalista mi ha chiamato «avvocaticchio».
Credo di poter rispondere all'onorevole Bressa che summum ius, summa iniuria. Quando si vuole ottenere ciò che non si può ottenere o quando si vuole negare ciò che si è prodotto, la fatica è di Sisifo.
Con quattro o cinque voti, si è cambiata la Costituzione. Noi non vogliamo farlo, cari amici e colleghi vicini e lontani. Non vogliamo farlo da soli, ma non possiamo nemmeno subire - se non vi fosse una comprensione, un punto di riferimento, una linea nella quale le convergenze possono attuarsi - l'accusa di essere da soli, solo perché quelli che potrebbero accompagnarci non lo vogliono fare e rifiutano il dialogo.
Sarebbe necessario, invece, come fu nella Costituente, un invaso tra le diverse opinioni, tra le diverse realtà che convergono e sulla base delle quali si verifica, poi, un consenso.
Credo anche che debba essere messo in evidenza un problema dell'iter legislativo, che va affrontato: è giusto il principio di evitare un bicameralismo assoluto. Bisogna, tuttavia, fare attenzione che il bicameralismo relativo non si trasformi in una situazione per cui per il Parlamento vi sia un'attività legata ad un rapporto fiduciario con il Governo - con le conseguenti responsabilità anche a carico del Parlamento stesso e le connesse ipotesi di scioglimento - e che, al contempo, il Governo sia zoppo, per avere il Presidente del Consiglio l'arma dello scioglimento nei confronti di una delle Camere e non nei confronti dell'altra.
Si tratta di un dubbio che ho avvertito e rispetto al quale, se vi saranno discussioni, mi riservo di assumere, confrontandomi naturalmente con i miei amici di gruppo, una posizione che stabilisca una verifica del rischio e un rimedio affinché tale rischio non diventi un male.
Un'altra considerazione che vorrei svolgere riguarda le regole che devono essere poste alla base soprattutto della considerazione prospettica che la Costituzione pone di fronte a una realtà che non sappiamo ancora come possa svilupparsi. Parto dal concetto che le maggioranze siano variabili secondo la volontà popolare. Credo che dobbiamo fare di tutto per trovare una posizione abbastanza concordante al fine di evitare che, nel volgere delle vicende politiche, ad ogni legislatura vi possa essere una forma di Costituzione somigliante alla maggioranza che sopravviene. Credo che ciò si debba fare insieme con una visione laica e richieda una reciprocità. Infatti, chi è oggi all'opposizione può diventare maggioranza e viceversa e i principi e le regole dovrebbero avvincere certe impostazioni che non subiscano gli effetti dell'ingiusto o dell'incerto destino dell'urna, come diceva Orazio.
Allora, credo che al riguardo dobbiamo fare un ragionamento più attento rispetto a quello svolto dai nostri avversari che reputo sempre amici, dentro e fuori il Parlamento ovviamente, e che si trovano su una posizione puramente negativa anche rispetto ad aspetti sui quali, quando si parla privatamente, mi danno anche ragione. Per questo motivo, mi rivolgevo al presidente Bruno che ha anche un compito di raccordo e di sapiente riferimento delle differenze che possono emergere, affinché nel corso del dibattito e dell'esame degli emendamenti - anche nel giudizio che attraverso il rapporto con il Governo può realizzarsi - non vi sia da parte nostra una posizione di chiusura, posizione che il ministro ha detto di non voler assumere e che auguro alla Camera di non assumere.
Pertanto, il mio è un intervento di speranza e non è assolutamente di chiusura. Credo che dovremo compiere un grande sforzo, proprio perché abbiamo gravi responsabilità. Siamo alla vigilia di rateali situazioni elettorali che potrebbero convincere, da un lato e dall'altro, a fare certe cose per guadagnare quattro paghe per il lesso elettorale... Invito a non fare questo e mi permetto di dirlo essendo ormai un vecchio parlamentare, il quale vorrebbe che una riforma costituzionale somigliasse a ciò che si sperava e si è anche creduto potesse essere realizzato con quella precedente e che vorrebbe che tale riforma realizzasse non il desiderio di una parte, ma, se volete, fosse lo stimolo di una parte, la quale ha giocato un ruolo di catalizzatore per rompere l'inerzia e la conservazione, da cui purtroppo siamo afflitti, al fine di riformare un patto nel quale non vi siano quelli che dissentono aprioristicamente e quelli che consentono per pedissequa adesione ad una volontà rispetto alla quale, invece, non sarebbero disponibili se non vi fosse una pressione politica.
Tutto ciò affinché questa Camera nelle fasi successive dimostri quella che considererò sempre la superiorità del Parlamento. Superiorità del Parlamento, nella quale si manifesta il massimo dell'acquisizione dei valori della società, nella sua diversità; si manifesta nella sua posizione, talvolta conflittuale anche al proprio interno. Anche questo infatti è vero: la gente può cambiare opinione anche durante una legislatura, e può farlo se ha votato per l'uno o per l'altro.
Qual è il compito del Parlamento allora? È quello di essere l'interprete della coscienza popolare, del sentimento popolare e di approvare leggi che servano a tutti e che non siano al servizio di qualcuno (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
La seduta termina alle 19,15.
LUIGI OLIVIERI. L'intervento che svolgerò in discussione generale sull'atto Camera n. 4862 riguardante il disegno di legge costituzionale di «modifica Articoli della II parte della Costituzione» riguarderà esclusivamente l'impatto del comma 15 dell'articolo 43 del suddetto disegno di legge sulle autonomie speciali.
Il comma 15 dell'articolo 43 è inteso a rendere indubitabile che le disposizioni della legge costituzionale in esame dispieghino la loro efficacia («si applichino») immediatamente e direttamente anche all'ordinamento delle regioni a statuto speciale e delle province autonome.
La dichiarazione di applicabilità è temperata dalla contestuale apposizione della clausola temporale e dalla conferma della «clausola di maggior favore»: l'efficacia diretta ed immediata si estende infatti «Sino all'adeguamento dei rispettivi statuti».
Dalla immediata e diretta applicabilità sono escluse le disposizioni recate dai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 34 (limiti generali alla potestà legislativa e competenza legislativa esclusiva delle regioni), secondo il richiamo fatto alla clausola di maggior favore recata dal comma 4 dell'articolo 34 nel testo risultante dalla approvazione dell'emendamento 34.27 (Anedda ed altri).
Sul comma 15 dell'articolo 43 nel suo complesso si osserva, in via generale, che esso dichiara l'applicabilità del futuro testo della Costituzione anche per disposizioni che sicuramente non trovano alcuna possibile eccezione negli statuti speciali.
La dichiarazione di applicabilità costituisce una clausola generale necessaria a «regolare» i rapporti tra le due fonti per tutte le parti della legge. Le regioni a statuto speciale e le province autonome hanno però un ordinamento 'speciale' soltanto limitatamente alle 'eccezioni' disposte dai rispettivi statuti.
Con una formula abbreviata (o sintetica) che si riferisce complessivamente a tutte le disposizioni del comma 15 dell'articolo 43, ne rende applicabili talune direttamente ed immediatamente alle regioni a statuto speciale e alle province autonome anche in deroga a quanto diversamente deriverebbe dalle prerogative, potestà e competenze stabilite dagli statuti speciali.
Soltanto le modifiche alla disciplina delle potestà legislative apportate al testo dell'articolo 117 della Costituzione - tramite la clausola di maggior favore - potranno applicarsi alle regioni a statuto speciale e alle province autonome secondo la specificità dei rispettivi statuti.
Per altro, la clausola temporale (Fino all'adeguamento degli statuti, eccetera) resta una clausola priva di contenuto normativo per il tempo in cui dovrebbe agire. Essa non incide sulla applicabilità di quelle disposizioni né pone vincoli di oggetto o temporali al futuro legislatore costituzionale che dovrà procedere all'«adeguamento» degli statuti speciali.
Regioni a statuto ordinario e regioni a statuto speciale vengono equiparate nei confronti delle prerogative e potestà che quelle disposizioni riconoscono allo Stato e nei limiti che quelle dispongono alla loro potestà normativa o amministrativa. In particolare, la deroga alla applicabilità degli statuti speciali travolge l'intermediazione delle norme di attuazione e affida alla legge ordinaria la disciplina di dettaglio anche nei confronti delle regioni a statuto speciale. Questa deroga, disposta da legge costituzionale, innova significativamente rispetto ad una consolidata giurisprudenza costituzionale che ha riconosciuto alle «norme di attuazione» e all'intervento delle commissioni paritetiche il carattere di strumentazione esclusiva attraverso le quali la legge dello Stato può disciplinare potestà, competenze e attribuzioni delle regioni a statuto speciale e delle province autonome (da ultimo, la sentenza n. 236 del 2004 ).
Quanto all'impatto delle singole disposizioni del disegno di legge costituzionale n. 4862 si osserva che talune di esse - in particolare quelle che concernono il Parlamento e gli organi dello Stato -, pur avendo riflessi su taluni aspetti dell'autonomia speciale, non hanno impatto diretto su norme statutarie. È possibile considerarne gli effetti sulla posizione della regione o provincia autonoma nell'ordinamento. Altre disposizioni incidono direttamente su norme statutarie ed è possibile verificare se la loro applicazione diretta costituisca una deroga o una diversa disciplina delle attribuzioni regionali.
Andrò di seguito ad analizzare le questioni più rilevanti da un punto di vista sia sistematico che giuridico e politico.
Veniamo alle disposizioni relative alla composizione delle Camere e alla formazione delle leggi (Capo I del disegno di legge costituzionale).
Per quanto riguarda il numero dei deputati e dei senatori e il sistema di elezione, lo statuto della regione Valle d'Aosta (articolo 47) stabilisce che per l'elezione della Camera e del Senato il territorio della regione forma una circoscrizione elettorale; questa disposizione trova corrispondenza per il Senato nel nuovo testo dell'articolo 57, quarto comma, che conferma la Valle d'Aosta come circoscrizione separata e le riserva un seggio.
Quanto al sistema per l'elezione della Camera, la norma statutaria è soddisfatta dalla legge elettorale per la Camera - come è attualmente, senza espressa riserva costituzionale - se quella continuerà a considerare il territorio della Valle d'Aosta come circoscrizione a se stante ed il numero dei deputati non scenderà al di sotto di 350. Al di sotto di questa cifra, per correggere gli effetti del quoziente potrebbe essere necessaria una disposizione che riservi il seggio.
Per la regione Trentino-Alto Adige le disposizioni relative alla composizione e formazione delle Camere non incidono direttamente su disposizioni statutarie. Viene direttamente in rilievo soltanto l'attuazione della cosiddetta misura 111 del «pacchetto di autonomia» in ordine alla composizione dei collegi per l'elezione dei senatori nella provincia di Bolzano (disposizione attuata dalla legge n. 422 del 1991 e conservata dalle modificazioni intervenute nel 1993). Tuttavia, proprio considerando il rilievo che le due province autonome hanno rispetto alla regione Trentino-Alto Adige nell'attuale testo dell'articolo 116 della Costituzione, le leggi (ordinarie) che daranno attuazione al nuovo assetto di Camera e Senato dovrebbero considerare: il numero complessivo dei deputati e dei senatori espressi da ciascuna delle due province autonome (attualmente per il Senato vi sono 3 collegi uninominali per ciascuna provincia ed un senatore eletto nella regione con il recupero proporzionale e per la Camera 4 collegi uninominali per ciascuna provincia e 2 seggi assegnati nella regione con metodo proporzionale) mentre alla regione Trentino-Alto Adige (articolo 3 comma 4) sarebbero assegnati 5 seggi senatoriali; la eventuale ripartizione del territorio della provincia di Bolzano in collegi uninominali (Camera e/o Senato) in modo da garantire il rispetto della «Misura 111».
Negli statuti delle regioni Sicilia, Sardegna e Friuli-Venezia Giulia non vi sono disposizioni sulle quali impatti direttamente la nuova disciplina della formazione e composizione degli organi nazionali. Una possibile implicazione potrebbe essere indotta però da una legge elettorale nazionale che scegliesse il territorio della provincia come ambito di circoscrizioni elettorali; qualora questa noma ponesse vincoli territoriali, questi impatterebbero con l'autonomia di queste regioni in materia di ordinamento e circoscrizioni degli enti locali.
Per quanto riguarda lo scioglimento e la proroga dei consigli regionali e delle province autonome diretti a garantire la contestualità con il rinnovo del Senato, osservo quanto segue.
Le disposizioni che consentono alla futura legge ordinaria di disciplinare lo scioglimento e la proroga dell'Assemblea regionale siciliana, dei consigli regionali e dei consigli delle due province autonome introducono una causa e una modalità di scioglimento non prevista dagli statuti speciali; derogano inoltre alle disposizioni statutarie che determinano la durata della legislatura. In particolare per le province autonome di Trento e di Bolzano occorre considerare la disposizione statutaria secondo la quale la durata di uno dei due consigli provinciali possa essere già 'abbreviata' per conservare la contestualità dell'elezione con l'altro consiglio provinciale (articolo 48, primo comma).
Le regioni a statuto speciale e le province autonome sono sicuramente soggette a «rifasatura» della contestua1ità nella prima elezione del Senato secondo le nuove norme.
In questo caso, indipendentemente da quanto dispone il comma 15 dell'articolo 43 l'eccezione, o la deroga, alle disposizioni che negli statuti speciali disciplinano la durata della legislatura e le cause di scioglimento è disposta direttamente dalla disciplina della contestualità della elezione del Senato federale.
Per quanto riguarda la disciplina della legge dello Stato che garantisce la rappresentanza territoriale da parte dei senatori (articolo 57, terzo comma), osservo che l'impatto di questa disposizione discende dalla scelta che la legge nazionale opererà in ordine alla eventuale «connessione» fra il sistema di elezione dei senatori e quello per l'elezione dei consiglieri regionali. Va tenuto presente in proposito che per le regioni a statuto ordinario la legge dello Stato determina i principi fondamentali per l'elezione degli organi regionali, mentre la potestà legislativa delle regioni a statuto speciale e delle province autonome incontra solo il limite dell'armonia con la Costituzione e il rispetto dei principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica.
Requisito della «residenza» per la eleggibilità a senatore: l'impatto di questa disposizione si può segnalare soltanto sotto il profilo della «congruenza». Nella regione Valle d'Aosta nel primo anno di residenza si avrebbe titolo ad essere eletto (unico) senatore della regione ma non si godrebbe dell'elettorato attivo e passivo per l'elezione del consiglio regionale (articolo 16, secondo comma, dello statuto e legge regionale n. 3 del 1993, articoli 2 e 3). Nella provincia autonoma di Trento l'esclusione dall'elettorato attivo per l'elezione del consiglio provinciale è limitata al primo anno di residenza mentre nella provincia autonoma di Bolzano la limitazione dura quattro anni.
Disposizioni relative al Presidente della Repubblica e alla disciplina del Governo (Capo II e Capo III del disegno di legge costituzionale) e rappresentanza delle province autonome di Trento e Bolzano nella formazione della Assemblea della Repubblica:
la disposizione del nuovo articolo 83 della Costituzione non considera separatamente le due province autonome e l'elezione dei tre delegati sarebbe affidata al consiglio regionale; inoltre la regione Trentino-Alto Adige non raggiunge il milione di abitanti per l'indicazione di un ulteriore delegato ed ha due consigli delle autonomie locali.
Attribuzione al Capo dello Stato del potere di indire l'elezione del consiglio regionale (comma III, articolo 22): questa attribuzione deroga alle disposizioni degli statuti speciali che attribuiscono l'indizione delle elezioni al presidente della regione e ai presidenti delle province autonome.
Modifiche al Titolo V della parte seconda della costituzione (capo V del disegno di legge costituzionale): queste disposizioni sono quelle alle quali potrebbe applicarsi la clausola di maggior favore per le regioni a statuto speciale e le province autonome, oltre le limitazioni stabiliti nel sesto comma dell'articolo 34 a seguito dell'approvazione dell'emendamento 34.27 (Anedda ed altri) alle sole disposizioni di modifica dell'articolo 117 della Costituzione.
Tutte le disposizioni di questo capo V concernono il grado di autonomia delle regioni, i vincoli e i limiti alle loro potestà, la riserva allo Stato di taluni ambiti di competenza, il potere di avocare a sé taluni oggetti o materie, il potere di intervenire autoritativamente in sostituzione della regione inerte o inadempiente. Per esse l'applicabilità immediata e diretta anche alle regioni a statuto speciale e alle province autonome è stabilita in deroga alle diverse attribuzioni, potestà, prerogative e competenze che derivano dai rispettivi statuti.
L'efficacia della clausola e la sua estensione a ciascuna delle nuove disposizioni costituzionali (quelle ex legge costituzionale n. 3 del 2001 e legge n. 131 del 2003, cosiddetta 'legge La Loggia') è stata oggetto di opinioni contrastanti della dottrina e di alcune pronunce costituzionali. Da ultimo le sentenze n. 236, 238 e 239 del 2004. In particolare l'approvazione e la modifica degli statuti speciali (articolo 33, modifica dell'articolo 116 della Costituzione;). La disposizione che disciplina l'intesa rende sostanzialmente superate le disposizioni che in ciascuno degli statuti speciali prevedono che il Governo nazionale comunichi all'Assemblea o al consiglio regionali i progetti di modificazione dello statuto di iniziativa governativa o parlamentare.
Sostanzialmente modificata (e ridotta) ne risulta anche la portata delle disposizioni che nello statuto sardo prevedono la possibilità di indire un referendum consultivo quando il consiglio regionale si sia espresso contro un testo di modificazione dello statuto approvato in prima lettura dalle Camere (articolo 54, comma terzo).
Non è modificata la disciplina del potere di iniziativa.
La disposizione relativa alla espressione dell'intesa è riferita in via generale a tutte le disposizioni degli statuti speciali.
Articolo 34: competenze legislative esclusive delle regioni.
Quest'articolo reca al comma 61 la nuova formulazione della clausola di maggior favore.
L'efficacia della clausola e la sua estensione a ciascuna delle nuove disposizioni costituzionali (quelle ex legge costituzionale n. 3 del 2001 e legge n. 131 del 2003, cosiddetta "legge La Loggia") è stata oggetto di opinioni contrastanti della dottrina e di alcune pronunce costituzionali. Da ultimo le sentenze n. 236, 238 e 239 de12004.
Dalle pronunce della Corte costituzionale - per quanto in sintesi e sommariamente si può indicare in questo contesto - si possono dedurre, tra l'altro, i seguenti principi generali:
la clausola di maggior favore agisce nei confronti delle disposizioni statutarie esistenti, nel senso che essa ha riguardo alle potestà, competenze e prerogative come definite dagli statuti speciali. Le disposizioni statutarie costituiscono norme di eccezione rispetto alla disciplina generale. Le «forme di autonomie più ampie» si identificano tramite il raffronto fra la portata (gli effetti) della norma generale (come modificata) e la portata (gli effetti) della disposizione statutaria. Questo criterio interpretativo consente di identificare nel soggetto della disposizione statutaria il soggetto che assume o conserva la 'più ampia' autonomia.
Le regioni a statuto speciale e le province autonome esercitano direttamente le «maggiori» potestà, competenze e prerogative quando per questo non sia necessario un ulteriore intervento normativo dello Stato; questo, se necessario a determinare e specificare l'esercizio delle nuove potestà, deve avvenire tramite norme di attuazione e la partecipazione delle commissioni paritetiche.
Le nuove disposizioni costituzionali che disciplinano potestà, competenze e prerogative dello Stato intese a definire e garantire imprescindibili esigenze di carattere unitario prevalgono sulle disposizioni degli statuti speciali anche in prestanza della clausola di maggior favore e - laddove queste siano presenti - trovano applicazione secondo modalità e criteri stabiliti dagli statuti speciali e dalle relative norme di attuazione.
La giurisprudenza della Corte ha chiarito in via definitiva quindi come debba interpretarsi ed applicarsi, e quindi quali effetti abbia, la clausola di maggior favore presente all'articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
Quanto ai commi 1, 4 e 5 dell'articolo 34 del testo a nostro esame si deve notare che la nuova definizione dei limiti all'esercizio della potestà legislativa (articolo 117 della Costituzione, nuovo testo del primo comma) e della competenza esclusiva (residuale) delle regioni (articolo 117, nuovo testo del quarto comma) sembra essere più ampia della competenza esclusiva e/o primaria definita dagli statuti speciali. Tuttavia l'unificazione di quest'ultima nella competenza di cui all'articolo 117 della Costituzione uniforma la soggezione delle materie attribuite alla competenza primaria a quella che la giurisprudenza costituzionale va definendo per la cosiddetta competenza residuale.
Ciò anche in assenza della possibilità di attribuire una ampiezza certa - in termini di soggezione a vincoli e limiti - alla qualificazione di «potestà legislativa esclusiva» recata dal nuovo testo del quarto comma dell'articolo 117. La clausola di maggior favore rende possibile conservare - se più favorevole - il catalogo statutario delle competenze.
In presenza della clausola di maggior favore le «materie» elencate alle lettere a), b), c) e d) possono soltanto costituire una espansione delle potestà legislative e amministrative già attribuite dagli statuti speciali e rese operative dalle relative norme di attuazione. A queste è riservata ogni ulteriore disciplina che dovesse rendersi necessaria per regolare più in dettaglio l'ambito delle nuove potestà (ad esempio in materia di polizia locale) e per l'eventuale trasferimento delle funzioni amministrative.
Articolo 35, primo comma: ampliamento dei settori di disciplina legislativa soggetti al coordinamento della legge dello Stato.
L'applicazione diretta ed immediata di questa disposizione importa deroghe ed eccezioni al quadro delle potestà stabilito negli statuti speciali.
In primo luogo, infatti, alla attuale formulazione - che era intesa ad introdurre un coordinamento Stato-regioni in tre materie attribuite alla competenza esclusiva dello Stato (comma 2 dell'articolo 117) - si applica per le regioni a statuto speciale e le province autonome la clausola di maggior favore posta dall'articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 secondo la disciplina di cui all'articolo 11 della legge n. 131 del 2003. Una interpretazione rigorosa dei nuovi limiti imposti alle autonomie speciali fa ritenere che l'applicazione diretta debba limitarsi alle 'materie' introdotte dal testo in esame e non espandersi a quelle già presenti nella precedente formulazione dell'articolo. In secondo luogo, i settori di intervento ai quali viene ampliata la potestà legislativa di coordinamento dello Stato appartengono tutti alla competenza legislativa concorrente di cui all'articolo 117, terzo comma. Per la collocazione in quella sede le regioni a statuto speciale - che abbiano nel catalogo delle competenze del proprio statuto potestà primaria o concorrente - sono e restano 'protette' per le loro diverse e maggiori competenze dal filtro della clausola di maggior favore ex articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. In questa sede, per quelle stesse materie, verrebbe ora meno la clausola di maggior favore.
Si tratta, come ben noto, di settori di intervento che impattano - o per i quali la legislazione «di coordinamento» dello Stato può impattare - su numerose materie riservate alla competenza legislativa primaria delle regioni a statuto speciale e delle province autonome. Inoltre, anche per le materie che i cataloghi statutari ascrivono alla competenza concorrente, l'assenza della clausola di favore fa venire meno l'esclusività delle norme di attuazione nella regolazione della specialità.
L'applicazione diretta di questa disposizione «si combina» inoltre con l'espansione amministrativa della potestà legislativa dello Stato che deriva dalla interpretazione che la Corte costituzionale ha dato della sussidiarietà nella disciplina delle funzioni amministrative. La competenza legislativa di coordinamento si esercita principalmente per la allocazione e disciplina delle funzioni amministrative.
Articolo 35, secondo comma: nuova disciplina del riconoscimento delle autonomie funzionali (cosiddetta « sussidiarietà orizzontale»).
Per le regioni a statuto speciale e le province autonome questa disciplina impatta direttamente con la competenza primaria in materia di ordinamento degli enti locali e con le materie nelle quali ricade la disciplina dei servizi pubblici locali.
Anche in questo caso l'applicazione della precedente formulazione - ancora filtrata dalla clausola di maggior favore - viene sostituita da una formulazione (più ampia) direttamente applicabile.
Si può ricordare in proposito che - sebbene soltanto in via incidentale e per rigettare l'interpretazione posta a motivo del ricorso - la Corte costituzionale ha ritenuto che in forza della clausola di maggior favore alle competenze statutarie delle regioni a statuto speciale e delle province autonome non si applica il principio di sussidiarietà di cui all'articolo 118 della Costituzione, ma «conserva validità» il principio del parallelismo fra funzioni legislative e funzioni amministrative (sentenza n. 236 del 2004, 3.1. del considerato in diritto). L'immediata app1icabi1ità di questa disposizione sottomette anche le competenze legislative e amministrative delle regioni a statuto speciale alle disposizioni di principio che una legge ordinaria dello Stato dovesse dettare in materia.
Articolo 36: nuova formulazione dei principi cui ispirare la disciplina del potere sostitutivo ex articolo 120 della Costituzione.
L'effetto della disposizione di applicabilità diretta non concerne la potestà statale quanto le modalità del suo esercizio. Anche questo aspetto è chiarito dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 268 del 2004, 4.1. del considerato in diritto. Il sistema cui fa capo il potere sostitutivo «... non potrebbe essere disarticolato, in applicazione della 'clausola di favore', nei confronti delle regioni ad autonomia differenziata, dissociando il titolo di competenza dai meccanismi di garanzia ad esso immanenti. È dunque da respingere la tesi secondo la quale i principi dell'articolo 120 della Costituzione non sarebbero in astratto applicabili alle regioni speciali. Al contrario deve concludersi che un potere sostitutivo potrà trovare applicazione anche nei loro confronti, e che, riguardo alle competenze già disciplinate dai rispettivi statuti, continueranno nel frattempo ad operare le specifiche tipologie di potere sostitutivo in essi (o nelle norme di attuazione) disciplinate». Quanto all'esercizio del potere sostitutivo in ambiti di «nuova» competenza, la Corte ne subordina l'esercizio alla emanazione delle norme di attuazione, in assenza delle quali «la disciplina del potere sostitutivo di cui si contesta la legittimità (articolo 11 della legge n. 131 del 2003) resta nei loro confronti priva di efficacia e non è idonea a produrre alcuna violazione delle loro attribuzioni costituzionali».
Al contrario, la nuova disciplina del potere sostitutivo emanata in attuazione del nuovo secondo comma dell'articolo 120 della Costituzione sarà immediatamente applicativa anche nei confronti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome con effetto abrogativo anche di quanto stabilito nella legge costituzionale n. 3 del 2001 e dall'articolo 11 della legge n. 131del 2003 (cosiddetta 'Legge La Loggia').
Articolo 38: attenuazione della clausola «simul stabunt simul cadent» nell'articolo 126 della Costituzione.
Formalmente, per l'espresso riferimento all'articolo 126 della Costituzione, si dovrebbe ritenere che questa disposizione, nonostante il comma 15 dell'articolo 43, non trova applicazione immediata nei confronti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome.
L'effettività di una immediata applicabilità nei confronti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome è condizionata dall'intrico normativo sul quale essa è chiamata ad agire.
Formulata negli stessi termini nei quali è attualmente presente nell'articolo 126 della Costituzione la clausola «simul ...simul» è presente nelle disposizioni transitorie della legge costituzionale n. 2 del 2001 relativamente agli statuti della regione Sicilia, della regione Sardegna, della regione Friuli-Venezia Giulia e della regione Trentino-Alto Adige, limitatamente alla disciplina della forma di governo della provincia autonoma di Trento. Essa è inoltre è presente - come disposizione di principio - nei medesimi statuti in relazione alla potestà di ciascuna regione o provincia autonoma nel disciplinare la propria forma di governo. La provincia autonoma di Trento l'ha accolta nella propria legge statutaria ed altrettanto ha fatto nel progetto approvato dall'ARS la regione siciliana.
Ritenere che questa disposizione - dichiarata espressamente applicabile dal comma 15 dell'articolo 43 - non si applichi alle regioni a statuto speciale perché riferita al solo articolo 126 della Costituzione significa ritenere che alle regioni ad autonomia differenziata non si applichi una disciplina che amplia l' autonomia statutaria.
Se effettivamente applicabile, essa abroga (fa perdere efficacia) le disposizioni contrarie che negli statuti speciali limitano la potestà statutaria della regione e nelle disposizioni transitorie obbligano a rispettare quella particolare forma di governo.
Resta la considerazione che gli statuti speciali risulterebbero modificati con una procedura che non rispetta gli elementi procedurali specifici (testuali e di consolidata prassi).
Articolo 39: disciplina dell'interesse nazionale. Prima delle leggi costituzionali n. 2 del 2001 e n. 3 del 2001 la questione di merito era disciplinata dall'articolo 127 della Costituzione e, con procedure leggermente diverse, da ciascuno degli statuti speciali. A sua volta il contrasto con l'interesse nazionale costituiva limite alla potestà legislativa anche primaria delle regioni ad autonomia differenziata.
Per altro - sebbene direttamente disapplicate in forza della clausola di maggior favore recata dall'articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 - negli statuti speciali sopravvivono le disposizioni relative al controllo preventivo sulle leggi e alla pronuncia sul contrasto di interessi innanzi alle Camere (questione di merito).
La nuova disciplina si applica pertanto anche alle regioni a statuto speciale e alle province autonome.
Anche in questo caso però l'effetto della dichiarazione di immediata e diretta applicazione esclude l'intervento (l'intermediazione) delle norme di attuazione che è invece principio costante nell'ordinamento delle specialità e uniforma il trattamento delle autonomie differenziate a quello delle regioni a statuto ordinario.
Articolo 40: abrogazione del parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali nel procedimento per lo scioglimento sanzionatorio dei consigli regionali.
La soppressione della Commissione parlamentare per le questioni regionali e questa disposizione fanno perdere efficacia alle analoghe disposizioni poste negli statuti speciali. Resiste invece la disposizione dell'articolo 8, secondo comma, dello statuto siciliano che in proposito prevede la «deliberazione delle Assemblee legislative dello Stato».
Articolo 43: Disposizioni transitorie (prima elezione del Senato federale secondo le modifiche introdotte dall'articolo 3 della legge costituzionale).
Si è detto come per l'elezione del 2011 - se saranno completate la legislatura in corso e la prossima - le legislature in corso nelle regioni Valle d'Aosta, Friuli-Venezia Giulia e nelle province autonome di Trento e Bolzano risulteranno abbreviate a tre anni, a due anni quella in corso nella regione Sardegna e interamente completata quella della regione Sicilia.
RESOCONTO
SOMMARIO E STENOGRAFICO
______________ ______________
506.
Seduta di MARTedì 14 settembre 2004
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PUBLIO FIORI
INDI
del vicepresidente Alfredo Biondi
La seduta comincia alle 9,30.
Seguito della discussione del disegno di legge costituzionale: S. 2544 - Modificazione di articoli della parte II della Costituzione (Approvato, in prima deliberazione, dal Senato) (4862) e delle abbinate proposte di legge costituzionale: Zeller ed altri; Bielli; Spini e Angioni; Buttiglione ed altri; Contento; Cola; Pisapia; Selva; Selva; Selva; Bianchi Clerici; Peretti; Volontè; Pisapia; Lusetti ed altri; Zaccheo; Mantini ed altri; Soda; Olivieri e Kessler; Costa; Serena; Pisicchio ed altri; Bolognesi ed altri; Paroli; Buontempo; Zeller ed altri; Collè; Vitali ed altri; Maurandi ed altri; Olivieri; Boato; Stucchi; Cento; Monaco; Pacini; Consiglio regionale della Puglia; Consiglio regionale della Puglia; Chiaromonte ed altri; Cabras ed altri; Mantini; La Malfa; Briguglio ed altri; Franceschini; Pisapia; Costa; Perrotta ed altri; Fiori (72-113-260-376-468-582-721-874-875-877-966-1162-1218-1287-1403-1415-1608-1617-1725-1805-1964-2027-2116-2123-2168-2320-2413-2568-2909-2994-3058-3489-3523-3531-3541-3572-3573-3584-3639-3684-3707-3885-4023-4393-4451-4805-5044) (ore 9,40).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge costituzionale, già approvato in prima deliberazione dal Senato: Modificazione di articoli della parte II della Costituzione e delle abbinate proposte di legge costituzionale di iniziativa dei deputati Zeller ed altri; Bielli; Spini e Angioni; Buttiglione ed altri; Contento; Cola; Pisapia; Selva; Selva; Selva; Bianchi Clerici; Peretti; Volontè; Pisapia; Lusetti ed altri; Zaccheo; Mantini ed altri; Soda; Olivieri e Kessler; Costa; Serena; Pisicchio ed altri; Bolognesi ed altri; Paroli; Buontempo; Zeller ed altri; Collè; Vitali ed altri; Maurandi ed altri; Olivieri; Boato; Stucchi; Cento; Monaco; Pacini; Consiglio regionale della Puglia; Consiglio regionale della Puglia; Chiaromonte ed altri; Cabras ed altri; Mantini; La Malfa; Briguglio ed altri; Franceschini; Pisapia; Costa; Perrotta ed altri; Fiori.
Ricordo che nella seduta di ieri è proseguita la discussione sulle linee generali.
(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 4862 ed abbinate)
PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione sulle linee generali.
È iscritto a parlare l'onorevole Franceschini. Ne ha facoltà.
DARIO FRANCESCHINI. Signor Presidente, signor sottosegretario, avevamo il sincero desiderio che, dopo il lavorio di questi mesi e questo susseguirsi di annunci e di proclami, i cosiddetti saggi della Casa delle libertà avessero veramente intenzione di rimediare al disastroso disegno di revisione della Costituzione approvato dal Senato. Ci siamo sforzati di sperare che, anche a seguito dei rilievi mossi da forze politiche e da esponenti della Casa delle libertà e soprattutto dei pareri critici ricevuti dalla stragrande maggioranza, praticamente la totalità, dei tecnici e dei costituzionalisti anche a loro più vicini, almeno avrebbero cercato di risolvere i problemi più vistosi che il loro progetto porrebbe al paese, ove venisse approvato.
L'intervento con cui ieri, in quest'aula, il ministro Calderoli ha illustrato le modifiche che intende proporre insieme alla maggioranza di Governo ci ha tolto ogni illusione ed ogni speranza. Vi è l'intenzione di sostituire i gravi errori e le storture presenti nel testo approvato dal Senato con nuovi errori e nuove storture. Il risultato purtroppo rimane sempre identico: uno stravolgimento della Carta fondamentale, che metterebbe in ginocchio le nostre istituzioni, creando pericolosi squilibri tra le stesse oppure paralizzandole in conflitti tra di loro insostenibili ed insolubili.
No, noi non intendiamo condannare il nostro paese al disastro. Non vogliamo, in nome di slogan, sui quali neanche voi della maggioranza siete d'accordo, disfarci con tanta leggerezza dell'eredità che i nostri padri costituenti ci hanno tramandato. Non vogliamo accettare, insomma, questa specie di mela avvelenata che oggi ci offrite: una riforma che non solo è inaccettabile in via di principio, per gli squilibri che crea nel paese, ma che soprattutto, come dimostrano i ceti produttivi del paese, come Confindustria, riuscirebbe nel «capolavoro» di creare un sistema che funziona di meno e che, al tempo stesso, costa di più agli italiani.
Noi ci opporremo con tutte le nostre forze e con tutti gli strumenti che i regolamenti parlamentari ci offrono per evitare questo disastro. Tuttavia, se questo non fosse sufficiente, se non prevarranno le critiche, che meritevolmente anche alcuni esponenti della vostra maggioranza stanno avanzando a questa proposta, e se i pur evidenti dissidi all'interno della maggioranza di questo Governo non serviranno ed andrete avanti, allora noi ci rivolgeremo, come Margherita e come Ulivo, al paese e chiameremo i cittadini a pronunciarsi con un referendum su questa nefandezza, sicuri che gli elettori bocceranno questo disegno, decretando la sconfitta politica delle forze che lo sostengono e che ne hanno fatto - alcune malvolentieri - una bandiera.
Elencare tutte le incongruenze e i danni che il progetto oggi in discussione è in grado di produrre alle istituzioni sarebbe troppo lungo. Ormai c'è una letteratura vastissima ed è inusitatamente unanime la valutazione di condanna di questo progetto. Per questo vorrei limitarmi soltanto ad alcune notazioni, evidenziando in particolare alcuni degli elementi che sono emersi dall'intervento di ieri del ministro Calderoli, che di fatto dimostrano come purtroppo l'estate non abbia portato consiglio.
Innanzitutto, nel disegno del Governo si prevede l'istituzione di un Senato federale della Repubblica. Peccato però che, come hanno da subito denunciato i rappresentanti delle regioni e delle autonomie locali (appartenenti ad ogni parte politica, anche al centrodestra), tali Camere di federale hanno soltanto il nome, essendo infatti il legame con le realtà regionali affidato, con una stupefacente ingenuità, soltanto alla semplice contestualità tra l'elezione dei senatori e quella dei consigli federali, nonché al cortese invito a mantenere rapporti di reciproca informazione e collaborazione (insomma, se credono, i senatori federali sono caldamente invitati ogni tanto a parlarci o a prenderci un caffè insieme: questa sarebbe la soluzione dei problemi di coordinamento!).
Resasi conto del ridicolo di questa proposta, come peraltro ha ammesso ieri lo stesso ministro in quest'aula, dicendo che la contestualità del vecchio disegno era imperfetta, tanto da prometterne ora una vera, sulla spinta delle critiche che sono venute prima di tutto dai rappresentanti regionali della stessa Casa delle libertà, la maggioranza oggi ci presenta la soluzione, tanto attesa, di questo problema: niente di meno nel Senato, oltre ai senatori eletti, contestualmente siederanno anche due rappresentanti delle regioni, i quali, come ha voluto sottolineare il ministro, potranno addirittura votare, però soltanto in particolari materie attinenti agli interessi specifici delle regioni del mondo delle autonomie!
Immaginiamoci che esercizio nell'interpretare la genericità di questa norma e di queste indicazioni! No, noi vogliamo un Senato federale che sia degno di questo nome, nel quale i rappresentanti delle regioni e delle autonomie non debbano accontentarsi di sedere su di uno «strapuntino», di passeggiare nei corridoi, ma vi siedano a pieno titolo, portando al centro le istanze e le richieste delle periferie.
Il modello che teniamo in considerazione è quello del Bundesrat tedesco con opportuni adattamenti, al fine di introdurre una rappresentanza effettiva anche dei comuni, delle province e delle città metropolitane che fanno ricca la cultura istituzionale del nostro paese, evitando così il neocentralismo regionale verso cui il vostro disegno minaccia di andare.
Su un altro punto, signor ministro e signor sottosegretario, avete poi finto di voler indicare una via, ma, in realtà, avete confessato di non sapere dove andare. Una delle critiche che, quasi unanimemente, erano state mosse al disegno di legge era quella di attribuire al cosiddetto Senato federale una serie lunghissima di competenze incidenti direttamente sull'indirizzo politico, slegandolo contemporaneamente dal rapporto fiduciario con il Governo, che viene riservato soltanto ad una Camera. Ciò, evidentemente, con il brillante risultato di impedire al Governo di portare avanti il suo programma, rischiando di condannarlo alla paralisi.
In ordine a tale problema, il ministro ieri ha ammesso che il progetto, approvato dal Senato, crea diversi problemi di funzionamento (finalmente ve ne siete resi conto!), ma non è stata presenta una proposta al riguardo ed è stato lanciato un appello alla Camera perché individui qualche meccanismo di ingegneria parlamentare in grado di tappare i buchi che sono stati aperti. Così non funziona! Non vi sono artifici da inventare!
Il sistema che avete costruito non funziona, perché è debole nelle sue fondamenta. Le crepe che oggi voi stessi vedete e ci chiedete di aiutarvi a riparare con un po' di stucco sono destinate a diventare sempre più grandi non appena la casa dovesse venire abitata. Non vogliamo mettere gli italiani sotto un tetto pericolante che, da un momento all'altro, franerà sulle loro teste, portando scompiglio e danni alle istituzioni.
Il Governo ieri ha poi preannunziato di intervenire sull'articolo 117 della Costituzione con riferimento alla ripartizione della potestà legislativa tra Stato e regioni, senza fornire, anche in questo caso, elementi precisi o nuovi. Naturalmente, ci riserviamo di valutare le proposte di modifica che saranno formalizzate negli emendamenti.
Per ora, come è stato possibile desumere dal dibattito, si deve, purtroppo, riscontrare una confusione nella direzione da prendere (è del resto uno specchio delle divisioni che su tale tema contrastano e animano il centrodestra). La nostra paura è che da questa sorta di regolamento di conti interno, da questa verifica continua di Governo derivino riforme pasticciate e che le vostre tensioni si scarichino sulla riscrittura della Costituzione; invece di diminuire la conflittualità tra Stato e regioni, le nuove norme potrebbero accrescerla, scaricando sulla Corte costituzionale tensioni politiche che rischiano di minarne l'indipendenza, oltre a metterne a dura prova la capacità di funzionamento.
Un altro dei difetti più evidenti del sistema è poi quello di avere attribuito al primo ministro, chiunque esso sia, di centrodestra o domani di centrosinistra, un potere senza controlli e bilanciamenti, mortificando la figura di garanzia, esercitata nella nostra Costituzione dal Presidente della Repubblica.
Da quel poco che è dato comprendere sulle modifiche sintetizzate ieri dal ministro in aula, si ha l'impressione che i problemi che vi erano rimangano e addirittura si aggravino. All'investitura di un premier onnipotente (addirittura viene rafforzato il suo potere di indirizzo, obbligando il Parlamento ad occuparsi di ciò che vuole il premier) parrebbe che si aggiunga una minuziosa casistica sulle possibili vicissitudini del Governo che, paradossalmente, dietro l'obiettivo dichiarato di evitare i cosiddetti ribaltoni, in realtà, finisce per legare le mani al premier stesso ed alla maggioranza, mortificando la dialettica parlamentare e facendo definitivamente uscire il nostro paese dal novero di quelli a forma di Governo parlamentare.
Il ministro, inoltre, ci ha promesso piccoli ritocchi, del tutto insufficienti a tenere insieme un disegno che mostra ogni giorno di più le sue insufficienze e le sue mancanze, su tanti altri aspetti e nodi problematici denunciati a gran voce da costituzionalisti di tutti gli orientamenti che ripeteremo in questo dibattito in quest'aula. Invece, il ministro ha taciuto. L'elenco sarebbe troppo lungo per il tempo che abbiamo a disposizione.
Qui mi limito a richiamare il caso della Corte costituzionale che, nel vostro disegno, è pericolosamente destinata ad una politicizzazione strisciante e ad una conseguente perdita di indipendenza e di imparzialità.
A questo problema, già accennato, si aggiunge quello dell'inaccettabile spoliazione di poteri perpetuata anche ai danni del Presidente della Repubblica e della spoliazione di poteri perpetuata di fatto a carico della Corte costituzionale nonché quello relativo ai pericoli insiti nelle funzioni di un ministro onnipotente, capace di mortificare non solo le opposizioni ma anche la propria maggioranza. In tal modo si fa venir meno ogni controllo, ogni bilanciamento e quindi l'essenza stessa di ogni ordinamento democratico.
Ieri il ministro ci ha detto di essere disposto ad ascoltare le opposizioni e a raccogliere i loro suggerimenti. Ebbene, vi chiediamo ancora una volta di abbandonare il vostro disegno, di ricominciare a discutere su un progetto che voi stessi vi rendete conto di non poter far funzionare.
Se la vostra offerta è sincera, noi siamo pronti ad assumerci le nostre responsabilità, a dimenticare l'arroganza e l'autosufficienza che finora hanno caratterizzato il vostro atteggiamento in materia di riforme della Costituzione - che dovrebbero sempre essere scritte insieme da maggioranza e opposizione - e a ricominciare a discutere, ricercando un autentico spirito costituente per trovare le soluzioni istituzionali che possano meglio rispondere alle esigenze dei cittadini e del paese.
Se invece insisterete nel proporre le soluzioni pericolose che finora avete sostenuto, se continuerete in nome della vostra superiorità numerica in Parlamento a voler far scempio dei più basilari principi democratici e anche del buonsenso, allora non ci resterà che appellarci al vero titolare della sovranità nel nostro ordinamento, quello che i nostri padri hanno individuato nel popolo. Dunque, saranno i cittadini a decidere e a respingere con il loro voto il disegno di smontare la Costituzione repubblicana (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Patarino. Ne ha facoltà.
CARMINE SANTO PATARINO. Signor Presidente, signor sottosegretario, questo disegno di legge costituzionale d'iniziativa del Governo, riguardante le modifiche agli articoli della parte II della Costituzione, già approvato in prima deliberazione dal Senato il 25 marzo 2004, scaturisce da una effettiva e largamente diffusa esigenza di dar vita ad una riforma federale dello Stato che agevoli concretamente il funzionamento delle istituzioni e sia in grado di costruire un sistema democratico che risponda appieno alle esigenze dell'intero paese.
Il ministro per le riforme istituzionali, senatore Calderoli, al quale va riconosciuto il merito di aver svolto un grande, delicato e paziente lavoro, fatto di confronto serio e di intelligente mediazione, nel suo primo intervento tenuto qui alla Camera, ha ricordato che la stagione delle riforme istituzionali, dopo una serie di fallimenti se non di controriforme accentratrici, aveva dato qualche segnale di movimento già alla fine della scorsa legislatura con la riforma del Titolo V della Costituzione ad opera del Governo e della maggioranza di centrosinistra.
Con questo provvedimento - ha aggiunto poi l'onorevole ministro - si vuole procedere ad un ulteriore passaggio per adeguare l'organizzazione e il funzionamento delle nostre istituzioni alle esigenze di una moderna democrazia, capace di rappresentare le istanze della società e di trasformarle in deliberazioni responsabili e tempestive.
Pur apprezzando la signorilità del ministro e pur comprendendo le ragioni del suo fair play, non riusciamo a farci contagiare dal suo eccesso di generosità, con il quale ha voluto riconoscere all'attuale opposizione di centrosinistra - ieri maggioranza - se non proprio dei meriti quantomeno dei titoli, che non possono in alcun modo essere riconosciuti e non solo per motivi di forma. Non mi riferisco soltanto alla posizione assunta da tutto il centrosinistra con riferimento al provvedimento in esame, ma ai tantissimi episodi che da sempre caratterizzano l'azione del centrosinistra ovunque svolga il ruolo di opposizione, rifiutando in modo sprezzante il dialogo e ricorrendo continuamente all'uso della criminalizzazione e della delegittimazione dell'avversario che governa, sia esso il Presidente del Consiglio, il presidente di qualsiasi regione o provincia o il sindaco del più piccolo comune d'Italia.
Ma soprattutto, non può esservi alcun riconoscimento di meriti al centrosinistra per i contenuti di quella riforma del Titolo V della Costituzione, che l'intera Casa delle Libertà non ha mai condiviso in nessuna delle sue parti e che nulla ha a che vedere con questo disegno di legge che presenta, rispetto alla scelta fatta nella scorsa legislatura, profonde e fondamentali differenze.
Mi limiterò per ragioni di tempo a soffermarmi solo su alcune differenze, che, a mio modesto parere, sono da sole più che sufficienti a dimostrare la grande importanza della riforma al nostro esame, gli aspetti positivi ed i vantaggi di cui godranno tutti gli italiani, grazie alla maggiore funzionalità di un sistema che, di fatto, riconduce ad unità, non a caso insieme al recupero anche formale del concetto di interesse nazionale, una ritrovata gerarchizzazione dei vari livelli dello Stato.
La prima di tali differenze si riferisce alla razionalizzazione del riparto delle competenze tra Stato centrale, regioni ed autonomie locali, nella cui ottica non si pone soltanto la cosiddetta devoluzione, peraltro ridotta grazie ai decisivi limiti, di cui dirò avanti, nelle materie della sanità, dell'organizzazione scolastica e di un'ipotetica polizia regionale, ma anche il recupero da parte dello Stato di fondamentali ed irrinunciabili competenze in materia, ad esempio, di grandi reti, a partire da quella dell'energia.
Per quanto riguarda le suddette materie da devolvere, è bene procedere con alcune precisazioni. La sanità è già competenza delle regioni, che in materia da tempo legiferano e programmano. Questo progetto di riforma chiarisce che la competenza sulla salute, ovvero su quel diritto primario, eguale per tutti gli italiani e fondamento principale di ogni Stato sociale, ritorna allo Stato centrale, creando di fatto le condizioni per un opportuno riequilibrio tra le regioni più ricche e quelle più povere, in questa materia ritenuto giustamente più necessario e doveroso ai fini di un'autentica equità complessiva del sistema. Tale equilibrio era stato invece pesantemente messo in dubbio dalle politiche della sinistra, come gli assurdi criteri di riparto del fondo sanitario nazionale, o il federalismo fiscale, ossia le più antimeridionali tra le scelte compiute a Roma, dall'unità d'Italia in poi.
Inoltre, la competenza da devolvere in materia di istruzione non investe l'ordinamento scolastico, che resta invece di competenza dello Stato, come dimostrato peraltro dalla riforma Moratti, ma l'organizzazione scolastica, che è molto meno e che oggi è già pressoché del tutto decentrata, fino ai rilevanti spazi di autonomia già concessi alle singole scuole.
Infine, le ipotetiche polizie regionali non si sostituiranno alle forze dell'ordine nazionale, le cui competenze restano inalterate, ma le coadiuveranno, rafforzando le garanzie della legalità e della sicurezza, in un migliore controllo del territorio.
La seconda delle differenze decisive tra la riforma dell'Ulivo e quella al nostro esame, soprattutto in direzione di una reale unità dello Stato italiano, risiede nella parte, che non a caso nella prima mancava, relativa alla forma di governo e alle norme antiribaltone. Una parte che, da un lato, costituzionalizza il bipolarismo, consegnando alla sovranità popolare la scelta del premier e mettendola al riparo dalle congiure di palazzo, già sperimentate attraverso trascorsi ribaltoni, mentre dall'altro costituisce, mediante gli accresciuti poteri del Presidente del Consiglio, il più concreto presidio dell'unità del paese, attraverso la concretizzazione di una nuova forza centripeta, capace di contenere e neutralizzare quella centrifuga, rappresentata da un più penetrante federalismo. Al Capo dello Stato, che non è espressione della sovranità popolare, bensì garante supremo del rispetto delle regole, vengono contestualmente ridotte le competenze politiche ed intensificate quelle di garanzia.
Una scelta, quella del premierato, che sarebbe di fatto vanificata qualora venisse sottratta al premier la possibilità di determinare, in caso di sfaldamento della coalizione o di sopravvenuta ingovernabilità, lo scioglimento anticipato del Parlamento e la conseguente restituzione della parola decisiva al popolo sovrano, e che rappresenta già un punto di mediazione rispetto all'originaria ispirazione presidenzialista della coalizione. Una scelta che riproduce, a livello più alto, la grande e positiva rivoluzione che è stata rappresentata, nelle regioni e negli enti locali, dall'elezione diretta dei vertici, che ne ha garantito ad un tempo la governabilità e l'efficacia dell'azione di governo, legittimandoli anche ai ruoli più impegnativi successivamente meritati, contribuendo così a dare al Governo centrale l'autorevolezza necessaria per reggere il confronto con quella conferita, dalle riforme già attuate, ai governi locali, e velocizzando l'intero sistema su performance complessivamente più elevate. Una scelta su cui, non a caso, si incentra l'ostilità dei settori più conservatori della politica italiana e dei poteri forti di questo paese, che hanno ottime ragioni per temere un premier forte, e pertanto anche capace di cambiare la nazione, e per preferirgli invece la riedizione di un pallido re travicello esposto a tutti i venti e a tutti i ricatti.
Con questa riforma federalista e presidenzialista, che era nei programmi della Casa delle libertà perché rispondente alle esigenze ineludibili di modernizzazione del sistema Italia, costruiamo finalmente, come ha detto il presidente del gruppo di Alleanza nazionale al Senato, Nania, una grande democrazia italiana e non una piccola democrazia all'italiana. Una grande democrazia italiana che, al di là di molti feticci polemici, garantisce la salvaguardia degli interessi sacrosanti del Mezzogiorno, in relazione ai quali plaudiamo all'onestà politica e intellettuale del ministro Calderoli, che ha dichiarato pubblicamente di condividere i forti rilievi critici espressi dai «governatori» del Sud, e soprattutto dal presidente Fitto, in ordine alle gravi sperequazioni ai danni della parte più debole del paese, contenute nel decreto legislativo n. 56 del 2000 in materia di federalismo fiscale, riconoscendo apertamente che il sud nel suo complesso è sottorappresentato negli equilibri politici nazionali.
Letta così, ovvero dalla parte della verità, la grande riforma costituzionale in cantiere - che si potrebbe conciliare anche con una diversa legge elettorale che, fermo restando l'assetto bipolare del sistema, garantito dall'elezione diretta del premier e da un adeguato premio di maggioranza, rafforzi la sovranità popolare anche nella definizione dei rapporti interni alle condizioni - rappresenta una straordinaria chance per cambiare una volta per tutte una forma di Stato e di Governo obiettivamente superate.
Una riforma storica, dunque, che coronerebbe nel migliore dei modi una legislatura di svolta speciale, alla quale già dobbiamo riforme che sembravano impossibili, come quelle delle procedure per la velocizzazione e la concreta realizzazione delle grandi opere (la cosiddetta «legge obiettivo»), della scuola, del mercato del lavoro e della previdenza, alle quali si può aggiungere anche quella che riduce e semplifica la pressione fiscale, sia sulle persone sia sulle imprese, che è già operativa per i redditi più bassi e che con la prossima legge finanziaria deve entrare nel vivo della fase operativa, insieme ad un forte rilancio delle politiche di privatizzazione e di liberalizzazione, anche esse parte integrante del programma vincente nel 1994 e nel 2001.
Questa stagione politica parlamentare, pur difficile e tra le più sfortunate del dopoguerra, se riuscirà a condurre in porto la riforma dell'intera parte II della Costituzione, raggiungerà uno dei punti più alti dell'azione svolta in questi tre anni, perché avrà saputo onorare fino in fondo gli impegni assunti, avviando nei fatti la nuova Italia del XXI secolo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole De Franciscis. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO DE FRANCISCIS. Signor Presidente, molti anni fa ebbi la ventura di leggere ampie sintesi del dibattito che si tenne in quest'aula nell'ambito dell'Assemblea costituente. Essendo cresciuto secondo gli ideali politici della Democrazia Cristiana - in un paese retto da un sistema parlamentare che ha raggiunto l'unità da poco più di un secolo - mi trovo ad avere un senso di smarrimento in questa particolare stagione che il paese sta vivendo. Ci siamo inchinati di fronte alla storia di uomini appartenenti a diverse tradizioni politiche e culturali - laici e cattolici, comunisti e liberali - che, innanzitutto, hanno assicurato a questo paese la stagione costituente e che hanno vissuto, al servizio della politica e seduti ai vertici della Repubblica, il rilancio e la crescita del paese, nel quale sono nato, dopo l'unità e il disastro della guerra.
Sedendo nei banchi dell'opposizione ci tengo a dire che non condivido il voto a maggioranza sulla riforma del Titolo V della Costituzione, né il dibattito che dura ormai da due anni, frutto di un accordo mercantile tra i contraenti della coalizione di maggioranza, ed avverto delusione e sgomento nella consapevolezza - soprattutto dopo gli interventi di ieri e quelli di oggi - della assoluta inadeguatezza di questa discussione in materia costituzionale.
Nei pochi minuti che ho a disposizione proverò a sottolineare tre questioni; lo farò a nome di quei pochi elettori - circa 500 mila - che seguono le iniziative del nostro gruppo politico popolari nell'UDEUR, i quali hanno anche cercato di mettere a fuoco in questi mesi alcune idee sulla stagione che stiamo vivendo. Noi conveniamo sul fatto che questo è un periodo nel quale, a fronte di ulteriori contributi in materia di welfare, di politica estera e di politica per la famiglia, è ormai tempo di rilanciare in Italia una seria stagione di politiche istituzionali come se si trattasse di una nuova stagione democratica. Ebbene ieri pomeriggio il ministro Calderoli, in un intervento dai toni irriconoscibili - per chi lo ha visto provocatore e provocante durante gli interventi di questi ultimi anni -, ha sostenuto che egli è aperto ai suggerimenti e presenterà emendamenti al termine della discussione sulle linee generali del provvedimento in esame. In primo luogo debbo dire che si registra l'impossibilità di discutere e deliberare in materia di riforma costituzionale a causa del meccanismo infernale che si è avviato; ciò perché solo un'Assemblea costituente può modificare in maniera così radicale la Carta costituzionale, la legge fondamentale di tutti gli italiani, dell'una o dell'altra opinione politica. In quella sede avremmo potuto introdurre le questioni che ci stanno a cuore come, ad esempio, la rimozione delle attuali incompatibilità tra i diversi tipi di cariche, il rapporto tra le assemblee elettive ai diversi livelli, il governo dei comuni, delle province, delle regioni e della stessa Repubblica. Avremmo potuto occuparci anche della caratteristica presidenzialistica che poco fa il collega di Alleanza nazionale ha salutato in maniera così gioiosa e di come non introdurre il nome del candidato a premier sulla scheda elettorale, affinché sia ancora il Parlamento a designare la persona indicata per guidare la politica e il Governo del nostro paese. Si sarebbe potuto discutere in maniera produttiva e feconda di proporzionalismo e dei suoi meccanismi che una parte, ancorché piccola, dell'attuale legittima coalizione di Governo ha portato negli ultimi mesi all'attenzione del dibattito politico nazionale.
La prima questione che volevamo sollevare riguarda dunque l'incongruenza del dibattito che si è aperto. Si tratta, infatti, di un dibattito dietro le quinte, con alcune punte di apparente, drammatica spettacolarità che tendono ad accontentare le varie parti contraenti, nel quadro dell'accordo che sostiene il Governo Berlusconi. Sostanzialmente, però, si tratta solo di un rafforzamento delle prerogative del primo ministro con una singolarità - per quello che può comprendere un pediatra che siede in Parlamento - che non è data in nessuna delle grandi democrazie di questo tempo.
Il secondo aspetto che volevamo sollevare, in considerazione del fatto che la questione del potere in democrazia è questione di vita, riguarda le risorse, aspetto che ieri non è stato né richiamato né illustrato dal ministro per le riforme istituzionali.
Siamo di fronte ad una prospettiva di riforma che prevede un irresponsabile trasferimento di poteri ad organismi politici ed enti, ai vari livelli della Repubblica, senza che si sia provveduto ad affrontare la questione della risorse finanziarie.
Faranno bene a riflettere i colleghi di maggioranza che le parti della riforma che non comportano oneri, attinenti ai poteri della Presidenza del Consiglio dei ministri, diventeranno probabilmente le sole più rapidamente efficaci.
Se guardiamo alla grande stagione che ha portato alla costituzione delle regioni italiane nei primi anni Settanta e ai lunghi tempi che sono stati necessari per mettere in qualche modo questi enti a regime - e non tutte le regioni lo sono ancora - ci rendiamo conto come dall'intuizione del costituente alla prassi, ossia alla realizzazione di quella intuizione, possano passare lunghi decenni, con enormi costi finanziari.
Davanti al problema delle risorse sarà bene che il Governo e la maggioranza ci dicano con quale animo intendano procedere per coprire le spese che rischiano di portare ad uno sconquasso della finanza pubblica; infatti delle due l'una: o la finanza pubblica con questa vostra proposta di riforma salta, oppure la vostra stessa riforma si rivelerà un boomerang mostruoso, perché negli anni a venire, davanti alla difficoltà di doverla realizzare, se ne constaterà non solo la sua inadeguatezza politica e costituzionale, ma anche il fatto che essa ha comportato costi che il paese non poteva sostenere. La terza ipotesi è evidentemente quella più verosimile, cioè che questa riforma ed i suoi costi si scaricheranno in imposizioni fiscali sui cittadini italiani, ovviamente non al termine di questa legislatura ma nel futuro. Dunque, le tasse dovranno essere aumentate.
Il terzo aspetto che vogliamo sollevare è la richiesta al Governo e al ministro per le riforme istituzionali di una parola di chiarimento su una questione ormai divenuta insopportabile, quella del federalismo.
Su questo punto, come ho avuto modo di sottolineare nella dichiarazione di voto svolta in occasione della discussione delle mozioni riguardanti l'Iraq, ho una qualche dimestichezza con gli Stati Uniti d'America ed a me pare che, in realtà, nel sistema contemporaneo del nostro Occidente esistano solo due grandi sistemi federali: uno in Europa, cioè la Germania e i suoi lander, l'altro nel nord America, cioè gli Stati Uniti d'America.
Non è difficile, leggendo la storia della Costituzione, la storia delle solidarietà e dei bilanciamenti di poteri tra gli Stati e i lander contraenti gli accordi federali negli Stati Uniti d'America e nella Germania, capire che si tratta di storie e sistemi completamente diversi dal nostro.
In sostanza, sia nella Germania federale, a noi più vicina, sia negli Stati Uniti d'America, si tratta di organizzazioni di Stati nazionali che hanno avuto una formazione, una strutturazione e un ordinamento federale a tutti livelli di quelle democrazie: questo non è accaduto in Italia.
In Italia, dove l'unità del paese è stata raggiunta solo un secolo e mezzo fa, un paese piccolo geograficamente, densamente abitato, ricchissimo di storia e tradizioni prevalentemente municipali, che rappresentano le nostre principali identità, la struttura dello Stato centrale e la devoluzione - lo dico in italiano - dal basso verso l'alto della sovranità ad un Parlamento nazionale hanno fondato lo sviluppo e la crescita di questo nostro paese che oggi siede tra gli otto paesi più industrializzati e più progrediti del mondo.
Noi, che non abbiamo alcuna intelaiatura federale, procediamo, invece, sempre per una motivazione originariamente mercantile, che vede la possibilità dell'utilità marginale di alcuni partiti di diventare un «ricatto» per la maggioranza della quale fanno parte; vediamo utilizzare un termine inappropriato, il federalismo, a una devoluzione di poteri costosa e pasticciata che porterà questa Repubblica, come già appare oggi, ad avere meno evidente il senso dello Stato unitario e, qui lo dico da cristiano, a vedere evidentemente scomparire quel senso di solidarietà che era stato l'elemento principale che aveva visto uniti insieme, in uno sforzo straordinario, la cultura cattolica, quella liberale, quella socialista e marxista dare a questa Repubblica e in quest'aula una Costituzione che oggi noi vorremmo ancora difendere come un riferimento alto e solenne.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Battaglia. Ne ha facoltà.
AUGUSTO BATTAGLIA. Signor Presidente, signor ministro, colleghi, com'è noto, sono molteplici le ragioni che ci inducono ad essere contrari a questo disegno di legge costituzionale che modifica significativamente la seconda parte della Costituzione. Non toccherò tutti gli aspetti rilevanti perché non ho la necessaria competenza, ma mi limiterò a svolgere alcune osservazioni concernenti le modifiche all'articolo 117 della Costituzione.
Con l'articolo 34 del provvedimento al nostro esame viene attribuita alle regioni la potestà legislativa esclusiva in una serie di materie: assistenza e organizzazione sanitaria; organizzazione scolastica; definizione di una parte dei programmi scolastici e formativi; polizia locale; ogni altra materia - così recita il disegno di legge - non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.
Indubbiamente, quello di decentrare e di attribuire maggiori competenze ed una più forte autonomia alle nostre regioni è un obiettivo condiviso: al di là dell'individuazione degli strumenti, sull'obiettivo indicato vi è consenso trasversale di tutte le forze politiche, tant'è che il centrosinistra, nella scorsa legislatura, ha approvato la nota legge di riforma del Titolo V della Costituzione che ha già attribuito alle nostre regione una serie di poteri reali, in parte anche su materie che costituiscono oggetto del disegno di legge di riforma in esame.
Cosa ci differenzia? Sostanzialmente, la nostra ipotesi si basa sulla ricerca di un punto di equilibrio adeguato tra le competenze statali e le competenze regionali. Ad esempio, nella materia sanitaria, nessuno pensa di togliere alle regioni autonomia e competenze. Si tratta di capire, però, che l'attribuzione alle regioni della competenza esclusiva in tale materia toglierebbe al nostro sistema sanitario quella uniformità di programmazione e quella definizione di regole fondamentali che sono necessarie per mantenere il Servizio sanitario nazionale come tale e per evitare che, attraverso alcune scelte, si arrivi ad uno spezzettamento che, ad onta della tradizione del nostro paese, rischierebbe di produrre discriminazioni tra cittadini e cittadini, i quali si vedrebbero garantite determinate prestazioni e servizi sulla base dell'appartenenza territoriale, della tipologia del sistema sanitario adottato e, in definitiva, sulla base dell'entità dei finanziamenti.
Credo e mi auguro che, all'interno del Governo, non vi sia una malcelata volontà di spezzare l'Italia. Del resto, anche la stessa Lega ha abbandonato lo slogan dell'indipendenza della Padania (che pure ogni tanto viene riproposto nella polemica politica). Se l'obiettivo non è quello dell'indipendenza della Padania, come tutti noi ci auguriamo, è importante soffermarsi a riflettere sui meccanismi che vengono in rilievo: dobbiamo arrivare a definire un rapporto corretto tra Stato ed autonomie locali; dobbiamo creare le condizioni per una reale sussidiarietà che veda protagonisti, nell'organizzazione della cosa pubblica, le comunità locali - i comuni, le province, le regioni - e lo Stato, nella diversa articolazione delle responsabilità.
Certamente, stiamo lavorando per attuare il decentramento, ma l'Italia è e deve rimanere uno Stato nazionale moderno, decentrato, con l'attribuzione di poteri reali, forti alle nostre regioni e ai nostri comuni, ed inserito nel grande patto dell'Unione europea.
Ritengo che il riferimento all'interesse nazionale sia debole e non adeguato rispetto all'obiettivo che ci poniamo e che avrebbe suggerito un percorso diverso: più che un disegno di legge che stravolge l'attuale assetto, forse sarebbe stato più opportuno seguire un'altra strada a partire dalla riforma del Titolo V; tale riforma, che certamente è stata approvata con una procedura parlamentare che oggi solleva perplessità nell'attuale maggioranza (perplessità per certi versi comprensibili), è stata confermata dal referendum popolare e credo abbia già prodotto alcuni risultati.
Sicuramente, sulla riforma del Titolo V si può e si deve tornare per analizzare più a fondo i meccanismi e le procedure, per definire meglio alcune norme, ma in un quadro in cui si tenga conto dei risultati ottenuti utili per il paese: un maggiore livello di responsabilità delle regioni, una maggiore autonomia. Alcuni risultati conseguiti sono la dimostrazione che è stata una riforma buona ed utile.
Certamente vi sono alcune incongruenze. Infatti, sono stati presentati tanti ricorsi in sede costituzionale dalle regioni che, in qualche modo, si sono sentite lese dalle iniziative del Governo nell'ambito di alcune loro competenze. In questa sede ci proponente la devolution (come la chiamate voi) con attribuzione di poteri esclusivi alle regioni in alcune materie, ma concretamente il Governo cosa fa? Vorrei ricordarvi alcuni atti del Governo. Con la legge finanziaria avete previsto (ed ora lo state realizzando) un dipartimento sulle tossicodipendenze che accentra le decisioni, le convenzioni, le regole e i finanziamenti nelle mani del Vicepresidente del Consiglio. Non mi sembra che tale iniziativa vada nella direzione della devolution e dell'autonomia nazionale. Tale scelta, fatta da questo Governo, da questo Parlamento e dalla vostra maggioranza non più di qualche mese fa durante l'esame della legge finanziaria, ha sottratto alle regioni competenze che prima le erano state attribuite e che per tradizione sono regionali, da prima della riforma del Titolo V della Costituzione.
Nella Commissione affari sociali, in sede di discussione di un provvedimento di legge sulla psichiatria, la vostra parte politica, ma in particolare il gruppo di Forza Italia, ha proposto un dipartimento sulla psichiatria che sottragga competenze e responsabilità tradizionalmente attribuite alle regioni fin dalla legge 23 dicembre 1978, n. 833, pretendendo di costituire un dipartimento centralizzato che indichi alla regione il modo in cui organizzare il servizio di assistenza, di ricovero e cura di persone afflitte da problemi psichici.
Ancora qualche mese fa - due, tre mesi fa - questo Parlamento ha approvato un decreto del Governo e si è data attuazione ad una norma, che, ledendo profondamente la competenza regionale, per esempio in materia di personale del Servizio sanitario nazionale, ha stabilito che il medico, rispetto alla questione dell'esclusività del rapporto di lavoro, nell'ambito della dirigenza del Servizio sanitario nazionale, possa assumere, pur non avendo un rapporto esclusivo, livelli di alta responsabilità...
GIACOMO BAIAMONTE. Lì è una questione di capacità, non di legge! Se è capace, perché non deve farlo?
AUGUSTO BATTAGLIA. ...«fregandosene» - scusate il termine - di quello che pensavano in materia le regioni, che hanno competenza sul piano organizzativo.
Pertanto vogliamo denunciare la schizofrenia di questo Governo e di questa maggioranza, che predicano la devolution più spinta e poi quotidianamente ci propongono leggi, norme, decisioni e orientamenti che vanno esattamente nella direzione contraria, perché tendono ad accentrare competenze e responsabilità nelle mani dei ministri, del Governo, precludendo invece la possibilità per le regioni di disciplinare la materia.
Le contestazioni in sede costituzionale e i ricorsi derivano soprattutto da queste decisioni - potrei fare un elenco molto lungo, ma il ministro lo conosce molto meglio di me, perché, per la funzione che svolge, egli deve poi «sorbirsi» tutta questa partita -, così come gli interventi dello Stato nei confronti di decisioni regionali.
Quindi, probabilmente, al di là degli aspetti specifici, c'è da rivedere qualche cosa in quei meccanismi, così come credo che sia importante ridefinire meglio anche gli aspetti finanziari del decentramento amministrativo.
Le ipotesi che voi però ci proponete, perlomeno nelle materie di cui sto parlando, conducono evidentemente su un'altra strada: non quella che porta a lavorare sull'equilibrio tra Stato e regioni, ma quella che conduce a determinare le condizioni per uno «spezzettamento» del sistema paese. Ora, forse quello della sanità è l'esempio più evidente. Infatti, se attribuiamo alle regioni esclusiva competenza su tutti gli aspetti dell'assistenza sanitaria, evidentemente diamo alle regioni la possibilità di scegliere percorsi diversi. Potremmo avere regioni che mantengono l'attuale ispirazione universalistica e solidaristica del sistema del Servizio sanitario nazionale, che garantisce - al di là dei limiti, delle cose che noi tutti dobbiamo migliorare e del percorso ancora da fare - su tutto il territorio nazionale, a tutti i cittadini italiani, nelle stesse condizioni, prestazioni sanitarie (naturalmente con la libertà del cittadino di scegliere tra servizi diversi, tra operatori diversi), oppure regioni che, per esempio, legittimamente, se questa è la legge, possono pensare di fondare il servizio sanitario, non più su un sistema solidaristico - per il quale tutti noi versiamo, sulla base dei nostri redditi, una certa quota e per il quale tutti noi usufruiamo dello stesso livello dei servizi (i livelli essenziali di assistenza che le regioni devono garantire su tutto il territorio nazionale) - ma, per esempio, su un sistema a base assicurativa. Per carità! È legittimo anche il sistema su base assicurativa, però sappiamo che esso, come tutte le assicurazioni, premia e fornisce un tipo di risposta a chi ha risorse per garantirsi una buona assicurazione e dà un po' meno a quelli che non se la possono permettere valida e si devono arrangiare con quello che trovano, penalizzando notevolmente, attraverso un servizio sanitario pubblico residuo, quei cittadini che, non avendo risorse si devono accontentare di quello che passa il convento. E quello che passa il convento è sempre meno e sempre peggio, se quello è il quadro di riferimento. Ci possono anche essere regioni che spingono di più verso la privatizzazione dei servizi; i modelli possono essere molteplici, come sono molteplici nel mondo.
Ora, in un'ottica solo regionale, ci si può anche chiedere: cosa c'è di scandaloso in tutto questo? E si può anche dire: noi attribuiamo competenza esclusiva, ogni regione si organizza il suo servizio e poi il cittadino giudicherà il modello. Sulla base del suo gradimento, si regolerà di conseguenza quando va a votare.
No, non è così semplice, perché sia per le caratteristiche di una sanità moderna, sia per le peculiarità del nostro paese, credo che l'attribuzione alle regioni della competenza esclusiva in questa materia non possa che creare danni. Affermo ciò in base non ad un principio teorico, ma all'esperienza concreta, ed anche ispirandomi a quella che dovrebbe essere la sanità nel futuro.
Qual è il modello di sanità del futuro, ad esempio? Il settore sanitario sta cambiando profondamente, la scienza medica sta aprendo nuove frontiere di ricerca e ci stiamo indirizzando, sempre più, verso una sanità ad altissima specializzazione. La sanità del futuro, allora - come delineata, ad esempio, dal professor Veronesi, già ministro della sanità -, sarà costituita sia da una serie di strutture di eccellenza, ad altissima specializzazione (quelle che effettueranno la «revisione del cuore», quelle che rigenereranno le cellule malate di un organo e via dicendo), sia da una struttura territoriale che punti da una parte alla prevenzione e dall'altra a disporre, quanto più possibile, di sofisticate apparecchiature diagnostiche, in grado di individuare la malattia e di offrire successivamente l'opportunità (in tempi che garantiscano, possibilmente, una cura adeguata ai cittadini) di ricorrere, almeno per le grandi patologie, a tali centri di alta specializzazione.
Vorrei portare un esempio al riguardo. È pensabile realizzare un'unità spinale in ciascuna delle regioni italiane? In altri termini, è necessario avere un'unità spinale in Puglia, in Basilicata, una in Calabria, una in Campania, una in Molise e via dicendo? Credo di no, poiché ritengo che vi debba essere - come sa chiunque abbia un po' di dimestichezza con questi temi - una programmazione nazionale, che provveda alla definizione di alcuni obiettivi, con l'allocazione di tale tipo di servizi (penso, ad esempio, ad un servizio di grande specializzazione nel campo della cardiologia o delle terapie genetiche, e così via), distribuiti in maniera equilibrata in varie parti del paese, ma non necessariamente a livello di singola regione. Non credo, infatti, che dovremo realizzare, ad esempio, un'unità spinale in Basilicata.
Vi saranno pertanto cittadini che, per quanto concerne tali strutture di grande specializzazione...
PRESIDENTE. Onorevole Battaglia, concluda!
AUGUSTO BATTAGLIA. ...dovranno avere la possibilità di usufruire dei servizi offerti da altre regioni.
Tuttavia, se il sistema sanitario non è omogeneo, poiché una regione sceglie di intraprendere una strada, mentre un'altra opta per il sistema assicurativo, e non vi è una adeguata programmazione regionale in grado di coinvolgere le regioni stesse, in rapporto con lo Stato, nell'ambito della Conferenza Stato-regioni, tale sistema non sarà realizzabile.
Un altro esempio potrebbe essere rappresentato dalla politica del farmaco. La farmacologia, infatti, costituisce una parte importante della medicina moderna; in tale ambito, ad esempio, dobbiamo far convivere gli aspetti curativi con quanto attiene ad un settore importante per lo sviluppo economico del nostro paese, poiché si tratta di un comparto industriale ad alto valore aggiunto e con un alto tasso di ricerca.
Allora, le politiche che perseguiamo nel riconoscimento di un farmaco piuttosto che di un altro, nella definizione di un prezzo piuttosto che di un altro e nella scelta di una confezione piuttosto che di un'altra presentano un'influenza diretta sulle strategie di sviluppo economico di un settore importante per il paese. Come pensiamo di implementare tali politiche, se invece ogni regione potrà stabilire come dovrà essere la confezione del farmaco, quale dovrà essere il suo prezzo, quali medicine saranno offerte gratuitamente e quali a pagamento? Credo che non sarà possibile, e ritengo altresì che, attraverso scelte di questo tipo, creeremo da una parte condizioni di diseguaglianza per i cittadini nell'ambito del sistema sanitario, mentre dall'altra rischieremo di arrecare danni notevoli alla nostra economia.
Non sono soltanto io ad affermarlo, perché è quanto le imprese farmaceutiche, la settimana scorsa, hanno rappresentato al Presidente del Consiglio dei ministri e al ministro della salute, che li hanno convocati. Vorrei precisare che li hanno convocati perché li avevamo convocati noi, e quindi hanno dovuto cercare, di corsa, di recuperare il tempo perduto, perché sappiamo che, in materia di politica farmaceutica, le critiche nei confronti del Governo sono state mosse da più parti. Si è trattato, infatti, di una politica inadeguata, con otto provvedimenti in materia varati in tre anni, che cambiano le regole ogni settimana.
Quindi, vi è l'incapacità di sviluppare una strategia in un settore importante per la nostra economia e per la nostra sanità. Credo pertanto che una legge di questo genere non possa che creare difficoltà.
Noi non vogliamo che questo paese sia spezzato, ma che sia gestito in maniera moderna, con una responsabilizzazione delle autonomie locali, in un sistema vero di sussidiarietà in cui, tuttavia, non si spezzi l'unità. L'unità non si difende a chiacchiere: lo dico ai colleghi di Alleanza nazionale, che vanno in giro con la bandiera dell'Italia! L'unità non si difende a chiacchiere per poi venire in questa sede a votare questo tipo di devolution. L'unità si difende attraverso norme giuridiche che garantiscano un equilibrio tra le esigenze di sviluppo di una politica nazionale nell'interesse generale del paese, che guardi all'Europa e che valorizzi le autonomie locali. Questo è equilibrio. Questo provvedimento è squilibrato e, pertanto, non può che recare danni al paese (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà.
BRUNO TABACCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, le riforme costituzionali rischiano di divenire il principale terreno di scontro politico tra maggioranza e opposizione. La Costituzione repubblicana, come è noto, rappresenta l'eccellente risultato di un confronto estremamente positivo e fecondo tra tre filoni culturali e politici sicuramente eterogenei, ma che hanno saputo dare vita ad un sistema coerente, in grado di garantire all'Italia oltre mezzo secolo di pace, di sviluppo e di prosperità.
Oggi che le distanze, se non altro sotto il profilo ideologico, appaiono infinitamente più ridotte, il prevalere di un clima di contrapposizione e di scontro appare del tutto irragionevole. Ad alimentare la contesa, e ciò è il fatto più grave, è che all'interesse costituzionale del paese sembrano concorrere interessi politici contingenti, sovente di basso profilo. In questo modo, il dibattito sulle riforme rischia di risultare di livello estremamente scadente e di fare arrossire di vergogna chi ricorda la passione civile, lo spessore del confronto che animò l'Assemblea costituente. Un errore grave fu l'approvazione della riforma del Titolo V, nella scorsa legislatura.
Si trattò di una grave rottura rispetto ai principi che avevano prevalso nell'Assemblea costituente. È grave che il centrosinistra continui a minimizzare tale responsabilità!
Per quanto ci riguarda, non dovremmo ripetere l'errore commesso da chi era maggioranza allora, promuovendo una riforma che possa apparire di parte e che, soprattutto, rischi di far prevalere posizioni rigide, non sufficientemente meditate, e di non affrontare compiutamente alcuni nodi attraverso scelte chiare, pagando così un pesante tributo alla volontà di approvare comunque una riforma per segnare un punto politico a proprio favore.
Non si deve ripetere, su scala tra l'altro più ampia, il grave errore compiuto nella scorsa legislatura. Una simile scelta avrebbe riflessi estremamente negativi per la credibilità e la tenuta del sistema politico-istituzionale. Quando si mette mano alla Costituzione, non vi sono avversari politici da sconfiggere, e le riforme, quelle vere e durature, nascono sempre dal vissuto collettivo di un paese, interpretato dal complesso delle forze politiche e culturali. Il confronto ed il dialogo sono, quindi, il presupposto indispensabile di riforme costituzionali valide ed efficaci.
Nel 1948 i costituenti seppero definire soluzioni di compromesso alte e, nel contempo, complesse e difficili. Oggi, le posizioni di partenza sono oggettivamente assai più ravvicinate e raggiungere un'intesa di fondo su punti fondamentali è un obiettivo sicuramente alla portata delle forze politiche, oltre che conforme agli interessi generali del paese. Occorre, a mio avviso, a questo punto, operare un distinguo: sul federalismo e il Titolo V della Costituzione vi è la necessità di correggere, da un lato, e completare, dall'altro, un lavoro già avviato nella scorsa legislatura. Tra l'altro, vi è una sentenza della Corte costituzionale del luglio 2003 che ci induce a fare ciò. Al riguardo mi sembra che il testo prodotto dal Senato possa e debba essere approfondito sotto taluni aspetti e non vi è dubbio che vi sia la necessità e l'urgenza di agire nei due sensi che ho appena indicato. Aggiungerei che, sul punto, il centrodestra ha tutto il diritto di intervenire e il centrosinistra, d'altro canto, avrebbe tutto l'interesse a prestare la sua piena collaborazione.
Assai meno maturi mi sembrano gli altri due capitoli della riforma che ci giunge dal Senato, sia il premierato che il Senato federale. Ciò malgrado le aperture, che ho segnato con grande compiacimento, che ieri ha portato in quest'aula il ministro Calderoli, in termini di stile e direi anche in termini di atteggiamento complessivo.
Anche in questo caso non si tratta di scelte di fondo che possono essere ampiamente condivisibili e condivise, ma della struttura complessiva della riforma che risente di troppe disparate sollecitazioni. È il frutto, da un lato, di una contaminazione di una pluralità di modelli europei e, dall'altro, di input politici diversi, scarsamente filtrati e organizzati sotto il profilo costituzionale. Non è, ad esempio, positivo il fatto che si sia lasciato intendere che ad un pezzo della coalizione andava il meccanismo A, ad un altro pezzo il meccanismo B e ad un terzo pezzo il meccanismo C. Non è così, io credo, che si può procedere.
Su questa materia occorre, a mio avviso, svolgere una riflessione più approfondita, interrogandosi sull'efficacia e sulla coerenza di alcune scelte. Soprattutto su questa materia mi sembra occorra un forte impegno per definire un'architettura costituzionale equilibrata e convincente, in grado di conquistare un consenso parlamentare ampio.
Cercherò ora di illustrare meglio le due opzioni che, a mio giudizio, abbiamo di fronte. Per quanto riguarda il federalismo, che io più volentieri chiamerei regionalismo (ma non è un fatto nominalistico), questo appare come il terreno più facile da arare, rispetto al quale non sarebbe affatto scandaloso limitare per il momento l'intervento riformatore. Mi sembra che le cose da fare su questo punto siano fondamentalmente tre. In primo luogo, occorrerebbe fare chiarezza in merito agli elementi costitutivi della Repubblica come definiti nel testo del primo comma dell'articolo 114. A tal proposito, è inutile che il centrosinistra si ritragga, perché quel testo l'ha scritto e l'ha voluto così. Non so, poi, chi volesse inseguire, ma è un fatto che così è scritto. Tale disposizione identifica nello Stato un elemento costitutivo della Repubblica al pari degli altri enti territoriali. È una scelta che non ha eguali nel costituzionalismo contemporaneo, a cominciare proprio dagli Stati federali. Il federalismo, infatti, è un tratto costitutivo dello Stato che presenta una struttura articolata e riconosce dignità costituzionale alle minori unità territoriali. Lo Stato nel caso italiano è anche una Repubblica democratica, ad indicare la forma di Governo prescelta che - come è noto - non può essere oggetto, in questo suo nucleo essenziale, di revisione costituzionale.
Se vogliamo, come fanno altre Costituzioni, attribuiamo espressamente allo Stato italiano la qualifica di federale, ma dobbiamo convincerci della necessità di correggere un'acrobazia linguistica senza precedenti.
La Repubblica, quindi, si identifica sostanzialmente con lo Stato. Se smarrisce il suo collegamento con lo Stato, la Repubblica diviene un concetto privo di contenuti. Quali sono i suoi organi, quali i suoi poteri, in che forma manifesta la sua volontà? Vi è di più: l'articolo 5 della Costituzione prevede tuttora che la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento. Qui chiaramente la Repubblica si identifica con lo Stato e non è un mero contenitore di enti territoriali, come sembra fare intendere l'articolo 114 nel nuovo testo. Potremmo dire che, mentre per l'articolo 5 il federalismo - o il regionalismo che dir si voglia - è un attributo positivo dello Stato e ne determina il modo di essere e di operare, per l'articolo 114 il federalismo sembra divenuto quasi un'imposizione, un limite, un vincolo esterno al quale lo Stato si deve sottomettere e che, peraltro, non si sa bene chi dovrà far valere. Per l'articolo 5 lo Stato, proprio perché federale, può essere un garante credibile dell'unità e dell'indivisibilità della Repubblica; per l'articolo 114 il garante di tali valori non sembra più esistere e tutto è affidato alla libera dialettica tra i poteri territoriali e autonomi, con le conseguenze che sono all'attenzione della Corte costituzionale e che rendono assai problematico qualsiasi percorso riformatore. Negli Stati federali il garante dell'unità giuridica ed economica della nazione e, ancora prima, del valore dell'uguaglianza di tutti i cittadini è lo Stato, al quale la Costituzione riconosce, a tal fine, specifiche prerogative.
La riforma del 2001 ha attribuito alle regioni numerose competenze sulla base di valutazioni frettolose, in parte determinate dal clima politico del momento storico, che in alcuni casi hanno portato a concedere troppo, mentre in altri hanno portato a concedere troppo poco.
Vengo al secondo intervento fondamentale in materia di federalismo: dalla premessa discende che la devoluzione, ossia l'attribuzione di competenze ulteriori alle regioni, può sicuramente avvenire e non è di per sé un fatto negativo. D'altro canto, riguardo ad alcune materie, tutti, a partire dalle stesse regioni, ci rendiamo conto di come si sia proceduto in modo avventato ed incauto. Mi riferisco ad esempio alla materia dell'energia, a quella delle grandi reti e alle professioni, ambiti per i quali allo Stato deve essere riconosciuta la competenza esclusiva, salvo, come è ovvio, il rispetto di alcune prerogative regionali, ad esempio in materia di gestione del territorio. Vorrei dire che un paese come il nostro, che vuole adottare grandi riforme, ma che non riesce neanche a localizzare gli impianti di termovalorizzazione, non va molto lontano!
Questo comporta che, quando si parla di sussidiarietà, si debba affiancare a tale concetto il principio della responsabilità (non vi è soltanto Acerra, ma anche Viterbo); mandiamo in Germania i rifiuti, così pagheremo due volte: una prima per mandarli, una seconda per importare energia!
C'è infine una disposizione che considero necessaria al fine di allentare la tensione e dirimere la conflittualità che caratterizza in questo momento la discussione in ordine alle competenze regionali. È indispensabile introdurre una clausola di flessibilità che consenta in ogni caso allo Stato di legiferare quando sono in gioco valori costituzionali unitari e fondamentali: mi riferisco all'uguaglianza dei cittadini, ai diritti fondamentali e all'unità giuridica ed economica del paese. Legiferare, si badi bene, non contro le regioni, ma, nella stragrande maggioranza dei casi, per rafforzare e completare le politiche regionali.
Ciò comporta un'assunzione di responsabilità che porta a considerare il potere regionale non come una sorta di opposizione rispetto al potere centrale; questa in qualche modo è una condizione nella quale in parte il centrosinistra ed in parte il centrodestra si sono trovati. È tuttavia una condizione da evitare perché soltanto attraverso la collaborazione istituzionale è possibile compiere passi in avanti. Nell'ottica di un federalismo competitivo una simile clausola non viene compresa, ma in una visione cooperativa e collaborativa del federalismo ne diviene, al contrario, una vera e propria architrave.
L'esperienza ci ha insegnato come l'applicazione del principio di sussidiarietà richieda grande flessibilità e grande elasticità: non è possibile «tagliare» le materie con il coltello e regioni e Stato non possono esimersi dal coordinare le rispettive attività. Questo, a mio avviso, richiederebbe in sintesi una corretta riforma federalista ed è un esito al quale, con un po' di buona volontà, si può arrivare rapidamente nel corso di questa sessione di lavori.
In ordine al premierato, il discorso è assai più complesso: attualmente, il modello difetta soprattutto di chiarezza ed appare il frutto della contaminazione di esperienze diverse, senza un vero filo conduttore.
La forma di governo è stata oggetto di interventi - nel tentativo di rafforzare la stabilità dell'esecutivo - che, attraverso la valorizzazione della figura del premier, hanno individuato meccanismi di razionalizzazione ispirati a diverse esperienze europee, nonché hanno introdotto un'assoluta novità. Mi riferisco all'idea che occorra vietare espressamente, con un intervento di livello costituzionale, un cambiamento di maggioranza in corso di legislatura, il cosiddetto «ribaltone». In nessun paese europeo esistono garanzie antiribaltone, anche se in tutti i maggiori paesi europei un cambio di maggioranza in corso, ovvero di premiership, è visto con evidente sfavore e rappresenta comunque ipotesi eccezionale che presuppone un ricorso ravvicinato al giudizio dell'elettorato.
Non è pertanto il fine, quanto i mezzi utilizzati, a risultare anomali e tali da alterare, anche in chiave europea, gli ordinari rapporti fra il premier, la maggioranza e la Camera politica, a tutto vantaggio del primo, ma con un'utilità assai dubbia per l'efficienza e la stabilità complessiva del sistema. Il rischio è quello di perdere di vista il delicato equilibrio di poteri e di responsabilità che caratterizza la generalità delle forme di governo parlamentari o neoparlamentari.
Alla base della riforma vi sarebbe il rispetto della volontà elettorale, ma di tale volontà viene esaltato un aspetto, trascurandosi gli altri.
L'elettore, ai sensi del vigente sistema elettorale, la cui filosofia si vorrebbe sostanzialmente confermare, anche se rafforzandone gli effetti, sceglie un singolo candidato al Parlamento, al quale affida un mandato politico pieno e non condizionato o limitato (senza vincolo di mandato, per l'appunto), una maggioranza politica - allo stato, o almeno nell'immediato futuro, immagino si tratterà di una maggioranza pluripartitica - dando tra l'altro il proprio voto ad una singola e distinta forza politica all'interno della coalizione; sceglie infine un programma di governo elaborato dall'intera coalizione e un capo del Governo, ovvero dell'opposizione, in caso di sconfitta della coalizione prescelta.
Il voto sottende, quindi, una scelta plurima che deve essere integralmente rispettata in corso di legislatura. In particolare, l'impegno di attuare il programma è assunto nei confronti dell'elettorato da tutte le forze della coalizione e da tutti i singoli esponenti che la compongono e non si risolve in un rapporto esclusivo e diretto tra premier e corpo elettorale (a tale proposito, credo che entrambe le coalizioni soffrano, in questo momento, della difficoltà di individuare politicamente il punto di equilibrio). Quest'ultima condizione - è bene ricordarlo - si realizza solo nei regimi presidenziali, dove il Governo è potere del tutto distinto ed autonomo dal Parlamento, e viceversa. Il Presidente ha i suoi poteri, ma il Parlamento ne ha di altrettanto penetranti e può condizionare fortemente l'azione dell'esecutivo. Come è noto, il Presidente americano ha un programma e viene eletto, ma quante cose il Presidente Clinton o l'attuale Presidente Bush non riescono a portare avanti quando trovano l'ostacolo insormontabile del Parlamento americano!
Se rimaniamo nella logica dei regimi parlamentari, il Parlamento non può essere considerato semplicemente un terzo incomodo la cui volontà deve sistematicamente cedere il passo a quella del premier, ma un attore vivo della dialettica istituzionale in grado di condizionare l'azione del Governo. In materia occorrerebbe, nel confermare gli obiettivi della riforma, realizzare un maggiore equilibrio, attenuando talune forzature che talvolta rischiano di risultare controproducenti per lo stesso Capo del Governo. In primo luogo, è giusto sancire la competenza del primo ministro a nominare e revocare i ministri, ma perché non prevedere che l'atto venga formalmente adottato dal Presidente della Repubblica al fine di rafforzare la natura istituzionale di tali adempimenti e di attribuire al premier un maggior margine di manovra? Così avviene in Germania, in Austria, in Spagna, per fare alcuni esempi a noi più vicini, senza che ciò determini alcun inconveniente.
Si prevede, inoltre, che il primo ministro determini la politica generale del Governo (articolo 29) nel presupposto, evidentemente, che il compito di dirigerla che la Costituzione attualmente gli assegna risulti inadeguato. Diversamente, non vi sarebbe ragione di mutare anche terminologicamente tale elemento. Dunque, mentre il programma di Governo sottoposto al corpo elettorale si configura come espressione di un accordo di coalizione realizzato con il concorso di tutte le componenti della maggioranza, la politica generale del Governo, che deve tradurlo in pratica, diverrebbe il prodotto di una solitaria decisione del premier. È la logica del bi-leaderismo a cui spesso ho fatto cenno criticando gli eccessi della cosiddetta seconda Repubblica. Inoltre, il Governo sembra in tal modo perdere il carattere di organo politico venendo ridotto ad organo esecutivo chiamato ad attuare una linea politica determinata esclusivamente dal premier. È proprio necessaria una simile sottolineatura delle prerogative del premier? È proprio necessario lasciarsi affascinare da una formulazione introdotta nella Costituzione tedesca e che appare, peraltro, tutt'altro che determinante ai fini dell'assetto di quella forma di Governo? Come si concilia una simile scelta con il principio di collegialità, che rappresenta un elemento costitutivo dei governi di coalizione e, per immergerci nell'attualità, con la giusta rivendicazione di collegialità che caratterizza la discussione interna allo stesso Governo in carica? È uno dei termini che un giorno sì e l'altro pure viene ricordato.
La disposizione che più accentua il primato del premier nei confronti della sua maggioranza e della Camera è rappresentata dall'articolo 23, che sostituisce l'articolo 88 della Costituzione. L'incongruenza non è rappresentata dalla previsione relativa allo scioglimento (l'attribuzione di un tale potere al premier può rientrare nella fisiologia delle forme di Governo neoparlamentari, anche se dovremmo guardare in maniera molto critica all'esperienza dei consigli regionali ed a quella fatta dai cosiddetti governatori), ma dalla pesantezza e dalla rigidità della procedura con cui la Camera può opporsi allo scioglimento. Prevedere, infatti, che la mozione in cui si indica il nome di un nuovo primo ministro debba essere presentata da deputati della maggioranza in numero non inferiore alla maggioranza dei componenti della Camera rappresenta una scelta censurabile sotto più aspetti. Nega, innanzitutto, implicitamente in radice la possibilità di governi di minoranza o, comunque, rende irragionevolmente inapplicabile a tali governi la procedura di sostituzione del primo ministro. Attribuisce una valenza diversa alla volontà, e perfino al voto, dei deputati della maggioranza e dell'opposizione rappresentando un precedente assoluto nel diritto parlamentare. Sottrae, di fatto, il primo ministro al controllo della sua stessa maggioranza, essendo infatti sufficiente che il premier controlli un manipolo di deputati (circa venticinque-trenta), per definirlo di fatto inamovibile, salvo l'ipotesi di contestuale scioglimento della Camera.
Quest'ultimo è un aspetto importante, perché il potere di scioglimento riconosciuto al premier può rappresentare un importante deterrente volto a garantire l'unità della maggioranza. Ciò tuttavia, nei paesi nei quali è previsto (a cominciare dalla Gran Bretagna), non pone il premier al riparo dal giudizio della sua maggioranza, perché quando nel partito della maggioranza prevale un orientamento favorevole alla sostituzione del premier, questa diviene legittima e possibile (è accaduto anche alla signora Thatcher). Tale scelta è compiuta nell'interesse della stessa maggioranza, che si persuade della necessità di cambiare il proprio leader, per non andare incontro ad un insuccesso elettorale. Il premier in questi casi normalmente si adegua - se è una persona che ha acume politico - e cede il passo, ma soprattutto, in considerazione di una simile eventualità, è indotto al confronto costante con la maggioranza che esprime. Tutta questa vicenda dell'uomo solo al comando (che, intendiamoci, riguarda tutti)!
L'idea che il premier debba solo poter usare la frusta per domare una maggioranza riottosa ed essere in grado di soffocarne ogni velleità politico-programmatica rappresenta una distorsione del corretto funzionamento dei regimi parlamentari e non corrisponde nemmeno alla realtà dei regimi presidenziali, quasi che nei paesi a democrazia parlamentare la governabilità poggi non sulla capacità di persuadere, bensì sulla coercizione delle volontà. Blindare il premier ad ogni costo, prevedendo per la sua sostituzione una procedura del tutto anomala e assai difficile da esperire, rappresenterebbe una scelta senza precedenti nelle democrazie parlamentari, in grado di determinare situazioni confuse e incerte e, in ultima analisi, tutt'altro che a favore della governabilità. La soluzione più semplice sta nel prevedere che la mozione in questione venga presentata da un determinato quorum di deputati (un decimo, come prevede la Costituzione spagnola, o un terzo, se si vuole rendere più onerosa la procedura), senza distinzione di schieramenti politici. Le garanzie nei confronti del trasformismo parlamentare vanno ricercate nelle convenzioni costituzionali, nella formazione di un'etica pubblica e, in ultima istanza, nel giudizio degli elettori. Pensare di imporle per via costituzionale rappresenterebbe un tentativo vano e controproducente per quanto riguarda l'equilibrio e la funzionalità della forma di Governo. Tra l'altro, con riferimento alla cosiddetta «transumanza parlamentare», per citare un termine caro al presidente Biondi, devo ricordare che nell'arco di cinquant'anni sono stati solo undici i parlamentari che hanno cambiato casacca. Le centinaia di parlamentari che hanno imparato a cambiare casacca sono un costume della seconda Repubblica, non della prima!
Altra scelta da approfondire appare quella relativa all'introduzione del cosiddetto voto bloccato, sul quale si innesta anche la questione di fiducia (articolo 28). Si assemblano, quindi, introducendo una possibilità di deroga sostanzialmente illimitata alle ordinarie procedure parlamentari, due istituti diversi. Non solo il premier può chiedere alla Camera dei deputati di esaminare prioritariamente, esprimendo un voto conforme, le sue proposte, ma tale richiesta equivale alla posizione di un voto di fiducia. Pertanto, senza alcuna
garanzia e limitazione, il dibattito parlamentare può venire drasticamente circoscritto e la stessa maggioranza sarebbe sollecitata ad un'adesione acritica per scongiurare il proprio scioglimento. Senza bisogno di ricorrere all'artificio dei maxiemendamenti, il Governo disporrebbe di una formidabile scorciatoia per far passare, al riparo dal confronto parlamentare, le proprie proposte legislative. In luogo di tale previsione, appare decisamente preferibile disciplinare separatamente i due istituti: la posizione della questione di fiducia, che deve configurarsi come un'ipotesi eccezionale (e non la via ordinaria per l'attuazione del programma di Governo), e la previsione di effettive corsie preferenziali per i disegni di legge del Governo, con possibilità di voto bloccato, che non escludano tuttavia un minimo di confronto parlamentare e l'esercizio, sia pure circoscritto, del diritto di emendamento. Anche in questo caso, ridurre il Governo e la figura del premier appare come un'inutile forzatura, priva di corrispondenza con gli effettivi equilibri politici interni ai Governi ed in particolare ai Governi di coalizione.
La composizione e le prerogative del Senato federale, nonché le modifiche alla disciplina delle competenze legislative regionali si prestano a rilievi che attengono all'impostazione complessiva della riforma e all'equilibrio che viene in tal modo a realizzarsi tra istanze statali e istanze regionali. Il Senato federale, com'è noto, è stato fatto oggetto di critiche, tanto penetranti quanto ampiamente condivise, e ciò ha indotto la Commissione affari costituzionali a modificarne in maniera non trascurabile i poteri. Non è stata tuttavia corretta la composizione dell'organo, che ne rende per molti aspetti incerta la natura.
In particolare, appare dubbio che il Senato possa ritenersi effettivamente rappresentativo delle realtà regionali, poiché si è rinunciato sia a renderlo espressione dei consigli o delle giunte regionali sia a renderlo comunque rappresentativo delle regioni su di un piano di tendenziale parità.
La discussione al riguardo sarebbe troppo lunga. È noto anche dalle audizioni che si sono tenute che il problema è stato sollevato in tutta evidenza.
Un'anomalia che andrebbe sicuramente eliminata è la prevalenza del Senato nel procedimento legislativo; circostanza che non si verifica in alcun ordinamento federale e lo dico non come deputato - ci mancherebbe altro -, ma come legislatore, mi auguro responsabile.
Vi è un'altra esigenza da non trascurare, quella di non complicare e diversificare eccessivamente i procedimenti legislativi. La questione rileva, in particolare, nella determinazione dei principi fondamentali nelle materie di competenza concorrente. La Commissione affari costituzionali ha individuato una soluzione di mediazione che sembra, tuttavia, presentare ancora un'eccessiva farraginosità. Costruisce un elemento con tre attori, nel quale il Governo svolge, in sostanza, un ruolo autonomo e rischia di generare contrapposizioni, piuttosto che favorire la conciliazione delle posizioni.
Su tali questioni mi si dice che è stato compiuto qualche ulteriore passo in avanti, ma non ne sono a conoscenza e mi auguro che i passi in avanti siano in coerenza con le indicazioni auspicate. A questo punto la soluzione preferibile sembra quella di ridurre a due i procedimenti alternativi: uno a prevalenza Camera ed uno paritario, salvo affidare, nella seconda ipotesi, in caso di mancato accordo, la decisione definitiva alla Camera, con facoltà, come accennato, per il Senato di opporsi a maggioranza qualificata, salvo che alla Camera non sia stata già raggiunta una simile maggioranza.
Desta, inoltre, rilevante contrarietà la scelta di affidare al procedimento legislativo paritario, che, allo stato, assegna al Senato una sorta di diritto di veto, la tutela della concorrenza. Secondo la sentenza della Corte costituzionale n. 14 del 2004 ed altre pronunce conformi, la regolazione della concorrenza costituisce una delle leve della politica economica statale comprensiva di tutti gli strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo dell'intero paese.
Il Senato viene in tal modo posto nella condizione di vincolare l'intera politica economica dello Stato, senza essere la Camera di fiducia politica del Governo. Quindi, in qualche modo, può diventare il punto di tenuta dell'attuazione della politica economica del Governo. Credo che la materia debba essere senz'altro assegnata al procedimento a prevalenza della Camera che esprime la fiducia al Governo.
L'ultima rilevante questione sulla quale riflettere riguarda la valorizzazione dell'opposizione. L'introduzione di elementi di uno statuto dell'opposizione (bisogna sempre guardare in avanti nella vita!) avrebbe la funzione di riequilibrare un sistema caratterizzato da un complesso di meccanismi di razionalizzazione dell'organo di Governo e da un debolissimo riconoscimento della funzione oppositoria.
Non si comprende, infatti, perché, mentre dal lato del Governo non si riscontrano esitazioni nel rafforzarne il premier, fino a configurarlo, come ho tentato di dimostrare evidenziando un disaccordo, nei termini di un organo monocratico, ricorrendo ad un mix di suggestioni tratte dal diritto comparato (premier all'inglese, scioglimento di tipo spagnolo, voto bloccato alla francese), nei confronti del capo dell'opposizione della coalizione che esso rappresenta non si sia operato con una logica analoga, in modo da configurarlo nei termini di un interlocutore autorevole e qualificato del premier, in grado di impegnarlo nella dialettica parlamentare e di assicurare un alto livello del confronto politico ed istituzionale.
Credo che un candidato alternativo che vuole allenarsi a diventare il premier di un paese è bene che lo faccia nel crogiolo, nella durezza del dibattito parlamentare e non aspettando chi non c'è. In tal modo, verrebbe valorizzato il ruolo di tutte le forze di opposizione, evitando il rischio della marginalizzazione del confronto parlamentare.
Sul piano delle garanzie si dovrebbe assegnare alla Corte costituzionale l'ultima parola in materia di verifica dei poteri e di cause di incompatibilità e di ineleggibilità, al fine anche di sfatare il mito dell'insindacabilità degli interna corporis che danno poi vita ad alcune situazioni davvero un po' aberranti, come è accaduto anche in questa legislatura. Non è che compete a noi decidere se le schede siano dieci od otto (lo si potrebbe fare in prima istanza); altrimenti, nel nuovo sistema il problema rischia di risolversi nell'esclusiva tutela delle ragioni della maggioranza, consentendo all'opposizione di impugnare le leggi dinanzi alla Consulta per vizi in procedendo.
Tra l'altro, in questo caso, si valorizzerebbe ancor di più il ruolo del Presidente della Camera, la cui funzione verrebbe rafforzata in una posizione di garante di un'imparziale applicazione del regolamento, venendo sottratto, in tale ambito, al rischio di subire condizionamenti eccessivi da parte della sua maggioranza.
Credo - ed ho concluso - che, per garantire la trasparenza dell'azione di Governo e l'esercizio della facoltà di criticane l'azione e di rappresentare le possibili alternative, consentendo la formazione di un'opinione pubblica politicamente consapevole, appare essenziale valorizzare il ruolo del Parlamento, quale sede privilegiata del dibattito politico.
Se vogliamo che vi sia un controllo effettivo su chi governa e se crediamo nella dottrina sui limiti del potere da chiunque interpretato, occorre non relegare le Camere ad un ruolo marginale e prevalentemente simbolico. L'opposizione deve essere visibile, dotata di risorse e in grado di provocare il confronto sui temi politici fondamentali dinanzi all'opinione pubblica. Da tale circostanza dipenderà in misura non trascurabile la qualità della nostra democrazia.
In conclusione, in questa situazione si possono seguire due strade e forse in questa fase bisognerebbe essere in grado di progettare e sostanziare con proposte concrete entrambi i percorsi.
Il primo percorso è quello di seguire la normale strada del procedimento bicamerale.
Il Senato ha fatto la sua parte svolgendo i temi fondamentali; la Camera svolge la sua introducendo tutti i possibili correttivi maturi a questo punto, sottoponendoli nuovamente al Senato, che li assesterà e li ritrasmetterà alla Camera. Il dibattito, se non sarà costretto all'interno di artificiose strettoie di tempi ed impensabili blindature con assurde imposizioni ad una Camera o all'altra, potrà nel frattempo maturare ed estendersi al paese, giungendo a soluzioni equilibrate e condivise. Infatti, se in questa vicenda vi è un convitato di pietra, è che l'opinione pubblica non ha assolutamente partecipato a questa fase di dibattito, alla quale attribuiamo grande importanza.
Il secondo percorso è quello di anticipare la discussione e l'approvazione della modifica della riforma del Titolo V, cominciando dunque a discutere gli emendamenti dall'articolo 114 all'articolo 117 e di prospettare la possibilità di una norma transitoria di rango costituzionale che formuli un principio finalizzato - che obblighi a completare la riforma entro un tempo determinato - e definisca nel contempo una procedura speciale per l'elaborazione della riforma al Senato e con essa della forma di governo nazionale. Tale procedura speciale dovrebbe puntare sull'elezione di un'assemblea costituente e sulla convocazione di una convenzione del tipo di quella europea con poteri redigenti.
Questa è l'interpretazione politica che fornisco al dibattito svoltosi finora, ovviamente nei limiti in cui ciò è consentito ad un deputato. Infatti, tutti i discorsi svolti in queste settimane e in questi mesi, dai saggi di Lorenzago in poi, non ci hanno visti protagonisti (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Caldarola. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE CALDAROLA. Signor Presidente, signor ministro, colleghe e colleghi, a mio avviso, il bilancio di quasi due decenni di dibattito e di iniziativa politica e legislativa sul federalismo non si sta rivelando esaltante.
Ci sono stati momenti anche importanti: in qualche stagione è sembrato affacciarsi un clima costituente, molte intelligenze si sono cimentate e molte altre sarebbe stato meglio che si fossero dedicate ad altre attività anch'esse utili.
Il bilancio non apre al sorriso e il tema delle riforme ha ormai le rughe, ma non quelle provocate da una vita molto vissuta, ma da una vita molto dissipata; il tira e molla di queste ore conferma tale giudizio.
L'approdo cui stiamo giungendo con il voto delle prossime ore sulla devolution conferma la sensazione che si stia sprecando una grande occasione. Tornare indietro e correggere sarà complicato, sarebbe meglio lasciar perdere e iniziare daccapo.
Dobbiamo sapere che il tema della riforma è già uscito dall'immaginario collettivo e rischia di restare solo materia del teatrino della politica. In questo clima disincantato e di angoscia, in cui tutti ci interroghiamo su altre cose e su altre emergenze, si sta preparando per il paese una stagione di «ferite istituzionali» (mi scuso, non riesco a trovare una definizione diversa).
Parlo, per essere chiari, di ferite che non vengono direttamente causate da un'intenzionalità maligna, bensì prodotte dall'approssimazione, dal verticismo, dalla mancanza di respiro storico. La realtà, purtroppo, è quella di una discussione sulla nostra Costituzione, che è diventata parte integrante e pressoché esclusiva della revisione dei rapporti di forza dentro il centrodestra, tema su cui far esercitare la passione e l'arguzia dei nostri notisti politici, piuttosto che la scienza dei costituzionalisti. Si parla di Costituzione, ma si è volato troppo basso e tuttora si continua a stare a pochi centimetri dal suolo.
Partiamo dal principio, o, perlomeno, propongo una lettura di tale genere. La forma federale può essere il dato costitutivo dell'organizzazione di uno Stato, oppure può essere un faticoso processo che modifica le originarie strutture statali. In questo secondo caso, l'obiettivo è quello di decentrare, di allargare il campo dei decisori, di assumere come valore generale quanto più si può dalla ricchezza che c'è nell'anima profonda del paese. Generalmente, siamo stati posti di fronte a Stati che nascevano federali; tuttavia un recente esempio europeo ci ha dimostrato che è possibile avviare un processo assai profondo di revisione della struttura dello Stato verso forme federali.
È il caso della Gran Bretagna, dove si ebbe una lunga stagione di duro confronto fra gli unionisti, guidati dalla signora Thatcher, e i sostenitori dell'autonomismo, e mi riferisco in particolare alla spinta che veniva dal Galles e dalla Scozia. Questo scontro ebbe inizio negli anni Settanta e fu nel 1997 che Tony Blair, con il referendum tenuto in Scozia in un 11 settembre - poi divenuto diversamente tragico - aprì la strada a due provvedimenti riguardanti Scozia e Galles, che prevedono l'istituzione di assemblee legislative, per la Scozia e, sia pure con una formula simmetrica e con poteri minori, anche per il Galles.
L'esperienza scozzese e gallese trovò un'eco immediata in Italia, in quanto dette alla Lega nord la via di uscita dal dilemma secessionista, proponendo una sorta di terza via - che personalmente credo illusoria -, che avrebbe comportato la rinuncia alla propaganda secessionista - ricordate i proclami? Governo del nord, guardie padane, eccetera -, e propose una parlamentarizzazione dell'idea separatista. Come ha notato acutamente Luciano Vandelli in un bel libro pubblicato dal Mulino, dal punto di vista culturale l'approccio leghista, scomparse le suggestioni esclusivamente indipendentistiche di Gianfranco Miglio, si imbeve di un'idea comparativa, perché la Scozia viene considerata un interessante caso di stateless nation, nazione senza Stato, sicché il richiamo alla Scozia - scrive Vandelli - può avvicinare la Padania al riconoscimento di quella condizione di territori che, pur privi di sovranità statuale, ne ricoprono i presupposti sostanziali, essendo dotati di una propria e riconosciuta identità.
Il tema del federalismo, così come l'aveva originariamente proposto la Lega, si libera apparentemente dalla pulsione immediatamente secessionista e cerca un'altra strada e anche un'altra cultura di riferimento: per l'appunto, si parlamentarizza. Un'altra strada e un'altra cultura che portano, tuttavia, verso territori altrettanto immaginosi e concretamente pericolosi. Accantonata la secessione e il furore iconoclasta di Miglio, il concetto di nazione senza Stato, una nazione denominata Padania, andava affermato come tale e aveva altresì bisogno del riconoscimento istituzionale per iniziare un cammino che l'avrebbe portata - e la porterà, a mio parere -, in un altro tempo storico, a riproporre il tema della secessione. Siamo di fronte ad una lunga e corrosiva marcia nelle istituzioni, fatta di strappi successivi che avevano e hanno bisogno di modificare sia la Costituzione materiale, sia quella formale.
Ha bisogno, innanzitutto, del vulnus primordiale, dell'affermazione di esistenza della nazione senza Stato. L'accanimento con cui si sta cercando di portare a casa comunque una legge che contenga il dato, magari solo il titolo, la denominazione di devoluzione, non significa soltanto che la Lega ha bisogno di dire ai suoi elettori che ha dato un senso alla sua permanenza nel Governo e un risultato ai tanti prezzi, anche di immagine, che ha pagato alla convivenza con il centrodestra. Vuol dire anche che, nella prospettiva strategica - che a mio avviso resta separatista -, questa modifica costituzionale, anche a prezzo di qualche rinuncia, resta il primo passo. Affermato il principio, vi sarà un secondo tempo, poi un terzo, e poi il caos. Bisognava che l'intero sistema politico-istituzionale dicesse coralmente «no» a questo disegno.
Su questo punto essenziale tuttora la riflessione e la battaglia politica non mi sono sembrate all'altezza della sfida proposta allo Stato unitario. Cari colleghi, bisogna ancora partire dal dato iniziale: la Padania non esiste.
Non c'è alcuna motivazione storica, culturale, antropologica, che dia sostanza a questa idea bislacca. È persino singolare che la Lega di Governo, per molti aspetti così diversa dalla Lega di movimento rivoluzionaria, sia portatrice dell'idea più distruttiva e più corrosiva, usando un concetto blando.
È bene ricostruire, dal lato della storia recente della politica italiana, la nascita di questa idea. Padania e secessione sono state inizialmente soprattutto un'idea politica, figlia di un progetto di disarticolazione della struttura politica esistente, con una forte e non interamente negativa spinta alla distruzione del sistema politico della cosiddetta Prima Repubblica. Non vi è alcun dubbio che Umberto Bossi colse con genialità, fra i primi, un punto di sofferenza forte del vecchio sistema politico. Mi riferisco al rapporto fra il Nord e lo Stato, e non è piccolo merito, al di là delle motivazioni, sempre al limite della xenofobia antimeridionale (il Sud del mondo, il Sud d'Italia), l'aver posto al sistema politico il tema del Nord. Vi è forte, fin dal principio, la traccia della rivolta antifiscale di un Nord liberatosi da lacci e lacciuoli che può fare da sé: un'idea romantica, in un tempo storico in cui la globalizzazione indica l'assenza di futuro per tutti quelli che vogliono far da soli.
Non dimentichiamo, tuttavia, che Bossi dà vita al suo movimento e raccoglie in poco tempo così grandi consensi proprio al culmine della degenerazione della vecchia organizzazione della politica. Centralismo, partito della spesa pubblica, blocco di ogni ipotesi di ricambio danno a Bossi l'occasione per aprire una strada a un nuovo movimento e danno a una parte degli elettori del Nord delusi dal vecchio mondo lo strumento per esprimere la propria protesta e per pretendere un diverso assetto della politica nazionale. È il Nord che si ribella. La questione - mi si consenta la civetteria - era stata posta - anche se mai sviluppata a fondo, per la verità - dal settimanale del PCI Rinascita, che pubblicò un importante articolo di un noto economista, Silvano Andreani.
Il nordismo nasce quindi come espressione politica della rivolta contro il partito della spesa pubblica, contro la stagione del pentapartito, contro il rischio di un sistema che appare vieppiù bloccato, non solo dalla persistenza del «fattore K». Molti degli obiettivi di questa rivolta e molti dei protagonisti politico-culturali contro cui essa si esercitò sono ora nella maggioranza di centrodestra, a cominciare dal Presidente del Consiglio.
Non è tuttavia questo il tema che intendo sottolineare. Ritengo invece utile ricordare come la protesta del Nord abbia avuto indubbiamente un ruolo di scardinamento del vecchio sistema politico, messo poi in crisi definitiva prima dal crollo del muro di Berlino, che cancellò, fino all'avvento di Berlusconi, il tema del nemico interno, e successivamente dalla vicenda di Mani pulite, su cui si esercitarono l'entusiasmo della Lega, di Alleanza nazionale e dei giornali e delle televisioni di Mediaset. Qui cambia qualcosa: la protesta politica di una parte del Nord diventa movimento politico di massa che, in concorso con altri fattori, scardina il vecchio sistema politico, assume immediatamente una connotazione sistemica e si imbeve di un tentativo identitario incline a trovare le motivazioni storiche, culturali e antropologiche non più per la liberazione del Nord dalla vecchia politica e dalle degenerazioni stataliste, ma per l'affermarsi dell'irredentismo di un'inesistente Padania.
Solo una parte del mondo politico di destra ha fatto muro. Lo hanno fatto con coraggio Domenico Fisichella e Gennaro Malgieri, e ieri ho letto un bell'articolo sul Corriere della sera di Egidio Sterpa; essi si oppongono alla deriva secessionista. Perché mi interessa questo riferimento alla sovrapposizione di una battaglia politica in favore del Nord e la deriva identitaria e tendenzialmente secessionista in nome della Padania? Perché nella mancata rottura di questo intreccio c'è tutta la storia del fallimento non solo delle ipotesi riformatrici alte, ma soprattutto di questo tentativo confuso, pasticciato e per ciò stesso pericoloso, che è di fronte al paese in queste ore. La rottura di questo intreccio non poteva farla la Lega: doveva imporglielo il sistema politico, dando una risposta alla rivolta del Nord e spegnendo i focolai esplicitamente secessionisti, prima, e confusamente devoluzionisti, ora.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALFREDO BIONDI (ore 11,18)
GIUSEPPE CALDAROLA. Doveva farlo soprattutto il centrodestra, che con la Lega ha voluto creare un asse che costituisce l'anima di questo Governo. Della vicenda di cui ci stiamo occupando colpiscono diversi aspetti.
In primo luogo, la contraddittorietà delle proposte contenute nelle successive riedizioni dello stesso progetto di legge: si conferma la mia idea che la metafora per cui non importa di che colore sia il gatto, purché acchiappi il topo, possa tradursi, nel dibattito di queste ore, nella formula: non importa come cambiamo la Costituzione, purché passi l'idea che è iniziata la stagione della devoluzione; non importa quello che accade, purché si capisca che si sta smontando qualcosa, che pure dovrebbe essere considerato dalla maggioranza di noi prezioso.
Colpisce inoltre il legame che si è voluto stabilire fra la tematica devoluzionistica e la tematica ipercentralista, che fa perno sul primato del Governo sul Parlamento.
Infine, la cancellazione - in un dibattito che viene pomposamente definito di riforma istituzionale - di un chiarimento sul senso della missione cosiddetta riformatrice; trascuro invece, poiché è materia di informazione politica quotidiana, quanto sia degradante il tema dello scambio politico fra partiti in merito a questo od a quel passaggio della riforma.
In questa stagione viene avanti un'idea dello scambio politico che è la peggiore che si possa immaginare, perché non riguarda la legislazione ordinaria ma investe direttamente al cuore la legislazione alta, quella che decide il nostro stare assieme come italiani; in questo quadro, colpisce l'ulteriore decadimento del dibattito che accompagna le proposte.
Il ministro Calderoli si è impegnato volenterosamente e ha proposto anche un diverso clima di discussione, che appare una novità perché non è questa la regola seguita in questi anni. In verità, lo stesso Calderoli è stato propagandista di un clima di rissa nei mesi scorsi; ora si è convertito: speriamo che duri.
Parlo di decadimento e immiserimento del dibattito perché vedo venir meno in ogni intervento dei proponenti - non pronunciato in quest'aula ma scritto sui giornali - ogni specificazione sulla mission. Mi ha colpito una lunga intervista rilasciata dal ministro Calderoli - peccato non sia presente - alla Gazzetta del Mezzogiorno. Si è trattato di un'intervista datata - come tutte le cose rovinose - 11 settembre e rivolta ad un pubblico di meridionali. Il ministro Calderoli rivela l'obiettivo di questo ambaradan legislativo, parlando della riforma che ha come scopo finale lo sfoltimento dei ranghi della pubblica amministrazione. Si riforma lo Stato per licenziare un po' di dipendenti pubblici e forse bastava un contratto: Reagan e la signora Thatcher, infatti, non hanno cambiato l'assetto dello Stato per licenziare. In ogni caso, se così posso dire, la furbizia del ministro sta nel fatto che egli ha parlato - rivolgendosi ad un pubblico meridionale - di riduzione dell'apparato pubblico, salvo poi chiedere - nella stessa intervista che ho citato - il rigido blocco delle assunzioni per la pubblica amministrazione. L'unica valvola che il furbissimo ministro concede consiste nelle assunzioni che saranno dislocate sul territorio: il ministro sembra dire che con la devolution assumerà a valanga meridionali negli stati del sud.
Ci voleva un ministro leghista per parlare lo stesso linguaggio clientelare delle vecchie classi dirigenti del Sud che non davano sviluppo ma promettevano pubblico impiego? Per questo la riforma in oggetto, in qualunque modo verrà riformulata, è nata male e vivrà peggio. Vorrei vi fosse un comitato di salvaguardia delle parole nobili: infatti, perché chiamare riforma una cosa così? Tale riforma viene imposta in nome di un concetto inesistente - la Padania - e che vive sulla base di una rigida logica di scambio fra i partiti della maggioranza, e infine invoca non una mobilitazione per un nuovo Stato, ma ripropone e tira fuori dagli inferi le vecchie tentazioni clientelari dello Stato sprecone.
Sarebbe opportuno lasciar perdere, fermarsi tutti e ricominciare a partire dall'idea che abbiamo sul destino di questo paese, se pensiamo che quest'ultimo debba ancora averne uno (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole De Mita. Ne ha facoltà.
CIRIACO DE MITA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, certo il rituale di questo dibattito è singolare e la stessa assenza del rappresentante del Governo, più che un difetto, riproduce plasticamente un dato oggettivo. La discussione, infatti, avviene non su una proposta, ma su un qualcosa in corso d'opera, per cui ogni rilievo, obiezione, suggerimento rischia di non incrociare il corrispettivo.
Non utilizzerò il tempo che mi è stato concesso per addentrarmi in una osservazione analitica sulla quantità di norme che, da quello che si legge, sembra una disciplina di condominio. Mi sforzerò, invece, di interloquire con il presidente della Commissione - istituzionalmente l'intelligenza più rilevante nel dialogo su tale questione - e di riflettere sulle ragioni delle norme.
Infatti la prima differenza, onorevole Bruno, tra la proposta che il Governo avanza e le osservazioni che si possono fare è che le norme messe insieme hanno una razionalità contraddittoria.
Le norme non sono mozioni di partito; le norme, soprattutto quelle costituzionali, non possono essere rinchiuse dentro forme di compromesso non spiegate, soprattutto quando il compromesso avviene non a livello di una qualità tecnica raffinata, ma attraverso la rozzezza della necessità dello stare insieme perché diversamente tutto si sfascierebbe.
Dico queste cose - vorrei mi credeste - non con l'alterigia di chi dà un giudizio sulla parte opposta, ma con preoccupazione, perché le cose di cui stiamo discutendo coinvolgono tutti, non solo la maggioranza o l'opposizione.
Noi stiamo discutendo di come dare risposta ad una domanda che ha radici antiche - soprattutto per quanto riguarda l'ordinamento del governo delle autonomie - ma ha anche radici profonde più recenti nel grande sconvolgimento che la realtà del nostro paese ha attraversato: il non essersi fermati ad analizzare con molta serenità le ragioni della rottura dell'equilibrio politico, l'atteggiamento con il quale tutti, da destra a sinistra - dico questo con molta serenità senza la presunzione di dare giudizi -, siamo arrivati alla semplificazione delle soluzioni più nella logica del conflitto tra le parti, anziché con la preoccupazione di trovare la norma condivisa. La democrazia, la convivenza all'interno di una comunità, se non recupera valori e norme condivise, difficilmente uscirà dalle difficoltà.
Perché le norme devono essere condivise? Non ha senso che debbano avere l'unanimità del voto; infatti, chi ha letto, chi ricorda, chi ha seguito i lavori della Costituente, sa che molte norme furono votate con lo scarto di qualche voto. Ad esempio, ricordo che la norma sull'indissolubilità del matrimonio passò per soli tre voti e con l'assenza involontaria di alcuni parlamentari della Democrazia cristiana, tra i quali c'era Giorgio La Pira, e quindi non si può immaginare che l'orientamento di La Pira su questo argomento potesse essere incerto. Ma non ci fu dramma perché i Costituenti non ricercarono l'accordo sulla soluzione che, essendo tecnica, è opinabile, ma l'accordo, la convergenza sull'individuazione della questione.
L'unità passa non attraverso il voto unanime, ma attraverso la convinzione che la questione da affrontare è quella, mentre nella proposta che si avanza la questione non viene definita, ma è un miscuglio di cose.
Non a caso, un parlamentare di Alleanza nazionale - che, fra l'altro, io stimo -, il senatore Nania, un giorno, in televisione, spiegò con molta semplicità che la soluzione era il compromesso tra il presidenzialismo che vuole Alleanza nazionale, ma, non potendolo avere, si accontenta del premierato, la devolution che vuole la Lega, che affronta un problema vero solo che lo risolve in maniera sbagliata, e la proporzionale che è l'ultimo fortino dell'UDC sulla battaglia, molto alta, iniziata sull'incongruità della norma, che poi si è chiusa con il dovere di tenere insieme la maggioranza.
Questa unità non c'è; il ministro mi ha sorpreso per i toni, il modo e la gentilezza con cui si è presentato alla Camera, ma ha richiamato alla mia memoria la favoletta di «Cappuccetto rosso» che si presenta con grande disponibilità, pur trattandosi di una disponibilità basata sul niente.
Voi, in realtà, che fate? Fate un compromesso disdicevole - disdicevole per la qualità delle proposte e per il modo in cui pensate di risolverlo; il giorno in cui i costituzionalisti veri, quelli che hanno il senso delle istituzioni, non i politologi, si occuperanno della congruità di queste norme, udremo critiche feroci, non di poco conto! - e pretendete che il rapporto con l'opposizione si svolga secondo la seguente logica: «Noi abbiamo deciso; se voi ci suggerite di migliorare la decisione, noi siamo pronti a discutere». Non è questo!
Né questo conflitto e questa incomunicabilità tra maggioranza ed opposizione possono trovare spiegazione nel fatto che esse sono su posizioni diverse. Nella mia memoria, onorevole Bruno - ritengo che lei sia molto più giovane di me, sebbene faccia fatica a stabilire la differenza sulla base dell'apparenza -, vi è un ricordo: quando si ruppe la solidarietà dei governi del CLN, nel corso dell'elaborazione della Costituzione, i lavori qui dentro continuarono come se nulla fosse, non per un pasticcio, ma perché l'oggetto, sul quale la convergenza si realizzava, riscontrava un comune interesse.
Voi vi muovete per fare una Costituzione della maggioranza. Provate a riflettere che, se passasse questo principio, daremmo vita ad un processo di disordine e non di ordine. Oggi avete vinto voi e, probabilmente, vincerete anche la prossima volta (non me lo auguro, ma non lo escludo); però, verrà un momento in cui andrete all'opposizione (mi auguro presto, ma la decisione sarà rimessa agli elettori). Ma con questa logica dove si va? Onorevole Bruno, il costituzionalismo moderno nasce per frenare il potere del re; nella logica della vostra proposta, l'ordinamento è tutela del sovrano, che non è neanche sovrano, ma maggioranza. Il collega Tabacci è stato molto attento nell'analisi della questione, anche se non mi pare che il discorso complessivo vada oltre la lamentela.
Nella storia politica del costituzionalismo europeo - e, quando parlo di costituzionalismo europeo, vi includo anche quello degli Stati Uniti - si conoscono due vie. Una, quella che io condivido e che è stata richiamata dal mio amico Bressa, quando ha citato Bagehot (che non era un costituzionalista, ma un giornalista), dimostra che le norme costituzionali sono la politica che si fa regola, non la tecnica giuridica che si sovrappone alla realtà. Affrontare le questioni ed introdurre una norma per regolarle: è questo che riassume la politica. Rispetto alla realtà, la politica è l'ambizione di regolarla.
Non a caso, onorevole Bruno, coloro che hanno fondato la tecnica giuridica, cioè i Romani, affermavano: ex facto oritur ius. Ricordo di aver perso la lode all'esame di diritto romano perché dissi: «I Romani definivano...». Non l'avessi mai detto! In realtà, le norme giuridiche romane non definivano: erano dentro i processi; erano, insieme, la capacità di cogliere gli eventi ed il tentativo di regolarli.
Esiste anche un'alternativa a questo procedimento. Nella Storia del liberalismo europeo, opera pregevole di De Ruggiero, soprattutto nella parte iniziale, le due vie sono descritte con grande efficacia. Una è quella che potrebbe apparire meno ambiziosa, più pragmatica e più modesta, quella che caratterizza il pragmatismo inglese (che non è l'accoglimento delle cose come sono, ma la capacità di identificarsi con gli eventi come sono). L'altra, figlia dell'Illuminismo e della storia politica francese, è quella che ha l'ambizione di imporre, sugli eventi, una realtà che prefigura il futuro.
La proposta del Governo non fa riferimento né all'una né all'altra cosa: è un pasticcio!
Mette insieme un presidenzialismo alla siciliana, una devolution a livello di desiderio e non di cultura, e la legge elettorale per la parte marginale della coalizione, la legge elettorale proporzionale.
Io, proporzionalista da sempre, attento a tale metodo elettorale per il fine che aveva, ossia misurare le opinioni, non ho alcuna difficoltà a affermare che, nel momento in cui il quadro politico le opinioni le ha perse e le grandi motivazioni vengono meno, l'utilizzo del metodo proporzionale mi parrebbe una scelta inadeguata. Il problema è come recuperare il pluralismo dal punto di vista sia della cultura e della proposta sia della registrazione. Desiderare che ciò accada senza che sia accaduto mi parrebbe un errore.
La proposta del Governo non si misura con l'ambizione di ipotizzare un riordino istituzionale da imporre alla complessa realtà per ordinarla entro regole definite. In questa mia riflessione sollevo alcune questioni riguardanti la parte più corposa della riforma, ossia quella del Governo.
Voi proponete, almeno nelle dichiarazioni, la conservazione del Governo parlamentare, ma il Governo parlamentare assume come rilevante il ruolo dell'Assemblea. Onorevole Bruno, la democrazia rappresentativa nasce, si consolida, cresce e si arricchisce con la valorizzazione di quest'organo. Forme diverse di organizzazione della democrazia rappresentativa, culturalmente e storicamente, non ne conosciamo. Le forme di Governo espresse dalla moderna democrazia rappresentativa sono due: quella del Governo presidenziale, che, per la verità, si è realizzato solo negli Stati Uniti (ovunque è stato esportato si è rivelato un disastro), e quella dei Governi parlamentari, che caratterizza la vita delle democrazie europee.
È opportuno ricordare che quello del Governo nella politica italiana non è un problema reale. Abbiamo discusso prevalentemente di Governo e di legge elettorale e poi commettiamo l'errore di immaginare che il problema siano il Governo e la legge elettorale. Il Governo e la legge elettorale in realtà sono stati assunti dal dibattito politico perché la non stabilità del Governo non consentiva al Parlamento di affrontare il problema delle riforme, ma le riforme vere che la comunità italiana reclama non sono quelle delle istituzioni rappresentative, sono altre e riguardano la garanzia dei diritti; la trasformazione della nostra società nell'ultimo secolo - che non è un secolo breve - attraverso un percorso contraddittorio - il che conferma l'umiliazione della superbia e dell'intelligenza umana -, che le culture ottocentesche avevano immaginato dovesse concludersi in un'epoca in cui il diritto fosse più garantito, paradossalmente è pervenuta ad un risultato che probabilmente nessuno aveva immaginato. Dopo un secolo, i diritti delle persone sono cresciuti, le persone sono più libere, più istruite, garantite nella tutela della salute; esse devono essere garantite in un minimo di protezione sociale. Dopo un secolo, siamo in presenza di un arricchimento del diritto di cittadinanza. I sociologi americani, Marshall in maniera particolare, nella storia del diritto di cittadinanza individuano tre epoche: il diritto civile, che avviene con la Rivoluzione francese, sostanzialmente si traduce nel fare l'anagrafe, nel registrare l'identità delle persone (non a caso, sono individui che si enucleano dalla massa); il diritto politico, che si ha con il voto, e il diritto sociale, che si ha con la riforma dello Stato sociale.
La riforma vera da fare, da una parte, è questa; dall'altra, è la riscoperta del governo delle comunità. Le due questioni, che la società moderna ha di fronte, sono: da un lato, individuare un governo della comunità, senza sovrastrutture ideologiche; dall'altro, la protezione del diritto di cittadinanza. Voi avete puntato sulle riforme, prevalentemente sul Governo, immaginando non di definire un meccanismo. Il problema del Governo nel sistema parlamentare è la stabilità, onorevole Bruno, non l'inamovibilità; è una norma flessibile, come del resto tutte le norme.
Le norme non sono sostitutive - tanto più quelle costituzionali - dei comportamenti umani, ma sono sollecitatrici dei comportamenti. La funzione del diritto è questa! Voi ci state proponendo un impianto che è una specie di «protesi» dei comportamenti (sul ribaltone, sulla stabilità, sulla omogeneità del Governo, tutte cose che rappresentano questioni politiche). Lo dico anche a Tabacci: la coalizione è un fatto politico; se si rompe la coalizione, il problema non è risolvibile con la norma tecnica. Voglio vedere chi rimane a governare nel momento in cui la maggioranza del Parlamento non lo sostiene! Voi volete «imbalsamare» il sistema. Lo dico anche a chi ha riletto la storia italiana dal 1948 al 1968 in maniera frettolosa e incomprensibile.
Noi abbiamo avuto, dal 1948 al 1968, una mobilità dell'equilibrio politico italiano impressionante. Mica è rimasta la condizione di equilibrio politico dal 1948 al 1968! Mica sono state cambiate le norme! Si è tanto deriso sulla teorizzazione di Moro delle convergenze parallele; in realtà, si trattava dell'intelligenza di cogliere e dominare gli eventi, orientandoli verso la forma dell'allargamento del consenso democratico nel nostro paese.
Voi, viceversa, siete presi dalla paura! Siccome il Presidente del Consiglio non ha più l'autorevolezza che aveva con il fanatismo del primo momento delle elezioni, pensate di dargli il potere eleggendolo a riferimento unico. Di questo passo dovreste arrivare ad ipotizzare il governo di una persona. Ma attenti che, quando e se - lo dico in termini paradossali - si arrivasse al governo della persona, poiché questa deve governare delle persone, entrerebbe in conflitto con esse e allora voi dovreste distruggere le persone.
Onorevole Bruno - lo dico in termini un po' paradossali -, spesso la logica deve forzare gli eventi per rendere comprensibile il fenomeno, ma in realtà io colgo in questo movimento disordinato una logica che purtroppo prevale dentro il dibattito politico, nella realtà italiana, sia nel centro-sinistra sia nel centro-destra. Lo dico con molta serenità. Rispetto alle difficoltà che incontriamo, inavvertitamente, stiamo spostando l'attenzione dalle condizioni della partecipazione - la domanda oggi è di maggiore partecipazione, non di maggiore rigidità dei centri di governo - a quelle del sistema di potere, ipotizzando che esso sia una soluzione, solo che è in contrasto con la democrazia! È machiavellica la soluzione! Con la differenza che Machiavelli descriveva quel fenomeno, ma non escludeva il resto. Voi, viceversa, vi fermate a cristallizzare soltanto una soluzione, nella quale il tutto si riduce dentro la razionalità del potere, e nella razionalità del potere recuperate in maniera astratta la tutela dell'interesse generale, sapendo che storicamente non è così. Infatti, il potere razionalizzato c'era prima dell'avvento della democrazia partecipativa e poi si è scoperto che non funzionava.
La motivazione che è al fondo della vostra proposta ha una qualche logica: si candida il premier, egli riceve il voto, governa e poi torna dagli elettori per avere un giudizio. Badate bene, questo meccanismo c'era nell'Ottocento, e non funzionò! Sulla crisi di questo meccanismo sono sorti da una parte il nazifascismo e dall'altro il socialismo e il comunismo. Su queste difficoltà sorse e si alimentò, con riflessioni di grande rilievo - mica erano cose banali! -, la costruzione di una soluzione che risolvesse questo problema.
Voi volete tornare a quella condizione, ma senza neppure tentare una riflessione che ipotizzi come un meccanismo del genere possa recuperare la tutela dell'interesse generale.
La proposta che avanzate è mostruosa: eleggete il Presidente del Consiglio, e chiunque viene eletto non può essere sfiduciato. Giuridicamente, le basi di legittimazione sono diverse, perché il Presidente del Consiglio è eletto - non a caso, voi affermate che ha la «fiducia presunta» del Parlamento, ed in questo avete il pudore di nascondere l'imbroglio -, mentre dall'altra parte c'è il Parlamento. Ma nel governo parlamentare, nella democrazia moderna, l'alimento della vita del Governo è data dal Parlamento! Quella che voi ritenete incertezza, lentezza, impazienza del decidere, è invece la ricchezza della democrazia. Le Assemblee elettive, infatti, sono sorte per fermare l'impazienza del sovrano! Voi, viceversa, immaginate ciò perché lo impongono i problemi moderni, ma vorrei osservare che i problemi sono stati sempre così! Io, insomma, non sono parmenideo, ma questa impostazione, che si incontra spesso, per cui il cambiamento impone comportamenti disinvolti, sul piano dell'agire politico, non la trovo condivisibile.
Il Parlamento, pertanto, andrebbe rafforzato in questo ruolo di «rallentatore», perché solo il «rallentatore» consente l'approfondimento della decisione; lo stesso bicameralismo è funzionale, ma non alla ripetitività del rito! Noi, purtroppo, abbiamo adottato un bicameralismo perfetto (ciò andrebbe precisato, ed onestamente lo avevano notato i costituenti, poiché nessuno ha immaginato che si trattava di un sistema perfetto).
Voi, viceversa, ipotizzate una sorta di parlamentarismo rituale, un po' come Forza Italia - me lo consentano i colleghi del gruppo di Forza Italia -, dove nelle assemblee si parla, ma la conclusione è che poi decide uno. No: la democrazia è fatta, evidentemente, di scontri di opinione, di misura delle opinioni che si contrappongono e, alla fine, la leadership è conquistata da chi riesce a ricomporre, in un disegno comune, le soluzioni proposte. Quella che volgarmente viene liquidata come la mediazione rappresenta la nobiltà della politica: si tratta, infatti, dell'attenzione della politica alla ricomposizione dei diversi interessi che si amministrano. Voi pasticciate e non fate nessuna scelta, come ad esempio a favore della forma di governo parlamentare, che è quella più seria, anche se vi sono alcuni problemi da risolvere.
Per quanto concerne l'unità di indirizzo, a differenza delle opinioni che ho ascoltato, espresse anche da alcuni amici, non escluderei la possibilità che il Primo ministro nomini e revochi i ministri. Vorrei rivolgermi all'onorevole Tabacci: la pluralità, infatti, è altro dalla frammentazione. Il Governo deve avere una unitarietà di indirizzo politico, ma ciò va recuperato politicamente, non stabilendo che parla uno solo!
Per quanto concerne il cambio di maggioranza, vorrei far presente che i cambi di maggioranza avvengono o con le elezioni o tra un'elezione e l'altra: non si può certo stabilire che avvengono solo durante le elezioni! Nel sistema tedesco, il solo modello che registra la possibilità che si verifichino cambiamenti di maggioranza, viene utilizzato un istituto di grande raffinatezza: la «sfiducia costruttiva». In tale sistema ciò è avvenuto di fatto, senza bisogno di una norma!
Noi potremmo introdurre nel nostro ordinamento questa norma: se nasce in Parlamento una maggioranza diversa, legata al mutamento di equilibrio politico nella realtà, si potrebbe allora stabilire che la «sfiducia costruttiva» sia accompagnata da due ipotesi. La prima è che il premier sfiduciato si appelli al popolo, perché potrebbe essere un ribaltone: allora, la verifica viene data dal corpo elettorale. Diversamente, si potrebbe prevedere che, dopo il mutamento di maggioranza, il passaggio elettorale debba svolgersi entro breve tempo: in altri termini, il riscontro dell'orientamento della pubblica opinione potrebbe avvenire così. Voi, tuttavia, non avete fatto niente di questo!
L'altra forma di governo è il presidenzialismo. Bisogna fare attenzione: nel presidenzialismo non vi è maggioranza parlamentare, come ha ricordato anche l'onorevole Tabacci; il Presidente è stabile ed inamovibile, ma il rapporto con il Parlamento è dialettico ed il ruolo del Parlamento stesso è salvaguardato.
Voi, invece, ipotizzate una forma in cui il Presidente è eletto abbastanza «all'italiana» ma la maggioranza è disciplinata, non ha nessuna possibilità di articolare il rapporto dialettico del Governo, pena il rischio dello scioglimento del Parlamento. Come si fa ad immaginare che vi sia la libertà del Parlamento, fondamento della democrazia rappresentativa, con tale sistema?
Ho letto che gli amici dell'UDC si gloriano - in verità, non solo loro, ma anche altri - che in tale tipo di riforma vi è devolution. La devolution è un sistema, discutibile, ma un sistema che, per la sua funzionalità, presuppone il trasferimento di quote di potere tra il Governo centrale e quello periferico. In realtà, essa va in direzione opposta al processo reale che dovremo governare, però è un fenomeno. Voi introducete il principio di sussidiarietà. Il principio di sussidiarietà va in una logica esattamente opposta: la sovranità non è esercitata dallo Stato, ma dalla comunità, che, a mano a mano che organizza istituzioni sovracomunali, delega i poteri. Per cui, non vi è conflitto. Vi state disperdendo attorno ad una farraginosa regolamentazione perché le logiche sono contraddittorie.
Molto semplificativamente, per utilizzare il poco tempo che mi rimane, mi avete ricordato un episodio: un tempo facevo l'assistente a Milano e lavoravo a Roma e, quindi, viaggiavo frequentemente in treno. Un giorno d'estate, nel vagone ristorante, a fianco a me vi era una coppia di sposini che chiesero il Barolo. Il cameriere portò una bottiglia di Barolo e gli sposini chiesero il ghiaccio. A quel punto, il cameriere disse: «mi dispiace, signora, o il ghiaccio o il Barolo». A voi dico: «o la sussidiarietà o la devolution». Non potete ipotizzare norme contraddittorie. Altrimenti, esse produrranno un'esplosione e non vi sarà nessuna soluzione che vi potrà salvare.
Signor presidente, onorevoli colleghi, parlo a mio nome, pur rappresentando gli amici del gruppo della Margherita, e dico «no» a questa procedura che, prima della riforma, cancella il ruolo del Parlamento come presidio della democrazia.
Il giorno in cui la stampa, anziché raccogliere battute e pettegolezzi, riflettesse per descrivere la condizione del Parlamento, nel momento in cui si è impegnato in un processo di riordino della convivenza, essa dovrebbe scoprire che esso è un luogo ormai finito. Non discutiamo tra noi: vi sono i «saggi», che si riuniscono da qualche parte e decidono.
Voi non avete avuto neppure il pudore di rinviare - sarebbe stato già un aspetto di qualche decenza - ma ci avete comunicato: «discutete, perché noi vi comunicheremo in seguito le nostre decisioni». In questa procedura, l'istituzione più alta della democrazia, il Parlamento, è delegittimato e reso squallido. Riflettiamo su ciò.
Diciamo «no» alla proposta, perché essa mette insieme esigenze contrapposte: onorevole Bruno, non funzionerà! Voi le ordinate con il desiderio, ma le norme hanno una loro razionalità. La logica dei processi istituzionali, l'intelligenza umana la può prevedere e organizzare, ma non la può sostituire. Voi, invece, introducete un meccanismo che non funzionerà o, se funzionerà, farà saltare il sistema della democrazia rappresentativa.
Diciamo «no» - l'ho accennato in precedenza - perché il problema oggi non è il rafforzamento del Governo - quando parlo del Governo, parlo in termini generali - ma la domanda di partecipazione.
Questo problema ha messo in crisi le istituzioni della democrazia liberaldemocratica nel nostro paese e le ha rimesse in crisi oggi. La Lega, che alla fine del Novecento è stato il fenomeno più rilevante nei comportamenti sociali del nostro paese, ha registrato un dato e l'ha letto male. Il movimento della Lega è una grande domanda di partecipazione che non può essere ricondotta soltanto al voto. La partecipazione, onorevole Bruno, è la possibilità di consentire all'elettore di contare anche dopo che ha votato, perché il sistema che riduce il potere del cittadino al momento del voto non funziona. Le istituzioni liberaldemocratiche nell'Ottocento saltarono per tale ragione.
Questa è la domanda e la vostra proposta di riforma non solo non risponde a questa domanda, ma la ignora. Io sono preoccupato che, se dovesse permanere (mi auguro di no) questa cecità assoluta nell'osservazione dei fenomeni, incontreremo grandi difficoltà. Ma guardando alla storia della democrazia italiana, soprattutto nel dopoguerra, ho la sensazione che vi sia un'intelligenza straordinaria dei cittadini e degli elettori. Dico questo a chi mi ascolta adesso, ma questa valutazione l'ho espressa anche quando, nel 1983, gli elettori non premiarono la Democrazia cristiana. Non è una valutazione di comodo, è una valutazione oggettiva. Se voi andate avanti con la vostra arroganza, noi coinvolgeremo il popolo, essendo sicuri che quest'ultimo vuole un arricchimento della democrazia e non un impoverimento del potere (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-UDEUR-Alleanza Popolare - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole De Mita. L'ho lasciata parlare cinque minuti in più del previsto perché l'ho ascoltata molto volentieri. Lei sa che ho anche questo vezzo di ascoltare volentieri coloro che si esprimono avendone le capacità.
È iscritto a parlare l'onorevole Armani, che pure ascolterò volentieri. Ne ha facoltà.
PIETRO ARMANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sulla riforma della parte II della nostra Costituzione il dibattito è ormai aperto da tempo, quanto meno da quando, al termine della precedente legislatura, la maggioranza di centrosinistra, che esprimeva il secondo Governo Amato, volle approvare tale riforma con una forzatura palese dei tempi e, in definitiva, della stessa volontà prevalente nel Parlamento. Ricordo che la riforma fu approvata - com'è noto - con quattro voti di maggioranza in ultima lettura al Senato, anche a seguito di alcune astensioni o non partecipazioni al voto nell'ambito, oltre che dell'opposizione, anche della stessa coalizione di maggioranza dell'epoca. In definitiva, violando e forzando la volontà prevalente del Parlamento, fu varata una riformulazione di alcuni articoli della parte II della nostra Costituzione.
Il successivo referendum confermativo, celebrato poco dopo le elezioni della primavera del 2001, ossia poco dopo la vittoria della coalizione di centrodestra, venne assai colpevolmente sottovalutato nella sua determinante importanza dalla nuova maggioranza e consentì alla riforma costituzionale di essere approvata - come del resto è previsto dalla legge - senza alcun quorum e, quindi, con una modestissima partecipazione al voto da parte dei cittadini elettori.
Così il nuovo Governo di centrodestra - che pure aveva nel proprio programma la riforma dello Stato in senso federalistico e che, pertanto, aveva considerato assai criticamente la riforma del titolo V varata dal centrosinistra sostenendo che essa appariva confusa e inadeguata - fu costretto a gestire le modifiche al testo costituzionale divenute legge dopo il referendum. Quasi subito, però, emersero le tante contraddizioni ed ambiguità del nuovo testo costituzionale, specie per quanto riguarda gli articoli 117 e seguenti, relativi al riparto delle competenze tra lo Stato, le regioni e gli enti locali, divenuti anche questi ultimi soggetti costituzionalmente rilevanti (mi riferisco a comuni, province e città metropolitane), in quanto titolari di particolari poteri autonomi rispetto allo Stato posto, a mio avviso, inspiegabilmente al fondo della catena dei soggetti dotati di potestà costituzionali nel territorio nazionale.
Io sono firmatario di un emendamento presentato dal collega Landolfi che elimina giustamente questa assurda stortura. Come dicevo, infatti, lo Stato deve essere alla base dell'ordinamento di una Repubblica di stampo federalista; lo stesso rilievo critico vale per l'articolo 11 del testo licenziato dal Senato, nel quale, con riferimento all'articolo 67 della Costituzione, si distingue inspiegabilmente fra la nazione e la Repubblica, come se fossero due cose separate.
Furono presentati perciò ad opera delle regioni a maggioranza di centrosinistra, ma non solo di quelle, tutta una serie di ricorsi dinanzi alla Corte costituzionale avverso determinate leggi statali, con particolare riferimento a molte leggi approvate dalla nuova maggioranza di Governo in materia di infrastrutture e di valutazione ambientale ed aventi valenza per i territori amministrati dalle predette regioni. Ci furono anche ricorsi da parte dello Stato contro particolari leggi ritenute lesive dei poteri statali.
La Corte costituzionale, in particolare con le sentenze nn. 303 e 307 del 2003 in materia di legge-obiettivo e di inquinamento elettromagnetico, nonché con le pronunce n. 27 (nomina dei presidenti dei parchi nazionali) e n. 196 (condono edilizio) del 2004 ha lodevolmente, lo devo sottolineare, cercato di fare ordine nelle competenze statali e regionali in molte materie concorrenti, spesso restituendo allo Stato funzioni ed autonomia decisionale negate dalle interpretazioni filo regionaliste precedentemente rivendicate dai governi regionali ricorrenti.
Tuttavia, la materia delle competenze concorrenti è troppo complessa e delicata per essere lasciata interamente all'interpretazione, pur autorevole, della Suprema magistratura costituzionale. Di qui l'esigenza di introdurre alcune ulteriori modifiche al titolo V, innovato dalla maggioranza di centrosinistra nella precedente legislatura, per evitare ulteriori conflitti circa il regime delle competenze concorrenti ex articolo 117, comma terzo, della Costituzione.
In questo senso vanno gli emendamenti presentati dal sottoscritto all'articolo 34 dell'atto Camera n. 4862, contrassegnati con i numeri 22, 23, 20, 21, 24 e 25, e all'articolo 35, contrassegnati con il numero 5, in parte riferiti peraltro all'articolo 118.
Con questi sette emendamenti miro, in sostanza, ad intervenire nelle competenze concorrenti in materia di infrastrutture, ambiente, appalti ed urbanistica. Per quanto riguarda la materia infrastrutturale, ho cercato di farmi carico, con gli emendamenti nn. 20 e 21, all'articolo 34, e n. 5 per l'articolo 35, anche a seguito della mia esperienza di presidente della VIII Commissione della Camera, delle critiche pressoché unanimi che la dottrina ha indirizzato, con riferimento al terzo comma dell'articolo 117 tuttora vigente, nei confronti di alcune materie rimesse alla legislazione concorrente delle regioni, previa determinazione dei soli principi fondamentali da parte della legislazione statale.
Le materie sono le seguenti: le grandi infrastrutture, il trasporto e la navigazione, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia. Invero, con la riforma approvata dal Senato, che ora esaminiamo in seconda lettura parlamentare, si prevede, all'articolo 35, un intervento tendente ad introdurre in questa materia un rimedio, sia pure parziale, per consentire in tali specifici comparti, che pure restano riservati alla competenza concorrente di Stato e regioni, la possibilità che la legge statale disciplini forme di intesa e coordinamento tra lo Stato e le regioni.
L'intento di tale modifica sembrerebbe quello di recuperare allo Stato la competenza legislativa affidata alle regioni, in quanto tali materie, di grande rilievo, erano state troppo frettolosamente rimesse alla competenza regionale concorrente.
Tuttavia, tale soluzione risente ancora della scelta di fondo implicita nel testo licenziato dal Senato, consistente nel tentativo di migliorare la riforma costituzionale del Titolo V senza toccare minimamente gli elenchi di materie di cui all'articolo 117. Invece, la soluzione che sembra inevitabile per superare i problemi lasciati aperti dalla riforma del 2001 è proprio quella di modificare detto elenco riservando alla competenza statale alcune delle materie comprese nel terzo comma. In particolare, come la citata sentenza della Corte n. 303 del 2003 ha ampiamente dimostrato ed argomentato, la mancata previsione di competenze statali nelle materie delle grandi opere di trasporto e di navigazione, nonché della produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, risulta di fatto in conflitto con alcuni valori generali di tenuta dell'intero sistema (articoli 5 e 118 della Costituzione) e non trova l'equivalente in nessun sistema federale. I miei emendamenti all'articolo 34 sono tra loro connessi in quanto hanno la finalità di sopprimere la competenza legislativa concorrente delle regioni in materia di grandi reti infrastrutturali e di energia di interesse nazionale, attribuendo alle regioni la sola competenza in materia di reti di interesse regionale (ricordiamo che l'originario articolo 117 manteneva tale distinzione) pur se in armonia con i principi fondamentali validi per l'intero territorio nazionale.
L'altra mia proposta emendativa all'articolo 35 in materia infrastrutturale, con riferimento all'articolo 117, secondo comma, ha la finalità di attribuire alla competenza legislativa esclusiva dello Stato anche il settore delle reti di telecomunicazione che vanno assumendo un crescente rilievo strategico, come si evince dalla stessa citata sentenza n. 307 del 2003. Così, il rimedio introdotto dall'articolo 35 del testo approvato dal Senato (forme di intesa e coordinamento fra Stato e regioni) verrebbe a questo punto mantenuto svolgendo una funzione di garanzia per le stesse regioni.
Per quanto riguarda poi la materia ambientale ho presentato un emendamento all'articolo 34: alla luce dell'evoluzione della legislazione regionale a partire dal 1970 (la prima legislatura regionale) appare non più proponibile una sottrazione dell'intera materia della tutela ambientale alla competenza legislativa delle regioni. Tale sottrazione sarebbe, d'altronde, in stridente contrasto con l'ampia assegnazione di funzioni amministrative in materia ambientale sia alle stesse regioni, sia agli enti locali operata dal decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 e, successivamente, dal decreto legislativo n. 212 del 1998, in attuazione delle leggi Bassanini. La mia proposta emendativa ha lo scopo di sottrarre alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, rimettendola nelle sue linee generali alla competenza legislativa concorrente delle regioni e lasciando alla sfera della legislazione statale esclusiva soltanto la disciplina degli standard di protezione ambientale uniformi a livello nazionale, nonché la tutela dell'ecosistema e dei parchi nazionali e delle riserve naturali. In quest'ultimo caso, quindi, il mio emendamento, qualora fosse approvato, consentirebbe probabilmente di superare in via definitiva i conflitti tra Governo statale e regioni in materia, ad esempio, di nomina dei presidenti dei parchi nazionali, conflitti non certo risolti dalla citata sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 2004. D'altra parte, la modifica del testo costituzionale da me proposta recepirebbe quanto suggerito da due altre sentenze della Corte: la già citata n. 307 del 2003 e la n. 407 del 2002 che, di fatto, ha già declassificato l'ambiente a materia di legislazione concorrente.
Per quanto riguarda, infine, il settore degli appalti pubblici e quello dell'urbanistica (altra competenza della mia Commissione) ho presentato due emendamenti all'articolo 34 del testo del Senato.
Con il primo emendamento, si propone di inserire tra le materie a legislazione concorrente (ex articolo 117, terzo comma) anche la disciplina degli appalti pubblici, in stretta connessione con la già esistente competenza statale esclusiva in materia di tutela della concorrenza. Ciò in quanto non appare pensabile che ciascuna regione abbia una propria legge in materia di appalti pubblici, senza che lo Stato fissi i criteri uniformi della normativa applicabile sull'intero territorio nazionale e i principi generali per l'esercizio della potestà regionale negli spazi lasciati alla propria competenza. Questa modifica ha, dunque, la finalità di tutelare il mantenimento di un quadro stabile ed unitario per le imprese edilizie che partecipano sul territorio nazionale come concorrenti nelle gare d'appalto - ecco il rilievo della tutela della concorrenza - poste in essere dalle varie stazioni pubbliche appaltanti, sia statali, sia regionali, sia locali. Si tratta di un'esigenza sentita come molto vitale dalle imprese del settore.
Con il secondo emendamento da me presentato all'articolo 34 si propone di inserire fra le materie a legislazione concorrente (disciplinate sempre dall'articolo 117, terzo comma) anche l'urbanistica, recependo tra l'altro un'indicazione in tal senso già contenuta nella citata sentenza costituzionale n. 303 del 2003 con riferimento all'applicazione della legge obiettivo. Tale modifica ha, infatti, la finalità di garantire allo Stato la possibilità di dettare norme di principio su una materia che, per il rilievo degli interessi economici coinvolti, sia pubblici, sia privati, richiede la fissazione di standard generali uniformi sul territorio nazionale, come nel precedente caso degli appalti. Inoltre, in quanto collegata anch'essa agli interventi emendativi precedentemente illustrati in materia di infrastrutture e reti energetiche, telecomunicazioni, tutela ambientale, appalti ed urbanistica, va considerata come necessaria - insisto su questo aggettivo - una proposta emendativa in materia di clausola di supremazia, da inserire nell'articolo 34 del testo approvato dal Senato, con riferimento sempre ai vigenti articoli 117 e 120 della Costituzione, ma quale comma aggiuntivo dopo il quarto (si tratta dell'emendamento 34.26, sempre da me presentato). La clausola di supremazia, mutuata dal sistema tedesco (articolo 72, comma 2, del Grundgesetz) e presente anche nell'ordinamento degli Stati Uniti (articolo IV, clausola 2, della Costituzione), rappresenta una norma di chiusura tipica di tutti gli ordinamenti federali. Come viene sottolineato dalla dottrina prevalente, essa costituisce la garanzia di uno sviluppo pieno delle competenze decentrate, proprio in quanto fissa il confine oltre il quale la coerenza interna dell'ordinamento e quindi della stessa struttura federale sarebbe messa a rischio. Questa disposizione avrebbe poi un forte impatto di riduzione del contenzioso, riequilibrando l'intero sistema. Infatti, qualunque elencazione di materia è necessariamente carente, data la ben nota interconnessione fra differenti settori di intervento dell'amministrazione e fra differenti ambiti del diritto. Le materie rappresentano una traccia e non possono definire confini rigidi. In qualunque ambito materiale assegnato alla competenza delle regioni o a quella concorrente tra Stato e regioni, possono darsi singoli elementi che richiedono una disciplina giuridica unitaria, senza la quale è minacciata l'unità dell'ordinamento o la coerenza delle politiche macroeconomiche.
La più volte citata sentenza n. 303 del 2003 della Corte costituzionale dimostra come questo fattore sia insopprimibile e come la Corte stessa non possa non ricavarlo, ricorrendo anche ad interpretazioni sistematiche prive di agganci testuali. Eppure, anche in presenza di esigenze di tenuta dell'ordinamento, talmente fondate da essere autoevidenti, il contenzioso può essere sempre attivato (anche in funzione di interdizione nei confronti dell'attuazione di un determinato programma di Governo) in mancanza di una chiara disposizione costituzionale che rechi il principio che viene appunto affermato con il mio emendamento 34.26.
Esso, pertanto, non rappresenta un elemento di compressione di spazi a danno delle regioni, ma piuttosto un tassello indispensabile per un'efficace sistema generale che sia improntato alla governabilità, una delle esigenze, tra l'altro nel quadro della globalizzazione, più essenziali di una nazione moderna.
Infine, la norma relativa al principio di supremazia ha lo scopo di contribuire al riequilibrio delle competenze legislative fra Camera politica e Senato federale o delle autonomie, non soggetto a scioglimento, in quanto le leggi emanate ai sensi del comma, che qui si propone di introdurre, sarebbero di competenza della Camera dei deputati, come emerge anche dai miei emendamenti all'articolo 13, di cui parlerò successivamente.
La mia proposta emendativa, del resto, quella concernente la clausola di supremazia, ricalca in modo esplicito l'attuale formulazione che l'articolo 120, comma 2, della Costituzione prevede per l'attivazione dei poteri sostitutivi da parte dello Stato, peraltro estendendola anche alle materie di competenza specifica o concorrente delle regioni, di cui all'articolo 117 che il citato articolo 120 non ha specificatamente previsto. Il tema della clausola di supremazia, come si è visto, va ad intrecciarsi perciò, oltre che con la competenza...
PRESIDENTE. Onorevole Armani, ha parlato per più di quattro minuti rispetto al tempo che le è stato concesso. Le attribuisco lo stesso tempo che ho concesso all'onorevole De Mita. Può parlare ancora per un minuto.
PIETRO ARMANI. Mi scusi, Presidente, ma vorrei sottolineare, per quanto riguarda la clausola di supremazia, che la suddetta si collega con l'articolo 13 del testo approvato al Senato riguardante la formazione delle leggi, al quale ho dedicato tre blocchi di emendamenti (dal 13.1 al 13.8). Si tratta, in particolare, di emendamenti che intendono riscrivere l'articolo 70 della Costituzione, come risulta nel testo approvato al Senato, e che si preoccupano della questione ancora aperta della formazione delle leggi. Il problema della competenza specifica della Camera politica rispetto al Senato federale non è ancora ben definito.
La Commissione mista paritetica che, a mio avviso, dovrebbe avere una composizione proporzionale (ho presentato una proposta al riguardo) in relazione alle maggioranze politiche che emergono nelle due Assemblee non rappresenta una soluzione definitiva. Basti pensare ai tempi che si prevedono (10, 30, 60 giorni). È un meccanismo che si impone nel caso di conflitto, in particolare per aspetti che riguardano il programma di Governo, tra le due Assemblee parlamentari.
Si dice che la maggioranza si sia accordata su un complesso di interventi emendativi relativi anche a questo problema e che offrirà soluzioni concrete, chiare e serene in ordine ai rapporti tra le due Camere che devono svolgere funzioni diverse. Non dobbiamo far passare il mantenimento del bicameralismo perfetto attraverso un meccanismo surrettizio che mantiene al Senato certi poteri di interdizione nei confronti della Camera, specialmente con riferimento al programma di Governo, in merito al quale la Camera è addirittura assoggettata allo scioglimento, qualora vi sia un conflitto con il Governo...
PRESIDENTE. Onorevole Armani, ha battuto l'onorevole De Mita per un minuto.
PIETRO ARMANI. Ne sono onorato, perché è un ex Presidente del Consiglio. Penso che la maggioranza debba intervenire sull'articolo 13 in modo molto significativo, per evitare che si aprano conflitti devastanti per la struttura costituzionale del nostro paese.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Armani. Mi dispiace interrompervi, colleghi, - l'argomento è talmente importante che non riesco a non seguire chi parla nelle sue elaborazioni - ma bisogna rispettare le regole.
È iscritto a parlare l'onorevole Marone. Ne ha facoltà.
RICCARDO MARONE. Signor Presidente, vorrei fare un piccolo passo indietro, alla luce delle dichiarazioni del ministro Calderoli espresse ieri.
A fine luglio, abbiamo condotto una lunga battaglia, sostenendo che la pretesa di concludere i lavori in Commissione a fine luglio e di svolgere la relazione agli inizi di agosto era sbagliata, in quanto si sarebbe discusso di un testo che poi sarebbe stato molto diverso. Come vedete, abbiamo avuto perfettamente ragione!
Inoltre - sempre alla luce di quanto affermato dal ministro Calderoli, in quanto non disponiamo di alcuna documentazione - anche il comportamento del presidente della Commissione a fine luglio mi pare sia stato meno saggio di quanto lo sia stato poi nel mese di agosto. Infatti, i nostri emendamenti non solo sono stati tutti respinti, ma sono stati ritenuti anche non accettabili nel merito. Poi, leggendo le dichiarazioni del ministro Calderoli, noto che tutte le modifiche al testo del Senato derivanti dal lavoro dei saggi di questa estate riproducono sostanzialmente i nostri emendamenti. Allora, ci vorrebbe un minimo di coerenza!
Se invece di far lavorare i saggi nei primi giorni di settembre - con risultati migliori dei saggi dell'anno scorso, ai quali forse il sole di agosto aveva fatto qualche scherzo -, creando una sede extraparlamentare assolutamente sbagliata, si fosse lavorato - come previsto dal nostro ordinamento - nella sede naturale, vale a dire nella Commissione, probabilmente si sarebbe prodotto qualche risultato migliore.
La discussione di questa mattina è la testimonianza di come in quest'aula si possa svolgere, pur nella diversità delle opinioni, un dibattito elevato. Invece, ci si è chiusi completamente rispetto ai contributi dell'opposizione.
Detto ciò, non mi sembra che l'impianto complessivo da voi proposto possa essere condiviso. Infatti, si ha l'impressione che non abbiate nella vostra testa un disegno complessivo! La vostra riforma non è nient'altro che un puzzle in cui ognuno inserisce le proprie tessere, cercando di far incastrare quelle della Lega, di Alleanza nazionale e dell'UDC.
Tuttavia, il secondo elemento del puzzle che manca è la composizione della figura complessiva. Infatti, per realizzare un puzzle, non è sufficiente incastrare le tessere, in quanto alla fine deve apparire un'immagine complessiva della riforma che qui non emerge. Ciò ci induce a ritenere che a voi non interessa una riforma costituzionale, ma portate avanti la bandiera politica che avete realizzato una riforma costituzionale, quale essa sia.
Stiamo assistendo alla stessa posizione politica adottata con riferimento al problema della riduzione delle tasse. Avete la necessità politica di ridurre le tasse, non sapete come farlo - probabilmente lo farete ad ogni costo, anche con conseguenze molto gravi sui servizi sociali e sui cittadini -, però dovete farlo. E, in questo caso, è la stessa cosa: avete la necessità di affermare che realizzerete una riforma costituzionale, pur senza aver chiaro a quali risultati possa condurre.
Inoltre, non vorrei che, di fronte alla debolezza del vostro disegno istituzionale, ci fosse la nostalgia di ritenere che non sia necessaria alcuna riforma.
Stiamo attenti, perché è sempre presente la nostalgia di affermare la bontà del sistema e negare la necessità di una sua modifica. Troppe volte la nostra memoria è assai corta e ci dimentichiamo quanto è successo, comprese le crisi di sistema avvenute in questo paese e la necessità di operare una serie di riforme istituzionali. Il rischio è che oggi siamo di fronte a un quadro complessivo che non soddisfa nessuno, né la maggioranza - abbiamo ascoltato l'intervento dell'onorevole Tabacci, che avrebbe potuto essere sostanzialmente pronunciato da un esponente dell'opposizione, visto che da quanto ho capito non gli piace nulla della riforma - né ovviamente l'opposizione, ma che soprattutto non soddisfa complessivamente la necessità di fare riforme istituzionali.
Non vorrei, quindi, che si arrivasse fino al punto di affermare che una riforma non è comunque necessaria. Non è vero, ed è invece importante che si discuta seriamente di una riforma che fornisca risposte istituzionali ad una crisi di sistema, cominciata ormai più di dieci anni fa e rispetto alla quale non si trova uno sbocco complessivo. In Italia si è vissuto per cinquant'anni in una democrazia bloccata, con una sostanziale unicità di potere da parte di un partito e con un solo altro partito forte all'opposizione. Questo sistema è crollato, ma in questi dieci anni non abbiamo ancora stabilito quale riforma istituzionale fosse necessario fare.
Le cosiddette aperture del ministro Calderoli, certamente apprezzabili perché vengono incontro ad una serie di osservazioni da noi formulate, colgono però aspetti dei nostri emendamenti non di fondo, recependo altresì le critiche rivolte alla riforma uscita dal Senato forse più facilmente condivisibili da parte del centrodestra. L'opposizione avanza invece critiche ben più profonde, rispetto alle quali ci auguriamo che venga compiuta un'ulteriore riflessione.
Vorrei a questo proposito procedere argomento per argomento. Credo che ormai siano due i principali nodi di fondo: il Senato federale e il procedimento legislativo. La mia analisi fa riferimento alle dichiarazioni rilasciate dal ministro Calderoli, visto che non sono stati ancora sottoposti alla nostra attenzione gli emendamenti, che comunque avremo modo di leggere e valutare, comprendendo a fondo quanto hanno modificato lo schema originale.
Per quanto riguarda il Senato federale, si parla ora di una vera contestualità e non della cosiddetta «contestualità affievolita», di apertura ai rappresentanti delle regioni e si elimina l'assurdità costituita dalla rappresentanza estera in un Senato federale, rappresentanza che non stava né in cielo né in terra e senza alcuna logica complessiva. Si parla, inoltre, di abolizione dei senatori a vita, dal momento che tali cariche dovrebbero costituire la massima espressione politica che, in quanto tale, dovrebbe trovare migliore collocazione presso la Camera dei deputati piuttosto che al Senato.
Al di là di tali miglioramenti che ritengo condivisibili, non state però costruendo un vero Senato federale, perché un Senato è federale quando è rappresentativo dei territori, quando rappresenta le loro istanze, a prescindere dall'entità della popolazione che vi risiede. Non si dica che non è possibile realizzare tale principio, perché in Italia già ne esiste un esempio. Molti obiettano, infatti, che la Lombardia non può avere la stessa rappresentanza della Basilicata. Ricordo, a questo proposito, la Conferenza Stato-regioni, così pensata in quanto deve rappresentare le esigenze dei territori. Voi invece costruite un Senato federale con le stesse caratteristiche della Camera politica, con modalità sostanzialmente uguali di elezione, anche se finalmente introducete la contestualità con le elezioni dei consigli regionali.
L'unico elemento di rappresentanza dei territori è dato dal requisito di eleggibilità costituito dall'aver ricoperto la carica di amministratore locale. Fin qui si potrebbe essere d'accordo; tuttavia, tale previsione diviene assurda nel momento in cui l'amministratore locale si può candidare in un altro territorio, anziché nel proprio. L'amministratore locale siciliano può dunque farsi eleggere in Piemonte, e a quel punto non comprendo quale territorialità rappresenti: quella in cui ha ricoperto la carica di amministratore locale o quella in cui è stato eletto dai cittadini nel Senato federale?
Sono questi gli elementi di fondo sulla base dei quali si caratterizza un Senato federale, e tali elementi di fondo, stando a quanto dice il ministro Calderoli, non mi pare siano stati oggetto di modifica. Continuiamo dunque ad avere un sistema confuso: questo, a mio avviso, è ciò che emerge. Non siamo soltanto preoccupati da alcune modifiche che possono creare gravi problemi, bensì dalla confusione della riforma, alla quale contribuisce - passo ad occuparmi del procedimento legislativo - la struttura istituzionale e costituzionale introdotta dal Senato, ovvero la prevalenza del Senato stesso, che non si può che giustificare con la volontà dei senatori di contare di più: non è infatti previsto in alcun sistema federale del mondo che il Senato federale abbia prevalenza sulla Camera politica. Il paese è governato dalla Camera politica, indipendentemente da come la si chiami, mentre la rappresentanza dei territori e delle loro istanze spetta all'organismo federale. Nel sistema costruito dal Senato si ha invece il paradosso che il Senato federale prevale, nel procedimento legislativo, sulla Camera politica, con una serie di intromissioni di competenze tra Senato e Camera che non hanno davvero alcuna logica.
Non siamo oggi in grado di affrontare tale discussione, perché non disponiamo del risultato dei «saggi». Ciò, peraltro, sempre sulla base di quanto leggiamo sui giornali, anziché negli atti parlamentari: oggi dovremmo discutere del testo approvato a luglio dalla Commissione, mentre stiamo discutendo di altro, ovvero delle dichiarazioni del ministro Calderoli o di bozze. Leggo che si discute nella Casa delle libertà se sia prevalente la bozza 3 o la bozza 4: non so chi abbia ragione tra il ministro, D'Alia e il «saggio» nostro presidente...
DONATO BRUNO, Relatore. Le bozze sono tre!
RICCARDO MARONE. Meno male, dunque non c'è la bozza 4, ma non conosciamo neanche la bozza 3!
Non sappiamo, dunque, come abbiate risolto il problema del procedimento legislativo. Mi sembra che non lo abbiate risolto: dalla lettura dell'intervento del ministro Calderoli si comprende come abbiate ancora problemi al riguardo. Si tratta tuttavia di una questione reale, non soltanto di tecnica legislativa (che sarebbe risolvibile), ma riguardante i ruoli che intendiamo attribuire alla Camera politica e al Senato federale, le competenze e chi debba decidere in ultima istanza, nel momento in cui viene abolito il bicameralismo perfetto.
Tutto questo lo avete risolto? È possibile iniziare a votare il testo senza che tali nodi di fondo siano stati risolti? Questo mi chiedo, e ha ragione chi è intervenuto prima di me osservando che non avete un disegno complessivo. Non è infatti possibile passare giovedì alla votazione degli emendamenti senza conoscere come siano stati affrontati i nodi fondamentali di questa riforma, ovvero la struttura del Senato federale e il procedimento legislativo, e dunque avendo ancora dubbi su come risolvere questo problema di fondo del nostro sistema istituzionale. Discuteremo ed analizzeremo i nostri emendamenti, e speriamo di trovare soluzioni che non siano devastanti per il nostro sistema. Vi ricordo che sulla base del progetto del Senato il 40 per cento delle leggi approvate nel 2003 non si sarebbero potute approvare.
Stiamo attenti perché nel tentativo di incastrare le tessere nel vostro puzzle per accontentare i quattro partiti della coalizione state facendo il pasticcio di bloccare l'attività legislativa di questo Parlamento. Se ritornassimo a discutere in Assemblea e in Commissione invece che nelle vostre riunioni di saggi, forse potremmo ottenere qualche risultato migliore.
Infine vorrei soffermarmi su un argomento che fino ad ora è stato solamente sfiorato e cioè la composizione della Corte costituzionale; infatti, bisogna stare attenti nel modificare la sua composizione e gli equilibri che la caratterizzano. È molto rischioso toccare un meccanismo che fino ad oggi ha dato ottimi risultati consentendo alla Corte costituzionale di svolgere un ruolo neutro rispetto alle maggioranze politiche del paese. Lo ripeto: bisogna stare attenti a toccare il meccanismo che regola la nomina dei giudici costituzionali perché l'ultima delle storture che possono capitare a questo paese è quella di avere una Corte costituzionale influenzabile politicamente. Sostengo tutto ciò segnalando che oggi state governando voi, anche se noi ci auguriamo che ciò finisca il più presto possibile; comunque è ovvio, è nella natura delle cose che prima o poi vi sia alternanza nel governo di un paese, quindi bisogna salvaguardare gli organismi che debbono garantire la neutralità dei giudizi sulle nostre leggi.
Concludo il mio intervento e mi riservo di completare il mio ragionamento nei prossimi interventi che, certamente, non mancheranno. Vorrei solamente segnalare l'anomalia che oramai si sta costruendo tra devolution ed interesse nazionale. Voi vi trovate ancora nella necessità di mantenere un equilibrio di maggioranza e nella necessità di rendere compatibili posizioni e politiche assolutamente incompatibili tra loro: mi riferisco alle posizioni e alle politiche della Lega e di Alleanza nazionale. State costruendo un mostro giuridico costituito da questa antitesi tra devolution ed interesse nazionale, rispetto alla quale non so come un successivo interprete potrà ricavarne una qualche logica (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Maran. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, nessuno sa esattamente quale sarà il destino di questa ennesima proposta di riforma. Come testimonia l'avvicendarsi di bozze di proposte, ancora una volta il dibattito appare tutto interno all'attuale compagine di governo, tesa a garantire complicati equilibri politici e a soddisfare esigenze elettorali piuttosto che ad affrontare problemi reali; a ciò valga il fatto che aspettiamo ancora di conoscere il testo predisposto in questi giorni dal tavolo tecnico presieduto dal ministro Calderoli. Eppure non vi è mai stata come oggi una larga concordanza di vedute sulla necessità di ulteriori adattamenti del disegno costituzionale; sto parlando di riforme che accrescano cioè stabilità ed efficacia di governo, che rafforzino l'opposizione parlamentare e che realizzino una più ampia distribuzione di poteri dal centro alla periferia. Infatti la nostra Repubblica non è più quella di prima, è già cambiata magari in modo involontario, imprevisto e, il più delle volte, al di là e nonostante i progetti. Oggi essa risulta incompiuta - a metà -, al punto che Ilvo Diamanti l'ha definita argutamente una Repubblica preterintenzionale. Infatti, non è un mistero per nessuno che la modifica del sistema elettorale da proporzionale a maggioritario richiede di ripensare a tutto il sistema di checks and balances tra poteri ed istituzioni dello Stato. Inoltre, il nuovo Titolo V della Costituzione ha introdotto una modifica nei rapporti politici e finanziari tra livelli di governo che il nostro attuale sistema istituzionale non è in grado di gestire efficacemente. Infine la gran parte degli elettori ha ormai interiorizzato la logica di fondo della democrazia maggioritaria e anche l'ipotesi di un rafforzamento delle autonomie territoriali.
La legge di riforma costituzionale approvata dal Senato rappresenta, a suo modo, una risposta alle suddette esigenze. Si tratta, però, di una risposta sbagliata e contraddittoria sotto molti profili. Inoltre, a giudicare dalle puntualizzazioni e dagli aggiustamenti anticipati dal ministro, comincia a farsi strada la consapevolezza che molti dei nostri rilievi critici, e persino molte delle nostre proposte emendative, non erano del tutto campati in aria.
A mio modo di vedere, se davvero volessimo discutere di riforme, dovremmo provare, anzitutto, a riportare l'attenzione sul federalismo non come ideologia, come una specie di grido di battaglia da affermare nella lotta contro lo Stato, ma come progetto riformista, ovverosia come strumento funzionale ad affrontare i nuovi problemi dello sviluppo ed a dare risposte alle domande reali di cambiamento.
Oggi che il federalismo non gode più di grandissima popolarità e sembra diventato un problema, non sarebbe male tenere a mente che quella di nuove regole ed istituzioni è una strada difficile, che ci è stata imposta da emergenze e fratture e che abbiamo scelto proprio per sanare il contrasto tra società e Stato e tra società e politica, contrasto che non è risolto per il solo fatto che ora c'è Berlusconi, che di marce sul Po non se ne fanno più e che i giornali e persino le associazioni degli industriali hanno smesso di parlare del Veneto come se fosse l'Ulster o del Friuli come se fosse la Catalogna.
La riforma non può essere pensata come una mera operazione di trasferimento di funzioni: essa dev'essere, invece, l'occasione di un generale ripensamento del rapporto tra cittadino ed autorità nel nostro sistema costituzionale. La cosa più importante non sono i cambiamenti istituzionali, ma quello che gli americani chiamano empowerment of individuals, una cosa che, anche in inglese, tutti, dal Piemonte alla Puglia, capiscono molto bene, perché il cittadino vuole e deve diventare il vero soggetto decisionale. Persino la maggior parte degli elettori che oggi sostiene Silvio Berlusconi non domanda un'autorità più forte; al contrario, vuole maggiore libertà e meno regole per poter raggiungere i propri obiettivi personali (si tratta di quella domanda di partecipazione di cui ha parlato l'onorevole De Mita poco fa).
Il testo in esame è criticabile, ed è stato criticato, anche alla luce delle considerazioni cui ho appena accennato. Infatti, la proposta appare molto debole per quel che riguarda le garanzie a salvaguardia dei poteri - che debbono essere mantenuti neutrali rispetto alle due coalizioni - e le prerogative da riservare all'opposizione.
Quello indicato è soltanto uno dei vizi di fondo del disegno di legge costituzionale in esame. Un altro, sul quale voglio soffermarmi, chiama in causa la riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione. Essa risultava fondamentalmente carente sotto il profilo dell'assenza di una Camera parlamentare rappresentativa del mondo delle autonomie territoriali: un assetto federalista della Repubblica, posto che si voglia davvero perseguire la strada della riforma federalista e regionalista, rende necessario il coinvolgimento degli enti di governo territoriali, attraverso le loro rappresentanze, nelle scelte legislative nazionali che vengono ad incidere sull'esercizio delle funzioni ad essi assegnate. Soltanto attraverso tale coinvolgimento decisioni di rilevanza nazionale possono essere condivise dai governi regionali: il contenzioso istituzionale e politico, che oggi è tanto diffuso, sarebbe evitato perché le scelte verrebbero adeguate alle necessità proprie di un assetto federale, di un Governo federale. È questa l'esigenza che rende necessaria la trasformazione di una delle due Camere da Camera rappresentativa del popolo italiano a Camera rappresentativa delle regioni e degli enti territoriali, composta, cioè, di rappresentanze in qualche modo rapportabili, direttamente od indirettamente, agli enti territoriali.
La soluzione più chiara e, secondo molti studiosi, più efficace è rappresentata da una seconda Camera composta dai membri degli esecutivi regionali (come in Germania). Ovviamente, le forme e le modalità tecniche di tale rappresentanza possono anche essere diverse, anche perché la resistenza comprensibile dei senatori in carica e la pressione degli amministratori locali escludono l'opzione per una sorta di Bundesrat.
Realisticamente, l'ipotesi più percorribile, che sfugge all'alternativa tra rappresentanza degli elettorati, dei governi o dei consigli regionali, consiste nel collegare l'elezione diretta dei senatori all'elezione degli organi regionali. Ma il collegamento con il territorio deve essere garantito, come abbiamo ripetuto più volte, da un'effettiva contestualità.
Il testo in discussione costruiva il Senato federale (l'uso dell'imperfetto deriva dalla necessità di tenere conto delle anticipazioni del ministro) come una Camera eletta a suffragio universale e diretto da tutto il popolo italiano, senza alcun rapporto di rappresentanza né alcuna connessione strutturale e funzionale con le regioni e con gli altri enti territoriali. Ciò si risolve in un vizio di fondo perché, se si prende atto dell'impossibilità di trasformare composizione e funzioni del Senato - e si parte da lì -, si finisce inevitabilmente per pretendere di risolvere tutto con la ripartizione prestabilita, per materia, delle competenze legislative tra Parlamento nazionale e regioni.
Ma, come è naturale, le dighe che si pretende di erigere per prestabilire le rispettive prerogative di Parlamento e regioni inevitabilmente fanno acqua da tutte le parti. L'alternativa non consiste nell'eliminare le competenze concorrenti che rappresentano ovunque il cuore degli Stati federali - quindi nel rinunciare agli elenchi di materie -, ma nel creare un Senato rappresentativo degli interessi regionali che possa intervenire nella disciplina dei confini, che inevitabilmente sono mobili, tra Governo centrale e sistema regionale. Perfino la devolution leghista incorporata nel testo in esame, pur largamente criticabile e criticata (anche se ormai sembra del tutto priva di contenuto sostanziale) si limita a modificare a favore delle regioni l'elenco delle materie. In questo modo, si scrivono e si riscrivono i rapporti, come se il problema essenziale fosse quello di separare le competenze anziché indicare - è questo il problema - le istituzioni della cooperazione. Inevitabilmente di questo passo riemerge l'esigenza di introdurre nel testo una clausola che consenta allo Stato di riappropriarsi delle competenze delle regioni. Da qui deriva la reintroduzione dell'interesse nazionale e dunque di un controllo di merito fortemente centralista, discrezionale e unilaterale.
La soluzione più consolidata e di gran lunga preferibile è quella della Legge fondamentale tedesca che stabilisce una frontiera orizzontale mobile dentro le materie concorrenti, ma una clausola che consenta allo Stato di riappropriarsi di molte delle competenze delle regioni è accettabile se, e soltanto se, le regioni sono rappresentate nel Parlamento nazionale, ossia se sono le regioni stesse ad autolimitarsi, riportando o mantenendo al centro le decisioni.
Sulla questione delle regioni ad autonomia speciale è intervenuto l'onorevole Olivieri e avremo modo di sottolineare ancora la debolezza del procedimento previsto per la definizione degli statuti di autonomia e del rafforzamento del loro carattere pattizio. Tuttavia, voglio ricordare a proposito di clausole invasive che persino negli statuti delle regioni ad autonomia speciale, adottati ed approvati con leggi costituzionali, il riferimento alle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica è stato usato ed è entrato proprio come limite alla potestà legislativa esclusiva e primaria attribuita a quelle regioni in alcune materie. Figuriamoci cosa potrà fare la reintroduzione dell'interesse nazionale! Il punto è che tanto rispetto alla composizione quanto rispetto alle competenze della seconda Camera è emersa la tentazione di concedere alle comprensibili resistenze dei senatori più del dovuto, più del necessario. Sul primo aspetto adesso si intravede, almeno stando alle dichiarazioni del ministro, un ragionevole punto di equilibrio, una contestualità vera e non affievolita (e qui staremo a vedere). Sul secondo rimane invece piuttosto consistente il rischio che un'assemblea svincolata dal rapporto fiduciario possa paralizzare anche buona parte delle leggi ordinarie essenziali all'azione di Governo. La proposta in esame, nel tentativo di preservare la pari dignità tra Camera e Senato, distingue tra materie nelle quali deciderebbe in via definitiva la Camera, materie nelle quali prevarrebbe la deliberazione finale del Senato (un caso unico al mondo, in alcun modo giustificabile per una Camera svincolata dal rapporto di fiducia, che si trasformerebbe in una sorta di fulcro di tutto il sistema) e materie perfettamente bicamerali, aprendo la strada ad un inevitabile contenzioso sulla classificazione delle specifiche proposte di legge com'è stato documentato dal Servizio studi. Può funzionare un sistema così congegnato? Il problema è che esiste una forte interdipendenza tra le decisioni che dovrebbe prendere la prima Camera e quelle che dovrebbe prendere la seconda e viceversa e non si capisce come le due potrebbero prendere decisioni diverse, potenzialmente contraddittorie, sulla stessa materia. Su questo punto il ministro non ha detto nulla, salvo manifestare una disponibilità al confronto. Vorrei richiamare un esempio riguardante la sanità. Sulla base della legge, la Camera politica determina i servizi essenziali (articolo 117, lettera m, della Costituzione). Il Senato federale determina i principi generali della tutela della salute. Le regioni determinano la legislazione di dettaglio e hanno competenza esclusiva sull'organizzazione del sistema sanitario grazie alla devolution e Camera e Senato determinano insieme le risorse. Chi ci garantisce che le prime due decisioni, servizi essenziali e principi generali, siano coerenti tra loro e come si fa a determinare i principi generali di tutela della salute se gli standard relativi ai servizi li decide un'altra Camera e viceversa?
E cosa si deve finanziare poi con la perequazione? I principi generali o gli standard? Il rischio è che questo modello, invece di rimediare al conflitto tra Stato e regioni e tra le stesse regioni, introduca un altro conflitto, e questa volta all'interno dello Stato. Naturalmente in questo pasticcio non si parla mai di risorse da decentrare, senza le quali tutta la discussione è pura retorica. Infatti, come e più di altre disposizioni del Titolo V, l'articolo 119 della Costituzione è rimasto finora sulla carta.
All'evidente incoerenza dell'impianto, che è un po' il peccato mortale di questa proposta, si cerca di porre rimedio puntando tutte le carte sul rafforzamento del premier. Anche in questo caso non c'è dubbio che occorra puntare su riforme che accrescano la stabilità e l'efficacia del Governo, ma il vecchio slogan «un re per una terra» poteva andar bene all'epoca di Excalibur, dei cavalieri della tavola rotonda o nella fase di costruzione degli Stati nazione; oggi è troppo semplicistico, oggi le politiche di sviluppo non sono più alla portata di un unico decisore e qualsiasi pretesa di imporre comportamenti virtuosi in una logica dall'alto al basso, in cui si incastrano le istituzioni dal locale al globale, non corrisponde più alla realtà. In un'epoca di trasformazione è necessario assicurare il massimo possibile di flessibilità e di pluralismo, perché è l'unico modo per assicurare il massimo di innovazione. Basta dare un'occhiata ai dati - forniti periodicamente da Eurostat - relativi al PIL pro capite delle oltre 200 regioni dell'Unione europea, calcolati a parità di potere d'acquisto, che confermano lo spostamento a nord dell'economia europea. Nelle prime dieci posizioni non c'è nessuna regione dell'Europa del sud e nelle 46 regioni sotto il 75 per cento della media europea non c'è nessuna delle regioni del nord Europa e c'è la quasi totalità delle regioni del nostro Mezzogiorno. Quel che più colpisce ancora una volta è che le ricette del successo si assomigliano tutte; in tutte le storie di successo, da Londra ad Amburgo, da Vienna a Darmstrad, ricorrono alcuni vantaggi competitivi, e fra questi, ad esempio, un'alta qualità delle risorse umane, che si spiega anche con la presenza di università di eccellenza, un elevato potenziale di attrazione per l'insediamento di imprese, determinato, fra le altre cose, da infrastrutture sofisticate e funzionanti, da sistemi fiscali più efficienti, da sistemi di welfare funzionanti. In altre parole, in Europa vincono quelle regioni che in anni recenti hanno potuto e saputo reagire in modo rapido alle sollecitazioni del nuovo quadro competitivo.
Ciascun territorio deve perciò costruire la propria geoeconomia, rafforzando i fattori di competizione. Il problema, come sappiamo, non è soltanto delle imprese, ma dei territori nel loro complesso, perché richiede risposte coerenti e convergenti da parte di una pluralità di soggetti, forze economiche, governi locali, università, e così via. Il federalismo - poi la si può mettere come si vuole - resta la forma più indicata a dare risposte rapide e flessibili a territori tra loro molto differenziati. Nessun'altra nazione europea, con l'eccezione forse della Germania riunificata, manifesta infatti così grandi differenze tra l'uno e l'altro dei suoi territori.
Questo è il nodo - altro che la devolution! - con il quale noi dovremo fare i conti, in modo da favorire la responsabilità, la cooperazione, il dinamismo e la flessibilità dei contesti, una autonomia sostanziale, e non soltanto per i territori e per i cittadini più ricchi - o che ricchi sono già -, ma per tutti; non per i pochi, ma per i tanti che compongono la nostra nazione.
La proposta in esame non risponde a questa domanda, ma la ignora completamente. Infatti il vero rischio è che il federalismo tanto declamato sia in realtà un'occasione sprecata, ed è questo il vero costo che il paese rischia di pagare (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Loiero. Ne ha facoltà.
AGAZIO LOIERO. Signor Presidente, se non fosse che comunque quello che discutiamo è un testo costituzionale, che quindi ha a che fare con la vita dei cittadini, nel senso che può drammaticamente modificarla in meglio, ma più verosimilmente in peggio, sarei tentato di non intervenire in questo dibattito; tanto l'impressione che si ricava è che, malgrado i tentativi di apportare il nostro contributo alla riforma del paese, malgrado gli impegni, le promesse avanzate sulla stampa e offerte nel tentativo di temperare l'impatto con una opinione pubblica che comincia a ridestarsi dal suo torpore, le riforme restano sostanzialmente quelle della Lega Nord e di questa maggioranza.
Si tratta di quelle riforme che tutti i settori della vita associata del nostro paese, nessuno escluso, vorrebbero segnate da una riflessione più problematica, ed anche - se posso dirlo, signor Presidente - più sofferta.
Faccio da sempre fatica a credere che un nodo così delicato per gli italiani venga affrontato in un frivolo clima di improvvisazione e facendo una corsa forsennata contro il tempo, al punto che, ancora ieri, il nostro ineffabile ministro per le riforme istituzionali, dopo il suo intervento in aula, si è precipitato dal Vicepresidente del Consiglio per illustrare gli ultimi ritocchi del progetto legislativo, ed al punto che nulla si sa ancora delle proposte emendative che dovrebbero modificare il testo stesso.
In assenza del tema stesso del contendere, dunque, nel mio intervento mi occuperò del contesto costituzionale all'interno del quale la riscrittura delle regole che appartengono a tutti, sia alla maggioranza, sia all'opposizione, dovrebbero vedere la luce. Si tratta di un contesto che è quello che è, e che non induce all'ottimismo. Compio tale scelta per contribuire a lasciare traccia, anche negli atti parlamentari, della rissa che sull'argomento, all'interno della maggioranza, ha avuto luogo in questi mesi, specie sui media.
In questi tre anni di discussioni interminabili, infatti, la Casa delle libertà, con le sue frange più radicaleggianti, non ha fatto che alimentare scontri e risse senza fine, ed addirittura su un tema che dovrebbe essere improntato alla massima serenità di giudizio. Si badi: gli scontri e le risse si sono registrate non solo nei confronti dell'opposizione (la qualcosa costituirebbe già di per sé, su di un tema tanto delicato, una anomalia istituzionale), ma all'interno della stessa maggioranza, che ha sfiorato la crisi di governo più volte negli ultimi mesi.
Veniva francamente da sorridere ieri quando, ascoltando il suo intervento in quest'aula, il ministro per le riforme istituzionali ci raccontava con candore che, dopo tre anni di dibattito, la maggioranza aveva pure il diritto di chiudere la discussione sulle riforme. Senonché si dà il caso, signor Presidente, che, al di là del rapporto con l'opposizione - che è stato sempre improntato al massimo della conflittualità possibile -, la discussione più lacerante sul disegno di legge costituzionale si è registrata all'interno della maggioranza, nella quale, per soffermarci solo sui ricordi di questo eroico triennio che affiorano alla mente, non si sa quante volte il testo del provvedimento sulla devolution (costituito da sole due righe) è stato portato in Consiglio dei ministri, nel quale un ministro per le riforme è giunto a votare contro una proposta di legge costituzionale presentata da un suo collega.
Ciò per non parlare degli altri innumerevoli conflitti, sempre per gli stessi motivi, che hanno ridotto la credibilità politica della maggioranza e fortemente ridimensionato la leadership del Capo del Governo, che nel 2001 sembrava l'unica risorsa in mano ad una squadra improvvisata e dilettantistica. Svolgo questo tipo di intervento, dunque, perché oggi il maggiore obiettivo del centrosinistra è di far capire agli italiani ciò che il centrodestra vuole propinargli. Fino ad oggi il grande vantaggio della coalizione di governo è consistito nel fatto che gli italiani, in genere, si disinteressano del tema delle riforme: si tratta, infatti, di un argomento intriso di asperità tecniche, che non fanno audience quando se ne occupa la televisione.
Tratterò, pertanto, pochissime questioni, cercando di mutuare, in assenza al momento di documenti ufficiali, dai giornali, ma soprattutto dall'esperienza disastrosa di questi anni, ciò che la maggioranza ha in mente, cominciando dalla devolution.
Ho l'impressione che ciò debba restare intoccabile nella stesura originaria, esattamente com'è nata nella mente della Lega. Non si capirebbe, diversamente, la fretta del ministro e l'entusiasmo manifestato ieri da Bossi, dalla Svizzera. I colleghi in quest'aula, soprattutto i deputati del sud, hanno capito cosa potrebbe rappresentare per il loro territorio l'applicazione della devolution? Una semplice constatazione: le regioni più fortunate, attraverso le compartecipazioni previste dall'articolo 119, potrebbero costruirsi, solo per rimanere in tema di sanità, una propria sanità d'eccellenza, una sanità che va non fino alla copertura dei livelli essenziali nazionali, ma fino alla copertura dei livelli essenziali definiti per la propria regione. Un'operazione del genere finirebbe per far venir meno, in tutto o in parte, le risorse indispensabili al fondo di perequazione previsto per i territori più svantaggiati. Ci troveremmo di fronte ad un disastro, che renderebbe più forti le regioni già forti e debolissime quelle deboli, spingendo una parte del paese verso forme di lotta oggi imprevedibili.
Voglio, a tale proposito, ricordare un episodio eloquente, capitato negli ultimi anni all'interno della compagine governativa. Nell'estate del 2003, nell'indifferenza generale, si dimetteva un sottosegretario all'economia del Governo in carica: tale personaggio, uno tra i pochi uomini veramente autorevoli dell'esecutivo, si chiama Vito Tanzi, uno degli italiani che lavora all'estero dando prestigio al nostro paese. Tanzi, infatti, insegna economia all'università di Washington e guida il Dipartimento di finanza pubblica del Fondo monetario internazionale, oltre a svolgere il ruolo di consulente al Senato americano ed alla Casa Bianca. Insomma, il collega di Micciché non è l'ultimo arrivato. Egli, che è suo corregionale, onorevole Bruno, dimettendosi, concesse un'intervista a L'espresso, del 3 luglio 2003, in cui fece alcune affermazioni, che ripeto testualmente: «Sono preoccupato per la devolution, perché vedo il pericolo che ci si lavi le mani delle regioni più povere. Come si fa a dare autonomia fiscale» - è sempre Tanzi che parla - «alla Calabria e, poi, aspettarsi che ci sia una spesa per alunno pari a quella della Lombardia? Non accadrà mai, se non pensiamo a come livellare la capacità di spesa su tutto il territorio nazionale. Ma non sembra che questo sia l'obiettivo della Lega e del Governo». Dette queste cose, egli rimise il suo mandato e tornò in America.
Stiamo attenti, onorevoli colleghi: le disparità già esistenti potrebbero diventare incolmabili e favorire un clima di guerra civile nel nostro paese. Il federalismo fiscale, che avrebbe potuto essere la premessa di un sano federalismo è un tema rinviato sine die. Sapete perché? Tale tema fa paura perché evidenzierebbe l'enorme differenza tra aree ricche ed aree povere del paese.
Ritorna, a tal proposito, con forza, il tema dei diritti. Un tema che sembra esplodere a livello planetario e che ci spinge a tutelare con energia alcuni nostri istituti di garanzia, primo fra tutti la Presidenza della Repubblica e la stessa Corte costituzionale. Un grandissimo sociologo, Baumann, ha affermato di recente, sul tema dei diritti, un concetto semplicissimo ma di grande fascino: la portata di un ponte - afferma Baumann - non si misura dalla forza media dei suoi piloni, ma dalla forza dei più deboli tra loro. Lo stesso vale per la portata della società, in altre parole, per la sua qualità umana. Una società è tanto più umana, quanto più sono decenti e dignitose le condizioni di vita dei suoi territori e dei suoi membri più deboli.
Sotto tale aspetto, le Corti costituzionali di tutti i paesi democratici diventano un usbergo indispensabile. Sono tra quelli che ha molto apprezzato la recente posizione della nostra Corte costituzionale, che ha invalidato due norme della legge Bossi-Fini sull'espulsione amministrativa e sull'arresto per i clandestini rimasti tra noi malgrado il foglio di via. Lo dico sapendo che il problema clandestini è molto complesso e va regolamentato; e non è facile farlo.
Ciò nondimeno, esiste un nucleo di diritti che appartiene ad ognuno come persona e che gli deve essere riconosciuto indipendentemente dalla nascita in questo o in quello Stato. E deve essere una Consulta salda, non sottoposta a logiche territoriali di parte a garantirlo.
D'altra parte - vi si faccia caso - in questa difficile stagione politica sono ovunque nel mondo le Corti costituzionali ad imporre il governo delle leggi al governo degli uomini, che tende sempre a conferire un che di arbitrario ai propri gesti. Capita in Israele, dove una recente sentenza della sua Corte costituzionale dichiara illegittimo il modo in cui si va costruendo il muro per bloccare i palestinesi. Capita alla Corte suprema degli Stati Uniti, quando afferma i diritti dei prigionieri di Guantanamo. Se le cose stanno così sull'intero pianeta, dobbiamo tenerci cari tutti gli organismi di garanzia esistenti nel nostro paese.
Anche per questo motivo, diciamo «no» ad un premier forte, che diventa tale spogliando delle sue prerogative il Presidente della Repubblica. Per questo motivo, domani guarderemo con grande attenzione agli emendamenti del Governo. A tale proposito, signor Presidente, mi permetto di chiedere qualche ora in più per poterli valutare al meglio. Guarderemo con attenzione a quegli emendamenti, indicando agli italiani il pericolo che potrebbero correre se questa riforma venisse approvata, e lo faremo producendo una grande battaglia sull'intero territorio nazionale. E, per una volta, non sarà una battaglia a favore solo della propria parte politica, ma a favore di tutti gli italiani, specie di quelli più deboli (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pistone. Ne ha facoltà.
GABRIELLA PISTONE. Signor Presidente, il disegno di legge presentato dal Governo propone in 42 articoli di modificare radicalmente la seconda parte della Costituzione con particolare riferimento alla forma di Stato e alla forma di governo, incidendo sugli articoli relativi al Parlamento, al Presidente della Repubblica, al Governo, alla magistratura, alle regioni e agli enti locali e alle garanzie costituzionali.
I principi cardine che caratterizzano le profonde trasformazioni apportate al testo costituzionale vigente possono essere così riassunti: la trasformazione dell'attuale Senato in Senato federale; il rafforzamento delle autonomie regionali con il cosiddetto testo sulla devolution, fortemente voluto dalla Lega, già esaminato in prima lettura dalle due Camere e incardinato nel disegno di legge governativo in esame; l'introduzione del cosiddetto premierato forte, che rafforza il ruolo ed i poteri del Primo ministro; la regionalizzazione della Corte costituzionale attraverso un nuovo meccanismo di elezione dei giudici costituzionali; la limitazione del ruolo e dei poteri del Presidente della Repubblica quale garante del corretto funzionamento del sistema istituzionale.
Nel dettaglio, il provvedimento smonta la Costituzione, la stravolge, crea squilibri insopportabili e, se approvato, produrrebbe un sistema che funziona di meno e che costa di più. Un grande pasticcio, un grande monstrum, un monstrum giuridico, come hanno avuto a dire in maniera assolutamente autorevole famosi costituzionalisti. Ne cito uno per tutti: Sabino Cassese.
Il disegno di legge in discussione è frutto di un compromesso pasticciato. Vi è un'enorme confusione nel disegno di legge, che è la cartina di tornasole dello stato della maggioranza, della Casa delle libertà.
Le riforme costituzionali devono essere dettate da una logica, un disegno ed una strategia alti e non di parte: una riforma della Costituzione non può essere il minor male possibile, frutto di compromessi, ma deve essere il risultato di un confronto ampio, alto, condiviso, ma soprattutto coerente portatore di valori utili ad accrescere le forme di democrazia e di partecipazione.
Con la vostra devolution si scardinano i valori di universalità dei diritti, l'uguaglianza di tutti i cittadini, che sono i valori fondanti della nostra Carta costituzionale. La sanità regionalizzata, la scuola regionalizzata creano disparità fra cittadini dello stesso Stato soltanto perché appartenenti a regioni diverse. È come se, e sarebbe molto meno grave, all'interno del Parlamento singoli parlamentari, a seconda delle regioni di provenienza, percepissero indennità differenziate.
Vi è poi un'alterazione grave del rapporto fra l'esecutivo ed il Parlamento: concentrare ed accrescere i poteri del Presidente del Consiglio è per noi inaccettabile; è l'esaltazione del cesarismo, la demonizzazione del confronto, della partecipazione democratica ed infine lo svuotamento e lo svilimento del Parlamento! Quest'ultimo non conta più nulla!
Forse, in un momento nel quale parliamo di Europa unita, di legislazione europea, e quindi si comincia a ragionare, sia pure in ritardo, con un respiro più ampio e meno particolaristico, è quasi antistorico - è la mia sensazione - discutere di «frammentare» il nostro paese, di dare risposta ad una Padania che non esiste. Non vogliamo introdurre la Padania nella nostra Costituzione; non vogliamo spendere 460 mila euro in quattro anni per festeggiare il capodanno celtico, come già è successo nella regione Lombardia.
La riforma del Titolo V della Costituzione è ancora sulla carta ed è foriera in ogni caso di enormi difficoltà e contestazioni; le grandi reti - telecomunicazioni, energie ed infrastrutture - sono di competenza regionale o affidate alla concorrenza legislativa fra Stato e regioni; per i beni culturali e le attività culturali vale lo stesso discorso. Questi temi, in termini di scelte fatte e di soluzioni adottate, stanno aprendo enormi problemi e contraddizioni che lacerano e non uniscono!
Si discute molto di competenze regionali, ma non si parla di come e quanto siano attrezzate le regioni per svolgere tali funzioni; si moltiplicano già oggi i funzionari e le spese «sforano» i limiti consentiti per rispondere molto spesso ad esigenze che non sono propriamente a sfondo sociale ed economico, ma che sono dominate dal particolarismo e dal clientelismo.
In ogni caso, alle regioni non si sono trasferiti uffici, mezzi, personale e risorse, che, probabilmente, rappresentavano i cardini posti a garanzia dei diritti; la deburocratizzazione della pubblica amministrazione e la semplificazione della sua attività sono obiettivi assolutamente non perseguiti.
Inoltre, le regioni registrano già oggi un debito complessivo di 21 miliardi di euro: secondo le stime fatte, la riforma in discussione costerebbe uno «sproposito» e con le finanze già in stato di affanno mi sembra del tutto incredibile procedere.
Chi pagherà e con quali risorse? Lo si farà attraverso i «tagli» ai servizi essenziali, attraverso gli aggravi fiscali, e quindi con l'esaltazione delle differenze che rafforzeranno sempre di più i più forti e indeboliranno sempre di più i più deboli.
Il vostro è un liberismo antiliberale. Il vostro è un liberismo non soltanto per noi non condivisibile, ma dal chiaro stampo autoritario, portatore di soluzioni che contrastano con la democrazia partecipata.
Sarebbe molto utile, non per qualcuno di noi, ma per il nostro paese ed i suoi cittadini compiere una pausa di riflessione, senza voler arrivare ad ogni costo all'approvazione di una pagina che non ha elementi esaltanti, ma assai deludenti e laceranti rispetto agli alti principi ispiratori e costitutivi della nostra Carta costituzionale.
Non mi voglio rifugiare nell'istituto referendario come fosse un'ancora di salvataggio. Mi piacerebbe che potessimo fermarci ora, tornare indietro a riflettere e non mettere «pezze» peggiori del buco. Dovremmo cominciare a ripensare a cosa è meglio per il nostro paese, per il bene supremo dei nostri cittadini e della nostra democrazia.
Giovedì prossimo ci troveremo in quest'aula ad esaminare e votare questioni pregiudiziali di costituzionalità presentate da tutte le componenti dell'opposizione. Potrebbe essere l'occasione utile per iniziare tale pausa di riflessione.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Amici. Ne ha facoltà.
SESA AMICI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, le argomentazioni dei colleghi dell'opposizione hanno tutte un filo conduttore: tentare di dar conto alla Camera ed a chi ci ascolta che l'opposizione non si pone di fronte al testo del Governo con un atteggiamento pregiudiziale. Abbiamo tentato di portare avanti - ne è testimonianza il lavoro svolto, finché siamo stati presenti, nella I Commissione - una seria riflessione sul merito. Si tratta - come ricordava poc'anzi la collega Pistone - di una mole veramente enorme di modifiche: 42 articoli sugli 80 che compongono la seconda parte della Costituzione.
Vi è l'esigenza di capire se il processo di riforma sia stato veramente generato dalla necessità. Leggendo il testo e le argomentazioni apparse sui quotidiani e seguendo i dibattiti pubblici, si è avuta la sensazione di non trovarsi di fronte ad una necessità di riforma quanto, piuttosto, ad una condizione necessitata da esigenze non istituzionali delle forze politiche e, in particolare, dei partiti.
Questo paese ha visto, in anni molto lontani, nascere la propria Costituzione all'interno di ragionamenti molto liberi e trasparenti tra forze antagoniste che avevano anche opinioni diverse. La forma costituente era slegata dalle forzature e dalle logiche partitiche dei Governi: mai il Governo interferì con quella discussione nella fase costituente. Ciò avvenne perché la Costituzione è fondamentalmente un patto di comune sentire, di regole condivise, di capacità di costruire un itinerario che delinei l'identità di un popolo, di una nazione. L'articolazione della statualità avveniva in quel contesto storico-politico, ma è stata anche capace - questa è la sua ricchezza e la sua modernità - di vederne forme di flessibilità.
Mi piace ricordare, anche per amore della storia, che vi sono punti della Costituzione ancora non attuati. Passarono molti anni dall'approvazione della Costituzione prima che si desse vita alle regioni. Queste ultime sono state istituite nel 1970 ed alcuni aggiustamenti sono avvenuti nel tempo.
La Costituzione è una forma di condivisione di un patto dei cittadini e delle cittadine. Si tratta di un patto che potremmo definire sociale: la prima parte della nostra Costituzione interferisce in maniera decisiva nell'articolazione della forma dello Stato. Il disegno di legge del Governo, pur attenendo alla formazione del Governo, ai rapporti tra Stato e regioni, alle forme transitorie, alla costituzione del Senato federale, interferisce evidentemente con i principi della prima parte della Costituzione. Mi riferisco, in particolare, all'articolo 3 sull'uguaglianza dei cittadini ed all'articolo 5 sulle autonomie ed il pluralismo delle istituzioni.
Credo però ci sia ancora un punto sul quale è necessario soffermare la nostra attenzione (entreremo poi nel merito della discussione, oltreché degli emendamenti, che aspettiamo vengano formalizzati da parte del Governo). Contrariamente a quello che si potrebbe immaginare, noi non abbiamo un atteggiamento di chiusura di fronte alla modifica fattuale della realtà. Infatti, nella storia delle Costituzioni, ciò che le rende durature sono i punti di principio e la cornice che ne delinea gli elementi di identità e di condivisione tra i cittadini che la vivono. Del resto, nella storia delle Costituzioni, è proprio la realtà dei fatti, quella che si snocciola nel corso degli anni, a testimoniare la necessità di modifiche e di aggiustamenti, ma mai di stravolgimenti. Si tratta di aggiustamenti derivati fondamentalmente dall'evolversi della situazione storico-politica, a cominciare soprattutto dalla formazione dello Stato unitario sino agli anni Novanta, in cui si è verificata la crisi dello Stato unitario e si è messa anche fortemente in discussione la concezione dello Stato-nazione. Siamo stati spinti a questa crisi dello Stato-nazione proprio dall'insorgere di un'Europa, che in qualche modo rappresenta l'esempio forse più recente di federalismo (un insieme di tanti Stati, che sottraggono a loro stessi una serie di poteri per attribuirli ad un'entità completamente nuova, che è la Costituzione europea).
All'interno di quella crisi dello Stato-nazione avanzava un processo che richiedeva ai partiti e alle forze politiche una nuova visione delle politiche pubbliche. Pertanto, l'entrata in crisi dello Stato e della sua funzione, nelle sue articolazioni, metteva in discussione uno dei punti più efficaci dell'agire governativo. Proprio a partire dalla difficoltà di risolvere le grandi questioni pubbliche - penso al welfare, al nuovo concetto di cittadinanza -, questa idea del territorio, e quindi del venire avanti di spinte che assumano quelle politiche non più in una visione localistica, è diventata il punto centrale di una transizione politica, che tuttora permane, ma che addirittura, con il testo del vostro disegno di legge, continuate a trasferire dal piano politico al piano di una transizione infinitamente istituzionale.
Da qui la necessità di una riflessione di merito. Da questo punto di vista - lo voglio ricordare pubblicamente -, ho apprezzato moltissimo il collega Sterpa, non solo per lo stile, ma soprattutto perché non lascia in un alcun modo intravedere elementi di ribaltoni o di passaggi diversi, bensì resta fermamente ancorato alla sua concezione di democratico liberale di destra. Egli, in una sua lettera inviata e pubblicata ieri sul Corriere della Sera, ha evidenziato gli elementi del dissenso profondo rispetto a questo disegno di legge costituzionale. Lo ha fatto con uno stile pacato, riflessivo, evidenziando all'interno di tale questione un concetto che è assai importante quando si vuole mettere mano ad una Costituzione di principi: il richiamo alla responsabilità, nel senso che occorre agire responsabilmente quando si manovra una materia così complicata. Ciò in quanto, oltre a mettere in discussione gli elementi dell'«antico», si mette in discussione un'idea stessa della modernità e dell'innovazione istituzionale, che deve essere legata a grandi questioni di principio e mai piegata, invece, a questioni che attengono semplicemente a difficoltà dei partiti di ieri o delle coalizioni di oggi, che non possono essere risolte al proprio interno. Del resto, questo richiamo ad un principio di responsabilità è legato alla storia della genesi di questo disegno di legge costituzionale oggi al nostro esame. Noi, negli ultimi anni, a partire dal Governo di centrosinistra, abbiamo avuto la riforma del Titolo V della Costituzione (ed anch'io, come molti altri colleghi, ritengo che aver votato tale riforma con una risicata maggioranza sia stato un errore di metodo).
La discussione in merito a tale riforma presentava una serie di elementi positivi, poiché teneva conto di una sorta di fattualità reale, del cambiamento che stava intervenendo nei rapporti tra centro e periferia e del fatto che, a parte le esigenze poste da una forza politica, quale la Lega, governare da parte dello Stato i processi di territorializzazione avrebbe comportato un'assunzione maggiore di responsabilità.
Dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, all'inizio di questa legislatura nella Camera per ben due volte si sono svolte discussioni sulla questione delle riforme. Mi riferisco al progetto di devoluzione del collega Bossi, con riferimento al quale vi è stata una discussione, a volte formale, altre volte stancamente rituale e nominalistica, circa la possibilità da parte delle regioni di attivare alcune competenze su grandi tematiche relative alla Costituzione materiale (scuola, sanità e polizia locale). Successivamente è intervenuto, con la contrarietà del ministro delle riforme, il decreto La Loggia, che le Camere non hanno mai approvato, con il quale ci si è accorti di un problema che stava emergendo fortemente, vale a dire il contenzioso di molte regioni con la Corte costituzionale con riferimento al problema della elencazione delle materie. La potestà legislativa esclusiva dello Stato e quella concorrente avevano determinato quello che si chiama in termini tecnici una sorta di ingorgo istituzionale. La Loggia nel suo disegno di legge superava il problema della elencazione.
Dagli atti delle audizioni che la I Commissione ha svolto in vista di questa discussione, emerge che gran parte degli studiosi della materia ritengono che l'elencazione in sé non riesca a dar conto del profilo di esclusività sia da parte dello Stato sia da parte delle regioni. Pertanto, è stata seguita la logica della ripartizione. Tuttavia, la ripartizione non era semplicemente un aspetto tecnico, in quanto ha implicato l'introduzione di un altro elemento nell'articolo 117, quello della leale collaborazione tra Stato e regioni.
Ebbene, di questi elementi di discussione e di fatica (quanto sciupio di discussioni si nasconde dietro l'enfasi delle riforme!) non vi è più traccia nel disegno di legge; rimane l'attivazione da parte delle regioni di alcune competenze di tipo esclusivo.
Vi è un'idea falsamente federalista, perché il punto vero della discussione è il seguente: cosa c'è di federalista in questo provvedimento? Sicuramente è una questione nominale e mi riferisco al cosiddetto Senato federale, la cui formazione (vedremo se anche in ordine a tale questione saranno presentati emendamenti) si ispira ad un principio assai singolare. Mi riferisco, per quanto riguarda l'elezione dei senatori, al rapporto con le regioni, alla necessità di averne la residenza al momento della elezione o di aver svolto una funzione pubblica in quella regione ed al fatto che nel momento primario dell'attività della seconda Camera vi è solo l'obbligo di sentire i presidenti dei consigli regionali. Quasi a dire un legame ante ed un legame post che, invece, viene rimandato al semplice sentire; si determina un elemento, su cui vi abbiamo incalzato anche con emendamenti sul processo legislativo affidato al Senato, che testimonia non tanto il pregiudizio sul Senato federale, quanto l'impossibilità, per come lo avete designato, che quel Senato possa funzionare sul serio in un nuovo rapporto tra Stato e regioni.
Ma non è solo questo. In quest'ultima parte della legislatura vi ha contraddistinto una sorta di ossessione, in quanto le riforme istituzionali non vengono intese come tali, posto che esse devono dare alla coalizione di cui voi siete maggioranza nel paese la possibilità di risolvere, attraverso alcune forzature sul piano ordinamentale, dei regolamenti e delle funzioni, difficoltà che sono tuttora di carattere meramente politico.
Cos'è del resto il premierato, così come l'avete concepito, se non quel rapporto strano volto al rafforzamento non del Capo del Governo, ma del capo della maggioranza, che può determinare addirittura lo scioglimento delle Camere?
Ancora, in questo strano rapporto tra le due Camere, non si dà conto di un principio di territorialità. Del resto, la norma di buonsenso che vi avevamo suggerito, in ordine all'elezione dei senatori delle circoscrizioni estero, testimonia la confusione esistente nel vostro progetto di riforma.
Non viene dunque delineata l'idea che si possa governare un processo della realtà fattuale in continuo cambiamento, che fornisca ai territori risposte di merito che li pongano in condizione di esercitare non il federalismo astratto, ma il federalismo vero, solidale e soprattutto che tenga conto del fatto che si può essere federalisti in tanti modi.
Non siamo più di fronte allo scenario che la Lega aveva concepito, costituito dalle macroregioni che imponevano un processo di vera e propria successione e, quindi, di allontanamento di parti del territorio dallo Stato centrale.
Non siamo dunque all'interno di questa aspirazione federalista, anzi riteniamo che stiate inserendo in questa discussione elementi che hanno più il sapore della propaganda, e non quello dell'atteggiamento serio di chi sta affrontando problemi assai complessi.
Il ministro Calderoli, attraverso i quotidiani nazionali, ha introdotto un elemento che sarebbe interessante disarticolare. La devolution, il potere delle regioni di esercitare competenze esclusive su quei tre grandi comparti, ha o no un costo? Il ministro Calderoli - e, prima di lui, l'onorevole Bossi - afferma che i costi vengono dopo. No, i costi sono contestuali all'efficacia di quanto stiamo scrivendo; infatti, i costi indotti dalla riforma del titolo V della Costituzione non solo sono certificati dai grandi istituti economici, ma testimoniano che nei processi devolutivi non è vero che vi è un risparmio.
Come vedete, colleghi, l'intreccio è molto profondo; non si tratta di tecniche istituzionali, ma di un ragionamento politico che ha conseguenze notevoli, le quali, proprio perché corrispondenti ad un principio, dovrebbero formare oggetto di una discussione molto più seria e fattiva.
Occorrerebbe guardare alla necessità di ridisegnare regole e forme di governo in nome e per conto dei cittadini e delle cittadine italiane e non delle parti politiche che si rappresentano, in quanto in tal modo non si è innovatori, ma si resta conservatori e fuori dai contesti concreti che danno senso ad una Costituzione che, per essere moderna, deve essere duratura e non piegata alle esigenze partitiche (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Verdi-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Sospendo la seduta che riprenderà alle 15,30.
La seduta, sospesa alle 13,35, è ripresa alle 15,35.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PUBLIO FIORI
TEODORO BUONTEMPO. Chiedo di parlare per un richiamo al regolamento.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà
TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, ho chiesto la parola solo per conoscere le decisioni della Presidenza relativamente ai tempi concessi ai deputati per la presentazione dei subemendamenti. La stampa - per ora non abbiamo avuto notizie da altre fonti - parla di emendamenti presentati dalla maggioranza o dal Governo, senza che siano ancora chiare le modalità.
Quali sono, quindi, i tempi concessi per la presentazione di subemendamenti, visto che quelli previsti dal regolamento risultano estremamente ristretti? Il mio intervento è un invito alla Presidenza affinché proceda ad una riflessione e conceda, vista anche la materia che ci accingiamo a trattare, tempi congrui, in modo che tutti i deputati siano messi nelle condizioni di poter svolgere al meglio il proprio ruolo.
PRESIDENTE. Onorevole Buontempo, non c'è dubbio che, trattandosi di una materia di così rilevante importanza, la Presidenza concederà termini tali da consentire a tutti i parlamentari di valutare in maniera adeguata gli emendamenti che venissero eventualmente presentati dal Governo, come fra l'altro è stato già annunciato. La voglio, quindi, tranquillizzare: lei, come tutti i colleghi, sarà messa in grado di valutare in maniera completa gli emendamenti. I termini non saranno quindi strettamente legati alle norme del regolamento, ma certamente idonei.
Le ricordo, comunque, che l'articolo 86 del regolamento, al comma 4, prevede che i subemendamenti possano essere presentati sino ad un'ora prima dell'inizio della seduta nella quale saranno discussi gli articoli. Faremo in modo che questo comporti un'agevolazione e maggior tempo per i parlamentari, piuttosto che una riduzione dei termini.
È iscritto a parlare l'onorevole Pacini. Ne ha facoltà.
MARCELLO PACINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il disegno di legge costituzionale che la Camera sta esaminando costituisce il punto di arrivo di un percorso ormai ultradecennale.
È poco più di un decennio, infatti, che il dibattito politico italiano affronta il tema dell'introduzione del federalismo nel nostro paese. Nei primi anni Novanta l'unica forza politica che parlava di federalismo era la Lega nord, mentre nella società civile e nel mondo della cultura era solo la Fondazione Giovanni Agnelli, di cui ero allora direttore, che studiava e propagandava la riforma dell'ordinamento italiano in senso federale.
Era l'epoca dei pionieri e del sapore eversivo del federalismo in Italia. Devo confessare che provo una grande soddisfazione, unita anche ad una certa emozione, per essere oggi qui, presso la Camera dei deputati, ad analizzare e discutere una Costituzione che dà forma e sostanza alle speranze e ai sogni di quegli anni. Mi fa piacere pensare che gli sforzi e le fatiche di allora non sono stati inutili e che il tempo di raccogliere i frutti di tanta fatica nel seminare è ormai vicino.
L'Italia sta per darsi una costituzione federale; quello che nel 1992 sembrava eversivo diventa oggi Costituzione della Repubblica. L'epoca dei pionieri, peraltro, fu molto breve perché fu facile innestare gli studi e le proposte di riforma federale, che si andavano conducendo con la collaborazione di eccellenti studiosi, nel solco di tutte le grandi tradizioni politiche italiane, ad iniziare da quella risorgimentale, ritenuta a torto convintamente centralista, mentre la scelta strategica della commissione Minghetti del 1862, quella di proporre uno Stato centralizzato sul modello francese, era stata considerata da subito un compromesso subottimale, imposto dalla realtà profondamente diversificata nelle varie aree di un'Italia appena unificata. Lo stesso Cavour avrebbe preferito un ordinamento basato sulle autonomie locali, «scentralizzato», come ebbe a scrivere.
La riforma federale aveva necessità di avere radici storiche solide, e non bastava il richiamo, sovente di maniera, a Cattaneo, ma andava innestata in tutte le grandi tradizioni politiche della storia italiana. Si pensava, giustamente, che la trasformazione dello Stato italiano in Stato federale potesse avere successo solo se accettata e condivisa dalla larga maggioranza degli italiani e se il federalismo diventava un valore condiviso di ogni grande famiglia politica.
La proposta federale ha trovato in Italia un terreno fertile, e dopo pochi anni - perlomeno nelle dichiarazioni pubbliche - la gran parte delle forze politiche italiane si dichiarava federalista. La fortuna del termine ha nascosto sovente calcolo politico, opportunismo elettorale o mera superficialità, ma l'adesione vi è stata, ampia e diffusa, e nell'opinione pubblica italiana è passata un'idea del significato e dell'utilità del federalismo immaginato come la grande risposta strategica alle sfide della globalizzazione, la via maestra per realizzare in tempi brevi obiettivi quali la riforma della pubblica amministrazione, la riconciliazione fra i cittadini e la politica, la modernizzazione della governance dei territori. Il federalismo è stato visto dalla maggioranza degli italiani non in termini ideologici, bensì come la soluzione istituzionale più adeguata ad introdurre nel nostro ordinamento, e quindi nella vita degli italiani, più efficienza e più efficacia dell'azione pubblica.
Questa fiducia non era e non è mal riposta, perché effettivamente il federalismo può essere uno strumento istituzionale e geoeconomico che aiuta i sistemi economici territoriali a vincere la sfida della competizione internazionale. È quindi nell'interesse di tutti, degli imprenditori e dei lavoratori. Lo Stato federale è sempre stato immaginato come uno Stato più amico del cittadino comune. Questa motivazione concreta del sentirsi federalisti, così poco ideologica, va tenuta presente dalla dirigenza politica, perché se questo disegno di legge sarà sottoposto a referendum il criterio di giudizio degli elettori sarà basato su tali aspettative. Il federalismo italiano, inoltre, è nato e cresciuto con una forte connotazione regionalista. Vi sono stati, nel corso del tempo, alcuni richiami alla tradizione delle cento città, ma sono stati largamente minoritari. Le regioni sono sempre state ritenute la risposta istituzionale più adatta a realizzare il federalismo, con la precisazione che esse stesse non dovevano essere centraliste, bensì tese a valorizzare il tessuto delle autonomie locali.
Possiamo chiederci se il testo che viene proposto all'esame dell'Assemblea è coerente con la storia breve e recente del federalismo italiano e con le aspettative che ha suscitato tra i cittadini. Purtroppo, le forze politiche italiane non hanno avuto l'intelligenza di scegliere la strada dell'Assemblea costituente, ma hanno preferito la strada, apparentemente più facile, dell'articolo 138, ritenendo che anche le grandi modifiche istituzionali potessero seguire l'iter del bicameralismo e delle doppie letture e che fosse possibile far convivere la riflessione costituzionale con la vita ordinaria, sempre accentuatamente conflittuale. La scelta, purtroppo, non si è rivelata felice. I problemi legati all'immagine delle forze politiche e alle loro necessità di marketing elettorale hanno assunto un ruolo rilevantissimo ed eccessivo, così come la difesa degli interessi corporativi della pubblica amministrazione e delle stesse assemblee parlamentari.
La fretta nell'approvare le modifiche dell'articolo 117 nella precedente legislatura fu dettata chiaramente da calcoli elettorali, ed ebbe come risultato non solo un federalismo incompleto, ma, soprattutto, un federalismo astratto ed estremizzato, giacobino: esattamente il contrario di quanto sarebbe stato opportuno fare. La riforma del centrosinistra, probabilmente andando anche al di là delle intenzioni di chi l'ha voluta, ha determinato l'instaurazione di un federalismo che non è né cooperativo né solidale, come era, invece, negli auspici di tutti, ed ha, soprattutto, creato i presupposti per l'avvio di dinamiche sociali ed economiche che nel medio periodo potrebbero anche determinare nuove divaricazioni fra Sud e Nord del paese.
Questo federalismo incompleto, oggi vigente, deve inoltre essere considerato una vera e propria sconfitta della politica e della democrazia, come dimostra quanto è accaduto in tema di condono edilizio.
La Corte costituzionale, in una recente sentenza, ha rilevato che si è trovata a svolgere un ruolo, non richiesto né gradito - sono queste le parole pronunciate lo scorso aprile dal suo presidente -, di supplenza nell'attività di mediazione politica fra diversi livelli di territorio e di Governo. Quindi, è interesse di tutte le forze politiche completare l'assetto federale in tempi brevi, restituendo alla politica gli spazi che gli competono in ogni sana e matura democrazia. Purtroppo, il dibattito costituzionale recente non ci aiuta perché non è stato né chiaro né approfondito, a cominciare dal dibattito fra gli studiosi (ma soprattutto mi riferisco a quello che si è svolto negli ambienti politici). Per esempio, giudico strumentale l'eccessiva enfasi posta dentro e fuori il mondo politico nel criticare la cosiddetta devolution, mettendo in luce possibili rischi di fratture nel paese, quando i veri rischi di riaprire fossati fra il sud e il nord d'Italia sono insiti nelle modifiche introdotte dal centrosinistra all'articolo 117.
È difficile trovare un testo di riforma tanto faticoso e con un iter tanto controverso e complesso; a mio parere, le difficoltà sono insite nella scelta della via emendativa dell'articolo 138. Modificare una Costituzione postula la capacità di vedere un grande orizzonte proiettato in un futuro che va ben oltre gli interessi che le forze politiche debbono tutelare e curare. Le Costituzioni, almeno quelle tradizionali cui siamo stati educati a credere, debbono durare cinquant'anni. Le forze politiche hanno il concreto e legittimo problema - lo ripeto, legittimo - di conservare e conquistare il potere, quindi hanno un orizzonte appena pluriennale e questo spiega gran parte delle difficoltà e delle incertezze dell'iter di riforma. Basta ricordare che il testo approvato dopo il difficile travaglio del Senato fu subito criticato dal Presidente Pera e dall'allora vicepresidente Calderoli.
Desidero riconoscere al ministro Calderoli il dono della coerenza, poiché appena ieri ci ha annunciato modifiche di grande rilievo al testo - approvato nel luglio scorso dalla I Commissione della Camera - che, sostanzialmente, riproduceva quello del Senato. Il ministro ha anche dichiarato di essere desideroso di dialogo ed aperto ad accogliere ulteriori modifiche. Si tratta di un segnale molto positivo perché potrebbe portare all'allargamento della maggioranza che approverà questa nuova Costituzione italiana. Infatti, il buon senso dovrebbe consigliare l'approvazione della nuova Costituzione con una maggioranza parlamentare dei due terzi, così da evitare la prospettiva di un referendum popolare e, soprattutto, anche per ridare prestigio di fronte agli italiani al nuovo testo costituzionale. Le Costituzioni, infatti, non dovrebbero nascere coinvolte nel conflitto politico quotidiano, ma nella concordia e nella fraternità nazionale. Solo un'Assemblea costituente poteva garantire un clima adeguato alla nascita di una nuova Costituzione.
Prima di scendere ad un esame più analitico di alcuni problemi desidero sottolineare il ruolo benefico e proficuo svolto dal ministro Calderoli. Prima del suo arrivo, la situazione politica, con riguardo al disegno di legge di riforma costituzionale che stiamo esaminando, era ingessata e dentro la maggioranza vi era un permanente, caldo e pressante invito a non modificare il testo approvato dal Senato se non in punti marginali: la prudenza vinceva sul coraggio. Con l'arrivo del ministro Calderoli, la situazione è radicalmente cambiata perché le modifiche che sono state annunciate ieri hanno fatto fare un salto di qualità alla riforma. Permangono alcuni punti che sarebbe opportuno emendare ulteriormente, ma a mio parere il testo che si profila appare credibile, proponibile ai cittadini italiani perché capace di regolare la vita di una grande e complessa società democratica.
Nella discussione generale in I Commissione avevo formulato alcuni rilievi critici al testo approvato dal Senato che oggi risultano, almeno dalle dichiarazioni rese ieri in aula dal ministro, condivise dal Governo e in procinto di divenire emendamenti. In primo luogo, l'abolizione della circoscrizione estero per mancanza palese del requisito della territorialità; l'abolizione dei senatori a vita e la parallela introduzione del deputato a vita, in considerazione dell'opportunità di far sedere gli ex Presidenti della Repubblica e cittadini emeriti nella Camera politica. Infine, avevo espresso riserve sulla composizione del Senato federale ed avevo presentato alcune proposte di modifica al testo approvato dal Senato che i colleghi della maggioranza, cui era affidato il compito di predisporre emendamenti concordati tra le forze politiche della Casa delle libertà, non ritennero allora di accettare. Il ministro ha annunciato significativi cambiamenti in ordine alla composizione del Senato federale che, sebbene risultino insufficienti - ciò mi spingerà a riproporre all'attenzione del ministro e dei colleghi dell'Assemblea una soluzione più coerente riguardo al ruolo che il Senato dovrebbe avere nella nuova Repubblica italiana -, migliorerebbero sostanzialmente il primitivo modello elaborato dal Senato.
La soluzione teoricamente prevedibile sarebbe stata - a mio parere - la trasformazione del Senato in un collegio di rappresentanti degli esecutivi di ogni regione, con il vincolo del voto unitario, secondo il modello del Bundesrat tedesco.
Questa soluzione avrebbe avuto il pregio di far sì che il Senato rispecchiasse effettivamente la volontà delle singole regioni e rappresentasse una sede autorevole per l'eliminazione dei conflitti fra gli enti territoriali; sarebbero state assorbite anche le Conferenze Stato-regioni e si sarebbe ottenuta una semplificazione istituzionale ed amministrativa. Sarebbe stato anche opportuno distinguere ruoli e competenze di un Senato federale dalla Camera politica, anche con benefici effetti sul processo di formazione delle leggi.
Questo, però, è stato giudicato da una larga maggioranza lontano dalla nostra tradizione e del nostro ordinamento e così innovativo che solo all'interno di un'Assemblea costituente avrebbe potuto essere approvato.
Il testo che il Senato ha approvato, e che è stato sostanzialmente riproposto alla Commissione affari costituzionali della Camera, aveva scelto - come è noto - una strada molto diversa, riproponendo un Senato analogo alla Camera senza alcuna legame serio con il territorio. Ma un Senato federale deve avere al centro della sua identità e del suo ruolo la rappresentanza dei territori, dei loro interessi e delle loro identità culturali e politiche. In caso contrario, avremmo un Senato che non sarebbe federale e l'ordinamento italiano risulterebbe caratterizzato da un federalismo incompiuto; è necessario, quindi, un intervento correttivo che rafforzi i legami con il territorio.
Ciò che ha annunciato ieri il ministro Calderoli, cioè un'apertura per la partecipazione ad alcuni lavori del Senato federale di rappresentanti delle regioni, va - a mio parere - nella direzione giusta, ma è ancora insufficiente perché si tratta di una partecipazione non piena, ma settoriale e parziale, da meglio definire in futuro.
Una valutazione a parte merita la partecipazione - anch'essa annunciata dal ministro - di rappresentanti degli enti locali prevista in posizione simile a quella dei rappresentanti delle regioni. È già stata avanzata da più parti la soluzione di inserire come membri di diritto i presidenti di regioni o loro delegati, che sarebbe una soluzione migliorativa, ma a mio parere ancora insufficiente.
In uno schema che ho avuto modo di illustrare a luglio ad alcuni colleghi della maggioranza che stavano studiando degli emendamenti che potevano essere utilmente introdotti come coalizione, avevo proposto un modello che, restando lontano da quello del Bundesrat, seguiva, però, la strada di un modello di Senato a composizione mista, con una parte di senatori elettivi e una parte di veri rappresentanti dei governi regionali non eletti, ma designati.
Quella resterebbe - a mio parere - ancora la via migliore per poter avere un Senato federale realisticamente agganciato alla realtà territoriale; infatti, ogni regione potrebbe essere rappresentata da un minimo di uno a un massimo di cinque senatori non eletti in base a un sistema di ponderazione. Ciascuna delegazione regionale potrebbe disporre di un voto unitario, nel senso che i voti di ogni delegazione sarebbero espressi unitariamente secondo le direttive dei governi regionali di provenienza; solo i senatori a suffragio universale diretto sarebbero liberi dal vincolo di mandato.
Questa soluzione permetterebbe di rafforzare la connotazione territoriale del Senato federale, perché si introdurrebbe all'interno di quest'ultimo una rappresentanza effettiva delle regioni, che verrebbe identificata con l'organo titolare della funzione di indirizzo politico, cioè la giunta.
Il ministro Calderoli ha annunciato una partecipazione di rappresentanti delle regioni e anche delle autonomie locali. Su questo punto intendo fare una precisazione: personalmente ritengo che si debba restare coerenti con la tradizione, recente ma consolidata, del federalismo italiano, che ha sempre avuto un forte e chiaro orientamento regionale; infatti, sono le regioni che rappresentano i territori e ne interpretano gli interessi.
Le aspirazioni e le rivendicazioni delle grandi città, delle province e di altri livelli istituzionali sono culturalmente e umanamente comprensibili, ma non possono essere - a mio parere - accettate perché metterebbero ulteriori elementi di confusione in un sistema già ora troppo complesso.
Oggi, in Italia, si pensa che sia non solo giustificato, ma addirittura obbligatorio esercitare la difesa corporativa delle istituzioni rappresentate; al contrario, occorre fare un passo indietro e comprendere che è nell'interesse di tutti avere un sistema istituzionale efficace ed efficiente. Credo anche che sia l'ora di riproporre un dovere di generosità e di comprensione degli interessi regionali anche da parte di chi guida importanti istituzioni pubbliche o ne fa parte.
È ottima, invece, la decisione, che era nell'auspicio di tutti, di introdurre una contestualità piena ed idonea a valorizzare la dimensione regionale. Infatti, in caso di scioglimento di un consiglio regionale, decadranno dal mandato anche i senatori eletti nella regione interessata; in tal caso, contestualmente al rinnovo del consiglio regionale, si procederà all'elezione di nuovi senatori, i quali resteranno in carica fino alle successive elezioni regionali. Se è questa l'intenzione del ministro Calderoli, mi pare che si tratti di un grosso arricchimento al provvedimento in esame.
Il ministro ha anche preannunciato novità sulla seconda grande questione nata dalla modifica dell'articolo 117 della Costituzione attuata nella precedente legislatura. Ho già avuto modo di esprimere la mia opinione sulla necessità di rimediare agli squilibri gravissimi che derivano dall'attuale ripartizione delle competenze. In proposito, nel gennaio del 2003 ho presentato un'apposita proposta di legge costituzionale volta proprio alla modifica del riparto delle competenze legislative tra Stato e regioni. In particolare, sono convinto della necessità di rimuovere il carattere estremizzato della riduzione delle competenze dello Stato e di trovare un nuovo equilibrio connotato da una corretta interpretazione del principio di sussidiarietà, secondo la quale il livello istituzionale al quale attribuire ruoli e funzioni non sia sempre il più basso, ma il più adeguato al loro corretto esercizio. In concreto, serve emendare l'attuale articolo 117 ampliando le materie in cui lo Stato esercita una competenza esclusiva e procedendo ad una corrispondente, parziale riduzione delle materie oggetto di potestà legislativa ripartita tra Stato e regioni.
Il ministro Calderoli ha annunciato che sarà proposto il ritorno tra le competenze esclusive dello Stato di materie quali: grandi reti di trasporto e navigazione; ordinamento della comunicazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia. Concordo pienamente, ma ritengo che altre due materie meritino di tornare tra le competenze esclusive dello Stato: in primo luogo, la ricerca scientifica e tecnologica, attualmente considerata tra le materie concorrenti, con il risultato che solo le regioni più ricche potranno attivarla concretamente. In tal modo, si corre il rischio che si rimettano in moto processi di allargamento del divario tra le regioni e, in particolare, che vengano penalizzate le regioni del sud. Per questo motivo, l'interesse nazionale esige che la ricerca sia inclusa tra le materie di competenza esclusiva dello Stato, fatta eccezione per quella a sostegno dell'innovazione nei settori produttivi, che potrebbe rientrare nella competenza esclusiva delle regioni, per meglio calare i concreti interventi nelle specifiche realtà dei sistemi produttivi territoriali.
La seconda materia - sulla quale mi permetto di insistere - è il commercio con l'estero. Il nostro sistema economico dipende dal commercio con l'estero. Il futuro anche prossimo accrescerà il ruolo degli scambi economici e, con l'affacciarsi sulla scena mondiale di nuovi grandi soggetti di scala continentale, come la Cina e l'India, la nostra penetrazione nei mercati esteri diventerà più difficile. Intelligente e lungimirante è stata la scelta del Governo di dare una missione di promozione del sistema Italia alle nostre rappresentanze diplomatiche. Perché, allora, lasciare il commercio con l'estero tra le materie concorrenti in cui lo Stato potrà solo statuire principi generali? La contraddizione tra le due politiche è evidente.
A mio avviso, il descritto rafforzamento dello Stato potrebbe essere declinato insieme ad un parallelo rafforzamento delle regioni, da realizzare mediante l'allargamento delle materie devolute alla loro competenza esclusiva. Potrebbero essere utilmente devolute alle regioni materie quali il commercio con l'estero nell'ambito dell'Unione europea, ormai da considerarsi un mercato interno, il sostegno all'innovazione nei settori produttivi ed i rapporti delle regioni con gli enti delle autonomie locali dell'Unione europea. Il concetto di devoluzione non ha, infatti, il significato eversivo che gli ha attribuito il centrosinistra nel dibattito politico, ma costituisce un valido aiuto per scorporare e per meglio definire, nel quadro di materie complesse, alcuni specifici aspetti che rientrerebbero utilmente nell'ambito delle competenze esclusive delle regioni.
Infine, desidero richiamare l'attenzione sulle conseguenze negative che vi potrebbero essere se non si cogliesse l'occasione di questa revisione costituzionale per introdurre una certa flessibilità nella forma di governo delle regioni. Il nuovo quadro istituzionale esalta il ruolo e l'importanza delle regioni. Occorre chiedersi quindi se non sia questa l'occasione opportuna per dare una soluzione al complesso problema consistente nell'attenuare gli automatismi legati al principio simul stabunt, simul cadent, previsti dall'articolo 126 della Costituzione. Si tratta di un tema che ha egemonizzato il dibattito politico all'interno di tutte le regioni che sono da più di due anni impegnate ad approvare nuovi statuti. Ora, dopo la nota sentenza della Corte costituzionale che ha deliberato in merito allo statuto della regione Calabria, si ha un'alternativa secca: o si segue il modello normato dall'articolo 126 con l'applicazione integrale il principio simul stabunt, simul cadent o si adotta un governo di tipo sostanzialmente assembleare.
L'esperienza degli ultimi anni dimostra che vi è una diffusa esigenza all'interno delle regioni di superare la contrapposizione fra presidenzialismo rigido e sistema di governo consiliare, adottando forme di governo presidenziale diverse da quelle regolate dall'attuale articolo 126 della Costituzione. Una strada percorribile per introdurre elementi di flessibilità può essere quindi individuata in una parziale modifica dell'articolo 123 della Costituzione già prevista in parte nel testo approvato dal Senato e che ritengo debba essere allargata ad altri casi, lasciando la possibilità al consiglio regionale di scegliere con grande autonomia i casi in cui intende applicare il principio del simul stabunt, simul cadent, permettendo negli altri casi la rielezione di un altro presidente. A mio parere, la forma del governo delle regioni ha necessità di flessibilità. È questa l'occasione per introdurla.
Mi avvio a conclusione, signor Presidente, onorevoli colleghi, ricordando che il lavoro che stiamo svolgendo avviene nel rispetto della prima parte della Costituzione, che resta invariata e che rappresenta lo sfondo di permanente continuità con la storia nazionale e con i valori che l'intero nostro popolo condivide. Tuttavia, dobbiamo anche essere consapevoli che le modifiche che stiamo introducendo nella parte seconda sono così incisive che possiamo parlare di dar vita ad una Costituzione nuova. Scrivere ed adottare una Costituzione è una grandissima responsabilità ed insieme un alto e raro privilegio. La Costituzione della Repubblica del 1946 ha assolto egregiamente il suo compito e ha dato una risposta grandemente positiva alle attese e alle speranze dei cittadini italiani di quel lontano dopoguerra in cui gli italiani ritrovarono la libertà e la democrazia. Le sue regole hanno saputo disciplinare i processi della società italiana che maturava, che diventava ricca, che mutava la sua cultura; hanno saputo regolare il passaggio da una società ancora prevalentemente agricola ad una società postindustriale.
Oggi abbiamo il gravoso compito di scrivere le regole che dovranno permettere al nostro paese e al nostro ordinamento di vivere con successo in un mondo globalizzato dove i conflitti politici, economici e culturali saranno più numerosi che non nel passato. Sarà un mondo diverso, probabilmente più difficile. Questa consapevolezza deve indurre la maggioranza ad avere la saggezza di accettare i suggerimenti di tutti, in primo luogo dell'opposizione, perché tutto è sempre migliorabile, ma insieme deve renderla convinta che l'introduzione piena e coerente di un sistema federale è ormai indifferibile e non più rinviabile (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Violante. Ne ha facoltà.
LUCIANO VIOLANTE. Signor Presidente, ieri abbiamo ascoltato l'intervento del ministro con attenzione ed interesse. Eravamo fortemente preoccupati per le incongruenze e le assurdità del testo uscito dalla Commissione. Eravamo assai perplessi per la quantità e la qualità delle tesi riformatorie che si sono succedute durante tutta l'estate. Eravamo desiderosi di conoscere dalla viva voce del ministro le ipotesi di riforma concordate nel centrodestra. Ma dopo l'ascolto dell'intervento del senatore Calderoli ci siamo sentiti come i mugnai di cui parla Cervantes.
Don Chisciotte, in una delle sue peregrinazioni, si imbatte in un gruppo di mugnai e chiede loro, minacciandoli con la lancia, di riconoscere che Dulcinea del Toboso è la più bella dama del reame. Uno dei mugnai - che deve essere un illuminista - replica che è perfettamente disponibile, ma vorrebbe prima vedere il viso della dama, almeno in un ritratto. Ma Don Chisciotte replica che sarebbe troppo facile. Bisogna riconoscere la bellezza di Dulcinea senza vederla, con un atto di fede.
Ecco, noi, a differenza di quel che accadde con i mugnai di Cervantes, intendiamo esaminare con la necessaria attenzione i testi che il Governo e la maggioranza presenteranno. La nostra laicità costituzionale non ci ha impedito di apprezzare la decisione del ministro Calderoli di accogliere la nostra richiesta di intervento, ma ci impedisce di corrispondere a quell'intervento con atti di fede.
Il primo organico progetto di riforma costituzionale, come i colleghi sanno, fu costruito proprio nella scorsa legislatura, durante gli anni del centrosinistra. Quel progetto non fu portato a termine per principale responsabilità del centrodestra, che, dopo aver approvato in Commissione bicamerale il testo di riforma, e dopo aver approvato in Assemblea la parte relativa alla riforma federale dello Stato, si ritirò unilateralmente dall'impegno riformatore. L'allora capo dell'opposizione non aveva ottenuto ciò che sperava sul terreno della giustizia, e temeva di consegnare al centrosinistra la palma della riforma costituzionale.
Noi non abbiamo pregiudizi (e qui rispondo all'invito rivolto dal ministro ieri), non abbiamo interessi privati da difendere, non temiamo di misurarci, anche dall'opposizione, con il grande tema della modernizzazione della Repubblica e delle sue istituzioni.
Ma, come insegna l'iter assai travagliato del tentativo che state mettendo in atto ormai da tre anni e mezzo, la revisione costituzionale contemporanea di forma di Stato, forma di governo e forma del Parlamento comporta concatenazioni e connessioni reciproche così profonde da richiedere un esame attento tanto delle singole parti quanto del tutto. Può darsi, in questa materia, che le singole parti, una per una, possano funzionare in astratto, ma che, contemporaneamente, il funzionamento complessivo del sistema resti bloccato.
Noi siamo convinti, da tempo, che il sistema costituzionale italiano abbia bisogno di un robusto intervento riformatore, ed indico quelli che, a nostro avviso, sono i difetti più gravi. Il bicameralismo perfetto è un residuo storico. I controlli ed i contrappesi vanno rivisti, alla luce del sistema maggioritario, affinché possano mantenere la loro funzione di garanzia.
Il federalismo introdotto nella scorsa legislatura va condotto a compimento e corretto in parti non secondarie che, alla prova dell'applicazione, hanno dimostrato la loro inadeguatezza. Occorre impedire cambi di maggioranza, nel corso della legislatura, che vanifichino la volontà popolare. Il Presidente del Consiglio deve avere poteri di nomina e di sostituzione dei ministri.
Il Governo e il Parlamento devono vedere rafforzato il proprio peso nel sistema politico. Uno degli errori più frequenti è pensare che ad un Governo forte debba corrispondere un Parlamento debole, o viceversa. Una consolidata democrazia, quella americana, ha un Governo forte ed un Parlamento forte, ed è consolidata proprio per questo.
Occorre costruire una coerenza tra forma di governo regionale e forma di governo nazionale, ferma l'elezione diretta dei presidenti di regione. Non è stato saggio, nella scorsa legislatura, attribuire ad ogni regione il potere di costruirsi il proprio sistema elettorale, con l'effetto di moltiplicare, spesso irragionevolmente, i sistemi politici ed il rischio di indebolire il funzionamento della democrazia e la forza del paese.
La sfera della politica deve riprendere nelle proprie mani il compito di rendere concreti i diritti ed efficiente il principio di responsabilità. Dobbiamo uscire tutti dal circuito ristretto, in cui spesso ci chiudiamo, della composizione degli interessi volta a volta rilevanti sulla scena pubblica.
Al centro della nostra idea di riforma costituzionale che serve al paese c'è la critica ad un sistema che è diventato non il motore, ma il freno dell'Italia, della sua competitività, della sua creatività, della sua sicurezza e delle sue libertà.
Al centro della nostra idea di riforma c'è l'esigenza di evitare che la Repubblica parlamentare continui a sciogliersi in una sorta di Stato giurisprudenziale, le cui regole, i cui indirizzi, il cui stile di vita e di comportamento siano dettati da corporazioni di custodi, dovunque essi siano e comunque essi si chiamino, nella società, nel mercato e nelle istituzioni.
Al centro del nostro progetto ci sono la sovranità, la legge, la rappresentanza e la responsabilità, che sono le quattro grandi categorie della democrazia dei contemporanei.
Proprio in attuazione di questi criteri, di queste preoccupazioni e di queste aspirazioni, i colleghi dell'opposizione che unitariamente hanno lavorato in Commissione affari costituzionali, hanno presentato proposte che disegnano un organico progetto di moderna ed efficiente riforma costituzionale. Ne discuteremo nei prossimi giorni.
Intendo in questa sede richiamare all'attenzione del Governo e della maggioranza i principi politici fondamentali che ispirano le nostre proposte. Innanzitutto la Camera che non esprime l'indirizzo politico non può esprimere il voto definitivo sulle leggi, di qualsiasi natura. Conseguentemente non vi possono essere leggi approvate definitivamente dal Senato. Le leggi, o sono approvate definitivamente dalla Camera o sono sottoposte ad un processo bicamerale perfetto, a seconda dei casi.
Il Presidente del Consiglio dei ministri è sempre designato dal Capo dello Stato, sulla base dei risultati elettorali; se sfiduciato, deve dimettersi e la Camera viene sciolta soltanto se non dà la fiducia, entro tempi brevi, ad un altro Presidente del Consiglio, espressione della stessa maggioranza uscita vincitrice dalle urne. La Camera approva il programma del Governo. Le proposte che sono espressione del programma di Governo hanno un iter garantito.
Il Senato deve essere eletto contestualmente ai consigli regionali.
Alle regioni devono essere trasferiti contemporaneamente poteri e risorse.
I cittadini non possono essere discriminati nell'esercizio dei loro diritti fondamentali, in relazione alla regione nella quale vivono (ieri, l'onorevole Giordano si è soffermato con particolare forza su tale punto).
Il ricorso ai decreti-legge deve essere disciplinato. Nel procedimento di costruzione delle leggi delegate il Parlamento deve avere potere di intervento.
La distinzione delle competenze tra Stato e regioni deve essere inequivoca.
Nessuna legge può essere sottratta al sindacato di costituzionalità della Corte.
Le norme devono avere la sobrietà e la duttilità proprie di un testo costituzionale, che è per sua natura destinato a durare nel tempo.
Per evitare equivoci, tali qualità non vi erano nel testo approvato nella scorsa legislatura.
Non riteniamo, naturalmente, che le nostre siano verità indiscutibili, ma vorremmo discuterle, appunto. Cosa che sinora non è stato possibile fare.
Giustamente, ieri l'onorevole Montecchi si chiedeva come mai oggi è possibile quel confronto che ieri, in Commissione e, prima, al Senato che ci è stato negato e come mai oggi ci si dice favorevoli a proposte che ieri non sono state neanche prese in considerazione.
In realtà, sinora la maggioranza ha proceduto con il criterio dell'autosufficienza e dello scambio politico interno. La vostra riforma - quella approvata dalla Commissione - non serve a ridisegnare l'ordinamento costituzionale, ma a cementare un patto politico nella maggioranza, per poter proseguire la legislatura, sotto la frusta della Lega. Ma ciò che vale per il patto politico si è rivelato non idoneo a ridisegnare il profilo della Costituzione. E viceversa.
La Lega può vantare la devoluzione, Forza Italia il premierato, Alleanza nazionale l'interesse nazionale, l'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro uno smussamento delle punte e la promessa della legge elettorale proporzionale. Se le cose stanno così, è evidente che la riforma non è negoziabile. Non si può discutere con l'opposizione un patto che riguarda la stabilità della maggioranza, perché a quel patto l'opposizione è, per sua natura, estranea. Ma quando siete andati a verificare la funzionalità complessiva del progetto, vi siete accorti del disastro. È a questo punto che avete aperto all'opposizione, non sappiamo se con spirito mutato - che sarebbe un dato positivo - o al fine di avere, volta a volta, alleati nuovi in questa o quella modifica - che sarebbe un dato negativo -, ma lo sapremo nei prossimi giorni.
Le ferme parole pronunciate dal presidente Castagnetti ieri sera sul testo del Senato e su quello uscito dalla Commissione sono da noi condivise.
La Camera ha perso ogni autonomia.
Il Senato è trasformato in un organo del tutto irresponsabile, che può bocciare i progetti di legge sui quali il Presidente del Consiglio ha ottenuto la fiducia alla Camera, senza che vi siano conseguenze né per il Senato, né per il Presidente del Consiglio.
Se mi permette, signor Presidente, potrei ripetere che il Presidente del Consiglio ha nella Camera una colf e nel Senato una badante.
I Presidenti delle Camere possono bloccare l'iter delle leggi e possono discrezionalmente adottare procedure che impediscono l'intervento della Corte costituzionale. Le regioni vedono immediatamente trasferiti i poteri, ma i principi per il loro esercizio e le risorse vengono determinati con leggi successive (se e quando ci saranno), che sono sottoposte a quel diabolico meccanismo sopra accennato.
Si aggiunga lo scandalo dei molteplici sistemi di sanità, di scuola e di polizia locale, espressione questa che nessuno ha sinora spiegato cosa significhi. Il potere sostitutivo dello Stato e l'interesse nazionale, che tanto entusiasmano alcuni colleghi di Alleanza nazionale, sono tremule foglie di fico su queste vergogne, che non funzionano perché assoggettati anch'essi a leggi successive.
La rottura dell'unità nazionale è duplice e profonda.
Il funzionamento dello Stato centrale è paralizzato a causa dello squinternato procedimento legislativo e degli anomali poteri del Senato nei confronti del Governo. La devoluzione rompe in due il paese.
Quando questi nodi vengono al pettine - e questo è un merito anche dell'UDC, di cui diamo volentieri atto - il Governo con l'intervento di ieri si dichiara aperto al contributo dell'opposizione. Qui si pone un altro problema. C'è qualcuno che può ragionevolmente pensare in quest'aula che i tempi imposti a luglio siano compatibili con un confronto serio, come noi chiediamo da tempo e sul quale ieri ci sono state apprezzabili aperture, anche di merito, da parte del ministro?
Dico di più: il procedimento seguito non è idoneo a costruire una riforma così ambiziosa e di così vasto respiro. Chiunque governi, è inevitabile che i patti di maggioranza (sia Governo di centrodestra sia Governo di centrosinistra) tendano a soffocare lo spirito e la finalità costituente. Perciò nella scorsa legislatura tentammo di individuare una strada nuova, quella della Commissione bicamerale, nella quale maggioranza e opposizione, divise in Assemblea e nelle altre Commissioni, lavorassero insieme al riparo dal legittimo conflitto quotidiano. Anche quell'esperienza non ha avuto esito felice, per ragioni politiche, non per ragioni istituzionali.
Allora, mi chiedo se non ci si debba rapidamente interrogare sui limiti intrinseci di un potere autodefinitosi costituente in un'Assemblea eletta con il sistema maggioritario e, quindi, con lo scopo precipuo di garantire la governabilità e non la riforma costituzionale.
Insomma, a mio avviso, un Parlamento eletto con un sistema maggioritario può correggere alcuni aspetti della Costituzione, può certamente approvare leggi costituzionali, ma quando si tratta di correggere insieme forma di Stato, forma di Governo e forma del Parlamento occorre pensare a procedure che riportino alla sovranità popolare il potere di intervenire su aspetti così profondi della Costituzione. Già Dossetti aveva detto cose assai profonde sulla natura del potere costituente, citate ieri dal capogruppo della Margherita. D'altra parte non esistono, che io sappia, casi di Assemblea costituente eletta e funzionante in costanza del funzionamento regolare del Parlamento.
Mi chiedo, allora, se non bisogna riflettere su altre ipotesi. Ad esempio, si potrebbe riprendere il processo costituente attraverso l'istituzione di un'Assemblea con un numero limitato di componenti, un centinaio circa, eletta dai cittadini con voto proporzionale e con mandato limitato alla proposta di un organico progetto di riforma della forma di Stato, della forma di Governo e della forma del Parlamento. La proposta verrebbe poi approvata o bocciata dal Parlamento, con limitati poteri di intervento correttivo.
Mi rendo conto delle obiezioni che potrebbero essere sollevate in particolare in caso di bocciatura da parte del Parlamento di qualche proposta chiave. Ma tutte le vie sinora seguite si sono rivelate inidonee allo scopo; quindi, è opportuno pensare ad altre strade.
Si tratta, colleghi, non solo di trovare soluzioni idonee a risolvere il problema storico della modernizzazione costituzionale del paese, ma anche ad individuare forme e modi che non riproducano quasi meccanicamente la tradizionale divisività italiana, la identità costruita per opposizione e delegittimazione reciproca più che per solidarismo civico, per lealismo costituzionale, per senso di appartenenza ad una comunità nazionale.
Sentiamo il dovere politico di concorrere ad un processo di costruzione di una nazione unita, che abbia fiducia nelle proprie forze, che sappia costruire il proprio futuro sviluppando sinergie e non contrapposizioni pretestuose utili a conservare recinti ideologici nei quali coltivare private utilità e pubbliche carriere.
Il limite maggiore del centrodestra, a nostro avviso, è avere proposto la parte come tutto, di avere alimentato odi politici e territoriali, di avere usato strumenti parlamentari come arma di criminalizzazione degli avversari politici.
Mentre in tutti i sistemi democratici le regole servono a disciplinare l'esercizio del potere, nella vostra pratica politica l'esercizio del potere ha lo scopo di disciplinare l'applicazione delle regole. A questo anomalo principio avete ispirato alcune vostre riforme.
Il fallimento di questa politica è sotto gli occhi di tutti. L'Italia è più debole, più povera e meno competitiva. Ma non ci limitiamo alla denuncia: noi ci proponiamo come futura classe di Governo e poi gli italiani decideranno. Ma, a differenza di voi, vogliamo farlo con un progetto che unisca e fortifichi il paese; a questi criteri corrispondono le nostre proposte (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, di Rifondazione comunista e Misto-Verdi-L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.
GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, gli annunci espressi dal ministro nella giornata di ieri ed anche la disponibilità dichiarata dal ministro stesso, nonché quella da sempre mostrata dal presidente della Commissione, non mutano, come emerge dalle dichiarazioni dei colleghi, il giudizio politico delle opposizioni.
Non muta il giudizio politico su un impianto che, a mio avviso, desta un allarme sul piano democratico, in particolare, per il pesante ridimensionamento che subirebbe il Parlamento e per le pesanti conseguenze sociali che produrrebbe la cosiddetta devolution. Nessuno degli annunci fatti, ed anche le piccole correzioni apportate al testo, possono inficiare un tale giudizio.
La preoccupazione è tanto più forte se collocata in un contesto nel quale lo stesso Trattato per la Costituzione europea, che verrà sottoposto alla firma a Roma il prossimo 29 ottobre, sottrae potere ai Parlamenti nazionali senza che, contestualmente, il Parlamento europeo acquisisca alcun ruolo.
Anzi, continueranno ad essere i Governi a decidere sulla testa dei cittadini europei, con l'ausilio dei soggetti tecnocratici come la Banca centrale europea. Saranno loro a decidere se tagliare le spese sociali nei singoli paesi.
Non è un caso se dovunque, dalla Francia alla Germania, fino al nostro paese, si stanno moltiplicando iniziative, manifestazioni e proteste dei lavoratori e di tutti coloro che avvertono maggiormente lo stato di perenne precarietà nel quale le politiche neoliberiste, decise a Maastricht, li stanno trascinando.
Un vero allarme democratico dunque: da una parte, un Trattato europeo che potrebbe determinare produzioni legislative europee immediatamente applicabili, senza che il nostro Parlamento possa verificare la congruenza con i nostri principi costituzionali, e, dall'altro, una riforma della seconda parte della Costituzione che pone nelle mani del premier poteri di interdizione inaccettabili e che propaganda per federalismo la creazione di nuove centralità a livello regionale. Non siamo solo noi a bocciare i contenuti del disegno di legge S. 2544 di revisione della nostra vigente Costituzione ed oggi in discussione: il giudizio degli opinionisti indipendenti che abbiamo letto e quello di illustri costituzionalisti auditi in Commissione è pressocché unanimemente negativo.
Anzi, dalla gran parte della dottrina giuridica si sono levate vere e proprie grida di allarme per la preoccupazione che le modifiche annunciate finiscano per «sfigurare» il sistema costituzionale. Ci si è persino tornati ad interrogare su un problema di grande rilievo: da sempre infatti la dottrina costituzionalista si chiede sino a che punto si possa considerare legittimo un disegno che tenda non soltanto alla revisione del testo costituzionale, ma che addirittura miri ad una sua profonda alterazione.
Come la Corte costituzionale ha ricordato in tempi non sospetti, i principi supremi dell'ordinamento non possono venire modificati neppure utilizzando la procedura stabilita per la revisione della Costituzione. La domanda è quindi volta a sapere se il disegno di legge in esame infranga alcuni di questi principi.
Diversi ed illustri costituzionalisti hanno risposto positivamente, ragionando proprio sulle linee portanti e sul senso complessivo, nonché rispetto agli obiettivi di fondo cui il testo mira, al di là delle specificità delle proposte relative ai singoli articoli.
Il professor Ferrara, ad esempio, sostiene che il termine giusto non sarebbe neanche quello di una revisione della seconda parte della Costituzione, ma di modificazioni delle norme costituzionali sottolineando, tra l'altro, come l'introduzione del cosiddetto premierato si annunci come inventore e produttore prima ancora che come prodotto della figurazione della Carta costituzionale. Si tratta di una figurazione aggravata con la devolution, con un bicameralismo non si sa di che tipo, ma pessimo, e con la modifica della composizione della Corte costituzionale, che snaturerebbe il ruolo di tale organo di garanzia.
È possibile, allora, con un'unica legge di revisione modificare parti diverse della Costituzione costringendo il Parlamento - e poi il corpo elettorale, cui spetta il giudizio definitivo sulla riforma costituzionale nel caso in cui sia richiesto un referendum ai sensi dell'articolo 138 della Costituzione - ad esprimersi su materie così eterogenee? Il problema si pone anche sulla scorta di una giurisprudenza costituzionale in materia di referendum abrogativo di leggi ordinarie perché si ritiene che la volontà popolare rischierebbe di essere solo retoricamente chiamata in causa venendo messa, in realtà, nell'impossibilità di dare un giudizio distinto sulle singole parti. L'essere costretti a dire «sì» o «no» ad un pacchetto di riforme senza potere, invece, distinguere tra ciò che piace e ciò che non si vuole, non pare trovare cittadinanza nella nostra democrazia costituzionale.
Va aggiunto, inoltre, che se è vero che parliamo di modifiche alla seconda parte della Costituzione queste avranno conseguenze oggettive sulla prima, quella relativa ai diritti ed ai doveri dei cittadini. Ciò non vale soltanto per la cosiddetta devolution che determinerà oggettivamente cittadini di serie A e di serie B anche su base territoriale. Infatti, alla Camera dei deputati spetterà di decidere in via definitiva sulle leggi che la Costituzione attribuisce alla potestà esclusiva dello Stato - tra cui, appunto, la disciplina della gran parte dei diritti costituzionali - ma su quella Camera potrà agire il potere di ricatto attribuito al premier in un contesto, peraltro, molto diverso anche rispetto ad altri equilibri, come nel ruolo delicatissimo della Corte costituzionale.
Dunque, al di là della nostra contrarietà di merito, che rimane, sarebbe come minimo opportuno da parte della maggioranza rinunciare a determinare forzature e, quanto meno, articolare le proposte in diversi disegni di legge a seconda delle materie o degli organi costituzionali che si vogliono modificare. Per quanto ci riguarda non solo siamo contrari al merito delle singole proposte, oltre che all'impianto complessivo, ma sottolineiamo il valore dell'attuale Carta costituzionale, la pariordinazione in essa riconosciuta ai poteri dello Stato, il garantismo insito nell'esercizio collettivo della potestà legislativa di Camera e Senato, il pluralismo politico e culturale presupposto in tante sue norme e la capacità di sviluppo insita in esse.
Ciò non significa necessariamente che non vi è nulla da toccare, in particolare per quanto riguarda il bicameralismo perfetto, a maggior ragione dopo la riforma del Titolo V della Costituzione. Tuttavia, un conto è rivedere qualche articolo, un altro è stravolgere l'impianto della Costituzione intervenendo su 42 articoli.
Il testo che voi proponete sta in una logica tutta interna ad una mediazione nel Governo e nella maggioranza che nulla concede ad un confronto sereno e rigoroso come dovrebbe essere in materia costituzionale. Lo dimostra perfino il percorso istituzionale che precede la discussione di questi giorni: un dibattito in Commissione in cui gli esponenti dell'opposizione hanno parlato spesso al vento perché non vi era una disponibilità al dialogo; l'annuncio del ministro che la maggioranza avrebbe cercato la mediazione ultima fuori dalle aule del Parlamento e le modifiche che oggi ci troviamo ad esaminare senza alcun altro passaggio in Commissione. Si tratta di modifiche annunciate che ancora, peraltro, non sono nelle nostre mani.
Verificheremo anche le cifre che vorrete fornire a proposito dei costi del tanto propagandato federalismo per quantificare se lo stesso comporterà effettivamente un incremento di spese locali del 40 per cento, come appare dai dati apparsi sulla stampa. Già sappiamo che la preoccupazione dei presidenti di regione è forte e trasversale, visto che già oggi i tagli prodotti ai servizi ai cittadini nonché al lavoro dei dipendenti pubblici sono allarmanti e, in ogni caso, sono già certi i costi sociali e democratici di tale riforma.
Infatti, al di là dei numeri, va da sé che una riforma che nasce sull'impianto della cosiddetta devolution produrrà danni alla democrazia e nuove diseguaglianze sociali. Questa icona del federalismo, che sembra l'ultima ragione di esistenza della Lega - e certamente lo è, per giustificare la sua permanenza nel Governo, visto che le altre bandiere, persino quella delle pensioni, si sono perse per strada! -, va detto subito che non c'entra nulla con il federalismo; essa si tradurrà semplicemente in nuove centralità fra lo Stato e le regioni, con buona pace per gli enti locali. Il nuovo Senato federale, come cercheremo di dimostrare in sede di esame dei nostri emendamenti, di «federale» non ha che il nome. Dov'è sta, infatti, il collegamento tra i senatori federali e il territorio? Già oggi l'articolo 57 della Costituzione prevede che l'elezione del Senato debba avvenire a base regionale. La cosiddetta rappresentanza territoriale dei senatori, come proposta dalla maggioranza e dal Governo, risulta non solo indeterminata, ma persino ridicola, laddove si introducono requisiti come l'aver ricoperto cariche pubbliche elettive in enti territoriali. Da una parte, si introducono requisiti che non offrono alcuna garanzia rispetto all'obiettivo dichiarato; dall'altra, gli stessi si presentano in palese contrasto con il principio supremo dell'eguaglianza dei cittadini.
Certo è che il Senato federale che voi disegnate non corrisponde a nessuno dei modelli di bicameralismo federale di cui si abbia notizia. Anche le modifiche che sono state prospettate ieri dal ministro e gli accenni all'introduzione di due nuove figure, espressione del consiglio regionale e dell'ente locale, a mio avviso non fanno che aggiungere altri pasticci ad un progetto che è già pasticciato di suo. La previsione che il Senato federale debba essere eletto a suffragio universale e diretto ne escluderebbe ogni parentela con il Bundesrat, che è espressione dei soli esecutivi delle entità alle quali si pretenderebbe di assimilare le nostre regioni. La composizione dell'organo, visto che verrebbe confermata quella prevista dal vigente articolo 57, al di là del numero, peraltro lievemente ridotto, escluderebbe anche una qualche derivazione dal modello del Senato federale degli Stati Uniti, dal momento che nel Senato americano, pur essendo eletto a suffragio universale dagli elettori dei singoli Stati, a ciascuno degli Stati spettano due soli senatori, qualunque sia la rispettiva popolazione.
Il Senato che voi proponete si collocherebbe invece in posizione sostanzialmente paritaria alla Camera dei deputati, laddove si determinerebbero competenze prevalenti differenziate, ma nei fatti, dal percorso legislativo prefigurato, è facile prevedere persino una subalternità sostanziale della Camera dei deputati, all'interno di un contesto di empasse parlamentare perenne in cui in ultima analisi conterrebbe solo l'Esecutivo o meglio il suo premier. Viceversa, la proposta che noi avanziamo, prevede una vera rappresentanza territoriale e di genere, prefigurando un Senato delle regioni, i cui membri sarebbero eletti con sistema proporzionale dai consigli regionali stessi, dando dunque risposta alle istanze proposte dai rappresentanti degli enti locali, che potrebbero così essere parte di questi eletti. Si tratta di una proposta che risponde davvero all'esigenza di un confronto ravvicinato tra i diversi livelli istituzionali, superando l'attuale contrattazione tra esecutivi e determinando invece un luogo di composizione delle diverse istanze. Sarebbe un vero superamento del bicameralismo perfetto, che negli anni Settanta e Ottanta ha comportato, tra le altre cose, una media di 260 giorni (in quel periodo) per approvare le leggi e che ha prodotto, come effetto distorto - è diventato persino un alibi! -, un intervento legislativo del Governo con i decreti-legge, che è stato poi corretto solo successivamente nel 1988, sanando gli eccessi; ciò testimonia di come da sempre si fosse posto il problema del superamento di questo bicameralismo perfetto. Dunque noi lavoriamo su questa ipotesi, ma all'interno delle storie e delle esperienze conosciute di questi modelli.
La nostra, inoltre, è un'ipotesi che andrebbe in parte a sanare le conflittualità già esistenti, dopo l'approvazione del Titolo V, che meriterebbe altri approfondimenti in merito alle competenze tra Stato e regioni, come viene peraltro dimostrato dagli interventi fin qui svolti dalla Corte costituzionale relativamente all'energia, alle grandi reti, alle infrastrutture, al turismo ed allo sport, materie che dovrebbero essere attribuite allo Stato. Un'ipotesi soprattutto tesa a valorizzare il ruolo del Parlamento che voi, invece, modificate.
Voi decidete di non toccare il Titolo V, anche se, forse, così mi è parso di comprendere dagli annunci del ministro, qualche ritocco almeno per quanto riguarda le sentenze della Corte si vorrà approntare; sostanzialmente, però, decidete di non toccare il Titolo V, rispetto al quale avete, anche giustamente, accusato il centrosinistra per averlo approvato da solo ed in fretta e furia. Invece di ragionare insieme e serenamente, di mettere a posto quei meccanismi che dovrebbero essere corretti, decidete di intervenire, moltiplicando i danni e le controversie.
Infatti, se passasse l'operazione devolution, come ha scritto brillantemente un altro illustre costituzionalista, si innescherebbe un effetto di demolizione dei diritti e della politica. Da una parte, avremo il problema del principio di unità dello Stato, che verrebbe profondamente minato, e, dall'altra, la necessità comunque di attribuire nuovi poteri ai consigli delle regioni e degli enti locali, a fronte di quell'idea che si va alimentando da qualche anno a questa parte, cioè che una carica monocratica, eletta dal popolo, incarni il bene assoluto, mentre, al contrario, partiti ed assemblee legislative sarebbero le fonti di tutte le nefandezze e di tutti i mali delle democrazie moderne.
Non solo così non è, ma, recentemente, vi sono state alcune interpretazioni sui dati inerenti alle opinioni della società italiana e dei cittadini. Il Censis, infatti, in recentissime indagini conferma che il leaderismo è morto e che i cittadini italiani chiedono valori e programmi nelle regioni ed a livello nazionale.
Nonostante ciò, qualcuno pensa di insistere nel soffocare la democrazia, attraverso le elezioni plebiscitarie dei presidenti o assegnando loro poteri smisurati. È il caso del premierato assoluto che vorreste introdurre non più solo come rafforzamento dei poteri del primo ministro, come molti da tempo sollecitano, ma quale figura che deforma l'attuale configurazione, basata su equilibri tra i diversi poteri, intaccando pesantemente la cultura dei contrappesi.
Il potere del primo ministro è solo falsamente sottoposto a limiti ma, in realtà, ne è privo e neanche quelle piccole modifiche che avete annunciato vanno ad interferire con questa valutazione. È questa l'antitesi stessa del costituzionalismo e della sua esigenza essenziale di sottoporre il potere a regole per limitarlo e limitarne l'esercizio arbitrario. La combinazione automatica, sfiducia su un provvedimento e scioglimento della Camera richiesto dal primo ministro che ne assume la responsabilità (in diritto costituzionale responsabilità denota potere), significa mettere nelle mani di una sola persona un potere di ricatto senza uscita.
Leopoldo Elia l'ha definito premierato assoluto, un ibrido anomalo, estremamente pericoloso. È l'antitesi del costituzionalismo, come scritto da qualche altro costituzionalista, che si colloca in quelle concezioni tutte interamente dalla parte del potere e non dalla parte dei cittadini, e non vale sostenere che attraverso quei meccanismi stabilizzanti si terrebbe fede al mandato degli elettori.
In realtà, se esistono tante forme indirette da parte dei cittadini, a partire dal conflitto sociale, per segnalare il proprio scontento verso determinate politiche governative e se è possibile che, in una democrazia parlamentare, taluni scontenti possano determinare una modificazione negli equilibri politici delle istituzioni, è certo che tali anomale costruzioni determinerebbero un deterrente preventivo per mantenere in piedi Governo e legislatura a tutti i costi.
Nessuna maggioranza disastrosa e nessuna esperienza governativa profondamente deludente potrebbero essere messe in discussione. La decisione sarebbe tutta nelle mani del premier, che ha gli strumenti per rimanere fedele a tutti costi all'iniziale mandato.
Se la preoccupazione fosse quella di mantenere una coerenza con la volontà espressa dall'elettorato, sarebbe sufficiente, come noi indichiamo, attingere dall'esperienza tedesca, sistema che garantisce rappresentanza e governabilità.
Nella scelta del Presidente del Consiglio si tiene conto del mandato elettorale, ma il Governo mantiene un carattere parlamentare attraverso lo strumento della sfiducia costruttiva, respingendo l'eccessivo irrigidimento del sistema che deriverebbe da eventuali norme antiribaltoni, come quelle che, peraltro, sono state in questa sede annunciate.
Da parte nostra non ci sono invece contrarietà di principio alla nomina dei ministri da parte del Presidente del Consiglio, cosa che peraltro già indirettamente avviene seppure in un contesto in cui il Presidente della Repubblica ha potuto dialogare e intervenire, stanti le proprie competenze e responsabilità in materia. E le osservazioni pervenute a tali proposte costituiscono l'espressione dello spirito che dovrebbe caratterizzare un sistema parlamentare democratico, evitando di concentrare i poteri in un solo organo ed evitando qualsiasi irrigidimento del sistema.
Ciò vale in particolare se parliamo di forma di governo parlamentare, che ha il suo pregio maggiore nel fatto di accompagnare l'evoluzione delle situazioni sociali e politiche. Se invece si procedesse ad un irrigidimento, con un eccesso di norme formali che non sono previste quasi in nessun sistema, si rischierebbe, di fronte all'evolversi delle situazioni, la presenza di una forma di governo non rispondente alla realtà.
Se l'estromissione del Capo dello Stato dallo scioglimento anticipato è un'ulteriore conferma di voler liberare il potere, nella figura del premier, da ogni possibile limite, l'obiettivo complessivo di voler rafforzare i poteri dello stesso ha naturalmente un'incidenza sui poteri del Presidente della Repubblica, accentuando la mancanza di un equilibrio complessivo del sistema.
Infatti, prevedere che una serie di atti del Presidente della Repubblica non richiedano più la controfirma del Presidente del Consiglio dei ministri o dei ministri competenti appare, a nostro avviso, come un dono avvelenato, proprio nella logica di un equilibrio di sistema che viene destrutturato.
Si è discusso molto circa l'inserimento nella Costituzione di nuove garanzie dopo l'avvento del sistema maggioritario; in particolare, si è parlato di statuto delle opposizioni. Siamo contrari a qualsiasi meccanismo volto a formalizzare la logica dell'alternanza e lo statuto delle opposizioni, non solo il leader delle stesse, sta proprio in questa logica.
Allo stesso tempo, siamo contrari all'istituzione di vincoli costituzionali relativamente a norme proprie dei regolamenti parlamentari, a proposito dei quali la stessa Corte costituzionale ha già manifestato la volontà di non voler interferire.
Gli argomenti che intendiamo approfondire da questo punto di vista riguardano, invece, la possibilità di ricorso alla Corte relativamente alla convalida degli eletti, l'istituzione delle Commissioni di inchiesta parlamentare, vista l'esperienza di questa legislatura, nonché il quorum per l'elezione del Presidente della Repubblica, che perderebbe il suo ruolo super partes se eletto con i soli voti della maggioranza di governo.
A proposito di garanzie, c'è un punto che consideriamo particolarmente importante e delicato, non tanto per le opposizioni, quanto per tutti i cittadini e le cittadine italiane, che riguarda la composizione della Corte costituzionale.
Come è stato sottolineato nel corso di diversi convegni, il triplice meccanismo di nomina dei giudici costituzionali ha lo scopo di far confluire nella Corte esperienze e tendenze diverse, che le consentano di esercitare nella maniera più adeguata le attribuzioni demandatele, conciliando la duplice esigenza di mantenere un collegamento dell'organo con gli istituti della democrazia rappresentativa e di assicurarle garanzie di indipendenza analoghe a quelle proprie del corpo giudiziario.
Fortunatamente, il testo al nostro esame corregge quello originario, che prevedeva persino una modifica nel numero dei componenti (gli attuali quindici), frutto anche questo di rigorose valutazioni, come la positiva esperienza insegna.
Inoltre, il passaggio in Commissione ha tentato di porre rimedio - a mio avviso, non risolvendo comunque il problema - ad un altro grave errore relativo alle nomine, proponendo che tre giudici siano nominati dalla Camera dei deputati e quattro dal Senato federale. Noi, invece, siamo assolutamente convinti che l'articolo 135 della Costituzione debba rimanere invariato in tutti i suoi aspetti, prevedendo cinque giudici nominati dalle supreme magistrature ordinarie e amministrative, cinque dal Presidente della Repubblica e cinque dal Parlamento in seduta comune.
Solo così si ha infatti la certezza di garantirne l'alto grado di unità e di rigore, non di parte, sapendo che proprio la sua composizione preclude che, nel suo ambito, si confrontino interessi giuridicamente rilevanti, impersonati da poteri in conflitto. La Corte deve dirimere tali conflitti, non riprodurli al suo interno, come accadrebbe in una logica di pretesa rappresentanza regionale; qui risiedeva la logica dei sette giudici espressi dal Senato, all'origine della proposta, che determinerebbe soltanto un processo di politicizzazione di un organo di giustizia costituzionale.
Affronteremo dettagliatamente i diversi aspetti dei 42 articoli al nostro esame e abbiamo già detto sulla valutazione politica di fondo a proposito della cosiddetta devolution; durante l'esame degli emendamenti approfondiremo non solo il giudizio sugli elementi di disgregazione dal punto di vista sociale che si determinerebbero sul piano dei diritti fondamentali come la salute, l'istruzione e la sicurezza, ma persino gli interrogativi e le incongruenze che un tale provvedimento determinerebbe.
Come il lavoro in Commissione ha dimostrato e nonostante i numerosi emendamenti presentati dall'opposizione, il nostro sforzo è stato quello di contestare e proporre alternative nel merito del disegno di legge. Anche i numerosi emendamenti soppressivi sono infatti il frutto di ragionamenti approfonditi, nella convinzione che la nostra Carta Costituzionale conservi una straordinaria attualità e vada quindi salvaguardata nella sua sostanziale interezza. Tuttavia, la riforma del Titolo V e le nuove competenze, nonché la conflittualità che ne deriva, pone certamente il problema di correggere determinati aspetti, che tengano conto delle sentenze della Corte, ma non soltanto. Naturalmente su tutti gli aspetti da me citati, ma anche su altri richiamati in quest'aula, siamo pronti ad un confronto, ma riteniamo che sia quantomeno doveroso riuscire a circoscrivere le materie e soprattutto offrire un terreno di confronto rigoroso di democrazia «democratica», ciò che a mio avviso manca in questa sede per le modalità e il percorso seguiti.
Daremo, dunque, battaglia in Parlamento e lavoreremo anche all'esterno per far conoscere ai cittadini quale è effettivamente la posta in gioco. Nella malaugurata ipotesi in cui il provvedimento in esame dovesse essere approvato in Parlamento, sarà il referendum a determinarne l'approvazione definitiva. Noi naturalmente faremo di tutto per bocciarlo.
Sono temi difficili e forse non particolarmente attraenti per cittadini e cittadine già obbligati a lottare per arrivare alla fine del mese, facendo quadrare i conti, e che assistono pressoché impotenti ad uno scenario mondiale di guerre e di miseria. Ma proprio per affrontare un quadro tanto drammatico è necessario restituire la politica ad una vera partecipazione popolare e che lo straordinario movimento, soprattutto di giovani, resosi visibile per contrastare la guerra, possa incidere sulle tante precarietà imposte dalle vostre politiche, di cui è intriso anche il Trattato della Costituzione europea.
L'autunno che ci aspetta porta nella sua agenda tutti questi temi, perché la quotidianità della nostra vita, anche quella materiale, è strettamente connessa al grado di democrazia garantito. Non è un caso se il movimento dei movimenti ha costruito un consenso così ampio sul pianeta, proprio a partire dalla contestazione dei luoghi a-democratici e tecnocratici, guidati da pochi potenti della terra che pretendono di decidere le sorti di tutti. La nostra difesa dei principi costituzionali in questa sede ha la pretesa di avere anche questo respiro strategico. (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Carrara. Ne ha facoltà.
NUCCIO CARRARA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è fin troppo ovvio che ogni parlamentare porta con sé, nell'aula del Parlamento, il proprio bagaglio culturale, le proprie esperienze e le proprie aspirazioni. Potremmo quindi dire che, se fosse affidata ad ogni singolo parlamentare la redazione di un testo costituzionale, ogni deputato scriverebbe una Costituzione diversa dagli altri colleghi. In sintesi, voglio dire che dentro di noi c'è sempre una Costituzione ideale e ognuno propone soluzioni che ritiene essere le migliori. Ma ogni uomo politico ha il dovere di confrontarsi con il proprio tempo, con il contesto in cui agisce e con il proprio senso di responsabilità. Dovrebbe, quindi, mettere da parte le soluzioni ideali e cercare quelle possibili.
Tali soluzioni vanno cercate, ovviamente, anche in collaborazione con le forze di opposizione, qualora esse dimostrino volontà di collaborare e dimostrino di volere un assetto costituzionale nuovo. Va, infatti, sottolineato un ulteriore aspetto: in questa fase, non siamo chiamati a scrivere la Costituzione definitiva, destinata a valere per secoli e millenni; siamo chiamati a scrivere una Costituzione che modernizzi lo Stato, che risponda alle esigenze e alle istanze della società civile e al mandato elettorale che è stato conferito alle forze di maggioranza e che corregga i guasti della Costituzione vigente. L'unico termine di paragone è infatti dato dalla Costituzione vigente. Il testo che andiamo ad esaminare non va dunque paragonato con il testo che ciascuno di noi ha nella propria mente, ovvero con il testo perfetto, ma va rapportato e confrontato con la Costituzione vigente.
Mi rivolgo non soltanto ai colleghi dell'opposizione, ma anche a quelli della maggioranza. Infatti, circola - non si comprende bene come - una certa vulgata che trova sensibili anche alcuni parlamentari di maggioranza. Con riferimento, ad esempio, al mondo che sottolinea giustamente il valore dell'unità nazionale, qualcuno pone il dubbio che ci si trovi di fronte alla disgregazione dello Stato e dell'unità nazionale, quasi si fosse all'anno zero delle riforme. Come tutti sappiamo, in Italia si parla di riforme da oltre vent'anni, e ne sono state realizzate poche. Va tuttavia sottolineato che nella precedente legislatura è stato modificato il Titolo V della Costituzione, e oggi siamo chiamati a confrontarci con tale riforma. Dunque, con riferimento all'unità nazionale, va sottolineato in primo luogo che non vi è alcun rischio di disgregazione dello Stato: al contrario, il rischio di disgregazione dello Stato è presente nel testo vigente, a norma del quale vi sono regioni a statuto ordinario, regioni a statuto speciale e regioni che possono, se lo richiedono, appropriarsi di particolari poteri, diventando anche esse speciali o, forse, anche più speciali di altre regioni.
L'articolo 117 nel testo vigente prevede che lo Stato possa normare alcune materie e che le regioni possano normare altre materie, e si prevede anche che sulle materie non espressamente indicate la competenza spetti alle regioni. Ci troviamo di fronte a una devoluzione - perché di devoluzione si tratta - abborracciata e confusionaria, che ha prodotto moltissimo contenzioso, e che, se resterà in vigore, continuerà a produrre contenzioso.
Come legislatori, facendo appello al nostro senso di responsabilità, dobbiamo porci il problema, correggendo le sfasature del testo vigente, riducendo il contenzioso presso la Corte costituzionale e salvaguardando l'unità della Stato. Al riguardo, bene ha fatto il Senato a prevedere la soppressione del comma 3 dell'articolo 116.
Il comma sostiene esattamente che alla regione richiedente possono essere concesse ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117. Traducendo, si tratta di tutte le materie a legislazione concorrente; queste ultime - non sono poche - sono di grande rilievo. Mi riferisco addirittura al commercio con l'estero, all'istruzione, alla tutela della salute, all'alimentazione, alle grandi reti di trasporto e di navigazione, all'ordinamento della comunicazione e alla produzione, al trasporto e alla distribuzione nazionale dell'energia; tutte materie che oggi hanno prodotto un grande contenzioso. Ecco, queste materie - e non solo queste - possono già essere affidate alla competenza di una regione che ne faccia richiesta. La regione richiedente, inoltre, può anche espropriare un po' lo Stato delle sue competenze; mi riferisco, per esempio, alla lettera l), che riguarda la giurisdizione e le norme processuali, l'ordinamento civile e penale, la giustizia amministrativa. In questo caso, però, la possibilità di appropriarsi di poteri da parte della regione è limitata al solo giudice di pace. Se si fa riferimento alle lettere l) ed s), ad una regione può essere concessa una particolare autonomia per legiferare in ordine a norme generali sull'istruzione; infatti, quest'ultima è già compresa nelle materie a competenza concorrente. Stiamo parlando quindi di una grande sfasatura che ha prodotto un grave allarme nell'ambito delle forze che compongono l'attuale maggioranza e l'attuale opposizione, che hanno presentato tantissimi emendamenti.
A questo punto va sottolineato il senso di responsabilità del ministro e della maggioranza perché - come abbiamo appreso ieri - molte di queste proposte verranno accettate, anche sulla falsariga del lavoro fin qui svolto dalla Corte costituzionale. Quindi, per il futuro un'enorme mole di contenzioso potrà essere evitata, e sostengono il falso coloro i quali pensano che la devoluzione porterà ad una ulteriore crisi dell'unità dello Stato. Va sottolineato, infatti, che la devoluzione non traumatizza il principio di unità, ma razionalizza - in ordine al potere delle regioni - alcune materie che già oggi sono di competenza regionale, ma comprese in un contesto normativo poco chiaro e farraginoso che ha già prodotto e potrà produrre ampio contenzioso presso la Corte costituzionale.
Quindi, ci troviamo di fronte ad un processo di razionalizzazione e non di ulteriore spinta verso la crisi dell'unità dello Stato. Voglio sottolineare tutto ciò affinché vengano fugati i dubbi e si abbia coscienza di tutto quello di cui si sta discutendo.
Un'altra norma da porre all'attenzione dei colleghi - e che il Senato ha giustamente modificato - riguarda la possibilità per le regioni di creare organi comuni, senza specificare nulla circa la loro natura. Ciò, tradotto in termini più semplici, significa che con questa Costituzione alcune regioni, qualora lo volessero, potrebbero - tra virgolette - «consorziarsi», creare una macroregione con poteri - perché no? - anche legislativi; infatti non vi è un esplicito divieto in questa direzione o una perimetrazione precisa dei poteri delle regioni. Ebbene, il Senato ha deciso di privilegiare le forme associative, anche se gli organi che si andrebbero a costituire possono semplicemente avere funzioni amministrative e non legislative. Quindi, si tratta di un ulteriore recupero che va nella direzione dell'unità e non della disgregazione del tessuto nazionale. In ogni caso, altre cose vanno aggiunte a ciò che ho sin qui detto. Il testo predisposto attraverso la disponibilità del ministro, la collaborazione del tavolo politico e del tavolo tecnico - che noi speriamo di poter approvare in quest'aula - reintroduce e migliora, per esempio, l'interesse nazionale.
Nella Costituzione previgente, cioè quella in vigore prima della riforma del Titolo V, quando i poteri delle regioni erano minimi, ci si era preoccupati di sottolineare che i poteri delle regioni non potessero travalicare l'interesse nazionale.
Guarda caso, nella riforma dell'Ulivo l'interesse nazionale è scomparso, creando seri problemi interpretativi alla Corte costituzionale. Laddove si è resa conto che alcune funzioni non possono non essere esercitate dallo Stato, per necessità di unitarietà anche organizzativa ed amministrativa, la stessa Corte ha dovuto fare ricorso al principio di sussidiarietà e non anche all'interesse nazionale.
Ebbene questa norma, molto positiva, contenuta nel testo del Senato, viene ulteriormente migliorata e semplificata nell'ambito del tavolo tecnico, resa più agevole e più comprensibile e, speriamo, anche più efficiente.
Quindi, c'è già un paletto in questa riforma che si vuole realizzare, cioè l'interesse nazionale, rispetto al quale devono arretrare tutti gli altri poteri, tutte le autonomie, perché quando è in gioco l'interesse nazionale è giusto che questo prevalga su altre istanze, anche se legittime.
Altro punto che va sottolineato, e che ci tranquillizza ulteriormente sulla tenuta del sistema è la cosiddetta clausola di flessibilità o, come noi preferiamo definirla, la cosiddetta clausola di supremazia, che esplicita più compiutamente un principio già contenuto nell'articolo 120 della Costituzione, a cui la Corte costituzionale ha fatto ricorso anche attraverso dei funambolismi - quasi arrampicandosi sugli specchi, lo voglio dire con tutta chiarezza - e, forse, anche interpretando il sentire dell'italiano medio.
Ebbene, l'articolo 120 della Costituzione in questo punto è stato riscritto, per cui è stato chiarito che, in casi ovviamente particolari, quando è in discussione la sicurezza nazionale, quando bisogna garantire l'unità dell'ordinamento ed i diritti minimi civili e sociali, lo Stato può appropriarsi della funzione legislativa senza tenere conto dell'ambito territoriale delle singole regioni.
Questo è uno strumento che nell'attuale Costituzione non c'è: ci sarà - lo speriamo - nella prossima Costituzione, quella che noi ci auguriamo di approvare; allora, fate il confronto! Fate il confronto, voi che avete a cuore l'unità dello Stato, fra quello che noi vogliamo realizzare e quello che c'è; perché, se non realizzeremo questa riforma - è inutile farsi illusioni - resterà in vigore il testo vigente, un testo che non va bene a nessuno. Anzi, non si riesce a capire chi abbia prodotto questo testo, perché si tratta di una riforma di una maggioranza ulivista, ma se si chiamano ad uno ad uno i deputati ed il leader dell'Ulivo nessuno si assume la paternità di questa riforma.
Allora l'invito è il seguente: ripensiamo questa riforma, accettiamo le modifiche che il ministro si è dichiarato disponibile ad apportare, che sono modifiche di peso perché tengono conto di emendamenti che sono venuti, soprattutto direi, da deputati dell'opposizione.
Nel nuovo articolo 117 della Costituzione, se dovesse essere approvato così come sarebbe nelle intenzioni delle forze di maggioranza, la tutela della salute, ad esempio, che è un di più rispetto alla sanità, sarà materia di esclusiva competenza dello Stato, come anche la sicurezza alimentare e poi altre materie che, si è detto giustamente, non sono del tutto riconducibili, soprattutto quando assumono una valenza nazionale, al potere delle regioni.
Mi riferisco alle grandi reti strategiche di trasporto e di navigazione di interesse nazionale - in questa materia, le norme le detterà soltanto lo Stato -, all'ordinamento della comunicazione, all'ordinamento delle professioni intellettuali, alla produzione, al trasporto e alla distribuzione nazionale dell'energia. Quindi, l'articolo 117 della Costituzione è stato, per così dire, asciugato, migliorato alla luce dell'esperienza sin qui maturata e soprattutto alla luce delle sentenze della Corte costituzionale.
Vogliamo rinunciare alle predette modifiche sostanziali per lasciare le cose così come stanno? Noi riteniamo che occorra andare avanti e che sia necessario correggere le distorsioni fin troppo evidenti del testo vigente.
Passiamo ad un secondo argomento che a noi di Alleanza nazionale sta particolarmente a cuore e sul quale l'opposizione ha quasi aperto un fuoco di sbarramento: il premierato. Qui va fatta una premessa: noi di Alleanza nazionale, chi vi parla in particolare, siamo sempre stati sostenitori - non è una novità - dell'elezione diretta del Capo dello Stato. Voglio ricordare a me stesso che nel programma elettorale della Casa delle libertà figuravano al secondo punto dell'elenco, tra le cinque grandi missioni per cambiare l'Italia, la riforma dell'architettura istituzionale dello Stato, l'elezione diretta del Capo dello Stato, la devoluzione alle regioni delle responsabilità per scuola e sanità e per la difesa dei cittadini dalla criminalità urbana.
Ora, abbiamo il dovere di rispettare il mandato elettorale: siamo stati eletti per realizzare le riforme indicate nel programma e non per stare qui a perdere tempo od a rinviarle sine die, secondo il costume di una vecchia, obsoleta e superata classe politica. Abbiamo ricevuto un mandato elettorale in tal senso!
Si è detto che, quando si tratta di realizzare una riforma istituzionale, bisogna tenere conto delle istanze delle opposizioni. Ebbene, per senso di responsabilità, abbiamo fatto qualche passo indietro. A tale proposito, può essere utile leggere le proposte che l'Ulivo ha messo per iscritto nel suo programma elettorale.
Al secondo punto - guarda caso, anche nel programma dell'Ulivo si tratta del secondo punto! - si parla di modernizzazione dello Stato, a partire dall'istruzione e dai servizi pubblici, fino alle istituzioni ed alla costruzione del federalismo: parole chiarissime! Le istituzione riformate prevedono - prosegue il programma - una Camera federale (quella che noi ci apprestiamo a realizzare), più snella dell'attuale Senato (infatti, abbiamo diminuito il numero dei senatori), ed una legge elettorale che affidi agli italiani la scelta della maggioranza di governo e del Primo ministro.
Vi domando cosa significhi affidare al corpo elettorale la scelta del Primo ministro e del Governo. Evidentemente, significa che alle forze politiche ed ai parlamentari non è consentito di sentirsi affrancati dal voto elettorale, di sentirsi liberi di fare ciò che vogliono in quanto destinatari di un mandato in bianco. No, il mandato è preciso perché debbono essere gli italiani - e soltanto loro - ad indicare il Primo ministro ed il suo Governo! Nel programma dell'Ulivo è anche previsto lo scioglimento delle Camere se viene meno la fiducia al Governo: lo scioglimento tout court!
Quindi, l'Ulivo si proponeva di realizzare una riforma che, probabilmente, era più forte rispetto al premierato che sta venendo fuori dal testo che noi stiamo elaborando. Allora, perché ci accapigliamo se, sostanzialmente, vi siamo venuti incontro su posizioni «più deboli» rispetto a quelle che pure piacevano quando è stato scritto il programma elettorale dell'Ulivo?
A questo punto, dovrebbero essere concordi gli intenti di tutte le forze politiche, nessuna esclusa. Invece, sul premierato sento proporre argomentazioni assolutamente pretestuose. Esse provengono, anzitutto, dai laudatores temporis acti, da quelli che lodano quel «glorioso passato» in cui non si riuscì mai a dare all'Italia i Governi stabili che la gente sostanzialmente vuole, da quelli che non riuscirono mai ad individuare il luogo sicuro della decisione.
Ebbene, vi è ancora chi loda il bel tempo passato quando tutto era frutto di «inciucio», ogni partito riteneva di essere affrancato dal voto popolare e di poter creare tutte le maggioranze che voleva all'interno del Parlamento partendo dal presupposto che la sovranità era nel Parlamento. Per noi invece la sovranità del Parlamento è sovranità delegata! La vera sovranità sta nel corpo elettorale!
Sebbene, purtroppo, non si proceda verso una riforma che prevede l'elezione diretta del Capo dello Stato, possiamo ritenerci soddisfatti nel dare al corpo elettorale la sovranità nella scelta del primo ministro e del Governo. È il popolo che sceglie il primo ministro e il Governo, anche sulla base di un programma. In primo luogo, occorre informare gli italiani sulle azioni da intraprendere. Successivamente, occorre rispettare tale programma; è tenuto a farlo sia il primo ministro sia il Governo. Queste cose quindi devono stare insieme.
La Camera dei deputati, che nella prossima riforma sarà l'organo politico, sarà legittimata tanto quanto lo è il premier e il rapporto di fiducia non può essere messo in discussione. In tal caso, infatti, non ci sarebbero più i presupposti del mandato elettorale. Quando si rompe il rapporto di fiducia tra gli eletti e gli elettori, tra il premier e la sua maggioranza, bisogna dare nuovamente la parola al corpo elettorale. Non mi si dica che in questo contesto intendiamo indebolire un organo di garanzia quale il Presidente della Repubblica. Non si capisce se i «difensori» del Presidente della Repubblica siano tali perché credono realmente in ciò che affermano o perché, essendo ormai difficile contrastare questa riforma sulla base dei fatti e dei ragionamenti, cercano di trovare un appiglio per dire «no».
Noi invece abbiamo rafforzato i poteri del Presidente della Repubblica come organo di garanzia. Negli accordi che sono stati raggiunti è previsto che il ribaltone non possa essere fatto né dalla maggioranza né dal premier. Il Presidente della Repubblica è garante del rispetto del voto popolare. Dunque, se il premier, stanco di una forza politica che lo sostiene e che con lui si è presentata di fronte al corpo elettorale, volesse attingere ad una o più forze politiche dell'opposizione snaturando la maggioranza uscita dalle urne, il Presidente della Repubblica lo inviterebbe alle dimissioni e, qualora non si adeguasse, potrebbe sciogliere la Camera che è organo politico ed ha un rapporto fiduciario con il premier. Vi sembra poco questo potere del Presidente?
È stato altresì previsto che il premier possa chiedere il voto di fiducia su una materia di competenza del Senato, ma solo se la materia o la norma è strategicamente funzionale all'attuazione del programma. Se invece sostenere che tale norma è funzionale all'attuazione del programma dovesse rivelarsi un pretesto, di fronte ad un pretesto del Primo ministro il Presidente della Repubblica ha il potere di intervenire e di invitare il Primo ministro stesso a rispettare la Costituzione. Ciò che si chiede deve essere essenziale per l'attuazione del programma di Governo.
Nelle norme che si vogliono approvare, dunque, vi sono pesi e contrappesi. È una riforma equilibrata nel rapporto premier-maggioranza, premier-maggioranza-programma di Governo e premier-Presidente della Repubblica.
L'ultima osservazione che vorrei svolgere, sul filo di una polemica anch'essa del tutto pretestuosa, è relativa al costo del federalismo.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, è giusto che vengano posti dei paletti e che venga ripristinata la verità storica. La polemica in questione è partita, giorni fa, da alcuni articoli pubblicati sul Corriere della Sera, allarmistici e allarmanti. Mi domando, allora: ma gli studi in materia sono stati condotti sul federalismo che ci sarà o potrebbe esserci, oppure su quello già vigente? È questo l'interrogativo, perché elaborare studi sul federalismo che potrebbe esserci mi sembra piuttosto arduo, poiché bisognerebbe avere la sfera di cristallo! Allora, chiariamoci: tali studi sono stati svolti sul federalismo esistente, e neanche sul federalismo che è stato avviato con la riforma del Titolo V della parte II della Costituzione, nel 2001, bensì sul federalismo che è stato varato, nel 1997, con la prima legge Bassanini!
Vi ricordate, onorevoli colleghi, quando la sinistra si vantava di aver prodotto una riforma federale «a Costituzione vigente»? Vi ricordate, onorevoli colleghi, quando la sinistra affermava che, prima di modificare la Costituzione, avrebbe tolto allo Stato tutti i poteri che sarebbe riuscita a sottrargli per attribuirli alle regioni, poiché doveva valere il principio per cui lo Stato avrebbe dovuto svolgere poche funzioni, mentre tutto il resto avrebbe dovuto essere assegnato dalle regioni?
Da quell'epoca, vale a dire dalla legge n. 59 del 1997, ha inizio la riforma federalista, in ordine alla quale dobbiamo calcolare i costi. E non lo sostengo solo io! Ciò non sfugge neanche a Giovanni Sartori, il quale ha sì affermato quello che sappiamo (vale a dire che, con l'introduzione in Italia del federalismo, i costi sono lievitati del 40 per cento, e via dicendo), ma ha sostenuto altresì, con riferimento allo studio elaborato dall'ISAE, che il federalismo avviato nel 1997 ha comportato un aggravio per i conti dello Stato di almeno 61 miliardi!
Vorrei evidenziare come ci si riferisca al federalismo che parte dal 1997; allora, anche in questo caso, vediamo quali costi comporterà il nuovo assetto federale dello Stato rispetto a quelli dell'attuale assetto federale! Vorrei evidenziare da subito che, con il trasferimento di alcune materie dalle regioni allo Stato, sempre sulla scorta delle indicazioni avanzate dalle opposizioni...
PRESIDENTE. Onorevole Carrara, concluda!
NUCCIO CARRARA. ...nonché da alcuni deputati della maggioranza, si semplificherà ad esempio il contenzioso, alcuni poteri resteranno al centro (perché si dovranno diffondere su tutto il territorio nazionale in maniera uniforme), e già ciò comporterà un risparmio per i conti pubblici.
Signor Presidente, non intendo dilungarmi in ulteriori considerazioni; tuttavia vorrei formularne una: infatti, abbiamo esplicitamente inserito una clausola di salvaguardia, la quale prevede che il federalismo che vorremmo realizzare non dovrà comportare aggravi di spesa.
Infine, mi sia consentita un'osservazione che intendo svolgere quasi da «uomo del popolo», perché vorrei che anche la gente comune si appassionasse a questa materia: vi sembra poco alleggerire di 195 parlamentari il prossimo Parlamento? Centonovantacinque parlamentari in meno rappresenteranno un risparmio per lo Stato o no? Ebbene, se farete qualche conto, vi accorgerete che 195 parlamentari in meno comporteranno un risparmio per legislatura che oscillerà tra i 600 e i 1000 miliardi di vecchie lire. È poco? Scusateci, ma comunque non si potrà parlare di aggravio di costi (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Merlo, al quale ricordo che ha a disposizione sette minuti. Ne ha facoltà.
GIORGIO MERLO. Signor Presidente, conterrò il mio intervento nei sette minuti a mia disposizione, anche perché ciò che è stato detto in questi giorni è stato già molto e credo che avremo modo di articolare meglio il confronto nel momento in cui conosceremo anche gli emendamenti del Governo.
Vi è, tuttavia, una domanda cui non si riesce, a tutt'oggi, di trovare una risposta convinta e convincente da parte del Governo, malgrado gli incontri e la complessa composizione dei vari interessi e delle varie convenienze all'interno del centrodestra. La domanda è questa - non c'è il ministro, ma anche il sottosegretario credo abbia l'autorevolezza di poter dare una risposta -: qual è la necessità stringente, impellente, inderogabile, la motivazione vera per cui noi oggi dovremmo riformare la Costituzione? Quali sono le buone leggi che non si sono potute varare per colpa della Costituzione? Sono domande semplici, banali, ma alle quali - a tutt'oggi - i propugnatori, a parte la riduzione del numero dei parlamentari, non sono riusciti a dare una risposta convincente. Qui, infatti, è in questione un elemento molto più importante rispetto ai singoli emendamenti che ieri, in modo un po' abborracciato, il ministro ci ha illustrato. È in questione il disegno fondamentale della Repubblica e, dunque, la qualità della nostra vita democratica. Su ciò è doveroso riflettere, prima di decidere.
Il primo aspetto della riforma che la Camera è chiamata a discutere, come tutti sappiamo, è la cosiddetta stravagante devoluzione, ovvero l'attribuzione di nuove competenze legislative alle regioni in materia di sanità, di istruzione e di polizia. Se verrà attuata, la riforma aggraverà i conflitti e la confusione, come molti osservatori ci hanno detto, di prerogative tra Stato e regioni, già aperti, purtroppo, dalla frettolosa riforma del Titolo V della Costituzione del 2001. Essa favorirebbe - è bene che tutti cittadini lo sappiano - gravi diseguaglianze delle libertà fondamentali e dei diritti sociali dei cittadini, in evidente contrasto con il principio dell'uguaglianza democratica sancito nella prima parte della Costituzione.
Spendere milioni di euro, oltre quelli già spesi, per creare nuovi conflitti e nuove diseguaglianze non è davvero un capolavoro di saggezza politica. A questa domanda né Brancher, né il ministro, né la maggioranza offrono risposte convinte e convincenti.
Mentre è molto chiaro il danno, non si vede, ancora una volta, il vantaggio di questo cambiamento. Il buon governo non è il risultato del potere, bensì della saggezza politica, della capacità di dialogare con l'opposizione e di realizzare ragionevoli compromessi, tre elementi non ricercati dal centrodestra. La Costituzione, è bene ricordarlo - ieri Castagnetti lo ha ripetuto -, è la legge fondamentale dello Stato che definisce le regole per l'esercizio del potere sovrano ed ha una sua coerenza. Nella politica italiana tutti, persino voi della destra, si ritengono e si qualificano come riformisti. Noi crediamo che, di fronte alla riforma costituzionale, bisognerebbe avere, invece, il coraggio di essere un po' più conservatori e dire apertamente che la migliore di tutte le riforme è procedere con prudenza, con senso dello Stato, con rispetto delle istituzioni e rispettare e realizzare soprattutto i principi della Costituzione - che, per fortuna, abbiamo - attuando una riforma capace di non stravolgere l'impianto complessivo del nostro Stato.
Del resto, pur avendo un rispetto profondo delle istituzioni, noi abbiamo cercato di perseguire l'obiettivo di riformare l'organizzazione dello Stato e abbiamo cercato di fare ciò negli ultimi anni attraverso una revisione profonda dell'ordinamento che, ci rendiamo conto, va completata. Sotto tale aspetto, però, non si può affermare che siamo all'anno zero delle riforme, né per quanto concerne la forma di governo, né per quanto riguarda la forma dello Stato. Sappiamo che la riforma elettorale non può esser sufficiente a risolvere i problemi di governabilità e di stabilità di una democrazia governante. Si riconosce, quindi, che innovazioni e stabilizzazioni di natura costituzionale sono necessari per garantire maggior forza al Presidente del Consiglio e maggiore stabilità al Governo, ma ciò non può avvenire che in due modi: o si cambia la forma di governo, per avvicinarla a quella semipresidenziale - o presidenziale -, ma con i contrappesi e le garanzie proprie di tale forma di governo, o si rimane fedeli al sistema parlamentare, adottando le indispensabili misure di consolidamento del Governo e del Presidente del Consiglio.
Le norme riguardanti la forma di governo contenute nel disegno di legge costituzionale - è stato detto, ma è bene ripeterlo - sfuggono interamente all'uno e all'altro modello e danno vita a un sistema indefinibile contenente forzature e incongruenze che snaturano di fatto il sistema parlamentare e avviano l'ordinamento verso il puro arbitrio incontrollato.
Ciò che più sorprende in una riforma così ampia della seconda parte della Costituzione - e faccio riferimento all'unico esempio concreto, su cui mi soffermerò brevemente - è la completa assenza di norme di garanzia e di contrappesi efficaci al rafforzamento dell'istituto del Governo e del Presidente del Consiglio. Quella delle garanzie è una questione importante: tutto il costituzionalismo moderno è fondato sulla novità delle Costituzioni rigide e sui limiti da porre alle maggioranze per evitarne la tirannia.
Signor Presidente, concludo dicendo che il comportamento politico concreto della maggioranza conferma ancora una volta, a nostro giudizio, la sostanziale indifferenza nei confronti di un metodo democratico che resta decisivo per poter riscrivere le regole fondamentali dello Stato, e cioè il metodo della comune condivisione dei principi e delle regole che presiedono alla nostra Repubblica. È un errore - concludo veramente - che può avere effetti devastanti per il rafforzamento della nostra democrazia e il consolidamento delle nostre istituzioni. Noi ci batteremo per impedire questo (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Popolari-UDEUR).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cusumano. Ne ha facoltà. Ricordo all'onorevole Cusumano che ha dieci minuti di tempo a disposizione.
STEFANO CUSUMANO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, il tentativo testardo di porre mano alla revisione di un testo che in questi ultimi cinquant'anni si è progressivamente arricchito di significati che nel suo disegno complessivo lo rendono sempre vivo ed attuale suscita dubbi e, soprattutto, preoccupazione.
La modifica della Carta costituzionale non può essere una partita che si gioca nel perimetro della sola maggioranza, perché tutto ciò cancella maldestramente il grande lavoro fatto da grandi costituzionalisti e da grandi leader politici sulla linea dell'equilibrio tra i poteri, sulla visione unitaria dello Stato senza straripamenti di alcun tipo. Insomma, è una Costituzione che ha retto per un lungo cinquantennio a tutela delle istituzioni democratiche e repubblicane. Ciò che è mancato è stata una sorta di condivisione responsabile verso un percorso di riforme che avrebbe richiesto l'abbattimento di steccati di comoda convenienza e l'esaltazione di un unico comune denominatore: far rivivere la nostra Carta costituzionale con degli opportuni aggiustamenti, mirati a renderla sempre più attuale rispetto alle sfide che ci stanno davanti e rispetto alle condizioni geopolitiche che hanno segnato la vita e la democrazia del mondo occidentale, prima fra tutte la nuova Europa.
Oggi ci troviamo a discutere di una proposta costituzionale mal fatta, squilibrata nella sua struttura di fondo, perché non ha neppure tentato di risolvere, tra l'altro, gli effetti negativi che si sono creati nel nostro ordinamento in seguito all'introduzione della legge elettorale maggioritaria. È una riforma federale che penalizza e impoverisce il sud con il solo fine di soffocarne potenzialità e risorse. La separazione di competenze tra Camera e Senato potrà dare origine a duri conflitti e potrà compromettere il funzionamento del sistema stesso. Il processo legislativo appare complicato, la forma di governo, così com'è, appare assolutamente in controtendenza e il rafforzamento della posizione costituzionale del Primo ministro è eccessiva. In particolare, sul federalismo voluto dalla Lega una larghissima maggioranza di costituzionalisti ha sempre manifestato non poche riserve.
In realtà, si tratta di un federalismo di classe che accentua le differenziazioni tra i ricchi e i poveri e la sua attuazione potrebbe provocare un eccessivo aumento della spesa pubblica.
Alle regioni andrà la potestà esclusiva in materia di sanità, istruzione e polizia locale. Il Senato federale altro non sarà che un'emanazione delle stesse regioni. Tutto ciò comprometterà la prestazione dei servizi essenziali, causerà gravi disparità nei trattamenti e favorirà la proliferazione di burocrazie inefficienti.
Per di più, questo potrebbe mettere a rischio le garanzie di tutti i cittadini circa le prestazioni sociali essenziali. Saranno le regioni meridionali che, con una minore capacità finanziaria ed impositiva, saranno costrette a subire il maggior contraccolpo derivante dalla riduzione dei trasferimenti finanziari.
Il Senato che scaturirà dal progetto di riforma non avrà nulla di federale, perché sarà eletto a suffragio universale e ciò potrà facilmente far evolvere dal punto di vista istituzionale i caratteri del parlamentarismo in un monocameralismo imperfetto; per di più, il Senato appare mal disegnato, in modo tale da non essere mai un buon punto di collegamento fra lo Stato e le regioni.
Venendo ad un altro punto cardine della riforma costituzionale, ovvero il cambiamento della forma di governo, questo fa del primo ministro una sorta di leader onnipotente, al quale è obbligatorio sottomettersi sino alle elezioni successive, anche se nel frattempo questi si riveli inadeguato.
È una forma di governo unica al mondo, basata sulla dittatura elettiva di un solo uomo che, anziché rafforzare il sistema delle garanzie democratiche, le indebolisce drammaticamente. Insomma, si vuole passare da una situazione nella quale è il Parlamento ad avere il potere di sfiduciare il Presidente del Consiglio ad una nella quale sarà il premier che potrà sfiduciare il Parlamento. Si creerà in questo modo sicuramente un sistema nel quale il Parlamento non conterà nulla, sino a perdere qualsiasi autonomia, ed il potere massimo sarà trasferito tutto nella persona del primo ministro.
Così come sta procedendo, la riforma conduce alla frammentazione e alla disgregazione della Repubblica e verso una nuova forma di unità che ridistribuisce garanzie ed autonomia.
In poche parole, tale riforma non approda da alcuna parte e l'unico obiettivo che emerge pare essere un forte indebolimento delle garanzie dei diritti e delle libertà costituzionali. È impensabile che si possa modificare in un solo colpo parte della nostra Costituzione, senza cercare un punto di incontro, un consenso e per di più in un'ottica distruttiva e frettolosa, che invece caratterizza la coalizione di centrodestra.
Le riforme si fanno insieme e la revisione della Costituzione deve essere frutto di un percorso di riflessione in grado di recuperare al meglio l'unitarietà dello Stato.
Il Governo non può pensare di cambiare la Costituzione al solo fine di mantenere l'equilibrio interno alla maggioranza (è quello che sta avvenendo in queste settimane).
Poi, in un momento delicato come quello attuale, esigenze nazionali ed internazionali ci chiedono di adottare riforme che migliorino e non peggiorino l'efficienza del nostro sistema. Accingendomi a concludere, vorrei ribadire che questa riforma ridisegna un assetto istituzionale che non è in grado assolutamente di funzionare, e che, se approvata così com'è, produrrebbe soltanto una profonda confusione ed un conflitto istituzionale costante.
A questo punto è il caso di chiedersi se valga la pena stravolgere la Costituzione repubblicana che, nel bene e nel male, in tutti questi anni ha garantito la coesistenza democratica, la certezza dei diritti e delle libertà fondamentali.
Dalle riforme istituzionali dipende il futuro del nostro paese: il nostro obiettivo sarà quello di puntare ad un progetto che ci renda disponibili ad aprire un dialogo costruttivo e sincero con quelle forze, movimenti ed associazioni che sentono il bisogno di affrontare una sfida in una dimensione bipolare, perché è di una democrazia garantita da percorsi costituzionali chiari e netti che l'Italia ha bisogno (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Popolari-UDEUR e della Margherita, DL-L'Ulivo - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Michele Ventura. Ne ha facoltà.
MICHELE VENTURA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa mattina ho ascoltato con grande interesse l'onorevole De Mita, il quale ha tratteggiato classicamente il percorso e la evoluzione politico-istituzionale avvenuta fra il 1948 e il 1968 nel nostro Paese.
Non vi è dubbio che egli abbia parlato di un periodo in cui il sistema politico era sostanzialmente bloccato e, quindi, gli aggiustamenti e le modifiche avvenivano in fasi successive senza produrre un dibattito organico relativamente all'esigenza di un ammodernamento complessivo dello Stato.
Rispetto alle interessanti considerazioni svolte dall'onorevole De Mita questa mattina desidero aggiungere che siamo pervenuti al sistema regionale soltanto nel 1970 e che non è stato mai risolto il punto riguardante la sfiducia nei confronti delle classi dirigenti locali. Una delle cause del collasso avvenuto sul finire degli anni Ottanta è anche da ricercarsi in una volontà di affrancamento rispetto ad un sistema burocratico ed eccessivamente centralizzato. Colleghi, non siamo fra coloro che negano l'esigenza di un ammodernamento istituzionale, l'esigenza di una riforma che sia corrispondente alle problematiche ed alle grandi questioni di fronte alle quali ci troviamo. Il nostro, dunque, è un dissenso di merito: il testo al nostro esame non è condivisibile perché non risolve la questione delle responsabilità, non risponde in termini positivi alla domanda di partecipazione, non è in grado di rispondere in termini di efficacia e di efficienza alle tematiche relative allo sviluppo locale.
Mi riconosco pienamente negli interventi svolti ieri dall'onorevole Montecchi ed oggi dall'onorevole Violante per quanto riguarda l'impianto complessivo della nostra proposta. Nel mio intervento desidero soffermarmi sugli effetti finanziari alla base delle polemiche di queste settimane. Si tratta dei costi del federalismo: potrei dire, affinché non vi siano dubbi, che si tratta dei costi del Titolo V riformato, perché non possiamo separare la proposta che ci troviamo a discutere oggi da ciò che abbiamo fatto alla fine della scorsa legislatura.
La dimensione finanziaria del decentramento, vale a dire l'insieme di spese che la pubblica amministrazione locale deve coprire con nuove risorse autonome, è molto elevata. Ipotizzando il mantenimento degli standard dati dalla spesa storica della pubblica amministrazione, le autonomie locali nel loro insieme si approprierebbero di una quota molto ampia delle entrate complessive del settore pubblico pari - è stato sottolineato da molti - al 40 per cento. Stiamo parlando, ovviamente, della spesa decentrata e non di aumento dei costi. Sembra una cifra estremamente elevata, ma vorrei ricordare che attualmente la spesa alla quale si fa riferimento è pari al 34 per cento. Ponendosi da tale punto di vista bisogna, dunque, discutere dell'efficacia e dell'efficienza del modello più che dei costi in termini astratti.
Nell'ultimo decennio, la tassazione locale ha registrato un vero e proprio boom. Nel 2003, rispetto al 1993, le entrate fiscali degli enti locali sono aumentate del 178 per cento, passando da 31 ad oltre 88 miliardi di euro (con una media di aumento annuo pari al 12 per cento). Questo dato dell'aumento della pressione fiscale a livello locale va confrontato con ciò che è avvenuto sul piano della fiscalità generale (quindi dell'amministrazione centrale). Nello stesso periodo le entrate da tassazione dello Stato sono passate da 290 miliardi di euro (nel 1993) a 281 miliardi di euro nel 2003 (il 3,1 per cento in meno). Ciò vuol dire che dalla fine degli anni Ottanta in poi, quando la finanza locale era molto contenuta, vi è stata ad opera del decentramento e della nuova offerta di servizi da parte degli enti locali, e in generale da parte degli enti territoriali, una significativa espansione.
Se confrontiamo i dati che evidenziano l'incremento della pressione fiscale locale con quelli che evidenziano il decremento di quella fiscale centrale, troviamo un aumento netto della pressione fiscale. Il che significa - e questo problema continua a permanere - che, a fronte di un decentramento di funzioni a regioni e autonomie locali, non si ha un corrispondente abbattimento della spesa centrale. Quindi, se vogliamo fare una discussione obiettiva, a me sembra che l'allarme dovrebbe riguardare eventualmente la trasformazione di alcuni tributi locali in tariffe. L'esempio più calzante è quello relativo allo smaltimento dei rifiuti: un fenomeno che permette aumenti maggiori e garantisce ulteriori introiti allo Stato con l'applicazione dell'IVA. Il normale contribuente è così doppiamente beffato dall'aumento e dall'impossibilità di detrarsi l'IVA.
Non siamo in grado, oggi, di valutare esattamente la portata di questo costo; diversi centri di studio vi si sono gettati a capofitto, raggiungendo le cifre più varie e disparate, circolate recentemente, ma è possibile ovviamente intravedere i rischi di un inasprimento della tassazione locale, al fine di reperire le risorse necessarie alla piena autonomia. Fummo noi, nella scorsa legislatura, a dare un impulso forte verso il decentramento. Ne conosciamo dunque gli aspetti, anche quelli problematici. Ciò che ora rende la spinta federale più problematica è lo stato dei nostri conti pubblici e la china che essi hanno disceso negli ultimi tre anni. Mi soffermo sui nodi delle competenze in materia di finanza pubblica, che il provvedimento non solo non scioglie, ma provvede ad aumentare, delineando una probabile matassa non facilmente districabile. Quei dati, ai quali prima facevo riferimento (che non sono quindi polemici verso qualcuno in particolare), dimostrano quanto segue.
In questo paese cioè non è automatico che il trasferimento di materie - quando poi si tratta, come emerge anche da questo testo, del mantenimento di una serie di materie non precisamente definite dal punto di vista della competenza e della responsabilità - possa provocare la proliferazione dei centri decisionali in materia di entrata e di spesa, soprattutto in relazione agli equilibri di bilancio della pubblica amministrazione. Il rischio è quello di pregiudicare fortemente la governabilità del sistema della finanza pubblica, ove ogni livello di Governo diventi responsabile delle proprie entrate e delle proprie uscite e senza che vi sia traccia della volontà di creare un luogo di cooperazione e concertazione in materia di programmazione economica e finanziaria.
L'onorevole Carrara ha affermato che vi è una clausola secondo la quale vi sono paletti che non comportano nuovi ed ulteriori oneri, ma non spiega il fatto che quest'ulteriore necessità potrebbe scaricarsi interamente sui livelli territoriali locali (è un problema che mi sembra non sia stato affatto affrontato).
Non vi sono ovviamente (è una questione che ha riguardato il dibattito di agosto) teorie univoche sulla superiorità o meno di un sistema decentrato nei confronti di uno accentrato dal punto di vista del controllo sul bilancio pubblico (mi riferisco ovviamente al bilancio pubblico). Nel nostro paese, la questione diventa particolarmente delicata: da una parte, lo Stato, tramite il Governo centrale, continua ad essere il responsabile in sede internazionale dell'andamento dei conti pubblici e, dall'altra, lo stesso Governo è chiamato ad una non facile supervisione della gestione finanziaria delle autonomie locali. Permane, inoltre, la necessità da parte del centro di un controllo efficace sui risultati di bilancio della periferia.
Quando poniamo tali questioni, colleghi, crediamo di sollevare questioni vere su cui è indispensabile riflettere, se ragioniamo in termini di tenuta del sistema. Il paradosso, tra l'altro, insito anche nella fortissima spinta federale che viene evocata in questo testo, è una pratica concreta, nel corso di questi anni, di accentramento continuo e di un controllo difficilissimo sugli andamenti della spesa pubblica.
Non so in che altro modo possiamo dare una spiegazione in ordine all'attivazione del cosiddetto decreto taglia spese.
Il provvedimento in esame genererà fortissimi contenziosi (anche il Titolo V riformato ne ha prodotti), stante la confusione che regna nella distribuzione delle competenze e nelle norme che stabiliscono il procedimento legislativo.
È un punto interrogativo, inoltre, quanto accadrà con la fine dei lavori dell'alta commissione per il federalismo fiscale (questione del tutto rinviata).
Infine, appare possibile, nel caso di discordanza tra le due Camere su un medesimo testo, che provvedimenti di tale natura e portata - mi sto riferendo alla finanza pubblica - siano affidati ad una commissione per un estremo tentativo di accordo? La sua messa a regime dovrebbe comportare primariamente la piena controllabilità dei conti dello Stato e delle autonomie, per la quale sono necessari un'armonizzazione dei criteri di redazione dei bilanci, un monitoraggio dell'andamento delle entrate e delle spese più tempestivo ed accurato, ma, soprattutto, la definizione di un luogo di cooperazione in materia di programmazione economica e finanziaria tra Stato, regioni ed autonomie. Di tali intenzioni non vi è traccia nell'articolato ed io, su tale aspetto, inviterei i colleghi della maggioranza ad una riflessione, perché è un punto non secondario.
Colleghi, mi appare oscura la modifica apportata al primo comma dell'articolo 81 della Costituzione, riferito all'approvazione dei bilanci e del rendiconto consuntivo presentati dal Governo, nel quale è sparito il riferimento al fatto che siano specificamente le Camere ad approvare tali provvedimenti. Infatti, mi è sorta la maliziosa idea che tale taglio fosse un primo surrettizio colpo inferto alla sessione di bilancio, che tante noie provoca al Presidente del Consiglio e a numerosi ministri.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALFREDO BIONDI (ore 17,50)
MICHELE VENTURA. A ben guardare, soppresso il riferimento specifico dell'approvazione da parte della Camera, soppressa la dizione anche annuale dei provvedimenti di natura finanziaria da esaminare collettivamente (comma terzo, articolo 70), menzionati solo i provvedimenti in materia di bilanci e rendiconto nella procedura legislativa affidata prioritariamente alla Camera, non rimane traccia sostanziale della legge finanziaria così come l'abbiamo conosciuta. Né questa può essere identificata con i citati provvedimenti di perequazione finanziaria o con le materie di cui all'articolo 119 o con il principio dell'armonizzazione dei bilanci e della finanza pubblica.
È anche ipotizzabile - se questa è la lettura corretta - che la legge finanziaria non venga più presentata. Su tali aspetti e su tali nodi occorre fare chiarezza.
Non vi trovate di fronte ad un'opposizione indisponibile ad un confronto, ma ci aspettiamo che questo confronto possa manifestarsi su questioni sostanziali e non solo su aspetti esclusivamente formali (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Taormina. Ne ha facoltà.
CARLO TAORMINA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo dibattito è iniziato con la forte sottolineatura del nostro Presidente Casini sull'importanza dell'iter legislativo che andiamo consumando.
È la prima volta, infatti, che il Parlamento della Repubblica si occupa di riscrivere la Costituzione negli elementi fondanti dello Stato, toccandone praticamente tutti i poteri. Non si tratta soltanto di una grande riforma, ma anche dell'occasione per disegnare una grande Costituzione, fatta di ciò che concepirono i nostri padri costituenti intorno alla regolamentazione dei rapporti tra individuo e autorità - per utilizzare il titolo di un magistrale volume di Giuliano Amato - e di una moderna configurazione dell'apparato statale imposta dalle molteplici complicazioni applicative della vigente Costituzione e indotte dai tempi attuali e dal mutamento del quadro politico-elettorale internazionale.
Credo si tratti di un compito esaltante al quale tutti dobbiamo fornire un contributo, a cominciare dalle forze politiche di opposizione, le quali non possono dimenticare che uno degli aspetti più rilevanti della riforma in corso, la dimensione federalista dello Stato, ha costituito l'oggetto di un'iniziativa intrapresa, attuata, ma non completata nella precedente legislatura. È dunque insostituibile il contributo costruttivo di chi, nello spirito delle cose, ha già dato prova di condividere questo percorso di ammodernamento dello Stato.
Da questo profilo è complicato comprendere le ragioni del linguaggio accidioso o derisorio che non pochi interventi dell'opposizione hanno palesato, giacché quanto meno poco consapevole dell'alto tasso «suicidiario» in essi racchiuso. Dunque, ad un componente della maggioranza quale io sono spetta solo di esprimere la certezza della episodicità di simili atteggiamenti.
Era fatale - signor Presidente, onorevoli colleghi - che l'attenzione riformatrice ed anche il relativo dibattito si concentrassero su alcuni temi, quali il federalismo e il premierato, per l'alto livello di impatto politico degli stessi. Tuttavia, vorrei permettermi di evidenziare che specialmente un testo costituzionale è fatto di frammenti che, ove non ricondotti ad unità sistematica, possono rischiare di trasformarsi in schegge impazzite.
Il progetto di riforma, invero, interviene su moltissimi aspetti, dalla disciplina dell'iter di attuazione delle leggi al ruolo del Presidente della Repubblica, dalla composizione della Corte costituzionale a quella del Consiglio superiore della magistratura, ma su di essi è doveroso che io raccomandi un supplemento di riflessione, sotto il duplice aspetto contenutistico e sistematico.
Vi sono poi non pochi temi connessi con quelli espressamente trattati, che non risultano nemmeno sfiorati dal disegno riformistico e non so se questo sia possibile o se invece possa implicare rischi, dunque, nemmeno prefigurabili. Penso ancora una volta alla struttura del Consiglio superiore della magistratura ed ai relativi compiti, memore come sono dell'estrapolazione della giurisdizione disciplinare che la Commissione bicamerale, presieduta da Massimo D'Alema, attribuì ad una distinta Alta corte di giustizia. Ma penso anche alla questione dell'immunità parlamentare, che le molteplici novità contenute nel progetto, dal diverso ruolo della Camera dei deputati alla novità assoluta del Senato federale, avrebbero - secondo me - più che consigliato, imposto di prendere finalmente in esame. Mi rendo conto che si sarebbe messa e si metterebbe troppa carne al fuoco, ma ho anche il grande timore che difficilmente una nuova e massiccia revisione, almeno della portata di quella attuale, potrà essere posta facilmente in cantiere. Da ciò potrebbe derivare un ulteriore pericolo per quella frammentazione alla quale dovrebbe essere invece ovviato e della quale parlavo in precedenza.
Con tutto ciò, signor Presidente, onorevoli colleghi, manifesto, per quanto poco possa valere, una mia adesione di fondo all'impianto riformistico. Devo dire che le innumerevoli audizioni inserite dall'ottimo presidente della I Commissione affari costituzionali, Donato Bruno, nei lavori della Commissione, fino a renderle un aspetto predominante di essi, non hanno fatto registrare contrasti di principio, salvo qualche faziosa posizione, da considerare solo pseudodottrinale, di personalità, più che accademiche, di destra e di sinistra, ancora più accese delle nostre partizioni parlamentari. Ed anche oggi, per espressa dichiarazione dei leader politici, il testo licenziato dalla I Commissione, come quello che caratterizza il maxiemendamento, per quanto ne sappiamo, di fonte governativa, non sono - come si suol dire - blindati; se lo fossero stati, trattandosi di riforma costituzionale, contrariamente a quanto accaduto nella precedente legislatura, non sarebbe stata cosa buona e giusta. Da ciò la mia posizione di aperta condivisione del progetto, in unione al tentativo di fornire suggerimenti migliorativi, pronto peraltro a ricredermi, laddove ciò risultasse conseguenza del dibattito in aula.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, considero aspetto qualificante l'aver utilizzato questo passaggio riformistico per lanciare le linee parlamentari portanti dello statuto dell'opposizione. L'organizzazione strutturale dell'opposizione è condicio sine qua non del confronto con la maggioranza, nell'ineluttabile esigenza di individuazione di termini soggettivi e strutturali affinché il dialogo possa esplicarsi. In un sistema bipolare ciò costituisce una premessa essenziale per l'attuazione della democrazia e la mancanza di una simile provvidenza può certamente essere additata come causa non secondaria della conflittualità che la politica italiana ha fatto registrare in questi anni.
In un mio scritto, giustamente poco letto, immaginificamente pensai a Palazzo Ferrajoli, notoriamente dirimpettaio di Palazzo Chigi, come alla sede del capo delle opposizioni, nell'ottica, cara al mondo anglosassone, dei governi-ombra. Penso, infatti, che solo così, nella democrazia dell'alternanza, possa realizzarsi il ruolo propositivo dell'opposizione ed il suo controllo sull'operato dei governi. Al di là di questa rappresentazione, credo comunque che l'ottima idea che compare nel testo di riforma possa essere migliorata, attraverso innanzitutto la previsione in Costituzione della figura del capo dell'opposizione, piuttosto che delegare il tutto ai regolamenti parlamentari. Questo non già per un fatto formale, ma perché solo così può efficacemente costituirsi una pari rilevanza tra capo dell'opposizione e capo di Governo. Credo poi che spetti alla Costituzione, soltanto nell'ambito della quale può essere conseguita una reductio ad unum, sciogliere il nodo del raccordo di questa figura con la pluralità delle opposizioni, giacché ritengo in linea con il bipolarismo e con l'eventuale prospettiva di bipartitismo l'istituzione di un unico capo delle opposizioni.
Considero molto cauta la cifra federalista che la riforma impone alla struttura del nostro Stato. Condivido questa cautela ed è merito di alcune forze della maggioranza, a cominciare dall'UDC, aver sottolineato tale esigenza.
Mi sembra di poter dire che i resoconti di stampa di questi giorni ed il preannunciato maxiemendamento governativo diano atto del rispetto di questa impostazione. Ritengo tuttavia di grande importanza il mantenimento della norma di chiusura di cui al quarto comma dell'articolo 117, secondo cui appartengono alle regioni le materie non espressamente riservate allo Stato. Intendo tale previsione nei termini di una riserva di legge costituzionale, e non ordinaria. Se così non fosse, converrebbe riflettere sulla necessità di precisarlo. Sono queste, comunque, le condizioni all'interno soltanto delle quali può trovare attuazione la tutela dell'interesse nazionale nei termini dinamici e preventivi di cui ha parlato l'onorevole Follini nell'intervento dello scorso 3 agosto, unitamente all'esigenza di garantire gli «interessi unitari ed incomprimibili, interessi non elastici e non relativi».
Riguardo all'articolo 117, osservo come un adeguato approfondimento possa svolgersi in questa Assemblea circa l'opportunità di prevedere la competenza delle regioni anche in materia di organizzazione e servizi giudiziari. Si tratta di materie di pertinenza ministeriale, ed è francamente noto a tutti quanto indispensabile sia l'interpretazione delle esigenze locali per determinare una corrispondenza di strutture e moduli organizzatori alle specifiche necessità. Del resto, onorevoli colleghi, dopo questa riforma dovremo riscrivere il sistema giudiziario italiano, nonché quello connesso alle funzioni di polizia. Mi riferisco, per esemplificare, all'esigenza di introdurre la distinzione tra fatti penalmente rilevanti di natura federale, in quanto corrispondenti all'interesse dello Stato nazionale, e fatti di rilevanza regionale. Ma ogni cosa a suo tempo.
Non si può interloquire sulla questione del Senato federale, strettamente connessa alle modifiche all'articolo 117, se la messa a punto non riguarda preventivamente la disciplina dell'iter di formazione delle leggi.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'attenzione deve essere qui massima, e non casualmente, per quanto mi risulta, la questione non avrebbe trovato alcuna soluzione finale negli incontri tecnici e politici di questi giorni, e nemmeno, a mio parere, nel preannunciato maxiemendamento governativo. Ed è bene che sia così, perché su questo punto meglio del Parlamento nella sua complessività nessuno può e deve dire l'ultima parola. Ritengo che la disciplina prescelta per i casi di bicameralismo attenuato o, se si preferisce, di monocameralismo cauto, si segnali per la bontà delle soluzioni, ed è quindi possibile, con qualche ulteriore accorgimento, raggiungere un risultato suscettibile di essere largamente condiviso.
Rimarco, in particolare, la farraginosità degli interventi correttivi della Camera alla quale non appartiene la specifica competenza per la materia su cui ha deliberato l'altra. Non è comprensibile la ragione per la quale, dopo aver stabilito che a conclusione del percorso l'approvazione definitiva spetti comunque alla Camera competente per materia, venga chiamata ad interloquire, nel mezzo dell'iter, quella non competente. Molto più semplicemente, a meno di stabilire, con un pizzico di coraggio in più, che nessuna legittimazione spetti alla Camera non competente per materia, può ragionevolmente pensarsi alla mera indicazione, da parte di quest'ultima, dei punti non condivisi, sui quali la Camera competente in via diretta nuovamente deliberi.
Ancor più complicato, se possibile, è il meccanismo deliberativo quando sulla materia di competenza del Senato federale venga posta la questione di Governo. La problematica si aggancia al controverso ruolo che il Senato federale dovrebbe assumere, e che deve assumere ineludibilmente all'esito di questo percorso riformistico, se si vuole imprimere allo Stato uno stampo realmente federalista. Non penso che la proposta di Follini di eliminare dalle competenze del Senato federale la materia delle leggi di indirizzo politico possa essere integralmente seguita, giacché si tratta proprio di un momento di riequilibratura del sistema attraverso il quale il Senato federale resta agganciato alla logica della maggioranza (il che, peraltro, è assolutamente da ribadire, non foss'altro perché esso partecipa del potere legislativo in tutta la sua pienezza, nelle materie rispetto alle quali l'iter legislativo rimane improntato al bicameralismo perfetto).
Lungi dal dover ridurre il Senato - come sostenuto ancora una volta dall'onorevole Follini nel già menzionato discorso - ad organo di raccordo con il sistema delle autonomie, proprio la condivisione degli strumenti normativi determinatori l'indirizzo politico anche da parte del Senato federale deve far riflettere sulla possibilità di sganciare questo organismo dalla logica di maggioranza e di governo.
Tornando alla questione di governo, nulla della specificità del Senato federale verrebbe toccato - ed è giusto che sia così - laddove si ipotizzasse che la disciplina dettata dal progetto, per le modalità di intervento della Camera dei deputati - ove la questione stessa sia posta -, debba valere anche per quest'ultimo. Come la Camera dei deputati si troverà di fronte alla fiducia di nuovo conio, così potrebbe accadere - solo in questo caso - per il Senato federale. Resterebbe da stabilire se, per effetto della sfiducia votata dal Senato, scatti l'obbligo di dimissioni del primo ministro - opinione che appare preferibile - oppure se, a cagione del voto di fiducia espresso dalla Camera dei deputati, questa conseguenza non debba prodursi. Soluzione alternativa, peraltro, potrebbe essere quella del passaggio per la Commissione paritetica di cui al terzo comma del novellato articolo 70; eventualità dalla quale non deriverebbe l'obbligo di dimissioni per il premier. In ogni caso a me sembra impraticabile il percorso per cui di fronte ad una questione di governo il Senato federale, in dissonanza sistematica con ogni altra cosa, possa esercitare un potere paralizzante le cui conseguenze - si badi - non risultano considerate e disciplinate dal progetto.
Quanto al problema dell'interesse nazionale, cioè del contrasto con esso delle leggi regionali, credo che il Senato federale debba rimanere l'unico organo legittimato a procedere alla relativa valutazione: so bene che diverse sono le direzioni ultime sotto questo profilo. Penso che l'idea della Commissione paritetica bicamerale che appare dal testo del maxiemendamento governativo - per come risultante da alcuni resoconti di stampa - dove è configurata come organo di ultima istanza possa racchiudere l'espropriazione di competenze di Camera e Senato federale; ciò in una situazione fortemente simile alle ipotesi in cui il progetto conferma un iter legislativo improntato al bicameralismo perfetto. Pur corrispondendo al vero, va però notato che qualora si preveda l'intervento di una Commissione paritetica bicamerale in caso di contrasto tra Camera e Senato il testo da essa elaborato deve essere infine approvato, pur nel divieto di emendamenti della Camera e del Senato federale. Alternativamente ad un così forte ed innaturale ruolo della Commissione bicamerale paritetica - alla quale spetterebbe addirittura di stabilire se la legge regionale debba essere annullata e di imporre questa decisione al Presidente della Repubblica - potrebbe, forse, essere il caso di uscire da questo sistema che attribuisce al Capo dello Stato un così stravagante, quanto formale potere di annullamento delle leggi regionali. Al contrario bisognerebbe impegnarsi su un ruolo pregnante del Senato federale cui competa però un potere insindacabile di rimettere la questione alla decisione della Corte costituzionale. Non varrebbe obiettare che questo coinvolgimento della Consulta nella procedura in esame è sconsigliato dal ruolo di giudice delle leggi in futuro esercitabile anche sulla specifica materia. Infatti, diverso sarebbe il compito della Corte in questa evenienza rispetto alla valutazione di conflittualità tra leggi regionali e statali.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, va preso atto con soddisfazione del giusto punto di equilibrio - condiviso infine anche dall'onorevole Follini - nei raccordi tra primo ministro e Presidente della Repubblica attraverso l'intervento della Camera dei deputati in materia di scioglimento delle Camere. Fermi restando i poteri del premier in tutte le ipotesi diverse dalla presentazione di una mozione di sfiducia nei suoi confronti e fermi restando gli automatismi dell'intervento del Presidente della Repubblica - privo, dunque, di qualsiasi spazio valutativo -, questa seconda ipotesi ben si accorda con il caso di maggioranza diversa da quella originaria sulla base della quale il premier dovesse aver superato lo scoglio della mozione di sfiducia. Per quanto questa soluzione debba essere in qualche modo avallata, tuttavia essa costituisce certamente un vulnus rispetto all'impostazione originaria uscita dalla Commissione affari costituzionali che rendeva ancora più rilevante il ruolo del premier.
In un sistema federalista, l'accentramento dei vari poteri nella persona del Primo ministro, accanto al ruolo di garanzia extra ordinem del Capo dello stato, è condizione ineliminabile di attuazione del centralismo, necessaria al controllo delle autonomie, tanto più quando queste siano ampie come nel progetto in esame.
C'è, infine, signor Presidente, onorevoli colleghi, il settore limitrofo, ma, come ho detto, non meno importante, dei ritocchi apportati, in conseguenza della struttura federale dello Stato, agli organi di garanzia della Corte costituzionale e del Consiglio superiore della magistratura. Si tratta di organi troppo rilevanti, per dirla in maniera molto sintetica, per avallare una spartizione dell'elezione dei relativi componenti tra Camera dei deputati e Senato federale, con riferimento all'elezione dei componenti secondo la misura indicata dalla Costituzione. La diversa provenienza degli eletti dalla Camera ovvero dal Senato federale è, peraltro, diretta a scomparire in seno a ciascuno degli alti consessi, dove essi svolgeranno tutti esattamente le stesse funzioni. Io credo che, quanto più ampio sia il consenso in virtù del quale i componenti dei due organi andranno a svolgere il loro ruolo, tanto più essi saranno attinti da imparzialità e da autorevolezza istituzionale. Non sembra, in buona sostanza, che per le nomine di competenza parlamentare ci si debba allontanare dal sistema attuale, che certo non è il migliore, ma che rimane sicuramente più garantista di quello che si vorrebbe introdurre.
Con specifico riferimento, poi, alla Corte costituzionale, osservo - ovviamente a titolo esclusivamente personale - che non risulta comprensibile la ragione per la quale le magistrature ordinaria e speciali debbano avere loro rappresentanze in seno all'Alto consesso. La confusione di poteri è evidente. Queste postazioni, in passato, non hanno dato buona prova di indipendenza dei giudici costituzionali dalla magistratura di provenienza. Si potrebbe pensare, al riguardo, ad un accrescimento del numero dei giudici di nomina presidenziale (ad esempio, cinque) e di elezione parlamentare (ad esempio, dieci) in proporzione di quelli oggi provenienti dalla magistratura.
Con riguardo sempre alla Corte costituzionale, il progetto prevede, infine, la persistenza, con alcune modificazioni, dell'attuale disciplina della giurisdizione per le responsabilità penali del Presidente del Consiglio e dei ministri. Segnalo soltanto che questo sistema ha dato pessima prova, si è tradotto in una dispersione di interventi ed in un nulla dal punto di vista dei risultati, salvo situazioni eccezionali non casualmente rimaste impresse nella nostra memoria.
Il contrasto della previsione con il rinnovato intendimento di sganciare la politica dalla giustizia non ha bisogno di alcuna sottolineatura. Con opportune modificazioni rispetto al precedente regime, che rappresentava, poi, l'originaria volontà del costituente, sembra opportuno restituire alla Corte costituzionale la giurisdizione sui reati ministeriali e presidenziali sulla base della messa in stato d'accusa da parte dell'Assemblea della Camera, con la quale massimamente persiste il rapporto di fiducia, previo lo svolgimento di indagini da parte di una Commissione bicamerale da istituire e disciplinare con legge costituzionale.
Questo riferimento mi permette di prendere posizione sulla questione delle Commissioni parlamentari d'inchiesta, sul cui regime bisognerà certamente tornare e legiferare con apposita legge, ovviamente di rango costituzionale, con particolare riguardo alle maggioranze necessarie per il compimento degli atti di indagine ed alla determinazione delle relative tipologie.
È difficile da condividere, peraltro, la proposta formulata dal maxiemendamento governativo (per come pubblicizzato dagli organi di stampa) secondo cui tutte le presidenze delle Commissioni d'inchiesta dovrebbero essere di pertinenza delle sole opposizioni. A parte l'originalità di disciplinare una simile materia in Costituzione ed a parte il limite che, per tale tramite, si imporrebbe alla libertà di voto del parlamentare, vale la pena di osservare che una tale opzione, ove si consideri che dovrebbe postularsi come arricchita delle presidenze tradizionalmente spettanti alle opposizioni, pur non trattandosi di Commissioni d'inchiesta (vigilanza RAI, servizi di sicurezza, e via dicendo), rischia l'apprestamento di un sistema camuffato da esercizio di funzioni parlamentari, in realtà capace di integrare un parallelo congegno dotato di poteri da esecutivo, ad onta della collocazione nominalistica. Lasciare alla prassi questo settore risulta, oggi, ancor più incongruo in un quadro istituzionale che assicura forti poteri al capo delle opposizioni.
Anche con riferimento al Consiglio superiore della magistratura, a parte la questione, pure da considerare, della cifra di partecipazione dei non togati all'organo di autogoverno, non vanno ripetute le ragioni per le quali essi debbono essere espressione dell'elezione di Camera e Senato federale congiunti secondo il sistema attuale.
Soggiungo, forse a futura memoria, che intervenendosi, come fa il progetto in esame, sulla composizione, non dovrebbe sfuggire l'occasione per meditare nuovamente sulle quote di partecipazione di togati e non togati, in guisa da configurare una presenza numericamente paritaria al fine di evitare ogni vena di corporativismo. Analogamente può dirsi con riferimento alle problematiche della giurisdizione disciplinare: in una parità numerica tra componenti togati e non togati si colloca molto armonicamente la previsione in Costituzione di un organismo disciplinare composto da soli membri laici del Consiglio superiore della magistratura, ai quali sia impedito per la durata della funzione specifica l'esercizio di altre competenze.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, anche prescindendo dai suggerimenti qui formulati, il progetto di riforma sul quale stiamo lavorando merita condivisione. Mi auguro anzitutto di essere stato capace di stimolare qualche riflessione, ma anche di poter discutere nel prosieguo di taluno dei temi qui trattati (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Duilio, al quale ricordo che ha a sette minuti di tempo a sua disposizione. Ne ha facoltà.
LINO DUILIO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, in questo mio breve intervento vorrei prendere spunto dall'apertura (almeno così è sembrata) da parte del ministro per le riforme, che mi auguro segni una autentica disponibilità al confronto, direi una gentilezza democratica sostanziale, che ritengo sia assolutamente necessaria nel momento in cui il potere costituito diventa potere costituente, peraltro in una situazione, quella di un sistema maggioritario, che rischia di portare ad una Costituzione della maggioranza piuttosto che ad una Costituzione dell'intero Parlamento.
Una prima osservazione riguarda l'idea sottesa a questo progetto, peraltro non molto organico, quella di fronteggiare la complessità sociale che noi oggi abbiamo con una personalizzazione del potere e con una redistribuzione funzionale delle competenze tra lo Stato e le regioni secondo un criterio efficientista, che la dice lunga sulla tendenza ormai diffusa di assumere anche in politica quella razionalità strumentale propria dell'economia che oramai orienta anche l'agire politico, sottovalutando le implicazioni sul necessario equilibrio tra i poteri dello Stato, oltre che le implicazioni surrettizie sulla natura stessa della nostra Costituzione e della nostra Repubblica.
Una sottovalutazione che spicca ancora di più, come dicevo poc'anzi, nell'Italia del maggioritario, dire nell'epoca del maggioritario, un'epoca che esalta il momento della decisione rispetto a quello della rappresentanza, ma che proprio per questo richiede pesi e contrappesi - com'è stato detto con una felice espressione -, richiede la costituzionalizzazione di una zona non maggioritaria e riguarda le autorità indipendenti, le supreme magistrature, le regole parlamentari, se vogliamo costruire una democrazia autentica in cui abbia ancora un significato l'esistenza di un'opposizione.
La prima questione che vorrei richiamare rapidamente riguarda il tema delle garanzie, che non sembrano molto presenti in questo progetto. Basti pensare al ruolo della Corte costituzionale, al quorum per l'elezione del Presidente della Repubblica, al discorso del referendum e dello stesso regolamento parlamentare, che toglie all'opposizione quel residuo di possibilità di iscrivere all'ordine del giorno le proposte dell'opposizione.
Il discorso delle garanzie rappresenta un presidio democratico per la tutela della democrazia e per l'affrancamento da tutti i rischi che oggettivamente, al di là delle intenzioni, esistono per una deriva involutiva e neoautoritaria del nostro sistema democratico.
La seconda questione che vorrei richiamare riguarda quella che, emblematicamente, rappresenta una forma surrettizia di mutazione - quasi genetica - del nostro sistema costituzionale e della nostra forma repubblicana, vale a dire lo strapotere del Primo ministro. Si tratta di uno strapotere caratterizzato dal fatto che il Primo ministro riduce il Parlamento ad una propria appendice. Ma c'è proprio bisogno di questo progetto per capire che cosa significhi lo strapotere del potere esecutivo? Basti guardare come è ridotto già oggi il Parlamento: abbiamo già realizzato, di fatto, un trasferimento del potere legislativo verso l'esecutivo.
Con ciò che si realizzerebbe con il disegno di legge costituzionale in esame, acclareremmo e formalizzeremmo la trasformazione del nostro Stato in una Repubblica, di fatto e di diritto, presidenziale, con un Parlamento che può essere licenziato dal premier, da questo «uomo solo al comando», che incontra il momento democratico solamente nel «giorno del giudizio», vale a dire il giorno delle elezioni. Ciò sulla base di un'idea di democrazia che, come è stato già affermato, anche in quest'aula, consegna al popolo la sede, il deposito dell'idea di sovranità in una forma di democrazia diretta che, come sappiamo, storicamente presenta molti rischi e molti pericoli.
L'ultima questione che vorrei affrontare concerne la cosiddetta devoluzione. Essa è ben altra cosa da quello «Stato delle autonomie» contenuto nella mia tradizione culturale e politica, che viene dal municipalismo sturziano e che giunge fino ad oggi attraverso le figure di Moro, di Bachelet e di Ruffilli, che consideravano le autonomie il cuore dell'organizzazione delle comunità, ma erano ben lungi dal prevedere che la questione delle autonomie locali dovesse condurre ad un'idea di Stato che mortificava il tema dello Stato nazionale come grande comunità, costruita in via sussidiaria rispetto alla comunità locale. Tale idea di devoluzione presenta già l'originalità di inserire, all'interno della Costituzione, le differenziazioni su alcune materie, come la scuola, la sanità e la polizia locale, senza nemmeno precisare, peraltro, cosa si intenda per polizia locale.
Credo che la via maestra - che potrebbe, peraltro, fare tesoro della lunga esperienza double face di un regionalismo di regioni senza regionalismo nel nostro paese - debba guardare alle autonomie territoriali come alle tessere di un mosaico che, in via sussidiaria, si allarga ai livelli superiori, arriva allo Stato nazionale e va oltre lo Stato nazionale stesso, secondo un'ottica di condivisione, e non di divisione localistica.
Su tali questioni sostanziali, riteniamo che, se sono vere le aperture fatte, nella solennità di quest'aula, dal ministro Calderoli, si debbano mettere da parte le proprie certezze; ci si deve basare certamente sulle proprie convinzioni, ma per dar vita ad un confronto che porti ad organizzare le regole di quella che rimane «la casa di tutti». Se così non fosse, vale a dire se le nostre proposte emendative, che sono proposte di buonsenso, non dovessero essere accolte, non ci resterebbe che rivolgerci al paese, e siamo certi che, se così dovesse essere, il paese capirà (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sinisi, al quale ricordo che ha 15 minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
GIANNICOLA SINISI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, è un amaro privilegio essere in quest'aula a discutere, in quest'epoca, di principi costituzionali affermati nel nostro paese non soltanto all'indomani di una guerra rovinosa, ma con uno spirito costituente che non stava soltanto nel nome di quella Assemblea, bensì essenzialmente nell'animo di chi voleva costruire l'unitarietà del nostro paese.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, è uno strano percorso quello che stiamo disegnando in Italia. Ci stiamo avviando, da qualche anno, sulla strada del federalismo, anche sulla base della spinta politica di un partito rappresentato in Parlamento; tuttavia, ci stiamo avviando con un percorso contrario rispetto a quello che è stato tradizionalmente seguito dai paesi che hanno intrapreso tale strada e voluto questa scelta. Negli Stati Uniti d'America, infatti, si è giunti al federalismo unendo le nazioni; anzi, come recita la Costituzione americana, per rendere più forte l'unione di quel paese.
Da noi, si giunge al federalismo dividendo l'unica nazione, separandone geograficamente i confini, rafforzando i poteri regionali e separandone anche i cittadini, rendendoli diseguali. Ciò su cui bisognerebbe interrogarsi - ed è la domanda che voglio porre in quest'aula a ciascuno di noi - è se esiste la possibilità di coniugare unità e federalismo, perché questa è la sfida che noi abbiamo il dovere di realizzare. Per stare insieme dentro l'unità nazionale non bastano regole comuni, ma ci vuole una cultura comune, che ci deve assimilare e farci sentire impegnati verso tale obiettivo comune.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, se vi è un elemento rivelatore di una cultura della divisione, che certamente contrasta con l'esigenza di tenere insieme unità e federalismo, è già nel metodo scelto dalla maggioranza e dal Governo nel portare in quest'aula una proposta assolutamente non condivisa.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, faccio parte ormai da due legislature della Commissione affari costituzionali ed ho già sentito la retorica dell'aver già compiuto questo strappo nella scorsa legislatura, approvando il federalismo soltanto da parte della maggioranza. Ma la replica è assai facile, se pensiamo all'esperienza della Bicamerale, ed al fatto che quel federalismo, voluto dal centrosinistra, non era altro che la riproposizione di temi dibattuti e condivisi all'unanimità all'interno della Commissione bicamerale, che aveva appunto trovato assoluta condivisione sui temi e sugli argomenti: soltanto una furbesca azione politica dell'ultimo tempo mandò a monte il lavoro prezioso svolto dal presidente D'Alema.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, sulla teoria o sull'impegno verso l'unità vorrei richiamare la vostra attenzione. Se vi fosse, infatti, solo la questione del federalismo a dividerci, forse potremmo trovare anche un'intesa. In realtà, ciò che ci divide sono l'impostazione e la cultura profonda che stanno alla base di tali scelte. Noi riteniamo che il centrodestra, in questa stagione, abbia inaugurato la politica che divide; che divide l'Italia attraverso questo tipo di federalismo; che mette il nord contro il sud, attraverso le sue leggi sullo sviluppo; che mette gli anziani contro i giovani, con la precarizzazione del lavoro giovanile; che mette i ricchi contro i poveri, togliendo il reddito minimo di inserimento agli uni e regalando la tassa di successione agli altri; e che mette gli italiani contro gli stranieri, attraverso la sciagurata legge Bossi-Fini, censurata da tutti e a difendere la quale sembra ormai vi sia rimasto solo qualcuno. È questa politica che divide che c'inquieta e non ci fa aderire alle proposte che sono portate avanti.
Signor Presidente, anche l'etimologia della parola ci dovrebbe far riflettere sulla politica sbagliata, o malvagia; e dico malvagia anche con riferimento alla parola dalla quale deriva lo stesso epiteto di demonio: demonio viene dalla parola διαβάλλω, ciò che divide. Per noi è, quindi, facile ispirarsi alla politica che unisce. La politica che unisce, συνβάλλω, è esattamente contraria al διάβαλλω, che è la politica del demonio. Dunque, noi, anche sotto l'aspetto etimologico, sappiamo che non è questa la strada da seguire.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, personalmente non voglio assolutamente insinuarmi nelle divisioni che vi sono state all'interno del centrodestra su questa vicenda, ma proprio in virtù di tale distinzione tra la politica che unisce e la politica che divide vorrei dire a coloro che condividono tali sentimenti di rimanere con noi in questa battaglia politica. Così dico, altrettanto modestamente e con molta umiltà, che noi siamo disposti a stare con coloro che nella maggioranza condividono questi sentimenti, perché non c'è indifferenza, non c'è una volontà di primogenitura, bensì solo una voglia di difendere questi valori.
Signor Presidente, vi è un'esigenza di rendere più moderna la Costituzione, dando una risposta alla domanda di semplicità che proviene dal paese, dai cittadini strangolati da una società troppo complessa.
A questa domanda di semplicità si risponde con il decentramento e si risponde anche con la chiarezza delle competenze e dei ruoli, assegnando allo Stato ciò che spetta allo Stato, assegnando alle regioni ciò che spetta alle regioni ed assegnando alle province, ai comuni, ai singoli cittadini ciò che spetta loro e che non va collettivizzato né burocratizzato. Quello che contestiamo è che vi è un regionalismo che strangola il Parlamento e l'unità nazionale. Vi è un'interferenza nelle questioni nazionali da parte delle regioni, che è assolutamente inaccettabile.
Signor Presidente, voglio essere assai chiaro su questo aspetto e abbiamo presentato, al riguardo, anche alcuni emendamenti. Forse, il lavoro che venne compiuto nella scorsa legislatura in questa materia fu un po' confuso, ma certamente meno confuso delle procedure legislative che si vogliono introdurre con questa riforma costituzionale, che renderanno impraticabile lo stesso iter legislativo. L'interferenza delle regioni si può constatare in alcuni punti assai significativi di questa proposta di riforma costituzionale. Un Senato federale in questa formazione assai confusa, che governa temi di interesse nazionale come la nomina dei giudici costituzionali, la nomina dei componenti del Consiglio superiore della magistratura, argomenti che sono di esclusiva competenza dello Stato, sta a testimoniare come questo Senato federale sia un ibrido assurdo, un sopravanzare del regionalismo fino a strangolare l'unità nazionale.
Anche la tanto decantata difesa degli interessi nazionali assegnata al Senato federale come verifica delle leggi regionali che interferiscono o addirittura pregiudicano l'interesse nazionale è una clamorosa violazione di questo principio. Non può essere un Senato eletto su base regionale, che non può nemmeno essere sciolto per iniziativa del Capo dello Stato, a determinare la scelta dei componenti di taluni organismi e a determinare le valutazioni in ordine ad interessi di esclusiva competenza nazionale. Questa è un'inversione logica assolutamente inaccettabile, che si trasforma anche in alcune diseguaglianze clamorose tra regioni e Stato: se muore o ha un impedimento assoluto il Capo del Governo, si scioglie la Camera; se muore o ha un impedimento assoluto il presidente della regione, il consiglio regionale ne nomina altro. Un principio di continuità affermato per un organismo legislativo come quello regionale; un principio di non continuità affermato, invece, per quanto riguarda il nostro Parlamento, la Camera deputati.
Introduco gli ultimi due argomenti, signor Presidente; lei mi richiamerà qualche minuto prima di terminare, in modo da consentirmi di completare il mio ragionamento.
Vorrei fare riferimento alla cosiddetta devolution, al conferimento di politiche di sicurezza, sanità e scuola a livello regionale. Abbiamo contestato e contesteremo con fermezza questa scelta, perché essa porterà inevitabilmente ad avere diritti diseguali e cittadini diseguali nella nostra nazione. In un momento in cui l'Europa si impegna non soltanto a garantire diritti eguali in Europa, ma addirittura a far affermare quei diritti universali su tutto il pianeta, faremmo sì che l'istruzione, la sicurezza e la salute possano diventare appannaggio dei cittadini delle regioni ricche e possano determinare addirittura un'ulteriore mancanza di opportunità per i cittadini delle regioni più povere.
Un filosofo ha detto che compito della politica è dare opportunità a chi non ne ha. Noi, in questo modo, togliamo opportunità a chi già è pregiudicato in questo senso. Ho una qualche dimestichezza con i temi della sicurezza. Una polizia nazionale, che abbiamo difeso anche nel processo di democratizzazione portato avanti dalla legge n. 121 del 1981, ha la sua ragion d'essere proprio nel fatto che, da Bolzano a Trapani, a tutti viene garantito il diritto di sentirsi sicuri nelle proprie città.
Questo meccanismo volto a separare le politiche della sicurezza e ad attribuire ad organismi regionali la competenza di promuovere le funzioni della polizia locale - un'espressione equivoca che certamente non ci può trarre in inganno, perché essa indica una polizia che ha competenza generale all'interno del territorio - crea ulteriore confusione in tema di coordinamento.
Una sanità che viene divisa anche nella sua organizzazione tra le regioni significa che le regioni che hanno meno risorse chiuderanno gli ospedali, e questo comporterà la mobilità verso le regioni più ricche. Una scuola che sarà anch'essa organizzata su base regionale si troverà a non avere più un luogo per la difesa dei valori costituzionali di autonomia e di libertà dell'insegnamento.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, a proposito della scuola, provo la sensazione di essere un privilegiato nel poter difendere le nostre ragioni discutendo e ragionando in quest'aula. Devo tuttavia ricordare che esiste una responsabilità di tutti noi, che deriva dai tempi di Cavour e dei suoi contemporanei, che pure hanno calcato questi banchi in maniera assai più prestigiosa di quanto, purtroppo, non stiamo facendo noi in questa epoca.
Nei sussidiari della scuola è scritto quali furono i promotori dell'unità nazionale: non sarà scritto nei sussidiari che verranno quali sono i protagonisti ed i responsabili della divisione del nostro paese, perché non ci saranno nemmeno i sussidiari nella scuola. Anche questa è un'interferenza grave del principio della libertà di insegnamento.
Un ultimo argomento è quello relativo alla Corte costituzionale: si tratta di un presidio di garanzia per tutti noi. È entrata nel mirino di questa maggioranza e di questo Governo per sentenze non gradite: la storia delle sentenze non gradite riempie la cronaca di questi giorni ma anche, ahimè, la cronaca di tutti quei paesi che hanno abbandonato la strada della democrazia e della libertà.
Una sentenza ingiusta si contesta nelle forme e nei modi che sono previsti dallo stesso ordinamento. Noi invece cerchiamo di punire questo organismo, insultandolo, ma soprattutto cercando di delegittimare le sue decisioni.
Qual è la forma di delegittimazione più subdola per un magistrato? L'interferenza della politica nelle decisioni dell'autorità giudiziaria!
Ebbene, quest'indipendenza ed autonomia dei magistrati, che vengono tanto decantate, vantate ed invocate, soprattutto quando vi sono sentenze che non piacciono, diventa addirittura un sistema attraverso l'ampliamento dei componenti di nomina politica, ed anche qui in parte addirittura maggiore, da parte del Senato federale, passando da cinque a sette componenti. Ce ne vorrà soltanto uno per acquisire la maggioranza al fine delle decisioni e per far sì che le decisioni della Corte costituzionale potranno dirsi con chiarezza decisioni politiche, non foss'altro perché la sua maggioranza sarà costituita da uomini e donne di espressione politica del Parlamento.
Lo si potrà allora dire con chiarezza: sarà una decisione rispetto alla quale i nostri giornali, così come si fa in America secondo una teoria sportiva, dichiareranno «chi sta di qua e chi sta di là», magari auspicando, come pure accade negli Stati Uniti d'America, che qualcuno si ammali o si ritiri, in modo da essere temporaneamente sostituito per cambiare le maggioranze e conseguentemente anche le decisioni.
Signor Presidente, penso che questo sia il vulnus più grande, ovvero questa interferenza volgare della politica nelle decisioni del supremo consesso posto a tutela della nostra libertà e dignità costituzionali. Credo sia una delle maggiori violazioni che vengono previste all'interno di questo disegno costituzionale perverso e certamente non moderno!
Concludo dicendo che vi è un bisogno di modernità nel nostro paese, perché occorre superare le teorie collettivistiche, così come occorre superare le teorie individualistiche. Teorie del passato che hanno agitato le nazioni in Europa, sino a costituire l'una e l'altra le ragioni dei gravi disastri del nostro continente.
Deve esserci la strada per promuovere le persone nella solidarietà, in una visione più globale ed aperta della società. Una Costituzione che divide è per sé stessa una Costituzione che prevarica: noi contro questa prepotenza avremo il dovere di reagire.
Riapriremo la questione delle garanzie e delle libertà nel nostro paese verso un riformismo positivo e solidale. Credo che abbiamo superato definitivamente la fase in cui eravamo arroccati a difendere i diritti conseguiti nei decenni passati, quasi scambiandoci per nuovi conservatori. Oggi siamo impegnati sì sulla strada dei valori da difendere, ma soprattutto su quella dei principi da affermare.
Su tale terreno realizzeremo le nostre proposte, che porteremo agli elettori nella vicenda referendaria, se ve ne sarà bisogno, ma soprattutto nelle prossime elezioni.
Lo faremo per vincere, per governare bene - siamo convinti di poterlo fare meglio di questa maggioranza e crediamo di averlo già dimostrato - e per portare finalmente l'Italia nel suo futuro (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bielli. Ne ha facoltà.
VALTER BIELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il tema delle riforme costituzionali non solo è complesso, difficile, delicato ed importante, ma attiene alle regole della democrazia e, come tale, dovrebbe essere affrontato con metodologie, tempi e comportamenti atti ad evidenziare che la materia di cui si tratta è assai scottante. Si affronta il tema dei principi di libertà, delle basi su cui si fonda lo Stato democratico.
C'è voluta la guerra di Resistenza, un sommovimento straordinario, per gettare le basi della nostra convivenza civile. La promulgazione della Costituzione repubblicana è frutto di una grande unità nazionale fatta di valori e di principi condivisi. Oggi si pretende di concludere la riforma della Costituzione con una discussione in quest'aula di tre giorni.
Il testo presentato dalla maggioranza e discusso in Commissione era blindato. Dunque, si è perso tanto tempo perché non sono state discusse nel merito le questioni che avevamo posto. Appare paradossale che, riguardo ad un tema tanto delicato ed importante, rispetto al testo discusso in Commissione sia stato raggiunto dalle forze di maggioranza un accordo estivo. Tale accordo ha un merito: come la testa di Berlusconi, è coperto da una bandana e non è dato sapere esattamente cosa vi sia sotto.
A ciò si unisce il nuovo ministro per le riforme istituzionali, il senatore Calderoli, che nelle dichiarazioni alle agenzie di stampa tuona frasi che sembrano preludere alla secessione. Poi viene in aula, attua un confronto serio con la minoranza e si fa portavoce di aperture che fino a ieri considerava bestemmie. Inoltre, annuncia che presenterà emendamenti significativi, con il risultato che non sappiamo bene su quale testo saremo chiamati a votare nei prossimi giorni.
È serio questo? Qual è il ruolo del Parlamento, se non quello di poter discutere a carte scoperte? Su temi così delicati le posizioni non possono essere presentate all'ultimo minuto. Serio sarebbe stato confrontarsi in Commissione in modo aperto e responsabile e venire in aula, ripeto, a carte scoperte.
Ho l'impressione, anzi sono convinto, che ciò che avete concordato in maggioranza fuori dal Parlamento sarà un ibrido incredibile. Più che una visione organica vedo una specie di bricolage in cui ognuno di voi ha messo qualcosa di suo: manca una visione unitaria. Mi viene in mente un tema che sembrava tanto caro al nostro primo ministro quando diceva che mai avrebbe utilizzato la vecchia politica.
Voi avete aggiunto qualcosa in più alla vecchia politica. Siete riusciti a dimostrare che fate peggio di quello che prima consideravate una cosa da non fare, nel senso che riuscite, rispetto alla vecchia politica, a fare una cosa: ne prendete solamente i difetti! Quello che fate è grave, perché all'Italia non viene dato nulla di serio, bensì un boccone amaro e irricevibile. Il centrosinistra non è pregiudizialmente contrario a grandi riforme istituzionali. Occorre affrontare i nuovi problemi imposti in particolare dalla globalizzazione, i problemi che derivano dai cambiamenti in atto e quelli del come governare meglio questo paese. Al riguardo, il centrosinistra è aperto e disponibile. Vi è il bisogno di riforme. La globalizzazione, il nuovo ruolo dell'Europa, il problema odierno della guerra, impongono a tutti noi di non stare arroccati sulle posizioni del passato.
Quindi, da parte nostra c'è disponibilità ed apertura per un confronto serio. Tuttavia, il testo che ci presentate, quello che voi chiamate riforma della seconda parte della Costituzione, è altro. Esso non chiude in alcun modo la transizione istituzionale, non pone le basi di un moderno Stato federale, né garantisce le regole per una moderna democrazia dell'alternanza. Anzi, esso minaccia l'unità del paese ed incredibilmente - ma tutto ciò è frutto di quel pateracchio che avete costruito - mescola derive secessionistiche con il ritorno al vecchio centralismo, che umilia e vanifica le tante aperture a quelli che sono considerati i rami bassi del sistema.
Parlate di poteri ai comuni, ma solo sulla carta, perché per avere potere bisogna avere anche risorse, mentre voi non le date ed avete introdotto anche controlli di vecchio tipo. Tutto ciò è funzionale all'idea vera che sta dietro alla vostra impostazione, quella che per governare siffatto stato di cose ci vuole poi al centro chi abbia un potere straordinario ed unico. Si delinea, quindi, attraverso la vostra proposta, quella che io chiamo una moderna dittatura elettiva di un solo uomo. La filosofia che ispira la vostra proposta non pare essere correggibile, in quanto proponete un sistema di Governo impraticabile, con veri e propri rischi di paralisi istituzionale: un primo ministro con poteri assoluti, un affievolimento del ruolo di arbitro e di garanzia del Presidente della Repubblica e quella strana cosa che è il nuovo Senato. A tutto ciò - su cui ritornerò -, si deve aggiungere che si mette a rischio l'universalità dei diritti e delle libertà costituzionali, a partire dal diritto all'istruzione, alla salute e alla sicurezza.
Si delinea una forma di Governo unica al mondo. Il disegno istituzionale che avete proposto non può essere ricondotto a nessuno dei modelli delle moderne democrazie. Ne risultano indebolite le garanzie democratiche ed istituzionali e si intravedono, anzi sono evidenti, derive autoritarie di tipo peronista, senza al contempo garantire stabilità, efficienza ed efficacia nell'azione di Governo. Si tende a liquidare la Costituzione repubblicana, che sicuramente andava e va aggiornata, ma non va e non deve essere scardinata. Una Costituzione scardinata genera insicurezza ed oggi voi spargete nel paese nuove insicurezze, in un tempo in cui l'insicurezza è già tanta. Viviamo oggi in un mondo in cui si espande la guerra e cresce il terrorismo. Se penso, ad esempio, alla vicenda delle due italiane rapite, le due Simone in mano ai terroristi iracheni, capiamo quanto sia grande il rischio del terrorismo e come tutti noi si debba avere la consapevolezza di quello che va fatto con riferimento ad alcune questioni che riguardano la comunità nazionale e al modo con cui andare avanti assieme. Ma voi questo non lo fate!
Ma vi è tanta insicurezza anche su altri versanti. Il potere di acquisto dei salari è basso (si sta riducendo) e vi è un ridimensionamento dello Stato sociale. Vi è, inoltre, insicurezza per quanto riguarda il tema del risparmio (l'insicurezza è cresciuta!). I cittadini chiedono alla politica certezza e sicurezza, mentre voi della maggioranza oggi state mettendo in discussione persino le regole della civile convivenza, le libertà ed i diritti sanciti dalla Carta costituzionale.
Voi affermate che la riforma riguarda la seconda parte della Costituzione, per cui non si incide sulla prima; voi, tuttavia, sapete meglio di me che i principi fondamentali della prima parte della Costituzione esigevano nella seconda la necessità di definire i compiti ed i contenuti concreti di quei principi. Siamo, pertanto, di fronte ad un qualcosa che riguarda l'intero impianto costituzionale.
Il Presidente del Consiglio ha sempre detto che avrebbe cercato di mettere in atto una politica in cui i partiti avrebbero dovuto avere meno ingerenze per quanto riguarda il funzionamento di parti delicate dello Stato.
Voi mettete persino in discussione l'indipendenza della Corte costituzionale, che ne uscirà ancor più politicizzata rispetto alla situazione attuale per l'accresciuto peso della componente di designazione politico-parlamentare. Da questo punto di vista, chiederei al nuovo ministro Calderoli (avete sempre parlato di una politica troppo invasiva) cosa ne pensa di questa politica che interviene anche sulla Corte costituzionale.
In ordine alle derive plebiscitarie autoritarie di cui parlavo, cos'è questo potere straordinario di scioglimento delle Camere che viene attribuito al Presidente del Consiglio? Sono fra coloro i quali sono favorevoli ad introdurre norme antiribaltone, ma siamo di fronte a qualcos'altro, perché, accanto al potere di scioglimento delle Camere, in verità si delinea anche un esproprio della funzione legislativa del Parlamento; infatti, con il potere di scioglimento delle Camere, in cui l'unico arbitro è il Presidente del Consiglio, si ricatta la maggioranza e si delinea la possibilità di elezioni anticipate, senza per questa via pensare, come oggi, al ruolo di garante espresso dal Presidente della Repubblica.
Voi, con il vostro provvedimento, mettete anche in discussione le prerogative del Presidente della Repubblica, che perde il potere di decidere sullo scioglimento delle Camere, e, nello stesso tempo, autorizzate un iter legislativo in cui, in verità, potrebbero essere approvati solamente i disegni di legge presentati dal Governo. Cos'è questo se non un esproprio del ruolo del Parlamento? Alla centralità del Parlamento si sostituisce la centralità dell'esecutivo e del suo Presidente del Consiglio. Questo è il motivo per cui parlo di deriva autoritaria.
In questa situazione, non si poteva pensare, in un sistema elettorale maggioritario, di intervenire sul sistema di pesi e contrappesi, in una sorta di bilanciamento, come in altri modelli costituzionali? Il tema dello statuto delle opposizioni come viene preso in considerazione con la vostra proposta? Con il vostro provvedimento non viene presa in considerazione neppure la necessità di rafforzare gli istituti della partecipazione democratica.
In verità, si pensa al fatto che si vota ogni cinque anni e per cinque anni chi ha ricevuto quel voto può fare tutto quello che ritiene giusto ed opportuno. Questa, tuttavia, non è democrazia! Questa è una nuova forma di autoritarismo, che è inaccettabile e che nulla ha a che fare con la storia del nostro paese. Ecco perché non si può essere d'accordo con l'impostazione che voi date al tema delle riforme costituzionali.
Oggi non esiste democrazia in cui non si tratti del tema relativo alla libertà di informazione e, all'interno del nostro ordinamento, registriamo che il Capo del Governo possiede tutti i mezzi di informazione. Sicuramente in ciò siamo i primi, ma non lo siamo per quanto riguarda le garanzie democratiche. Ecco perché siamo di fronte alla personalizzazione della politica, ad una perdita del ruolo del Parlamento e della partecipazione democratica nonché ad una trasmigrazione del potere legislativo.
Siamo dunque contrari a tale impostazione in quanto vogliamo un moderno Stato federale, unito da alcuni principi che valgano per tutte le regioni. Riconoscendo la competenza esclusiva delle regioni nel campo dell'assistenza e dell'organizzazione sanitaria, nel campo dell'organizzazione e della gestione degli istituti scolastici e nel campo della polizia locale, in verità create le premesse per dividere il paese.
Avete perfino previsto la crescita delle cosiddette microregioni. In una situazione in cui vi è la necessità di riconoscere più poteri alle regioni, introducete il principio della realizzazione di nuove microregioni. State lavorando per dividere, attribuendo al Capo del Governo poteri inusitati; ecco perché non siamo d'accordo con la vostra impostazione!
Pensate ad uno Stato federale a fisarmonica, caratterizzato da un forte centralismo, promettendo tuttavia a livello decentrato di realizzare una disarticolazione dei principi che apparivano riconosciuti una volta per tutte.
Se penso al problema della scuola e alle posizioni assunte dalla Lega in tale settore con riferimento ad altre culture e ad altre religioni, l'apertura straordinaria riconosciuta alle regioni in campo scolastico può essere prodromica per ottenere ciò che la Lega sicuramente non vuole. Infatti, attraverso questa apertura, si potrebbe anche addivenire alla creazione di scuole islamiche, scuole confessionali, scuole di tipo religioso.
Proprio perché non avete consapevolezza di ciò che state realizzando, non vi rendete conto che potreste attuare un qualcosa che vi può sfuggire di mano; per tale motivo trovate la nostra opposizione.
Un altro aspetto della vostra riforma riguarda la polizia locale. Cos'è la sicurezza in un paese moderno, se non la capacità di agire e di interagire per contrastare fenomeni dalle dimensioni inusitate? Oggi si parla di grandi operazioni finanziarie, di una delinquenza che va oltre l'ambito comunale e regionale e, anche quando si parla di terrorismo, ci si riferisce ad una criminalità che non ha confini. E a tutto ciò voi rispondete con la polizia locale!
Perché non vi rendete conto che occorre guardare in grande, con la consapevolezza dei problemi esistenti? Con la vostra riforma non fornite risposte ai problemi del paese, ma create un paese per molti versi diviso, nel quale si può aprire a fenomeni pericolosi.
Allora, vi chiedo di ripensare e di fermarvi perché il paese non può accettare un'impostazione di questo tipo. C'è bisogno di più unità e maggior spirito civile, c'è bisogno di avere la consapevolezza di volere un'Italia più unita e più libera. È possibile fare questo; fermatevi in tempo rispetto all'impostazione che state portando avanti perché il vostro progetto divide e crea situazioni di illibertà. Da questo punto di vista non garantite la democrazia, ma perseguite un disegno autoritario cui ci contrapporremo con tutte le nostre forze.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Burtone. Ne ha facoltà. Le ricordo che ha a disposizione sette minuti.
GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Signor Presidente, le norme varate dal Senato e il dibattito sviluppatosi, le modifiche programmate da uno pseudotavolo tecnico della maggioranza, pur nell'incertezza di un quadro normativo - si è parlato e si parla di diverse bozze - ci danno la consapevolezza di essere davanti ad una riforma che tocca la parte istituzionale della Carta costituzionale. Una riforma, quindi, radicale: nuovi poteri al premier, fine del bicameralismo paritario, devolution.
Non sarebbe, dunque, necessario ricorrere al mito della Costituzione per sostenere la necessità dell'elezione di un'Assemblea costituente come unica sede idonea ad affrontare modifiche che incideranno nella vita democratica del nostro paese. La maggioranza, invece, ha raccolto l'alibi della riforma del Titolo V della Costituzione, varata dal centrosinistra nella passata legislatura, per avviare un percorso riformatore tanto ampio quanto confuso, incerto e contraddittorio.
Voglio ricordare che nella passata legislatura la riforma riprendeva la bozza redatta dalla Commissione bicamerale, fortemente condivisa non solo trasversalmente dalle forze politiche, ma anche dall'ANCI, dall'UPI, dalle regioni. Soprattutto, quella riforma ridefiniva tre livelli di competenze legislative: una esclusiva dello Stato, una esclusiva delle regioni ed una concorrente tra Stato e regioni. Si trattava di scelte innovative dell'ordinamento costituzionale, ritenute soddisfacenti per le regioni e per le autonomie locali, che ritrovavano l'attuazione del principio di prossimità e l'avvicinamento del rapporto tra cittadini e istituzioni.
Invece, il progetto di riforma costituzionale avanzato dalla maggioranza persevera nel suo difetto di origine e riflette lo scambio politico tra le forze del centrodestra. Un pezzo a ciascuna forza politica: a Forza Italia e Alleanza nazionale il premier con poteri al di fuori di ogni ragionevole misura, alla Lega la devolution. Il progetto uscito dal Senato non ha quindi un disegno unitario, non ha una logica di sistema per un ordinato funzionamento delle istituzioni, non va incontro ad un patto costituzionale. È un contenitore in cui inserire una nuova forma di Governo, finalizzata non alla stabilità ed all'efficienza delle nostre istituzioni, ma all'aumento spropositato dei poteri del premier, con una limitazione degli organi di garanzia costituzionale come il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale. Un contenitore, quindi, in cui marginalizzare il Parlamento, in cui prevedere, sotto il pretesto delle presunte lentezze e farraginosità riconnesse al vigente bicameralismo, la nascita di un Senato, a parole federale, finalizzato a configurare un bicameralismo asimmetrico, con la presunzione di creare una sede idonea alla concertazione preventiva della legislazione tra lo Stato e le regioni.
Tante, troppe le scelte operate con superficialità o strumentalità, senza i dovuti approfondimenti, senza la necessaria ricerca di un sistema di garanzia, con la possibile conseguenza di un capovolgimento del nostro assetto costituzionale, specie se aggiungiamo la tanta declamata e reclamata devolution.
Infatti, nel testo approvato dalla maggioranza troviamo la straordinaria evenienza di due potestà esclusive coincidenti nella stessa materia: alla legge statale continua a spettare l'esclusiva determinazione delle prestazioni dei diritti sociali e civili, e alla legislazione concorrente la materia della tutela della salute. Ma la riforma pone anche la potestà legislativa esclusiva regionale nelle materie strettamente connesse ai diritti dei cittadini: l'organizzazione sanitaria, la scuola, la polizia locale.
Non è difficile, quindi, immaginare la nascita di sicuri conflitti fra lo Stato e le regioni e anche, con l'utilizzo dei nuovi poteri esclusivi delle regioni, lo scardinamento di un sistema di servizi universali che oggi sostengono diritti di cittadinanza e di eguaglianza sociale: potremmo avere venti nuovi sistemi sanitari regionali e una frantumazione del sistema scolastico; non meno rischioso è il tema della sicurezza. Qualcuno ha cercato di mettere una toppa, ma il rimedio è stato peggiore del male: il richiamo all'interesse nazionale. Basta leggere attentamente l'iter procedurale previsto al riguardo per sostenere con amarezza che ci troviamo davanti un vero guazzabuglio. L'unica cosa certa che emerge è che a garantire l'interesse nazionale non sarà il Parlamento, ma il Governo.
Ma quanto costerà la cosiddetta devolution agli italiani? A Bari, il Presidente del Consiglio ha anche chiarito che il federalismo ridurrà la spesa pubblica. Importanti centri di ricerca economica dicono il contrario, ovvero che vi sarà un'impennata della spesa. Inoltre, la devoluzione acuirà la polarizzazione dei trasferimenti tra le regioni del nord e quelle del sud, che oltre ad avere bassi consumi, e quindi limitati gettiti IVA, dovranno scontare una carenza infrastrutturale di partenza. Si determinerà, quindi, una forte discontinuità territoriale, se non si prevederà un fondo di riequilibrio per le aree più deboli.
Vi è infine, signor Presidente, una forte preoccupazione per la norma transitoria che introduce una serie di violazioni all'autonomia delle regioni a statuto speciale, prevedendo la diretta e automatica applicabilità di tutte le disposizioni introdotte con la riforma, in assenza di qualsiasi dignitoso confronto con le assemblee legislative regionali. Pertanto, al di là delle formali assicurazioni che diversi ministri hanno fornito, saranno presentati dall'Ulivo alcuni emendamenti, affinché nessuna delle scelte costituzionali che verranno compiute possa pregiudicare il mantenimento delle prerogative autonomistiche della Sicilia e delle altre regioni autonome, frutto dei sacrifici di quanti hanno creduto in un impegno autonomistico fortemente intrecciato al sentimento di unità nazionale (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Sasso. Ne ha facoltà.
ALBA SASSO. Signor Presidente, le modifiche già apportate all'articolo 117 della Costituzione dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 prevedono che restino di competenza esclusiva della legislazione statale la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, e le norme generali sull'istruzione. Sono invece materia di legislazione concorrente quelle relative all'istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione dell'istruzione e della formazione professionale.
Inoltre, tale riforma costituzionale ha stabilito che spetti alle regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. Le modifiche proposte dal disegno di legge costituzionale in esame sostituiscono quest'ultima disposizione.
Spetta alle regioni la potestà legislativa esclusiva nelle seguenti materie: assistenza ed organizzazione sanitaria, organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione - salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche -, definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della regione. Il mio intervento verterà soprattutto sul tema della devoluzione del sistema scolastico, quindi non mi soffermerò sulle altre questioni.
Per quanto riguarda la definizione di organizzazione scolastica e gestione degli istituti scolastici e di formazione, sicuramente si potrà discutere a lungo, come già si comincia a fare. Qualcuno potrà sostenere che tali formule non riguardano le norme generali sull'istruzione - è questo il nodo -, le quali restano di competenza legislativa esclusiva dello Stato. In ogni caso, ciò può anche significare - mi sembra sia questa l'intenzione del disegno di legge costituzionale in esame - che ogni regione potrà finalmente darsi l'ordinamento scolastico che preferisce, in deroga a quello vigente a livello nazionale. Infatti, quando si parla - e le parole come sappiamo, signor Presidente, sono pietre - di istituti scolastici e di formazione, cosa si intende? Sicuramente si intende - credo - parlare di istituti di istruzione e di formazione, cioè le due articolazioni di cui oggi si compone - secondo la legge n. 53 del 2003 - tutto il sistema scolastico nazionale.
Pensate cosa potrebbe significare tutto ciò (la questione, tra l'altro, è stata richiamata anche da altri colleghi): venti sistemi scolastici differenti in un paese che ha costruito la sua unità e la sua unificazione linguistica proprio sul sistema scolastico unitario, dove scuola e carabinieri rappresentavano - persino nei piccoli paesi - lo Stato unitario.
Per quanto riguarda l'altro punto della norma, cosa si intende dire con la formula programmi scolastici e formativi di interesse specifico della regione? Ci si riferisce a tutto il sistema scolastico, oppure il termine «formativo» non è compreso fino in fondo? È ovvio, infatti, che i programmi siano formativi, chi lo mette in dubbio? Ci mancherebbe altro! Forse, si intendeva richiamare il sistema della formazione professionale, ma poi ci si è accorti che quest'ultimo ormai è già di competenza esclusiva della regione. Cosa vuol dire allora questa formula?
Credo che ci troviamo di fronte ad un pasticcio incredibile, foriero di discussioni interminabili ed anche di un contenzioso tra Stato, regioni, comuni e scuole autonome. Continua quella incredibile illegittimità già creata dalla legge n. 53 del 2003. Non era mai successo che nel nostro sistema scolastico venisse attribuita per Costituzione a questo o a quel soggetto statuale la facoltà di definire con legge i programmi scolastici.
Vi è di più. Si sa, infatti, a cosa ci si riferisce quando si parla di programmi scolastici, di autonomia scolastica? La dizione «programmi» era già sparita dalla nostra scuola e si era arrivati ad un concetto più avanzato, costituito dalle indicazioni curriculari definite a livello nazionale e utilizzate dalle scuole per costruire i curricula tenendo conto delle loro competenze e della situazione locale; tutto ciò sempre sulla base di indicazioni e di obiettivi definiti a livello nazionale. Si tratta di quegli obiettivi formativi che fanno l'unità del sistema scolastico, pur nel rispetto delle autonomie delle scuole sancite dalla modifica del Titolo V della Costituzione.
Vi è però un'altra contraddizione che mi permetto di sollevare.
Il primo decreto legislativo emanato in base alla legge n. 53 del 2003 ha scelto di non definire la quota parte regionale dei programmi prevista dalla stessa legge. Da cosa deriva questa dimenticanza? Forse dal fatto che c'era l'imbarazzo di stabilire quale parte degli stessi restasse all'autonomia scolastica?
In realtà, il punto è che la legge n. 59 sull'autonomia scolastica ha già definito che c'è una quota parte dei programmi o delle indicazioni nazionali che viene coniugata dalle scuole, per rafforzare le competenze dei ragazzi, per sviluppare altre materie di studio e via dicendo.
L'articolo 21 della legge n. 59 non è stato abrogato dalle modifiche proposte; come si deve organizzare allora il lavoro della scuola?
Nella legge n. 53 del 2003 non è stata definita la quota parte dei programmi sui quali le scuole devono comunque articolare il loro lavoro; ciò perché si voleva forse attendere la definizione della competenza legislativa costituzionale delle regioni in materia?
Oggi si decide di emanare programmi, facendo un passo indietro rispetto alla cultura della scuola, con un decreto legislativo e, domani, con un regolamento di Governo oppure della regione. Credo che ci troveremo di fronte ad un testo costituzionale pasticciato e contraddittorio che, come dicevo prima, aprirà enormi conflitti di competenze. Qui c'è, però, un elemento, un filo rosso, un trait d'union fra le politiche in materia scolastica e quelle che questa modifica costituzionale sembra avviare. C'è un punto in comune; in primo luogo, l'attacco all'autonomia delle scuole, che non sembra essere gradita a questo Governo, ma ciò era prevedibile perché non è di questo Governo la volontà di potenziare un sistema scolastico che veda una gestione integrata sul territorio tra soggetti alla pari: le strutture decentrate dell'amministrazione, le autonomie locali e le scuole autonome.
L'azione legislativa e politica del ministro Moratti è andata, in questo primo anno e mezzo di Governo, nella direzione opposta, cioè in quella di riaccentrare competenze, bloccando un processo di dislocazione di poteri già avviato da tempo, ricreando gerarchie e subalternità nel governo del sistema: basti pensare ai dirigenti regionali nominati con la logica della fedeltà alle scelte amministrative, alla modifica del contratto per i dirigenti scolastici e ad altro ancora.
In tale contesto l'autonomia è stata soffocata attraverso la riduzione di risorse previste dalle ultime finanziarie. Tutto questo sembra riproporre un'idea vecchia, vecchissima di scuola, non moderna, non aperta al confronto con le culture, con i territori, con le diverse culture che entrano nella scuola attraverso i bambini; sembra riproporre la vecchissima idea di una scuola terminale ultimo di decisioni prese altrove, da Stato o regione che sia.
Il secondo elemento comune è rappresentato dal fatto di ritornare ai programmi calati dall'alto. Il ministro Gentile diceva di essere in grado di sapere in ogni momento, in ogni ora della giornata, che cosa si stesse facendo in tutti i licei del Regno; adesso, dovremmo, invece, ragionare in maniera diversa.
La legge n. 53 del 2003 stabilisce che i piani di studio contengano un nucleo fondamentale omogeneo su base nazionale che rispecchia la cultura e le tradizioni e prevede una quota riservata alle regioni relativamente agli aspetti di interesse specifico delle stesse. Si parla dunque di interesse specifico. C'è una contraddittorietà tra i due testi; una volta fissata una quota regionale da un decreto legislativo emanato in attuazione della proposta Moratti, cosa succederebbe se una regione attivasse la propria competenza esclusiva modificando la quota di programmi regionali, riducendola o incrementandola?
Credo che ci troviamo di fronte - mi scuso per la ripetizione - ad un grande pasticcio, ad un grosso conflitto di competenza.
Come dicevano alcuni colleghi che mi hanno preceduto, stiamo sfuggendo alla sfida vera, quella di un federalismo solidale e cooperativo, di una sussidiarietà che non può essere intesa in chiave di abbandono, di dismissione, di rinuncia ad ogni intervento statuale. Sembra che si pensi all'intervento dello Stato nel campo dell'istruzione come ad un'intrusione, all'espressione di un monopolio sgradevole.
Ha ragione Michel Crozier a proposito dell'equazione tra «Stato moderno» e «Stato modesto»? Noi non siamo d'accordo: lo «Stato leggero» è quello che definisce le regole fondamentali.
Secondo questo disegno di legge costituzionale, e già secondo la legge nota con il nome del ministro Moratti, l'istruzione diventa un'altra cosa e sembra spostarsi verso l'idea di un servizio privatistico: si lega ad una domanda soggettiva e non più al protagonismo dei cittadini associati. In quest'ottica sembra doversi interpretare il forte richiamo ai diritti di libertà e di scelta in materia di istruzione dei singoli che pervade la proposta di nuova riforma degli ordinamenti scolastici, fino alla scomparsa dell'obbligo, visto come intrusivo ferro vecchio dell'Ottocento, sostituito dalla più dinamica dialettica tra diritto e dovere all'istruzione ed alla formazione.
Allora, potremo aspettarci che, da qui in avanti, questo diritto-dovere sarà tutto contenibile in un buono scuola regionale, in quanto parte commerciabile e negoziabile di un diritto civile e sociale? Questo disegno di legge sembra voler liberalizzare, sembra voler liberare la scuola da lacci e lacciuoli; in realtà, le nega autonomia, a differenza persino della Costituzione del 1948. Nella Costituzione dei padri fondatori c'era un forte respiro autonomistico ed aperture su un'inedita idea di regionalismo, di decentramento e di autonomia: nel campo dell'istruzione, queste sono garanzie fondamentali! I primi articoli della Costituzione del 1948 rappresentano una vera e propria piattaforma pedagogica ancora capace di indicare prospettive di sviluppo e di crescita della nostra scuola: la scuola del «non uno di meno»; la scuola che garantisce uguali diritti alla formazione a tutti.
La riforma del Titolo V sull'assetto dei poteri locali, attuata nel 2001, è stata il frutto di un'idea di regionalismo che dava il suggello alla compartecipazione delle regioni alle scelte legislative, sebbene - occorre pur dirlo - attraverso un oggetto un po' misterioso quale le competenze concorrenti, che invitano alla connessione, ma che potrebbero aprire la strada ad insanabili conflitti in caso di mancata individuazione delle sedi e delle ragioni dell'integrazione e della compensazione.
Invece, il testo in discussione introduce un principio di federalismo - come dire? - a geometria variabile, nel senso che viene riconosciuta alle regioni la possibilità di appropriarsi di fette di legislazione esclusiva in alcuni settori limitati, ma strategici (sanità, istruzione, polizia locale). Tutto ciò crea un pericolo vero anche sul terreno dell'istruzione, da indicare nella possibile diversa velocità dei processi anche dell'autonomia scolastica: le regioni più forti sembrano anche quelle più pronte a staccarsi dalle comuni fatiche della solidarietà nazionale.
L'assunzione di più forti prerogative legislative regionali potrà avvenire anche senza il consenso del Parlamento (previsto, oggi, dalla legge n. 3 del 2001), con il semplice «via libera» di singole leggi regionali, appena «vidimate» dalla Corte costituzionale. Nel campo dell'istruzione, dunque, la legislazione esclusiva sull'organizzazione e gestione delle scuole e sui programmi di interesse locale distrugge dalle fondamenta, a mio modo di vedere, le competenze ancora fresche che, proprio in tali materie, con decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999, sono state attribuite alle scuole autonome in fatto di autonomia organizzativa e didattica e di potestà sul curriculo locale, oggi previsto nella misura del 15 per cento.
Inoltre, il termine «gestione» può assumere un significato più o meno esteso a seconda delle diverse interpretazioni. Per alcuni, si dovrebbe spingere fino alla gestione del personale docente in appositi ruoli di pertinenza delle regioni, con connessi contratti di lavoro regionali, almeno integrativi di quelli nazionali. Per altri, questo evento dovrebbe essere scongiurato (e io sono tra questi), pena l'instaurarsi di un localismo inaccettabile anche sul terreno del profilo culturale della scuola. Così pure la possibilità di adottare diverse forme di gestione, partecipazione e governo delle situazioni potrebbe portare ad una diversa configurazione di diritti civili fondamentali a seconda dei territori di residenza. Non sarebbe, quindi, garantita l'uguaglianza del diritto all'istruzione a tutte le ragazze e a tutti i ragazzi, perché questo dipenderebbe non solo, come si dice oggi, dalla classe di provenienza, ma anche dal luogo in cui si è - ahimè, senza colpa - nati.
Credo che, comunque, non possiamo ignorare che rimane una legge dello Stato, la legge n. 59 del 1997, non a caso definita di federalismo amministrativo, che introduce il concetto di norme generali in materia di istruzione, intuendo anche nella Costituzione del 1948 la necessaria distinzione tra aspetti essenziali e fondamentali dell'ordinamento scolastico e normazione secondaria di contesto, di dettaglio, meritevole forse di essere delegificata ed affidata a fonti più specifiche. Ma oggi - è questo il punto sul quale dobbiamo interrogarci - a chi spetta custodire e far rispettare le norme generali? Da dove dedurre queste norme? Come verificare che, nelle leggi concorrenti regionali, nella tutela di interessi territoriali non si oltrepassi questa zona di rispetto?
E ancora: quando si parla di livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritti civili e sociali, non siamo più....
PRESIDENTE. Onorevole Sasso...
ALBA SASSO. Sto per concludere, signor Presidente, le chiedo scusa.
Come dicevo, siamo in presenza non più di una pura enunciazione, bensì di una previsione di diritti da garantire a tutti, in eguale misura.
Ma, se non c'è più l'obbligo dello Stato, - poiché il decreto attuativo della legge n. 53 del 2003, in via di approvazione, sostituisce al concetto di obbligo il concetto di diritto-dovere e dispone che la Repubblica non è più tenuta a fornire un servizio omogeneo sul territorio nazionale -, allora vorrei osservare che vi sono dei diritti delle persone, dei diritti di cittadinanza e delle responsabilità sociali nei confronti dei più deboli, e che oggi vi è anche l'esigenza di rispondere alla sfida della multiculturalità. Ebbene, tutte siffatte questioni non possono subire limitazioni dovute alla dimensione territoriale.
Pensiamo che il testo in esame deprima la possibilità di costruire, come oggi sarebbe necessario, una visione di sistema, nell'ambito della quale mettere a valore la sinergia tra nuove responsabilità, nuove competenze e capacità di gestire i nuovi spazi giuridici, amministrativi e organizzativi che si sono aperti con le innovazioni legislative varate in questi ultimi anni; occorre far funzionare, inoltre, un raccordo tra le scuole autonome, l'amministrazione scolastica, le regioni, le province ed i comuni, con le competenze già attribuite dal decreto legislativo n. 112 del 1998.
La legge n. 59 del 1997 non aveva scelto di regionalizzare, provincializzare e municipalizzare la scuola, bensì aveva definito compiti e dislocato poteri, più che decentrarli. Allo Stato spetta la garanzia dei livelli essenziali ed alle politiche locali territoriali sussidiarie, invece, è affidata la capacità di tradurre i livelli essenziali in livelli ottimali, come ci ricordano le indicazioni europee sulle politiche pubbliche.
Si tratta, dunque, di un sistema - e sto veramente per concludere, signor Presidente - fondato su una forte democrazia governante. Il rischio che intravediamo nel testo oggi in discussione è di tornare indietro su questo terreno e di trasformare quel principio, nobile e antico, ma fecondo di modernità, vale a dire il federalismo di Cattaneo, in un principio debole, povero e infecondo: quello di separazione e di secessione. Si tratta di un colpo per la scuola, per la democrazia e per il futuro del paese (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Sasso, e vorrei ricordarle che ha avuto a disposizione un tempo maggiore per completare il suo interessante intervento.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
La seduta termina alle 19,30.
RESOCONTO
SOMMARIO E STENOGRAFICO
______________ ______________
507.
Seduta di mercoleDì 15 SETTembre 2005
presidenza del vicepresidente publio fiori
INDI
DEL PRESIDENTE PIERFERDINANDO CASINI
E DEI VICEPRESIDENTI FABIO MUSSI E
MARIO CLEMENTE MASTELLA
La seduta comincia alle 9,05.
Seguito della discussione del disegno di legge costituzionale: S. 2544 - Modificazione di articoli della parte II della Costituzione (Approvato, in prima deliberazione, dal Senato) (4862) e delle abbinate proposte di legge costituzionale: Zeller ed altri; Bielli; Spini e Angioni; Buttiglione ed altri; Contento; Cola; Pisapia; Selva; Selva; Selva; Bianchi Clerici; Peretti; Volontè; Pisapia; Lusetti ed altri; Zaccheo; Mantini ed altri; Soda; Olivieri e Kessler; Costa; Serena; Pisicchio ed altri; Bolognesi ed altri; Paroli; Buontempo; Zeller ed altri; Collè; Vitali ed altri; Maurandi ed altri; Olivieri; Boato; Stucchi; Cento; Monaco; Pacini; Consiglio regionale della Puglia; Consiglio regionale della Puglia; Chiaromonte ed altri; Cabras ed altri; Mantini; La Malfa; Briguglio ed altri; Franceschini; Pisapia; Costa; Perrotta ed altri; Fiori (72-113-260-376-468-582-721-874-875-877-966-1162-1218-1287-1403-1415-1608-1617-1725-1805-1964-2027-2116-2123-2168-2320-2413-2568-2909-2994-3058-3489-3523-3531-3541-3572-3573-3584-3639-3684-3707-3885-4023-4393-4451-4805-5044) (ore 9,07).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge costituzionale, già approvato in prima deliberazione dal Senato: Modificazione di articoli della parte II della Costituzione, e delle abbinate proposte di legge costituzionale di iniziativa dei deputati Zeller ed altri; Bielli; Spini e Angioni; Buttiglione ed altri; Contento; Cola; Pisapia; Selva; Selva; Selva; Bianchi Clerici; Peretti; Volontè; Pisapia; Lusetti ed altri; Zaccheo; Mantini ed altri; Soda; Olivieri e Kessler; Costa; Serena; Pisicchio ed altri; Bolognesi ed altri; Paroli; Buontempo; Zeller ed altri; Collè; Vitali ed altri; Maurandi ed altri; Olivieri; Boato; Stucchi; Cento; Monaco; Pacini; del Consiglio regionale della Puglia; del Consiglio regionale della Puglia; e dei deputati Chiaromonte ed altri; Cabras ed altri; Mantini; La Malfa; Briguglio ed altri; Franceschini; Pisapia; Costa; Perrotta ed altri; Fiori.
Ricordo che nella seduta di ieri è proseguita la discussione sulle linee generali.
(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 4862 ed abbinate)
PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione sulle linee generali.
È iscritta a parlare l'onorevole Maura Cossutta. Ne ha facoltà.
MAURA COSSUTTA. Signor Presidente, siamo ad un passaggio cruciale per gli assetti futuri delle nostre istituzioni e per la vita concreta di tutti noi, ma la percezione di questa straordinarietà non c'è ancora. Troppa è ancora la distanza e la differenza che avvertiamo nel paese e, soprattutto, queste discussioni sono ancora percepite come ininfluenti rispetto ai problemi reali che tanto, invece, preoccupano.
La responsabilità di noi parlamentari dell'opposizione è, quindi, molto grande. Dobbiamo, innanzitutto, far comprendere che le decisioni di oggi avranno una ricaduta pesante e diretta sulla vita democratica e, quindi, sui diritti democratici di ognuno di noi e sulla fruibilità stessa dei fondamentali diritti sociali. Dobbiamo riuscire a scuotere le coscienze ed a promuovere una reazione civile, sociale, una straordinaria mobilitazione ideale, un vero allarme democratico, perché di ciò si tratta.
Questa non è una riforma, ma una controriforma della Costituzione. Non è una modifica, è il sovvertimento della Costituzione. Non sono aggiustamenti tecnici solo di alcune parti della seconda parte della stessa Costituzione, ma è un attacco a tutta la Costituzione.
La nostra non è un'opposizione solo al metodo, la solita arroganza di chi non si confronta e umilia il ruolo del Parlamento. Hanno discusso fuori dal Parlamento - nella «Lorenzago 2» - e vengono oggi in aula, senza discussione nelle competenti Commissioni parlamentari, presentando solo all'ultimo momento il nuovo testo. La nostra è un'opposizione radicale anche e soprattutto nel merito del provvedimento. È un progetto complessivo di trasformazione in senso autoritario delle nostre istituzioni, di rottura dell'unità nazionale, di smantellamento dell'universalismo dei diritti. È lo sbocco voluto, perseguito di riscrittura della nostra Costituzione. D'altra parte, il Presidente del Consiglio dice che la nostra Costituzione è «sovietica», è comunista e si rifiuta di andare alle celebrazioni del 25 aprile. È lo sbocco per riscrivere il patto sociale fondativo dei nostri principi costituzionali.
L'idea di fondo che si vuole far passare è quella di togliere valore e autorità alla Carta costituzionale e di metterla sullo stesso rango di una qualsiasi legge ordinaria. Non si cambiano, infatti, uno, due o tre articoli, ma quarantatre articoli della Costituzione, con il messaggio evidente, politico e culturale, che la Costituzione stessa non solo non deve essere più considerata intoccabile, ma che ormai questa Costituzione è vecchia e superata. Un furore controriformatore che si vuol far passare come coraggio e realismo politico perché è la modernità - questo è il messaggio - che impone la necessità del cambiamento.
Dobbiamo riuscire a smontare questo a priori, perché è il punto di attacco del loro progetto: far apparire logico, normale ciò che, invece, è costituzionalmente eversivo. Dobbiamo pertanto ricostruire, anche tra noi nel centrosinistra, una bussola forte, un rigore di pensiero critico, superando qualche sbandamento che pure si è registrato, nel recente passato, non restando più imprigionati nell'idea neutra della modernizzazione, che pone tutti nella comune ed obbligata condizione di cambiare. Una neutralità della modernizzazione, incapace di leggere e denunciare proprio gli elementi ad essa intrinseci di autoritarismo e di derive antidemocratiche. Democrazia di opinione, verticalizzazione sempre più forte dell'esecutivo, leaderismo, depauperamento democratico dei soggetti storici della rappresentanza (penso ai partiti, ma anche ai sindacati).
Ricordo la discussione nella Commissione bicamerale: era un dovere essere per le riforme e, per di più, vi era un'enfasi sulla fase epocale, sulle trasformazioni avvenute, sulla necessità di trovare risposte nuove per legittimare una nuova fase politica.
Noi Comunisti italiani avevamo espresso in quella sede le nostre forti preoccupazioni e credo che dobbiamo tornare lì per ritrovare oggi insieme la forza e la coerenza di una cultura democratica capace di contrastare questo attacco e denunciare con questa consapevolezza che non è vero, come affermano le destre, che siamo di fronte al bisogno di una nuova identità della nazione, che si deve ritrovare un sentire comune, che è il tempo di una grande riforma per immaginare, a livello istituzionale, una nuova epoca. Anche qui, quanta enfasi! Non è vero che la nostra Costituzione è vecchia, superata e che ci vuole il coraggio del cambiamento.
Una riforma costituzionale è atto estremo e non può giustificarsi semplicemente sulla base di una fisiologica esigenza di modernizzazione dell'assetto istituzionale per adeguarlo ai tempi ed alle esigenze mutate. Se l'esigenza di modernizzazione vale per le leggi, per i vari settori dell'ordinamento, non è così per la Costituzione. Cito un costituzionalista: la Costituzione rappresenta in una comunità politica l'ordine di fondo, ordine dei diritti e dei doveri, dei poteri e delle garanzie, destinato a reggere nel tempo la vita della comunità, al di là di ogni cambiamento e modernizzazione nella vita sociale, economica, politica. Le Costituzioni nascono per essere durevoli, perché non devono inseguire i mutamenti, ma assicurare la stabilità. La Costituzione, quindi, non invecchia, accompagna, invece, il paese nella sua evoluzione. E così è stato in tutti questi decenni, dimostrando proprio il suo contenuto anticipatore. La Costituzione non si cambia, ma va rimodulata dalla giurisprudenza e dalle leggi. E la Costituzione non è rigida. Qui sta l'altro punto di attacco utilizzato da chi propone questa controriforma. Nella Carta costituzionale vi sarebbe una fissità che sarebbe di impaccio all'efficienza stessa del sistema istituzionale e politico ivi previsto. Non è così! Non è vero che vi sono vincoli insormontabili di dettaglio della previsione costituzionale. Non lo è per le norme sulla nomina e sui poteri del Presidente del Consiglio e non lo è neppure per le norme sul bicameralismo perfetto. E la presunta rigidità della Costituzione - d'altra parte, lo abbiamo visto - è già stata in numerosi casi ampiamente interpretata. Quindi, non c'è rigidità e, soprattutto, i ritocchi che si vogliono introdurre sono, in realtà, scelte politiche con obiettivi politici. Non sono atti tecnici, semplici aggiustamenti di sistema. Le modifiche sono una distorsione vera dell'assetto democratico dei poteri e delle garanzie: è sottesa alla nuova forma di Governo del premierato assoluto, alle modifiche del sistema delle garanzie, una concezione minimalista della democrazia, che riduce la democrazia in pura procedura per la scelta e il cambio dei Governi.
Vi è una deriva autoritaria nelle soluzioni che si propongono. Questa controriforma della forma di governo è devastante. Il primo ministro concentra nelle sue mani ogni potere rispetto al Presidente della Repubblica, il quale conserva solo l'atto di nomina del primo ministro senza margini di discrezionalità rispetto al Parlamento, perché ha anche la facoltà di chiedere che la Camera si esprima con priorità su ogni altra proposta con voto conforme alle proposte del Governo. La fiducia è monopolio assoluto del primo ministro per qualsiasi oggetto. Non è affrontato, infatti, tale tema e, quindi, è possibile che si ponga la questione di fiducia anche su una legge costituzionale o sulla decisione della Camera in merito ad un insindacabilità o, persino, ad un'autorizzazione a procedere o - peggio - come ha già sottolineato il collega Bressa, su leggi della Camera che spettano in via esclusiva alla competenza dello Stato, ossia leggi che riguardano direttamente la prima parte della Costituzione, che toccano i diritti e le libertà fondamentali.
Ecco come, attaccando la seconda parte della Costituzione, si incide nel tessuto vivo della prima parte della stessa. Ma vi è anche un primo ministro che concentra nelle sue mani ogni potere rispetto persino allo stesso Governo. Il Primo ministro non dirige più, ma determina la politica generale del Governo; non mantiene più, ma garantisce l'unità di indirizzo politico e amministrativo. La collegialità del Governo sparisce. È un premier assoluto con potenti armi di ricatto sulla sua maggioranza, che trasforma la democrazia parlamentare in un'Assemblea eletta a suffragio universale per ratificare le sue decisioni.
È un premier che di fatto si elegge direttamente e che adopera l'investitura popolare come fonte di legittimazione del suo potere; si tratta di una deriva autoritaria, plebiscitaria, il bonapartismo del XXI secolo.
È una controriforma che dobbiamo denunciare per la sua pericolosità eversiva senza concedere nulla. Dobbiamo infatti affermare che non soltanto essa è dannosa e pericolosa, ma che non è utile anche soltanto pensare di mettere mano alla Costituzione sul versante della forma di governo.
I problemi di funzionalità del sistema politico non si risolvono con le riforme costituzionali; non c'è impossibilità, ma incapacità della politica. I problemi della politica devono essere risolti dalla politica, con i suoi strumenti.
La linea dell'ingegneria costituzionale per risolvere i conflitti, le inefficienze e gli squilibri anche del sistema politico non soltanto è inutile, ma è persino dannosa. L'effetto finale non è quello di ridurre le cause dell'instabilità: queste cause poi andrebbero bene indagate, perché, a mio avviso, non risiedono in un eccesso di rappresentanza, ma semmai, è vero il contrario; non risiedono nemmeno nella debolezza dell'esecutivo, che anzi si è rafforzato in questi anni, e né tanto meno nell'eccesso di garantismo a scapito della capacità decisionale.
L'effetto finale non è quello di ridurre le cause dell'instabilità, bensì quello di ridurre il tasso di democraticità reale del sistema. Meno democrazia, più oligarchia!
Inserire in Costituzione il principio della stabilità non ha alcun senso: i problemi conseguenti e correlati al sistema elettorale maggioritario non sono problemi costituzionali, ma squisitamente politici e quindi da affrontarsi con specifiche leggi elettorali.
A mio avviso, non esiste una possibile proposta alternativa di riforma costituzionale sulla forma di governo, un'idea di premierato meno forte. La nostra dovrebbe essere una bussola chiara che non sbandi e che non ci diriga verso mete non volute; dobbiamo liberarci - perché talvolta in alcuni questo è stato presente - del mito delle riforme costituzionali, superando anche taluni errori commessi nel recente passato.
Mi riferisco alla legge costituzionale di modifica del Titolo V approvata dal centrosinistra: l'errore non è stato soltanto quello di approvare tale modifica a maggioranza, ma anche quello di «aprire» ad una modifica costituzionale che aveva implicazioni culturali ambivalenti.
Tali ambivalenze hanno pesato nel testo del Titolo V e credo tuttora pesino, considerati i differenti approcci alla critica, pur ferma e netta, di questa controriforma. So bene che il Titolo V contiene elementi importanti e positivi, ma personalmente considero per certi versi un azzardo aver «aperto» il dibattito sulle riforme costituzionali partendo dal tema del federalismo.
Il federalismo infatti non è terreno neutro, composto di tecnicismi formali e normativi: «aprire» al federalismo in Costituzione, senza considerare il contesto nel quale questo si costruisce è un'ingenuità! Pensare di concepire l'anno zero del federalismo, a costo zero, è qualcosa di più grave di un'ingenuità.
Gli articoli del Titolo V che introducono il federalismo fiscale non possono essere ovviamente concepiti come dichiarazioni di principio.
Ma dov'è allora la chiarezza in ordine alle forme e alle fonti di finanziamento del sistema di welfare? Dov'è la certezza, condizione indispensabile per l'efficace e vera equità del sistema delle risorse?
L'autonomia decisionale legislativa e fiscale delle regioni presenta un vincolo insormontabile, che è quello costituito dalla coerenza sostanziale con i principi fondativi della prima parte della Costituzione. Ma allora, sono sufficienti i «paletti» introdotti nel Titolo V della Costituzione per impedire spinte centrifughe che slegano il modello istituzionale da quello sociale?
Alcuni dicono che occorre soltanto andare avanti e quindi accelerare le riforme costituzionali garantendo in primo luogo l'attuazione del federalismo fiscale. Ma è tutto così chiaro? Non sarebbe invece più utile un attento monitoraggio di quanto sta avvenendo, a partire dagli effetti redistributivi?
Si dice ancora: dobbiamo incalzarli sulle loro contraddizioni e sulla eccezionale disinvoltura mostrata nell'adoperare linguaggi autonomistici, sino al punto da scrivere norme di reale secessione regionale, mentre si praticano invece atti di natura centralista.
Siamo proprio convinti che l'argomento giusto per contrastare questa controriforma sia quello di accusarli di centralismo? O piuttosto non è vero che la loro è soltanto un'apparente contraddizione, che tiene invece insieme centralismo e secessione proprio per un progetto politico strategico?
Questo Governo da una parte taglia la spesa sociale, vuole ridurre la tassazione e, quindi, le entrate fiscali, blocca la capacità impositiva delle regioni e degli enti locali, rifiuta il ripiano dovuto dei deficit pregressi alle regioni; dall'altra, scrive in questa controriforma che le regioni hanno competenza legislativa esclusiva in materia di sanità, istruzione, oltre che di polizia locale. Formalmente, la contraddizione è stridente, ma così non appare se si legge la sostanza, la natura di questo federalismo.
Credo che la spinta vera verso questa controriforma rispetto al sistema delle autonomie non venga dai bravi amministratori per il buon governo dei territori. La spinta a questa controriforma proviene da interessi forti, consolidati. Si tratta di interessi economici delle regioni forti che cercano nella rottura del vincolo all'unità nazionale le ragioni di una maggiore competitività sui mercati europei ed internazionali. Si tratta di interessi sociali dei ceti più garantiti, che auspicano la fuoriuscita dal sistema solidaristico dell'imposizione fiscale. Si tratta dell'interesse dei grandi gruppi economici e finanziari che dallo smantellamento del sistema pubblico di welfare prefigurano potenzialità concrete di sviluppo dei mercati privati assicurativi.
La devolution si coniuga con le politiche più centraliste con nessi reciproci di coerenza e di funzionalità. Altro che contraddizione! Se il sistema pubblico di finanziamento del welfare non regge, e così vuole la destra, la scelta di aprire ai fondi privati assicurativi diventa logica conseguenza. Se le regioni possono in via esclusiva decidere il proprio modello sanitario è semplice rompere l'unitarietà e l'universalità del sistema.
Alcuni tra noi insistono dicendo: non fermiamo le riforme, interveniamo sulla tecnicalità delle modifiche. Tuttavia, se questo è il progetto vero del Governo quali spazi di confronto possono restare? È una controriforma devastante che rompe l'unità e l'universalità del sistema. È un attacco all'unità nazionale del paese. Sì, colleghi di Alleanza nazionale, perché non basta scrivere «interesse nazionale» se viene smantellata l'universalità e l'unitarietà del sistema dei diritti. Il paese è diviso non unito se i diritti sono esigibili rispetto al reddito ed all'appartenenza territoriale. Viceversa, la Repubblica resta una ed indivisibile, anche senza scriverlo, se non si attua tale secessionismo costituzionale eversivo.
Allora, cosa dobbiamo proporre noi? Non credo, francamente, ad ipotesi di assemblea costituente perché non credo - lo dicevo prima - sia utile ripercorrere la strada del mito sostitutivo delle riforme costituzionali. Serve, invece, oggi un'opposizione intransigente, chiara, forte, in Parlamento e nel paese, per lanciare un allarme democratico, per far comprendere quanto tali decisioni riguardino direttamente il futuro di tutti noi. Servono per il futuro politiche legislative concrete di attuazione del Titolo V senza ulteriori modifiche costituzionali che prevedano, ad esempio, l'effettiva perequazione con l'adeguamento delle risorse per il Servizio sanitario nazionale, con l'aggiornamento dei criteri di riparto attraverso il peso specifico della condizione socio-economica delle varie regioni. Serve, cioè, ripartire con risorse adeguate per evitare che le regioni, per coprire la sottostima del fabbisogno di spesa, debbano imporre tributi propri aumentando sempre più le disuguaglianze territoriali. Servono politiche concrete per ridurre le cause del contenzioso tra Stato e regioni.
Serve, soprattutto, un'alternativa di Governo il più presto possibile. È questa la responsabilità più grande che ci chiede il paese (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gerardo Bianco. Ne ha facoltà.
GERARDO BIANCO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, per la verità nella condizione in cui mi trovo, solitario in questo banco, mi verrebbe da parafrasare alcuni celebri versi di un poeta che cantò la caduta di Venezia: in solitaria malinconia ti guardo e lacrimo Italia (invece di Venezia) mia.
Questo mi parrebbe essere il clima nel quale stiamo discutendo questo importante disegno di legge di revisione costituzionale. Al di là dell'amarezza, vorrei subito osservare che lo scrupolo istituzionale del nostro presidente relatore, onorevole Bruno, nonché la sua amabilità, mi indurrebbero ad essere indulgente. Tuttavia, e purtroppo, le cose non vanno, signor Presidente: il legno è storto e, malgrado le potature, gli aggiustamenti e gli ultimi emendamenti, che forse il relatore avrà in tasca, e che noi ancora aspettiamo di conoscere, questi non raddrizzeranno minimamente il «tronco». Quando si pone mano ad una revisione così vasta della Costituzione, tanto da minarne - questa è la mia visione - la coerente struttura, quando si introducono istituti che ne sovvertono l'impianto, penso che non possa bastare la procedura prevista dall'articolo 138 della Costituzione. Piuttosto, occorre interpellare direttamente il popolo, perché le revisioni che sono in questo momento in discussione invadono, ed in certo senso influenzano anche, la prima parte della Costituzione. Bisogna coinvolgere il popolo negli orientamenti, nel dibattito, nelle scelte.
Oggi il Parlamento è distratto e naturalmente è assente il popolo. Anche per quello che è accaduto in questi decenni, occorre pensare a una nuova fondazione nella continuità. Occorre un'Assemblea costituente e per questo ho presentato un'apposita proposta di legge, che è stata firmata anche dall'onorevole Biondi e che credo abbia anche l'adesione - ma forse azzardo - dell'onorevole Sterpa, che ringrazio per la sua presenza, e che avuto anche le firme e l'assenso di importanti esponenti dell'attuale maggioranza, come l'onorevole Malgieri. La revisione istituzionale regolata dall'articolo 138 della Costituzione si inscrive in una precisa logica, che è quella di una correzione, di un adeguamento, di un completamento delle norme attuali, ma pur sempre nell'ambito di una continuità della Carta costituzionale. Invece, deve essere ben chiaro che con il testo di riforma al nostro esame, in parte provvisorio e ballerino - ed ora ritoccato (al riguardo diamo atto al ministro Calderoli per aver almeno una volta tanto rispettato il galateo costituzionale) -, ci troviamo di fronte ad un capovolgimento di principi ed al rovesciamento di quell'attenta copertura che fu concepita dai nostri costituenti.
Come si potrebbe definire diversamente la perdita di ruolo, di funzioni e di autorevolezza della rappresentanza del Parlamento, che viene trasformata (dalla norma, così come è stata concepita) negli uomini del Presidente? Con il tramonto della rappresentanza si cancella uno dei pilastri della costruzione liberaldemocratica dello Stato. Uso ancora questo termine, sebbene il termine «Stato» sia stato declassato dall'infausta riforma del Titolo V, approvata nella precedente legislatura, che ha aperto anche delle falle che bisognerebbe chiudere. Chi ripercorre la storia faticosa della nascita e dello sviluppo della democrazia sa che è nel ruolo della rappresentanza, e dunque principalmente nel Parlamento, che si è trovato l'architrave dell'assetto democratico del sistema politico. Ieri l'onorevole De Mita, in un robusto intervento, credo abbia dimostrato che con questa normativa costituzionale si va profilando un nuovo Parlamento, che perde ruolo, perde funzioni e diventa puramente decorativo.
Il collegamento tra libertà, democrazia e Parlamento è così stretto, intrinseco da poter affermare, come già osservò il Kelsen, scusate questa citazione, che il declino del Parlamento comporta di conseguenza il tramonto delle libertà politiche. Il testo in discussione, peraltro, con un'assurda concezione feudale del vincolo tra candidato e candidato premier significa di fatto la cancellazione della funzione parlamentare che ha, in un principio, che viene ribadito, ma che viene di fatto nullificato, della rappresentanza senza vincolo di mandato il suo fondamento.
L'esigenza reale che esiste e che è stata anche esaminata nelle precedenti legislature (si è tentato, al riguardo, anche di fornire risposte con proposte di legge che, purtroppo, non sono state approvate dal Parlamento) di rafforzare l'esecutivo, che potrebbe avere, in una soluzione limpida, chiara e verificata del cancellierato, la sua risposta e anche in altre più equilibrate formulazioni, viene, nel testo della maggioranza, risolta con una specie di organizzazione vassallatica dei poteri, dove il cardine del pensiero liberale dei pesi e dei contrappesi e del bilanciamento istituzionale è del tutto ignorato.
Per la verità, mi permetto di osservare che per chi si è autoproclamato Casa delle libertà è un po' deludente cancellare uno dei fondamenti del pensiero liberaldemocratico. Vi è da chiedersi quali culture ispirino le norme che ci vengono proposte e quale coerente linea viene perseguita nella contraddittorietà delle norme che, peraltro, oscillano tra il tentativo di dare un'onnipotenza al premier, immaginando poi una sorta di Senato che finirebbe anche, come è stato osservato, per ridurre all'impotenza il Governo. È una strana contraddizione che porterà ad un groviglio ed alla paralisi. È la conseguenza inevitabilmente derivante da una debole cultura istituzionale che non può che generare confusione e pasticci (non mi ci soffermo, perché ieri l'onorevole Castagnetti ne ha data una certa dimostrazione).
Mi domando: come si può definire, per esempio, la contraddizione eclatante che viene ad aprirsi, onorevole Bruno, tra la funzione di interesse generale, cui dovrebbe assolvere il deputato eletto alla Camera, e l'amputazione delle sue prerogative (onorevole Bruno, mi rimetto alla sua competenza) sia nella presentazione di proposte di legge, che sono esclusivamente limitate alla competenza della Camera di appartenenza, sia nella impossibilità, senza l'iniziativa del Governo, di valutare la corrispondenza della deliberazione del cosiddetto Senato federale all'interesse generale del paese? Una imputazione grave che limita la capacità di iniziativa, peraltro, in un processo legislativo che gli stessi documenti della Camera hanno ritenuto farraginosa e, in qualche maniera, anche incomprensibile.
Neppure vi è da pensare che vi possa essere un guadagno di efficienza di governo, perché è una pura illusione immaginare che l'elezione diretta del premier comporti un automatico rafforzamento della governabilità del sistema. Potrei rifarmi alle penetranti osservazioni dell'onorevole Tabacci in materia; sono state molto puntuali e precise e dimostrano l'anomalia che verrebbe a determinarsi rispetto agli altri sistemi istituzionali con le norme che potrebbero essere introdotte se dovessero essere approvate.
Vorrei solo osservare che è convinzione comune della cultura politica e costituzionale che le società articolate e complesse, economicamente sviluppate, hanno bisogno soprattutto di regole e di mediazioni per essere ben governate, non di rigidità decisionale. Di qui, la rilevanza della rappresentanza e, quindi, del Parlamento e delle rappresentanze in generale per realizzare una società civile e politica che sia un insieme di forte coesione e dove l'antagonismo sia una molla dello sviluppo e non una sorta di conflitto disgregante.
Senza la mediazione della rappresentanza si determina, peraltro, un rapporto diretto tra Governo e piazza. L'osservazione è presente soprattutto nella pubblicistica degli studi dei francesi, che hanno sperimentato il presidenzialismo; dunque, senza la mediazione, si determina un rapporto tra la piazza - che, naturalmente, punta a contrastare direttamente il Presidente - e la folla. E quando si realizzano tali fenomeni, caratterizzati dal contrasto diretto tra la piazza e il potere politico, ci troviamo nell'anticamera del plebiscitarismo; è così che nasce il populismo! E dietro il plebiscitarismo e il populismo - come ci ha insegnato Aristotele - si annida poi l'autoritarismo.
È evidente che qui ci troviamo agli antipodi dell'impianto della nostra Carta costituzionale, che nacque dalla grande tragedia di una guerra, anche civile, voluta dal fascismo e dall'ansia di libertà e di riscatto che animò la Resistenza. Ciò non può essere dimenticato o archiviato dicendo che è storia di sessant'anni fa!
Ecco perché è necessaria una profonda riflessione culturale, come quella che avvenne allora fra cattolici, marxisti, liberali, spiriti indipendenti e alla quale oggi si potrebbe aggiungere anche quella riflessione ispirata al pensiero nazionale anche conservatore, per fornire un solido fondamento a valori democratici e di libertà e all'istituzione repubblicana.
Allora sulle divisioni vinse lo spirito costituente, ma oggi dov'è lo spirito costituente? Il Presidente Casini lo ha invocato, ma di certo non rappresenta lo spirito costituente un'aula vuota che non sente la passione di partecipare a questo importante dibattito, nonostante vi siano stati interventi pregevoli. Dove sono i grandi slanci culturali, se non in determinati ambienti?
È ovvio che ciò non accade in quanto, per suscitare questo interesse, questa passione civile, è necessario coinvolgere la nostra società. A mio avviso, la strada più giusta è quella dell'Assemblea costituente; ecco perché non credo che rimedi e aggiustamenti possano creare un clima e un legame profondo fra il popolo e le regole che ne determinano la vita e l'organizzazione.
Non nego che, da decenni, esista l'esigenza di riconsiderare alcuni punti della Costituzione per adeguarli ai grandi mutamenti interni e mondiali, ma tutto ciò dovrebbe comunque avvenire nel solco della continuità e della tutela di quello spirito informatore che fu appunto di riconquista autentica della libertà. La libertà quale stella polare della scrittura di un testo costituzionale: da una parte la libertà e dall'altra il recupero di quella comunanza del saper vivere insieme che costituisce un elemento importante dell'unità morale, culturale e politica di un paese, pur nelle diverse articolazioni di quest'ultimo.
Invece, qui si sta procedendo sovvertendo, travolgendo, improvvisando, con un totale distacco da quello spirito che informò la nostra Costituzione. Ho l'impressione che talvolta, in alcuni ambienti, soffi un vento contro la stessa istituzione repubblicana; non si può agire armeggiando e inventando curiosi mostriciattoli, come il Senato federale, nel quale peraltro potere legislativo ed esecutivo si confondono.
So che lei, relatore Bruno, ha contestato tale aspetto.
Quale significato dare anche ad altre formule dove si configura, in un certo senso, un sistema proporzionale, così come è stato scritto? Scrivere nella Costituzione norme che in qualche modo prefigurano un determinato sistema elettorale è, a mio avviso, un gesto improvvido, che non può determinare altro che rigidità, una sorta di mostro da imbalsamare, corrispondente alla maggioranza che governa il paese.
È quindi necessario investire il popolo perché fornisca un mandato costituente chiaro, un'indicazione e un indirizzo precisi. È necessario aprire nel paese un ampio, diffuso, vigoroso dibattito, perché dietro il distacco dalla Costituzione vigente, presente in alcuni ambienti, si nasconde un'ambigua accettazione dei presupposti storici fondamento della nostra Costituzione. Mi riferisco all'insistita richiesta di una riconciliazione: quante volte abbiamo sentito, anche in quest'aula, che bisognava riconciliare il paese? Ma la riconciliazione è avvenuta da oltre cinquant'anni, con un sistema politico che non ha escluso nessuno. Tale processo non è avvenuto neppure in Germania, dove la Corte costituzionale ha escluso determinati partiti. In Italia non è stato escluso nessuno, il sistema ha inglobato tutti, assolvendo i protagonisti, comprese quelle forze che si richiamavano a principi non alla base della nostra Repubblica.
Ho l'impressione che questo progetto cerchi di mascherare una sorta di revanscismo storico, che semmai condanna chi ha ricostruito l'Italia - addirittura la Democrazia Cristiana - e invece assolve, non per comprensione o compassione umana, ma per pelosa indulgenza storica, chi l'affondò nella guerra e nella distruzione.
Altro è fare giustizia, altro è recuperare anche i valori morali di chi ha combattuto dall'altra parte, come l'onorevole Violante rivendicò in uno splendido discorso. Altro è fare storia autentica, vera, che riponga i fatti al loro posto e li valuti tutti; altro è tentare di rovesciare il fondamento storico su cui invece deve basarsi il nostro sistema politico.
Anche sotto questo profilo, a mio avviso, è giusto coinvolgere oggi un elettorato invece estraniato. Tale elettorato dovrebbe accettare una riforma che investe le regole della sua vita politica senza saperne nulla. Un ammonimento antico, ripetuto dagli storici, dai sociologi e dai filosofi del diritto afferma che le riforme calate dall'alto non hanno vita, perché non entrano nella coscienza popolare. Ecco perché si rende necessaria un'Assemblea costituente. Essa è ancora più doverosa quando sono in gioco i destini dell'unità d'Italia.
Onorevole Sterpa, ho letto il suo articolo e sono rimasto profondamente colpito dalla puntualità, dal rigore e dal vigore con cui ha sottolineato alcuni aspetti. Il federalismo è una grande dottrina e noi, che veniamo dalla storia del popolarismo, non possiamo non essere sensibili a questo tema, che ci coinvolge da vicino perché fa parte della nostra concezione di organizzazione della società, attraverso il principio della sussidiarietà. È vicino alla tradizione sturziana, alla visione degasperiana dell'unità europea, ma essa - ripeto un concetto spesso sostenuto - è dottrina dell'unità, non della separazione.
Il federalismo nasce da uno spirito di cooperazione, non di divisione. Il federalismo per disaggregazione contiene i germi della dissoluzione, e il retroterra, in Italia, è quello del separatismo. Ho constatato con piacere l'argomentare pacato di alcuni deputati della Lega nord, tra i quali lo stesso ministro Calderoli. Non voglio rifarmi ancora alla metafora di Cappuccetto rosso, usata ieri dall'onorevole De Mita. Mi è venuto in mente, però, un altro paragone e mi riferisco al famoso parallelo di Goethe, quando affermava come i giganti diventassero assai piccoli per poter passare attraverso il buco della serratura, salvo poi riprendere le dimensioni consuete.
Temo che le procedure inizialmente consultive saranno reclamate in seguito come obbligatorie, perché è nella logica delle cose che a concessioni seguano concessioni. Ogni potere, infatti, tende sempre a radicarsi nonché a rendersi indipendente.
Cosa chiederanno, dopo questa cosiddetta devolution, i rappresentanti della Lega, quando si accorgeranno che poco possono soddisfare il loro elettorato? Chiederanno sempre di più, e la politica del «sempre di più» non è la politica dell'organizzazione e della sistemazione.
Ecco perché bisogna ricreare condizioni di unità. Non entro nel merito delle singole proposte. Mi limito ad osservare che è necessario sapere se gli italiani vogliono, ad esempio, tanti sistemi educativi. È da tenere presente un dato: in un sistema globalizzato, l'unità della cultura è un elemento fondamentale per l'integrazione. Come si può immaginare di integrare gli immigrati, se non c'è dietro la forza della cultura, e se, invece, ci sono soltanto i dialetti, come potrebbe verificarsi con un sistema educativo organizzato in termini puramente regionalisti?
Si tratta di sapere infine - lo dico forse un po' retoricamente - se si deve chiudere una storia che ha nel Risorgimento le sue radici, che ha visto crescere l'Italia nella libertà e nel decentramento, sia dal punto di vista delle libertà sia da quello dell'economia, rendendola protagonista in Europa, per regredire in una sorta di provincialismo e di localismo sospettosi di ogni nuovo venuto e di qualsiasi apertura. La grandezza che viene dall'antica Grecia onorava sia gli stranieri sia i residenti (così era scritto in una stele dell'isola del sole).
È dunque tempo di fare chiarezza. Il mio invito è quello di creare con questo distratto dibattito parlamentare - che come vede, signor Presidente, non ha coinvolto neppure un collega della Margherita, ma mi sentono evidentemente estraneo - un vero spirito costituente, di dar vita all'Assemblea costituente e di sospendere, come è stato chiesto, il dibattito stesso per rivolgersi al popolo, affinché vi sia un mandato preciso.
Ciò che mi farebbe piacere rivivere, quale persona che ha vissuto gran parte della storia repubblicana, è di vedere aleggiare in questa Assemblea, anche per onorare la sua fatica e per rendere merito a coloro che si sono impegnati in questo settore, quello spirito che scrisse la nostra Costituzione, che ha retto e che ha reso anche grande e gloriosa l'Italia (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Comunisti italiani e del deputato Sterpa - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto parlare l'onorevole Saponara. Ne ha facoltà.
MICHELE SAPONARA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con l'approvazione del disegno di legge costituzionale n. 4862, noto come disegno di legge sulla devolution ma che riguarda la modifica della parte II della Costituzione con un nuovo testo di 43 articoli, il Governo Berlusconi fornisce altra ed importante prova di essere in grado di realizzare il programma elettorale sottoscritto prima fra i componenti della Casa delle libertà e successivamente con il popolo italiano.
È proprio questo aspetto che ha scatenato nell'opposizione, anche in persone aventi responsabilità politiche ed istituzionali di rilievo, una faziosa e terroristica campagna di criminalizzazione di tale riforma e di delegittimazione del capo del Governo, che l'avrebbe portata avanti solo perché costretto dalla Lega. Mi dispiacque moltissimo sentire il 1o maggio di quest'anno un ex Presidente della Repubblica arringare, in piazza del Duomo a Milano, davanti ad una piazza composta prevalentemente da no global, che la Costituzione era sacra, che non andava cambiata e che comunque la nuova Costituzione era stata affidata a quattro buontemponi che meglio avrebbero fatto a raccogliere funghi in quel di Lorenzago!
Ed abbiamo sentito di peggio: che con questa riforma si sarebbe spaccata in due l'Italia e vi sarebbe stata un'Italia sempre più ricca e un'Italia sempre più povera.
Costoro ignorano, o meglio nascondono agli italiani, che di riforme dello Stato aveva parlato Spadolini, aveva parlato Craxi, se ne era occupata la Commissione Bozzi, poi la Commissione De Mita-Iotti e, infine, la Commissione bicamerale presieduta da D'Alema.
E non dicono agli italiani che la devolution è nata con la Costituzione, allorché furono previste le regioni e le autonomie amministrative, la legge istitutiva delle regioni, le leggi Bassanini ed infine la riforma del Titolo V della Costituzione, approvata con la risicata maggioranza di soli quattro voti. Ora esponenti qualificati delle opposizioni - quasi tutti - ammettono di aver commesso un grosso errore nell'aver approvato quella riforma senza un effettivo coinvolgimento dell'opposizione di allora, ma lo fanno solo per contestare a noi - che, peraltro, possiamo contare su una maggioranza ben più consistente - il diritto di procedere nella riforma e, conseguentemente, di attuare il programma di governo.
Stamattina l'onorevole Gerardo Bianco ha definito infausta quella riforma e mi pare che Rutelli, non so in quale occasione, abbia detto che la devolution è nata dall'articolo 114, il quale afferma che la Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato.
Tutti ci invitano a mollare tutto e ad attuare una pausa di riflessione; fanno parlare la società civile per bocca di Luca Cordero di Montezemolo - che non pensavo fosse anche un politologo e un costituzionalista oltre che un grande imprenditore - e del professor Sartori, il quale prevede costi eccessivi per questa riforma che viene da lontano. In ultimo, gli onorevoli Violante e Castagnetti e stamane l'onorevole Gerardo Bianco hanno invocato l'Assemblea costituente, che avrebbe dal popolo italiano - consultato appositamente - il solo mandato di riscrivere la Costituzione. L'onorevole Gerardo Bianco ha sostenuto che si dovrebbe ricreare lo spirito costituente; in quest'aula però manca lo spirito costituente. Io so - anche perché sono tra i più anziani di questo Parlamento - cosa era lo spirito costituente; all'epoca infatti ero giovanissimo e mi ricordo personaggi quali Calamandrei, La Pira, Dossetti, Moro. Si trattava di uno spirito che oggi non possiamo ricreare poiché la società si è completamente modificata; allora vi era la disperazione, la miseria, la voglia di ricostruire e di riacquistare la libertà che si era sopita durante il ventennio.
Caro Gerardo Bianco, tu sai la stima che ti porto da tanti anni, in ogni caso debbo dirti che non possono ricrearsi delle condizioni che i tempi non consentono più. Si afferma che bisogna riflettere, che vi deve essere una pausa di riflessione; ebbene noi abbiamo riflettuto, stiamo riflettendo e siamo in grado di portare a compimento il lavoro intrapreso. Certo, la Costituzione è una cosa seria, serve per molti anni ed è augurabile che venga condivisa ed approvata da una larga maggioranza. Per lasciare soli i quattro «buontemponi» di Lorenzago abbiamo svolto un approfondito dibattito procedendo all'audizione di oltre quaranta docenti universitari! E, la modifica del testo del Senato è dovuta proprio a questo lavoro di ascolto e di ricerca.
Abbiamo apprezzato molto la sensibilità e l'intelligenza del ministro Calderoli, che proprio per raggiungere la massima condivisione ha ritenuto di incontrare la società civile, i presidenti di regione, di provincia ed i sindaci per ascoltare le loro esigenze ed i loro suggerimenti. Proprio per aver ascoltato questi suggerimenti il ministro Calderoli, laddove si è lamentata una scarsa rappresentatività territoriale, ha aggiunto due rappresentanti per ogni regione, ed è stata presa in esame l'elezione contestuale di Senato e regioni.
Sono stati eliminati i senatori eletti nella Circoscrizione estero. Si prevede un quorum particolare per l'approvazione del regolamento della Camera. Alcune materie concorrenti (grandi opere, trasporto, navigazione, energia, comunicazioni ed organi professionali) passano alla competenza statale. Vi sono inoltre norme a garanzia di comuni, province e città metropolitane.
È stato lodevole lo sforzo compiuto nello smussare asperità ed incomprensioni intervenute tra le forze politiche anche facenti parte della maggioranza. Dalla dichiarazione di disponibilità ad accogliere anche altri suggerimenti provenienti sia dalla maggioranza che dall'opposizione si trae a mio avviso, e non solo alla luce del fair play dimostrato dall'onorevole Violante e da altri colleghi parlamentari, la ragionevole convinzione che il lavoro intrapreso, già soddisfacente, possa essere ulteriormente migliorato.
La devolution, sbandierata per fare terrorismo e addirittura presentata come una sorta di secessione mascherata, è l'argomento che, a mio avviso, presenta minori problemi. Questa parte viene approvata da chi pure è molto critico su altri aspetti, come il professor Barbera, che abbiamo sentito in Commissione e che ha rilasciato in questi ultimi giorni un'intervista importante sul Corriere della sera. «Con la stessa modifica - dice Barbera - si superano molti eccessi introdotti dal Titolo V approvato dal centrosinistra». Si tratta di correzioni sacrosante perché l'energia, le grandi reti di comunicazione, ed altre materie - come dicevo prima - tornano alla competenza statale.
All'articolo 120 si introduce una clausola contro ogni divisione sociale, giuridica ed economica delle regioni, laddove si afferma che, con legge approvata dalla Camera dei deputati e dal Senato federale della Repubblica, a maggioranza dei propri componenti, sono disciplinati, nel rispetto della sussidiarietà e della leale collaborazione, i principi che assicurino da parte delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni il rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria, l'incolumità e la sicurezza pubblica in caso di pericolo grave, la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. Il Governo può sostituirsi ad organi delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni nel caso di mancato rispetto delle finalità di cui al secondo comma. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto dei principi di leale collaborazione e di sussidiarietà. Quindi, l'organizzazione di dettaglio è affidata alle regioni mentre i principi generali allo Stato, che può intervenire ogni qualvolta questi principi siano violati dalle regioni stesse.
Altra modifica importante è stata l'introduzione esplicita del principio dell'interesse nazionale, disposta dall'articolo 127, che, in sostanza, rappresenta il cemento e la ratio degli articoli 114, 118 e 120. Quindi, con la previsione esplicita del principio di sussidiarietà e di solidarietà è fugato ogni timore di creare regioni di serie A e di serie B.
Certamente, il Senato federale crea più problemi. Che fosse una conseguenza inevitabile del federalismo è da tutti ammesso.
Nella scorsa legislatura, al momento dell'approvazione della modifica del Titolo V, chi intervenne per la maggioranza (mi ricordo Cerulli Irelli, Soda e l'onorevole Jervolino), ammettendo esplicitamente, chiaramente, che la riforma era incompleta e che quindi andava completata, parlava apertamente o di Camera delle regioni o di Senato delle regioni quale stanza di compensazione fra autonomie regionali e potere centrale.
Il centrosinistra, però, non riuscì a definirne il carattere: disse che lo avrebbe fatto nella legislatura successiva. Quindi, aveva usato come propaganda elettorale, sicuro che sarebbe stato gratificato nelle votazioni successive, la riforma del Titolo V, attribuendo a tale riforma una grande importanza, come ad una riforma voluta ardentemente dal popolo italiano, tanto che si sperava, nelle elezioni successive, che il popolo stesso avrebbe ricompensato i proponenti.
Tuttavia, il popolo italiano non votò per il centrosinistra, dando a noi il mandato di andare avanti. Noi avevamo, quindi, l'obbligo di completare quella riforma - infausta, secondo Gerardo Bianco - per evitare tutti i disastri che la stessa aveva comportato, quali la grande litigiosità fra Stato e regioni e, quindi, l'ingorgo della Corte costituzionale.
Certo, il Senato federale non è una Camera politica e non è legato da un rapporto di fiducia, anzi, addirittura, può bloccare l'attività di Governo così come autorizzerebbe l'ultima parte dell'articolo 70, nella quale si prevede che sulle materie concorrenti, laddove il Governo dichiari che le modifiche proposte dalla Camera dei deputati sono essenziali per l'attuazione del suo programma e tali modifiche siano approvate dalla Camera stessa ai sensi dell'articolo 94, secondo comma, il disegno di legge è approvato in via definitiva con le modifiche proposte, salvo che, entro 30 giorni, il Senato federale deliberi di non accogliere tali modifiche, con la maggioranza dei tre quinti dei propri componenti. Orbene, proporrei - per questo ho presentato un emendamento in tal senso - di sopprimere questa parte della norma che ho richiamato.
Anche il premierato, ovviamente, presentava e presenta qualche problema che, a mio avviso, può essere risolto; peraltro il ministro Calderoli ha già accolto molti suggerimenti atti a superarlo.
A chi grida allo scandalo di un premier sinonimo di tiranno ricordiamo che di tali forme di Governo si parlò nella Bicamerale e, precisamente, nella bozza Salvi, e che detto istituto è conseguenza inevitabile del principio maggioritario affermatosi con il referendum del 1993 che ha dato origine al presidente della regione, al sindaco e al presidente della provincia eletti direttamente. Certo, l'esigenza della governabilità, da tutti avvertita, deve conciliarsi con la democrazia, con il rispetto della maggioranza e della minoranza.
Comunque, se si raffrontano i Governi della Prima Repubblica, che duravano, in media, otto o nove mesi, e che poi, spesso, si trasferivano al mare - Governi balneari: li ricordo bene, come al tempo dell'onorevole Leone -, con i Governi attuali, si comprende e si apprezza il nuovo istituto.
In sostanza, proponiamo di rafforzare la governabilità attraverso un patto sul programma tra premier, maggioranza e corpo elettorale: chi vince, governa per cinque anni, secondo il programma proposto, che ha avuto l'approvazione del corpo elettorale; da parte sua, l'elettore non corre il rischio di essere governato da maggioranze diverse da quelle elette. Così congegnata, la norma proposta tende ad evitare ribaltoni (è per questo che viene definita volgarmente norma antiribaltoni).
Nel 1994, il Presidente Berlusconi governò solo per sei mesi, pur essendo stato eletto dal popolo italiano - c'era già il bipolarismo imperfetto; cominciava a delinearsi quel bipolarismo che adesso cerchiamo di costituzionalizzare -, in quanto alcune forze della maggioranza di allora ritirarono la fiducia e la concessero, in seguito, a persone diverse da quelle che erano state votate dagli elettori. Ciò è avvenuto anche nella scorsa legislatura, allorquando la maggioranza degli italiani votò per Prodi e, poi, si ritrovò D'Alema e, infine, Amato. Chi, in passato, aveva votato per la Democrazia cristiana in un momento in cui c'era la guerra fredda - e che mai avrebbe votato per un esponente della sinistra - si trovò ad essere governato da chi non avrebbe votato: una grande beffa per gli elettori!
GERARDO BIANCO. Senza vincolo di mandato, Saponara!
MICHELE SAPONARA. Orbene, ad evitare il riproporsi di tale situazione, viene riconosciuta al primo ministro la facoltà di chiedere lo scioglimento del Parlamento ove sia sfiduciato, a meno che la maggioranza non indichi altro esponente della stessa in grado di continuare l'attuazione del programma di Governo. Come si può agevolmente notare, anche in questo caso la governabilità è stata assicurata.
Punti certamente condivisi, rispondenti a suggerimenti provenuti dai costituzionalisti auditi e, peraltro, fatti propri dalle opposizioni, sono gli altri sui quali mi soffermerò da qui a poco.
Prima mi preme rilevare però che, nonostante si sia ricorsi soltanto all'articolo 138 della Costituzione e non all'elezione di un'Assemblea costituente, si è cercato di creare lo spirito costituente, di sollecitare alla partecipazione tutti i componenti della Camera e del Senato alla formulazione di questo nuovo testo. Voglio dire, cari amici, che noi siamo eletti dal popolo italiano con il mandato di fare leggi non solo ordinarie, ma anche costituzionali. Quindi, non vedo perché non dovremmo ritenerci legittimati, beninteso manifestando la massima apertura ed assicurando la massima disponibilità, ad approvare leggi costituzionali, allo stesso modo in cui si è ritenuto legittimato il centrosinistra nella passata legislatura. Né vale obiettare, da questo punto di vista, che la riforma del Titolo V attuata dal centrosinistra si componeva di pochi articoli e, di conseguenza, era ben poca cosa rispetto ad un disegno di legge di riforma che consta di 43 articoli.
Cari colleghi, sulla devolution, sul completamento della riforma del Titolo V che noi proponiamo avete fatto opera di terrorismo; ora, avete preannunciato che chiamerete il popolo italiano al referendum per farla bocciare!
Perché? Perché a voi non interessa una riforma fatta bene, non interessa una riforma costituzionale: a voi interessa servirvi di questa situazione per una campagna elettorale che per voi si presenta non bella e che sperate di vincere attraverso un referendum che, secondo voi, dovrebbe avere un esito a voi favorevole.
Parlavo di punti certamente condivisi (che rispondono peraltro ai suggerimenti dei costituzionalisti auditi e fatti propri dall'opposizione). Mi riferisco alle varie garanzie riconosciute all'opposizione, tra cui la presidenza delle Commissioni di inchiesta. Si tratta di un aspetto importante, che deve garantire l'opposizione, che può esercitare nelle Commissioni d'inchiesta i poteri di ispezione, di controllo, di denunzia. Quindi tutto ciò che non è previsto dalla Costituzione vigente, perché voi sapete che le Commissioni sono presiedute da esponenti della maggioranza.
Quanto alla previsione dei deputati a vita anziché dei senatori a vita, va considerato che la Camera è l'organo politico ed è giusto che gli ex Presidenti della Repubblica e le personalità che hanno dato lustro all'Italia nel campo scientifico e letterario, che il Presidente della Repubblica ritiene possano dar lustro anche alle istituzioni, facciano parte della Camera dei deputati e non del Senato, la cui funzione è più vicina alle autonomie regionali e territoriali.
Viene inoltre prevista l'elezione dei giudici della Corte costituzionale e dei componenti del Consiglio superiore della magistratura sia da parte della Camera sia da parte del Senato. Non si comprendeva, infatti, il motivo per il quale tale profilo fosse riservato solo al Senato e non anche alla Camera, organo politico per eccellenza. Si tratta peraltro di suggerimenti a noi pervenuti dai costituzionalisti e dagli amici dell'opposizione. Quindi, lo spirito costituente noi abbiamo cercato di crearlo.
Per ciò che concerne la previsione che la grazia possa essere concessa solo dal Presidente della Repubblica senza la controfirma del ministro, bisogna dare atto al Governo, presentatore del disegno di legge di riforma, della sensibilità dimostrata in questo campo. Ricorderete tutti l'ampio dibattito svoltosi nell'estate scorsa, anche in Commissione affari costituzionali sulla questione della grazia. Allora si diceva che la prerogativa affidata al Presidente della Repubblica potrebbe essere bloccata dal ministro della giustizia. Sono noti infatti le polemiche ed il dibattito svoltosi sull'argomento e la necessità di non provocare strappi o difficoltà costituzionali. Il che fa ricordare il conflitto di attribuzione sorto allorché il ministro Martelli si rifiutò di controfirmare il provvedimento di grazia per Curcio voluto dal Presidente Cossiga, che, per fortuna, rinunziò al conflitto.
Con questa norma si vuole evitare, in sostanza, che un ministro, anziché competente o proponente, diventi «prepotente» ed impedisca al Presidente della Repubblica di esercitare una delle sue prerogative quale quella di concedere la grazia. Certo, non è sfuggita la delicatezza del problema, atteso che specialmente in determinati casi si tratterebbe di una iniziativa e di una responsabilità politica. Comunque, il Governo e la Commissione hanno ritenuto di risolvere il problema lasciando integra al Presidente la sua prerogativa. In un testo di riforma di ben 43 articoli della Costituzione, ritengo si debba esaminare anche la possibilità o comunque l'opportunità di rivederne altri di grande attualità. Mi riferisco all'articolo 68 ed all'articolo 79.
Dell'articolo 68 della Costituzione si è trattato in occasione dell'esame del cosiddetto lodo Maccanico-Schifani, successivamente dichiarato incostituzionale. Ovviamente, non intendo riproporre l'autorizzazione a procedere, ma solo la sospensione delle indagini e dei processi pendenti a carico dei deputati e dei senatori fino alla cessazione della loro funzione. Ho presentato una proposta emendativa in tal senso, che spero raccolga un'ampia maggioranza.
Ricordo a tutti che la principale obiezione mossa al lodo Maccanico-Schifani era che si dovesse procedere con legge costituzionale e non già con legge ordinaria.
Noi qui stiamo varando una legge costituzionale, e quindi si tratta della sede adatta.
Ma l'altro argomento non meno importante - anzi, a mio avviso decisivo - è che la sospensione dei processi è prevista da una decisione del Parlamento europeo. La stessa, al paragrafo 2, prevede che l'articolo 10 del protocollo disciplini l'inviolabilità dei deputati. Detta immunità è un privilegio del Parlamento europeo, ed assicura, per la durata delle funzioni del deputato, l'esenzione da procedimenti penali o da altri ostacoli frapposti dalle autorità pubbliche alla sua libertà personale.
A proposito di processi, l'articolo 5 del suddetto protocollo dispone che i processi vadano sospesi fino all'esaurimento del mandato. Si stabilisce, infatti, che un'indagine o un procedimento penale nei confronti di un deputato devono essere sospesi qualora il parlamentare lo richieda. Noi proponiamo che si verifichi tale sospensione qualora lo richieda il parlamentare ed anche qualora la Camera di appartenenza lo conceda: pertanto, è la Camera di appartenenza che deve richiedere al giudice la sospensione, sia stata o meno richiesta dal parlamentare stesso. Ovviamente, dunque, anche secondo la mia proposta la sospensione non è automatica, ma deve essere richiesta dal Parlamento.
Anche la prima parte dell'articolo 68 della Costituzione merita una modifica. Infatti, con l'articolo 3 della legge prima Boato, poi lodo Maccanico-Schifani, si estendeva chiaramente l'insindacabilità anche a quell'attività di denunzia effettuata al di fuori del Parlamento, ma comunque connessa alla funzione parlamentare. La Corte costituzionale, purtroppo, ritiene che tale specificazione non rientri nell'articolo 68, così come previsto dalla Costituzione; di qui il moltiplicarsi dei conflitti di attribuzione, e quindi della necessità di costituzionalizzare la libertà del deputato di espletare la sua attività di denunzia anche fuori dal Parlamento, purché connessa alla sua funzione parlamentare.
L'articolo 79 della Costituzione riguarda l'amnistia e l'indulto. Purtroppo la maggioranza che è stata prevista con legge...
PRESIDENTE. Onorevole Saponara, concluda!
MICHELE SAPONARA. ... se è riuscita ad evitare il proliferarsi di provvedimenti di clemenza, impedisce la loro approvazione anche quando questi si rivelino indispensabili. È questo il motivo per cui si propone una maggioranza leggermente diversa, ma comunque rilevante.
Signor Presidente, onorevoli colleghi e amici, auspico che vengano superate tutte le divisioni di schieramento e l'opposizione preconcetta, da «muro contro muro», e che si ritrovi in quest'aula, compatibilmente con i tempi mutati (che non consentono la passione civile e politica della Costituente del 1946), quello spirito che faccia pensare ad una Costituzione nuova, ammodernata ed adeguata ai tempi, ma che rimanga immutabile nei principi fondamentali.
L'obiezione che viene mossa, infatti, è che, mutando questa parte della Costituzione, indirettamente si pregiudicano anche i principi fondamentali. Noi, invece, vogliamo che i principi fondamentali della Costituzione restino immutabili e che quella riforma costituzionale che stiamo proponendo sia quella richiesta dai tempi che tutti conosciamo (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e della Lega Nord Federazione Padana - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Coluccini. Ne ha facoltà.
MARGHERITA COLUCCINI. Signor Presidente, nonostante le delucidazioni ora fornite dall'onorevole Saponara, anch'io come tutti i colleghi che mi hanno preceduto, mi trovo a svolgere un intervento in discussione sulle linee generali senza conoscere, se non per sommi capi - e non definitivi -, il senso e la sostanza del disegno di riforma della parte II della nostra Costituzione.
Di per sé, ciò è già motivo di perplessità e, soprattutto, segna una modalità di approccio incomprensibile e direi anche antiparlamentare verso una materia che richiederebbe la creazione di un reale terreno di confronto tra maggioranza ed opposizione. Richiederebbe almeno la presenza di un'aspirazione, la dimostrazione di una volontà reale e misurabile.
Sottolineo, come hanno fatto molti colleghi prima di me, la totale assenza di tutto ciò e noto, al contrario, la manifestazione di una tentazione che definirei furba, di cui il ministro Calderoli ha voluto farsi quasi portatore - quasi portavoce - di aperture e ricerca di soluzioni comuni, finanche il riconoscimento della bontà delle opzioni poste dall'opposizione e, dall'altra parte, invece, la solita e pervicace spinta autoreferenziale di questa maggioranza, che nega ogni elementare principio, non tanto di collaborazione democratica, quanto di confronto sereno e possibile su una materia come questa, che non è appannaggio di questa o quella maggioranza politica, ma patrimonio collettivo di un popolo e di una nazione.
Credo che il senso di tanta confusione e, se permettete, anche di malafede - peraltro male organizzata -, si colga nelle parole pronunciate ieri dall'onorevole Tabacci, il quale ha detto: «L'impianto complessivo di questa riforma risente di troppe, disparate sollecitazioni». A chi, e con quale intento, l'onorevole Tabacci si rivolga è fin troppo semplice intuirlo. Ciò che più interessa è il riconoscimento della difficoltà di trovare un punto di equilibrio e di mediazione tra le diverse spinte che animano i singoli partiti della coalizione e della maggioranza. È la certificazione della composizione di un'alchimia modesta, che vorrebbe la nostra Carta fondamentale sottoposta a interessi di parte. Tante, troppe velleità, che difficilmente - e con risultati mostruosi - possono stare insieme, se non andando a stravolgere un assetto istituzionale inteso quale garanzia di pari opportunità e di pari dignità per i cittadini.
L'accordo sembra essere stato trovato, se pure di basso profilo. Si tratta di un accordo per il quale ciascuno rinuncerà a qualcosa e si accontenterà di qualcos'altro: ciascuno con la propria bandierina da sventolare, tutti e reciprocamente con la certezza di avere comunque ostacolato l'altro e impedito il peggio. È chiaro che se ciò è vero, la tentazione autarchica, cui ho fatto riferimento in precedenza, non è più soltanto immaginabile: al contrario, è chiara strategia e, per voi, ritengo, necessità primaria di sopravvivenza politica, che non contempla variabili, né modificazioni.
L'aggiornamento della nostra Carta costituzionale ed il suo adeguamento ad una diversa condizione sociale del nostro paese, la necessità della modernizzazione delle istituzioni, di una loro migliore agibilità, di una loro maggiore funzionalità, sono temi riconosciuti come fondamentali per ridare slancio e prospettiva ad un paese stanco e sfiduciato, che chiede stabilità e adeguata rappresentanza, nel quale la volontà del popolo sia riconoscibile e paritariamente praticata, nel quale le opportunità di crescita sociale ed economica siano diffuse e solidali, nel quale le diversità territoriali siano fattori di crescita unitaria.
Per tutto ciò, credo sarebbe necessario armonizzare e modulare con rigore e lungimiranza anche le differenti posizioni e visioni politiche. Sarebbe necessario organizzarsi lucidamente su un progetto di lunga durata e unitario, che miri diritto al cuore del nostro essere - per continuare ad essere - comunità nazionale. Mi riferisco, evidentemente, al mille volte evocato spirito costituente, che non può essere improvvisato né tanto meno utilizzato a seconda della necessità di consenso trasversale. Il rischio che corriamo, invece, è che il disegno di riforma presentato e sostenuto fondi la propria radice su una smaccata e pericolosa schizofrenia, che può consegnarci un sistema ordinamentale incongruente ed inefficace: un paese bloccato, senza futuro e democraticamente azzoppato. Questo è un prezzo troppo alto, che - evidentemente - il paese non si può permettere di pagare, così come esso non ha bisogno di vedere acuiti ed «economicizzati» i conflitti istituzionali che la vostra proposta di riforma porta con sé.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIERFERDINANDO CASINI (ore 10,25)
MARGHERITA COLUCCINI. Si tratta di una proposta ambigua, che riduce le prerogative del Governo e del Parlamento, che crea un serio squilibrio - anche in questo caso un'anomalia -, un'ambiguità tra Stato, Parlamento e Governo, che fa sulle istanze delle regioni e delle autonomie locali mera demagogia, attribuendo al Senato federale poteri propri e tecnicamente inattuabili, dal punto di vista del corretto funzionamento legislativo, facendolo prevalere sulla Camera politica, slegandolo dal rapporto fiduciario con il Governo e rendendolo del tutto estraneo ai governi locali, con cui l'unico legame rimarrebbe l'elezione contestuale e la possibilità di «audirsi», se così si può dire, reciprocamente e saltuariamente.
Non migliora tale quadro - e certo ritengo che non traduca appieno il termine federale - la proposta migliorativa del ministro di integrare tale organo con due rappresentanti delle regioni che hanno diritto di partecipazione, di iniziativa legislativa e di voto solo in particolari materie attinenti agli interessi della regione medesima. Vi è in tutto questo l'idea di un Senato contro le regioni, anche se mitigata dall'annuncio del ministro in base al quale le regioni non saranno suddite del Senato medesimo attraverso la prerogativa, da ultimo loro attribuita, del guidare i tempi di rinnovo dei senatori (vedremo poi attraverso quale formulazione). Rimane, in ogni modo, l'impostazione che vede eliminata la disciplina di maggioranza, l'impossibilità del voto di fiducia e, quindi, la possibilità concreta di dover negoziare per ogni provvedimento il voto favorevole di ogni senatore con gli effetti che si possono ben immaginare. Il fatto è che federalismo vuol dire raggiungere un'unità federale a partire da una pluralità. Qui sembra avvenire l'opposto: dall'unità dello Stato si vuole arrivare ad un'articolazione della sovranità a livello locale. L'intento primario, almeno quello della Lega, infatti, sembra essere quello di desovranizzare lo Stato, alimentando disparità e squilibri tra regione e regione, di fatto colpendo al cuore il principio di uguaglianza tra tutti i cittadini. Sarà un caso, ma in biologia il termine devolution vuol dire proprio degenerazione.
Il ministro, tra l'altro, ha annunciato di voler rivedere e rivisitare l'articolo 117, così come era stato formulato, in relazione alla ripartizione della potestà legislativa tra Stato e regioni, senza dire come e sulla base di quali novità intervenute. Certo è che questo è uno dei nodi cruciali su cui si è costruita ed alimentata l'accezione mitologica assegnata alla riforma, dove si misureranno, al di là della demagogia, le reali spinte federaliste di questo Governo e di questa maggioranza. Ma, quel che più importa, avremo modo di toccare con mano i compromessi raggiunti e la portata di un cambiamento che, così com'è concepito, se non spaccherà in due il nostro paese, certamente ne alimenterà le differenze e ne comprometterà l'equilibrio sociale e il suo funzionamento democratico.
A tutto questo fanno da contrappeso o - meglio - da cornice ambigua il ruolo e le prerogative assegnate al primo ministro, al quale viene conferito un potere, pressoché incontrastabile, senza bilanciamenti ed al quale corrisponde la mortificazione del ruolo del Presidente della Repubblica: un primo ministro che nomina e revoca i ministri, che determina la politica generale del Governo e che dirige l'attività dei ministri stessi. Se, da una parte, è innegabile l'esigenza di stabilità e di sicure ed efficaci prospettive di guida politica, dall'altra, è indubbio che la domanda di crescita e di innovazione non può e non deve essere intesa come risolta da una direzione politica e amministrativa univoca, rigida, quasi monumento a se stessa. Al contrario, le spinte innovatrici si formano, trovano sussistenza e si concretizzano dalla compenetrazione di sinergie e dalla valorizzazione del pluralismo e delle autonomie, dove l'unità dello Stato sia elemento di rafforzamento e di pari opportunità e, insieme, garanzia di crescita equa e diffusa.
Ecco il motivo per cui non convince la vostra idea di futuro, perché essa fonda la propria origine su un'impostazione inattuale, che cela una vocazione autoritaria e che non coglie la richiesta di futuro e di prospettiva che sale dal paese e dai singoli territori, dove vanno costruite condizioni di sviluppo legate alle singole peculiarità, dove vanno incentivate competenze e formazione, dove vanno valorizzate risorse e coltivate solidarietà sociali. Un'idea più moderna, quindi, tagliata a misura di un paese che vuole dimostrare la propria capacità di rigenerazione e che vuole misurarsi con le altre realtà europee ed internazionali più avanzate nella sfida della competitività e della crescita sociale ed economica.
Per tutto questo occorrerebbe un assetto nuovo, dinamico e volto alla cooperazione, in grado di trasformare le istituzioni nei principali motori di modernizzazione e di cambiamento, non in un blocco confuso di poteri e di veti contrapposti, come la vostra proposta configura.
Nel vostro progetto è assente l'organicità necessaria per fare in modo che tutto questo sia possibile o anche soltanto prefigurabile; è assente un'idea di crescita complessiva ed un traguardo da raggiungere.
L'unico obiettivo che sembrate esservi dato è quello del «tirare a campare», mascherando l'inadeguatezza del vostro progetto sotto l'insegna delle riforme che appaiono, così come presentate, più il frutto di una visione qualunquistica e demagogica della realtà politica e sociale del nostro paese che il compito principale di una forza moderata di stampo liberista, che si è presentata al paese promuovendosi come forza innovatrice, riducendosi di fatto ad essere ostaggio di se stessa, in un disegno politico che mostra la corda. È un disegno inefficace ed improduttivo, così come improduttive ed inefficaci sono tutte le vostre proposte che nascono monche, così come lo sono le riforme senza risorse e senza strumenti, come in questo caso. È uno dei motivi, questo, per cui appare vuoto il vostro slancio riformista e del tutto legato alla necessità di salvaguardare interessi di parte.
Se il contesto e lo spirito generale della vostra proposta di riforma di una parte consistente della Costituzione genera tutti i dubbi e le preoccupazioni che molti qui hanno espresso, credo che una qualche riflessione debba essere fatta anche sull'impatto che tale nuovo impianto avrebbe sui principi fondamentali contenuti nella prima parte della nostra legge fondamentale, per fortuna inalterati.
Vi è un motivo di allarme presente interamente nella pericolosità di un progetto politico non condiviso e non partecipato, chiuso ad ogni istanza che provenga dall'esterno. Un deficit di partecipazione ravvisato in molti dei passaggi fondamentali, nei quali rimane inespressa l'istanza di coinvolgimento nel processo di riforma costituente degli attori principali e dei principali beneficiari del nuovo e più adeguato assetto istituzionale, vale a dire i cittadini, il popolo sovrano, che intravedono invece in tale opportunità, o meglio intravederebbero, l'occasione per una ridefinizione ed un ripensamento del rapporto fra se stessi e le istituzioni, nel quale meno autorità e più libertà rappresentano i presupposti per un progetto di vita serio e sereno.
A mio giudizio, tra i principali vizi di forma e di sostanza che presenta il disegno di riforma in discussione vi sono proprio l'incapacità di rispondere a tali aspirazioni ed il rischio di una limitazione forte delle garanzie sociali consolidate ed irrinunciabili, quelle sancite nei principi fondamentali contenuti nella parte I della nostra Costituzione.
Come si potrà evitare, ad esempio, che venga «intaccato» il principio secondo il quale la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo ed interesse della collettività se, in virtù del decentramento amministrativo proposto, non si corrisponderanno misure di tutela e risorse da destinare alle regioni più piccole e più povere?
Come verrà preservato il senso del principio stabilito dall'articolo 3 della Costituzione, nel quale si prevede in particolare che sia compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese?
Anche a queste domande si chiede una risposta, e non per semplice gusto polemico, ma perché dalle risposte che vi chiedo di dare si possono rinvenire i segni di una reale volontà di miglioramento dell'assetto fondante del nostro sistema e non la semplice enfasi demonitrice di un revisionismo inutile e rischioso.
Noi, dal nostro canto, sentiamo tutta la responsabilità di dover contribuire al processo di rinnovamento dell'assetto dello Stato e dei suoi organi - a questo punto lo faremo attraverso la presentazione degli emendamenti frutto dell'ottimo lavoro svolto in Commissione da tutta l'opposizione -, che dia seguito al processo riformatore avviato nella scorsa legislatura, da correggersi e migliorarsi, ma certamente da non abbandonarsi, in quanto rispondente alle esigenze di crescita e di libertà dei cittadini. Tale disegno deve unire, non escludere o dividere.
È un'opportunità che ci sentiamo di poter cogliere anche per segnalare l'urgenza di una riforma che non può promuovere forme di divisione di un paese che necessita di unità e di una classe politica responsabile, che lo sappia condurre verso le sfide che verranno e che sappia rafforzare e dare nuovo slancio alle aspettative dei cittadini.
In questa direzione ed in questo senso andranno le nostre proposte, frutto di ragionamento e di passione politica e di una sorta di affezione alla Costituzione repubblicana ed alla libertà che essa ci ha garantito (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Abbondanzieri. Ne ha facoltà.
MARISA ABBONDANZIERI. Signor Presidente, il disegno di legge che cambia 45 articoli della parte II della Costituzione, concernente l'ordinamento della Repubblica e che introduce quella che alcuni di voi chiamano la devolution, giunge in Assemblea in una situazione che definire paradossale è poco.
La discussione sulle linee generali è iniziata il 4 agosto con la relazione del presidente della Commissione, poi sono iniziate le vacanze estive. Qualche giorno fa, voi della maggioranza vi siete incontrati e, tra un comunicato giornalistico ed una riunione a questo o a quel tavolo, ci avete comunicato di aver apportato alcune modifiche. Dopo aver ripreso comunque la discussione sulle linee generali lunedì 13 settembre sul testo ufficiale, il ministro Calderoli ci ha detto che, quarta o quinta bozza permettendo, oggi, mercoledì 15 settembre, presenterete i testi, gli emendamenti e, bontà nostra, dal ministro stesso ci viene richiesta massima apertura al dialogo ed al confronto. Non basta l'educazione, signor ministro, per essere credibili, ma saremmo felici di essere smentiti. Spiace dire che, se così fosse, il ministro avrebbe fatto bene a chiedere una sospensione della discussione ed un ritorno in Commissione per poi presentarsi con un nuovo testo in aula, forse anche con un nuovo clima.
È svilente doversi trovare in tale situazione, anche perché - bisognerà ricordarlo - si tratta di modificare la Costituzione: ben 45 articoli che riguardano la democrazia parlamentare, il superamento del bicameralismo perfetto, l'iter di formazione delle leggi, le competenze legislative delle due Camere e delle regioni, il rafforzamento del Presidente del Consiglio dei ministri, i poteri del Capo dello Stato, la nomina della Corte costituzionale e del Consiglio superiore della magistratura.
Ci chiedete collaborazione, condivisione, ma questo non è lo scenario entro il quale ciò può avvenire. La verità è che la direzione di marcia che vi ispira in questa modifica costituzionale non ammette né l'idea della collaborazione, né l'idea della condivisione. Anzi, forse qualcuno coltiva esattamente il senso contrario.
Sembra che, di fatto, non siate interessati a che la Costituzione possa essere riformata con la più ampia condivisione parlamentare, nemmeno in questi giorni che avete praticato un modo di essere nazione, e noi insieme a voi, che potrebbe dare sicuramente risultati migliori nei frangenti importanti. Anche questo è uno di quelli, lo dico senza alcuna speculazione ma con grande convinzione.
Cosa vi ha impedito di essere saggi e di buon senso? Cosa vi ha impedito di sospendere la discussione quando ancora girano le bozze e gli specchietti sui giornali più seguiti? Credo ve lo impedisca il fatto che tutte le forze politiche della Casa delle libertà si confrontano con il coltello tra i denti, e nessuno lo può mollare perché ognuno punta a qualcosa e la Lega più di tutti vi condiziona e fa di ciò la ragione della sua permanenza in questo Governo.
Il disegno di legge è un progetto strabico; chiunque lo leggesse, anche i meno attrezzati, lo noterebbe, se non altro per il linguaggio e la struttura. È un progetto strabico che si propone di affrontare il tema della governabilità, ma che in realtà, con un Senato così configurato e con l'iter a cui vengono sottoposte le leggi, otterrà l'effetto contrario e vedrà aumentare il contenzioso con il Governo e con l'altra Camera, compromettendo alla radice la governabilità di questo paese, che in realtà è compromessa non per la struttura della democrazia parlamentare, ma per i riti della politica, per i vizi della classe politica, per le manie di visibilità, per i veti e la demagogia che sa mettere in campo (tra l'altro, con una classe politica di uomini che sa fare gran parte di queste cose).
Se pensiamo alle critiche che hanno bersagliato la prima Repubblica e le colpe che le vengono attribuite, possiamo sinceramente dire che solo marginalmente sono colpe derivanti dalla struttura della Costituzione del 1948. Rimanendo nel campo della vostra logica, va ricordato che quel mostro costituzionale, che rischia di diventare il Senato federale, non è soggetto al rapporto di fiducia con il Governo, non si può sciogliere in forma anticipata. È, di fatto, una Camera in balia di sé stessa e con un grande e forte potere di veto, incaricata di occuparsi e di votare leggi fortemente incidenti sull'indirizzo del Governo, a cominciare dalla legge finanziaria e da tutte le leggi sui principi fondamentali delle materie a legislazione concorrente.
Quindi, è un Senato federale che può provocare una forte instabilità politica e la cui elezione - è bene ricordarlo anche per chi ci ascolta - è svincolata dalle elezioni per la Camera dei deputati, essendo invece collegata alle elezioni dei consigli regionali. Basta leggere il contenuto degli articoli 8 e 13 (peraltro, ci riferiamo al testo al momento al nostro esame), per avere la conferma che il Senato federale è un mostro costituzionale. Forse non a caso chi tra di voi ha conservato il buonsenso ha fatto emergere qualche dubbio, quello di cui le cronache giornalistiche (per la verità nemmeno tanto lunghe) ci hanno parlato in questi giorni, che sembra essere alla base di qualche timido ripensamento, sino alla previsione (fino all'altro ieri) addirittura di uno stralcio, che pare ormai archiviato. Il Senato, che dovrebbe essere, anche in virtù dell'essere Senato federale, il luogo dei territori e quindi della composizione degli interessi statali e regionali, è in realtà un luogo di divisioni, di confusione e di esercizio degli slogan federalisti. È un luogo che ha una maggioranza politica diversa, non fosse altro perché viene eletto in tempi diversi.
È ovvio che la presenza di maggioranze politiche diverse nei due rami del Parlamento creerà fortissimi rischi di stallo decisionale; altro che efficienza ed efficacia! Anche perché le competenze legislative affidate al Senato sono moltissime: infatti, esso è competente sull'intera partita bicamerale, ovvero le leggi che devono essere approvate da ambedue i rami del Parlamento; nonché su tutte le materie di cui al comma 2 dell'articolo 117 (quelle cosiddette a legislazione esclusiva dello Stato), al di là della formula attenuata.
Esso ha inoltre competenza legislativa sulle materie a legislazione concorrente, di cui al comma 3 dell'articolo 117. Si tratta quindi di un Senato destinato a provocare stallo, confusione, indecisione e probabilmente anche in grado di condizionare e ricattare, senza contrappesi, le politiche dei Governi e l'attività legislativa. È un Senato all'interno del quale non c'è il territorio, al di là di quello che si scrive. Non ci sono le autonomie locali, al di là dei nominalismi. Qualcuno potrebbe trovarsi a rimpiangere il bicameralismo perfetto oggi in vigore. Il rischio sarà che per governare si ricorrerà ad altre strategie e meccanismi, ad altri circuiti. Si potevano sicuramente scegliere altre strade, anche perché è giusto porsi il problema di spezzare il bicameralismo perfetto. Ma in realtà voi - la Lega nord in particolare - affidate al Senato federale un ruolo condizionante nei confronti del Governo centrale.
È una sorta di linea alle politiche nazionali, un ruolo fortissimo e di primaria importanza. Se, da parte vostra, vi fosse stata più onestà politica ed intellettuale (vedremo le correzioni), potreste facilmente riconoscere che l'articolo 13 del disegno di legge è un rompicapo dove la cosiddetta navetta parlamentare, che dite di voler cancellare, non solo non è cancellata, ma diventa persino più pesante. Si inseriscono, infatti, i veti e le Commissioni paritetiche.
Per metterla su un piano strettamente figurativo e plastico, che però rende bene l'idea, si osserva che il nuovo articolo sulle procedure per fare le leggi è di tre pagine. L'articolo 70 della Costituzione in vigore recita invece: «La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere». Solo nove parole, pulite, semplici, efficaci ed essenziali. Quell'articolo, quelle procedure vi riporteranno ai lunghi tempi parlamentari, quelli che dite di voler cancellare.
Per non parlare dell'assurdo meccanismo, quasi extraparlamentare, che vi siete inventati quando un disegno di legge non è approvato nel medesimo testo da parte delle due Camere, dopo una lettura da parte di ciascuna Camera, con la nomina di una Commissione paritetica incaricata di predisporre un testo sulle disposizioni su cui permane il disaccordo. Testo che andrà poi all'approvazione delle due Camere, senza possibilità di essere emendato. Iter e meccanismo ripetuto, quello della Commissione paritetica, nominata dai presidenti delle due Camere per dirimere le eventuali questioni di competenza tra le stesse Camere in ordine all'esercizio della funzione legislativa ovvero in ordine all'assegnazione dei disegni di legge.
Il materiale del Servizio studi che ha accompagnato il provvedimento in modo opportuno e dettagliato stila anche l'elenco dei provvedimenti e/o degli adempimenti necessari ed opportuni dopo l'approvazione delle modifiche costituzionali. Si tratta di un elenco lunghissimo ed illuminante, non lo voglio ripetere, ma il problema non è la quantità, ma la qualità delle modifiche. Ma davvero si sente il bisogno in questo paese, che ha tanti problemi, di un cantiere permanente? Davvero gli italiani sono in attesa di tutti questi lavori di costruzione costituzionale derivata, ispirata per giunta a forme strampalate ed autoritarie?
Penso che molti italiani direbbero di no ed io pure! Le annunciate modifiche che proponete, scaturite dai vostri tavoli fuori da questa sede, non vanno in nessuna delle direzioni che potrebbero migliorare il testo per il contenuto e, soprattutto, per il metodo scelto ed i toni concilianti cui vi siete ispirati nelle dichiarazioni rese alla stampa ed alla televisione rischiano di essere pura demagogia. Infatti, se fosse vero, avreste scelto un'altra strada e credo che questo aspetto vada ancora sottolineato, tanto più al ministro Calderoli che è il guardiano della linea leghista e che, per primo, ragiona e lavora per la sua parte, non per gli interessi dei cittadini e di questo paese.
Forma di Governo, quella del premier, e Senato federale sono strettamente connessi e sta qui lo scambio consumato tra i rispettivi fautori dell'uno e dell'altro argomento. Alleanza nazionale e Forza Italia tengono al premierato e la Lega nord tiene al Senato federale. Per stare insieme non si guarda dove si arriva e dove si porta tutta la Costituzione. Si guarda esclusivamente all'aspetto cui si tiene di più, senza porsi il problema di come si compone tutto, di come si corrisponde agli interessi del paese; e trovo che sia molto significativo che si faccia in modo che la Corte costituzionale ed il Consiglio superiore della magistratura siano reciprocamente e rispettivamente eletti dal Senato federale. Verranno meno le funzioni di garanzia e si rafforzerà il progetto leghista.
Vorrei cogliere l'occasione per dire che quella forza politica è una minoranza in termini percentuali, culturali, per fortuna vi è da dire, e geografici. Una minoranza provinciale nel suo sentire politico e sociale che, al solo pensiero di vedere approvata la devolution, nelle forme riguardanti scuola, sanità e polizia locale, produce i brividi.
Infatti, attraverso quelle tre materie, è evidente che ci si intende impossessare sul piano locale di un potere politico e culturale in settori ricchi, dove solo lo Stato nella sua visione generale può garantire più autonomia e più libertà ad ognuno di noi.
Come insegnante, aborrisco l'idea che ci sia qualcuno che voglia insegnare il dialetto e i costumi locali nell'era di Internet e dell'inglese, nell'era in cui serve essere aperti al mondo, alle culture, agli scambi, alla mobilità. Aborrisco dal pensare che si possa credere che questo sia il futuro e mi viene in mente una frase, quella che diceva «Una risata vi seppellirà».
Tale cultura, tali scelte legislative ledono a breve - e tanto più a lungo termine - l'unità nazionale e, comunque, aumentano il contenzioso tra Stato e regioni. Colleghi della maggioranza, vi lascia indifferenti che si riportano in capo allo Stato le grandi reti e l'energia e si attribuisce alla suddivisione locale e regionale, quindi ad una visione delimitata e ristretta, la formazione derivante dalla scuola e il senso di appartenenza ad una nazione?
Venti regioni, venti sistemi scolastici e sanitari, venti dialetti, venti modalità organizzative; un po' di serietà, un po' di concretezza e un po' più di verità! Più sistemi, più costi e chi sostiene che il federalismo non ha costi sa di affermare cose non vere. I più importanti istituti di ricerca e, in primo luogo, il ministro dell'economia e delle finanze hanno fornito i dati, i vostri dati, che indicano che il federalismo ha un costo e, primo fra tutti, il costo di sistemi diversi di fronte a cittadini che si spostano, cambiano casa, lavoro, attività, in una mobilità che è il tratto del vivere odierno.
Voi non correggete i famigerati articoli 117 e 118 della Costituzione, che dovrebbero essere corretti, perché su ciò esiste una ragione. Infatti, è vero che il centrosinistra ha compiuto alcuni errori!
Voi vi appropriate di settori interessanti, quali la scuola e la sanità, perché lì si deve lavorare, in termini di potere, risorse e cultura, nei prossimi anni. Il disegno leghista è chiaro e non vi è alcuna benevolenza sussidiaria o di altro genere. Diciamo le cose come stanno!
Quanto alla forma di Governo e di Stato, essa si concentra nelle mani del primo ministro, mentre il Governo e il Parlamento restano senza garanzie. Siamo stati seri, abbiamo presentato pochi emendamenti, a dimostrazione del modo con cui il centrosinistra ha lavorato.
I nostri emendamenti si basano sulla volontà, ripetutamente manifestata dai cittadini, di esprimersi con il loro voto sulla scelta della maggioranza e del futuro primo ministro, consentendo in corso di legislatura solo cambiamenti di premier, ma non della maggioranza iniziale, che dovrebbe restare comunque autosufficiente. Si tratta quindi di un Governo del premier con la sua maggioranza.
Tale volontà, quella dei cittadini, va tuttavia bilanciata con l'intento di non trasformare le elezioni in una delega totale ad un leader. Una delega che nella riforma giunge fino alla perdita di un efficace ruolo del Capo dello Stato per il corretto funzionamento del sistema istituzionale.
Con le nostre proposte emendative proponiamo, inoltre, la realizzazione di un nuovo sistema di garanzie, prevedendo un'aerea di decisioni sottratte alla disponibilità della sola maggioranza.
Piero Calamandrei, in una memorabile lezione agli studenti, ci invitava ad andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione: «Andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani con il pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione». Cosa diremo ai giovani quando indicheremo dove andare a cercare la Costituzione che volete così modificare? Non voglio nemmeno pensarci (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!
TEODORO BUONTEMPO. Chiedo di parlare....
PRESIDENTE. Onorevole Buontempo, prima di darle la parola, vorrei ricordare che, come sapete, per questa mattina era prevista la presentazione di una serie di emendamenti da parte dei partiti della maggioranza - il primo firmatario è l'onorevole Elio Vito - che, effettivamente, sono stati depositati nei tempi previsti, ovvero entro le 10,30. Copia dei testi degli emendamenti presentati sarà trasmessa ai gruppi, con la riserva, ai fini della predisposizione del fascicolo, di una loro possibile riformulazione sulla base dei consueti criteri di redazione degli emendamenti (si tratta di un aspetto tecnico, non certo politico, che riguarda soltanto la Presidenza); altrimenti, gli emendamenti potrebbero essere posti in distribuzione soltanto tra due ore, mentre mi rendo conto che il problema politico richiede, al contrario, che siano immediatamente disponibili.
Provvederò quindi a farli distribuire immediatamente; entro due ore, gli uffici saranno in condizione di ordinarli secondo i consueti criteri.
Prima di dare la parola agli onorevoli Violante e Castagnetti, che mi hanno preannunziato la richiesta di intervenire su tale questione, ritengo di poter consentire l'intervento dell'onorevole Buontempo, che ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori. Ne ha pertanto facoltà.
TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, come ho già fatto ieri, vorrei sollevare il problema relativo ai tempi assai ristretti che intercorrono tra la presentazione degli emendamenti ed il momento della presentazione di eventuali subemendamenti. Considerato che i deputati non hanno ancora a disposizione il testo degli emendamenti presentati dal Governo o dalla maggioranza, se ci si attenesse strettamente al regolamento non saremmo in grado di presentare subemendamenti.
Le chiedo, quindi, signor Presidente, di chiarire fin d'ora l'iter delle procedure che saranno seguite e, in particolare, quale sarà il termine per la presentazione dei subemendamenti. Faccio anche notare che ancora non sappiamo se gli emendamenti presentati siano correttivi, rispetto a parti meno importanti del testo, oppure sostitutivi, relativamente ad aspetti determinanti nella modifica della Costituzione. Anche sotto questo punto di vista, la Presidenza dovrebbe valutare attentamente la questione dei tempi, in particolare nel caso si trattasse di emendamenti volti a modificare sostanzialmente il testo licenziato dalla Commissione affari costituzionali.
In conclusione, vorremmo che la Presidenza, quando lo ritiene più opportuno, ci mettesse a conoscenza dei criteri che presiederanno alla definizione del termine per la presentazione dei subemendamenti, con l'invito a non attenersi scrupolosamente al regolamento, perché questa circostanza impedirebbe l'ottimale esercizio delle nostre funzioni.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Buontempo, ritengo che le sue considerazioni siano pertinenti. Prima di risponderle, vorrei però acquisire le osservazioni degli onorevoli Violante e Castagnetti.
Ricordo, infatti, che aveva chiesto di parlare l'onorevole Napolitano.... Chiedo scusa, mi riferivo all'onorevole Violante. Evidentemente c'è ancora qualche riflesso estivo...
Ha facoltà di parlare, onorevole Violante.
LUCIANO VIOLANTE. Signor Presidente, non si preoccupi, sono contento; non so invece se lo sia l'onorevole Napolitano...
Volevo far notare che siamo alla vigilia dell'inizio dell'esame di emendamenti che ci faranno entrare nel cuore del processo costituente. Ho sfogliato rapidamente, nei pochi secondi avuti finora a disposizione, i testi presentati e credo che siamo arrivati alla decima bozza. Si tratta quindi di un altro testo, da analizzare certamente con attenzione, e, a quanto posso capire, sono state introdotte modifiche sostanziali.
Era stata stabilita una certa organizzazione temporale dei nostri lavori, sulla base del testo licenziato dalla I Commissione. Questo, però, è un altro testo.
Dunque le chiedo, collocandomi sulla stessa lunghezza d'onda dell'onorevole Buontempo, di valutare in primo luogo le modalità di organizzazione dei lavori nei prossimi giorni. È infatti evidente che l'ordine di collocazione degli emendamenti riferiti agli articoli non può essere l'ordine di esame del testo: ad esempio, possiamo stabilire la composizione e le modalità di funzionamento del Senato solo dopo avere stabilito la ripartizione delle materie. Se non sappiamo se il Senato approva o non approva, se ha o non ha il voto definitivo e in quali materie, è difficile stabilirne la struttura.
Vi è dunque una serie di questioni che vanno affrontate con grande chiarezza, tenendo presente che ci troviamo in Assemblea di fronte ad un processo che presenta tali caratteristiche. D'altra parte, signor Presidente, ho visto che il Presidente del Consiglio l'ha rassicurata sulle funzioni e sulle prerogative della Camera. Ho già avuto occasione di accennare che il problema di fondo è costituito dal funzionamento dello Stato centrale e dal rapporto Camera-Senato. Ci dirà successivamente se tale garanzia sia stata assicurata.
In ogni caso, signor Presidente, proprio in considerazione della delicatezza e dell'importanza del tema, le chiedo di riesaminare, in primo luogo, i tempi complessivi e, inoltre, il momento di inizio dell'esame degli emendamenti, tenendo conto che ritengo abbastanza difficile - concordo al riguardo con il collega che mi ha preceduto - iniziare domani pomeriggio l'esame dall'articolo 1: credo infatti che occorra iniziare dalla definizione della ripartizione delle materie di competenza, con tutte le difficoltà che tale tema comporta.
Ritengo pertanto, anche al fine di assicurare l'ordinato andamento dei lavori, che sarebbe utile trovare tutto il tempo per riflettere attentamente e presentare i subemendamenti in modo serio (e non come è stato fatto finora) sulle nuove proposte formulate dal Governo e dalla maggioranza.
La prego, pertanto, di valutare questi aspetti. I tempi sono stati decisi dalla Conferenza dei presidenti di gruppo, che il Presidente può, nella sua discrezionalità, convocare: la prego di valutare anche tale ipotesi. Ciò che è importante è che tutti siano messi in grado di disporre di tempi utili per esaminare attentamente il testo e per lavorare seriamente su una riforma che riguarda l'impianto complessivo del nostro ordinamento costituzionale.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Castagnetti. Ne ha facoltà.
PIERLUIGI CASTAGNETTI. Signor Presidente, intendo porre sostanzialmente la stessa questione posta dagli onorevoli Buontempo e Violante. Ritengo che la rilevanza delle innovazioni che modificano sicuramente il testo licenziato dalla Commissione imporrebbe la necessità di reinvestire la Commissione stessa. Quest'ultima, infatti, ha licenziato un testo diverso e le stesse Commissioni in sede consultiva hanno espresso il parere su un testo diverso.
Le chiedo, in primo luogo, se non ritenga che la I Commissione debba essere reinvestita dell'esame degli emendamenti e, in subordine, mi associo alla richiesta dei colleghi che mi hanno preceduto di poter disporre di un tempo congruo affinché l'esame da parte dei gruppi sia adeguato. Si tratta infatti di una proposta di revisione costituzionale e non di una legge ordinaria, e non è neppure il caso che lo ricordi a lei e ai colleghi: la delicatezza della materia è tale da richiedere un esame approfondito.
Ciò soprattutto in relazione al fatto che abbiamo manifestato nei nostri interventi la disponibilità ad un dialogo costruttivo; affinché il dialogo sia effettivamente tale e non vi siano posizioni pregiudiziali, occorre avere la possibilità di svolgere un esame serio e approfondito.
MARCO BOATO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, mi richiamo nella sostanza e nella forma, agli interventi dei colleghi Violante e Castagnetti. In particolare, condividendo la riflessione del presidente Violante e proseguendo quella svolta dall'onorevole Castagnetti, intendo richiamare in modo esplicito un problema in ordine alla cui esposizione ho un'unica cautela, vale a dire che non si pensi che si voglia non procedere nei lavori, non affrontare le questioni nel merito e - come si suol dire - perdere tempo. Chiamo a testimoni il presidente e i membri della I Commissione nonché i rappresentanti del Governo: non vi è stato in questa vicenda neppure un solo nostro intervento che abbia avuto carattere non dico ostruzionistico, ma anche soltanto vagamente dilatorio o volto all'allungamento temporale del dibattito.
Espressa questa preoccupazione, al fine di non far male interpretare il mio intervento debbo dire che la logica vorrebbe - proprio perché vi è stata la presentazione di un consistente (non solo dal punto di vista numerico, ma anche dal punto di vista del merito) pacchetto di emendamenti predisposti dalla Casa delle libertà e di un ancor più consistente pacchetto di emendamenti predisposto tempestivamente dai gruppi del centrosinistra e dell'opposizione -, signor Presidente - anche se non è lei che deve decidere in merito, ma l'Assemblea, poiché stiamo parlando di un aspetto procedurale -, che fosse previsto un breve riesame (ad esempio, per una settimana) del provvedimento in Commissione. Ciò, per fare in modo che in sede referente le questioni poste dall'onorevole Violante (se prendere in considerazione un articolo prima di un altro o se usare una logica più duttile durante l'esame del provvedimento) possano essere analizzate più facilmente; in aula, infatti, tutto questo è sì possibile ma comporta maggiori difficoltà. In Commissione, in sede referente, si può invece lavorare con più tranquillità perché il suo presidente - che allo stesso tempo è anche relatore del provvedimento in esame - ha il potere di regolare l'andamento dei lavori con quell'informalità che quella sede permette.
Ho parlato di cautela. A mio avviso, proporre formalmente un riesame del provvedimento in Commissione - ciò che, in qualche modo, ha prospettato anche l'onorevole Castagnetti - per molti potrebbe voler dire che vi è l'intenzione da parte di qualcuno del centrosinistra di dilazionare, depistare. Credo che tutto il lavoro svolto assieme in Commissione, purtroppo in maniera improduttiva - anche se riconosco che, fortunatamente, ad oggi stiamo affrontando una diversa fase - testimoni che mai abbiamo dilazionato i tempi. Se la mia proposta dovesse risultare una forzatura da bocciare per alzata di mano, non mi permetterei neanche di avanzarla, ma se potessimo immaginare, a partire dalle preoccupazioni che sono state esposte, un largo consenso sulla possibilità di attuare questa nuova e breve fase istruttoria in Commissione, la formalizzerei.
Non so se questo sia il momento giusto dal punto di vista procedurale, però sarei dell'avviso - lo ripeto - di formalizzare, stabilendone i termini, la richiesta di un brevissimo rinvio in Commissione, per poi riprendere la prossima settimana - mercoledì o giovedì - l'esame in aula del provvedimento. In Commissione - lo ripeto - vi è quell'informalità - possibile in sede referente - che la rigidità delle procedure previste in Assemblea non consente, ma rende più difficile. Ho voluto dire questo con garbo, con cautela e con rispetto, facendo intendere a tutti in modo molto chiaro che nelle mie parole non vi è alcun intento dilatorio. Stiamo parlando però della modifica di 43 articoli della parte II della Costituzione e quindi, possibilmente, dobbiamo trovare assieme il metodo più efficace, almeno per quanto riguarda la procedura, per proseguire.
PRESIDENTE. Innanzitutto vorrei ringraziare gli onorevoli Buontempo, Violante, Castagnetti e Boato per il garbo con cui hanno formulato le loro considerazioni.
A questo punto, proprio per non sottovalutare le problematiche, che considero pertinenti, prospettate dai colleghi in relazione alla presentazione degli emendamenti - i quali, come mi segnalano gli uffici, sono corposi anche in termini politici -, riterrei opportuna una breve sospensione di circa venti minuti, o, meglio, di mezz'ora, che mi consentirebbe di convocare il presidente della I Commissione, onorevole Bruno, ed il ministro Calderoli, al fine di comprendere quale sia il modo migliore per proseguire nell'esame del provvedimento. Ciò tenendo presente la disponibilità dell'opposizione ad un lavoro utile - che, tra l'altro, come ha ricordato l'onorevole Boato, si è potuta verificare in queste settimane - e cercando, nello stesso tempo, di dare risposte alle preoccupazioni espresse.
L'onorevole Violante - me lo consenta - ha poi ricordato che dai titoli di alcuni giornali di oggi risulta che il Presidente del Consiglio mi ha rassicurato in ordine al ruolo delle Camere. In effetti ho avuto una conversazione molto cordiale con il Presidente del Consiglio della quale lo ringrazio.
Debbo dire che non sono, né oggi né domani, il «sindacalista» della Camera dei deputati. Mi preoccupa, questo sì, il funzionamento e l'organicità del processo legislativo, che oggi, con il bicameralismo, è regolato in termini chiari.
Se si decide di superare l'attuale forma di bicameralismo, ciò non deve avvenire a scapito della funzionalità, dell'organicità e della chiarezza del procedimento legislativo, altrimenti finiremmo per passare - se mi consentite una battuta, forse poco istituzionale - dalla padella alla brace. Infatti, per semplificare e rendere più rapido il procedimento legislativo e dare risposte in termini di chiarezza, finiremmo per raggiungere un risultato opposto. Credo che di ciò siano consapevoli tutti i colleghi.
Sospendo la seduta.
La seduta, sospesa alle 11,15, è ripresa alle 12,25.
PRESIDENTE. Comunico che, a seguito dell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, si è convenuto che entro venerdì 17, alle ore 12, saranno presentati dai gruppi i subemendamenti agli emendamenti della maggioranza, con l'impegno dell'opposizione di presentare il complesso dei subemendamenti entro tale termine in modo da fornire un quadro complessivo delle proprie proposte alternative all'intera riforma. Naturalmente, resta salvo, come da regolamento, il diritto dei parlamentari di presentare subemendamenti nei termini e nei tempi previsti.
Successivamente - siamo a venerdì 17, alle ore 12 -, il presidente della I Commissione, onorevole Bruno, che vorrei ringraziare, convocherà il Comitato dei nove per l'esame degli emendamenti, salva la facoltà, che egli ha sempre, di convocare per tale esame la Commissione plenaria, ai sensi dell'articolo 86, comma 3, del regolamento.
Per quanto riguarda l'ordine di esame degli articoli - altra questione sollevata dall'opposizione - giovedì 16, dopo la trattazione delle questioni pregiudiziali, si inizierà l'esame del provvedimento con la discussione ed il voto del solo articolo 1.
Successivamente, martedì 21, con inizio alle ore 10,30, si procederà all'esame delle modifiche all'articolo 114 della Costituzione (articoli 32 e seguenti del testo), estrapolando le modifiche all'articolo 119 della Costituzione, per concludere la parte relativa al Titolo V, riprendendo quindi l'esame dall'articolo 2 e seguenti.
In questo modo, credo siano state accettate le richieste formulate dai colleghi dell'opposizione.
È iscritto a parlare l'onorevole Ercole. Ne ha facoltà.
CESARE ERCOLE. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, la riforma costituzionale oggi in discussione rappresenta indubbiamente l'atto maggiormente studiato, discusso, emendato e contestato dell'attuale legislatura. Come tutte le riforme destinate ad avere un impatto rivoluzionario sull'attuale sistema istituzionale e costituzionale, anche quella in esame, infatti, ha incontrato sul suo cammino forme di opposizione radicali, provenienti da quelle fasce rappresentative contrarie al concetto stesso di cambiamento prima ancora che ai suoi contenuti specifici.
Tutti, almeno a parole, si manifestano favorevoli ad accentuare i poteri delle autonomie. Finché non è esploso il fenomeno Lega, quella del federalismo era un'esigenza che pochi portavano avanti, anzi nessuno. Anche nell'ambito della già avviata riflessione sulle riforme istituzionali, il federalismo appariva una problematica marginale, come dimostrano gli stessi lavori della Commissione Bozzi del 1984.
Quindi, al di là delle ricorrenti polemiche che hanno accompagnato l'iter parlamentare di questo disegno di legge costituzionale, mi sembra, tuttavia, che la riforma in esame, pur se animata, alle sue radici, da un desiderio di radicale cambiamento, rappresenti il naturale completamento di quel processo di trasformazione incrementale del nostro ordinamento statuale verso un assetto a carattere più spiccatamente federale che, a partire dagli anni Novanta, ha animato le vicende del nostro paese. Vale richiamare, a tale proposito, l'ultima riforma costituzionale del 2001, che, nel dare un fondamento costituzionale a questo percorso di ridefinizione delle competenze tra il centro e la periferia, ha tuttavia lasciato incongruenze e lacune che è nostro intendimento risolvere e colmare.
Mi domando, ad esempio, come la vecchia riforma avesse potuto procedere ad una revisione del riparto di competenze in senso più spiccatamente regionale senza contestualmente incidere sull'aspetto bicamerale del nostro Parlamento o sulla composizione della nostra Corte costituzionale, garantendo adeguata rappresentanza a favore delle autonomie territoriali.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO MUSSI (ore 12,35)
CESARE ERCOLE. Il dato di fatto è che per costruire il federalismo non basta incidere su questo o su quell'aspetto dell'ordinamento, ma bisogna procedere ad una riforma organica quale quella in esame che, pezzo per pezzo, va ad incidere su tutti i diversi tasselli che contribuiscono a determinare la forma di Stato e la forma di governo. Sotto questo profilo la nostra riforma è rivoluzionaria nel suo desiderio di cambiamento, ma è altresì una riforma che guarda con occhio consapevole all'esistente e che, valutate attentamente le potenzialità di sviluppo dell'ordinamento, cerca di eliminare alcune anomalie dell'attuale sistema. È nostra convinzione - e lo ha ribadito anche il ministro Calderoli - che il principale protagonista delle riforme debba essere il Parlamento con le forze politiche in esso presenti. Al tempo stesso, sentiamo il dovere di sottolineare che il Governo e la maggioranza possono e devono avere un ruolo fondamentale di impulso.
Fatta questa premessa di carattere generale, vorrei soffermarmi più dettagliatamente sugli aspetti della riforma che riguardano il settore sanitario, che ritengo essere un ambito cruciale di riferimento per analizzare le diverse tensioni e i diversi principi sottesi alla trasformazione in senso federale del nostro ordinamento statuale. Il riferimento necessario riguarda l'articolo 34, comma 2, del testo in discussione, che elimina la potestà concorrente in materia di tutela della salute, attribuendo allo Stato competenza esclusiva sulle norme generali in materia di tutela della salute e alle regioni competenza esclusiva in materia di assistenza e organizzazione sanitaria. Tale riparto - è necessario specificarlo fin dall'inizio - non incide affatto sulla competenza esclusiva statale, attualmente presente nel testo costituzionale, sulla determinazione dei livelli essenziali di assistenza. Perché, ci si potrebbe domandare, è opportuno spostare nella potestà esclusiva regionale alcuni ambiti di materia attualmente inclusi nella potestà concorrente? Una prima, possibile risposta a tale interrogativo è quella che fa riferimento agli obiettivi di effettiva devoluzione di poteri dal centro alla periferia in un settore che, pur essendo a forte tradizione di decentramento, ha sempre assistito, anche in tempi recenti, ad un massiccio intervento dello Stato in chiave fortemente limitativa delle legittime attribuzioni regionali. Tra gli strumenti tradizionali cui lo Stato ha fatto ricorso per limitare l'autonomia regionale va infatti citato in primo luogo la competenza statale sulla definizione dei principi fondamentali relativi alla potestà concorrente sulla tutela della salute, che ancora oggi sembra legittimare palesi deviazioni in senso centralistico rispetto al riparto di competenze delineato nella Costituzione.
Eliminare la potestà concorrente significa, in questa prospettiva, contribuire a semplificare il riparto di competenze limitando effettivamente l'intervento statale a quegli aspetti non passibili di differenziazione in sistema di welfare State. Nel merito, la differenziazione dei modelli organizzativi è funzionale a garantire quell'efficacia e quell'efficienza nella gestione del servizio che l'attuale sistema, nonostante i passi già compiuti nella direzione del decentramento, non è ancora riuscito a garantire. Attribuire alle regioni il compito di scegliere le strategie organizzative e gestionali ritenute più congrue al territorio di riferimento rappresenta peraltro un necessario corollario di quel principio di responsabilità delle stesse autonomie regionali sulla gestione delle risorse che si è affermato a livello di legislazione ordinaria prima ancora che costituzionale.
Vorrei sottolineare al riguardo che tale principio della responsabilità delle regioni sulla tenuta dei saldi è, in larga misura, implicito in quel sistema di federalismo fiscale che l'attuale opposizione ha perseguito nella passata legislatura con il decreto legislativo n. 56 del 2000. Ovviamente, il limite implicito a quel modello di federalismo fiscale era la mancata corrispondenza della maggiore autonomia riconosciuta alle regioni nel finanziamento del sistema con un'adeguata attribuzione di competenze legislative per la regolazione del servizio. Si pensi, ad esempio, al settore farmaceutico, dove l'affermazione del principio per cui spetta alle regioni coprire eventuali sfondamenti rispetto al tetto di spesa programmato ha subito nell'ultimo periodo un processo di revisione in senso centralistico per cui sono stati reintrodotti meccanismi di copertura a livello nazionale del disavanzo accertato.
Mi sembra oggettivamente che tali ritorni all'indietro rispetto al modello federale possano trovare una estrema giustificazione solo in virtù del mancato completamento del processo di attribuzione di competenze alle regioni, dato lo stretto legame sussistente tra il decentramento di funzioni e il decentramento delle risorse. Sicché si può concludere che l'attuale devoluzione di competenze è in ultima istanza funzionale anche all'attuazione del nuovo articolo 119 della Costituzione, in quanto sarebbe essenzialmente scorretto ed ipocrita pretendere dalle regioni la tenuta finanziaria di un sistema, sulla cui gestione e sulla cui organizzazione le medesime non hanno potere di intervento. Né vale a tal proposito, come è stato fatto sia nel dibattito in sede referente sia nelle audizioni, lamentare una possibile incidenza dei modelli organizzativi sulla garanzia dei principi solidaristici ed equitativi sottesi al diritto alla salute, come configurato nell'articolo 32 della nostra Costituzione. Anche se non è possibile negare a priori che l'organizzazione del servizio incida sugli aspetti assistenziali del medesimo, mi sembra tuttavia che la clausola di salvaguardia, per cui i livelli essenziali di assistenza e le norme generali della tutela della salute sono affidati allo Stato, valgano ad eliminare possibili timori circa il passaggio ad un sistema non solidaristico di assistenza. Sotto questo profilo può forse valere ricordare che, secondo parte della dottrina, l'attribuzione di una competenza esclusiva statale in materia di livelli essenziali di assistenza è in qualche modo superflua, perché è implicito nell'assetto costituzionale che spetti allo Stato garantire con interventi positivi quei diritti fondamentali sanciti nella prima parte della Costituzione. A conferma di questo orientamento, vorrei sottolineare che l'individuazione all'interno del Servizio sanitario nazionale dei cosiddetti livelli essenziali di assistenza, coincidenti con quelle prestazioni e quegli standard di assistenza assolutamente irrinunciabili, era già contenuto nella legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale, la legge n. 833 del 23 dicembre 1978, sicché non mi sembra che oggettivamente ci siano le basi per far coincidere il passaggio da un sistema federale con uno smantellamento del Servizio sanitario come servizio pubblico.
In conclusione, il modello di federalismo che promuoviamo attraverso questa riforma è un modello che non incide sulla garanzia dei servizi essenziali del nostro Stato sociale, tra cui quello sanitario; piuttosto, gli obiettivi che perseguiamo sono quelli dell'efficienza, dell'autonomia, del rispetto delle specificità locali e del rapporto diretto tra amministratori ed amministrati, nella convinzione che, spostando i centri decisionali verso i cittadini, si riescano a raggiungere ulteriori garanzie di tutela dei diritti fondamentali e migliori performance di intervento (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Leoni. Ne ha facoltà.
CARLO LEONI. Signor Presidente, colleghi, quando a luglio i gruppi di opposizione abbandonarono i lavori della I Commissione prima che si esaurisse l'esame del testo di riforma costituzionale, la maggioranza criticò questa scelta come propagandistica e immotivata. Quanto poi è accaduto nel corso dell'estate e in questi stessi giorni dimostra invece che avevamo non una ma cento ragioni. Ce ne andammo infatti perché la maggioranza con i suoi voti, respingendo tutti gli emendamenti dell'opposizione, approvava un testo, ma contemporaneamente annunciava per settembre cambiamenti a quello stesso testo, senza passare per un nuovo esame in Commissione. Cambiamenti annunciati non per restituire razionalità ad un disegno confuso e grave, ma per ricompattare una maggioranza divisa. Difendevamo cioè le prerogative degli organi parlamentari di fronte ad una maggioranza che pretendeva, senza ascoltare ragioni, di fare e disfare a proprio piacimento attraverso vertici extraparlamentari una modifica di oltre 40 articoli della Costituzione.
Ora voi fate appello al confronto costruttivo, ma giungono direttamente in Assemblea ben 38 - se ho fatto bene il conto - vostre proposte emendative, almeno per ora. Si tratta di emendamenti esaminati non dalla Commissione competente, ma da vari tavoli, tecnici e politici, della maggioranza: non è questo il modo con il quale si modifica una parte così consistente della nostra Costituzione.
Il centrosinistra, nella precedente legislatura, seguì un percorso del tutto opposto. La prima preoccupazione, infatti, fu quella di lavorare insieme, maggioranza e opposizione, fornendo la sede - una Commissione bicamerale - per tale lavoro comune; la proposta avanzata ieri dall'onorevole Luciano Violante muove dalla stessa preoccupazione. Ma, alla fine del percorso, la destra decise di sottrarsi a questa comune assunzione di responsabilità e lo stesso accade, successivamente, per la riforma del Titolo V della Costituzione: così andarono le cose.
Ora ci troviamo, riproposte da voi, talune proposte emendative presentate dall'opposizione - ovviamente, quelle di peso minore -, che a luglio, in Commissione affari costituzionali, avevate respinto, e a volte con argomenti sprezzanti. Vorrei ribadire che non è così che si cambia la Costituzione: secondo voi, si può fare tutto ed il contrario di tutto, ma l'importante è che lo decida la maggioranza e solo la maggioranza.
Discuteremo in seguito sul complesso delle proposte emendative, e successivamente su ciascuna di esse, ma per ora mi limito a ribadire quanto è stato già affermato dagli altri colleghi dell'opposizione. Le modifiche da voi proposte non sono indubbiamente poche, ma sono, nella maggior parte dei casi, poca cosa; non vanno ad incidere, cioè, sull'impianto della proposta, che era e resta sbagliata. Ad essa ci opponiamo nel Parlamento e nel paese fino, se sarà necessario, al referendum.
Ma nessuno provi a deformare la nostra posizione fino a presentarla come conservatrice. Noi contrastiamo le vostre proposte, ma non contrastiamo affatto la necessità di varare riforme importanti della parte II della Costituzione; al contrario, quando eravamo maggioranza, nella scorsa legislatura, ci abbiamo provato senza risparmio, e forse abbiamo pagato anche un prezzo elettorale per tale scelta.
È la nostra natura di forza progressista e di sinistra a farci desiderare istituzioni politiche rinnovate, capaci di indirizzare verso traguardi di equità e di giustizia i processi economici e sociali. La sinistra nasce e vive per rappresentare i ceti sociali più svantaggiati e per affermarne i diritti e le aspirazioni. Affinché ciò sia possibile, non ci si può affidare alla «mano invisibile» del mercato e ai suoi «spiriti animali». Serve la politica per rimuovere diseguaglianze e per affermare, nel concreto, valori di libertà e di promozione sociale: non può farlo il mercato lasciato a se stesso e alla sua spontaneità.
Per questo motivo, non ci piace affatto assistere inerti alla crisi delle istituzioni, vale a dire all'impasse di un Parlamento piegato da decreti-legge e leggi delega, che impiega mesi - se non anni -, per approvare una legge di iniziativa parlamentare per colpa delle «staffette» tra Camera e Senato; non ci piace assistere inerti a regioni, comuni e province che disputano tra loro sulle competenze, mentre i cittadini attendono risposte concrete, nonché a governi instabili e deboli, e dunque sottoposti ai ricatti e alle pressioni lobbistiche dei poteri forti. No: questa situazione non ci piace, e vogliamo cambiare le istituzioni, affinché siano in grado di guidare i processi economici e sociali.
Si tratta della stessa ragione per la quale pensiamo che solo la riforma dell'ONU possa contrastare questo nuovo disordine mondiale, nel quale prosperano le guerre e il terrorismo e vogliamo una vera unione politica dell'Europa, con un vero Governo e un vero Parlamento.
Noi, la sinistra e il centrosinistra, le riforme costituzionali le vogliamo davvero, e non intendiamo regalare a nessuno un patrimonio di cultura e di esperienza - quella sì, davvero federalista e solidale - che innerva la storia della sinistra italiana, che tanti difetti avrà avuto, ma non quello del centralismo statale. Fu la sinistra, infatti, a battersi per l'attuazione delle regioni, che altri ritardarono fino al 1970, ed a promuovere l'idea di una Repubblica delle autonomie, valorizzando le migliori esperienze amministrative dei comuni e delle province italiane. Si è trattato, per l'appunto, di esperienze di partecipazione, di autogoverno e di welfare davvero diffuso nel territorio, e non sarà certo la «bandierina» della devolution a oscurare questa storia e questo patrimonio, diventato patrimonio di tutto il paese.
Le riforme servono, dunque, ma di quali riforme si tratta? Di che cosa c'è effettivamente bisogno?
Da dieci anni l'Italia sta sperimentando un sistema politico bipolare e maggioritario, sia per le istituzioni locali, sia per quelle nazionali. Le nuove leggi elettorali, anche il tanto criticato «Mattarellum», hanno, tutto sommato, risposto alle aspettative fondamentali di dieci anni fa: potere dei cittadini di scegliere da chi essere governati, stabilità delle maggioranze, regime di alternanza tra coalizioni politiche diverse.
Da tale frontiera, a nostro avviso, non si deve tornare indietro. I cittadini italiani non lo permetterebbero. Per questo, resto contrario al ritorno al proporzionale e, ancora di più, a prevedere tale possibilità nel testo della Costituzione. Bisogna, quindi, andare avanti e completare questo processo politico. Cosa manca, a questo punto? È questa la domanda alla quale bisogna rispondere.
Siete davvero convinti, colleghi della maggioranza, che quello che manca alle istituzioni italiane siano i poteri del primo ministro? Badate, non voglio parlare né di Silvio Berlusconi né, in questo frangente, del conflitto di interessi. Chi può credere che l'Italia di oggi soffre di un premier troppo debole? Il Parlamento può essere, come ho detto, inondato di decreti-legge e leggi delega, il Presidente il Consiglio può sottrarsi al confronto parlamentare, anche in violazione del regolamento, e noi dovremmo aumentare ancora i poteri del Primo ministro, fino a farne il dominus della vita parlamentare, come accadrebbe se passasse il secondo comma dell'articolo 94? Non scherziamo! Se vogliamo difendere e portare ad una più matura stabilità il bipolarismo italiano che è - ed è destinato, almeno per lungo periodo, a rimanere tale - un bipolarismo di coalizioni, dobbiamo operare due scelte, che non ritrovo nel vostro testo e nei vostri emendamenti.
La prima è quella di incarnare il soggetto del bipolarismo non in una persona, non nell'«uomo della provvidenza», chiunque esso sia (Silvio Berlusconi, Romano Prodi o altri), ma nella coalizione e nel programma di Governo. Siamo contrari all'idea che, una volta legittimato dal voto popolare, il primo ministro possa fare ciò che vuole: è un idea illiberale e primitiva. Se il perno del bipolarismo è la coalizione-programma, non possono essere consentiti i cosiddetti ribaltoni. Nel corso della legislatura non debbono determinarsi, in nessun caso, cambi di maggioranza. Per meglio attuare il programma presentato agli elettori ed alla Camera, al fine di ottenere la fiducia iniziale, quella maggioranza può decidere, ad un certo punto, di cambiare premier e Governo. Torna preziosa, in un'ipotesi di tale tipo, quella funzione di garanzia del Presidente della Repubblica che voi volete ridurre, invece, ad un ruolo meramente notarile. Quella funzione è importante anche per garantire, nel corso della legislatura, il rispetto della volontà degli elettori.
Per difendere e far maturare il bipolarismo italiano serve poi una seconda scelta, più di fondo e strategica, della quale vi sono solo pallide ed inefficaci tracce nelle vostre proposte, anche in quelle emendative. Parlo di quei contrappesi senza i quali, come sostengono tutti i costituzionalisti, il maggioritario deraglia in territorio rozzo ed autoritario. Lo dicono anche le esperienze concrete delle più antiche e migliori democrazie in Europa e nel mondo. Lo dicono quintali di volumi di un paio di secoli di pensiero liberale. Quel pensiero liberale che, anche in opposizione al radicalismo democratico della rivoluzione francese, disse a tutti: «Attenzione alla dittatura delle maggioranze, tuteliamo i diritti delle persone e delle minoranze». Che ne è di questa nobile tradizione, onorevoli colleghi della maggioranza? Contrappesi, checks and balances, nel sistema maggioritario, significano libertà e pluralismo dell'informazione, autonomia ed indipendenza della magistratura, delle authorities, ruolo super partes del Capo dello Stato e dei Presidenti delle Camere, decentramento di poteri verso regioni ed enti locali, prerogative e poteri forti e riconosciuti del Parlamento e delle opposizioni parlamentari. Significa anche sottrarre alla logica di maggioranza materie delicate, quali la verifica degli eletti o l'insindacabilità. È un grande disegno democratico e liberale quello di cui sto parlando. Invece, voi riducete tutto alla devolution e ad un Senato detto «federale» che, nel vostro modello, in quel pasticcio di procedura legislativa, rappresenta non un contrappeso democratico, ma un vero ostacolo all'azione del Governo e alla volontà generale del corpo elettorale. Quest'ipotesi è sbagliata, anche perché voi dimostrate di non avere il coraggio innovativo necessario a compiere quella scelta, ormai matura e attesa da tutti: la fine del bicameralismo perfetto e paritario.
L'Italia è rimasta l'unico paese al mondo con un sistema così arcaico. Mi riferisco ad una sola Camera politica e un Senato federale degno di questo aggettivo per sistema di elezione, per composizione, per partecipazione limitata e definita al processo legislativo. Non avete il coraggio di questa scelta (ho letto il vostro emendamento sull'articolo 70), non si va al superamento del bicameralismo paritario, anzi si immagina una commissione mista, addirittura con poteri legislativi in alcuni casi e, cioè, addirittura una terza Camera. E voi sareste gli innovatori?
Servono poi - di questo hanno già parlato altri colleghi dei gruppi di opposizione - alcuni limitati correttivi al Titolo V sulla ripartizione delle materie, tenendo conto dell'esperienza, innanzitutto, e delle sentenze della Corte costituzionale. Ma, prima di ogni altra cosa, serve l'avvio di quel federalismo fiscale senza il quale ciò di cui stiamo parlando si riduce a mero chiacchiericcio. Correttivi sono necessari ed è assolutamente legittimo riflettere criticamente sul modo con il quale quella riforma fu approvata, ma un fatto rimane incontestabile: mentre qualcuno giocava con le ampolle e con i gazebo, noi, il centrosinistra, in questo Parlamento il federalismo lo facevamo sul serio. Ed è da quel testo, confermato dal voto popolare, che anche voi siete costretti a ripartire, senza riuscire, peraltro, a scardinarne l'impianto, perché quell'impianto è forte e serio. Questa è la verità.
Ho già detto che con i vostri emendamenti al vostro testo cambia qualcosa, ma non cambia la sostanza di un disegno sbagliato. Non so neanche se si possa parlare di un disegno, di un progetto, magari non condivisibile, ma animato da una visione generale dei problemi da risolvere. Infatti, dal frullatore della verifica di maggioranza esce un testo che è essenzialmente la giustapposizione tra diverse esigenze identitarie. Tutto parte dalla cosiddetta devolution, bandiera propagandistica della Lega, ispirata al principio di dare più poteri alle regioni che possono permetterselo, un principio che porta inevitabilmente alla divisione e alla lacerazione del tessuto sociale del paese. Sia chiaro una volta per tutte, colleghi della maggioranza: finché resta questo macigno, la devolution, ogni appello al dialogo e alla convergenza sfiora l'ipocrisia. Infatti, sapete bene che mai e poi mai potremo condividere un progetto che rischia di spaccare l'Italia e di condannare al declino una parte importante del paese. Ma, poi, su questa quietanza padana ognuno ha voluto aggiungere la sua salsa: Forza Italia il premierato assoluto, Alleanza nazionale l'interesse nazionale, l'UDC l'apertura di una finestra per il ritorno al proporzionale, come dire «avanti tutta verso il passato»: gli innovatori! Ho visto che, poi, il ministro Calderoli ha spiegato alla maggioranza che il proporzionale serve per garantirsi la vittoria alle prossime elezioni politiche: spirito costituente!
Ne viene fuori un piatto immangiabile con alcuni nuovi ingredienti. Penso al meccanismo di difesa dell'interesse nazionale o alla cosiddetta clausola di supremazia in clamorosa contraddizione non dirò con la devolution, ma con una minima visione del decentramento dei poteri statali. Convivono, così, nel vostro progetto velleità di divisione del paese con forzature autoritarie sui poteri delle regioni.
Potete anche approvarla, questa riforma, ma noi siamo sereni, pur combattendo. Nel referendum che ci sarà voteranno per l'abrogazione di questa riforma sia coloro che temono la divisione del paese sia quanti non sopportano un'intrusione così pesante dello Stato centrale verso i poteri locali. In questo modo, farete il miracolo di mettervi contro gli uni e contro gli altri. Non è una contraddizione: gli italiani vogliono un vero federalismo, ma lo vogliono solidale e unitario e vorrebbero che la capitale del paese non fosse ridotta ad un capoluogo di regione, come è nelle vostre proposte.
Ecco, colleghi, queste sono le ragioni di merito per le quali non è immaginabile una convergenza dell'opposizione verso il progetto della maggioranza. Ma non staremo sull'Aventino, combatteremo e discuteremo emendamento per emendamento, articolo per articolo. Giudichiamo questo testo, soprattutto in alcune sue parti, talmente pericoloso da perseguire, come faremo, ogni spiraglio di riduzione del danno, e lo faremo per il bene della democrazia italiana. Ma il nostro giudizio sul vostro progetto rimane profondamente negativo e continueremo a batterci nel Parlamento e nel paese per quelle riforme di cui l'Italia ha davvero bisogno, per dare al nostro paese istituzioni più aperte, più partecipate, più efficaci e, soprattutto, più vicine ai cittadini (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mattarella. Ne ha facoltà.
SERGIO MATTARELLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è una singolare discussione quella che sino ad ora si è svolta e continua a svolgersi, in assenza di testi sui quali effettivamente confrontarsi e, a partire da domani, votare.
Senza la proposta del Governo e della maggioranza presentata oggi, e non ancora distribuita in aula - formalmente quindi non esistono ancora questi emendamenti - quel che sappiamo è che gli articoli della riforma che si intende approvare sono passati da 43 a 52.
Ma oggi vengono presentati numerosi emendamenti, al quarto giorno di discussione sulle linee generali della riforma della Costituzione. Si tratta di una condizione emblematica dell'andamento della vicenda, di una vicenda confusa condotta fra i partiti della maggioranza come si fa fra portatori di interessi contrapposti, talvolta incompatibili e inconciliabili, e comunque portatori di interessi diversi, da comporre in qualche maniera, tra accuse vicendevoli di tranelli e minacce di crisi di governo.
Di conseguenza ne è derivato un prodotto scadente come struttura e come formulazione, senza coerenza complessiva, con molte, troppe contraddizioni.
Non vi è alcuna ragione per cambiare opinione in base agli emendamenti appena presentati, dopo averne dato una rapida lettura, pur sapendo che questi emendamenti non sono nella loro forma definitiva.
L'impianto di fondo del testo produce un risultato, lo si può dire con serenità, ovvero l'impraticabilità di molte delle sue norme e l'inefficienza, se non la paralisi, del sistema di governo che viene disegnato.
In questi giorni, si è parlato con sospetta insistenza di apertura al contributo delle opposizioni e di dialogo da parte della maggioranza del Governo. Ieri sera, nel corso del TG1, con un'enfasi straordinaria un giornalista ha parlato di prova di responsabilità e di dialogo da parte della maggioranza.
In realtà, in questi giorni, e ne abbiamo avuto prova oggi, l'atteggiamento del Governo e della maggioranza è stato il seguente: voi discutete tutti tranquillamente, noi, dopo, Governo e maggioranza, vi facciamo sapere su cosa si dovrà votare!
Non vi ha sfiorato, colleghi della maggioranza e Governo, l'idea di sospendere questa discussione per qualche giorno e di svolgerla per intero dopo la presentazione delle modifiche che il Governo e la maggioranza propongono. Modifiche concordate fra voi della maggioranza e soltanto fra di voi, in riunioni svolte al di fuori del Parlamento.
Avreste in tal modo consentito alla Camera di discutere su testi conosciuti e non su testi incerti e ancora da modificare. Questo sarebbe stato, signor Presidente, un atteggiamento di apertura e di senso di responsabilità, nonché di ricerca di dialogo con le opposizioni.
Si tratta di cambiare la Costituzione, metà della Costituzione! È sotto gli occhi di tutti il risultato: la grossolanità del metodo seguito e l'approssimazione dei testi e delle norme che la riforma che viene proposta contiene.
La verità è che alla maggioranza ed al Governo preme soltanto ottenere un risultato, quale che esso sia, pur di evitare di far cadere il Governo. Questa è la ragione della mancanza di dialogo con l'opposizione, che, per voi della maggioranza e del Governo, è impossibile. Al di là della buona volontà di qualcuno, per voi è impossibile! Per voi della maggioranza è importante soltanto trovare un accordo all'interno della maggioranza stessa, altrimenti il Governo cade; raggiunto quindi quell'accordo tra di voi, e soltanto tra di voi, esso è immodificabile e diviene «blindato».
La maggioranza è inevitabilmente estranea non soltanto al formarsi delle intese, ma anche alla considerazione dei risultati di queste ultime. Con gli emendamenti presentati, gli articoli salgono da 43 a 52. Non si è stati disposti, da parte del Governo e della maggioranza, a fare esaminare il nuovo testo con adeguati precisione ed approfondimento dalla Commissione affari costituzionali. Non vi è stata alcuna disponibilità a trovare una sede in cui discuterne con l'opposizione perché per voi è impossibile. Una volta raggiunto l'accordo della maggioranza, è per voi, malgrado la buona volontà di qualcuno, impossibile modificare l'accordo raggiunto, altrimenti il Governo ne «risente». Tuttavia, la Costituzione è cosa assai più importante e più vasta del Governo: è - come diceva Aldo Moro - la casa comune di tutti.
Immagino che qualcuno risponderebbe che il centrosinistra, sullo scadere della scorsa legislatura, ha modificato il Titolo V della Costituzione con i soli suoi voti favorevoli, contro l'allora opposizione. Colleghi di maggioranza, il paragone, malgrado ciò che si dice in questi giorni, non può essere neppure lontanamente posto. Si è trattato allora di votare su un testo conosciuto ampiamente, da tempo, in tutti i suoi particolari, non presentato nella sua effettiva versione, come oggi accade, dopo la discussione sulle linee generali. Si è trattato di un testo approvato per due volte a larghissima maggioranza in Commissione bicamerale ed approvato per la terza volta in aula con il voto favorevole di Alleanza nazionale, di Forza Italia e dell'allora CCD. Io ero nella Bicamerale, ricordo le dichiarazioni di voto, anche quella dell'attuale Capo del Governo, l'onorevole Berlusconi, che parlò di significato storico del voto che si dava sul testo che si approvava. Tale testo comprendeva integralmente quelle modifiche del potere delle regioni che sono state approvate, poi, con la legge n. 3 del 2001 dal centrosinistra. La stessa enfasi si era ripetuta nel giugno e nell'ottobre di quell'anno da parte di Forza Italia, di Alleanza nazionale e dell'allora CCD e nella primavera del 1998 quando in aula, dove la Bicamerale aveva riversato il suo lavoro, si esaminarono quelle norme sulle regioni e le si approvarono a larga maggioranza. Inoltre, non va dimenticato che quella riforma fu approvata su sollecitazione e con il consenso di tutte le regioni. Tutte - ripeto - di qualunque colore politico fossero i loro governi.
Oggi volete approvare in condizioni ben diverse una Costituzione - e non è un giudizio crudo - pensata male e scritta peggio. Tale valutazione è confermata dalla veloce lettura degli emendamenti non ancora distribuiti ma che il Presidente ha fatto avere ai gruppi parlamentari. Il Capo dello Stato perde il ruolo di arbitro, è quasi azzerata la sua funzione di garanzia tra le istituzioni. Non nomina e non revoca più i ministri; non sceglie più il Capo del Governo; non gli compete più sciogliere il Parlamento se non per una firma formale. Scompare, in realtà, quello che è stato negli ultimi decenni il perno di equilibrio del nostro sistema: la funzione di garanzia e di arbitro tra le istituzioni svolta dal Presidente della Repubblica. Tutte le funzioni, non di arbitro ma di dominatore, passano al primo ministro.
Colpiscono il tono e le espressioni adoperate nel testo della riforma. La Costituzione del 1948 dice che il Presidente del Consiglio dirige la politica generale, coordina l'attività del Governo e risponde del suo indirizzo politico. La riforma che proponete dice che il primo ministro determina la politica nazionale, lui solo. Scompare in questo modo la collegialità del Governo: determina la politica nazionale soltanto il primo ministro!
Chiede e ottiene in Parlamento un voto conforme ad ogni sua indicazione, pena lo scioglimento della Camera politica. Infatti la Camera politica può anche votare in modo non conforme, ma, se lo fa, viene sciolta. L'altro ieri, in quest'aula, il ministro Calderoli, annunciando le modifiche che si intende apportare al testo, diceva: così si eviteranno, con la richiesta del primo ministro di un voto favorevole, pena lo scioglimento, le tante questioni di fiducia poste in questi decenni. Certo, non esiste più l'istituto della fiducia al Governo! Il Parlamento non la conferisce più. Oggi - lo ha ricordato il ministro Calderoli -, se il Parlamento vota la sfiducia al Governo, va a casa il Governo. Con questa riforma che proponete, se il Parlamento vota la sfiducia al Governo, va a casa il Parlamento!
Pesa, su questo stravolgimento del rapporto tra Governo e Parlamento, l'ossessione antiribaltonista. Con gli emendamenti presentati questa mattina, si è arrivati al punto che non soltanto la maggioranza non può essere in minima parte modificata, non potendo quindi dar vita ad un altro Governo, e neppure la stessa maggioranza può dar vita ad un nuovo Governo, se il primo ministro decide lo scioglimento della Camera. Peraltro, il primo ministro può deciderlo anche contro la sua maggioranza, possibilità, questa, che non esiste in nessuna altra democrazia di qualunque parte del mondo, che si richiami al modello delle democrazie parlamentari.
Con gli emendamenti presentati - il cui testo deve essere ancora distribuito, ma che i gruppi hanno conosciuto grazie alla cortesia del Presidente -, si è arrivati a prevedere che il primo ministro si dimetta e che, conseguentemente, cada il Governo se il Governo ottiene la maggioranza su un voto in Parlamento, ma la ottiene con qualche voto dell'opposizione al posto di qualche voto della maggioranza. Dunque, l'ossessione antiribaltonista, nata per garantire la stabilità del Governo emerso dal voto popolare, arriva oggi a ritorcersi contro la stessa stabilità del Governo. È un paradosso, quello al quale state pervenendo! È una sorta di evoluzione delle figure che state delineando con questa riforma.
Non condivido la prima versione, ma non condivido neppure questa seconda, nella quale il Governo subisce le conseguenze di avere avuto voti da parte dell'opposizione. Quello che in ogni democrazia viene richiesto qui viene considerata una grave responsabilità che fa sciogliere il Parlamento. È un altro passo che irrigidisce la vita parlamentare, la vita delle istituzioni. In questa riforma che proponete c'è una somma esasperata di automatismi in cui viene sepolta la politica e scompare il ruolo del Parlamento. Scompare il confronto politico in Parlamento, che l'esperienza di questi cinquant'anni dimostra essere sempre preziosissimo. In quelle condizioni, date dalle norme che proponete di introdurre nella Costituzione, non c'è più il confronto.
Ci si illude, in realtà, di poter supplire alla mancanza di leadership, di guida, di capacità di persuasione, di attitudine al convincimento, con briglie e gabbie alla vita delle istituzioni. Non è così che si sviluppa la democrazia: così retrocede la democrazia. Si pensa, in realtà, che chi vince le elezioni divenga il proprietario dello Stato e che tutto debba essere volto a tutelarlo e a blindarlo. Non è così: chi vince le elezioni è chiamato a governare il paese che è e resta di tutti! Chi vince le elezioni deve essere, e deve sentirsi costantemente, sotto verifica da parte della pubblica opinione, degli elettori e di chi li rappresenta nelle istituzioni. Questo Parlamento, questa Camera politica, che non accorda né revoca più la fiducia al Governo e che è alla mercé del primo ministro, diviene in realtà una mera appendice di ausilio al Governo. Quello che diverrebbe il Parlamento con questa vostra riforma emerge con chiarezza dalle parole che in quest'aula il ministro Calderoli ha pronunciato l'altro ieri, dichiarando testualmente che il ruolo che viene attribuito alla Camera politica è quello di affiancare le funzioni del Governo. È incredibile che non ci si sia resi conto della gravità di queste affermazioni! Secondo questa maggioranza e questo Governo il Parlamento servirebbe ad affiancare le funzioni del Governo! Quindi, nessun ruolo veramente proprio, ma soltanto di ausilio al Governo. In realtà si vuole dimenticare, colleghi - mi auguro tuttavia che ci ripensiate -, il principio della separazione dei poteri, tra esecutivo e legislativo, quel principio più temperato nei Governi parlamentari, più accentuato nei Governi presidenziali, ma sempre rispettato.
In tale caso, avremmo un primo ministro con poteri più vasti e forti rispetto a quelli di un Presidente di Repubblica presidenziale, ma senza aver di fronte un Parlamento veramente autonomo e forte nei suoi confronti, come accade, per esempio, negli Stati Uniti, in cui vi è un Presidente forte, in un regime presidenziale, ed un Parlamento, però, sul quale non può affatto incidere il Presidente della Repubblica.
Siamo fuori dalle regole dei pesi e dei bilanciamenti, sempre applicate nelle democrazie affinché nessuno abbia da solo troppo potere. È il contrario della cifra che contrassegna questa vostra proposta di modifica della Costituzione. Inoltre, questo capolavoro, questo dissennato testo di riforma si presenta e sarebbe, se approvato, inefficiente, perché alla Camera politica sarebbe affiancato un Senato cosiddetto federale che, lungi dall'essere tale, sarebbe inequivocabilmente una Camera di natura politica, non collegata, se non marginalmente, alle regioni, che non avrebbe alcun rapporto di fiducia con il Governo, ma che, comunque, potrebbe intervenire su ogni argomento importante, obbligatoriamente, di diritto o su sua richiesta. Non avrebbe alcun rapporto di fiducia con il Governo - lo ripeto - e non potrebbe esser mai sciolto.
In questo caso, il Senato potrebbe avere facilmente una maggioranza diversa da quella della Camera cosiddetta politica (in realtà, politiche sono entrambe le Camere nel testo che ci si propone). Potrebbero avere diverse maggioranze, considerata la diversità di reclutamento, con le conseguenze facilmente immaginabili di paralisi politica.
Come potrebbe mai funzionare, Presidente, un tale sistema di Governo? Di qualunque colore fosse il Governo, non potrebbe mai funzionare! È un progetto che, se approvato, condurrebbe all'inefficienza, al rischio elevato di paralisi del sistema istituzionale, altro che governabilità!
Ad una Camera politica, o cosiddetta tale, debole corrisponde un Senato iperpotente, in realtà anch'esso politico, per nulla regionalizzato. Quel Senato, inoltre, non risolverebbe l'unico problema vero che si presenta alla nostra Costituzione (l'unico che dovrebbe implicare una modifica della nostra Costituzione), vale a dire l'inserimento autorevole delle regioni nel sistema istituzionale nazionale.
Le regioni hanno oggi, come giusto, potere di governo e legislativi assai più ampi che in passato. È necessaria una riforma della Costituzione che preveda una Camera che le rappresenti nel sistema nazionale delle istituzioni. È l'unica esigenza di modifica, a mio avviso.
Invece, il Senato, che la riforma prevede non rappresenta per nulla le regioni. È insignificante la contestualità elettorale, il fatto cioè che il Senato venga eletto lo stesso giorno in cui si vota per eleggere i consigli regionali. Questo verosimilmente varrebbe anche per l'altra Camera, quella cosiddetta politica.
Il ministro Calderoli ha affermato, con riferimento agli emendamenti che ha presentato e che sono in corso di distribuzione, che parteciperanno al Senato due rappresentanti per ogni regione: uno è il Presidente della regione, l'altro in rappresentanza delle autonomie locali. Non avrebbero diritto di voto, mai! Parteciperebbero in 42 su circa 300 senatori, senza avere mai diritto di voto. Una grande presenza, di grande significato regionalistico! Ma che collegamento si creerebbe mai tra il Senato e le regioni? Nessuno, colleghi!
Il Senato rimane di natura politica, interamente nazionale, svincolato dal rapporto di fiducia con il Governo, fattore di scontro e di squilibrio nel sistema. Questa sarebbe la governabilità assicurata! Basti pensare alla complicazione che ne deriva sulle leggi.
Vi sarebbero ben quattro tipi di leggi statali: le leggi a prevalenza della Camera, in cui questa ha l'ultima parola; le leggi a prevalenza del Senato, in cui è il Senato ad avere l'ultima parola; le leggi bicamerali, in cui entrambe devono concorrere con la loro volontà, con una singolare ed incerta procedura di modifica di eventuali contrapposizioni di stallo e, infine, una quarta categoria, le leggi di competenza del Senato che il Governo può chiedere tornino ad essere di competenza bicamerale, anche qui con l'incertezza della convergenza finale di entrambe le Camere.
Con questa quadripartizione legislativa vi sarebbe un costante contenzioso tra le Camere, tensioni istituzionali forti, dunque il contrario della governabilità.
PRESIDENTE. Onorevole Mattarella, la invito a concludere.
SERGIO MATTARELLA. Signor Presidente, concludo senza soffermarmi sulle regioni, in ordine alle quali vorrei comunque ricordare che, anche con gli emendamenti proposti, si afferma una stranissima contraddizione a livello della incomprensibile schizofrenia: da una parte, aumento di poteri legislativi e, dall'altra, meccanismi centralisti incomprensibili.
Le regioni non ottengono quello che da sempre hanno richiesto, vale a dire una Camera delle regioni, e non vengono inserite nelle istituzioni nazionali, ma ottengono alcune competenze esclusive, irrigidendo tra l'altro tali competenze, il loro esercizio e aumentando in tal modo il contenzioso costituzionale.
Con questa riforma si reintroduce il potere sostitutivo dello Stato, il controllo statale sul merito delle leggi regionali e, con un emendamento appena presentato, si prevede la funzione di coordinamento del Senato sulle regioni e sulle autonomie locali. È una bella forma di dar peso alle regioni!
Vi sono una serie di incomprensibili incongruenze. La verità è che la maggioranza e il Governo passano di modifica in modifica, non vorrei dire per mancanza di idee chiare, ma senza trovare mai un definitivo approdo. È l'impianto di questa riforma, il suo DNA ad essere sbagliato, viziato e irrecuperabile (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cabras. Ne ha facoltà.
ANTONELLO CABRAS. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi, credo non sia superfluo sottolineare - come hanno fatto efficacemente altri colleghi prima di me durante la discussione - le considerazioni di metodo sulla singolarità di questo dibattito parlamentare, sia per la parte svoltasi in Commissione sia per quella che si sta svolgendo in Assemblea.
Un dibattito che ha per oggetto la Costituzione nelle sue parti importanti e fondamentali, nel quale abbiamo finora abbandonato - e credo che difficilmente recupereremo per la parte di tempo che ci resta - ogni criterio di sana dialettica fra maggioranza e opposizione.
Ciò che probabilmente approverà la Camera alla fine di questa discussione sarà unicamente frutto del compromesso politico che la maggioranza riuscirà a raggiungere al proprio interno. Riteniamo che, se la materia di cui si discute fosse inserita nel programma di Governo, forse non si dovrebbe sollevare neanche tanto scandalo; tuttavia, trattandosi della Costituzione - cioè del codice che per sua natura dobbiamo sempre sottrarre alla contingenza di una stagione politica -, ha ragione chi sostiene che di per sé il metodo scelto impone il referendum, e direi quasi a prescindere dal merito.
Dunque, non siamo noi che scegliamo a priori di ricorrere al referendum, in quanto ciò deriva dalla scelta che la maggioranza ha operato per discutere la modifica della Costituzione, vale a dire con il solo obiettivo di trovare un'intesa soddisfacente tra le forze della Casa delle libertà, escludendo il resto del Parlamento.
Il referendum si impone non perché si condividono o meno alcune parti della riforma nel merito, ma proprio per il modo da voi scelto per trattare questo argomento, chiudendovi all'interno della vostra maggioranza politica ed escludendo di fatto un confronto con il resto del Parlamento.
Si è detto in questi giorni, in quest'aula e fuori - a mio avviso non del tutto giustamente -, che anche l'Ulivo approvò la modifica del Titolo V senza tener conto dell'opinione dell'allora opposizione. Non condivido tale affermazione, sostenuta peraltro anche da autorevoli esponenti del mio partito. Penso, infatti, che esistano differenze sostanziali comunque da sottolineare. Allora, furono solo considerazioni di mera valenza politica - peraltro fatte in «zona Cesarini» - a portare l'opposizione dell'epoca alla decisione di non partecipare al voto finale, dopo avere invece concorso all'individuazione del testo, condiviso prima in sede di Commissione bicamerale, dopo aver anche espresso voto favorevole nel corso della prima lettura in Assemblea.
Inoltre, quel testo era sostenuto da una spinta forte, quasi una sollecitazione di tipo vertenziale, fatta da tutto il sistema delle autonomie verso il Governo di allora, nessuna esclusa, perché quella riforma fosse approvata in Parlamento. Si tratta di una differenza significativa, che non possiamo tacere.
Infine, non possiamo non ricordare come le mani che hanno scritto quella riforma furono sia di centrodestra che di centrosinistra. Ricordo che nella fase preliminare di studio e istruttoria tutti concorsero a scrivere le norme che, come tutti sanno, confluirono poi nel testo licenziato dalla Commissione bicamerale e votato in prima lettura.
Oggi siamo certo lontani da quella situazione, in cui più mani contribuirono a redigere il testo; le differenze sono apparse evidenti, come il rapporto tra maggioranza e opposizione, fin dalla prima fase di lettura al Senato, e poi anche nel successivo passaggio alla Camera. Lo stesso giudizio espresso dal sistema delle autonomie è ben lontano da quella sintesi unitaria, e credo che sentiremo la voce delle autonomie anche dopo aver letto gli emendamenti presentati questa mattina.
In proposito, valga per tutti l'opinione di un autorevole presidente di regione, il governatore della Lombardia, che, non più tardi di due giorni fa, ha definito la proposta di Senato federale un «pasticcio», parlando pubblicamente ad un convegno a poca distanza dal dibattito svoltosi qui alla Camera. Penso che questi elementi servano a sottolineare la differenza di clima.
Bisogna sottolineare che gli unici a non partecipare attivamente al lavoro della Commissione bicamerale e alla scrittura del testo furono i colleghi della Lega, che fecero soltanto un'apparizione nel momento in cui contribuirono all'approvazione del presidenzialismo, in occasione della votazione sulla forma di Governo. Anche in quel caso, comunque, si trattò di una scelta di tattica politica, quasi a voler cogliere una differenza e una difficoltà che si stavano manifestando in quella circostanza. Così non è oggi, non lo è stato in prima lettura al Senato e ancor meno lo è stato alla Camera.
Per le ragioni che sto cercando sommariamente di ricordare, non si può affermare che il federalismo oggi in vigore, per la parte del Titolo V presente nella Costituzione, appartiene unicamente all'Ulivo nei suoi contenuti di fondo e nei suoi assi basilari. Infatti, le modifiche finora proposte, alcune anche votate in Commissione, non rovesciano quell'impostazione. È questo il primo elemento che sottolinea tale tesi.
Semmai, si tenta di ridurre la netta distinzione di sovranità da noi introdotta, ma soprattutto si elimina di fatto il potere terzo della Corte costituzionale di regolare eventuali conflitti di attribuzione. Come interpretare diversamente l'interesse nazionale nella forma in cui viene proposto, se non come uno strumento per ridurre l'autonomia regionale e l'autogoverno? La Corte, da questo punto di vista, perderà il ruolo terzo di arbitro finora sviluppato sul terreno dei conflitti di attribuzione.
Il rischio pesante è che quando il governo di turno vorrà invadere il campo della sovranità regionale non avrà da perdere tempo per promuovere un ricorso alla Corte, ma userà l'interesse nazionale, disponendo di una discrezionalità ampia, almeno sulla base della formulazione finora proposta. Chi non crede a questa tesi, vada a rivedersi la storia di cinquant'anni di rapporti tra i governi di turno e le autonomie speciali, con l'uso discrezionale dei cosiddetti «principi economici fondamentali» che venivano adoperati ogni qual volta si interferiva nelle potestà primarie riconosciute alle regioni a statuto speciale. La modifica proposta, dunque, non migliora, ma peggiora l'impianto e le previsioni del Titolo V che avete contribuito a scrivere, anche se poi non lo avete votato.
Dunque, cosa servirebbe oggi per completare quel disegno al quale anche voi avete concorso? In primo luogo, uno Stato centrale forte, efficiente ma rispettoso delle garanzie fondamentali, come è stato ricordato autorevolmente anche nel corso del dibattito dal presidente Violante. In secondo luogo, una sede di concertazione vera tra lo Stato e le autonomie federali. Inoltre, un sistema di prelievo fiscale basato sul principio di responsabilità, affinché la sussidiarietà sia resa effettiva in modo completo. Diversamente, il rischio che si corre è che la somma dei prelievi, locale e centrale, senza la dovuta concertazione comporti un possibile inevitabile inasprimento della pressione fiscale, tanto è vero che in uno degli emendamenti che avete proposto avete presentato una «bandierina»: si prevede che non si possa aumentare la pressione fiscale facendo la somma del prelievo centrale e locale. Ma tale obiettivo come si può raggiungere, se non attraverso il funzionamento di una sede vera di concertazione? A tali quesiti, le proposte presentate non danno risposta. La nostra critica, dunque, è una critica di merito.
Quanto all'ordinamento dello Stato, vi siete soffermati sul rafforzamento del premier che, da un lato, tenta di mettere sotto controllo il Parlamento, e, dall'altro, si «impicca» all'altra Camera che è completamente svincolata dalla maggioranza politica che lo ha eletto e che tuttavia si pronuncia in via definitiva anche su parti fondamentali del programma di governo. Non viene dunque raggiunto l'obiettivo di efficienza e di rafforzamento dello Stato.
Il procedimento legislativo è in teoria monocamerale, ma in realtà non semplifica, anzi complica, la procedura attuale, già complessa e criticata anche da parte nostra. Si istituisce sostanzialmente, per semplificare la situazione, un'altra «cameretta», chiamata a deliberare in via definitiva nel caso di controversia (ciò almeno è quanto si prevede in un emendamento presentato questa mattina).
Vi è la totale assenza di un sistema di garanzie, che dovrebbe essere tipico di una democrazia dell'alternanza. L'innalzamento di alcuni quorum e l'attribuzione all'opposizione della presidenza delle Commissioni di inchiesta costituiscono parziali e timide risposte, che non affrontano il tema di fondo che abbiamo proposto.
Le prerogative del Presidente della Repubblica di garante e di arbitro vengono di fatto diminuite, proprio nel momento in cui disegnamo una forma di Stato con poteri gerarchicamente subordinati (lo Stato, le regioni, gli enti locali), che richiederebbero una funzione più forte del Presidente della Repubblica quale figura arbitrale e garante della Costituzione.
La sede di concertazione, ovvero il Senato federale (che lo stesso Formigoni ha un po' ridicolizzato) sembra un'istituzione - lo dico pur essendo stato membro di quella Camera nella precedente legislatura - utile ai senatori piuttosto che ai cittadini e al paese, nella formulazione prospettata.
Si può discutere su tale tema molto e a lungo, ma l'ipotesi più convincente per l'impianto del federalismo che abbiamo disegnato è, a mio avviso, quella tedesca, che prevede una Camera che sia luogo di rappresentanza dei governi locali in cui lo Stato discute e concerta effettivamente la sua politica economica e sociale. Il modello che avete scelto, quello della contestualità di elezione con i consigli regionali, dovrebbe assomigliare al cosiddetto modello americano, ma anche tale modello andrebbe disciplinato in maniera più chiara, senza pasticciare o addirittura profilare un'ipotesi che possa entrare a regime nel 2011: chissà cosa accadrà da qui al 2011, con tutto quello che succede di questi tempi! Si tratta forse di un modo più concreto per lanciare il messaggio che non se ne farà nulla.
Per concludere, faccio un accenno al federalismo fiscale ed alle risorse. Su tali aspetti non vi è stata alcuna risposta, a parte l'emendamento secondo cui non si può aumentare la pressione fiscale sommando i prelievi centrali e locali. Da questo punto di vista, realizzate un'operazione di mera propaganda elettorale perché tale emendamento non risolve niente, non serve a nulla e fa il paio con ciò che in questi giorni ha propagandato il presidente della regione Puglia, Fitto, in riferimento alla cosiddetta «protesi» del Presidente del Consiglio. Il presidente si è messo ad agitare il decreto legislativo n. 56 del 2003 senza dire una parola sul perché finora non è stato attuato ciò che è contenuto nell'articolo 119 e senza, soprattutto, dare una risposta da meridionalista alla politica economica filonordista che il Governo ha sviluppato finora. Infine - anche sulla base della mia personale esperienza - vorrei svolgere una considerazione sulle regioni speciali; con la mano sinistra togliete ciò che date con la mano destra. Ora, anche alla luce della lettura degli ultimi emendamenti, se pure si salva un'immediata applicazione - si tratta di un infortunio del mio collega Anedda - di tutto quanto contenuto nella proposta (e, quindi, salva le competenze), tutto il resto però rimane come prima. Cioè l'interesse nazionale, il potere sostitutivo supera il regime attuale di autonomia, che noi avevamo migliorato con il Titolo V in vigore, e consente allo Stato un potere di ingerenza nelle regioni speciali superiore a quello precedente.
Detto tutto ciò, perché si produce questo sconclusionato percorso di contenuti e di cose? Tra l'altro, chissà a cosa assisteremo più avanti. Si sostiene che la devoluzione è una bandiera per la Lega che, ovviamente, appare nella versione ultima molto modificata e corretta. L'interesse nazionale soddisfa Alleanza nazionale perché - diciamo - attenua i contenuti federalisti del Titolo V e, quindi, pone un freno alle spinte leghiste; il premierato forte - in realtà pieno di contraddizioni anch'esso - dovrebbe soddisfare Forza Italia, mentre l'UDC vede nello sfondo una possibile riforma della legge elettorale. Ognuno cioè porta a casa una «bandierina», senza che vi sia un asse chiaro e funzionante del sistema; non vi è quindi nessuna riforma, ma solo un compromesso politico per giungere alla fine della legislatura.
Signor Presidente, penso che il referendum è nelle cose; a questo punto, se voi della maggioranza non cambierete idea - come in questi giorni si sente sussurrare in qualche angolo del Parlamento - sarà inevitabile una discussione ed un confronto che salderà i contenuti della battaglia referendaria con il bilancio fallimentare di questa legislatura. Sarete giudicati non solo per i danni che la vostra incapacità politica ha prodotto al paese, ma anche per aver tentato di destrutturare la Costituzione.
Pensateci bene prima di arrivare fino in fondo, perché avete ancora la possibilità di ridurre il danno al paese, ma forse anche di ridurre il danno a voi stessi (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Alia. Ne ha facoltà.
GIAMPIERO D'ALIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, affrontiamo questo importante dibattito in un clima che dal nostro punto di vista è più sereno. Siamo sempre stati convinti, infatti, che le riforme istituzionali sono patrimonio di tutti e che, quindi, vi sia l'esigenza di un confronto parlamentare aperto al contributo della maggioranza e dell'opposizione. In ogni caso, prima ancora di parlare delle cose che convengono a ciascuno degli schieramenti rispetto alle strategie della campagna elettorale futura e che, ritengo, condizionano anche in parte il dibattito di questi giorni, credo che una domanda preliminare dobbiamo porcela e cioè se il nostro paese abbia bisogno di queste riforme. Leggendo i programmi elettorali del centrodestra e del centrosinistra, emerge che il tema delle riforme istituzionali è una priorità; gli elettori che hanno votato i due schieramenti hanno quindi conferito, ovviamente con punti di vista diversi, un mandato costituente ai due poli. Peraltro, possiamo dire che, al netto delle tattiche e delle polemiche politiche, il nostro sistema istituzionale è stato già modificato, sia nella sua forma di governo sia nella sua forma di Stato. Nella sua forma di governo, con la legge elettorale uninominale maggioritaria e con l'indicazione nella scheda elettorale del Presidente del Consiglio; nella sua forma di Stato, con la riforma del Titolo V della parte II della Costituzione approvata nella precedente legislatura dal centrosinistra.
Sia l'una che l'altra modifica non sono state di poco conto. Esse hanno determinato profondi stravolgimenti nella vita politica, economica e sociale del nostro paese. Nessuno ha gridato allo scandalo anche se, per il modo in cui si è arrivati a modificare sostanzialmente la forma di Stato e di Governo, di scandalo vero e proprio si è trattato. Non vi è dubbio, infatti, che oggi siamo in presenza di una forma di premierato camuffato e troppo debole. C'è l'investitura popolare del primo ministro, ci sono le coalizioni che si formano prima del voto e che sono legate al primo ministro dall'unico simbolo nei collegi uninominali con l'indicazione del suo nome nella scheda, c'è il Capo dello Stato che conferisce l'incarico al leader della coalizione che ha vinto le elezioni.
A questo punto, la domanda che mi pongo è la seguente: siamo convinti che la nostra forma di Governo non sia di fatto cambiata? È giusto che ciò sia avvenuto in via surrettizia ed indiretta attraverso la legge elettorale e le consuetudini parlamentari? Non sarebbe più corretto, a dieci anni dalla fine del sistema parlamentare puro, adeguare la Costituzione a quel bipolarismo di cui tutti ci riempiamo la bocca solo quando dobbiamo criticare chi la pensa diversamente?
In questi anni siamo passati da una democrazia bipolare senza alternanza ad una democrazia dell'alternanza senza un bipolarismo vero, posto che gli schieramenti che si organizzano prima delle elezioni sembrano più costruiti sulla paura dell'avversario che sulla realizzazione di un programma di governo realmente condiviso.
I meccanismi di selezione della classe dirigente e di individuazione dei leader delle coalizioni è stato interamente delegato ad oligarchie illuminate. La partecipazione dei cittadini alla vita politica del paese è circoscritta al voto con cui si sceglie il deputato, il senatore e un Presidente del Consiglio. Non credo che tutti noi siamo soddisfatti di questo sistema. Credo che molti di noi, di maggioranza e di opposizione, siano convinti che è necessario uscire da questa lunga ed interminabile fase di transizione. La riforma costituzionale di cui oggi parliamo può essere una buona occasione, se non l'ultima, per imprimere una svolta alla vita del paese.
Per queste ragioni, l'UDC ha proposto alcune significative modifiche che, devo darne atto al ministro e ai colleghi di maggioranza, sono state recepite. La proposta della quale discutiamo, che può essere certamente migliorata, individua un premier espressione di una coalizione che opera in sinergia con quest'ultima ed in sintonia con gli elettori; un premier che ha maggiore rispetto del Parlamento e che, dalla maggioranza che lo ha sostenuto, può essere sfiduciato e cambiato se non rispetta il programma votato dagli elettori; un premier che non può sciogliere le Camere a suo libero arbitrio, ma solo se non riesce a realizzare il programma votato dagli elettori; un premier che non può modificare la maggioranza parlamentare secondo le convenienze politiche del momento. In altri termini, si tratta di un premier meno forte con i deboli e meno debole con i forti. Il riferimento è ovviamente al Senato federale, con cui il premier non ha nessun rapporto fiduciario. Infine, si tratta di un premier che a noi sembra più in sintonia con le proposte dell'opposizione.
È cambiata la forma di Stato nel nostro paese - come dicevo - grazie a voi del centrosinistra. Personalmente, ho molto apprezzato le dichiarazioni di ieri dell'onorevole Rutelli sulle nefaste conseguenze della modifica dell'articolo 114 della Costituzione approvata nella precedente legislatura, in cui si distingue lo Stato dalla Repubblica. È qui che è cambiata la forma di Stato. Di quest'ultimo se ne fa, nella migliore delle ipotesi, un primus inter pares. Siamo passati, infatti, da un buon regionalismo ad uno pseudo federalismo confuso e pasticcione.
Vi prego, su queste cose non stracciatevi le vesti, non gridate allo scandalo oggi sulla piccola devoluzione, non è proprio il caso! Dovreste solo fare autocritica e votare insieme a noi l'integrale riscrittura del Titolo V, che rimette ordine nei rapporti fra Stato, regioni e autonomie locali, una riscrittura da noi richiesta a gran voce non per ragioni strumentali o ideologiche, ma per far funzionare il sistema paese senza dover ricorrere alla Corte costituzionale, per capire cosa deve fare lo Stato e cosa le regioni.
Vorrei ricordare l'introduzione del principio di sussidiarietà e di leale collaborazione, all'articolo 114, la riattribuzione alla competenza esclusiva dello Stato di una serie di materie strategiche per il governo del paese, l'introduzione del principio di sussidiarietà fiscale, l'introduzione della clausola di flessibilità, salvaguardia, supremazia dello Stato, a tutela dell'unità giuridica ed economica del paese, la disciplina dell'interesse nazionale e, mi sia consentito, onorevole Cabras, anche sulle autonomie speciali. Ricordo a me stesso che il testo vigente prevede che lo Stato possa modificare gli statuti speciali - io vengo dalla Sicilia - senza neanche sentire le regioni a statuto speciale interessate.
Vi è poi la questione degli enti locali, cioè il tema del neocentralismo regionale. Qui si citano i governatori. Essi sono di centrodestra e di centrosinistra, ma il problema è che costoro non sono i capi di uno Stato nello Stato. Il tema del rafforzamento dei poteri normativi e delle autonomie degli enti locali e del governo degli enti locali è centrale e ha trovato ingresso fino in fondo nella Costituzione.
Quanto al federalismo fiscale, la riscrittura dell'articolo 117 da noi operata pone anche dei rimedi all'aumento dei costi del modello federale in vigore a seguito della riforma del Titolo V. Visto che fino a qualche settimana fa vi siete dichiarati pronti a votare gli emendamenti dell'UDC, credo che oggi non dovreste avere alcuna difficoltà a votare gli emendamenti proposti dalla Casa delle libertà su questa materia.
Ciò soprattutto per tornare ad una forma di Stato federale, solidale, unitario nei suoi valori di riferimento, rispettoso delle autonomie e del pluralismo degli enti di governo locale.
Anche sul tema delle garanzie abbiamo fatto alcuni passi in avanti. Il ruolo del Capo dello Stato appare meno notarile; abbiamo costituzionalizzato le autorità indipendenti; il sistema delle maggioranze qualificate è stato rafforzato, anche con riguardo all'elezione del Capo dello Stato, così come la tutela dei diritti dell'opposizione e delle minoranze.
Certo, molti aspetti possono essere ancora migliorati e ci piacerebbe farlo in Parlamento insieme a voi. Il procedimento di formazione delle leggi è stato sensibilmente migliorato rispetto a testi precedenti ma, a nostro modo di vedere, deve essere ancora semplificato.
Militano in favore della semplificazione la speculare riattribuzione alla competenza esclusiva dello Stato di molte materie e l'ulteriore semplificazione del procedimento legislativo bicamerale.
È opportuno, però, che si facciano ulteriori passi avanti rendendo ancora più efficace e snello il rapporto tra le due Camere e più trasparente il rapporto tra Governo e Parlamento, almeno per le materie che riguardano il programma di Governo.
Cari colleghi, le questioni pregiudiziali poste domani all'esame della Camera dei deputati sottintendono una tesi politicamente pericolosa, oltre che da noi non condivisa. La tesi, grosso modo, è la seguente. La maggioranza parlamentare sta violando l'articolo 138 della Costituzione perché propone modifiche fondamentali che alterano i principi supremi dell'intero ordinamento costituzionale.
Mi permetto, però, di ricordare ai colleghi dell'opposizione che se fossero fondate, come io ritengo, le mie precedenti considerazioni, tutto ciò è già avvenuto in almeno due circostanze storiche: la prima, con le leggi elettorali per la Camera e per il Senato; la seconda, con la riforma del Titolo V della Costituzione, che ha cambiato la forma di Stato (per la verità, vi sarebbe un terzo caso, cioè la procedura seguita per disciplinare l'ultima Commissione bicamerale per le riforme istituzionali).
Oggi noi auspichiamo, dal nostro punto di vista, di mettere ordine nel sistema e vorremmo, come ho già ripetuto, farlo insieme. Siamo convinti che con le modifiche al testo licenziato dalla Commissione vi siano oggi le condizioni perché il confronto parlamentare possa avere uno sbocco positivo, sia nel metodo, sia nel merito. Un testo che trova condivisione perché scevro da preconcetti: non c'è alcun terreno di verifica di maggioranza. C'è la necessità - ed è cambiato il metodo - con cui si formula una proposta al Parlamento.
L'UDC ha fatto la sua parte nel quadro della maggioranza: ora credo che tocchi anche all'opposizione trarne le conseguenze.
Certo, se avete scelto la strada della campagna elettorale referendaria ci sono poche speranze. Se, viceversa, ritenete che il metodo e il merito delle questioni sia cambiato, non perdete e non perdiamo l'occasione di rendere un buon servizio al paese: riscriviamo insieme le regole costituzionali per rafforzare la democrazia del paese.
Un'ultima considerazione riguarda la legge elettorale. Noi questo tema lo abbiamo posto perché riteniamo che rappresenti la seconda parte della riforma della Costituzione.
Riteniamo che la legge elettorale in senso proporzionale rafforzi la partecipazione democratica dei cittadini alla scelta del premier, del programma, della coalizione e della classe dirigente. Il tema è complementare alla riforma costituzionale ed ineludibile se vogliamo che la riforma funzioni bene.
Senza spirito polemico, abbiamo offerto al confronto tra le forze politiche parlamentari anche tale tema. Ci auguriamo che ciò conduca a risultati positivi. Noi siamo ottimisti (Applausi dei deputati del gruppo dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro e di Forza Italia).
PRESIDENTE. Per consentire lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata, previsto per le 14, i restanti interventi della parte antimeridiana della seduta sono rinviati al pomeriggio; conseguentemente, i colleghi il cui intervento era programmato per questa mattina potranno prendere la parola alla ripresa della discussione sulle linee generali, che avrà luogo dopo lo svolgimento del question time.
Il seguito della discussione è pertanto rinviato al prosieguo della seduta.
La seduta, sospesa alle 14,55, è ripresa alle 15,05.
Si riprende la discussione.
(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 4862 ed abbinate)
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Rosy Bindi. Ne ha facoltà.
ROSY BINDI. Signor Presidente, inizio questo mio intervento citando Giuseppe Dossetti, uno dei padri della Costituzione. Egli così diceva: «Alcuni pensano che la Costituzione sia un fiore pungente nato quasi per caso da un arido terreno di sbandamenti postbellici e da risentimenti faziosi volti al passato. Altri pensano che essa nasca da una ideologia antifascista di fatto coltivata da certe minoranze che avevano vissuto soprattutto da esuli negli anni del fascismo. Altri ancora - come non pochi dei suoi attuali sostenitori - si richiamano alla Resistenza, con cui l'Italia può avere ritrovato il suo onore e in un certo modo si è omologata a una certa cultura internazionale. E così si potrebbe continuare a lungo nella rassegna delle opinioni o sbagliate o insufficienti. In realtà, la Costituzione italiana è nata ed è stata ispirata - come e più di altre pochissime costituzioni - da un grande fatto globale, cioè i sei anni della seconda guerra mondiale. Questo fatto emergente della storia del XX secolo va considerato, rispetto alla Costituzione, in tutte le sue componenti oggettive e, al di là di ogni contrapposizione di soggetti, di parti, di schieramenti, come un evento enorme che nessun uomo che oggi vive, o anche solo che nasca oggi, può e potrà accantonare o potrà attenuarne le dimensioni, qualunque idea se ne faccia e con qualunque animo lo scruti». Pietro Scoppola, riportando in un suo testo questa citazione di Giuseppe Dossetti, così commentava: «La coscienza ben viva nei Costituenti, che si ritrova nei loro scritti e nei loro ricordi, è di una grande responsabilità storica, quella appunto di dar voce alla domanda che saliva dal paese di una radicale rifondazione della convivenza dopo gli orrori della guerra; occorreva una risposta che fosse all'altezza della vicenda epocale con cui l'Italia si era coinvolta. Indubbiamente vi fu compromesso tra i partiti, tra le componenti culturali in Assemblea costituente, basta rileggerne gli atti. In ogni caso, il compromesso era la condizione necessaria perché partendo da premesse culturali e politiche diverse quella speranza di liberazione, quella rifondazione morale del paese potesse essere espressa e realizzarsi. Fu compromesso nel senso più alto del termine cioè del con-promettere, del promettere insieme impegnandosi su valori comuni».
Ho voluto rileggere per me e per tutti noi queste parole di Giuseppe Dossetti e di Pietro Scoppola perché il progetto di riforma costituzionale che viene sottoposto all'esame del Parlamento si dice essere il frutto di un compromesso tra le forze politiche della maggioranza. In ogni caso, l'obiettivo non è quello di rinnovare, di rafforzare il patto etico, politico e giuridico del paese in un tempo difficile e complesso della convivenza civile dell'Italia e del mondo. No, l'obiettivo - questa volta di un compromesso al ribasso - è salvare la maggioranza ed il Governo, è dare al Presidente del Consiglio, attraverso la Costituzione, il potere che ormai gli è negato dal venir meno del consenso nel paese. Questo progetto non è il frutto di un con-promettere insieme, di impegnarsi insieme sui valori, sul funzionamento dello Stato, sulla sua articolazione, sui diritti dei cittadini.
Questo progetto è il frutto di uno scambio politico che fa a pezzi la Costituzione. Il Governo è salvo, la maggioranza ha ritrovato la sua unità, ma alla Costituzione sono stati inferti colpi mortali. Questa riforma è frutto di uno scambio: consegna alla Lega la devolution e a Berlusconi il premierato assoluto, che non ha corrispettivo in nessun'altra parte d'Europa e in nessuna democrazia liberale; l'UDC vede all'orizzonte la possibilità del proporzionale; Alleanza nazionale continua a sbandierare l'interesse nazionale. In realtà, tutti sventolano sotto il naso reciproco e degli italiani lo scalpo della democrazia parlamentare e dello Stato unitario.
Bene, conosco l'obiezione: perché invocare il patto della Costituzione, i suoi valori fondanti, che non vengono messi in discussione, seppur questo progetto di riforma si compone di ben 53 articoli? Nessuno di questi va a toccare le componenti fondamentali di quel patto, ossia i primi dodici articoli della Costituzione. Quel progetto non è intaccato, anzi si fa questa riforma per attuare meglio quei principi e per storicizzarli nel contesto storico. Noi sappiamo che non è così. Vale ricordare ancora una volta che le caratteristiche principali della nostra Costituzione, i binari, i fondamenti e le categorie interpretative della stessa possono ritrovarsi in tre termini: il personalismo, il pluralismo, il garantismo. La dignità della persona al centro e preesistente allo Stato e alla Repubblica; il pluralismo della società, delle sue articolazioni e delle sue istituzioni, che vanno riconosciute perché preesistono. Infine, il garantismo, quel principio fondamentale che fece della nostra Carta costituzionale l'incontro tra il personalismo, il solidarismo e il costituzionalismo liberale, perché i diritti non basta proclamarli, la persona non basta porla formalmente al centro della vita civile, occorre anche dotare la comunità di strumenti adeguati a far sì che quei diritti vengano effettivamente protetti e non possano essere impunemente violati.
Qui sta la modernità della nostra Carta costituzionale. Qui sta - potremmo dire ancora una volta con Dossetti - l'aver rappresentato insieme alla Costituzione spagnola e alla Carta fondamentale tedesca una delle sintesi più avanzate della civiltà dell'Occidente. Ne parlate spesso: andiamo a ricercarne i fondamenti. Sta proprio in questo, nella effettività dei diritti che sono assicurati dalla forma di governo parlamentare e dalla forma di Stato unitario, pluralista e autonomista insieme. Modificare la forma di Stato e la forma di governo vuol dire mettere a rischio anche quei diritti, quelle libertà e quella centralità della persona che rappresentano il punto di incontro alto di quel con-promettere insieme il futuro di un paese che cercava speranza. Ecco perché - paradosso dei paradossi - siete riusciti a presentarci una riforma della Costituzione che è incostituzionale. La rigidità della nostra Costituzione, infatti, ancora una volta non è un fatto formale, ma è un fatto sostanziale.
La forma di Stato e la forma di governo sono ammodernabili ma non sono merci di scambio e possibile oggetto di stravolgimento, peraltro senza seguire la metodologia giusta, quella di un'Assemblea costituente, quella di un vero coinvolgimento di tutte le parti del paese, quella di un patto rinnovato, di cui per tanti anni tutti siamo andati alla ricerca.
Ma è incostituzionale anche perché la modifica della forma di Stato e di governo manca di un presupposto storico, che magari altri paesi hanno avuto (a meno che questo presupposto storico non sia rappresentato dall'estraneità che le forze politiche della maggioranza rappresentano rispetto al percorso democratico del nostro paese e rispetto alla stessa Carta costituzionale). Se così fosse, certamente, si giustifica tutto: si giustifica la merce di scambio, il non coinvolgimento del Parlamento, l'accanimento verso una modifica che non funzionerà e che porterà il nostro paese a problemi ancora più gravi. Noi siamo, per l'appunto, davanti allo stravolgimento della forma di governo e della forma di Stato! Non è più una forma di governo parlamentare.
Il primo ministro, scelto direttamente dagli elettori, assomma, di fatto, i poteri di Capo del Governo e di Presidente della Repubblica, nomina e revoca i ministri, scioglie le Camere, non ha bisogno di un voto di fiducia per insediarsi, determina la politica nazionale, interviene direttamente sulle attività dei ministri. La mistica del popolo sovrano che in questi anni ha fatto da contrappunto al decisionismo dell'esecutivo e giustificato una prassi legislativa tutta ancorata alla forza dei numeri, si traduce nella realtà di ciò che è stato, per l'appunto, definito un premierato assoluto i cui poteri non sono bilanciati da nessun altro potere: qui c'è la fine del costituzionalismo liberale, della nostra Carta costituzionale e della nostra democrazia. Il Presidente della Repubblica è relegato al ruolo di gran ciambellano, la Corte costituzionale e il Consiglio superiore della magistratura sono condizionati dal potere politico e svuotati dal compito fondamentale di essere contrappesi istituzionali di un corretto bilanciamento tra i poteri.
Se c'era bisogno di una riforma della Costituzione dopo la riforma della legge elettorale nel nostro paese, era quella per un «di più» di contrappesi, per un «di più» di garanzie, non certo per l'annullamento delle stesse.
D'altra parte, questa riscrittura è il completamento del percorso di questi anni. Si suggella, si sancisce un cammino che, in questi anni, abbiamo visto stravolgere il principio di legalità e di garanzie nella vita del nostro paese.
Quanto al federalismo, anche dopo le ultime modifiche, siamo alla farsa! Il cosiddetto Stato federale, la cosiddetta devolution è concepita più per ridimensionare il potere politico della Camera, già messa in ginocchio dal potere del premier, che per armonizzare e comporre i conflitti fra Stato e autonomie locali. Certamente, non basta il richiamo all'interesse nazionale, non bastano le bandiere per temperare gli effetti devastanti delle nuove attribuzioni assegnate alle regioni in materia di sanità, scuola e sicurezza. Davvero, insieme al premierato assoluto, questo è l'aspetto più inquietante. Attribuire alle regioni potestà legislativa esclusiva in materia di assistenza e organizzazione della sanità, di scuola, di sicurezza equivale a mettere in discussione il principio di eguaglianza nei confronti del diritto alla salute e al sapere, significa rinunciare alla responsabilità nazionale della tutela di questo diritto.
All'orizzonte c'è molto di più che la frantumazione del Servizio sanitario nazionale e del sistema scolastico in 20 sistemi regionali differenti: c'è la fine dei sistemi di solidarietà sociale, la fine di un modello di welfare grazie ai quali sono cresciuti il benessere e la ricchezza del nostro paese.
Da tempo misuriamo grandi diseguaglianze territoriali accentuate proprio in questi anni da questo Governo. In sanità, poi, è in atto lo strangolamento finanziario delle regioni che rende, di fatto, insostenibile la tenuta del sistema pubblico.
Appunto, siamo alla beffa, perché le proposte che avrebbero rappresentato un compromesso fra le forze politiche sono ampiamente peggiorative poiché queste porteranno nel rapporto fra lo Stato centrale e le regioni, di fatto e in virtù della cosiddetta doppia competenza esclusiva, alla paralisi proprio in quelle materie nelle quali serve maggiore chiarezza, collaborazione e non certo conflitto. La competenza esclusiva della tutela della salute, unita peraltro alla sicurezza alimentare, è ancora evidentemente frutto di un ulteriore compromesso tra le parti politiche del Governo.
La competenza esclusiva dello Stato in materia di assistenza e di organizzazione sanitaria, accompagnata alla competenza esclusiva delle regioni, fa sì che ci troviamo di fronte ad una doppia competenza esclusiva che porterà alla paralisi questo nostro sistema: attraverso il conflitto istituzionale, a ciascuna regione sarà consentito, di fatto, di sospendere i diritti dei cittadini, di cambiare sistema, di abbandonare il sistema universalistico.
Per tutti questi motivi, non accontentatevi del ripensamento di facciata costituito dagli emendamenti presentati - che, in alcuni casi, addirittura peggiorano la situazione - e ritorniamo insieme allo spirito che fu dei costituenti.
Non c'è bisogno di una tragedia come quella della seconda guerra mondiale perché il paese ritrovi quel punto di riferimento del suo percorso democratico che ci ha guidati in tutti questi anni. Discutiamone insieme. Da parte nostra, c'è la disponibilità a rendere più effettivi diritti e libertà, a far funzionare meglio lo Stato, a rendere più forte il pluralismo. Ma la strada non è quella che indicate.
Vorrei terminare questo mio intervento con le parole di Dossetti, il quale invitava i giovani a non avere prevenzioni rispetto alla Costituzione del 1948 soltanto perché opera di una generazione ormai trascorsa. «La Costituzione americana - egli disse - è in vigore da duecento anni, e in questi due secoli nessuna generazione l'ha rifiutata o ha proposto di riscriverla integralmente». Non ci lasciamo influenzare da seduttori fin troppo palesemente interessati; e non lasciamoci neppure turbare dal rumore confuso di fondo che accompagna l'attuale dialogo nazionale, perché, semmai, è proprio nei momenti di confusione o di transizione indistinta che le Costituzioni adempiono la più vera loro funzione, cioè quella di essere per tutti punto di riferimento e di chiarimento.
Non ce lo togliete questo punto di riferimento e di chiarimento! Se andrete fino in fondo, il popolo italiano se lo riprenderà. Allora, sarà ancora più forte; ma voi, a quel punto, sarete stati spazzati via (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, signor presidente e relatore per la I Commissione, colleghe e colleghi deputati, oggi, 15 settembre 2004, ci troviamo a discutere questo ampio progetto di revisione costituzionale (che riguarda, com'è stato mille volte ripetuto, ben 43 articoli della Costituzione) non nel vuoto di un precedente percorso riformatore.
Poiché se n'è parlato tante volte anche da parte di esponenti del centrosinistra, specialmente con riferimento alle accuse rivolte dal centrodestra, ricordando come si sono svolti i fatti nella passata legislatura, vorrei cominciare proprio da questo punto il mio ragionamento (quasi un heri dicebamus), che cercherò di svolgere con assoluta pacatezza, con spirito di dialogo, di confronto e di riflessione anche quando esso suoni fortemente critico.
Ovviamente, come tutti ricordiamo, il percorso riformatore ha antecedenti assai più lontani nel tempo. Penso ai vari Comitati per le riforme istituzionali costituiti da Camera e Senato già nell'VIII legislatura. Penso alla cosiddetta Commissione Bozzi, una bicamerale con meri poteri consultivi istituita nella IX legislatura. Penso ad un messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica Cossiga nel corso della X legislatura. Nell'XI legislatura, che durò molto poco (soltanto due anni), penso alla Commissione bicamerale conosciuta con i nomi dei presidenti che si succedettero alla sua guida, De Mita - il quale, ieri, ha svolto uno splendido intervento in quest'aula - e la compianta presidente Iotti (quella Bicamerale non concluse i suoi lavori proprio a causa dello scioglimento anticipato delle Camere).
Penso alla XII legislatura, durante la quale furono tentate varie ipotesi di modifica, soprattutto sul terreno dell'iniziativa governativa, non parlamentare. Penso (e da questo voglio ripartire) alla scorsa legislatura, la XIII, che, come il presidente Violante ha giustamente ricordato ieri, iniziò con una proposta avanzata dal centrosinistra (allora maggioranza in questo Parlamento), riguardante l'istituzione di una seconda (terza, se comprendiamo anche la Commissione Bozzi della IX legislatura) Commissione bicamerale con poteri referenti con legge costituzionale in deroga al vigente articolo 138 della Costituzione.
A chi afferma che il centrosinistra della scorsa legislatura ha compiuto forzature unilaterali vorrei ricordare pacatamente che la XIII legislatura è iniziata con l'approvazione pressoché unanime (con pochissimi voti contrari) della legge costituzionale istitutiva della Bicamerale (che ha assunto il nome di Bicamerale D'Alema, dal nome, appunto, del suo presidente). La Commissione svolse un lavoro proficuo durante tutto il 1997 (la prima sessione si concluse a giugno, la seconda a novembre), coinvolgendo ampiamente nella seconda sessione molti parlamentari che, sebbene non facessero parte della Commissione, avevano diritto di presentare proposte emendative. Successivamente, in occasione dell'esame in Assemblea, il banco del Comitato dei nove fu ampliato per consentire ai rappresentanti del Senato (per la prima volta nella storia e non in seduta comune) di partecipare ai lavori con un proprio relatore. Tale esame, iniziato verso la fine del mese di gennaio del 1998, fu interrotto in modo traumatico (lo ricordo come se fosse oggi) il 2 giugno 1998, il giorno della festa della Repubblica, quando, dai banchi del centrodestra, Silvio Berlusconi, all'epoca leader dell'opposizione e in particolare del maggior partito dell'opposizione, Forza Italia, si alzò e dichiarò che Forza Italia non era più disponibile a completare il percorso di revisione costituzionale con le procedure della Commissione bicamerale. Ricordo ancora un Gianfranco Fini deluso ed amareggiato che disse: accettiamo, ma non siamo d'accordo. Ricordo (forse è giusto farlo in quest'aula), il compianto Tatarella che, in quest'aula, si alzò e disse: Bicamerale addio; ci costringono a fare questo, ma non siamo d'accordo; arrivederci riforme.
So, perché lo ho anche scritto, che le ragioni, le cause e le responsabilità della conclusione traumatica di quel lavoro non sono attribuibili soltanto all'intervento del presidente di Forza Italia di allora, Berlusconi. So che le cause sono state più complesse ed intersecate; per alcuni aspetti trasversali. Ma so anche che chi allora decise comunque di interrompere in modo traumatico quell'esperienza fu il leader di Forza Italia.
Nonostante ciò, nel corso di quella legislatura, sia in quest'aula sia in quella del Senato, riprendemmo faticosamente il processo riformatore in cui il «rovesciamento del tavolo» (uso un termine atecnico) della Bicamerale certamente avrebbe legittimato a ben altre conseguenze. Al Senato il relatore fu Marcello Pera. Guardate: il centrosinistra della scorsa legislatura ha ripetutamente nominato relatori in materie di questa delicatezza esponenti del centrodestra di allora che era opposizione. Marcello Pera fu allora relatore della riforma costituzionale in materia di giusto processo che riprendeva alcune delle mie proposte presentate in Bicamerale ed altre le completava per la riforma dell'articolo 111 della Costituzione. Il centrosinistra, maggioranza di allora, nominò un relatore del centrodestra.
In questa Camera dei deputati - i colleghi se lo ricordano - discutemmo la legge sul conflitto di interessi, e la presidente Iervolino - non vorrei sbagliarmi, ma credo fosse lei presidente in quel momento (comunque un esponente del centrosinistra) - nominò relatore Franco Frattini, sulla legge del conflitto di interessi! Questo è lo stile con cui ha lavorato il centrosinistra nella scorsa legislatura! E sento giudizi sprezzanti da parte di alcuni, e qualche volta ammissioni di colpa da parte perfino di esponenti del centrosinistra, che non condivido! Io, che in genere sono molto critico e autocritico sulla parte a cui appartengono, non condivido questi giudizi, perché non è stato così!
Abbiamo fatto - prendetevi la Costituzione vigente e andate a vedere in nota le date delle leggi costituzionali - la più grande riforma in materia di forma di governo nella scorsa legislatura, dopo quella, con legge ordinaria, in materia di sindaci e presidenti della provincia del 1992-1993; abbiamo riformato la forma di governo regionale e abbiamo dato autonomia statutaria alle regioni, e l'abbiamo fatto, ad eccezione forse - se non ricordo male - dei colleghi di Rifondazione, che sono sempre stati contrari alle elezioni dirette in qualunque forma e in qualunque ipotesi, all'unanimità. Ed era già avvenuto il trauma del blocco della Bicamerale. L'abbiamo approvata all'unanimità! E se non ricordo male una di queste proposte di legge aveva la prima firma di Veltroni, un'altra aveva la prima firma del sottoscritto; abbiamo lavorato insieme, maggioranza e opposizione. E ancora una volta devo fare il nome del collega Frattini, che era membro della I Commissione (ma non solo lui, anche altri), e ricordare che abbiamo approvato pressoché all'unanimità quella che è stata una «rivoluzione istituzionale» nell'assetto delle regioni, nelle quali a volte si cambiavano persino 3-4 governi nel corso di una legislatura, e non c'è più stata una crisi regionale da allora! Non che non ci siano problemi nelle regioni, ci sono, ma una crisi istituzionale o ribaltoni da allora non ce ne sono più stati. E quanti ribaltoni c'erano stati nelle regioni, specialmente del sud prima di quella riforma! L'abbiamo fatta pressoché all'unanimità, con il centrosinistra che era maggioranza.
Abbiamo completato la legislatura - e questa sarebbe la grande colpa del centrosinistra, che anche da parte dello stesso centrosinistra qualche volta si ammette (ma io non la ritengo tale; e non voglio essere arrogante) - con una riforma stralcio solo di alcuni articoli del Titolo V (perché anche la riforma della forma di governo regionale era contenuta nel Titolo V). Sapevamo perfettamente che bisognava completarla con la riforma della Corte costituzionale, della composizione della Corte; sapevamo perfettamente che non esiste al mondo sistema federale che non comporti una riforma del Parlamento con un bicameralismo differenziato. Lo sapevamo! Gli atti parlamentari sono pieni di questa consapevolezza! Ma, proprio per rispetto del Parlamento - ed eravamo nella fase finale della legislatura -, avevamo deciso di limitarci a quelle materie essenziali per le regioni che avevano assunto l'autonomia statutaria, che per la prima volta si potevano scrivere il proprio statuto, per la prima volta si potevano dare la legge elettorale, sia pure nel quadro dei principi stabiliti con legge nazionale. Quelle regioni che ci venivano a dire un giorno sì e un giorno no (Ghigo in testa): ma noi che ce ne facciamo dell'autonomia statutaria se voi non ci date nuove competenze?
Allora, abbiamo deciso di prendere il testo approvato all'unanimità in Bicamerale e confermato pressoché all'unanimità! Faccio sempre salvi - con beneficio di inventario - i colleghi di Rifondazione, perché su varie questioni dissentirono allora, ma tutto il resto del Parlamento votò in quest'aula, nella primavera del 1998, la riforma della forma di Stato, perché da lì partimmo! Non partimmo dalla forma di governo, non partimmo dal bicameralismo, non partimmo dal tema di cui ero io il relatore (il sistema delle garanzie): partimmo dalla forma di Stato! E quindi quel testo l'aula della Camera, con le procedure della legge istitutiva della Bicamerale, l'aveva approvato! Certo, non era entrato in vigore, ovviamente, ma era stato approvato in modo - come si dice - bipartisan (centrodestra e centrosinistra).
Alla fine di quella legislatura, il centrodestra decise che il centrosinistra non poteva andare alle elezioni - lo dico tra virgolette - con il «merito» di aver varato anche la riforma importante. Importante non vuol dire perfetta; tutto ciò che facciamo è perfettibile, e tutto ciò che facciamo può avere errori, limiti e contraddizioni: sono i limiti umani, anche della politica!
Ma il centrodestra decise a quel punto di opporsi. Ricordo che i colleghi del gruppo della Lega Nord - anche se in questo momento non ce n'è nessuno in aula - dissero ad un certo punto: basta che voi togliate l'aggettivo «federale» (che pure avevamo inserito) dal nuovo Titolo V della Costituzione e noi accetteremo quel testo. In seguito, togliemmo consapevolmente l'aggettivo «federale», perché era giusto, dal momento che era solo un pezzo del sistema, non tutto l'ordinamento della parte II della Costituzione, ma allora si opposero ancora.
Mi ha fatto un certo effetto, in senso positivo - collega e amico Brancher, lo riferisca al ministro Calderoli, che mi dispiace non possa essere presente in questo momento, ma non intendo muoverle una critica, perché lei lo rappresenta benissimo -, ascoltare il ministro Calderoli dare atto pubblicamente, in quest'aula, al centrosinistra, dopo tutte le polemiche di questi tre anni, di aver approvato la riforma del Titolo V della Costituzione. Devo dargli atto di onestà intellettuale, perché subito dopo di lui intervenne l'onorevole Follini (sto parlando del 3 agosto), il quale disse che non condivideva il giudizio positivo espresso dal ministro Calderoli.
Do atto alla lealtà intellettuale del ministro di aver riconosciuto, in quest'aula - ed è riportato nel resoconto stenografico di quella seduta -, la positività (anche se positività non vuol dire perfezione) di quella riforma. Ma ciò perché l'avevamo fatta insieme: ci abbiamo lavorato per tutto il 1997, l'abbiamo discussa per tre mesi in questa Assemblea nel 1998 e l'abbiamo ripresa in I Commissione. Vorrei ricordare che il vigente articolo 119 della Costituzione della Repubblica italiana (federalismo fiscale), approvato nell'ambito della riforma del Titolo V della Costituzione, lo hanno scritto a quattro mani - forse a due mani, ma sicuramente a due teste -, assieme a noi che eravamo presenti, uomini che si chiamavano e si chiamano Giulio Tremonti del centrodestra e Michele Salvati del centrosinistra! Lo hanno scritto sul tavolo della I Commissione, presenti il sottoscritto, gli onorevoli Soda e Cerulli Irelli (che erano i due relatori), l'onorevole Frattini e vari altri colleghi! Lo hanno scritto materialmente loro, perché li ritenevamo più competenti di noi, e vorrei segnalare che né l'uno, né l'altro erano membri della I Commissione.
Così abbiamo lavorato nella scorsa legislatura, ma che ci veniate a dire - e che qualcuno nel centrosinistra, sbagliando, lo ripeta - che noi abbiamo la colpa di aver imposto al Parlamento, con pochi voti di scarto, una riforma che abbiamo fatto da soli è un falso storico: non è andata così!
La votazione finale è stata un voto di quel tipo, tanto è vero che da questo posto, dove mi trovo in questo momento, rivolto agli amici e colleghi del gruppo di Alleanza nazionale (dico amici perché non ritengo di aver nemici in quest'aula, anche se ho degli avversari), dissi: voi minacciate di chiedere il referendum, ma io vi dico che noi del centrosinistra promuoveremo il referendum confermativo, e sarà il primo referendum confermativo dal 1948!
Infatti, nessun pezzo della nostra Costituzione (non è una critica, ma una constatazione storica) è mai stato confermato dal voto popolare, se non la riforma del Titolo V della Costituzione, approvata dalla maggioranza del popolo italiano nel referendum confermativo - che era, al tempo stesso, positivo, poiché anche il centrodestra lo aveva promosso, pur avendolo perso - nell'ottobre del 2001; se non ricordo male, era anche il giorno dell'inizio dell'attacco all'Afghanistan.
Vorrei ricordare, dunque, che prima non si era mai svolto un referendum costituzionale nel nostro paese; c'è stato, ma non perché lo aveva minacciato il centrodestra. Il centrodestra lo ha legittimamente promosso, poiché così prevede l'articolo 138 della Costituzione, ma noi del centrosinistra, che avevamo approvato quella riforma e che eravamo consapevoli di averla varata sulla base di un lavoro collegiale, svolto sia da questa Assemblea, sia da quella del Senato - ma soprattutto da questa Assemblea e dalla I Commissione della Camera dei deputati -, abbiamo detto: non abbiamo paura del referendum e lo promuoveremo anche noi. Anzi, vorrei ricordare che lo abbiamo promosso per primi: credo ci siamo rincorsi di poche ore.
Forse sarà bene che agli atti parlamentari, per quel tanto che valgono - ma valgono, specialmente in materia di revisione costituzionale -, resti di nuovo traccia di tutto ciò, poiché sento dire in televisione e nei discorsi politici del centrodestra, in modo aggressivo, che fu una scelta sbagliata, ed in quelli del centrosinistra, in modo autoflagellatorio che sì, è vero, abbiamo sbagliato, ma voi non dovete ripetere il nostro errore!
Non è così. Non è andata così! Non è andata così e Ghigo, che non mi risulta appartenere allo schieramento del centrosinistra, veniva in questa sede un giorno sì e un giorno no, con tutta la delegazione dei presidenti delle regioni, a chiederci di completare, sia pure in forma di stralcio - e non a dettarci i contenuti, che sarebbe scorretto, quella riforma ed a proporci - come è giusto che sia - le esigenze e le istanze del sistema delle autonomie, in particolare del sistema delle autonomie regionali. Così è andata nella scorsa legislatura ed io non sono disposto ad autoflagellarmi per questo.
Certo, avrei preferito anch'io che, come abbiamo votato un anno e mezzo prima il giusto processo, le autonomie statutarie e le elezioni dei presidenti delle regioni in modo pressoché unanime, avessimo potuto votare in modo pressoché unanime - visto che l'avevamo scritta insieme - anche la riforma del Titolo V della Costituzione.
Ma non si può accusare il centrosinistra, se all'ultimo momento qualcuno si sottrae al processo riformatore, di essere responsabile di ciò. Non è piaciuto neanche a noi votare tale riforma con pochi voti di scarto, ma non avevamo deciso di rifiutare il confronto, di rifiutare il dialogo, di chiuderci - non a Lorenzago, ma forse all'abbazia di Monteveglio, che è un po' più dignitosa come sede - per scriverci da soli le nostre riforme. Noi, le nostre riforme le abbiamo scritte nell'aula della I Commissione e, in precedenza, nella Sala della Regina, dove si riuniva la Bicamerale. Lì le abbiamo scritte. Non nelle baite.
In questa legislatura sono stati persi oltre due anni, ossia tutta la prima parte della legislatura stessa, salvo l'approvazione - quella sì imposta, anche a voi, colleghi del centrodestra - della cosiddetta devolution ossia un unico articolo, isolato da qualunque ambito e contraddittorio con il contesto in cui s'inseriva. Ancora oggi, se voi voleste, potreste imporci, la prossima settimana, di convocare le Assemblee della Camera e del Senato e di approvare in seconda lettura la devolution, perché già pendente in prima lettura. Non l'avete fatto - e ciò è un dato positivo -, ma ci avete portato via mesi a discutere solo di una devolution imposta in modo totalmente anomalo e isolato da qualunque contesto istituzionale e costituzionale.
Ho già citato la famosa - o famigerata, ma comunque un po' risibile - riunione dei «saggi» a Lorenzago, nell'estate del 2003 e, poi - ciò è corretto - l'approvazione in sede istituzionale del Consiglio dei ministri di un disegno di legge predisposto dal Governo (ciò, ripeto, è, dal punto vista procedurale, del tutto corretto).
Noi, fin dall'inizio, abbiamo detto che ritenevamo giusto affrontare il completamento delle riforme costituzionali: l'avevamo detto alla fine della scorsa legislatura che bisognava completare il disegno riformatore in materia di forma del governo, di forma di Stato, di bicameralismo, di sistema delle garanzie della seconda parte della Costituzione, l'ordinamento della Repubblica.
Tuttavia, nessuna, neanche la pur minima, occasione di incontro e di dialogo è stata accettata, richiesta o proposta dal centrodestra al centrosinistra. Tanto era preso il centrodestra, la Casa delle libertà dagli scontri e dalle tensioni interni, dal rischio che ogni giorno si sfasciassero la coalizione e la maggioranza, a causa dei contrasti tra l'uno e l'altro gruppo, che l'esistenza in questo Parlamento di una minoranza, anche se un po' consistente, come quella del centrosinistra, è stata totalmente pretermessa.
Voi avete fatto come se noi non ci fossimo. Alcuni di voi si sono riuniti a Lorenzago. Il Governo ha, ovviamente, predisposto il suo disegno di legge, le forze politiche del centrodestra si sono riunite per decidere come farsi concessioni reciproche: io ti do la devolution, e tu non me la tocchi; io do a te l'interesse nazionale e non te lo tocco; io ti do il premierato assoluto e non te lo tocco; io do a te il Senato federale - anche se è federale solo di nome e non di fatto - e non te lo tocco!
Scusate colleghi, presidente Bruno, sottosegretario Brancher: questa è stata la storia fino a pochi giorni fa. E non potete negarlo, perché abbiamo detto e scritto ripetutamente, prima di tutto nelle sedi istituzionali, che noi siamo favorevoli e disponibili a confrontarci con voi in materia di forma di governo, di forma di Stato, di superamento del bicameralismo perfetto, per arrivare ad un bicameralismo differenziato in relazione al sistema federale e in materia di rafforzamento del sistema delle garanzie in generale, ma anche, in particolare, sul tema specifico della Corte costituzionale.
E ve lo abbiamo dimostrato a tal punto che, in Commissione, dopo il dibattito generale in cui abbiamo detto per l'ennesima volta queste cose e abbiamo ascoltato 36 esperti, prevalentemente costituzionalisti ma anche alcuni politologi e storici, proposti dal centrodestra e dal centrosinistra, tutti più o meno pesantemente critici sul testo pervenuto dal Senato, vi abbiamo invitato a fare tesoro di tali rilievi. Quelli di Magna Charta gravitano nell'area centrodestra, eppure hanno scritto cose pesantissime su quel testo. Quelli di Magna Charta è una brutta espressione: intendevo riferirmi ai costituzionalisti che fanno riferimento alla fondazione Magna Charta promossa o ispirata dal Presidente del Senato Marcello Pera (questa è l'esatta definizione). Essi ieri pomeriggio alle 17 hanno tenuto un convegno e Società aperta ha tenuto un altro convegno sempre ieri pomeriggio alle 17. Ed hanno redatto un libro, pubblicato non da l'Unità, ma come supplemento a Il Foglio, di grande interesse e fortissimamente critico: ve ne siete disinteressati.
In I Commissione, in sede referente, abbiamo presentato un centinaio di emendamenti. Sapete quanti emendamenti sono stati presentati in questa sede? Si parla dell'ostruzionismo del centrosinistra, dei migliaia di emendamenti presentati dal centrosinistra che non vuole procedere. Sono stati presentati oltre 400 emendamenti, circa 430: 100 dell'opposizione e oltre 300 del centrodestra! Questo è avvenuto in I Commissione dopo le opportune e interessantissime audizioni del tutto ininfluenti sul lavoro successivo. Cento emendamenti noi, 330 voi, come gruppi o come singoli parlamentari del centrodestra!
Credo che me ne dobbiate dare atto, perché fanno fede gli atti parlamentari: non vi è stato un solo momento di vero confronto, e sottolineo: uno solo! Anzi, uno vi è stato ed ha riguardato la riduzione da quaranta a venticinque anni dell'età dei senatori, che adesso avete riportato di nuovo a quaranta. Era l'unico nostro emendamento che avevate accettato, ma adesso avete innalzato nuovamente l'età a quarant'anni. Diciamo che la logica di autotutela dei senatori ha prevalso: sono quelle cose umane che si possono capire, ma non accettare.
Avete rifiutato per oltre un anno qualunque reale confronto parlamentare, tramutando la riforma costituzionale, purtroppo, in uno scambio politico all'interno della maggioranza: io ti do il premierato assoluto, tu mi dai la devolution; io ti do l'interesse nazionale e tu mi dai il Senato federale, senza riuscire a proporre una riforma equilibrata con una sua coerenza sistematica.
Del risultato ne hanno parlato gli onorevoli Bressa, Leoni, Amici e ne avevano già parlato il presidente Violante, il presidente Castagnetti, l'onorevole Mattarella e via dicendo. I colleghi del centrosinistra ne hanno già parlato e proprio perché voglio dare un taglio diverso al mio intervento non ripeto queste considerazioni e mi richiamo ai loro interventi, con le sfumature di ciascuno di noi nella sua soggettività. Il risultato - parlo del testo del Senato e di quello della Commissione alla Camera - è il seguente: un premier onnipotente che soffoca e svuota il Parlamento e soffoca e svuota la stessa propria maggioranza; un Senato che di federale ha solo il nome, ma in realtà prevede la subordinazione dell'intero sistema delle autonomie a se stesso come struttura centrale e non ha alcun carattere effettivamente federale; un procedimento legislativo che, in realtà, prevede di fatto il rischio di una paralisi sistematica nel rapporto tra Camera e Senato, un procedimento legislativo confuso e forse inestricabile e una devolution sulla quale userei toni meno eclatanti di qualche mio collega. Essa è pasticciata, è brutta per com'è scritta, ma non sarà la fine dell'Italia. È una devolution che va ad intersecarsi con competenze esclusive dello Stato, con competenze concorrenti fra Stato e regioni e con competenze esclusive delle regioni. Nelle stesse materie vi sono competenze esclusive dello Stato e delle regioni e competenze concorrenti. Tutto questo sarà foriero di molti conflitti istituzionali di fronte alla Corte costituzionale. È inevitabile!
Ripeto: io non penso, a differenza di altri, che la devolution sia la fine del mondo; determinerà invece una confusione ed un conflitto interistituzionale permanenti.
La reintroduzione dell'interesse nazionale, che noi volutamente avevamo eliminato nella scorsa legislatura con la riforma del Titolo V, sapendo che occorreva reintrodurre quella che in dottrina si chiama la clausola di salvaguardia e che cinquant'anni fu scritta, con l'articolo 72 della Grundgesetz della Repubblica federale di Germania; cinquant'anni dopo, se adottiamo un sistema federale, dobbiamo inserire tale clausola nella Carta costituzionale italiana. È giusto: qual è però la logica dell'interesse nazionale, quando nell'articolo 114 abbiamo scritto che comuni, province, regioni, città metropolitane e Stato costituiscono la Repubblica? Che logica ha tutto questo nell'anno di grazia 2004?
Vi è anche una pesante alterazione della Corte costituzionale - ricordatevi il testo licenziato dal Senato -, che vede la nomina di sette giudici da parte di questo pseudo Senato federale: 7 su 15! Lo so, amico e collega Saponara, che adesso si registra un cambiamento. Lo so, ma sto dicendo che un anno è passato in questo modo, un intero anno è trascorso!
In Commissione affari costituzionali, sia pure con la civiltà ed il rispetto del dialogo fra di noi, che non è mai venuto meno e del quale dò atto non soltanto al collega ed amico Bruno ma a tutti noi - i rapporti personali tra di noi sono infatti di assoluta civiltà -, dal punto di vista politico ed istituzionale si è avuto il muro contro muro. Ma non il nostro muro: voi non avete avuto il nostro ostruzionismo. Noi abbiamo avuto il vostro ostruzionismo! Voi avete fatto ostruzione rispetto a qualsiasi proposta emendativa avanzata da parte nostra.
E se osavo chiedere al collega Anedda, primo firmatario, di spiegarci almeno il contenuto di qualche vostro emendamento, mi si rispondeva sprezzantemente che non si intendeva neanche spiegarlo. Il collega Bruno, presidente della Commissione e relatore del provvedimento, talvolta suppliva, ma non era lui il firmatario degli emendamenti!
Questo è stato il clima dei mesi di giugno e luglio in sede di I Commissione; è stato l'opposto rispetto al metodo utilizzato dal centrosinistra con voi nella scorsa legislatura (l'ho ricostruito nella prima parte del mio intervento che mi accingo a concludere).
In conclusione, sempre nello spirito al quale mi sono improntato, anche nell'alzare la voce, perché il dialogo è svolto in amicizia se ci si rispetta e non ci si raccontano storie l'uno con l'altro, ricordo che la nomina del ministro Calderoli è avvenuta a fine luglio. Do atto che in modo tardivo, e per lo più extraistituzionale, se non altro perché le Camere osservano un periodo di chiusura che si è protratto sino a pochi giorni or sono ( anzi per il Senato non si è ancora concluso) - tutto in sede extraistituzionale -, vi è stato un inizio di dialogo e di confronto.
Dal momento che io cerco di non essere settario, do atto che è cominciato da qualche settimana il tentativo di mutare questo metodo imposto prepotentemente per un intero anno.
Tutto finora si è svolto in sedi extraistituzionali ed ora abbiamo da poche ore in mano il «pacchetto» degli emendamenti presentati dalla Casa delle libertà (non posso esaminarli uno per uno, dal momento che il tempo a mia disposizione sta esaurendosi). Da una breve lettura, sia pure in modo contraddittorio - basti pensare che si introduce la clausola di salvaguardia, ma si mantiene l'interesse nazionale: fanno a pugni nella logica di un sistema federale - do atto, più di quanto abbia fatto qualche collega che mi ha preceduto, che magari non ha avuto modo di approfondire il tema, che vi è comunque un primo parziale e limitato, ma significativo, indice di un'inversione di tendenza.
Ciò rappresenta, sia pure in modo parziale e per alcuni aspetti contraddittorio (nel senso che si conviene sulla clausola di salvaguardia, ma essa fa a pugni con l'interesse nazionale, sul quale non si conviene affatto), un primo segno di apertura al confronto parlamentare. Abbiamo tuttavia «perso» l'intera sede referente, che poteva essere un luogo privilegiato, sereno ed in qualche modo, scusandomi per l'espressione universitaria, seminariale, di occasione e di confronto, costruzione e dialogo. L'abbiamo «persa» interamente; anzi, l'avete «persa» interamente perché ce lo avete impedito!
Penso che dobbiamo accettare con prudenza e cautela, perché siamo stati scottati troppo in questo anno, tale pur tardivo terreno di confronto, anche mantenendo le nostre radicali riserve critiche soprattutto sul premierato assoluto, sul modo in cui si imposta il bicameralismo e sul procedimento legislativo. Sia pure con radicali critiche, credo che dobbiamo almeno accettare tale terreno di confronto sapendo, comunque, che alla fine il giudizio lo daranno i cittadini.
PRESIDENTE. Onorevole Boato...
MARCO BOATO. Signor Presidente, se mi lascia un minuto concludo prospettandovi uno scenario alternativo di cui ho parlato stamattina a lungo con il collega Maccanico, che forse adesso non è in aula.
Dovremmo, innanzitutto, completare l'esame e l'approvazione, apportando le opportune modifiche, di questa riforma in prima lettura. Si tratta di approvare, con la doppia lettura effettuata nel giro di tre mesi, perché potremmo farla con la maggioranza di più di due terzi e, quindi, senza possibilità di referendum, una legge costituzionale ad hoc (che è già depositata) per l'istituzione di un'Assemblea per la revisione costituzionale della parte II della Costituzione, cui attribuire poteri di revisione costituzionale con deroga all'articolo 138 che, non a caso, è stato scritto originariamente per modifiche puntuali e parziali e non per un cambiamento radicale della Costituzione, come testimoniano tutte le Commissioni bicamerali che ho prima ricordato.
L'Assemblea per la revisione costituzionale potrebbe partire dal testo approvato in questa sede ed al Senato in prima lettura. Ciò eviterebbe anche il referendum e porterebbe alle elezioni con sistema proporzionale, eventualmente con liste bloccate, della suddetta Assemblea. In tal modo supereremmo la logica del maggioritario, giusta per la governabilità, solo per la revisione costituzionale ed avremmo, forse, messo in atto una capacità di riforma organica che chiuda consensualmente la transizione infinita dal vecchio al nuovo sistema politico istituzionale (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Verdi-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fassino. Ne ha facoltà.
PIERO FASSINO. Signor Presidente, l'onorevole Boato ha già richiamato le molte ragioni che suscitano in noi dell'opposizione innanzitutto sconcerto per come la materia è stata affrontata. È di poche ore fa un discorso del Presidente della Repubblica in visita a Piacenza che ha, non a caso nella giornata di oggi, richiamato alla necessità che le riforme istituzionali e costituzionali siano di più larga condivisione e non prescindano mai dall'interesse generale a cui devono essere finalizzate.
Non credo che il Capo dello Stato abbia voluto fare tale richiamo in termini formali e rituali. Credo che quelle parole manifestino una vera preoccupazione di fronte ad alcune proposte che, finora, non sono il frutto di un confronto e di una condivisione, regola fondamentale quando si affrontano riforme istituzionali e costituzionali. Non credo sia neanche rituale e formale il richiamo alla necessità di salvaguardare l'interesse generale, di cui l'unità nazionale è una delle espressioni ma non l'unica, che non è soddisfatto in modo adeguato dalle proposte che voi venite avanzando.
La prima questione riguarda proprio il metodo: avete replicato un metodo cui ci avete già abituato altre volte. Ricordo per la memoria dei colleghi il dibattito sulla riforma del sistema previdenziale. In tale occasione avete rigettato tutti gli emendamenti da noi presentati al Senato salvo poi, in riunioni convulse di maggioranza, decidere di cambiare il vostro disegno di legge esattamente nella direzione auspicata dall'opposizione, almeno per alcune parti, non riuscendo a spiegare a nessuno in Parlamento e nel paese perché una cosa respinta tre mesi prima fosse invece assolutamente condivisibile tre mesi dopo.
Questo metodo voi lo state adottando anche adesso e ciò è tanto più grave perché stiamo parlando di riforme istituzionali e costituzionali, cioè di riforme che per definizione dovrebbero essere frutto di una larga condivisione. Non c'è Costituzione al mondo che non preveda meccanismi e procedure di revisione e riforma costituzionale che sollecitino un confronto che vada al di là del semplice principio di maggioranza e al di là della semplice responsabilità della maggioranza del Governo in carica. In qualsiasi paese civile, in qualsiasi nazione democratica, le riforme istituzionali e costituzionali sono sollecitate, nelle metodologie e nelle procedure, come oggetto di una convergenza, di una condivisione e di un confronto, ed è evidente che sia così. Si tratta, infatti, di definire le regole del gioco, laddove queste per definizione sono definite dagli attori, dai giocatori. Se le regole del gioco sono definite soltanto da una parte di coloro che giocano, fatalmente il rischio è quello di introdurre una parzialità ed una faziosità nella gestione del processo, che altera e rende vano lo stesso processo di riforma.
Colgo questa occasione per mettere in guardia anche dal facile dibattito che in Italia ha preso piede, per cui ad ogni piè sospinto si discute di cambiare le leggi elettorali. Vorrei far notare che, nelle democrazie mature e forti, le leggi elettorali si cambiano - quando va bene - una volta ogni cinquant'anni. Ciò non è un caso, dal momento che le leggi elettorali devono essere finalizzate non a garantire la convenienza elettorale di qualcuno nel breve termine, ma a stabilire regole generali, che assicurino un'imparzialità ed un'efficienza di rappresentanza. Il fatto che invece, in Italia, costantemente e periodicamente ci sia qualcuno che pensa di cambiare le leggi elettorali e che magari il dibattito si infiammi ogni qual volta si è votato - e chi propone di cambiarle è chi ha perso - non va bene, perché è un altro modo per affrontare un tema costituente in maniera francamente poco condivisibile.
Sono partito da qui - ringrazio il ministro Calderoli per essere rientrato in aula - per dire che c'è una questione di metodo, che noi sollecitiamo ancora il Governo a valutare con attenzione. Ha detto bene il collega Boato: tutta la sede referente in Commissione è stata del tutto vanificata dalla decisione della maggioranza di Governo di non fare della sede parlamentare, che per istituto dovrebbe essere la sede del confronto per la definizione del provvedimento legislativo, una sede di confronto vero. Questo perché eravate divisi, perché non avevate le idee chiare, perché uno voleva una cosa e l'altro voleva il suo opposto! Dunque, vi siete blindati nel rifiutare qualsiasi discussione, di fronte al fatto che, se si fosse aperto un confronto vero, per un verso sarebbero emerse le vostre divisioni, per altro verso probabilmente alcune proposte dell'opposizione avrebbero potuto anche trovare il consenso di una parte della maggioranza di Governo. Ma questo è un vostro problema! Non possono essere rovesciate le divisioni di una maggioranza politica sull'assetto istituzionale di un paese. Noi siamo qui, adesso, a discutere di riforme costituzionali, con un tempo di esame e di voto assolutamente minimo, il che in qualsiasi paese civile verrebbe considerato francamente anomalo.
Abbiamo ricevuto gli emendamenti che voi proponete questa mattina. Da domani si comincia a votare. Non credo che mai una revisione di parti della Costituzione, in nessun paese, sia stata affrontata con una tale ristrettezza di tempi, che fa pensare che in realtà, anche in questa fase finale del confronto, non si voglia un confronto con l'opposizione, ma - forti di avere qualche numero in più - semplicemente blindare una maggioranza e votarla. Chiedo quindi che almeno in questa ultima fase, visto che da domani in poi almeno una decina di giorni sarà dedicata a questo tema, vi sia da parte della maggioranza una considerazione del tema un po' più responsabile e un po' più coerente con la delicatezza di una revisione istituzionale e costituzionale come quella che stiamo affrontando.
Tutto ciò sul piano del metodo. Il che significa che presenteremo degli emendamenti, come è stato già annunciato, e che non considereremo questo deposito degli emendamenti un fatto formale. Mossi dallo spirito di contribuire effettivamente ad una modifica di parti della Costituzione e dell'assetto istituzionale che sia efficiente e coerente, chiediamo al Governo e alla maggioranza di esaminare questi emendamenti davvero e di farne oggetto di confronto. Detto questo, vogliamo dire alcune cose su quello che fin qui ci è stato proposto.
Sgombriamo il campo da una semplificazione del dibattito politico, che va bene forse per qualche gossip giornalistico, ma che tra di noi bisognerebbe togliere definitivamente. Non vi è una divisione tra la maggioranza di centrodestra, che vuole fare le riforme istituzionali, e la maggioranza di centrosinistra, che dice che nulla si deve toccare, perché nessuno ha mai posto la questione in questi termini. Chiunque si occupi di politica sa bene che ci troviamo in una lunga transizione politico-costituzionale incompiuta, avviata all'inizio degli anni Novanta per ragioni che tutti conosciamo, anche sotto l'incalzare di eventi e di fatti particolarmente sconvolgenti l'assetto politico.
Nel corso di quella transizione, da una parte, si è modificato il panorama dei soggetti politici, per cui oggi siamo in presenza di una geografia politica radicalmente diversa da quella che soltanto poco più di dieci anni fa caratterizzava la vita del paese, e, per altro verso, si sono messe in campo riforme istituzionali, costituzionali o di aspetti di natura istituzionale che hanno cambiato il sistema politico italiano.
Pertanto, siamo passati da un sistema politico di tipo proporzionale ad uno di tipo maggioritario; abbiamo cambiato, salvo che per il Parlamento europeo, le leggi elettorali di tutti i livelli istituzionali del nostro paese; abbiamo, attraverso la riforma del Titolo V, ridefinito le relazioni tra lo Stato centrale ed il sistema dei poteri regionali e degli enti locali; attraverso la legge n. 59 del 1997, abbiamo introdotto significative riforme nella pubblica amministrazione. Attraverso una serie di riforme di carattere ordinamentale e di tipo ministeriale, abbiamo cambiato molti rapporti tra amministrazioni centrali e regionali.
Siamo, quindi, all'interno di un processo di riforma che, però, non è compiuto, come sappiamo, perché è stato avviato il bipolarismo, ma il sistema parlamentare continua ad essere ispirato alla regola ed ai criteri del proporzionale. Con la riforma del Titolo V è stata avviata una riforma federale dello Stato, senza riformare il Parlamento nella stessa chiave. È stato adottato il maggioritario, che attribuisce ovviamente a chi governa il vantaggio, consapevolmente, di una larga maggioranza in Parlamento, senza riequilibrare ciò, come in tutti gli ordinamenti moderni, introducendo un sistema di check and balances per consentire alle opposizioni di veder riconosciute le loro prerogative.
Sono aspetti su cui si è intrattenuto l'altro giorno, in un intervento che ho molto apprezzato, l'onorevole De Mita, il quale ha indicato tutte le contraddizioni non risolte di un sistema istituzionale che ha bisogno di trovare compimento in questa transizione. Anzi, se vogliamo essere onesti tra di noi, possiamo tranquillamente dire che la transizione è stata anche troppo lunga e, forse, la complessità del suo compimento sta nella lunghezza dei tempi di questa transizione.
Il percorso istituzionale è in evoluzione da più di dieci anni; in particolare, è dal 1993, dal primo referendum che portò alla modifica della legge elettorale, che si assiste ad un cambiamento progressivo degli aspetti istituzionali e costituzionali della vita del nostro paese.
Non credo che faccia bene ad alcuna nazione stare nella condizione di permanente transizione politica ed istituzionale, tanto più quando questa dura da più di dieci anni. Quindi, il problema del compimento della transizione lo avvertiamo anche noi come essenziale e la necessità di ridefinire compiutamente l'architettura istituzionale del nostro paese, in modo che consenta governabilità, stabilità, efficienza ed, al tempo stesso, rappresentanza (capacità di decisione e di rappresentanza), la avvertiamo anche noi.
È per tale motivo che ci siamo predisposti ad un confronto vero! Per tale motivo denunciamo il fatto che voi non ci avete consentito, nelle forme e nelle varie sedi, di avere un confronto vero, perché noi siamo i primi ad essere interessati a portare a compimento la transizione istituzionale e riteniamo di avere proposte da sottoporre al confronto.
Vorremmo una maggioranza di Governo che non fosse prigioniera di una concezione del bipolarismo come dominio della maggioranza, ma che fosse capace di misurarsi con le proposte dell'opposizione per costruire insieme un'architettura istituzionale e costituzionale in grado di funzionare.
Tra l'altro, siamo indotti a portare a compimento la transizione anche dal fatto che, a livello europeo, si sono compiuti nel frattempo scelte e processi, non ultimo la Costituzione europea, che ci sollecitano ulteriormente a definire ed a portare a compimento l'assetto istituzionale del nostro paese.
Noi parliamo di «compimento» e non di «stravolgimento». Il termine «compimento» ha un significato molto preciso: significa portare a termine un processo che è stato condotto in questi dieci anni. Invece, noi riscontriamo, o per le proposte del Governo o per suggestioni che maturano nella maggioranza di Governo, tendenze che non sono a compimento.
Infatti, vediamo emergere in qualcuno la nostalgia del passato mentre, in realtà, nell'assetto istituzionale del passato, non vi è nessuna «età dell'oro». Nessun assetto istituzionale è buono in sé o cattivo in sé, ma non credo che i problemi del compimento o della transizione politico-istituzionale italiana si possano soddisfare adeguatamente ritornando ad un assetto politico-istituzionale antecedente alle riforme avviate dal 1993 in poi, a partire dalla legge elettorale.
Non accettiamo stravolgimenti nella direzione di un modello di tipo plebiscitario che, invero, nelle vostre proposte è molto contenuto, in quanto le denunce che abbiamo avanzato per mesi rispetto alle proposte che originariamente avevate formulato hanno trovato consenso nel paese e, perfino nelle vostre file, non hanno potuto essere ignorate. In ogni caso, ci sono ancora suggestioni di tipo plebiscitario che, francamente, non ci convincono.
Le democrazie moderne non si governano con un uomo solo al comando - che nessuno abbia questa illusione -, bensì con la capacità di fornire rappresentanza alla molteplicità degli interessi e costruendo i modelli, i sistemi e le sedi della negoziazioni tra gli interessi. Dunque, deve trattarsi di modelli ispirati alla capacità di combinare rappresentanza e decisione, attraverso un rapporto che vede, nell'assetto istituzionale, una pluralità di soggetti e di protagonisti concorrere alla determinazione delle volontà comuni.
L'idea che, invece, tutto venga sostituito da un modello di tipo plebiscitario è, francamente, una scorciatoia. Probabilmente, anche in ciò vi è una propensione personale del Presidente del Consiglio che dovrebbe essere corretta. L'onorevole Berlusconi continua ad essere convinto che, se si occupa di un problema, quel problema automaticamente sarà risolto; vorrei che il Presidente del Consiglio prendesse atto che ciò non accade per nessun uomo al mondo.
Dunque, non stravolgimento ma compimento. Compimento vuol dire chiarire cosa significhi un sistema bipolare; fino ad oggi abbiamo avuto un bipolarismo che avete interpretato come dominio della maggioranza. A mio avviso, il bipolarismo deve essere mite, il che vuol dire non attenuare le reciproche responsabilità, funzioni e prerogative: chi governa ha il diritto di mettere in campo il programma sul quale ha raccolto il consenso degli elettori e di dar corso agli obiettivi che si è prefisso, e chi si oppone deve avere tutte le possibilità e le prerogative per manifestare nelle sedi istituzionali la propria funzione. Stante che, nelle democrazie moderne in cui si applica il bipolarismo, la funzione dell'opposizione non è di minore rilievo di quella di chi governa.
Ma il fatto che vi sia chi governa e chi si oppone non può mai far venir meno alcune regole fondamentali. In primo luogo, in una democrazia ci si riconosce; infatti, la forza di un sistema bipolare sta nel reciproco riconoscimento. Ogni atto che segni la negazione dell'altro indebolisce il bipolarismo, la sua credibilità e la sua capacità di corrispondere all'interesse del paese.
In secondo luogo, il fatto che vi siano responsabilità nettamente distinte tra chi svolge una funzione di Governo e che si oppone non può far venir meno la consapevolezza di una comune appartenenza ad una nazione, ad una comunità, ad un destino comune.
Se quanto sto affermando fosse scontato, non sarebbe stato salutato come un fatto clamoroso che i partiti di opposizione e di Governo si riunissero per salvare due vite umane. Se perfino per salvare due vite umane una riunione diventa un fatto clamoroso, vuol dire che qualcosa non funziona, che esiste una patologia nel sistema, che oggi è rappresentata da un bipolarismo che non è fondato sul reciproco riconoscimento. E la responsabilità principale - non nego che ve ne siano talora anche nell'opposizione - è di chi ha la maggioranza nelle sue mani e che non può interpretare il proprio ruolo come un dominio della maggioranza. D'altra parte, ne abbiamo avuto un esempio proprio in questa sede: una maggioranza che, avendo 100 voti in più, si rifiuta su una materia costituzionale di svolgere un confronto in Commissione è una maggioranza che non applica in modo corretto il sistema bipolare, in quanto nega all'opposizione qualsiasi riconoscimento politico, non consente all'opposizione di svolgere la sua funzione, paralizza la capacità del Parlamento di assolvere la funzione di rappresentanza e di legislazione.
Mettiamoci bene d'accordo su cosa è il bipolarismo. Io sono per un bipolarismo mite, che sia capace di riconoscere le funzioni e le prerogative di ciascuno, ma poi ciascuno, a partire dalle proprie funzioni, ha la capacità di riconoscere l'altro, di confrontarsi, di misurarsi, di non smarrire mai un aspetto fondamentale per la vita di qualsiasi nazione: l'interesse generale è un valore e viene prima degli interessi particolari. Guardate, non è un concetto così scontato.
Si vitupera spesso la prima Repubblica, ma la sua forza consisteva nel fatto che quella classe dirigente e quei partiti politici - che pure avevano molti difetti, alcuni dei quali hanno portato alla crisi di quella Repubblica - avevano un grande valore che non dobbiamo smarrire. Nella prima Repubblica, quelle classi dirigenti e quei partiti avevano un punto fondamentale nella loro formazione e nella loro funzione: il primato dell'interesse generale. Ciascuno sapeva che esisteva un punto oltre il quale l'affermazione del proprio interesse di parte non poteva andare. In questi anni tale valore in Italia si è smarrito. Per questo trovo molto grave che non si sia risolto il conflitto di interessi, perché è esattamente la manifestazione di questo problema. Va molto al di là della questione televisiva, «televisione o non televisione». È un problema di concezione della funzione delle istituzioni e della politica. L'interesse particolare è del tutto legittimo, ma non può mai sovrapporsi né prevaricare un interesse generale cui tutti dobbiamo conformare i nostri comportamenti.
Questo è un primo punto, e lo sottolineo perché la discussione fin qui non è stata condotta sulla base di tali criteri. Noi vogliamo sperare che, almeno in questa fase finale alla Camera, e poi quando le riforme passeranno al Senato, si voglia adottare un metodo diverso. Noi siamo pronti, anche perché lo abbiamo sempre invocato, ma abbiamo trovato una maggioranza sorda e cieca che, forte soltanto dei numeri, non ha consentito quel confronto che invece è necessario sviluppare, soprattutto quando si affrontano le questioni costituzionali in un sistema bipolare.
Affronto un altro aspetto, avviandomi più rapidamente al termine dell'intervento. L'Italia continua ad essere una Repubblica parlamentare; si tratta di un principio costituzionale che non è in causa, neppure nelle vostre proposte, almeno sul piano formale. Un sistema parlamentare non è necessariamente figlio soltanto di un sistema proporzionale; la Germania, ad esempio, è un paese in cui il bipolarismo è in vigore da molti anni, sia pure con caratteristiche diverse dalle nostre, ed è una repubblica parlamentare. In Inghilterra, dove il bipolarismo ha storicamente forse il punto di massima anzianità, vi è una repubblica parlamentare.
GIORGIO LA MALFA. Non è proprio una repubblica!
PIERO FASSINO. Non ha una repubblica, scusa. Ovviamente è una monarchia ad assetto parlamentare.
Anche l'Italia continua ad esserlo, però dalle vostre proposte ciò non risulta. Risulta invece uno stravolgimento dell'equilibrio fra le funzioni dell'esecutivo e le sue prerogative, che saremmo pure disposti a riformare e rafforzare. Abbiamo infatti sempre sostenuto che fosse necessario riqualificare le funzioni del primo ministro, affidandogli un potere di nomina e revoca dei ministri che oggi non ha. Abbiamo sempre detto che vi era la necessità di rendere più chiara la titolarità delle funzioni del Governo e del primo ministro; non ci siamo mai sottratti dal dare al premier e all'esecutivo da lui guidato quelle prerogative che gli consentano di esercitare le proprie funzioni, ma questo non a scapito di quelle parlamentari.
State proponendoci un riassetto dei poteri e una rimodulazione delle funzioni e della formazione del Parlamento che rischia di andare a discapito della dimensione parlamentare del nostro assetto istituzionale. State alterando in modo significativo il profilo costituzionale del nostro paese. A noi non pare convincente quanto ci state proponendo. In particolare, non ci pare siano sufficienti, anche se avete accolto alcune nostre proposte che cercheremo di rafforzare con ulteriori emendamenti, il bilanciamento dei poteri tra esecutivo e Parlamento. Non ci pare che sia sufficientemente rispettato il principio di terzietà di una serie di organi, a partire dal Presidente della Repubblica e dalla sua funzione di garante dell'unità nazionale; non ci convince per nulla la forma di bicameralismo che ci avete proposto e che francamente vede il Senato delle regioni, così come lo avete congegnato, come un confuso pasticcio. I modelli, infatti, sono soltanto due, ministro Calderoli: o si propende per il Bundesrat tedesco o per il modello del Senato americano. I due modelli che funzionano sono soltanto quelli, tutto il resto sono pasticci.
Il rischio è che si faccia qualcosa che non si sa bene cosa sia e di cui non sono chiare le funzioni nel procedimento legislativo, al punto che il Presidente della Camera, questa mattina, ha ritenuto di dover sospendere la seduta e di chiedere al Governo di rivedere le proposte avanzate, perché l'assetto in esse contenute metteva in causa la coerenza, la linearità e l'efficienza del procedimento legislativo.
ROBERTO CALDEROLI, Ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione. Lo ha chiesto Violante!
PIERO FASSINO. Forse anche a questo si è riferito Ciampi, parlando oggi a Piacenza. Inoltre, a noi non pare di vedere rispettato un principio di sussidiarietà che sia combinato con la tutela dell'unità nazionale e del suo interesse. Avete assunto - mi rivolgo agli esponenti della Lega e in particolare a lei, signor ministro, che è un rappresentante di quel movimento politico - la devolution come una bandiera. In realtà, avete successivamente dovuto abbassare molto il profilo, perché se si fosse realizzata la devolution che proponevate, si sarebbe disarticolato completamente lo Stato.
C'è, infatti, una differenza fra devolution e federalismo: il federalismo è il trasferimento di competenze, funzioni e capacità di autogoverno al sistema dei poteri regionali, dentro un quadro che assicuri l'uguaglianza dei diritti e la parità delle opportunità per i cittadini. Oggi il sistema sanitario è già quasi interamente regionalizzato (si tratta infatti di una competenza di cui sono titolari le regioni), ma ogni cittadino italiano sa che in qualsiasi regione italiana ha diritto alle stesse prestazioni. Se fosse stata applicata in modo assoluto la devolution che avete proposto, non avremmo avuto più questo, bensì venti sistemi sanitari, in cui ogni regione avrebbe deciso il livello dell'assistenza, dei servizi e delle prestazioni, rompendo l'uguaglianza dei diritti per i cittadini. E temo che tale rischio sussista per la scuola, sulla quale avete mantenuto una formulazione più vicina alle vostre proposte.
Al riguardo, intendo sottoporre all'attenzione dei colleghi parlamentari una considerazione. Siccome non passa giorno che non ci sia qualcuno che ci spiega che dobbiamo fare i conti con il mercato del lavoro flessibile - e sono tra coloro che sostengono che occorre fare i conti con la flessibilità - ricordo che un modo per fare i conti con la flessibilità è quello di avere un sistema educativo e formativo che sia funzionale a un mercato del lavoro in cui un crescente numero di cittadini sarà portato, nella propria vita lavorativa, a cambiare più di un posto di lavoro. Dubito che sia funzionale a un governo efficiente del mercato del lavoro di una grande nazione industriale avere venti sistemi educativi che rompono l'unitarietà della formazione. Tra i molti argomenti che si potrebbero usare, c'è anche questo. Lei, signor ministro, vive nel Nord e conosce i livelli di pendolarismo e di mobilità che vi sono tra grandi province industriali di regioni diverse. Dubito che un sistema della formazione che spezzi e rompa tale unitarietà sia funzionale a quel governo della mobilità cui molti ci invitano, a partire dagli imprenditori delle regioni in cui lei, signor ministro, vive.
Avete, comunque, notevolmente ridotto il livello della devolution. A nostro avviso, il progetto, per come viene configurato, continua ad essere confuso e pasticciato e ci sembra che, in realtà, la sussidiarietà non sia il principio ispiratore vero della vostra riforma, e avanzeremo pertanto alcune proposte anche in questa direzione. Non ci sembra, soprattutto, che sia risolto correttamente il rapporto tra l'articolazione del decentramento dei poteri e la tutela dell'unità nazionale.
In particolare, vi sono due aspetti che non ci convincono affatto. Non ci convince l'articolo 36, laddove si prevede che lo Stato possa intervenire, legiferando, al posto di comuni, province e regioni: dunque che rapporto c'è tra il principio di sussidiarietà, il trasferimento delle competenze e dei poteri e una norma di questo tipo? Non ci convince, inoltre, che la salvaguardia dell'unità nazionale sia affidata ad una commissione che vincola i comportamenti del Presidente della Repubblica: anche questo è un aspetto che ci risulta francamente distorto.
Tali ed altre questioni, su cui i colleghi sono intervenuti e ancora interverranno nel corso del dibattito soffermandosi su di esse in modo più dettagliato, ci portano a dire che quella che ci state proponendo è una brutta riforma costituzionale, che rischia di non consentirci il compimento della transizione che sarebbe auspicabile e che rischia, per molti aspetti, di introdurre elementi di maggiore complicazione e di maggiore sovrapposizione di competenze e di funzioni.
Dal momento che vi sono le vulgate giornalistiche, nelle ultime settimane uno degli epicentri della polemica è stato costituito dalla cosiddetta concorrenza dei poteri, e con tale argomento si è cercato di svilire la riforma del Titolo V approvata dal centrosinistra.
La riforma federalista approvata dal centrosinistra sarebbe un pasticcio perché vi sono i poteri concorrenti; vorrei segnalarvi che nel vostro progetto di legge non si diminuisce neanche di un centimetro la concorrenza dei poteri, anzi per alcuni aspetti li aumentate. Quindi, se davvero si vuole portare a compimento una riforma che eviti sovrapposizioni e duplicazioni, forse bisognerà addivenire ad una revisione di alcuni aspetti di questa natura su cui presenteremo emendamenti.
Nel riprendere le considerazioni svolte poco fa dall'onorevole Boato e ieri dall'onorevole Violante - presidente del nostro gruppo parlamentare - penso che voi stiate scegliendo una scorciatoia che avrebbe potuto essere evitata in modo molto più coerente e responsabile se fosse stata accolta la nostra disponibilità a riprendere un percorso costituente. Ciò, individuando anche una sede specifica - ieri l'onorevole Violante su questo punto ha avanzato una proposta - che ci consentisse di evitare lacerazioni e strappi, di avere effettivamente una sede di confronto e di discussione in termini redigenti e di costruire davvero - affrontando vari temi, questioni ed articoli - un'architettura istituzionale condivisa e al tempo stesso efficiente ed efficace. Fino ad ora però voi avete rifiutato questa nostra proposta, ma noi ve l'abbiamo riproposta attraverso l'intervento di ieri dell'onorevole Violante e quello di oggi dell'onorevole Boato. Se è vero che l'assetto costituzionale di un paese non può che essere frutto di una larga condivisione, è soltanto attraverso la ricostruzione di un percorso costituente con proprie sedi e metodologie che si può ottenere questo risultato. Fino ad ora voi avete negato questa possibilità, vi siete chiusi nell'autosufficienza di una maggioranza forte dei numeri che, però, non vi sono bastati. Infatti, nonostante possiate contare su cento deputati in più, avete avuto un travaglio attraverso cui si è dimostrato che i numeri sono importanti in politica, ma se non si ha un progetto condiviso questi ultimi non bastano. Anche in questo momento - basta leggere gli emendamenti che avete presentato - l'assenza di un progetto chiaro e condiviso emerge e cercate ancora una volta di sopperirvi forzando sui tempi e sui numeri. Si tratta di un errore - ve lo diciamo con grande chiarezza - perché il rischio è quello di produrre strappi e lacerazioni che non ci consentirebbero di portare a compimento quella transizione da tutti auspicata, ma al contrario renderebbero più lungo e complesso il compimento di una transizione che, in ogni caso, è necessaria e a cui tutti dovremmo tendere. Sarebbe meglio, con responsabilità, agire assieme, ma se volete proseguire da soli noi continueremo a batterci perché questo paese abbia assetti istituzionali e costituzionali coerenti, efficaci e capaci di corrispondere alle attese ed alle aspettative dei cittadini (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Verdi-L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sterpa. Ne ha facoltà.
EGIDIO STERPA. Signor Presidente, rivolgendomi soprattutto ai miei colleghi di gruppo faccio presente che il mio intervento sarà un po' più - come dire - pesante del discorso pronunciato dall'onorevole Fassino; ciò perché questa riforma, da liberale, io la rifiuto sostanzialmente. Vi è un motivo di fondo che mi induce a questa presa di posizione, originato, soprattutto, da un'analisi attenta della nostra storia nazionale. La nostra costruzione unitaria, cari colleghi, ha resistito a bufere e frangenti terribili: il brigantaggio, la piemontesizzazione del sud con eccidi come, per esempio, quello di Bronte.
La polemica meridionalistica, che delle ragioni - io sono un modesto meridionalista pur non essendo meridionale - le aveva e le ha, fu molto forte soprattutto nell'Ottocento, nel primo e anche in questo ultimo Novecento. Ha resistito a due guerre mondiali. Ha resistito al passaggio dalla monarchia alla Repubblica, al separatismo siciliano, al brigatismo.
Ecco il motivo per cui mi schiero contro e lo faccio con molta lealtà e confermando che milito da questa parte politica con convinzione. Chi mi conosce lo sa benissimo. Sono questi i motivi di fondo. Io non sono un irrazionale, credo che ciò sia stato verificato più volte anche in quest'aula. Non sono un estremista, non sono un settario, ma sono aperto al dialogo.
In quest'aula, pur militando da questa parte politica, spesso mi sono alzato per dire che ero d'accordo con alcuni emendamenti e con alcune posizioni dell'opposizione. In sostanza credo di essere un ragionatore. Dunque, cercherò di ragionare per motivare il mio dissenso, che peraltro è profondo. Infatti, contesto il DNA di questa riforma. Il mio dissenso è radicato nella storia nazionale. Ne chiedo comprensione alla mia parte politica, senza per questo però cercare giustificazioni. Io sono un uomo libero, tale voglio rimanere e tale sarò anche da questa parte politica, sperando che capiscano come io non posso e non potrei approvare questa riforma costituzionale.
Non sono neppure alla ricerca - lo ripeto - di nuove sponde politiche. La mia storia personale e politica non lo potrebbe permettere e non lo permette la mia coscienza. Però, la mia conoscenza mi impone di dire «no» a questa riforma costituzionale.
Questo mio intervento, tra l'altro, si ispira all'articolo 67 della Costituzione: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Sedevo su questi banchi per alcune legislature accanto all'onorevole Bozzi, che fece parte della Costituente. Ricordo che Bozzi una volta mi raccontava che quando fu discusso l'articolo 67 della Costituzione appena citato in aula fu approvato senza discussione. Ci furono delle discussioni e dei dissensi nella sottocommissione. Ci fu, per esempio, l'onorevole Terracini che prese posizione contro, però credo che poi votò l'articolo. Non lo votò l'onorevole Grieco, anch'egli di parte comunista, perché si sosteneva che il mandato di un deputato dovesse essere legato a quello del partito. Ovviamente - credo che questo tema e questa condizione siano comuni - io parlo liberamente.
Ritengo di poter rimanere in questa parte politica parlando liberamente ogni volta che la mia coscienza me lo impone o me lo suggerisce, senza retorica - non sono un retore -, in nome della lealtà e della correttezza, che non sono mai mancate nei miei rapporti con gli amici della Casa delle libertà. Questo mio intervento è l'affermazione di principi in cui credo fermamente e che fanno parte della mia cultura politica.
In una circostanza politica e parlamentare di così grande portata, come la riforma della Costituzione, nessuno può sfuggire alle proprie responsabilità e io non sfuggo alle mie. Faccio i conti, come tutti dovrebbero fare, con la mia coscienza e, da liberale - 15 anni di militanza nel partito liberale - dopo essere stato accanto a personaggi come Malagodi, Bozzi, Valitutti, Zanone, dopo aver fatto delle battaglie, a volte anche con dei dissensi interni, la mia storia personale, la mia cultura, le mie convinzioni verrebbero umiliate se non lasciassi agli atti di questa Camera - ecco perché prendo la parola - pur sapendo benissimo che il mio dissenso non varrà a bocciare questa riforma costituzionale, una testimonianza in difesa di valori che fanno parte - come ho già detto - della storia nazionale. Affermo tutto ciò senza retorica e con il massimo rispetto verso quanti non condividono questa mia posizione - sono in molti - e solo questa mattina, per esempio, ho ascoltato l'intervento del mio caro amico Michele Saponara il quale non è d'accordo con la mia posizione.
Rispetto persino le posizioni della Lega e le ho sempre rispettate in quest'aula. Quando l'onorevole Bossi fu messo sotto accusa in quanto ministro per alcune sue affermazioni, io mi sono alzato per difendere il diritto a dire quello che pensava perché considero - credo che questo non sia solo un mio patrimonio - la libertà di parola e di pensiero un bene inalienabile. Non esitai ad intervenire per difendere il diritto di parola e di pensiero e, come sanno bene i leghisti e tutti coloro - pochi o tanti - che hanno letto qualche mio scritto, io fin dall'inizio del fenomeno Lega non sono stato d'accordo. Ho polemizzato con le posizioni di Bossi, però, in nome del principio volteriano secondo cui «non sono d'accordo con te, fermamente dissento da te ma altrettanto fermamente difenderò il tuo diritto a pensarla come vuoi»; ciò che feci allora lo farei ancora. Rispetto il pensiero dei leghisti, anche se dissento profondamente da costoro.
Nella cornice di questi principi generali e al cospetto di questa riforma, ritengo che sia doveroso, sia lecito, chiedersi innanzitutto se davvero esistano condizioni storiche, sociologiche, culturali, politiche ed economiche tali da giustificare un passaggio così brusco dallo Stato unitario a quello federale.
Non ripeterò quanto già detto in questa sede e che può essere letto anche sui giornali e sui libri, cioè, che siamo davanti ad un federalismo un po' fasullo.
Gli Stati federali nascono perché ci sono comunità che convergono verso la federazione. Ma noi l'unità l'abbiamo realizzata quasi un secolo e mezzo fa! Rischiamo davvero di frantumarla!
Questa riforma viene sostenuta - ed enfatizzata, soprattutto da parte della Lega - in quanto riparazione di errori storici e, quindi, come soluzione di problemi politici. La Lega, fenomeno sorto nel nord, si è affermata rivendicando presunti diritti storici ed economici che, in qualche modo, lo Stato unitario avrebbe messo in forse o avrebbe addirittura umiliato. Quante volte l'abbiamo sentito e letto! È diventata un mito questa rivendicazione da parte del nord!
Pur non essendo del nord - non sono neppure meridionale, anche se sono meridionalista -, vivo al nord da più di quarant'anni (diciamo che sono un immigrato) ed ho seguito la nascita della Lega. Ebbene, se quelle che ho indicato sono le motivazioni sulla base delle quali si è affermato il fenomeno, è la storia nazionale a smentire in maniera esemplare ed ineccepibile il giudizio storico espresso dalla Lega!
È noto che anche la cultura meridionalista, sin dalla fine dell'Ottocento, ha sostenuto che gravi danni sarebbero venuti alle regioni meridionali da una politica unitaria essenzialmente dominata dagli interessi settentrionali. Si tratta di un filone polemico all'interno del quale si ritrovano nomi di illustri scrittori, politici e storici, quali Villari, Alianello, Fortunato, Nitti, Salvemini, Ciccotti, e via dicendo, fino a Croce (anche nella Storia d'Italia dal 1871 al 1915 e nella Storia d'Europa nel secolo decimonono di Croce vi sono accenni a tale contestazione). La polemica meridionalista ebbe accenti fortissimi in alcuni momenti, persino nel secondo Novecento: ad esempio, ricordo Tommaso e Vittorio Fiore (rispettivamente, padre e figlio) e la rivista Nord-Sud.
Ebbene, anche questa versione meridionalista della storia d'Italia (alcune ragioni ci sono: basta leggere La conquista del sud di Alianello o le pagine di Sciascia sull'eccidio di Bronte) va ridimensionata.
Mi è capitato, tempo fa - molti anni fa, purtroppo - di partecipare ad un dibattito insieme a Rosario Romeo, il grande storico autore della monumentale biografia di Cavour. Romeo era siciliano, di Catania, e, oltre ad essere un grande storico, era un grande liberale, di cultura e di convinzione. Ricordo che, in quell'occasione, egli oppose - razionalmente - un «no» alla contestazione dello Stato nato dal Risorgimento.
Perciò, non vi sono ragioni, né da parte del nord né da parte del sud, per contestare l'unità d'Italia.
Non esistono motivi seri sui quali fondare rivalse storiche, né da una parte né dall'altra dell'Italia. L'Italia non presenta linee di frattura così profonde da legittimare un rivolgimento istituzionale che, ancora più dell'onorevole Fassino, di cui ho apprezzato il discorso sia per la moderazione sia per l'apertura, considero deleterio. Esso potrebbe essere disastroso. Se sarà approvata questa riforma costituzionale, tra qualche anno, quando ci sarà un confronto (e ci sarà) tra le ricche e a volte egoiste regioni settentrionali (l'egoismo è normale) e le regioni più povere del sud, credete forse che non potranno sorgere jaqueries, sommosse, proteste? Ci sono già state nel meridione nel secondo dopoguerra. Potrebbero sorgere spinte separatiste. È questo che temo! Da ciò nasce il mio «no» a questa riforma.
Inoltre, dal punto di vista culturale, vorrei sottolineare - mi rivolgo ai colleghi della Lega e ad alcuni amici della Casa delle libertà - che i caratteri nazionali del nostro paese, che sono messi in discussione, sono evidenti da secoli, da prima di Cavour. Da secoli nel mondo si dice «Italia», intendendo l'intera penisola, la sua storia, la sua cultura. Quindi, questa contestazione veramente non ha ragione di esistere, e almeno per me, per la mia cultura, è incomprensibile. Lo ripeto: sono questi i motivi del mio dissenso.
Sono convinto - è già stato detto, ma voglio ribadirlo - che non stiamo praticando un patto costituzionale. Temo che siamo in presenza di uno scambio politico di corto respiro. Attenzione a saper guardare razionalmente oltre la contingenza politica! Lo dico agli amici della Casa delle libertà.
Il collega Boato ha fatto una difesa della riforma del Titolo V della Costituzione. Io non ero presente, ma lo ho appreso dalle cronache. Boato sostiene che, in effetti, quella riforma, rifiutata dal centrodestra e dalla Lega, è nata sui tavoli, trovando l'accordo tra le parti politiche. Non so se ciò sia avvenuto o se vi sia stata convenzione; tuttavia, anche la riforma del Titolo V ha caratteri deleteri. Tra l'altro, fu approvata con solo quattro voti di maggioranza. Si tratta, dunque, di una riforma costituzionale approvata con solo quattro voti di maggioranza e al limite della XIII legislatura.
Ho l'impressione (non amo celare le impressioni e le sensazioni e non credo sia giusto farlo) che la riforma del Titolo V sia stata per la sinistra soprattutto un tentativo di precorrere la Lega, eventualmente condizionarla, compiacerla anche e - perché no? - inglobarla nella coalizione di sinistra.
ALFREDO BIONDI. La «costola»!
EGIDIO STERPA. D'Alema, con cui non sono d'accordo quasi su tutto, ma che considero un uomo intelligente ebbe un'uscita furba, intelligente, non so quanto vicina alla realtà.
Egli definì la Lega Nord una costola della sinistra; in nome di questo concetto - «costola della sinistra» - forse fu approvato il nuovo Titolo V della Costituzione. Lo dico con cordialità. Praticamente, ci fu uno sfruttamento a scopo tutt'altro che altamente politico di una questione che ha in sé alti tassi di perniciosità per il sistema politico italiano.
Non voglio dire cose scontate; si dice di rifare l'Italia, ma, amici, qui rischiamo di disfarla. Si insiste anche sul concetto che il declino del paese dipenda dalla sua vecchia struttura istituzionale; ma possibile che non venga il dubbio che ci si stia affannando a risolvere problemi che in realtà non abbiamo, con il risultato di crearne altri molto più gravi e molto più pesanti?
La Commissione affari costituzionali, di cui faccio parte, ha condotto, tra il maggio e giugno scorsi, un'indagine conoscitiva sulle modifiche costituzionali in programma; sono stati auditi, mi pare - proprio questa mattina me lo ricordava il presidente - , 36 studiosi, tutti di livello universitario, provenienti dai diversi atenei italiani. Di questa indagine va indubbiamente dato merito al presidente della Commissione, onorevole Bruno, al quale però vorrei dire, con tanta cordialità e rispetto, che avrei voluto fosse fuori (proprio perché lo considero mio presidente di Commissione), che avesse mantenuto un distacco più presidenziale, più «terzista» in questa vicenda. Qualche volta c'è stata questa impressione (lo dico e mi dispiace, perché io faccio parte di questa Commissione e lei è un presidente che io ho votato e voluto): avrei desiderato, siccome io sono in dissenso, che lei fosse un po' più al di sopra delle parti, tenendo conto anche del mio dissenso, abbastanza noto, abbastanza scontato da tempo. Lo dico - ripeto - con molta cordialità.
Ho letto attentamente tutti i contributi accademici (non sono stato presente a tutte le audizioni, ovviamente); ebbene, di favorevoli alla riforma non ve ne sono molti, per non dire assai pochi; anche nei meno contrari sono prevalse le perplessità. Non mi dilungherò comunque sui punti controversi di questa riforma.
Per necessaria brevità, dato il tempo a disposizione, anche per non annoiare i colleghi, mi richiamo all'intervento che svolsi in quest'aula il 25 marzo del 2003. Ci sarà occasione, del resto, di intervenire, quando questa riforma, approvata eventualmente per la seconda volta dal Senato, tornerà in quest'aula, e vedremo, avremo sotto gli occhi la riforma così com'è veramente, perché adesso siamo in itinere, ci sono tanti cambiamenti, fino all'ultimo momento. Per esempio, io ero fermo alla gravità, stando al testo che ci ha trasmesso il Senato, del conferimento al Senato del potere di nomina di tutti i giudici costituzionali di designazione parlamentare, che avrebbe determinato una modificazione dell'equilibrio nella composizione della Corte costituzionale, che non sarebbe stata più un organo neutrale di garanzia costituzionale.
Sono lieto che tale anomalia sia stata corretta in sede di Commissione affari costituzionali; tuttavia, mi permetto di far notare che, prevedendo che quattro giudici costituzionali verranno nominati dal Senato federale - federale che sia o meno, si tratta di un Senato comunque collegato con i consigli regionali, e pertanto potranno esserci quattro «relatori» degli interessi locali -, mentre tre verranno nominati dalla Camera dei deputati, si è ricorsi un po' a un compromesso. Lasciatemi dire francamente che il Parlamento è uno; è composto da due entità, ma il Parlamento è un unicum, e questo è un compromesso che non ci fa onore.
Toccherò appena altri punti fondamentali. Ad esempio, è prevista la riduzione del numero dei parlamentari, che in linea di principio non mi trova contrario; vi è il collegamento del Senato con i consigli regionali, punto delicatissimo, e forse foriero di confusione e distorsioni; è prevista la differenziazione delle competenze normative tra Camera dei deputati e Senato federale, altro punto assai delicato, foriero anch'esso di controversie.
Vi è, inoltre, il cosiddetto premierato forte. Si tratta di un concetto che mi trova tutt'altro che contrario, anche se mi domando come potrà essere veramente «forte» con le condizioni che lo attornieranno, soprattutto con un Senato che avrà un potere di veto preventivo e assoluto su materie fondamentali, il quale, peraltro, non potrà essere sciolto e che non avrà l'obbligo di sottoporsi alla richiesta di fiducia: ciò, diciamolo chiaramente, rappresenta una grande anomalia.
Concludo con due rapide notazioni: una di carattere economico-finanziario, l'altra sulla burocratizzazione a cui si andrà fatalmente incontro a livello regionale. Statistiche incontestabili, infatti, dimostrano che, già con l'istituzione delle regioni, la spesa pubblica è aumentata notevolmente: c'è chi oggi parla di un aumento del 40 per cento. Cosa avverrà in futuro? Esiste, a quanto pare, come ho letto sui giornali (si tratta di giornali seri, e quindi non ho motivo di non crederci), una stima preoccupante, elaborata addirittura dal capo del Dipartimento economico di Palazzo Chigi...
PRESIDENTE. Onorevole Sterpa...
EGIDIO STERPA. Concludo, signor Presidente. Tale stima rivela come potrebbe esserci un ulteriore pesante aumento. Ciò deve essere facilmente prevedibile, se lieviterà la burocratizzazione, come è probabile che accada.
Si parla di un aggravio dei conti pubblici compreso tra i 60 e 90 miliardi di euro. Non si dica, per favore, che ad un aumento della burocratizzazione regionale corrisponderà una diminuzione della burocrazia statale: vorrei ricordare che lo si promise inutilmente con l'istituzione delle regioni!
Vorrei citare, al riguardo, il caso della Lombardia, dove vivo da più di quarant'anni. Ricordo che l'onorevole Bassetti - che, come è noto, fu alfiere e sostenitore della causa regionalista e che venne eletto primo presidente della regione lombarda - dichiarò che l'apparato burocratico regionale non avrebbe superato le 500-600 unità (allora ero inviato del Corriere della Sera e ricordo che rese tale dichiarazione proprio a me). Non dispongo di numeri esatti, ma vorrei segnalare che oggi la burocrazia regionale lombarda, come sanno bene altri colleghi lombardi, può certamente contare su quasi 8 mila unità, rispetto alle 500-600 inizialmente previste.
Stiamo burocratizzando, in sostanza, il nostro sistema politico: altro che semplificare! Si tratta di una burocratizzazione e di costi che, tra l'altro, aumenteranno con la moltiplicazione delle province: quanta ragione aveva l'onorevole Ugo La Malfa, che ne chiedeva l'abrogazione!
Vorrei svolgere un'ultima osservazione, l'ultima, ma non la meno importante. La «desovranizzazione» dello Stato che produce la riforma in esame porterà a tre risultati sicuri, tutti e tre deleteri. In primo luogo, provocherà una diseguaglianza tra i cittadini, come frutto delle diverse politiche regionali, il che può comportare una lesione di importanti principi costituzionali.
In secondo luogo, determinerà un notevole e pesante contenzioso tra Stato e regioni, che già oggi conta centinaia di casi.
In terzo luogo, vi saranno contrasti di ordine giuridico-sociale e, a volte, anche morali, che saranno determinati da norme statutarie assai diverse da regione a regione. Emblematico è il caso insorto nella regione Toscana, con il riconoscimento delle coppie di fatto. Nello statuto della regione Toscana, infatti, è stato inserito il concetto che vi sono altre forme di convivenza, oltre quelle della famiglia tradizionale.
Il mio «no» non ha carattere viscerale, ma s'ispira - lo ripeto - alla storia nazionale, alla nostra cultura politica ed all'interesse nazionale e vuole essere, se possibile - lo dico sia agli amici della Casa delle libertà sia ai colleghi ed amici dell'opposizione - la dimostrazione che stare nella Casa delle libertà significa soprattutto essere uomini liberi, che esercitano il diritto - riconosciuto e onorato dentro la stessa Casa delle libertà - del libero pensiero (Applausi di deputati dei gruppi di Forza Italia, della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Nespoli, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Mantini. Ne ha facoltà.
PIERLUIGI MANTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo parlamentare della Margherita - così come tutto il centrosinistra - ritiene, come noto, necessario il completamento della lunga fase di transizione istituzionale che caratterizza il nostro paese, con la convinzione che occorra perseguire un duplice obiettivo: la realizzazione di un bipolarismo più democratico e maturo, basato sull'equilibrio dei poteri, e il completamento di un federalismo solidale ed efficiente.
È convinzione diffusa che, per completare la troppo lunga transizione istituzionale, dopo la revisione del Titolo V della parte seconda della Costituzione, occorra porre mano alla riforma della forma di Stato e della forma di governo. In effetti, il contesto nel quale, alla Costituente, fu definita la forma di governo della nostra Repubblica pare consistentemente cambiato. Sul terreno istituzionale, è appena il caso di ricordare che l'Assemblea costituente lavorò su due presupposti: che per la legge elettorale sarebbe stato adottato un sistema proporzionale - ordine del giorno Giolitti - e che la forma dello Stato sarebbe stata unitaria, sia pur con largo riconoscimento delle autonomie regionali e locali.
Ora non vi è chi non veda che l'adozione di sistemi elettorali maggioritari ed una forma di Stato federale non può non imporre modifiche profonde nel sistema delle disposizioni costituzionali relative alla forma di governo, allo statuto dell'opposizione ed alle garanzie costituzionali.
Sul terreno economico e sociale, gli effetti della globalizzazione, dell'integrazione europea, dei grandi flussi migratori, delle innovazioni tecnologiche e produttive e della società di informazione e, sul piano interno, anche gli stessi rischi di declino produttivo e tecnologico che incombono sul nostro paese, spingono a cercare, anche sul piano istituzionale, risposte e rimedi adeguati all'entità di tali sfide. Per affrontarle, occorre una democrazia più forte, più legittima e più efficace. Noi, che lo abbiamo assunto nel nome stesso della nostra forza politica, siamo convinti che solo la democrazia è libertà.
Abbiamo, dunque, scritto e proposto una riforma costituzionale che si ponga alcuni obiettivi, completi e migliori la riforma, già effettuata, del Titolo V, adegui la forma di governo alla volontà, ripetutamente manifestata dai cittadini, di esprimersi con il loro voto sulla scelta della maggioranza e sul futuro primo ministro, evitando tuttavia, di trasformare le elezioni in una delega totale ad un leader della sovranità degli stessi cittadini, e rafforzando, inoltre, in questo contesto, le garanzie di trasparenza ed equilibrio politico e istituzionale di partecipazione degli stessi cittadini, non solo attraverso le scelte elettorali, ma anche nella vita sociale e delle istituzioni.
Le forze parlamentari del centrosinistra sono perciò pronte a sostenere in Parlamento e nel paese le innovazioni indirizzate alle finalità che ricordavo. Siamo, invece, fermamente contrari a modifiche che portino i poteri del premier al punto di rimettere la sopravvivenza del Parlamento o della Camera che dà la fiducia al solo fatto di una sua proposta di scioglimento, quand'anche ciò accada in contrasto con la volontà della sua maggioranza, ovvero di condurre allo scioglimento automatico in caso di bocciatura di una misura su cui il premier abbia posto la fiducia o all'ipotesi assurda del voto conforme, che leggiamo all'articolo 94 del disegno di legge proposto dalla maggioranza. Con poteri del genere non si dà luogo ad una forma di governo presidenziale, ma ad una forma di governo autoritario sotto le vesti di un apparente parlamentarismo. Il presidenzialismo fondato sulla legittimazione diretta del capo dell'esecutivo deve avere, infatti, un suo bilanciamento fisiologico in un Parlamento politicamente indipendente dall'esecutivo, come accade, ad esempio, negli Stati Uniti, sistema modello del presidenzialismo.
Siamo contrari a riforme che indeboliscano il ruolo del Presidente della Repubblica e che facciano perdere al Capo dello Stato il suo ruolo di garante non solo della legalità, ma anche del corretto funzionamento del sistema istituzionale, secondo il modello della vigente Costituzione, e che modifichino l'assetto della Corte costituzionale, al di là della maggiore sensibilità regionalista, che utilmente potrà essere apportata dalla riforma del Senato. Siamo contrari alla ridefinizione delle competenze regionali che mettano a repentaglio la fondamentale unità del servizio sanitario nazionale e la fondamentale unità culturale della nostra scuola nell'autonomia di gestione degli istituti scolastici, nonché l'unitarietà dei diritti civili e sociali sull'intero territorio nazionale.
Siamo contrari a una devolution che introduca concetti ambigui in materia di polizia locale in un confuso conflitto con i poteri e le competenze dello Stato in materia di ordine pubblico.
Sulla base di queste riflessioni, abbiamo proposto modifiche relative alla forma di governo per garantire il rispetto della volontà politica degli elettori e per evitare il rischio di uno scollamento tra cittadini e sistema politico. Perciò, riteniamo giusto che non siano legittimati i cosiddetti ribaltoni.
Abbiamo proposto misure per dare forza al premier all'interno del Governo e riteniamo che il premier stesso debba avere il potere di nominare e revocare i ministri e che, pertanto, il Parlamento debba esprimere il voto di fiducia iniziale.
Riteniamo, inoltre, utile che il premier possa avocare al Consiglio dei ministri qualunque affare di competenza ministeriale che abbia, a suo avviso, implicazioni di politica generale.
Dunque, nessuna chiusura sul rafforzamento dell'efficienza dell'esecutivo, ma nel rispetto e solo a condizione che vi sia la misura e l'equilibrio dei poteri, ossia che parallelamente siano rafforzati i poteri del Parlamento.
Per quanto riguarda il Senato della Repubblica, siamo convinti che la riforma del Titolo V imponga l'uscita dal bicameralismo perfetto e l'occasione certo può essere colta per valorizzare il Senato come Camera esterna al circuito fiduciario in un equilibrato ridisegno complessivo delle nostre istituzioni, affidando al Senato due funzioni essenziali: la tutela degli interessi generali attraverso competenze latu sensu di garanzia e la rappresentanza delle autonomie territoriali. Si tratta di una proposta precisa che abbiamo avanzato e non già l'insostenibile pasticcio, su cui avremo modo di soffermarci, che è il Senato federale nell'attuale disegno proposto dalla maggioranza. Abbiamo proposto nei nostri testi normativi il rafforzamento di un'area non maggioritaria, ossia dei poteri del Parlamento.
Abbiamo proposto in particolare di innalzare il quorum per l'elezione del Capo dello Stato e di estendere il collegio elettivo ad una significativa rappresentanza delle autonomie territoriali, oltre a quella già assicurata dalla nuova composizione del Senato; abbiamo proposto di innalzare il quorum per l'elezione delle altre cariche imparziali - i Presidenti delle Camere - e per l'approvazione delle regole del gioco, ossia dei regolamenti parlamentari, delle leggi elettorali e delle leggi di revisione in seconda lettura.
Abbiamo proposto l'attribuzione alla Corte costituzionale della potestà di decidere in ultima istanza sulle controversie relative all'elezione dei membri del Parlamento e sulle cause di ineleggibilità, incompatibilità dei parlamentari, nonché sulle incompatibilità dei membri del Governo e sulla insindacabilità delle opinioni espresse dai membri del Parlamento, rafforzando il più possibile il concetto di nesso con le funzioni elaborato dalla giurisprudenza costituzionale, dalla dottrina e dalla nostra stessa legge di riforma in materia di insindacabilità.
Abbiamo avanzato misure precise in relazione allo statuto delle opposizioni, proponendo la previsione della facoltà di istituire dei portavoce dell'opposizione, riconosciuti dai regolamenti parlamentari; abbiamo proposto il riconoscimento del diritto dell'opposizione di ottenere l'istituzione di una commissione camerale di inchiesta senza i poteri dell'autorità giudiziaria o l'attivazione di un'indagine conoscitiva; abbiamo proposto la legittimazione dell'opposizione a ricorrere alla Corte costituzionale, in caso di violazione delle disposizioni sul procedimento legislativo o dei limiti imposti all'esercizio da parte del Governo di poteri legislativi d'urgenza o di poteri legislativi delegati.
Abbiamo proposto la previsione secondo la quale i regolamenti della Camere devono riservare adeguati spazi ai gruppi di opposizione nella formazione dell'ordine del giorno e nell'organizzazione dei lavori dell'aula e delle Commissioni parlamentari. Ancora: abbiamo proposto l'attribuzione all'opposizione, sul modello britannico e tedesco, della presidenza delle Commissioni o giunte parlamentari e degli altri organismi ai quali sono attribuite essenzialmente compiti ispettivi, di inchiesta, di controllo e di garanzia.
Tutto ciò per rafforzare i poteri del Parlamento e delle opposizioni, qualunque esse siano.
Nulla di tutto ciò, o assai poco, meglio molto poco, vi è nel disegno della maggioranza, anche sulla scorta degli ultimissimi emendamenti avanzati dalla maggioranza.
Abbiamo proposto ancora di favorire la trasparenza della vita politica, nonché di migliorare il rapporto tra cittadini e pubbliche amministrazioni attraverso l'introduzione di normative atte a garantire il pluralismo nell'informazione, i diritti dei cittadini ad un'informazione politica libera e completa e la reale parità di accesso dei partiti e dei movimenti politici ai mezzi di comunicazione di massa; abbiamo proposto l'introduzione di nuove norme sulla eleggibilità al Parlamento e l'assunzione di incarichi di Governo che prevengano i conflitti di interesse, l'introduzione in Costituzione di un sistema sul modello del advice and consent sulle nomine governative, ivi comprese quelle delle società private strumentali all'esercizio di attività pubblica.
Ed infine, abbiamo proposto misure precise in tema di democrazia partecipativa, attraverso l'introduzione in Costituzione di un articolo specificatamente dedicato alla democrazia partecipativa, volto a definirne l'articolazione tanto sul versante dell'economia e della società, compresi i luoghi di lavoro, quanto su quelli delle istituzioni pubbliche, prefigurando strumenti e procedure di partecipazione. Infatti, la democrazia non può esaurirsi soltanto nel momento del voto e della partecipazione elettorale.
Abbiamo proposto un rafforzamento dell'iniziativa legislativa popolare, rendendo più incisivi i vincoli regolamentari alla trattazione della relativa proposta di legge in sede parlamentare; abbiamo proposto la rivitalizzazione del referendum abrogativo, che oggi è pressochè quasi defunto se si considerano le disfunzioni relative al quorum strutturale, attraverso la richiesta di un maggior numero delle firme necessarie a promuoverlo, per rendere più espressiva e consistente la richiesta popolare, collocando ancora in una fase intermedia il giudizio di costituzionalità della Corte costituzionale ed infine riducendo il quorum di validità secondo tecniche diverse.
Infine, abbiamo proposto la previsione di ricorso diretto dei cittadini alla Corte costituzionale in caso di violazione di diritti fondamentali.
Dunque, signor Presidente, onorevoli colleghi, abbiamo avanzato proposte legislative serie e meditate, ma inutilmente poiché la maggioranza si è sottratta al dialogo ed al confronto ed è del tutto mancato nel processo di riforma il necessario spirito costituente. Quest'ultimo si basa su un principio assiomatico: che il potere costituito non si trasformi in un potere costituente. È un principio scritto nella storia spesso sanguinosa delle Costituzioni ed è un principio scritto nella Costituzione italiana che prevede - come noto - ampie maggioranze ed una particolare procedura. Se la maggioranza qualificata non si realizza e non concorda sulla revisione costituzionale viene previsto dall'articolo 138 il concorso del potere costituente esercitato dal popolo.
Gli elementi necessari e coessenziali affinché possa parlarsi di spirito costituente sono, dunque, almeno due. Il primo è costituito dalla volontà politica di ricercare il dialogo ed il confronto, con un procedimento legislativo adeguato allo scopo, affinché siano realizzate soluzioni ampiamente condivise. Il fine è la ricerca dell'accordo o del compromesso nobile, per usare altre parole, tra le diverse forze parlamentari o la grande maggioranza di esse. Il secondo elemento è quello di consentire, ove non si raggiunga questo risultato, il corretto esercizio dell'apporto del popolo attraverso il referendum confermativo. Dobbiamo chiederci con franchezza ed onestà intellettuale se tali elementi, che ritengo essenziali affinché possa parlarsi di spirito costituente, sussistano o meno nel disegno di riforma proposto dalla maggioranza. La risposta a tale interrogativo, nel momento in cui parlo, è certo negativa per entrambi i profili.
Non occorre spendere molte parole per dimostrare che nell'attuale legislatura la maggioranza ha presentato alla Camera e promiscuamente ben tre diversi progetti di revisione costituzionale della parte seconda sempre e solo con una logica autoreferenziale e di parte.
PRESIDENTE. Onorevole Mantini...
PIERLUIGI MANTINI. Concludo, signor Presidente.
Si è instaurata una grave e pericolosa prassi secondo cui il fine delle riforme costituzionali non è rappresentato dalla condivisione delle scelte tra diverse forze parlamentari alla ricerca della maggioranza qualificata prescritta dalla Costituzione, bensì dal fine di mettere insieme le sole forze che costituiscono la maggioranza superando le divisioni interne ed i contrasti. Tutto il processo legislativo si è concluso entro questo perimetro, in un hortus clausus di questioni da conciliare: la devolution cara alla Lega...
PRESIDENTE. Onorevole Mantini, deve concludere...
PIERLUIGI MANTINI. Concludo, signor Presidente.
Anche sull'altro punto della referendabilità e dell'apporto costituente è evidente che abbiamo avuto una lesione del metodo costituzionale. Un progetto di 43 articoli - 53 con gli ultimi emendamenti - non si presta all'esercizio del potere costituente in modo articolato. Si sarebbero dovuti presentare progetti di legge distinti, come invocato dalla dottrina - penso a Paolo Barile ed a tanti altri -, per consentire di dire «sì», magari con il referendum, al premierato assoluto e «no» al federalismo o viceversa. Nulla di tutto questo è stato fatto e, dunque, questa resta nella sua essenza una riforma realizzata con metodo incostituzionale.
Parleremo delle altre questioni di merito nel corso dell'esame in aula. Rimaniamo convinti di dare il nostro apporto illudendoci di poterlo fare, ma pronti anche a chiamare il popolo all'esercizio, tramite il referendum, del proprio giudizio ed invitandovi, però, a fermarvi anche attraverso...
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Mantini.
È iscritto a parlare l'onorevole Lettieri. Ne ha facoltà.
MARIO LETTIERI. Signor Presidente, nei pochi minuti concessimi non mi soffermerò sull'iter anomalo e sconcertante del provvedimento che già dalla sua calendarizzazione ha evidenziato l'imposizione da parte della Lega nord e, successivamente, con il susseguirsi di proposte varie, ha visto prevalere l'idea di una riforma costituzionale non frutto di reali esigenze e di scelte ponderate, bensì di uno scambio politico continuo tra i vari partiti della maggioranza di centrodestra.
Le anomalie cui la maggioranza ha cercato di abituarci in questi anni sono tante. Si ricordino i maxiemendamenti correttivi o sostitutivi di provvedimenti importanti presentati all'ultimo minuto per l'approvazione da parte della Camera dei deputati.
Comunque, in questo caso si va ben oltre: la questione è più grave, perché trattasi di una riforma costituzionale e non di una legge o di un provvedimento qualsiasi. Evidentemente, non c'è la necessaria consapevolezza della portata e del valore della riforma, né - mi sia consentito - c'è il rispetto per i padri costituenti, coloro che, usciti dal periodo buio della guerra e del fascismo, non solo seppero inserire nella Carta costituzionale i principi di una moderna democrazia, ma seppero anche interpretare con equilibrio i filoni culturali presenti nella società italiana, tanto che si può ritenere che l'attuale Costituzione è tra le più avanzate nel mondo. Ciò avrebbe dovuto imporre maggiore cautela, nonché massimo rigore e coerenza, per non inficiare i valori e le scelte di fondo della nostra Carta. Sarebbe stato necessario il coinvolgimento di tutti i gruppi parlamentari. Sarebbe stato opportuno l'ascolto e i suggerimenti della migliore dottrina. Sarebbe stata certamente utile anche una certa umiltà, più che l'arrogante volontà di conseguire comunque un risultato politico.
Vorrei ricordare che l'attuale Costituzione, dopo la tragedia della guerra, ed in presenza della divisione del mondo in blocchi, ha consentito all'Italia di compiere progressi notevoli e di crescere in un contesto internazionale difficile. Evidentemente, il quadro istituzionale ha funzionato ed ha consentito, da un lato, il libero ed efficace esercizio del gioco democratico, dall'altro, la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini e, non ultima, una significativa crescita economica.
Certo, negli anni scorsi l'assetto dato dai costituenti ha subito modificazioni nella pratica quotidiana. Mi riferisco non solo a quelle apportate al Titolo V della seconda parte della Costituzione, ma anche a quelle derivanti dalle nuove leggi elettorali, dal processo di integrazione europea e dallo stesso sistema delle comunicazioni. Pertanto, alcune modifiche diventano oggettive. Quelle da voi proposte sono però incongruenti e devastanti. Non si tiene conto che qui si ristruttura nel profondo la casa comune e, voglio sottolinearlo, di tutti, non solo del centrodestra. Si mettono a rischio i principi di unità della nazione e di solidarietà, che finora sono stati il collante della nostra Costituzione (ma anche della legislazione ordinaria). Il completamento dell'ordinamento regionale e la stabilizzazione del sistema bipolare sono obiettivi da raggiungere, mantenendo però fermi l'unità della nazione ed il ruolo non subalterno del Parlamento.
Il Parlamento è il cuore del nostro sistema, del nostro patrimonio democratico e della nostra storia repubblicana. Il paese non ha bisogno di un dominus assoluto! Il rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio e la stabilità dei Governi non devono avvenire a scapito delle funzioni, delle prerogative e delle libere decisioni del Parlamento. Guai a noi se assecondassimo disegni di tipo peronistico, con un Parlamento relegato al ruolo di cassa di risonanza e di semplice ratifica di decisioni assunte altrove ed altresì soggetto al ricatto dello scioglimento, come prevede la proposta in discussione! Dall'onorevole Mantini è stato poc'anzi ricordato che il voto conforme, previsto dall'articolo 34, è un vero e proprio cappio al collo del Parlamento!
Nella vostra proposta, non solo quella relativa ai poteri del premier, ma anche quella relativa alla composizione del Senato della Repubblica manca del tutto poi un adeguato sistema di garanzia. Viene finanche mortificato il ruolo del garante supremo, il Presidente della Repubblica. Gli stessi rapporti tra Stato e regioni mancano di chiarezza ed equilibrio, con grave pregiudizio per l'unità del paese e soprattutto per le aree più deboli, come il Mezzogiorno, che senza un serio ed effettivo federalismo fiscale e solidale rischia di fatto una separazione dalle regioni più forti, per quanto riguarda gli standard dei servizi, il trend di crescita economica e il livello di qualità della vita. Si ignora che vi sono diritti ed interessi unitari incomprimibili, che anche in uno Stato federale devono essere garantiti a tutti; penso al diritto alla salute, all'istruzione, al lavoro e così via.
Negli ordinamenti federali di antica tradizione c'è un chiaro equilibrio fra le esigenze proprie delle autonomie e quelle dell'unità. Nella proposta in esame, invece, non c'è equilibrio, né semplificazione, né tanto meno un'evidente riduzione dei costi complessivi per il funzionamento del nuovo assetto. Al di là dell'enunciazione del principio di sussidiarietà, i costi non sono del tutto certi, né quantificabili.
Quella che voi proponete, più che una riforma organica di divisione dei poteri tra gli organi dello Stato e tra lo Stato e le regioni, a mio avviso, è un vero pasticcio che rende più brutta e meno efficiente l'abitabilità di questa nostra casa comune.
Si mortificano i valori della nostra Costituzione e si ignora che la solidarietà di cui sono permeate la nostra Carta e le nostre leggi altro non è che l'espressione della nostra cultura e del diffuso sentire della nostra gente.
Tutti vogliamo una democrazia governante e le nostre proposte, di cui discuteremo, lo rivelano abbondantemente, ma la proposta in discussione sembra invece preferire la confusione, la divisione ed anche una certa tirannia della maggioranza o meglio del leader della maggioranza, anche rispetto ai singoli deputati ed ai singoli partiti che la esprimano.
Ognuno di noi, onorevoli colleghi, rifletta e non guardi al contingente, non guardi all'oggi o al comportamento discutibile di ieri. Guardi al domani, perché sarà la storia a giudicarci e non solo qualche opinionista della carta stampata o della tv di oggi.
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Soda, iscritto a parlare. Si intende che vi abbia rinunciato.
È iscritto a parlare l'onorevole Galeazzi. Ne ha facoltà.
RENATO GALEAZZI. Signor Presidente, credo che questo dibattito sia un'occasione importante, al di là della retorica, perché penso vi siano momenti nella vita della nazione in cui bisogna avere le idee chiare e fare ognuno la propria parte, ma ciò non sta accadendo.
La riforma della seconda parte della Costituzione diventa di fatto di parte. Nella storia si registrano grandi cicli (non voglio ripercorrere la storia del nostro paese): vi fu lo Statuto albertino, il Regno d'Italia e non voglio dire a voi cosa accadde in questo paese dopo la seconda metà degli anni Venti con l'avvento del fascismo.
Altri paesi europei, la Spagna, il Portogallo e la Grecia, hanno vissuto momenti difficili e di totalitarismo e ne sono usciti forse meglio di noi (lo dirà la storia). Sicuramente, la nostra prima Repubblica ha garantito, al di là di contraddizioni e squilibri, democrazia e sviluppo. Questo sistema poi è entrato in crisi per motivi oggettivi, ma il 1989 rimane una data epocale nello sviluppo del nostro paese e nella storia dell'Europa e del mondo, perché è terminata la guerra ideologica tra due mondi, due chiese che si combattevano aspramente (mi riferisco alla cosiddetta guerra fredda, ma, qualche volta, anche calda, nel senso che la competizione era eccessiva). Vi è stata la caduta di questi due schieramenti, con un mondo che cambiava rapidamente. Non voglio parlare della globalizzazione, ma sicuramente si è registrata in Italia una caduta della politica.
Gli altri paesi europei sono riusciti a far prevalere l'interesse generale su quello particolare. Nel nostro paese, invece, nel corso degli anni Novanta, siamo rimasti in mezzo ad un pantano, ad una palude che ci ha impedito di prendere decisioni definitive. Alcuni referendum popolari sono stati disattesi, altri non hanno raggiunto il quorum e in questi anni si è cercato di conservare il proprio potere personale o un interesse particolare. Tutti figli di Guicciardini, perché non abbiamo pensato, invece, al sistema paese, all'Italia!
È, pertanto, legittima l'esigenza di riscrivere le regole del vivere civile che ci permettano di vivere insieme nella nostra comunità che si chiama Italia. È legittimo, ma non concordiamo sul metodo e sul merito.
Mi è venuto il sospetto che, forse, il nostro primo ministro avrebbe regolato questa materia con un decreto-legge urgente. Sono stati emanati una serie di decreti-legge e, a colpi di maggioranza, con maxiemendamenti, sono state modificate leggi importanti.
In realtà, la vecchia, tuttora valida e nobile Costituzione della prima Repubblica ha garantito i contrappesi ed i meccanismi di verifica, perché quando si è parlato della cosiddetta legge Cirami, di quella sul sistema radiotelevisivo o della Bossi-Fini, è intervenuta la Corte costituzionale o la Presidenza della Repubblica che hanno, in qualche modo, fatto sentire il loro peso su alcuni eccessi e alcune sviste del Parlamento.
Ciò vuol dire che la Costituzione della prima Repubblica ha funzionato, ha garantito i contrappesi perché alcuni eccessi venissero limati e corretti, mentre non credo che ciò succederà con le modifiche che ci accingiamo ad approvare.
Dicevo in precedenza che esistono esigenze vere derivanti dal fatto che se è cambiato il mondo, in Italia è anche cambiata la struttura sociale e il modo di vivere: le famiglie sono diverse, l'economia è diversa. Abbiamo dunque bisogno di innovazioni, di un paese più moderno, più democratico, più semplice. Quindi, vi è l'esigenza reale di dire agli italiani che, essendo venuta meno la guerra ideologica, si può ridefinire la distribuzione dei poteri, pensando ad un nuovo rapporto tra cittadino e istituzione. Ciò è possibile se vi è accordo su alcuni principi generali, quali la sussidiarietà e la solidarietà. Qual è invece il filo rosso che guida questa riforma del centrodestra? Ritengo che il collante sia costituito dall'interesse di mantenere unita questa maggioranza; ciò spinge la Casa delle libertà a proporre il maxiemendamento e a trovare degli aggiustamenti perché tutte le varie componenti della maggioranza si dichiarino più o meno soddisfatte.
Credo che alcune esigenze prospettate dal «fenomeno Lega» - lasciatemelo chiamare così - fossero fondate, anche se la risposta giusta non poteva essere né la secessione né la devoluzione. Qui non siamo né nel Galles né in Scozia; siamo in un paese ubicato al centro del Mediterraneo che è la patria del diritto. Dunque, occorre trovare una soluzione italiana che tenga conto della nostra storia, delle nostre abitudini, della nostra maniera di vivere e delle esigenze dei cittadini. Come vive il cittadino italiano questa esperienza? Ritengo che, dopo aver capito che spesso non basta neanche votare in un certo modo in un referendum, siamo ancora in balia di un magma che non riesce a coagulare in termini nuovi e più semplici.
Se dunque facciamo riferimento a principi, quali la sussidiarietà, possiamo affermare che questa redistribuzione bilanciata di poteri, che parte dai comuni per passare poi attraverso la provincia e la regione, produca effetti positivi. Tuttavia, tale redistribuzione bilanciata non è contemplata nella vostra proposta.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARIO CLEMENTE MASTELLA (ore 17,35)
RENATO GALEAZZI. Ciò è importante in quanto, in tal modo, si potrebbe dire al cittadino italiano che il federalismo fa vivere meglio, perché vi sarà meno burocrazia e un sistema che garantisce un rapporto più trasparente e diretto con il Palazzo.
Ma così non mi sembra. Quando si parla di federalismo e di risorse, un'altra questione fondamentale è rappresentata dal federalismo fiscale. Senza voler ripercorrere la storia del nostro paese, ricordo che esistono comunque problemi seri per comuni e regioni, in termini di competenze e strutture, a riscuotere le loro imposte. Chi ha qualche capello bianco si ricorda come i comuni avessero i propri uffici-tributi; negli anni Settanta tutti i municipi italiani erano «addestrati» a riscuotere tributi. In seguito, gli uffici-tributi dei comuni furono cancellati dai Governi di allora perché si temeva che le giunte rosse potessero in qualche maniera usare lo strumento fiscale per dimostrare maggiore competenza, fornendo al cittadino una migliore amministrazione anche in termini fiscali. Mi riferisco appunto, agli anni Settanta e alle giunte rosse.
Oggi i comuni hanno allestito nuovamente gli uffici-tributi, hanno ricostituito progetti, personale, strumenti amministrativi per riscuotere le varie ICI, TOSAP, TARSU e così via. A mio giudizio, le regioni non sono oggi preparate a questo, ma non sto proponendo alcun regionalismo dei comuni. Voglio però fare solo un esempio concreto, relativo alla regione Marche, che ha posto le sue addizionali su IRPEF e IRAP - a mio giudizio eccessive - ma che non riesce a riscuotere quanto i cittadini marchigiani pagano perché manca il meccanismo amministrativo per cui questi fondi affluiscano effettivamente nella regione per la quale sono state versate le maggiorazioni.
Lasciatemi allora dire una cosa importante: il federalismo era una buona occasione per semplificare il nostro sistema fiscale. Non mi riferisco alla tassazione su tre diversi livelli (la tassa cittadina o city tax, la tassa per lo Stato e la tassa federale) degli Stati Uniti, perché non dobbiamo imitare alcun sistema straniero: dobbiamo però dire al cittadino che federalismo vuol dire anche meno tasse. Quanto successo negli ultimi anni è invece sotto gli occhi di tutti e sappiamo cosa è successo con la diminuzione dei trasferimenti statali. Un esempio per tutti: il comune di Ancona ha subìto un taglio di circa l'8 per cento dei trasferimenti statali le amministrazione locali sono cadute nella trappola di aumentare i tributi di regioni e comuni, senza però che questo sia stato accompagnato da una diminuzione della tassazione centrale. Lo scorso anno, quindi, la pressione fiscale è in realtà aumentata di 0,9 punti percentuali. La promessa elettorale su cui si fondava la vittoria elettorale del centrodestra nel 2001, ovvero quella della diminuzione del prelievo fiscale, a causa di queste incongruenze e contraddizioni non è stata mantenuta; sì è invece verificato un aumento della pressione fiscale in Italia, sommando la tassazione locale a quella nazionale.
Non voglio soffermarmi su cosa comporti questa grande riforma dei poteri dello Stato in termini di distribuzione, non solo di risorse, ma anche di personale. Sappiamo che le riforme costano e hanno bisogno di tempo; cito in proposito due riforme che sono rimaste in qualche modo sospese, quali quelle della scuola e della sanità. Se non vi è il tempo sufficiente perché il cittadino acquisisca e modifichi i suoi comportamenti in base alle norme, si corre il rischio di andare incontro a fallimenti. Non esiste cosa peggiore di una riforma fallita, perché poi lascia il segno e sicuramente sviluppa molti anticorpi e molta diffidenza.
Vi è comunque la necessità di riformare lo Stato - argomento su cui la sinistra ha dimostrato disponibilità - ma non nei termini proposti oggi con il maxiemendamento. Il paese ha bisogno che le varie istituzioni abbiano chiare le competenze e le funzioni, ma, al di là di questo, occorre un quadro armonico, solidale che percorra tutte le parti della penisola in maniera unitaria.
Non possiamo permetterci lacerazioni. Potrei parlare della scuola, ma mi soffermo sulla materia sanitaria, che mi compete maggiormente.
PRESIDENTE. Onorevole Galeazzi...
RENATO GALEAZZI. Un'ultima considerazione, signor Presidente, per sottolineare che abolendo il principio che unifica l'assistenza sanitaria per i cittadini italiani corriamo il rischio non soltanto di avere venti sistemi sanitari diversi, ma che una regione adotti un sistema assicurativo, un'altra privatizzi, un'altra mantenga un assetto che ha fatto sì che questo sistema sanitario sia valutato tra i primi nel mondo e che, pur con qualche contraddizione ed elemento da correggere, abbia garantito il bene primario del cittadino, rappresentato dalla salute.
Ritengo pertanto necessaria una pausa di riflessione da parte del Governo, per ascoltare le osservazioni degli enti locali, su una legge che, a nostro giudizio, non risolve il problema, ma complica ancora di più la vita del cittadino italiano su aspetti fondanti, quale la salute ma anche il rapporto con le varie istituzioni e la comunità tutta.
PRESIDENTE. L'onorevole Soda, iscritto a parlare, è stato precedentemente dichiarato decaduto, ma, dal momento che era assente per giustificato motivo, ha ora facoltà di parlare.
ANTONIO SODA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la discussione che stiamo conducendo mi sembra un po' surreale, in quanto non abbiamo avuto il tempo di conoscere, approfondire ed analizzare gli emendamenti presentati, che sono radicalmente sostitutivi del testo licenziato dalla Commissione affari costituzionali.
Ritengo che si tratti solo apparentemente di una questione di correttezza costituzionale e parlamentare. Questo comportamento evoca il tema di fondo delle incertezze, degli errori, delle difficoltà e delle insufficienze politiche, etiche e culturali del processo di trasformazione istituzionale italiana, che a mio avviso chiama in causa la responsabilità dell'intera classe dirigente del nostro paese. Ancor di più, esso manifesta l'assenza di un autentico spirito costituente, che è l'unico che possa dirsi storicamente intrecciato con le vicende di un paese.
Appartenendo a quella corrente di pensiero che ritiene tuttora valido l'impianto dei valori della Costituzione repubblicana, per spirito costituente non intendo la passione civile, l'atmosfera e la tensione che contrassegnano il passaggio, in determinati momenti storici della vita di un popolo, normalmente traumatici e di frattura con il passato, da un sistema costituzionale ad un altro e da un sistema politico ad un altro. Non è questa la condizione dell'Italia. Nel nostro paese, il sistema politico e costituzionale, con tutti i suoi limiti e con tutte le sue insufficienze, anche nella transizione incompiuta alla quale si è richiamato il segretario del mio partito, è un sistema che funziona e che è radicato, nei suoi valori, nella coscienza del popolo italiano.
La fittizia demonizzazione della storia repubblicana e la strumentalizzazione di vicende giudiziarie che dovevano essere vissute come la ricerca legittima di un'etica pubblica smarrita e calpestata hanno prodotto invece nel nostro paese la falsa rappresentazione della necessità di un passaggio ad una seconda o, secondo alcuni, addirittura ad un terza Repubblica. Più limitatamente, ma in termini certamente più rispondenti alla storia vera del nostro paese, ritengo che per spirito costituente si debba intendere la condivisione in tutte le forze politiche e sociali di principi e di valori che, muovendo dalle acquisizioni comuni, sul terreno delle libertà possano costituire la guida per la revisione della parte ordinamentale della struttura costituzionale, ritenuta insufficiente.
Mancando questo spirito costituente, le revisioni costituzionali, soprattutto quando sono di così vasta portata, hanno il carattere dell'avventura.
A questa avventura - lo dico con coscienza critica essendo stato nella passata legislatura relatore della riforma del Titolo V - non si è sottratto il centrosinistra, anche se - come è stato più volte rammentato in quest'aula - vi è l'attenuante che il testo proposto allora all'approvazione dell'Assemblea era il frutto di una elaborazione comune di maggioranza e di opposizione. Infatti il popolo risolse felicemente quella avventura, nella consapevolezza che quella riforma, con tutti i suoi limiti e le sue manchevolezze, non scardinava il patto fondamentale della Costituzione repubblicana fra gli italiani. Quando, al contrario, le revisioni - come dimostra il testo oggi all'esame dell'Assemblea - sono il frutto delle scelte di una sola parte (minoritarie nel paese) e avviano nel merito uno sconvolgimento del sistema, esse sono destinate a provocare fratture morali, sociali ed ideologiche che impediscono lo stesso dispiegarsi dell'ordinata vita civile. I parziali limiti storici della Costituzione vigente peraltro furono anche avvertiti dai costituenti dell'epoca; molti costituenti allora segnalarono la debolezza della posizione del Governo nel sistema costituzionale italiano. Molti segnalarono la necessità di un forte decentramento democratico e l'istituzione delle regioni doveva rispondere a questo fine. In ogni caso, rimase per tanto tempo incompiuta la Costituzione sul terreno del decentramento democratico finché nacquero spinte ulteriori che proverò poi a giudicare. Al contrario di quello che ha sostenuto il collega Sterpa in quest'aula, le cui posizioni io rispetto profondamente, il federalismo di cui io e la gran parte della mia parte politica vogliamo essere espressione è un federalismo che vuole soprattutto definire un potere plurale come un potere meno opaco, più controllabile, più vicino ai cittadini rispetto al potere centralizzato. In una parola, il federalismo da noi inteso significa più democrazia, più partecipazione. Se si organizzano le strutture ordinamentali in modo da non realizzare maggiore partecipazione, maggiore democrazia, non stiamo parlando di vero federalismo. Dalla lettura di questo testo mi pare che voi assumiate dogmaticamente che il federalismo non può realizzarsi attraverso un forte regionalismo. Sembra dunque che, in una visione statica delle forme dello Stato, voi pensiate che la distinzione netta vi sia fra Stati regionali, riconducibili alla categoria degli Stati centralisti, e Stati federali. Legati a questa dogmatica - che per la Lega poi è una ragione di sopravvivenza politica - voi pretendete di realizzare contro la storia - e lo dimostrerò - un meccanismo di federalismo alla rovescia, tradendo con la disgregazione unitaria lo stesso concetto di federalismo che è sempre stato forma istituzionale e strumento politico per unire nelle politiche sociali e nella salvaguardia delle diversità possibili popoli e comunità altrimenti confliggenti nella sovranità e divergenti nello sviluppo. Si pensi al New Deal dello Stato americano che fu il frutto di una politica federalista; quel poco di welfare presente negli Stati Uniti d'America fu realizzato dallo Stato federale, secondo alcuni invadendo la competenza e la sovranità degli Stati di appartenenza. Si pensi ancora alle politiche pubbliche, sociali e di ridefinizione degli istituti sociali nei Länder tedeschi dopo l'unificazione, la caduta del muro di Berlino. Si tratta di un'opera fatta dallo Stato federale per unificare, per giungere all'uguaglianza dello sviluppo. Al contrario della dogmatica, la realtà delle istituzioni statuali e sovranazionali - si pensi al processo di unificazione europea che se non è federalista non è niente - è in continua evoluzione e non si lascia ridurre alla dogmatica delle classificazioni o al conservatorismo ideologico delle stesse.
La vostra proposta vive nell'illusione di definire per formule la separatezza tra la potestà legislativa e statuale e la funzione legislativa delle regioni e si muove nella erronea convinzione che un corrispondente modello di governo autoritario (avulso dal sistema politico, dalle convenzioni, dalla prassi, dalla storia, dal meccanismo elettorale e, ancor di più, dal rapporto con tutte le altre istituzioni dello Stato e, in particolare, con il ruolo e la funzione della Presidenza della Repubblica) possa controbilanciare un processo di disgregazione sociale programmata dall'articolazione dei poteri.
È un cammino singolare, che va contro l'evoluzione politico-costituzionale dei paesi più moderni ed avanzati. Da un lato, infatti, rammento che gli Stati centralizzati o debolmente regionalizzati come la Francia, si sono indirizzati con coraggio verso la valorizzazione degli enti intermedi, salvaguardando comunque l'unità politica e sociale del paese. Dall'altro, molti Stati federali tendono a rafforzare costantemente il proprio atto costitutivo all'insegna della garanzia federale dell'uguaglianza dei diritti.
I vari tipi di Stato, soprattutto in Europa, tendono a convergere in una zona intermedia fra federalismo e regionalismo, riconducibile, a me pare, ad una visione di federalismo solidale e responsabile, di cui vi è scarsa traccia nel testo del Governo. In un sistema di autonomie, anche legislative, gli elenchi delle materie a disciplina legislativa concorrente od esclusiva non possono costituire i criteri ordinatori del sistema delle fonti. Autonomia e unità, anche nella funzione legislativa, si garantiscono con un meccanismo dinamico di codecisione e di integrazione e insieme con procedure di decisione paritarie.
Le procedure di decisione paritarie, però, negli Stati federali riguardano i soggetti federati e, quindi, soggetti territoriali, non un Senato come quello delineato nel vostro testo, che non ha nulla di federale, al di là di quei ridicoli riferimenti all'anagrafe, alla residenza e anche alla stessa contestualità, che può avere la funzione di definire una classe di dirigenza uniforme a livello nazionale e regionale. In sé, tuttavia, esso non esprime un Senato federale.
Le procedure di codecisione avvengono tramite un Senato autenticamente federale e non con un Senato che, attraverso le formule definite oggi e la separatezza delle competenze tra materie concorrenti e materie esclusive, resta decisivo per molte politiche di Governo (tutte le politiche che attengono alle materie concorrenti, che sono politiche di settore, sono materie di attuazione del programma di Governo).
Non ci si può, quindi, affidare ad un Senato che non ha nulla di federale e che, quindi, non può codecidere secondo quel meccanismo dinamico in cui le frontiere delle materie sono aperte e libere. Un Senato che resta onnipotente su queste materie, che tiene in scacco il Governo e con il quale il Governo deve confrontarsi, è onnipotente e allo stesso tempo irresponsabile perché non ha responsabilità politiche e non risponde mai dei suoi atti. Ciò è confermato anche nella riformulazione del testo del Governo.
Dunque, i principi che regolano gli Stati federali rendono mobili le frontiere delle materie, garantiscono procedure di codecisione con i poteri territoriali e debbono salvaguardare da una nuova pervasività centralista le autonomie concesse. Infatti, si tratta di concessione in un processo federale come il nostro, che è alla rovescia. È questa la strada che assicura l'unità dell'ordinamento, ma il testo si muove in tutt'altra direzione.
Per quanto riguarda la forma di Governo, al di là dei sistemi democratici presidenziali, che si contraddistinguono da un forte bilanciamento dei poteri pubblici e sociali, l'evoluzione politica e costituzionale dei singoli paesi si configura come razionalizzazione del sistema parlamentare classico, che aveva il solo difetto nella precipitazione assembleare. È a quel difetto che dovremmo rispondere.
In questi processi di razionalizzazione ciò che conta è la flessibilità dei rapporti fra Assemblea, primo ministro e maggioranza ed è soprattutto la dialettica democratica che non consente di consegnare al Capo del Governo un potere di supremazia del Parlamento.
Così è la forma di governo del cancellierato tedesco, nella quale sono i processi politici che impediscono i cosiddetti ribaltoni e i capovolgimenti di maggioranza. Così è nella forma di governo del Primo ministro britannico, nella quale non è data al sovrano la facoltà di sciogliere le Camere al di fuori dei processi politici che avvengono al di fuori della Camera dei comuni.
In sostanza, anche la nuova formula è stata riprodotta con questa ossessione, nella quale io mi sono esercitato tanti anni fa, quando un costituzionalista mi suggerì che era possibile definire non ribaltone quella maggioranza che contenesse in sé i diciannove ventesimi della maggioranza uscita dalle elezioni.
In altri termini, l'esercitarsi sulle forme che irrigidiscono una Costituzione, che non tengono conto del sistema politico, dei meccanismi elettorali, della storia di ogni paese, delle convenzioni e delle prassi internazionali, rendono il sistema costituzionale rigido e questa rigidità, spostata sui poteri del primo ministro, fa precipitare il modello di governo fuori dall'alveo parlamentare e lo spinge non verso sistemi presidenziali, che hanno in sé altri bilanciamenti di poteri, bensì verso altri sistemi cesaristici, autoritari, personalistici.
I modelli di governo parlamentare razionalizzati tengono conto del fatto che le Costituzioni vivono all'interno dei processi politici legati alla legislazione ordinaria sulla natura dei partiti, sul finanziamento pubblico della politica, sui meccanismi elettorali, sui rapporti fra le forze politiche, sulle aggregazioni che i processi politici definiscono e creano.
Orbene...
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Soda.
ANTONIO SODA. L'equilibrio dei poteri sulla forma di governo va ricercato, a mio avviso, nella conservazione del rapporto di fiducia tra Governo e Parlamento e nella garanzia di continuità fra corpo elettorale e Governo, e non solo fra corpo elettorale e Parlamento, ma al di fuori delle formule rigide che non tengono conto di tutto quello di cui ha bisogno per la sua vita un sistema: in particolare, un ruolo del Presidente della Repubblica arbitro, regolatore e garante degli equilibri costituzionali.
PRESIDENTE. Onorevole Soda, la prego di concludere!
ANTONIO SODA. Vi sono dunque ragioni di metodo oltre che di merito perché voi accogliate un monito che viene non solo dall'opposizione ma anche da gran parte del paese: fermatevi, fermiamoci, ripensiamo a come rispondere ai limiti della nostra Costituzione senza scardinarla e sconvolgerla (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Acquarone. Ne ha facoltà.
LORENZO ACQUARONE. Signor Presidente, onorevoli rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, non avrei mai pensato di dover prendere la parola nel corso della mia attività parlamentare per difendere a viso aperto i principi fondamentali di libertà e di democrazia sui quali deve fondarsi la nostra civile convivenza, perché di questo oggi si tratta!
Dietro il modesto titolo di «Modificazione di articoli della parte II della Costituzione», il testo del disegno di legge costituzionale di iniziativa governativa oggi al nostro esame si presenta, in realtà, come uno stravolgimento della Costituzione del 1947, sotto la cui vigenza il nostro paese ha avuto un notevole sviluppo sotto ogni profilo. Questo stravolgimento rischia di minare alle fondamenta i principi di uno Stato democratico, mettendo in serio pericolo l'unità nazionale e la democrazia rappresentativa, cioè l'unica forma di vera democrazia.
L'attuale Costituzione, sorta dopo anni di dittatura e dalle rovine della guerra, è frutto della convergenza della larga maggioranza dei membri dell'Assemblea costituente, portatori di diverse tradizioni, anche di contrastanti ideologie, ma tutti egualmente tesi a garantire sia l'unità dello Stato, pur nella sua articolata composizione, sia la sovranità popolare, che non trova sostituibili mezzi di espressione diversi da quello della centralità del Parlamento.
Proprio questi due cardini fondamentali del patto che ci lega come cittadini e come italiani vengono, ora, posti in discussione. Ed a tanto si arriva soltanto per una temporanea, trasversale esigenza politica di basso livello, per l'intendimento, cioè, di tenere in vita questa maggioranza e, quindi, questo Governo, lacerati entrambi da profonde divisioni, ma che, pur di continuare, sono pronti a qualsiasi compromesso.
È ben noto - e gli stessi interessati non ne fanno mistero - che i due indirizzi che caratterizzano il testo in esame, pure in profonda ed insanabile contraddizione tra di loro, hanno un'unica giustificazione: quella di tenere unite forze politiche divise su ogni questione, tranne che sul desiderio di continuare a governare. Tutto nasce dalla necessità per la Lega di poter sbandierare di fronte ai propri sostenitori, ai quali si è fatta balenare, in un recente passato, addirittura la secessione, un istituto definito con terminologia straniera, la devolution, di cui non si conosce - nessuno lo conosce! - il vero contenuto, perché, a seconda delle diverse interpretazioni che possono essere date all'articolato che oggi abbiamo in discussione, le norme in esso contenute possono portare tanto alla dissoluzione dell'unità del nostro paese quanto ad essere considerate inutiliter scriptae!
Ma credo che questa reale possibilità interessi poco ai dirigenti della Lega: l'importante, per loro, è poter fare un po' di grancassa, giocando su un termine che, ripeto, vuol dire tutto ed il contrario di tutto.
Per accontentare la Lega, che ha minacciato di abbandonare la maggioranza se la devolution non fosse stata approvata nei termini ultimativamente imposti, i rappresentanti di questo Governo hanno dovuto cedere alle richieste di quell'altra parte politica, che, al di là delle dichiarazioni verbali, non rinuncia al rimpianto per un esecutivo forte, anzi per un Capo dell'esecutivo dotato di poteri quasi assoluti. Di qui le norme sul premierato, sconosciute a qualsivoglia Stato democratico, perché, com'è facilmente riscontrabile con un rapido esame comparatistico, ad un esecutivo forte deve fare da contrappeso un non meno forte istituto parlamentare svincolato dalle possibili ed alterne vicende governative.
Intendiamoci, non sono certamente tra coloro che non desiderano stabilità dei governi e maggioranze sicure, ma, con fermezza, dichiaro di oppormi con tutte le mie forze a derive plebiscitarie che, anche quando non sfociano in situazioni bonapartistiche o peronistiche, finiscono per realizzare quello che già Rousseau individuava come un grave pericolo, cioè che i cittadini fossero uomini liberi il giorno del voto e, poi, sudditi per tutta la durata del mandato, conferito, talvolta, senza termini precisi.
Grave, quindi, il contenuto del disegno di legge costituzionale! Gravissimo, se non addirittura offensivo, il modo con il quale un disegno di legge di tale importanza viene sottoposto all'esame di questa Camera!
La Costituzione che ci regge - e che io mi auguro continui a reggere il nostro paese - è stata elaborata da Commissioni preparatorie alle quali hanno partecipato eminenti giuristi ed è stata esaminata ed approvata dopo approfondite discussioni.
Non so se invitare i colleghi a rileggere i grandi interventi che allora sono stati sviluppati in quest'aula. Non so quanti sopporterebbero la vergogna della situazione attuale. Il confronto non è nemmeno possibile.
Si è iniziato con una riunione montana tra quattro saggi o presunti tali. Si è proseguito con la blindatura del testo nell'altro ramo del Parlamento e qui si è giunti al punto che per accontentare qualche parte politica o meglio qualche parte di essa non si sa ancora quale sia il testo definitivo che dovremo discutere.
Lei, onorevole relatore, che pure è persona di raffinata cultura giuridica, ha scritto nella sua relazione che eventuali modifiche migliorative potranno essere apportate dal Comitato dei nove. Ma si è reso conto, onorevole Bruno, che si tratta di un disegno di legge che cambia i fondamenti della nostra Costituzione e non dello stato giuridico di qualche dipendente di un ente pubblico inutile che deve essere soppresso? Ed ella, signor rappresentante del Governo, sa che ancora l'altro ieri il suo ministro non era in grado di farci avere la formulazione degli emendamenti predisposti nelle riservate discussioni quasi carbonare di una maggioranza rissosa? Ma, a ben considerare i vostri emendamenti, se sono quelli già approvati in Commissione e quelli ora preannunciati, per la verità interessano ben poco. Infatti, è la riforma che ci è stata presentata che deve essere respinta nel suo complesso.
La larga maggioranza dei colleghi professori di diritto pubblico è di questa opinione. Nessun emendamento che non si ponga in netta antitesi con le norme contenute nel disegno di legge può contribuire a migliorarlo. Uno studioso serio, qual è Gaetano Azzariti, ha chiesto a noi, deputati dell'opposizione, di opporci con le ragioni del costituzionalismo moderno, di tentare di far capire a quanti deputati dell'opposizione hanno a cuore gli interessi superiori del nostro Stato e ai deputati della maggioranza - qualcuno ci deve pur essere - come le disposizioni al nostro esame evidenzino una sostanziale miseria e un'enorme distanza dai principi classici del costituzionalismo.
Lo faremo nel corso del dibattito sulle proposte emendative, nella speranza che vi sia ancora spazio per la lotta delle idee, che l'approvazione di qualche nostra proposta emendativa porti, come dice Azzariti, ad un'implosione che interrompa questo cammino parlamentare. La speranza riposa sul fatto che, così come afferma Croce, se molti pensano che Parigi val bene una messa, altri, molto più fondatamente, pensano che questo non sia vero, perché si tratta di questioni tra loro non comparabili. Ora ritengo che, tra i banchi della maggioranza, non manchino colleghi per i quali il mantenimento dei valori costituzionali prevalga e di molto sulla durata di un Governo e di una maggioranza peraltro già in stato di dissoluzione.
Parteciperemo, dunque, e personalmente parteciperò anche sulla base di un'esperienza maturata nei quasi quarant'anni in cui ho ricoperto e ricopro una cattedra universitaria di diritto pubblico, al dibattito parlamentare, ma, vorrei dirlo con assoluta chiarezza, non già per migliorare un testo che, così com'è, non è migliorabile, ma per riaffermare un ruolo delle norme costituzionali centrale per la vita democratica e ben superiore alle transeunte contingenze politiche. È pur vero che, ove sciaguratamente questo disegno di legge più o meno modificato nelle sue parti meno significative dovesse passare, la lotta per le idee sarà portata di fronte a tutti i cittadini attraverso l'istituto del referendum. Ma a tanto non vorrei che si arrivasse, perché, come di recente ha affermato Antonio Baldassarre, quando la lotta politica degenera in lotta per la Costituzione vuol dire che si è arrivati ad un punto nel quale, ove non si ritorni ad una seria riflessione sulle condizioni e sui presupposti della democrazia pluralistica, si rischia di causare a quest'ultima ferite gravi ed irreparabili.
Ferme queste premesse, nel breve spazio di tempo che mi è concesso in questa sede di discussione generale, cercherò di sintetizzare ciò che mi porta a condividere l'espressione di scenario orribile che autorevolmente è stato adoperato da molti costituzionalisti per descrivere la situazione che oggi abbiamo di fronte. I punto nodali su cui è fondato il nostro dissenso sono tre e riguardano rispettivamente: la cosiddetta devolution, almeno nella sua attuale formulazione, il ruolo attribuito al premier - poi mi chiedo perché ci sia tanto abuso di termini stranieri - , con la contestuale recessione della centralità del Parlamento e il disegno generale degli istituti di garanzia, che vengono non solo depotenziati, ma politicizzati, a tutto nocumento della loro funzione, che non può essere disgiunta da principi di imparzialità e di indipendenza. Ma prima ancora c'è un aspetto di carattere generale che giustifica la nostra posizione e ci induce a condividere l'opinione prevalente tra tutti gli studiosi di diritto costituzionale, secondo la quale il disegno di legge al nostro esame è incostituzionale, ancorché abbia la forma di legge costituzionale. Infatti, nonostante il titolo affermi che si tratta di modificazioni alla seconda parte della Costituzione - ed effettivamente l'articolato incide direttamente su disposizioni in questa contenute -, sembra invece che molte norme riguardino principi fondamentali contenuti nella prima parte del vigente testo costituzionale, investendo alcuni principi che per loro natura, affermando diritti che lo Stato non attribuisce ai cittadini, ma che vengono riconosciuti quali valori costituzionali, non sono suscettibili di revisione, se non scardinando le basi fondamentali del patto che ci lega in un'unica libera comunità nazionale. Penso, solo a titolo di esempio, all'aspetto recessivo delle riserve di legge previste a tutela dei diritti inviolabili della persona e delle formazioni sociali ove si svolge la loro personalità; alla differenziazione tra cittadini di regioni economicamente più favorite e a quelli di regioni meno fortunate; alla distruzione del principio di eguaglianza, anche per quanto riguarda gli stessi deputati, con la limitazione della loro libera funzione, non solo per il fatto di appartenere ad una maggioranza determinata dalle elezioni, ma addirittura anche nell'ambito di questa stessa maggioranza. Ma di ciò avremo occasione di parlare presto, esaminando le questioni pregiudiziali che sono state presentate.
Passo quindi rapidamente all'esame dei ricordati aspetti di carattere generale che legittimano il nostro assoluto dissenso. Come ho oggi avuto occasione di accennare, la devolution, siccome interpretata, può o portare alla dissoluzione dell'unità nazionale oppure lasciare le cose come stanno, ed è previsto che questa interpretazione abbia natura politica, perché la valutazione dell'interesse nazionale è rimessa in prima istanza al Senato federale, così che noi potremmo avere un Governo forte rispetto alle regioni deboli e un Governo debole nei confronti delle regioni forti; in seconda battuta, il giudizio è rimesso al Presidente della Repubblica, attribuendo a questa figura di garanzia compiti esclusivamente e tipicamente politici; resta il ricorso alla Corte costituzionale, un organo che, peraltro, nel disegno di legge acquista una forte caratterizzazione politica con lesione quindi della sua imparzialità.
Per quanto riguarda la forma di governo, il testo al nostro esame attribuisce poteri assoluti al Presidente del Consiglio, che, con la minaccia dello scioglimento, può imporre alla Camera, o meglio, alla sua maggioranza, magari anche solo relativa, l'approvazione di qualsiasi proposta di legge governativa. Quod principi placuit, legis habet vigorem. Così si uccide la centralità del Parlamento, unica vera espressione della sovranità popolare, della sovranità di un popolo libero.
Siamo persuasi che il rafforzamento dei poteri dell'esecutivo non possa essere disgiunto da un parallelo rafforzamento dei poteri del Parlamento, in funzione di quel bilanciamento dei poteri che già veniva lucidamente delineato dall'articolo 16 della Dichiarazione dei diritti del 1789, la quale, come è noto, è alla base del moderno costituzionalismo e caratterizza le più moderne ed avanzate democrazie.
La difesa della Repubblica parlamentare è per noi, dunque, un imperativo categorico, convinti, come siamo, che solo in sua presenza vi possa essere uno Stato libero e democratico.
Il dissenso è ancora totale, infine, per quanto concerne gli organi di garanzia. Quanto è previsto in ordine alla loro composizione, alle modalità di elezione dei loro componenti ed ai sistemi di accesso al loro giudizio contrasta con il principio di imparzialità che deve essere tipico della loro esistenza e della loro funzione.
Conclusivamente, l'appello che, pur conscio dei numeri dell'attuale maggioranza e dell'arroganza di parte di essa, rivolgo a tutta l'Assemblea ed alla coscienza dei singoli deputati è di rigettare, salvo radicali modifiche, il disegno di legge in discussione. Si tratta, come ho già detto all'inizio, di difendere l'unità e la libertà della nostra Repubblica, e come ricordava Carducci, inaugurando il palazzo dei Priori di San Marino, solo in una libera Repubblica è lecito non vergognarsi di Dio (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Popolari-UDEUR, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pappaterra. Ne ha facoltà.
DOMENICO PAPPATERRA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, credo che esista un profondo divario tra il lavoro che, circa cinquant'anni fa, i padri della Costituzione hanno svolto e l'approssimazione con cui oggi si vuole proporre una modifica di tale lavoro.
L'Assemblea costituente fu insediata dal nostro compagno Saragat il 26 giugno 1946. La nuova Carta costituzionale della Repubblica vide luce solo il 27 dicembre 1947, quasi dopo un anno e mezzo di aspro confronto culturale su tutti i temi sociali e politici, sui principi fondamentali, sui diritti e sui doveri dei cittadini, sui rapporti etico-sociali e sui rapporti economici. Allora a confrontarsi erano tre grandi culture politiche: quella comunista e socialista, quella cattolica e quella liberale, che erano ben rappresentate in quella Assemblea costituente.
Il confronto con i giorni di oggi è improponibile; tuttavia, al di là del mutato quadro politico e delle personalità in campo ieri ed oggi, resta, a mio modo di vedere, la necessità di affrontare il percorso riformatore con grande equilibrio, per evitare di ledere irrimediabilmente le fondamenta della nostra democrazia. Al contrario, la revisione costituzionale in procinto di essere approvata sta avvenendo sotto il ricatto di uno dei partiti della coalizione di maggioranza, che ha dettato tempi e modi dell'adozione, stabilendo persino la data dell'8 ottobre come termine ultimativo, oltrepassato il quale provocherebbe la caduta del Governo Berlusconi.
Ciò che i padri costituzionali fecero in due anni, oggi si pretende di farlo in meno di 110 ore di dibattito parlamentare. Per la verità, e vorrei dirlo con grande franchezza, avevamo confidato molto, soprattutto dopo il dibattito svoltosi in I Commissione, sulla posizione di alcune forze della maggioranza, soprattutto di quelle di chiara ispirazione unitaria e meridionalista, ad iniziare dall'UDC, che avevano posto questioni di grande rilievo, in buona parte da noi condivise.
Mi riferisco, ad esempio, alla proposta di assegnare nuovamente allo Stato, e dunque alla competenza della Camera dei deputati, alcune materie che oggi la riforma in esame assegna al Senato federale, in quanto materie di competenza concorrente. Tra queste, oltre alle grandi infrastrutture, all'energia e alle comunicazioni, vi era anche la grande spinta per riportare nell'ambito delle competenze dello Stato soprattutto la tutela della salute dei cittadini.
Si tratterebbe inoltre di introdurre la clausola di salvaguardia dell'interesse nazionale, da attivare quando lo Stato ritiene che una legge regionale pregiudichi l'unità giuridica ed economica della Repubblica; quella di ridimensionare i poteri affidati al premier, soprattutto quello di poter sciogliere il Parlamento, auspicando, invece, un rapporto molto più equilibrato tra il Capo del Governo e la Camera, introducendo la sfiducia costruttiva e quello, infine, di evitare un ruolo solo notarile del Presidente della Repubblica.
Mi dispiace costatarlo, ma queste posizioni a noi sembra siano state assolutamente assorbite nella logica di privilegiare gli interessi politici di parte a quelli generali, preferendo magari acquisire maggiori quote di potere pubblico, in cambio della rinuncia ad una battaglia di grande civiltà giuridica e politica.
Mi sia consentito di dire, signor Presidente, che anche la posizione di Alleanza nazionale ha suscitato un grave sconcerto, per il fatto che un partito profondamente radicato al sud e strenuo difensore della patria abbia condiviso ed avallato un progetto di riforma costituzionale così palesemente contrario al popolo meridionale, ai suoi bisogni, ai suoi desideri ed alle ragioni della storia nazionale. Forse potevano evitarla questa deriva. I ministri Alemanno e Gasparri che, alle ultime elezioni europee, hanno raccolto una valanga di voti nella circoscrizione meridionale, si erano solennemente impegnati ad evitare processi di disgregazione sociale ed istituzionale. Sarebbe il caso che il loro partito, con un sussulto insieme di razionalità e di patriottismo, bloccasse questa drammatica deriva contro la nostra storia nazionale ed unitaria. Se così non fosse, il giudizio dei cittadini del sud e di tutti gli italiani non potrà che essere severo.
Quanto al merito della riforma proposta, essa non dà sicuramente luogo alla costruzione di uno Stato federale, non fornisce al nostro paese le regole di una moderna democrazia dell'alternanza. Mescola, nello stesso tempo, in maniera contraddittoria, derive secessioniste e rigurgiti centralisti. Si abbandona la forma del Governo parlamentare, a favore di un modello cesarista e plebiscitario, in cui, sostanzialmente, tutti i poteri di indirizzo politico sono attribuiti al premier. È indebolita gravemente la posizione del Presidente della Repubblica; si vuole sottoporre al controllo politico l'organo di garanzia del nostro ordinamento, la Corte costituzionale.
Ecco perché, sul contenuto di questa riforma vanno ribaditi alcuni pensieri di fondo che esprimono la nostra netta contrarietà ad un progetto che introduce innovazioni contraddittorie e pericolose per l'unità d'Italia, al punto che anche il nostro presidente della Repubblica, Ciampi, è stato costretto ad intervenire più volte per difendere con grande vigore ed energia l'unità del nostro paese, affermando che essa è un valore che proviene della nostra storia, che in essa crediamo, la difendiamo e la difenderemo in tutti i modi e in tutte le circostanze. Mi pare che anche in queste ore in cui si tiene il dibattito parlamentare, il Capo dello Stato stia lavorando alacremente per evitare una pericolosa deriva, iniziando da quella federalista.
Per noi, federalismo non vuol dire cercare di sottrarre allo Stato competenze e prerogative, per usarle in modo arbitrario ed esclusivo. Al contrario, significa autogoverno responsabile e reale. La cultura che ha sempre animato i federalisti del nostro paese è stata lo spirito di chi detesta i pregiudizi nazionali e razziali, di chi non vuol sentire parlare di popoli padani, di chi ama la libera discussione, fondata sul rispetto delle opinioni altrui, di chi non sopporta la demagogia populista. Federalismo non vuol dire rinnegare il passato, distruggendo rabbiosamente lo Stato centralista e allestendo, nello stesso tempo, un sistema di vertiginoso aumento della spesa pubblica. Federalismo non significa ritorno nel territorio delle ricchezze prodotte dallo stesso. Lo Stato federale deve prevedere che al centro giungano le risorse per pagare il debito pubblico, per garantire le funzioni stabili unitarie e per realizzare interventi speciali di perequazione.
Federalismo, signor Presidente, non può significare competizione tra le regioni per l'allocazione delle risorse e, soprattutto, mi sia consentito di dirlo, federalismo non vuol dire imporre, come vuole fare la Lega nord, con la devolution, la cancellazione della sovranità dello Stato in una serie di materie che possono essere governate solo attraverso un riferimento nazionale.
Attribuire alle regioni il potere di legiferare in via esclusiva su salute, sicurezza ed istruzione significa ledere il principio di uguaglianza dei cittadini che hanno costituzionalmente diritto alle stesse prestazioni pubbliche per la tutela di questi loro beni. È un tentativo pericoloso di rendere diseguali i cittadini delle diverse regioni. Al contrario, lo Stato deve garantire le linee fondamentali entro cui far muovere gli enti territoriali.
Questa riforma preoccupa gran parte dei cittadini del nostro paese. Ecco perché vorrei rivolgere al ministro per le riforme istituzionali e a chi lo rappresenta un invito, affinché chiariscano, durante il dibattito parlamentare, soprattutto a quella parte di cittadini fortemente svantaggiati del nostro paese, gli effetti di questa riforma, in particolare per quanto riguarda le materie riportate alla competenza esclusiva delle regioni.
È bene che il ministro Calderoli lo dica a tutti i nostri cittadini: in materia sanitaria, a devolution approvata, cosa succederà? I cittadini lucani, pugliesi, calabresi, campani e di molte altre regioni del Mezzogiorno, fino ad oggi, hanno ricevuto prestazioni sanitarie importanti nei centri di eccellenza del centro nord del nostro paese, che sono all'avanguardia per qualità di prestazioni, capacità professionali, elevato livello di attrezzature e che hanno salvato la vita di migliaia di persone. Penso all'istituto oncologico europeo del professor Veronesi, al San Raffaele o al Besta di Milano, al Rizzoli di Bologna, al Careggi di Firenze, al Gemelli o al Bambin Gesù di Roma ed a tanti altri centri di eccellenza nel nostro paese. Questi cittadini potranno continuare a ricevere a carico del sistema sanitario nazionale tali prestazioni o sarà preclusa loro questa possibilità? Resterà in vigore il sistema universalistico delle prestazioni introdotto dalla riforma sanitaria con la gratuità o anche nel nostro paese dovremo prepararci ad un sistema sanitario basato sulle assicurazioni? E, in questo caso, siamo nelle condizioni, come l'America di Bush, di lasciare senza assistenza sanitaria milioni e milioni di cittadini che non sono in grado di pagarsi l'assicurazione per ricevere l'assistenza sanitaria?
Fino ad oggi a questi interrogativi nessuno ha risposto. Mi auguro che durante la discussione venga fatta chiarezza e si forniscano indicazioni precise in merito, così come anche a proposito della potestà esclusiva in materia di polizia locale riconosciuta alle regioni. Sarebbe il caso che il ministro per le riforme chiarisse cosa ciò voglia dire, anche perché la sensazione di tutti, ad oggi, è che si stia costruendo un altro mostro. Infatti, la riforma parcellizza le forze dell'ordine e della sicurezza, rende incerte e precarie le competenze della polizia, inventa polizie locali e polizie regionali dai profili indeterminati e velleitari in un quadro in cui tutte le istituzioni vengono destabilizzate in maniera eversiva.
Inoltre, anche l'istruzione affidata esclusivamente alle regioni non credo ci condurrà su una strada giusta, ma ci porterà ad avere programmi di insegnamento fondati sull'interesse specifico delle regioni. Quindi, sarà cancellata anche in questo campo l'unitarietà del nostro ordinamento scolastico.
Allora, non sarebbe il caso di riflettere, signor sottosegretario sul fatto che molto probabilmente si sta costruendo un'Italia a due velocità, nella quale si alternano aree sempre più in crisi e penalizzate ed altre sempre più sviluppate in progressiva crescita? Inoltre, questo federalismo all'italiana non rischia di abbattersi pesantemente sulle aree più deboli del nostro paese? Penso non solo al Mezzogiorno d'Italia, ma anche ai tanti territori montani del nord del nostro paese dove gli enti locali sono asfissiati dalla strozzatura dei trasferimenti da parte del Governo e da una base imponibile irrisoria quanto, in molti casi, pressoché inesistente.
Parlando del federalismo fiscale, credo che dovremmo precisare di nuovo - e lo facciamo stasera - che il modello di federalismo fiscale imperniato sull'articolo 119 della nostra Costituzione, quello riformato nel 2001, si estrinseca su due principi fondamentali: il rispetto dei diritti fondamentali del cittadino e dei livelli essenziali di erogazione dei servizi e la perequazione effettuata dallo Stato per i territori con minore capacità fiscale per abitante.
Ora, pensiamo davvero, in nome della devolution, che questi territori e i loro cittadini possano reggere da soli l'impatto che si propone, soprattutto quando non c'è traccia dell'applicazione dell'articolo 119 in materia di perequazione per i territori con minore capacità fiscale?
Il federalismo fiscale deve, infatti, a nostro modo di vedere, dare innanzitutto una risposta di efficienza e di economicità, ma in una cornice di grande solidarietà. Tutto ciò passa per una scelta chiara e radicale: all'apertura di fonti di reddito alle regioni deve corrispondere la contestuale chiusura di altrettante fonti di spesa operate dal centro. Altrimenti, come è stato spiegato in quest'aula, il sistema non regge. Con l'attuale Governo sta accadendo esattamente il contrario: mentre il centro declama e proclama la riduzione delle tasse, nello stesso tempo taglia sensibilmente i trasferimenti agli enti locali ed alle regioni costringendole, a loro volta, ad aumentare la pressione fiscale.
La nostra non è facile demagogia. Il sud non ha paura di questo federalismo, è pronto ad accettare questa sfida difficile ma nello stesso tempo affascinante. Tuttavia, non ci potrà essere vero federalismo senza un adeguato fondo di perequazione perché il minor gettito oggi non consente alle regioni meridionali di essere autosufficienti e di fronteggiare i nuovi compiti derivanti dall'eventuale devolution.
La riforma non tocca sono la questione della devolution, ma tutto l'impianto del nostro sistema politico: essa introduce il concetto di premierato, indebolisce i poteri del Presidente della Repubblica, e, soprattutto, sottopone al controllo politico un organo di grande garanzia com'era la Corte costituzionale nel nostro paese.
PRESIDENTE. Onorevole Pappaterra...
DOMENICO PAPPATERRA. Signor Presidente, avendo esaurito il tempo a mia disposizione, le chiedo l'autorizzazione alla pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. La Presidenza la consente, sulla base dei consueti criteri.
DOMENICO PAPPATERRA. Vorrei solo concludere invitando tutte le forze dell'opposizione ad essere coerenti con le posizioni sinora assunte ed a prepararsi ad una grande battaglia nel paese. Il referendum costituzionale resta l'unica strada per cercare di frenare una riforma che rischia di annullare cinquant'anni di convivenza democratica e la certezza dei diritti di libertà e di giustizia che i cittadini italiani hanno conquistato attraverso tante lotte (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Socialisti democratici italiani).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Spini. Ne ha facoltà.
VALDO SPINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sento l'esigenza di partecipare a questo dibattito avendo vissuto in particolare due esperienze. Mi riferisco a quella della Commissione bicamerale della scorsa legislatura che, certo, segnò un insuccesso ma partì con uno spirito bipartisan e, comunque, di ricerca molto pronunciato ed importante, ed a quella della Convenzione europea in cui, addirittura, uomini e donne di 28 paesi, con differenti rappresentanze istituzionali, seppero trovare la strada del voto di un unico documento. Dico ciò per verificare la distanza tra tali metodi e quello utilizzato in questo periodo.
Certo, il fallimento della Bicamerale ha fatto venire meno lo spirito bipartisan su cui affrontare il tema della transizione italiana dalla prima Repubblica alla seconda, che a qualcuno fa augurare la terza. Vi è stato, certo, un errore del centrosinistra quando ha approvato la riforma del Titolo V della Costituzione a maggioranza. Tuttavia, tale errore era temperato dal fatto che si trattava di testi che avevano avuto una larga convergenza a livello delle regioni italiane e delle varie forze politiche. In questo caso, invece, siamo di fronte ad un mercato delle vacche interno alla maggioranza tra il federalismo della Lega da un lato ed il premierato che piace tanto a Berlusconi dall'altro e su cui è finito per convergere il partito dell'onorevole Fini. Su ciò, nonostante la buona volontà, l'onorevole Follini non è riuscito ad incidere con modifiche realmente sostanziali.
L'onorevole Pappaterra, dal suo punto di vista, ha svolto un appassionato intervento criticando il disegno di legge dal punto di vista del federalismo. Avendo poco tempo, cercherò di concentrarmi sull'altro aspetto: quello del premierato. Credo di essere un parlamentare del centrosinistra con le carte particolarmente in regola nel bocciare il premierato che ci viene sottoposto. Nella Bicamerale si svolse una votazione tra due opzioni: da un lato, il premierato; dall'altro, il semipresidenzialismo alla francese con garanzie al Parlamento. Chi vi parla votò per la seconda soluzione, quindi non potrò mai essere tacciato di indulgenza verso il premierato.
Il premierato che viene qui proposto è però particolarmente grave. Calandolo, infatti, nello scenario delle figure istituzionali attuali, ciò significherebbe ridurre il ruolo del Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, a quello della regina Elisabetta (naturalmente senza corona!). Si tratterebbe, sostanzialmente, di una figura del tutto inincidente sui processi politici. Viceversa, l'attuale primo ministro, Silvio Berlusconi, vedrebbe accresciuti i suoi poteri, in particolare nei confronti della maggioranza, con la possibilità - come ha già detto bene l'onorevole Acquarone - di avere sempre la spada di Damocle dello scioglimento della Camera politica, quando sentisse scricchiolare il consenso intorno a sé. E, addirittura, non si ha nemmeno la vergogna di proporlo (il premierato) in una fase in cui non si è ancora risolto il conflitto di interessi (ed, anzi, si accoglie la cosa quasi con stanchezza).
In questi anni, abbiamo visto quanto sia stato importante il ruolo di moderatore e di garanzia del Presidente Ciampi. Non è casuale che quando si fanno i sondaggi - che, pur non essendo costituzionalizzati, sono però diventati un ingrediente necessario della politica attuale - si vede che il grado di apprezzamento per il Presidente Ciampi è veramente molto elevato. Sembra quasi che ci si voglia vendicare sull'istituzione della Presidenza della Repubblica, di fatto esautorandola e togliendole valenza politica. Viceversa, il primo ministro diventa di fatto dittatore della sua maggioranza ed assume dei poteri molto forti nei confronti del Parlamento, ma senza aver avuto un mandato diretto e specifico (se non addirittura un mandato completamente indiretto). Si crea quindi uno squilibrio di potere veramente inaccettabile e pericoloso.
Verrebbe voglia di dire - anche se forse è un po' improprio - che si tratta di un gollismo senza elezione diretta oppure di un gollismo senza nemmeno il primo ministro, che invece c'è nella Repubblica francese. Siamo quindi di fronte ad un'operazione politicamente scorretta e quindi da criticare, perché in qualche modo si cerca di prefigurare al paese che se le cose il Governo in questo periodo non le ha fatte non è per la sua insussistenza o per l'inconciliabilità tra il partito di Alleanza nazionale e il partito che si chiamava Lega nord per l'indipendenza della Padania (e che oggi si chiama solo Lega Nord, ma che comunque è nato in questo modo) o per l'inadempienza di uno schieramento, che per due anni si è bloccato nella lotta contro l'articolo 18, che non era assolutamente un obiettivo che interessava al sistema economico e produttivo, e che poi successivamente si è fossilizzato sul tema agitato, ma non portato avanti, della diminuzione delle tasse, non riuscendo poi a concludere granché dal punto di vista della ripresa economica. Sembra quasi che questa riforma in qualche modo avalli l'idea che se questo Governo non ce l'ha fatta, ciò è accaduto per le difficoltà interne alla sua maggioranza.
No, non è così. Non ce l'ha fatta per un errore di programma, per un'impostazione che non era sufficientemente fondata, che non aveva evidentemente alla base un'analisi sufficientemente seria della realtà. Dunque, di fronte a questo tentativo di fare del primo ministro - perché si chiamerà così, invece che Presidente del Consiglio - una specie di dittatore della sua maggioranza, senza più il contemperamento del Presidente della Repubblica, voi capite che non solo votiamo contro, ma insorgiamo anche con molta forza. È vero che siamo di fronte al tentativo di chiudere la fase della transizione italiana, nonché la questione della coerenza del maggioritario, ma vi sarebbe bisogno non di una violenza del primo ministro sul Parlamento, bensì di una riforma elettorale che ponesse il Parlamento nella condizione di poter sostenere il maggioritario. Tante volte si confondono questi due aspetti. Non è necessario l'autoritarismo di qualche figura, quanto invece una franca e seria riforma elettorale, come i due turni alla francese o come un maggioritario spinto all'estremo. Occorre cioè dare coerenza al sistema. Invece no, al sistema non si dà coerenza, però si propone una specie di dittatura della maggioranza, che di fatto priva gli elettori della possibilità di controllo e che mette l'eletto dal popolo, cioè il parlamentare, in condizioni difficili.
Ci vorrebbe maggiore coerenza. Lo dico onestamente, anche perché su questi temi credo che ognuno debba portare il suo contributo. Non ha giovato, al riguardo, la posizione sulla scheda elettorale del nome del candidato alla Presidenza del Consiglio, come abbiamo fatto nelle ultime elezioni. Comprenderete però che a me questo non può essere rimproverato, perché non ho mai avuto indulgenza verso il sistema del premierato. A mio parere, infatti, questo non è il sistema con il quale si risolve la crisi italiana e con il quale si può operare positivamente la transizione.
Credo veramente che su tale aspetto sarebbe necessario un ripensamento di dottrina (è stato detto meglio di me), ma anche di prassi. Ho portato un esempio concreto: cosa sarebbe successo in questi anni se fosse invalso questo principio? Ci saremmo trovati in una condizione caratterizzata dall'assenza di garanzie e di una suprema moderazione del sistema politico, con un Presidente della Repubblica che non avrebbe potuto esercitare il suo ruolo. Non vorrei che ci si volesse vendicare del fatto che il Presidente Ciampi rinviò alle Camere il cosiddetto disegno di legge Gasparri o altri provvedimenti di questo genere (una vendetta politica, non istituzionale).
Vorrei che fossero presenti (sono persone oggi occupate in ben altre faccende) i tanti miei colleghi della Bicamerale, con i quali allora sembrava si potesse svolgere un dibattito veramente approfondito e spregiudicato per porre la seguente domanda: cosa ci portate oggi?
Certo, non è con questo disegno di legge che si riuscirà a regolare i rapporto fra centro e regioni. Non è bene invocare chi non c'è, ma non mi sembra vi sia l'impronta di Cattaneo. Credo che, invece, siamo di fronte al tentativo, abbastanza surrettizio, di scassare una serie di riforme nazionali, attraverso un forte federalismo. Non è, tuttavia, un federalismo responsabile o solidale; è il federalismo concepito come cavallo di Troia per scassare alcune riforme di welfare, di solidarietà nazionale che, in questo modo, verrebbero veramente messe in causa. Ci si mette poi sopra questa specie di coperchio del primo ministro onnipotente.
Pertanto, non si comprende il motivo per cui su tale tema si debba procedere così velocemente. Persino il presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, aveva chiesto un ripensamento, una pausa di riflessione al riguardo. Chiunque legga i giornali o segua la televisione si può rendere conto, a proposito di questa vicenda, che non si tratta di una dinamica parlamentare, ma di una dinamica all'interno della maggioranza.
Da una parte, il partito della Lega ne potrebbe conseguire una certa soddisfazione e mi domando se poi l'abbia veramente avuta (giudicheranno la situazione meglio di me). Dall'altra, il primo ministro Berlusconi potrebbe ottenere una specie di vittoria morale, disponendo nei confronti della maggioranza, del potere di scioglimento e sottraendo tale potere al Presidente della Repubblica, così come quello di apporre la controfirma, di nominare, su sua proposta, i ministri. Mentre, da un lato, si disintegra quella coesione sociale realizzatasi attraverso le grandi riforme della solidarietà e dello Stato del benessere, dall'altro lato, si turba l'equilibrio dei rapporti parlamentari anche con riferimento ad un soggetto che non viene eletto direttamente.
Il Presidente degli Stati Uniti o della Francia (non ho mai condiviso il sistema americano o il semipresidenzialismo alla francese per l'Italia) sono figure che vengono elette. Si può criticare quel sistema, ma non si può non dire che non abbia fondamenti democratici. Nel nostro caso, saremmo di fronte ad una figura dello stesso genere che non viene eletta, ma sarebbe il risultato di tanti voti nei collegi per i parlamentari, i quali, tuttavia, in Parlamento, hanno dignità minore rispetto a tale figura.
Voi capite che non possiamo non sollevare una denuncia al riguardo. Questa non è la riforma che serve al nostro paese; è una riforma pericolosa. Invece di portare avanti i due criteri che abbiamo sempre enunciato, maggiore democrazia e maggiore efficienza (ogni riforma costituzionale si deve misurare sulla base di questi due criteri), siamo di fronte a qualcosa che non avrà né efficienza né democrazia. Vi sarà meno efficienza e meno democrazia!
Altri colleghi si sono, inoltre, intrattenuti sui costi del federalismo. Vi è stata una polemica con il professor Sartori; sono tanti aspetti che meriterebbero una risposta forse meno frettolosa, più significativa ed importante.
So che il dibattito si svolge con queste tagliole degli orari, perché siamo diventati una specie di macchina che dovrebbe sfornare una grande riforma costituzionale; dico grande perché è molto estesa, non grande nel senso che gli dette Bettino Craxi che, forse, in questo caso sarebbe male citare, perché la sua era, a suo modo, una grande riforma. Una riforma molto ampia che viene proposta a scatola chiusa con un rapporto di maggioranza.
A questo punto non posso che ribadire la nostalgia verso il metodo della Convenzione europea, delle sedute aperte al pubblico e trasparenti in cui ci si poteva effettivamente confrontare su ognuno dei grandi temi sottesi. Questa è invece una riforma realizzata in fretta e furia, con una logica di compromesso all'interno della maggioranza.
Allora, se per restare unita la maggioranza deve produrre un compromesso di così basso livello, può darsi che resista fino alle elezioni regionali, ma le faccio i miei auguri. La maggioranza sarebbe stata solida e veramente sicura di sé se si fosse offerta davvero al rapporto con l'opposizione e ad un dialogo parlamentare che, del resto, è quello che tentammo noi del centrosinistra con la Bicamerale. Infatti, in quel momento avevamo la maggioranza ma, proprio con la Bicamerale, tentammo di svolgere un discorso di larga intesa.
Capisco che di fronte a ciò l'onorevole Violante proponga l'istituzione di una Costituente, di un'assemblea in cui i cittadini possano dire veramente la loro sui vari punti...
PRESIDENTE. Onorevole Spini, la invito a concludere.
VALDO SPINI. Signor Presidente, termino il mio intervento precisando che, se da un lato in noi è forte l'amarezza per il metodo scelto, dall'altro è anche forte la volontà di batterci contro questa legge; lo faremo in Parlamento, ma anche al di fuori dello stesso, in quanto riteniamo che questa riforma non corrisponda affatto a ciò che vuole l'elettorato italiano (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Socialisti democratici italiani).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Grotto. Ne ha facoltà.
FRANCO GROTTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci apprestiamo alla discussione di una riforma che nei suoi importanti contenuti è stata più volte modificata e stravolta.
Il Governo, ma in particolare il ministro competente, per cercare di sanare la litigiosità interna alla coalizione di maggioranza, ha deciso di sfruttare fino all'ultimo il tempo concesso dal calendario della Camera. Un iter che nega in primo luogo buona parte del testo già proposto, ma soprattutto un confronto reale con l'opposizione. Un'attesa fino all'ultimo momento per poi riversare nell'aula della Camera una sequela di emendamenti correttivi.
Siamo di fronte ad una devolution limata a tal punto da perdere perfino i suoi connotati più federalisti, ad una riforma che tocca la Carta costituzionale con un alto tasso di incertezza. Si vogliono modificare la forma dello Stato ed il principio del bicameralismo, convinti di aiutare in questo modo l'autonomia delle regioni e degli enti locali.
A questo si aggiunge - secondo quanto appreso dalla stampa - non un tentativo di riforma strutturale, ma soltanto il principio della sussidiarietà fiscale ed un termine vago e quanto mai lontano di attuazione del federalismo fiscale entro cinque anni.
Se questo è il federalismo tanto sbandierato dal partito del carroccio, che abbiamo sempre contestato convinti della necessità di mettere in moto un progressivo decentramento senza imporre irrazionali autonomie di bilancio e paradossalmente di servizi, si può affermare a ragion veduta che, durante la fase della discussione, la Lega ne sia uscita quanto mai sconfitta.
Con le ultime correzioni il centrodestra ha cercato di smentire le accuse da noi mosse, in particolare nei confronti degli elettori del centro-sud, sul carattere disgregativo della nuova architettura costituzionale.
Per questo, all'indomani degli emendamenti presentati dalla maggioranza, rimangono a mio avviso ancora seri dubbi sul destino del Mezzogiorno. Molte regioni del sud dovranno infatti iniziare a fare i conti con bilanci sicuramente meno virtuosi, lasciando il paese in un clima di disomogeneità e di disparità. Anche se non si è ancora capito come il titolo di tutela della salute equivalga ad una tutela del servizio sanitario, la sanità - a detta di sindaci e presidenti di regioni e province meridionali - perderà buona parte dei propri finanziamenti. Le sole contromisure ipotizzabili saranno il taglio dei servizi e una maggiore imposizione fiscale.
Una pericolosa deriva, quella innescata dal centrodestra, che porta verso la disgregazione. In questo modo si aprono le porte all'idea di un federalismo che, lungi dal contribuire a superare lo storico divario tra aree deboli e aree forti, di fatto lo accentua.
Un federalismo rabberciato, imposto per esigenze di tenuta della coalizione, secondo il quale ogni regione dovrebbe badare soltanto a se stessa, anche su temi importanti, come ad esempio il servizio sanitario. Ricordo che lo stato di agitazione e la fibrillazione di questi ultimi giorni all'interno del mondo sanitario e medico non trova le proprie cause soltanto nel tardivo rinnovo contrattuale, ma ha una sua motivazione proprio nel tentativo di difendere la qualità e i livelli di efficienza della sanità in tutta la penisola.
Ma un simile atteggiamento disgregante lo possiamo intravedere anche su altri temi che questa riforma colpisce, come l'istruzione, la sicurezza, pur con tutte le clausole di supremazia e di interesse nazionale che si dice di inserire. Queste ultime, le clausole di supremazia e di interesse nazionale, sono l'ennesima riprova delle cerchiobottismo della riforma.
Ad esempio, per quanto riguarda l'istruzione, la proposta di riforma della Costituzione avanzata dal centrodestra contiene verosimilmente le premesse per portare allo sfaldamento dell'unitarietà del sistema educativo nelle scuole di ogni ordine e grado. Nel disegno di legge viene sostanzialmente modificato il quarto comma dell'articolo 117, perché anche la potestà legislativa è esclusiva delle regioni. Il modo in cui si configura questa riforma mette fortemente a repentaglio l'unitarietà dei compiti, attribuiti dalla Costituzione, alla scuola pubblica nel nostro paese. Infatti, un eccessivo ampliamento delle competenze delle regioni in ambito educativo implica numerose conseguenze, che potranno minare inevitabilmente le basi dell'unitarietà del sistema scolastico italiano, ma anche dello stesso Stato. A rigore di logica è possibile intuire alcuni rischi connessi, come ad esempio la frantumazione del sistema scolastico, con marcate differenze tra le varie regioni, a seconda delle diverse tradizioni locali e dei diversi orientamenti politici delle giunte regionali; la tendenza ad alimentare localismi e campanilismi di ogni specie; gravi limitazioni all'autonomia scolastica e alle libertà di insegnamento, princìpi questi sanciti dalla Costituzione vigente.
La quota regionale, ovvero la parte di programma stabilita dalle regioni per quanto riguarda i licei, comporterà tagli consistenti agli attuali programmi scolastici nazionali che, come è noto, sono stati già ampiamente ridimensionati e ridotti per evidenti cambiamenti sociali che hanno avuto ripercussioni nella capacità di apprendimento e nelle abitudini di studio della nuova generazione.
Sarebbe paradossale che in una scuola dove ormai si privilegiano le competenze, il sapere coniugato allo spirito critico, si togliessero parti di valore generale - la storia, la letteratura, eccetera - per far spazio a fenomeni locali decontestualizzati. A ben vedere, osservando le esperienze di altri paesi, si rileva che dove si è sviluppato un sistema di istruzione territoriale l'esito è stato negativo e si è stati costretti a riformarlo, come ad esempio negli Stati Uniti d'America. In Svizzera esiste un'autonomia territoriale per ovvie ragioni storiche e culturali, ma i cantoni sono solo quattro e hanno facilità nel confrontarsi e nel calibrare via via aspetti organizzativi e didattici sulla base di tale confronto.
Si dovrebbero creare nuovi uffici, oltre alle direzioni regionali, con ulteriore aggravio di spesa pubblica. Credo invece che occorra valutare attentamente come e se attuare il federalismo scolastico, cioè un ulteriore decentramento delle competenze. Prima di demolire il sistema attuale, è opportuno valorizzare e rendere efficienti le strutture già esistenti, favorire un migliore coordinamento in senso verticale ed orizzontale tra uffici e istituti, anche solo applicando la legislazione vigente o, eventualmente, apportando caute ed accorte modifiche.
Inoltre, l'illusione di una scuola innovativa potrebbe ben presto cadere a fronte della difficoltà di reperire adeguate risorse finanziarie. Se già gli scarsi finanziamenti verranno erogati per nuovi uffici e nuove strutture burocratiche, mancheranno per avviare progetti, attività di ricerca e di collaborazione in rete, le quali, come si è dimostrato, sono esperienze che vivificano e valorizzano le istituzioni scolastiche.
Il problema delle risorse finanziarie non è trascurabile, anche in vista dell'applicazione della riforma Moratti. Come finanziare il tutorato per gli studenti nella scuola secondaria? Come finanziare i cosiddetti LARS, ovvero le strutture che verranno istituite per garantire, assicurare e favorire il passaggio da un sistema all'altro, oltre alle attività di recupero? Come, ad esempio, finanziare i tutor che assisteranno i docenti in formazione?
Come, ancora, finanziare l'aggiornamento dei docenti? Dovrà basarsi tutto sull'attività di volontariato degli insegnanti? È chiaro che se si vogliono offrire nuove opportunità a una scuola che pretende di essere all'avanguardia, è prima di tutto necessario garantire la copertura finanziaria di tali attività, altrimenti le leggi rischiano di rimanere solo dichiarazioni di intenti, in pratica lettera morta.
Da parte dello Stato deve essere riconosciuta la centralità della scuola, in quanto luogo di educazione, di trasmissione del sapere, di formazione e di istruzione, e, soprattutto, di formazione della coscienza civica, di crescita della persona, di sviluppo del concetto di appartenenza ad una comunità nazionale ed europea, dotata, pur con locali differenziazioni, di un'identità ben definita delineata dal suo passato. Tale identità va rafforzata attraverso azioni positive, nel rispetto del principio di responsabilità solidale fra tutti i membri di questa comunità.
Comunque sia, l'azione riformatrice dovrà costantemente richiamarsi ai principi fondamentali enunciati nella prima parte della Costituzione, che devono essere garantiti e valorizzati attraverso interventi e azioni concrete ed efficaci da parte delle istituzioni pubbliche, per promuovere un'effettiva eguaglianza delle opportunità.
Ripartire le competenze legislative, valorizzando gli enti periferici, è certamente un atto doveroso e che deve essere compiuto per poter dar vita ad uno Stato moderno. Ma ciò che è necessario evitare è un neocentralismo regionale che traduce il federalismo in un accentramento di potere nelle mani di venti governatori. Paradossalmente, dai banchi dell'opposizione abbiamo pensato che la pausa di riflessione voluta dalla Casa delle libertà su questa riforma molto probabilmente si poteva rivelare un bene, se avesse portato direttamente alla sospensione della riforma per palese e manifesta inadeguatezza.
Temo che non bastino il recupero dell'interesse nazionale e l'introduzione di un non ben definito Senato delle regioni per migliorare un federalismo sicuramente incompleto fin dal suo esordio, nel 2001. Occorre invece rivedere la riforma nel suo complesso, cercando di limitare la confusione che si potrebbe creare, ripartendo in modo serio le competenze legislative tra Stato centrale ed enti locali, anche perché è assodato che, ad oggi, l'incompletezza della riforma costituzionale ha sortito l'aumento delle burocrazie e, soprattutto, l'aumento dei loro costi. Si sono moltiplicati i conflitti, consegnando alla giurisdizione della Corte costituzionale un ruolo simile a un legislatore.
Nella bozza proposta dal ministro Calderoli, si prevede che il Governo ponga un argine alle leggi regionali nel caso in cui ledano l'interesse nazionale. Si tratta di un principio in linea teorica sacrosanto, ma immediatamente dopo si afferma la necessità di definire istituzionalmente la polizia locale: una sicurezza interna diversificata per regione, che infrange sicuramente il principio di unità nazionale e aumenta i contrasti interpretativi e i ricorsi. Resta anche il dubbio su chi avrebbe l'ultima parola nel caso in cui le regioni non decidano di correggere le normative varate.
Il federalismo serio non si può ottenere con gli emendamenti e con una riforma poco attuale e fratricida, ma soltanto con una visione più serena e complessiva del problema, dalla quale recuperare un razionale criterio di redistribuzione dei poteri tra i livelli di governo. Il federalismo è qualcosa di serio, fondamentale per uno Stato normale, e il suo assetto costituzionale non può essere perciò l'occasione infausta per accontentare i capricci di un alleato e tanto meno un'occasione unica per scaricare gli oneri della riduzione della spesa sulle stesse regioni.
PRESIDENTE. Onorevole Grotto...
FRANCO GROTTO. Mi avvio alla conclusione, signor Presidente. A mio avviso, si rischia di dividere il paese e di porre su spalle poco robuste pesi enormi, come la sanità, la scuola e buona parte dello Stato sociale. Riteniamo, come ha affermato il nostro presidente Boselli, che non si possa modificare la Costituzione a colpi di maggioranza. Ciò deve valere oggi per il centrodestra, ma potrebbe valere per noi, che quando eravamo maggioranza abbiamo commesso in questo senso un errore da non ripetere. Su tali materie da tempo i socialisti sostengono che la via maestra per i cambiamenti di larga portata debba passare attraverso la convocazione di un'Assemblea costituente eletta con il sistema proporzionale (Applausi dei deputati del gruppo Misto-SDI).
PRESIDENTE. È iscritta parlare l'onorevole Lucidi. Ne ha facoltà.
MARCELLA LUCIDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nella mia formazione giuridica ho imparato a considerare la Carta costituzionale come un atto fondamentale, espressione dei principi costitutivi del patto di convivenza del paese, momento fondativo della regole del gioco democratico risultato da vicende storiche che hanno consentito di incidere in profondità le lettere delle norme. La solennità e l'essenza della Costituzione non respinge, anzi contempla, l'idea di una sua revisione, ma avverte sempre della responsabilità di saper comandare la mano che scrive, perché saggiamente sappia cambiare assicurando meglio la definizione e l'attuazione dei valori ispiratori. La maggioranza parlamentare non ha saputo esercitare questa responsabilità perché le modifiche costituzionali che ha proposto non sono state, e non sono tuttora, dentro la cornice preziosa di un disegno riformatore alto e condiviso. Non basta mettere insieme obiettivi parziali per dare corpo ad un testo coerente e nobile, anzi si ottiene un misero compromesso che destabilizza assetti fondamentali dello Stato per tentare di dare stabilità ad un governo politico ormai vittima della propria incapacità, strozzato dalle proprie divisioni, costretto a mandare giù bocconi velenosi pur di alimentare la propria sopravvivenza. Lo sa la maggioranza che il futuro non è inevitabile? No, non lo sa perché essa è il problema e non può, pertanto, essere anche la soluzione. Intendo dimostrarlo fermandomi ancora una volta ad approfondire la proposta di modifica costituzionale che intende produrre la devolution della sicurezza. La lettera del progetto di riforma attribuisce alle regioni la potestà legislativa esclusiva in materia di polizia locale quando già il dettato costituzionale attuale, all'articolo 117, ricomprende nella loro competenza esclusiva la polizia amministrativa locale, essendo questa espressamente esclusa dalla competenza esclusiva dello Stato e non rientrando nelle materie a legislazione concorrente.
Al fianco dei problemi di definizione di coerenza linguistica, l'ostinazione con la quale la maggioranza ha difeso sinora questa modifica la dice lunga sulla volontà di non togliere un ancoraggio all'interpretazione che della norma ha voluto dare il ministro proponente sin dalla relazione di accompagnamento al progetto di riforma costituzionale: la norma darebbe alle regioni la possibilità di disciplinare in via esclusiva gli interventi di prevenzione e di repressione dei piccoli crimini, di organizzare le attività di prevenzione, di presidio e di intervento sul territorio.
Senza remore, sempre il ministro Bossi, spiegò alla Commissione affari costituzionali della Camera, il 17 gennaio 2002, che polizia locale significa qualcosa di più e di ulteriore rispetto alla polizia amministrativa e comprende la legislazione regionale relativa all'ordine pubblico ed alla sicurezza di rilievo locale.
Dopo di lui, il Presidente della Consiglio dichiarò, il 23 agosto 2002, che occorre demandare alle regioni tutto quanto riguarda la difesa dei cittadini da parte della criminalità urbana. Esiste allora una scuola di pensiero del Governo che resiste, difendendo l'idea di polizia locale. È una scuola di pensiero scriteriata, priva di coscienza e conoscenza della natura e dell'entità dei fenomeni criminali, prevalentemente oggi descritti dentro reti di collegamento che superano i confini dello Stato.
Non è sconosciuta a questo Parlamento, né all'opinione pubblica, l'intenzione della Lega, esperita già in modo irrazionale e illegittimo da un presidente di regione non leghista, di consentire alle regioni di dotarsi di propri corpi di polizia, interagenti con le altre Forze dell'ordine a salvaguardia della sicurezza; non è infondato il timore che la modifica costituzionale serva proprio a questo.
La devolution della sicurezza mette, così, anche in conto il vulnus al principio democratico finora sempre riconosciuto, secondo il quale serve allo Stato e ai cittadini a presidio della civile convivenza, dei diritti e delle libertà fondamentali una politica per la sicurezza e l'ordine pubblico unitariamente ispirata e governata. Senza un passaggio correttivo che faccia chiarezza, non basterebbe a riparare da questo vulnus la riserva di legge statale sull'ordine pubblico e la sicurezza, che dovrebbe comunque tenere conto dell'esistenza di corpi di polizia ulteriori rispetto a quelli statali, strutturati secondo una non meglio definita competenza di polizia locale, che, comunque, ne legittimerebbe l'esistenza.
Ora, sappiamo tutti e bene quanto il tema della sicurezza e del contrasto alla criminalità sia molto avvertito dai cittadini. Lo sa il Governo, al punto di dovere, di anno in anno, modulare i criteri di lettura dei dati sulla criminalità, oggi oggettivamente in aumento, pur di poter lanciare messaggi rassicuranti.
Non accettiamo, però, le scelte di sistema che la maggioranza vuole introdurre realizzando un sistema di controllo sociale contro la criminalità che prescinde dalle istanze, altrettanto diffuse, di coesione sociale. Per diverse strade legislative per via costituzionale, la maggioranza sta cercando di assimilare i compiti di operatori di sicurezza pubblici e privati, statali e locali, alla sola azione di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica per rafforzare i caratteri coercitivi dell'azione pubblica, alibi della debolezza della sovranità statale, nonostante i costi sociali diventino sempre meno gestibili.
È ingannevole dire che per questa strada si realizza un federalismo in grado di valorizzare le istanze locali. Nella realtà delle cose, infatti, il modello devolutivo della sicurezza che la maggioranza ha in mente non crea né promuove le capacità di governo dei poteri locali, ma le immette in un sistema centralizzato, ne depaupera l'attitudine che già hanno di stare dentro il sistema integrato di sicurezza delle città e del territorio regionale, con le loro competenze originali, valorizzate nei luoghi di coordinamento e collaborazione.
Il modello devolutivo di questa destra non valorizza, come oggi è necessario, i corpi di polizia statali, per i quali è necessario rafforzare il lavoro di coordinamento, anzi, lascia intendere di una loro insufficienza a controllare il territorio e a combattere la criminalità. Per altro verso, priva di significato il servizio di prossimità alla sicurezza dei cittadini che è svolto dalle polizie provinciali e comunali, che attendono non di essere regionalizzate o sovrastate da un altro corpo di polizia, ma di vedere compiere una riforma che qualifichi il loro operato.
Vale ricordare in quest'aula che non sono stati solo i presidenti delle regioni di centrosinistra a criticare un possibile smembramento delle forze di polizia nazionali, così come a criticare la creazione di una nuova polizia regionale dedita alla tutela dei cittadini ed al crimine diffuso. E ancora, vale ricordare che analoga critica e contrarietà sono state mosse da tutti i sindacati e le rappresentanze delle polizie statali e locali.
C'è di più: con un lavoro di tutto rispetto, l'ANCI, l'UPI e la Conferenza dei presidenti delle regioni hanno offerto all'attenzione del Parlamento - ed è cosa di non poco conto - l'elaborazione di una proposta di legge per il coordinamento in materia di sicurezza pubblica e polizia amministrativa locale, nonché per la realizzazione di politiche integrate per la sicurezza, che, nel rispetto del dettato costituzionale attuale, dimostra che già esistono le condizioni per un lavoro sinergico tra le istituzioni, di impianto sinceramente federale, al quale preferiremmo dedicare il tempo che impegniamo in quest'aula a difendere un impianto che - come ho dimostrato - non convince solo noi che lo abbiamo voluto.
Hanno ben poco pregio e - lo dico al relatore ed ai colleghi che in tal senso si sono adoperati, lo dico al ministro Pisanu - i tentativi di voler negare, variamente argomentando, i rischi da me rappresentati.
C'è un solo modo per scongiurarli ed è quello di restituire coerenza al testo accogliendo l'emendamento proposto dall'opposizione, scrivendo cioè che la competenza legislativa esclusiva delle regioni si deve limitare alla polizia amministrativa locale.
Oggi sappiamo che lo chiede, con un suo emendamento, anche Alleanza nazionale. Bene, questo fatto ci dà ragione, dà ragione di tutte le osservazioni che ho finora svolto e, aggiungo, dà torto alle idee della Lega. Siamo all'ennesima prova di dissociazione, il vuoto di progetto si riempie di confusione ma, lo ricordo, stiamo parlando di modifiche costituzionali e, siccome il futuro non è inevitabile, pur se volete, strenuamente, difendervi, vi possiamo chiedere dai banchi dell'opposizione soltanto ciò che è giusto, cioè di ripensare voi stessi, seriamente, e di ripensare questo percorso di riforma.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il primo dato politico che bisogna registrare nello svolgimento di questo dibattito è il clima nel quale esso si è svolto. È un'osservazione che in un certo senso appare sorprendente rispetto alle polemiche che hanno accompagnato tutte le discussioni di carattere costituzionale che si sono svolte in questa legislatura.
Il dibattito che si è svolto in questi giorni, gli interventi dei colleghi della maggioranza ma, soprattutto quelli dell'opposizione, compreso l'ultimo da parte del leader del gruppo dei Democratici di sinistra, l'onorevole Fassino, oggi, indicano che si è realizzato il clima migliore che si possa determinare in una discussione così complessa come quella inerente una riforma costituzionale, nel senso che i contrasti, le contrapposizioni e le diverse impostazioni sono tuttavia presentate - come peraltro esse sono - come un riflesso di scelte politiche che però non investono i fondamenti stessi della convivenza nazionale. Se il Parlamento riuscirà a mantenere questo clima costruttivo nell'esame degli emendamenti e nel successivo iter di questa riforma, a me pare molto incoraggiante. Dico ciò dal punto di vista di una forza politica, quella repubblicana, che ha sempre guardato con una certa preoccupazione al tema delle riforme costituzionali.
In questa lunga fase, ormai ventennale, il Parlamento, prima del 1992 e dopo, si è impegnato in varie forme per affrontare il tema, dalle Commissioni Bozzi, Iotti, fino alla Bicamerale dell'onorevole D'Alema. Tuttavia, noi abbiamo sempre guardato con una certa preoccupazione, anzi, con molta preoccupazione, al processo di riforma costituzionale.
In realtà, la Repubblica aveva - ed ha - una Costituzione che io considero eccellente e i difetti di funzionamento delle istituzioni nel nostro paese (soprattutto, il difetto di funzionamento dei Governi) non ho mai pensato che nascessero dalle regole costituzionali.
Ho sempre pensato che i problemi della vita italiana, che hanno reso difficile la vita del nostro paese, fossero figli delle condizioni politiche del dopoguerra italiano e, in particolare, derivassero dalla ristrettezza dell'arco delle forze utilizzabili per formare i Governi, dalla ristrettezza dell'arco politico costituzionale, se vogliamo così chiamarlo.
L'Italia ha sempre avuto un bipolarismo nella sua vita politica: come tutte le grandi democrazie dell'Occidente, l'ha sempre avuto. Quello che l'Italia non poteva avere, e non ha avuto in larga parte del dopoguerra, è stata l'alternanza delle forze politiche al Governo.
Ciò costituiva un'eredità della prima parte del secolo: il Partito comunista, da una parte, ed il Movimento sociale, dall'altra, rendevano sostanzialmente inevitabile la collaborazione di forze prima nel centrismo e, poi, nel centrosinistra. L'instabilità politica e la debolezza dei Governi rispetto al Parlamento nascevano da questo problema politico, non da un problema costituzionale. Nascevano dal fatto che, quando si aveva la necessità di esprimere un cambiamento a causa di una diversa sensibilità dei problemi da parte dell'opinione pubblica, l'unica cosa che si poteva fare era quella di combinare in maniera diversa le stesse forze politiche, le quali erano «condannate» alla collaborazione perché non era possibile optare per alternative che avrebbero messo in questione la politica estera e la storia del nostro paese.
Eppure, prima che il sistema cambiasse (per effetto del cambiamento storico dovuto alla caduta del comunismo ed a tutto ciò che ne è seguito), già si erano avuti - pur nell'ambito di quel vecchio sistema - fenomeni di maggiore stabilità: il Governo Craxi durò quattro anni, quasi un'intera legislatura; inoltre, la legislatura che fu largamente dominata, diciamo così, dal Governo dell'onorevole Andreotti, quella del 1992, fu una legislatura integrale. Invece, dopo il 1968 l'Italia aveva avuto sempre legislature accorciate. Quindi, anche quella vecchia Costituzione cominciava a produrre la stabilità dei Governi e delle legislature, sebbene il sistema fosse molto diverso.
Inoltre, in quella Costituzione vi era un modello regionalista aperto ad un'evoluzione che poteva essere stimolata, proseguita ed approfondita.
Per queste ragioni, abbiamo guardato con molta preoccupazione a quest'idea secondo la quale, poiché i problemi italiani erano non di carattere politico, ma costituzionale e istituzionale, era necessaria una grande riforma di carattere costituzionale. Se non cambiamo la natura dei rapporti politici nell'ambito della società italiana e la natura dei grandi partiti politici - mi sono sempre detto - non avremo un cambiamento sostanziale: cambiare le istituzioni senza cambiare la cultura delle forze politiche e la possibilità di utilizzarle nella forza di Governo può essere un rischio. Abbiamo preso l'altra strada, quella delle riforme istituzionali: cerchiamo almeno di condurre avanti il discorso nel modo migliore!
Ponendomi in quest'ottica, affronterò subito uno dei temi che, in questi giorni, hanno proposto alla nostra attenzione l'onorevole Violante ed altri autorevoli colleghi. Il tema, che ritorna, è quello dell'Assemblea costituente o, comunque, di un'Assemblea chiamata a riesaminare una parte della Costituzione.
Ho sempre considerato tale proposta insoddisfacente e pericolosa. Intanto, perché un'Assemblea costituente rimette in questione la Costituzione in quanto tale senza che si sappia se si disporrà mai di una proposta idonea. In secondo luogo, onorevoli colleghi, l'Assemblea costituente presuppone un dato politico di fondo: un Governo di unità nazionale.
Non possiamo dimenticare, infatti, che il successo dell'Assemblea costituente nell'immediato dopoguerra fu dovuto al fatto che essa poggiava su un Governo di unità nazionale. Vero è che, poi, le circostanze politiche indussero l'onorevole De Gasperi alla rottura di quell'unità. Tuttavia, nel momento in cui tale rottura si verificò, la parte fondamentale del lavoro era stata impostata, e resistette all'urto politico perché quelli erano anni diversi, perché uscivamo dalla guerra, perché uscivamo dalla lotta di liberazione.
Al contrario, non ha fondamento l'idea secondo la quale i lavori di un'Assemblea costituente possono svolgersi proficuamente in una condizione in cui la lotta politica si svolge tra una maggioranza ed un'opposizione che si pongono come alternativi. Questo errore ha condannato al fallimento la Bicamerale presieduta dall'onorevole D'Alema, alla quale ha accennato, nel suo intervento, anche il collega Fassino.
L'onorevole Fassino ha affermato che allora fu l'onorevole Berlusconi a sottrarsi alle conclusioni cui peraltro si stava arrivando con riferimento sia al Titolo V sia ad altre materie. Il problema è che all'accordo raggiunto tra il centrodestra e il centrosinistra di costituire una Commissione bicamerale, in un certo senso era sottesa l'idea che, nell'autorevole sede della Bicamerale, si potesse raggiungere un'intesa politica che in quel momento molti di noi considerava essenziale di fronte ai problemi del paese, dinanzi al compito che appariva difficilissimo di realizzare le condizioni per non essere esclusi dall'Europa monetaria. Quando all'inizio di quella legislatura vidi nascere la Bicamerale, conclusi che probabilmente sarebbe stato lo strumento con il quale le grandi forze politiche (Forza Italia e i Democratici di sinistra, per citare le maggiori) avrebbero preparato la via per gettare le basi di un accordo politico necessario ai fini del risanamento economico del paese. E, a mio avviso, non è un caso che tra i maggiormente contrari all'idea della Bicamerale vi era il professor Prodi, allora Presidente del Consiglio, per il quale se la Bicamerale avesse raggiunto intese sostanziali, probabilmente, avrebbe prefigurato una formula diversa dalla formula di quel Governo. Se si va all'origine del conflitto che minò la compattezza del centrosinistra in quella legislatura troviamo la Bicamerale e l'accordo fatto a casa dell'onorevole Gianni Letta sulla legge elettorale. La condizione per il successo di un'Assemblea costituente è che le grandi forze politiche che convengono sulle riforme costituzionali siano anche pronte a governare il paese. Se le forze politiche convengono sulle grandi riforme costituzionali, a maggior ragione possono convenire sulla politica dell'ordine pubblico ed economica, materie per certi aspetti di minore rilevanza politica rispetto ai fondamenti della Costituzione.
Nel momento in cui il centrosinistra riuscì ad affrontare il problema economico (è un riconoscimento che va dato) senza il concorso dell'opposizione, con le proprie forze, cadde l'idea della riforma costituzionale. A quel punto, è nata l'idea di procedere da soli. In questo caso l'errore fatale lo ha compiuto il centrosinistra. L'onorevole Violante, nel corso del suo intervento, ha dichiarato che riconoscono di aver commesso un errore. Ma sfortunatamente in politica, onorevole Violante, gli errori non si cancellano solo perché vengono riconosciuti. Gli errori producono precedenti e in politica la cosa più grave è creare un precedente. Costituisce un precedente stabilire che una maggioranza ristretta possa affrontare il problema costituzionale nonostante il contrasto molto forte di metà del Parlamento. Oggi, voi dite all'opposizione di avere un atteggiamento comprensivo perché le riforme devono essere fatte insieme. Ma se non sono state fatte insieme alla fine di una legislatura con una maggioranza ristretta, come fa il centrodestra oggi a sostenere che deve avere il consenso dell'opposizione? È già molto che si stia creando un clima nel quale il dissenso non investe i fondamenti, nel quale non ci si scambia l'accusa di voler distruggere i fondamenti della convivenza, ma si discute sui modi migliori di affrontare la situazione. Mi auguro che si chiuda il capitolo costituzionale. Mi auguro che questa riforma, su cui nutro molte riserve che esprimerò tra breve, si concluda. Se nella prossima legislatura dovesse cambiare la maggioranza, mi auguro che le modificazioni che la futura maggioranza introdurrà non siano radicali del testo costituzionale. Da questo punto di vista mi sembra positivo l'atteggiamento della Commissione, del relatore, onorevole Bruno, del ministro delle riforme istituzionali, ossia quello di cercare di cogliere negli emendamenti e nelle posizioni dell'opposizione la più gran parte dei contributi possibile.
Infatti, se questa riforma costituzionale, con tutte le riserve che io posso avere, nasce, non da un disegno totalmente condiviso, ma da contenuti che riflettono anche le preoccupazioni dell'opposizione, nella prossima legislatura l'eventuale lavoro di ulteriore revisione costituzionale potrà essere limitato, come spero. Da questo punto di vista, confesso che avrei preferito, lo dico con grande chiarezza, che ci fossimo limitati a correggere il Titolo V, intervenendo sui temi che il centrosinistra aveva affrontato - con molte riserve sul modo con cui lo aveva affrontato -, limitandoci a quello. In realtà, io considero la parte migliore del lavoro che noi stiamo per affrontare proprio la revisione del Titolo V. Il nuovo testo dell'articolo 120 va incontro a talune preoccupazioni che tutti noi abbiamo avuto; quando si dice che il Governo può prendere l'iniziativa e il Parlamento può fare un'azione legislativa nell'interesse nazionale, correggendo, se necessario, decisioni dei comuni, delle province, delle regioni, sul terreno degli interessi nazionali, anche di quelli dell'unità economica del paese, si dice qualcosa di molto importante. Se noi potessimo cambiare quell'articolo 114 scritto dal centrosinistra, in cui si dice che la Repubblica è costituita da comuni, province, città metropolitane e dallo Stato, se si potesse stabilire che la Repubblica è lo Stato, se si potesse scrivere un testo in cui non ci fosse questa distinzione, correggendo una cosa sbagliata, sarebbe molto positivo.
Ho molte riserve, lo dico all'amico e collega Bruno, sul Senato federale. Debbo dire che non sono particolarmente attaccato all'idea di un bicameralismo perfetto, che in un certo senso è una contraddizione in termini, ma ho molta paura di una situazione nella quale la Camera faccia un lavoro e il Senato ne faccia un altro, ho molta paura che il Senato e la Camera possano trovarsi in contrapposizione. Inoltre, ho molte riserve sul premierato. Devo dire con molta chiarezza che non ho sottoscritto la nuova formulazione dell'articolo 92 (anche se il mio partito mi ha chiesto di firmare - e io l'ho fatto volentieri - il complesso degli emendamenti, che la maggioranza ha presentato questa mattina). Trovo questa formula costituzionale, secondo la quale ci dovrà essere una legge elettorale che consenta di collegare le liste al nome del candidato, una soluzione molto ibrida e molto pasticciata. Esistono due modelli di rapporto tra i cittadini, il Governo e il Parlamento: il modello americano o il modello europeo continentale (chiamiamoli così). Quello americano presuppone che i cittadini scelgano il capo dell'esecutivo, ma la Camera e il Senato o l'organismo unicamerale sono autonomi e costituiscono un contrappeso - come in Montesquieu - nel rapporto di potere. Nel modello europeo c'è un rapporto di fiducia che lega il Governo al Parlamento; questo rapporto di fiducia può essere rafforzato mediante i meccanismi tedeschi costituzionali, ma il Governo risponde davanti al Parlamento ed è sempre responsabile davanti ad esso. Non possiamo creare una condizione - ed è l'aspetto su cui spero che i colleghi, il Comitato dei nove, il relatore possano apportare dei miglioramenti - per la quale la Camera dei deputati sia totalmente dipendente dal Governo eletto dai cittadini e il Senato sia totalmente indipendente dal Governo eletto dai cittadini, cioè che ci possa essere un meccanismo americano per quanto riguarda il Senato e un meccanismo di sudditanza della Camera. Trovo che questa sia una soluzione molto pericolosa e pasticciata.
Credo che non sia possibile tornare indietro, perché in un certo senso capisco la logica di questa impostazione. D'altra parte i colleghi dell'opposizione condividono l'idea che si debba scrivere in Costituzione l'alternanza. Dai discorsi che ho sentito fare a D'Alema, a Violante, emerge l'idea che la Costituzione debba in un certo senso garantire il valore dell'alternanza, che io credo sia un valore naturale della vita, ma penso anche che ci possano essere dei momenti in cui il Parlamento possa decidere che al posto dell'alternanza necessaria ci sia la solidarietà nazionale, per esempio, se le condizioni del terrorismo internazionale dovessero peggiorare, se ci fossero situazioni molto gravi (speriamo che non si verifichino). Ci potrebbero essere condizioni tali da spingere un Governo, pur eletto da una parte dei cittadini, ad andare davanti al Parlamento per dire che ha bisogno dell'accordo di tutti.
Anche la grande Inghilterra, il cui fondamento è l'alternanza, quando vi sono stati alcuni momenti storici, come ad esempio durante la seconda guerra mondiale, ha potuto costituire un Governo di unità nazionale.
Potremmo fare, onorevole Bruno, un Governo di unità nazionale sulla base dell'esperienza del 1992, oppure violeremmo la Costituzione se ci fossero la condizioni politiche che ci impongono di farlo? Ribadisco che credevo vi fosse la necessità di costituire un esecutivo di unità nazionale nel periodo 1997-1998; sono stato lieto di constatare che non era necessario, vale a dire che vi era la forza per avviare il risanamento economico con la sola maggioranza semplice. Tuttavia, dovremmo prendere in considerazione tale aspetto: dobbiamo per forza scrivere nella Costituzione che il Parlamento deve essere necessariamente diviso, oppure vogliamo lasciare almeno la possibilità di intraprendere una strada che ci potrebbero imporre le circostanze storiche?
Ho letto oggi un editoriale molto interessante, scritto dal professor Luciani, sulla Stampa di Torino, in cui egli collega il tema in discussione con la lotta al terrorismo, sostenendo che le riforme istituzionali bisogna collocarle nella realtà di questo secolo, che è una realtà di lotta contro il terrorismo. Ho riflettuto a lungo su tale considerazione, e la ritengo fondata. In altre parole, vorrei invitare a non darci regole così vincolanti, che si rivelerebbero inadeguate di fronte ad una condizione di difficoltà del paese.
Queste sono le mie considerazioni. Naturalmente, il mio gruppo parlamentare non è determinante ai fini dell'approvazione di questo disegno di legge di riforma; quindi, con queste considerazioni, mi limito ad indicare sia le preoccupazioni che ci hanno mosso in passato, sia quelle che attualmente nutro. Concludo il mio intervento dicendo che il fatto che il clima politico nel quale si svolge il nostro dibattito sia così profondamente cambiato, perlomeno attenua di molto le nostre preoccupazioni (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI e di deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Gioia. Ne ha facoltà.
LELLO DI GIOIA. Signor Presidente, siamo giunti alla fine della discussione sulle linee generali del disegno di legge in esame, una discussione interessante ed importante, nella quale ciascuno di noi ha tentato di esprimere i propri punti di vista. Si è trattato, tuttavia, di una discussione che credo avrebbe dovuto essere sviluppata in modo diverso, poiché la maggioranza di Governo sta cercando di cambiare la seconda parte della Costituzione italiana.
Credo, pertanto, che vi fosse l'esigenza di discutere approfonditamente di come si procede a tale modifica e di quali sono i risvolti negativi delle modifiche poste alla nostra attenzione. Mi consentirà, signor Presidente, di formulare alcune considerazioni relative al passato, nel senso che mi sembra che la modifica proposta dal centrodestra non abbia nulla che possa riferirsi alle questioni inerenti uno Stato federale, ma abbia, invece, numerose implicazioni di carattere politico.
Ciò perché abbiamo già visto, nella discussione svolta nei mesi scorsi, anche attraverso i mass media, come la vera questione sia non la revisione della Costituzione, poiché credo che vi siano grandi difficoltà, ma i problemi di carattere politico innescati da alcune forze della maggioranza e, soprattutto, dalla Lega Nord.
Noi siamo profondamente convinti che sussista la necessità di varare le riforme. Lo abbiamo già affermato nella scorsa legislatura, quando venne approvata la modifica del Titolo V della Costituzione, ed anche in quel caso, come socialisti democratici italiani, siamo stati abbastanza critici, in quanto siamo profondamente convinti che la modifica della Costituzione non possa essere compiuta semplicemente da una parte, ma debba essere realizzata da tutti i soggetti presenti in Parlamento.
Ma quella modifica fu poi, sostanzialmente - come bene hanno ricordato i colleghi nella discussione che si è sviluppata in questi due giorni - condivisa, almeno fino ad un certo punto, soprattutto nella Bicamerale, ma anche in aula e, come è stato ricordato, vi furono parole d'elogio per ciò che riguardava la modifica del Titolo V, soprattutto da parte di alcuni esponenti del centrodestra, tra cui l'attuale Presidente del Consiglio.
Ciò non è accaduto oggi, con una discussione affrettata e che non ha avuto momenti importanti per determinare le modifiche dell'architettura della nostra Carta costituzionale; si sta tentando di rabberciare alcune situazioni e di determinare le cosiddette riforme costituzionali ed istituzionali per fare in modo che questo Stato sia uno Stato federale.
Come si può pensare che si possa definire uno Stato federale esclusivamente approvando una riforma che riguarda il cosiddetto Senato federale, così come oggi esso è definito? Basta considerare le elezioni dei consigli regionali insieme al Senato federale per parlare di un Senato federale? Credo che ciò sia estremamente limitativo e, quindi, questo non è un Senato federale, come, d'altronde, hanno sottolineato moltissimi presidenti di regioni guidate dal centrodestra, come l'onorevole Formigoni. Non più tardi di qualche giorno fa anche l'onorevole Fitto, presidente della regione Puglia, ha sostenuto con forza che questa riforma costituzionale è da rivedere, perché non va nella direzione di costruire uno Stato federale.
E come non poter non discutere dei cardini importanti della modifica che riguarda il cosiddetto premierato? Non è pensabile che si possano affrontare problemi di tale portata; anche questa sera l'onorevole La Malfa, con grande puntualità e con spirito critico, ha affrontato, con estrema chiarezza, questioni che riguardano, tra l'altro, il rapporto tra il premier ed i poteri che egli assume, nella misura in cui ha la legittimità di sciogliere le Camere, di nominare i ministri, di costruire un rapporto con il Parlamento che non è più dialettico e di confronto e per cui non vi è più autonomia tra potere legislativo e potere esecutivo.
Si è, quindi, in presenza di una modifica che oggettivamente crea grandi difficoltà - come molti colleghi hanno sottolineato nella discussione che si è svolta in questi due giorni - e che mette in difficoltà anche le realtà del Mezzogiorno d'Italia.
Vi sono stati posti alcuni quesiti, cui non siete riusciti a dare risposte serie ed importanti. Quali sono gli aspetti che si verificheranno negativamente - lo dicono anche i vostri governatori - nelle realtà del Mezzogiorno d'Italia? Lo dicevo prima e lo ripeto ancora: hanno espresso preoccupazioni il presidente Fitto ed il presidente della regione Calabria. Essi paventano una soluzione che vada contro le questioni del Meridione e che divida l'Italia, imprimendo un'accelerazione delle questioni del Nord nei riguardi del Mezzogiorno d'Italia. Come non pensare, appunto, alla questione della sanità? Come non pensare alle questioni della sicurezza e della scuola? Questi sono momenti importanti della discussione, che bisognava sviluppare all'interno di un dibattito forte e che non può essere limitato semplicemente alla discussione di questi due giorni, chiudendo tutto all'interno di poche sedute, per arrivare all'8 ottobre.
E poi ci chiedete una grande disponibilità, come ha sostenuto ieri il ministro Calderoli! Ma disponibilità su che cosa, dal momento che questa mattina sono stati presentati emendamenti che già stravolgono il disegno di legge che avete presentato e che non si è discusso all'interno della Commissione affari costituzionali? È questo il rapporto politico che volete sviluppare rispetto ad una materia così importante quale la riforma della Costituzione? Infatti, state riformando la Costituzione! È questo il rapporto di distensione che si vuole ricreare all'interno di quest'aula parlamentare per affrontare problemi di siffatta importanza che investono i cittadini italiani!
Credo, invece, che voi abbiate semplicemente l'esigenza - e mi riferisco alla Lega Nord - di dimostrare ai cittadini del Nord, a coloro i quali vi hanno votato, che avete raggiunto un obiettivo, ossia quello di aver predisposto una riforma, qualunque essa sia, non interessandovi dei problemi che la stessa porrà al paese e, soprattutto, al Mezzogiorno d'Italia. E, nello stesso tempo, le altre forze della maggioranza, ritengono che questo vostro ricatto politico possa non determinare le condizioni per fare in modo che si arrivi allo scioglimento anticipato delle Camere.
Ma i cittadini pagheranno questa riforma, che è una riforma assurda. I cittadini sanno valutare ciò che oggi sta accadendo all'interno del paese e nel Parlamento e sapranno ricompensarvi non votando nelle prossime elezioni regionali e politiche. I cittadini saranno in grado di esprimere compiutamente, attraverso il referendum che si terrà, la bocciatura di questa riforma che va nella direzione sbagliata. Credo che i nostri padri costituenti, che si sono seduti su questi banchi e che hanno speso la loro vita per creare una Costituzione per il nostro paese, si rivolterebbero nelle tombe nel vedere come si affronta una modifica della Costituzione e come si pongono problemi che creano danni al paese e che lo trasformano in modo negativo.
Credo che su questo dobbiamo riflettere con grande senso di responsabilità. La Costituzione non è una questione di parte, la Costituzione è di tutti! Noi abbiamo il dovere di fare in modo che vi sia una riforma della Costituzione condivisa e per fare questo - e con ciò vorrei concludere, signor Presidente - invito il Governo, se veramente ha questa intenzione, a fare in modo che si possa discutere serenamente. Lo invito a ritirare questa proposta e a discutere insieme per adottare una riforma costituzionale condivisa dal Parlamento.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Monaco. Ne ha facoltà.
Onorevole Monaco, il gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo ha esaurito i tempi a sua disposizione. La invito, pertanto, ad utilizzare con parsimonia il tempo che le è concesso.
FRANCESCO MONACO. Signor Presidente, siamo impegnati a esaminare una riforma costituzionale di dimensioni senza precedenti, quasi una riscrittura dell'intera seconda parte della Costituzione. È a dir poco dubbio che sia impresa legittima attraverso l'ordinaria procedura di revisione costituzionale, che è concepita piuttosto per adeguamenti e riforme circoscritte e puntuali. Manifestamente non è questo il caso: la natura e la portata della riforma in esame configurano, piuttosto, un'impresa costituente che esigerebbe un'Assemblea ad hoc e non le ordinarie procedure parlamentari, un'Assemblea investita di potere costituente. Né vale la rassicurazione che non si mette mano alla prima parte della Costituzione, quella nella quale sono scolpiti principi e diritti fondamentali. È perfettamente possibile, infatti, preservare la lettera e la forma di tali principi e diritti fondamentali violandone la sostanza, attraverso uno sconvolgimento dell'architettura dei poteri quale è disegnata nella seconda parte della Costituzione. Mi riferisco, ad esempio, al principio democratico, al principio di uguaglianza tra i cittadini, al principio del pluralismo sociale e politico, a quello dell'unità e dell'indivisibilità della Repubblica; tutti principi, secondo la giurisprudenza costituzionale, non suscettibili di revisione costituzionale, pena la rottura eversiva dell'ordinamento.
Si può configurare un rapporto tra il Parlamento, il Governo ed il premier tale da intaccare il principio democratico, oppure un rapporto fra Stato e regioni tale da minare l'unità della Repubblica e l'universalità dei diritti di cittadinanza su tutto il territorio nazionale; si può ipotizzare un ridisegno degli organi di garanzia tale da intaccarne la terzietà o da ridurli all'impotenza.
Non mi propongo tuttavia di entrare nel merito del progetto di riforma, dal momento che già altri colleghi lo hanno fatto e, in ogni caso, lo faremo nel prosieguo dell'esame; mi limito ad un solo, e tuttavia a mio avviso decisivo, aspetto, utile per farsi un'opinione circa il merito ed il metodo seguito per questa riforma. Lo condenso in una domanda: cosa è una Costituzione? Domanda che sta al centro di un agile, ma densissimo saggio di Valerio Onida, giudice della Corte costituzionale, edito di recente da Il Mulino.
Semplifico: la Costituzione è la legge fondamentale, espressione cara ai tedeschi; è la madre ed il perimetro sicuro di tutte le leggi. Di più: la Costituzione è un patto di convivenza nel quale fissare i principi e le regole che presiedono alla vita della comunità politica. È la casa comune, per dirla con Aldo Moro, dentro la quale siamo chiamati ad abitare insieme.
Se è così, la Costituzione non può essere assimilata ad un fragile contratto che può essere agevolmente rescisso dalle parti contraenti, né, tanto meno, ad un bottino dei vincitori che se la confezionano - intendo la Costituzione - a misura dei propri interessi e delle proprie convenienze.
Qui sta il vero e decisivo discrimine anche nel dibattito sulle riforme: se accediamo all'idea che la Costituzione non è un contratto cui noi siamo estranei, ma è un patto che ci impegna e vincola, coinvolgendoci come persone e cittadini, se ne ricavano non poche conseguenze.
In primo luogo, è buona cosa che la Costituzione sia tendenzialmente stabile, quale ancoraggio sicuro di una comunità, di contro alla nevrosi delle riforme costituzionali prodotte in serie che è invalsa da qualche tempo.
Le Costituzioni che resistono al tempo, e penso a quella americana, di norma sono buone Costituzioni. Altro che polemizzare con le Costituzioni in quanto vecchie!
Esse, come nel nostro caso, mostrano di avere egregiamente svolto la loro funzione, che è quella di rappresentare un perimetro di garanzie per tutti, entro il quale ha potuto e può svolgersi la più vivace dialettica politica e l'avvicendarsi di forze e di indirizzi politici tra di essi alternativi, ma tuttavia compatibili con quel quadro comune di principi e di regole.
Uno degli indizi della bontà e dell'efficacia della nostra Costituzione del 1948 è quello, per esempio, di avere integrato nel tempo anche forze, e penso ad Alleanza Nazionale, eredi di quelle, il Movimento Sociale Italiano, che all'epoca non votarono la Costituzione, mostrando infatti la funzione integratrice delle Costituzioni.
Secondo corollario: è auspicabile che le Costituzioni, e le riforme ad esse, siano largamente condivise. Infatti, alla Costituzione affidiamo valori, principi e diritti che è bene sottrarre alle contingenti e mobili maggioranze di governo. Quei principi e quei diritti vengono posti così al riparo da quelle mobili maggioranze.
Accedere all'idea che ogni maggioranza di governo si riscriva «pezzi» di Costituzione, e magari il suo stesso impianto, è poco lungimirante ed è motivo di lacerazione per quel tessuto comune che è essenziale per stare insieme.
La comunità non può reggere una sequela ininterrotta di strappi: se ne ricava che le riforme fatte a colpi di maggioranza, su iniziativa del Governo e nella logica del baratto fra forze politiche, anziché in nome di quel compromesso costituzionale alto, all'origine della Costituzione del 1948, non fanno presagire nulla di buono.
Terzo corollario: le Costituzioni sono essenzialmente strumenti di garanzia. Nel menzionato libro, Onida illustra la genesi e l'intima ratio del costituzionalismo liberale e democratico. La radice cioè delle Costituzioni contemporanee, fiorite non a caso in reazione ai regimi totalitari.
L'idea guida ed il proposito di esse è preciso: limitare il potere politico, che si pretende assoluto, a presidio dei diritti fondamentali di persone e comunità.
Come non rinvenire traccia, in questa idea-forza così corposamente visibile nella nostra Costituzione, di quel principio personalistico, liberale e cristiano nel quale dovrebbero riconoscersi anche taluni esponenti della maggioranza?
Come non avvertire l'esigenza, dopo l'introduzione di una regola elettorale maggioritaria che conferisce grande potere a chi vince, di rafforzare i bilanciamenti, le garanzie, lo statuto dell'opposizione? Ciò in coerenza con l'enfasi sulle garanzie e sui limiti al potere, che è il cuore stesso del costituzionalismo moderno, e contro la dittatura delle maggioranze. Di tutto ciò non vi è traccia nel testo. Questo è il vero buco nero, la prima e la più pressante delle esigenze del nostro sistema politico istituzionale.
Da tale premessa è lecito ricavare quattro osservazioni telegrafiche che rivolgo, rispettivamente, ai Presidenti delle Camere; a noi tutti, maggioranza ed opposizione; a maggioranza e Governo; alle personalità ed ai gruppi meno insensibili al dialogo all'interno della maggioranza.
Personalmente, imputo responsabilità non piccole ai Presidenti delle Camere per il braccio di ferro, lo scontro in atto prevedibile e previsto su materia costituzionale. Non mi riferisco solo alle pesanti forzature procedurali, al contingentamento dei tempi, all'esame parlamentare ipotecato e spezzato da tavoli extraparlamentari e disperso tra svariate bozze di cui abbiamo perso il conto, ma soprattutto al fatto di non avere eccepito per tempo su un progetto di riforma omnibus che fuoriesce dai canoni della revisione e che condurrà prevedibilmente ad un referendum-plebiscito nel senso di «prendere o lasciare» una nuova Costituzione. Si tratta di uno strappo all'ordinamento cui i Presidenti avrebbero dovuto, a mio avviso, opporsi. Di fronte a strappi di tale portata suonano risibili le rituali prediche dei Presidenti delle Camere allo spirito bipartisan.
A noi tutti suggerirei di imparare a distinguere accuratamente tra ciò che è ragionevole chiedere alla Costituzione ed alle sue regole e ciò che è rimesso all'autonoma dinamica politica e di non indulgere al mito delle riforme e dell'ingegneria costituzionale. Cattivi partiti, cattive coalizione, cattive politiche non possono essere addebitati a difetti costituzionali.
A maggioranza e Governo obietto che con il loro comportamento sono riusciti nell'impresa di compattare tutta l'opposizione, di indebolire quelle voci più sensibili all'esigenza di riforma e di ammodernamento dello Stato compatibili con i principi costituzionali sino ad alimentare anche tra noi una sorta di ritrattazione globale delle riforme da noi stessi varate. Non vorrei che, impegnati come siamo a contrastare energicamente queste «riforme pasticcio», rinnegassimo le istanze sanamente riformatrici ispirate alla doppia esigenza di consolidare la democrazia governante e di completare la riforma federalista dello Stato.
PRESIDENTE. Onorevole Monaco...
FRANCESCO MONACO. Segnalo anche - e sto per concludere - che l'esorbitante concentrazione del potere del premier ed il deficit di garanzie potrebbe presto ritorcersi contro di voi, apprendisti stregoni, se doveste perdere le elezioni, cosa - diciamo così - possibile. La vostra ostinazione nel sostenere una riforma che prima che una minaccia ai principi democratici costituzionali è un pasticcio con risvolti grotteschi (ultima geniale trovata è la terza Camera, o «cameretta», come qualcuno ha detto) non è espressione di forza ma di debolezza politica, perché essa è l'esile filo che ancora vi tiene insieme.
PRESIDENTE. Onorevole Monaco, concluda cortesemente...
FRANCESCO MONACO. Ciò a fronte dell'argomentata contrarietà un po' di tutti: sindacato, Confindustria, comunità dei costituzionalisti, intero sistema delle autonomie e, persino, i vostri presidenti di regione.
Signor Presidente, le chiedo l'autorizzazione alla pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei consueti criteri.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 4862 ed abbinate)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Bruno.
DONATO BRUNO, Relatore. Signor Presidente, anche in considerazione del fatto che siamo rimasti in quattro...
LUCIANO VIOLANTE. Sì, ma buoni!
DONATO BRUNO, Relatore. Sì, quattro ma buoni, come dice il presidente Violante.
Ad ogni modo, anche per riordinare le idee, visto che il contributo dei colleghi dell'opposizione e della maggioranza in questi tre giorni è stato certamente utile per riflettere, ritengo di non dover replicare, bensì di dare le opportune risposte allorquando esprimerò il parere sulle proposte emendative. In quella fase infatti avrò modo di fare riferimento alle osservazioni che, in questi giorni, sono state svolte nel corso della discussione sulle linee generali.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
ALDO BRANCHER, Sottosegretario di Stato per le riforme istituzionali e la devoluzione. Anche il Governo, signor Presidente, si riserva di svolgere alcune considerazioni in occasione dell'espressione del parere sulle proposte emendative.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
La seduta termina alle 20.
TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI DOMENICO PAPPATERRA E FRANCESCO MONACO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE N. 4862 ED ABBINATE
DOMENICO PAPPATERRA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, c'è un profondo divario tra il lavoro che circa cinquant'anni fa i padri della Costituzione hanno svolto e l'approssimazione con cui oggi si vuole proporre una modifica di quel lavoro.
L'Assemblea costituente fu insediata da Giuseppe Saragat il 26 giugno 1946 e la nuova Carta costituzionale della Repubblica vide luce solo il 27 dicembre 1947 dopo quasi un anno e mezzo di confronti culturali, sociali e politici sui principi fondamentali, diritti e doveri dei cittadini, i rapporti etico-sociali, i rapporti economici e quelli politici.
Allora a confrontarsi erano tre grandi culture politiche, quella comunista e socialista, quella cattolica e quella liberale che erano ben rappresentate se pensiamo a uomini come Giuseppe Saragat, Piero Calamandrei, Umberto Terracini, Lello Basso, Giuseppe Dossetti, Luigi Einaudi, Giorgio La Pira, Ezio Vanoni, Aldo Moro e tanti altri.
Il confronto con i giorni d'oggi è improponibile, ma al di là del mutato quadro politico e delle personalità in campo, oggi resta la necessità di affrontare il percorso riformatore con grande equilibrio per evitare di ledere irrimediabilmente le fondamenta della nostra democrazia.
Al contrario, la revisione costituzionale in procinto di essere approvata, sta avvenendo sotto il ricatto di uno dei partiti della coalizione di maggioranza, che ha dettato tempi e modi dell'adozione, stabilendo la data dell'8 ottobre come termine ultimativo, oltrepassato il quale provocherebbe la caduta del Governo Berlusconi.
Quello che i padri costituzionali fecero in due anni, oggi si pretende di farlo in meno di centodieci ore di dibattito parlamentare.
Avevamo sperato molto sulla posizione di alcune forze della maggioranza, soprattutto quelle di chiara ispirazione unitaria e meridionalista, ad iniziare dall'UDC che aveva posto questioni di grande rilievo in buona parte da noi condivise come quelle di riportare allo Stato (e quindi alla competenza della Camera dei deputati) alcune materie che la riforma in discussione assegna anche al Senato federale in quanto «concorrenti», ovvero sia di interesse regionale che statale: tra esse la tutela della salute, le grandi infrastrutture, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia, l'ordinamento della comunicazione, quello delle professioni, il coordinamento della finanza pubblica e il sistema tributario; di introdurre la «clausola di salvaguardia» dell'interesse nazionale da attivare quando lo Stato ritiene che una legge regionale pregiudichi l'unità giuridica ed economica della Repubblica; di ridimensionare i poteri, affidati al premier, soprattutto quello di poter sciogliere il Parlamento, auspicando un rapporto politico equilibrato tra capo del Governo e Camera, introducendo la sfiducia costruttiva; di prevedere un ruolo più attivo e non notarile del Presidente della Repubblica.
Mi dispiace constatare che queste posizioni sono state risucchiate e assorbite nella logica di privilegiare gli interessi politici di parte a quelli generali, preferendo acquisire maggiori quote di potere pubblico in cambio della rinuncia ad una battaglia di grande civiltà giuridica e politica. Anche la posizione di Alleanza Nazionale ha suscitato sconcerto per il fatto che un partito, profondamente radicato al Sud e strenue difensore della patria, abbia condiviso e avallato un progetto di riforma costituzionale così palesemente contrario al popolo meridionale e alle ragioni della storia nazionale.
Forse è ancora possibile fermare questa deriva.
I ministri Alemanno e Gasparri, che alle ultime elezioni europee hanno raccolto una valanga di voti nella circoscrizione meridionale, si sono solennemente impegnati ad evitare processi di disgregazione sociale e istituzionale.
Sarebbe il caso che il loro partito, con un sussulto insieme di razionalità e di patriottismo, bloccasse questa drammatica deriva contro la nostra storia unitaria e nazionale.
Se così non fosse, il giudizio dei cittadini del Sud e di tutti gli italiani non potrà che essere severo.
Nel merito, la riforma costituzionale proposta non dà luogo alla costruzione di uno Stato federale, non fornisce al nostro paese le regole di una moderna democrazia dell'alternanza, mescola nello stesso tempo contraddittoriamente derive secessioniste e rigurgiti centralisti; si abbandona la forma di governo parlamentare a favore di un modello cesarista e plebiscitario in cui sostanzialmente tutti i poteri di indirizzo politico sono attribuiti al premier; è indebolita la posizione del Presidente della Repubblica; si vuole sottoporre al controllo politico l'organo di garanzia del nostro ordinamento, la Corte costituzionale.
Ecco perché sul contenuto di questa riforma vanno ribaditi alcuni pensieri di fondo che esprimono la nostra contrarietà ad un progetto che introduce innovazioni contraddittorie e pericolose per l'unità d'Italia, al punto che anche il nostro Presidente della Repubblica Ciampi è stato costretto ad intervenire più volte per difendere con grande vigore ed energia «l'unità d'Italia», affermando che essa è un valore che viene dalla nostra storia, in essa crediamo, la difendiamo e la difenderemo in tutti i modi e in tutte le circostanze, ed anche in queste ore sta lavorando per evitare una pericolosa deriva, ad iniziare da quella federalista.
Per noi federalismo non vuol dire cercare di sottrarre allo Stato competenze e prerogative per usarle in modo arbitrario ed esclusivo, ma autogoverno responsabile e reale.
La cultura che ha sempre animato il federalismo italiano è lo spirito di chi detesta i pregiudizi razziali e nazionali, di chi non vuole saperne di popoli padani, di chi ama il dialogo e la libera discussione fondata sul rispetto delle opinioni altrui, di chi non sopporta la demagogia populista.
Federalismo non vuol dire distruggere il patriottismo, che anzi lo rende più maturo e razionale. Federalismo non vuol dire rinnegare il passato, distruggendo rabbiosamente lo Stato centralista e allestendo nello stesso tempo un sistema di vertiginoso aumento della spesa pubblica.
Federalismo non significa ritorno nel territorio delle ricchezze prodotte dallo stesso. Lo Stato federale deve prevedere che al centro giungano le risorse per pagare il debito pubblico, per garantire le funzioni stabili unitarie e per realizzare interventi speciali di perequazione. Federalismo non può significare competizione tra le regioni per l'allocazione delle risorse. Federalismo non vuol dire imporre, come intende fare la Lega, la devolution, la cancellazione della sovranità dello Stato in una serie di materie che possono essere governate solo attraverso un riferimento nazionale.
Attribuire alle regioni il potere di legiferare in via esclusiva su salute, sicurezza, e istruzione significa ledere il «principio di eguaglianza dei cittadini» che hanno costituzionalmente diritto alle stesse prestazioni pubbliche per la tutela di questi loro beni.
È un tentativo pericoloso di rendere i cittadini delle diverse regioni diseguali. Al contrario: lo Stato deve garantire le linee fondamentali entro cui far muovere gli enti territoriali. È una riforma che preoccupa gran parte dei cittadini del nostro paese.
Vorrei che il ministro delle riforme chiarisse ai cittadini, soprattutto a quelli delle parti più svantaggiate del nostro paese, gli effetti di questa riforma nelle materie che sono riportate alla competenza esclusiva delle regioni.
In materia sanitaria, a devolution approvata cosa succederà?
I cittadini calabresi, lucani, pugliesi, campani e di altre regioni del Mezzogiorno che fino ad oggi hanno ricevuto prestazioni sanitarie in importanti centri di eccellenza del centro-nord del nostro paese che sono all'avanguardia per qualità di prestazioni, capacità professionale, elevato livello di attrezzature e che hanno salvato la vita di migliaia di persone, potranno continuare a riceverle a carico del Servizio sanitario nazionale, o sarà loro preclusa questa possibilità?
Resterà in vigore il sistema universalistico delle prestazioni introdotte dalla riforma sanitaria e della gratuità, o anche nel nostro paese dovremo prepararci ad un sistema sanitario basato sulle assicurazioni?
E in questo caso, siamo nelle condizioni, come l'America di Bush di lasciare senza assistenza sanitaria milioni di cittadini che non sono in grado di pagarsi l'assicurazione per ricevere l'assistenza sanitaria?
Penso all'Istituto oncologico europeo del professor Veronesi, al San Raffaele o al Besta di Milano, al Gaslini di Genova, al Rizzoli di Bologna, al Careggi di Firenze, al Gemelli o al Bambin Gesù di Roma ed a tanti centri di eccellenza nel nostra paese.
Fino ad oggi a questi interrogativi nessuno ha risposto. Speriamo, ora, che anche su questo aspetto si faccia chiarezza e si forniscano indicazioni precise.
E a proposito della potestà esclusiva in materia di polizia locale riconosciuta alle regioni, sarebbe il caso che il ministro delle riforme chiarisse cosa vuol dire, anche perché la sensazione di tutti è che si stia costruendo un altro mostro; la riforma infatti parcellizza le forze dell'ordine e della sicurezza, rende incerte e precarie le competenze della polizia, inventa polizie locali e polizie regionali dai profili indeterminati e velleitari in un quadro in cui tutte le istituzioni vengono destabilizzate in maniera eversiva.
Inoltre l'istruzione affidata esclusivamente alle regioni non ci consentirà di avere programmi di insegnamento fondati sull'interesse specifico di ogni regione, cancellando l'unitarietà del nostro ordinamento scolastico.
Non è il caso di riflettere sul fatto che molto probabilmente stiamo costruendo un'Italia a due velocità nella quale si alternano aree sempre più in crisi e penalizzate, e altre sempre più sviluppate in progressiva crescita? Inoltre il federalismo all'italiana rischia di abbattersi pesantemente sulle aree più deboli del paese, e non solo nel Mezzogiorno d'Italia, dove gli enti locali sono asfissiati dalla strozzatura dei trasferimenti da parte del Governo e di una base imponibile irrisoria quando non pressoché inesistente.
Quanto al federalismo fiscale, va precisato che il nuovo modello di federalismo fiscale imperniato sull'articolo 119 della Costituzione, riformato dall'Ulivo, si fonde su due principi fondamentali: il rispetto dei diritti fondamentali del cittadino e dei livelli essenziali di erogazione del servizio, e la perequazione effettuata dallo Stato per i territori con minore capacità fiscale per abitante.
Ora, pensiamo davvero, in nome della devolution che questi territori e i loro cittadini possano reggere da soli l'impatto che si propone, soprattutto quando non c'è traccia dell'applicazione dell'articolo 119 in materia di perequazione per i territori con minore capacità fiscale?
Il federalismo fiscale deve, infatti, saper dare una risposta di efficienza e di economicità in una cornice di solidarietà.
Tutto ciò passa per una scelta chiara e radicale: nel momento in cui si prevede una contestuale apertura di fonti di reddito alle regioni, si deve procedere contestualmente alla chiusura di altrettante fonti di spesa operate dal centro, altrimenti il sistema non regge.
Con l'attuale Governo accade esattamente il contrario: mentre il centro declama e proclama la riduzione delle tasse, nello stesso tempo taglia sensibilmente i trasferimenti agli enti locali e alle regioni costringendoli a loro volta ad aumentare la pressione fiscale.
Il Sud ha paura di questo federalismo, e non perché non sia pronto e disponibile ad accettare ed affrontare questa difficile ma affascinante sfida, ma perché non ci potrà essere vero federalismo senza un adeguato fondo di perequazione, perché il minor gettito non consente ad oggi alle regioni meridionali di essere autosufficienti e di fronteggiare i nuovi compiti della devolution.
Per quanto riguarda la nuova forma di governo, la riforma è radicale e tocca tutto l'impianto del sistema politico: non soltanto introduce la cosiddetta devolution, ma introduce anche il premierato.
La nuova forma di governo che è scaturita dalla proposta dei saggi di Lorenzago è quella di consentire all'attuale premier di giganteggiare su tutti, ad iniziare proprio dai suoi alleati.
Vediamola nei suoi picchi più evidenti: il premier diventa titolare di tutti i poteri sostanziali, compreso quello di sciogliere il Parlamento, che perde ogni forma di autonomia rispetto al capo dell'esecutivo. Neanche negli Stati Uniti hanno pensato ad uno strumento di questa natura: in America, il Congresso ha una funzione separata e autonoma.
Il Presidente della Repubblica viene ridotto a figura puramente decorativa che deve limitarsi ad esercitare solo alcuni marginalissimi poteri espressamente attribuitigli.
Il Parlamento, ove votasse la sfiducia al capo dell'esecutivo, risulterebbe automaticamente sciolto. Pare che alcune di queste forzature vengano cancellate dagli emendamenti della maggioranza. Resta in ogni caso il tentativo di rovesciare a favore del premier i poteri di supremazia.
In queste condizioni, e se questo testo dovesse resistere oltre che ai passaggi parlamentari anche al referendum confermativo, sarà difficile negare che non si sia in presenza di un regime il quale dispone di tutti i mezzi per perpetuare se stesso, ivi compreso il monopolio dei mezzi di comunicazione di massa.
È una legge che cambierà la qualità della democrazia nel nostro paese, giungendo gradualmente ad una dittatura della maggioranza.
In altri termini, questa riforma consegna alla maggioranza parlamentare a al suo leader un potere immenso, e ciò lo si fa senza prevedere uno «statuto dell'opposizione» che viene rinviato alla disciplina dei regolamenti parlamentari.
Crediamo, come riformisti, che in un paese democratico a nessun organo può essere riconosciuto un potere illimitato, in particolare al capo del Governo.
L'assenza di un respiro organico che dovrebbe connotare la grande riforma, si riflette in modo emblematico nel modo come è stato regolato il nodo del rapporto Stato-regioni.
Il Senato federale è diventato un vero mostro giuridico. Non è espresso dai livelli di governo regionale - tipo il Bundesrat tedesco - e non è neppure chiamato a condividere la responsabilità della definizione e gestione dell'indirizzo politico, riconosciuto in esclusiva alla Camera dei deputati.
Ciononostante, è chiamato a partecipare alla definizione dei principi generali in materie e temi fondamentali per il governo del paese, sulla base di una richiesta di una piccola quota di senatori che hanno la possibilità di chiedere che una legge venga sottoposta anche al Senato, con rischi di lungaggini e di danneggiare l'efficacia della legge.
Molto opportunamente qualche commentatore politico ha chiamato questo Senato federale la «Radicofani» della seconda Repubblica, dove diversi «Ghino Di Tacco» controlleranno la via per Roma, ovvero per il governo del paese.
L'altro elemento chiave è tutto politico e riguarda la contestualità della sua elezione ai consigli regionali ed il fatto che non possa essere sciolto. Significa che non è difficile ipotizzare che possa esprimere un equilibrio politico diverso da quello espresso dalla Camera.
Per giustificare la scelta di modificare la Corte costituzionale, sono stati tirati in ballo argomenti privi di buon senso.
Per il Senatore Vizzini, Presidente della Commissione Bicamerale per gli affari regionali, si è risposto alla richiesta delle regioni di partecipare con maggiore intensità alla vita istituzionale del paese prevedendo la nomina di giudici della Corte costituzionale da parte del Senato federale.
Ciò consentirà alle regioni di non sentirsi più estranee rispetto alla Consulta, che è chiamata a risolvere quei conflitti di attribuzione che le vedono in contrasto con il potere centrale.
Secondo il senatore Vizzini, inoltre, la maggioranza si è assunta una responsabilità verso le generazioni future perché così si adeguano le istituzioni al profondo mutamento della società e della politica.
Allora, senatore Vizzini, mi consenta di dire che queste sono vuote parole; i fatti dimostrano il contrario ad iniziare dai reiterati attacchi del mese scorso alla Corte costituzionale da parte di autorevoli rappresentanti del Governo e della maggioranza, liquidata come «tribunale a maggioranza di sinistra» con una brutalità del tutto priva di senso delle istituzioni.
Nel merito: per noi socialisti riformisti l'idea di avere una Corte costituzionale che esprime in termini paritari la cultura giuridica nazionale e quella regionale è un'idea davvero aberrante.
L'idea di lottizzare, infatti, una delle istituzioni costituzionali dello Stato che si è distinta sempre per indipendenza, efficienza ed efficacia e l'elezione di una parte dei membri di essa sottratti all'organo che esprime a livello politico la rappresentanza unitaria del paese (cioè la Camera), è un'idea che nessuna persona di buon senso può sottoscrivere.
La scelta di affidare al Senato federale quasi la metà dei membri della Corte, come se le regioni oggi non fossero rappresentate dall'organismo super partes attuale, va rifiutata.
Lo scopo è facilmente intuibile: è quello di rendere meno indipendente la Corte costituzionale, di fare di essa un organo di alta amministrazione, di porre, in un certo senso, la stessa attuazione della Costituzione sotto il controllo delle regioni.
Lasciateci dire che anche se è evidente il carattere tutto propagandistico della riforma, non è possibile fare della Corte costituzionale materia di baratto politico tra i partiti della coalizione che governano.
In questo nostro convincimento ci soccorrono eminenti personalità del mondo giuridico italiano come il professor Giuliano Vassalli, già ministro della giustizia e Presidente emerito della Corte costituzionale, il quale ha affermato che «una composizione della Corte come quella delineata nella proposta di riforma si tradurrà in una violazione del principio di imparzialità del giudice che si farà sentire proprio nel contenzioso tra Stato e regioni e viceversa».
A suo avviso, anche in un nuovo quadro istituzionale, qual è quello che si sta ridisegnando, si può serenamente mantenere la votazione di una parte dei giudici da parte del Parlamento in seduta comune, anche se il Senato ha carattere federale.
Anche il professor Francesco Paolo Casavola - emerito Presidente della Corte costituzionale - ha definito la riforma un mostro giuridico, e con riferimento alla futura Corte costituzionale che avrà diversi giudici nominati dal Senato federale, ha paventato il rischio che essi diventino i paladini degli interessi locali, snaturando la Corte da organo neutrale di garanzia costituzionale, declassandola a mero collegio arbitrale.
Sarà bene che l'Ulivo e tutto il centrosinistra se vuole essere coerente con le posizioni sinora assunte, si opponga con ogni mezzo, e utilizzi il dibattito parlamentare soprattutto per evitare che questa riforma venga approvata.
E se alla fine, se l'8 ottobre, la Camera, a maggioranza, dovesse votarla in ogni caso e così com'è, si prepari al «referendum costituzionale», uscendo dalle aule parlamentari e aprendo un dialogo intenso e vero con l'opinione pubblica.
Questa è l'unica strada percorribile che va perseguita contro una riforma che rischia di cancellare quelle regole che per cinquant'anni hanno garantito la convivenza democratica e la certezza dei diritti e delle libertà, ed hanno rappresentato il quadro entro cui grandi conquiste sociali si sono realizzate.
FRANCESCO MONACO. Siamo impegnati a esaminare, in seconda lettura, un progetto di riforma costituzionale comprensivo di ben 43 articoli. Una riforma di dimensioni senza precedenti, quasi una riscrittura dell'intera seconda parte della Costituzione, quella che disegna gli organi e i poteri della Repubblica. È a dir poco dubbio che sia impresa legittima, attraverso la ordinaria procedura di revisione costituzionale (ex articolo 138), concepita piuttosto per adeguamenti e riforme circoscritte e puntuali. Manifestamente non è questo il caso: la natura e la portata della riforma in esame configurano piuttosto un'impresa costituente che presupporrebbe appunto un'assemblea costituente ad hoc (e non le ordinarie procedure parlamentari) investita di potere costituente. Ne vale la rassicurazione che non si mette mano alla prima parte della Costituzione, quella nella quale sono scolpiti principi e diritti fondamentali. È perfettamente possibile preservarne la lettera e la forma (ed è questo il caso), violandone la sostanza attraverso uno sconvolgimento dell'architettura dei poteri quale è disegnata nella seconda parte. Per esempio, il principio democratico, quello di uguaglianza tra i cittadini, il principio del pluralismo sociale e politico, quello dell'unità e indivisibilità della Repubblica. Tutti principi, secondo la giurisprudenza costituzionale, non suscettibili di revisione costituzionale, pena la rottura eversiva dell'ordinamento. Si veda al riguardo la celebre sentenza dell'88.
Si può, in ipotesi, configurare un rapporto tra Parlamento, Governo e premier tale da intaccare il principio democratico; un rapporto tra Stato e regioni tale da minare 1'unità della Repubblica e 1'universalità dei diritti di cittadinanza su tutto il territorio nazionale; un ridisegno degli organi di garanzia tale da intaccarne la terzietà o da ridurli all'impotenza. Ma non mi propongo qui di entrare nel merito del progetto di riforma. Già lo hanno fatto altri e ancora lo faremo nel prosieguo. Mi limito a un solo punto, tuttavia decisivo per farsi poi un'opinione circa il merito e il metodo seguito per questa riforma. Lo condenso in una domanda: che cos'è una Costituzione? Domanda che sta al centro di un'agile ma densissimo saggio di Valerio Onida, giudice della Corte Costituzionale, edito di recente da «Il Mulino». Semplifico: la Costituzione è la legge fondamentale (espressione cara ai tedeschi), la madre e il perimetro sicuro di tutte le leggi. Di più: è un patto di convivenza nel quale fissare i principi e le regole che presiedono alla vita della comunità politica, quella «casa comune» - per dirla con Aldo Moro - dentro la quale siamo chiamati ad abitare insieme. Se è così, la Costituzione non può essere assimilata a un fragile contratto, che può essere agevolmente rescisso dalle parti contraenti; ne tantomeno al... bottino dei vincitori, che se la confezionano, la Costituzione, a misura dei propri interessi e delle proprie convenienze. Qui sta il vero, decisivo discrimine, anche nel dibattito sulle riforme. Se accediamo all'idea che la Costituzione non è un contratto cui noi siamo e restiamo estranei, ma come patto che ci impegna, ci vincola, ci è caro, ci coinvolge come persone e come cittadini, se ne ricavano non poche conseguenze.
Primo: è buona cosa che sia tendenzialmente stabile, quale ancoraggio sicuro di una comunità, di contro alla nevrosi delle riforme costituzionali prodotte in serie invalsa da qualche tempo. Le Costituzioni che resistono al tempo (si pensi a quella USA), di norma, sono buone Costituzioni. Altro che polemizzare con le Costituzioni in quanto «vecchie»... Esse, come nel caso nostro, mostrano così di avere svolto egregiamente la loro funzione: quella di rappresentare un perimetro di garanzie per tutti entro il quale poi ha potuto e può svilupparsi la più vivace dialettica politica, 1'avvicendarsi di forze e di indirizzi politici tra loro alternativi e tuttavia compatibili con quel quadro comune di principi e di regole. Uno degli indizi della bontà e dell'efficacia della nostra Costituzione del 1948 è quello di avere integrato nel tempo anche forze (penso ad Alleanza Nazionale) eredi di quelle (il Movimento sociale italiano) che, all'epoca, non la votarono. Mostrando appunto la funzione integratrice delle Costituzioni.
Secondo corollario: è auspicabile che la Costituzione e le riforme ad essa siano largamente condivise. Perché ad essa affidiamo quei valori, quei principi, quei beni, quei diritti che è bene sottrarre alle contingenti e mobili maggioranze di governo. Li mettiamo al riparo da esse. Accedere all'idea che ogni maggioranza di Governo si riscriva pezzi di Costituzione, e magari il suo stesso impianto, è poco lungimirante ed è motivo di lacerazione per quel tessuto comune che è essenziale per stare insieme. La comunità non può reggere una sequela ininterrotta di strappi. Se ne ricava che le riforme fatte a colpi di maggioranza, su iniziativa del governo, nella logica del baratto tra forze politiche anziché in nome di un compromesso costituzionale alto (etimologicamente: compromettere, promettere insieme e compromettersi tutti in quel patto) non fanno presagire nulla di buono.
Terzo: le Costituzioni sono essenzialmente strumenti di garanzia. Nel menzionato libro, Onida illustra la genesi e 1'intima ratio del costituzionalismo liberale e democratico, la radice cioè delle Costituzioni contemporanee, fiorite in reazione ai regimi assoluti e totalitari. L'idea-guida, il proposito è preciso: limitare il potere politico che si pretende assoluto a presidio dei diritti fondamentali di persone e comunità. Così da distinguere tra comandare e governare. Come non rinvenire traccia, in questa idea-forza, così corposamente visibile nella nostra Costituzione, di quel principio personalistico, liberale e cristiano, nel quale dovrebbero riconoscersi anche taluni esponenti della maggioranza? E come non avvertire l'esigenza, dopo 1'introduzione di una regola elettorale maggioritaria che conferisce grande potere a chi vince, di rafforzare i bilanciamenti, le garanzie, lo statuto dell'opposizione? In coerenza, appunto, con l'enfasi sulle garanzie e sui limiti al potere che è il cuore stesso del costituzionalismo moderno e contro la «dittatura della maggioranza». Di tutto questo non c'è traccia nel vostro testo. Questo è il vero buco nero, la prima e la più pressante delle esigenze del nostro sistema politico-istituzionale.
Se sta questa premessa, questa idea alta e pregnante della Costituzione come patrimonio comune, è lecito ricavare di qui quattro osservazioni che giro rispettivamente ai presidenti delle Camere, a noi tutti (maggioranza e opposizione), al governo proponente, alle personalità e ai gruppi meno insensibili al dialogo dentro la maggioranza.
Personalmente, imputo responsabilità non piccole ai presidenti delle Camere per il braccio di ferro, lo scontro in atto, prevedibile e previsto, su materia costituzionale, non solo per le pesanti forzature procedurali, per il contingentamento dei tempi, per un esame parlamentare ipotecato e spezzato da tavoli extraparlamentari, e disperso tra svariate bozze di cui abbiamo perso il conto, ma soprattutto per non avere eccepito per tempo su un progetto di riforma omnibus che fuoriesce dai canoni della revisione e che condurrà prevedibilmente a un referendum-plebiscito, nel senso di prendere o lasciare quasi una nuova Costituzione. Uno strappo all'ordinamento cui i presidenti avrebbero dovuto opporsi. Di fronte a strappi di questa portata suonano risibili le rituali prediche dei presidenti delle Camere sullo spirito bipartisan.
A noi tutti suggerirei di imparare a distinguere accuratamente tra ciò che è ragionevole chiedere alla Costituzione e alle sue regole e ciò che è rimesso all'autonoma dinamica politica, di non indulgere al mito delle riforme e dell'ingegneria costituzionale. Cattivi partiti, cattive coalizioni, cattive politiche non possono essere addebitati a difetti costituzionali.
A maggioranza e Governo obietto che, con il loro comportamento, sono riusciti nell'impresa di compattare tutta l'opposizione, di indebolire quelle voci più sensibili all'esigenza di riforma e di «ammodernamento» dello Stato compatibile con i principi e le garanzie costituzionali, sino ad alimentare una sorta di «retractatio globale» delle riforme da noi stessi varate. Non vorrei che, impegnati come siamo a contrastare energicamente queste riforme-pasticcio, rinnegassimo le istanze sanamente riformatrici ispirate alla doppia esigenza di consolidare la democrazia governante e di completare la riforma federalista dello Stato.
Segnalo anche che l'esorbitante concentrazione del potere nel premier e il deficit di garanzie potrebbe presto ritorcersi contro di voi, apprendisti stregoni, se doveste perdere le elezioni. Cosa a dir poco possibile. La vostra ostinazione nel sostenere una riforma che, prima che una minaccia ai principi democratici e costituzionali, è un colossale pasticcio con risvolti grotteschi (ultima geniale trovata: la terza Cameretta), non è espressione di forza ma di debolezza politica, perché essa è l'esile filo che ancora vi tiene insieme. Ma appunto di sordità e di ostinazione si tratta, a fronte dell'argomentata contrarietà di tutti: sindacato, confindustria, comunità (e associazione) dei costituzionalisti, intero sistema delle autonomie e persino i vostri presidenti di regione, da Storace a Formigoni («un incredibile pasticcio») a Fitto. Cito parole sue: «Il federalismo deve essere costruito con regole chiare e condivise e non aprire il varco a furbizie istituzionali e ad egoismi territoriali (...). Alcune regioni sono destinate per decreto alla retrocessione (...). Non ci possiamo permettere un federalismo sbagliato nella forma e nei contenuti che favorisca la sublimazione degli egoismo territoriali».
Infine, un appello a coloro che, dentro la maggioranza, non strumentalmente, hanno dato mostra di patire il senso di una costrizione, l'oltraggio di un ricatto sulla più alta delle materie: appunto la Costituzione. In verità, mi chiedo se ve ne siano ancora o se essi si siano contentati di fare un po' di teatro estivo, finalizzato ad altro, più prosaico fine. È forse ingenuo sperare che di questa sproporzione siano consapevoli quanti menano vanto di riconoscersi nell'eredità delle forze e delle culture artefici della Costituzione. Ma è nostro dovere richiamare loro che, cedendo a quella costrizione, esse compromettono ciò che residua del loro diritto a rivendicare quella eredità.
Un ultimo rilievo suggeritomi dalle parole pronunciate poche ore fa dal Presidente della Repubblica davanti agli amministratori pubblici di Piacenza. È da tutti riconosciuto il suo equilibrio, la sua terzietà, la sua saggezza.
Ebbene oggi Ciampi, in tema di riforme costituzionali, ha levato un severo monito alla ricerca delle più larghe convergenze; ad adottare soluzioni che assicurino la coerenza e la funzionalità del quadro costituzionale; a salvaguardare l'interesse nazionale e l'effettiva unità economica e giuridica del paese; a non appesantire il contenzioso tra Stato e regioni; ad evitare aggravi burocratici e oneri esorbitanti.
Pur col garbo che gli è proprio, in sintesi, ci sono tutti i nostri rilievi, le nostre preoccupazioni. Se si considera la tempistica, la coincidenza col nostro dibattito, è difficile pensare che le parole di Ciampi non siano mirate.
Ma dubito che prestiate ascolto anche alla più autorevole delle voci critiche, quella interprete della nazione tutta.
RESOCONTO
SOMMARIO E STENOGRAFICO
______________ ______________
508.
Seduta di GIOVedì 16 SETTEMBRE 2004
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIER FERDINANDO CASINI
La seduta comincia alle 10,05.
Seguito della discussione del disegno di legge costituzionale: S. 2544 - Modificazione di articoli della parte II della Costituzione (Approvato, in prima deliberazione, dal Senato) (4862) e delle abbinate proposte di legge costituzionale: Zeller ed altri; Bielli; Spini e Angioni; Buttiglione ed altri; Contento; Cola; Pisapia; Selva; Selva; Selva; Bianchi Clerici; Peretti; Volontè; Pisapia; Lusetti ed altri; Zaccheo; Mantini ed altri; Soda; Olivieri e Kessler; Costa; Serena; Pisicchio ed altri; Bolognesi ed altri; Paroli; Buontempo; Zeller ed altri; Collè; Vitali ed altri; Maurandi ed altri; Olivieri; Boato; Stucchi; Cento; Monaco; Pacini; Consiglio regionale della Puglia; Consiglio regionale della Puglia; Chiaromonte ed altri; Cabras ed altri; Mantini; La Malfa; Briguglio ed altri; Franceschini; Pisapia; Costa; Perrotta ed altri; Fiori (72-113-260-376-468-582-721-874-875-877-966-1162-1218-1287-1403-1415-1608-1617-1725-1805-1964-2027-2116-2123-2168-2320-2413-2568-2909-2994-3058-3489-3523-3531-3541-3572-3573-3584-3639-3684-3707-3885-40234393-4451-4805-5044) (ore 10,07).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge costituzionale, già approvato in prima deliberazione dal Senato: Modificazione di articoli della parte II della Costituzione, e delle abbinate proposte di legge costituzionale di iniziativa dei deputati Zeller ed altri; Bielli; Spini e Angioni; Buttiglione ed altri; Contento; Cola; Pisapia; Selva; Selva; Selva; Bianchi Clerici; Peretti; Volontè; Pisapia; Lusetti ed altri; Zaccheo; Mantini ed altri; Soda; Olivieri e Kessler; Costa; Serena; Pisicchio ed altri; Bolognesi ed altri; Paroli; Buontempo; Zeller ed altri; Collè; Vitali ed altri; Maurandi ed altri; Olivieri; Boato; Stucchi; Cento; Monaco; Pacini; del Consiglio regionale
della Puglia; del Consiglio regionale della Puglia; e dei deputati Chiaromonte ed altri; Cabras ed altri; Mantini; La Malfa; Briguglio ed altri; Franceschini; Pisapia; Costa; Perrotta ed altri; Fiori.
Ricordo che nella seduta di ieri si è conclusa la discussione sulle linee generali.
(Esame di questioni pregiudiziali - A.C. 4862 ed abbinate)
PRESIDENTE. Ricordo che sono state presentate le questioni pregiudiziali Violante ed altri n. 1 e Castagnetti ed altri n. 2 (vedi l'allegato A - A.C. 4862 ed abbinate sezione 1).
A norma del comma 3 dell'articolo 40 del regolamento, le questioni pregiudiziali possono essere illustrate per non più di dieci minuti da uno solo dei proponenti. Potrà, altresì, intervenire un deputato per ognuno degli altri gruppi per non più di cinque minuti.
L'onorevole Bressa ha facoltà di illustrare la questione pregiudiziale Castagnetti ed altri n. 2, di cui è cofirmatario.
GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha più volte affermato, in particolare con la sentenza n. 1146 del 1988 e, da ultimo, con la sentenza n. 2 del 2004, che le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, pur approvate secondo la procedura di cui all'articolo 138, che consente la revisione del testo della Costituzione e l'adozione di altre leggi aventi rango costituzionale, non possono contenere norme che contrastino con i principi supremi dell'ordinamento costituzionale.
La nozione di principio supremo traduce l'idea del nucleo essenziale ed immodificabile della Costituzione italiana, per incidere sul quale non è sufficiente il ricorso al mero potere di revisione costituzionale, il quale è pur sempre un potere costituito, tenuto, quindi, ad operare nell'alveo della Costituzione.
Pertanto, nella nostra Carta sono assolutamente immodificabili le disposizioni della Costituzione che definiscono la forma repubblicana dello Stato, di cui all'articolo 139. Il suddetto articolo però richiama la forma di Stato prefigurata in nuce dall'articolo 1, che, a sua volta, rinvia ad altre disposizioni dello stesso testo costituzionale.
L'articolo 1 recita: «L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Questa opzione interpretativa fa sì che vengano considerati sottratti alla revisione costituzionale anche i principi della democrazia rappresentativa e della centralità del Parlamento, il nucleo essenziale dei diritti di libertà civile ed il principio di eguaglianza sia formale che sostanziale. La vostra riforma lede i principi dell'articolo 1, ma anche dell'articolo 3 (il principio di eguaglianza), nonché dell'articolo 5 (il principio di unità ed indivisibilità).
Oggi su tutti i giornali è riportato il richiamo di Ciampi: «Ho giurato sulla Carta (...) Serve un disegno coerente». Ebbene, proprio questo manca nella proposta di riforma: la coerenza costituzionale. È una riforma costituzionale senza verità, la vostra, ma con molte storie dietro. Una riforma costituzionale senza verità, poiché la frammentarietà, la ritrosia e l'ambiguità delle soluzioni proposte dalla riforma appaiono prive della capacità di instaurare un vero e proprio modello costituzionale alternativo rispetto a quello vigente.
Tuttavia, vi sono molte storie particolari dietro che producono il pericolosissimo ed incredibile tentativo di superare, con un nuovo assetto costituzionale, le difficoltà di un sistema politico. Avete fatto una verifica politica di maggioranza e l'avete chiamata riforma costituzionale. Il vero obiettivo della riforma, non so se consapevolmente o meno, è quello di ridisegnare i confini tra politica e diritto costituzionale. Ciò avviene soprattutto, come vedremo, attraverso la ridefinizione della forma di Governo.
Il diritto costituzionale, nelle sue più moderne e democratiche espressioni, è, ad un tempo, fine e confine della politica. Il diritto delimita l'area in cui si può svolgere la politica. È un limite all'arbitrio della politica e ne orienta le manifestazioni verso i valori fondanti l'ordinamento.
La forma di Governo che voi proponete, quella che il professore Leopoldo Elia, con una formula efficacissima, ha definito premierato assoluto, non è orientata a realizzare un modello costituzionalmente alternativo a quello vigente nel senso del presidenzialismo all'americana, del premierato all'inglese e del cancellierato alla tedesca.
Si tratta invece del prodotto di un imbroglio costituzionale, costruito su misura per formalizzare per il presente e perpetuare per il futuro l'attuale sistema politico italiano, meglio ancora se nelle condizioni del presente.
Il nucleo della nostra pregiudiziale di costituzionalità sta nel fatto che questa superficiale ma terribile convinzione di poter surrogare, con un irrigidimento autoritario, la carenza di omogeneità politica non deve essere sottovalutata. Il premierato assoluto rappresenta una riforma in senso autoritario della nostra Costituzione ed è soprattutto a questo che ci opponiamo e, per tale motivo, vogliamo difendere la Costituzione, i suoi valori e i suoi principi di democrazia.
Nella storia costituzionale moderna il requisito fondamentale, a cui deve corrispondere un sistema di governo che intenda dare forma ad una democrazia, è rappresentato dalla divisione dei poteri e, nel caso di un sistema fondato su elezioni maggioritarie, da meccanismi di bilanciamento e contrappeso tra poteri. O c'è questo o, da Madison a Maragnini, tutti ci diranno che non vi è democrazia.
Non vi è nulla di male né nulla di non democratico nello scegliere quella che si chiama democrazia di mandato e, quindi, l'elezione diretta del Presidente. Ma, affinché tale scelta sia coerente con la irrinunciabile logica della divisione dei poteri richiesta da una democrazia, occorre sganciare il Governo dal Parlamento e costringere il Presidente eletto a fare i conti con un Parlamento che egli non può domare né con il voto di fiducia né con il potere di scioglimento.
Se invece si pretende di eleggere di fatto - come voi proponete - direttamente un primo ministro, che si insedia in un sistema parlamentare e dispone verso le Camere sia della fiducia con voto conforme sia dello scioglimento, allora si distrugge il sistema parlamentare, si distrugge la divisione dei poteri e si realizza una forma di governo in cui il principio di democrazia si indebolisce fino a scomparire, specie poi se alla maggioranza parlamentare che risponde al primo ministro si attribuisce anche il potere di eleggere il Capo dello Stato e altri organi che dovrebbero essere di bilanciamento e di garanzia.
La riforma che proponete va oltre, in quanto parte dalla premessa non solo che il premier deve essere direttamente eletto, ma che attraverso le elezioni i cittadini trasferiscano a lui la loro sovranità: singolarissimo principio per una democrazia, tanto più singolare sulla base del fortunatamente non modificato articolo 1 della nostra Costituzione, che la sovranità l'attribuisce al popolo del quale fanno parte anche i cittadini che non hanno votato per il premier vincente, chiunque esso sia.
L'altra questione costituzionalmente cruciale posta dalla riforma in oggetto è quella dell'affievolimento delle garanzie. La vostra riforma, con la ridefinizione delle funzioni e dei poteri del Presidente del Repubblica, con la politicizzazione della Corte costituzionale, ma soprattutto con la devoluzione - comportando la possibilità di scardinare i servizi universali, che sono la sostanza dei diritti di cittadinanza e la garanzia dei diritti di libertà e di uguaglianza - può aprire le porte alla secessione dei diritti per i cittadini italiani. Tutto questo produce un altro gravissimo strappo costituzionale!
L'idea più corretta di Costituzione è che quest'ultima non sia mera organizzazione dei poteri, ma organizzazione dei poteri funzionale alla garanzia dei diritti fondamentali. Voi, invece, organizzate il potere per il potere, con sommo spregio dei diritti di uguaglianza, di libertà, del valore di unità e indivisibilità del paese.
Per tale motivo, la vostra proposta di riforma, anche se sarà approvata, è destinata a fallire. Non è la grande riforma vagheggiata, non è la grande riforma che proclamate, è un apparentemente astuto groviglio di vostre piccole volontà, di vostre piccole meschine vanità.
Le soluzioni che avete trovato, se sono prive della capacità di instaurare un vero e proprio modello costituzionale alternativo a quello vigente, sono però capaci di scassare la Costituzione vigente. Sono adatte a realizzare violazioni di principi costituzionali che non avete la forza, la capacità e la cultura costituzionale di cambiare. Per questo la vostra è una riforma che produce forme - per dirla con il professor Mario Dogliani - di incostituzionalità circoscritta. Tuttavia, tali forme lasciano margini di politica costituzionale e di politica pura e semplice; dunque, eserciteremo all'interno e al di fuori del Parlamento questa nostra grande opportunità politica.
Per tale motivo non riuscirete a modificare profondamente la democrazia di questo paese, in quanto ci saremo noi che ve lo impediremo. Quindi, anche se oggi siamo sconfitti dai numeri, le nostre ragioni in difesa della Costituzione potranno essere fatte valere in ogni sede, qui e nel paese (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. L'onorevole Soda ha facoltà di illustrare la questione pregiudiziale Violante n. 1, di cui è cofirmatario.
ANTONIO SODA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, noi sappiamo che il passaggio dallo Stato assoluto allo Stato di diritto ed, infine, allo Stato costituzionale ha determinato delle trasformazioni del potere legislativo ed esecutivo in due direzioni: da una parte, con la separazione dei poteri, si è affermato il controllo del Parlamento sull'attività di Governo e la potestà legislativa del Parlamento; dall'altro, il potere legislativo, negli Stati di diritto costituzionale come il nostro, comporta dei limiti oggettivi alla stessa potestà legislativa. Voglio dire che i costituzionalisti moderni di tutti i paesi a democrazia avanzata affermano che gli stessi Parlamenti, per effetto dei vincoli del patto costituzionale, hanno limiti nei principi immodificabili delle Costituzioni.
Una trasformazione, dunque, che segna il passaggio dal semplice Stato di diritto allo Stato costituzionale, nel quale il potere legislativo delle assemblee non è assoluto, ma incontra il limite dei princìpi immodificabili della Costituzione. Tra questi princìpi, oltre a quelli supremi della ragionevolezza, della razionalità e dell'uguaglianza di parità di trattamento dei cittadini, incontriamo costantemente la necessità che non vi siano violazioni dei princìpi fondamentali dello stesso Stato di diritto. Orbene, in questa proposta di legge, che ha fondamento nella concezione della cosiddetta «democrazia totalitaria», in virtù della quale un'assemblea sarebbe onnipotente, vi sono tutte le violazioni tipiche di uno Stato che vuole retrocedere verso forme non più di democrazia costituzionale, bensì di democrazia totalitaria.
Noi segnaliamo, in particolare, che la definizione di un Senato, che, per un verso - come alcuni hanno affermato - è onnipotente, perché invade anche la sfera della responsabilità dell'esecutivo e, per altro verso, è irresponsabile, perché non risponde politicamente alle assemblee né a quell'equilibrio dei poteri, configurati nello scioglimento delle Camere quando il rapporto di fiducia con l'esecutivo viene meno, dà vita ad un monstrum che scardina la separazione dei poteri e lo Stato di diritto costituzionale, tipico delle democrazie più avanzate. Ma lo stesso processo di formazione delle leggi è confuso, contraddittorio, non contiene cioè quei caratteri propri dei princìpi costituzionali che individuano nella supremazia del Parlamento, nel processo di formazione delle leggi il suo carattere distintivo e fondamentale.
La necessità, quindi, di un ripensamento, di fermarsi, senza procedere all'esame degli articoli, deriva da scelte di fondo.
La nostra Corte costituzionale, fin dagli anni Settanta, ha individuato i principi immodificabili che lo stesso potere legislativo ed il potere costituzionale non possono superare, pena la rottura del vincolo del patto costituzionale. Si fuoriesce dalla Costituzione ogni qual volta le assemblee elettive invadono la sfera dei principi immodificabili contenuti nella nostra Carta costituzionale.
Affermate che si tratta di una revisione parziale e ordinamentale del nostro sistema politico costituzionale. In quest'aula, nessuno di voi ha affermato che si vuole una fuoriuscita dalla Costituzione del 1948, ma che si vuole invece superare la transizione, si vogliono colmare le lacune, si vuole rendere la Costituzione formale coerente con la Costituzione materiale. Si tratta delle contraddizioni che ha denunciato ieri l'onorevole Fassino e della necessità di risolvere tali contraddizioni. Ma la soluzione di tali contraddizioni, di tali limiti e di tali lacune e il compimento del processo di trasformazione del nostro sistema non determinano la fuoriuscita dal sistema costituzionale.
Al contrario, nel testo vi sono due elementi che portano ad un diverso modello costituzionale, non soltanto dal punto di vista del processo di formazione delle leggi, ma anche dal punto di vista del rapporto fra i poteri. Basti pensare all'annullamento totale ed integrale di ogni funzione di equilibrio, di garanzia e di stabilizzazione del sistema, assolta, nei cinquant'anni della nostra Repubblica, dal Presidente della Repubblica. Orbene, delineare un sistema nel quale scompare la garanzia di questo alto organo costituzionale e si accentua la rigidità del rapporto Governo-Parlamento, con l'attribuzione di una posizione preminente e di supremazia pressoché totale all'esecutivo - e all'interno dell'esecutivo al suo premier - sul Parlamento, comporta una fuoriuscita dal sistema parlamentare.
Si prevede una Camera legislativa con poteri penetranti in tutte le politiche di settore: badate, tutte le materie concorrenti comportano necessariamente interferenze con l'attuazione del programma di governo. Quindi, da una parte definite un esecutivo che con il suo premier controlla non solo la sua maggioranza, ma l'assemblea politica; dall'altra, consentite che questo esecutivo, forte nei confronti dell'assemblea politica, sia costretto a trattare l'attuazione del programma con una Camera che non risponde politicamente né all'assemblea politica né al Governo.
Dunque, si tratta di un modello di Stato ingovernabile e che comporterà, come denunciato da molti studiosi, analisti e attenti conoscitori delle vicende politiche, costituzionali e sociali delle istituzioni, la moltiplicazione della spesa pubblica e l'ingovernabilità dei conti pubblici. La Corte dei conti, non più tardi di qualche mese fa, ha segnalato che già l'indebitamento delle regioni italiane ha raggiunto la quota di 40 miliardi di euro (80 mila miliardi di vecchie lire). Di questo tema non vi è traccia nel dibattito che si è svolto e si tratta di un tema fondamentale, sul quale le Camere dovrebbero esprimersi con compiutezza. Non abbiamo sentito, da parte del Governo e della maggioranza, una risposta a queste accuse pubbliche di ingovernabilità della spesa, frutto dell'impianto costituzionale che ci proponete.
Dunque, la nostra pregiudiziale - con la cui approvazione non si passerebbe all'esame degli articoli - trova il suo fondamento in due cardini fondamentali. Da una parte, lo stravolgimento, che voi effettuate, dei principi immodificabili della Costituzione, principi la cui violazione determina una rottura del patto costituzionale, foriera di avventure perniciose per il nostro paese; dall'altra, l'assenza completa di una verifica dell'impatto di tale impianto costituzionale sulle vicende finanziarie, impatto che si ripercuoterebbe, quindi, sul sistema di sicurezza sociale che deve essere garantito ai nostri cittadini in base ai principi di universalità ed eguaglianza dei diritti sociali fondamentali.
Processo di formazione delle leggi; rigidità dell'esecutivo; supremazia del Capo del Governo sull'Assemblea «politica» e sulla maggioranza; confusione del processo legislativo; rapporti squilibrati tra le due Camere; per così dire, onnipotenza del Senato in determinate materie di carattere prevalentemente di attuazione del programma di Governo, sono tutti fattori che ci spingono a lanciare un monito severo. Non commettete l'errore di procedere oltre nell'approvazione di una riforma che, elaborata da una sola parte - minoritaria nel paese -, trova il dissenso integrale di studiosi, di attenti conoscitori dei sistemi politici e istituzionali. Essa desta, altresì, allarme nelle forze produttive del paese, incontrando contrarietà, timori e pericoli reali di «disgregazione» del principio di universalità delle prestazioni essenziali su tutto il territorio nazionale da parte delle forze sociali. Pericoli che segnaliamo costantemente e che incontrano o il silenzio o risposte che diventano meri balbettii.
Il non passaggio agli articoli significa l'invito ad una pausa di riflessione, a ripensare il metodo e il contenuto di questa riforma. Al riguardo, abbiamo formulato talune proposte; mi riferisco, ad esempio, ad una Assemblea costituente il cui potere non investa tutta la Carta costituzionale e, quindi, i suoi principi fondamentali, ben radicati nella coscienza del popolo italiano. Si tratterebbe, piuttosto, di un percorso costituente definito, delimitato; un'Assemblea con carattere redigente che nascerebbe con la rappresentanza plurale di tutte le istanze culturali, politiche, sociali, economiche e produttive del paese. È questa la strada che vi abbiamo indicato; con essa potremo approfondire effettivamente tutte le questioni segnalate, da quelle ordinamentali alle altre sociali, finanziarie e di funzionamento del sistema.
In genere, i modelli costituzionali sono il frutto di un ripensamento della storia di un popolo; ieri, ho ascoltato l'onorevole Sterpa che ha definito questo vostro disegno di legge un testo contrario a tutta la storia unitaria del nostro paese. È una opinione che rispetto; non la condivido in quanto noi non siamo attestati su posizioni di conservatorismo che escludano ogni possibilità di intervento di «manutenzione» della nostra Carta costituzionale. Pensiamo, piuttosto, che il federalismo in sé, implicando una pluralità di poteri diffusi sul territorio, sia una ricchezza per la democrazia e per la partecipazione. Ma il federalismo, storicamente, è fattore di unità, non di disgregazione. I federalismi nascono come forme politiche, come strumenti per unificare comunità altrimenti confliggenti sul piano della sovranità e divaricanti sul terreno dello sviluppo economico e sociale. Tale è l'autentico federalismo; infatti, in tutta Europa, il federalismo si coniuga con la ricerca costante di principi di unità, assumendo una funzione unificante.
Non solo questo accade negli Stati nazionali, ma anche nei processi di aggregazione sovranazionale noi incontriamo costantemente questa esigenza di unità, di garanzia, di uguaglianza e di diffusione dei diritti sociali fondamentali. Al contrario, il vostro federalismo è un federalismo alla rovescia, che nega la stessa natura del patto federativo. Il patto federativo non è un patto per disgregare, per creare differenze che non esistono, per moltiplicare le disuguaglianze. Il federalismo nasce per unire, per creare ponti fra comunità che altrimenti si lacererebbero tra loro a causa di una storia dallo sviluppo divaricante.
Orbene, ripensare ad una forma di Stato che abbia in sé la ricchezza del pluralismo dei poteri, che abbia in sé la diffusione sul territorio di poteri più vicini alle comunità, più trasparenti, meno opachi, più vicini alle domande dei cittadini delle comunità, è una scelta saggia alla quale noi non rinunciamo e per la quale siamo pronti a fornire ogni contributo; ma un federalismo, al contrario, che moltiplica le disuguaglianze, che incrina il sistema di sicurezza sociale, che diversifica la fruizione dei diritti fondamentali sul territorio è un federalismo che nega sé stesso, un federalismo che non è patto di unione, ma fonte di lacerazioni e di contrasti.
Su questi temi vi invitiamo a riflettere. Abbiamo indicato nella nostra pregiudiziale alcuni punti che, mi rendo conto, sono stati parzialmente corretti, senza però intaccare l'impianto fondamentale del vostro testo. Il monito che vi rivolgiamo è di non proseguire su questa strada di divisione ed accogliere la domanda di ripensare questo testo che viene non tanto da un'opposizione politica all'interno di quest'Assemblea, che potrebbe essere definita come un'opposizione strumentale di governo, ma da tanta parte del paese.
Lo spirito costituente non è passione civile per provocare fratture, non è rispondere ad una domanda di scambio politico all'interno di una maggioranza, lo spirito costituente è ricercare la condivisione di principi e di valori comuni sui quali costruire quelle necessarie, opportune e limitate revisioni della Carta costituzionale che concludano la transizione italiana.
(Ripresa esame di questioni pregiudiziali - A.C. 4862 ed abbinate)
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.
GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, come altri colleghi hanno già ricordato, la Corte costituzionale ha stabilito in tempi non sospetti che i principi supremi dell'ordinamento non possano venire modificati, neanche utilizzando la procedura stabilita dall'articolo 138 per la revisione della Costituzione. In particolare, i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità fanno parte dei principi supremi dell'ordinamento. Questo progetto, invece, fuoriesce da tali criteri per quantità e per diversità delle norme e degli istituti, che sopprime, sostituisce o distorce.
La stessa volontà popolare in caso del referendum previsto dall'articolo 138 verrebbe messa nell'impossibilità di dare un giudizio distinto sulle singole parti. Sarà già difficile in questo Parlamento poter articolare le valutazioni ed i giudizi, ma tanto più lo sarebbe in un referendum in cui il popolo dovrebbe esprimersi: sarà difficile perché sarebbe costretto a dire di no o di sì ad un pacchetto di riforme tra ciò che piace e ciò che non si vuole. Ciò non pare trovare cittadinanza nella nostra democrazia costituzionale.
Inoltre, questo progetto non modificherebbe soltanto la seconda parte della Costituzione, ma inciderebbe oggettivamente sulla prima, che statuisce i principi dell'ordinamento e riconosce i diritti dei cittadini. Le due parti, dunque, sono connesse: la seconda parte è funzionale alla prima. Il rapporto tra i principi e i diritti, da una parte, e le istituzioni che definiscono e regolano il potere, dall'altra, ammette innovazioni nella nostra Carta costituzionale, ma che risultino rigorosamente coerenti con la finalizzazione intangibile dell'ordinamento dettato dalle norme fondamentali e dai diritti inviolabili. Invece, talune normative risultano strumentali ad altre finalità istituzionali - parliamo degli articoli 117, secondo comma, e 120, secondo comma, cioè la devolution -, che fanno riferimento ai livelli essenziali e riducono il significato e la portata del principio di uguaglianza.
Noi andremmo a costituzionalizzare trattamenti differenziati, disparità, differenziazioni che, naturalmente, sono in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione. Quindi, si tende a frammentare la Repubblica, a frantumare i vincoli di solidarietà e le politiche economiche e sociali richiamati dall'articolo 2. Inoltre, non solo si rovescia il senso del federalismo, che è sempre stato tensione all'unità come è stato poc'anzi ricordato, ma si rovesciano i criteri di attribuzione delle funzioni, cioè gli organi che dovrebbero tendere a tutelare l'interesse nazionale (articolo 5 della Costituzione). Il progetto, infine, ha un moderno impianto autoritario, laddove si configura una lesione del principio della separazione dei poteri, ponendo il potere legislativo alla mercé di quello esecutivo.
Aspetti che riducono, mortificano, a volte annullano il potere dei Parlamenti si trovano in diversi articoli, non solo quello relativo ai poteri del premier, ma anche, per esempio, nel procedimento legislativo, che è una delle questioni più rilevanti di questo provvedimento. Viene messo in crisi persino il principio della sovranità popolare.
Tutto ciò, dunque, non solo appare in contrasto palese con i principi supremi della Costituzione, ma determina o aggrava il divario già esistente nel rapporto tra cittadini e istituzioni. Per tutte queste ragioni, anche noi, insieme a tutti i colleghi delle opposizioni, chiediamo di non procedere all'esame del disegno di legge (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Acquarone, al quale ricordo che ha tre minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
LORENZO ACQUARONE. Signor Presidente, come del resto ho preannunciato nell'intervento di ieri, nei tre minuti che mi sono concessi vorrei esaminare la questione di costituzionalità solo da un punto di vista teorico, lasciando poi ai colleghi che parleranno successivamente l'analisi compiuta. L'argomento forte che ci viene sollevato contro è se sia mai possibile sollevare una questione di costituzionalità nei confronti di una legge che si presenta come disegno di legge costituzionale. Sì, è possibile, perché non solo la Corte costituzionale ha avuto occasione di affermarlo, ma tutta la dottrina costituzionalistica recente - cito, in particolare, i contributi di Baldassarre e di Massimo Luciani - hanno messo in luce come nell'ambito della Costituzione vi siano dei diritti fondamentali, i cosiddetti valori costituzionali, i quali resistono ad ogni revisione costituzionale e, soprattutto, a quella ex articolo 138, che è stato visto in funzione di piccole modifiche costituzionali.
I valori costituzionali sono quelli in cui il legislatore costituente non ha creato dei diritti per i cittadini, ma ha riconosciuto dei diritti inviolabili con una qualche venatura giusnaturalistica in quanto gli stessi sono propri, non dico di una condizione umana, ma della condizione umana di cittadini liberi in un libero Stato.
Ora abbiamo questo testo di legge, che apparentemente dovrebbe riguardare soltanto gli articoli della seconda parte della Costituzione, ma che ha implicazioni forti anche sulla prima parte, in particolare per quanto riguarda i principi di ragionevolezza.
Per quanto riguarda il principio di uguaglianza, pensiamo alla differenziazione enorme che si introduce tra i cittadini delle regioni economicamente più favorite e quelli delle regioni meno favorite.
Una limitazione del principio di uguaglianza viene ad operare addirittura nei confronti dei deputati: quando un deputato fa parte della maggioranza, è vincolato in un certo modo; tuttavia, se deve far parte della maggioranza per far valere le proprie ragioni, allora bisogna riconoscere che ciò integra una violazione non solo del principio di uguaglianza, ma - ove si creda, come me, nella democrazia rappresentativa - anche del principio di sovranità.
Inoltre, se guardiamo a come è congegnata la funzione legislativa, ci accorgiamo che vi è una profonda lesione di quel principio di separazione dei poteri su cui si fonda il costituzionalismo moderno, a partire dalla Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789, della quale mi piace leggervi il testo dell'articolo 16: «Toute société dans laquelle la garantie des droits n'est pas assurée ni la séparation des pouvoirs déterminée, n'a point de Constitution»
Non ha Costituzione uno Stato dove non vi è separazione dei poteri. È questa la ragione per la quale siamo profondamente convinti che, al di là del nomen juris di disegno di legge costituzionale, il provvedimento al nostro esame è incostituzionale (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, Misto-Socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cento. Ne ha facoltà.
PIER PAOLO CENTO. Signor Presidente, anche i deputati Verdi, che hanno sottoscritto le due pregiudiziali di costituzionalità, esprimeranno su di esse un voto favorevole.
Noi riteniamo che si ponga una questione rilevante, bene illustrata già negli interventi precedenti, ma sulla quale credo sia utile soffermarsi ancora.
Una parte della Carta costituzionale è materiata di principi fondamentali che, nel fare di essa il riferimento fondamentale del nostro sistema, consacrano valori che sono da considerare intangibili anche in relazione ad eventuali modifiche costituzionali (che pure furono previste quando fu dettato l'articolo 138).
Ciò premesso, oggi cominciamo l'esame di un disegno di legge costituzionale che non propone la modifica parziale di alcuni punti della Carta allo scopo di ammodernare il nostro sistema politico ed i rapporti tra Camera e Senato anche in relazione agli interventi di adeguamento richiesti dall'impianto elettorale maggioritario. Oggi, siamo di fronte ad una proposta organica che non solo riscrive, dal punto di vista quantitativo, oltre 43 articoli della Carta costituzionale, ma ne mette in discussione tutta la struttura, non esclusi i grandi principi ideali contenuti nella prima parte.
Non a caso, nei nostri dibattiti, anche nelle precedenti legislature, abbiamo sempre sostenuto che, occorrendo cambiare la Carta costituzionale nelle sue fondamenta, l'unico strumento idoneo allo scopo era un'Assemblea costituente. Anche in questa legislatura sono state presentate proposte di legge costituzionale al riguardo. In questi ultimi giorni, poi, la proposta è stata efficacemente rilanciata (mi riferisco agli interventi di ieri dell'onorevole Boato ed a quello di ieri l'altro dell'onorevole Violante).
Credo che la fondatezza delle due questioni pregiudiziali stia tutta nella necessità di contemperare l'esigenza che sta alla base dell'articolo 138 con la irrinunciabile salvaguardia dei principi fondamentali della Costituzione. Non si possono conciliare tali principi ...
PRESIDENTE. Onorevole Cento ...
PIER PAOLO CENTO. ... con modifiche che, ad esempio, consentono al Capo del Governo di assumere poteri, per così dire, totalizzanti rispetto al ruolo delle due Camere, le cui funzioni, peraltro, vengono differenziate, in tal modo mettendo in crisi quella sovranità popolare che si esprime attraverso le elezioni (il rapporto tra elezioni e sovranità popolare dà sostanza, nella Carta costituzionale, al principio supremo della democrazia rappresentativa).
Queste sono alcune delle ragioni che si aggiungono a quelle già espresse da altri colleghi dell'opposizione per spiegare il nostro voto sulle due questioni pregiudiziali (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Verdi-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pappaterra, al quale ricordo che ha tre minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
DOMENICO PAPPATERRA. Signor Presidente, a nome dei Socialisti democratici italiani, vorrei esprimere il pieno, convinto sostegno alle pregiudiziali di costituzionalità, per le ragioni che gli altri colleghi hanno evidenziato, ma anche per altre considerazioni che vorrei aggiungere.
In primis, vi è la palese violazione del principio di uguaglianza dei cittadini, perché con questa forma di devolution si vuole imporre la cancellazione della titolarità e della sovranità dello Stato su una serie di materie che possono essere governate solo attraverso un riferimento nazionale. A nostro avviso, attribuire alle regioni il potere di legiferare in via esclusiva su materie come sanità, sicurezza ed istruzione significa ledere il principio di uguaglianza dei cittadini, che hanno costituzionalmente diritto alle stesse prestazioni pubbliche per la tutela di questi beni.
Il secondo principio che a nostro giudizio viene violato è quello della perequazione fiscale. Il Governo del centrosinistra, quando modificò la Costituzione, all'articolo 119, comunque, ribadiva due principi fondamentali: il rispetto dei diritti del cittadino e dei livelli essenziali di erogazione dei servizi e, soprattutto, la perequazione effettuata dallo Stato per i territori con minore capacità fiscale per abitante. A noi sembra che di questo non vi sia traccia nel progetto dell'attuale maggioranza.
Il terzo principio che viene violato con l'introduzione del Senato federale e con questi eccessivi poteri conferiti al Capo del Governo è quello della democrazia rappresentativa. Qualche politologo in questi giorni ha affermato giustamente che il Senato federale diventerà come la «Radicofani» della seconda Repubblica, perché con questa funzione soprattutto di paralisi legislativa, consentendogli di intervenire ogniqualvolta lo riterrà su materie che dovrebbero essere di esclusiva competenza della Camera dei deputati, gli si attribuisce uno strapotere parlamentare.
In ultimo, signor Presidente, al Capo del Governo sono attribuiti poteri enormi, compreso quello di sciogliere il Parlamento. Non era mai avvenuto, neanche in democrazie consumate e rappresentative come quella degli Stati Uniti, che il Congresso fosse delegittimato rispetto alla figura del Capo dell'amministrazione. Nel nostro caso, la stessa funzione del Presidente della Repubblica viene ridotta ad una funzione decorativa e notarile, perché egli deve limitarsi ad esercitare solo alcuni poteri residui che la legge gli attribuisce.
Per queste ragioni e per tutte le altre considerazioni che i colleghi del centrosinistra hanno espresso precedentemente, a nome del gruppo dei Socialisti democratici italiani esprimo il nostro voto favorevole alle pregiudiziali di costituzionalità (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Socialisti democratici italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Saponara. Ne ha facoltà.
MICHELE SAPONARA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, le due questioni pregiudiziali di costituzionalità presentate da tutti i gruppi di opposizione ed illustrate in aula mirano ad una delibera di non procedere oltre l'esame dei disegni di legge di riforma della seconda parte della Costituzione.
Con le stesse viene lamentata la violazione, ad opera di alcune delle disposizioni contenute nel provvedimento all'esame della Camera, di principi supremi dell'ordinamento che, ai sensi della sentenza della Corte costituzionale n. 1146 del 1988, non possono formare oggetto di revisione costituzionale. In particolare, in dette questioni pregiudiziali si sostiene che il principio di sovranità popolare sancito dall'articolo 1 della Costituzione soffrirebbe di una irragionevole compressione, sia in conseguenza dell'introduzione della cosiddetta contestualità affievolita per le elezioni dei consigli regionale del Senato federale sia in ragione del ruolo di decisore di ultima istanza che, con riferimento a determinate materie, viene riconosciuto a tale Assemblea anche a dispetto della sua estraneità dal circuito fiduciario.
Quest'ultimo argomento in verità prova troppo. A condurlo fino in fondo, dovremmo concludere che qualunque modifica all'attuale bicameralismo perfetto in materia legislativa costituirebbe un vulnus alla sovranità popolare. Non si vede infatti perché una diversa modulazione delle competenze nell'esercizio della funzione legislativa, competenze che rimangono ovviamente in capo alle due Camere e cioè agli organi costituzionali più immediatamente rappresentativi della volontà popolare, possa inficiarne la sovranità, tanto più che nella fattispecie nulla autorizza a ritenere che la nuova articolazione del procedimento legislativo si traduca in una limitazione della potestà legislativa della Camera dei deputati e, per questa via, in una compressione del principio della sovranità popolare.
In proposito, va considerato che per l'esame di disegni di legge concernenti la determinazione dei principi fondamentali nelle materie rientranti nell'ambito della competenza legislativa concorrente tra lo Stato e le regioni, in ordine ai quali il secondo comma dell'articolo 70 della Costituzione dispone che sia il Senato federale a decidere in via definitiva, una delle recenti proposte emendative della maggioranza dispone che, ove il Governo proponga modifiche ritenute essenziali per l'attuazione del suo programma e queste siano respinte dal Senato, ma approvate dalla Camera dei deputati, l'esame del disegno di legge in oggetto è affidato ad una Commissione mista paritetica, convocata di intesa dalle due Assemblee.
Quanto, invece, alla cosiddetta contestualità affievolita, che nel testo approvato in sede referente dalla Commissione regola le modalità di elezione del Senato federale e dei consigli regionali, devo rilevare come la questione sollevata, dalla quale comunque non emergono, a mio avviso, problemi di costituzionalità, appare ormai superata alla luce dell'intervento del ministro Calderoli, che, nella seduta di lunedì 13 settembre, aveva già preannunziato l'intenzione del Governo e della maggioranza di passare ad una contestualità vera e propria, in conformità alla quale i senatori di ciascuna regione siano eletti contestualmente ai rispettivi consigli regionali e durino in carica tanto quanto gli stessi consigli. L'intenzione è confermata dal tenore delle proposte emendative formulate dalla maggioranza, che si sostanziano nel secondo comma del nuovo articolo 60 della Costituzione, in forza del quale i senatori eletti in ciascuna regione rimangono in carica fino alla data di proclamazione dei nuovi senatori della medesima regione. Le questioni pregiudiziali lamentano, inoltre, la concentrazione di poteri nelle mani delle persona del primo ministro, anch'essa ritenuta lesiva dei principi supremi della divisione dei poteri e della stessa sovranità popolare.
In verità, non si vede come la sovranità popolare, tanto spesso chiamata in causa, possa vedersi lesa, anziché rafforzata, dall'introduzione di meccanismi atti ad attribuire una diretta legittimazione popolare dell'esecutivo e del suo capo.
Con riguardo, infine, all'asserita irragionevolezza della qualificazione di alcune delle competenze regionali come esclusive, ai sensi del nuovo quarto comma dell'articolo 117 della Costituzione, a me pare che la questione, pur non priva di un qualche fondamento, atteso che la vigente Costituzione effettivamente già prevede competenze esclusive dello Stato in materie affini a quelle oggetto della cosiddetta devolution, non può certamente essere posta sotto il profilo della legittimità costituzionale, limitandosi, se del caso, a porre problemi di mera natura interpretativa.
Dalle considerazioni sopraesposte discende l'infondatezza dell'ipotesi di incostituzionalità contenuta nelle questioni pregiudiziali in esame. Ciò anche alla luce della circostanza che l'impianto complessivo del provvedimento è, in primo luogo, finalizzato ad introdurre una necessaria riforma dei meccanismi di funzionamento delle nostre istituzioni, attesa ormai da tempo ed in grado di consentire al Governo e, in seno ad esso, al Primo ministro, di portare più agevolmente a compimento il programma che ha superato il vaglio delle consultazioni politiche.
In tale prospettiva, la previsione di precipue disposizioni «antiribaltone», volte ad escludere il verificarsi di mutamenti di maggioranza in corso di legislatura, assicura il pieno rispetto del mandato conferito dal corpo elettorale, consentendo, dunque, un rafforzamento, e non una compressione del principio della sovranità popolare.
Al rafforzamento delle prerogative dell'Esecutivo, nel solco del cosiddetto premierato, si accompagna, inoltre, il superamento del bicameralismo perfetto...
PRESIDENTE. Onorevole Saponara...
MICHELE SAPONARA. ... con la previsione, accanto ad un'Assemblea politica, di un Senato federale, dalla cui istituzione discende, unitamente alla previsione di una più ampia devoluzione alle regioni di competenze legislative esclusive, il pieno completamento della transizione verso un'organizzazione istituzionale ed amministrativa di tipo federale, nella quale un ruolo centrale è attribuito alle autonomie territoriali, in attuazione del principio...
PRESIDENTE. Onorevole Saponara, concluda!
MICHELE SAPONARA. ... contenuto nell'articolo 5 della Costituzione.
La sistematicità e la coerenza di tale disegno riformatore si evincono, infine, dal contestuale rafforzamento del ruolo riconosciuto al Presidente della Repubblica quale garante supremo della Costituzione, al quale, tra l'altro, sono riconosciute prerogative di indubbio rilievo in materia di tutela dell'interesse nazionale.
Conclusivamente, nel rivendicare il forte impegno profuso dal Governo in carica e dalla sua maggioranza parlamentare nel delineare una novella costituzionale di così ampio respiro, testimoniato dalle ulteriori proposte emendative migliorative, presentate ieri, volte a completare il proficuo lavoro già svolto in sede referente dalla I Commissione, preannunzio convintamente, a nome dei deputati di tutti i gruppi appartenenti alla Casa delle libertà, il voto contrario sulle questioni pregiudiziali Violante n. 1 e Castagnetti n. 2 (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e della Lega Nord Federazione Padana).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Maura Cossutta, alla quale ricordo che ha tre minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
MAURA COSSUTTA. Signor Presidente, ci troviamo ad un passaggio cruciale per le nostre istituzioni democratiche e per il futuro concreto della vita di tutti noi. La nostra opposizione è radicale ed il nostro è un vero allarme democratico, perché di questo si tratta.
Infatti, si tratta non di una modifica, ma dello stravolgimento della Costituzione; non è una modifica tecnica, ma un attacco politico alla Carta costituzionale. La seconda parte della Costituzione è strettamente legata alla prima; la forma dello Stato e l'assetto istituzionale sono legati al modello sociale, alle norme e ai principi generali ordinatori del modello economico e sociale ed ai diritti civili, sociali e democratici.
La sostanza e la qualità della democrazia e l'uguaglianza non formale, ma sostanziale dei cittadini costituiscono i pilastri del nostro ordinamento costituzionale, ma voi attaccate al cuore questa cultura democratica e questa cultura dell'uguaglianza. Con la riforma in esame, infatti, si rompe l'unità del paese e l'universalità del sistema dei diritti; il premierato assoluto, investito della sovranità popolare, con il potere di scioglimento delle Camere, comprime il sistema delle garanzie e riduce il Parlamento ad un'Assemblea elettiva che deve soltanto ratificare le sue decisioni.
La devolution è un progetto di divisione del paese: è una vera «secessione» dei diritti. Si tratta, in realtà, di un progetto politico che rispecchia gli interessi economici e di potere delle regioni forti, che nella rottura dell'unità nazionale cercano di conquistare direttamente la competitività nei mercati europei ed internazionali, un progetto che riflette gli interessi dei ceti sociali garantiti, i quali vogliono fuoriuscire dall'unitarietà del sistema di solidarietà fiscale e che rispetta, infine, gli interessi dei gruppi finanziari ed economici, che vogliono lo smantellamento del welfare pubblico per aprire ai mercati assicurativi privati.
Si tratta di un progetto politico, quindi, e non di una revisione costituzionale, che fa tabula rasa della nostra storia, della storia della nostra Repubblica e che vuole riscrivere il patto sociale costituzionale. Questo è il significato delle nostre pregiudiziali. La vostra è una controriforma costituzionale ed è costituzionalmente eversiva (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulle questioni pregiudiziali di costituzionalità Violante n. 1 e Castagnetti n. 2.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 521
Votanti 518
Astenuti 3
Maggioranza 260
Hanno votato sì 222
Hanno votato no 296).
LUIGI OLIVIERI. Peccato!
PRESIDENTE. Prendo atto che il dispositivo di voto dell'onorevole Vertone non ha funzionato. Prendo altresì atto che gli onorevoli Costa, Taglialatela e Tanzilli non sono riusciti a votare ed avrebbero voluto esprimere voto contrario e che l'onorevole Maurandi avrebbe voluto esprimere voto favorevole.
Esame degli articoli - A.C. 4862 ed abbinate)
PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli articoli del disegno di legge costituzionale, nel testo della Commissione.
(Esame dell'articolo 1 - A.C. 4862 ed abbinate)
PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 1 e delle proposte emendative ad esso presentate (vedi l'allegato A - A.C. 4862 ed abbinate sezione 2).
Avverto che l'emendamento 1.3 deve intendersi sottoscritto solo dagli onorevoli Mascia, Russo Spena, Maura Cossutta e Sgobio.
Avverto inoltre che, prima dell'inizio della seduta, è stato ritirato l'emendamento Landolfi 1.70.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Russo Spena. Ne ha facoltà.
GIOVANNI RUSSO SPENA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, noi riteniamo che questo articolo 1 segni il tratto prevalente che allude al complessivo, pessimo e pericoloso progetto che la maggioranza ci presenta: l'abbattimento della Costituzione e, insieme, l'estinzione del costituzionalismo democratico, reso esangue dal paradigma autoritario. Ciò per due motivi di fondo: anzitutto, non siamo di fronte ad un progetto di revisione costituzionale, ma ad un vero e proprio rovesciamento della Costituzione. L'articolo 138, che prevede e detta il funzionamento del procedimento delle revisioni costituzionali, subisce un'eterogenesi dei fini. Parafrasando Gramsci, potremmo dire che ci troviamo di fronte ad un uso illegale del potere legale di revisione. Ciò è grave, perché questo eccesso di potere mina l'identità stessa della nostra Costituzione. Basta leggere i lavori di alto livello giuridico...
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi prego di consentire all'onorevole Russo Spena di svolgere il suo intervento! Onorevole Russo Spena, purtroppo, un po' di perturbazione vi è in tutta l'aula. È naturale che sia così. C'è stato un voto e vi è un minimo di rilassamento. Onorevoli colleghi, defluite, per cortesia, piuttosto che parlare. Onorevole Boato... Onorevole Russo Spena, può proseguire.
GIOVANNI RUSSO SPENA. Dicevo, onorevoli colleghi, che basta leggere i lavori di alto livello giuridico e politico dell'Assemblea costituente. Qual è, infatti, lo spirito e l'anima, oltre che la filosofia, della nostra Costituzione? Un complesso di statuizioni in forma rigida - annoto: la nostra è stata voluta coscientemente, come illustrò Calamandrei, come Costituzione rigida, quindi non una mutevole in base alle stagioni politiche - teso a costituzionalizzare la democrazia progressiva. Il che vuol dire che i rapporti economici ed i diritti sociali, con la loro possibilità di essere agiti direttamente, prendono corpo negli affermati principi di eguaglianza sostanziale, di giustizia e di libertà.
È questa la grande e innovativa identità fondativa della nostra Costituzione, che connette prima e seconda parte della stessa in maniera indissolubile. La cancellazione di questa identità e, quindi, della democrazia organizzata e progressiva è la vera operazione berlusconiana.
Surrettiziamente - questo è il punto - si sta tentando di modificare anche la prima parte della Costituzione che statuisce i principi dell'ordinamento e riconosce, valorizza ed esalta i diritti dei cittadini. Quando, ad esempio, viene introdotta la categoria dei livelli essenziali nell'erogazione dei servizi dello Stato sociale, si fa un'operazione di sofisticato ed ipocrita travisamento del principio dell'eguaglianza, che è statuito - come sappiamo - nella prima parte della Costituzione, dal primo e dal secondo comma dell'articolo 3. Se, infatti, vengono costituzionalizzati i livelli essenziali, viene anche costituzionalizzato lo Stato sociale minimo, viene abbattuto il principio dei diritti universali, viene sancita la privatizzazione dei servizi. Di più: viene costituzionalizzata contro l'eguaglianza la disparità e la differenza di trattamento fra cittadine e cittadini nell'erogazione dei servizi. Il principio di eguaglianza viene ridotto ad una soglia minima incomprimibile. Questo è, per scienza giuridica, contro la prima parte della Costituzione. La Repubblica diventa un mero nome riassuntivo, a cui non corrisponde nessuna soggettività politica e giuridica. La Repubblica, come afferma, ad esempio, il costituzionalista Rescigno audito dalla I Commissione, diventa una risultante della interconnessione fra molti soggetti, fra i quali si colloca, in parità con gli altri, anche lo Stato.
La devoluzione che la maggioranza prospetta è l'opposto della nostra concezione di un reale decentramento, di un progetto autonomistico forte, capace di porre in relazione enti autarchici territoriali e socializzazione, autogoverno, nuovi nessi amministrativi. Ma è anche l'opposto di ogni modello storico sperimentato e funzionante di federalismo democratico. Il federalismo, infatti, non è secessione mascherata, non è mediocre ipocrisia. Esso è nato storicamente per unire ciò che era diviso, per mettere in relazione culture, comportamenti, poteri, per costruire relazioni e articolazioni delle identità statuali. Questo è il federalismo solidale! Il vostro, invece, signori della maggioranza, è un azzardo costituzionale di stampo liberista, una costruzione mercificata dei distretti, dei business, degli affari, in cui i territori vengano messi in concorrenza fra loro in una competitività tesa soltanto ad abbassare il livello delle garanzie sociali, sindacali, contrattuali, dei vincoli ambientali, atomizzando cioè lo Stato sociale, annullando il Servizio sanitario nazionale, rompendo l'unità nazionale e formativa della scuola repubblicana, segmentando e precarizzando il mercato del lavoro, eliminando le conquiste più avanzate in tema di erogazione della forza lavoro, a partire dalla salute delle lavoratrici e dei lavoratori.
Per non parlare del principio di sussidiarietà, sia in senso verticale che orizzontale, che con la nuova ripartizione della potestà legislativa fra Stato e regioni rende carta straccia la prima parte della Costituzione per quanto riguarda i servizi sociali; ad esempio, per quanto concerne la scuola, e mi riferisco all'articolo 33, comma 2, della Costituzione, che recita che la Repubblica istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Tuttavia, non vogliamo eludere il punto della proposta della maggioranza. Noi proponiamo esplicitamente, anche con i nostri emendamenti, il modello federale tedesco, quello dei Länder, cioè istanze territoriali regionali, che hanno uno specifico luogo di sintesi nel Bundesrat, nella Camera alta. Nella sostanza, lo stesso Stato federale tedesco, che funziona benissimo, è sovraordinato e ai Länder spettano compiti applicativi di leggi quadro regionali. Un decentramento forte che non prevede poteri sostitutivi dello Stato, che mantiene l'esercizio delle garanzie universali in maniera unilaterale. Così si garantisce l'unità della Repubblica italiana.
La maggioranza ci propone, invece, un modello inesistente, né tedesco né statunitense, un pasticcio autoritario e per giunta inefficace, nato nel mercato della mediocre politica italiana.
Noi pensiamo ad una struttura che sia diretta espressione delle assemblee regionali, con un criterio di elezione diretta proporzionale che garantisca la rappresentanza politica delle minoranze. Devo dire, per serietà e trasparenza, che alcune delle ispirazioni di fondo che stiamo qui criticando erano già purtroppo penetrate largamente nell'ordinamento costituzionale italiano attraverso le disposizioni di modifica del Titolo V della parte II della Costituzione, approvata, con esigua maggioranza parlamentare, con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, dovuta al Governo di centrosinistra.
Rifondazione comunista votò contro allora, come oggi; non per arroganza, ma per chiarezza.
Per proiettarci nel futuro, leggo tre righe della nostra dichiarazione di voto di quel giorno, quando il centrosinistra approvò la riforma del Titolo V della Costituzione.
Dicemmo allora: « È una riforma sbagliata, che peserà come un macigno non solo per i suoi contenuti antisolidali, ma perché farà da scivolo per la secessione leghista. Ne costituirà un varco ed un velenoso alibi». Ecco: qui siamo!
Temiamo molto anche per questo, onorevoli colleghi, che non si realizzi ciò che invece è indispensabile, ovvero la compattezza reale di tutte le opposizioni, che non è soltanto compattezza parlamentare, ma è la necessità di saper elaborare con determinazione un punto di vista alternativo, un'altra idea della Costituzione oggi, quasi a riprendere uno spirito costituente, ma per tenere saldi i cardini, secondo noi ancora validi, della Costituzione repubblicana antifascista.
È questo che ci permette di sfidare in senso culturale e sociale una grande campagna di massa contro il plebiscito che in qualche modo la maggioranza tenterà di imporre al paese, con una devoluzione ed un premierato assoluto che si supportano a vicenda, creando una deriva autoritaria grave.
Un paese diviso, «spezzettato» e sfibrato dalla secessione rischia di trovare l'unico fittizio punto di riferimento nel presidenzialismo plebiscitario. Questo è il punto: siamo ad una forma contemporanea di satrapia; siamo ad un punto acuto del tratto autoritario delle società postdemocratiche di cui, ad esempio, parla Dahl, che si inserisce in quella fuga della democrazia che è nelle viscere stesse della globalizzazione liberista. Si comprime cioè il processo democratico della formazione della rappresentanza parlamentare ed il mercato assoluto diventa il luogo delle transazioni ed al contempo l'autonomo produttore di norme.
Pensando infine a Berlusconi, mi viene in mente, alquanto maliziosamente, l'attualità di Kelsen, quando sottoponeva a critica il dogma della sovranità e rilevava con acutezza i processi di personificazione delle norme. Diceva Kelsen che alla personificazione segue quindi la mercificazione.
Onorevoli colleghi, mi sembra dunque alta la sfida che abbiamo davanti: i tecnicismi o le aperture di credito furbesche non ci salveranno.
Occorrono profonde alterità di principio, punti di vista forti e maturi che rilancino, come diceva Bloch, un progetto di democratizzazione della vita quotidiana. Ancora una volta, conflitto sociale e lotte democratiche devono entrare in connessione, soprattutto in questa fase politico-sociale e, successivamente, nella fase referendaria a cui certamente il paese sarà chiamato.
È questo il nostro terreno: assumere un impegno costituzionale e diffondere e far lievitare una cultura democratica in uno scontro nel paese. Questo è l'impegno di oggi; questo è l'impegno per i prossimi mesi (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione.
DONATO BRUNO, Relatore. Signor Presidente, la Commissione esprime parere contrario su tutte le proposte emendative presentate all'articolo 1.
PRESIDENTE. Il Governo?
ALDO BRANCHER, Sottosegretario di Stato per le riforme istituzionali e la devoluzione. Signor Presidente, il Governo esprime parere conforme a quello del relatore.
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell'emendamento Mascia 1.3.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Montecchi. Ne ha facoltà.
ELENA MONTECCHI. Signor Presidente, interverrò sull'emendamento soppressivo dell'articolo 1 anche a nome dei colleghi della Margherita e del collega Boato. Non voteremo l'emendamento in esame perché consideriamo il Senato federale della Repubblica uno dei cuori fondamentali del nuovo assetto della nazione.
Il nostro voto non favorevole a questo emendamento, sottoscritto da due componenti dell'opposizione, non vanifica, naturalmente, il lavoro comune da noi svolto. In particolare, una componente dell'opposizione che ha presentato emendamenti in relazione al Senato delle regioni non mette in discussione un nuovo impianto di decentramento. Noi, tuttavia, preferiamo ragionare di un assetto istituzionale chiaro: a nostro avviso, il paese a seguito delle riforme dovrebbe presentarsi alla collettività insieme più unito e federale.
Crediamo, tuttavia, che alla definizione di principio dell'articolo 1 non segua una precisa, coerente e puntuale definizione del Senato federale. Ne discuteremo nel merito quando si presenteranno in modo più chiaro le formulazioni del Senato federale stesso. Tuttavia, già da ora possiamo dire che, pur condividendo la definizione di principio, manifestiamo tutte le nostre perplessità per quanto riguarda le formulazioni successive (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Verdi-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.
GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, esprimo la nostra contrarietà al termine «Senato federale» pur sapendo che altri colleghi dell'opposizione presentano lo stesso termine dando ad esso un'accezione tutta diversa.
Come vedremo esaminando il successivo emendamento, vi è un'ipotesi alternativa a tale termine perché alternativo è il modello che noi proponiamo ed addiveniamo all'idea che si debba andare verso il superamento del bicameralismo perfetto. D'altra parte, sappiamo che già nella Costituente l'attuale testo dell'articolo 55 della Costituzione è stato il frutto di un compromesso tra opinioni molto diverse. Sono decenni che nel paese si discute di superare il bicameralismo perfetto. Dunque, non è in discussione la necessità di arrivare a tale superamento, bensì il significato che il termine Senato federale assume all'interno del progetto del Governo e della maggioranza. Tale significato si costruisce sul concetto di devoluzione e sulla rottura della solidarietà sociale ed economica nel paese. Si tenta di frantumare la Repubblica e di frammentare la solidarietà economica e sociale. È su tale base che si va ad inventare il termine «federale», dando ad esso un significato tutto opposto rispetto alla storia del federalismo.
Il federalismo ha una storia che nasce sulla volontà di Stati, con storie, culture e specificità diverse, di costruire un'unità ordinamentale, sociale e politica; dunque, esso ha una storia ed un processo di formazione del tutto inverso rispetto al significato che gli viene dato in questo testo di riforma. Peraltro, il Senato federale che viene proposto non ha alcuna relazione con il territorio. È un'invenzione puramente linguistica ed anzi in nome di questo termine «federale» non solo si stabilisce un falso ed ipocrito legame territoriale, mantenendo invece caratteristiche di elezione diretta senza nessun rapporto col territorio, ma si stabiliscono anche dei meccanismi perversi sul piano istituzionale, come quello dell'elezione contestuale tra regioni e Senato federale (e differita rispetto all'altra Camera).
Pertanto, con questo emendamento, con il quale chiediamo la soppressione dell'articolo 1, intendiamo significare la nostra contrarietà organica all'insieme del progetto, che viene propagandato sull'idea del federalismo, mentre è necessario dire ai cittadini e alle cittadine quale imbroglio vi stia dietro, sul piano sia delle conseguenze sociali sia delle conseguenze istituzionali ed ordinamentali, oltreché il moderno autoritarismo, che sta dietro all'impianto ordinamentale che viene costruito intorno a questo termine. Dunque chiediamo la soppressione dell'articolo 1, proprio in funzione di questa contrarietà di principio a tutto il progetto di riforma che voi ci proponete.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole De Franciscis. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO DE FRANCISCIS. Coerentemente con gli interventi che abbiamo sviluppato in sede di discussione sulle linee generali, noi Popolari dell'UDEUR voteremo a favore di questo emendamento soppressivo. Pensiamo che il nostro Stato unitario abbia avuto alla sua origine, con la Costituzione vigente, un'intuizione profonda, della quale siamo grati ai padri costituenti, che era quella di sottolineare ed evidenziare la ricchezza delle nostre comunità locali, a livello di municipi e di regioni. Riteniamo sia legittimo immaginare che si differenzino le prerogative tra le due Camere del nostro Parlamento e che queste collaborino meglio nello svolgimento del loro lavoro; tuttavia non possiamo consentire che si introduca il termine «federale», laddove questo significa un insieme di istituzioni che cedono sovranità per stare insieme.
Questo è uno Stato unitario e questa è la Costituzione vigente, alla quale tutti noi siamo ovviamente ossequiosi. Non possiamo quindi immaginare che, come i Länder autonomi si sono federati in Germania o gli Stati autonomi negli Stati Uniti d'America o i Cantoni autonomi, con proprie tradizioni storiche, nella Repubblica elvetica, anche l'Italia, che è uno Stato unitario, vecchio meno di 150 anni, trasformi il ramo alto del proprio Parlamento in un Senato federale: è una cosa ridicola, che farà ridere la comunità internazionale (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Popolari-UDEUR)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maura Cossutta. Ne ha facoltà.
MAURA COSSUTTA. Signor Presidente, noi abbiamo firmato e sottoscritto questo emendamento, che continuiamo a sostenere, perché non siamo d'accordo sull'impianto generale di questa controriforma e, nel merito, di questa parte di modifica, che è coerente con il quadro di attacco generale alla Costituzione che abbiamo denunciato prima. Ritengo che già nella nostra Costituzione i nostri padri costituenti avevano riconosciuto il valore del sistema delle autonomie. Dunque, nella Costituzione già c'è il riconoscimento e la promozione del sistema delle autonomie. A noi, infatti, piace definire la nostra Repubblica come Repubblica delle autonomie e, d'altronde, la battaglia delle forze democratiche in tutti questi decenni è stata volta esattamente a dare attuazione e valore a quel principio costituzionale.
Da sempre, per le forze democratiche, per quelle di sinistra il tema della regionalizzazione, del riconoscimento dell'autonomia decisionale degli enti locali è stata una battaglia cardine per la qualità del nostro sistema democratico. I nostri padri costituenti avevano prefigurato nella nostra Costituzione un equilibrio saggio e lungimirante tra le diverse funzioni del nostro sistema istituzionale. L'unitarietà dello Stato è un valore, come è stato affermato dagli altri colleghi nel corso della discussione sulle linee generali del provvedimento, che si pone come elemento di garanzia non solo dell'unità nazionale, ma dell'unitarietà del sistema sociale.
A tale riguardo, ci eravamo confrontati nella Commissione bicamerale ed anche in quella sede quanta enfasi sulle cosiddette riforme costituzionali! Si avverte un problema del sistema politico ed istituzionale. Le riforme costituzionali sono, tuttavia, in grado di affrontare i problemi e le inefficienze del sistema politico? Io ritengo di no!
I problemi politici, nonché quelli correlati al sistema maggioritario devono essere risolti con l'approvazione di leggi ordinarie e soprattutto facendo leva sugli strumenti della politica. Le cause delle inefficienze vanno affrontate, risolvendole alla radice. Non sono d'accordo sul fatto che il problema dell'inefficienza e dell'inefficacia del nostro sistema istituzionale sia legato alla scarsità di rappresentanza territoriale, semmai al «disvalore» dell'idea stessa della rappresentanza. Anche nel sistema delle autonomie, in questi anni si è manifestata la tendenza molto pericolosa non ad aumentare la rappresentanza e la rappresentatività, ma, al contrario, a ridurre tali spazi. Vi è stata, in altri termini, un'accelerazione della concentrazione nelle mani dell'esecutivo del valore della rappresentanza anche nel sistema delle autonomie.
Il problema non è di prevedere nella Costituzione una maggior autonomia del sistema degli enti locali, quanto quello di riconoscere nella stessa il valore della rappresentanza e della rappresentatività. Lo abbiamo affermato anche in sede di Commissione bicamerale. Possono essere apportati alcuni ritocchi per snellire, chiarire e rendere efficace il potere decisionale del Parlamento rispetto al suo ruolo nazionale unitario. Abbiamo proposto di trasformare il bicameralismo in monocameralismo, di ridurre il numero dei parlamentari e di costituzionalizzare la Conferenza delle regioni e la Conferenza unificata. Nel corso della discussione sono state presentate diverse ipotesi, ma avete scelto la strada più sbagliata ed inefficace (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Mascia 1.3, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 508
Votanti 501
Astenuti 7
Maggioranza 251
Hanno votato sì 22
Hanno votato no 479).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Mascia 1.1.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.
GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, abbiamo chiesto la soppressione del termine Senato federale, per il significato che emerge nel disegno di legge della maggioranza e del Governo. Ragioniamo su un'ipotesi alternativa, ricordando che nella Costituente vi furono varie posizioni tra le forze politiche.
Vi erano i gruppi di sinistra, i socialisti, i comunisti e gli azionisti che chiedevano il monocameralismo sulla base dell'assunto che la radice della sovranità è unica e unica deve essere la rappresentanza. Vi erano poi altre forze politiche che preferivano un sistema bicamerale, anche se con posizioni diverse: vi erano i democristiani ed i liberali che ipotizzavano una seconda Camera che fosse rappresentanza degli interessi di categorie, mentre altri partiti laici avevano in mente una Camera rappresentativa delle regioni.
Poi si giunse ad un compromesso, la storia è lunga, ma ritengo dimostri che, allora, la preoccupazione delle sinistre che l'approccio bicamerale avrebbe determinato una Camera doppione dell'altro, fu poi ciò che si realizzò nel corso degli anni.
Le esperienze negative del bicameralismo perfetto sono sotto gli occhi di tutti e, nel corso di questi anni, in ogni occasione in cui si è presentata l'opportunità di ragionare nuovamente sulla seconda Camera, le sinistre si espressero per il monocameralismo.
Oggi, prevediamo l'ipotesi di una seconda Camera - ricordiamo comunque che, già per l'attuale Senato della Repubblica, ai sensi dell'articolo 57 della Costituzione, è prevista l'elezione su base regionale - proprio in funzione delle modificazioni intervenute nel corso di questi anni, da ultimo la modifica del Titolo V della Costituzione, che abbiamo contrastato per i suoi contenuti fondamentali nonché per le modalità con cui è stata approvata nel corso della scorsa legislatura.
Riteniamo dunque che una seconda Camera possa divenire una Camera di composizione, di incontro e di confronto tra i diversi livelli istituzionali in ordine a competenze diverse assegnate allo Stato e alle regioni. Crediamo, infatti, che occorra evitare l'insorgere di conflitti istituzionali, emersi invece proprio a seguito della modifica del Titolo V della Costituzione.
Per questa ragione chiediamo l'istituzione di un Senato delle Regioni - nei successivi articoli specificheremo meglio l'articolazione che intendiamo proporre - rispetto al quale sia garantita una rappresentanza territoriale effettiva. Chiediamo inoltre che siano eleggibili a deputati e senatori tutti gli elettori che abbiano compiuto i 25 anni di età (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole De Franciscis. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO DE FRANCISCIS. Signor Presidente, coerentemente con quanto affermato in precedenza, annuncio il mio voto favorevole sull'emendamento Mascia 1.1. Infatti, se l'intuizione originale era quella di fornire sempre crescenti responsabilità e se lo spirito dei proponenti la presente riforma è quello di riempire di contenuti sempre maggiori le nostre regioni, ritengo sia necessario istituire un Senato delle regioni, un Senato delle autonomie - come proposto più avanti - , ma non certo un Senato federale che sottolinea uno stare insieme tra entità diverse e sovrane, che non è il caso dello Stato unitario che il sangue di tante guerre e la passione di intere generazioni hanno consegnato, meno di 150 anni fa, a quanti sono nati in uno Stato unitario.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Mascia 1.1, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 528
Votanti 322
Astenuti 206
Maggioranza 162
Hanno votato sì 19
Hanno votato no 303).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Mascia 1.2, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 524
Votanti 318
Astenuti 206
Maggioranza 160
Hanno votato sì 15
Hanno votato no 303).
Passiamo alla votazione dell'articolo 1.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maran. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, colleghi, intervengo per dichiarare la nostra astensione sull'articolo in esame, anche se non siamo contrari all'istituzione del Senato federale.
Ovviamente, siamo consapevoli della necessità di ulteriori adattamenti rispetto al disegno costituzionale di riforma, che accrescano stabilità ed efficacia di Governo, rafforzino l'opposizione parlamentare e realizzino una più ampia distribuzione di poteri dal centro alla periferia.
La riforma del Titolo V risultava carente fondamentalmente su un punto, ovvero l'assenza di una Camera parlamentare rappresentativa del mondo delle autonomie territoriali. E un assetto federalista della Repubblica - se davvero poi si vuole perseguire la strada di una riforma regionale - rende necessario il coinvolgimento degli enti del governo territoriale, attraverso le loro rappresentanze, nelle scelte legislative nazionali che vengono ad incidere nell'esercizio delle funzioni di governo a quegli enti assegnate. Infatti, soltanto attraverso questo coinvolgimento, decisioni di rilevanza nazionale possono essere condivise dai governi regionali evitando un contenzioso istituzionale e politico, purtroppo oggi molto diffuso, e adeguando quelle scelte alle necessità proprie di un Governo federale. È questa l'esigenza che rende necessaria la trasformazione radicale di una delle due Camere da assemblea rappresentativa del popolo italiano, eletta a suffragio universale diretto, a Camera rappresentativa delle regioni e degli enti territoriali, composta cioè di rappresentanze rapportabili direttamente o indirettamente agli enti territoriali.
La soluzione più chiara e, secondo molti studiosi, più efficace è rappresentata da una seconda Camera che sia composta da membri degli esecutivi regionali, come in Germania. Ma ovviamente le forme e le modalità tecniche di questa rappresentanza possono essere diverse; noi, ad esempio, abbiamo proposto con i nostri emendamenti alcune ipotesi. Ma il punto è che la questione del Senato, sia per quanto riguarda la sua composizione che per quanto riguarda le sue funzioni, non è affatto risolta dalla proposta da voi avanzata. La debolezza del rapporto di rappresentanza, la debolezza della connessione strutturale e funzionale con le regioni e con gli altri enti territoriali, l'incoerenza delle funzioni del Senato costituiscono un vizio di fondo e un macigno, perché se si parte dall'impossibilità di trasformare composizione e funzione del Senato, si finisce inevitabilmente per pretendere poi di risolvere tutto con la ripartizione prestabilita per materia delle competenze legislative del Parlamento nazionale e delle regioni. Ma come è naturale e inevitabile, quelle dighe che si pretende di erigere per prestabilire le rispettive prerogative di Parlamento e regioni fanno inevitabilmente acqua da tutte le parti. L'alternativa non consiste nell'eliminazione delle competenze concorrenti e nel rinunciare agli elenchi di materie, ma nel creare un Senato rappresentativo degli interessi regionali, che possa intervenire puntualmente nella disciplina dei confini, inevitabilmente mobili, tra il Governo centrale e i sistemi regionali.
La proposta in esame - e poi tutte quelle che si sono avvicendate nel corso di questi mesi - hanno un difetto di impostazione, perché finiscono per scrivere e riscrivere il quadro dei rapporti tra i livelli di governo, come se il problema sia davvero quello di separare le sfere di competenza degli enti e non, invece, quello di individuare le istituzioni della cooperazione tra gli enti, problema tuttora irrisolto. Il rischio è che questa proposta, dopo tutte le chiacchiere su federalismo e devolution, porti un ulteriore elemento, se non di disgregazione, di delegittimazione e svilimento di quella Repubblica autonomista e solidale che è ancora fragile e sta compiendo faticosi sforzi per affermarsi, strutturarsi e radicarsi nel tessuto istituzionale e sociale nel paese.
Dovremmo fare uno sforzo proprio per riportare l'attenzione sul federalismo non come ideologia e grido di battaglia contro lo Stato (che abbiamo udito negli anni scorsi affermarsi), ma come progetto riformista, strumento funzionale ad affrontare i nuovi problemi dello sviluppo e a dare risposte alle domande reali di cambiamento.
Oggi che il federalismo non gode di grandissima popolarità e sembra diventato un problema, non sarebbe male tenere a mente che quella di nuove regole ed istituzioni è una strada che ci è stata imposta da emergenze e fratture e che abbiamo scelto proprio per sanare il contrasto tra società e Stato, tra società e politica. Il contrasto non è risolto ora, solo per il fatto che c'è Berlusconi, che sul Po non si marcia più e che i giornali hanno smesso di parlare del Veneto come fosse l'Ulster! Una delle componenti il pensiero federalista è sempre stata la ricerca di spazi di autonomia e libertà per i cittadini, proprio attraverso forme di contenimento e di distribuzione articolata del potere pubblico. È questa la funzione in gioco con la composizione e le funzioni del Senato. È un'esigenza che non viene meno perché oggi c'è Berlusconi, ma che la concentrazione di poteri di cui gode il Presidente del Consiglio rende ancora più necessaria. Da qui nasce il voto di astensione del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giordano. Ne ha facoltà.
FRANCESCO GIORDANO. Signor Presidente, i colleghi Russo Spena e Mascia hanno già ampiamente esposto le motivazioni con cui contestiamo il Senato federale proposto dall'ipotesi di riforma del centrodestra. Mi preme sottolineare, in sede di dichiarazione di voto, che con l'articolo 1 inizia un percorso che mira a un esplicito rovesciamento della Costituzione (da ciò discende la nostra contrarietà e la differenza di valutazione con i colleghi del centrosinistra), nella sua specifica ragion d'essere, come afferma autorevolmente il professor Ferrara riportando peraltro un'opinione diffusa fra i giuristi, vale a dire la costruzione di una democrazia avanzata, in cui i rapporti sociali ed economici siano conformi ai principi di libertà e ai principi di dignità umana, di giustizia sociale e di uguaglianza sostanziale.
State modificando strutturalmente il rapporto tra Parlamento ed esecutivo, tra Parlamento e Presidente del Consiglio. In poche parole, proponete una stretta autoritaria che rende l'attività parlamentare una pura finzione. Perché rendete questo Parlamento del tutto inutile? Perché volete essere impermeabili ad ogni condizionamento sociale. Nella competizione globale, scegliete la stretta autoritaria. Nella globalizzazione liberista, bisogna decidere: come si potrebbe decidere in tempo reale la difesa degli interessi dei poteri forti? Dunque, come dimostrate con questa struttura istituzionale, la democrazia diventa un vincolo e un impaccio al pieno dispiegamento della decisione autoritaria.
Dunque, una finzione. Da una parte, l'accentramento, e dall'altra la frantumazione dell'unità politica, sociale ed istituzionale, che altera il principio di uguaglianza su scala territoriale e sociale. Ai diritti sociali sostituite le garanzie minimali. Proponete la paralisi dello Stato, la crisi della sua unità. Di converso, si avvantaggeranno di ciò le regioni ricche, e nelle regioni ricche le aree sociali forti. Da oggi, aumentano le distanze fra cittadini ricchi e cittadini poveri del Nord, e fra Nord e Sud del paese. Un cittadino siciliano, campano o pugliese avrà tutele sociali diverse, con l'approvazione della riforma, da quelle di un lombardo, di un veneto o di un emiliano.
Questa è la vostra riforma: ci batteremo, in Parlamento e nel paese, perché essa è organicamente inaccettabile, oltre ad essere tragicamente inefficace (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, ci accingiamo a votare l'articolo 1 (finora abbiamo votato le questioni pregiudiziali e gli emendamenti), e si tratta di un voto importante.
Abbiamo detto più volte, e già nella scorsa legislatura - non solo noi Verdi ma tutte le forze politiche del centrosinistra in generale -, come fosse fondamentale completare la riforma della seconda parte della Costituzione - intitolata: Ordinamento della Repubblica - per quanto riguarda la forma di governo, la forma di Stato, il superamento del bicameralismo paritario e perfetto, con l'adozione di un bicameralismo differenziato ed il rafforzamento del sistema delle garanzie. Tuttavia, la Casa delle libertà ed il Governo hanno eretto, per tutta la prima fase del percorso di revisione costituzionale - sia al Senato sia, soprattutto, alla Camera dei deputati, nella Commissione affari costituzionali in sede referente -, un muro di totale incomunicabilità tra le forze parlamentari di maggioranza e quelle di opposizione. Fino ad oggi, si è avuta una totale e dichiarata autosufficienza della Casa delle libertà, con una operazione di scambio politico svoltasi soltanto all'interno delle singole forze che compongono la maggioranza di centrodestra; scambi, ad esempio, tra devolution e premierato assoluto, interesse nazionale ed un certo tipo di procedimento legislativo, e via dicendo. Abbiamo dichiarato tali operazioni del tutto inaccettabili.
Voglio richiamare in quest'aula il solenne monito, totalmente condivisibile, espresso ieri dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi; infatti, se vogliamo effettivamente e seriamente affrontare nel merito un confronto parlamentare in materia di revisione costituzionale della seconda parte della Costituzione, è ovvio che, essendo quest'ultima composta di vari titoli, il primo dei quali riguarda il Parlamento, si deve anzitutto decidere una questione fondamentale. Si deve infatti stabilire se superare il bicameralismo perfetto e paritario - intrinseco alla vigente Costituzione - adottando un bicameralismo differenziato. In tal caso, continuerebbero ad esistere due rami del Parlamento: uno, costituirebbe la Camera politica, collegata al Governo da un rapporto fiduciario; l'altro, invece, costituirebbe il luogo al centro del sistema politico-istituzionale e politico-costituzionale in cui verrebbe rappresentato il sistema delle autonomie (le regioni, ma, più in generale, il sistema delle autonomie).
Fin dalla scorsa legislatura, noi ci siamo impegnati in vista di una graduale trasformazione del nostro sistema costituzionale nella direzione del federalismo - purché fosse, come abbiamo sempre affermato, un federalismo temperato, equilibrato e solidale -; è giusto, dunque, discutere della trasformazione del Parlamento a bicameralismo paritario e perfetto in un Parlamento che si componga di una Camera dei deputati e di un Senato federale della Repubblica.
Poiché tale è il contenuto della previsione di cui all'articolo 1 del provvedimento - articolo che ci accingiamo a votare -, dal punto di vista della sua definizione giuridico-costituzionale, da parte nostra non vi sarebbe alcuna obiezione. Quindi, in sé considerata, la definizione è da noi condivisa: «Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato federale della Repubblica». Nel nuovo sistema, infatti, la prima, sarà la Camera politica; il secondo, dovrebbe essere la Camera di rappresentanza del sistema federale e del sistema delle autonomie.
Tuttavia, come già molti colleghi hanno chiarito e seguiteranno a chiarire, noi siamo in radicale disaccordo con il modo in cui, negli articoli successivi, viene delineato il Senato federale della Repubblica. Riteniamo sia, per così dire, federale di nome ma non di fatto; soprattutto, poi, siamo in radicale disaccordo con quanto viene prospettato in materia di procedimento legislativo.
Ovviamente, l'attuale articolo 70 della Costituzione, un articolo assolutamente sintetico e, per così dire, icastico, dispone che la funzione legislativa sia esercitata collettivamente dalle due Camere. Questa è l'essenza del bicameralismo perfetto e assolutamente paritario. Il nuovo articolo 70 dovrà invece, in modo assai più articolato e complesso, articolare il procedimento legislativo nel bicameralismo differenziato.
Non solo il Senato federale che voi proponete non ha nulla di effettivamente federale, ma il procedimento legislativo che la maggioranza ed il Governo ci prospettano rappresenta un possibile totale svuotamento dei poteri del Parlamento. È questo il motivo per cui, sia pure condividendo la definizione specifica contenuta nell'articolo 1 del disegno di legge in questione, non condividendo ciò che viene prospettato negli articoli successivi, noi annunciamo un voto di astensione.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.
GIANCLAUDIO BRESSA. Presidente, questo è il primo articolo che votiamo ed è in qualche modo un voto emblematico. L'articolo 1 della vostra riforma dice una cosa di una razionalità assoluta: il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato federale della Repubblica. Tuttavia, la vostra riforma è talmente pasticciata ed incongrua che è perfino impossibile votare un'affermazione costituzionalmente così semplice e diretta. Ciò che voi avete costruito tutto è tranne che un Senato federale.
Lo abbiamo sostenuto e continuiamo a sostenerlo: vogliamo cambiare. Noi siamo riformatori autentici, il Titolo V della Costituzione ha bisogno di modifiche concretamente attuabili. La riforma più importante che il Titolo V porta con sé e che nella passata legislatura non è stata fatta proprio a causa delle condizioni particolari che noi tutti conosciamo e che per brevità non richiamerò, è la necessità di istituire una Camera autenticamente federale che rappresenti i territori.
La vostra incapacità politica, sicuramente non culturale o tecnico-scientifica, di trovare un accordo su questo punto vi ha fatto scrivere il testo di una riforma costruendo un Senato che tutto è meno che una Camera realmente federale. Per tale motivo, noi ci troviamo nella condizione di non poter votare neanche le cose più semplici, più naturali e più logiche.
Questo non sarà che il primo di una serie di voti che potremmo definire controversi, perché la nostra volontà riformatrice non trova sul vostro testo alcuna possibilità di riscontro positivo; pertanto, il nostro sarà un voto di astensione.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole De Franciscis. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO DE FRANCISCIS. Signor Presidente, sono francamente stupefatto perché gli interventi dei colleghi dei Democratici di sinistra e gli autorevoli interventi dei colleghi Boato e Bressa sottolineano, con le parole, l'assoluta inappropriatezza della riforma che abbiamo all'ordine del giorno, senza però lasciare agli atti della discussione che si introduce in quest'aula per la prima volta la parola «federale» in una Repubblica unita ed unitaria. I colleghi che mi hanno preceduto hanno dichiarato la propria astensione. Davanti ad un voto di astensione, che di solito in questa nobile Assemblea viene utilizzato quando a me viene concesso un aumento agli stipendi dei postali e a voi viene concesso un aumento di stipendio ai marittimi, appare subito che il problema è di natura politica. Qui si rinuncia a marcare con un voto negativo, a dispetto degli autorevoli interventi che dai banchi dell'opposizione e anche dai banchi della maggioranza sono stati svolti in questi tre giorni di discussione generale, l'articolo 1, che inventa un Senato federale, che nel costituzionalismo internazionale significa riconoscere l'insieme di diverse sovranità che rinunciano a parte della loro sovranità per stare insieme.
L'Italia diventa una Repubblica federale con il voto di astensione dell'opposizione, che ha lasciato a verbale roboanti e commoventi interventi che hanno richiamato la storia della nostra Costituzione e la storia unitaria del nostro paese, che è così simile in qualche modo a quella di quest'aula post-unitaria. Nello stesso tempo, davanti a questo voto, sento in questo momento che il progressismo è astenersi e l'antico conformismo o, probabilmente, una qualche forma di conservatorismo sarà dire, come dirò, che non va bene; per tali motivi, esprimerò un voto contrario (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. Rivolgo un saluto ai rappresentanti del Centro semi-residenziale per disabili di San Vito dei Normanni, in provincia di Brindisi, presenti in tribuna per seguire i nostri lavori (Applausi).
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 1.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 508
Votanti 326
Astenuti 182
Maggioranza 164
Hanno votato sì 299
Hanno votato no 27).
Prendo atto che l'onorevole Vertone si è erroneamente astenuto mentre avrebbe voluto esprimere un voto contrario.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
La seduta termina alle 12.
Allegato A
DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE: S. 2544 - MODIFICAZIONI DI ARTICOLI DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE (APPROVATO, IN PRIMA DELIBERAZIONE, DAL SENATO DELLA REPUBBLICA) (4862) ED ABBINATE PROPOSTE DI LEGGE COSTITUZIONALI ZELLER ED ALTRI; BIELLI; SPINI E ANGIONI; BUTTIGLIONE ED ALTRI; CONTENTO; COLA; PISAPIA; SELVA; SELVA; SELVA; BIANCHI CLERICI; PERETTI; VOLONTÈ; PISAPIA; LUSETTI ED ALTRI; ZACCHEO; MANTINI ED ALTRI; SODA; OLIVIERI E KESSLER; COSTA; SERENA; PISICCHIO ED ALTRI; BOLOGNESI ED ALTRI; PAROLI; BUONTEMPO; ZELLER ED ALTRI; COLLÈ; VITALI ED ALTRI; MAURANDI ED ALTRI; OLIVIERI; BOATO; STUCCHI; CENTO; MONACO; PACINI; CONSIGLIO REGIONALE DELLA PUGLIA; CONSIGLIO REGIONALE DELLA PUGLIA; CHIAROMONTE ED ALTRI; CABRAS ED ALTRI; MANTINI; LA MALFA; BRIGUGLIO ED ALTRI; FRANCESCHINI; PISAPIA; COSTA; PERROTTA ED ALTRI; FIORI (72-113-260-376-468-582-721-874-875-877-966-1162-1218-1287-1403-1415-1608-1617-1725-1805-1964-2027-2116-2123-2168-2320-2413-2568-2909-2994-3058-3489-3523-3531-3541-3572-3573-3584-3639-3684-3707-3885-4023-4393-4451-4805-5044)
(A.C. 4862 ed abb. - Sezione 1)
QUESTIONI PREGIUDIZIALI
Capo I
MODIFICHE AL TITOLO I DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE
La Camera,
premesso che:
i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità elaborati dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, sin dalla sentenza n. 1146 del 1988, fanno parte dei principi supremi dell'ordinamento, non disponibili neanche per le revisioni della Costituzione e per le altre leggi costituzionali, approvate ai sensi dell'articolo 138 della Costituzione;
il terzo comma dell'articolo 60 della Costituzione, quale risulterebbe per effetto dell'approvazione dell'articolo 6 del disegno di legge costituzonale in esame, prevedendo la cosiddetta «contestualità affievolita» tra elezioni dei senatori della Regione e del relativo Coniglio regionale, costringerebbe il corpo elettorale a votare per un Consiglio regionale il cui mandato si limiterebbe a completare quello del Consiglio precedente per la sola esigenza dei senatori in carica di non vedere rinnovato anticipatamente il loro mandato; ne conseguirebbe pertanto un'irragionevole compressione del principio di sovranità popolare solennemente affermato dall'articolo 1 della Costituzione e indubbiamente ricompreso nella categoria dei principi supremi;
il secondo comma dell'articolo 70, come verrebbe modificato dall'approvazione dell'articolo 13 del disegno di legge costituzionale in esame, prevederebbe che il Senato federale possa decidere in proprio su alcune categorie di leggi, tra cui quelle di principio nelle materie concorrenti e, ancor più, che con la propria inazione possa impedire qualsiasi esame delle medesime alla Camera dei deputati, l'unica Assemblea che il corpo elettorale eleggerebbe in un'unica tornata nazionale al fine di costituire un rapporto fiduciario col Governo; pertanto anche in tal caso si verificherebbe un'indebita compressione della sovranità popolare con un'irragionevole contraddizione interna rispetto al riconoscimento alla sola Camera dei deputati del rapporto fiduciario col Governo;
l'articolo 94 della Costituzione, come verrebbe modificato dall'articolo 28 del disegno di legge costituzionale in esame, nel legittimo e condivisibile intento di rafforzare la posizione del Governo, fonde in modo abnorme tre istituti (la corsia preferenziale, la questione di fiducia e lo scioglimento) tra loro strutturalmente distinti e configura pertanto una lesione del principio di separazione dei poteri ponendo il potere legislativo alla mercé dell'esecutivo; per di più, in modo irragionevole, disciplina in modo diverso due fattispecie del tutto analoghe, consentendo, in caso di rigetto della fiducia, in combinato con l'articolo 88, la possibilità di una sostituzione del Premier a maggioranza invariata, mentre in caso di approvazione della mozione di sfiducia prevede soltanto lo scioglimento automatico;
il quarto comma dell'articolo 117 della Costituzione, come verrebbe introdotto dall'articolo 34 del disegno di legge costituzonale in esame, definirebbe irragionevolmente come «esclusive» alcune competenze regionali, determinando con ciò una gravissima difficoltà interpretativa: nel caso della cosiddetta «polizia locale», con la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza; nel caso dell'organizzazione scolastica, con la competenze esclusive dello Stato in materia di norme generali sull'istruzione, nonché di livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritti, e coi principi fondamentali della legislazione concorrente sull'istruzione; infine, nel caso dell'assistenza e dell'organizzazione sanitaria, con le competenze esclusive statali sui livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritti e con le norme generali sulla tutela della salute che sarebbero introdotte dal medesimo articolo. Appare palesemente irragionevole che sulla medesima materia insistano competenze plurime definite tutte come «esclusive», termine che preclude di per sé qualsiasi sovrapposizione,
delibera
di non procedere nell'esame del disegno di legge.
n. 1. Violante, Castagnetti, Boato, Giordano,Cusumano, Sgobio, Intini, Zanella, Leoni, Loiero, Bressa, Mascia, Amici.
La Camera,
premesso che:
la giurisprudenza della Corte costituzionale ha più volte affermato (in particolare nella sentenza n. 1146 del 1988 e, da ultimo, nella sentenza n. 2 del 2004) che le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, pur approvate secondo la procedura di cui all'articolo 138, che consente la revisione del testo della Costituzione e l'adozione di altre leggi aventi rango costituzionale, non
possono contenere norme che contrastino con i principi supremi dell'ordinamento costituzionale;
la nozione di principi supremi traduce l'idea del nucleo essenziale e immodificabile della Costituzione italiana, per incidere sul quale non è sufficiente il ricorso al mero potere di revisione costituzionale, il quale è pur sempre un potere costituito, tenuto quindi ad operare nell'alveo della Costituzione;
il sistema di governo delineato nel disegno di legge costituzionale in esame, pur animato dal condivisibile intento di stabilizzare il sistema costituzionale italiano e di porre termine alla lunga transizione apertasi con la riforma del sistema elettorale, dà luogo ad una concentrazione di poteri nelle mani della persona del Primo ministro che non ha pari negli altri ordinamenti democratici, soprattutto in Europa, e che correttamente è stata definita di «premierato assoluto»;
a tale concentrazione senza precedenti di poteri nel Premier corrisponde una drastica riduzione dei poteri del Presidente della Repubblica, incrinando ulteriormente la valenza garantistica del sistema costituzionale, contribuendo ad accentuare lo scenario di squilibrio evocato;
la forma di governo che ne consegue lede il principio supremo della separazione dei poteri e mette in crisi lo stesso principio della sovranità popolare;
ne risulta una marginalizzazione della Camera dei deputati, la quale è ridotta al rango di organo di mera ratifica delle decisioni governative, soprattutto in ragione della assurda disposizione contenuta nell'articolo 94 della Costituzione, come modificato dall'articolo 28 del disegno di legge costituzionale in esame, che combina il voto bloccato e conforme sulle proposte legislative formulate o accettate dal Governo con la questione di fiducia e con l'eventuale conseguente scioglimento anticipato, attentando gravemente alla libertà di voto dei parlamentari, consustanziale al principio della democrazia rappresentativa;
il procedimento di formazione delle leggi è disciplinato in modo da poter produrre una paralisi della decisione legislativa per tutti i casi in cui sia previsto l'assenso del Senato alle leggi votate alla Camera e per quelli in cui la posizione del Senato prevale su quella della Camera, con lo svuotamento dei poteri di questo ramo del Parlamento e con la conseguente lesione del principio supremo della democrazia rappresentativa e di quello dell'equilibrio fra i poteri (articoli 1 e 139 della Costituzione);
la cosiddetta «devoluzione» che viene realizzata mediante il nuovo testo dell'articolo 117, quarto comma, della Costituzone, come modificato dall'articolo 34 del disegno di legge costituzionale in esame, traducendosi nel conferimento alle Regioni di potestà legislative espressamente qualificate come esclusive in materia di organizzazione scolastica, organizzazione e assistenza sanitaria e polizia locale, in un quadro in cui sono del tutto ignorati i principi di perequazione finanziaria di cui all'articolo 119, apre la via alla frammentazione della cittadinanza in senso sostanziale, che si traduce in un'intollerabile diseguaglianza (articolo 3 della Costituzione) nel godimento dei diritti fondamentali garantiti nella I Parte della Costituzione, fra i cittadini italiani residenti nelle diverse regioni: un risultato che contrasta con il principio supremo dell'unità ed indivisibilità della Repubblica (articolo 5 della Costituzione),
delibera
di non procedere nell'esame del disegno di legge.
n. 2. Castagnetti, Violante, Boato, Giordano, Intini, Sgobio, Cusumano, Zanella, Loiero, Bressa, Leoni, Amici, Mascia.
(A.C. 4862 ed abb. - Sezione 2)
ARTICOLO 1 DEL DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO
Capo I
MODIFICHE AL TITOLO I DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE
Art. 1.
1. All'articolo 55 della Costituzione, il primo comma è sostituito dal seguente:
«Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato federale della Repubblica».
PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 1 DEL DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE
Capo I
MODIFICHE AL TITOLO I DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE
ART. 1.
(Senato federale della Repubblica).
Sopprimerlo.
1. 3. Mascia, Russo Spena, Maura Cossutta, Sgobio.
Sostituirlo con il seguente:
Art. 1. - L'articolo 55 della Costituzione è sostituito dal seguente:
«Art. 55. Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato delle Regioni.
Sono eleggibili a deputati e senatori tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età.
Il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere nei soli casi stabiliti dalla Costituzione».
Conseguentemente:
all'articolo 2, comma 1, capoverso Art. 56, sopprimere il terzo comma;
all'articolo 4, comma 1, capoverso Art. 58 sopprimere le parole: hanno compiuto i venticinque anni di età e.
1. 1. Mascia, Giordano.
Al comma 1, capoverso, sostituire le parole: Senato federale della Repubblica con le seguenti: Senato delle Autonomie.
Conseguentemente, ovunque ricorrano, sostituire le parole: Senato federale della Repubblica con le seguenti: Senato delle Autonomie.
1. 70. Landolfi, Armani, Malgieri.
Al comma 1, capoverso, sostituire le parole: Senato federale della Repubblica con le seguenti: Senato delle Regioni.
Conseguentemente, ovunque ricorrano, sostituire le parole: Senato federale della Repubblica con le seguenti: Senato delle Regioni.
1. 2. Mascia, Russo Spena.
RESOCONTO
SOMMARIO E STENOGRAFICO
______________ ______________
511.
Seduta di MARTedì 21 SETTEMBRE 2004
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PIER FERDINANDO CASINI
indi
DEI VICEPRESIDENTI
FABIO MUSSI E ALFREDO BIONDI
La seduta comincia alle 11,05.
Seguito della discussione del disegno di legge costituzionale: S. 2544 - Modificazione di articoli della parte II della Costituzione (Approvato, in prima deliberazione, dal Senato) (4862) e delle abbinate proposte di legge costituzionale: Zeller ed altri; Bielli; Spini e Angioni; Buttiglione ed altri; Contento; Cola; Pisapia; Selva; Selva; Selva; Bianchi Clerici; Peretti; Volontè; Pisapia; Lusetti ed altri; Zaccheo; Mantini ed altri; Soda; Olivieri e Kessler; Costa; Serena; Pisicchio ed altri; Bolognesi ed altri; Paroli; Buontempo; Zeller ed altri; Collè; Vitali ed altri; Maurandi ed altri; Olivieri; Boato; Stucchi; Cento; Monaco; Pacini; Consiglio regionale della Puglia; Consiglio regionale della Puglia; Chiaromonte ed altri; Cabras ed altri; Mantini; La Malfa; Briguglio ed altri; Franceschini; Pisapia; Costa; Perrotta ed altri; Fiori (72-113-260-376-468-582-721-874-875-877-966-1162-1218-1287-1403-1415-1608-1617-1725-1805-1964-2027-2116-2123-2168-2320-2413-2568-2909-2994-3058-3489-3523-3531-3541-3572-3573-3584-3639-3684-3707-3885-4023-4393-4451-4805-5044) (ore 11,11).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge costituzionale, già approvato in prima deliberazione dal Senato: Modificazione di articoli della parte II della Costituzione, e delle abbinate proposte di legge costituzionale di iniziativa dei deputati Zeller ed altri; Bielli; Spini e Angioni;
Buttiglione ed altri; Contento; Cola; Pisapia; Selva; Selva; Selva; Bianchi Clerici; Peretti; Volontè; Pisapia; Lusetti ed altri; Zaccheo; Mantini ed altri; Soda; Olivieri e Kessler; Costa; Serena; Pisicchio ed altri; Bolognesi ed altri; Paroli; Buontempo; Zeller ed altri; Collè; Vitali ed altri; Maurandi ed altri; Olivieri; Boato; Stucchi; Cento; Monaco; Pacini; del Consiglio regionale della Puglia; del Consiglio regionale della Puglia; e dei deputati Chiaromonte ed altri; Cabras ed altri; Mantini; La Malfa; Briguglio ed altri; Franceschini; Pisapia; Costa; Perrotta ed altri; Fiori.
Ricordo che nella seduta del 16 settembre sono state respinte le questioni pregiudiziali di costituzionalità Violante ed altri n. 1 e Castagnetti ed altri n. 2 e che è stato approvato l'articolo 1.
Avverto che, prima dell'inizio della seduta, sono stati ritirati gli emendamenti Zeller 34.71 e Saponara 34.121.
(Esame dell'articolo 32 - A.C. 4862 ed abbinate).
PRESIDENTE. Come convenuto nella riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo del 15 settembre scorso, passiamo all'esame dell'articolo 32 e delle proposte emendative ad esso presentate (vedi l'allegato A - A.C. 4862 ed abbinate sezione 1).
FRANCESCO GIORDANO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FRANCESCO GIORDANO. Signor Presidente, prima di proseguire nell'iter parlamentare di questo provvedimento, vorremmo sottoporre al Governo questioni precise per poter continuare a ragionare su questa materia. Tuttavia, prima di poterlo fare - ciò è funzionale al ragionamento che, di qui a breve, svolgerò - vogliamo ribadire in questa sede la contrarietà radicale a questo progetto di riforma istituzionale.
Signori del Governo, voi riuscite a produrre una stretta autoritaria a vantaggio di poteri concentrati nella figura del Presidente del Consiglio e negli esecutivi. State alimentando un'eutanasia del Parlamento italiano e, contemporaneamente, sfasciate l'unità politica, sociale ed istituzionale del paese. Piccole modifiche, sedicenti cambiamenti proposti dal ministro non possono modificare il giudizio generale negativo su questo inquietante testo. Sono in discussione principi fondanti della nostra Carta costituzionale, ciò che garantisce l'unità territoriale ed istituzionale del paese, la centralità del Parlamento, l'uguaglianza sostanziale di tutti i cittadini.
Questa uguaglianza non è garantita dalla sciagurata ipotesi di devolution. In fondo, voi volete un progetto istituzionale che renda impermeabili i luoghi della decisione da ogni condizionamento sociale. Codificate l'autoreferenzialità del potere politico, prosciugate la trama democratica che ha accompagnato la storia della Repubblica, colpite le forme della rappresentanza, fino al punto da far diventare simulacri le assemblee elettive e pura finzione l'esercizio democratico e legislativo dei parlamentari.
È un progetto, peraltro, totalmente inefficace e confuso, con il quale rischiate la paralisi e la permanente conflittualità fra organi dello Stato; alimentate disuguaglianze territoriali e sociali in ordine a materie e tutele fondamentali per i cittadini. C'è una contraddizione singolare ed inquietante fra il localismo rozzo ed avido, peraltro solo delle regioni, e l'idoleggiamento del premier, presunto salvatore della patria.
Vi abbiamo detto più volte: fermatevi! Ricostruiamo una modalità di discussione che possa garantire una serena valutazione dell'intero Parlamento.
Sono riforme costituzionali e pertanto andrebbe aperto su di esse un confronto vero. Noi, signor Presidente della Camera, avremmo cominciato questa discussione dal «gradino» più basso: la ricostruzione di una partecipazione democratica di base, ovvero una legge sulla rappresentanza che permetta a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori di decidere in ordine a scelte riguardanti la propria vita. La democrazia non può essere sospesa sulla soglia di una fabbrica o sulla soglia di un ufficio! Siete andati avanti imperterriti, non inseguendo un'idea di nuova organizzazione dello Stato, ma cedendo a ricatti, veti, e pasticci.
Avete camminato a tentoni, mutando ripetutamente il testo ed inseguendo le diatribe della vostra maggioranza! Oggi vi chiediamo cose precise per poter continuare l'esame parlamentare di questo testo: non vorremmo che anche in questo dibattito, se le nostre richieste non fossero accolte, voi vi mostraste come semplici precursori dell'idea che avete del Parlamento.
I colleghi dell'opposizione si soffermeranno su alcune questioni dirimenti ed importanti e per questo chiederanno di poter conoscere l'orientamento del Governo su tali questioni.
Noi di tali questioni vorremmo rammentarne semplicemente una: è la precondizione per poter discutere in questo Parlamento, pur non condividendo nulla di ciò che state facendo! La richiesta è quella di sapere quanto costa questo provvedimento: non ci sembra, signor Presidente della Camera, una richiesta peregrina o singolare.
Il ministro dell'economia Siniscalco ha detto che si appresta a riferirci circa i costi, magari dopo il 30 settembre. Circolano voci allarmanti sui costi reali derivanti dall'approvazione di questo vostro testo. Volete dirci quali sono i costi derivanti dall'approvazione del testo per poter continuare a discutere? Quando si annuncia una manovra finanziaria da 35 mila milioni di euro, è certo che questa continuerà a distruggere le condizioni materiali di vita di tanti lavoratori.
Forse allora ha un senso chiedere quanto costa questa vostra riforma: quando non si arriva alla fine del mese per un lavoratore o per un pensionato, perché stipendi e pensioni sono troppo bassi, diteci allora se ha un senso discutere dei costi di questa vostra riforma.
Quanto costa lo sfascio istituzionale e quello sociale del Paese? Quanto costa il ricatto della Lega Nord Federazione Padana? È troppo - ed è l'ultima domanda che le rivolgo, signor Presidente della Camera - chiedere che noi parlamentari possiamo svolgere il dovere per il quale siamo stati chiamati, anche in virtù di una lineare volontà di rappresentanza dei settori popolari?
UGO PAROLO. Sì!
FRANCESCO GIORDANO. È troppo chiedere di metterci in condizione di poter continuare a comprendere cosa volete realmente da questo testo e quanto costa questo testo? Noi continueremo con grande determinazione a contrastarlo!
Vi chiediamo tuttavia sia una sospensione dei lavori sia una discussione su queste materie (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista, dei Democratici di sinistra-Ulivo, della Margherita, DL-Ulivo, Misto-Verdi-Ulivo e Misto-Comunisti italiani)!
PIERO FASSINO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PIERO FASSINO. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, vorremmo chiedervi, a questo punto del dibattito, di compiere un atto di responsabilità.
Non vedo il ministro Calderoli, non so se è in aula... Signor Presidente, mi appello alla sua sensibilità, non al regolamento, poiché stiamo ponendo una questione rilevante per il dibattito e se il ministro fosse in questa sede ad ascoltarci non sarebbe male, pur avendo noi la massima considerazione del sottosegretario Brancher...
PRESIDENTE. Sicuramente il ministro è qui. Onorevole Brancher, lo dica lei al ministro, per cortesia...
PIERO FASSINO. In ogni caso, vorremmo a questo punto da parte del Governo un atto di responsabilità e di chiarezza. Il dibattito, per come è maturato in questi mesi e si è evoluto nelle ultime settimane, presenta alcune caratteristiche.
In primo luogo, stiamo discutendo di un testo di riforma costituzionale di cui non sono chiari l'esatto contenuto e le proposte di riforma che ci sottoponete. Vorrei farvi notare che ci avete presentato, nell'arco di questi mesi, ben cinque versioni di riforma dell'assetto costituzionale: il testo di Lorenzago; il testo portato in Commissione al Senato; il testo approvato dall'Assemblea del Senato, diverso da quello della Commissione; il testo licenziato dalla Commissione della Camera, che ha modificato quello del Senato; le ulteriori modifiche annunciate in aula alla Camera. Dai giornali leggiamo che sono pronti nuovi emendamenti.
DONATO BRUNO, Relatore. Dai giornali...? Stanno qua gli emendamenti!
PIERO FASSINO. La Conferenza Stato-regioni sta chiedendo ulteriori modifiche. Ebbene, vorremmo sapere qual è il quadro di revisione costituzionale che ci presentate su cui il Parlamento è messo nelle condizioni di poter effettivamente discutere e decidere. Stiamo cambiando 43 articoli della Costituzione su 139: non stiamo correggendo qualche aspetto, ma rivedendo la Costituzione per un terzo! È troppo chiedere un testo dal quale si capisca effettivamente il disegno di riforma costituzionale che ci presentate? Dunque, signor ministro, chiediamo un testo definitivo. Non possiamo ogni giorno trovarci in presenza dell'annuncio di nuove modifiche.
In secondo luogo, lei sa bene, come lo sappiamo tutti noi, che la Conferenza Stato-regioni all'unanimità - dunque, anche con i presidenti della vostra parte politica - ha chiesto un confronto e ha chiesto di sospendere l'iter della legge finché tale confronto non abbia prodotto un esito. Volete dirci come intendete rispondere a tale sollecitazione? È troppo chiedervi di prendere in considerazione la richiesta di sospendere, per le ore ed i giorni necessari, l'esame del provvedimento, andare al confronto, e poi presentarci un testo che sia espressione di tale confronto?
In terzo luogo, il ministro Siniscalco ha chiesto ad alcuni istituti che si occupano di valutazione dei costi di avere un quadro preciso di quanto costi la riforma federalista dello Stato e si è impegnato a presentare tale valutazione entro il 30 settembre. Siamo al 21 settembre, non a cinque, sei, sette mesi da quella data. È così impossibile pensare che il Parlamento esamini il provvedimento con un quadro di costi sufficientemente chiaro e definito? È così insensato chiedervi di attendere nove giorni e di riprendere l'esame sulla base di una valutazione di costi che consenta a tutti, maggioranza ed opposizione, di avere maggiori elementi di riflessione?
Infine, quali sono i tempi che volete darvi per l'approvazione del processo di riforma? Leggiamo - e non nelle indiscrezioni di qualche commentatore ma nelle dichiarazioni di esponenti della maggioranza - che l'obiettivo politico sarebbe quello di avere tempi che portino l'eventuale referendum su tale materia a dopo le elezioni politiche del 2006.
Ciò è del tutto legittimo, ma se è così ci spieghiate per quale ragione bisogna entro tre, quattro giorni chiudere l'esame di questo disegno di legge costituzionale, quando vi date dei tempi che consentirebbero abbondantemente di avere invece una riflessione, un'elaborazione e un confronto più lunghi e più congrui? Chiediamo, pertanto, un atto di responsabilità e di chiarezza. Chiediamo al Governo di sapere esattamente, su tali questioni, qual è il contesto e lo scenario all'interno del quale dobbiamo esaminare questo provvedimento. Quindi: qual è il testo? Perché non sospendere l'iter del provvedimento in attesa dell'esito del confronto con la Conferenza Stato-regioni? Perché non attendere l'esito della valutazione dei costi? Quali sono i tempi che complessivamente vi date per l'approvazione di questo testo di riforma, in prima e in seconda lettura, sia alla Camera, sia al Senato (dato che ciò influisce sui tempi della nostra discussione)?
Vorrei infine segnalarvi che è inutile dichiararsi continuamente, come fanno anche molti esponenti della maggioranza di Governo, assolutamente sensibili alle parole pronunciate dal Capo dello Stato, quando poi, nei comportamenti concreti, si contraddice quella preoccupazione e quella sollecitazione. Abbiamo un dovere di serietà e di rispetto nei confronti del Presidente della Repubblica. Pertanto, di fronte ad una sollecitazione, autorevole ed allarmata, a non fare strappi o lacerazioni, bensì a mettere in campo un processo di riforma che sia effettivamente garante dell'unità nazionale, nel rispetto della Costituzione, abbiamo tutti, in primo luogo chi governa questo paese, il dovere di una coerenza e di una responsabilità (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani, Misto-socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-L'Ulivo).
FRANCESCO RUTELLI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FRANCESCO RUTELLI. Signor Presidente, c'è un motivo - lo dico al ministro, al sottosegretario e ai colleghi deputati, sia dell'opposizione sia della maggioranza - per il quale noi altri interveniamo questa mattina dai banchi dell'opposizione per invitare ad una riflessione, ed è un motivo serio. Non è un motivo di battaglia parlamentare, dato che questa avremo modo di farla e nessuno di noi si tirerà indietro di fronte alle proprie convinzioni e di fronte al dovere di cercare di far maturare attorno a tali convinzioni una risposta condivisa. Noi siamo chiamati oggi a riflettere con senso di responsabilità su un cambiamento costituzionale vasto e profondo. Signor Presidente, ci troviamo di fronte ad una vera e propria riscrittura della Costituzione: oltre 40 articoli della Carta fondamentale vengono riformulati alla radice, dato che si sottopone ad una drastica revisione la riforma del Titolo V entrata in vigore tre anni fa.
Temo che quando gli atti di questo dibattito saranno riletti, tra dieci o vent'anni, non otterranno la stessa attenzione e lo stesso rispetto che ottiene oggi la lettura degli atti dell'Assemblea costituente. Ci troviamo di fronte ad un processo di riesame in profondità della Costituzione. Pertanto l'Assemblea, il nostro Parlamento, oggi la Camera dei deputati, credo che debbano avere la piena consapevolezza dell'importanza di ciò che avviene. Le chiedo, signor Presidente, se sia possibile affrontare un processo di riforma di questa importanza come se fossimo in una fabbrica in cui non esiste la progettazione del processo industriale, ovvero in cui ogni reparto separatamente produce un pezzo, ma non esiste un luogo in cui si valuta il prodotto finito, laddove in questo caso il prodotto finito è la Costituzione della Repubblica.
Siamo alla sesta formulazione - lo ricordava adesso il collega Fassino - di una proposta di riforma costituzionale, di devolution (come la si è definita). Qualcuno potrà dire che si tratta della dimostrazione che il Parlamento lavora e si impegna.
Sappiamo bene che non è così, come sappiamo che l'incessante rielaborazione è il frutto di un estenuante e confuso processo di compromessi politici nella maggioranza di Governo. Se si approva in Parlamento una norma pasticciata, vi è sempre modo di modificarla, ma una riforma di sistema di tale portata non la si può approvare se si è consapevoli in coscienza che non potrà essere soddisfacente, perché il suo scopo fondamentale appare quello di conseguire un compromesso tra i vari partiti politici.
Signor Presidente, concordemente chiediamo di discutere tali materie a ragion veduta. Non credo che gli italiani potranno perdonare un Parlamento che lavora in un modo tanto incoerente su materie così importanti. Da parte di tutti i presidenti delle regioni governate dal centrodestra è stata chiesta al Governo una riunione di una rappresentanza decisiva della nostra Repubblica quale la Conferenza Stato-regioni e autonomie locali. Il ministro Calderoli annuncia che si sospenderà
l'esame degli articoli 118 e 120, nonché di altre parti oggetto della riforma, in attesa di questo incontro.
Che senso ha, allora, proseguire come se tutto fosse chiaro e coerente, quando palesemente non lo è? Che senso ha proseguire nell'esame, pezzo per pezzo, di tale riforma, in presenza di decine di emendamenti provenienti dalla maggioranza, parte dei quali sembrano candidati all'approvazione e parte alla bocciatura? Perché, al termine del dibattito sulle linee generali di un provvedimento così importante, né il relatore né il rappresentante del Governo hanno replicato? Sono evidenti i motivi: perché il processo legislativo è apertissimo e perché nel Governo si sta facendo strada, come si legge sulla stampa, o almeno in parte della maggioranza, l'intenzione di approvare solo una parte di tale riforma e di accantonarne un'altra.
Si attende - è stato chiesto dall'onorevole Castagnetti, nonché da altri colleghi nel corso del dibattito sulle linee generali del provvedimento - che per il 30 settembre (abbiamo finora avanzato vanamente la richiesta di non procedere finché questi dati non saranno di dominio pubblico) vengano analizzati i costi effettivi della riforma (lo chiede il paese e non solo i commentatori autorevoli di ogni parte dello schieramento politico e dell'opinione pubblica), una volta entrata a regime, per la Repubblica italiana e, dunque, per il popolo italiano.
Signor Presidente, tali argomenti ci spingono a chiedere al Governo una pausa per riflettere e per poi decidere a ragion veduta. Permettetemi questa espressione, occorre un'operazione-verità! Se il Governo ha un progetto chiaro e compiuto, è suo interesse presentarlo nella sua completezza e chiarezza, e così vale per la maggioranza di Governo.
Credo che, per raggiungere tale verità, si dovrà riflettere compiutamente, organicamente e criticamente sulla riforma del Titolo V della Costituzione varata dal centrosinistra tre anni e mezzo fa. Penso sia stato certamente opinabile e discutibile votare con una stretta maggioranza quella riforma, ma vorrei ricordare ai colleghi che essa fu scritta - non lo dimentichiamo - anche dai parlamentari del centrodestra e che la sua approvazione fu invocata dai presidenti delle regioni, dai sindaci e dai presidenti delle province di quello schieramento.
È una scelta che da parte nostra può essere difesa ma, allo stesso tempo, è importante evidenziare che siamo consapevoli che, se allora quella maggioranza assunse la responsabilità di non fermare una riforma in senso regionalista ed autonomista tanto attesa dal paese, oggi è necessaria una verifica obiettiva dei risultati di quella riforma. Non vogliamo fermarci nel processo riformatore, ma neppure procedere come schiacciasassi ignorando il dovere di rivedere alcune parti in modo organico, alla luce dell'esperienza di quella riforma, mentre si mette mano ad un disegno tanto più impegnativo.
Dunque, signor Presidente, abbiamo bisogno di ritrovare un filo possibilmente condiviso sulla Repubblica del futuro; infatti, gli effetti di ciò che da oggi in poi approveremo peseranno per anni. L'innovazione necessaria riguarda: l'equilibrio dell'ordinamento federale, regionale e delle autonomie; la risoluzione dei conflitti tra Stato e regioni; il connesso equilibrio e la funzionalità della forma di governo; il bilanciamento e l'efficacia dei poteri dal Presidente del Repubblica fino ai nostri comuni. Occorre ragionare!
Per questo, chiediamo all'Assemblea di accogliere una proposta che ci consenta di decidere in modo responsabile e chiaro (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista e Misto-Socialisti democratici italiani).
PRESIDENTE. Hanno chiesto di parlare anche alcuni colleghi del gruppo Misto, che invito a contenere i tempi dei rispettivi interventi.
Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Boselli. Ne ha facoltà.
ENRICO BOSELLI. Signor Presidente, come già richiamato dagli onorevoli Fassino e Rutelli, prima di passare all'esame delle proposte di riforma costituzionale, intendiamo sottoporre al Governo - qui rappresentato dal ministro per le riforme istituzionali - e alla maggioranza una serie di riflessioni.
Nel corso di questi mesi ci siamo divisi sul giudizio relativo a questa riforma, abbiamo discusso dell'importante richiamo del Capo dello Stato al fine di giungere ad una proposta condivisa, affinché la riforma della Costituzione non fosse il terreno di scontro tra maggioranza e opposizione, oggi o in un prossimo futuro.
Tuttavia, le osservazioni che questa mattina intendiamo rivolgere al Governo non riguardano il merito, ma alcune questioni preliminari.
In primo luogo, la necessità che, prima di proseguire nel dibattito, nella decisione, nell'approvazione delle proposte di riforma, il Parlamento sia messo in condizione di ascoltare le opinioni che la Conferenza Stato-regioni e autonomie locali ha in questi giorni anticipato. Sappiamo che, da parte delle regioni italiane, è stato espresso un giudizio preoccupato; la richiesta di un incontro urgente è stata rivolta all'unanimità da tutte le regioni, anche da quelle governate dal centrodestra. E, poiché le regioni e le autonomie locali sono i principali destinatari della riforma, in particolare di quella del Titolo V, riteniamo assolutamente indispensabile che questo chiarimento vi sia.
Tra l'altro, nel corso di questi mesi il Governo ha presentato ben cinque testi di riforma, uno diverso dall'altro o almeno uno con contenuti differenti dall'altro.
Pensiamo che oggi sia assolutamente legittimo chiedere al Governo, prima di iniziare il dibattito e procedere alle votazioni, di conoscere il testo conclusivo e di avere una cornice generale, in cui si possano iscrivere le diverse riforme del procedimento legislativo, del Titolo V della Costituzione e degli organi dello Stato.
Inoltre, un'ulteriore richiesta di chiarimento riguarda i costi del provvedimento. Tutti noi conosciamo le grandi preoccupazioni che studiosi, economisti, il mondo dell'impresa ed anche quello politico nutrono sui costi della riforma. Il ministro dell'economia ha assicurato al Parlamento che entro il 30 settembre fornirà una sua valutazione. Penso che sia del tutto evidente la necessità di attendere tale valutazione per poter operare una riforma che non pesi né sui cittadini né sul sistema produttivo.
Infine, arrivano voci ricorrenti, riprese dalla stampa in queste settimane, che riferiscono della volontà da parte del Governo e della maggioranza che lo sostiene di limitarsi all'approvazione della sola riforma del Titolo V, per rimandare successivamente, con una differente procedura, quella inerente al procedimento legislativo e alla forma di governo. A queste voci se ne sono aggiunte altre, secondo cui la maggioranza ed il Governo sarebbero orientati ad ottenere l'approvazione definitiva del provvedimento non in tempi brevi, in modo che un eventuale referendum - qualora la riforma non dovesse essere approvata con la maggioranza prevista dalla nostra Costituzione - possa svolgersi solo dopo le prossime elezioni politiche.
È evidente che tali intenzioni, se confermate, contrastano con la volontà di procedere a tappe forzate, senza aprire un confronto e senza rispondere alle osservazioni sollevate. Per queste ragioni, signor ministro e maggioranza di Governo, vi chiediamo, come hanno già fatto gli onorevoli Fassino e Rutelli, una pausa di riflessione. Non esiste alcuna ragione per trasformare questo confronto in uno scontro che avrebbe, come unico risultato, quello di danneggiare la capacità del Parlamento di avviare una riforma profonda delle nostre istituzioni.
ALFONSO PECORARO SCANIO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ALFONSO PECORARO SCANIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi ed esponenti del Governo, le richieste che stanno pervenendo dagli interventi in aula si ispirano ad un principio di buon senso, spesso difficile da applicare all'iter complesso percorso dalla vostra proposta di riforma. Il gruppo Misto-Verdi-L'Ulivo si trova particolarmente in imbarazzo rispetto alla discussione, in quanto i Verdi sono nati come partito federalista. La riforma in oggetto si definisce federalista senza che a tale affermazione corrispondano le norme contenute al suo interno. Si tratta, infatti, di una riforma sostanzialmente centralista, in quanto ricolloca al centro, in maniera anche brutale, alcune competenze e perché dà vita ad un centralismo regionale, mantenendo un carattere secessionista solo in materie quali la scuola e la sanità, sfasciando quindi settori essenziali per la vita dei cittadini. In realtà, tale pericolo esiste anche per l'ordine pubblico, ma in questo caso il rapporto tra Polizia di Stato e polizie municipali non è ancora definito e sarà determinato soltanto dall'effettivo andamento dei lavori. Siamo quindi davanti ad un paradosso, per cui la Lega ingoia una serie di centralizzazioni brutali, ma in cambio può rivendicare la spaccatura del paese sul fronte della scuola, della sanità e delle polizie locali.
I Verdi hanno sempre creduto al principio di sussidiarietà - tanto da essere espressamente previsto nello statuto redatto 18 anni fa, quando nacquero come forza politica - e al vero federalismo, non certo alla bandiera secessionista, sventolata per arrivare, invece, ad una riforma che disegna un assetto molto più centralista di quello precedente In ragione di ciò, ci troviamo in imbarazzo di fronte a questo impianto che non funziona - come in realtà non funzionano neanche gli altri - e a questo obbrobrio e vi chiediamo quantomeno di attendere le informazioni necessarie per effettuare i passaggi nella Conferenza Stato-regioni, per verificare i costi della riforma, con richieste di puro buon senso. A differenza di alcuni colleghi, non crediamo però ad una vostra resipiscenza, neppure dopo il passaggio nella Conferenza Stato-regioni o dopo un'analisi dei costi.
Quindi, non possiamo che chiedere di seguire almeno prassi di buon senso. Da parte nostra, anche a scanso di equivoci, vista la confusione che già si è creata nell'ambito dell'opposizione, preannunciamo il voto contrario su tutti gli articoli della riforma che proponete, senza dubbi e senza equivoci, in quanto riteniamo che il tempo che può esservi concesso per riflettere ulteriormente non potrà migliorare un obbrobrio di riforma. Dunque, l'esito sarà il referendum popolare, in quanto è improbabile che venga modificato questo mostro giuridico, costituito dalla dittatura del premier e dalla dittatura della maggioranza, da un pateracchio di sistema legislativo che creerà solo conflitti e, soprattutto, dal paradosso di far convivere norme che centralizzano nel modo più brutale le scelte e norme che in alcuni comparti essenziali riescono a spaccare il paese.
L'operazione nella quale siete riusciti è un mostro giuridico, e, per quanto ci riguarda, non saremo mai complici di un qualunque tentativo di portare avanti tale mostro giuridico, definito riforma ma che in realtà è un patto scellerato per mettere insieme le vostre contraddizioni e per fare propaganda elettorale, ma assolutamente inutile per il bene del nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Verdi-L'Ulivo e Misto-socialisti democratici italiani).
MAURA COSSUTTA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MAURA COSSUTTA. Signor ministro, tutta l'opposizione vi sta dicendo: «fermatevi!». Lo diciamo per senso di responsabilità nazionale e per la responsabilità politica di rappresentare il paese. Fermatevi, perché si tratta di un testo che non modificherà, bensì stravolgerà la nostra Costituzione, la Costituzione di tutti, la Carta ordinatrice del nostro sistema democratico e del nostro modello sociale.
Stravolgete la forma dello Stato e del Governo, rompete l'unità nazionale e l'universalità del sistema dei diritti. Il paese ha capito, e oggi non è solo l'opposizione in quest'aula a chiedervi di fermarvi, bensì la società intera: amministratori, intellettuali, giuristi, costituzionalisti, sindacati, cittadini. Oggi sul Corriere della sera Sartori denuncia: siete irresponsabili e pericolosi. Egli insiste, con ostinazione democratica, nel lanciare un allarme. Di fronte a ciò, andate avanti, contro ogni obiezione, senza rispondere e senza neppure un effettivo confronto istituzionale con le regioni e con gli enti locali, rinviando persino la questione dei costi, come si trattasse della copertura di una qualsiasi legge ordinaria; andate avanti verso un voto pericoloso e al buio.
Signor Presidente, ci troviamo di fronte ad un passaggio cruciale. Oggi, in quest'aula, signor ministro, l'opposizione si assume una responsabilità istituzionale altissima, una responsabilità storica di classe dirigente nazionale. Fermatevi, perché il paese vi giudicherà (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani e di Rifondazione comunista).
CARLA MAZZUCA POGGIOLINI. Chie do di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CARLA MAZZUCA POGGIOLINI. Signor Presidente, anche il Movimento dei repubblicani europei, che in questa sede ho l'onore di rappresentare, essendo «tornata a casa», vale dire il Partito repubblicano di Ugo La Malfa e di Giovanni Spadolini, nel quale ho militato per oltre vent'anni, chiede al Governo di fermarsi a riflettere.
Ci chiediamo se sia conciliabile con la forma repubblicana un Senato federale della Repubblica eletto contestualmente ai consigli regionali, che deve rappresentare il territorio regionale, i cui membri hanno l'obbligo di rispondere di fronte ai consigli regionali. Ci chiediamo se sia conciliabile con la forma repubblicana un primo ministro che ha poteri rafforzati ed eccessivi, ribaditi più volte nel vostro testo.
Ritengo che la risposta a queste domande sia negativa, ovvero che non sia possibile che tali norme siano conciliabili con la forma repubblicana, nel senso programmatico, sostanziale e attuativo che la Costituzione deve avere.
Penso, infatti, che queste norme costituiscano soltanto la risposta all'esigenza di affidare impropriamente alla Costituzione il ruolo di garante dei patti politici, non quel ruolo di carta delle regole del gioco che, invece, è l'unico conciliabile con la forma repubblicana. L'obiezione, quindi, è di fondo: non c'è forma repubblicana quando la Costituzione si carica di responsabilità politiche che devono rinsaldare i vincoli di maggioranza. Soprattutto non c'è forma repubblicana quando alcune forze politiche dell'attuale maggioranza di Governo reclamano il rafforzamento della rappresentatività regionale, anzi la devolution del potere politico, per portare acqua al mulino dell'indipendenza territoriale, della divisione, della cessazione dell'unità nazionale, dell'abolizione della parità di diritti. Da qui la nostra contrarietà e la nostra obiezione.
Pertanto, come tutti gli altri segretari dell'opposizione, noi chiediamo una sospensione, una sospensione che sia responsabile e fruttuosa. Chiediamo al Governo - così come hanno fatto l'onorevole Fassino, l'onorevole Rutelli ed altri - di individuare finalmente un testo base definitivo e definito nei suoi ambiti e non la sommatoria affastellata di sempre nuove differenziazioni, modifiche, emendamenti e soluzioni più o meno fantasiose. Chiediamo un testo che valuti le indicazioni delle regioni ed anche quelle del vostro ministro dell'economia, un testo che dia modo di procedere a modifiche coerenti, utili e non politiche - anzi partitiche -, modifiche condivise ed unitarie, esattamente così come ci chiede il Presidente della Repubblica, che noi stimiamo e onoriamo, con i fatti e non con le parole.
LUCA VOLONTÈ. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevoli colleghi dell'opposizione, noi siamo stati tra quelli più prudenti, rispettosi ed anche timorosi nei confronti del percorso delle riforme costituzionali. Lo siamo perché fermamente convinti che lo spirito unitario che animò i lavori costituenti debba essere ritrovato ogni qualvolta si affronti un tema centrale, quale è la legge fondamentale di una nazione.
Devo dirvi con grande sincerità che la richiesta di sospensione mi lascia stupefatto, visto che il calendario del mese di luglio e del mese di settembre è stato approvato all'unanimità e perché, con questa parte della riforma che oggi iniziamo ad esaminare e votare, noi rimediamo ai guasti che sono stati oggetto di ampia autocritica, anche da parte di chi tra voi approvò - senza confronto con l'opposizione di allora - la riforma del Titolo V, i guasti del centrosinistra...
FRANCESCO GIORDANO. Non è vero!
LUCA VOLONTÈ. Tra qualche minuto voteremo alcune riformulazioni condivise e non inventate dentro una qualche stanza fuori dal Parlamento e il lavoro del Comitato...
FRANCESCO GIORDANO. Ma quanto costa?
PRESIDENTE. Onorevole Giordano, si tratta della sua opinione...
LUCA VOLONTÈ. Il lavoro del Comitato sta a testimoniare proprio questo.
Ci si chiede di sospendere per molte ragioni, tra cui quella dei costi, ma i costi saranno ben chiari quando sarà approvata la riforma, a partire dalla riforma del Titolo V, come lei, onorevole Giordano, sa benissimo e come sanno i suoi colleghi. Lei e i suoi colleghi sapete anche che il testo è aperto al contributo di tutti, a partire dalle preoccupazioni degli istituti di ricerca contabile, della società civile, ma soprattutto - mi preme ripeterlo - della totalità del Parlamento.
Siamo certi che il primo costo che ha subito il nostro paese in questi ultimi anni - ed è già un costo definitivo - è rappresentato dai blocchi della vostra riforma presso la Corte costituzionale e questo è di tutta evidenza: basterebbe rivolgersi alla Corte o alla Conferenza Stato-regioni o al Governo per sapere quanto quella riforma è costata in termini di prezzi, ma anche di competenze legislative tra gli uni e gli altri, e quindi di efficienza nei confronti dei cittadini.
Onorevoli colleghi dell'opposizione, sul finire del mese di luglio avevamo apprezzato molte vostre aperture e disponibilità al confronto e continuiamo a confidare nel senso di responsabilità di tutti, anche - mi permetto di dirlo - nel vostro.
Purtroppo, però, dalle ultime 48 ore qualcosa è successo! C'è stato pubblicamente un diktat del vostro futuro leader Romano Prodi, che ha interrotto quella disponibilità; eppure, nonostante questo, positivamente, la responsabilità di molti di voi consente di continuare un lavoro proficuo all'interno del Comitato ristretto, lavoro che porterà anche oggi alla riformulazione e all'accettazione dello spirito di molti emendamenti e di molte preoccupazioni.
Non vorremmo che questo stop, intervenuto grazie al vostro leader - che si comporta (lo abbiamo già visto nella storia della Repubblica) come l'allora segretario confederale della CGIL Cofferati, ossia animato da un pregiudizio a prescindere dal merito delle cose che si stanno discutendo ed a prescindere dalla discussione e dai frutti che essa può dare al paese e alla riforma - porti molti di voi ad evitare di essere coerenti con ciò che avevate affermato pubblicamente nei mesi estivi, e cioè che molte riforme, divenute patrimonio dell'intera maggioranza, avrebbero potuto essere votate convintamente anche da voi.
Vi richiamiamo quindi ad un senso di responsabilità e di unità, come quello invocato dal Capo dello Stato, da molti di voi citato tre giorni fa e dimenticato, purtroppo, nelle ultime 48 ore.
Spero che questo senso di responsabilità, di equità e di apertura diventi fruttuoso per i nostri lavori, a partire dalla riforma del Titolo V che stiamo affrontando. Vi chiediamo cioè di lavorare insieme, comunemente, di affrontare la riforma costituzionale assumendosi ognuno le proprie responsabilità. Evitare questo confronto per tattiche elettoralistiche, negarlo per ritrovarsi uniti per caso, come sembra stiate facendo nel vostro percorso interno, intorno e per ordine di Prodi, appare a noi, appare al paese un grande passo indietro, un passo verso la direzione opposta alle necessità del paese ed a quelle di un confronto, di un bipolarismo maturo che affronti, insieme, anche la riforma della Carta costituzionale.
Nonostante questo vostro atteggiamento, sappiatelo, avendo apprezzato allora la vostra disponibilità e anche alcuni punti degli interventi di oggi molto aperti, noi manterremo aperto il dialogo; non cadremo nel trabocchetto di essere, come voi, obbligati a votare questa riforma esclusivamente a maggioranza.
Non abbiate però paura, cari amici, di trovarvi d'accordo, a partire proprio dalla riforma che voi avete invocato insieme a tutto il Parlamento, e cioè la riforma del Titolo V della Costituzione (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
ELIO VITO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ELIO VITO. Signor Presidente, colleghi, credo che, come sempre, per il rispetto e l'attenzione che merita il Parlamento e che meritano i leader dell'opposizione quando prendono la parola in aula, ci siamo sforzati un po' tutti di capire le ragioni della loro richiesta di sospendere il dibattito del provvedimento in esame.
Io credo però, Presidente, che vi sia un equivoco di fondo, perché, avendo cercato di ascoltare le loro ragioni e motivazioni, non ho trovato nulla, dico davvero nulla, che abbia un qualche fondamento con la realtà, con l'esame del provvedimento, con i passaggi svolti. Trarrò in seguito le conclusioni su questo atteggiamento; per adesso, manifesto solo un pò di delusione per tale richiesta e per le motivazioni apportate.
Signor Presidente, dovremmo forse ricordare ai leader dell'opposizione, la qualcosa sicuramente i loro capigruppo avranno fatto, che giungiamo oggi, martedì 21 settembre, con la richiesta di passare all'esame dell'articolo 32, concernente l'articolo 114 della vigente Costituzione, solo perché, onorevoli Fassino, Rutelli, Giordano, abbiamo accolto praticamente tutte le richieste avanzate dai gruppi dell'opposizione.
La discussione generale era prevista per lo scorso mese di luglio.
A luglio, accogliendo una richiesta dell'opposizione, abbiamo convenuto di limitarci ad iniziare la discussione sulle linee generali, rinviandone il seguito al mese di settembre, per consentire che la stessa discussione potesse svolgersi avendo cognizione delle proposte emendative che, nel frattempo, la maggioranza avrebbe presentato. Alla ripresa, nel mese di settembre, accogliendo una seconda richiesta da parte dell'opposizione - di buon grado, correttamente e giustamente, come avviene quando le richieste sono fondate -, il ministro Calderoli è intervenuto nella discussione sulle linee generali illustrando le proposte emendative presentate dalla maggioranza. Presentati gli emendamenti e votate le questioni pregiudiziali, abbiamo accolto la richiesta di sospensione dell'esame del provvedimento, la scorsa settimana, stabilendo un termine più ampio per la presentazione dei subemendamenti, e abbiamo convenuto, quindi, di riprendere l'esame quest'oggi, accogliendo - ripeto - una richiesta dell'opposizione. Sempre accogliendo un'altra richiesta dell'opposizione, abbiamo convenuto di iniziare oggi l'esame del provvedimento a partire non dall'articolo 2 del disegno di legge costituzionale, che si riferisce alla composizione della Camera dei deputati, ma dall'articolo 114 della Costituzione.
Perciò, abbiamo fatto tutto ciò che l'opposizione ci ha chiesto ed è esattamente questo che oggi ci viene imputato.
Esaminiamo, però, anche le altre ragioni, le altre motivazioni addotte dall'opposizione. Per quanto riguarda la cosiddetta onerosità, già è stato fatto osservare dal collega Volontè che, per quanto riguarda la sede parlamentare, l'aspetto parlamentare, in base ai pareri che sono stati formulati questo disegno di legge costituzionale non comporta e non presenta caratteristiche di onerosità; lo abbiamo riscontrato tutti insieme.
È stata più volte consultata e riunita la Conferenza Stato-regioni - come era giusto e doveroso - quando il disegno di legge è stato presentato. Di fronte ad emendamenti di natura esclusivamente parlamentare, il Governo non sarebbe tenuto a riunire la medesima Conferenza. Ciononostante, si è dichiarato disponibile in tal senso. Mi risulta che, già ieri sera, si è svolto un incontro, ampiamente positivo, con i presidenti delle regioni e mi risulta altresì che, per questa settimana, è stata nuovamente convocata la Conferenza Stato-regioni, pur non essendo il Governo tenuto a farlo. Nonostante la Commissione non sia a ciò tenuta, già abbiamo dichiarato che accantoneremo nuovamente l'esame di quegli articoli che saranno oggetto di una nuova, ennesima riunione della medesima Conferenza. Quindi, davvero non capisco per quali ragioni di merito e di procedura dovremmo sospendere questa mattina l'esame del provvedimento, avendo noi accolto, sia a luglio, sia settembre, sia, ancora, giovedì scorso, tutte le richieste che l'opposizione ha formulato.
Allora, signor Presidente, passerò al merito e alle ragioni politiche. Credo che ci sia qualcosa che sta a cuore a tutti noi: la centralità del Parlamento, che è massima e che vale proprio quando sono approvate riforme importanti. La riforma principale che un Parlamento possa approvare, come noi stiamo facendo adesso, è la riforma della Costituzione. Per questa riforma, onorevole Fassino, non abbiamo previsto tre giorni di tempo ma quattro settimane. Verifichi i tempi con i quali fu esaminato il provvedimento nella precedente legislatura, da parte del centrosinistra. Quattro settimane consecutive, con un calendario esclusivamente dedicato a questo provvedimento! Stiamo dimostrando la disponibilità al confronto, disponibilità che, se avesse potuto prendere la parola il presidente della I Commissione, nonché relatore del provvedimento, Donato Bruno, si sarebbe tramutata nel resoconto delle riunioni che, in questi giorni, il Comitato dei nove ha svolto su richiesta dei gruppi dell'opposizione. Egli vi racconterebbe di un esame sereno, compiuto e approfondito svolto in quella sede, insieme anche ai vostri rappresentanti, e dell'accoglimento di numerose proposte di modifica avanzate dai gruppi parlamentari di opposizione.
Allora, la centralità del Parlamento consiste anche nella rivendicazione dell'autonomia dei gruppi parlamentari, anche dell'opposizione, dell'autonomia dei commissari, anche dell'opposizione, e non consiste nel prendere ordini, in riunioni extraparlamentari, da chi non è parlamentare (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale) e non vuole ancora essere parlamentare e vuole impartire ordini al Parlamento e ai gruppi parlamentari, anche di opposizione - lo ripeto -, su come dovrebbe essere svolto l'iter, su come dovrebbe essere svolta una procedura che noi tutti abbiamo concordato di svolgere in un certo modo, con il vostro consenso e venendo incontro alle vostre proposte ed alle vostre richieste!
Ecco perché, Presidente, queste richieste suscitano delusione e sfiducia. Avevamo guardato con molta fiducia alla posizione di astensione espressa la scorsa settimana sull'articolo 1, anche se nel merito non voleva dire alcunché; si trattava quasi di un atto dovuto, poiché tale norma stabilisce semplicemente che il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato federale della Repubblica. Sul Senato federale, in questi anni, si sono espressi, anche in sede di Commissione bicamerale presieduta dall'onorevole D'Alema, diversi esponenti del centrosinistra. Che una semplice ed innocua posizione di astensione espressa dai gruppi dell'opposizione sull'articolo 1 della riforma abbia determinato una discussione, una frattura, un litigio o un conflitto è per noi fonte di profonda preoccupazione! Infatti, a quella posizione di astensione avevamo guardato con fiducia poiché, per la prima volta in questa legislatura, su un tema così importante come le riforme istituzionali vi sarebbe stata finalmente la possibilità di aprire un confronto di merito, senza schieramenti precostituiti, senza posizioni pregiudiziali! Oggi, invece, i vostri leader hanno dichiarato che esprimerete un voto contrario su tutti gli articoli! Ma se non sapete ancora come «usciranno» gli articoli dall'esame e dalla votazione delle proposte emendative e dai pareri espressi dal Governo e dalla Commissione!
Presidente, non vorrei che, ancora una volta, si stesse affermando una posizione massimalista, estremista che - in questo caso, sì - danneggerebbe la centralità del Parlamento e farebbe venire meno la possibilità di un confronto parlamentare libero, aperto, al quale la maggioranza tiene. Ma se l'opposizione sciaguratamente non decidesse di sottrarsi (come sembra purtroppo) alle decisioni extraparlamentari - le vostre, non le nostre! - assunte ieri sera, ciò non potrebbe impedire alla maggioranza di procedere, altrimenti - lo ripeto - verrebbe meno la centralità del Parlamento! Tale centralità, infatti, non può essere legata ai diktat o alle volontà extraparlamentari imposte da qualcuno che pretende di impartire determinati ordini o di rappresentare una minoranza che invece, nelle sedi parlamentari, sta cercando ed ottenendo un confronto serio e sereno sul merito del provvedimento.
Presidente, questa mattina - e nei prossimi giorni - non possiamo fare altro che procedere con l'esame (così come abbiamo stabilito insieme) di questa importante riforma, augurandoci che torni lo spirito costituente al quale tutti si richiamano. Ma lo spirito costituente, colleghi e leader dell'opposizione, dovete mostrarlo nei fatti, partecipando all'approvazione della riforma costituente e non sottraendovi per motivi di merito e di metodo (che, come mi sono sforzato di verificare, non esistono), o per ragioni politiche o di partito. State ancora una volta dimostrando che, come per la politica estera, anche per le riforme costituzionali privilegiate la ricerca di una vostra supposta e vana unità interna di partito e di coalizione rispetto alla centralità del Parlamento e alla possibilità di votare autonomamente, liberamente e con competenza una riforma che abbiamo voluto e che continueremo ad auspicare, nonostante i vostri interventi di questa mattina. Essi - lo ripeto - ci dispiacciono, ma non possono far venir meno la nostra volontà di tener fede a quel calendario che tutti insieme abbiamo stabilito (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro e della Lega Nord Federazione Padana).
NUCCIO CARRARA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NUCCIO CARRARA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, per quanto si possa essere ben disposti nei confronti delle opposizioni, non si può non sottolineare quanto pretestuose e ingenerose siano le loro argomentazioni. Vorrei iniziare da un tema che i colleghi dell'opposizione pensano possa avere un effetto dirompente sulla nazione e sul popolo italiano: i costi della riforma.
Preliminarmente, vorrei utilizzare un'espressione che la sinistra utilizzò in occasione di un'azione ostruzionistica alla Camera. Ogni intervento cominciava con l'espressione: «Gli italiani devono sapere». E allora, gli italiani devono sapere che la devoluzione dei poteri dal centro alla periferia comincia nel 1997 con la legge n. 59, detta legge Bassanini. Da lì derivano i maggiori costi (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale)! Gli italiani devono sapere che, subito dopo, venne approvato il decreto legislativo n. 112 del 1998, in esecuzione della legge Bassanini, che trasferiva - allora si diceva a Costituzione vigente, oggi dovremmo dire a Costituzione previgente - tutto ciò che era possibile trasferire alle regioni in termini di competenze e di risorse, sia umane sia di capitali. Da lì cominciano i costi che poi sono stati calcolati in 61 miliardi di euro.
In sintesi, gli italiani devono sapere che la riforma Bassanini, dopo la riforma costituzionale dell'Ulivo, è costata 61 miliardi di euro. Nessuno, dico nessuno, ha la palla di vetro per poter calcolare i costi della riforma che noi vorremmo approvare, però una cosa è certa: nella più razionale ripartizione delle materie tra Stato e regioni sicuramente si troverà un maggiore risparmio.
Perché parlo di ripartizione razionale? Perché, se rileggete il «vostro» articolo 117 e lo confrontate con il «nostro» articolo 117, vedrete che quest'ultimo si ispira ad una logica semplice, il principio di sussidiarietà: le regioni non faranno più quello che non potranno fare, perché non hanno i mezzi per poterlo fare, in quanto travalica gli ambiti regionali; quindi, quello sarà evitato. E poi guardate le materie concorrenti: anche in quel caso si è tentato di razionalizzare. Dico subito che questo lo si è fatto anche con il contributo delle opposizioni e in ciò ci siamo dimostrati molto responsabili, perché abbiamo accettato numerosi emendamenti dell'opposizione, che ha preso atto che la riforma da essa introdotta, almeno in quel punto, era sbagliata, dannosa e costosa, per restare al nostro ragionamento.
Ebbene, le materie concorrenti non sono più 18, come nel testo vigente, ma 11. Questo sicuramente comporterà un risparmio - è nella logica naturale delle cose -, nonché una minore pressione nei confronti della Corte costituzionale, che noi speriamo si riduca ulteriormente, laddove avremo fatto chiarezza tra le competenze e conseguito un ulteriore risparmio. Quello che noi non siamo capaci di calcolare, amici dell'opposizione, è l'effettivo risparmio che ne deriverà, l'effettivo risparmio, non i costi effettivi, perché abbiamo razionalizzato e semplificato.
Ai politici di tutte le stagioni che cambiano idea ad ogni stormir di fronde, voglio ricordare - gli italiani devono sapere! - che l'Ulivo si impegnò nel 2001 su un preciso programma, che prevedeva la costruzione del federalismo e di una Camera federale. Una Camera federale è prevista nella nostra proposta, più snella dell'attuale Senato. Lo snellimento di entrambe le Camere, Senato e Camera dei deputati, è previsto nella nostra proposta. Ci saranno oltre 160 parlamentari in meno, e questo comporterà inevitabilmente anche un certo risparmio; un risparmio che non possiamo ovviamente calcolare, ma che non potrà mancare.
Altro punto. Nel programma si dice che bisogna dare agli italiani la scelta della maggioranza di Governo e del primo ministro. Ebbene, questo si chiama premierato! Abbiamo introdotto il premierato e abbiamo anche introdotto un premierato equilibrato, laddove l'Ulivo voleva un premierato secco, che si basasse sul principio simul stabunt simul cadent. Ciò perché (come riportato nel programma dell'Ulivo) si sarebbe giunti allo scioglimento automatico delle Camere qualora si fosse registrata la sfiducia da parte del Parlamento.
Il consiglio che vi rivolgiamo, allora, è di essere più prudenti, di valutare le singole disposizioni e di non temere - come, ad esempio, ha fatto qualcuno - per l'unità nazionale, poiché gli italiani devono sapere che, nel 2001, l'Ulivo cancellò dalla Costituzione il principio dell'interesse nazionale; noi, invece, intendiamo reintrodurre nuovamente nella Costituzione l'interesse nazionale. Ciò significa, inequivocabilmente, salvaguardare l'unità del paese: pertanto, registriamo sicuramente un passo avanti rispetto a quanto realizzato dall'Ulivo!
Gli italiani devono sapere, inoltre, che noi vogliamo veramente il confronto con le opposizioni. Abbiamo percorso tale strada e ci confrontiamo ogni giorno; tuttavia, ogni giorno sentiamo sollevarsi, dentro e fuori il Parlamento, «grida di dolore» basate su una conoscenza inesatta delle disposizioni che vorremmo approvare, oppure frutto addirittura di una palese e manifesta malafede.
Riportiamo le cose al loro stato normale, allora: confrontate il testo della Costituzione vigente con quello che approveremo, rapportatelo al vostro programma elettorale, e poi vedrete che siamo stati responsabili, siamo venuti incontro alle vostre richieste e siamo sempre pronti al confronto; tuttavia, non può essere accettata alcuna strumentalizzazione, e tanto meno la malafede (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale)!
PRESIDENTE. Scusate, onorevoli colleghi, a questo punto credo sia utile riportare un po' di ordine nel dibattito.
Non ho ben compreso se sia stata formulata una proposta formale; è chiaro, tuttavia, che è stata posta una questione politica. Al riguardo, le posizioni della maggioranza e dell'opposizione sono diverse ed è stato chiamato in causa il Governo. Ritengo pertanto opportuno dare ora la parola al ministro Calderoli, il quale peraltro ne aveva già fatto richiesta.
Ha facoltà di parlare, signor ministro.
ROBERTO CALDEROLI, Ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione. Signor Presidente, intervengo per formulare alcune brevi puntualizzazioni rispetto a quanto è stato affermato questa mattina.
Non intendo entrare nel merito, che è squisitamente parlamentare, della richiesta avanzata, che mi sembrava essere stata superata all'unanimità dall'Assemblea la settimana scorsa.
In merito ai testi o al testo oggi in discussione, vorrei osservare che non corrisponde a verità il fatto che si tratti di cinque o sei testi. Esiste, infatti, un solo testo, di iniziativa del Governo, che è stato portato in sede di Conferenza Stato-regioni, e l'esecutivo, anche in tale sede, non ha presentato alcuna proposta emendativa, mentre tutte quelle presentate sono di iniziativa parlamentare.
Pertanto, ritengo che il lavoro sia parlamentare - ed i lavori della Commissione ne sono testimonianza: basti verificare quanto è passato in tale sede -, ancorché indirizzato, ovviamente, come è necessario, dal Governo.
Proprio sulla base di ciò, abbiamo ritenuto impropria la Conferenza Stato-regioni (o anche la Conferenza unificata) come sede di confronto, proprio perché si tratta di un luogo di incontro tra esecutivi; trovandoci di fronte a proposte emendative di iniziativa parlamentare, credo sarebbe stato assolutamente poco rispettoso nei confronti del Parlamento affrontare tale questione in quella sede.
Nonostante tutto ciò, proprio per lo spirito che ci ha animato, al fine di avere il maggior numero possibile di indicazioni da chi fruirà della nostra riforma, sono stati informalmente consultati tutti questi soggetti istituzionali - ed è stata comunque convocata (credo nella serata di giovedì di questa settimana) una riunione della Conferenza unificata -, avendo concordato con gli stessi che il Parlamento potesse tranquillamente procedere alla trattazione degli articoli al nostro esame ed eventualmente, qualora fosse stata avanzata una richiesta dal Governo (ovviamente, con il consenso dell'Assemblea), alla discussione dell'articolo 118 della Costituzione. Ciò perché ritenevano che fosse oggetto di possibili proposte, unanimemente condivise, da parte loro.
Si tratta di proposte di cui il Governo si farà portavoce, sia in seno al Comitato dei nove, sia presso questa Assemblea, anche se, ovviamente, si tratta di proposte emendative che dovranno essere successivamente valutate dalla Camera.
Per concludere, vorrei segnalare che ho ascoltato qualcuno sostenere che il ministro Siniscalco si sarebbe impegnato, entro la fine del mese di settembre, a fornire dati finanziari relativi ai costi della riforma.
Il ministro Siniscalco lo avevo già sentito immediatamente dopo la sua nomina, in relazione a questo provvedimento. Egli, poco fa, mi ha comunicato che non ha mai assunto, con nessuno, un obbligo del genere.
Egli mi ha anche ribadito che il Ministero dell'economia e delle finanze non ha mai commissionato alcun tipo di studio in relazione a tale aspetto, e ciò vale anche per la Presidenza del Consiglio dei ministri. È impossibile fare previsioni di spesa sulla base di principi quali quelli contenuti in una Costituzione (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana, di Forza Italia e di Alleanza nazionale).
Inoltre, il calcolo sui costi - od altro - può essere effettuato solo sulla base dei meccanismi e delle applicazioni che si daranno a tali principi. Pertanto, non facciamoci fare il preventivo di una casa, senza avere prima in mano il progetto (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana, di Forza Italia e di Alleanza nazionale)!
PRESIDENTE. Grazie, senatore Calderoli.
Naturalmente, la questione posta è di carattere politico e mi sembra che il dibattito tra opposizione e maggioranza che si è svolto, con l'intervento del Governo, abbia evidenziato che vi sono diversi punti di vista.
Un dato mi preme, tuttavia, puntualizzare, dal mio punto di vista. Si tratta di un aspetto importante e riguarda il rapporto tra il Governo e le regioni. Per quanto concerne il richiamo alla richiesta delle regioni e delle province autonome al Presidente della Camera, nel senso di una programmazione dei lavori parlamentari che consenta l'esame degli articoli della riforma dopo la conclusione della riunione della Conferenza Stato-regioni che, contestualmente, le regioni stesse hanno chiesto di convocare, devo precisare - proprio perché mi sono fatto carico, più volte, di un dialogo serrato con i rappresentanti delle regioni e proprio perché ho favorito il più ampio confronto, in Commissione, d'intesa con il presidente Bruno, tra tutti i soggetti istituzionali interessati alle riforme - che lo svolgimento dell'attività legislativa e le decisioni circa l'organizzazione dei lavori parlamentari appartengono alla sfera di autonomia istituzionale della Camera e non possono essere subordinati allo svolgimento del confronto, che in altre sedi si svolge, tra il Governo ed altri soggetti istituzionali. È un problema di principio, su cui credo che maggioranza ed opposizione non possano avere idee diverse. Questo è un punto di fondo.
Noi siamo legislatori. In altra sede si svolgono gli incontri tra i rappresentanti dell'esecutivo e delle regioni; guai a fare confusione di responsabilità! Capisco la richiesta avanzata sul piano politico - ci mancherebbe altro: ciascuno di noi ha la cognizione piena di ciò che tale aspetto significa -, ma tale richiesta deve avere limiti chiari in ordine all'autonomia della nostra istituzione, ossia del legislatore. Naturalmente, ciò non significa che non debba essere svolta un'ulteriore riflessione, ma in altre sedi ed in altro ambito, in modo da non ledere la nostra autonomia.
LUCIANO VIOLANTE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIANO VIOLANTE. Signor Presidente, abbiamo ascoltato ciò che hanno detto i colleghi capigruppo della maggioranza ed il Governo ed abbiamo riscontrato una serie di contraddizioni che ci sembrano di un certo rilievo.
Anzitutto, noi, ancora oggi, non disponiamo di un testo definitivo: il collega Elio Vito ha infatti affermato - ed il ministro Calderoli lo ha ribadito - che vi è la riserva di proporre successivi emendamenti in ordine all'esito dell'incontro tra il ministro Calderoli e la Conferenza Stato-regioni.
In secondo luogo, come forse lei saprà, signor Presidente, è la prima volta che in un processo di revisione costituzionale né il relatore né il Governo, al termine della discussione sulle linee generali, hanno replicato agli interventi svolti dai rappresentanti dell'opposizione e della maggioranza. Ciò rappresenta un ulteriore «vuoto» che riscontriamo.
Quanto al problema dei costi della riforma, sia il collega Carrara sia il collega Volontè hanno fatto riferimento all'impossibilità di calcolarli finché non sarà approvato un testo.
Il senatore Calderoli ha detto un'altra cosa: in sostanza, ha affermato che costi non ve ne sarebbero, perché si tratta soltanto di principi. Signor ministro, lei sa bene che non è così, perché il trasferimento dei poteri si attua direttamente ed immediatamente e, quindi, i costi sono connessi a ciò.
Signor Presidente, in relazione alla contraddittorietà degli interventi svolti ed in relazione anche al fatto che non ci sono stati dati chiarimenti su aspetti per noi fondamentali, le chiedo, a nome dei colleghi dell'opposizione, di sospendere la seduta e di riprendere i lavori nel pomeriggio, quando lei riterrà opportuno; avvertiamo infatti l'esigenza di valutare complessivamente le nostre posizioni in relazione alle risposte fornite dalla maggioranza e dal Governo.
PRESIDENTE. Onorevole Violante, sinceramente, nella mia responsabilità di Presidente, credo di dover tutelare le regole esistenti. In sede di Conferenza dei presidenti di gruppo abbiamo predisposto un calendario all'unanimità: è possibile che voi avanziate una richiesta, ma vorrei capire come ciò avvenga. Infatti, se vi è una richiesta di sospensione sic et simpliciter, sarei anche in imbarazzo in ordine al fatto che la stessa possa essere accettata dalla Presidenza, proprio perché investirebbe le competenze della Conferenza dei presidenti di gruppo. Vi può essere una richiesta di rinvio a non so quando, ma questo è un problema che evidentemente riguarda...
LUCIANO VIOLANTE. Ad oggi stesso...!
PRESIDENTE. Sta bene, lei dunque formula una richiesta di rinvio al pomeriggio per consentire all'opposizione di procedere ad una valutazione in ordine al dibattito di questa mattina. Ci mancherebbe altro, questo si può fare...!
Avverto che sulla proposta formulata dall'onorevole Violante darò la parola, ove ne sia fatta richiesta, ad un oratore a favore e ad uno contro.
PIERLUIGI CASTAGNETTI. Chiedo di parlare a favore.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PIERLUIGI CASTAGNETTI. Signor Presidente, intervengo a favore di questa proposta, proprio perché l'opposizione deve valutare le risposte che la maggioranza e il Governo hanno fornito in ordine alla nostra richiesta di questa mattina.
Siamo rimasti molto sorpresi delle risposte, perché la nostra era una richiesta ragionevole. Vorrei ricordare ai colleghi Volontè ed Elio Vito - in particolare a quest'ultimo, che ha parlato della centralità del Parlamento e della concessione che la maggioranza ha fatto riguardo a tutte le richieste dell'opposizione - che il pacchetto di emendamenti che ha profondamente cambiato il testo originario è stato presentato dalla maggioranza mercoledì mattina, dopo che per due giorni si era svolta la discussione sulle linee generali ed esattamente ventiquattr'ore prima dell'inizio delle votazioni.
Sabato pomeriggio ho partecipato ad un convegno di giuristi ed era presente un costituzionalista che ha assistito al processo di riforma della Costituzione in Venezuela, quella di Chavez. Egli ci ha detto che quest'ultimo, che non mi sembra sia un esempio di democrazia da proporre alla nostra attenzione...
RAMON MANTOVANI. Perché?
PRESIDENTE. Onorevole Mantovani...
PIERLUIGI CASTAGNETTI. ...per la maggioranza. Egli ha concesso, in ogni caso, molto più tempo all'opposizione per valutare il pacchetto di riforme che veniva proposto.
Allora, prendiamo atto che la maggioranza ritiene di aver concesso all'opposizione molto tempo, ma ciò non è assolutamente vero! Stiamo modificando la Costituzione, signor Presidente, non vorrei che ci appellassimo strettamente al rigore del regolamento parlamentare. Stiamo modificando la Costituzione!
Questa mattina, ad esempio, abbiamo saputo per la prima volta, dopo aver letto in questi giorni molte e diverse anticipazioni sui giornali, che voi non avete neppure preso in considerazione l'idea di valutare solo la revisione del Titolo V, ma volete completare la revisione di tutta la seconda parte dell'ordinamento, come nella proposta originaria. L'abbiamo appreso stamattina, perché questa mattina vi è stato domandato fino a che punto intendete arrivare. Voi avete risposto di voler arrivare fino in fondo e anche questo è un elemento che dobbiamo valutare per decidere il nostro comportamento di voto.
Voi ci avete dato delle risposte, ve ne rendete conto? Ci avete detto che i presidenti delle regioni hanno posto un problema: essi non hanno manifestato l'esigenza di essere consultati, ma hanno affermato che il modello, così com'è, non funziona, perché vi sono materie demandate all'esclusiva competenza di una Camera, altre di un'altra Camera, altre delle regioni. Vi è confusione e questa mattina un politologo, che normalmente dice cose interessanti, ci ha ricordato la confusione di questo quadro. Noi riteniamo che i presidenti delle regioni vogliano dare un contributo ed aiutare la maggioranza, il Governo e tutto il Parlamento a diradare questa confusione.
Per quale ragione sarebbe una proposta inaccettabile e stupefacente, come ha detto l'onorevole Volontè, quella nostra richiesta che, in buona sostanza, vuole dire: aspettiamo, incontratevi e poi diteci che cosa vi hanno suggerito. Perché dobbiamo procedere a «pezzi e bocconi»?
Per questo insieme di ragioni, voi ci avete detto di no. Al di là della vostra personale convinzione di aver aperto un dialogo con l'opposizione, un dialogo fatto di monologhi e configurato in modo da avere una maggioranza che ha il diritto di parlare e di proporre le proprie idee ed un'opposizione che ha il dovere di ascoltare e di prendere atto, vorrei semplicemente dire che questo non è un dialogo e che non si è mai sviluppato un dialogo!
Stamani ci avete detto che non avete alcuna intenzione di dialogare e di sentire i presidenti delle regioni per ascoltare cosa vi vengono a dire! Ci venite a dire che la valutazione dei costi è una fisima dell'opposizione: non mi risulta che il ministro dell'economica e delle finanze Siniscalco abbia smentito giornali importanti, come Il Sole 24 Ore, che hanno riportato la notizia secondo la quale sia il ministro dell'economia e delle finanze sia la Ragioneria generale dello Stato hanno investito la Scuola superiore di economia e di finanza perché anch'essi sono preoccupati dei costi derivanti dall'approvazione di questa riforma. Ci avete detto che il problema non esiste!
Vi rendete conto che questo non è un clima nel quale si possa modificare la Costituzione! L'opposizione chiede quindi una sospensione dei lavori perché occorre valutare stamattina non l'emendamento all'articolo 114 della Costituzione, bensì il vostro atteggiamento! Dobbiamo pertanto prendere atto che avete deciso di «blindare» la vostra proposta e di proporci di accettarla in blocco. Il vostro atteggiamento è stato di rifiuto sistematico di ogni tentativo di aprire una verifica ed una discussione su temi importanti, che sono poi le tre questioni alle quali avete risposto «no».
Per questa ragione, appoggio la richiesta formulata dal presidente Violante (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!
PRESIDENTE. Francamente, non ho compreso se c'è qualcuno che intenda parlare contro la proposta formulata dall'onorevole Violante, dal momento che non ho ricevuto richieste in tal senso. Sembra quasi che l'onorevole Violante abbia convinto tutti...!
DONATO BRUNO, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DONATO BRUNO, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei formulare una proposta.
Credo anzitutto si debba rivolgere un ringraziamento a tutti i colleghi che stamattina, responsabilmente, sono presenti in aula per votare il provvedimento. Ritengo inoltre, al di là delle giuste ragioni addotte dall'opposizione, ma che sono legate a vicende esclusivamente interne, che abbiamo l'esigenza di proseguire nei nostri lavori secondo l'ordine stabilito.
Mi rendo altresì conto che i colleghi, anche alla luce di quanto stamattina è avvenuto in relazione alle risposte fornite dal ministro, hanno bisogno di un ulteriore momento di riflessione. Credo tuttavia - questa è la mia proposta - che esprimere il parere relativo alle proposte emendative riferite all'articolo 32 - si tratta di pochi emendamenti, ma di sostanza - possa risultare utile anche all'opposizione ai fini della discussione che si svolgerà di qui a qualche ora.
Signor Presidente, qualora lei dovesse accedere a questa mia richiesta, preannuncio fin d'ora che il Comitato dei nove è immediatamente convocato, in modo da consentirci di continuare a lavorare.
PRESIDENTE. Vorrei ringraziarvi, dal momento che vi rivolgete tutti al sottoscritto...! Il problema tuttavia è legato alla proposta formulata dall'onorevole Violante, sulla quale lei, onorevole Bruno, concorda parzialmente, chiedendo anche di esprimere i pareri relativi alle proposte emendative riferite all'articolo 32. Credo si possa accedere alla soluzione da lei prospettata, ma è l'onorevole Violante che deve esprimersi al riguardo.
LUCIANO VIOLANTE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIANO VIOLANTE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, per noi l'importante è che non si cominci a votare adesso.
PRESIDENTE. Ne prendo atto.
Invito pertanto il relatore ad esprimere il parere della Commissione sulle proposte emendative riferite all'articolo 32.
DONATO BRUNO, Relatore. Signor Presidente, la Commissione esprime parere contrario sugli emendamenti Leoni 32.6, Landolfi 32.71, Perrotta 32.70, Carrara 32.9, Tabacci 32.74 e Carrara 32.8, e parere favorevole sull'emendamento Elio Vito 32.200 e sull'emendamento Boato 32.5, riformulato nel senso dell'emendamento Elio Vito 32.200 (la riformulazione è stata già accettata dai presentatori in sede di Comitato dei nove). La Commissione esprime, altresì, parere contrario sugli identici emendamenti Leoni 32.4 e Osvaldo Napoli 32.73, raccomanda l'approvazione del suo emendamento 32.250, esprime parere contrario sull'emendamento Boato 32.72, raccomanda l'approvazione del suo subemendamento 0.32.201.1 e esprime parere favorevole sull'emendamento Elio Vito 32.201.
PRESIDENTE. Il Governo?
ALDO BRANCHER, Sottosegretario di Stato per le riforme istituzionali e la devoluzione. Signor Presidente, il Governo esprime parere conforme a quello del relatore.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, l'onorevole Castagnetti mi ha fatto notare che alcuni colleghi, tra cui gli onorevoli Bettini e Giachetti, avevano chiesto di parlare sul complesso degli emendamenti presentati all'articolo 32. Tuttavia, poiché sono già stati espressi i pareri, concederò loro il doppio del tempo previsto allorché interverranno per dichiarazione di voto.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15.
La seduta, sospesa alle 12,35, è ripresa alle 15,10.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO MUSSI
Si riprende la discussione.
(Ripresa esame dell'articolo 32 - A.C. 4862 ed abbinate)
PRESIDENTE. Riprendiamo l'esame dell'articolo 32.
Ricordo che questa mattina il relatore ed il rappresentante del Governo hanno espresso il parere sulle proposte emendative presentate all'articolo 32.
Passiamo alla votazione dell'emendamento Leoni 32.6.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bettini. Ne ha facoltà.
GOFFREDO MARIA BETTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'emendamento in esame vuole semplicemente riconfermare il testo costituzionale che qualche anno fa ha ribadito solennemente che Roma è la Capitale della Repubblica e che il suo assetto, i suoi poteri ed il suo ordinamento devono essere decisi dal Parlamento italiano con legge ordinaria, vale a dire che la funzione, il futuro e il destino della Capitale sono questioni che riguardano tutto il paese e che rappresentano quindi un fondamentale interesse nazionale. Caro Presidente, questo è un concetto così evidente e così naturale, che non andrebbe spiegato, ma ho il sospetto che in questa sede a qualcuno vada spiegato!
Ogni grande paese è orgoglioso della sua capitale e riconosce volentieri l'onere, che su di essa pesa, di un doppio lavoro, per essere al tempo stesso una grande città ed un centro fondamentale di rappresentanza politica, diplomatica, culturale e internazionale, da svolgere a nome di tutta la collettività nazionale. Per questo, dovunque, le capitali più prestigiose godono di un rapporto diretto con i Parlamenti e di un'autonomia normativa e finanziaria del tutto particolare. È così per Berlino, per Londra, per Parigi, per Bruxelles, per Washington, per Madrid. Oggi, con il testo che ci presentate - equivoco, confuso e sbagliato -, questo semplice ragionamento per Roma Capitale della Repubblica italiana viene rimesso in discussione. Ciò è tanto più grave se si pensa a Roma e alla sua straordinaria e particolare realtà. Roma non è solo la Capitale del paese: essa ha l'onore di ospitare la Santa Sede; ha una superficie, come città, dieci volte quella di Milano e pari a quella di Parigi, Berlino, Bruxelles e Stoccolma messe insieme. Inoltre, essa ha un patrimonio archeologico, artistico e culturale unico al mondo, che va faticosamente protetto, conservato e valorizzato. Infine, Roma storicamente ha consolidato uno svantaggio, nei trasferimenti dallo Stato, rispetto ad altre grandi città italiane: al netto, come è ovvio, dei finanziamenti per i grandi eventi, la media per le altre città è di 344 euro pro capite, a fronte di Roma, che ne riceve 264.
Cari colleghi, queste considerazioni avrebbero dovuto spingere tutti noi non solo a confermare le nette e chiare affermazioni sulla Capitale, contenute nel testo costituzionale precedente, ma anche a svolgere un sereno, civile, maturo ed unitario dibattito sul ruolo di Roma, per approvare rapidamente una legge ordinaria del Parlamento, in grado di dare certezze e dignità alla Capitale, nell'interesse di tutti.
No, non solo questo non è stato fatto, ma oggi ci vengono presentate modifiche inaccettabili e pasticciate. Si riconosce l'esigenza di un'autonomia di Roma; essa verrebbe sancita però non solo da una legge del Parlamento, ma - siamo al ridicolo - anche dalla regione Lazio, nell'ambito del suo statuto. Colleghi - vorrei richiamare anche l'attenzione dei colleghi del gruppo di Alleanza nazionale e di quelli più avvertiti della maggioranza -, questo è inconcepibile e non è pensabile in qualsiasi grande paese democratico. È grave sul piano concreto. Immaginate, infatti, la confusione dei livelli di decisione e la mancanza di unitarietà, di solennità e di coerenza nel definire l'assetto di Roma, proprio oggi che tutti invocano la semplificazione delle sedi istituzionali e l'eliminazione di inutili sovrapposizioni. È grave sul piano simbolico: la Capitale verrebbe trattata come un qualsiasi capoluogo di provincia o di regione. È grave sul piano temporale: oggi basterebbe approvare al più presto una legge ordinaria per dare un ordinamento nuovo e soddisfacente a Roma. I tempi sarebbero rapidissimi. Con le vostre proposte, invece, i tempi diventano indefiniti e lunghissimi, condizionati dall'iter delle modifiche costituzionali e dalle modifiche dello statuto della regione Lazio, peraltro da poco approvato.
Infine, è grave sul piano politico: proprio mentre si avvia una stagione, resa da voi assai confusa e pericolosa, di maggiore autonomia delle varie parti del paese, il paese stesso non ha meno bisogno, ma più bisogno di una Capitale che rappresenti simbolicamente e concretamente l'unità della nazione. Una Capitale autorevole, moderna ed efficiente, nella quale tutti si possano riconoscere.
Se non si lavora schiettamente per tale obiettivo, allora si avrà un altro segnale che il vostro federalismo non poggia su un sentimento di rinnovata unità, ma cova l'egoismo e l'interesse cieco della separazione.
Avete avanzato nel complesso brutte proposte di modifica costituzionale; ne risulta un compromesso indigesto e contraddittorio, segnato dalla voglia di divisione della Lega, errore che avete cercato di compensare con un altro errore, quello di concentrare, in modo del tutto squilibrato, molti e decisivi poteri nella sola figura del premier, soddisfacendo così voglie sempre presenti nella destra italiana. Non soddisfatti di tutto ciò, vi apprestate a dare uno schiaffo a Roma, alla Capitale del paese.
Per anni, una parte di voi si è riempita la bocca di una retorica tronfia e stucchevole su Roma, su una Roma di cartapesta retorica e falsa, splendente in pochi posti da esibire, mentre crescevano povertà e quartieri popolari indecenti, nei quali deportare i poveracci di un centro storico ripulito.
Quella Roma per fortuna non c'è più e di quella retorica non abbiamo proprio nostalgia. Oggi vi è una Roma reale che è cresciuta economicamente e produttivamente nel reddito più di Milano e della media nazionale e nella quale si riscontra un aumento dell'occupazione e un'alta natalità delle imprese; una Roma che punta sull'innovazione, sui servizi e sulla ricerca e che, nella crisi nazionale del turismo, aumenta la presenza dei visitatori, grazie ad una straordinaria attività culturale e ad un clima di serenità sociale voluto e ricercato dall'amministrazione civica.
Questi non sono proclami retorici; sono dati di una città che dall'attuale Governo, che a partire dal 2005 ha, perfino, definanziato la legge speciale per Roma capitale, meriterebbe molto di più. Ma i romani, cari colleghi, sapranno giudicare queste ostilità e questa indifferenza.
Il centrosinistra governa Roma ormai da quasi 15 anni e continuerà a farlo. La ricetta non è complicata: amiamo e rispettiamo Roma e Roma ci ripaga.
Veltroni, sindaco straordinario, ha un consenso impressionante proprio perché si identifica onestamente e con intelligenza in una missione, in un servizio, in un compito democratico; al contrario di voi che, anche su Roma, avete scelto - mi spiace affermarlo -, al di là delle belle parole, meschini baratti politici e oscure compensazioni (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giachetti. Ne ha facoltà.
ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, vorrei iniziare dalle considerazioni svolte dal collega Bettini, in quanto ritengo che il provvedimento in esame, in particolare questo articolo 32 e ciò che in esso si prevede - ancorché tentando di nasconderlo - attraverso le modifiche apportate allo stesso, sia frutto di un accordo meschino all'interno della maggioranza, più precisamente tra Alleanza nazionale e Lega Nord. Infatti, se questa proposta dovesse essere approvata - ma confidiamo nel popolo italiano che con il referendum boccerà la riforma della maggioranza - la Lega perseguirà l'obiettivo di vanificare il ruolo di Roma quale capitale federale, lasciando ad Alleanza nazionale piena libertà in ordine ai poteri da attribuirle. In particolare, si trasferisce alla regione la facoltà di rendere Roma subalterna al potere regionale attribuendo al governatore Storace la possibilità di realizzare il progetto al quale lavora da tempo e a cui ha piegato anche Alleanza nazionale.
D'altra parte, i patti di potere prevedono tante altre cose e a spiegarcelo sono proprio i colleghi della Lega. Mi rifaccio ad una dichiarazione resa dal leader della Lega, onorevole Bossi - e, soprattutto perché si tratta di un mio avversario politico, mi rallegro per il miglioramento delle sue condizioni di salute - che, commentando le critiche che il segretario di Alleanza nazionale, onorevole Fini, rivolse alla Lega nel gennaio scorso, affermò testualmente: Fini è uno di quelli che chiedono sempre tante cose per poi accontentarsi di qualche carica.
Ma, prima di intervenire nel merito dell'articolo 32 così come riformulato, intendo sottolineare che buona parte delle modifiche dell'impianto della nostra Costituzione volute da questa maggioranza, anziché tendere, nel nuovo assetto federale dello Stato, a semplificare i rapporti tra le istituzioni e a rendere più snelli i processi nell'esercizio dei poteri, paradossalmente creeranno probabili conflitti o accentueranno quelli già esistenti.
Simbolico è proprio il caso in oggetto, l'articolo 32, nel quale viene introdotta una norma incredibilmente contraddittoria con la quale si attribuisce allo statuto della regione Lazio la definizione di forme e condizioni particolari di autonomia anche normativa per Roma nelle materie di competenza regionale. Dunque, si vuole smontare quel principio, sancito anche attraverso il referendum, secondo il quale Roma, in quanto Capitale d'Italia, ha un rapporto diretto con il Parlamento che le affida i poteri.
Ricordo che Roma vanta un territorio grande quanto Milano, Torino, Genova, Bologna, Napoli, Bari, Catania e Palermo messe insieme e si estende per 1.250 chilometri quadrati, contro i 181 di Milano, tanto per fare un esempio. Ebbene, il particolare status di Roma, come grande Capitale europea, come Capitale del nostro paese e come città metropolitana dai confini vastissimi, diventa oggetto di una disciplina determinata in seno alla regione Lazio, ristretta quindi in un ambito regionale, in totale contraddizione con l'idea stessa di capitale federale come sintesi ed espressione univoca dello Stato.
Invece di andare nella direzione del conferimento di poteri speciali sul piano normativo e finanziario, nell'attribuzione di un particolare ordinamento e di funzioni proprie e peculiari, si riduce il ruolo di Roma a quello di un capoluogo e la si costringe a derivare la sua autonomia direttamente dalla regione; si vuole creare uno Stato federale, la cui Capitale può essere tale solo attraverso il filtro dello statuto della regione Lazio che, peraltro, - come ha giustamente ricordato l'onorevole Bettini - è stato approvato recentemente.
Tutto questo appare davvero assurdo, non solo dal punto di vista simbolico e concettuale, ma anche da quello pratico e rischia di produrre - e li produrrà - conflitti e restrizioni di tipo tecnico, politico e legislativo, assolutamente evidenti e di cui non tarderemo a renderci conto. Se non fosse che nel suo rapporto con Roma Capitale il Governo ha già dato prova di quali siano il peso e il ricatto di un partito della maggioranza - nella fattispecie della Lega -, staremmo a chiederci come si possa concepire una tale assurdità; la logica costituzionale, vigente nella gran parte degli Stati europei, vorrebbe infatti che, nel momento in cui si dà vita ad uno Stato federale, lo status della capitale dovrebbe trovarsi al massimo livello gerarchico dal punto di vista territoriale, immediatamente inferiore soltanto a quello dello Stato.
Non ho il tempo di farlo, ma potrei citare centinaia di dichiarazioni provenienti dai colleghi della Lega per spiegare quale siano il valore e la funzione che si vuole dare a Roma. Non vedo adesso il ministro Calderoli, ma basti pensare che il ministro, incaricato di accompagnare questa riforma, è la stessa persona che nel 1999 organizzò la marcia contro «Roma ladrona», simboleggiata dal Colosseo in fiamme, raffigurato su tutti i gadget e i manifesti della Lega. Inoltre, come recitava una notizia ANSA di allora, il ministro Calderoli si lasciò sfuggire un tipico slogan da stadio, urlato dalle tifoserie in trasferta all'Olimpico. Ripeto che un ministro di questa Repubblica, allora segretario della Lega, urlò: «Nerone ce l'ha insegnato, bruciare Roma non è reato». Tanto per essere di parola allora, tirò fuori e mostrò un accendino alla bisogna. Siamo costretti a misurarci con tutto ciò; sulla riforma e sulla maggioranza grava inevitabilmente il peso della Lega e dei suoi ricatti.
Purtroppo il discorso esula da considerazioni che abbiano una logica diversa da quella che vede la città Capitale della nostra Repubblica, confinata ad un ruolo di serie B rispetto a tutte le altre capitali europee, di fatto subalterna e dipendente dal ruolo della regione in cui essa ha sede.
Questo Governo non si occupa né tantomeno si preoccupa davvero di dare a Roma ciò che le spetta; in fondo, fin dai tempi della campagna elettorale del 2001, si era capito che gli interventi strutturali di sostegno a Roma, promessi dal Presidente del Consiglio, restavano e sarebbero restati pura propaganda. Vi ricordo quanto Berlusconi dichiarò all'epoca della candidatura a sindaco di Tajani contro Walter Veltroni: costruzione della metropolitana con uno stanziamento di 4.400 miliardi di lire; recupero delle periferie con un piano triennale che prevedeva 3 mila miliardi di investimenti; messa a regime dell'alveo del Tevere con investimenti per 2.200 miliardi; ristrutturazione del sistema idrico della capitale, pari a 8.800 miliardi; piastra di collegamento per il traffico su gomma e ferroviario tra Civitavecchia e Fiumicino, con investimenti pari a 490 miliardi.
Tutte queste promesse hanno fatto la stessa fine dell'aumento delle pensioni minime per tanti pensionati o della riduzione delle tasse per tutti noi. Sono solo alcune delle promesse, mai mantenute, cui siamo abituati e che, nello specifico, costituiscono il frutto di una politica elettorale, una politica che stipula contratti poi calpestati, buona quindi ad acquisire preferenze, che poi, al momento giusto, diventa inutile e viene lasciata nel dimenticatoio.
Anche quest'anno è stata riproposta una manovra sulla finanza pubblica che ha penalizzato fortemente comuni e regioni e, in particolare, Roma: il 10 per cento circa di decurtazione va infatti ad incidere direttamente sulla crescita e sulla vita quotidiana della città.
L'azione contro Roma condotta da questa maggioranza, in particolare, come ho ricordato, attraverso l'iniziativa della Lega, si riscontra in numerosi casi, anche dal punto di vista simbolico: mi riferisco, ad esempio, al prosciugamento, già ricordato dal collega Bettini, del fondo per Roma capitale, che quanto meno dava ossigeno per fare fronte alle numerose necessità e funzioni di cui Roma deve farsi carico, in quanto Capitale d'Italia. Se a tutto ciò aggiungiamo i tagli significativi sui servizi ai cittadini previsti dalla legge finanziaria, ben comprendiamo come dalla diminuzione delle risorse destinate al sistema delle autonomie locali derivi la minore qualità dei servizi, come dimostrano i numerosi dati in materia.
Bisognerebbe domandarsi, parlando di federalismo, come possa un Governo che si dice convinto della necessità di adottare il nuovo ordinamento in esame, proporre soluzioni tanto estranee al federalismo stesso. Lo abbiamo visto nei tagli ai finanziamenti, che vanno nella direzione opposta rispetto a una politica di sviluppo e al riconoscimento dell'autonomia gestionale degli enti e delle amministrazioni locali; lo vediamo oggi, in questa pervicace volontà di misconoscere il ruolo di Roma, attraverso un progetto strategico che ha come baricentro la pianura padana, e in cui il processo di delocalizzazione corrisponde a un'idea ben precisa.
Signor Presidente, intendo concludere il mio intervento laddove esso è iniziato. La norma in esame, di cui proponiamo la soppressione, è frutto di un compromesso tra due forze della maggioranza che piegano Roma per portare a casa ciascuna i propri interessi. Sappiano gli elettori di Alleanza nazionale - e a Roma glielo faremo sapere - che in questo modo i deputati di Alleanza nazionale e il «governatore» Storace tradiscono gli impegni e tradiscono il rapporto con Roma e con la regione Lazio. Sappiano gli elettori della Lega che in questo modo saranno privati della possibilità di concorrere, attraverso i loro rappresentanti, alla definizione dell'ordinamento di Roma Capitale federale perché tale competenza sarà trasferita nelle mani del «governatore» Storace, e non risulta che la Lega abbia rappresentanti nel consiglio regionale del Lazio.
Questo è ciò che tentiamo di denunciare, signor Presidente. Si tratta del primo e simbolico esempio della natura degli accordi che hanno portato alla pax nella maggioranza (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Deiana. Ne ha facoltà.
ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, ritengo che la discussione che stiamo conducendo sul ruolo di Roma sia emblematica e paradigmatica della discussione sul senso generale e sulle finalità del progetto di revisione costituzionale in esame.
Ritengo sia un'ovvietà affermare che bisognerebbe avere una consapevolezza forte della stretta e ineludibile connessione, sia sul piano storico-politico sia, mi permetto di aggiungere, su quello sentimentale, per chi appartiene a questo paese, tra l'esistenza della Repubblica italiana e il fatto che Roma sia la sua capitale. Tale connessione è sancita nella legislazione ordinaria, dalla legge risorgimentale che proclamò la città Capitale del Regno a quelle adottate in epoca repubblicana per interventi di sostegno alle funzioni specifiche della Capitale.
In realtà, dietro la discussione su Roma si nasconde la discussione sull'avvio di un progetto rovinoso consistente nella revisione di parti fondamentali della Costituzione. Si tratta di una discussione in cui il Parlamento della Repubblica è costretto a subire il pesante condizionamento delle strategie antiunitarie e dei calcoli politici della Lega e degli alleati di Governo.
Così, all'inserimento di Roma Capitale in Costituzione fa da ben più corposo contraltare la cosiddetta devolution, cioè quel progetto di sfinimento simbolico e smembramento operativo del tessuto unitario dello Stato italiano che la Costituzione sancisce e che Roma Capitale rappresenta.
Si tratta di un progetto che viene da lontano - ne hanno parlato i colleghi poc'anzi, in particolare il collega Giachetti - e che ha fatto molti adepti anche in ambiti impensabili prima che il ricatto della Lega diventasse il vero collante che tiene insieme la Casa delle libertà. Nell'oltraggiosa definizione con cui la Lega ha costantemente etichettato la Capitale, in quel reiterato e mai accantonato «Roma ladrona» c'è il succo della questione!
MASSIMO POLLEDRI. Presidente, ha detto «Roma ladrona»!
ELETTRA DEIANA. Ma quel succo lo ritroviamo nel comma 2 dell'articolo 32, in quella pretesa di subordinare l'autonomia della capitale entro i limiti e le modalità previsti dallo statuto della regione Lazio.
Personalmente non credo che nel disegno - se c'è un disegno in questo guazzabuglio di proposte che chiamate revisione della Costituzione - vi sia l'idea di regalare Roma al governatore Storace (anche perché Storace non è eterno, anzi io mi auguro che alle prossime elezioni regionali non vi sarà). In realtà, l'idea è molto più radicale ed è quella di derubricare la funzione di Roma come Capitale della Repubblica unitaria a ruolo regionale, sostanzialmente subordinata agli statuti regionali. Non si tratta, quindi, soltanto di una scelta politica e congiunturale, ma è la concretizzazione del disegno strategico che domina l'intero provvedimento: lo smembramento dell'unità nazionale e quindi la consegna della capitale alla dimensione regionale e il suo imprigionamento all'interno delle regole della regione. Il comma 2 parla chiaramente di questo tentativo: per quanto riguarda la reale valenza della specialità di Roma, le sue funzioni, la sua autonomia e le risorse di cui disporre, tutto questo diventa problema regionale.
Vorrei concludere pertanto il mio intervento sottolineando che la questione è di grandissimo rilievo e che il voto contrario a questo articolo spiega molto chiaramente la nostra contrarietà all'impianto generale da cui l'articolo 32 scaturisce (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Olivieri. Ne ha facoltà.
LUIGI OLIVIERI. Signor Presidente, vorrei aggiungere anche la mia riflessione sul complesso degli emendamenti al vigente articolo 114 della Costituzione che non per nulla è il primo articolo del Titolo V, che riguarda una parte assolutamente significativa e determinante del nostro testo costituzionale e che è stata oggetto di intervento riformatore alcuni anni fa, esattamente con la legge 18 ottobre 2001, n. 3, la legge costituzionale che recava nel proprio titolo «Ordinamento federale della Repubblica».
Il mio intervento tende a spiegare le ragioni per cui noi Democratici di sinistra - ma l'opposizione nel suo complesso - siamo assolutamente contrari ad ogni modifica del vigente testo costituzionale e non perché noi siamo coloro che non accettano il processo riformatore, tutt'altro: noi riteniamo che il processo riformatore, quando è essenziale, debba essere attuato, ma non a qualsiasi condizione.
Dico, Presidente, che l'attuale formulazione, ossia che la Repubblica è costituita dallo Stato, dalle regioni, dalle province, dai comuni e dalle città metropolitane, è sufficientemente esaustiva di una concezione specifica, che già esiste e che già esisteva ancora prima dell'intervento costituzionale del 2001: la distinzione tra Stato e Repubblica; ovverosia, il considerare la Repubblica non come una persona giuridica pubblica ma come un ordinamento comunità. Ciò significa che la Repubblica può esprimersi soltanto attraverso le persone giuridiche dello Stato, delle regioni, dei comuni, delle province e delle città metropolitane.
Questa è la ragione sostanziale che, oltre alle argomentate e dotte delucidazioni fornite dal collega Bettini, riguardanti il terzo comma dell'articolo 114 su Roma capitale d'Italia, che si intende emendare, motiva la nostra contrarietà a qualsiasi modificazione dell'attuale articolo 114 della Costituzione (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.
GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, noi riteniamo che l'articolo 114 debba rimanere così com'è, per una ragione sostanziale e di fondo.
Il nostro modello federale non nasce, come altri Stati federali, dall'unione di Stati autonomi, ma da uno Stato unitario. L'articolo 114 della Costituzione, che recita «la Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato», è la chiave di lettura di questo nostro modello federale. Province, comuni, regioni, città metropolitane e Stato sono equiordinati. Hanno tutti la stessa responsabilità nel costituire il patto federativo.
Il centro non è più lo Stato, ma è la Repubblica; questo è il senso della riforma del Titolo V, e pertanto noi vogliamo ancora, anche quest'oggi, ribadire la grande - a nostro modo di vedere - innovazione istituzionale che la passata legislatura ha prodotto.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cento. Ne ha facoltà.
PIER PAOLO CENTO. Signor Presidente, credo che l'articolo oggi in discussione sulla capitale della Repubblica federale mostri con evidenza quale sia il patto scellerato che la maggioranza di centrodestra ed il Governo hanno realizzato su questa riforma costituzionale, e come questo patto scellerato in realtà non abbia messo al centro un disegno politico per il futuro e per le regole del funzionamento del nostro paese, ma semplicemente un accordo che consenta, in questo caso specifico alla Lega e ad Alleanza nazionale, di presentarsi davanti ai propri elettori ingannandoli in merito al risultato raggiunto, dopo una polemica che ha contraddistinto in particolare il centrodestra e la Lega contro Roma, le sue funzioni di capitale, la sua capacità di essere città guida in un sistema unitario nazionale, quali sono il nostro paese e la nostra Repubblica costituzionale.
Allora, anziché fare i conti con la necessità (che io credo qualsiasi persona in buona fede abbia potuto verificare direttamente), di dotare Roma di strumenti e ruoli che, al pari delle altre grandi capitali europee, la mettano in condizione di svolgere adeguatamente la propria funzione di capitale, con questo articolo della Costituzione Roma viene ridotta a ruolo marginale, resa subalterna per un calcolo politico alla regione Lazio, solo perché oggi, mentre discutiamo di questa riforma, alla regione Lazio vi è il governatore Storace del centrodestra, così che Alleanza nazionale potrà utilizzare questo argomento miope nella prossima campagna elettorale regionale.
Di questo, certamente, anche in ragione di questo voto e della modifica costituzionale che stiamo discutendo oggi, si ricorderanno i cittadini di Roma e del Lazio, i quali non cadranno nella trappola e, anche per questa ragione, bocceranno una meschina operazione e bocceranno il governatore Storace, in occasione della prossima competizione elettorale.
Tuttavia, nel momento in cui Roma assume quelle dimensioni territoriali, economiche e sociali giustamente ricordate in precedenza nel corso degli interventi di altri colleghi dell'opposizione - in particolare dal collega Bettini e dal collega Giachetti -, noi pensiamo di risolvere in maniera miope e demagogica la questione di Roma capitale, delegando la definizione dei suoi ruoli e delle sue competenze, necessariamente particolari, ed affidando alla regione Lazio il compito di occuparsene nell'ambito del suo statuto. Infatti, lo statuto regionale è stato approvato e sappiamo con quale lungimiranza si è guardato al rapporto, che pure ci deve essere ed è fondamentale, tra la potestà regionale ed una grande città come Roma, che aspira a trasformarsi e a divenire una grande area metropolitana. È un argomento di cui nessuno parla, ma che rimane uno degli obiettivi strategici, se si vuole dotare la capitale di funzioni adeguate.
Più volte, come gruppo dei Verdi e non solo, avevamo affermato, anche in questa sede, che vi erano un modo e uno strumento per affrontare la peculiarità di Roma capitale, cioè quello di una legge ordinaria nell'ambito di una discussione parlamentare unitaria, perché Roma è questione non soltanto dei romani e dei cittadini di Roma ma è questione nazionale, che riguarda i parlamentari ovunque eletti nel territorio nazionale. Avevamo affermato: si affronti, in questa sede, con gli strumenti ordinari, una discussione seria sui poteri da attribuire a Roma, e magari nella stessa sede si affronti anche...
PRESIDENTE. Onorevole Cento...
PIER PAOLO CENTO. ... la questione dei poteri delle altre città. Purtroppo, si è preferita la polemica politica e - mi sia consentito - anche la polemica razzista, quella che consente, magari, al sindaco Albertini di fare battute da quattro soldi nei confronti di Roma, strumentalizzando i fatti accaduti allo stadio Olimpico e dimenticando ciò che accadeva allo stadio San Siro, dove venivano lanciati i motorini. Questa è la conseguenza di un dibattito svoltosi in maniera demagogica, che rischia di mettere Roma contro Milano e contro le altre città italiane. Noi non cadremo in questa trappola.
Questa è la ragione per cui riproponiamo, in questa sede, la soppressione dell'articolo 32 del disegno di legge costituzionale in esame e la necessità di affrontare la questione di Roma e dei poteri delle altre grandi città del nostro paese con legge ordinaria e non con «accordicchi» e pastrocchi come questi, che ledono l'intelligenza oltre che la nostra Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Verdi-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà.
BRUNO TABACCI. Signor Presidente, in realtà, come ha testé dichiarato l'onorevole Bressa, i parlamentari del centrosinistra non intendono modificare l'articolo 114 della Costituzione, così come è stato da essi voluto nella scorsa legislatura. In quella stesura, sono posti sullo stesso piano il ruolo dello Stato e quello delle sue articolazioni periferiche, in ciò determinandosi un evidente vulnus rispetto all'articolo 5 della Costituzione, che non soltanto prevede che la Repubblica è una e indivisibile ma che riconosce e promuove il sistema delle autonomie locali. Mi chiedo: come si può rivendicare, poi - come è stato fatto anche in sede autorevole - l'inserimento di clausole di supremazia che i presidenti dei gruppi della maggioranza hanno apposto all'articolo 120, ma che, in realtà, dovrebbero essere più correttamente apposte all'articolo 117, se mettiamo sullo stesso piano lo Stato e gli enti locali?
L'onorevole Bressa - credo - non vuole modificare questo testo per ragioni politiche, non per altro. Innanzitutto, non c'è la voglia di riconoscere fino in fondo che ciò che è stato realizzato nella passata legislatura è stato un «anticipo» sbagliato. L'autocritica non si è spinta fino a questo punto. Non lo si vuole riconoscere, come se l'aver cambiato la Costituzione con una maggioranza risicata rappresentasse uno spunto buono. L'onorevole Bressa ha difficoltà a riconoscerlo.
GIANCLAUDIO BRESSA. Nessuna difficoltà!
BRUNO TABACCI. Inoltre, nel merito, il ricorso, non ad un sano regionalismo, ma ad un federalismo un po' affrettato li ha indotti a porre sullo stesso piano lo Stato e le regioni.
Ho presentato un emendamento che tende a correggere questo testo. Prendo atto del parere contrario che il relatore ha espresso con molta cortesia, ma vorrei ricordare che su questo punto si è già determinata una convergenza tra i capigruppo della maggioranza e gli onorevoli Bressa e Boato. Com'è noto, il parere favorevole sull'emendamento Elio Vito 32.200 e sull'emendamento già riformulato Boato 32.5 porta a correggere il testo con riferimento ai principi di leale collaborazione e di sussidiarietà. A mio avviso, ciò non risolve completamente il problema; prendo atto tuttavia che è stato compiuto un passo in avanti; è come riconoscere che, in tale fase, agendo frettolosamente, siano nati i «gattini ciechi» che hanno prodotto una serie di momenti difficili di fronte alla Corte costituzionale.
Voglio vedere dove collocherete esattamente la clausola di supremazia dello Stato o dove tratterete il problema della difesa dell'unità giuridica ed economica del paese, perché è lì che si realizza un obiettivo importante. Poiché stiamo discutendo di principi (poi vedremo quanto costeranno), già in questa fase possiamo individuare il senso della discussione.
Questa mattina sono rimasto molto deluso dal modo in cui il centrosinistra, confidando sulla sfida referendaria, ha interrotto un dialogo che poteva essere positivo. Si può anche vincere la sfida referendaria di fronte ai cittadini elettori, ma non è detto che, percorrendo questa strada, si compia l'interesse generale del paese. È possibile, invece, che si tratti di una scorciatoia. E l'onorevole Prodi, che vuole candidarsi come figura guida del paese, ha preso una scorciatoia. Ci sarebbe stato il tempo e il modo per dare contenuto più profondo alla discussione che stiamo svolgendo in quest'aula (Applausi dei deputati del gruppo dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro).
PRESIDENTE. Avverto che è stata chiesta la votazione nominale.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Leoni 32.6, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 456
Votanti 448
Astenuti 8
Maggioranza 225
Hanno votato sì 193
Hanno votato no 255).
Prendo atto che l'onorevole Bottino non è riuscito a votare e che avrebbe voluto esprimere voto favorevole.
Prendo atto altresì che l'onorevole Giuseppe Gianni non è riuscito a votare.
Passiamo alla votazione dell'emendamento Landolfi 32.71.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pasetto. Ne ha facoltà.
GIORGIO PASETTO. Signor Presidente, l'emendamento in esame, sottoscritto dai colleghi di Alleanza nazionale Landolfi, Armani e Malgieri è molto interessante e scopre la vera posizione del gruppo di Alleanza nazionale, con buona pace del suo governatore, reintroducendo qualcosa di antica memoria: Roma capitale dello Stato federale. Invito i colleghi a leggere attentamente l'emendamento in esame.
Ebbene, questa è la verità, questa è la posizione che Alleanza nazionale ha portato avanti già nella fase precedente, quando prevedemmo Roma capitale del paese e fissammo in Costituzione che con l'ordinamento ordinario si sarebbe predisposta l'articolazione di questo tessuto.
Ebbene, la verità è che oggi ci troviamo di fronte ad un pasticcio, perché tra questa posizione, che è la vera posizione di Alleanza nazionale, e quella del suo governatore, vi è stato un compromesso, che individua due modalità di intervento sulla città. Questo significa che non se ne farà nulla, che ci saranno contrasti, che non c'è la specificità, che si negano tutte le considerazioni e le valutazioni che qui i colleghi Bettini e Giachetti hanno espresso.
In questo modo si annulla - al di là delle grandi affermazioni dei colleghi di Alleanza nazionale, del vicepresidente, di Storace - la specificità di Roma, il suo ruolo internazionale, la sua dimensione spirituale. Roma viene sostanzialmente ridotta.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIER FERDINANDO CASINI (ore 15,55)
GIORGIO PASETTO. Ed è proprio la lettura di questo emendamento che dimostra la volontà reale di trovare un punto di compromesso, vista la volontà della Lega Nord Federazione Padana - che si è fatta sentire fortemente - , che si dichiarò d'accordo all'istituzione di un'altra regione (perché questo era il punto sostanziale sul quale la Lega Nord Federazione Padana si è mossa). Ma questo era troppo per Alleanza nazionale e allora si è trovato il punto di compromesso, con il quale, ripeto, non si dà alcun tipo di risposta. Questa è la denuncia che noi facciamo.
Ma ne facciamo un'altra. Vedete, in questi giorni, non solo il governatore Storace, ma tutti gli esponenti di Alleanza nazionale hanno gridato allo scandalo, unitamente agli altri governatori, perché questa soluzione non piace loro (non questa nello specifico). Sappiamo che vi è una mobilitazione dei presidenti delle regioni, ma non una parola, non un intervento, non una questione sono stati sollevati in ordine al problema di Roma.
Invito Storace, tra tutta questa potenza mediatica, in mezzo all'inondazione di comunicati che abbiamo tutti i giorni, ad individuarne uno in tal senso. Non gli sta bene questa riforma federalista! Non gli sta bene il rapporto con le regioni, ma gli sta bene l'articolo che abbiamo votato! Gli sta bene! Non lo voteremo! Non lo voterete! Non so quello che faranno i colleghi di Alleanza nazionale, ma non una parola è stata detta su Roma. Allora, è bene che si sappia, qui in Parlamento - e che lo sappiano i romani -, che in verità c'è un disegno contro la città e contro la stessa regione (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Prendo atto che i presentatori ritirano l'emendamento Landolfi 32.71. Passiamo all'emendamento Perrotta 32.70.
ALDO PERROTTA. Chiedo di parlare per motivarne il ritiro.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ALDO PERROTTA. Signor Presidente, a dire la verità, questo emendamento mira soltanto a sollevare il problema delle città metropolitane. Negli anni Settanta, quando abbiamo concepito le città metropolitane, siamo partiti dal presupposto che poi avremmo eliminato le province. La verità è che le province restano e le città metropolitane non si fanno. Allora, nel ritirare l'emendamento, vorrei solo ricordare all'Assemblea che un giorno, prima o poi, le città metropolitane dovremo istituirle.
PRESIDENTE. Passiamo all'emendamento Carrara 32.9.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Carrara. Ne ha facoltà.
NUCCIO CARRARA. Signor Presidente, l'emendamento che proponiamo non inciderà sicuramente sui meccanismi della Costituzione, però è giusto che si ricordi che mettere il termine Stato accanto a quello di regioni, province, città metropolitane e comuni può ingenerare qualche confusione.
Ricordo a me stesso che, nella Costituzione previgente, l'articolo 114 recitava espressamente che la Repubblica si ripartiva in regioni, province e comuni, senza aggiungere il termine Stato. Ciò ha una logica, poiché lo Stato è il tutto, laddove gli altri rappresentano la parte.
La Repubblica è la forma dello Stato, mentre la Repubblica federale è una ulteriore, particolare forma dello Stato. Pertanto, osservo che sarebbe più corretto sopprimere le parole «e Stato» dal primo comma dell'articolo 32 del disegno di legge costituzionale in esame, poiché, ad esempio, un domani non si potrà più parlare di Stato federale, essendo lo Stato una figura posta accanto alle province, ai comuni e alle città metropolitane.
Per questo motivo, suggerirei di recuperare, in tale ambito, lo spirito dei padri costituenti, perché è fin troppo ovvio che, quando nella Costituzione si parlerà di Stato (come già avviene e come già avveniva), il riferimento sarà, fin troppo ovviamente, agli organi centrali dello Stato stesso.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maran. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il federalismo - o, come potremmo dire altrimenti, questa esigenza di libertà dal basso -, si può esprimere in due modi molto diversi: uno è l'anticamera delle secessioni, mentre l'altro cerca di far corrispondere l'attenzione degli affari collettivi alle responsabilità individuali, ponendo fine a quell'assetto centralistico che ha trasformato cittadini e comunità in sudditi.
In Italia, abbiamo fatto pericolosamente convivere queste due tendenze, senza mettere a nudo il diverso significato insito in esse. Non so per quali ragioni l'onorevole Bossi abbia tirato fuori la secessione; non so se lo abbia fatto per intuito, per convinzione, oppure perché è stato «infettato» da un virus che, anche al di là dei nostri confini nazionali, porta le comunità delle aree più ricche a chiudersi dinanzi ad un mondo percepito come un rischio, e non come un habitat da migliorare per il nostro futuro. Fatto sta che Bossi ha manifestato un atteggiamento che corrisponde al primo dei due significati di federalismo: liberiamoci degli altri, diamoci un'organizzazione autonoma e non avremmo più «impacci» e problemi tra i piedi! Tale sentimento conduce dritto verso la secessione, vale a dire verso un modello organizzativo che è l'opposto di ciò di cui oggi il mondo ha bisogno.
È anche vero, tuttavia, che nel XX secolo ci siamo abituati ad una concezione dello Stato come soggetto detentore esclusivo del potere pubblico, mentre oggi non è più così. Bisogna abituarsi, infatti, all'idea di assetti multistituzionali e multilivello: si parla, al riguardo, di multilevel system of government. Si tratta di una formula che non ha un grande sex appeal, ma coglie perfettamente una realtà che non è più costituita da Stati come entità tra loro separate ed indipendenti le une dalle altre. Nessuno può pensare ancora - e non soltanto per l'esperienza internazionale, ma anche per quella interna - di affidarsi esclusivamente ai vecchi contenitori statuali, perché troppi fenomeni stanno «scappando», sia in alto, sia in basso: inseguirli con i nostri vecchi apparati statali e con la vecchia concezione sarebbe come cercare di fermare l'acqua di un fiume con un secchio!
Per questa ragione è fondamentale il riconoscimento delle responsabilità locali, sapendo, tuttavia, che non sarà possibile costruire un sistema istituzionale multilivello senza una solidarietà globale. Ciò perché è come se ci trovassimo davanti ad un'unica comunità, i cui problemi sono risolvibili qualche volta dall'alto e qualche altra dal basso. Per questo motivo, è un errore rinchiudersi sia nelle proprie comunità locali, sia in una vecchia concezione di Stato, poiché non esiste federalismo senza solidarietà verso gli altri livelli.
Per funzionare il federalismo presuppone un atteggiamento cooperativo: infatti, senza solidarietà e senza un sistema plurilivello tra le varie componenti non c'è né federalismo, né un sistema di multilivello nel Governo. Per questo motivo, riteniamo preferibile la vigente formulazione del Titolo V della Costituzione (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.
GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, colgo l'occasione dell'esame dell'emendamento Carrara 32.9 per rispondere alle acute, ma maliziose osservazioni formulate dal collega Tabacci. La nostra difesa del vigente articolo 114 della Costituzione, infatti, è sì motivata da ragioni politiche, ma si tratta di ragioni di politica costituzionale, non di opportunità politica, e dunque di «politica politicante».
Onorevole Tabacci, l'articolo 114, così come riformulato con la riforma del Titolo V della Costituzione, è proprio figlio dell'articolo 5. È, in qualche modo, un'esplicazione dello stesso articolo 5. Tale articolo dice che è la Repubblica, una e indivisibile, che riconosce e promuove le autonomie locali.
Lo dicevo prima e lo ripeto: quando si cerca di avviare un processo di federalizzazione in uno Stato unitario bisogna trovare le ragioni del foedus, del patto. Le ragioni del patto sono che, in una dimensione federale dell'organizzazione dello Stato, i soggetti - Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni - sono equoordinati; sono i soggetti che stringono tale patto.
Giustamente, accogliendo l'invito ad una riflessione autocritica rispetto all'attuazione del Titolo V - pur senza anticipare riflessioni che svolgeremo in seguito - noi, rendendoci conto di una «maldestra» applicazione dei contenuti fondamentali, in senso federale, del Titolo V, non abbiamo avuto alcuna difficoltà ad introdurre un'ipotesi che taluni chiamano di clausola di supremazia e che noi chiamiamo, invece, di riconoscimento dell'interesse generale.
Noi collochiamo tale norma nel punto più corretto, non nell'articolo 120, in cui è stabilito il potere sostitutivo, ma nell'articolo 117, e la scriviamo in modo che, ai fini della garanzia di valori costituzionali - si riconosce, quindi, la necessità che qualcuno assuma un ruolo di garante di tali valori fondamentali -, spetta comunque alla legge dello Stato e, pertanto, al Parlamento - e non a questo Stato-moloch, a questo Stato centrale che, di per sé e in sé, riassume tale funzione - la tutela degli interessi della Repubblica. Si riconosce, dunque, che, rispetto alla lettera della precedente Costituzione, il Titolo V ci ha fatto compiere un passo in avanti, meritevole di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale, nel rispetto dei principi di leale collaborazione e di sussidiarietà. Si tratta di principi che sono recepiti, a mio modo di vedere, in maniera corretta ed intelligente già in questo articolo 114, ma di ciò ne parleremo in seguito.
Ecco perché non vi è alcun imbarazzo, né rispetto a ciò che abbiamo fatto, né per spiegarlo - non giustificarlo - da un punto di vista politico e di correttezza costituzionale. Da tale punto di vista crediamo di avere svolto, fino in fondo, la nostra parte di riformatori autentici, di coloro i quali hanno varato una riforma importante - quella del Titolo V della Costituzione - e che, di fronte ad alcuni elementi di non perfetta possibilità di attuare quello spirito, sono anche disposti a valutare criticamente l'opera compiuta ed a produrre alcune modifiche che vadano nella direzione che quel solco aveva tracciato e non in una direzione che ci faccia tornare indietro.
Noi crediamo davvero che lo Stato federale sia un'occasione importante per la nostra Repubblica. Abbiamo costruito quella riforma; stiamo costruendo, attraverso gli emendamenti, un percorso che riteniamo essere di grande prospettiva e di modernità istituzionale per il nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Verdi-L'Ulivo).
NUCCIO CARRARA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NUCCIO CARRARA. Signor Presidente, per non riprodurre due volte lo stesso dibattito e per non votare tre volte, poiché i miei emendamenti 32.9 e 32.8 e l'emendamento Tabacci 32.74 contengono, sostanzialmente, la stessa previsione e ritenendo che il mio emendamento 32.8 sia formulato meglio, ritiro il mio emendamento 32.9 e mi riservo di intervenire sul mio successivo emendamento 32.8.
PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Carrara.
Passiamo alla votazione dell'emendamento Tabacci 32.74.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Gerardo Bianco. Ne ha facoltà.
GERARDO BIANCO. Signor Presidente, credo che la proposta emendativa presentata dall'onorevole Tabacci - che, peraltro, coincide con l'emendamento Carrara 32.8 - elimini quella che, a mio avviso, è stata una formulazione infelice...
PRESIDENTE. Onorevole Gerardo Bianco, considerati i nostri rapporti di amicizia, le preciso che abbiamo tenuto distinte queste proposte emendative. Infatti, in termini costituzionali, il primo emendamento...
GERARDO BIANCO. Posso svolgere una dichiarazione di voto, signor Presidente? È consentito...
PRESIDENTE. Onorevole Bianco, il mio intervento era ad adiuvandum. Lei ha affermato che le due proposte emendative sono uguali ma, in realtà, nell'una si afferma che la Repubblica «si riparte» e nell'altra che la Repubblica «è costituita»...
GERARDO BIANCO. Mi scusi, signor Presidente, non avevo colto il senso del suo giusto intervento.
Nel merito, osservo che si tratta di un testo che elimina quella che ritengo essere stata un'infelice formulazione che ha praticamente declassificato lo Stato, ponendolo a livello delle regioni, dei comuni e quant'altro.
Ho ascoltato l'intervento dell'onorevole Bressa che, come al solito, è sempre molto acuto. Tuttavia, mi permetto di richiamare proprio l'articolo 5 della Costituzione citato dall'onorevole Tabacci, in cui, nella seconda parte, si parla dello Stato e del concetto di Stato. Non intendo svolgere, al riguardo, discussioni di carattere giuridico o di dottrina: la lunga dottrina della formazione dello Stato ci porterebbe a concepire quest'ultimo come qualcosa di molto più ampio nell'ambito del territorio e dei poteri. Tuttavia, mi sembra che tale formulazione faccia coincidere il concetto di Stato con quello di Repubblica una e indivisibile. Pertanto, a mio avviso, l'emendamento in esame andrebbe approvato ed io voterò a favore. Questi emendamenti - ripeto - correggono una stortura introdotta nella precedente legislatura.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Diliberto. Ne ha facoltà.
OLIVIERO DILIBERTO. Signor Presidente, noi voteremo a favore della soppressione del riferimento allo Stato contenuto nell'articolo 114 della Costituzione. Lo faremo con convinzione, perché in questo modo intendiamo rimediare ad un errore che giudichiamo molto serio, commesso per precipitazione politica nella ben nota accelerazione dei lavori impressa alla fine della scorsa legislatura. Riguardo a questa accelerazione, altri prima di me hanno fatto autocritica, anche nel centrosinistra, per ragioni di metodo politico, pur rilevantissime, vista la necessità di concordare le riforme tra le diverse parti della maggioranza e dell'opposizione. Onorevole Tabacci, lei ha ricordato il tema dell'autocritica: noi, in questo caso, facciamo autocritica di merito e chiedo anche ai colleghi di centrosinistra un attimo di attenzione. Infatti, sin dai tempi della Commissione bicamerale e, poi, nel dibattito in Assemblea, nel primo scorcio della riflessione sui mutamenti costituzionali, noi ci dichiarammo contrari a mettere sullo stesso piano nell'articolo 114 comuni, province, città metropolitane, regioni e Stato. La Repubblica è costituita da questi enti, come recita l'attuale articolo 114.
Su questi temi la precipitazione è una pessima consigliera, soprattutto perché - lo ha testé affermato l'onorevole Gerardo Bianco - su questa materia vi sono secoli e, anzi, in qualche caso, alcuni millenni di riflessione e di dibattito, fin dalla nascita delle città-Stato (parliamo, perlomeno, del V secolo avanti Cristo), con la riflessione che ha attraverso tutto il costituzionalismo sino alla rivoluzione francese. Si tratta del rapporto tra Stato, territorio ed entità sottostanti.
Ebbene, giudichiamo un errore sul piano istituzionale e, quindi, anche politico l'aver posto sullo stesso piano lo Stato rispetto agli altri enti territoriali. Non vi è dubbio che lo Stato possa essere anche inteso come un ente territoriale, ma esso è il massimo tra gli enti territoriali, distinguendosi dagli altri proprio perché lo Stato medesimo esercita sul proprio territorio un potere sovrano prioritario, condizionante, dunque, quello di tutti gli altri enti; altrimenti, non è Stato.
Lo Stato coincide con l'ordinamento giuridico a fini generali, esercitando il potere sovrano su un dato territorio cui sono subordinati in modo necessario i soggetti ad esso appartenenti. Ho voluto riportare testualmente - lo dico ai colleghi della Margherita e all'onorevole Bressa - la definizione data da uno dei più grandi costituzionalisti contemporanei di matrice cattolico democratica, Costantino Mortati, non foss'altro perché della Costituente è stato anche uno dei padri fondatori.
Dunque, lo Stato è un entità che raccoglie in unità tutte le sue parti, proprio perché vi è supremazia del primo sulle altre; pertanto, esso non può essere posto sullo stesso piano delle seconde.
Non a caso, l'articolo 5 della Costituzione, ora ricordato, recita che la Repubblica è una ed indivisibile e che lo Stato può decentrare sul territorio competenze agli enti substatali. Badate, questo vale in uno Stato centralistico, ma vale esattamente anche per uno Stato federale e persino per quel «pasticcio» che state costruendo, che di Stato federale non presenta alcuna traccia! Vale anche in questo caso!
La Repubblica è la forma costituzionale dello Stato: questo è chiarissimo proprio dalla lettura della Costituzione repubblicana nei rapporti con gli altri Stati - articolo 11 - e, argomento che a mio avviso è concludente, ove la volontà politica non vorrà prevaricare sulla chiarezza della lettera della Costituzione, dalla lettura del combinato disposto degli articoli 117, così come riformato, e 7 ed 8 della Costituzione vigente in materia di rapporti fra l'Italia e le confessioni religiose. È chiarissimo: infatti, nell'articolo 117, riformato, come è noto, nella scorsa legislatura, i rapporti con le confessioni religiose vengono definiti rapporti fra la Repubblica e le confessioni religiose e agli articoli 7 ed 8, nella parte dedicata ai principi generali, si dice che i rapporti con la Chiesa e con le altre confessioni religiose sono tenuti dallo Stato.
Infine, vorrei ricordare che l'articolo 87 della Costituzione prevede che il Presidente della Repubblica sia il Capo dello Stato.
Allora, l'articolo 114 della Costituzione, così com'è concepito, «colpisce» l'impianto dell'intera Costituzione, tanto più quello della prima parte della Costituzione dedicata ai principi e ai diritti fondamentali; stravolge secoli di consolidata dottrina costituzionalistica, perché lo Stato è strutturalmente istituzione diversa dagli enti territoriali, non a caso denominati come sottostanti.
E allora: possiamo oggi porre rimedio, votando favorevolmente all'emendamento presentato dal collega Tabacci, ad un errore; non ho alcun motivo di nascondere l'autocritica per questo errore commesso, per lealtà rispetto alla maggioranza della quale eravamo parte al termine della scorsa legislatura. Tuttavia, di errore si tratta ed ora abbiamo la possibilità di rimediare. Voteremo pertanto a favore dell'emendamento in esame (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani e di deputati della Margherita, DL-L'Ulivo e di Alleanza nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà.
BRUNO TABACCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei in primo luogo ringraziare i colleghi Gerardo Bianco e Diliberto, cogliendo l'occasione per tentare di formulare una risposta assai rapida al collega Bressa.
Credo che nella passata legislatura sia stata compiuta una scelta che non ha eguali nel costituzionalismo contemporaneo, a cominciare proprio dagli Stati federali. Il federalismo infatti è un tratto costitutivo dello Stato, che presenta una struttura articolata e che riconosce dignità costituzionale alle minori unità territoriali.
La Repubblica quindi si identifica sostanzialmente con lo Stato; se smarrisce il suo collegamento con lo Stato, la Repubblica diviene un concetto privo di contenuti. Quali sono infatti i suoi organi, quali i suoi poteri ed in che forma manifesta la sua volontà?
Vi è di più, come ho già ricordato: l'articolo 5 della Costituzione prevede tuttora che la Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali, attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento, e quant'altro.
In quel caso, la Repubblica si identifica chiaramente con lo Stato; potremmo dire che, mentre per l'articolo 5 il federalismo, o regionalismo che dir si voglia, è un attributo positivo dello Stato e ne determina il modo di essere e di operare, nell'articolo 114 della Costituzione il federalismo sembra divenuto quasi un'imposizione, un limite ed un vincolo esterni al quale lo Stato si deve sottomettere e che, peraltro, non si comprende bene chi dovrà far valere.
Per l'articolo 5, lo Stato, proprio perché federale, può essere un garante credibile dell'unità e dell'indivisibilità della Repubblica; per l'articolo 114 della Costituzione, il garante di tali valori non sembra più esistere ed è affidato alla libera dialettica fra i poteri territoriali e autonomi, con le conseguenze che sono all'attenzione della Corte costituzionale.
Inoltre, onorevole Bressa, se non affermiamo tale principio, come si fa ad introdurre la cosiddetta clausola di supremazia nell'articolo 117? Guarda caso, il mio emendamento è collocato due emendamenti prima del suo, quindi non ero certamente disattento...!
Il mio emendamento 32.74 è esattamente coincidente con l'emendamento Carrara 32.8. La distinzione sta solo nel fatto che il mio emendamento dice che la Repubblica «si riparte» mentre l'emendamento Carrara 32.8 dice che la Repubblica «è costituita». Poiché non la ritengo una distinzione lessicale decisiva, non ho alcuna difficoltà a ritirare il mio emendamento e convergere sull'altro, purché in aula si raccolga quello che mi pare un comune sentire: porre rimedio ad un errore oggettivo introdotto con la legge approvata nella passata legislatura. Ciò anche per recuperare equilibrio nei poteri dello Stato, che credo sia una delle condizioni forti della democrazia.
PRESIDENTE. Onorevole Tabacci, intende dunque ritirare il suo emendamento?
BRUNO TABACCI. Signor Presidente, poiché, a mio avviso, la formulazione dei due emendamenti è esattamente coincidente, ritiro il mio emendamento e chiedo di sottoscrivere l'emendamento Carrara 32.8.
PRESIDENTE. Sta bene.
OLIVIERO DILIBERTO. Signor Presidente, facciamo nostro l'emendamento Tabacci 32.74.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, un emendamento ritirato può essere fatto proprio da un presidente di gruppo, ma...
GIOVANNI RUSSO SPENA. Signor Presidente, lo faccio mio, a nome del gruppo di Rifondazione Comunista.
PRESIDENTE. Sta bene.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Acquarone. Ne ha facoltà.
LORENZO ACQUARONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, da un punto di vista politico-istituzionale non avrei ritenuto opportuno prendere la parola perché condivido pienamente le osservazioni del collega Diliberto. Tuttavia, vorrei aggiungere una considerazione a difesa di una posizione scientifica che ho sempre sostenuto e che, quindi, ritengo doveroso sostenere anche in quest'aula.
La distinzione tra Repubblica e Stato, così vivacemente criticata, ha in realtà una radice culturale antica. Infatti, si rifà a studi importanti, come quelli di Cesarini Sforza e Balladore Pallieri, che tendevano a distinguere Stato-ordinamento, Stato-apparato e Stato-persona. Se fossimo ancora nella situazione trattata da tali autorevoli studiosi, la distinzione dell'articolo 114, così come votato frettolosamente nella scorsa legislatura, avrebbe un senso. Tuttavia, nel momento in cui abbiamo attribuito potestà legislativa alle regioni, la distinzione tra Stato ordinamento e Stato persona muore perché l'ordinamento giuridico non è composto soltanto da leggi dello Stato-ordinamento, cui era sottoposto lo Stato-apparato con le regioni, le province ed i comuni.
Nel momento in cui attribuiamo potestà legislativa, soprattutto a carattere esclusivo, alle regioni, muore la distinzione tra Stato-ordinamento e Stato-persona. Quindi, anche per queste ragioni - oltre che per quelle esposte sul piano istituzionale dal collega Diliberto, nelle quali, ripeto, mi riconosco -, che in un certo senso sono nostalgicamente legate alla mia cultura giuridica, per aver passato anni a studiare questi problemi, voterò a favore dell'emendamento in oggetto, così come mi auguro facciano gli altri colleghi del mio gruppo (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Pop-UDEUR e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Soda. Ne ha facoltà.
ANTONIO SODA. Signor Presidente, nel dichiarare che voteremo contro questo emendamento, per evitare di ripercorrere un dibattito che si è già svolto, in quest'aula, nel corso della passata legislatura, rammento che il fondamento del testo allora approvato (e sottoposto poi anche a referendum), trae origine dalla stessa intuizione che ebbero i Costituenti proprio con riferimento al più volte richiamato articolo 5. Al di la di classificazioni dogmatiche (Stato-apparato, Stato-comunità, Stato-ordinamento), che appartengono a tutta la cultura giuridica dell'Ottocento e dei primi cinquant'anni del secolo trascorso, in realtà i Costituenti italiani scrissero un articolo di estrema modernità, nel quadro di una ricerca del pluralismo dei poteri e del decentramento, che per molti anni fu portata avanti dalla sinistra, perché - non dimentichiamolo - in questo paese fu la sinistra ad abbracciare per prima la cultura del federalismo; sono tardivi, infatti, gli approdi al federalismo da parte della destra, così come sono tardivi (e forse strumentali) gli approdi al federalismo da parte della Lega. Non spetta a me dirlo, ma storicamente il federalismo nasce nel settore «sinistra» della politica. Ebbene, i Costituenti scrissero, all'articolo 5, che la Repubblica riconosce e promuove le autonomie locali.
Il dibattito che si svolse nell'Assemblea costituente sull'uso del termine «riconosce» (dove qualcuno lo scrisse come «ri-conosce») sta proprio ad indicare che gli enti politici territoriali propri della storia italiana, le regioni (così come si costruirono nell'Ottocento), ma soprattutto i comuni, che sono tipica ed originale costruzione italiana, non sono frutto di un atto di imperio da parte dello Stato unitario, bensì preesistono ad esso come ordinamento. È per questo che la Repubblica li «riconosce» e non li «istituisce». Dunque, la Repubblica conosce l'esistenza di questa storia di autonomie... Vedo il collega Vertone fare cenno contrario, ma questa è la storia dell'articolo 5: la Repubblica riconosce, cioè prende atto che, nella realtà istituzionale italiana, vi sono dei soggetti politici territoriali che, per storia, cultura e funzione, hanno avuto in sé dei nuclei autentici di sovranità. Questa è la storia dell'articolo 5.
D'altra parte, l'articolo 134 della Costituzione del 1948 attribuisce alle regioni la potestà di promuovere conflitti di attribuzione nei confronti dello Stato, perché nell'articolo 5 si riconosce alla regione, l'ente politico territoriale più alto, dotato di potestà legislativa (è quella potestà che caratterizza l'ente politico, il quale concorre con le sue leggi a creare l'ordinamento giuridico), una posizione di parità con lo Stato. Non bisogna avere timore a riconoscerlo!
La regione, anche nella Costituzione del 1948, nell'esercizio della potestà legislativa (la Costituzione gliela riconosce), è su un piano di parità con lo Stato, tant'è vero che può promuovere conflitti di attribuzione e far pronunciare alla Corte costituzionale una dichiarazione di illegittimità, vale a dire di contrarietà all'ordinamento delle leggi dello Stato. Quindi, la posizione paritaria di questi enti politici territoriali trova fondamento già nella Costituzione del 1948, nella cultura dei Costituenti, i quali non scrissero che lo Stato crea le autonomie territoriali, perché, come le può creare, le può distruggere, come le può esaltare, le può mortificare.
La Costituzione del 1948 riconosce e promuove tali enti e, così facendo, obbliga il legislatore nazionale e, quindi, lo Stato, nei suoi poteri di legislazione, non a creare o a distruggere le autonomie, ma a riconoscerle (perché preesistono) ed a promuoverle; in tal modo, si compie una scelta a favore del pluralismo dei poteri, di un grande ed autentico decentramento democratico, come all'epoca si affermò (a mio avviso era più corretto). Successivamente, è stata introdotta l'espressione «federalismo», perché questo è il senso del cammino della storia delle nostre comunità.
Quindi, quando, con riguardo all'articolo 114, si dice che «La Repubblica è costituita da (...)», si vuol far riferimento all'ordinamento, all'insieme degli organi, delle strutture, delle norme e delle istituzioni. È la realtà dei fatti. Il legislatore costituente del 2001 ha portato a compimento l'intuizione originaria del legislatore del 1948.
Solo chi si rinchiude in una sorta di classificazione dogmatica non riesce a comprendere l'evoluzione stessa degli ordinamenti giuridici nonché l'evoluzione dei medesimi, le regole, le istituzioni ed i messaggi che essi vogliono dare: affermando o negando certi principi, sono il frutto della storia e della cultura di un popolo che non si lascia imprigionare, collega Diliberto, in qualche classificazione dogmatica.
Pertanto, voteremo per la conservazione di questo principio, perché intende garantire fino in fondo che dalla strada dell'autonomia autentica, equilibrata ed unitaria, come afferma l'articolo 5 della Costituzione, nessun altro legislatore può tornare indietro impunemente, cioè senza scalfire e violare la Costituzione.
Capisco il portato del dibattito scientifico e dottrinario, nonché le osservazioni dell'onorevole Acquarone, che non mi lasciano indifferente. Anch'io conosco le classificazioni giuridiche che fanno riferimento allo Stato-apparato, allo Stato-ordinamento ed allo Stato-comunità (sono classificazioni frutto della storia e della cultura tardo-ottocentesca che ha caratterizzato la prima parte del nostro secolo), ma non si può dimenticare che la Costituzione italiana è di straordinaria modernità e che l'articolo 114, definito nel 2001, porta a compimento quella grande intuizione profetica dei costituenti.
Invito, pertanto, i colleghi dell'Assemblea ad esprimere un voto contrario sull'emendamento in esame (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Verdi-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pacini. Ne ha facoltà.
MARCELLO PACINI. Signor Presidente, per fornire una chiave di lettura al mio intervento, dico subito che sono contrario all'emendamento in esame, in quanto ci riporta indietro negli anni, introducendo un pericoloso vulnus nella recente tradizione federalista italiana.
Quando abbiamo cominciato a parlare di federalismo, abbiamo dibattuto a lungo su quale fosse la base delle entità che dovevano federarsi; qualcuno ha parlato delle cento città italiane, facendo l'ipotesi precisa di ricorrere alla base della provincia ma, ben presto, si è affermato il livello regionale quale livello più confacente per interpretare il nostro desiderio di costituire uno Stato federale. Ci siamo scontrati da subito con il discorso di fornire una legittimazione in ordine all'oggetto della federazione e abbiamo visto che, in fondo, le tradizioni che più si sposavano con questo nostro desiderio non erano quelle idealistiche dello Stato, che è la forma della nazione e della Repubblica, ma le tradizioni tocquevilliane, popolari, che davano spazio al principio di sussidiarietà e fondamento ad entità preesistenti allo Stato.
Quindi, credo che la nostra tradizione, anche recente, se proprio vuole essere ancorata ad un principio di sussidiarietà, deve riconoscere questo risultato della nostra storia che mette sullo stesso piano il comune, la regione, lo Stato.
Ritengo che, in questo modo, non si perpetri alcun attentato allo Stato, ma si interpreti correttamente il nostro desiderio, che è quello non di dar vita ad uno Stato regionale, che può essere anche fortemente decentrato e in cui le regioni sono comunque subordinate in ogni modo allo Stato, bensì ad una Costituzione che dà conto ad una Repubblica federale in cui convivano armoniosamente i vari livelli che la costituiscono. Tra l'altro, penso che evitare l'equipollenza tra le varie forme che costituiscono la Repubblica sarebbe un ritorno al passato che ostacolerebbe il decollo armonico di questo difficile ed estremamente innovativo Stato federale. Invito dunque i presentatori a ritirare l'emendamento in esame.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Cabras. Ne ha facoltà.
ANTONELLO CABRAS. Signor Presidente, vorrei aggiungere un ulteriore elemento di riflessione a quelli che già il collega Soda e gli altri hanno evidenziato, al fine di invitare l'Assemblea ad esprimere un voto contrario sull'emendamento in esame.
Ritengo che si tornerà sul merito di questa discussione che, oggi, svolgiamo in maniera solo nominalistica, in quanto credo che attorno a tale dibattito passi anche una profonda differenza, che interessa trasversalmente tutte le forze politiche di questo Parlamento, in ordine all'effettivo concetto di federalismo, di autonomia e di autogoverno.
La differenza con la scelta operata nella scorsa legislatura di modificare l'articolo 114 della Costituzione, che oggi si vuole cambiare - e, a proposito di errori, insisterei sul fatto che per la conferma dell'attuale formulazione di tale articolo si sono espressi liberamente milioni di elettori italiani, dunque se errore vi è stato si è perseverato nello stesso -, sta nel fatto che noi abbiamo introdotto nel nostro ordinamento l'eliminazione della gerarchia delle fonti di sovranità.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Russo Spena. Ne ha facoltà.
GIOVANNI RUSSO SPENA. Signor Presidente, nel corso di questo dibattito, sia in fase di discussione sulle linee generali che durante l'illustrazione degli emendamenti, il gruppo di Rifondazione comunista ha già richiamato motivazioni congruenti tali da indurci a far nostro l'emendamento Tabacci 32.74, che riteniamo molto diverso - su questo hanno ragione gli uffici -, icto oculi anche sul piano giuridico, dall'emendamento Carrara 32.8.
Riassumo, quindi, molto brevemente i termini della questione. È anzitutto evidente che avremmo preferito la seguente dizione, tratta dall'articolo 5 della Costituzione del 1948: «La Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali». La nostra idea di articolazione dell'ordinamento dello Stato, infatti, prevede di fatto - come già spiegato in occasione di altri interventi - un decentramento reale, non certo pasticci di tipo federalista-liberista-secessionista, perché il federalismo serve ad unire ciò che è diviso. Pertanto, il federalismo è ben altra cosa!
Non concordiamo con le motivazioni sostenute negli interventi di alcuni illustri colleghi - peraltro da me assai stimati - in difesa di un impianto riformatore come quello configurato nella scorsa legislatura, che già allora infatti non votammo, per ragioni che qui mi limiterò soltanto a richiamare. Riteniamo che tali motivazioni siano un azzardo sul piano costituzionale; la dizione che recita «la Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali» non ci pare infatti equivalere ad una formula di federalismo sconfinante e degradante nella devoluzione.
Inoltre, il punto fondamentale è definire cosa sia una Repubblica. Tutto il costituzionalismo democratico - come insegna l'onorevole Soda - ritiene che la Repubblica non possa diventare un mero nome riassuntivo, cui non corrisponde alcuna soggettività politico-giuridica autonoma. Infatti, quando la Costituzione recita «la Repubblica riconosce e promuove (...)», allo stesso tempo identifica una sovraordinazione, ovvero una precisa soggettività politico-giuridica. In proposito, quindi, ha ragione l'onorevole Tabacci, perché è questa la vera discriminante. È tale articolazione sovraordinata che promuove e riconosce, all'interno di un quadro fissato costituzionalmente, l'autonomia ordinamentale e legislativa delle regioni. Non è certo la stessa cosa, rispetto agli azzardi e alle forzature, che pure comprendo per ragioni politiche.
Tutti i costituzionalisti democratici, da Calamandrei a Ferrara, fino a Rescigno, tanto per citare i contemporanei, sono concordi su questo. Il punto è, quindi, il seguente: è la Repubblica una soggettività politico-giuridica, oppure no? È questa la discriminante, altrimenti la Repubblica diventa una risultante dell'interconnessione tra molti soggetti, rispetto ai quali si colloca su un piano di parità! A nostro avviso, invece, la Repubblica è sovraordinata, come in ogni ordinamento di Stato federale che davvero funzioni. Non intendo fare l'esempio del sistema statunitense, bensì quello dello Stato federale tedesco; in Germania esiste il Bundesrat, ovvero un Senato federale assai differente da quello proposto dalla maggioranza, di cui parleremo successivamente. Lo Stato federale tedesco, come recita la Costituzione di quel paese, è sovraordinato e ai länder spettano compiti applicativi di leggi-quadro regionali. Esiste, quindi, un decentramento forte, ma che non prevede poteri sostitutivi dello Stato e mantiene l'esercizio delle garanzie unilaterali ed universali.
Questa è l'unità della Repubblica, prevista dallo spirito costituzionale del 1948, che il gruppo di Rifondazione comunista vuole preservare: per tale ragione voteremo a favore dell'emendamento Tabacci 32.74 (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, ritengo si possa affermare - al di là degli scontri politici, anche molto duri, che abbiamo avuto e che avremo nel prosieguo dei nostri lavori - che il dibattito in corso sta nobilitando questa Assemblea. Ricordo un non identico, ma analogo dibattito svoltosi nella scorsa legislatura, sullo stesso tema. Chiunque leggerà il resoconto stenografico della discussione che stiamo conducendo potrà riconoscere al Parlamento della Repubblica, e nel caso specifico alla Camera dei deputati, di aver nobilitato la propria funzione di revisione costituzionale su una materia di notevole rilevanza.
Ho apprezzato, pur non condividendone le posizioni, il garbo e la pacatezza con cui il collega Tabacci ha introdotto l'argomento. Non ho condiviso, ma rispetto, la passione statalista con cui sono intervenuti altri colleghi. Si tratta di un confronto che ha luogo in quest'aula per la terza volta nella storia della Repubblica: la prima volta fu nell'Assemblea Costituente; la seconda volta fu nella scorsa legislatura, in occasione della riforma del Titolo V della Costituzione e dell'introduzione del nuovo testo dell'articolo 114.
Oggi, dunque, per la terza volta si stanno confrontando due diverse concezioni dello Stato e della Repubblica, che hanno entrambe un'assoluta dignità sul piano filosofico, giuridico e costituzionale. Tuttavia, ci troviamo in una Repubblica che ha già compiuto una scelta di fondo dal 1947-1948. Concordo pienamente con gli splendidi interventi svolti dai colleghi Bressa e Soda, ma, proprio perché ritengo che la discussione che stiamo conducendo vada al di là delle contrapposizioni di questi giorni, intendo riconoscere che anche il collega Pacini ha svolto riflessioni ampiamente condivisibili.
Credo che occorra scegliere, con questo voto, tra il ritorno a una concezione dello Stato che, come è stato ricordato, ha secoli, anzi millenni, di storia alle spalle (dall'epoca delle città-Stato) «Statocentrica», per alcuni aspetti, e per epoche più recenti hegeliana o neohegeliana, che abbiamo conosciuto anche nel nostro paese, e il passaggio ad un'altra concezione, che condivido, in linea con la Costituente del 1946-1947 e con la Costituzione entrata in vigore nel 1948, vale a dire quella di una Repubblica delle autonomie. Non si tratta necessariamente di una Repubblica federale: nel 1947 non fu compiuta una scelta federale. Nell'ambito di tale concezione, come ha spiegato l'onorevole Bressa, si può introdurre un processo federale, a partire non da Stati separati, ma in relazione a una Repubblica una e indivisibile. È sufficiente, per comprendere ciò, fare riferimento alla Repubblica delle autonomie delineata dalla Costituzione entrata in vigore il 1o gennaio 1948.
Prima di andare a leggere il primo comma dell'articolo 114, così come modificato nella scorsa legislatura, invito tutti i colleghi, qualunque posizione abbiano assunto, a prendere in mano la Costituzione. In primo luogo, non si tratta della Costituzione dello Stato italiano, bensì della Repubblica italiana. All'articolo 1 si afferma che «l'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro»; all'articolo 2 - poi arriverò all'articolo 5 - si afferma che «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili (...)». L'onorevole Soda ha precedentemente affrontato il tema di tale riconoscimento: tali diritti non dipendono dalla Repubblica; essi esistono già, la Repubblica li riconosce. L'articolo 4 stabilisce che «la Repubblica riconosce (...) il diritto al lavoro (...)».
Quanto all'articolo 5, non è vero che il soggetto di tale articolo è lo Stato: il soggetto dell'articolo 5 è la Repubblica, e nello stesso articolo si cita lo Stato per affermare che la Repubblica «attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento (...)». Ciò era dunque chiaro già ai Costituenti del 1946-1947.
L'onorevole Soda ha detto una cosa bellissima: sotto questo profilo - sotto altri, può essere invecchiata - la nostra Costituzione è straordinariamente moderna e supera la concezione «Statocentrica», «Statonazionalistica», «Statolatrica», pur legittima, che in altre epoche abbiamo avuto.
Quando si vuole vedere il soggetto Stato, la Costituzione lo dice, come all'articolo 7: lo Stato e la Chiesa. Ma poi, all'articolo 9, torna a parlare della Repubblica; all'articolo 6 è la Repubblica che riconosce le minoranze linguistiche! Pensate all'articolo 12, quando si parla della bandiera: non è la bandiera dello Stato; certo è la bandiera anche dello Stato, ma è la bandiera della Repubblica! È il Presidente della Repubblica che è anche Capo dello Stato!
MAURA COSSUTTA. Ma come si fa...?
MARCO BOATO. Andate a vedere i rapporti etico-sociali, i rapporti politici: troverete sempre la Repubblica come soggetto della nostra Carta costituzionale!
E se noi fra pochi minuti introdurremo, signor Presidente - come è giusto che sia -, al primo comma dell'articolo 114 della Costituzione il riferimento ai principi di sussidiarietà - che in questo caso è sussidiarietà istituzionale, verticale - e di leale collaborazione - che ormai sono pacifica e costante giurisprudenza della Corte costituzionale -, la preoccupazione che non vi sia, ovviamente anche nei soggetti costitutivi, chi sta sopra e chi sta sotto è superata, perché, se c'è il principio di sussidiarietà, vuol dire che vi sono diversi livelli istituzionali, ma tutti sono costitutivi della Repubblica e tutti diventano parte essenziale della Repubblica!
Ringrazio, quindi, per il dibattito che ha avuto luogo ed anche per l'elevato livello che ha raggiunto, ma invito a votare contro questo emendamento ed anche contro quello successivo (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Monaco. Ne ha facoltà.
FRANCESCO MONACO. Signor Presidente, in verità non abbiamo mai avuto la pretesa di sostenere che la riforma del Titolo V varata nella scorsa legislatura fosse una riforma perfetta; anzi, più di una voce si è levata ad osservare che quella riforma può e deve essere perfezionata e di sicuro va completata. Ne avevamo consapevolezza, in verità, anche quando la varammo. Tuttavia, non riesco ad accedere all'autocritica che ha formulato il collega Diliberto, per le ragioni che sono state ampiamente illustrate da amici e colleghi.
Rammento la riflessione e il dibattito che originarono quel testo, tuttora vigente. L'idea era che la Repubblica è la comunità politica, che è cosa altra e diversa rispetto allo Stato. Lo Stato è indubbiamente espressione e strumento della comunità politica, ma non coincide con essa e, soprattutto, non esaurisce la comunità politica! La distinzione tra questi due o addirittura tre livelli - si dice infatti comunità politica, Stato-ordinamento e Stato-apparato - non è un dettaglio. Questa distinzione - come ricordava anche l'onorevole Boato poc'anzi -, questa visione più ricca e articolata della statualità è esattamente figlia di una visione - lasciatemelo dire con parole a noi care - personalistica, autonomistica e pluralista dello Stato, uno Stato ed una Repubblica che fanno perno su una pluralità di soggetti personali, sociali ed istituzionali costituzionalmente originari - diceva bene il collega Soda - che preesistono al costituirsi dello Stato-ordinamento e dello Stato-apparato. Questo è il carattere di innovazione rispetto ad una visione non voglio dire hegeliana, perché non voglio evocare i filosofi, ma diciamo ottocentesca di uno Stato che pretendeva di coincidere con la comunità politica.
Ha ragione il collega Boato quando, passando in rassegna i primi articoli - guarda caso quelli che attengono ai principi fondamentali della nostra Carta costituzionale -, fa osservare che i Costituenti - che erano molto precisi, anche dal punto di vista lessicale - e l'incipit di molti dei primi articoli della Costituzione hanno cura di esprimersi così: la Repubblica riconosce. Il che suggerisce esattamente queste due idee. Innanzitutto, che la Repubblica è appunto la comunità politica, che è qualcosa di più e di diverso rispetto allo Stato. In secondo luogo, che essa riconosce precisamente l'esistenza - e qui mi riallaccio all'intervento del collega Soda - di quei soggetti personali, sociali ed istituzionali originari che ci si limita a riconoscere in quanto preesistenti, perché sono anteriori al costituirsi di questa statualità!
È esattamente questa la ragione, in qualche modo l'elemento di novità, che avevamo voluto rimarcare con questa dizione. Insomma, all'origine stava lo svolgimento, se volete l'espansione, di quella che fu l'idea chiave della Costituzione del 1948, che era rovesciare il rapporto tra la persona e lo Stato: non più una persona e comunità al servizio di uno Stato (questa è la visione monistica ed assolutistica dello Stato), ma uno Stato servente persone e comunità ed espressioni istituzionale di esse, che preesistono al costituirsi dello Stato (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.
GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, vorrei partire da una espressione felicissima, usata dal collega Soda, che ha definito quella dell'articolo 5 una intuizione profetica dei Costituenti. Vorrei brevissimamente, solo per qualche secondo, ricordare per cenni i lavori della Costituente.
Questo tema fu introdotto da due memorabili relazioni degli onorevoli Ambrosini e Perassi, che erano state fatte in seguito all'approvazione di una proposta dell'onorevole Terracini. In quella occasione gli argomenti favorevoli all'accoglimento di un sistema di autonomie non compresso dal potere centrale venivano suggeriti non solo dai risultati negativi cui avevano condotto decenni di accentramento, prima dello Stato liberale e poi dello Stato fascista, ma anche - ed è qui il senso profetico di questa scrittura - dalla consapevolezza che risolvere in senso autonomistico o accentratore i rapporti tra Stato ed enti locali avrebbe finito per condizionare la struttura complessiva dell'ordinamento.
Ecco che, quando si dice che la Repubblica una e indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali, vi è qualcosa di profetico, che si invera felicemente col primo comma dell'articolo 114, così come riformato dalla legge sul Titolo V.
Guardate, e lo dico soprattutto all'onorevole Diliberto, che fu proprio l'onorevole Mortati che chiese ed ottenne che l'articolo 5 fosse spostato dal Titolo V alla prima parte della Costituzione, poiché riteneva che quello fosse un principio fondamentale della Costituzione che avrebbe ispirato...
OLIVIERO DILIBERTO. E infatti dice esattamente il contrario!
GIANCLAUDIO BRESSA. ...tutti gli articoli dal 114 in avanti; e lo ispirava proprio nel riconoscimento della Repubblica come qualcosa di sopraordinato, qualcosa di più rispetto anche allo stesso Stato.
Quella intuizione diventa lettera costituzionale con la riforma del Titolo V e dell'articolo 114. Di questa opinione era non solo Mortati, ma, giusto per memoria di tutti, anche Benvenuti, Martines e Rescigno, che sono stati da altri citati quest'oggi (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Sabattini. Ne ha facoltà.
SERGIO SABATTINI. Signor Presidente, intervengo a titolo personale per dire una cosa molto semplice.
Penso che questo dibattito rappresenti significativamente una crisi, quella delle riforme costituzionali consolidate e di quelle evocate con strumenti costituzionali nuovi. Questa crisi, che non riguarda solo il nostro paese ma il mondo, sul piano economico e sociale è caratterizzata dalle forme di organizzazione del mercato. Impiegherò pochi secondi per spiegarlo.
Quella che noi chiamiamo globalizzazione evoca e produce il formarsi di soggettività istituzionali e politiche altre da quelle degli Stati nazionali, cosicché in un dibattito alla Camera dei deputati può accadere che dei comunisti inveterati diventino degli statalisti inveterati e che degli anticomunisti inveterati, come Lenin, pensino all'estinzione dello Stato.
Io voterò a favore di questo emendamento sulla base di una ragione politica; capisco le considerazioni svolte dall'amico e collega Soda.
Non mi convince più una cosa: l'illusione secondo la quale noi pensiamo di poter seguire il processo di globalizzazione, che frantuma ed evoca nuovi soggetti, e di rispondere alla crisi della classe dirigente nazionale e degli strumenti nazionali inseguendo i cacicchi locali (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e Misto-Comunisti italiani e del deputato Gerardo Bianco), pensando che la possibilità di salvezza sia nel villaggio contrapposto all'altro villaggio.
PRESIDENTE. Onorevole Sabattini, la invito a concludere.
SERGIO SABATTINI. Quindi, secondo la regola del minor danno possibile, poiché ritengo di avere sbagliato nel passato e poiché ritengo che sia giunto il momento di concludere la discussione sul federalismo e di aprirne un'altra sulle forme di organizzazione dello Stato e delle sue autonomie, voterò a favore, perché in questo complesso di cose e di situazioni è questo il minor danno possibile (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Mantini. Ne ha facoltà.
PIERLUIGI MANTINI. Signor Presidente, nel breve tempo che mi ha concesso, e di cui la ringrazio, voglio ringraziare il collega Tabacci per avere posto un problema che ci induce a interrogarci nel profondo e affermare anche che non sono più d'accordo con il collega Boato, del quale condivido lo spirito e anche molte affermazioni, sul fatto che in questa sede si confrontino due concezioni molto diverse. Non è così.
Voglio ricordare che il nostro dibattito presenta un forte grado di convenzionalità, che nelle ricerche scientifiche da tempo conosciute il termine «Stato» ha moltissimi significati e che il termine «federalismo» - basta consultare qualunque dizionario o enciclopedia del diritto - è anch'esso polisenso. Dovremmo piuttosto pervenire a qualche conclusione che, in pochi secondi, riassumerei in questo modo: l'equiparazione effettuata tra comuni, province, città metropolitane, regioni e Stato può dare il segno di un cambiamento, cioè di una dispersione del potere pubblico, che ci porta ad un'epoca in cui, sicuramente, la citazione di Mortati non è più pertinente: lo Stato non è più superiorem non recognoscens. C'è una dispersione del potere pubblico verso l'alto e verso il basso.
Detto ciò, l'equiparazione non è equivalenza. C'è un'equiparazione dello Stato-persona e dello Stato-apparato, ma non c'è una equiparazione dello Stato-ordinamento. Dunque, il problema, più che nei nomi e nei termini, sta in una convenzione di politica costituzionale su cui, davvero, dovremmo metterci d'accordo, affinché non ci siano né forme stataliste poco moderne, anzi arcaiche, e neppure quel federalismo dell'abbandono nel quale oggi viviamo. Da questo punto di vista, però, ricordo al collega Tabacci che votare la devolution non è un contributo a riacquistare un equilibrio tra i poteri e che, se fossimo in un altro contesto, cioè nel contesto di un processo di riforma costituzionale condiviso, forse saremmo giunti, insieme, a conclusioni ed anche a voti differenti.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Vertone. Ne ha facoltà.
SAVERIO VERTONE. Vorrei fare soltanto due precisazioni.
La prima riguarda un'affermazione del mio amico e compagno Soda, che stimo moltissimo ma che ha reso una dichiarazione non vera e, cioè, che le regioni preesistevano allo Stato. Le regioni sono state inventate alla fine dell'Ottocento...
MARCO BOATO. Le autonomie!
SAVERIO VERTONE. ... dai glottologi, in base alle isoglosse. Precedentemente, esistevano il Regno di Sardegna, il Regno di Napoli, il Regno lombardo-Veneto, lo Stato pontificio e il Granducato di Toscana, che era uno Stato, non una regione. Quindi, l'affermazione non è vera.
Come seconda osservazione - se mi permettete -, affermo che Storace è una persona veramente singolare perché mi pare abbia affermato, poco fa (l'ho appreso dal giornale questa mattina), che Calderoli non è federalista perché non capisce che quello che sta per varare non funziona. Ho l'impressione che Storace, molti della maggioranza e, forse, anche qualcuno dell'opposizione non abbiano capito che cosa vuole la Lega.
La Lega vorrebbe varare una riforma che non funzioni, che blocchi il funzionamento amministrativo del paese, che metta in grip lo Stato o la Repubblica (chiamatela come volete).
Se questo grande disordine esplodesse, la secessione sarebbe più facile. Siamo passati dalla fase 1, il cosiddetto colbertismo di Tremonti, che concedeva alla corona, ossia al potere personale di Berlusconi, alle feudalità locali una grande ampiezza di potere...
PRESIDENTE. Onorevole Vertone...
SAVERIO VERTONE. Tremonti ha teorizzato la nascita della «Lega sud» quando ha esaltato la finanza napoletana, sostenendo che l'unità italiana l'ha soppressa. Nel caso in cui la «Lega sud», la Lega nord, l'immobilismo, l'incapacità di decisione e di governare (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani e di Rifondazione comunista)...
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Vertone.
MAURA COSSUTTA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MAURA COSSUTTA. Signor Presidente, intervengo per dichiarare l'intenzione di tutte le deputate e i deputati della componente politica Comunisti italiani del gruppo misto di sottoscrivere l'emendamento Tabacci 32.74, fatto proprio dal gruppo di Rifondazione comunista.
PRESIDENTE. Sta bene. Prendo atto che i deputati della componente politica dei Comunisti italiani del gruppo Misto, ad eccezione dell'onorevole Franci, hanno sottoscritto l'emendamento in esame.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Carrara. Ne ha facoltà.
NUCCIO CARRARA. Signor Presidente, si è scatenata una tempesta in un bicchiere d'acqua. Abbiamo constatato che la sinistra non ha le idee chiare, perché, a corrente alterna, è eccessivamente unitaria o eccessivamente federalista. Non riesce a mettersi d'accordo con se stessa.
Riservandomi di intervenire sull'emendamento successivo, vorrei ricordare che purtroppo non possiamo esprimere un voto favorevole sull'emendamento in esame, perché per noi l'espressione «si riparte» appartiene ad una logica che era quella della vecchia Costituzione, una logica che vedeva un impianto piramidale! Onorevole Soda, mi rivolgo a lei che è un nostalgico di quell'impianto piramidale. Poiché dobbiamo armonizzare la norma con il testo che alla fine approveremo, in un impianto orizzontale l'espressione «si costituisce» significa che il comune, la regione, la provincia sono parti organiche della Repubblica. Sul termine «Stato» mi riservo di intervenire successivamente.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Tabacci 32.74, fatto proprio dal gruppo di Rifondazione comunista, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 475
Votanti 470
Astenuti 5
Maggioranza 236
Hanno votato sì 31
Hanno votato no 439).
Prendo atto che l'onorevole Giuseppe Drago non è riuscito a votare e che gli onorevoli Montecuollo e Potenza, che hanno erroneamente espresso il loro voto, avrebbero voluto esprimere un voto contrario.
ANTONIO BOCCIA. Chiedo di parlare sull'ordine lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, vorrei chiederle una cortesia. Come lei potrà constatare, a questo articolo oggi sono stati aggiunti nel fascicolo alcuni emendamenti della Commissione. Tali proposte sono state definite ieri sera tardi dal Comitato dei nove. Alle ore 20,26, come sempre in maniera puntuale e con grande solerzia, gli uffici hanno comunicato ai gruppi l'avvenuta presentazione di questi emendamenti. Ovviamente, Presidente, scatta l'automatismo previsto dal regolamento che stabilisce che la presentazione dei subemendamenti è possibile fino ad un'ora prima dell'inizio dell'esame degli articoli.
Ebbene, Presidente, la notizia della presentazione di nuovi emendamenti, il cui esame era previsto per il giorno successivo alle 10,30, è stata trasmessa alle 20,26; lei comprenderà che ciò non ha messo i gruppi nelle condizioni di informare tutti i deputati. Dunque, oggettivamente l'esame da parte dell'Assemblea di questi emendamenti non è completo.
Allora, Presidente, siccome non si tratta di un provvedimento ordinario sul quale si possa procedere in maniera «spedita», le chiederei la cortesia di vigilare, almeno per il futuro. Non intendo adesso creare problemi, benché ne abbia voglia, però, se la Commissione, legittimamente, lavorando anche di notte, approva emendamenti in tarda serata, all'ultimo momento, noi dobbiamo poi avere un po' di tempo - almeno mezza giornata, una giornata - per poter informare i colleghi e consentire la presentazione dei subemendamenti entro il termine previsto (un'ora prima dell'esame). Se questo esame è previsto per la prima mattinata e a noi vengono concesse 12 ore di tempo (di notte), praticamente non abbiamo la possibilità di valutare gli emendamenti.
Le chiederei la cortesia di vigilare e di fare modo che si proceda «seriamente», in modo che tutti i colleghi possano partecipare nel subemendare le decisioni della Commissione ed eventualmente del Governo. La ringrazio per l'attenzione, Presidente.
PRESIDENTE. Onorevole Boccia, è inutile che lei dica questo. Possono vigilare anche i membri del suo gruppo, che fanno parte del Comitato dei nove, che partecipano a pieno titolo ai lavori e che, molte volte, sono anche l'elemento trainante di modifiche presentate dalla Commissione.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Armani. Ne ha facoltà.
PIETRO ARMANI. Signor Presidente, intervengo semplicemente per associarmi a quello che poco fa ha detto il collega Carrara. Mi sembra che l'emendamento Carrara 32.8 miri alla distribuzione orizzontale dei diversi livelli di sovranità all'interno della Repubblica. La Repubblica «è costituita» e non la Repubblica «si riparte»; quindi, è in senso orizzontale. In questo modo, vi è coerenza anche con il principio di sussidiarietà che abbiamo inserito.
Quindi, mi sembra che questo emendamento possa essere accolto da tutti coloro che hanno espresso perplessità sulla precedente stesura dell'articolo 114, varata nell'ambito della riforma del Titolo V nella precedente legislatura.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giordano. Ne ha facoltà.
FRANCESCO GIORDANO. Signor Presidente, noi siamo stati, come lei ha visto, a favore dell'emendamento Tabacci, perché quell'emendamento era in sintonia con un'idea della Repubblica e con una forma di organizzazione dello Stato che da sempre è quella a cui abbiamo fatto riferimento. Adesso l'emendamento proposto da altri colleghi della maggioranza rende compatibile questa idea con le modalità di organizzazione della devoluzione alle quali siamo fortemente avversi. Tant'è che in questo momento l'onorevole Armani ha spiegato in maniera assolutamente inequivoca il senso dell'emendamento medesimo. Trovo questa un'operazione di pura furbizia. Vorrei dire all'onorevole Tabacci che forse, coerentemente e conseguentemente con il precedente emendamento, dovrebbe votare contro questo emendamento. Noi voteremo contro.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Carrara 32.8, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 480
Votanti 477
Astenuti 3
Maggioranza 239
Hanno votato sì 85
Hanno votato no 392).
Prendo atto che i presentatori accolgono l'invito del relatore di riformulare l'emendamento Boato 32.5, nel senso di renderlo identico all'emendamento Elio Vito 32.200.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sugli identici emendamenti Elio Vito 32.200 e Boato 32.5 nel testo riformulato, accettati dalla Commissione e dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 467
Votanti 465
Astenuti 2
Maggioranza 233
Hanno votato sì 462
Hanno votato no 3).
Prendo atto che l'onorevole Lussana ha erroneamente espresso il suo voto e che avrebbe voluto votare a favore.
Passiamo alla votazione degli identici emendamenti Leoni 32.4 e Osvaldo Napoli 32.73.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Amici. Ne ha facoltà.
SESA AMICI. Signor Presidente, i deputati del centrosinistra ed i colleghi del gruppo di Rifondazione comunista hanno presentato un emendamento soppressivo della formulazione del comma 2 dell'articolo 32 del provvedimento in esame, proposto dalla maggioranza. Vorrei pertanto motivarne brevemente le ragioni, peraltro già contenute in numerosi degli interventi sul complesso delle proposte emendative presentate all'articolo 32, recante modifiche all'articolo 114 della Costituzione, ed in particolare vorrei ricostruirne la genesi.
Si parte, infatti, dall'articolo 114 della Costituzione, come modificato dalla riforma del Titolo V della nostra Carta, nella quale, per la prima volta, si era esplicitamente previsto che Roma era la capitale della Repubblica. Nella sua perentorietà, tale formulazione (molto tipica, del resto, anche di tutta la forma lessicale della nostra Costituzione) rappresentava sia un riconoscimento storico, sia l'assegnazione di un ruolo e di una funzione specifica.
Con la riformulazione proposta dalla maggioranza, invece, assistiamo di fatto a ciò che chiamerei il disconoscimento di tale principio storico. La maggioranza, infatti, riconosce - anzi, lo specifica nel dettaglio - il fatto che Roma è la capitale della Repubblica federale, e dispone altresì forme e condizioni particolari di autonomia, anche normativa, nelle materie di competenza regionale. La maggioranza cerca quasi di esaltare il fatto che Roma sia la capitale della Repubblica, ma poi compie un disconoscimento. Tale disconoscimento è dato dal fatto che, pur essendo Roma capitale della Repubblica federale, vede fissati dei limiti alle sue competenze attraverso il vincolo del loro esercizio nell'ambito delle modalità stabilite dallo statuto della regione Lazio.
Si tratta, di fatto, di un'operazione di disconoscimento di un principio, vale a dire l'essere capitale della Repubblica federale, per considerarla, invece, alla stregua di un mero capoluogo di provincia. Sono elementi che si aggiungono all'altro elemento, vale a dire alla circostanza che la legge dello Stato disciplina l'ordinamento della capitale; si tratta, inoltre, di un'operazione che rivedremo proposta anche in un subemendamento, presentato dalla maggioranza, nel quale la legge che disciplina l'ordinamento della capitale viene aggiunta alle competenze esclusive dello Stato.
Sono questi gli elementi che ci inducono a proporre la soppressione del comma 2 dell'articolo 32 del disegno di legge in esame, il quale va soppresso soprattutto perché nasconde ciò che abbiamo continuamente evidenziato nell'ambito della discussione sia sulle linee generali, sia sul complesso degli emendamenti. Infatti, anche quando si riconosce un elemento così fondato (come quello, anche storico, del riconoscimento di Roma capitale), si tenta poi di fare un regalo ad un'articolazione di potestà regolamentare di rango secondario, come lo statuto della regione Lazio, al punto tale da consentirle di stabilire dei limiti all'autonomia di Roma capitale della Repubblica federale. In questo caso, c'è una contraddizione tutta politica. L'emendamento Landolfi 32.71 è stato ritirato: probabilmente l'interesse anche su una questione così rilevante viene piegato a logiche di articolazione della maggioranza, pensando che si possano riformare commi di articoli della Costituzione in virtù non delle sue esigenze di funzionamento, bensì di un astratto principio ideologico e di parte (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.
GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, intervengo anch'io per sottolineare come il significato del testo del comma 2 dell'articolo 32, che gli identici emendamenti in esame si propongono di sopprimere, vada perfino oltre la sua stesura letterale.
Vorrei ricordare che esamineremo successivamente proposte emendative volte a modificare parzialmente la formulazione dell'articolo in oggetto, proponendo sia di abrogare la parola «federale», sia di riportare l'ordinamento della capitale tra le materie di competenza dello Stato comprese nell'articolo 117 della Costituzione.
Tutto ciò, però, non cambia il nostro giudizio, totalmente negativo su tale impostazione.
È stata ricordata dalla collega Amici la storia della scelta di porre in Costituzione la questione di Roma capitale. Fino ad un certo punto della storia del nostro paese ciò non si era reso necessario, perché la legge ordinaria era più che sufficiente a stabilire quanto era riconosciuto, nei fatti, nel paese, dai cittadini, nelle istituzioni, sul piano culturale e sul piano storico. Soltanto l'avvento di una cultura secessionista, che si è instaurata nel nostro paese e che, in parte, ha non dico egemonizzato, ma sicuramente fatto breccia nella maggioranza che oggi governa il paese, ha reso necessario affermare ciò che già era storicamente affermato nei fatti.
Noi non avevamo mai avvertito la necessità di costituzionalizzare tale scelta, ma oggi si capisce la ragione per cui tale passaggio politico sia stato necessario. È stato necessario proprio per contrapporsi ad una cultura che tende - e che in questo progetto è molto presente - allo smembramento ed alla frantumazione dello Stato e, comunque, al ridimensionamento della sua unitarietà.
È per tale ragione, com'è già stato ricordato dalla collega Deiana in merito alla soppressione dell'insieme dell'articolo, che tale questione assume una valenza simbolica. È, infatti, paradigmatica rispetto al progetto di cui stiamo discutendo.
Al di là delle furbizie delle singole posizioni delle forze politiche della maggioranza che, naturalmente, tentano di evidenziare le proprie peculiarità, pur senza mettere in discussione strutturalmente questo progetto, è evidente che i nodi vengono al pettine. Un progetto costituzionale non può fondarsi sulle furbizie e noi riteniamo che Roma capitale, riportata ad una dimensione regionale, sia l'esemplificazione indicativa del progetto nel suo insieme, che è confuso e pasticciato, ma si costruisce intorno alla partita della cosiddetta devoluzione. È intorno a ciò che la maggioranza ha trovato una mediazione, tutta politicista. Il nostro sforzo sarà far conoscere ai cittadini ed alle cittadine italiane che, naturalmente, ciò è l'impianto di fondo su cui si costruisce tutto il resto. Pertanto, la nostra opinione è che il secondo comma di tale articolo, in particolare il riferimento alla competenza regionale, debba essere assolutamente soppresso.
PRESIDENTE. Saluto una delegazione dei produttori agricoli di Gioia del Colle, che sta assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sugli identici emendamenti Leoni 32.4 e Osvaldo Napoli 32.73, non accettati dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 465
Votanti 461
Astenuti 4
Maggioranza 231
Hanno votato sì 203
Hanno votato no 258).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 32.250 della Commissione, accettato dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 471
Votanti 469
Astenuti 2
Maggioranza 235
Hanno votato sì 466
Hanno votato no 3).
Prendo atto che l'onorevole Pagliarini avrebbe voluto esprimere un voto contrario.
Passiamo alla votazione dell'emendamento Boato 32.72.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Leoni. Ne ha facoltà.
CARLO LEONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non c'è bisogno che ripeta quanto hanno già detto, con molta efficacia, diversi colleghi dell'opposizione - gli onorevoli Bettini, Amici, Cento ed altri - nel denunciare il fatto che, con questo testo che riguarda Roma capitale, da un lato si conferma la giusta scelta di riconoscere in Costituzione la capitale del paese ma, dall'altro, si compie un'operazione che rappresenta uno sfregio grossolano nei confronti della capitale stessa e, cioè, si demandano allo statuto della regione Lazio i poteri da attribuire alla capitale medesima.
Tutti capiscono che in qualunque paese del mondo è lo Stato a preoccuparsi, ad intervenire e a curare i poteri della propria capitale; in questo caso, per un accordo interno alla maggioranza, tutto ciò deve passare per le forche caudine di uno statuto regionale. Quindi, i poteri ed il ruolo della capitale vengono derubricati a quelli, se va bene, di un capoluogo di regione.
Abbiamo sostenuto questo argomento nell'emendamento interamente soppressivo dell'articolo e in quello interamente soppressivo del comma: allo scopo di ridurre il danno, con questo emendamento proponiamo almeno di eliminare il riferimento ai limiti stabiliti dallo statuto della regione Lazio ai quali bisogna sottostare per dare poteri alla capitale. Che almeno vi sia in questo momento un soprassalto di logica nel capire che o non si dà quel riconoscimento alla capitale del paese o - se lo si dà - esso deve essere pieno. Altrimenti, si prendono in giro non i romani, ma tutti gli italiani (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, Misto-Comunisti italiani e Misto-Verdi-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Carrara. Ne ha facoltà.
NUCCIO CARRARA. Signor Presidente, intervengo per controbattere alle imprecisioni ed alle inesattezze dei colleghi della sinistra. In un sistema in cui abbiamo immaginato che la capitale debba avere un'autonomia rafforzata, è chiaro che non possiamo pensare che tale autonomia possa consentire alla capitale di sottrarre poteri allo Stato, dal momento che non lo fanno le regioni; ma è pensabile che la capitale sul proprio territorio abbia competenze molto simili a quelle delle regioni. Quindi, bisogna sviluppare una procedura pattizia con la regione e non con lo Stato.
GOFFREDO MARIA BETTINI. Ma che dici?
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Boato 32.72, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 459
Votanti 457
Astenuti 2
Maggioranza 229
Hanno votato sì 209
Hanno votato no 248).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sul subemendamento 0.32.201.1 della Commissione, accettato dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 477
Votanti 472
Astenuti 5
Maggioranza 237
Hanno votato sì 258
Hanno votato no 214).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Elio Vito 32.201, come subemendato accettato dalla Commissione e dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 478
Votanti 475
Astenuti 3
Maggioranza 238
Hanno votato sì 262
Hanno votato no 213).
Passiamo alla votazione dell'articolo 32.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Leoni. Ne ha facoltà.
CARLO LEONI. Signor Presidente, esprimo il voto contrario del mio gruppo su questo articolo, per le ragioni che hanno già esposto diversi colleghi e che non riprendo. Abbiamo difeso la vigente formulazione dell'articolo 114 della Costituzione, che ha rappresentato la vera svolta federalista nell'ordinamento della Repubblica italiana.
Quando vi era chi si dilettava con le ampolle e rendeva il Po una divinità, noi in quest'aula, fino a un certo punto insieme ai colleghi del centrodestra (poi, furono loro a sottrarsi a questa prova), alla fine della scorsa legislatura, costruivamo un impianto federalista della Repubblica italiana. A questa ispirazione rimaniamo fermi e fedeli, come hanno già confermato diversi interventi dell'opposizione di centrosinistra.
Tuttavia, al tempo stesso, si costruisce una norma che riguarda la capitale del paese assolutamente inaccettabile per le ragioni che ho ricordato poco fa.
Per queste ragioni, il gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo esprime un voto contrario su questo articolo.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giachetti. Ne ha facoltà.
ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, nella mia dichiarazione di voto sull'articolo 32 non posso che ribadire il giudizio decisamente e convintamente contrario del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo e, credo, di tutti coloro che agiscono con buonsenso e, soprattutto, nell'interesse delle istituzioni.
Ritengo che questa sarà la ragione per la quale tutti coloro che credono in ciò voteranno contro tutti gli articoli del provvedimento. Nel metodo utilizzato è evidente come l'intento della maggioranza sia quello di agire a «randellate», nel senso che non si vuole minimamente prendere in considerazione l'interesse di una parte di questo paese. Spero comprenderemo presto di quale parte si tratta, ma sicuramente è l'interesse di una parte consistente di cittadini. Credo che avremo modo di verificarlo ulteriormente nei prossimi passaggi.
Dunque, al di là di un giudizio contrario rispetto all'intero provvedimento vi è, per le motivazioni prima spiegate, una valutazione nettamente contraria sull'articolo 32 che modifica strutturalmente la situazione, anche se lo si vuole nascondere. I colleghi della maggioranza, in particolare quelli di Alleanza nazionale, non hanno fiatato riguardo al punto principale sul quale vi era un emendamento soppressivo da parte delle opposizioni. L'intenzione sembra esclusivamente quella di colpire Roma in quanto capitale d'Italia, di colpire il passo avanti compiuto riconoscendo a Roma il valore particolare in relazione alle sue funzioni in quanto capitale. Si vuole sostanzialmente fare quello che non accade per nessuna capitale europea e mondiale. Anzi, sappiamo perfettamente che da Londra, a Parigi, a Washington tutte le capitali, tanto più se di Stati federali, hanno da parte del Parlamento una particolare attenzione proprio per le funzioni che svolgono in ragione dell'interesse del paese. Tutto questo era stato raggiunto almeno in una previsione costituzionale con la riforma fatta dal centrosinistra nel 2001 e viene ora rimesso in discussione.
Ripeto, in questo modo si sottrae - ed è bene che lo sappiano gli elettori della Lega - agli elettori della Padania la possibilità di stabilire qual è l'ordinamento e quali sono i poteri di Roma capitale. Li consegnate totalmente nelle mani (Commenti dei deputati della Lega Nord Federazione Padana)... Il fatto che dite «chi se ne frega» dimostra la valenza delle vostre argomentazioni. D'altra parte, il leader attuale della riforma, cioè il ministro Calderoli, quando era leader della Lega lombarda portava la gente a Roma a manifestare perché Roma prendesse fuoco.
GOFFREDO MARIA BETTINI. È vero, sono testimone!
ROBERTO GIACHETTI. Dunque, non mi meraviglia minimamente la vostra attenzione al valore della capitale, ne avete dato ampie dimostrazioni anche nei mesi scorsi. Come la pensiate lo sappiamo noi e lo sa il popolo italiano. Forse, sarebbe bene se lo ricordassero anche i colleghi di Alleanza nazionale, che con voi fanno gli «inciuci» per regalare a Storace quello che sicuramente i cittadini italiani gli toglieranno attraverso il referendum (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cento. Ne ha facoltà.
PIER PAOLO CENTO. Signor Presidente, i deputati Verdi voteranno contro l'articolo 32 non solo in coerenza con l'orientamento generale che tutta l'opposizione ha preso su tutti gli articoli della riforma cosiddetta federalista, ma in particolare perché nella modifica dell'articolo 114 della Costituzione si manifesta in tutto il suo compromesso il carattere negativo di un testo che, da una parte, parla di federalismo e, dall'altra, sacrifica proprio i principi fondamentali di un autentico sviluppo delle autonomie locali. Roma in questo contesto esce penalizzata come capitale e come luogo non solo simbolico ma sostanziale di rappresentazione dell'unità nazionale.
Esce sacrificata in maniera demagogica, perché viene piegata ai ricatti della Lega e alla sua necessità di presentarsi, nella prossima campagna elettorale, con il titolo di aver fatto finalmente una riforma cosiddetta federalista, anche a costo di sfasciare e di rendere ingovernabile il sistema delle autonomie del nostro paese e, in questo contesto, di penalizzare la città di Roma. In questa vicenda, Alleanza nazionale, che ha ritirato l'emendamento Landolfi 32.71 sulla creazione del distretto di Roma capitale, che rappresentava una sua battaglia storica in questa città, esce da una parte con le ossa rotte, dall'altra, con l'incapacità di riuscire a spiegare ai cittadini romani, nella prossima campagna elettorale regionale, cosa significhi - se non veramente una manciata di lenticchie date al governatore Storace (il quale, però, finirà il suo mandato nella prossima primavera) - il fatto che i poteri di Roma capitale devono essere contrattati e delegati dallo statuto regionale del Lazio. È una brutta pagina, che noi contrasteremo con forza, anche su questo punto (Commenti del deputato Rizzi), nella campagna di informazione e di mobilitazione del paese fino allo svolgimento del referendum e sarà bello vedere cosa diranno i parlamentari del centrodestra eletti a Roma, ma non solo quelli, dato che la questione di Roma non riguarda solo i parlamentari romani, bensì è una grande questione nazionale, così come in tutta Europa le questioni relative alle capitali mobilitano e fanno discutere a livello nazionale. Noi non ci stiamo a far diventare Roma una questione localistica, legata ai rapporti di mediazione con la regione e sostanzialmente estromessa dalla discussione e dal rapporto con il Parlamento nazionale. Queste sono le ragioni della nostra contrarietà, di metodo, oltre che di merito, nei confronti di questo articolo 32 (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Verdi-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Volontè. Ne ha facoltà.
LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, vorrei segnalare le note positive dei voti espressi con riferimento all'articolo 114 della Costituzione. Non avevo dubbi, ma comunque mi fa piacere che la Camera si sia espressa favorevolmente non solo per il mantenimento della formulazione del primo comma dell'articolo 114, ma anche per l'introduzione, in tale disposizione normativa, del principio di leale collaborazione e di sussidiarietà. Lo dico perché è un importante passo in avanti nella direzione di uno Stato a federalismo solidale (che tutti diciamo di voler costruire), che abbia a cuore il principio della leale collaborazione e della sussidiarietà.
Questi due passaggi, importanti e fondamentali per l'articolo 114, sono stati condivisi da gran parte dell'attuale Parlamento (in particolare la Camera dei deputati). Mi sembra quindi sbagliato dire - come ho sentito negli interventi di autorevoli colleghi, che mi hanno preceduto - che la maggioranza sta stracciando la Costituzione e che si sta muovendo su un testo blindato. Ciò per quanto concerne, ripeto, questo articolo. Pertanto, proprio perché sono stati votati quasi all'unanimità dal Parlamento questi due passaggi sull'articolo 114, inviterei il centrosinistra - anche se so che questo appello non sarà ascoltato (ma forse sull'articolo successivo troverà una maggiore attenzione) - a rivalutare l'ipotesi quanto meno di un'astensione. Lo dico non perché io ritenga secondario il tema della capitale della Repubblica federale, ma perché abbiamo votato poco fa un emendamento che spiega chiaramente che alla lettera p), secondo comma, dell'articolo 117, tra le materie a legislazione esclusiva vi è anche quella in tema di ordinamento della capitale della Repubblica federale (oltre alla legislazione elettorale, organi di Governo e funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane).
Non esprimersi nemmeno astenendosi, considerato che i due terzi dell'articolo attuale sono stati condivisi completamente ed in maniera importante per una questione lessicale (l'articolo 117 individua chiaramente la titolarità delle competenze ordinamentali esclusive rispetto alla capitale di Roma), mi sembra un'occasione mancata e, soprattutto, mi sembrerebbe tale non l'espressione del voto contrario, ma l'affermare che sull'articolo 114 della Costituzione vi è un dissenso per volere di una maggioranza che intende blindare il testo.
Chi ha seguito i nostri lavori e chi leggerà domani il resoconto stenografico della nostra discussione si renderà conto, invece, che non solo su tale articolo è stato condiviso un approccio storico-giuridico rispetto alla sussidiarietà ed alla provenienza di realtà sussidiarie (comuni, province, regioni e Stato), ma è stato anche affermato, in maniera determinante, che tale ordinamento debba fondarsi su un principio scontato, che, forse, proprio perché era tale, tutta la maggioranza lo ha condiviso in fondo (anche il Parlamento lo ha condiviso all'origine, inserendolo nell'articolo).
Spero - forse è un auspicio senza senso - che al di là della decisione politica di esprimere un voto contrario su tutti gli articoli (sull'articolo in esame si è manifestata una posizione favorevole di gran parte dei colleghi), vi sia un consenso più ampio anche nel voto finale.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Deiana. Ne ha facoltà.
ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, esprimo il giudizio nettamente contrario del mio gruppo sull'articolo in esame e le ragioni sono state ampiamente illustrate. Non credo che ci si possa limitare nel giudizio sull'articolo agli aspetti relativi al problema di Roma capitale. In realtà, Roma capitale, anche con riferimento al modo con cui è stata presentata la questione all'interno del provvedimento, è un tutt'uno con la complessiva proposta che viene avanzata di revisione costituzionale. La storia relativa alla formazione dello Stato nazionale e l'avvento della Repubblica democratica sono, infatti, un tutt'uno con la storia di Roma e con il percorso storico, politico ed istituzionale che ne ha fatto la capitale del nostro paese.
Vorrei ricordare tra le altre cose - la storia ha la sua importanza - che, proprio intorno all'obiettivo storico di Roma capitale d'Italia, ebbe a coagularsi un capitolo estremamente importante della storia nazionale, cioè il complesso e difficile percorso, contraddittorio per tanti versi, di quelle forze che, nel corso della vicenda italiana, perseguirono il progetto della laicizzazione dello Stato, della secolarizzazione della politica e della collocazione del nostro paese nell'ambito giuridico della modernità.
Roma è veramente un tutt'uno con la storia di questo paese. La specialità di Roma come città capitale è, dunque, una realtà intrinseca. Non vi era bisogno di prevederla nella Costituzione esattamente per la forza di questa evidenza. Si poteva inserire tale previsione nella Costituzione per sottolinearne al massimo livello la funzione, fino a prevedere uno statuto speciale? Credo di sì! Tutte le grandi capitali godono di una specialità nei confronti delle altre città e di uno statuto speciale che rappresenti questa specialità.
Ad esempio, Berlino, tornata capitale nel 1991 della Repubblica federale tedesca, è qualificata nella Costituzione federale tra i Lander, conservando, nel contempo, lo status di comune e la regolamentazione dei suoi compiti di capitale dipende da un accordo intercorso tra Berlino e la Repubblica federale.
La comunità autonoma di Madrid è regolata nei suoi rapporti con lo Stato attraverso l'azione del Parlamento, la ley organica del 1983.
Ma il problema - come emerso chiaramente nel dibattito - è un altro: ridurre Roma ad un tassello della frammentazione della Repubblica italiana, regionalizzandone la valenza, la funzione, la rappresentazione. Questo non è solo il risultato emergente dal testo in esame, ma costituisce anche una metafora, una rappresentazione generale di ciò che si vuole fare della Carta costituzionale e, soprattutto, della realtà del nostro paese.
Le proposte avanzate dalla maggioranza sono tali da sconvolgere la Costituzione italiana; se ne stanno distorcendo le istituzioni, incrinando i fondamenti, rovesciando gli obiettivi. Il farraginoso e incongruo disegno costituzionale che verrà fuori da questa riforma porta il segno negativo della cultura reazionaria, antiunitaria, antisolidale delle piccole patrie della Lega, che qui tace perché pensa di portare a casa un ricco bottino.
La collocazione di Roma nella Costituzione nel modo da voi proposto non è soltanto una derubricazione avvilente del ruolo di capitale, è una subordinazione istituzionale e permanente, al di là del presidente Storace, nonché il segno manifesto di una volontà di ridurre la Costituzione ad una carta senza valore. Emerge il progetto di decostituzionalizzare le relazioni sociali, le istituzioni, la vita pubblica di questo paese.
Per tali ragioni, la nostra contrarietà sull'articolo in esame è assolutamente radicale e convinta.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mazzuca Poggiolini. Ne ha facoltà.
CARLA MAZZUCA POGGIOLINI. Signor Presidente, anche i Repubblicani europei esprimeranno un voto contrario sull'articolo 32 e non certo perché esso è stato emendato nel senso di produrre minor danno inserendo l'emendamento proposto dal centrosinistra, ma in quanto questo articolo dimostra in modo lampante le capriole, i compromessi, le piroette avvenute all'interno della maggioranza per cercare di trovare un accordo con buona pace di tutti quei cittadini, autenticamente democratici e repubblicani, che vedono nella Costituzione la Carta fondamentale che fissa in modo preciso gli ambiti di potere delle istituzioni.
Il fatto di aver sottomesso la Capitale, di cui si riconosce il valore, alle regole della regione è un qualcosa che grida vendetta, che farà sorridere gli altri paesi europei e che indica, senza possibilità di equivoco, i vostri compromessi, ma soprattutto il vostro disprezzo per la Costituzione. Un disprezzo che ci obbliga ad esprimere un voto contrario su questo articolo e su tutti quelli che seguiranno.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Carrara. Ne ha facoltà.
NUCCIO CARRARA. Signor Presidente, intervengo per esprimere il voto favorevole del gruppo di Alleanza nazionale sull'articolo 32 e per fare il punto sulla discussione, anche alla luce del dibattito che si è svolto sul termine «Stato», nonché per chiarire meglio i termini della nostra posizione (e non della nostra polemica).
Avevo anticipato che sopprimere il termine «Stato» non avrebbe avuto alcun significato rispetto al funzionamento del nostro ordinamento, ma noi abbiamo una concezione diversa dello Stato. Quindi, fermo restando che, in un sistema a schema orizzontale, riconosciamo pari dignità a regioni, comuni, città metropolitane e province, a nostro avviso lo Stato, comunque lo si veda - secondo le filosofie idealiste o positiviste -, è qualcosa di più; per noi lo Stato è il tutto laddove gli altri sono la parte.
Per noi, lo Stato è continuità storica; per noi, lo Stato è tradizione e sintesi tra presente, passato e futuro. Per noi, lo Stato è anima, non soltanto organizzazione burocratica. Per noi, lo Stato è qualcosa di alto e nobile; in coscienza, nessuno di noi ritenne opportuno utilizzare tale forzatura nella precedente Costituzione del 1948. Non accediamo alle tesi di parte della sinistra, quando vuole recuperare lo spirito di quella Costituzione, che però ha letteralmente stravolto con la riforma del 2000. Evidentemente, la sinistra ragiona a corrente alternata, pur di fare un dispetto alla maggioranza.
L'articolo in esame, comunque, va votato perché contiene un principio fondamentale, collocato però stavolta al posto giusto. Mi riferisco al principio di sussidiarietà, un principio già presente oggi nella Costituzione vigente, nella riforma del Titolo V varata dall'Ulivo, collocato però soltanto all'articolo 118, laddove si parla di funzioni amministrative di regioni, province e comuni. Ebbene, nel testo di riforma tale principio è stato opportunamente ricondotto all'articolo 114, laddove si parla in generale delle funzioni delle regioni, delle province, delle città metropolitane e dei comuni, andando quindi incontro ad una sentenza della Corte Costituzionale e fugando futuri, ulteriori e possibili dubbi interpretativi.
Al di là, infatti, della ripartizione per materia, prevista all'articolo 117, finalmente si stabilisce il principio che quanto può fare il comune - da solo, con le proprie risorse - non è necessario che lo faccia la provincia; così, ciò che può fare la provincia non è necessario rientri tra i compiti della città metropolitana o delle regioni.
Tale principio rappresenta una bussola, in quanto chiarisce sotto il profilo interpretativo qualsiasi dubbio. Inoltre, non solo non mette in discussione i princìpi di unità nazionale, di unità repubblicana e di unità statuale, bensì li rafforza (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Gerardo Bianco. Ne ha facoltà.
GERARDO BIANCO. Signor Presidente, annuncio il mio voto contrario, non solo per ragioni sostanziali, ma anche per ragioni linguistiche. Vorrei, infatti, che si leggesse questo articolo per capire la confusione dei linguaggi. È stato utilizzato un italiano incomprensibile, difficile da essere interpretato per qualsiasi Corte costituzionale.
ANTONIO BOCCIA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, chiederei all'onorevole Bruno, presidente della I Commissione e relatore, che con diligenza dirige i lavori della propria Commissione, di approfittare del mio intervento per presentare immediatamente un emendamento, onde correggere la rubrica dell'articolo. Infatti, nella rubrica è rimasta la parola «federale».
DONATO BRUNO, Relatore. L'abbiamo cambiata!
MARCO BOATO. L'abbiamo cambiata!
PRESIDENTE. Onorevole Boccia, è stato preceduto dal «tandem» composto dagli onorevoli Bruno e Boato...!
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 32, nel testo emendato.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 481
Votanti 475
Astenuti 6
Maggioranza 238
Hanno votato sì 262
Hanno votato no 213).
Chiedo al relatore di esprimere il parere sugli identici articoli aggiuntivi Fioroni 32.01 e Osvaldo Napoli 32.02.
DONATO BRUNO, Relatore. Signor Presidente, invito i presentatori degli identici articoli aggiuntivi Fioroni 32.01 e Osvaldo Napoli 32.02 a ritirarli. Infatti, il primo periodo di tali proposte emendative («Le relazioni tra i comuni, le città metropolitane, le province, le regioni e lo Stato si fondano sui princìpi di leale collaborazione e di sussidiarietà») fa già parte dell'articolo 32, approvato poco fa.
Inoltre, per quanto riguarda la parte restante degli identici articoli aggiuntivi, la Commissione si è fatta carico di affrontare il problema delle Conferenze, risolvendolo con il testo che è sotto gli occhi dei presentatori.
Sulla base di tali motivazioni, ritengo che i presentatori possano ritirare gli articoli aggiuntivi in esame, sui quali, altrimenti, il parere è contrario.
PRESIDENTE. Prendo atto che il parere del Governo è conforme a quello del relatore.
Onorevole Fioroni, accede all'invito al ritiro del suo articolo aggiuntivo 32.01 formulato dal relatore?
GIUSEPPE FIORONI. Signor Presidente, la ratio dell'articolo aggiuntivo in esame risiede nel concetto di leale collaborazione. La prima parte è stata recepita, ma la seconda parte è volta ad impedire che gli strumenti di concertazione, di coordinamento e di codecisione tra le autonomie locali e le regioni, in alcuni casi, e tra le autonomie locali, le regioni e lo Stato, non vengano, al di là delle enunciazioni di principio, sostanzialmente vanificati come avviene oggi, tenendo presente che ci troviamo già di fronte a rischi fondati di vedere le autonomie locali poste in una posizione di subordinazione, anche dal punto di vista dell'autonomia amministrativa, rispetto alle regioni, anche con riguardo, per alcuni aspetti, alle decisioni dello Stato e del Parlamento.
Ritengo pertanto che l'articolo aggiuntivo in esame abbia lo scopo di non vanificare quanto è già stato recepito nell'articolo 32. Tuttavia, se la Commissione assume l'impegno di verificare la possibilità di recepire successivamente il contenuto dell'articolo aggiuntivo, ne propongo l'accantonamento.
DONATO BRUNO, Relatore. Nulla quaestio !
PRESIDENTE. Prendo atto che l'onorevole Osvaldo Napoli concorda sulla proposta di accantonamento formulata dall'onorevole Fioroni.
Pertanto, non essendovi obiezioni, l'esame degli identici articoli aggiuntivi Fioroni 32.01 e Osvaldo Napoli 32.02 deve intendersi accantonato.
(Esame dell'articolo 33 - A.C. 4862 ed abbinate)
PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 33 e delle proposte emendative ad esso presentate (vedi l'allegato A - A.C. 4862 ed abbinate sezione 2).
Ha chiesto di parlare l'onorevole Tonino Loddo. Ne ha facoltà.
TONINO LODDO. Signor Presidente, negli ultimi anni si è sviluppato in Sardegna un ampio dibattito mirante alla riscrittura integrale dello statuto di autonomia, i cui limiti, soprattutto in conseguenza e per effetto delle modifiche costituzionali sopravvenute, appaiono sempre più evidenti a tutti. In questo periodo, vi sono due temi che hanno particolarmente appassionato l'opinione pubblica sarda: l'ipotesi di riscrivere lo statuto tramite un'assemblea costituente e i contenuti stessi di tale statuto.
Al di là di ciò, quello che particolarmente interessa è prendere atto che se oggi finalmente il dibattito sulla riforma dello statuto inizia fuori del Palazzo, fra i cittadini, nella cosiddetta società civile, ciò si deve al fatto che molti in Sardegna, nonostante le resistenze diffuse, hanno finalmente avuto il coraggio di affermare che non si può e non si deve lasciare al Palazzo e ai suoi dintorni il potere-dovere di riscrivere lo statuto, e che tale potere-dovere deve essere riconsegnato ai cittadini e ai loro legittimi rappresentanti locali, vale a dire al consiglio o all'assemblea costituente.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALFREDO BIONDI (ore 17,57)
TONINO LODDO. Nel dibattito, divenuto finalmente pubblico, i contenuti che vanno delineandosi attraverso la partecipazione dei cittadini appaiono assolutamente diversi rispetto ai contenuti dei disegni di legge di riforma presentati secondo l'iter tradizionale e che sono all'esame del Parlamento.
Sono certamente persuaso che il problema non sia costituito dall'assemblea costituente, ma la crescita del consenso su tale proposta presso strati sempre più vasti di cittadini sardi evidenzia come essi manifestino una crescente sfiducia nei confronti dell'istituzione regionale, nel cui ventre, da almeno un decennio, tutti i progetti di riforma si sono puntualmente arenati in un colpevole e trasversale disinteresse. Ritengo che la ragione sia evidente: i contenuti di quel progetto di riforma minacciavano e minacciano le prerogative istituzionalmente oligarchico-centralistiche del consiglio regionale.
Certamente, nessuno può negare che il Governo nazionale dell'età repubblicana abbia contrastato ripetutamente l'esercizio autonomo della potestà legislativa regionale. Al tempo stesso, però, sembra giustificatoria della propria inettitudine l'accusa secondo cui l'autonomia di cui ha goduto la Sardegna è stata molto parziale, al punto da determinare la mancata rinascita dell'isola. Non dimentichiamo che lo statuto ha offerto alla giunta e al consiglio regionali la possibilità di legiferare in diversi settori dell'attività produttiva. Il torto di chi ha governato è quello di avere in buona misura ignorato questi strumenti o di averli usati malamente o, in tempi recenti - nella migliore delle ipotesi -, con la mentalità di un amministratore aziendale.
Oggi le cose sono cambiate notevolmente a tutti i livelli. La stessa specialità dello statuto sardo ha perso la sua funzione originaria. Ci troviamo, infatti, in una fase di transizione che ha già modificato e modificherà ulteriormente i rapporti tra centro e periferia. Il Parlamento ha approvato e sta approvando nuove forme di decentramento e le stesse regioni a statuto ordinario godono di un'autonomia per certi aspetti maggiore di quella della regione sarda. L'esigenza di una revisione statutaria anche per la Sardegna non è dunque infondata, anche se appaiono francamente ridondanti e demagogici gli strumenti ipotizzati per realizzare questa riforma.
Al di là delle osservazioni appena espresse, resta fermo e universalmente riconosciuto il principio di salvaguardia dell'iniziativa di riscrittura dello statuto sardo da parte della massima istituzione autonomistica, espressione e voce del popolo sardo. Il diritto costituzionale del popolo sardo a darsi norme e principi di autonomia e autogoverno non può essere diminuito o marginalizzato da niente e da nessuno, nelle forme che si deciderà di individuare in tema di assetto federale e autonomistico, riaffermando norme specifiche che individuino le nuove ipotesi della specialità sarda.
Ma tutto questo non può essere fatto senza o, peggio, contro i sardi. Tale è appunto il senso degli emendamenti che i deputati sardi del centrosinistra hanno presentato: garantire ai sardi e, più in generale, alle regioni a statuto speciale e alle province autonome il diritto a scrivere il proprio statuto. Infatti, signor Presidente, non è sufficiente che venga riconosciuto alle assemblee legislative regionali il diritto ad esprimere il proprio diniego rispetto ad un provvedimento che viene catapultato dall'esterno ma, al contrario, è assolutamente necessario pensare ad una potestà positiva, pensare cioè ad uno strumento che risponda alle esigenze peculiari di un popolo e di una regione. Le grandi idee politiche infatti sono quelle che i cittadini, tutti i cittadini, possono vagliare e valutare, per rifiutarle, combatterle, sconfiggerle o farle proprie, difenderle ed imporle.
Vi è il rischio altrimenti - se non il disegno malizioso - di escludere i cittadini dal processo di formazione dello statuto, con il risultato di uno statuto che continuerebbe quindi a tenere fuori i cittadini dal processo di formazione della volontà regionale. Non dobbiamo temere dunque di affrontare con il concorso generale le grandi scelte politiche e giuridiche. Solo la loro applicazione in articolati sarà compito, sarà il lavoro esecutivo dei tecnici, ma le grandi scelte lasciamole ai cittadini, dando gambe a quel «federalismo delle idee» che fa pendant con il federalismo fiscale di cui tanto si parla e che da solo sarebbe ben poca cosa.
Mentre, quindi, apprezzo lo sforzo che la maggioranza ha compiuto, assumendo almeno la categoria del diniego, devo anche esprimere il rammarico per questo pensare negativo, che considera il sistema delle autonomie regionali incapace della positività della proposta. Se i nuovi statuti regionali vogliono essere fortemente innovativi e rovesciare la situazione e le tendenze centralistiche, oligarchiche e conservative odierne, è assolutamente insufficiente ricopiare diligentemente le ricette governative. Occorre, invece, inventare formule con fantasia istituzionale, grazie alle quali il sistema delle autonomie regionali possa essere soggetto di capacità programmatoria, oggettivamente coinvolto nei processi di indirizzo.
Infatti, la rifondazione della democrazia dal basso, che, oggi più che mai, costituisce un bisogno ineludibile del nostro paese, passa attraverso due canali: uno è quello dell'articolazione autonomistica, che parte dai comuni, i quali possono stabilire un rapporto con la popolazione diverso da quello avuto nel passato; l'altro è quello di sperimentare la partecipazione.
Quindi, non solo bisogna evitare un neopaternalismo centralista, ma occorre anzi lavorare per un pieno coinvolgimento del comune e delle regioni nel processo programmatorio nazionale ed una delle materie su cui lavorare è proprio scrivere la legge sulle autonomie (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Maurandi, al quale ricordo che ha cinque minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
PIETRO MAURANDI. Signor Presidente, l'articolo 33 in discussione modifica l'articolo 116 della Costituzione, relativamente alle modalità di approvazione degli statuti speciali. Si mantiene la loro natura di legge costituzionale, ma si stabilisce che essi potrebbero essere approvati dal Parlamento anche senza l'intesa da parte della regione interessata; si prescrive infatti che, se l'intesa non si manifesta entro sei mesi dall'avvio del procedimento, il Parlamento può approvare ugualmente gli statuti. Questo vorrebbe dire che gli statuti stessi potrebbero anche essere approvati senza o contro il parere delle regioni interessate.
L'emendamento 33.250 della Commissione introduce modifiche di cui non ci sfuggono il rilievo ed il peso. In parte accogliendo nostre proposte e quelle delle regioni a statuto speciale, la modifica stabilisce che l'intesa dei consigli regionali debba aversi dopo la prima deliberazione del Parlamento, e questa è già una salvaguardia dell'intesa che le regioni devono esprimere. Inoltre, in luogo del termine per l'intesa, viene inserito un termine per il diniego dell'intesa da parte delle regioni.
La formulazione dell'emendamento della Commissione migliora certamente quella originaria. Tuttavia, credo che non sia ancora del tutto risolto il problema della procedura, perché mi pare non condivisibile una procedura che non contempli una piena accettazione del testo dello statuto sia da parte del Parlamento che da parte della regione interessata. Per di più, l'emendamento della Commissione prescrive una maggioranza di quattro quinti per l'approvazione del diniego in consiglio regionale, lasciando così forti ostacoli alla libera espressione dei consigli regionali sugli statuti.
Insomma, si conferma che gli statuti potrebbero essere approvati al limite senza o contro il parere delle regioni interessate. La formulazione attuale dell'articolo 116 ha certamente bisogno di essere modificata, perché non affronta il problema del rapporto da instaurarsi fra Parlamento e consiglio regionale nell'approvazione degli statuti, ma le modifiche proposte con l'articolo 33 e con l'emendamento della commissione ci sembrano ancora timide, e non in grado di risolvere il problema, pur introducendo, con i limiti che ho detto, il meccanismo dell'intesa.
Per cercare di superare questi limiti, abbiamo presentato una serie di emendamenti che discuteremo. Credo, in conclusione, che il problema, oggetto di ampie discussioni e di diverse proposte nelle regioni a statuto speciale e in Parlamento, vada affrontato in modo risolutivo; ne discuteremo ancora in relazione ad altri articoli, prevedendo un iter che metta su un piano di parità il Parlamento e gli organi legislativi della regione per l'approvazione degli statuti.
Intanto, relativamente a questo articolo, mi pare necessario almeno eliminare gli ostacoli più forti che si frappongono all'espressione dell'intesa da parte delle regioni (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione sulle proposte emendative presentate.
DONATO BRUNO, Relatore. La Commissione invita i presentatori al ritiro dell'emendamento Bressa 33.70. Mi appello alla sensibilità dei colleghi firmatari affinché aderiscano a questa richiesta, se lo dovessero ritenere, atteso che con l'emendamento 33.250 della Commissione credo che tanti problemi posti da questo articolo vengano superati.
Inoltre, la Commissione esprime parere contrario sugli emendamenti Perrotta 33.71 e Soro 33.77, nonché sugli identici emendamenti Cossa 33.80 e Burtone 33.83.
Gli identici subemendamenti Zeller 0.33.250.1, Cabras 0.33.250.2, Mazzuca Poggiolini 0.33.250.3, Boato 0.33.250.4 e Cossa 0.33.250.5 pongono un problema che, devo dire, è stato lungamente discusso in sede di Commissione. Ritengo che la questione della deliberazione a maggioranza dei quattro quinti rispetto ai due terzi sia probabilmente rigida, mentre, se andiamo a verificare quello che accade oggi nelle regioni a statuto speciale, la maggioranza dei due terzi non garantisce appieno le maggioranze che si intendevano configurare con questo articolo. Detto ciò, inviterei tutti i firmatari degli identici subemendamenti richiamati a ritirarli. In caso contrario, mi rimetto all'Assemblea. Credo che i colleghi rappresenteranno qual è la situazione degli statuti speciali e che sia giusto che l'Assemblea si esprima su questo punto.
La Commissione raccomanda altresì l'approvazione del suo emendamento 33.250 ed esprime parere contrario sull'emendamento Maurandi 33.78.
La Commissione esprime, infine, parere contrario sugli emendamenti Nuvoli 33.81 e 33.82.
Se lei è d'accordo, signor Presidente, potrei esprimere in un momento successivo il parere sulle restanti proposte emendative riferite all'articolo 33.
PRESIDENTE. Onorevole Bruno, credo sia opportuno che lei esprima in questa fase anche il parere sull'emendamento Carrara 33.84 e sui relativi subemendamenti.
DONATO BRUNO, Relatore. Riguardo ai subemendamenti Lo Presti 0.33.84.2, Antonio Leone 0.33.84.1, la Commissione invita i presentatori a ritirarli.
Anche in questo caso, signor Presidente, abbiamo discusso molto sul contenuto di queste proposte emendative che sono, devo dire, anche condivisibili, in qualche misura. Tuttavia, per come sono formulate, credo che, allo stato, il relatore non possa che rivolgere un invito al ritiro, esprimendo altrimenti parere contrario, laddove non vi fossero altre formulazioni; peraltro, il contenuto dei subemendamenti potrebbe essere trasfuso in un ordine del giorno, con riferimento al quale il Governo ha già dichiarato la propria disponibilità.
PRESIDENTE. La invito ad esprimere il parere anche sull'emendamento Carrara 33.84.
DONATO BRUNO, Relatore. Signor Presidente, il ragionamento che ho testé svolto riguardava anche l'emendamento Carrara 33.84, per il quale la Commissione rivolge ai presentatori un invito al ritiro. Se tale emendamento ed i relativi subemendamenti fossero riformulati, potremmo riconsiderarli; altrimenti il parere della Commissione è contrario. La Commissione ribadisce comunque l'invito al ritiro ed alla conseguente presentazione di un ordine del giorno.
PRESIDENTE. È stato chiarissimo, onorevole relatore. Non avevo capito che nel suo precedente intervento intendeva riferirsi anche all'emendamento Carrara 33.84.
Il Governo?
ROBERTO CALDEROLI, Ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione. Il Governo esprime parere conforme a quello del relatore, ad eccezione degli identici subemendamenti Zeller 0.33.250.1, Cabras 0.33.250.2, Mazzuca Poggiolini 0.33.250.3 e Boato 0.33.250.4, sui quali esprime parere favorevole.
NUCCIO CARRARA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà
NUCCIO CARRARA. Prendo atto della disponibilità del relatore e del Governo e chiedo se sia possibile accantonare il mio emendamento 33.84, in vista di una riformulazione e, quindi, di un eventuale accoglimento.
PRESIDENTE. Onorevole Carrara, il suo intervento è a futura memoria: potrà ribadire la sua richiesta nel momento in cui passeremo all'esame del suo emendamento 33.84.
Passiamo all'emendamento Bressa 33.70. Chiedo ai presentatori se accedano all'invito al ritiro.
MARCO BOATO. No, signor Presidente.
PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Bressa 33.70, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 447
Votanti 446
Astenuti 1
Maggioranza 224
Hanno votato sì 196
Hanno votato no 250).
Passiamo all'emendamento Perrotta 33.71.
Chiedo all'onorevole Perrotta se acceda all'invito al ritiro.
ALDO PERROTTA. Sì, signor Presidente, lo ritiro.
PRESIDENTE. Sta bene.
Passiamo alla votazione dell'emendamento Soro 33.77.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Soro 33.77, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 450
Votanti 446
Astenuti 4
Maggioranza 224
Hanno votato sì 199
Hanno votato no 247).
Prendo atto che gli onorevoli Perrotta e Santori non sono riusciti ad esprimere il proprio voto.
Passiamo alla votazione degli identici emendamenti Cossa 33.80 e Burtone 33.83.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Burtone. Ne ha facoltà.
GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Signor Presidente, la riforma in esame non è rispettosa delle prerogative delle regioni a statuto speciale. Sono regioni - lo voglio ricordare - che hanno conquistato con sacrifici l'autonomia e che hanno sempre considerato questo valore strettamente collegato al sentimento di unità nazionale. Abbiamo pertanto presentato questi emendamenti, che hanno l'obiettivo di sottolineare la specificità regionale.
Tali emendamenti ci sono stati sollecitati dai rappresentanti istituzionali delle regioni a statuto speciale e sono stati ampiamente pubblicizzati dagli organi di stampa; mi riferisco, in modo particolare, alla stampa siciliana. Il presidente della regione interessata, in particolare, ha evidenziato che gli emendamenti, compreso quello in esame, avrebbero ricevuto il parere positivo da parte del Governo. Quindi, con meraviglia prendo atto del parere contrario sul mio emendamento 33.83, anche se una proposta emendativa della Commissione ne riprende in parte il contenuto.
Francamente, vorremmo che venisse approvato questo nostro emendamento, perché ci sembra rispettoso delle prerogative delle regioni speciali. Siamo fermamente contrari alla previsione di una semplice intesa. Con l'emendamento in esame, ma anche con altri che esamineremo successivamente, chiediamo un maggiore coinvolgimento delle regioni (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sugli identici emendamenti Cossa 33.80 e Burtone 33.83, non accettati dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 459
Votanti 450
Astenuti 9
Maggioranza 226
Hanno votato sì 204
Hanno votato no 246).
Passiamo alla votazione degli identici subemendamenti Zeller 0.33.250.1, Cabras 0.33.250.2, Mazzuca Poggiolini 0.33.250.3, Boato 0.33.250.4 e Cossa 0.33.250.5.
Chiedo ai presentatori se accedano all'invito al ritiro rivolto dal relatore.
MARCO BOATO. No, signor Presidente, ed insistiamo per la votazione.
PRESIDENTE. Sta bene.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sugli identici emendamenti Zeller 0.33.250.1, Cabras 0.33.250.2, Mazzuca Poggiolini 0.33.250.3, Boato 0.33.250.4 e Cossa 0.33.250.5, accettati dal Governo e sui quali la Commissione si rimette all'Assemblea.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 469
Votanti 464
Astenuti 5
Maggioranza 233
Hanno votato sì 453
Hanno votato no 11).
Passiamo alla votazione dell'emendamento 33.250 della Commissione.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cristaldi. Ne ha facoltà.
NICOLÒ CRISTALDI. Signor Presidente, intervengo sull'emendamento 33.250 della Commissione, anzitutto per affermare che si compie un passo avanti rispetto al passato e che con questo emendamento si riconoscono poteri specifici alle regioni in questione e alla provincia di Trento e di Bolzano.
Eppure, ho necessità di porre un quesito alla Commissione ed al suo presidente. Infatti, finora, quando si è fatto riferimento all'intesa tra lo Stato e la regione, si è parlato di rappresentante dello Stato e di rappresentante della regione, e il massimo rappresentante della regione è sempre stato il presidente della regione, il presidente della giunta regionale. Qui si inserisce invece il concetto di un'intesa che sarebbe raggiunta con il consiglio regionale e, non specificandosi diversamente, questo significa che l'interlocutore per il raggiungimento dell'intesa con lo Stato diventa il consiglio regionale e per esso, nelle discussioni, il presidente del consiglio regionale. Più avanti, nello stesso emendamento, non si fa invece riferimento al consiglio provinciale, ma alla provincia autonoma interessata. Ma il rappresentante della provincia autonoma interessata è il presidente della provincia, che non è anche il presidente del consiglio provinciale. Mi chiedo se la individuazione di questi vocaboli sia oggetto di riflessione al punto tale che, per quanto riguarda la regione, si intende avere come interlocutore il consiglio regionale, mentre, per quanto riguarda la provincia, si intende avere come interlocutore il rappresentante legale della stessa.
La Commissione è molto impegnata e, probabilmente, ritiene sia di poco conto quello che sta dicendo il sottoscritto; ma alla fine ne verrà fuori una vicenda e, quindi, vorrei pregare il presidente Bruno di prestare attenzione a queste considerazioni.
Si fa poi riferimento semplicemente ai consigli regionali ma, poiché sono stato presidente dell'assemblea regionale siciliana, so bene che nella individuazione del consiglio regionale non viene inclusa anche l'assemblea regionale siciliana, che, per decisione della Corte costituzionale, è un parlamento a tutti gli effetti. Il fatto di avere qui scritto "consiglio regionale" è una limitazione, nel senso che si intende avere come interlocutore soltanto i consigli regionali, anche se a statuto speciale, oppure si intende includere fra i consigli regionali anche l'assemblea regionale siciliana? Se questo si intende fare, mi permetto di chiedere alla Commissione di valutare l'opportunità di aggiungere, dopo le parole «consiglio regionale», anche il riferimento all'assemblea regionale siciliana, perché venga individuata, e poi di specificare l'aspetto relativo alla provincia. Infatti, se si assume come interlocutore il consiglio regionale, credo sia giusto che si assuma come interlocutore il consiglio provinciale e non la provincia autonoma interessata, secondo la definizione che abbiamo qui.
Credo che queste considerazioni, debbano essere oggetto di riflessione e di valutazione, perché, se non affrontate in questa sede, rischiano di diventare elemento di contenzioso in futuro.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 33.250 della Commissione, nel testo subemendato, accettato dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 480
Votanti 469
Astenuti 11
Maggioranza 235
Hanno votato sì 468
Hanno votato no 1).
Avverto che gli emendamenti Maurandi 33.78, Nuvoli 33.81 e 32.82, a seguito dell'approvazione dell'emendamento 33.250 della Commissione, si intendono preclusi.
NUCCIO CARRARA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NUCCIO CARRARA. Signor Presidente, intervengo anche al fine di agevolare l'andamento dei lavori dell'Assemblea. Mi sembra che il subemendamento Lo Presti 0.33.84.2 sia stato ritirato; tuttavia, per quanto concerne il mio emendamento 33.84, vorrei segnalare che saremmo disponibili a ritirarlo, purché sia assunto, da parte della I Commissione, un impegno formale a ridiscuterne in sede di Comitato dei nove, inserendo eventualmente la disposizione in oggetto in altra parte dell'articolato.
PRESIDENTE. Onorevole relatore?
DONATO BRUNO, Relatore. Signor Presidente, se i colleghi Lo Presti, Antonio Leone e Carrara ritireranno le loro proposte emendative, come relatore e come presidente della I Commissione - ma ho già consultato, in via informale, i colleghi - mi assumo l'impegno di affrontare la questione in altra sede, anche se, chiaramente, non cambierà per questo il parere espresso. Vedremo se sarà possibile, attraverso una riformulazione, esprimere successivamente un parere favorevole.
PRESIDENTE. Prendo atto che il Governo concorda con il relatore e che l'emendamento Carrara 33.84 ed i subemendamenti ad esso riferiti sono stati ritirati dai presentatori.
Passiamo alla votazione dell'articolo 33.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cabras. Ne ha facoltà.
ANTONELLO CABRAS. Signor Presidente, intervengo per preannunziare il voto favorevole del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo sull'articolo 33, anche a seguito dell'approvazione delle proposte emendative che abbiamo testè votato e che hanno modificato, a nostro avviso in maniera sostanziale, il testo proposto dalla I Commissione.
Penso che ciò potrebbe essere portato ad esempio di come, se la dialettica parlamentare si sviluppa entro un binario corretto, rispettoso delle differenti posizioni, ma orientato a risolvere un problema di fondo, la Camera dei deputati riesca, come abbiamo visto, a votare all'unanimità anche su una materia delicata ed importante come questa. Pertanto, vorremmo che tale circostanza testimoniasse il nostro atteggiamento costruttivo nel caso in cui, sul terreno delle riforme, si realizzasse quel giusto confronto parlamentare in grado di valorizzare i diversi punti di vista.
Come è noto, l'articolo 33 del disegno di legge costituzionale in esame, nel testo emendato, introduce una procedura che rafforza la potestà delle regioni a statuto speciale in materia di modifiche statutarie. Vorrei ricordare che, finora, tale procedura è stata disciplinata dai singoli statuti regionali, i quali ponevano al Parlamento - o al Governo, qualora avesse assunto l'iniziativa - il solo obbligo di sentire il consiglio regionale interessato alla modifica statutaria.
Con l'attuale formulazione dell'articolo 33, si introduce in realtà un potere più forte delle regioni a statuto speciale nella fase di interlocuzione che si deve realizzare tra i due livelli istituzionali per la modifica dello statuto, il quale, come sappiamo, nel caso di tali regioni viene adottato con legge costituzionale. La procedura prevista, ovviamente, modifica in senso migliorativo quella attualmente vigente, anche se occorre riconoscere che, così come è stata delineata da altre proposte emendative, probabilmente sarebbe stata perfetta se avesse previsto solamente l'intesa.
Tuttavia, consideriamo positivamente gli elementi introdotti dall'approvazione sia dell'emendamento presentato dalla I Commissione, sia dei relativi subemendamenti, e pertanto ribadisco che il nostro gruppo voterà a favore dell'articolo 33 del disegno di legge costituzionale in esame (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.
GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, l'argomento delle regioni a statuto speciale mostra di avere, nella sua stessa definizione (la specialità), un potere evocativo di comportamenti parlamentari che sono, in qualche modo, straordinari.
Attorno a tale tema, dopo che il Senato aveva varato norme pasticciate e che durante i lavori in Commissione vi erano stati elementi di ulteriore confusione, nel corso delle ultime giornate si è riusciti a trovare un punto d'incontro sostanziale, che ci consente di votare a favore di quest'articolo. Detto articolo è, infatti, in grado di mantenere vitali le regioni e le province a statuto speciale. Esse, nella storia istituzionale del nostro paese, hanno da sempre rappresentato un punto di frontiera per l'organizzazione e l'amministrazione delle autonomie locali. Sarebbe stato veramente grave che tale processo, che si potrebbe definire di sperimentazione, tale frontiera (che, a poco a poco, nel corso degli ultimi decenni, le specialità sono riuscite a rappresentare nel complesso delle norme che riguardano l'organizzazione delle autonomie locali) venisse a mancare.
Il lavoro svolto è stato positivo ed è in ragione di ciò che noi voteremo a favore di quest'articolo.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Marco Boato. Ne ha facoltà.
Onorevole Boato l'ho chiamata anche per nome, per un privilegio che riservo a pochissimi...!
MARCO BOATO. Signor Presidente, la ringrazio: si tratta di una stima e di un affetto che, come sa, sono reciproci.
Non aggiungerò molte parole, perché condivido pienamente ciò che hanno detto i colleghi Cabras e Bressa. Ci troviamo in una fase particolare di questa vicenda. Sappiamo che abbiamo profonde differenze in relazione a questo provvedimento su una serie di questioni, che vanno dalla forma di governo al procedimento legislativo, alla struttura del Senato federale e sui tali temi ci confronteremo, spero sempre con rispetto reciproco, ma con durezza dal punto di vista dei contenuti, ma, rara avis, in questo provvedimento vi è un punto, l'articolo 33, che riguarda le procedure di approvazione con l'intesa delle regioni a statuto speciale su cui, come abbiamo costatato, si è creata una convergenza pressoché unanime.
Non ritorno nel merito dell'argomento, perché i colleghi Bressa e Cabras lo hanno già esplicato. Condivido molto positivamente quanto ha fatto anche il ministro Calderoli, che in questo momento non è presente in aula, con il suo parere favorevole ad un subemendamento e con l'avere agevolato questo accordo che, altrimenti, non vi sarebbe stato. Do altresì atto a tutti i gruppi, sia dell'opposizione sia della maggioranza, che tra tante discordanze, dissonanze e divisioni, almeno su un punto è stata realizzata una convergenza positiva e, quindi, annuncio il voto favorevole del mio gruppo sull'articolo 33.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Olivieri. Ne ha facoltà.
LUIGI OLIVIERI. Signor Presidente, per il gruppo dei Democratici di sinistra ha già dichiarato il voto il collega Cabras, spiegando anche i motivi di merito per i quali per noi questo è probabilmente l'unico articolo su cui esprimiamo un voto favorevole.
Accogliamo con soddisfazione anche il coronamento di una nostra battaglia. Se, da un lato, come è stato già ricordato, va riconosciuta una disponibilità del Governo e della Commissione su questa specificità, dall'altro lato, tuttavia, va detto che il lavoro svolto da noi, con insistenza e con caparbietà - sia nell'ambito del dibattito in Commissione, sia attraverso coloro che ci hanno rappresentato nel Comitato dei nove -, hanno sicuramente perfezionato la norma e l'hanno fatta divenire agibile.
Avremmo preferito l'intesa pura e semplice. Condividiamo un'aspettativa, una risoluzione subordinata che, comunque, è un passo avanti. Ed è per questo che esprimeremo un voto favorevole.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.
GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, anch'io intervengo per sottolineare due aspetti. Il primo è il modo con cui abbiamo lavorato e l'approccio che, da parte nostra e di tutte le opposizioni, vi è su una partita, quale quella costituzionale, ossia un approccio di merito, per nulla strumentale e che conferma che la nostra contrapposizione su altre materie presenti in questo provvedimento e nel progetto nel suo insieme non è strumentale, ma vagliata ed esaminata con gran rigore.
Il secondo aspetto riguarda il merito che, come è già stato sottolineato da un collega, forse avrebbe potuto essere formulato in un modo diverso. Si poteva semplicemente citare in Costituzione la necessità di quest'intesa.
Si è preferito, invece, delineare il percorso da seguire per arrivare ad una definizione e ad un voto finale sull'intesa stessa e sul merito, relativamente agli statuti delle regioni a statuto speciale. Tuttavia, sottolineo che, anche in questo caso, vi è stato un lavoro che, ad esempio, ha portato a sostituire alla proposta d'intesa del Governo quella delle Camere e, quindi, del Parlamento.
Credo dunque che, da questo punto di vista, si sia svolto un lavoro importante, che risponde anche alle richieste ed alle aspettative delle regioni interessate. Pertanto, anche il nostro voto sarà favorevole.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Maran. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo per sottolineare che nelle scorse settimane avevamo rilevato, assieme alle regioni a statuto speciale, la debolezza del procedimento previsto per l'adozione degli statuti delle regioni ad autonomia speciale. Avevamo espresso l'esigenza di un rafforzamento del carattere pattizio, proprio perché ritenevamo che la sola previsione dell'intesa non fosse una garanzia sufficiente. Avevamo proposto di introdurre per via normativa la possibilità di un referendum oppositivo regionale, per evitare che il Parlamento potesse approvare un testo in difformità dall'intesa con la regione interessata, ma anche per evitare di blindare eccessivamente l'esame parlamentare. Avevamo proposto di sopprimere il limite temporale dei sei mesi e, quindi, la possibilità per il Parlamento di approvare la legge senza la preventiva intesa e, in alternativa, avevamo previsto di richiedere una maggioranza dei due terzi dei componenti per l'approvazione della legge adottata in assenza di intesa. Ci sembra che il compromesso raggiunto con la formulazione adottata ed integrata dalla proposta emendativa che propone una maggioranza dei due terzi, anziché dei quattro quinti, possa costituire un ragionevole approdo e possa risultare un percorso condiviso, che potrebbe indicare la strada con la quale affrontare l'insieme della riforma costituzionale in maniera positiva.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Rosato. Ne ha facoltà.
ETTORE ROSATO. Signor Presidente, il collega Bressa ha già espresso ampiamente le motivazioni del nostro voto favorevole sull'articolo in esame. Vorrei solo richiamare l'importanza del lavoro svolto, in particolare, da tutte le regioni a statuto speciale e dalle province autonome, che con i loro consigli regionali e provinciali si sono espresse affinché questo Parlamento desse ascolto alle loro istanze.
I nostri emendamenti hanno inteso lavorare proprio in questa direzione, nel recepire le loro proposte. Si tratta di proposte migliorative, volte a valorizzare una ricchezza del paese: l'autonomia di queste regioni, infatti, trae origine dalla storia del nostro paese, dalla presenza delle minoranze nel territorio e dalla particolare situazione geografica, e queste specialità rappresentano un valore. La formulazione prevista nel testo licenziato dalla Commissione era assolutamente insoddisfacente e riduttiva. Il lavoro svolto oggi con il recepimento consentirà, invece, un reale coinvolgimento delle regioni nella scrittura delle regole principali che le riguardano.
Pertanto, il nostro voto favorevole dimostra l'attenzione con cui affrontiamo questo dibattito. Quando talune proposte meritano attenzione ed un voto favorevole da parte nostra, non vi è un preconcetto, bensì l'attenzione a tutelare la nostra Costituzione nell'interesse primario delle nostre comunità. Per questo motivo, il nostro voto sarà favorevole (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fontanini. Ne ha facoltà.
PIETRO FONTANINI. Signor Presidente, intervengo per annunciare il voto favorevole della Lega Nord Federazione Padana, ma anche dei colleghi della maggioranza su un articolo che ha trovato ampie convergenze - come abbiamo sentito - anche da parte dell'opposizione.
Nel lavoro svolto in Commissione abbiamo trovato soluzioni volte proprio a valorizzare le autonomie speciali esistenti nel nostro paese. Abbiamo introdotto per la prima volta nell'articolo 116 l'intesa con i consigli regionali per approvare gli statuti. È un passo in avanti ed è un significativo segnale che il Parlamento è rispettoso delle autonomie territoriali e che vuole costruire con loro un nuovo assetto istituzionale. Lo ripeto: l'ampia convergenza, la condivisione che stiamo registrando è auspicabile ed interessante e ciò significa che il lavoro che stiamo svolgendo è ben fatto. Siamo, pertanto, molto soddisfatti in ordine all'approvazione dell'articolo 33.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Finocchiaro. Ne ha facoltà.
ANNA FINOCCHIARO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo per esprimere la nostra soddisfazione per il compimento di un percorso di approssimazione giunto sino a questo testo, rispetto al quale, come ricordava il collega Cabras, esprimeremo un voto favorevole.
Il nostro percorso di approssimazione è cominciato con l'emendamento, che ha poc'anzi illustrato il collega Burtone e che è stato sottoscritto dai parlamentari siciliani dell'opposizione, in una versione che, come veniva riferito poc'anzi dal collega Olivieri, prevedeva l'assenso da parte dell'Assemblea regionale siciliana in ordine alla possibilità di modifica degli statuti.
Questo percorso è giunto poi ad un punto di mediazione con la maggioranza con riferimento alla posizione della quota dei due terzi ai fini dell'approvazione della modifica medesima.
Credo si tratti di un buon punto di approssimazione che rappresenta, come dicevo ai colleghi, la dimostrazione del fatto che, quando si è mossi dalla volontà di trovare un accordo su un testo che non mortifichi quanto di positivo è «cresciuto» non soltanto nella Costituzione, ma anche nella cultura collettiva politico-istituzionale, il punto di approssimazione può essere trovato. Mi sembra che questa rappresenti purtroppo una assolutamente isolata buona prassi nel percorso accidentato di queste riforme!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Saponara. Ne ha facoltà.
MICHELE SAPONARA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo per dichiarare il voto favorevole del gruppo di Forza Italia sull'articolo al nostro esame e per esprimere, al contempo, apprezzamento e soddisfazione per quanto è accaduto in questa circostanza. Ciò è il frutto di un lavoro intelligente, al quale hanno lavorato insieme l'opposizione e la maggioranza.
Dice il collega Olivieri che si tratta dell'unico articolo condiviso; mi dispiace, ma non è detta l'ultima parola! Pertanto, mi auguro che vi siano altri articoli condivisi, con buona pace del professor Sartori e del professor Prodi che, evidentemente, non hanno apprezzato l'invito rivolto dal Presidente della Repubblica (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Volontè. Ne ha facoltà.
LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei sottolineare che per quanto riguarda i primi due articoli approvati in questo pomeriggio è stata trovata un'intesa «alta». Nel primo caso, con riferimento al voto dei due terzi di questa Assemblea sull'articolo precedente in ordine ai temi della costituzione dello Stato, della Repubblica e delle autonomie locali e della sussidiarietà; il secondo, che è una conseguenza di questo grande e significativo passo in avanti, il riconoscimento della sussidiarietà attraverso la valorizzazione del valore intrinseco delle comunità delle regioni a statuto speciali. Questo non soltanto per chi rappresenta all'interno del gruppo misto le regioni a statuto speciale, ma per tutti i colleghi che rappresentano tali comunità (siciliani, sardi).
A mio avviso si tratta di un passo significativo e positivo, in un percorso che a me sembra aver raccolto almeno in parte l'auspicio emerso in quest'aula all'inizio della mattinata, volto a favorire un'assunzione di responsabilità comune per trovare punti di intesa di una mediazione «alta». Questi due articoli vanno nella direzione giusta!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Detomas. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE DETOMAS. Signor Presidente, intervengo a titolo personale dato che la posizione della mia componente politica verrà espressa dall'onorevole Zeller. Esprimo soddisfazione per il fatto che non si sia persa l'occasione di sottolineare, nella riforma costituzionale, il carattere pattizio degli statuti di autonomia. Tale carattere non veniva messo in discussione dal fatto che alcuni di tali statuti sono stati approvati ben prima della Costituzione repubblicana. Ritengo importante la sottolineatura della sovranità in capo anche alle regioni ed alle province autonome.
Credo sia da sottolineare anche il metodo con cui si è arrivati ad una condivisa riforma che segna un importante traguardo per le autonomie speciali ed un auspicio riguardo al modo in cui procedere nella riforma della Costituzione: ascoltando e tenendo in considerazione non solo le opposizioni, ma anche le istituzioni locali e le formazioni sociali. La riforma della Costituzione deve essere un momento condiviso e, poiché riguarda il fondamento stesso della nostra convivenza, deve essere percepita da ogni cittadino come parte della sua cultura, del suo essere cittadino della Repubblica.
Esprimo soddisfazione anche a nome del Trentino, una regione che con fierezza ha voluto, con le sue istituzioni ed i suoi parlamentari, difendere le sue prerogative e la sua sovranità.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zeller. Ne ha facoltà.
KARL ZELLER. Signor Presidente, a nome della componente delle Minoranze linguistiche vorrei anch'io esprimere la nostra soddisfazione per l'accoglimento dell'emendamento della Commissione come integrato dal nostro subemendamento. Riteniamo si tratti di una soluzione equilibrata che dà, per la prima volta nella storia, un potere di codecisione ai consigli regionali ed alle province autonome di Trento e Bolzano. Si tratta di un significativo miglioramento della normativa e della procedura attualmente vigente.
Vorrei ringraziare tutti i colleghi della maggioranza e dell'opposizione e, in particolare, il ministro Calderoli ed il relatore Donato Bruno. È un momento di grande gioia anche per la nostra provincia autonoma (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Minoranze linguistiche e di Forza Italia).
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 33, nel testo emendato.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 475
Votanti 467
Astenuti 8
Maggioranza 234
Hanno votato sì 463
Hanno votato no 4).
Prendo atto che l'onorevole Giancarlo Giorgetti non è riuscito a votare.
(Esame dell'articolo 34 - A.C. 4862 ed abbinate)
PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 34 e delle proposte emendative ad esso presentate (vedi l'allegato A - A.C. 4862 ed abbinate sezione 3).
Ha chiesto di parlare l'onorevole Vendola. Ne ha facoltà.
NICHI VENDOLA. Signor Presidente, oggi pomeriggio, nel risicato ma vivace dibattito sviluppatosi in quest'aula sulle nozioni di Stato e di Repubblica, abbiamo conquistato qualche grammo di dignità politica per un processo di riforma che vive, viceversa, di un'impressionante miseria culturale ed ideale. Si è trattato di una modica quantità di passione civile, sia pure con qualche semplificazione al limite del grottesco, lo dico al collega Boato. Visto che non si tratta di disquisizioni filologiche ma di come impedire il baratro della devoluzione, eviterei di evocare Hegel e visioni statocentriche sulle spalle di chi non intende offrire alcun appiglio ai nemici dell'unità del paese. Chiusa la parentesi dell'emendamento Tabacci, stiamo per tornare sui binari ordinari di una discussione rachitica, separata totalmente dalla vita del paese.
Con questo articolo, giungiamo al punto cruciale, al cuore vero della controriforma dei nostri assetti costituzionali, perché è qui che comincia, colleghe e colleghi, il suo devastante cammino la vostra devoluzione, nascosta talvolta dalle acrobazie semantiche della destra, ma esibita impudicamente dall'ideologia della separatezza padana. Si tratta di un progetto politico e culturale che non perfeziona l'ambizione federalista, bensì la piega e la deforma in un processo materiale di frammentazione dell'unità del paese, la rende caricaturale e venata di equivoci etnocentrismi, com'è tipico della predicazione leghista, la usa come propaganda per un'indecente proposta di ridefinizione dei poteri dello Stato e del loro equilibrio.
Vorrei fare la domanda chiave: che cosa devolve lo Stato con la devoluzione? Questa è la domanda che non ammette risposte ammorbate di tecnicalità. Lo Stato devolve un'idea fondativa della società e della democrazia, abdica al proprio ruolo di ammortizzatore degli squilibri sociali e territoriali, archivia nelle parate di piazza il tema non retorico dell'unificazione di una nazione, che coincide con la costituzione del suo spirito pubblico e della sua cultura condivisa, smarrisce i doveri costituzionali di garanzia della promozione sociale, smette di frequentare quella modernità che nella temperie del Novecento seppe immaginare l'universalità dei diritti fondamentali. Non poco, come si vede. Non è una mera esercitazione di ingegneria istituzionale e non è neppure una semplice regressione al tema delle piccole patrie, che pure di per sé è già così emblematico della qualità di una globalizzazione che integra i mercati e disintegra i territori.
Si tratta, colleghe e colleghi, di un disegno eversivo - questo è il giudizio di Rifondazione comunista - e quindi non suscettibile di correzioni emendative, proprio perché non si può correggere il rovesciamento di un assetto democratico edificato da grandi culture politiche e da grandi protagonisti collettivi e popolari. Noi siamo impegnati nel contrastare la filosofia generale e le conseguenze pratiche della vostra controriforma. Essa propone un drastico ridimensionamento degli spazi di democrazia nel nostro paese. Determina - questo dovrebbe far riflettere i colleghi e le colleghe di ogni schieramento politico - una ferita insanabile nel corpo delle funzioni parlamentari, stringendo in un angolo il senso medesimo della rappresentanza democratica, svuotando l'agenda del legislatore di compiti e di competenze, rendendo queste aule un guscio vuoto, un simulacro di confronto politico. Essa porta a compimento uno stravolgimento sostanziale dell'equilibrio di pesi e contrappesi, che hanno messo al riparo la trama democratica da qualsivoglia pulsione autoritaria. Invece, per citare l'esempio più clamoroso, il ruolo del Presidente della Repubblica, garante della Costituzione e dell'unità nazionale, viene ridimensionato nei termini di una mesta cornice ornamentale. Viceversa, si dilata a dismisura il potere di condizionamento, e persino di ricatto, del premier sull'intera Assemblea parlamentare. In definitiva, si moltiplicano i filtri e i muri, che separano i luoghi del Governo, sempre più concentrati ed impenetrabili, dalla vita e dalle domande dei cittadini. In questo quadro, signor Presidente, interviene con effetti a nostro avviso deflagranti la devoluzione. Non parlo tanto del quadro assolutamente approssimativo e caotico che riguarderà i contenitori istituzionali ed il loro incerto equilibrio, quanto della rottura del principio di eguaglianza: un principio costituzionale messo in mora dalla delocalizzazione radicale dei poteri, in tema di formazione e di salute pubblica (e forse anche in tema di ordine pubblico). Ogni territorio avrà la scuola e l'organizzazione sanitaria che sarà in grado di finanziarsi e che corrisponderà alle propensioni politico culturali di chi quel territorio governerà. Cosa diventa l'unità nazionale se viene spogliata di quel suo fondamento sociale (e non retorico), che consiste nell'unitarietà della fruizione di diritti che noi consideriamo universali e che voi, viceversa, considerate mercificabili e negoziabili secondo parametri aziendali, ideologici e confessionali?
Il fatto che inseriate - lo dico al collega Carrara che, in merito a tale questione, costruisce discorsi molto enfatici - il termine «unità nazionale» in un testo che la spappola e la spolpa di significato fa sì che quella declamazione di unità sia soltanto il segno di una coda di paglia.
Tra voi, signori della maggioranza, vi è chi ha fatto carriera con gli esercizi di patriottismo retorico, sventolando tricolori ed esibendo gagliardetti. Sappiamo bene quale fosse il retroterra culturale, nazionalista e mitologico di quell'idea di patria innervata nei richiami del sangue della terra, ma l'odierno patriottismo della destra, già modernizzato dalle cure di quelli che hanno persino immaginato di fare del patrimonio dello Stato una società per azioni, copre la responsabilità politica e morale di condividere una scelta di rottura della morfologia territoriale, sociale e culturale della nazione.
Forse per questo l'onorevole Gianfranco Fini, adunando i giovani del suo partito in un discorso di rara violenza e di irresponsabilità, reinventa una patria paramilitare ed ideologica, un surrogato che vi possa risarcire dalla soggezione al verbo leghista ed ai ricatti della tribù padana. Colleghi della maggioranza, voi volete, in un solo colpo, chiudere il confronto con la questione meridionale e con quella settentrionale, immaginando una società frammentata e rancorosa che trova, come unica unità possibile, il comando plebiscitario di un leader e l'indiscutibile primato del mercato.
Lo fate contro il sentimento profondo del popolo italiano, contro la sua storia e la sua civiltà. Lo fate con la rozzezza degli apprendisti stregoni, contando sul fatto che questo dibattito ha una circolazione ristretta ed un linguaggio cifrato. Lo fate con la supponenza che non ebbero i nostri padri costituenti, ma con la goliardia di chi elabora formule istituzionali, distillandole da un'ampolla magica.
Lo fate, credendo che tutto vi sia concesso e che, in questo azzardo crescente, possiate recuperare quel potere che sapete di poter perdere. Lo fate, non chiedendovi nulla sui problemi immaturi della nostra democrazia, nulla imparando dalle lezioni democratiche che straordinari movimenti di massa, in particolar modo al sud, vi hanno impartito.
Ignorate la storia ed il cuore della nostra gente; ignorate le domande che non riuscite più a manipolare con il monopolio radiotelevisivo. In fondo, ignorate persino la vostra debolezza di classe dirigente, una debolezza pericolosa per il paese che viene convocato a pagare il biglietto del vostro spettacolo.
Ma questa riforma, questo colpo al cuore dell'Italia solidale e democratica non vi riuscirà, non solo per la nostra opposizione, ma perché il popolo italiano sarà la vostra opposizione (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Leoni. Ne ha facoltà.
CARLO LEONI. Signor Presidente, poco fa abbiamo condiviso una nuova formulazione dell'articolo 33 del provvedimento in esame, perché conteneva esattamente le richieste provenienti da molti parlamentari delle regioni a statuto speciale, dai gruppi di opposizione e dai presidenti stessi di quelle regioni.
Vorrei raffreddare certi entusiasmi e dire (so che se ne dispiaceranno l'onorevole Volontè ed altri colleghi) che le cose stanno esattamente nel senso affermato dal collega Olivieri; mi riferisco al fatto che quello sarà davvero l'unico articolo sul quale l'opposizione potrà convergere, non per un pregiudizio, ma per un giudizio di merito su una riforma che continuiamo a considerare sbagliata e pericolosa.
Non ignoriamo il fatto - ce ne siamo accorti, lo constatiamo nelle riunioni del Comitato dei nove - che, mentre a luglio la maggioranza e il Governo avevano rigettato, a volte con argomenti anche sprezzanti, i nostri emendamenti, a settembre, la maggioranza e il Governo hanno cambiato opinione e alcuni di quegli emendamenti non accolti a luglio sono stati fatti propri dalla Casa delle libertà. Tuttavia, anche gli emendamenti accolti non cambiano il segno di una riforma che continuiamo e continueremo a contrastare articolo per articolo.
Tra i passi più negativi, che contrasteremo con maggior dovizia di argomenti ma anche con maggiore energia, vi è proprio il presente articolo. Parlando del Titolo V, vorrei trattare una questione di metodo. La maggioranza decide del tutto autonomamente di fare il bello e il cattivo tempo: a luglio ha deciso di fare la faccia feroce, respingendo i nostri emendamenti e, a settembre, si presenta con una faccia - ma non con una sostanza - apparentemente più dialogante. In ogni caso, è la maggioranza che nei suoi vertici, parlamentari ed extraparlamentari, decide cosa fare della Costituzione italiana.
Di fronte ad un atteggiamento del genere, suona quantomeno grottesca la critica, che proprio da una maggioranza che si comporta così viene mossa nei nostri confronti, sul fatto che nella precedente legislatura la maggioranza di centrosinistra alla fine votò con i suoi soli voti la riforma del Titolo V. Si potrebbe dire: da che pulpito viene la critica, visto che nella scorsa legislatura le cose andarono in senso diametralmente opposto a quanto sta avvenendo ora!
Abbiamo talmente protestato contro una maggioranza che fugge da un confronto di merito che a luglio, per questa ragione, abbandonammo i lavori della Commissione. Nella precedente legislatura, la prima preoccupazione della maggioranza di centrosinistra fu proprio quella di non realizzare da sola le riforme costituzionali e di non realizzare da sola la riforma del Titolo V della Costituzione. Infatti, ci fu un intenso lavoro nella Commissione bicamerale e anche la parte del testo di riforma della Bicamerale riguardante il Titolo V fu votata da quasi tutta la maggioranza e da quasi tutta l'opposizione; inoltre, i presidenti delle regioni e degli enti locali di centrodestra e di centrosinistra venivano in queste aule a chiedere che quella riforma fosse approvata. Alla fine, il centrodestra si allontanò da questo percorso comune e il centrosinistra si trovò di fronte ad un bivio: accettare il veto del centrodestra, bloccando un processo riformatore fino a quel momento condiviso o assumersi una responsabilità, vale a dire quella di concludere quel percorso riformatore. E così andarono le cose anche e in particolare sulla riforma del Titolo V, che alla fine votammo a maggioranza perché non ci sembrò giusto accettare il veto di una opposizione che si ritraeva all'ultimo momento per ragioni esclusivamente politiche, mentre tutto il mondo delle regioni e delle autonomie ci chiedeva di andare avanti.
Questo per quanto riguarda il metodo seguito allora dal centrosinistra, del tutto opposto rispetto a quello che voi state seguendo in questa occasione. Infatti, anche le vostre parziali e apparenti lievi aperture, che non cambiano il segno di una riforma sbagliata, sono in ogni caso «cucinate» e costruite all'interno dei vertici della Casa delle libertà.
In quanto al merito, ne abbiamo parlato non molte ore fa nel corso di una discussione che ha visto anche collocazioni diverse all'interno dei gruppi di maggioranza ed opposizione. Ritengo che tra i punti fondamentali che rappresentano una svolta nella cultura istituzionale di questo paese, e certamente nell'ordinamento costituzionale, rientri proprio il modo con cui si apre l'articolo 114 della Costituzione. Mi riferisco al principio che stabilisce come la Repubblica sia costituita da comuni, province, regioni, città metropolitane e Stato.
Come già ho avuto occasione di dire anche poco fa, mentre altrove si facevano propaganda e giochini, il centrosinistra inaugurava davvero la stagione del federalismo, all'interno di queste aule parlamentari. L'articolo 114 resta in questo senso una pietra miliare della svolta da noi impressa alla cultura istituzionale di questo paese e alla sua Carta costituzionale. Una svolta, peraltro, perfettamente coerente con la Costituzione del 1948, in particolare con il suo articolo 5, così moderno e lungimirante.
La scelta e l'orgoglio con cui rivendichiamo la riforma del Titolo V, come il vero primo passo verso il federalismo, non ci rende naturalmente ciechi né ci impedisce di vedere i limiti e gli aspetti da correggere, sulla base dell'esperienza fin qui svolta e della giurisprudenza della Corte costituzionale. Siamo attenti legislatori e sappiamo vedere gli aspetti effettivamente da correggere, anche dopo poco tempo. Ad esempio, con i nostri stessi emendamenti abbiamo proposto e continuiamo a proporre talune limitate correzioni alla ripartizione per materie, suggerendo che alcune di queste, sin qui collocate nella legislazione concorrente, diventino esclusive di quella statale. Ma ripeto che si tratta di alcune limitate e motivate correzioni.
Colleghi della maggioranza e del Governo - e su questo tema mi rivolgo in particolare ai colleghi della Lega -, voi fate invece un'operazione di pesante «ricentralizzazione»; il trasferimento dalle materie concorrenti a quelle di legislazione esclusiva dello Stato da voi proposto rappresenta un'operazione politica ed istituzionale di forte ed immotivata «ricentralizzazione». Se poi a questo si aggiunge il modo con cui disciplinate la tutela dell'interesse nazionale, barocco e pericoloso al contempo, tanto da colpire la stessa sovranità del Parlamento, nonché il modo con cui normate il tema dei poteri sostitutivi, è chiaro che si darà vita ad una legislazione costituzionale sui rapporti tra Stato e regioni mai così invasiva, così autoritaria e così centralistica. Non riesco a capire davvero come i colleghi della Lega e quelli provenienti dalle regioni a statuto speciale, appartenenti ad una cultura di decentramento istituzionale, possano motivare un'operazione così pesantemente centralistica. In proposito, i colleghi della Lega rispondono o fanno intendere che tutto questo non conta se viene fatta salva la cosiddetta devoluzione.
Quindi, si combineranno insieme - è questo il grave pasticcio costituzionale - misure di inedita e pesante «ricentralizzazione» dei poteri dello Stato e dell'autoritarismo centrale, con un'idea della devoluzione che, anche se ammorbidita con taluni emendamenti, che tuttavia continuiamo a considerare del tutto insufficienti, rimane pur sempre figlia di quella filosofia secondo la quale avranno più poteri le regioni che possono permetterselo. Una filosofia, quindi, che porta inevitabilmente alla divisione del paese e alla sua spaccatura, proprio rispetto alla tutela di diritti sociali fondamentali, che devono essere invece garantiti su tutto il territorio nazionale.
Questa è la gravità del disegno che intendiamo contrastare, con gli emendamenti alle vostre proposte di modifica del Titolo V: interesse nazionale e clausola di supremazia, così come da voi delineati, «ricentralizzazione», devolution, che costituisce il pericolo che abbiamo denunciato di fronte a tutti gli italiani.
Tutti i costituzionalisti hanno sottolineato, e lo abbiamo fatto anche noi, a partire da quando approvammo la riforma del Titolo V nella scorsa legislatura, che non si potrà parlare di vero federalismo e che la riforma non potrà funzionare fino a quando non si porrà fine al bicameralismo perfetto e paritario - l'Italia è l'unico paese al mondo a conservarlo - che ha avuto nel passato una funzione importante di garanzia, ma che oggi rappresenta una palla al piede rispetto all'esigenza dei cittadini italiani di avere risposte legislative tempestive ai problemi relativi ai processi economici, sociali e civili che vive una nazione moderna.
Tale bicameralismo perfetto e paritario va superato con l'istituzione di un'unica Camera politica e di un Senato federale degno di questo nome. Al contrario, ci consegnate - e ciò rappresenta il vero colpo al federalismo e alla capacità legislativa dello Stato - una procedura legislativa assolutamente farraginosa e incoerente, che rischia di bloccare il processo legislativo, e un Senato federale che di federale ha ben poco, per composizione, per modalità di elezione e per intervento nella procedura legislativa.
Mi limito ad alcuni esempi. Siamo felici che vi siate finalmente accorti che la contestualità tra le elezioni del consiglio regionale e le elezioni del Senato non può essere affievolita: non si può parlare di Senato federale, se tale contestualità non è rigida e ferma. Tuttavia, finché non scriveremo nella Costituzione che le elezioni del Senato e dei consigli regionali devono avvenire in modo contestuale ma in una data diversa dalle elezioni della Camera dei deputati, si correrà sempre il rischio che le elezioni dei consigli regionali vengano trainate dal voto politico nazionale. Dunque, tutto avremo tranne che una piena consapevolezza, da parte delle comunità regionali, della volontà - questa sì, federale - di scegliere il Governo della propria regione e i propri rappresentanti nel Senato federale della Repubblica. Se non si introduce tale differenza tra la data delle elezioni della Camera dei deputati e quella delle elezioni del Senato e dei consigli regionali, la contestualità rimarrà sempre affievolita e il Senato non avrà mai la legittimazione di un vero Senato federale.
Concordiamo sul fatto - ed anzi, ciò ha ispirato la nostra proposta - che non si possano seguire modelli intrecciati, composizioni miste, compromessi che non rendono chiaro il profilo di ciò che si fa. Il Senato federale può realizzarsi in due direzioni possibili: una soluzione ispirata al Bundesrat, o che comunque preveda rappresentanti eletti dai consigli regionali; ovvero l'ipotesi, da noi proposta, di prevedere l'elezione dei membri del Senato da parte degli elettori della regione, in una misura che tenga certamente conto della differenza di popolazione ma con un range contenuto, in modo tale da impedire che nel Senato federale le regioni più estese e popolose la facciano da padrone a svantaggio di tutte le altre regioni. Quest'ultimo, infatti, è il rischio che si corre con la modalità di elezione del Senato federale da voi proposta.
È un rischio mortale, non solo per le regioni che apparirebbero più svantaggiate, ma proprio per quell'idea federale che in questo modo verrebbe fortemente compromessa.
Infine, il procedimento legislativo. Voi eccedete con i casi in cui è prevedibile una procedura legislativa tipicamente bicamerale. Anche noi ne prevediamo, ma in modo assolutamente limitato e soprattutto prevediamo che la parola conclusiva sul procedimento legislativo - tranne i casi che ho appena citato - debba essere comunque pronunciata dalla Camera politica, da quella cioè che investe il Governo con il voto di fiducia.
Non è vero che soluzioni più pasticciate farebbero del bene al Senato federale! Per qualcuno può apparire una rassicurazione, ma si tratterebbe di una rassicurazione momentanea, perché alla fine renderebbe quella istituzione non una istituzione federale degna di questo nome, ma il soggetto di un pasticcio legislativo che non farà del bene ai Governi, non farà del bene alle regioni e quindi non farà del bene neanche alla popolazione italiana.
Queste sono le ragioni per le quali noi contrastiamo fermamente il vostro progetto di riforma del Titolo V e per le quali noi denunciamo contestualmente sia l'operazione della devolution, con i pericoli che rappresenta, sia l'operazione di pesante «ricentralizzazione» che voi state operando. Queste ragioni sono alla base delle proposte emendative che da domani sottoporremo all'Assemblea, sulle quali chiederemo un pronunciamento chiaro e per le quali l'opposizione combatterà la sua battaglia (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Verdi-L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Iannuzzi. Ne ha facoltà.
TINO IANNUZZI. Signor Presidente, con l'esame, la discussione e il voto sugli emendamenti all'articolo 34 - che è intitolato «Modifiche all'articolo 117 della Costituzione», dopo che nel testo varato al Senato si parlava di «Competenze legislative esclusive delle regioni» - entriamo nel cuore del progetto di riforma costituzionale che sta interessando il confronto in quest'aula e che trova - come è doveroso - crescente interesse ed anche crescenti ragioni di apprensione e di preoccupazione nella pubblica opinione.
In primo luogo, non posso non esprimere una sottolineatura di carattere generale e complessivo che investe l'intero processo di riforma e getta su di esso un'ombra inquietante, estremamente forte, difficilmente rimuovibile. Per poter portare avanti la discussione e l'approvazione di un progetto di riforma costituzionale di respiro così ampio e complessivo, che investe ed abbraccia la modifica e la rivisitazione di 43 articoli della Carta costituzionale, occorrerebbe dar vita ad una vera stagione costituente, occorrerebbe alimentare, far crescere e sviluppare un vero clima costituente, in cui si creino tutti i luoghi, le sedi e gli spazi idonei a realizzare un confronto estremamente serrato, articolato, approfondito, il più possibile sereno, sulle questioni e sui nodi da affrontare.
Una riforma costituzionale non può essere approvata - ma neanche concepita - per tenere assieme pezzi di maggioranza rissosa e conflittuale. Non si può concepire una riforma costituzionale per dire comunque un «sì» sofferto, travagliato, confuso, contraddittorio e pericoloso alla pressione, che costituisce ricatto, di una componente della maggioranza.
Una riforma costituzionale, proprio perché viene ad investire la fonte suprema dell'ordinamento giuridico del nostro paese, si può giustificare soltanto in presenza di una capacità di cogliere, identificare, individuare le questioni di fondo del funzionamento delle istituzioni democratiche, nel rapporto tra esercizio dei poteri pubblici e garanzia dei diritti di libertà del cittadino, nella capacità di identificare quei punti del nostro sistema istituzionale che mostrano una condizione di grave e marcata sofferenza e che, quindi, determinano anche una condizione in qualche misura negativa e critica nel rapporto tra esercizio del principio di autorità e tutela della sfera giuridica e dei diritti di libertà del cittadino.
La riforma costituzionale si giustifica soltanto quando ha come sfondo l'identificazione di grandi, vere e profonde questioni, che incidono in maniera determinante sul funzionamento delle istituzioni e sulla vita del paese; e una volta che si riesca a sviluppare e ad esplicare appieno questa capacità vi è l'esigenza di saper realizzare tutti i luoghi e le sedi per consentire un confronto delle opinioni e delle posizioni politiche, espressioni di culture costituzionali diverse, estremamente approfondito e serio, anche alimentando una capacità di ascolto e di dialogo con la comunità nazionale nella ricchezza delle sue espressioni e delle sue risorse, che non può essere tenuta fuori da un autentico processo di discussione e di ponderazione del nuovo quadro di disciplina costituzionale.
Tutto questo non è accaduto; tutto questo non accade; tutto questo purtroppo - non è difficile prevederlo, visto come stanno procedendo le cose - non accadrà. Siamo di fronte invece ad un processo di riforma costituzionale che è stato messo in piedi e continua ad essere portato avanti soltanto per cercare di tenere insieme componenti rissosi di una maggioranza di Governo, in cui la discussione sulle questioni costituzionali avviene alla stessa stregua di quella delle diverse previsioni da inserire in una manovra finanziaria o in provvedimento del Governo che debba incidere, e in qualche misura correggere, sui conti pubblici.
In queste occasioni vi è una trattativa, un confronto tra le diverse anime della maggioranza per identificare i tagli finanziari cui bisogna dare attuazione, le poste da salvaguardare, gli equilibri che vanno garantiti, gli interessi che non vanno intaccati e per i quali in qualche misura gli interventi debbono essere mitigati.
Qui abbiamo praticamente lo stesso metodo: una forza politica ha chiesto il federalismo, lo ha anche caricato di un significato simbolico e culturale inaccettabile, aggressivo ed invasivo, e ad essa si dà la cosiddetta devolution. Un'altra forza politica, Alleanza nazionale, ha sempre guardato al presidenzialismo: a mo' di compensazione, si cerca di costruire un confuso modello di premierato; l'UDC ha alzato la bandiera di grandi questioni, ma poi alla fine si accontenta di soluzioni estremamente ridotte, estremamente circoscritte, che non hanno alcun impatto vero di modifica, di miglioramento, di elevazione del progetto di riforma costituzionale in discussione.
Questo è il quadro in cui matura il processo di discussione costituzionale: non c'è alcuna identificazione delle vere e grandi difficoltà del sistema, con lo sforzo di costruire, attraverso nuove norme costituzionali, equilibri e meccanismi in grado di consentire alle nostre istituzioni di diventare più moderne, più efficienti, più funzionali, e, soprattutto, di inserirsi in un rapporto più proficuo e democraticamente compiuto con la pubblica opinione e con l'esercizio dei diritti di cittadinanza.
Ma quali sono le grandi questioni che si indentificano nel nostro paese? Vi è certamente la necessità di pensare alla costruzione di regole che garantiscano un governo più avanzato delle nostre istituzioni, rendendole più efficienti e moderne, ma vi è anche l'esigenza di garantire adeguata tutela, adeguata rappresentanza ai nuovi diritti di cittadinanza, alle nuove e forti domande di partecipazione che avanzano dalla comunità e che chiedono una risposta istituzionale, che chiedono spazio, luogo, forme e sedi di rappresentanza.
Qual è, invece, il filo conduttore del disegno di legge in discussione? Da un lato, attraverso le norme che riguardano la forma di Governo, sostanzialmente si vuole introdurre un principio molto arido e brutale, quello del dominio del Primo ministro, che deve imbalsamare e paralizzare la sua maggioranza con un Governo, tutto schiacciato sull'esigenza di preservare la posizione del Primo ministro medesimo, con un Parlamento fortemente depotenziato e svilito, in linea con tante cose che sono state realizzate in questi tre anni da questo Governo e da questo Presidente del Consiglio dei ministri, e con tante cose che sono state affermate. Si depotenzia e si indebolisce il ruolo del Presidente della Repubblica. Si crea, inoltre, un meccanismo estremamente farraginoso e confuso, oltre che di difficilissima possibilità di funzionamento, nel percorso legislativo tra leggi a contenuto e procedimento riservato essenzialmente al Senato, leggi riservate essenzialmente alla Camera e leggi sostanzialmente bicamerali.
In tutto questo discorso si inserisce la modifica dell'articolo 117 della Costituzione, che è il vero punto di partenza di questa riforma costituzionale ed è il vero motore di questa operazione politica, perché nasce da una richiesta - che ha assunto toni minacciosi, in più di una occasione - della Lega nei confronti del Governo, dei partners della maggioranza e del Presidente del Consiglio dei ministri. Da ciò nasce la riscrittura dell'articolo 117 della Costituzione. Penso che debba essere affermato con grande chiarezza che la stessa riforma del Titolo V della Carta costituzionale, approvata alla fine della scorsa legislatura e convalidata dal voto popolare del referendum dell'ottobre 2001, necessita di una lettura più attenta di quella che è emersa in tante motivazioni, con le quali si cerca di costruire un clima favorevole intorno alla riforma costituzionale che stiamo discutendo, già approvata dal Senato in prima lettura ed oggi, all'esame dell'Assemblea di Montecitorio. Se leggiamo con attenzione questa riforma, se la esaminiamo nella globalità delle sue norme, dell'intero articolo 117 e nella lettura che ne ha dato la Corte costituzionale, soprattutto con la sentenza n. 303 del 1o ottobre 2003, sicuramente possiamo indicare che alcuni aspetti sono stati assolutamente trascurati, sono assolutamente assenti nelle analisi e nelle valutazioni di chi, oggi, vuole portare avanti questo processo costituzionale così apparentemente ambizioso e così veramente dirompente e pericoloso per l'unità del paese e per l'integrità del nostro ordinamento giuridico.
La Corte costituzionale, con la citata sentenza n. 303 del 2003, si è pronunciata, essenzialmente, sulle norme della legge obiettivo, la legge n. 443 del 2001 sulle grandi infrastrutture. Tuttavia, ha enucleato anche alcune indicazioni e alcuni principi che, in qualche misura, consentono una lettura sistematica e complessiva più completa e rassicurante della riforma del Titolo V e, soprattutto, degli articoli 117 e 118 della Costituzione, riguardanti il riparto della competenza legislativa e della competenza amministrativa tra Stato, regioni ed enti locali. La Corte, in questa sentenza, avendo di fronte la valutazione e la disamina del nuovo articolo 117 e del nuovo articolo 118 della Costituzione, si sofferma sull'attività unificante che deve competere allo Stato e che non può essere esaurita nel novero delle materie rientranti, ai sensi dell'articolo 117 nella sua formulazione letterale, nella competenza legislativa esclusiva dello Stato o nella determinazione dei soli principi fondamentali che lo Stato può e deve delineare e dettare nelle materie rientranti nella legislazione corrente. Se così fosse - dice la Corte - ne deriverebbe uno svilimento di quelle istanze unitarie, che sono e debbono rimanere fondamentali e indistruttibili in qualsiasi ordinamento, anche nel nostro ordinamento costituzionale. La Corte osserva come, anche in quei sistemi costituzionali attraversati da un ricco e articolato pluralismo istituzionale, non vi sia mai una lettura rigida e meccanica del riparto delle competenze legislative, ma si giustificano sempre deroghe alla ripartizione, per così dire, normale delle competenze legislative, risultante soltanto dalla applicazione e da una interpretazione letterale delle norme.
La Corte al riguardo fa riferimento alla clausola di supremazia nel sistema federale statunitense o alla legislazione concorrente nell'ordinamento costituzionale tedesco. Ma la Corte afferma che anche nel nostro sistema costituzionale, alla luce della riforma del Titolo V, sono presenti meccanismi e congegni volti a rendere più flessibile e completo un sistema in cui, in determinati ambiti e materie, per il sovrapporsi e per il sovraccarico di competenze e di attribuzioni, in qualche misura, si verrebbero ad indebolire e ad invulnerare quelle istanze unitarie, che nel nostro sistema costituzionale trovano espressione giuridica in quel principio di unità ed indivisibilità della Repubblica sancito dall'articolo 5 della Carta costituzionale.
E qual è un grande elemento di flessibilità cui fa riferimento la Corte? È il principio di sussidiarietà sancito dall'articolo 118 della Costituzione. La Corte osserva che, con riferimento all'articolo 118, primo comma, della Costituzione, secondo cui l'esercizio delle funzioni amministrative spetta in prima battuta ai comuni, tranne che quando emergano e siano predominanti esigenze ed istanze di esercizio unitario è necessario che tali funzioni siano conferite alle province, alle regioni e allo Stato ed esercitate dalle stesse sulla base dei principi di sussidiarietà, di differenziazione e di adeguatezza. È proprio questo il punto. Il principio di sussidiarietà, proprio nel momento in cui opera come un subsidium, lo fa non soltanto per il riparto delle competenze e delle funzioni amministrative, ma inevitabilmente si riverbera sul sistema delle competenze legislative. Sussidiarietà significa che si interviene quando un determinato livello di governo non è sufficiente per garantire un esercizio adeguato di quella funzione pubblica. Prevalgono esigenze ed istanze di ordine superiore e di carattere unitario che impongono un esercizio più omogeneo ad un livello di governo più alto e che portano, quindi, a delineare una sorta di curva ascensionale - come dice la Corte - verso un livello di governo superiore. Questo vale per l'esercizio della funzione amministrativa, ma anche per l'esercizio della funzione legislativa. Allora, la sussidiarietà viene ad avere una vocazione non statica, ma dinamica, vera e profonda. Non opera più come il fondamento di un sistema di competenze rigide, statiche e predeterminate, ma come fattore di grande flessibilità nel riparto delle competenze e delle attribuzioni legislative ed amministrative, per assicurare la salvaguardia e la valorizzazione delle istanze di carattere unitario che sempre vanno garantite in un ordinamento costituzionale, anche in quelli a più marcata matrice e tendenza federalista o con il più marcato pronunciamento di funzioni decentrate verso il sistema dei poteri e delle autonomie regionali e locali.
Questo è il senso della lettura della riforma del Titolo V ed è indicativo che la Corte, quando si sofferma sulla materia dei lavori pubblici, rileva che non avere incluso i lavori pubblici in una formulazione letterale delle varie disposizioni dell'articolo 117, non significa che questa materia sia sottratta ad ogni intervento legislativo dello Stato o che rientri nella competenza legislativa esclusiva residuale delle regioni: significa che è una materia che integra ambiti differenziati, specifici che, in relazione all'oggetto di volta in volta interessato, ricadono nella competenza legislativa esclusiva dello Stato o nella competenza legislativa concorrente.
Questa riforma è completamente al di fuori di ogni seria, vera riflessione di stampo e di matrice federalista. Nella cultura federalista, sia quella italiana, da Cattaneo a Gioberti, sia quella di stampo statunitense, il federalismo è un processo che non separa, non divide, non frantuma, non rompe. È un processo che cementa, che unifica, che dà forza ad un sistema di comunità locali che sono e rimangono autonome, ma che in forza e per servire esigenze ed istanze di carattere unitario cedono liberamente quote della loro sovranità. Allora, lo Stato federale viene ad essere momento di costruzione e di cemento di un'unità ricca e complessiva, di un sistema articolato di pubblici poteri che non è in contrapposizione o in conflitto, ma che trova nella struttura federale il momento di massima unificazione.
Questo è il senso della lezione che ci deriva dal federalismo statunitense, dal dialogo tra il settecentesco Clinton, governatore dello Stato di New York, ed Hamilton, nelle pagine del suo Federalist. Il federalismo come sistema di poteri decentrati che non pone mai a rischio, ma rafforza l'unità di un paese, l'unità di un ordinamento; il federalismo come sistema di governo che è capace di far convivere l'autorevolezza e la forza dell'autorità pubblica con i diritti individuali dei cittadini, il benessere della comunità, la capacità di controllo dei cittadini; il federalismo come articolazione rispettosa delle autonomie locali e dei pubblici poteri, che, soprattutto, non intacca la rappresentanza complessiva di una comunità che è profondamente unita da forti valori comuni e da forti e reciproche solidarietà.
Ecco, se è così, non possiamo non considerare poi - e vengo alle considerazioni conclusive - l'attribuzione (la cosiddetta devolution) di materie che dovrebbero rientrare nella competenza legislativa esclusiva delle regioni. Come potranno coordinarsi, come potranno armonizzarsi con quella lettera m) dell'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, che attribuisce alla legislazione esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali di quelle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che debbono essere garantiti su tutto il territorio nazionale? Infatti, senza quella omogeneità, quella unitarietà di livelli essenziali delle prestazioni, che interferiscono e investono i diritti civili e sociali essenziali della persona umana, non regge e non esiste un paese veramente unito, un ordinamento veramente coeso, un paese che riesce ad avere saldezza profonda di valori, di solidarietà, di motivazioni comuni, di prospettive, di passioni civili, di volontà di crescere e di diventare sempre più determinante anche nel consorzio della comunità internazionale.
Ecco, con tutto questo, come potrà mai conciliarsi la formulazione legislativa verso cui vi avviate? Per il tentativo di dare, comunque, una apertura verso un malinteso federalismo, che non ha nulla a che vedere con la vera cultura di matrice federalista, di stampo federalista, di profonda vocazione federalista, voi pensate di riservare alle regioni la potestà legislativa esclusiva in alcune materie. Le indicate e ponete problemi di coordinamento enormi tra quella lettera m) del secondo comma dell'articolo 117 (la determinazione dei livelli essenziali) e, ad esempio, la sanità. Le regioni dovrebbero avere competenza esclusiva per l'assistenza e l'organizzazione sanitaria; poi dovremmo coordinare queste competenze con le norme generali sulla salute rientranti nella competenza legislativa esclusiva dello Stato e con la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni inderogabili. Ancora di più. Prefigurate una competenza esclusiva che incide da un lato sul diritto alla salute e dall'altro sul diritto alla scuola, laddove parlate di organizzazione scolastica, di gestione di istituti, e dovete trovare un punto di equilibrio con «pezzi» di materie che rientrano nella competenza legislativa esclusiva dello Stato (le norme generali sull'istruzione), o nella competenza legislativa concorrente.
È evidente che, attraverso tutto questo percorso, voi non affrontate quello che invece poteva e doveva essere affrontato (come ha dimostrato tutta l'attività svolta con grande intensità dal centrosinistra, in particolare dal gruppo della Margherita, con il collega Bressa, in Commissione, in tutti questi mesi); bisognava intervenire per integrare, per modificare, per migliorare il testo vigente dell'articolo 117, tenendo conto, da un lato, dell'esperienza maturata in questi anni e, dall'altro, delle indicazioni emerse attraverso la giurisprudenza della Corte costituzionale.
Noi siamo pronti a confrontarci su questi aspetti, che però non hanno nulla a che vedere con questa pretesa di costruzione di un modello di organizzazione dei pubblici poteri profondamente diverso, in cui introducete norme assolutamente ingovernabili, destinate a creare conflitti enormi di competenza e di rapporto tra i diversi livelli di governo nel nostro paese e che ancor di più sono caricate di un significato culturale simbolico ed ideologico assolutamente inaccettabile, perché carico di un atteggiamento aggressivo, invasivo, in qualche misura demonizzatore di una parte del paese nei confronti dell'altra.
Ebbene, tutto ciò viene compiuto, mettendo in piedi un processo costituzionale di queste dimensioni, unicamente per cercare di dare un «contentino», giudicato indispensabile, per la sopravvivenza di una maggioranza. Si allarga il novero delle materie da disciplinare, e dunque delle parti della Costituzione da ribaltare e da riscrivere in profondità, soltanto per trovare, alla fine, un equilibrio complessivo di maggioranza.
Tutto ciò viene compiuto anche attraverso una tecnica di scrittura delle nuove norme costituzionali che non ha nulla a che vedere non solo con un vero clima costituente e con una vera e seria stagione costituente, ma anche con la qualità, con la ricchezza di elaborazione culturale, con la passione civile e perfino con la finezza giuridica e la capacità di saper tradurre i valori e le scelte politiche contenute nelle norme alla base di quella Costituzione che oggi, in larga misura, vi apprestate a smantellare.
Sono tutte queste le ragioni per condurre un'opposizione forte, motivata e determinata, che stiamo sviluppando con grande intensità. Lo faremo sempre di più in questa Assemblea sulla riforma dell'articolo 117 della Costituzione e su tutte le disposizioni successive del provvedimento in esame; lo faremo, se sarà necessario, anche chiedendo alla pubblica opinione e al popolo di riappropriarsi della necessità di salvaguardare le norme più sacre che esistono in ogni paese: le norme della propria Carta costituzionale.
Non è possibile, infatti, operare un processo di riforma costituzionale di tali dimensioni per un'angusta, gretta e - mi sia consentito - meschina necessità di risolvere e di sistemare gli equilibri di una maggioranza di Governo. Sono altri i percorsi da seguire: si tratta dei percorsi della politica, della dialettica e del rapporto tra le forze che compongono una maggioranza. Sono scelte che investono altri campi della politica nazionale, dalla politica economica a quella sociale, ma non il campo della scrittura delle regole fondamentali del nostro Stato democratico e della nostra Carta costituzionale. Per questo motivo, ci opporremo con tutte le nostre energie e con profonda convinzione, motivando puntualmente e puntigliosamente ogni passo del nostro percorso, sia in quest'aula, sia nel paese (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Perrotta. Ne ha facoltà.
ALDO PERROTTA. Signor Presidente, vorrei far presente come in questi dibattiti rimanga sempre perplesso, perché si parla del «sesso degli angeli» e di cose «campate in aria», ma non si affronta mai il tema specifico. Per quanto concerne le critiche alla riforma che proponiamo, soprattutto alla revisione dell'articolo 117 della Costituzione, allora, vorrei far comprendere ai colleghi presenti, ma soprattutto a chi ci ascolta, cosa avremmo fatto.
Abbiamo sostenuto, che spetta alle regioni la potestà legislativa esclusiva in alcune materie, che andrò ad illustrare. Per quanto concerne, in primo luogo, l'assistenza e l'organizzazione sanitaria, vi sembra possibile organizzare da Roma l'assistenza sanitaria ed ospedaliera a Canicattì, a Milano o a Napoli? È logico che spetti alle regioni farlo, e non mi sembra che sia stato proposto qualcosa di strano, anzi!
Per quanto concerne l'organizzazione scolastica e la gestione degli istituti scolastici e di formazione, vi sembra possibile organizzare da Roma, ad esempio, l'istituto tecnico industriale «Enrico Fermi» di Milano o di Napoli, oppure un'altra scuola media romana o siciliana? Mi sembra logico che tale organizzazione spetti alle regioni! Tra l'altro, vorrei ricordare che abbiamo proposto che alle regioni spetti la definizione dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della regione stessa. Ma vi sembra possibile stabilire a livello nazionale se si debba studiare a Napoli la storia piemontese o in Piemonte la storia del Regno delle Due Sicilie?
Credo che le regioni, nei programmi scolastici, possano stabilire se sia necessario, ad esempio, studiare in Piemonte più la storia del Regno austro-ungarico e in Campania più quella del Regno delle Due Sicilie. E vi sembra che stiamo facendo cose straordinarie? Che stiamo cambiando l'Italia? Se la stiamo cambiando, la stiamo cambiando in bene.
Chi ci ascolta, deve sapere che esistono due legislazioni: una di esclusiva competenza dello Stato; l'altra nella quale rientrano anche le regioni. Per quanto riguarda la legislazione di esclusiva competenza statale, ho visto, tra i vari emendamenti, uno della maggioranza, cui devo plaudire, scaturito dal confronto con i presidenti delle regioni e delle province, con i sindaci, e con le organizzazioni private - quali la Confindustria, la Confartigianato, eccetera - e dello Stato e del parastato. È stato compiuto un lavoro immane.
Alla fine, la maggioranza ha inserito nel provvedimento anche altre problematiche, prevedendo, ad esempio, che, nelle materie di competenza esclusiva dello Stato, alla tutela del risparmio si affianchi anche quella del credito. Mi sembra, infatti, naturale che lo Stato debba anche tutelare il credito. Questa maggioranza ha altresì stabilito che lo Stato conservi anche le norme generali sulla tutela della salute e sulla sicurezza e qualità alimentari. Mi sembra naturale che di ciò se ne occupi lo Stato. Non è materia la cui regolamentazione si può lasciare alle singole regioni. Certo, anche le singole regioni si potranno inserire in tale ambito, ma vi sembra che noi, che abbiamo stabilito che lo Stato deve tutelare la salute e la sicurezza e qualità alimentari, stiamo sbagliando? A me non sembra. Non credo che stiamo sbagliando e non credo che su questa riforma, quando se ne parlerà, nei vari dibattiti radiotelevisivi, avremo torto.
La verità sul motivo per cui siete contrari a questa riforma, la dirò alla fine del mio intervento. Vi sembra inoltre che, quando abbiamo stabilito che le norme di sicurezza per le grandi reti strategiche e di trasporto e di navigazione di interesse nazionale nello stabilire devono restare nella competenza esclusiva dello Stato, abbiamo sbagliato? Vi sembra che le grandi reti di trasporto aeree, di navigazione e ferroviarie, possano essere localizzate, parcellizzate, regionalizzate? Certo, ci saranno anche i trasporti regionali, lo diremo in seguito. Vi saranno anche le reti regionali - lo diremo sempre in seguito - ma la strategia unitaria deve essere quella dello Stato.
Vi sembra che abbiamo sbagliato nell'affermare che l'ordinamento delle professioni intellettuali e l'ordinamento sportivo devono restare in mano allo Stato? Faccio un esempio pratico, nel ramo sportivo: come potremmo ottenere tutte le medaglie che abbiamo ottenuto nelle varie manifestazioni sportive e che ci portano grande prestigio internazionale, se lasciassimo la formazione atletica alle regioni, alle province ed ai comuni? Lo stesso vale anche per la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia.
Può sembrare, a voi parlamentari o ai cittadini che ci ascoltano, che noi si possa lasciare in mano ad altre autorità, che non siano quelle statali la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia? A chi le vogliamo affidare? Ai comuni? Alle regioni? Le dobbiamo per forza lasciare tra le materie di competenza esclusiva dello Stato. Le regioni - lo dirò in seguito - hanno altri compiti. Mentre noi dobbiamo varare norme generali sulla tutela della salute e della sicurezza e qualità dei prodotti alimentari, le regioni possono pensare ad altri problemi.
Abbiamo fatto un altro grave danno stabilendo che le regioni sono preposte all'attività sportiva e ricreativa ed alla realizzazione degli impianti sportivi e delle attrezzature relative? Certo non lo potremmo fare noi, da Roma. Ripeto: ciò sembra un altro grave danno che abbiamo fatto? Credo che abbiamo introdotto un altro principio positivo. Mi sembra che, oggi, tra le competenze che abbiamo trasferito alle regioni vi sono la comunicazione d'interesse regionale, le televisioni regionali, le radio regionali, la promozione in ambito regionale dello sviluppo e delle comunicazioni elettroniche.
Abbiamo stabilito che la distribuzione e il trasporto dell'energia possono essere di competenza regionale. Peraltro, sono rimasto perplesso per il fatto che oggi invertite il ruolo. Diciamo la verità: sappiamo tutti il motivo per cui è cambiata la strategia anche in quest'aula. Chi ci ascolta lo deve sapere, anche se magari non legge i giornali: eravamo tutti d'accordo ad approvare queste modifiche alla Costituzione e, fino all'altro ieri, non vi era nulla di strano. Poi, improvvisamente, emerge un'altra linea, quella di Prodi, secondo cui bisogna fare opposizione su tutto, «tanto peggio, tanto meglio». Tuttavia, la verità è che il «tanto peggio, tanto meglio» non va a vantaggio dell'opposizione: noi smaschereremo questo cambio di strategia e, soprattutto, questo tentativo di mescolare, come sempre, le carte e di dire bugie. Le cose che ho detto ve le ripeteremo piazza per piazza e televisione per televisione; non attraverso i giornali perché, per il 95 per cento sono tutti di sinistra e, quindi, riportano ciò che vogliono.
Ma andiamoli a fare i dibattiti! Andiamo a dire il motivo per cui, fino a ieri, eravate grosso modo d'accordo, perché vi abbiamo stretto, perché il presidente e il ministro hanno accolto gran parte dei vostri emendamenti. E vi voglio vedere quando poi dovrete votare contro! Infatti, ve li faremo votare uno per uno: voglio vedere come farete! Mi alzerò e lo dirò; ci alzeremo e lo diremo! Voi non sapete più come uscirne, non avete una strategia, non avete nulla! Diciamolo chiaro e tondo: la volta scorsa, sulla devolution, su questo benedetto articolo, avete fatto un casino! Scusate la volgarità, ma tale espressione esprime bene il concetto.
PRESIDENTE. È una felice sintesi!
ALDO PERROTTA. Oggi ci accusate di procedere a maggioranza, ma voi la volta scorsa, nel tentativo di imbrogliare la gente, avete fatto una rivisitazione del Titolo V della Costituzione e l'avete fatta passare con quattro voti di maggioranza. Oggi noi, che ci apprestiamo a migliorare, a codificare e a rendere visibile e reale la devolution - e la approveremo, statene certi, con 70, 80, 90 voti di maggioranza - saremmo arroganti! Se una riforma viene approvata con quattro voti di maggioranza e la fate voi, è democratica; se la dovessimo fare noi che abbiamo chiesto il vostro contributo (che ci avete accordato fino a ieri e, poi, improvvisamente avete cambiato idea) con 70 o 80 voti di scarto, saremmo arroganti. Questa è la continua e sistematica mistificazione che fate volta per volta. Ma stavolta non vi riesce! Non vi riesce perché il ministro Calderoli è bravo; non vi riesce perché il nostro presidente è bravo; non vi riesce perché il sottosegretario Brancher è bravo e non vi riesce perché noi siamo bravi! Non vi riesce perché siamo bravi, perché vi stringeremo e vi costringeremo! Lo ripeto: fatelo il referendum, sarà la vostra ennesima sconfitta! Non ne vincerete più uno! Non riuscite a portare la gente a votare, non sapete più cosa fare. Inventatevi ciò che volete: questa è una cosa che faremo, che porteremo fino in fondo e sulla quale giochiamo la nostra grande credibilità (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Sono così esauriti gli interventi sul complesso degli emendamenti.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
La seduta termina alle 19,55.
Allegato A
DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE: S. 2544 - MODIFICAZIONI DI ARTICOLI DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE (APPROVATO, IN PRIMA DELIBERAZIONE, DAL SENATO DELLA REPUBBLICA) (4862) ED ABBINATE PROPOSTE DI LEGGE COSTITUZIONALI ZELLER ED ALTRI; BIELLI; SPINI E ANGIONI; BUTTIGLIONE ED ALTRI; CONTENTO; COLA; PISAPIA; SELVA; SELVA; SELVA; BIANCHI CLERICI; PERETTI; VOLONTÈ; PISAPIA; LUSETTI ED ALTRI; ZACCHEO; MANTINI ED ALTRI; SODA; OLIVIERI E KESSLER; COSTA; SERENA; PISICCHIO ED ALTRI; BOLOGNESI ED ALTRI; PAROLI; BUONTEMPO; ZELLER ED ALTRI; COLLÈ; VITALI ED ALTRI; MAURANDI ED ALTRI; OLIVIERI; BOATO; STUCCHI; CENTO; MONACO; PACINI; CONSIGLIO REGIONALE DELLA PUGLIA; CONSIGLIO REGIONALE DELLA PUGLIA; CHIAROMONTE ED ALTRI; CABRAS ED ALTRI; MANTINI; LA MALFA; BRIGUGLIO ED ALTRI; FRANCESCHINI; PISAPIA; COSTA; PERROTTA ED ALTRI; FIORI (72-113-260-376-468-582-721-874-875-877-966-1162-1218-1287-1403-1415-1608-1617-1725-1805-1964-2027-2116-2123-2168-2320-2413-2568-2909-2994-3058-3489-3523-3531-3541-3572-3573-3584-3639-3684-3707-3885-4023-4393-4451-4805-5044)
(A.C. 4862 ed abb. - Sezione 1)
ARTICOLO 32 DEL DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO 7.50 22/09/2004
Capo V
MODIFICHE AL TITOLO V DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE
Art. 32.
(Capitale della Repubblica federale).
1. La denominazione del titolo V della Parte II della Costituzione è sostituita dalla seguente: «Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato».
2. All'articolo 114 della Costituzione, il terzo comma è sostituito dal seguente:
«Roma è la capitale della Repubblica federale e dispone di forme e condizioni particolari di autonomia, anche normativa, nelle materie di competenza regionale, nei limiti e con le modalità stabiliti dallo statuto della Regione Lazio. La legge dello Stato disciplina l'ordinamento della capitale».
PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 32 DEL DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE
Capo V
MODIFICHE AL TITOLO V DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE
ART. 32.
(Capitale della Repubblica federale).
Sopprimerlo.
32. 6. Leoni, Boato, Bressa, Amici, Cabras, Cusumano, Fistarol, Intini, Loiero, Maccanico, Maran, Marone, Montecchi, Olivieri, Pappaterra, Soda, Mascia, Russo Spena, Maura Cossutta, Zanella, Sgobio.
Sostituirlo con il seguente:
Art. 32 - L'articolo 114 della Costituzione è sostituito dal seguente:
«Art. 114. - La Repubblica si riparte in Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni.
Le Regioni, le Città metropolitane, le Province ed i Comuni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione.
Le Regioni dispongono di competenze legislative nei limiti fissati dalla Costituzione.
È istituito il distretto di Roma capitale, il cui territorio coincide con quello del Comune di Roma. Ad esso sono attribuiti i poteri e le funzioni spettanti alle Regioni a statuto ordinario ed alle province».
32. 71. Landolfi, Armani, Malgieri.
Al comma 1, sopprimere la parola: Province.
Conseguentemente, dopo il comma 1, aggiungere il seguente:
1-bis. All'articolo 114 della Costituzione, primo comma, le parole: «dalle Province,» sono soppresse.
32. 70. Perrotta.
Al comma 1, sopprimere le parole: e Stato.
32. 9. Carrara, Nespoli, Saia, Cristaldi, Losurdo, Patarino, Armani.
Dopo il comma 1, aggiungere il seguente:
1-bis. All'articolo 114 della Costituzione, il primo comma è sostituito dal seguente:
«La Repubblica si riparte in Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni».
32. 74. Tabacci, Malgieri, Landolfi, La Malfa, Biondi, Craxi, Cossa, Giuseppe Gianni, Bellillo, Armando Cossutta, Maura Cossutta, Diliberto, Franci, Nesi, Pistone, Sgobio, Vertone.
Dopo il comma 1, aggiungere il seguente:
1-bis. All'articolo 114 della Costituzione, il primo comma è sostituito dal seguente:
«La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane e dalle Regioni».
32. 8. Carrara, Nespoli, Saia, Cristaldi, Losurdo, Patarino, Armani, Landolfi, La Russa, Tabacci.
Dopo il comma 1, aggiungere il seguente:
1-bis. All'articolo 114, primo comma, della Costituzione, sono aggiunte, in fine, le parole: «, che esercitano le loro funzioni secondo i principi di leale collaborazione e di sussidiarietà».
Conseguentemente, sostituire la rubrica con la seguente: Modifiche all'articolo 114 della Costituzione.
* 32. 200. Elio Vito, Anedda, Volontè, Cè, La Malfa, Moroni.
(Approvato).
Dopo il comma 1, aggiungere il seguente:
1-bis. All'articolo 114, primo comma, della Costituzione, sono aggiunte, in fine, le parole: «, che esercitano le loro funzioni secondo i principi di leale collaborazione e di sussidiarietà».
Conseguentemente, sostituire la rubrica con la seguente:
Modifiche all'articolo 114 della Costituzione.
* 32. 5. (Testo modificato nel corso della seduta) Boato, Bressa, Leoni, Amici, Cabras, Cusumano, Fistarol, Intini, Loiero, Maccanico, Maran, Marone, Montecchi, Olivieri, Pappaterra, Rosato, Soda, Zanella.
(Approvato).
Sopprimere il comma 2.
** 32. 4. Leoni, Bressa, Boato, Amici, Cabras, Cusumano, Fistarol, Intini, Loiero, Maccanico, Maran, Marone, Montecchi, Olivieri, Pappaterra, Soda, Mascia, Giordano, Maura Cossutta, Zanella, Sgobio.
Sopprimere il comma 2.
** 32. 73. Osvaldo Napoli.
Al comma 2, capoverso, primo periodo, sopprimere la parola: federale.
32. 250. La Commissione.
(Approvato).
Al comma 2, capoverso, primo periodo, sopprimere le parole da: , nei limiti fino alla fine del periodo.
32. 72. Boato, Leoni, Bressa, Maura Cossutta, Titti De Simone, Pappaterra, Cusumano, Zanella.
Subemendamento all'emendamento 32. 201.
All'emendamento 32. 201., aggiungere la seguente parte consequenziale:
all'articolo 34, dopo il comma 2, aggiungere il seguente:
2. bis. All'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, alla lettera p), sono aggiunte, infine, le seguenti parole: «ordinamento della Capitale».
0. 32. 201. 1. La Commissione.
(Approvato).
Al comma 2, capoverso, sopprimere il secondo periodo.
32. 201. Elio Vito, Anedda, Volontè, Cè, La Malfa, Moroni.
(Approvato).
Dopo l'articolo 32, aggiungere il seguente:
Art. 32-bis. (Leale collaborazione). - 1. Dopo l'articolo 114 della Costituzione è aggiunto il seguente:
«Art. 115. - Le relazioni fra i Comuni, le Città metropolitane, le Province, le Regioni e lo Stato si fondano sui principi di leale collaborazione e di sussidiarietà.
Sono sedi di concertazione fra i Comuni, le Città metropolitane, le Province, le Regioni e lo Stato: il Senato federale della Repubblica, quale organo di concertazione, di codecisione e di raccordo fra i soggetti costituivi della Repubblica; la Conferenza permanente, disciplinata dalla legge, quale organo di consultazione, di concertazione e di raccordo fra i livelli di governo dei Comuni, delle Città metropolitane, delle Province, delle Regioni e dello Stato; il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di concertazione, di codecisione e di raccordo fra la Regione e gli enti locali ricompresi nel territorio regionale».
*32. 01. Fioroni.
Dopo l'articolo 32, aggiungere il seguente:
Art. 32-bis. (Leale collaborazione). - 1. Dopo l'articolo 114 della Costituzione è aggiunto il seguente:
«Art. 115. - Le relazioni fra i Comuni, le Città metropolitane, le Province, le Regioni e lo Stato si fondano sui principi di leale collaborazione e di sussidiarietà.
Sono sedi di concertazione fra i Comuni, le Città metropolitane, le Province, le Regioni e lo Stato: il Senato federale della Repubblica, quale organo di concertazione, di codecisione e di raccordo fra i soggetti costituivi della Repubblica; la Conferenza permanente, disciplinata dalla legge, quale organo di consultazione, di concertazione e di raccordo fra i livelli di governo dei Comuni, delle Città metropolitane, delle Province, delle Regioni e dello Stato; il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di concertazione, di codecisione e di raccordo fra la Regione e gli enti locali ricompresi nel territorio regionale».
*32. 02. Osvaldo Napoli.
(A.C. 4862 ed abb. - Sezione 2)
ARTICOLO 33 DEL DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO
Art. 33.
(Approvazione degli Statuti delle Regioni speciali).
1. All'articolo 116, primo comma, della Costituzione, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «previa intesa con la Regione interessata. L'assenso all'intesa può essere manifestato entro sei mesi dall'avvio del procedimento di cui all'articolo 138. Trascorso tale termine, le Camere possono adottare la legge costituzionale».
PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 33 DEL DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE
ART. 33.
(Approvazione degli Statuti delle Regioni speciali).
Sopprimerlo.
33. 70. Bressa, Boato, Leoni, Amici, Cabras, Cusumano, Fistarol, Intini, Loiero, Maccanico, Maran, Marone, Loiero, Maccanico, Maran, Marone, Montecchi, Olivieri, Pappaterra, Soda, Mascia, Russo Spena, Maura Cossutta, Zanella, Sgobio, Rosato.
Sostituirlo con il seguente:
Art. 33. - 1. All'articolo 116 della Costituzione, il primo ed il secondo comma sono abrogati.
33. 71. Perrotta.
Sostituirlo con il seguente:
Art. 33. (Approvazione degli Statuti delle Regioni speciali). - 1. All'articolo 116, primo comma, della Costituzione, sono aggiunte, in fine, le parole: «su proposta della Regione e comunque previa intesa con la medesima».
33. 77. Soro, Carboni, Ladu, Tonino Loddo, Maurandi, Rosato.
Sostituirlo con il seguente:
Art. 33. (Approvazione degli Statuti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome). - 1. All'articolo 116, primo comma, della Costituzione, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «approvata dalle Camere, in seconda deliberazione, previo voto favorevole dell'Assemblea regionale siciliana, dei Consigli delle regioni e delle Province autonome interessate. Con le medesime procedure sono adottate anche le modifiche ai predetti statuti».
*33. 80. Cossa, Nicolosi.
Sostituirlo con il seguente:
Art. 33. (Approvazione degli Statuti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome). - 1. All'articolo 116, primo comma, della Costituzione, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «approvata dalle Camere, in seconda deliberazione, previo voto favorevole dell'Assemblea regionale siciliana, dei Consigli delle regioni e delle Province autonome interessate. Con le medesime procedure sono adottate anche le modifiche ai predetti statuti».
*33. 83. Burtone, Enzo Bianco, Finocchiaro, Cardinale, Cusumano, Lumia, Rosato.
Subemendamenti all'emendamento 33. 250. della Commissione
All'emendamento 33. 250., primo periodo, sostituire le parole: quattro quinti con le seguenti: due terzi.
*0. 33. 250. 1. Zeller, Brugger, Widmann, Collè, Detomas.
(Approvato).
All'emendamento 33. 250., primo periodo, sostituire le parole: quattro quinti con le seguenti: due terzi.
*0. 33. 250. 2. Cabras, Olivieri, Kessler, Lumia, Finocchiaro, Maran, Maurandi, Tonino Loddo, Ladu.
(Approvato).
All'emendamento 33. 250., primo periodo, sostituire le parole: quattro quinti con le seguenti: due terzi.
*0. 33. 250. 3. Mazzuca Poggiolini.
(Approvato).
All'emendamento 33. 250., primo periodo, sostituire le parole: quattro quinti con le seguenti: due terzi.
*0. 33. 250. 4. Boato, Bressa, Detomas, Rosato, Soro, Ladu, Carboni, Mattarella, Burtone.
(Approvato).
All'emendamento 33. 250., primo periodo, sostituire le parole: quattro quinti con le seguenti: due terzi.
*0. 33. 250. 5. Cossa.
(Approvato).
Al comma 1, sostituire le parole da: interessata. fino a: Trascorso tale termine con le seguenti: o Provincia autonoma interessata sul testo approvato dalle due Camere in prima deliberazione. Il diniego alla proposta di intesa può essere manifestato entro tre mesi dalla trasmissione del testo, con deliberazione a maggioranza dei quattro quinti dei componenti del Consiglio regionale o della Provincia autonoma interessata. Decorso tale termine senza che sia stato deliberato il diniego.
33. 250. La Commissione.
(Approvato).
Al comma 1, sopprimere le parole da: L'assenso fino alla fine del comma.
33. 78. Maurandi, Carboni, Ladu, Tonino Loddo, Soro.
Al comma 1, secondo periodo, sostituire le parole: sei mesi con le seguenti: nove mesi.
33. 81. Nuvoli, Marras.
Al comma 1, aggiungere, in fine, il seguente periodo: Il diniego dell'intesa espresso con una maggioranza qualificata di almeno due terzi dei componenti del Consiglio regionale impedisce alle Camere di procedere all'approvazione di modifiche agli statuti delle Regioni speciali.
33. 82. Nuvoli, Marras.
Subemendamenti all'emendamento 33. 84.
All'emendamento 33. 84., capoverso, sostituire le parole da: disposizioni fino alla fine dell'emendamento con le seguenti: particolari disposizioni a tutela delle minoranze linguistiche non possono prevedere norme lesive del principio di eguaglianza e di parità di trattamento nei confronti dei cittadini di lingua italiana.
0. 33. 84. 2. Lo Presti, Paolone, Maggi, Catanoso.
All'emendamento 33.84., capoverso, sostituire le parole: locali prevedono con le seguenti: rispetto alla popolazione nazionale, devono introdurre.
0. 33. 84. 1. Antonio Leone.
Aggiungere, in fine, il seguente comma:
2. All'articolo 116 della Costituzione, è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«Gli statuti speciali nei quali sono stabilite disposizioni di protezione delle minoranze linguistiche locali prevedono anche norme a garanzia e tutela della parità delle minoranze su base territoriale».
33. 84. Carrara, Giorgio Conte, Cristaldi, Migliori, Nespoli, Saia, Losurdo, Patarino.
(A.C. 4862 ed abb. - Sezione 3)
ARTICOLO 34 DEL DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE
Art. 34.
(Modifiche all'articolo 117 della Costituzione).
1. All'articolo 117 della Costituzione, il primo comma è sostituito dal seguente:
«La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario».
2. All'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, dopo la lettera m), è inserita la seguente:
«m-bis) norme generali sulla tutela della salute;».
3. All'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, sono soppresse le parole: «tutela della salute;» ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Lo Stato e le Regioni si conformano ai princìpi di leale collaborazione e di sussidiarietà».
4. All'articolo 117 della Costituzione, il quarto comma è sostituito dal seguente:
«Spetta alle Regioni la potestà legislativa esclusiva nelle seguenti materie:
a) assistenza e organizzazione sanitaria;
b) organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche;
c) definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione;
d) polizia locale;
e) ogni altra materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato».
5. All'articolo 117 della Costituzione, l'ottavo comma è sostituito dal seguente:
«La Regione interessata ratifica con legge le intese della Regione medesima con altre Regioni per il miglior esercizio delle proprie funzioni amministrative, prevedendo anche l'istituzione di organi amministrativi comuni».
6. Le disposizioni previste dai commi 1, 4 e 5 del presente articolo si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano esclusivamente ove prevedano forme di autonomia più ampie rispetto a quelle di cui esse già dispongono, secondo i rispettivi statuti di autonomia e le relative norme di attuazione.
PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 34 DEL DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE
ART. 34.
(Modifiche all'articolo 117 della Costituzione).
Sopprimerlo.
*34. 44. Boato, Bressa, Leoni, Amici, Cabras, Cusumano, Fistarol, Intini, Loiero, Maccanico, Maran, Marone, Montecchi, Olivieri, Pappaterra, Soda, Russo Spena, Maura Cossutta, Zanella, Sgobio, Fanfani.
Sopprimerlo.
*34. 78. Mascia, Giordano.
Sostituirlo con il seguente:
Art. 34. - L'articolo 117 della Costituzione è sostituito dal seguente:
«Art. 117 - Le Regione hanno competenza esclusiva, da esercitarsi nel rispetto dell'interesse nazionale e di quello delle altre Regioni, nelle seguenti materie:
a) bonifica;
b) urbanistica;
c) miniere, cave e torbiere;
d) beneficenza pubblica;
e) fiere e mercati locali;
f) ordinamento degli uffici e degli enti regionali;
g) musei e biblioteche di enti locali;
h) polizia amministrativa locale;
i) trasporto pubblico locale;
l) servizi idrici locali;
m) assistenza ed organizzazione sanitaria;
n) demanio e patrimonio regionale;
o) acque minerali e termali;
p) aree e distretti industriali;
q) organizzazione dello smaltimento rifiuti;
r) portualità turistica e lacuale e pesca nelle acque interne;
s) gestione degli istituti scolastici e di formazione e definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche;
t) usi civici;
u) asili nido;
v) foreste, ad eccezione di quelle rentranti nei parchi nazionali;
z) valorizzazione dei beni culturali rientranti nel demanio e nel patrimonio regionale.
Relativamente alle materie di cui alle lettere b), m) ed r) la Regione esercita la potestà legislativa nel rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni civili e sociali fissati dalla legge dello Stato.
Nelle materie non riservate alla competenza legislativa regionale, la competenza spetta allo Stato».
34. 95. Landolfi, Armani, Malgieri.
Sostituirlo con il seguente:
Art. 34. - 1. L'articolo 117 della Costituzione è sostituito dal seguente:
«Art. 117. La potestà legislativa è ripartita tra lo Stato e le Regioni, nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
È di esclusiva competenza dello Stato la potestà legislativa in merito a:
a) diritti e doveri dei cittadini previsti dai titoli I, II, III e IV della parte I della Costituzione;
b) formazione, ordinamento ed attribuzioni degli organi costituzionali e degli organi, uffici ed enti dipendenti dallo Stato;
c) cittadinanza, libertà di circolazione, passaporti, immigrazione ed emigrazione, estradizione;
d) politica estera, commercio con l'estero, relazioni internazionali e con l'Unione europea, fermo restando quanto stabilito nell'articolo 118;
e) rapporti tra Stato e confessioni religiose;
f) difesa nazionale;
g) sicurezza pubblica;
h) ordinamento giuridico, ordinamento della giustizia civile, penale, amministrativa, tributaria e contabile; ordinamento civile e penale; ordinamento delle libere professioni;
i) contabilità dello Stato e tributi statali;
l) ordinamento bancario, sistema valutario e monetario, pesi e misure, determinazione dell'ora legale;
m) programmazione economica nazionale;
n) politiche industriali, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia;
o) lavori pubblici, protezione civile, trasporti e comunicazioni di interesse nazionale;
p) beni culturali e paesistici di interesse nazionale, parchi nazionali;
q) ricerca scientifica e tecnologica, tutela della proprietà letteraria, artistica ed intellettuale;
r) previdenza sociale, tutela e sicurezza del lavoro;
s) legislazione elettorale, organi di governo e condizioni di esercizio dei diritti politici;
t) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;
u) calamità naturali, condizioni essenziali dell'igiene pubblica e tutela del territorio;
v) istruzione pubblica di ogni ordine e grado e università;
z) tutela della salute e assistenza sanitaria.
Le Regioni hanno potestà legislativa in ogni altra materia, ad eccezione di quelle attribuite allo Stato da altre disposizioni della Costituzione e da altre leggi costituzionali.
Lo Stato, nelle materie di competenza delle Regioni, può fissare, con leggi organiche, esclusivamente principi fondamentali che attengono ad esigenze di carattere unitario.
Le leggi organiche vincolano le Regioni e non hanno come destinatari i cittadini.
Nell'emanazione di leggi di competenza regionale inerenti funzioni e aspetti di carattere sociale, le Regioni garantiscono a ciascun cittadino le prestazioni previste dalle leggi della Repubblica. Con legge dello Stato sono previste le procedure per l'esercizio dei poteri sostitutivi in caso di inadempienza della Regione.
Con legge statale è disciplinata la partecipazione dei rappresentanti delle Regioni alla formazione e approvazione delle leggi organiche».
34. 7. Mascia, Giordano.
Sostituirlo con il seguente:
Art. 34. - 1. All'articolo 117 della Costituzione, secondo comma, sono apportate le seguenti modificazioni:
la lettera n) è sostituita dalla seguente:
«n) istruzione pubblica di ogni ordine e grado»;
è aggiunta, in fine, la seguente lettera:
«t) tutela della salute e assistenza sanitaria».
2. All'articolo 117 della Costituzione, terzo comma, sono apportate le seguenti modificazioni:
le parole: «istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della» sono soppresse;
le parole: «tutela della salute» sono soppresse.
34. 79. Mascia, Russo Spena.
Sopprimere il comma 1.
34. 28. Bressa, Boato, Leoni, Amici, Cabras, Cusumano, Fistarol, Intini, Loiero, Maccanico, Maran, Marone, Montecchi, Olivieri, Pappaterra, Soda, Maura Cossutta, Zanella, Sgobio, Fanfani.
Al comma 1, capoverso, aggiungere, in fine, le parole: e internazionale.
34. 120. Zeller, Brugger, Widmann, Collè, Detomas.
Dopo il comma 1, aggiungere il seguente:
1-bis. All'articolo 117, secondo comma, della Costituzione alla lettera l), dopo le parole: «civile e» sono aggiunte le seguenti: «disciplina dei rapporti di lavoro, ordinamento».
34. 29. Leoni, Boato, Bressa, Amici, Cabras, Cusumano, Fistarol, Intini, Loiero, Maccanico, Maran, Marone, Montecchi, Olivieri, Pappaterra, Soda, Mascia, Giordano, Maura Cossutta, Zanella, Sgobio, Fanfani.
Dopo il comma 1, aggiungere il seguente:
1-bis. All'articolo 117 della Costituzione, secondo comma, la lettera m) è soppressa.
Conseguentemente, dopo il comma 2, aggiungere il seguente:
2-bis. All'articolo 117 della Costituzione, dopo il secondo comma è aggiunto il seguente:
«A prescindere dal riparto delle competenze per materia quale previsto dai commi seguenti, la legge statale, approvata dalla Camera dei deputati, può regolare qualunque materia laddove emerga che la legge regionale non è idonea a disciplinarla efficacemente, ovvero quando ciò sia richiesto dalla necessità di tutelare l'unità giuridica o economica della Nazione, e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale».
34. 121. Saponara.
Sopprimere il comma 2.
Conseguentemente, al comma 3, sopprimere le parole: sono soppresse le parole: «tutela della salute;» ed.
34. 131. Pistone, Benvenuto.
Sopprimere il comma 2.
Conseguentemente, al comma 3, sostituire le parole: sono soppresse le parole: «tutela della salute;» con le seguenti: dopo le parole: «commercio con l'estero;» sono aggiunte le seguenti: «coordinamento degli interventi nazionali di valorizzazione, sviluppo e promozione del turismo italiano;».
34. 130. Pistone, Benvenuto.
Sopprimere il comma 2.
34. 71. Zeller, Collè, Detomas, Brugger, Widmann.
Subemendamenti all'emendamento 34. 200.
All'emendamento 34. 200., sopprimere il comma 2.
0. 34. 200. 22. Boato, Bressa, Leoni, Mascia, Maura Cossutta, Pappaterra, Cusumano, Zanella, Detomas, Maran, Cento, Cabras, Fistarol, Loiero, Marone, Maccanico, Fanfani, Lettieri, Franceschini, Sinisi, Montecchi, Olivieri, Soda, Mazzuca Poggiolini; Russo Spena.
All'emendamento 34. 200., comma 2, sostituire la parola: Paese con le seguenti: economico e produttivo nazionale.
0. 34. 200. 1. Armani.
All'emendamento 34. 200., comma 3, sopprimere le parole: sono premesse le parole «politica monetaria»;
0. 34. 200. 33. Bressa, Boato, Leoni.
All'emendamento 34. 200., comma 3, sopprimere le parole da: dopo le parole: «tutela della concorrenza» fino alla fine del comma.
0. 34. 200. 23. Leoni, Boato, Bressa, Pappaterra, Cusumano, Zanella, Detomas, Maran, Cento, Cabras, Fistarol, Loiero, Marone, Fanfani, Lettieri, Maccanico, Franceschini, Sinisi, Montecchi, Olivieri, Soda, Mazzuca Poggiolini.
All'emendamento 34. 200., dopo il comma 3, aggiungere il seguente:
3.1. All'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, dopo la lettera f) è inserita la seguente:
«f-bis) norme generali sul sistema di elezione del presidente e dei componenti dei Consigli regionali».
0. 34. 200. 2. Buontempo.
All'emendamento 34. 200., dopo il comma 3, aggiungere il seguente:
3.1. All'articolo 117, secondo comma, lettera h) della Costituzione, dopo le parole:"polizia amministrativa" sono aggiunte le seguenti: "regionale e".
Conseguentemente, aggiungere, in fine, la seguente parte consequenziale:
Conseguentemente al comma 4, capoverso, lettera d) dopo la parola: polizia aggiungere le seguenti: amministrativa regionale e.
0. 34. 200. 253. La Commissione.
All'emendamento 34. 200., comma 3-bis, lettera m-bis), premettere le parole: principi fondamentali e.
0. 34. 200. 13. Lucchese.
All'emendamento 34. 200., comma 3-bis, lettera m-bis), dopo le parole: tutela della salute aggiungere le seguenti: e assistenza sanitaria.
0. 34. 200. 20. Mascia, Valpiana, Titti De Simone.
All'emendamento 34. 200., dopo il comma 3-bis, aggiungere il seguente:
3-bis.1. All'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, la lettera n) è sostituita dalla seguente:
n) istruzione pubblica di ogni ordine e grado.
Conseguentemente, al comma 3-quinquies, alla lettera a), premettere la seguente:
0a) le parole: «istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della» sono soppresse.
0. 34. 200. 21. Mascia, Valpiana, Titti De Simone.
All'emendamento 34. 200., dopo il comma 3-bis, aggiungere il seguente:
3-bis.1 All'articolo 117, secondo comma, lettera o), della Costituzione, sono aggiunte, in fine, le parole: «sicurezza del lavoro;».
Conseguentemente, al medesimo emendamento, comma 3-quinquies, alla lettera a) premettere la seguente:
0a) sono soppresse le parole: «e sicurezza».
0. 34. 200. 252. La Commissione.
All'emendamento 34. 200., dopo il comma 3-bis, aggiungere il seguente:
3-bis.1. All'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, alla lettera p), dopo le parole «citta metropolitane» aggiungere le seguenti «, compreso il riconoscimento del diritto di voto agli stranieri residenti nel territorio italiano, anche in esecuzione di trattati ed accordi internazionali».
*0. 34. 200. 34. Bressa, Boato, Leoni.
All'emendamento 34. 200., dopo il comma 3-bis, aggiungere il seguente:
3-bis.1. All'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, alla lettera p), dopo le parole «città metropolitane» aggiungere le seguenti «, compreso il riconoscimento del diritto di voto agli stranieri residenti nel territorio italiano, anche in esecuzione di trattati ed accordi internazionali».
*0. 34. 200. 45. Grandi.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quater, alla lettera t), premettere la seguente:
s-bis) commercio con l'estero, salvo quanto disposto dalla lettera d-bis) del quarto comma;
Conseguentemente:
al medesimo emendamento, comma 3-quinquies, lettera a), prima delle parole: tutela della salute; aggiungere le seguenti: commercio con l'estero; e;
all'articolo 34, comma 4, dopo la lettera d), aggiungere la seguente:
d-bis) commercio con l'estero nell'ambito dell'Unione europea.
0. 34. 200. 37. Pacini.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quater, alla lettera t), premettere la seguente:
s-bis) commercio con l'estero.
Conseguentemente, al medesimo emendamento, comma 3-quinquies, lettera a), prima delle parole: tutela della salute aggiungere le seguenti: commercio con l'estero e.
0. 34. 200. 39. Pacini.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quater, alla lettera t), premettere la seguente:
s-bis) ricerca scientifica e tecnologica.
Conseguentemente, al comma 3-quinquies, alla lettera a), premettere la seguente:
0a) le parole: «ricerca scientifica e tecnologica e» sono soppresse.
0. 34. 200. 19. Perrotta.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quater, alla lettera t), premettere la seguente:
s-bis) ricerca scientifica e tecnologica, salvo quanto disposto dalla lettera d-bis) del quarto comma;
Conseguentemente:
al medesimo emendamento, comma 3-quinquies, lettera a), prima delle parole: tutela della salute; aggiungere le seguenti: ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi;;
all'articolo 34, comma 4, dopo la lettera d), aggiungere la seguente:
d-bis) ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi.
0. 34. 200. 38. Pacini.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quater, alla lettera t), premettere la seguente:
s-bis) ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi.
al medesimo emendamento, comma 3-quinquies, lettera a), prima delle parole: tutela della salute aggiungere le seguenti: ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi;.
0. 34. 200. 40. Pacini.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quater, alla lettera t), premettere la seguente:
s-bis) pesca marittima;
0. 34. 200. 7. Scaltritti.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quater, sostituire la lettera t) con la seguente:
t) norme generali sulle grandi reti di trasporto e di navigazione.
Conseguentemente, al comma 3-quinquies, sostituire la lettera c), con la seguente:
c) le parole: «grandi reti di trasporto e di navigazione» sono sostituite dalle seguenti: «localizzazione sul territorio regionale delle grandi reti di trasporto e di navigazione».
0. 34. 200. 15. Iannuzzi, Mascia, Giordano, Fanfani.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quater, lettera t), sostituire le parole da: di interesse nazionale fino alla fine della lettera con le seguenti:, ivi compresi i porti, gli aeroporti e gli interporti di interesse internazionale, comunitario e nazionale, nonché le relative norme di sicurezza.
0. 34. 200. 24. Duca, Maura Cossutta, Mascia, Alfonso Gianni.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quater, lettera t), sostituire le parole: di interesse nazionale con le seguenti: connesse alle grandi reti europee.
Conseguentemente, al comma 3-quinquies, sopprimere la lettera c).
0. 34. 200. 26. Raffaldini, Vigni.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quater, lettera v), sopprimere le parole: ordinamento sportivo.
0. 34. 200. 25. Bressa, Boato, Leoni, Pappaterra, Cusumano, Zanella, Detomas, Maran, Cento, Cabras, Fistarol, Loiero, Marone, Maccanico, Franceschini, Sinisi, Montecchi, Olivieri, Soda, Mazzuca Poggiolini.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quater, lettera v), dopo le parole: ordinamento sportivo aggiungere la seguente: nazionale.
Conseguentemente, al medesimo emendamento, comma 3-quinquies, sostituire la lettera b) con la seguente:
b) dopo le parole: «ordinamento sportivo» è aggiunta la seguente: «regionale».
0. 34. 200. 250. La Commissione.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quater, lettera v), aggiungere, in fine, le parole: ordinamento del cinema e dello spettacolo;
0. 34. 200. 4. Rositani, Carrara, Nespoli, Cristaldi, Losurdo, Patarino, Maggi, Migliori, Lo Presti, Carlucci.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quater, lettera z), sopprimere la parola: produzione,
Conseguentemente, al comma 3-quinquies, lettera e), sostituire le parole: produzione, trasporto e distribuzione dell'energia con le seguenti: produzione dell'energia.
0. 34. 200. 28. Leoni, Bressa, Boato, Pappaterra, Cusumano, Zanella, Detomas, Maran, Cento, Cabras, Fistarol, Loiero, Marone, Maccanico, Franceschini, Sinisi, Montecchi, Olivieri, Soda, Mazzuca Poggiolini.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quater, lettera z), dopo la parola: produzione aggiungere la seguente: strategica.
0. 34. 200. 251. La Commissione.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quater, aggiungere, in fine, le seguenti lettere:
aa) bilanci, rendiconto consuntivo e manovre finanziarie dello Stato;
bb) coordinamento di cui all'articolo 118, terzo comma, primo periodo.
Conseguentemente, all'articolo 13, comma 1, capoverso Art. 70, primo comma, primo periodo, sopprimere le parole da: , ivi compresi fino a: primo periodo.
0. 34. 200. 35. Boccia.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quater, aggiungere, in fine, la seguente lettera:
aa) tutela e sicurezza del lavoro.
Conseguentemente, al comma 3-quinquies, alla lettera a), premettere la seguente:
0a) le parole: «tutela e sicurezza del lavoro» sono soppresse.
0. 34. 200. 31. Boato, Bressa, Leoni, Mascia, Maura Cossutta, Pappaterra, Cusumano, Zanella, Detomas, Maran, Cento, Cabras, Fistarol, Loiero, Marone, Maccanico, Franceschini, Sinisi, Montecchi, Olivieri, Soda, Mazzuca Poggiolini, Alfonso Gianni.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quinquies, lettera a), premettere la seguente:
0a) dopo le parole: «commercio con l'estero;» sono aggiunte le seguenti: «coordinamento degli interventi nazionali di valorizzazione, sviluppo e promozione del turimo italiano ;»;
0. 34. 200. 36. Pistone, Benvenuto.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quinquies, lettera a), premettere la seguente:
0a) dopo le parole: «commercio con l'estero;» sono aggiunte le seguenti: «coordinamento degli interventi di sviluppo e promozione del turismo;»;
0. 34. 200. 3. Buontempo.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quinquies, lettera a), premettere la seguente:
0a) dopo le parole: «commercio con l'estero;» sono aggiunte le seguenti: «coordinamento e promozione del turismo;»;
0. 34. 200. 32. Mantini.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quinquies, lettera c), sostituire le parole: dalle seguenti «reti di trasporto e di navigazione» con le seguenti: dalle seguenti «localizzazione sul territorio regionale delle grandi reti di trasporto e di navigazione».
0. 34. 200. 27. Boato, Bressa, Leoni, Pappaterra, Cusumano, Zanella, Detomas, Maran, Cento, Cabras, Fistarol, Loiero, Marone, Maccanico, Franceschini, Sinisi, Montecchi, Olivieri, Soda, Mazzuca Poggiolini.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quinquies, lettera c), aggiungere, in fine, le parole: di interesse regionale.
*0. 34. 200. 8. Moroni.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quinquies, lettera c), aggiungere, in fine, le parole: di interesse regionale.
*0. 34. 200. 17. Realacci, Vernetti, Iannuzzi, Fistarol, Fanfani.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quinquies, lettera d), sostituire le parole: comunicazione di interesse regionale, ivi compresa l'emittenza con la seguente: emittenza.
0. 34. 200. 11. Maninetti.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quinquies, lettera e), sostituire le parole: produzione, trasporto e distribuzione dell'energia con le seguenti: localizzazione sul territorio regionale degli impianti di produzione dell'energia.
0. 34. 200. 16. Realacci, Vernetti, Iannuzzi, Fistarol, Fanfani.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quinquies, lettera e), sostituire le parole: distribuzione dell'energia con le seguenti: distribuzione regionali dell'energia.
0. 34. 200. 9. Moroni.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quinquies, lettera f), sostituire le parole: sono sostituite dalle seguenti: «istituti di credito a carattere regionale» con le seguenti: sono soppresse.
0. 34. 200. 29. Pinza, Bressa, Maccanico, Leoni.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quinquies, lettera f), sostituire le parole: istituti di credito a carattere regionale con le seguenti: agevolazioni regionali in materia creditizia.
0. 34. 200. 6. Spina Diana.
All'emendamento 34. 200., comma 3-quinquies, lettera f), sostituire le parole: istituti di credito a carattere regionale con le seguenti: agevolazioni creditizie a livello regionale.
0. 34. 200. 30. Bressa, Maccanico.
Sostituire i commi 2 e 3 con i seguenti:
2. All'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, alla lettera a) sono aggiunte in fine le seguenti parole: «promozione internazionale del sistema Paese;».
3. All'articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione: sono premesse le parole «politica monetaria»; dopo le parole «tutela del risparmio»
sono aggiunte le seguenti: «e del credito;»; dopo le parole «tutela della concorrenza» sono aggiunte le seguenti: «e organizzazioni comuni di mercato».
3-bis. All'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, dopo la lettera m) è inserita la seguente: «m-bis) norme generali sulla tutela della salute, sicurezza e qualità alimentari».
3-ter. All'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, dopo le parole «e Città metropolitane;» sono aggiunte le seguenti: «ordinamento della capitale».
3-quater. All'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, dopo la lettera s), sono inserite le seguenti:
t) grandi reti strategiche di trasporto e di navigazione di interesse nazionale e relative norme di sicurezza;
u) ordinamento della comunicazione;
v) ordinamento delle professioni intellettuali; ordinamento sportivo;
z) produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell'energia.
3-quinquies. All'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) sono soppresse le parole «tutela della salute»;
b) le parole: «ordinamento sportivo» sono sostituite dalle seguenti: «attività sportive e ricreative con i relativi impianti ed attrezzature»;
c) le parole: «grandi reti di trasporto e di navigazione» sono sostituite dalle seguenti: «reti di trasporto e di navigazione»;
d) le parole: «ordinamento della comunicazione» sono sostituite dalle seguenti: «comunicazione di interesse regionale, ivi compresa l'emittenza in ambito regionale, la promozione in ambito regionale dello sviluppo delle comunicazioni elettroniche»;
e) le parole: «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» sono sostituite dalle seguenti: «produzione, trasporto e distribuzione dell'energia»;
f) le parole: «casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale» sono sostituite dalle seguenti: «istituti di credito a carattere regionale».
34. 200. Elio Vito, Anedda, Volontè, Cè, La Malfa, Moroni.
Dopo il comma 2, aggiungere il seguente:
2-bis. All'articolo 117, secondo comma, della Costituzione alla lettera p), sono aggiunte, in fine, le parole: «, compreso il riconoscimento del diritto di voto agli stranieri residenti nel territorio italiano, anche in esecuzione di trattati e accordi internazionali».
34. 30. Boato, Bressa, Leoni, Amici, Cabras, Cusumano, Fistarol, Intini, Loiero, Maccanico, Maran, Marone, Montecchi, Olivieri, Pappaterra, Soda, Mascia, Pisapia, Maura Cossutta, Zanella, Sgobio, Fanfani.
Dopo il comma 2, aggiungere il seguente:
2-bis. All'articolo 117, secondo comma, della Costituzione alla lettera p), sono aggiunte, in fine, le parole: «, nonché il relativo diritto di voto degli stranieri residenti nel territorio italiano, anche in esecuzione di trattati e accordi internazionali».
34. 125. Grandi.
Dopo il comma 2, aggiungere il seguente:
2-bis. All'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, dopo la lettera s), sono aggiunte le seguenti:
t) commercio con l'estero, salvo quanto disposto dalla lettera d-bis) del quarto comma;
u) politica della ricerca scientifica e tecnologica, salvo quanto disposto dalla lettera d-ter) del quarto comma;
v) porti e aeroporti civili, salvo quanto disposto dalla lettera d-quater) del quarto comma;
z) grandi reti di trasporto e di navigazione;
aa) ordinamento della comunicazione;
bb) produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia.
Conseguentemente:
al comma 3, dopo le parole: «tutela della salute» aggiungere le seguenti: , «commercio con l'estero», «ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi», «porti e aeroporti civili», «grandi reti di trasporto e di navigazione», «ordinamento della comunicazione», «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia»;
al comma 4, dopo la lettera d), aggiungere le seguenti:
d-bis) commercio con l'estero nell'ambito dell'Unione europea;
d-ter) ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi;
d-quater) porti e aeroporti di interesse regionale e locale;
d-quinquies) rapporti con le Regioni e con gli enti delle autonomie locali dell'Unione europea;
all'articolo 35, comma 1, secondo periodo, sopprimere le parole da: alle grandi fino a: ed.
34. 106. Pacini.
Dopo il comma 2, aggiungere il seguente:
2-bis. All'articolo 117, della Costituzione, sono apportate le seguenti modificazioni:
al secondo comma, dopo la lettera s), sono aggiunte le seguenti:
«t) grandi reti di trasporto e di navigazione;
u) ordinamento della comunicazione;
v) produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia;
z) ordinamento delle professioni»;
al terzo comma, primo periodo, le parole: «professioni;» e le parole da: «grandi reti» fino a: «nazionale dell'energia;» sono soppresse.
34. 122. Tabacci, Malgieri, Landolfi, La Malfa, Biondi, Craxi, Cossa, Giuseppe Gianni.
Dopo il comma 2, aggiungere il seguente:
2-bis. All'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, dopo la lettera s), è aggiunta la seguente:
t) commercio con l'estero, salvo quanto disposto dalla lettera d-bis) del quarto comma;
Conseguentemente:
al comma 3, prima delle parole: tutela della salute;aggiungere le seguenti: commercio con l'estero;
al comma 4, dopo la lettera d), aggiungere la seguente:
d-bis) commercio con l'estero nell'ambito dell'Unione europea.
34. 107. Pacini.
Dopo il comma 2, aggiungere il seguente:
2-bis. All'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, dopo la lettera s), è aggiunta la seguente:
t) ricerca scientifica e tecnologica, salvo quanto disposto dalla lettera d-bis) del quarto comma;
Conseguentemente:
al comma 3, prima delle parole: tutela della salute; aggiungere le seguenti: ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi;
al comma 4, dopo la lettera d), aggiungere la seguente:
d-bis) ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi.
34. 101. Pacini.
Dopo il comma 2, aggiungere il seguente:
2-bis. All'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, dopo la lettera s), è aggiunta la seguente:
«t) commercio con l'estero».
Conseguentemente, al comma 3, prima delle parole: tutela della salute aggiungere le seguenti: commercio con l'estero e.
34. 102. Pacini.
Dopo il comma 2, aggiungere il seguente:
2-bis. All'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, dopo la lettera s), è aggiunta la seguente:
t) ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi.
Conseguentemente, al comma 3, prima delle parole: tutela della salute aggiungere le seguenti: ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi;.
34. 103. Pacini.
Dopo il comma 2, aggiungere il seguente:
2-bis. All'articolo 117, della Costituzione, sono apportate le seguenti modificazioni:
al secondo comma, dopo la lettera s), è aggiunta la seguente:
«t) produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia»;
al terzo comma, le parole: «produzione, trasporto e distribuzione nazionale» sono sostituite dalle seguenti: «localizzazione sul territorio regionale degli impianti di produzione dell'energia».
34. 111. Realacci, Fistarol, Vernetti, Fanfani.
Dopo il comma 2, aggiungere il seguente:
2-bis. All'articolo 117, della Costituzione, sono apportate le seguenti modificazioni:
al secondo comma, dopo la lettera s), è aggiunta la seguente:
«t) tutela e sicurezza del lavoro».
al terzo comma, le parole: «tutela e sicurezza del lavoro;» sono soppresse.
34. 31. Bressa, Boato, Leoni, Amici, Cabras, Cusumano, Fistarol, Intini, Loiero, Maccanico, Maran, Marone, Montecchi, Olivieri, Pappaterra, Soda, Mascia, Giordano, Maura Cossutta, Zanella, Sgobio, Fanfani.
Dopo il comma 2, aggiungere il seguente:
2-bis. All'articolo 117, della Costituzione, sono apportate le seguenti modificazioni:
al secondo comma, dopo la lettera s), è aggiunta la seguente:
«t) ordinamento delle professioni».
al terzo comma, la parola: «professioni;» è soppressa.
34. 32. Leoni, Bressa, Boato, Amici, Cabras, Cusumano, Fistarol, Intini, Loiero, Maccanico, Maran, Marone, Montecchi, Olivieri, Pappaterra, Soda, Mascia, Giordano, Maura Cossutta, Zanella, Sgobio, Fanfani.
Dopo il comma 2, aggiungere il seguente:
2-bis. All'articolo 117, della Costituzione, sono apportate le seguenti modificazioni:
al secondo comma, dopo la lettera s), è aggiunta la seguente:
«t) norme generali sulle grandi reti di trasporto e di navigazione».
al terzo comma, le parole: «grandi rete di trasporto e di navigazione» sono sostituite dalle seguenti: «localizzazione sul territorio regionale delle grandi reti di trasporto e di navigazione».
34. 33. Bressa, Mascia, Giordano, Fanfani.
Dopo il comma 2, aggiungere il seguente:
2-bis. All'articolo 117, della Costituzione, sono apportate le seguenti modificazioni:
al secondo comma, dopo la lettera s), è aggiunta la seguente:
«t) ordinamento delle comunicazioni».
al terzo comma, le parole: «ordinamento della comunicazione;» sono soppresse.
34. 35. Bressa, Leoni, Boato, Amici, Cabras, Cusumano, Fistarol, Intini, Loiero, Maccanico, Maran, Marone, Montecchi, Olivieri, Pappaterra, Soda, Mascia, Giordano, Maura Cossutta, Zanella, Sgobio, Fanfani.
Dopo il comma 2, aggiungere il seguente:
2-bis. All'articolo 117, della Costituzione, sono apportate le seguenti modificazioni:
al secondo comma, dopo la lettera s), è aggiunta la seguente:
«t) trasporto e distribuzione nazionale dell'energia».
al terzo comma, le parole: «, trasporto e distribuzione nazionale» sono soppresse.
34. 34. Boato, Bressa, Leoni, Amici, Cabras, Cusumano, Fistarol, Intini, Loiero, Maccanico, Maran, Marone, Montecchi, Olivieri, Pappaterra, Soda, Mascia, Giordano, Maura Cossutta, Zanella, Sgobio, Fanfani.
Al comma 3, dopo la parola: Costituzione, aggiungere le seguenti: dopo le parole: «commercio con l'estero;» sono aggiunte le seguenti: «coordinamento degli interventi nazionali di valorizzazione, sviluppo e promozione del turismo italiano;»,
34. 132. Pistone, Benvenuto.
Al comma 3, sopprimere le parole: sono soppresse le parole: «tutela della salute;» ed.
34. 72. Zeller, Collè, Detomas, Brugger, Widmann.
Al comma 3, dopo le parole: «tutela della salute;» aggiungere le seguenti: , dopo le parole: «governo del territorio;» è aggiunta la seguente: «turismo;».
34. 18. Mantini.
Al comma 3, dopo le parole: «tutela della salute;» aggiungere le seguenti: , dopo le parole: «governo del territorio;» è aggiunta la seguente: «agricoltura;».
34. 129. Losurdo, Patarino, Villani Miglietta, Catanoso, La Grua.
Al comma 3, dopo le parole: «tutela della salute;» aggiungere le seguenti: , le parole: «casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale» sono soppresse.
34. 109. Bressa, Pinza, Leoni, Boato, Maura Cossutta, Mascia, Pappaterra, Cusumano, Zanella, Fanfani.
Al comma 3, dopo le parole: «tutela della salute;» aggiungere le seguenti: , le parole: «casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale» sono sostituite dalle seguenti: «agevolazioni creditizie a livello regionale».
34. 112. Bressa, Fanfani.
Sopprimere il comma 4.
34. 36. Loiero, Boato, Bressa, Leoni, Amici, Cabras, Cusumano, Fistarol, Intini, Maccanico, Maran, Marone, Montecchi, Olivieri, Pappaterra, Soda, Mascia, Pisapia, Maura Cossutta, Zanella, Sgobio, Fanfani.
Al comma 4, capoverso, alinea, dopo la parola: Regioni aggiungere le seguenti: , nel rispetto dei principi di cui all'articolo 119,
34. 38. Boato, Bressa, Leoni, Amici, Cabras, Cusumano, Fistarol, Intini, Loiero, Maccanico, Maran, Marone, Montecchi, Olivieri, Pappaterra, Soda, Mascia, Russo Spena, Maura Cossutta, Zanella, Sgobio, Fanfani.
Al comma 4, capoverso, alinea, sostituire le parole da: la potestà legislativa fino alla fine del capoverso con le seguenti: , nel rispetto dei principi di cui all'articolo 119, la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. Nelle materie di cui al terzo comma e nelle materie di cui al secondo comma, lettera l), limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace, lettere n) ed s), ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia amministrativa e legislativa possono essere attribuite alle Regioni a statuto ordinario, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all'articolo 119. La legge è approvata dalle Camere, a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intese tra lo Stato e la Regione interessata.
Conseguentemente,
dopo il comma 4, aggiungere il seguente:
4-bis. «All'articolo 116 della Costituzione è abrogato il terzo comma».
all'articolo 40, sopprimere il comma 1.
34. 37. Bressa, Leoni, Boato, Amici, Cabras, Cusumano, Fistarol, Intini, Maccanico, Maran, Marone, Montecchi, Olivieri, Pappaterra, Soda, Zanella, Fanfani.
Al comma 4, capoverso, alinea, sopprimere la parola: esclusiva.
34. 39. Boato, Bressa, Leoni, Amici, Cabras, Cusumano, Fistarol, Intini, Loiero, Maccanico, Maran, Marone, Montecchi, Olivieri, Pappaterra, Soda, Mascia, Russo Spena, Maura Cossutta, Zanella, Sgobio, Giordano, Fanfani.
Al comma 4, capoverso, sopprimere le lettere a) e d).
34. 80. Mascia, Giordano.
Al comma 4, capoverso, sopprimere la lettera a).
*34. 81. Mascia, Russo Spena.
Al comma 4, capoverso, sopprimere la lettera a).
*34. 86. Bressa, Boato, Leoni, Amici, Cabras, Cusumano, Fistarol, Intini, Loiero, Maccanico, Maran, Marone, Montecchi, Olivieri, Pappaterra, Soda, Pisapia, Maura Cossutta, Zanella, Sgobio, Fanfani.
Al comma 4, capoverso, lettera a), sopprimere le parole: assistenza e.
34. 41. Bressa, Boato, Leoni, Amici, Cabras, Cusumano, Fistarol, Intini, Loiero, Maccanico, Maran, Marone, Montecchi, Olivieri, Pappaterra, Soda, Mascia, Russo Spena, Maura Cossutta, Zanella, Sgobio, Fanfani.
Al comma 4, capoverso, lettera a), aggiungere, in fine, le parole: , nel rispetto dei principi generali della programmazione sanitaria nazionale.
34. 87. Leoni, Boato, Bressa, Amici, Cabras, Cusumano, Fistarol, Intini, Loiero, Maccanico, Maran, Marone, Montecchi, Olivieri, Pappaterra, Soda, Mascia, Russo Spena, Maura Cossutta, Zanella, Sgobio, Fanfani.
Al comma 4, capoverso, sopprimere le lettere b) e c).
34. 82. Mascia, Giordano.
Al comma 4, capoverso, sopprimere la lettera b).
*34. 83. Mascia, Giordano.
Al comma 4, capoverso, sopprimere la lettera b).
*34. 88. Boato, Bressa, Leoni, Amici, Cabras, Cusumano, Fistarol, Intini, Loiero, Maccanico, Maran, Marone, Montecchi, Olivieri, Pappaterra, Soda, Russo Spena, Maura Cossutta, Zanella, Sgobio, Fanfani.
Al comma 4, capoverso, sopprimere la lettera b).
*34. 113. Colasio, Carra, Bimbi, Gambale, Rusconi, Volpini.
Al comma 4, capoverso, sopprimere la lettera c).
**34. 84. Mascia, Giordano.
Al comma 4, capoverso, sopprimere la lettera c).
**34. 89. Bressa, Boato, Leoni, Amici, Cabras, Cusumano, Fistarol, Intini, Loiero, Maccanico, Maran, Marone, Montecchi, Olivieri, Pappaterra, Soda, Russo Spena, Maura Cossutta, Zanella, Sgobio, Fanfani.
Al comma 4, capoverso, sopprimere la lettera d).
*34. 85. Mascia, Giordano.
Al comma 4, capoverso, sopprimere la lettera d).
*34. 90. Leoni, Boato, Bressa, Amici, Cabras, Cusumano, Fistarol, Intini, Loiero, Maccanico, Maran, Marone, Montecchi, Olivieri, Pappaterra, Soda, Russo Spena, Maura Cossutta, Zanella, Sgobio, Fanfani.
Al comma 4, capoverso, lettera d), premettere le parole: ordinamento amministrativo della.
34. 123. Carrara, Nespoli, Saia, Losurdo, Patarino.
Al comma 4, capoverso, lettera d), dopo la parola: polizia aggiungere la seguente: amministrativa.
*34. 40. Leoni, Boato, Bressa, Amici, Cabras, Cusumano, Fistarol, Intini, Loiero, Maccanico, Maran, Marone, Montecchi, Olivieri, Pappaterra, Soda, Mascia, Russo Spena, Maura Cossutta, Zanella, Sgobio, Pisapia, Fanfani.
Al comma 4, capoverso, lettera d), dopo la parola: polizia aggiungere la seguente: amministrativa.
*34. 124. Anedda, Carrara, Nespoli, Migliori, Cristaldi, Saia, Giorgio Conte, Landolfi, Maggi, Paolone, Pezzella, Losurdo, Patarino.
Al comma 4, dopo la lettera d), aggiungere la seguente:
d-bis) rapporti con le Regioni e con gli enti delle autonomie locali degli Stati dell'Unione europea.
34. 104. Pacini.
Al comma 4, capoverso, dopo la lettera d), aggiungere la seguente:
d-bis) organizzazione e servizi giudiziari.
34. 93. Taormina.
Dopo il comma 4, aggiungere il seguente:
4-bis. All'articolo 117 della Costituzione, dopo il quarto comma è aggiunto il seguente:
«In deroga a quanto previsto dai commi terzo e quarto, l'esercizio della potestà legislativa statale è sempre consentito qualora si renda necessario al fine di assicurare condizioni di vita equivalenti nel territorio della Repubblica e di tutelare l'unità giuridica ed economica nell'interesse generale della collettività nazionale».
Conseguentemente, sopprimere gli articoli 36 e 39.
34. 126. Tabacci, Malgieri, Landolfi, La Malfa, Biondi, Craxi, Cossa, Giuseppe Gianni.
Dopo il comma 4, aggiungere il seguente:
4-bis. All'articolo 117 della Costituzione, dopo il quarto comma, è aggiunto il seguente:
«Ai fini della garanzia dei valori costituzionali spetta comunque alla legge dello Stato la tutela degli interessi della Repubblica meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale, nel rispetto dei principi di leale collaborazione e di sussidiarietà. Si applica il procedimento di cui al terzo comma dell'articolo 70».
Conseguentemente, sopprimere l'articolo 39.
34. 42. Bressa, Boato, Leoni, Amici, Cabras, Cusumano, Fistarol, Intini, Loiero, Maccanico, Maran, Marone, Montecchi, Olivieri, Pappaterra, Soda, Mascia, Giordano, Maura Cossutta, Zanella, Sgobio, Fanfani.
Dopo il comma 4, aggiungere il seguente:
4-bis. All'articolo 117 della Costituzione, dopo il quarto comma è aggiunto il seguente:
«Le leggi regionali emanate ai sensi del quarto comma sono tenute ad assicurare i livelli essenziali delle prestazioni di cui alla lettera m) del secondo comma».
34. 91. Boato, Bressa, Leoni, Amici, Cabras, Cusumano, Fistarol, Intini, Loiero, Maccanico, Maran, Marone, Montecchi, Olivieri, Pappaterra, Soda, Mascia, Russo Spena, Maura Cossutta, Zanella, Sgobio, Pisapia, Fanfani.
Dopo il comma 4, aggiungere il seguente:
4-bis. All'articolo 117 della Costituzione, il sesto comma è sostituito dal seguente:
«La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. Ai Comuni, alle Città metropolitane e alle Province è riservata la potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione, dello svolgimento e della gestione delle funzioni loro attribuite, nell'ambito della legge statale e regionale, secondo le rispettive competenze».
*34. 110. Fioroni, Leoni, Bressa, Boato, Pappaterra, Cusumano, Zanella, Fanfani.
Dopo il comma 4, aggiungere il seguente:
4-bis. All'articolo 117 della Costituzione, il sesto comma è sostituito dal seguente:
«La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. Ai Comuni, alle Città metropolitane e alle Province è riservata la potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione, dello svolgimento e della gestione delle funzioni loro attribuite, nell'ambito della legge statale e regionale, secondo le rispettive competenze».
*34. 115. Osvaldo Napoli.
Subemendamenti all'emendamento 34. 201.
All'emendamento 34. 201., nella parte consequenziale, capoverso Art. 43-quater, comma 1, primo periodo, dopo le parole: di Trento e di Bolzano aggiungere la seguente: esclusivamente.
*0. 34. 201. 1. Zeller, Brugger, Widmann, Collè, Detomas.
All'emendamento 34. 201., nella parte consequenziale, capoverso Art. 43-quater, comma 1, primo periodo, dopo le parole: di Trento e di Bolzano aggiungere la seguente: esclusivamente.
*0. 34. 201. 4. Lumia, Olivieri, Cabras, Kessler, Finocchiaro, Maran, Maurandi, Soro, Carboni, Tonino Loddo, Ladu.
All'emendamento 34. 201., nella parte consequenziale, capoverso Art. 43-quater, comma 1, primo periodo, dopo le parole: di Trento e di Bolzano aggiungere la seguente: esclusivamente.
*0. 34. 201. 9. Cossa.
All'emendamento 34. 201., nella parte consequenziale, capoverso Art. 43-quater, comma 1, primo periodo, dopo le parole: di Trento e di Bolzano aggiungere la seguente: esclusivamente.
*0. 34. 201. 10. Boato, Bressa, Rosato, Mattarella, Burtone.
All'emendamento 34. 201., nella parte consequenziale, capoverso Art. 43-quater, comma 1, primo periodo, sostituire le parole: di cui già dispongono secondo i rispettivi statuti con le seguenti: già attribuite.
0. 34. 201. 7. Zeller, Brugger, Widmann, Collè, Detomas.
All'emendamento 34. 201., nella parte consequenziale, capoverso Art. 43-quater, comma 1, primo periodo, sopprimere le parole: secondo i rispettivi statuti.
0. 34. 201. 8. Zeller, Brugger, Widmann, Collè, Detomas.
All'emendamento 34. 201., nella parte consequenziale, capoverso Art. 43-quater, comma 1, primo periodo, aggiungere, in fine, le parole: , come modificati e integrati dalle successive leggi costituzionali e dalle relative norme di attuazione.
*0. 34. 201. 2. Zeller, Brugger, Widmann, Collè, Detomas.
All'emendamento 34. 201., nella parte consequenziale, capoverso Art. 43-quater, comma 1, primo periodo, aggiungere, in fine, le parole: , come modificati e integrati dalle successive leggi costituzionali e dalle relative norme di attuazione.
*0. 34. 201. 5. Finocchiaro, Olivieri, Cabras, Kessler, Lumia, Maran, Maurandi, Soro, Carboni, Tonino Loddo, Ladu.
All'emendamento 34. 201., nella parte consequenziale, capoverso Art. 43-quater, comma 1, primo periodo, aggiungere, in fine, le parole: , come modificati e integrati dalle successive leggi costituzionali e dalle relative norme di attuazione.
*0. 34. 201. 11. Bressa, Boato, Rosato, Mattarella, Burtone.
All'emendamento 34. 201., nella parte consequenziale, capoverso Art. 43-quater, comma 1, primo periodo, aggiungere, in fine, le parole: , come modificati e integrati dalle successive leggi costituzionali e dalle relative norme di attuazione.
*0. 34. 201. 13. Cossa.
All'emendamento 34. 201., nella parte consequenziale, capoverso Art. 43-quater, comma 1, secondo periodo, sostituire le parole da: dei rispettivi statuti fino alla fine, con le seguenti: non si applicano le disposizioni di cui all'articolo 43, comma 2 della presente legge, relative allo scioglimeto dei consigli regionali.
**0. 34. 201. 12. Detomas, Boato, Bressa, Kessler, Olivieri, Rosato, Maran, Soro, Cabras, Ladu, Carboni, Mattarella, Burtone, Lumia, Finocchiaro.
All'emendamento 34. 201., nella parte consequenziale, capoverso Art. 43-quater, comma 1, secondo periodo, sostituire le parole da: dei rispettivi statuti fino alla fine, con le seguenti: non si applicano le disposizioni di cui all'articolo 43, comma 2 della presente legge, relative allo scioglimeto dei consigli regionali.
**0. 34. 201. 14. Cossa.
Sopprimere il comma 6.
Conseguentemente:
all'articolo 43, sopprimere il comma 15.
aggiungere in fine il seguente articolo:
Art. 43-quater. - (Regioni a statuto speciale). - 1. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 33, sino all'adeguamento dei rispettivi statuti di autonomia le disposizioni di cui al capo V della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle di cui già dispongono secondo i rispettivi statuti. Sino all'adeguamento dei rispettivi statuti le rimanenti disposizioni della presente legge costituzionale che interessano le Regioni si applicano anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano.
34. 201. Elio Vito, Anedda, Volontè, Cè, La Malfa, Moroni.
Sopprimere il comma 6.
Conseguentemente, all'articolo 43, sostituire il comma 15 con il seguente:
15. Le disposizioni previste dalla presente legge costituzionale si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano esclusivamente ove prevedano forme di autonomia più ampie rispetto a quelle di cui esse già dispongono, secondo i rispettivi statuti di autonomia e le relative norme di attuazione.
*34. 43. Boato, Bressa, Leoni, Amici, Cabras, Cusumano, Fistarol, Intini, Loiero, Maccanico, Maran, Marone, Montecchi, Olivieri, Pappaterra, Soda, Mascia, Russo Spena, Maura Cossutta, Zanella, Sgobio, Fanfani, Rosato.
Sopprimere il comma 6.
Conseguentemente, all'articolo 43, sostituire il comma 15 con il seguente:
15. Le disposizioni previste dalla presente legge costituzionale si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano esclusivamente ove prevedano forme di autonomia più ampie rispetto a quelle di cui esse già dispongono, secondo i rispettivi statuti di autonomia e le relative norme di attuazione.
*34. 58. Detomas, Zeller, Brugger, Widmann, Collè.
Sopprimere il comma 6.
Conseguentemente, all'articolo 43, comma 15, sopprimere le parole: e salvo quanto previsto dall'articolo 34, comma 6.
34. 94. Perrotta.
Al comma 6, sostituire le parole: dai commi 1, 4 e 5 del presente articolo con le seguenti: dalla presente legge costituzionale.
Conseguentemente, all'articolo 43, sopprimere il comma 15.
*34. 74. Zeller, Collè, Detomas, Brugger, Widmann.
Al comma 6, sostituire le parole: dai commi 1, 4 e 5 del presente articolo con le seguenti: dalla presente legge costituzionale.
Conseguentemente, all'articolo 43, sopprimere il comma 15.
*34. 92. Olivieri, Kessler, Maran.
Al comma 6, sostituire le parole: dai commi 1, 4 e 5 del presente articolo con le seguenti: nel capo V della presente legge costituzionale.
**34. 70. Olivieri, Kessler, Maran.
Al comma 6, sostituire le parole: dai commi 1, 4 e 5 del presente articolo con le seguenti: nel capo V della presente legge costituzionale.
**34. 73. Zeller, Collè, Detomas, Brugger, Widmann.
Al comma 6, sostituire le parole: dai commi 1, 4 e 5 del presente articolo con le seguenti: nel capo V della presente legge costituzionale.
**34. 105. Romoli, Saro, Collarini, Lenna.
Al comma 6, sostituire le parole: dai commi 1, 4 e 5 del presente articolo con le seguenti: nel capo V della presente legge costituzionale.
**34. 108. Boato, Bressa, Leoni, Maura Cossutta, Vendola, Pappaterra, Cusumano, Zanella, Fanfani.
Al comma 6, sostituire le parole: dai commi 1, 4 e 5 del presente articolo con le seguenti: nel capo V della presente legge costituzionale.
**34. 116. Cossa, Nicolosi.
Al comma 6, sostituire le parole: dai commi 1, 4 e 5 del presente articolo con le seguenti: nel capo V della presente legge costituzionale.
**34. 127. Mereu.
Al comma 6, sostituire le parole: dai commi 1, 4 e 5 del presente articolo con le seguenti: nel capo V della presente legge costituzionale.
**34. 128. Burtone, Enzo Bianco, Finocchiaro, Cardinale, Cusumano, Lumia, Rosato.
Al comma 6, sostituire le parole: 4 e 5 del presente articolo con le seguenti: 2, 3, 4 e 5 del presente articolo, nonché dagli articoli 35, 36, 38 e 39.
34. 75. Zeller, Collè, Detomas, Brugger, Widmann.
Al comma 6 sostituire le parole: 4 e 5 del presente articolo con le seguenti: 2, 3, 4 e 5 del presente articolo, nonché dagli articoli 35 e 36.
34. 76. Zeller, Collè, Detomas, Brugger, Widmann.
Al comma 6, dopo le parole: del presente articolo aggiungere le seguenti: , nonché dagli articoli 35, 36 e 38.
34. 77. Zeller, Collè, Detomas, Brugger, Widmann.