XIV Legislatura - Dossier di documentazione
Autore: Servizio Studi - Dipartimento lavoro
Titolo: Disciplina delle forme pensionistiche complementari - D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252 - Schede di lettura
Serie: Pareri al Governo    Numero: 510
Data: 24/01/06
Organi della Camera: XI-Lavoro pubblico e privato

Servizio studi

 

pareri al governo

Disciplina delle forme pensionistiche complementari

D.Lgs. 5 dicembre 2005 n. 252

Schede di lettura

n. 510

 


xiv legislatura

24 gennaio 2006

 

Camera dei deputati


 

 

 

 

Il presente dossier contiene le schede di lettura del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, recante disciplina delle forme pensionistiche complementari.

I riferimenti normativi sono pubblicati nel dossier n. 510/1.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il presente dossier è stato redatto con la collaborazione del Dipartimento Finanze e del Dipartimento Bilancio.

 

 

Dipartimento Lavoro pubblico e privato

 

SIWEB

 

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File: LA0655


INDICE

Introduzione

L’evoluzione della previdenza complementare prima del decreto legislativo N. 252 del 2005  3

§      1. La disciplina dei fondi pensione  5

§      1.1. Fondi pensione chiusi5

§      1.2 Fondi pensione aperti13

§      1.3. Vicende concorsuali, responsabilità civili e penali, controlli15

§      1.4. Forme di previdenza individuale  15

§      1.5. Dipendenti pubblici17

§      1.6. Fondi preesistenti17

§      1.7 Il regime tributario della previdenza complementare  18

Il decreto legislativo n. 252 del 2005  27

§      1. L’esame parlamentare  27

§      2. Il contenuto del decreto legislativo  29

La disciplina comunitaria delle forme pensionistiche complementari (Direttiva 2003/41/CE)35

Schede di lettura

§      Art. 1 (Ambito di applicazione e definizioni)47

§      Art. 2 (Destinatari)49

§      Art. 3 (Istituzione delle forme pensionistiche complementari)55

§      Art. 4 (Costituzione dei fondi pensione ed autorizzazione all’esercizio)59

§      Art. 5 (Partecipazione negli organi di amministrazione e di controllo e responsabilità)65

§      Art. 6 (Regime delle prestazioni e modelli gestionali)75

§      Art. 7 (Banca depositaria)91

§      Art. 8 (Finanziamento)95

§      Art. 9 (Istituzione e disciplina della forma pensionistica complementare residuale presso l'INPS)115

§      Art. 10 (Misure compensative per le imprese)117

§      Art. 11 (Prestazioni)125

§      Art. 12 (Fondi pensione aperti)137

§      Art. 13 (Forme pensionistiche individuali)141

§      Art. 14 (Permanenza nella forma pensionistica complementare e cessazione dei requisiti di partecipazione e portabilità)147

§      Art. 15 (Vicende del fondo pensione)153

§      Art. 16 (Contributo di solidarietà)157

§      Art. 17 (Regime tributario delle forme pensionistiche complementari)161

§      Art. 18 (Vigilanza sulle forme pensionistiche complementari)171

§      Art. 19 (Compiti della COVIP)177

§      Art. 20 (Forme pensionistiche complementari istituite alla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421)185

§      Art. 21 (Abrogazioni e modifiche)193

§      Art. 22 (Disposizioni finanziarie)199

§      Art. 23 (Entrata in vigore e norme transitorie)203

Allegato

§      Bozza del Protocollo Abi-Ministero del Lavoro e delle politiche sociali del 4 ottobre 2005 su smobilizzo TFR e Fondo accesso al credito  211

 


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Introduzione


L’evoluzione della previdenza complementare prima del decreto legislativo N. 252 del 2005

All'interno del nuovo assetto del sistema previdenziale introdotto dalla legge 8 agosto 1995, n. 335, recante “Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare”, la previdenza complementare (il cd. "secondo pilastro") rappresenta la necessaria integrazione della previdenza obbligatoria: la minore copertura della pensione erogata dal sistema pubblico rispetto all'ultima retribuzione è infatti "integrata" con le prestazioni erogate dal sistema dei fondi pensione, che gestiscono, su base contrattuale, le contribuzioni dei lavoratori e quelle dei datori di lavoro.

Le linee-guida della riforma pensionistica attuata con la legge n. 335/1995 possono essere così riassunte:

-    adozione, ai fini della liquidazione dei trattamenti pensionistici, del sistema contributivo (basato sul computo dei contributi versati nell'intera vita lavorativa) in luogo di quello retributivo (basato sul computo delle ultime retribuzioni percepite): la totale diversità del nuovo metodo rispetto a quello vigente ne ha peraltro imposto una introduzione graduale, che in sintesi esclude totalmente i lavoratori con almeno 18 anni di anzianità al 31 dicembre 1995, ricomprendendo pro-quota i lavoratori in possesso a tale data di anzianità contributive inferiori a 18 anni e totalmente coloro che hanno iniziato l'attività lavorativa dal 1996 in avanti;

-    capitalizzazione dei contributi versati, ai fini del nuovo sistema di calcolo, secondo un indicatore oggettivo, costituito dalla variazione media quinquennale del PIL nominale;

-    abolizione del pensionamento di anzianità, con introduzione del principio della "uscita flessibile" dalla vita lavorativa tra i 57 e i 65 anni: anche a questo proposito è stata prevista una fase transitoria, diversamente articolata per le varie categorie di lavoratori interessati (privati, pubblici, autonomi), la cui definizione ha costituito uno degli aspetti maggiormente dibattuti;

-    armonizzazionetra i vari sistemi, con tendenziale riferimento al regime dell'Assicurazione generale obbligatoria gestita dall'INPS: il sistema pensionistico italiano presenta infatti una articolazione organizzativa assai complessa, alla quale corrispondono differenze, anche notevoli, nella normativa applicabile ai diversi soggetti interessati in ordine ai vari profili del rapporto previdenziale (aliquote contributive, requisiti e modalità di calcolo delle prestazioni, etc.);

-    potenziamento della previdenza complementare (il "secondo pilastro" del sistema), basata sui fondi pensione ad adesione volontaria e destinata a garantire una copertura integrativa di quella fornita dal sistema pubblico obbligatorio.

Per trattamento complementare, infatti, si deve intendere un trattamento aggiuntivo rispetto alle pensioni di vecchiaia o di anzianità erogate dal sistema delle assicurazioni generali obbligatorie.

 

In Italia, l'edificazione del "secondo pilastro" ha storicamente presentato un rilevante ritardo rispetto agli altri ordinamenti: prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124[1], infatti, non esisteva alcuna regolamentazione organica della previdenza complementare, benché esistessero taluni fondi pensione che operavano in base a disposizioni speciali e con regolamenti, regimi di prestazione e sistemi finanziari di gestione diversi.

Prima della riforma del sistema previdenziale attuata con la L. 335 del 1995, accanto al regime obbligatorio pubblico, il vero "secondo pilastro" era costituito dal trattamento di fine rapporto (TFR) - la cosiddetta liquidazione, nella sostanza vera e propria forma di previdenza complementare anomala con prestazione di mero capitale - che, una volta conseguito il capitale a scadenza, poteva essere utilizzato ai fini di un impiego (e tra questi la rendita assicurativa) destinato a fornire risorse aggiuntive. Il fondo pensione complementare era rimasto un fenomeno limitato, generalmente circoscritto a dirigenti o quadri aziendali o a talune specifiche categorie produttive (ad es., i lavoratori dei settori bancario ed assicurativo) e gestito in molti casi in base al principio della ripartizione.

Con il D.Lgs. 124 del 1993, è stato stabilito il principio della volontarietà di adesione al Fondo da parte del lavoratore (singolarmente considerato), differenziandosi sotto questo aspetto, oltre che dalla previdenza pubblica, anche dalle preesistenti forme pensionistiche complementari dove gli accordi tra le rappresentanze sindacali ed il datore di lavoro per la costituzione del Fondo pensione venivano obbligatoriamente estesi ai propri iscritti, così come qualsiasi altro istituto contrattuale.

A prescindere dalle differenze tra fondi di nuova istituzione e fondi preesistenti, per i quali ultimi il richiamato D.Lgs. 124 del 1993 ha comunque previsto apposite norme di regolamentazione, tale provvedimento ha introdotto per la prima volta una disciplina organica in materia di previdenza complementare.

Si consideri che le disposizioni del D.Lgs. 124 del 1993 – ad eccezione di quelle relative alla vigilanza sui fondi pensione e ai compiti della COVIP - continuano a rimanere in vigore fino al 1° gennaio 2008, in base all’articolo 23, comma 1, del decreto legislativo n. 252 del 2005 (che appunto prevede l’entrata in vigore della riforma dalla stessa data: cfr. infra).

 

 

 

1. La disciplina dei fondi pensione

In generale, i fondi pensione possono essere classificati in funzione del piano pensionistico previsto, che può essere:

-        a contribuzione definita.

L'erogazione della prestazione è determinata dal livello dei contributi versati e preventivamente stabiliti; i partecipanti al fondo hanno il vantaggio di conoscere l'ammontare delle contribuzioni a loro carico, ma non conoscono l'ammontare della prestazione finale se non in via presuntiva. Con questa formula la contribuzione è in cifra fissa e i beneficiari del fondo si assumono il rischio che la prestazione non risulti in linea con quanto sperato, in dipendenza della bontà degli investimenti effettuati dal responsabile della gestione finanziaria del fondo;

-        a rendimento garantito.

In base a questo tipo di piano pensionistico, basato sul meccanismo della capitalizzazione, alle somme versate ai fondi pensione, che non sono stabilite in cifra fissa ma possono variare, è assicurato un determinato tasso annuale minimo di rendimento finanziario;

-        a prestazione definita.

In questo caso, all'atto dell'adesione al fondo il contribuente non conosce l'onere che dovrà sostenere nel tempo, ma conosce la prestazione finale, che resta fissa e indipendente dall'andamento degli investimenti del fondo. Per questi fondi pensione la contribuzione è dunque variabile, e possono essere richiesti contributi una tantum per ripianare eventuali disavanzi di gestione o incrementare l'attività e le prestazioni.

1.1. Fondi pensione chiusi

I fondi pensione collettivi sono denominati fondi "chiusi", o ad "ambito definito", nel caso in cui siano riservati a gruppi omogenei di lavoratori, identificati nell'ambito di un determinato contesto associativo.

In particolare, l'articolo 2 del più volte richiamato D.Lgs. 124 del 1993 (così come modificato dalla L. 335 del 1995 e dal D.Lgs. 47 del 2000) individua le seguenti categorie:

a)      lavoratori dipendenti, sia privati che pubblici, identificati per ciascuna forma secondo il criterio di appartenenza alla medesima categoria (chimici, metalmeccanici, etc.), comparto o raggruppamento, anche territorialmente delimitato, e distinti eventualmente anche per categorie contrattuali (dirigenti, quadri, impiegati ed operai) oltre che secondo il criterio dell'appartenenza alla medesima impresa, ente, gruppo di imprese o diversa organizzazione di lavoro e produttiva;

b)      lavoratori autonomi (compresi i titolari di reddito d'impresa) ed i liberi professionisti, organizzati anche per aree professionali e per territorio;

c)      soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro, riuniti in raggruppamenti, anche unitamente ai dipendenti delle stesse cooperative interessate;

d)      persone che svolgono lavori di cura non retribuiti in relazione a responsabilità familiari, in altri termini le "casalinghe", anche se non iscritte all'apposito fondo di previdenza pubblica, di cui al D.Lgs. 16 settembre 1996, n. 565 (modificato dalla L. 17 maggio 1999, n. 144 e dal D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 47).

Le precedenti esperienze straniere e soprattutto le difficoltà che hanno incontrato molti fondi a prestazione definita (dove è determinata in anticipo solo la prestazione pensionistica finale) hanno spinto il legislatore a privilegiare la figura dei fondi a contribuzione definita, che è l'unica prevista dal più volte richiamato D.Lgs. 124 per i lavoratori dipendenti, per i soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro e per le casalinghe, mentre i fondi a prestazione definita sono consentiti dall'articolo 2 per i lavoratori autonomi allo scopo di "assicurare una prestazione determinata con riferimento al livello del reddito ovvero a quello del trattamento pensionistico obbligatorio".

 

 

Modalità di istituzione e requisiti di partecipazione

 

Le fonti istitutive delle forme pensionistiche complementari (articolo 3 del D.Lgs. n. 124) sono costituite da:

-        contratti e accordi collettivi, anche aziendali, o, in mancanza di essi, accordi fra lavoratori, promossi da sindacati firmatari di contratti collettivi nazionali di lavoro;

-        accordi fra lavoratori autonomi o fra liberi professionisti, promossi da loro sindacati o da associazioni di rilievo almeno regionale;

-        regolamenti di enti o aziende, i cui rapporti di lavoro non siano disciplinati da contratti o accordi collettivi, anche aziendali;

-        accordi tra soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro, promossi da associazioni nazionali di rappresentanza del movimento cooperativo legalmente riconosciute;

-        accordi tra soggetti destinatari del D.Lgs. 16 settembre 1996, n. 565, istitutivo della mutualità per le pensioni delle casalinghe, promossi da sindacati o associazioni di rilievo almeno regionale.

 

 

 

 

 

Natura giuridica

 

Secondo le disposizioni dell'articolo 4 del D.Lgs. 124 del 1993 i fondi pensione chiusi possono assumere la configurazione di:

-        associazione non riconosciuta ai sensi dell'articolo 36 c.c., distinta dai soggetti che promuovono l'iniziativa;

-        soggetto dotato di personalità giuridica privata; il procedimento per il riconoscimento rientra nelle competenze del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;

-        patrimonio di destinazione separato ed autonomo rispetto alla società o ente pubblico nel cui ambito il fondo è stato costituito ai sensi dell'articolo 2117 c.c.

 

I fondi di cui ai primi due punti hanno autonomia giuridica e sono pertanto "esterni" rispetto al datore di lavoro, mentre i fondi di cui al terzo punto sono "interni" al datore di lavoro, seppure con patrimonio di destinazione distinto da quello dell'azienda.

I fondi costituiti a livello di azienda o di aziende dello stesso gruppo possono anche assumere la forma giuridica di associazione non riconosciuta (articolo 36 c.c.); i fondi costituiti invece nell'ambito di categorie, comparti e raggruppamenti, devono essere necessariamente dotati di personalità giuridica (articolo 12 c.c.).

Si ricorda, inoltre, che l’articolo 5 della L. 335 del 1995 ha disposto che, a decorrere dall'entrata in vigore della legge stessa (cioè dal 17 agosto 1995), non fosse più possibile costituire nuovi fondi "interni", ad eccezione dei fondi pensione costituiti nell'ambito di società già sottoposte a controlli in materia di esercizio della funzione creditizia ed assicurativa, o nell'ambito delle autorità che vigilano sulle società stesse (Banca d'Italia, ISVAP, CONSOB). Restano anche salve le forme pensionistiche preesistenti all'entrata in vigore della L. 421 del 1992, a condizione di costituire un patrimonio separato e distinto rispetto a quello delle società o ente nel cui ambito sono stati istituiti.

 

 

Autorizzazione all'esercizio

 

Premessa indispensabile per l'istituzione dei fondi pensione è l'approvazione dello statuto o regolamento che ne regoli la vita; la costituzione del fondo stesso si perfeziona con l'ottenimento dell'autorizzazione degli organi pubblici di controllo. Nel regime vigente spetta alla Commissione di vigilanza il potere di rilascio delle autorizzazioni.

La Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP) è stata istituita dall'articolo 16 del D.Lgs. 124 del 1993 (così come modificato dalla L. 335 del 1995 e dalla L. 449 del 1997) per il controllo della corretta e trasparente amministrazione e gestione dei Fondi pensione.

La Commissione - costituita agli inizi del 1996 - è un organismo dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, composto da un presidente e da 4 commissari, che durano in carica 4 anni (il mandato può essere rinnovato una sola volta).

La COVIP ha i seguenti compiti:

-        autorizzazione all'esercizio dell'attività dei Fondi;

-        tenuta dell'albo di iscrizione dei fondi istituiti ai sensi del D.Lgs. 124 del 1993 e della sezione speciale dell'albo per i fondi preesistenti;

-        approvazione degli statuti ed i regolamenti dei fondi, e le relative modifiche;

-        autorizzazione preventiva alle convenzioni tra fondi e gestori;

-        accertamento dell'esistenza dei requisiti di onorabilità e professionalità dei componenti gli organi sociali dei fondi;

-        verifica del rispetto dei criteri di individuazione e ripartizione dei rischi di investimento;

-        esercizio del controllo sulla gestione tecnica, finanziaria, patrimoniale e contabile dei fondi, anche mediante ispezioni;

-        autorizzazione alle richieste per l'erogazione diretta delle rendite;

-        svolgimento dell’attività di assistenza e indirizzo a favore dei soggetti coinvolti nel sistema della previdenza complementare.

Per l'esercizio della vigilanza la COVIP ha la facoltà di richiedere ai fondi segnalazioni periodiche, dati, documenti, verbali delle riunioni degli organi di controllo, e può, altresì, convocare o far convocare gli organi di amministrazione e controllo dei fondi.

In particolare, il D.M. 14 gennaio 1997, n. 211, ha stabilito, all’articolo 2, che la costituzione del fondo pensione debba avvenire esclusivamente per atto pubblico. Lo stesso decreto ha altresì (articolo 4) dettato norme sugli elementi essenziali statutari, sui requisiti di moralità e professionalità dei componenti degli organi collegiali, nonché sulle procedure per l'autorizzazione all'esercizio dei Fondi pensione (art. 4). Inoltre, l’articolo 3, comma 2, del decreto in oggetto ha prescritto che lo statuto del fondo pensione debba prevedere che l'adesione sia preceduta dalla consegna ai potenziali aderenti di una scheda informativa sulle caratteristiche del fondo stesso, il cui schema è stato definito dalla COVIP con deliberazione 22 maggio 2001.

Il successivo D.M. 24 settembre 2002 ha individuato i requisiti di professionalità dei componenti degli organi collegiali e dei responsabili dei Fondi pensione.

Infine, l'articolo 74 della legge n. 388 del 23 dicembre 2000 (legge finanziaria per il 2001), che ha modificato gli articoli 4 e 5 del D.Lgs. n. 124 del 1993, ha semplificato e snellito l'iter di autorizzazione all'esercizio dell'attività dei Fondi pensione, mediante l'ampliamento delle prerogative del C.d.A. provvisorio.

In proposito, il regolamento adottato dalla COVIP con deliberazione del 22 maggio 2001 (che ha abrogato la deliberazione del 27 gennaio 1998) ha previsto, infatti, che i Fondi pensione negoziali possano richiedere contestualmente sia l'autorizzazione all'esercizio che l'approvazione dello statuto e della scheda informativa (in precedenza l'autorizzazione all'esercizio era subordinata alla preventiva approvazione della scheda informativa e la relativa richiesta poteva essere inoltrata solo dopo l'insediamento degli organi definitivi di amministrazione e controllo, nonché successivamente alla fase di preadesione).

 

 

Requisiti per la partecipazione al Fondo

 

Lo statuto o il regolamento del fondo stabiliscono i requisiti per la partecipazione al fondo stesso (quali l'età minima o la permanenza di iscrizione per un certo numero di anni). Per ottenere le prestazioni viene poi richiesto un minimo ed un massimo di anni di contribuzione al fondo, nonché il raggiungimento dell'età pensionabile, che è quella con la quale scatta il diritto ad incassare la rendita vitalizia o il capitale.

I fondi pensione già esistenti prevedono normalmente un tetto massimo di anni di contribuzione cui corrisponde la prestazione massima ottenibile dall'iscritto; per periodi di contribuzione inferiori la prestazione si riduce. E' inoltre prevista la possibilità di "riscattare" periodi pregressi non coperti da contribuzione, mentre cautele specifiche riguardano il lavoratore che non abbia raggiunto i contributi sufficienti e l'età pensionabile o il livello contributivo minimale.

 

 

Organi di gestione del Fondo

 

Relativamente alla composizione degli organi di amministrazione e di controllo del fondo, il più volte citato D.Lgs. 124 del 1993, all’articolo 5, ha individuato criteri che realizzano la rappresentanza dei soggetti che hanno concorso alla costituzione del fondo stesso. In altre parole, i componenti degli organi collegiali ed i responsabili del fondo sono nominati in forma elettiva e paritetica dai datori di lavoro e dai lavoratori; nel caso di fondi alimentati unicamente dalla contribuzione dei lavoratori la composizione è determinata sulla base del criterio rappresentativo delle categorie e raggruppamenti interessati.

 

 

Gestione finanziaria

 

Salve alcune eccezioni, il D.Lgs. 124 del 1993 (articolo 6, così come modificato dall’articolo 3, comma 26, della L. 335 del 1995) vieta al Fondo pensione la gestione diretta delle risorse patrimoniali.

In particolare, è stato disposto che la gestione delle risorse debba essere affidata mediante convenzione ad uno o più gestori professionali da individuarsi tra:

-        banche autorizzate a svolgere l'attività di gestione dei patrimoni mobiliari ;

-        società di intermediazione mobiliare (SIM) autorizzate alla gestione dei valori mobiliari o che svolgano la medesima attività con sede statutaria in uno dei paesi U.E. e che abbiano ottenuto il mutuo riconoscimento;

-        compagnie di assicurazione di cui all'articolo 2 del D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 174, emanato in attuazione della direttiva 92/96/CEE in materia di assicurazione diretta sulla vita, mediante ricorso alle gestioni di cui al ramo VI della tabella A, che concerne "le operazioni di gestione di fondi collettivi costituiti per l'erogazione di prestazioni in caso di morte, in caso di vita o in caso di cessazione o riduzione dell'attività lavorativa" ;

-        società di gestione di fondi comuni di investimento mobiliare di cui alla legge 23 marzo 1983, n. 77 , istitutiva dei fondi comuni d'investimento mobiliare.

La gestione diretta delle risorse è ammessa solo per i fondi relativi ai dipendenti degli enti che svolgono funzione di vigilanza (es. Banca d'Italia).

Per tutti gli altri fondi gli investimenti diretti sono circoscritti all'acquisizione di:

-        azioni o quote di società immobiliari;

-        quote di fondi di investimento immobiliare o mobiliare chiusi.

In ogni caso al fondo pensione rimane la titolarità dei diritti di voto inerenti ai valori mobiliari nei quali risultino investite le risorse (articolo 6, comma 4-bis, lettera c), del D.Lgs. 124 del 1993). Il fondo può privarsi della titolarità qualora stipuli convenzioni per gestioni accompagnate dalla garanzia della restituzione del capitale o in regime di prestazioni definite.

Al Consiglio di amministrazione del Fondo è pertanto demandato il compito di individuare il gestore (o i gestori) con il quale concordare le strategie di investimento delle risorse sulla base della politica e dei criteri di ripartizione dei rischi stabiliti dallo statuto.

 

Gli articoli 6 e 6-bis del D.Lgs. 124 del 1993 fissano, inoltre, i seguenti limiti:

-        i fondi non possono assumere o concedere prestiti;

-        i fondi non possono detenere più dei 5% delle azioni di una società quotata o dei 10% se non quotata; in qualsiasi caso non possono detenere il controllo della società partecipata;

-        il fondo non può investire più del 20% delle proprie risorse in azioni della società tenuta alla contribuzione al fondo in qualità di datore di lavoro (30% se al fondo partecipano più aziende).

I limiti di investimento delle risorse dei fondi e le regole da osservare in materia di conflitto di interessi sono contenuti in un regolamento approvato con il D.M. 21 novembre 1996, n. 703.

Il citato regolamento, nell'uniformarsi alla raccomandazione della Commissione U.E. n. 36018 del 17 dicembre 1994 sulla libera circolazione dei capitali in tema di fondi pensione, ha, peraltro, riconfermato che le risorse dei fondi devono essere impegnate secondo prudenza.

Il regolamento, in sintesi, prevede che:

-        la quota di liquidità da detenere non sia superiore al 20%;

-        l'investimento in quote di fondi chiusi, sia mobiliari che immobiliari, non possa essere superiore al 20% del patrimonio del Fondo pensione e del 25% del valore del fondo di investimento;

-        il limite massimo per gli investimenti in titoli di debito e di capitale non negoziati sui mercati più importanti resta fissato nella misura del 50%;

-        il patrimonio del fondo non può essere investito per più del 15% in titoli dello stesso emittente;

-        le operazioni in contratti derivati devono escludere quelle di tipo speculativo.

Il regolamento detta, altresì, i comportamenti da osservare qualora si determinino situazioni di conflitto di interesse fra gli attori dei fondi pensione: organi sociali, gestori, contribuenti, banca depositaria. Da sottolineare che i principi fissati dal regolamento privilegiano più la trasparenza e la comunicazione piuttosto che i divieti.

Infine, nella convenzione gestoria deve essere inserito, ai fini della verifica dei risultati di gestione, un criterio di misurabilità dell'andamento del Fondo con il riferimento ad indici sintetici del mercato dei capitali (ad es.: MIB per la borsa di Milano).

Infine è stato stabilito, ai sensi dell’articolo 6-bis del D.Lgs. 124 del 1993, che le risorse dei fondi affidate in gestione siano depositate presso una banca distinta rispetto al gestore. La banca depositaria esegue le istruzioni ricevute dal soggetto gestore in ordine alla movimentazione dei titoli e della liquidità depositati, verificandone la coerenza con le indicazioni contenute nello statuto del Fondo, nella convenzione di gestione e nel regolamento approvato con D.M. 21 novembre 1996, n. 703. Alla banca depositaria devono essere conferiti anche gli investimenti operati direttamente dal fondo (quote di società immobiliari, di fondi comuni immobiliari e mobiliari chiusi).

 

 

Gestione amministrativa

 

Per quanto concerne la gestione amministrativa, oltre ad una serie di oneri e vincoli di carattere contabile e organizzativi a carico del gestore (quali la raccolta e registrazione delle adesioni; la gestione dell'archivio anagrafico degli iscritti; la gestione dei contributi versati; la tenuta delle scritture contabili; l’erogazione diretta delle prestazioni), sono state emanate, ai sensi dell'articolo 17 del D.Lgs. 124 del 1993, specifiche disposizioni dalla COVIP per quanto attiene alla trasparenza nei rapporti con gli iscritti. In particolare, si prevede l'obbligo, per l'organo amministrativo del Fondo, di comunicare a ciascun iscritto, con cadenza annuale ed entro 3 mesi dalla chiusura di ogni esercizio, l'andamento della gestione complessiva del Fondo nonché l'evoluzione della posizione individuale in termini di contributi versati, di quote assegnate e del relativo controvalore.

 

 

Finanziamento

 

La disciplina del finanziamento dei fondi pensione è contenuta nell'articolo 8 del più volte richiamato D.Lgs. 124 del 1993, così come modificato dall'articolo 8 della L. 335 del 1995.

In linea generale, le forme di previdenza complementare devono gravare sui destinatari delle stesse e, se sono rivolte a favore dei dipendenti o di agenti, rappresentanti di commercio, collaboratori coordinati e continuativi, anche sui datori di lavoro o sul committente secondo le previsioni delle fonti costitutive che determinano la misura dei contributi.

Per i lavoratori dipendenti l'importo complessivo dei contributi deve essere determinato in percentuale della retribuzione assunta come base per la determinazione del trattamento di fine rapporto. Il finanziamento dei fondi su base contrattuale collettiva può derivare anche dall'accantonamento del TFR, se le parti lo concordano nelle fonti istitutive, riducendo di pari importo gli accantonamenti annuali da destinare al trattamento di fine rapporto; per i nuovi assunti tutto l'accantonamento annuale al TFR deve essere destinato al fondo pensione.

Per quanto riguarda invece i lavoratori autonomi ed i liberi professionisti il contributo è definito in percentuale del reddito d'impresa o di lavoro autonomo dichiarato ai fini IRPEF, relativo al periodo d'imposta precedente; nel caso dei soci lavoratori di società cooperative il contributo è definito in percentuale degli imponibili considerati ai fini dei contributi previdenziali obbligatori.

Per i lavoratori pubblici l'ammontare dei contributi al fondo non può essere oggetto di apposita, separata contrattazione, ma va definito in occasione della definizione del trattamento economico (contratto di lavoro).

 

 

Prestazioni

 

Per quanto attiene alla disciplina delle prestazioni, ai sensi dell'articolo 7 del D.Lgs. 124 del 1993 la fissazione dei requisiti per l'accesso alle prestazioni è rimessa alle fonti istitutive, purché risultino rispettati il criterio di corrispettività ed il principio di capitalizzazione, nonché le speciali disposizioni stabilite dall'articolo medesimo. In base a queste ultime l'età pensionabile utile per la prestazione di vecchiaia deve essere uguale a quella stabilita per l'erogazione delle prestazioni dell'ente gestore della previdenza obbligatoria di appartenenza dell'iscritto, con un minimo di cinque anni di partecipazione al fondo pensione; le prestazioni per anzianità possono invece essere concesse solo al lavoratore che abbia cessato l'attività lavorativa, nel concorso dei seguenti, ulteriori requisiti:

-        almeno 15 anni di iscrizione al fondo;

-        età di non più di 10 anni inferiore rispetto a quella prevista per la vecchiaia.

Il lavoratore con almeno 8 anni di contribuzione può ottenere anticipazioni per spese sanitarie e per esigenze di natura abitativa per sé o per i figli.

Ammontare delle prestazioni, modalità e rivalutazioni sono disciplinate dallo statuto del fondo. In base all'analisi degli statuti dei fondi esistenti si può dire che, in linea generale, la prestazione tipica di un fondo pensione è la rendita vitalizia rivalutabile; in taluni casi è prevista un'opzione per la liquidazione del capitale o prestazione intermedia rendita/capitale. Alcuni statuti prevedono l'erogazione di una pensione di reversibilità ai superstiti, anche a favore di persona designata o designabile o con maggiorazione per familiari a carico. Taluni fondi prevedono poi, accanto alle prestazioni previdenziali, anche prestazioni di carattere assistenziale, quali l'erogazione di rendite di invalidità, di prestiti per interventi chirurgici, per l'acquisto della prima casa e per il finanziamento degli studi dei figli a carico, nonché di una indennità di maternità. Di norma, infine, le prestazioni sono agganciate ad indici di rivalutazione, destinati a mantenerne inalterato nel tempo il potere di acquisto.

1.2 Fondi pensione aperti

In base all'articolo 9 del D.Lgs. 124 del 1993, i soggetti con i quali é consentita la stipula delle convenzioni per la gestione delle risorse dei fondi pensione, nonché le società di gestione dei fondi comuni di investimento mobiliare (legge 23 marzo 1983, n. 77), possono costituire appositi fondi aperti all'adesione dei lavoratori nei cui confronti non siano operanti Fondi pensione chiusi.

In sostanza, il legislatore, con l'istituto del Fondo aperto, ha offerto al lavoratore la possibilità di aderire individualmente a forme di previdenza integrativa, nel caso in cui, alternativamente:

-        non siano operanti nei suoi confronti Fondi pensione chiusi;

-        abbia perso i requisiti di partecipazione al Fondo di appartenenza.

Ai fondi pensione aperti possono aderire anche coloro che hanno perso i requisiti di partecipazione ai fondi pensione "ordinari". L'articolo 10 del D.Lgs. 124, infatti, prevede che lo statuto del fondo regoli i casi nei quali vengono meno i requisiti di partecipazione alla forma pensionistica complementare, prevedendo tre possibilità:

-        trasferimento di quanto maturato presso altro fondo;

-        trasferimento ad un fondo pensione aperto;

-        riscatto della posizione individuale.

L'articolo 10 prevede, inoltre, che gli aderenti ai fondi possano trasferire la posizione individuale, cioè quanto maturato presso un determinato fondo, al fondo riservato ai lavoratori del diverso settore nel quale essi vengano successivamente a svolgere la loro attività. Le opzioni di trasferimento e riscatto possono essere utilizzate anche nei casi di scioglimento del fondo.

La L. 335 del 1995 (articoli 9 e 10) ha poi disposto che la facoltà di adesione a tali fondi potrà essere prevista anche dalle fonti istitutive su base contrattuale collettiva.

Oltre a ciò, allo scopo di assicurare un'effettiva concorrenza tra le diverse formule si è previsto che le disposizioni sui fondi aperti trovino applicazione dopo i primi sviluppi della contrattazione collettiva istitutiva di fondi pensione. Spetta alle fonti istitutive il compito di disciplinare la facoltà di trasferimento da un fondo all'altro per scelta individuale, con modalità tali da evitare che possano sorgere problemi per la stabilità finanziaria dei fondi e per la programmabilità degli investimenti.

I fondi aperti possono essere istituiti dagli stessi soggetti abilitati alla gestione dei Fondi chiusi, ossia:

a)      banche;

b)      società di investimento mobiliare (S.I.M.), comprese le imprese di investimento comunitarie;

c)      società di gestione del risparmio (S.G.R.);

d)      società di gestione di fondi comuni di investimento mobiliare;

e)      compagnie di assicurazione.

I fondi aperti assumeranno, pertanto, la forma di "patrimonio di destinazione separato ed autonomo" da quello della fonte istitutiva.

In assenza di un apposito Fondo di categoria, l'adesione ai Fondi aperti può essere prevista, oltre che su base individuale, anche su base contrattuale collettiva.

 

 

Autorizzazione all’esercizio

 

Per ottenere l'autorizzazione all'esercizio da parte della Commissione di vigilanza deve essere seguita la procedura prevista dalla deliberazione COVIP del 22 maggio 2001, che ricalca quella dei Fondi chiusi, integrata dal coinvolgimento delle rispettive autorità di vigilanza (Consob per le società di fondi comuni e SIM, lSVAP per le assicurazioni e Banca d'Italia per le banche).

Il soggetto promotore - che deve essere una società per azioni o in accomandita per azioni e che deve aver sottoposto a certificazione i bilanci nei due esercizi antecedenti a quella dell'istanza di autorizzazione - una volta autorizzato, istituisce il Fondo pensione con provvedimento del Consiglio di Amministrazione, che delibera definitivamente il regolamento approvato dalla Commissione di vigilanza e contestualmente assume specifica delibera che riconosce che la contribuzione affluente al Fondo aperto, le risorse accumulate ed i relativi rendimenti costituiscono patrimonio separato ed autonomo, non distraibile dal fine previdenziale al quale è destinato. Trasmette, quindi, alla Commissione di vigilanza la deliberazione adottata per l'iscrizione del Fondo pensione all'Albo di cui all'articolo 4, comma 6, del più volte citato D.Lgs. 124 del 1993.

Entro 12 mesi dall'iscrizione all'Albo i fondi pensione aperti devono iniziare l'attività, a pena di decadenza.

 

 

Organi di amministrazione e controllo

 

Per i Fondi aperti gli organi di amministrazione e controllo si identificano con quelli della società istitutiva.

L'articolo 2, comma 2, del D.M. 14 gennaio 1997, n. 211, ha, inoltre, previsto l'istituzione della figura responsabile del fondo.

1.3. Vicende concorsuali, responsabilità civili e penali, controlli

Ai sensi dell'articolo 11 del D.Lgs. 124 del 1993, nei confronti dei fondi pensione che versino in stato di crisi possono trovare applicazione soltanto gli istituti dell'amministrazione straordinaria e della liquidazione coatta amministrativa, con esclusione del fallimento e delle altre procedure concorsuali minori. Solo nel caso di procedura apertasi a carico dei soggetti (in genere società) che abbiano costituito un fondo pensione mediante la destinazione di un separato patrimonio si può procedere alla nomina di un commissario straordinario con compiti meramente liquidatori.

Per quanto riguarda la disciplina della responsabilità civile e penale, gli organi di amministrazione e di controllo sono sottoposti alle ordinarie disposizioni previste per le società di capitali (articolo 15 del D.Lgs. 124). Ai componenti degli organi interni di controllo è inoltre applicabile la disposizione di cui all'articolo 2407 c.c. sul mancato esercizio dei propri doveri circa la verità delle attestazioni e la conservazione del segreto sui fatti e sui documenti di cui siano venuti a conoscenza.

1.4. Forme di previdenza individuale

In attuazione della delega conferita al Governo dall'articolo 3 della legge 13 maggio 1999, n. 133, ai fini dell'introduzione nel nostro ordinamento di forme individuali di previdenza (il cosiddetto "terzo pilastro") è stato emanato il D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 47.

In particolare, l'articolo 2 (che ha integrato il D.Lgs. 124 del 1993 con gli articoli 9-bis e 9-ter) dispone che i piani pensionistici individuali si realizzano mediante l'adesione ad un Fondo pensione aperto di cui al più volte citato articolo 9 del richiamato D.Lgs. 124 o mediante la stipula di un contratto di assicurazione sulla vita. I principi ispiratori della nuova disciplina sono in sintesi i seguenti:

-        estensione della previdenza integrativa anche a soggetti che non svolgono attività di lavoro dipendente o autonomo;

-        diritto alle prestazioni una volta in possesso dei requisiti di età e di anzianità contributiva previsti per i Fondi pensione complementari (articolo 7 del D.Lgs. 124 del 1993): età anagrafica corrispondente a quella stabilita nel regime pensionistico obbligatorio di appartenenza, con un minimo di 5 anni di partecipazione al piano previdenziale individuale, per la pensione di vecchiaia; età anagrafica di non più di 10 anni inferiore a quella prevista per il pensionamento di vecchiaia nel regime obbligatorio di appartenenza, con almeno 15 anni di partecipazione al piano previdenziale individuale, per la pensione di anzianità;

-        liquidazione della prestazione pensionistica in forma capitale per un ammontare non superiore al 50% dell'importo maturato, salvo che la rendita pensionistica annua non risulti inferiore al 50% dell'assegno sociale di cui all'articolo 3, commi 6 e 7, della L. 335 del 1995 (principio quest'ultimo esteso anche ai Fondi complementari collettivi);

-        l'età pensionabile per i soggetti aderenti non titolari di reddito di lavoro dipendente o d'impresa deve essere quella prevista dall'articolo 1, comma 20, della richiamata L. 335 (minimo 57 anni);

-        possibilità di prosecuzione volontaria della contribuzione anche dopo il raggiungimento dell'età pensionabile, ma non oltre i 5 anni da tale limite: la previsione di un maggior periodo di contribuzione si giustifica col fatto che il trattamento pensionistico potrebbe anche essere l'unico usufruibile dal contraente e rivelarsi pertanto inadeguato;

-        non ammissibilità dell'istituto dell'anticipazione, bensì di quello del riscatto, anche parziale, delle somme accantonate nei casi in cui nei Fondi pensione complementari è possibile ottenere anticipazioni (articolo 7, comma 4, del D.Lgs.124 del 1993);

-        i contratti di assicurazione sulla vita, che garantiscono prestazioni previdenziali, devono essere stipulati con imprese di assicurazione autorizzate dall'ISVAP ad operare nel territorio dello Stato, e le relative condizioni di polizza devono essere comunicate prima della loro applicazione alla Commissione di vigilanza.

1.5. Dipendenti pubblici

La possibilità di costituzione di Fondi pensione per i dipendenti della pubblica amministrazione, prevista dall'articolo 3, comma 2, del più volte richiamato D.Lgs. 124 del 1993, ma che non ha avuto immediata attuazione a causa di difficoltà soprattutto di ordine finanziario, si è concretizzata, dopo un laborioso iter normativo, con l'entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 20 dicembre 1999, modificato dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 2 marzo 2001.

La normativa, che recepisce i contenuti dell'accordo quadro stipulato in data 29 luglio 1999 tra l'ARAN ed i rappresentanti delle Confederazioni sindacali in tema di TFR e di previdenza complementare, dispone tra l'altro che:

a)      la fonte istitutiva dei Fondi pensione è costituita dai contratti collettivi di comparto;

b)      i Fondi operano in regime di contribuzione definita e forniscono prestazioni complementari dei trattamenti di pensione obbligatoria in forma di rendita e di capitale sulla base dei contributi accantonati e dei rendimenti realizzati (sistema a capitalizzazione);

c)      i dipendenti già occupati al 31 dicembre 2000 (sia quelli in forza al 31 dicembre 1995 sia quelli assunti dal 1996), qualora scelgano di aderire al fondo pensioni istituito in sede di contrattazione collettiva, optano automaticamente per la trasformazione dell'indennità di fine servizio in TFR ex articolo 2120 c.c.;

d)      per i dipendenti assunti dopo il 31 dicembre 2000, qualora scelgano di iscriversi al fondo pensioni di comparto, è prevista l'integrale destinazione al fondo delle quote di TFR maturande.

1.6. Fondi preesistenti

L'articolo 18 del D.Lgs. 124 del 1993 stabilisce, in deroga alla normativa generale, che le forme pensionistiche complementari già istituite alla data del 15 novembre 1992 (data di entrata in vigore della L. 421 del 1992) non sono soggette ai seguenti obblighi:

-        assumere la personalità giuridica ai sensi dell'articolo 12 c.c., seppure costituiti nell'ambito di categorie, comparti, raggruppamenti tra lavoratori subordinati;

-        gestire le risorse finanziarie mediante convenzione con soggetti abilitati.

-        I cd. "vecchi" Fondi - ad eccezione di quelli costituiti all'interno di enti pubblici che esercitano la vigilanza in materia di tutela del risparmio, valutaria o assicurativa (Consob, Banca d'Italia, Isvap), nonché all'interno di enti, società o gruppi sottoposti a controlli dai predetti organi di vigilanza (quali banche, compagnie di assicurazione, imprese di investimento mobiliare) - hanno però l'obbligo:

-        nel caso di fondi "interni" ex articolo 2117 c.c. (cioè già configurati come "patrimonio di destinazione separato ed autonomo") di dotarsi - entro quattro anni dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. 124 del 1993 - di strutture gestionali, amministrative e contabili separate da quelle della società o ente nel cui ambito sono stati costituiti (articolo 18, comma 1);

-        nel caso di fondi interni privi di "patrimonio di destinazione", di adottare - entro due anni dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. 124 del 1993 - un'apposita delibera per la costituzione di un patrimonio di destinazione separato ed autonomo nell'ambito del complessivo patrimonio della società o dell'ente da cui originano (articolo 18, comma 4);

-        di adeguarsi entro il 28 aprile 2003 - secondo le direttive emanate dal Ministero dell’economia e delle finanze - alle disposizioni di cui all'articolo 6, commi 4-quinques e 5, del D.Lgs. 124, concernente i limiti ed i criteri di individuazione e di ripartizione del rischio nella scelta degli investimenti ed il divieto di concedere prestiti;

-        di adeguarsi alle disposizioni di cui all'articolo 5 del D.Lgs. 124 concernente il criterio elettivo e la partecipazione paritetica degli organismi di amministrazione e controllo;

-        di richiedere, ai sensi dell'articolo 4, comma 3, del D.Lgs. 124, l'autorizzazione all'esercizio dell'attività alla Commissione di vigilanza sui Fondi pensione;

-        di adeguarsi, ai fini dell'autorizzazione all'esercizio, alle disposizioni di cui all'articolo 4, comma 5, del D.Lgs. 124, che prescrivono, in caso di società:

a)      che essa deve assumere la forma giuridica di società per azioni o in accomandita per azioni;

b)      che la contabilità ed i bilanci della società siano sottoposti a controllo e a certificazione in almeno due degli esercizi chiusi antecedentemente alla richiesta di autorizzazione.

1.7 Il regime tributario della previdenza complementare

L'attuale assetto del regime tributario della previdenza complementare è il risultato di rilevanti modificazioni operate, nel corso della precedente legislatura, con l’intento di promuoverne la crescita. Particolare rilievo, al riguardo, assume il decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 47, adottato in attuazione delle disposizioni di delega di cui all’articolo 3 della legge 13 maggio 1999, n. 133.

Si può in proposito rilevare che già la cosiddetta riforma Dini, eseguita con la legge n. 335 del 1995, aveva tentato di modificare le relazioni fra gli istituti della previdenza pubblica obbligatoria e quelli della previdenza complementare, anche mediante l’introduzione di alcuni incentivi, in primo luogo di carattere tributario, volti a favorire lo sviluppo della seconda.

Principio del differimento di imposta.

 

Gli incentivi destinati allo sviluppo di forme di previdenza rispondono in primo luogo al principio del differimento di imposta, secondo il quale la tassazione viene differita dalla fase di accumulazione al momento in cui il soggetto interessato fruisce delle prestazioni previdenziali. L’ipotesi dell’esenzione degli accantonamenti destinati a fini previdenziali dall’imposizione fiscale deriva dal riflesso che le risorse accantonate, essendo sottratte alla disponibilità del soggetto interessato, non possono considerarsi un suo reddito attuale, né quindi essere incluse nella determinazione della base imponibile. Tale rilievo trova piena applicazione nell’ordinamento vigente per quanto concerne la previdenza pubblica, con riferimento alla quale è previsto che i relativi contributi siano deducibili (articolo 51 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 - di seguito: TUIR), mentre le prestazioni pensionistiche sono trattate fiscalmente come reddito di lavoro dipendente.

 

 

Delega della legge n. 133 del 1999.

 

L’ipotesi di applicare alla previdenza complementare il principio del rinvio della tassazione ha posto alcuni problemi, concernenti in particolare il caso della previdenza in regime di capitalizzazione, per la quale la misura delle prestazioni pensionistiche dipende in larga parte dai rendimenti conseguibili nella fase di accumulazione. È stata quindi sottolineata l’esigenza di conciliare l’applicazione della regola del rinvio della tassazione del reddito con le regole e i princìpi che presiedono alla tassazione dei redditi finanziari. Tale esigenza trova riscontro nelle disposizioni di delega stabilite dall’articolo 3 della legge n. 133 del 1999, che, per un verso, prospettavano l’ampliamento della misura della deduzione per i contributi versati ai fondi pensione o alle forme previdenziali individuali e, per l’altro, prevedevano che ai redditi finanziari formatisi nella fase di accumulazione si applicasse l’imposta sostitutiva già prevista, in base al D.Lgs. n. 461 del 1997, per i redditi finanziari prodotti a seguito dell’adesione a forme di investimento collettivo del risparmio.

 

 

Tassazione dei rendimenti.

 

Una misura di maggior favore a sostegno dell’impiego del risparmio a fini previdenziali rispetto all’investimento finanziario è per altro costituita dalla previsione della possibilità di ridurre l’entità dell’aliquota, possibilità di cui il Governo si è avvalso nell'emanazione del decreto legislativo n. 47 del 2000 portando l’aliquota dal 12,5 all’11%. La misura dell’aliquota scelta dal Governo ha suscitato diffusi rilievi, anche in sede parlamentare; da più parti, infatti, si è affermato che una tassazione nella misura dell’11% dei redditi prodotti dal risparmio previdenziale non sarebbe sufficiente ad assicurare un efficace incentivo allo sviluppo della previdenza integrativa. È stata quindi ripetutamente sollecitata l’applicazione di un’aliquota più bassa, definita in misura tale da poter costituire per i soggetti interessati un’effettiva incentivazione al risparmio previdenziale e da compensare il sacrificio, sconosciuto alle forme di risparmio tipicamente finanziarie, del vincolo temporale di adesione.

 

 

Tassazione delle prestazioni.

 

Coerentemente con le scelte richiamate in precedenza, le disposizioni adottate in attuazione delle norme di delega cui si è fatto riferimento hanno stabilito, inoltre, la tassazione delle prestazioni previdenziali corrisposte ai soggetti interessati esclusivamente per la parte costituita dai contributi versati ed esentati, e non anche per quella costituita dai redditi derivanti dalla gestione dei medesimi contributi.

 

Un ulteriore aspetto meritevole di attenzione concerne la sostanziale assimilazione del regime previsto per la previdenza individuale, il cosiddetto terzo pilastro, a quello relativo alla previdenza complementare collettiva. I piani pensionistici individuali, la cui disciplina è stata definita proprio con il D.Lgs. n. 47, si possono realizzare mediante l’adesione su base individuale a fondi pensione, ovvero attraverso la stipulazione di contratti di assicurazione sulla vita le cui caratteristiche, tuttavia, debbono corrispondere a quelle proprie degli strumenti di carattere previdenziale.

 

 

Trattamento fiscale dei contributi alla previdenza integrativa.

Deducibilità dei contributi

In materia, il D.Lgs. n. 47 del 2000 ha provveduto ad una consistente semplificazione della normativa previgente, contenuta nell’articolo 10 del TUIR. Si è, infatti, generalizzato per tutti i soggetti il regime di deducibilità di cui all’articolo 10, comma 1, lettera e-bis), del TUIR. Pertanto, i contributi versati ai fondi pensione, nonché i contributi e premi versati alle forme pensionistiche individuali, sia da lavoratori autonomi e percettori di redditi d’impresa, sia da lavoratori dipendenti, sono deducibili fino all’importo di 10 milioni di lire (pari a 5.164,57 euro), e comunque entro il 12% del reddito complessivo, misura nettamente superiore a quella del 6%, prevista dalla normativa precedente per quanto riguarda specificamente i lavoratori autonomi.

 

Redditi di lavoro dipendente

Particolari disposizioni sono poi previste per i soggetti al cui reddito complessivo concorrano redditi da lavoro dipendente; si stabilisce, infatti, che “relativamente a tali redditi, la deduzione compete per un importo complessivamente non superiore al doppio della quota di TFR destinata alle forme pensionistiche collettive” (trattasi sia dei fondi chiusi che di quelli aperti, come ha precisato il Ministero delle finanze), fermi restando i limiti del 12% del reddito complessivo e di 10 milioni di lire (pari a 5.164,57 euro). In sostanza, i soggetti che siano percettori di reddito da lavoro dipendente sarebbero sottoposti ad uno specifico vincolo per cui, ai fini della determinazione della misura della deduzione fruibile, si dovrebbe procedere ad un calcolo separato, per quanto riguarda i redditi da lavoro dipendente, rispetto agli eventuali restanti redditi percepiti.

Va peraltro rilevato che, prevedendosi una deduzione personale onnicomprensiva, per tutti i contribuenti, dei contributi versati alle forme pensionistiche di cui al D.Lgs. n. 124 del 1993, risulta indifferente, per quanto concerne in particolare i lavoratori dipendenti, se il contributo sia a carico del lavoratore o del datore di lavoro.

Si stabilisce, inoltre, che la deduzione relativa ai contributi versati nell’interesse di familiari a carico, spetta per l’importo che non sia stato già fruito dalle stesse persone, per il fatto che queste abbiano esaurito il reddito disponibile, fermo restando l’ammontare massimo di 10 milioni di lire (pari a 5.164,57 euro).

 

 

Pensione delle casalinghe.

 

Per quanto concerne l’individuazione delle categorie di soggetti che possono fruire della previdenza complementare, va ricordato che l’articolo 17 del D.Lgs. n. 47 del 2000 fa riferimento ai soggetti che svolgono, senza vincolo di subordinazione, lavori non retribuiti in relazione ad attività familiari e che non prestano attività lavorativa autonoma o alle dipendenze di terzi. Tali soggetti hanno la possibilità di costituire appositi fondi pensione, attraverso propri sindacati o associazioni di rilievo almeno regionale. Si tratta della cosiddetta “pensione delle casalinghe”, per la cui costituzione si è consentito il ricorso a forme di accantonamento assai originali, quali gli abbuoni risultanti da acquisti effettuati tramite moneta elettronica presso centri convenzionati.

 

 

 

 

Fondi interni non configurati.

 

L’articolo 1, comma 1, lettera f), del D.Lgs. n. 47 del 2000 ha poi stabilito, per quanto concerne i fondi previdenziali di cui all’articolo 2117 del codice civile (si tratta dei cosiddetti “fondi interni non configurati”, costituiti dal datore di lavoro anche senza contribuzione dei dipendenti) che la deducibilità è ammessa a condizione che gli accantonamenti siano costituiti “in conti individuali dei singoli dipendenti”.

 

 

Vecchi fondi.

 

Da ultimo, con l’articolo 4 del medesimo D.Lgs. n. 47 del 2000 è stato introdotto un regime speciale di maggior favore, che consente ai soggetti già iscritti a forme pensionistiche complementari di aumentare, per il periodo di cinque anni, l’importo massimo deducibile della differenza tra i contributi già versati nel 1999 e il limite di 10 milioni di lire (pari a 5.164,57 euro). La disposizione si riferisce ai cosiddetti “vecchi iscritti”, cioè a coloro che, alla data del 28 aprile 1993 (data di entrata in vigore del D.Lgs. 124 del 1993), erano destinatari di prestazioni previdenziali, anche a carattere non pensionistico, assicurate da “vecchi fondi”, cioè da forme pensionistiche complementari che risultassero istituite alla data del 15 novembre 1992.

 

 

Regime fiscale dei fondi pensione.

 

Con il capo II del D.Lgs. n. 47 del 2000 si è provveduto anche a modificare la disciplina del trattamento tributario dei fondi, a decorrere dal 2001.

La normativa preesistente, contenuta nell’articolo 14 del D.Lgs. n. 124 del 1993, stabiliva che ai fondi si dovesse applicare un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura di 10 milioni di lire (pari a 5.164,57 euro) annui, ridotti a 5 milioni di lire (pari a 2.582,28 euro) per i primi 5 anni di attività. Un regime differente era previsto per i fondi pensione il cui patrimonio fosse direttamente investito in beni immobili. Per tali fondi, l’imposta sostitutiva si applicava sul patrimonio immobiliare con l’aliquota dello 0,50%.

Con la riforma si è provveduto a mutuare, per quanto concerne il regime ordinario di tassazione dei fondi pensione, i criteri previsti per gli organismi di investimento collettivo del risparmio in base al D.Lgs. n. 461 del 1997, determinando il risultato maturato di gestione al netto dei costi, con l’unica eccezione costituita dalla misura dell’imposta sostitutiva, che per i fondi pensione è fissata nell’11% anziché al 12,5%.

Per quanto attiene ai fondi pensione il cui patrimonio è costituito da immobili, il D.Lgs. 47 del 2000, nel confermare nello 0,50% del patrimonio immobiliare la misura dell’imposta sostitutiva, ha disposto che la stessa sia aumentata all’1,50% quando si tratti di immobili che il fondo abbia dato in locazione previa opzione per la libera determinazione dei canoni. Gli stessi fondi pensione sono comunque soggetti all’imposta sostitutiva, nella misura dell’11%, sul risultato maturato in riferimento alla restante parte del patrimonio. Pertanto, il fondo pensione dovrà procedere ad un calcolo separato dei due patrimoni, quello costituito da immobili, e quello investito in valori immobiliari, cui si applica, come detto, l’imposta sostitutiva.

L’articolo 12 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326), ha ridotto dal 12,50% al 5% l’aliquota dell’imposta sostitutiva applicabile sul risultato maturato di gestione degli organismi di investimento collettivo dei valori mobiliari (OICVM) che investono prevalentemente il proprio patrimonio in azioni quotate di società a piccola e media capitalizzazione. In conseguenza di tale previsione, il comma 5 dello stesso articolo 12, modificando il comma 1 dell’articolo 14 del D.Lgs. 124 del 1993, ha escluso dal risultato maturato di gestione dei fondi pensione (assoggettato ad imposta sostitutiva nella misura dell’11%) i proventi derivanti dalla partecipazione nei suddetti OICVM che investono prevalentemente il proprio patrimonio in azioni quotate di società a piccola e media capitalizzazione. L’esclusione di tali proventi dal risultato maturato di gestione rende definitiva l’imposizione (nella misura del 5%) operata a monte dalla società di gestione .

Da ultimo, per quanto concerne il regime IVA dei fondi pensione, la nuova disciplina si fonda sulla natura finanziaria delle attività di gestione; quest’ultima viene, pertanto, inclusa tra le operazioni esenti, di cui all’articolo 10 del D.P.R. n. 633 del 1972, analogamente a quanto già previsto per la gestione di fondi comuni di investimento.

 

 

Regime fiscale delle prestazioni.

 

Il capo III del D.Lgs. n. 47 reca, poi, il nuovo regime, applicabile dal 2001, in materia di trattamento tributario delle prestazioni pensionistiche complementari.

La normativa previgente includeva le rendite o pensioni erogate dalle forme pensionistiche complementari nell’ambito della categoria dei redditi assimilati a quelli da lavoro dipendente, per l’87,5% dell’ammontare lordo complessivo, al fine di sterilizzare l’imposizione già avvenuta a carico del fondo per i rendimenti da questo percepiti. Nel caso di prestazioni in forma di capitale, in base alle disposizioni previgenti si applicava il principio della tassazione separata, evitando in tal caso l’applicazione di una aliquota marginale più alta.

Con il nuovo regime introdotto con il D.Lgs. 47 del 2000 si è affermato il principio per cui è esclusa dall’imposizione la parte di prestazione corrispondente ai redditi già assoggettati all’imposta, per trattare la restante parte come reddito assimilato a quello di lavoro dipendente, quando si tratti di prestazioni periodiche (per cui si applicherebbe la tassazione progressiva). Nel caso in cui la prestazione assuma la forma di capitale, si procede alla tassazione separata. A tal fine, si suddivide l’importo risultante dall’ammontare del maturato, al netto delle imposte già applicate nella fase di accumulazione, per il numero degli anni di contribuzione, e si moltiplica il risultato per 12. Si applica, quindi, l’aliquota IRPEF di riferimento. Peraltro, l’erogazione di prestazioni in forma di capitale si avvale del regime cui si è fatto riferimento a condizione che il relativo ammontare non superi un terzo del montante maturato. È rimesso all’amministrazione finanziaria il compito di riliquidare l’imposta sulla base dell’aliquota media dei cinque anni precedenti a quello in cui è maturato il diritto alla percezione, con conseguente obbligo di rimborsare le eventuali maggiori imposte versate.

Lo stesso regime si applica, in sostanza, per le prestazioni erogate nell’ambito di piani pensionistici individuali.

 

 

Disciplina tributaria del TFR.

 

L’articolo 11 del D.Lgs. 47 del 2000 ha profondamente modificato la disciplina tributaria del TFR, introducendo un nuovo regime, applicabile alle quote maturate e a quelle erogate a titolo di anticipazione a decorrere dal 1° gennaio 2001.

Il nuovo regime è ispirato al principio per cui i rendimenti maturati e gli altri importi erogati debbono essere tassati secondo le modalità previste per la prestazione dei fondi pensione. Pertanto, si divide il TFR maturato dal 1° gennaio 2001, al netto delle rivalutazioni già soggette a imposta sostitutiva, per gli anni e i mesi di servizio, e si moltiplica il risultato per 12. L’imposta si determina applicando gli scaglioni e le aliquote previste nell’anno in cui è maturato il diritto alla percezione del TFR stesso.

È prevista una detrazione pari a lire 120.000 (corrispondenti a 61,97 euro) per ciascun anno, nel caso di rapporto di lavoro a tempo determinato di durata non superiore a due anni. Questa detrazione ha sostituito la riduzione della base imponibile, nella misura di lire 600.000 per ciascun anno, prevista dalla disciplina vigente fino al 31 dicembre 2000.

 

Per i trattamenti di fine rapporto percepiti a seguito della cessazione di rapporti di lavoro intervenuta nel periodo dal 1° gennaio 2001 fino alla data di entrata in vigore della disciplina concernente la riforma del trattamento di fine rapporto, e comunque non oltre il 31 dicembre 2005[2], il predetto articolo 11, comma 5, del decreto legislativo n. 47 del 2000 ha altresì previsto un’ulteriore detrazione d’imposta pari a lire 120.000 (corrispondenti a 61,97 euro) per ciascuno degli anni compresi nel medesimo periodo.

 

Sui rendimenti annui si applica invece l’imposta sostitutiva con l’aliquota dell’11%.

Analogamente a quanto previsto per i fondi pensione, è stabilito che l’amministrazione finanziaria proceda alla riliquidazione dell’importo dovuto sulla base dell’aliquota media del quinquennio precedente.

 

 

Regime tributario dei contratti di assicurazione.

 

L’articolo 13 del D.Lgs. 47 del 2000 contiene una nuova disciplina del trattamento tributario dei contratti di assicurazione, applicata a decorrere dal 1° gennaio 2001.

In base al nuovo regime, la detrazione, precedentemente stabilita nella misura di 2,5 milioni di lire (pari a 1.291,14 euro) annui, è fruibile soltanto nel caso di contratti aventi per oggetto esclusivo il rischio di morte o di invalidità permanente superiore al 5% ovvero di non autosufficienza nel compimento degli atti di vita quotidiana (c.d. long term care), come individuati dal decreto del Ministro delle finanze del 22 dicembre 2000.

Per quanto concerne le rendite, sia vitalizie che a tempo determinato, si è poi precisato che l’assimilazione ai redditi da lavoro dipendente vale soltanto se non abbiano funzione previdenziale. In questo caso, l’impresa erogatrice è tenuta ad applicare il regime ordinario IRPEF sull’intero importo della rendita. Al contrario, per le rendite che rispondano ad una funzione previdenziale si applica sui rendimenti maturati un’imposta sostitutiva nella misura del 12,5%.

 


Il decreto legislativo n. 252 del 2005

Sul quadro normativo sopra decritto è intervenuto il decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, recante “Disciplina delle forme pensionistiche complementari”, emanato in attuazione della delega di cui all’articolo  1, comma 1, lettera c), dell’articolo 1, comma 2, lettere e), h), i), l) e v) e dell’articolo 1, comma 44 della legge n. 243 del 2004[3].

Si ricorda che le principali finalità della delega sono rappresentate dalle seguenti:

§      adozione di misure finalizzate ad incrementare l'entità dei flussi di finanziamento alle forme pensionistiche complementari;

§      perfezionamento dell'unitarietà e dell'omogeneità del sistema di vigilanza sull'intero settore della previdenza complementare;

§      ridefinizione della disciplina fiscale della previdenza complementare;

§      previsione, per tutte le forme pensionistiche complementari, di esposizione, nel rendiconto annuale e, in modo sintetico, nelle comunicazioni inviate all'iscritto, se ed in quale misura siano presi in considerazione aspetti sociali, etici ed ambientali nella gestione delle risorse finanziarie derivanti dalle contribuzioni degli iscritti.

Nel presente paragrafo si descrive sinteticamente l’iter parlamentare dello schema di decreto legislativo (in sede di espressione dei relativi pareri) e il contenuto dello stesso decreto legislativo.

1. L’esame parlamentare

Lo schema di decreto legislativo recante “Disciplina delle forme pensionistiche complementari” (atto n. 522), approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri il 1° luglio 2005, è stato presentato alle Camere il 7 luglio 2005 ai fini dell’espressione dei pareri previsti dalla legge delega (in particolare dall’articolo  1, comma 1, lettera c), dall’articolo 1, comma 2, lettere e), h), i), l) e v) e dell’articolo 1, comma 44 della legge n. 243 del 2004 ).

 

Lo schema è stato assegnato alle Commissioni 11.a (lavoro e previdenza sociale) e 5.a (Bilancio) del Senato e alle Commissioni V (Bilancio, tesoro e programmazione) e XI (lavoro pubblico e privato) della Camera dei deputati, previo esame in sede consultiva di talune Commissioni permanenti dei due rami del Parlamento.

Sullo schema di decreto, in sede consultiva, al Senato si sono espresse:

-          la 1.a Commissione (Affari costituzionali), il 14 settembre 2005 (osservazioni non ostative con rilievi);

-          la 6.a Commissione (Finanze e Tesoro), il 20 luglio (osservazioni favorevoli);

-          la 10.a Commissione (Industria), il 21 settembre 2005 (osservazioni favorevoli con rilievi).

Alla Camera dei deputati lo schema è stato assegnato in sede consultiva alla VI Commissione (Finanze), che ha espresso il proprio parere (favorevole con rilievi) il 22 settembre 2005.

In data 29 settembre 2005, la XI  Commissione (Lavoro pubblico e privato) della Camera dei deputati e la 11.a Commissione (Lavoro e previdenza sociale) del Senato hanno espresso sullo schema in esame un parere, sostanzialmente analogo, favorevole con condizioni ed osservazioni. Inoltre il 4 ottobre 2005 la V Commissione (Bilancio, tesoro e programmazione) della Camera ha espresso un parere favorevole con condizione, mentre la 5.a Commissione (Bilancio) del Senato ha espresso un parere favorevole con rilievi e condizioni.

 

Tuttavia il Governo il 6 ottobre scorso, deliberando di non conformarsi ad alcune condizioni poste dai pareri, ha ritrasmesso, ai sensi dell’articolo 1, comma 45, della legge n. 243 del 2004[4]  lo schema di decreto legislativo (atto n. 550)[5], al fine dell’espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari.

In particolare il Governo, secondo quanto emerge dal verbale del Consiglio dei Ministri del 5 ottobre scorso (allegato alla lettera di ritrasmissione), premesso che l’obiettivo principale della delega è rappresentato dalla realizzazione della parità concorrenziale all’interno del sistema di previdenza complementare tra i fondi di carattere negoziale e quelli “aperti”, attraverso la libera scelta in ordine al conferimento iniziale o successivo del trattamento di fine rapporto, pur condividendo “lo spirito e la motivazione che hanno ispirato le condizioni apposte dalle Camere…, nel senso che il testo debba garantire livelli accettabili di libertà economica sia per i lavoratori sia per le aziende”, ritiene che le condizioni poste dai pareri non siano sufficienti al riguardo ed anzi possano “ingenerare involontariamente effetti distorsivi”. Pertanto il Governo suggerisce una diversa formulazione del testo, nelle parti interessate da alcune delle condizioni, ritenendo che essa garantisca “una maggiore possibilità di adesione collettiva ai fondi aperti ed una maggiore libertà economica sia per i lavoratori, sia per le imprese”.

Inoltre il Governo ha evidenziato, condividendo le osservazioni del Ministro per le politiche comunitarie, alcuni profili di incompatibilità comunitaria, con particolare riferimento alla direttiva 2002/83/CE relativa alle assicurazioni sulla vita.

 

In virtù della previsione dell’articolo 1, comma 46, della legge delega[6], il termine per l’esercizio della delega, che inizialmente scadeva il 6 ottobre 2005, è stato prorogato di sessanta giorni (quindi fino al 5 dicembre 2005).

Nell’ulteriore esame sullo schema di decreto, in sede consultiva, al Senato si sono espresse:

-          la 1.a Commissione (Affari costituzionali), il 19 ottobre 2005 (osservazioni non ostative con rilievi);

-          la 2.a Commissione (Giustizia), il 19 ottobre 2005 (osservazioni non ostative).

Alla Camera dei deputati si è espressa in sede consultiva la XIV Commissione (Politiche dell’Unione europea), il 3 novembre 2005, con un parere favorevole con rilievi.

La XI Commissione (Lavoro pubblico e privato) della Camera dei deputati e la 11.a Commissione (Lavoro e previdenza sociale) del Senato, rispettivamente il 3 novembre e il 9 novembre 2005, hanno sostanzialmente confermato i pareri già espressi nel precedente esame del 29 settembre 2005. Inoltre la V Commissione (bilancio, tesoro e programmazione) della Camera dei deputati l’8 novembre 2005 ha espresso un parere favorevole con condizione, mentre la 5.a Commissione (Bilancio) del Senato il 10 novembre 2005 ha espresso un parere favorevole con condizioni e rilievi.

2. Il contenuto del decreto legislativo

Il decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, è stato approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri nella riunione del 24 novembre 2005, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 289 del 13 dicembre 2005, ed entrerà in vigore (con l’eccezione di alcuni articoli: cfr. infra) il 1° gennaio 2008 .

 

Si evidenzia la particolarità per cui il decreto legislativo n. 252 del 2005 non si limita a novellare il decreto legislativo n. 124 del 1993, che attualmente in sostanza contiene la disciplina dei fondi pensione, ma predispone un nuovo testo organico di disciplina della previdenza complementare, che contiene (citando la relazione di accompagnamento allo schema di decreto sottoposto ai pareri parlamentari) “non solo le norme derivate dall’esercizio della deleghe sopra citate, ma anche le indispensabili modifiche, correzioni, ampliamenti e abrogazioni richieste dal nuovo assetto del sistema”. Contestualmente si prevede l’abrogazione del decreto legislativo n. 124 del 1993.

L’articolo 1 procede ad una definizione dell’ambito di applicazione del decreto legislativo e della nozione di forme pensionistiche complementari.

L’articolo 2 individua le categorie di lavoratori che possono aderire a forme pensionistiche complementari, facendo riferimento anche alle nuove figure di lavoratori subordinati introdotte dal decreto legislativo n. 276 del 2003, di riforma del mercato del lavoro, e stabilisce quali tipologie di forme pensionistiche complementari possono essere istituite per i soggetti indicati nell’articolo medesimo.

L’articolo 3 indica le modalità di istituzione delle forme pensionistiche complementari, confermando la vigente disciplina e aggiungendo il riferimento alla possibilità di istituire fondi pensione da parte delle casse di previdenza privatizzate.

L’articolo 4 dispone in merito alla costituzione dei fondi pensione e all’autorizzazione all’esercizio della relativa attività. Si prevede che i fondi pensione possono costituirsi come associazioni (ai sensi dell’articolo 36 del codice civile) o come soggetti dotati di personalità giuridica. Rispetto alla vigente disciplina, si procede ad una semplificazione del procedimento di riconoscimento della personalità giuridica, ricondotta direttamente al provvedimento di autorizzazione della COVIP. Inoltre si dispone una riduzione dei termini del procedimento di autorizzazione di competenza della COVIP e si introducono sanzioni per l’esercizio dell’attività senza le prescritte autorizzazioni.

L’articolo 5 dispone in merito agli organi amministrativi e di controllo dei fondi pensione e alla relativa responsabilità. Si conferma che tale composizione, ad eccezione dei fondi pensione aperti e delle forme pensionistiche individuali, deve rispettare il criterio della partecipazione paritetica di rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro. Vengono, inoltre, dettate disposizioni che riguardano i requisiti richiesti per rivestire la carica di responsabile della forma pensionistica, nonché una serie di adempimenti funzionali ad una corretta gestione della forma pensionistica e ad un controllo da parte dell’organo di vigilanza.

L’articolo 6 dispone in merito ai modelli gestionali, anche in considerazione del regime delle prestazioni. Si prevede che i fondi pensione gestiscono le risorse mediante: convenzione con società autorizzate alla gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi, oppure con imprese assicurative o con società di gestione del risparmio; sottoscrizione o acquisizione di azioni o quote di società immobiliari nelle quali il fondo pensione può detenere partecipazioni; sottoscrizione e acquisizione di quote di fondi comuni di investimento mobiliare. Si dispone inoltre che Il processo di selezione dei gestori deve essere condotto secondo le istruzioni emanate dalla COVIP e comunque in modo da garantire la trasparenza del procedimento e la coerenza tra obiettivi e modalità gestionali, decisi preventivamente dagli amministratori, e i criteri di scelta dei gestori. Si prevedono limitazioni riguardo agli investimenti finanziari dei fondi pensione e, in particolare, è disposto il divieto di concedere o assumere prestiti.

L’articolo 7 concerne la banca depositaria, presso la quale sono depositate le risorse dei fondi, affidate in gestione, e che esegue le istruzioni impartite dal soggetto gestore del patrimonio del fondo.

L’articolo 8, di particolare rilevanza, introduce sostanziali novità per il finanziamento della previdenza complementare. E’ innanzitutto stabilito che, per tutte le forme pensionistiche complementari, il finanziamento può essere attuato mediante il versamento di contributi a carico del lavoratore, del datore di lavoro o del committente e attraverso il conferimento del TFR maturando. Si prevede la deducibilità entro certi limiti dal reddito complessivo dei contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro. La disposizione di maggiore novità riguarda il conferimento del TFR maturando alle forme pensionistiche complementari, che può avvenire secondo modalità esplicite o tacite. Per quanto riguarda queste ultime, si prevede che, nel caso in cui il lavoratore, entro sei mesi dalla data di prima assunzione (o, per i già assunti, entro sei mesi dal 1° gennaio 2008), non esprima alcuna volontà, a decorrere dal mese successivo, secondo un meccanismo di “silenzio-assenso”, il datore di lavoro trasferisca il TFR maturando alla forma pensionistica collettiva prevista dagli accordi o contratti collettivi.

L’articolo 9 provvede ad istituire presso l’INPS una forma pensionistica complementare residuale, a cui affluiscono le quote di TFR maturando in caso di mancato accordo tra le parti sociali e in assenza di una forma pensionistica complementare della quale i lavoratori siano destinatari.

L’articolo 10 prevede misure compensative per le imprese, che consistono sia in agevolazioni fiscali e contributive sia nella maggiore facilità di accesso al credito.

L’articolo 11, che riguarda le prestazioni delle forme pensionistiche complementari, provvede in primo luogo a ridefinire i requisiti e le modalità di accesso alle stesse. Il diritto alle prestazioni si acquisisce nello stesso momento in cui maturano i requisiti di accesso alle prestazioni della previdenza pubblica. Si individuano anche i casi in cui si può chiedere un’anticipazione per particolari esigenze.

L’articolo 12 disciplina l’attività dei fondi pensione aperti, istituibili da parte dei soggetti con cui è possibile stipulare convenzioni per la gestione delle risorse dei fondi pensione. Le adesioni ai fondi pensione aperti, ai quali può essere destinato, oltre il TFR, anche la contribuzione a carico del datore di lavoro alla quale il lavoratore abbia diritto, avviene, oltre che su base individuale, anche su base collettiva.

L’articolo 13, intitolato alle forme pensionistiche individuali, prevede che tali forme sono attuate, oltre che attraverso l’adesione ai fondi pensione aperti, mediante la stipula di contratti di assicurazione sulla vita con imprese di assicurazioni autorizzate dall'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private (ISVAP). Si dettano una serie di disposizioni volte a garantire i sottoscrittori.

L’articolo 14 è dedicato alla portabilità della posizione individuale e alla disciplina delle prestazioni consentite in caso di cessazione dei requisiti di partecipazione alla forma pensionistica complementare. In particolare il trasferimento ad altra forma pensionistica dell’intera posizione individuale è reso possibile in minor tempo (al decorrere di due anni, contro i tre o i cinque attuali, a seconda della fattispecie).

L’articolo 15, relativo alle vicende del fondo pensione, dispone per i casi di scioglimento o liquidazione del fondo pensione, confermando in pratica la vigente disciplina.

L’articolo 16, riordina la materia concernente il contributo di solidarietà del 10% previsto in favore della previdenza obbligatoria sulle somme a carico del datore di lavoro destinate a finalità di previdenza complementare.

L’articolo 17 riordina dettagliatamente il regime tributario delle forme pensionistiche complementari, utilizzando come criterio-base l’assoggettamento dei fondi pensione ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura dell'11 per cento, che si applica sul risultato netto maturato in ciascun periodo d'imposta.

Gli articoli 18 e 19 dispongono in merito alla vigilanza sulle forme pensionistiche complementari e quindi ai compiti della COVIP. L’esercizio delle funzioni di alta vigilanza sul settore spetta al Ministero del lavoro e delle politiche sociali mediante l’adozione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, di direttive generali in materia. Nella COVIP sono concentrate le attività di vigilanza in riferimento a tutte le forme pensionistiche collettive e individuali previste dall’ordinamento, al fine di perfezionare l’omogeneità del complessivo sistema di vigilanza, attribuendo alla Commissione anche il compito di impartire disposizioni volte a garantire la trasparenza delle condizioni contrattuali per tutte tali forme.

L’articolo 20 riguarda le forme pensionistiche complementari istituite alla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (i cosiddetti fondi “preesistenti”), disponendo che debbano adeguarsi alle nuove disposizioni secondo criteri e termini stabiliti con decreto ministeriale.

L’articolo 21 provvede alle necessarie abrogazioni e modifiche.

L’articolo 22 autorizza la spesa di 17 milioni di euro per la realizzazione di campagne informative intese a promuovere adesioni consapevoli alle forme pensionistiche complementari.

L’articolo reca inoltre la copertura finanziaria del provvedimento.

L’articolo 23 infine dispone in merito all’entrata in vigore della riforma, fissata al 1° gennaio 2008, salvo per quanto riguarda alcune disposizioni, tra cui quelle relative alla vigilanza sui fondi pensione e ai compiti della COVIP[7].

 


La disciplina comunitaria delle forme pensionistiche complementari (Direttiva 2003/41/CE)

La disciplina comunitaria delle forme pensionistiche complementari è sostanzialmente contenuta nella direttiva 2003/41/CE.

La Direttiva 2003/41/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 giugno 2003, relativa alle attività e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali (di seguito EPAP)[8], fa seguito (“considerando” n. 3) alla comunicazione della Commissione dell’11 maggio 1999 sulle pensioni complementari e fa parte del piano d’azione per i servizi finanziari (PASF) di cui il Consiglio europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000 ha chiesto l’attuazione entro il 2005.

La direttiva mira a istituire una vigilanza prudenziale (“considerando” n. 4) dei citati enti, al fine di tutelare i diritti dei futuri pensionati (“considerando” n. 7). Nell'ottica del mercato integrato dei capitali e dell'introduzione dell'euro, il testo mira inoltre ad eliminare gli ostacoli agli investimenti dei fondi pensione.

Nell’ottica di perseguire la sostenibilità dei regimi pubblici alla stregua dei loro crescenti costi, si è reso necessario, infatti, nell’affrontare il problema della ristrutturazione del sistema pensionistico pubblico, favorire lo sviluppo dei fondi pensione privati, soprattutto in quegli Stati membri, come l’Italia, in cui hanno prodotto modesti risultati, al fine di consentire ai lavoratori la possibilità di attenuare le conseguenze della riduzione dei trattamenti pensionistici del regime obbligatorio pubblico.

In particolare, la Commissione Europea ha ritenuto che, pur considerando che né il sistema basato sulla capitalizzazione, né quello contributivo-redistributivo sono in grado di scongiurare del tutto le tensioni demografiche nei regimi pensionistici del futuro negli Stati membri dell’UE, con il sistema pensionistico a capitalizzazione è possibile, in un contesto globalizzato di capitali e investimenti, utilizzare in modo positivo gli effetti internazionali della crescita per le assicurazioni di vecchiaia individuali.

In relazione a ciò, la citata direttiva, avente lo scopo di stimolare lo sviluppo della previdenza complementare, atteso che i fondi pensione svolgono una funzione essenziale per la promozione della coesione sociale in molti Stati membri e per il finanziamento dell’economia europea, è stata predisposta allo scopo di conciliare nel miglior modo possibile la sicurezza ed il rendimento finanziario per salvaguardare le prestazioni dei pensionati.

In sintesi, gli obiettivi principali della direttiva sono i seguenti:

-        assicurare un’adeguata protezione degli aderenti e dei beneficiari delle prestazioni e la sicurezza ed efficienza degli investimenti;

-        consentire la libera scelta dei gestori e dei depositari all’interno dell’UE e assicurare la parità delle condizioni di concorrenza tra tutti gli enti che corrispondono prestazioni complementari;

-        promuovere le attività transfrontaliere e sviluppare un reale mercato unico delle pensioni integrative;

-        stimolare gli investimenti degli EPAP nel complesso dell’UE.

In particolare (“considerando” n. 6), la direttiva rappresenta un “primo passo nella direzione di un mercato interno degli schemi pensionistici aziendali e professionali organizzato su scala europea”. Inoltre, sulla base di investimenti realizzati secondo il principio della “persona prudente” e permettendo l’operatività transfrontaliera degli enti, si incoraggia il “riorentamento del risparmio verso il settore degli schemi pensionistici aziendali e professionali contribuendo in tal modo al progresso economico e sociale”

 

Si ricorda che per ente pensionistico aziendale o professionale (articolo 6, lettera a)) si intende un ente, a prescindere dalla sua forma giuridica, operante secondo il principio di capitalizzazione, distinto da qualsiasi impresa promotrice o associazione di categoria, costituito al fine di erogare prestazioni pensionistiche in relazione a un'attività lavorativa sulla base di un accordo o di un contratto stipulato:

§      individualmente o collettivamente tra datore di lavoro e lavoratore, o i loro rispettivi rappresentanti o

§      con lavoratori autonomi, conformemente alla legislazione dello Stato membro di origine e dello Stato membro ospitante e che esercita le attività direttamente connesse.

I diritti acquisiti non devono poter essere "riscattati" prima che sia raggiunta l'età della pensione (sistema pensionistico e non di risparmio).

 

Agli EPAP, in sostanza, viene attribuito un ruolo importante (“considerando” nn. 4 e 8) nei sistemi fondati sul principio della capitalizzazione, come completamento del regime pensionistico pubblico di base, in quanto “si tratta di una categoria importante di istituzioni finanziarie chiamate a svolgere un ruolo essenziale ai fini dell’integrazione, dell’efficienza e della liquidità dei mercati finanziari”; trattandosi infatti di investitori a lunghissimo termine, possono accrescere le prestazioni, integrando più efficacemente i regimi pubblici obbligatori, o ridurre i contributi necessari per ottenere un determinato ammontare di prestazioni, con il risultato di realizzare un effetto positivo sulle prestazioni.

 

Ambito soggettivo

Ai sensi dell’articolo 2, comma 1, il campo di applicazione della direttiva in oggetto si riferisce a tutti gli EPAP che operano secondo il principio di capitalizzazione (pensioni private complementari) e non fanno capo al sistema previdenziale obbligatorio. La direttiva copre tutti i tipi di regimi gestiti dagli EPAP, tenendo altresì conto delle diversità nazionali in quanto gli EPAP funzionano in maniera molto diversa da uno Stato all'altro, operando sia come compagnie assicurative che come fondi di investimento.

Rimangono espressamente esclusi dall’applicazione della direttiva in oggetto (articolo 2, comma 2):

§      gli enti che gestiscono regimi di sicurezza sociale di cui ai regolamenti (CEE) n. 1408/71 e (CEE) n. 574/72;

§      gli enti rientranti nel campo di applicazione delle direttive 73/209/CEE (assicurazioni dirette diverse dall’assicurazione sulla vita), 85/611/CEE (organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari), 93/22/CEE (servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari), 2000/12/CE (accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio), 2002/83/CE (assicurazioni sulla vita);

§      gli enti funzionanti secondo il principio della ripartizione;

§      gli enti in cui i dipendenti delle imprese promotrici non hanno legalmente diritto a prestazioni e in cui l'impresa promotrice può svincolare le attività in qualunque momento senza dover necessariamente far fronte ai propri obblighi di erogare prestazioni pensionistiche;

§      le società che utilizzano sistemi fondati sulla costituzione di riserve contabili per l'erogazione di prestazioni pensionistiche ai loro dipendenti.

 

E’ prevista un’applicazione facoltativa (articolo 4) di alcune disposizioni della direttiva in esame agli enti di cui alla citata direttiva 2002/83/CE, relativa all’assicurazione sulla vita.

E’ presente, inoltre, una clausola de minimis (“considerando” n. 15, articolo 5) che consente agli Stati membri di escludere dal campo di applicazione della direttiva i regimi pensionistici di ridotte dimensioni che non sono presumibilmente interessati a svolgere attività transfrontaliera.

 

Infine, si prevede (“considerando” n. 12) l’applicazione dei requisiti prudenziali minimi indicati nella direttiva in esame alle imprese di assicurazione sulla vita nel settore delle pensioni previdenziali ed assistenziali.

Tale previsione deriva dalla necessità di evitare effetti distorsivi nel mercato, in quanto tali imprese, che di regola dovrebbero essere escluse dal campo d’applicazione della direttiva in esame, potrebbero offrire prestazioni relative a pensioni aziendali o professionali.

Tra l’altro, lo stesso “considerando” afferma che la Commissione dovrebbe procedere al monitoraggio del mercato delle prestazioni pensionistiche, valutando altresì la possibilità di estendere l’applicazione facoltativa prevista al citato articolo 3 ad altre istituzioni finanziarie regolamentate.

 

Ambito oggettivo

Agli EPAP è richiesto l’obbligo di soddisfare requisiti prudenziali minimi per quanto concerne le loro attività e le condizioni per il funzionamento. (“considerando” n. 20) - in funzione della natura dell’EPAP e dei rischi coperti -,  attraverso:

§      la separazione giuridica tra imprese promotrici ed EPAP (articolo 8), affinché, in caso di fallimento dell’impresa promotrice, l’attivo dell’ente pensionistico sia salvaguardato. Si ricorda che per impresa promotrice, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), si intende un’impresa, o altro organismo, a prescindere dalla sua composizione, che versi contributi ad un EPAP. Tra l’altro, in determinati casi (“considerando” n. 30) potrebbe essere l’impresa promotrice e non l’EPAP a coprire i rischi biometrici o a garantire determinate prestazioni o un dato rendimento degli investimenti;

§      la prescrizione di determinate  condizioni per lo svolgimento dell’attività (articolo 9). Tali condizioni prevedono che:

-        l’ente sia registrato in un registro nazionale dalla competente attività di vigilanza o autorizzato;

-        l’ente sia effettivamente gestito da persone in possesso dei requisiti di onorabilità e dotate di qualifiche ed esperienze professionali adeguate;

-        siano applicate regole al funzionamento definite in maniera adeguate per ogni schema pensionistico (dove per schema pensionistico, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), si intende un contratto, un accordo un negozio fiduciario o un insieme di disposizioni che stabilisce le prestazioni pensionistiche erogabili nonché le condizioni per la loro erogazione);

-        le riserve tecniche siano correttamente calcolate;

-        l’impresa promotrice si impegni a finanziare regolarmente il pagamento delle prestazioni pensionistiche;

-        sia garantita un’adeguata informazione ai soggetti aderenti in relazione a determinate situazioni

-        per esercitare attività transfrontaliera un EPAP debba ottenere l’autorizzazione preventiva delle autorità di vigilanza competenti;

§      la redazione di conti annuali e di relazioni annuali (articolo 10) che tengano conto di ogni schema pensionistico gestito dall’ente;

§      la comunicazione di informazioni e della politica d’investimento agli aderenti e ai beneficiari, nonché alle autorità di vigilanza (rispettivamente articoli 11, 12 e 13).

La direttiva in esame, infatti, riconosce la necessità di una adeguata informazione (“considerando” n. 23) agli aderenti e ai beneficiari (cioè, rispettivamente, gli aventi diritto - a motivo delle loro attività lavorative - a percepire le prestazioni pensionistiche, e le persone che percepiscono effettivamente le prestazioni pensionistiche[9]).

In particolare, si richiede, tra gli altri, che gli aderenti e i beneficiari ricevano le informazioni rilevanti relative a modifiche delle regole dello schema pensionistico, oltre ai conti e relazioni annuali di cui all’articolo 10.

Inoltre, gli EPAP hanno l’obbligo di presentazione alle autorità di vigilanza (articolo 12, “considerando” n. 24), con periodicità triennale, e in ogni caso dopo eventuali modifiche significative della politica d’investimento, di un documento illustrante i principi alla base della loro politica d’investimento con riferimento alla natura ed alla durata degli impegni per prestazioni pensionistiche, con specifica descrizione dei metodi di misurazione del rischio e delle tecniche di gestione del rischio utilizzati.

§      le riserve tecniche e il loro finanziamento (articoli 15 e 16).

In particolare, lo Stato membro di origine ha l’obbligo di provvedere affinché gli EPAP gestori di schemi previdenziali che coprono rischi biometrici (cioè i rischi relativi a morte, invalidità e longevità[10]) e/o garantiscono o un rendimento degli investimenti o un determinato livello di prestazioni, costituiscano riserve tecniche sufficienti in relazione al complesso di schemi pensionistici gestiti.

Le riserve tecniche dovrebbero essere calcolate (“considerando” n. 26) utilizzando metodi attuariali riconosciuti e certificate da esperti qualificati, atteso che un calcolo prudente delle stesse è condizione essenziale per assicurare che l’ente possa far fronte alle sue obbligazioni di erogazione.

Inoltre, le riserve tecniche debbono essere in qualsiasi momento integralmente coperte da attività adeguate, prevedendo, peraltro, che gli Stati membri possano consentire agli enti, per un periodo limitato, di scostarsi dal principio della copertura integrale, fermo restando l’obbligo di un piano di ripristino della copertura che accompagni qualsiasi sospensione della copertura stessa.

Infine, atteso che i rischi coperti dagli enti in oggetto variano in maniera significativa da uno Stato membro all’altro, è prevista la facoltà, per gli Stati membri di origine, (“considerando” n. 27) di assoggettare il calcolo delle riserve tecniche a disposizioni supplementari più dettagliate rispetto a quelle contenute nella direttiva in esame.

§      i fondi propri obbligatori nel caso in cui gli EPAP assumano in proprio l’onere a copertura dei rischi biometrici (articolo 17) e le regole in materia di investimenti (articolo 18).

In particolare, lo Stato membro di origine ha l’obbligo di provvedere affinché gli EPAP gestori di schemi previdenziali in cui è l’ente stesso a coprire direttamente rischi biometrici e/o garantisce o un rendimento degli investimenti o un determinato livello di prestazioni a copertura, detengano, su base permanente, attività supplementari rispetto alle riserve tecniche gestite.

Inoltre, per quanto concerne le regole in materia di investimenti, la gestione dei portafogli d’investimento deve ispirarsi a criteri qualitativi (sicurezza, liquidità, qualità, rendimento, diversificazione) piuttosto che a criteri quantitativi uniformi, al fine di consentire ad ogni EPAP l’applicazione dei criteri indicati conformemente alla natura ed alla scadenza delle future pensionistiche previste.

 

Vigilanza

Ai sensi dell’articolo 14, le autorità di vigilanza hanno poteri sufficienti per esercitare le proprie funzioni e tutelare gli interessi degli aderenti e dei beneficiari, potendo svolgere anche accertamenti presso gli uffici degli EPAP e, se del caso, presso società esterne alle quali questi abbiano affidato delle funzioni.

Le autorità di vigilanza competenti hanno la facoltà di adottare, nei confronti di un ente pensionistico avente sede nel loro territorio o delle persone che lo gestiscono, le misure che ritengono adeguate e necessarie, incluse, se del caso, quelle di carattere amministrativo o pecuniario, per evitare o sanare eventuali irregolarità che possano ledere gli interessi degli aderenti e dei beneficiari (paragrafo 2). In particolare possono limitare o vietare la libera disponibilità dell’attivo dell’EPAP nel caso in cui l’ente stesso:

§      non abbia costituito riserve tecniche sufficienti in relazione all’attività complessiva;

§      non detenga fondi i fondi propri obbligatori.

 

Le autorità di vigilanza possono altresì trasferire (paragrafo 3), in tutto o in parte, i poteri attribuiti dalla legge dello Stato membro d’origine ai soggetti gestori dell’ente ad un rappresentante speciale, idoneo ad esercitare i poteri stessi.

 

Attività transfrontaliera

L’articolo 20 detta disposizioni per la rimozione degli ostacoli alla gestione transfrontaliera di regimi di pensione aziendali e professionali, armonizzando alcune norme prudenziali di base, prevedendo altresì il riconoscimento reciproco dei sistemi nazionali e proponendo un sistema di comunicazione e cooperazione tra le autorità competenti estabilendo, in particolare (paragrafo 1), che un ente che intenda gestire un regime pensionistico in un altro Stato membro debba applicare le peculiari disposizioni legislative in materia sociale e di diritto del lavoro dello Stato membro nel quale ha sede l’impresa promotrice (si tratta essenzialmente di norme che stabiliscono quali tipi di prestazioni devono essere erogate). Inoltre, “l’elevatissimo numero degli enti operanti in alcuni Stati membri rende necessaria una soluzione pragmatica per quanto riguarda il requisito della loro autorizzazione preventiva” (“considerando” n. 21): a tal fine, come accennato in precedenza (articolo 9, paragrafo 5), per svolgere attività su scala transfrontaliera un EPAP deve disporre di una autorizzazione rilasciata dall’autorità competente dello Stato membro di origine (paragrafo 2).

Ai fini dell’attività transfrontaliera è inoltre previsto:

§      che gli Stati membri possano esigere dall’EPAP con sede nel loro territorio ma con impresa promotrice in un altro Stato membro informazioni ulteriori rispetto alla citata notificazione. Tali informazioni sono successivamente comunicate alle autorità competenti dello stato membro ospitante (paragrafo 4);

§      che le autorità dello Stato membro ospitante comunichino alle autorità dello Stato membro dell’EPAP che abbia iniziato a gestire uno schema pensionistico le disposizioni legislative in materia sociale e di diritto del lavoro conformemente alle quali lo schema pensionistico – avente un’impresa promotrice in uno Stato membro ospitante - debba essere gestito;

§      che l’EPAP inizi la sua attività una volta ricevuta la comunicazione di cui al precedente punto;

§      che gli EPAP aventi impresa promotrice in altro Stato osservino i requisiti di informazione di cui all’articolo 11;

§      che le autorità di vigilanza dello Stato membro ospitante comunichino alle autorità dello Stato membro di origine eventuali modifiche significative delle disposizioni legislative in materia sociale e di diritto del lavoro;

§      che le autorità di vigilanza dello Stato membro ospitante informino le autorità dello Stato membro di origine nel caso in cui rilevino irregolarità nell’attività dell’EPAP in relazione alle disposizioni legislative in materia sociale e di diritto del lavoro o in materia di informazione, prendendo opportune misure nel caso in cui tali irregolarità non cessino.

 

 

Attuazione della direttiva

L’articolo 22 della direttiva prevede che gli Stati membri pongono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi ad essa entro il 23 settembre 2005.

 

Si evidenzia, tuttavia, che non è stata ancora data attuazione nell’ordinamento interno alla direttiva in questione (cfr. infra).

 

A tal proposito si ricorda che la legge n. 62 del 2005 (legge comunitaria 2004) all’articolo 1 delega il Governo a dare attuazione, entro diciotto mesi dall’entrata in vigore[11], tra l’altro, alla direttiva 2003/41/CE (ricompresa nell’allegato B della stessa legge comunitaria).

 

Si ricorda, inoltre, che il disegno di legge S. 3509-B (legge comunitaria 2005), approvato definitivamente dal Senato il 18 gennaio scorso (e in attesa di pubblicazione alla data di redazione del presente dossier), all’articolo 18 reca una disposizione che attribuisce una nuova delega al Governo per l'attuazione della direttiva 2003/41/CE, questa volta specificando i principi e criteri direttivi per dare attuazione alla direttiva in esame.

 

Sotto il profilo della tecnica normativa, la disciplina di delega è posta in forma di novella della precedente legge comunitaria (L. 18 aprile 2005, n. 62, dove viene inserito un articolo 29-bis). Ai sensi dei capoversi 1 e 2, la delega deve essere esercitata entro 18 mesi dall'entrata in vigore della disposizione stessa (cioè della legge comunitaria 2005) e decreti legislativi integrativi e correttivi possono essere emanati nei due anni successivi all'entrata in vigore del primo decreto legislativo.

 

I principi e criteri direttivi, posti dai capoversi 3, 4 e 5 - fermo restando il rinvio alle norme e ai principi posti dalla stessa direttiva in merito all’ambito di applicazione della disciplina, alle condizioni per l’esercizio dell’attività e ai compiti di vigilanza - riguardano, in sintesi:

-       l'ampliamento dei compiti di controllo e di intervento della Commissione di vigilanza sui fondi pensione, ivi compresa l'attribuzione alla medesima del potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie (lettera a), numeri 1) e 2), del capoverso 3);

-       le riserve tecniche (nonché le attività supplementari rispetto alle medesime) di alcune tipologie di fondi pensione (numero 3) della suddetta lettera a));

-       la separazione giuridica tra il soggetto promotore ed i fondi pensione, con riguardo alle forme interne ad enti diversi dalle imprese bancarie ed assicurative (numero 4) della lettera a));

-       l'esclusione - fatte salve alcune norme e misure - dall'ambito di applicazione della direttiva in esame per le forme pensionistiche complementari che contino meno di 100 aderenti (numero 5));

-       l'esercizio dell'attività trasfrontaliera, da parte delle forme pensionistiche complementari aventi sede nel territorio italiano o di quelle ivi operanti (lettera b) del capoverso 3);

-       le forme di collaborazione e lo scambio di informazioni, in materia, tra la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, le altre autorità di vigilanza, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Ministero dell’economia e delle finanze. Tale disciplina deve regolare, in particolare, il divieto di opposizione reciproca del segreto d’ufficio (lettera c) del capoverso 3);

-       le forme di collaborazione e lo scambio di informazioni fra le istituzioni nazionali, quelle comunitarie e quelle degli altri Paesi membri (lettera d) del capoverso 3);

-       il divieto di determinazione di nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (capoverso 5).

 

Si prevede inoltre che il Governo provveda al coordinamento delle disposizioni di recepimento della direttiva in questione con le norme previste dall’ordinamento interno, in particolare con il decreto legislativo n. 124 del 1993[12], “eventualmente adattando le norme vigenti in vista del perseguimento delle finalità della medesima direttiva”.

 

 


Schede di lettura

 


 

Art. 1
(Ambito di applicazione e definizioni)

 

 


1. Il presente decreto legislativo disciplina le forme di previdenza per l'erogazione di trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio, ivi compresi quelli gestiti dagli enti di diritto privato di cui al D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, e al D.Lgs. 10 febbraio 1996, n. 103, al fine di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale.

2. L'adesione alle forme pensionistiche complementari disciplinate dal presente decreto è libera e volontaria.

3. Ai fini del presente decreto s'intendono per:

a) «forme pensionistiche complementari collettive»: le forme di cui agli articoli 3, comma 1, lettere da a) a h), e 12, che hanno ottenuto l'autorizzazione all'esercizio dell'attività da parte della COVIP, e di cui all'articolo 20, iscritte all'apposito albo, alle quali è possibile aderire collettivamente o individualmente e con l'apporto di quote del trattamento di fine rapporto;

b) «forme pensionistiche complementari individuali»: le forme di cui all'articolo 13, che hanno ottenuto l'approvazione del regolamento da parte della COVIP alle quali è possibile destinare quote del trattamento di fine rapporto;

c) «COVIP»: la Commissione di vigilanza sulle forme pensionistiche complementari, istituita ai sensi dell'articolo 18, di seguito denominata: «COVIP»;

d) «TFR»: il trattamento di fine rapporto;

e) «TUIR»: il testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.

4. Le forme pensionistiche complementari sono attuate mediante la costituzione, ai sensi dell'articolo 4, di appositi fondi o di patrimoni separati, la cui denominazione deve contenere l'indicazione di «fondo pensione», la quale non può essere utilizzata da altri soggetti.


 

 

L’articolo 1 definisce l’ambito di applicazione del decreto legislativo e la nozione di forme pensionistiche complementari, comprendendo tra queste quelle gestite dagli enti di diritto privato di cui ai decreti legislativi n. 509 del 1994 e n. 103 del 1996.

Si ricorda che il decreto legislativo n. 509 del 1994 ha previsto, a decorrere dal 1° gennaio 1995, la trasformazione in persone giuridiche di diritto privato (fondazioni o associazioni) di alcuni enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie. Si tratta in particolare di casse o enti di gestione previdenziale di lavoratori autonomi iscritti ad albi professionali.

In seguito il decreto legislativo n. 103 del 1996 ha previsto la creazione di forme di previdenza obbligatoria per i lavoratori iscritti ad albi o elenchi che ne fossero sprovvisti, a decorrere dal 1° gennaio 1996.

Si specifica che la finalità della previdenza complementare è quella di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale (comma 1) e che l’adesione alle forme pensionistiche complementari è libera e volontaria (comma 2).

 

Il comma 3 definisce come:

-        forme pensionistiche complementari collettive”, le forme di cui all’articolo 3, comma 1, lettere da a) a h) (fondi negoziali, fondi istituiti dalle regioni); i fondi pensione aperti promossi da intermediari bancari, finanziari e assicurativi (articolo 12); le forme pensionistiche complementari già istituite alla data di entrata in vigore della legge n. 421 del 1992.

-         “forme pensionistiche complementari individuali”, le forme di cui all’articolo 13 che hanno ottenuto l’approvazione del regolamento da parte della COVIP (contratti di assicurazione sulla vita).

 

Con il comma 4 si prevede poi che le forme pensionistiche complementari sono attuate mediante la costituzione di appositi fondi, o di patrimoni separati, la cui denominazione deve contenere l’indicazione di “fondo pensione”, la quale non può essere utilizzata da altri soggetti.

 

 

 


 

Art. 2
(Destinatari)

 

 


1. Alle forme pensionistiche complementari possono aderire in modo individuale o collettivo:

a) i lavoratori dipendenti, sia privati sia pubblici, anche secondo il criterio di appartenenza alla medesima impresa, ente, gruppo di imprese, categoria, comparto o raggruppamento, anche territorialmente delimitato, o diversa organizzazione di lavoro e produttiva, ivi compresi i lavoratori assunti in base alle tipologie contrattuali previste dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276;

b) i lavoratori autonomi e i liberi professionisti, anche organizzati per aree professionali e per territorio;

c) i soci lavoratori di cooperative, anche unitamente ai lavoratori dipendenti dalle cooperative interessate;

d) i soggetti destinatari del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 565, anche se non iscritti al fondo ivi previsto.

2. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto possono essere istituite:

a) per i soggetti di cui al comma 1, lettere a), c) e d), esclusivamente forme pensionistiche complementari in regime di contribuzione definita;

b) per i soggetti di cui al comma 1, lettera b), anche forme pensionistiche complementari in regime di prestazioni definite, volte ad assicurare una prestazione determinata con riferimento al livello del reddito ovvero a quello del trattamento pensionistico obbligatorio.


 

 

 

L’articolo in esame, sostanzialmente coincidente con il vigente articolo 2 del decreto legislativo n. 124 del 1993, riguarda i destinatari delle forme pensionistiche complementari. In particolare possono aderire, in forma individuale o collettiva:

 

§      i lavoratori dipendenti, sia privati sia pubblici, compresi i lavoratori assunti in base alle tipologie contrattuali previste dal decreto legislativo n. 276 del 2003.

I criteri indicati di appartenenza dei lavoratori subordinati evidenziano, per quanto riguarda la “categoria, comparto o raggruppamento, anche territorialmente delimitato”, una notevole affinità con i criteri di aggregazione in materia di associazione sindacale.

Si ricorda che il decreto legislativo n. 276 del 2003 ha introdotto le tipologie contrattuali del lavoro accessorio (articolo 71), del lavoro intermittente o a chiamata (articolo 33), del lavoro ripartito (articolo 41) e del contratto di inserimento lavorativo (articolo 54).

Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative di natura meramente occasionale rese da soggetti a rischio di esclusione sociale o non ancora entrati nel mercato del lavoro (disoccupati da oltre un anno; le casalinghe, studenti e pensionati; disabili e soggetti in comunità di recupero; lavoratori extracomunitari, regolarmente soggiornanti in Italia, nei sei mesi successivi alla perdita del lavoro) nell'ambito di attività specificamente determinate, caratterizzate dallo svolgimento in ambito prevalentemente domestico o dalla connessione ad eventi di rilievo culturale o a lavori di emergenza o solidarietà.

Tali attività lavorative, anche se svolte a favore di più beneficiari, configurano rapporti di natura meramente occasionale e accessoria, intendendosi per tali le attività che attività che non danno complessivamente luogo, con riferimento al medesimo committente, a compensi superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare L’elemento innovativo della disciplina del lavoro accessorio è costituito dalle modalità di assolvimento dell’obbligo retributivo e contributivo connesso alle prestazioni, che avviene attraverso l’acquisto presso le rivendite autorizzate, da parte dei datori di lavoro, di uno o più carnet di buoni per prestazioni di lavoro accessorio da consegnare al prestatore di lavoro accessorio. Quest’ultimo riceve il proprio compenso all’atto della restituzione dei buoni al concessionario del servizio, da individuarsi con decreto ministeriale. Il compenso è esente da qualsiasi imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato del prestatore di lavoro accessorio. Al riguardo, si ricorda che con il D.M. 30 settembre 2005, pubblicato sulla G.U. n. 302 del 29 dicembre 2005, è stata determinata l’attribuzione del valore nominale del buono per le prestazioni di lavoro occasionale accessorio e disposizioni per l'avvio della sperimentazione.

Il concessionario, oltre provvedere al pagamento delle spettanze alla persona che presenta i buoni, effettua il versamento dei contributi per fini previdenziali all'INPS e per fini assicurativi contro gli infortuni all'INAIL. Il lavoro intermittente è basato sul contratto di lavoro mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro, che è tenuto a retribuirlo per i periodi effettivi di prestazione del lavoro, secondo le necessità dell’impresa. Nel caso in cui il contratto preveda l’obbligo del lavoratore di effettuare la prestazione ogni qualvolta richiesto dal datore di lavoro, il contratto medesimo deve prevedere la misura dell’indennità mensile di disponibilità, stabilita dai contratti collettivi. A parte tale indennità, per i periodi nei quali non vi è effettiva prestazione di lavoro, il lavoratore intermittente non è titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati (malattia, anzianità, trattamento di fine rapporto).

Il contratto di lavoro ripartito è caratterizzato dal fatto che due lavoratori sono obbligati in solido nei confronti del datore di lavoro per l’esecuzione di un’unica obbligazione lavorativa. E’ prevista la responsabilità personale e diretta di ciascun lavoratore per l’adempimento della intera obbligazione lavorativa, fermo restando il vincolo di solidarietà e quindi la possibilità di agire in via di regresso nei confronti dell’altro lavoratore. Inoltre, salve diverse previsioni contrattuali, è data la possibilità ai lavoratori di accordarsi discrezionalmente e in qualsiasi momento per sostituzioni tra di loro, nonché di modificare consensualmente la collocazione temporale del rispettivo orario di lavoro. Si rinvia alla contrattazione collettiva per l’ulteriore disciplina del lavoro ripartito, prevedendo che in mancanza si applica la normativa generale del rapporto di lavoro subordinato, in quanto compatibile con la particolare natura del rapporto di lavoro ripartito. Si equipara i lavoratori coobbligati, ai fini previdenziali e assistenziali, ai lavoratori a part-time. Il calcolo delle prestazioni e dei contributi è tuttavia effettuato mese per mese, salvo conguaglio a fine anno a seguito dell’effettivo svolgimento della prestazione lavorativa.

Il contratto di inserimento in pratica sostituisce, anche nella denominazione, il contratto di formazione e lavoro, allo scopo di rendere “spendibili” le competenze lavorative dei lavoratori, giovani o in difficoltà a prescindere dall’età, in un determinato contesto lavorativo. I contratti di inserimento possono essere stipulati non solo da imprese, ma anche da alcune persone giuridiche ed associazioni.

Il decreto in oggetto ha inoltre riformato la disciplina del lavoro a tempo parziale, del lavoro interinale e del contratto di apprendistato.

E’ da ritenere che il riferimento di cui alla lettera a) alle tipologie contrattuali previste dal decreto legislativo n. 276 del 2003 riguardi anche il contratto di inserimento, il lavoro ripartito e il lavoro intermittente e non riguardi invece, in considerazione delle caratteristiche di occasionalità, il lavoro accessorio di cui all’articolo 70 e seguenti dello stesso decreto.

 

§      i lavoratori autonomi e i liberi professionisti.

Si consideri che il testo iniziale dello schema di decreto ricomprendeva espressamente anche “i lavoratori autonomi impiegati nell’ambito di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e a progetto di cui al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276”.

Non è chiaro se l’aver cassato tale inciso nel testo finale assuma una valenza solamente formale o se, al contrario, si sia voluto escludere tali soggetti dalla categoria di cui alla lettera b). Sembra preferibile la prima opzione, non solo da un punto di vista letterale (l’ampia dizione di “lavoratori autonomi” potrebbe ricomprendere anche i lavoratori parasubordinati, se considerata come complementare rispetto alla categoria dei lavoratori subordinati), ma soprattutto da un punto di vista logico-sistematico. Peraltro tale interpretazione appare più rispondente anche ai principi e criteri direttivi di delega, volti ad una maggiore diffusione e ad un rafforzamento della previdenza complementare.

Si ricorda che gli articoli 61 e seguenti del decreto n. 276/2003 prevedono l’obbligo di ricondurre i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ad uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso, determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa. Nel caso in cui tali rapporti siano instaurati senza individuare uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, essi vengono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato fin dalla data di costituzione del rapporto. Da tale previsione sono esclusi le prestazioni meramente occasionali, le professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi, il rapporto di agenzia, i componenti degli organi amministrativi e di controllo delle società commerciali, i titolari di pensione di vecchiaia.

Le nuove norme sul lavoro a progetto non riguardano le pubbliche amministrazioni. Pertanto esse potranno continuare ad utilizzare i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa senza le nuove stringenti limitazioni, secondo la disciplina previdente.

 

§      i soci lavoratori di cooperative, anche insieme ai lavoratori dipendenti dalle cooperative interessate.

Si ricorda che la disciplina del socio lavoratore di cooperativa è contenuta sostanzialmente nella legge n. 142 del 2001. Il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione, o successivamente all’instaurazione del rapporto associativo, un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali. Dall’instaurazione dei predetti rapporti associativi e di lavoro in qualsiasi forma derivano i relativi effetti di natura fiscale e previdenziale e tutti gli altri effetti giuridici previsti dalla legge.

 

§      i soggetti destinatari del decreto legislativo n. 565 del 1996, anche se non iscritti al fondo ivi previsto.

Si tratta di coloro che svolgono “lavori di cura non retribuiti derivanti da responsabilità familiari”, in sostanza le casalinghe. Il decreto n. 565 del 1996 ha istituito, al fine di armonizzare la disciplina della gestione “Mutualità pensioni” con le disposizioni di cui alla legge n. 335 del 1995, il “Fondo di previdenza per le persone che svolgono lavori di cura non retribuiti derivanti da responsabilità familiari”. A tale Fondo possono iscriversi, su base volontaria, i soggetti che svolgono, senza vincolo di subordinazione, lavori non retribuiti in relazione a responsabilità familiari e che non prestano attività lavorativa autonoma o alle dipendenze di terzi e non sono titolari di pensione diretta.

Si consideri che la possibilità di aderire alle forme pensionistiche complementari della categoria in questione, “anche se non iscritti al fondo”, si discosta dal principio contenuto inizialmente nel decreto legislativo n. 124 del 1993, di affiancare la previdenza complementare (e relativo assetto dei benefici) esclusivamente per i lavoratori che siano già destinatari della previdenza pubblica. Tuttavia tale previsione è stata già introdotta nel decreto n. 124 con il decreto legislativo n. 47 del 2000 e quindi il provvedimento in esame si limita a confermare tale previsione.

 

Il comma 2, confermando quanto già previsto dalla vigente disciplina, prevede che per i lavoratori dipendenti, per i soci lavoratori di cooperative e per i soggetti destinatari del decreto legislativo n. 565 del 1996 possano essere istituite esclusivamente forme pensionistiche in regime di contribuzione definita, mentre per i lavoratori autonomi e i liberi professionisti anche forme pensionistiche complementari in regime di prestazioni definite, che in pratica assicurano una prestazione agganciata al livello del reddito o a quello del trattamento pensionistico.

Si ricorda che in realtà, a differenza di quanto previsto dal testo, la prestazione definita potrebbe essere determinata con un importo già prefissato, oltre che espresso in percentuale all’ammontare del reddito ovvero all’ammontare della pensione a cui il soggetto avrà diritto.

La prestazione così garantita non muta, naturalmente, nel caso in cui i rendimenti della capitalizzazione dei contributi non permettano obiettivamente il raggiungimento dell’ammontare predefinito della prestazione pensionistica. Ciò comporterebbe che il rischio collegato all’andamento degli investimenti, i quali possono non raggiungere i livelli di rendimento necessari, dovrebbe essere posto a carico del fondo. In realtà spesso il rischio viene traslato a carico dei partecipanti, prevedendosi che possa mutare l’entità del contributo. Pertanto il meccanismo previsto per questa tipologia di fondo viene descritto in forma abbreviata nella sua stessa denominazione di fondo a prestazione definita e a contribuzione variabile.

L’altra forma (contribuzione definita – prestazione variabile) contempla l’esatta predeterminazione, al momento dell’adesione al fondo, dell’entità del contributo annuo da destinare al finanziamento del fondo. La prestazione finale, invece, è determinata dalla somma dei contributi versati diminuita o aumentata dai risultati della gestione. Il rischio finanziario viene pertanto sopportato in proprio dal futuro pensionato, ma in compenso, costui non è esposto al rischio di dover sopperire mediante un incremento della retribuzione agli squilibri che possono manifestarsi nel fondo.

 

 


 

Art. 3
(Istituzione delle forme pensionistiche complementari)

 

 


1. Le forme pensionistiche complementari possono essere istituite da:

a) contratti e accordi collettivi, anche aziendali, limitatamente, per questi ultimi, anche ai soli soggetti o lavoratori firmatari degli stessi, ovvero, in mancanza, accordi fra lavoratori, promossi da sindacati firmatari di contratti collettivi nazionali di lavoro; accordi, anche interaziendali per gli appartenenti alla categoria dei quadri, promossi dalle organizzazioni sindacali nazionali rappresentative della categoria, membri del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro;

b) accordi fra lavoratori autonomi o fra liberi professionisti, promossi da loro sindacati o da associazioni di rilievo almeno regionale;

c) regolamenti di enti o aziende, i cui rapporti di lavoro non siano disciplinati da contratti o accordi collettivi, anche aziendali;

d) le regioni, le quali disciplinano il funzionamento di tali forme pensionistiche complementari con legge regionale nel rispetto della normativa nazionale in materia;

e) accordi fra soci lavoratori di cooperative, promossi da associazioni nazionali di rappresentanza del movimento cooperativo legalmente riconosciute;

f) accordi tra soggetti destinatari del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 565, promossi anche da loro sindacati o da associazioni di rilievo almeno regionale;

g) gli enti di diritto privato di cui al D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, e al D.Lgs. 10 febbraio 1996, n. 103, con l'obbligo della gestione separata, sia direttamente sia secondo le disposizioni di cui alle lettere a) e b);

h) i soggetti di cui all'articolo 6, comma 1, limitatamente ai fondi pensione aperti di cui all'articolo 12;

i) i soggetti di cui all'articolo 13, limitatamente alle forme pensionistiche complementari individuali.

2. Per il personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le forme pensionistiche complementari possono essere istituite mediante i contratti collettivi di cui al titolo III del medesimo decreto legislativo. Per il personale dipendente di cui all'articolo 3, comma 1, del medesimo decreto legislativo, le forme pensionistiche complementari possono essere istituite secondo le norme dei rispettivi ordinamenti ovvero, in mancanza, mediante accordi tra i dipendenti stessi promossi da loro associazioni.

3. Le fonti istitutive delle forme pensionistiche complementari stabiliscono le modalità di partecipazione, garantendo la libertà di adesione individuale.


 

 

 

L’articolo in esame individua le specifiche fonti istitutive in relazione alla tipologia dei destinatari di cui all’articolo 2.

 

La lettera a) riguarda le fonti istitutive negoziali per i lavoratori subordinati. Si indicano come fonte istitutiva i contratti e accordi collettivi, anche a livello aziendale. Si prevede espressamente che gli accordi a livello aziendale possano limitare i loro effetti “anche ai soli soggetti o lavoratori firmatari degli stessi”.

I “soggetti” che, oltre ai lavoratori, possono essere firmatari degli accordi collettivi a livello aziendale, sono da identificare nelle varie organizzazioni sindacali. Pertanto la disposizione è volta a precisare che è possibile istituire un fondo pensione con un accordo a livello aziendale, senza che sia necessaria la sottoscrizione da parte di tutti i lavoratori (direttamente o tramite le organizzazioni sindacali a cui gli stessi sono iscritti). In tal caso, naturalmente, l’accordo aziendale istitutivo del fondo pensione avrà efficacia esclusivamente per i soggetti firmatari.

In via suppletiva vengono poi previsti accordi tra lavoratori, promossi da sindacati firmatari di contratti collettivi nazionali di lavoro. Inoltre si prevedono accordi, anche interaziendali, per gli appartenenti alla categoria dei quadri, promossi dalle organizzazioni sindacali rappresentative della categoria membri del CNEL.

 

La lettera b) riguarda le fonti istitutive per i lavoratori autonomi e per i liberi professionisti, prevedendo che gli accordi  istitutivi debbano essere promossi da sindacati o associazioni di rilievo almeno regionale.

E’ stato eliminato, rispetto al testo dello schema di decreto sottoposto al parere parlamentare, il riferimento ai lavoratori a progetto e ai co.co.co. (vedi supra, quanto già detto con riferimento all’articolo 2, comma 1, lettera b)).

 

La lettera c) prevede che le forme pensionistiche complementari possano essere istituite anche con regolamenti aziendali o di enti, i cui rapporti di lavoro non siano disciplinati da contratti o accordi collettivi, anche aziendali.

 

La lettera d) prevede che forme pensionistiche complementari possono essere istituite dalle regioni con legge regionale, nel rispetto della normativa nazionale specifica.

 

Per quanto attiene alle forme pensionistiche complementari istituite o promosse dalle Regioni, si ricorda che ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, la previdenza complementare ed integrativa è materia di legislazione concorrente tra Stato e Regioni[13]. Su tale previsione non incide, peraltro, neanche il Testo di legge Costituzionale approvato in seconda deliberazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi, pubblicato nella GU n.269 del 18 Novembre 2005, recante “Modifica alla parte II della Costituzione”.[14] In particolare l’articolo 39 di tale legge, pur modificando in più punti l’articolo 117 della Costituzione, lascia invariata la parte di tale articolo relativa alla previdenza complementare e integrativa.

Alcune regioni hanno emanato disposizioni al riguardo[15]. In particolare, alcune regioni (Trentino-Alto Adige) hanno costituito una società di servizi e consulenza ai fini della gestione amministrativa dei fondi pensione costituiti su base territoriale regionale; in altre realtà (Friuli-Venezia Giulia) è stato creato un fondo speciale, costituito presso società con fini di orientamento dell’impiego del risparmio, al quale è affidata la gestione dei fondi pensione sotto il profilo amministrativo-contabile. Altre regioni (Valle d’Aosta) hanno scelto di contribuire alla costituzione, all'avviamento e al funzionamento dei fondi sotto il profilo amministrativo – contabile, attraverso la costituzione di una società di servizi e consulenza per la gestione amministrativa. Infine, altre realtà (Lazio) hanno finalizzato l’intervento alla promozione ed al sostegno dei fondi pensione destinati ai dipendenti della Regione stessa, dei suoi enti pubblici strumentali, delle società ad essa collegate e delle ASL della Regione, nonché ai dipendenti del settore pubblico regionale.

 

La lettera e) prevede, come fonte istitutiva, accordi tra soci lavoratori di cooperative, mentre la lettera f) prevede come fonte istitutiva accordi tra soggetti destinatari del fondo per la mutualità delle “casalinghe”.

 

La lettera g) rappresenta una novità rispetto alla vigente disciplina, poiché prevede come fonti istitutive anche gli enti di diritto privato (associazioni e fondazioni) di cui ai decreti n. 509 del 1994 e n. 103 del 1996 (vedi supra, articolo 1), con obbligo della gestione separata.

 

Infine le lettere h) ed i) prevedono rispettivamente che forme pensionistiche complementari possono essere istituite dai soggetti di cui all’articolo 6 (società assicurative, società di gestione del risparmio), limitatamente ai fondi aperti, e dalle imprese assicurative, con riferimento alle forme pensionistiche complementari individuali.

 

Il comma 2 conferma che, per il personale “contrattualizzato” dipendente dalle pubbliche amministrazioni, le forme pensionistiche complementari possono essere istituite mediante la contrattazione collettiva, mentre per il personale in regime di diritto pubblico (di cui all’articolo 3 del decreto legislativo n. 165 del 2001) i fondi pensione possono essere istituiti secondo i rispettivi ordinamenti ovvero, in via subordinata, mediante accordi tra i dipendenti stessi promossi dalle rispettive associazioni.

Si ricorda che l’articolo 3 del decreto legislativo n. 165 del 2001 prevede che non sono interessati dalla “privatizzazione “ del rapporto e pertanto rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e le Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, i professori e i ricercatori universitari e i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287.

 

Il comma 3 prevede che l’adesione alla previdenza complementare sia improntato ad un principio di libera scelta individuale.

 

 

 


 

Art. 4
(Costituzione dei fondi pensione ed autorizzazione all’esercizio)

 

 


1. I fondi pensione sono costituiti:

a) come soggetti giuridici di natura associativa, ai sensi dell'art. 36 del codice civile, distinti dai soggetti promotori dell'iniziativa;

b) come soggetti dotati di personalità giuridica; in tale caso, in deroga alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361, il riconoscimento della personalità giuridica consegue al provvedimento di autorizzazione all'esercizio dell'attività adottato dalla COVIP; per tali fondi pensione, la COVIP cura la tenuta del registro delle persone giuridiche e provvede ai relativi adempimenti.

2. I fondi pensione istituiti ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettere g), h) e i), possono essere costituiti altresì nell'àmbito della singola società o del singolo ente attraverso la formazione, con apposita deliberazione, di un patrimonio di destinazione, separato ed autonomo, nell'àmbito della medesima società od ente, con gli effetti di cui all'art. 2117 del codice civile.

3. L'esercizio dell'attività dei fondi pensione di cui all'articolo 3, comma 1, lettere da a) a h), è subordinato alla preventiva autorizzazione da parte della COVIP, la quale trasmette al Ministro del lavoro e delle politiche sociali e al Ministro dell'economia e delle finanze l'esito del procedimento amministrativo relativo a ciascuna istanza di autorizzazione; i termini per il rilascio del provvedimento che concede o nega l'autorizzazione sono fissati in sessanta giorni dalla data di ricevimento da parte della COVIP dell'istanza e della prescritta documentazione ovvero in trenta giorni dalla data di ricevimento dell'ulteriore documentazione eventualmente richiesta entro trenta giorni dalla data di ricevimento dell'istanza; la COVIP può determinare con proprio regolamento le modalità di presentazione dell'istanza, i documenti da allegare alla stessa ed eventuali diversi termini per il rilascio dell'autorizzazione comunque non superiori ad ulteriori trenta giorni. Con uno o più decreti da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali determina:

a) i requisiti formali di costituzione, nonché gli elementi essenziali sia dello statuto sia dell'atto di destinazione del patrimonio, con particolare riferimento ai profili della trasparenza nei rapporti con gli iscritti ed ai poteri degli organi collegiali;

b) i requisiti per l'esercizio dell'attività, con particolare riferimento all'onorabilità e professionalità dei componenti degli organi collegiali e, comunque, del responsabile della forma pensionistica complementare, facendo riferimento ai criteri definiti ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, da graduare sia in funzione delle modalità di gestione del fondo stesso sia in funzione delle eventuali delimitazioni operative contenute negli statuti;

c) i contenuti e le modalità del protocollo di autonomia gestionale.

4. Chiunque eserciti l'attività di cui al presente decreto senza le prescritte autorizzazioni o approvazioni è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 5.200 euro a 25.000 euro. È sempre ordinata la confisca delle cose che sono servite o sono state destinate a commettere il reato o che ne sono il prodotto o il profitto, salvo che appartengano a persona estranea al reato.

5. I fondi pensione costituiti nell'àmbito di categorie, comparti o raggruppamenti, sia per lavoratori subordinati sia per lavoratori autonomi, devono assumere forma di soggetto riconosciuto ai sensi del comma 1, lettera b), ed i relativi statuti devono prevedere modalità di raccolta delle adesioni compatibili con le disposizioni per la sollecitazione al pubblico risparmio.

6. La COVIP disciplina le ipotesi di decadenza dall'autorizzazione quando il fondo pensione non abbia iniziato la propria attività ovvero quando non sia stata conseguita la base associativa minima prevista dal fondo stesso, previa convocazione delle fonti istitutive.


 

 

L’articolo 4 disciplina le modalità di costituzione dei fondi pensione e l’autorizzazione all’esercizio degli stessi, modificando in alcuni punti la disciplina di cui all’articolo 4 del decreto legislativo n. 124 del 1993.

Dopo aver confermato che i fondi pensione possono costituirsi come associazioni (ai sensi dell’articolo 36 del codice civile) o come soggetti dotati di personalità giuridica, si prevede che in tale ultimo caso, in deroga al D.P.R. 361 del 2000[16], il riconoscimento della personalità giuridica consegue direttamente al provvedimento di autorizzazione all’attività adottato dalla COVIP. Pertanto la COVIP provvede anche agli adempimenti connessi alla tenuta del registro delle persone giuridiche relativamente ai fondi pensione.

Per quel che concerne le forme promosse dagli enti di cui ai D.Lgs. 509/1994 e 103/1996 e dagli intermediari finanziari e assicurativi (limitatamente ai fondi pensione aperti e ai contratti di assicurazione sulla vita), è previsto che esse possano essere costituite nell’ambito della singola società o ente attraverso la formazione, con apposita deliberazione, di un patrimonio di destinazione, separato e autonomo, con gli effetti di cui all’articolo 2117 del codice civile.

 

Il comma 3 del medesimo articolo rivede le previgenti disposizioni in tema di autorizzazione all’esercizio dell’attività, disponendo in primo luogo una riduzione dei termini dei relativi procedimenti amministrativi di competenza della COVIP. In particolare si riduce da novanta a sessanta giorni il termine per il rilascio del provvedimento che concede o nega l’autorizzazione; inoltre, nel caso di richiesta di documentazione integrativa, il termine si riduce da sessanta a trenta giorni rispetto al ricevimento della stessa documentazione.

La COVIP con regolamento determina le modalità di presentazione dell’istanza, i documenti da allegare alla stessa ed eventuali diversi termini per il rilascio dell’autorizzazione, comunque non superiori ad ulteriori trenta giorni rispetto al termine stabilito dall’articolo in esame.

Si conferma, rispetto alla normativa vigente, che con decreto del Ministro del lavoro si determinano: i requisiti formali della costituzione e gli elementi essenziali dello statuto; i requisiti per l’esercizio dell’attività, con particolare riferimento all’onorabilità e alla professionalità degli organi collegiali e del responsabile della forma pensionistica complementare; i contenuti e le modalità del protocollo di autonomia gestionale.

Con riferimento ai requisiti di onorabilità e professionalità, si prevede che il decreto del Ministro del lavoro faccia riferimento ai criteri definiti dall’articolo 13 del decreto legislativo n. 58 del 1998.

Si ricorda che l’articolo 13 in questione dispone in merito ai requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso SIM, società di gestione del risparmio e SICAV, prevedendo che tali requisiti siano stabiliti con regolamento del Ministro dell’economia, adottato sentita la Banca d’Italia e la CONSOB. La materia è disciplinata dal decreto ministeriale 11 novembre 1998, n. 486.

L’articolo 13 del decreto legislativo n. 58 del 1998 prevede che il difetto dei requisiti determina la decadenza dalla carica e che essa sia dichiarata dal consiglio di amministrazione, dal consiglio di sorveglianza o dal consiglio di gestione. Nel caso dei fondi pensione la competenza dovrebbe essere del consiglio di amministrazione. Inoltre, in caso di inerzia, la competenza alla pronuncia della decadenza dovrebbe essere della COVIP.

Si consideri che i criteri di cui all’articolo 13 non sono applicabili integralmente o automaticamente, poiché il decreto del Ministro del lavoro dovrebbe “graduare” tale requisiti sia in funzione delle modalità di gestione del fondo sia in funzione delle delimitazioni contenute negli statuti.

Si evidenzia che, nelle more della pubblicazione dei decreti (per la cui emanazione non è fissato un termine), è da ritenere che i requisiti formali di costituzione, i requisiti di onorabilità e professionalità e i contenuti del protocollo di autonomia gestionale continuino ad essere disciplinati dal D.M. 14 gennaio 1997, n. 211, successivamente modificato dal D. M. 20 giugno 2003.

 

Il comma 4 prevede, sostanzialmente confermando le disposizioni di cui all’articolo 18-bis del decreto legislativo n. 124 del 1993, una fattispecie delittuosa, sanzionando con la reclusione da sei mesi a tre anni, nonché con la multa da 5.200 a 25.000 euro, chiunque eserciti attività relative alla previdenza complementare senza le prescritte autorizzazioni o approvazioni.

E’ altresì prevista la confisca delle cose utilizzate o destinate alla commissione del reato o che ne costituiscano il prodotto o il profitto, salvo che appartengano a persona estranea al reato.

 

Il comma 5 dispone espressamente che i fondi pensione costituiti nell’ambito di categorie, comparti o raggruppamenti, sia per lavoratori subordinati sia per lavoratori autonomi, devono assumere la forma di soggetto con personalità giuridica e i relativi statuti devono prevedere forme di raccolta delle adesioni compatibili con le disposizioni sulla sollecitazione del pubblico risparmio.

Lo stesso comma prescrive altresì che gli statuti dei fondi pensione di categoria debbano prevedere modalità di raccolta delle adesioni compatibili con le disposizioni per la sollecitazione al pubblico risparmio.

La disposizione riproduce l’articolo 4, comma 4, del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124.

Il riferimento alla “sollecitazione al pubblico risparmio”[17], qui come nell’articolo 9, comma 1, del medesimo decreto legislativo, deriva dalla disciplina vigente all’epoca della sua emanazione, costituita in particolare dal decreto-legge 8 aprile 1974, n. 95 (Disposizioni relative al mercato mobiliare ed al trattamento fiscale dei titoli azionari), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 giugno 1974, n. 216, e dalle leggi successivamente intervenute sulla materia degli investimenti finanziari.

La disciplina relativa alla sollecitazione del pubblico risparmio è stata successivamente raccolta nel testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, emanato con decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, nella cui parte IV il titolo II riguarda l’appello al pubblico risparmio, ossia l’offerta di prodotti finanziari al pubblico, in particolare nella forma della sollecitazione all’investimento, disciplinata dal capo I. Nell’articolo 1, comma 1, lettera t), del medesimo testo unico è definita sollecitazione all’investimento “ogni offerta, invito a offrire o messaggio promozionale, in qualsiasi forma rivolti al pubblico, finalizzati alla vendita o alla sottoscrizione di prodotti finanziari”, rimanendo esclusa da tale nozione la raccolta di depositi bancari o postali realizzata senza emissione di strumenti finanziari.

 

L’articolo 25 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 (Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari), al comma 3, ha da ultimo stabilito che le competenze in materia di vigilanza sulla trasparenza e sulla correttezza dei comportamenti, indicate all’articolo 1, comma 2, lettera h), della legge 23 agosto 2004, n. 243, sono esercitate dalla Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP) compatibilmente con le disposizioni per la sollecitazione del pubblico risparmio.

 

Ai sensi del citato articolo 1, comma 2, lettera h), della legge n. 243 del 2004, il Governo è delegato a perfezionare l'omogeneità[18] del sistema di vigilanza sull'intero settore della previdenza complementare, con riferimento a tutte le forme pensionistiche collettive e individuali previste dall'ordinamento, e semplificare le procedure amministrative tramite:

1) l'esercizio da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali dell'attività di alta vigilanza mediante l'adozione, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, di direttive generali in materia;

2) l'attribuzione alla Commissione di vigilanza sui fondi pensione, ferme restando le competenze attualmente ad essa attribuite, del compito di impartire disposizioni volte a garantire la trasparenza delle condizioni contrattuali fra tutte le forme pensionistiche collettive e individuali, ivi comprese quelle di cui all'articolo 9-ter del D.Lgs. n. 124 del 1993, e di disciplinare e di vigilare sulle modalità di offerta al pubblico di tutti i predetti strumenti previdenziali, compatibilmente con le disposizioni per la sollecitazione del pubblico risparmio, al fine di tutelare l'adesione consapevole dei soggetti destinatari;

3) la semplificazione delle procedure di autorizzazione all'esercizio, di riconoscimento della personalità giuridica dei fondi pensione e di approvazione degli statuti e dei regolamenti dei fondi e delle convenzioni per la gestione delle risorse, prevedendo anche la possibilità di utilizzare strumenti quale il silenzio assenso e di escludere l'applicazione di procedure di approvazione preventiva per modifiche conseguenti a sopravvenute disposizioni di legge o regolamentari.

 

Il comma 6, infine, affida alla COVIP la disciplina delle ipotesi di decadenza dall’autorizzazione allorché il fondo pensione non abbia iniziato la propria attività, ovvero quando non sia stata raggiunta la base associativa minima prevista.

Si consideri che la vigente disciplina prevede la decadenza dall’autorizzazione decorsi dodici mesi dal rilascio. Pertanto sembra che l’articolo in esame affidi, tra l’altro, la fissazione di tale termine al potere regolamentare della COVIP.

 

 

 


 

Art. 5
(Partecipazione negli organi di amministrazione e di controllo e responsabilità)

 

 


1. La composizione degli organi di amministrazione e di controllo delle forme pensionistiche complementari, escluse quelle di cui agli articoli 12 e 13, deve rispettare il criterio della partecipazione paritetica di rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro. Per quelle caratterizzate da contribuzione unilaterale a carico dei lavoratori, la composizione degli organi collegiali risponde al criterio rappresentativo di partecipazione delle categorie e raggruppamenti interessati. I componenti dei primi organi collegiali sono nominati in sede di atto costitutivo. Per la successiva individuazione dei rappresentanti dei lavoratori è previsto il metodo elettivo secondo modalità e criteri definiti dalle fonti costitutive.

2. Il consiglio di amministrazione di ciascuna forma pensionistica complementare nomina il responsabile della forma stessa in possesso dei requisiti di onorabilità e professionalità e per il quale non sussistano le cause di incompatibilità e di decadenza così come previsto dal decreto di cui all'articolo 4, comma 3, lettera b). Il responsabile della forma pensionistica svolge la propria attività in modo autonomo e indipendente, riportando direttamente all'organo amministrativo della forma pensionistica complementare relativamente ai risultati dell'attività svolta. Per le forme pensionistiche di cui all'articolo 3, comma 1, lettere a), b), e) ed f), l'incarico di responsabile della forma pensionistica può essere conferito anche al direttore generale, comunque denominato, ovvero ad uno degli amministratori della forma pensionistica. Per le forme pensionistiche di cui agli articoli 12 e 13, l'incarico di responsabile della forma pensionistica non può essere conferito ad uno degli amministratori o a un dipendente della forma stessa ed è incompatibile con lo svolgimento di attività di lavoro subordinato, di prestazione d'opera continuativa, presso i soggetti istitutori delle predette forme, ovvero presso le società da queste controllate o che le controllano.

3. Il responsabile della forma pensionistica verifica che la gestione della stessa sia svolta nell'esclusivo interesse degli aderenti, nonché nel rispetto della normativa vigente e delle previsioni stabilite nei regolamenti e nei contratti; sulla base delle direttive emanate da COVIP provvede all'invio di dati e notizie sull'attività complessiva del fondo richieste dalla stessa COVIP. Le medesime informazioni vengono inviate contemporaneamente anche all'organismo di sorveglianza di cui ai commi 4 e 5. In particolare vigila sul rispetto dei limiti di investimento, complessivamente e per ciascuna linea in cui si articola il fondo, sulle operazioni in conflitto di interesse e sulle buone pratiche ai fini di garantire la maggiore tutela degli iscritti.

4. Ferma restando la possibilità per le forme pensionistiche complementari di cui all'articolo 12 di dotarsi di organismi di sorveglianza anche ai sensi di cui al comma 1, le medesime forme prevedono comunque l'istituzione di un organismo di sorveglianza, composto da almeno due membri, in possesso dei requisiti di onorabilità e professionalità, per i quali non sussistano le cause di incompatibilità e di decadenza previste dal decreto di cui all'articolo 4, comma 3. In sede di prima applicazione, i predetti membri sono designati dai soggetti istitutori dei fondi stessi, per un incarico non superiore al biennio. La partecipazione all'organismo di sorveglianza è incompatibile con la carica di amministratore o di componente di altri organi sociali, nonché con lo svolgimento di attività di lavoro subordinato, di prestazione d'opera continuativa, presso i soggetti istitutori dei fondi pensione aperti, ovvero presso le società da questi controllate o che li controllano. I componenti dell'organismo di sorveglianza non possono essere proprietari, usufruttuari o titolari di altri diritti, anche indirettamente o per conto terzi, relativamente a partecipazioni azionarie di soggetti istitutori di fondi pensione aperti, ovvero di società da questi controllate o che li controllano. La sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dalla presente disposizione deve essere attestata dal candidato mediante apposita dichiarazione sottoscritta. L'accertamento del mancato possesso anche di uno solo dei requisiti indicati determina la decadenza dall'ufficio dichiarata ai sensi del comma 9.

5. Successivamente alla fase di prima applicazione, i membri dell'organismo di sorveglianza sono designati dai soggetti istitutori dei fondi stessi, individuati tra gli amministratori indipendenti iscritti all'albo istituito dalla Consob. Nel caso di adesione collettiva che comporti l'iscrizione di almeno 500 lavoratori appartenenti ad una singola azienda o a un medesimo gruppo, l'organismo di sorveglianza è integrato da un rappresentante, designato dalla medesima azienda o gruppo e da un rappresentante dei lavoratori.

6. L'organismo di sorveglianza rappresenta gli interessi degli aderenti e verifica che l'amministrazione e la gestione complessiva del fondo avvenga nell'esclusivo interesse degli stessi, anche sulla base delle informazioni ricevute dal responsabile della forma pensionistica. L'organismo riferisce agli organi di amministrazione del fondo e alla COVIP delle eventuali irregolarità riscontrate.

7. Nei confronti dei componenti degli organi di cui al comma 1 e del responsabile della forma pensionistica si applicano l'art. 2392, l'art. 2393 , l'art. 2394, l'art. 2394-bis, l'art. 2395 e l'art. 2396 del codice civile.

8. Nei confronti dei componenti degli organi di controllo di cui ai commi 1 e 4, si applica l'art. 2407 del codice civile.

9. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, su proposta della COVIP, possono essere sospesi dall'incarico e, nei casi di maggiore gravità, dichiarati decaduti dall'incarico i componenti degli organi collegiali e il responsabile della forma pensionistica che:

a) non ottemperano alle richieste o non si uniformano alle prescrizioni della COVIP di cui all'articolo 19;

b) forniscono alla COVIP informazioni false;

c) violano le disposizioni dell'articolo 6, commi 11 e 13;

d) non effettuano le comunicazioni relative alla sopravvenuta variazione della condizione di onorabilità nel termine di quindici giorni dal momento in cui sono venuti a conoscenza degli eventi e delle situazioni relative.

10. I componenti degli organi di amministrazione e di controllo di cui al comma 1 e i responsabili della forma pensionistica che:

a) forniscono alla COVIP segnalazioni, dati o documenti falsi, sono puniti con l'arresto da sei mesi a tre anni, salvo che il fatto costituisca più grave reato;

b) nel termine prescritto non ottemperano, anche in parte, alle richieste della COVIP, sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 2.600 euro a 15.500 euro;

c) non effettuano le comunicazioni relative alla sopravvenuta variazione delle condizioni di onorabilità di cui all'articolo 4, comma 3, lettera b), nel termine di quindici giorni dal momento in cui sono venuti a conoscenza degli eventi e delle situazioni relative, sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 2.600 euro a 15.500 euro.

11. Le sanzioni amministrative previste nel presente articolo sono applicate con la procedura di cui al titolo VIII, capo VI, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, fatta salva l'attribuzione delle relative competenze alla COVIP e al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Non si applica l'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni.

12. Ai commissari nominati ai sensi dell'articolo 15 si applicano le disposizioni contenute nel presente articolo.


 

 

L’articolo in esamestabilisce le regole relative alla composizione degli organi di amministrazione e di controllo delle forme pensionistiche complementari. Tale composizione, ad eccezione dei fondi pensione aperti e delle forme pensionistiche individuali, deve rispettare il criterio della partecipazione paritetica dei rappresentanti di lavoratori e datori di lavoro.

Tuttavia, per le forme pensionistiche caratterizzate da contribuzione unilaterale a carico dei lavoratori, la composizione collegiale risponde al criterio rappresentativo di partecipazione delle categorie interessate.

Rispetto alla normativa vigente, si prevede che i componenti dei primi organi collegiali siano nominati in sede di atto costitutivo.

 

Il comma 2 introduce espressamente la figura del responsabile del fondo, precisando che deve essere in possesso dei requisiti di onorabilità e professionalità previste dall’apposito decreto del Ministro del lavoro di cui all’articolo 4, comma 3, lettera b) (vedi supra).

 

Si consideri che attualmente il responsabile del fondo non è previsto dalla legislazione vigente (decreto legislativo n. 124 del 1993), ma è stato introdotto, per i fondi pensione aperti, in sede regolamentare con il decreto del Ministro del lavoro n. 211 del 1997.

Tale decreto, all’articolo 17, comma 2, prevede che all’istanza di autorizzazione venga allegata copia del verbale della riunione del consiglio di amministrazione della società che istituisce il fondo pensione aperto, nella quale il consiglio stesso ha verificato che in capo al dirigente responsabile del fondo sussistano i requisiti di professionalità ed onorabilità richiesti dal decreto. Da ciò si desume che per i fondi pensione aperti viene prevista la figura di un responsabile del fondo in capo al quale sono riconducibili una serie di attività analiticamente indicati dalla COVIP negli orientamenti regolamentari.

 

Sembra pertanto che la figura del responsabile del fondo venga introdotta, dall’articolo 5, anche per i fondi negoziali. Ciò si desume anche dal terzo periodo del comma 2.

Si dispone una disciplina differenziata, per quanto riguarda le incompatibilità specifiche della carica di responsabile del fondo, a seconda della fonte istitutiva delle forme pensionistiche complementari.

In particolare, per le forme pensionistiche negoziali istituite da contratti o accordi collettivi tra lavoratori dipendenti, da accordi tra lavoratori autonomi, da accordi tra soci lavoratori di cooperative e da accordi tra iscritti al fondo di mutualità delle “casalinghe”, l’incarico di responsabile può essere conferito anche al direttore generale ovvero ad uno degli amministratori del fondo.

Invece per i fondi pensione aperti o per le forme pensionistiche complementari individuali, l’incarico di responsabile non può essere attribuito ad uno degli amministratori o ad un dipendente della forma stessa o ad un soggetto legato da un rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione continuativa presso i soggetti istitutori della forma stessa o presso una società collegata.

 

Il responsabile della forma pensionistica viene configurato come un organo autonomo e indipendente, con funzioni da una parte di supervisione sulla gestione e dall’altra di vigilanza a garanzia degli aderenti al fondo.

Pertanto il responsabile, anche se il testo non è molto dettagliato sul punto, rinviando probabilmente alla disciplina di attuazione con decreto e al potere di indirizzo della COVIP, sembra rivestire in primo luogo un ruolo si supervisore sulla gestione amministrativa del fondo. Ciò emerge dal comma 2, allorché prevede che il responsabile esercita la propria attività in modo autonomo riferendo direttamente all’organo amministrativo sui risultati dell’attività svolta.

Il testo non è molto dettagliato per quanto riguarda i compiti amministrativi del responsabile, non delineando sufficientemente la sua posizione funzionale rispetto all’organo di amministrazione.

 

Contestualmente il responsabile viene investito di un compito di vigilanza sulla correttezza della gestione a garanzia degli interessi degli aderenti, svolgendo quindi un compito parzialmente ausiliario dell’organismo di sorveglianza. Difatti il responsabile (comma 3):

§      verifica che la gestione sia svolta nell’esclusivo interesse degli aderenti, nonché nel rispetto della normativa vigente;

§      sulla base delle direttive della COVIP informa la stessa Commissione sull’attività complessiva del fondo (le stesse informazioni sono inviate contemporaneamente all’organismo di sorveglianza);

§      vigila in particolare sul rispetto dei limiti di investimento e sulle operazioni che potrebbero far ravvisare un conflitto di interessi.

 

Inoltre, come si desume dal comma 6, il rappresentante è tenuto ad informare l’organismo di sorveglianza (cfr. infra) affinché la gestione del fondo avvenga nell’esclusivo interesse degli aderenti.

 

Il comma 4, per i fondi aperti, prevede l’istituzione di un organismo (rectius: organo) di sorveglianza composto da almeno due membri, in possesso dei requisiti di onorabilità e professionalità.

In sede di prima applicazione (sembrerebbe: in sede di nomina dei primi membri, subito dopo l’istituzione dell’organo di sorveglianza), i predetti membri sono designati dai soggetti istitutori dei fondi stessi, per un incarico non superiore al biennio.

Successivamente, i predetti membri sono designati dai soggetti istitutori dei fondi stessi, che sono però tenuti ad individuarli tra gli amministratori indipendenti iscritti “all’albo istituito dalla Consob”. Nel caso di adesione collettiva che comporti l’iscrizione di almeno 500 lavoratori appartenenti ad una singola azienda o a un medesimo gruppo, l’organismo di sorveglianza è integrato da un rappresentante designato dalla medesima azienda o gruppo e da un rappresentante dei lavoratori (comma 5).

Si osserva che appare generico il riferimento “all’albo istituito dalla CONSOB”, all'interno del quale dovrebbero essere scelti i membri dell’organismo di sorveglianza. In particolare, poiché tale albo non è previsto né disciplinato da altre fonti normative, sarebbe stato opportuno che il presente decreto specificasse, eventualmente anche mediante rinvio a un regolamento governativo o ministeriale, i criteri e le modalità per la sua istituzione e i requisiti soggettivi necessari per l'iscrizione ad esso.

 Si osserva inoltre che l’attribuzione, in sede di prima applicazione, della designazione dei membri dell’organismo di sorveglianza ai soggetti istitutori dei fondi stessi, potrebbe confliggere con la necessità di una posizione di assoluta terzietà e separatezza rispetto agli interessi dei soggetti istitutori. Si determinerebbe in pratica una situazione per cui i controllori sono nominati dagli stessi controllati. Inoltre, ciò potrebbe vanificare le previsioni di incompatibilità di cui al comma 4. Tale profilo problematico appare invece molto meno rilevante “a regime”, poiché l’obbligo di individuare i componenti dell’organo di sorveglianza tra gli iscritti all’apposito albo istituito presso la Consob dovrebbe garantire una sufficiente terzietà rispetto agli interessi dei soggetti istitutori.

 

Si fa salva la possibilità di dotarsi di organismi di sorveglianza “ai sensi di cui al (rectius: ai sensi del) comma 1”.

Non è chiaro, anche se la lettera del testo sembrerebbe far propendere per tale interpretazione, se gli organi di sorveglianza di cui al comma 1 siano eventualmente “aggiuntivi” e non alternativi rispetto all’organo disciplinato dal comma 4.

Peraltro, nel caso in cui i fondi aperti decidano di dotarsi degli organi di sorveglianza di cui al comma 1, non è disciplinata la composizione di tali organi, dal momento che lo stesso comma 1 esclude che il criterio della partecipazione paritetica si applichi ai fondi pensione aperti. Può ravvisarsi quindi una difetto di coordinamento tra i commi 1 e 4.

 

Si prevedono una serie di incompatibilità con altre cariche o prestazioni di lavoro presso i soggetti istitutori dei fondi pensione aperti, in modo da evitare eventuali conflitti d’interesse. Inoltre i membri dell’organismo di sorveglianza non possono possedere cointeressenze nei soggetti istitutori dei fondi pensione aperti.

L’accertamento del mancato possesso di alcuno dei requisiti previsti comporta la decadenza dall’ufficio dichiarata ai sensi del comma 9 (vedi ultra).

 

L’”organismo di sorveglianza” svolge un compito di controllo sulla regolarità della gestione complessiva, affinché avvenga nell’interesse degli aderenti, e riferisce alla COVIP e all’organo di amministrazione su eventuali irregolarità riscontrate (comma 6).

 

Si osserva che i compiti del responsabile e dell’organo di sorveglianza sembrano in parte sovrapporsi, esercitando entrambi una vigilanza affinché la gestione sia svolta nell’interesse degli aderenti. Il responsabile sembra comunque esercitare tale vigilanza su un piano più operativo e, per alcuni aspetti, appare configurato come un organo di supporto dell’organismo di vigilanza proprio perché responsabile dei risultati dell’attività svolta.

 

I commi 7 e 8 indicano le disposizioni del codice civile che disciplinano i doveri e le responsabilità dei componenti degli organi di amministrazione e di controllo delle forme pensionistiche complementari.

 

Il comma 7 dichiara applicabili ai componenti dei suddetti organi e al responsabile della forma pensionistica (nominato ai sensi del precedente comma 2) i seguenti articoli del codice civile:

-        articolo 2392, a norma del quale gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze e sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza di tali doveri, a meno che si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori.

Essi in ogni caso sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose. La responsabilità per gli atti o le omissioni degli amministratori non si estende a quello tra essi che, essendo immune da colpa, abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio, dandone immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale.

-        articolo 2393, che disciplina l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori.

L'azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa in seguito a deliberazione dell'assemblea, anche se la società è in liquidazione. La deliberazione può essere presa in occasione della discussione del bilancio, anche se non è indicata nell'elenco delle materie da trattare, quando si tratta di fatti di competenza dell'esercizio cui si riferisce il bilancio. L'azione può essere esercitata entro cinque anni dalla cessazione dell'amministratore dalla carica.

La deliberazione dell'azione di responsabilità importa la revoca dall'ufficio degli amministratori contro cui è proposta, purché sia presa col voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale. In questo caso l'assemblea stessa provvede alla loro sostituzione.

La società può rinunziare all'esercizio dell'azione di responsabilità e può transigere, purché la rinunzia e la transazione siano approvate con espressa deliberazione dell'assemblea, e purché non vi sia il voto contrario di una minoranza di soci che rappresenti almeno il quinto del capitale sociale o, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, almeno un ventesimo del capitale sociale, ovvero la misura prevista nello statuto per l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità da parte dei soci (ai sensi dei commi primo e secondo dell'articolo 2393-bis).

-        l’articolo 2394, riguardante la responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali.

Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale.

L'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti.

La rinunzia all'azione da parte della società non impedisce l'esercizio dell'azione da parte dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l'azione revocatoria, quando ne ricorrono gli estremi.

-        l’articolo 2394-bis, che attribuisce al curatore del fallimento, al commissario liquidatore e al commissario straordinario, rispettivamente in caso di fallimento[19], liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria, la competenza a promuovere le azioni di responsabilità previste dai precedenti articoli;

-        l’articolo 2395, il quale fa salvo comunque il diritto al risarcimento del danno spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori.

L'azione può essere esercitata entro cinque anni dal compimento dell'atto pregiudizievole;

-        l’articolo 2396, il quale estende ai direttori generali nominati dall'assemblea o per disposizione dello statuto l’applicazione delle disposizioni che regolano la responsabilità degli amministratori, in relazione ai compiti loro affidati, salve le azioni esercitabili in base al rapporto di lavoro con la società.

 

Il comma 8 dichiara applicabile ai componenti degli organi di controllo delle forme pensionistiche complementari (comma 1) e ai membri dell’organismo di sorveglianza del fondo pensione aperto (comma 4) le disposizioni dell’articolo 2407 del codice civile.

 

L’articolo 2407 del codice civile disciplina i doveri e la responsabilità dei sindaci.

Essi debbono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell'incarico; sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio.

Essi sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica.

All'azione di responsabilità contro i sindaci si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 2393, 2393-bis, 2394, 2394-bis e 2395[20].

 

Il comma 9 prevede delle ipotesi in cui con decreto del Ministro del lavoro, su proposta della COVIP, possono essere sospesi dall’incarico o dichiarati decaduti i “componenti degli organi collegiali e il responsabile della forma pensionistica” che compiano una serie di irregolarità od omissioni.

Tra gli “organi collegiali” dovrebbe ritenersi ricompreso anche l’organismo di sorveglianza.

 

In particolare vengono sanzionate dal comma in esame le seguenti condotte:

§      la non ottemperanza alle richieste o alle prescrizioni della COVIP.

§      Il fornire alla COVIP informazioni false;

§      La violazione delle disposizioni di cui all’articolo 6, commi 11 (criteri di individuazione e ripartizione dei rischi) e 13 (limitazioni agli investimenti finanziari);

§      non effettuare le comunicazioni relative alla sopravvenuta variazione della condizione di onorabilità, entro quindici giorni dal momento in cui se ne abbia conoscenza.

 

Il comma 10 provvede a sanzionare sul piano penale o amministrativo, riproducendo anche in questo caso le disposizioni di cui al richiamato articolo 18-bis del decreto legislativo  124 del 1993, una serie di violazioni, in parte coincidenti con quelle di cui al comma 9, in particolare con quelle di cui alle lettere a), b) e d).

Tuttavia le fattispecie presentano una formulazione in parte diversa. Per esempio, al comma 8 si fa riferimento solo ad informazioni false mentre al comma 9 a “segnalazioni, dati o documenti falsi”; al comma 9, con riferimento alla non ottemperanza alle richieste o alle prescrizioni della COVIP, ci si riferisce esclusivamente all’articolo 19, mentre al comma 9 ci si riferisce genericamente alle richieste della COVIP.

 

Il comma 11 specifica che le sanzioni amministrative sono applicate secondo la procedura di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia).

L’articolo 145 del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia dispone che per le violazioni previste nello stesso Testo unico cui è applicabile una sanzione amministrativa, la Banca d'Italia o l'UIC, nell'ambito delle rispettive competenze, contestati gli addebiti alle persone e alla banca, alla società o all'ente interessati e valutate le deduzioni presentate entro trenta giorni, tenuto conto del complesso delle informazioni raccolte, propongono al Ministro dell'economia e delle finanze l'applicazione delle sanzioni. Il Ministro dell'economia e delle finanze, sulla base della proposta della Banca d'Italia o dell'UIC, provvede ad applicare le sanzioni con decreto motivato. Contro il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze è ammessa opposizione alla corte di appello di Roma. L'opposizione deve essere notificata all'autorità che ha proposto il provvedimento nel termine di trenta giorni dalla data di comunicazione del decreto impugnato e deve essere depositata presso la cancelleria della corte di appello entro trenta giorni dalla notifica. L'autorità che ha proposto il provvedimento trasmette alla corte di appello gli atti ai quali l'opposizione si riferisce, con le sue osservazioni. L'opposizione non sospende l'esecuzione del provvedimento. La corte di appello, se ricorrono gravi motivi, può disporre la sospensione con decreto motivato. La corte di appello, su istanza delle parti, fissa i termini per la presentazione di memorie e documenti, nonché per consentire l'audizione anche personale delle parti. La corte di appello decide sull'opposizione in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, con decreto motivato. Copia del decreto è trasmessa, a cura della cancelleria della Corte di appello, all'autorità che ha proposto il provvedimento.

Posto che l’attribuzione della competenza nel procedimento sanzionatorio, per quanto riguarda l’articolo in esame, è della COVIP e del Ministero del lavoro, non è chiaro se si intenda richiamare integralmente l’articolo 145 del Testo unico o solamente le disposizioni di tale articolo stricto sensu procedurali, relative all’irrogazione delle sanzioni (come sembrerebbe sulla base della formulazione letterale: “le sanzioni amministrative... sono applicate con la procedura di cui…”).

Appare dubbio, infatti, che siano applicabili le seguenti disposizioni dell’articolo 145 del Testo unico:

-          il comma 3, non solo nella parte in cui si riferisce alla pubblicazione su due quotidiani del decreto di applicazione di specifiche sanzioni, ma soprattutto per quanto riguarda la pubblicazione sul bollettino della Banca d’Italia;

-          il comma 9, relativo alla riscossione mediante ruolo;

-          il comma 10, che prevede la responsabilità in solido dei soggetti a cui appartengono i responsabili delle violazioni, non trattandosi di una norma in senso stretto “procedurale”.

 

Il comma in esame, inoltre, prevede espressamente che non si applica la definizione delle sanzioni con pagamento in misura ridotta di cui all’articolo 16 della legge n. 689 del 1981.

 

Infine, il comma 12, prevede che le disposizioni dell’articolo in esame si applicano ai commissari nominati in caso di scioglimento del fondo.

 

 

 


Art. 6
(Regime delle prestazioni e modelli gestionali)

 

 


1. I fondi pensione di cui all'articolo 3, comma 1, lettere da a) a h), gestiscono le risorse mediante:

a) convenzioni con soggetti autorizzati all'esercizio dell'attività di cui all'articolo 1, comma 5, lettera d), del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, ovvero con soggetti che svolgono la medesima attività, con sede statutaria in uno dei Paesi aderenti all'Unione europea, che abbiano ottenuto il mutuo riconoscimento;

b) convenzioni con imprese assicurative di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, mediante ricorso alle gestioni di cui al ramo VI dei rami vita, ovvero con imprese svolgenti la medesima attività, con sede in uno dei Paesi aderenti all'Unione europea, che abbiano ottenuto il mutuo riconoscimento;

c) convenzioni con società di gestione del risparmio, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 e successive modificazioni, ovvero con imprese svolgenti la medesima attività, con sede in uno dei Paesi aderenti all'Unione europea, che abbiano ottenuto il mutuo riconoscimento;

d) sottoscrizione o acquisizione di azioni o quote di società immobiliari nelle quali il fondo pensione può detenere partecipazioni anche superiori ai limiti di cui al comma 13, lettera a), nonché di quote di fondi comuni di investimento immobiliare chiusi nei limiti di cui alla lettera e);

e) sottoscrizione e acquisizione di quote di fondi comuni di investimento mobiliare chiusi secondo le disposizioni contenute nel decreto di cui al comma 11, ma comunque non superiori al 20 per cento del proprio patrimonio e al 25 per cento del capitale del fondo chiuso.

2. Gli enti gestori di forme pensionistiche obbligatorie, sentita l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, possono stipulare con i fondi pensione convenzioni per l'utilizzazione del servizio di raccolta dei contributi da versare ai fondi pensione e di erogazione delle prestazioni e delle attività connesse e strumentali anche attraverso la costituzione di società di capitali di cui debbono conservare in ogni caso la maggioranza del capitale sociale; detto servizio deve essere organizzato secondo criteri di separatezza contabile dalle attività istituzionali del medesimo ente.

3. Alle prestazioni di cui all'articolo 11 erogate sotto forma di rendita i fondi pensione provvedono mediante convenzioni con una o più imprese assicurative di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209.

4. I fondi pensione possono essere autorizzati dalla COVIP ad erogare direttamente le rendite, affidandone la gestione finanziaria ai soggetti di cui al comma 1 nell'àmbito di apposite convenzioni in base a criteri generali, determinati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la COVIP. L'autorizzazione è subordinata alla sussistenza di requisiti e condizioni fissati dal citato decreto, con riferimento alla dimensione minima dei fondi per numero di iscritti, alla costituzione e alla composizione delle riserve tecniche, alle basi demografiche e finanziarie da utilizzare per la conversione dei montanti contributivi in rendita, e alle convenzioni di assicurazione contro il rischio di sopravvivenza in relazione alla speranza di vita oltre la media. I fondi autorizzati all'erogazione delle rendite presentano alla COVIP, con cadenza almeno triennale, un bilancio tecnico contenente proiezioni riferite ad un arco temporale non inferiore a quindici anni.

5. Per le forme pensionistiche in regime di prestazione definita e per le eventuali prestazioni per invalidità e premorienza, sono in ogni caso stipulate apposite convenzioni con imprese assicurative. Nell'esecuzione di tali convenzioni non si applica l'articolo 7.

6. Per la stipula delle convenzioni di cui ai commi 1, 3 e 5, e all'articolo 7, i competenti organismi di amministrazione dei fondi, individuati ai sensi dell'articolo 5, comma 1, richiedono offerte contrattuali, per ogni tipologia di servizio offerto, attraverso la forma della pubblicità notizia su almeno due quotidiani fra quelli a maggiore diffusione nazionale o internazionale, a soggetti abilitati che non appartengono ad identici gruppi societari e comunque non sono legati, direttamente o indirettamente, da rapporti di controllo. Le offerte contrattuali rivolte ai fondi sono formulate per singolo prodotto in maniera da consentire il raffronto dell'insieme delle condizioni contrattuali con riferimento alle diverse tipologie di servizio offerte.

7. Con deliberazione delle rispettive autorità di vigilanza sui soggetti gestori, che conservano tutti i poteri di controllo su di essi, sono determinati i requisiti patrimoniali minimi, differenziati per tipologia di prestazione offerta, richiesti ai soggetti di cui al comma 1 ai fini della stipula delle convenzioni previste nel presente articolo.

8. Il processo di selezione dei gestori deve essere condotto secondo le istruzioni adottate dalla COVIP e comunque in modo da garantire la trasparenza del procedimento e la coerenza tra obiettivi e modalità gestionali, decisi preventivamente dagli amministratori, e i criteri di scelta dei gestori. Le convenzioni possono essere stipulate, nell'àmbito dei rispettivi regimi, anche congiuntamente fra loro e devono in ogni caso:

a) contenere le linee di indirizzo dell'attività dei soggetti convenzionati nell'àmbito dei criteri di individuazione e di ripartizione del rischio di cui al comma 11 e le modalità con le quali possono essere modificate le linee di indirizzo medesime; nel definire le linee di indirizzo della gestione, i fondi pensione possono prevedere linee di investimento che consentano di garantire rendimenti comparabili al tasso di rivalutazione del TFR;

b) prevedere i termini e le modalità attraverso cui i fondi pensione esercitano la facoltà di recesso, contemplando anche la possibilità per il fondo pensione di rientrare in possesso del proprio patrimonio attraverso la restituzione delle attività finanziarie nelle quali risultano investite le risorse del fondo all'atto della comunicazione al gestore della volontà di recesso dalla convenzione;

c) prevedere l'attribuzione in ogni caso al fondo pensione della titolarità dei diritti di voto inerenti ai valori mobiliari nei quali risultano investite le disponibilità del fondo medesimo.

9. I fondi pensione sono titolari dei valori e delle disponibilità conferiti in gestione, restando peraltro in facoltà degli stessi di concludere, in tema di titolarità, diversi accordi con i gestori a ciò abilitati nel caso di gestione accompagnata dalla garanzia di restituzione del capitale. I valori e le disponibilità affidati ai gestori di cui al comma 1 secondo le modalità ed i criteri stabiliti nelle convenzioni costituiscono in ogni caso patrimonio separato ed autonomo, devono essere contabilizzati a valori correnti e non possono essere distratti dal fine al quale sono stati destinati, nè formare oggetto di esecuzione sia da parte dei creditori dei soggetti gestori, sia da parte di rappresentanti dei creditori stessi, nè possono essere coinvolti nelle procedure concorsuali che riguardano il gestore. Il fondo pensione è legittimato a proporre la domanda di rivendicazione di cui all'articolo 103 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. Possono essere rivendicati tutti i valori conferiti in gestione, anche se non individualmente determinati o individuati ed anche se depositati presso terzi, diversi dal soggetto gestore. Per l'accertamento dei valori oggetto della domanda è ammessa ogni prova documentale, ivi compresi i rendiconti redatti dal gestore o dai terzi depositari.

10. Con delibera della COVIP, assunta previo parere dell'autorità di vigilanza sui soggetti convenzionati, sono fissati criteri e modalità omogenee per la comunicazione ai fondi dei risultati conseguiti nell'esecuzione delle convenzioni in modo da assicurare la piena comparabilità delle diverse convenzioni.

11. I criteri di individuazione e di ripartizione del rischio, nella scelta degli investimenti, devono essere indicati nello statuto di cui all'articolo 4, comma 3, lettera a). Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la COVIP, sono individuati:

a) le attività nelle quali i fondi pensione possono investire le proprie disponibilità, con i rispettivi limiti massimi di investimento, avendo particolare attenzione per il finanziamento delle piccole e medie imprese e allo sviluppo locale;

b) i criteri di investimento nelle varie categorie di valori mobiliari;

c) le regole da osservare in materia di conflitti di interesse compresi quelli eventuali attinenti alla partecipazione dei soggetti sottoscrittori delle fonti istitutive dei fondi pensione ai soggetti gestori di cui al presente articolo.

12. I fondi pensione, costituiti nell'àmbito delle autorità di vigilanza sui soggetti gestori a favore dei dipendenti delle stesse, possono gestire direttamente le proprie risorse.

13. I fondi non possono comunque assumere o concedere prestiti, nè investire le disponibilità di competenza:

a) in azioni o quote con diritto di voto, emesse da una stessa società, per un valore nominale superiore al cinque per cento del valore nominale complessivo di tutte le azioni o quote con diritto di voto emesse dalla società medesima se quotata, ovvero al dieci per cento se non quotata, nè comunque, azioni o quote con diritto di voto per un ammontare tale da determinare in via diretta un'influenza dominante sulla società emittente;

b) in azioni o quote emesse da soggetti tenuti alla contribuzione o da questi controllati direttamente o indirettamente, per interposta persona o tramite società fiduciaria, o agli stessi legati da rapporti di controllo ai sensi dell'articolo 23 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, in misura complessiva superiore al venti per cento delle risorse del fondo e, se trattasi di fondo pensione di categoria, in misura complessiva superiore al trenta per cento;

c) fermi restando i limiti generali indicati alla lettera b), i fondi pensione aventi come destinatari i lavoratori di una determinata impresa non possono investire le proprie disponibilità in strumenti finanziari emessi dalla predetta impresa, o, allorché l'impresa appartenga a un gruppo, dalle imprese appartenenti al gruppo medesimo, in misura complessivamente superiore, rispettivamente, al cinque e al dieci per cento del patrimonio complessivo del fondo. Per la nozione di gruppo si fa riferimento all'articolo 23 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385.

14. Le forme pensionistiche complementari sono tenute ad esporre nel rendiconto annuale e, sinteticamente, nelle comunicazioni periodiche agli iscritti, se ed in quale misura nella gestione delle risorse e nelle linee seguite nell'esercizio dei diritti derivanti dalla titolarità dei valori in portafoglio si siano presi in considerazione aspetti sociali, etici ed ambientali.


 

 

Premessa

L’articolo 6 reca la disciplina del regime delle prestazioni e dei diversi modelli gestionali che possono essere adottati dai fondi pensione.

In particolare, i commi da 1 a 5 riguardano il regime di gestione delle risorse.

I commi 6, 7 e 8 disciplinano il procedimento di selezione dei gestori.

I commi da 9 a 14 recano la disciplina del regime degli investimenti delle risorse gestite.

Le norme esaminate riprendono sostanzialmente quanto già previsto dall’articolo 6 del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, recante la disciplina delle forme pensionistiche complementari.

I modelli gestionali

Il comma 1 dell’articolo 6 determina le forme attraverso le quali i fondi pensione possono gestire le risorse loro affidate.

Nel dettaglio, la lettera a) del comma 1 prevede la possibilità di stipulare convenzioni con soggetti autorizzati all’esercizio dell’attività di gestione su base individuale di portafogli d’investimento per conto terzi, di cui all’articolo 1, comma 5, lettera d), del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, recante il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (di séguito: TUF), ovvero con soggetti che svolgono la medesima attività, con sede statutaria in uno dei Paesi aderenti all’Unione europea, che abbiano ottenuto il mutuo riconoscimento.

La lettera b) del comma 1 prevede la possibilità di stipulare convenzioni con imprese assicurative di cui all’articolo 2 del codice delle assicurazioni private, emanato con il decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, mediante ricorso alle gestioni di cui al ramo VI dei rami vita ivi definiti, ovvero con imprese svolgenti la medesima attività, con sede in uno dei Paesi aderenti all’Unione europea, che abbiano ottenuto il mutuo riconoscimento.

 

Il richiamato articolo 2 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, recante il codice delle assicurazioni private, al comma 1, definisce la seguente classificazione per ramo nell’ambito dei rami vita:

ramo I: le assicurazioni sulla durata della vita umana;

ramo II: le assicurazioni di nuzialità e di natalità;

ramo III: le assicurazioni, di cui ai rami I e II, le cui prestazioni principali sono direttamente collegate al valore di quote di organismi di investimento collettivo del risparmio o di fondi interni ovvero a indici o ad altri valori di riferimento;

ramo IV: l'assicurazione malattia e l'assicurazione contro il rischio di non autosufficienza che siano garantite mediante contratti di lunga durata, non rescindibili, per il rischio di invalidità grave dovuta a malattia o a infortunio o a longevità;

ramo V: le operazioni di capitalizzazione;

ramo VI: le operazioni di gestione di fondi collettivi costituiti per l'erogazione di prestazioni in caso di morte, in caso di vita o in caso di cessazione o riduzione dell'attività lavorativa.

 

La lettera c) del comma 1 prevede la possibilità di stipulare convenzioni con società di gestione del risparmio (SGR), disciplinate dal TUF, ovvero con imprese svolgenti la medesima attività, con sede in uno dei Paesi aderenti all’Unione europea, sempre che abbiano ottenuto il mutuo riconoscimento.

 

Ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera o), del TUF la società di gestione del risparmio (SGR) è la società per azioni con sede legale e direzione generale in Italia autorizzata a prestare il servizio di gestione collettiva del risparmio.

Per gestione collettiva del risparmio si intende la raccolta di capitali da un gruppo di risparmiatori e la gestione complessiva, a fini di rendimento, del patrimonio cumulato (cosiddetta gestione “in monte”), diversificata su una vasta gamma di investimenti e quindi con un rischio contenuto.

 

La lettera d) del comma 1 prevede la possibilità di sottoscrizione o di acquisizione di azioni o quote di società immobiliari nelle quali il fondo pensione può detenere:

a)      partecipazioni anche superiori ai limiti stabiliti al comma 13, lettera a) (cioè anche oltre il cinque per cento del valore nominale complessivo di tutte le azioni o quote con diritto di voto emesse dalla società, se quotata, e anche oltre il dieci per cento se non quotata, anche qualora la quota sia tale da determinare in via diretta un'influenza dominante sulla società emittente);

b)      quote di fondi comuni di investimento immobiliare chiusi nei limiti di cui alla lettera e) (cioè non superiori al 20 per cento del proprio patrimonio e al 25 per cento del capitale del fondo chiuso).

 

Il fondo comune di investimento è un patrimonio autonomo rispetto al patrimonio della società che lo gestisce (o che lo ha istituito e lo promuove), suddiviso in quote, di pertinenza di una pluralità di investitori. Il patrimonio viene gestito “in monte”, ossia collettivamente, sulla base delle linee d’investimentoprefissate dal regolamento del fondo medesimo. Sottoscrivendo l'acquisto di una quota di un fondo comune di investimento, quindi, il risparmiatore acquisisce una compartecipazione nella gestione collettiva del patrimonio comune, effettuata sulla base delle scelte di investimento predefinite nel regolamento.

Il fondo può avere al suo interno più comparti, ossia più linee di gestione e, perciò, la scelta di un diverso tipo di investimento può avvenire solitamente tramite il passaggio da un comparto ad un altro (cosiddetto switch).

Il fondo comune di investimento è un patrimonio autonomo rispetto al patrimonio della SGR: se il fondo è multicomparto, il principio della separatezza si applica a ciascun comparto. Il TUF specifica, a tal fine, che i creditori della società non possono rivalersi sul fondo per i propri crediti, mentre i creditori del sottoscrittore possono aggredire il fondo solo nella quota parte di pertinenza del loro debitore. Specularmente, la SGR non può in alcun caso utilizzare i beni di pertinenza dei fondi gestiti per fini propri della società o di terzi.

Il documento fondamentale che disciplina il rapporto tra la SGR eil sottoscrittore è il regolamento del fondo, che ne definisce, tra l'altro, la durata, i beni e gli strumenti finanziari in cui è possibile investire, le disponibilità, i criteri per la determinazione dei risultati della gestione e le modalità di distribuzione dei proventi, le spese, le forme di pubblicità del valore della quota. La struttura dell'investimento è quindi definita dal regolamento del fondo, che deve essere formulato sulla base dei criteri generali definiti dal Ministero dell'economia e delle finanze (art. 37 del TUF e decreto del Ministro del tTesoro 24 maggio 1999, n. 228), ed è oggetto di approvazione da parte della Banca d'Italia, sulla base del principio del silenzio assenso, avendo l'Autorità un termine di quattro mesi per adottare un provvedimento di diniego.

La classificazione dei fondi comuni d’investimento si ritrova solo in parte nell'articolo 37 del TUF, secondo il quale il Ministro dell'economia e delle finanze “definisce i criteri ai quali attenersi per l'organizzazione di un fondo comune di investimento con riguardo, tra l'altro, alle modalità di “partecipazione in fondi" chiusi o aperti (decreto del Ministro del tesoro 24 maggio 1999, n. 228).

La definizione di gestione collettiva del risparmio delineata dal TUF (art. 1, comma 1, lett. n), prevede che l'investimento del patrimonio possa avvenire in strumenti finanziari, crediti o altri beni mobili o immobili. Ne deriva che, in linea di principio, un fondo può effettuare investimenti sia mobiliari che immobiliari. La distinzione, tuttavia, è stata affermata a livello di disciplina secondaria. A seconda del carattere della partecipazione, si distinguono fondi chiusi e aperti e, a seconda del tipo d’investimento, fondi mobiliari e immobiliari.

In particolare, i fondi comuni d’investimento chiusi, disciplinati dal TUF e dal regolamento di attuazione emanato con decreto del Ministro del tesoro 24 maggio 1999, n. 228, sono patrimoni autonomi gestiti in monte, suddivisi in quote, di pertinenza di una pluralità di partecipanti, il cui diritto al rimborso delle quote viene riconosciuto solo a scadenze predeterminate. I capitali versati dai sottoscrittori formano un compendio patrimoniale autonomo (fondo comune) sul quale la SGR esercita le funzioni di amministrazione e la banca depositaria quelle di custodia dei titoli e di controllo sull’attività svolta dalla SGR, assumendo le relative responsabilità. Il fondo può essere gestito dalla SGR che lo ha istituito o da altra SGR. Ai sensi del comma 2-bis dell’articolo 37 del TUF, con il regolamento ministeriale previsto dal comma 1 dello stesso articolo sono individuate le materie sulle quali i partecipanti dei fondi chiusi si riuniscono in assemblea per adottare deliberazioni vincolanti per la società di gestione del risparmio. L'assemblea delibera in ogni caso sulla sostituzione della società di gestione del risparmio, sulla richiesta di ammissione a quotazione ove non prevista e sulle modifiche delle politiche di gestione. L'assemblea è convocata dal consiglio di amministrazione della società di gestione del risparmio anche su richiesta dei partecipanti che rappresentino almeno il 10 per cento del valore delle quote in circolazione e le deliberazioni sono approvate con il voto favorevole del 50 per cento più una quota degli intervenuti all'assemblea. Il quorum deliberativo non può essere comunque inferiore al 30 per cento del valore di tutte le quote in circolazione. Le deliberazioni dell'assemblea sono trasmesse alla Banca d'Italia per l'approvazione e s’intendono approvate quando il diniego non sia stato adottato entro quattro mesi dalla trasmissione.

 

La lettera e) prevede, infine, la possibilità di sottoscrizione e di acquisizione di quote di fondi comuni d’investimento mobiliare chiusi secondo le disposizioni contenute nel decreto di cui al comma 11.

Tali quote non devono superare:

a)    il 20 per cento del patrimonio del fondo pensione;

b)    il 25 per cento del capitale del fondo chiuso.

 

Il comma 1 dell’articolo 6 riproduce sostanzialmente le previsioni del comma 1 dell’articolo 6 del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, recante la disciplina delle forme pensionistiche complementari.

 

Il comma 2 facoltizza gli enti gestori di forme pensionistiche obbligatorie a stipulare con i fondi pensione convenzioni per l’utilizzazione del servizio di raccolta dei contributi, da versare ai fondi pensione stessi, e di erogazione delle prestazioni e delle attività connesse e strumentali, anche mediante la costituzione di società di capitali.

La stipulazione di tali convenzioni può essere effettuata previa consultazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Gli enti previdenziali debbono comunque mantenere la maggioranza del capitale sociale di tali società.

Il servizio va organizzato secondo criteri di separatezza contabile dalle attività istituzionali dell’ente.

 

Il comma 1-bis dell’articolo 6 del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, prevede che gli enti gestori di forme pensionistiche obbligatorie, ai fini della gestione delle risorse raccolte dai fondi pensione, acquisiscono partecipazioni nei soggetti abilitati di cui al comma 1.

Gli enti gestori di forme pensionistiche obbligatorie, sentita l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, possono stipulare con i fondi pensione convenzioni per l'utilizzazione del servizio di raccolta dei contributi da versare ai fondi pensione e di erogazione delle prestazioni; detto servizio deve essere organizzato secondo criteri di separatezza contabile dalle attività istituzionali del medesimo ente.

 

Ai sensi del comma 3, i fondi pensione devono provvedere alle prestazioni pensionistiche di cui all’articolo 11 erogate sotto forma di rendita mediante convenzioni con una o più imprese assicurative di cui all’articolo 2 del decreto legislativo n. 209 del 2005, sopra richiamato.

 

Il comma 3 riproduce sostanzialmente le previsioni del comma 2 dell’articolo 6 del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124.

 

Il comma 4 dell’articolo 1 prevede che i fondi pensione possano essere autorizzati dalla COVIP ad erogare direttamente le rendite.

In tal caso, la gestione finanziaria viene affidata ai soggetti indicati al comma 1 nell’ambito di apposite convenzioni, in base a criteri generali che sono determinati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la COVIP.

L’autorizzazione è subordinata alla sussistenza di requisiti e condizioni fissati dal decreto ministeriale, con riferimento:

a)    alla dimensione minima dei fondi per numero di iscritti;

b)    alla costituzione e alla composizione delle riserve tecniche;

c)    alle basi demografiche e finanziarie da utilizzare per la conversione dei montanti contributivi in rendita;

d)    alle convenzioni di assicurazione contro il rischio di sopravvivenza in relazione alla speranza di vita oltre la media.

I fondi che vengono così autorizzati all’erogazione diretta delle rendite sono tenuti a presentare alla COVIP, almeno ogni tre anni, un bilancio tecnico contenente proiezioni riferite ad un arco temporale non inferiore a quindici anni.

 

Il comma 4 riproduce sostanzialmente le previsioni del comma 2-bis dell’articolo 6 del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124.

 

Il comma 5 pone l’obbligo di stipulare apposite convenzioni con imprese assicurative per le forme pensionistiche in regime di prestazione definita e per le eventuali prestazioni per invalidità e premorienza.

Nell’esecuzione di tali convenzioni non si applica l’articolo 7, riguardante l’affidamento delle risorse dei fondi ad una banca depositaria.

 

Il comma 5 riproduce sostanzialmente le previsioni del comma 3 dell’articolo 6 del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124.

 

Il procedimento di selezione dei gestori

I commi 6, 7 e 8 dell’articolo 6 in esame disciplinano il procedimento di selezione dei gestori.

Ai sensi del comma 6, i competenti organismi di amministrazione dei fondi devono procedere alla richiesta di offerte contrattuali, per ogni tipologia di servizio offerto, ai fini della stipulazione delle convenzioni previste ai commi 1 (gestione delle risorse), 3 (erogazione di prestazioni in forma di rendita) e 5 (forme pensionistiche in regime di prestazione definita e prestazioni eventuali per invalidità e premorienza), nonché all’articolo 7 (banche depositarie), mediante la forma della pubblicità notizia su almeno due quotidiani fra quelli a maggiore diffusione nazionale o internazionale.

I soggetti destinatari della richiesta di offerte sono individuati in soggetti abilitati che:

a)    non appartengono a identici gruppi societari;

b)    non sono comunque legati, direttamente o indirettamente, da rapporti di controllo.

Si richiede che le offerte contrattuali rivolte ai fondi siano formulate per singolo prodotto, in modo tale da permettere la comparazione delle condizioni contrattuali, in relazione alle diverse tipologie di servizio offerte.

La determinazione dei requisiti patrimoniali minimi necessari ai soggetti abilitati per la stipulazione delle convenzioni, differenziati per tipologia di prestazione offerta, viene demandata dal comma 7 alladeliberazione delle autorità di vigilanza sui soggetti gestori, che conservano tutti i poteri di controllo su di essi.

 

Il procedimento di selezione dei gestori viene condotto secondo le istruzioni emanate dalla COVIP, ai sensi del comma 8.

In ogni caso, debbono essere garantite la trasparenza del procedimento e la coerenza tra gli obiettivi e le modalità gestionali, decisi preventivamente dagli amministratori, e i criteri di scelta dei gestori.

Si specifica che le convenzioni possono essere stipulate, nell’ambito dei rispettivi regimi, anche congiuntamente fra loro.

Le convenzioni devono in ogni caso determinare le linee d’indirizzo dell’attività dei soggetti convenzionati nell’ambito dei criteri di individuazione e di ripartizione del rischio di cui al comma 11 nonché le modalità con le quali possono essere modificate le linee di indirizzo medesime.

I fondi pensione, nel definire le linee di indirizzo della gestione, possono prevedere linee d’investimento che assicurino rendimenti comparabili al tasso di rivalutazione del trattamento di fine rapporto.

Le convenzioni devono inoltre prevedere:

a)    i termini e le modalità attraverso cui i fondi pensione esercitano la facoltà di recesso. In particolare, dev’essere previsto che il fondo pensione possa rientrare in possesso del proprio patrimonio attraverso la restituzione delle attività finanziarie nelle quali risultano investite le risorse del fondo all’atto della comunicazione al gestore della volontà di recesso dalla convenzione;

b)    l’attribuzione al fondo pensione della titolarità dei diritti di voto inerenti ai valori mobiliari nei quali risultano investite le disponibilità del fondo.

 

I commi 6, 7 e 8 riproducono sostanzialmente le previsioni dei commi 4 e 4-bis dell’articolo 6 del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124.

Il regime della gestione

I commi da 9 a 14 delineano il regime sostanziale della gestione delle risorse dei fondi pensione.

Il comma 9 attribuisce ai fondi pensione la titolarità dei valori e delle disponibilità conferiti in gestione.

Resta comunque in facoltà dei fondi di concludere, in tema di titolarità, diversi accordi con i gestori a ciò abilitati, solo nel caso in cui la gestione sia munita della garanzia di restituzione del capitale.

Con riguardo al regime giuridico dei valori e delle disponibilità affidati ai gestori, essi:

a)      costituiscono in ogni caso patrimonio separato e autonomo;

b)      devono essere contabilizzati a valori correnti;

c)      non possono essere distratti dal fine al quale sono stati destinati;

d)      non possono formare oggetto di esecuzione né da parte dei creditori dei soggetti gestori, né da parte di rappresentanti dei creditori stessi;

e)      non possono essere coinvolti nelle procedure concorsuali che riguardano il gestore.

Si riconosce al fondo pensione la legittimazione a proporre la domanda di rivendicazione di cui all’articolo 103 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, recante la disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa.

 

Secondo il richiamato articolo 103 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nel testo in vigore alla data della pubblicazione del presente decreto legislativo, le disposizioni degli articoli da 93 a 102 dello stesso regio decreto n. 267 del 1942 si applicano anche alle domande di rivendicazione, restituzione e separazione di cose mobili possedute dal fallito. Pertanto, il diritto reale del terzo su tali beni mobili può trovare tutela mediante questo rimedio all’interno del procedimento fallimentare.

In base all'elenco di tutte le domande il giudice forma uno stato delle domande accolte o respinte ai sensi degli articoli 95, 96 e 97. Se le domande sono proposte tardivamente a norma dell'articolo 101, il giudice delegato può sospendere la vendita delle cose rivendicate, chieste in restituzione o separate, con cauzione o senza. In ogni caso il giudice, prima di provvedere sulle domande, deve, in quanto possibile, sentire il fallito.

Le domande di rivendicazione, restituzione e separazione sul prezzo non pregiudicano le ripartizioni anteriori, e possono essere fatte valere sulle somme ancora da distribuire.

L’articolo 88 del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), ha sostituito il predetto articolo 103, con efficacia dal 16 luglio 2006.

Nella nuova formulazione, l’articolo 103 del regio decreto n. 267 del 1942 disciplina i procedimenti relativi a domande di rivendicazione e restituzione di beni posseduti dal fallito. È stabilito che a questi procedimenti si applica il regime probatorio previsto nell'articolo 621 del codice di procedura civile[21]. Se il bene non è stato acquisito all'attivo della procedura, il titolare del diritto, anche nel corso dell'udienza per l’esame dello stato passivo predisposto dal curatore, può modificare l'originaria domanda e chiedere di essere ammesso al passivo per il controvalore del bene alla data di apertura del concorso. Se il curatore perde il possesso della cosa dopo averla acquisita, il titolare del diritto può chiedere che il controvalore del bene sia corrisposto in prededuzione (ossia con precedenza ai sensi dell’articolo 111, come modificato dall’articolo 99 dello stesso decreto legislativo n. 5 del 2006).

 

In particolare, si chiarisce che possono essere rivendicati tutti i valori conferiti in gestione, anche se non individualmente determinati o individuati e anche se depositati presso terzi, diversi dal soggetto gestore.

È ammessa ogni prova documentale, compresi i rendiconti redatti dal gestore o dai terzi depositari, ai fini dell’accertamento dei valori oggetto della domanda.

 

Il comma 9 riproduce sostanzialmente le previsioni del comma 4-ter dell’articolo 6 del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124.

 

Al fine di garantire la piena comparabilità delle diverse convenzioni, il comma 10 affida ad una delibera della COVIP, da adottarsi con il previo parere dell’autorità di vigilanza sui soggetti convenzionati, il compito di determinare criteri e modalità omogenee per la comunicazione ai fondi dei risultati conseguiti nell’esecuzione delle convenzioni.

 

Il comma 10 riproduce sostanzialmente le previsioni del comma 4-quater dell’articolo 6 del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124.

 

Il comma 11 demanda allo statuto del fondo, previsto dall’articolo 4, comma 3, lettera a), del presente decreto legislativo, il compito di indicare i criteri di individuazione e di ripartizione del rischio nella scelta degli investimenti.

Spetta invece a un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la COVIP, il compito di individuare, fra l’altro, le attività nelle quali i fondi pensione possono investire le proprie disponibilità, i criteri d’investimento nelle varie categorie di valori mobiliari, le regole da osservare in materia di conflitti d’interessi.

In particolare, è previsto che nella determinazione delle attività in cui è ammesso l’investimento delle risorse sia riservata particolare attenzione al finanziamento delle piccole e medie imprese e allo sviluppo locale.

 

Il comma 11 riproduce sostanzialmente le previsioni del comma 4-quinquies dell’articolo 6 del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124.

 

Il comma 12facoltizza i fondi pensione, costituiti nell’ambito delle autorità di vigilanza sui soggetti gestori a favore dei dipendenti delle stesse, a gestire direttamente le proprie risorse.

 

Il comma 12 riproduce sostanzialmente le previsioni del comma 4-sexies dell’articolo 6 del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124.

 

Il comma 13 impone innanzitutto ai fondi pensione il divieto di assumere o concedere prestiti.

Ai fondi è inoltre vietato effettuare determinati tipi d’investimenti delle disponibilità di competenza.

Nel dettaglio, la lettera a) del comma 13 pone il divieto di investire:

a)    in azioni o quote con diritto di voto, emesse da una stessa società, per un valore nominale superiore al 5 per cento del valore nominale complessivo di tutte le azioni o quote con diritto di voto emesse dalla società medesima se quotata, ovvero al 10 per cento se non quotata;

b)    in azioni o quote con diritto di voto per un ammontare tale da determinare in via diretta un'influenza dominante sulla società emittente.

 

Si può ricordare che, ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile,sono considerate società controllate:

1)    le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria;

2)    le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria;

3)    le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

Ai fini dell'applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi. Sono considerate collegate le società sulle quali un'altra società esercita un'influenza notevole. L'influenza si presume quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati.

 

La lettera b) del comma 13 pone il divieto di investire in azioni o quote emesse da soggetti tenuti alla contribuzione o da questi controllati direttamente o indirettamente, per interposta persona o tramite società fiduciaria, o agli stessi legati da rapporti di controllo ai sensi dell’articolo 23 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (di seguito: TUB), in misura complessiva superiore al 20 per cento delle risorse del fondo o, se trattasi di fondo pensione di categoria, in misura complessiva superiore al 30 per cento.

 

Il richiamato articolo 23 del TUB stabilisce, al comma 1, che il controllo sussiste, anche con riferimento a soggetti diversi dalle società, nei casi previsti dall'articolo 2359, commi primo e secondo, del codice civile e in presenza di contratti o di clausole statutarie che abbiano per oggetto o per effetto il potere di esercitare l'attività di direzione e coordinamento.

Ai sensi del comma 2, il controllo si considera esistente nella forma dell'influenza dominante, salvo prova contraria, allorché ricorra una delle seguenti situazioni:

1)    esistenza di un soggetto che, sulla base di accordi, ha il diritto di nominare o revocare la maggioranza degli amministratori o del consiglio di sorveglianza ovvero dispone da solo della maggioranza dei voti ai fini delle deliberazioni relative alle materie di cui agli articoli 2364 e 2364-bis del codice civile;

2)    possesso di partecipazioni idonee a consentire la nomina o la revoca della maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza;

3)    sussistenza di rapporti, anche tra soci, di carattere finanziario ed organizzativo idonei a conseguire uno dei seguenti effetti:

a)    la trasmissione degli utili o delle perdite;

b)    il coordinamento della gestione dell'impresa con quella di altre imprese ai fini del perseguimento di uno scopo comune;

c)    l'attribuzione di poteri maggiori rispetto a quelli derivanti dalle partecipazioni possedute;

d)    l'attribuzione, a soggetti diversi da quelli legittimati in base alla titolarità delle partecipazioni, di poteri nella scelta degli amministratori o dei componenti del consiglio di sorveglianza o dei dirigenti delle imprese;

4)    l’assoggettamento a direzione comune, in base alla composizione degli organi amministrativi o per altri concordanti elementi.

 

La lettera c) del comma 13, fermi restando i limiti generali indicati alla lettera precedente, vieta ai fondi pensione aventi come destinatari i lavoratori di una determinata impresa di investire le proprie disponibilità in strumenti finanziari emessi dall’impresa stessa.

Qualora l’impresa appartenga a un gruppo, è vietato investire le proprie disponibilità in strumenti finanziari emessi dalle imprese appartenenti al gruppo, in misura complessivamente superiore, rispettivamente, al 5 e al 10 per cento del patrimonio complessivo del fondo.

 

Per la nozione di gruppo si fa riferimento all'articolo 23 del TUB, sopra richiamato.

 

Il comma 5 del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, stabilisce che i fondi non possono comunque assumere o concedere prestiti, né investire le disponibilità di competenza:

a)    in azioni o quote con diritto di voto, emesse da una stessa società, per un valore nominale superiore al 5 per cento del valore nominale complessivo di tutte le azioni o quote con diritto di voto emesse dalla società medesima se quotata, ovvero al 10 per cento se non quotata, né, comunque, azioni o quote con diritto di voto per un ammontare tale da determinare in via diretta un'influenza dominante sulla società emittente;

b)    in azioni o quote emesse da soggetti tenuti alla contribuzione o da questi controllati direttamente o indirettamente, per interposta persona o tramite società fiduciaria, o agli stessi legati da rapporti di controllo ai sensi dell'art. 27, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287, in misura complessiva superiore al 20 per cento delle risorse del fondo e, se trattasi di fondo pensione di categoria, in misura complessiva superiore al 30 per cento.

 

Il comma 14 fa obbligo alle forme pensionistiche complementari di esporre nel rendiconto annuale e, sinteticamente, nelle comunicazioni periodiche agli iscritti se e in quale misura, nella gestione delle risorse e nelle linee seguìte nell’esercizio dei diritti derivanti dalla titolarità dei valori in portafoglio, siano stati presi in considerazione aspetti sociali, etici e ambientali.

 

La disposizione dà attuazione alla norma di delega recata dalla lettera l) del comma 2 dell’articolo 1 della legge 23 agosto 2004, n. 243, recante norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all'occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria.

 

 

 


Art. 7
(Banca depositaria)

 

 


1. Le risorse dei fondi, affidate in gestione, sono depositate presso una banca distinta dal gestore che presenti i requisiti di cui all'articolo 38 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.

2. La banca depositaria esegue le istruzioni impartite dal soggetto gestore del patrimonio del fondo, se non siano contrarie alla legge, allo statuto del fondo stesso e ai criteri stabiliti nel decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di cui all'articolo 6, comma 11.

3. Si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni di cui al citato articolo 38 del decreto legislativo n. 58 del 1998. Gli amministratori e i sindaci della banca depositaria riferiscono senza ritardo alla COVIP sulle irregolarità riscontrate nella gestione dei fondi pensione.


 

 

L’articolo 7 prescrive il deposito delle risorse dei fondi presso una banca depositaria, tenuta ad eseguire le istruzioni impartite dal soggetto gestore del patrimonio del fondo.

 

Nell’ambito dell’attività di gestione collettiva del risparmio, così come disciplinata dagli articoli 33 e seguenti del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria emanato con il decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, la banca depositariasvolge in primo luogo l'attività di custodia e deposito dei titoli e delle liquidità del fondo comune d’investimento.

La banca depositaria è anche tenuta a un'attività di verifica della legittimità dell'operato del gestore, poiché esegue le istruzioni del gestore a condizione che non siano contrarie alla legge, al regolamento e alle prescrizioni delle Autorità di vigilanza, e vigila sul calcolo delle quote e sulle operazioni di emissione e rimborso.

In pratica la banca depositaria si comporta come soggetto terzo rispetto al gestore, sia con riguardo al rapporto diretto con l'investitore, vigilando sulla correttezza del gestore, sia con riferimento agli investimenti posti in essere dal gestore medesimo, verificandone la legittimità rispetto agli spazi di manovra che sono riconosciuti al gestore dalla legge, dai regolamenti, dal regolamento o dalle linee d’investimento del fondo.

 

Nel dettaglio, il comma 1 stabilisce che la banca depositaria, distinta dal gestore, debba possedere i requisiti previsti dall’articolo 38 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, recante il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (di séguito: TUF).

 

Ai sensi del richiamato articolo 38, comma 1, del TUF, la banca depositaria, nell'esercizio delle proprie funzioni:

a)    accerta la legittimità delle operazioni di emissione e rimborso delle quote del fondo, nonché la destinazione dei redditi del fondo;

b)    accerta la correttezza del calcolo del valore delle quote del fondo o, su incarico della società di gestione del risparmio (SGR), provvede essa stessa a tale calcolo;

c)    accerta che nelle operazioni relative al fondo la controprestazione sia ad essa rimessa nei termini d'uso;

d)    esegue le istruzioni della società di gestione del risparmio se non sono contrarie alla legge, al regolamento o alle prescrizioni degli organi di vigilanza.

Il comma 2 stabilisce che la banca depositaria è responsabile nei confronti della società di gestione del risparmio e dei partecipanti al fondo di ogni pregiudizio da essi subito in conseguenza dell'inadempimento dei propri obblighi.

Secondo il comma 3, la Banca d'Italia, sentita la CONSOB, determina le condizioni per l'assunzione dell'incarico di banca depositaria e le modalità di subdeposito dei beni del fondo. Ai sensi del comma 4, gli amministratori e i sindaci della banca depositaria riferiscono senza ritardo alla Banca d'Italia e alla CONSOB, ciascuna per le proprie competenze, sulle irregolarità riscontrate nell'amministrazione della società di gestione del risparmio e nella gestione dei fondi comuni.

Con provvedimento della Banca d’Italia del 14 aprile 2005 (pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta ufficiale n. 109 del 12 maggio 2005) è stato emanato il regolamento sulla gestione collettiva del risparmio, che reca anche l’indicazione dei requisiti della banca depositaria.

 

Il comma 2 fa obbligo alla banca depositaria di eseguire le istruzioni impartite dal soggetto gestore del patrimonio del fondo.

Tale obbligo viene meno se le istruzioni:

a)    sono contrarie alla legge;

b)    sono contrarie allo statuto del fondo stesso;

c)    sono contrarie ai criteri stabiliti nel decreto del Ministro dell’economia e delle finanze previsto dall'articolo 6, comma 11, del presente decreto legislativo.

 

Il comma 3 dispone che siano applicate, in quanto compatibili, le disposizioni del richiamato articolo 38 del TUF.

 

Lo stesso comma 3 prescrive agli amministratori e ai sindaci della banca depositaria di riferire senza ritardo alla COVIP sulle irregolarità riscontrate nella gestione dei fondi pensione.

 

Questa disposizione applica alla fattispecie in esame il disposto dell’articolo 38, comma 4, del TUF, secondo cui gli amministratori e i sindaci della banca depositaria riferiscono senza ritardo alla Banca d'Italia e alla CONSOB, secondo le rispettive competenze, sulle irregolarità riscontrate nell'amministrazione della società di gestione del risparmio e nella gestione dei fondi comuni.

 

 


Art. 8
(Finanziamento)

 

 


1. Il finanziamento delle forme pensionistiche complementari può essere attuato mediante il versamento di contributi a carico del lavoratore, del datore di lavoro o del committente e attraverso il conferimento del TFR maturando. Nel caso di lavoratori autonomi e di liberi professionisti il finanziamento delle forme pensionistiche complementari è attuato mediante contribuzioni a carico dei soggetti stessi. Nel caso di soggetti diversi dai titolari di reddito di lavoro o d'impresa e di soggetti fiscalmente a carico di altri, il finanziamento alle citate forme è attuato dagli stessi o dai soggetti nei confronti dei quali sono a carico.

2. Ferma restando la facoltà per tutti i lavoratori di determinare liberamente l'entità della contribuzione a proprio carico, relativamente ai lavoratori dipendenti che aderiscono ai fondi di cui all'articolo 3, comma 1, lettere da a) a g) e di cui all'articolo 12, con adesione su base collettiva, le modalità e la misura minima della contribuzione a carico del datore di lavoro e del lavoratore stesso possono essere fissati dai contratti e dagli accordi collettivi, anche aziendali; gli accordi fra soli lavoratori determinano il livello minimo della contribuzione a carico degli stessi. Il contributo da destinare alle forme pensionistiche complementari è stabilito in cifra fissa oppure: per i lavoratori dipendenti, in percentuale della retribuzione assunta per il calcolo del TFR o con riferimento ad elementi particolari della retribuzione stessa; per i lavoratori autonomi e i liberi professionisti, in percentuale del reddito d'impresa o di lavoro autonomo dichiarato ai fini IRPEF, relativo al periodo d'imposta precedente; per i soci lavoratori di società cooperative, secondo la tipologia del rapporto di lavoro, in percentuale della retribuzione assunta per il calcolo del TFR ovvero degli imponibili considerati ai fini dei contributi previdenziali obbligatori ovvero in percentuale del reddito di lavoro autonomo dichiarato ai fini IRPEF relativo al periodo d'imposta precedente.

3. Nel caso di forme pensionistiche complementari di cui siano destinatari i dipendenti della pubblica amministrazione, i contributi alle forme pensionistiche debbono essere definiti in sede di determinazione del trattamento economico, secondo procedure coerenti alla natura del rapporto.

4. I contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro o committente, sia volontari sia dovuti in base a contratti o accordi collettivi, anche aziendali, alle forme di previdenza complementare, sono deducibili, ai sensi dell'articolo 10 del TUIR, dal reddito complessivo per un importo non superiore ad euro 5.164,57; i contributi versati dal datore di lavoro usufruiscono altresì delle medesime agevolazioni contributive di cui all'articolo 16; ai fini del computo del predetto limite di euro 5.164,57 si tiene conto anche delle quote accantonate dal datore di lavoro ai fondi di previdenza di cui all'articolo 105, comma 1, del citato TUIR. Per la parte dei contributi versati che non hanno fruito della deduzione, compresi quelli eccedenti il suddetto ammontare, il contribuente comunica alla forma pensionistica complementare, entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello in cui è stato effettuato il versamento, ovvero, se antecedente, alla data in cui sorge il diritto alla prestazione, l'importo non dedotto o che non sarà dedotto nella dichiarazione dei redditi.

5. Per i contributi versati nell'interesse delle persone indicate nell'articolo 12 del TUIR, che si trovino nelle condizioni ivi previste, spetta al soggetto nei confronti del quale dette persone sono a carico la deduzione per l'ammontare non dedotto dalle persone stesse, fermo restando l'importo complessivamente stabilito nel comma 4.

6. Ai lavoratori di prima occupazione successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto e, limitatamente ai primi cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari, è consentito, nei venti anni successivi al quinto anno di partecipazione a tali forme, dedurre dal reddito complessivo contributi eccedenti il limite di 5.164,57 euro pari alla differenza positiva tra l'importo di 25.822,85 euro e i contributi effettivamente versati nei primi cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche e comunque per un importo non superiore a 2.582,29 euro annui.

7. Il conferimento del TFR maturando alle forme pensionistiche complementari comporta l'adesione alle forme stesse e avviene, con cadenza almeno annuale, secondo:

a) modalità esplicite: entro sei mesi dalla data di prima assunzione il lavoratore, può conferire l'intero importo del TFR maturando ad una forma di previdenza complementare dallo stesso prescelta; qualora, in alternativa, il lavoratore decida, nel predetto periodo di tempo, di mantenere il TFR maturando presso il proprio datore di lavoro, tale scelta può essere successivamente revocata e il lavoratore può conferire il TFR maturando ad una forma pensionistica complementare dallo stesso prescelta;

b) modalità tacite: nel caso in cui il lavoratore nel periodo di tempo indicato alla lettera a) non esprima alcuna volontà, a decorrere dal mese successivo alla scadenza dei sei mesi ivi previsti:

1) il datore di lavoro trasferisce il TFR maturando dei dipendenti alla forma pensionistica collettiva prevista dagli accordi o contratti collettivi, anche territoriali, salvo sia intervenuto un diverso accordo aziendale che preveda la destinazione del TFR a una forma collettiva tra quelle previste all'articolo 1, comma 2, lettera e), n. 2), della legge 23 agosto 2004, n. 243; tale accordo deve essere notificato dal datore di lavoro al lavoratore, in modo diretto e personale;

2) in caso di presenza di più forme pensionistiche di cui al n. 1), il TFR maturando è trasferito, salvo diverso accordo aziendale, a quella alla quale abbia aderito il maggior numero di lavoratori dell'azienda;

3) qualora non siano applicabili le disposizioni di cui ai numeri 1) e 2), il datore di lavoro trasferisce il TFR maturando alla forma pensionistica complementare istituita presso l'INPS;

c) con riferimento ai lavoratori di prima iscrizione alla previdenza obbligatoria in data antecedente al 29 aprile 1993:

1) fermo restando quanto previsto all'articolo 20, qualora risultino iscritti, alla data di entrata in vigore del presente decreto, a forme pensionistiche complementari in regime di contribuzione definita, è consentito scegliere, entro sei mesi dalla predetta data o dalla data di nuova assunzione, se successiva, se mantenere il residuo TFR maturando presso il proprio datore di lavoro, ovvero conferirlo, anche nel caso in cui non esprimano alcuna volontà, alla forma complementare collettiva alla quale gli stessi abbiano già aderito;

2) qualora non risultino iscritti, alla data di entrata in vigore del presente decreto, a forme pensionistiche complementari, è consentito scegliere, entro sei mesi dalla predetta data, se mantenere il TFR maturando presso il proprio datore di lavoro, ovvero conferirlo, nella misura già fissata dagli accordi o contratti collettivi, ovvero, qualora detti accordi non prevedano il versamento del TFR, nella misura non inferiore al 50 per cento, con possibilità di incrementi successivi, ad una forma pensionistica complementare; nel caso in cui non esprimano alcuna volontà, si applica quanto previsto alla lettera b).

8. Prima dell'avvio del periodo di sei mesi previsto dal comma 7, il datore di lavoro deve fornire al lavoratore adeguate informazioni sulle diverse scelte disponibili. Trenta giorni prima della scadenza dei sei mesi utili ai fini del conferimento del TFR maturando, il lavoratore che non abbia ancora manifestato alcuna volontà deve ricevere dal datore di lavoro le necessarie informazioni relative alla forma pensionistica complementare verso la quale il TFR maturando è destinato alla scadenza del semestre.

9. Gli statuti e i regolamenti delle forme pensionistiche complementari prevedono, in caso di conferimento tacito del TFR, l'investimento di tali somme nella linea a contenuto più prudenziale tali da garantire la restituzione del capitale e rendimenti comparabili, nei limiti previsti dalla normativa statale e comunitaria, al tasso di rivalutazione del TFR.

10. L'adesione a una forma pensionistica realizzata tramite il solo conferimento esplicito o tacito del TFR non comporta l'obbligo della contribuzione a carico del lavoratore e del datore di lavoro. Il lavoratore può decidere, tuttavia, di destinare una parte della retribuzione alla forma pensionistica prescelta in modo autonomo ed anche in assenza di accordi collettivi; in tale caso comunica al datore di lavoro l'entità del contributo e il fondo di destinazione. Il datore può a sua volta decidere, pur in assenza di accordi collettivi, anche aziendali, di contribuire alla forma pensionistica alla quale il lavoratore ha già aderito, ovvero a quella prescelta in base al citato accordo. Nel caso in cui il lavoratore intenda contribuire alla forma pensionistica complementare e qualora abbia diritto ad un contributo del datore di lavoro in base ad accordi collettivi, anche aziendali, detto contributo affluisce alla forma pensionistica prescelta dal lavoratore stesso, nei limiti e secondo le modalità stabilite dai predetti contratti o accordi.

11. La contribuzione alle forme pensionistiche complementari può proseguire volontariamente oltre il raggiungimento dell'età pensionabile prevista dal regime obbligatorio di appartenenza, a condizione che l'aderente, alla data del pensionamento, possa far valere almeno un anno di contribuzione a favore delle forme di previdenza complementare. È fatta salva la facoltà del soggetto che decida di proseguire volontariamente la contribuzione, di determinare autonomamente il momento di fruizione delle prestazioni pensionistiche.

12. Il finanziamento delle forme pensionistiche complementari può essere altresì attuato delegando il centro servizi o l'azienda emittente la carta di credito o di debito al versamento con cadenza trimestrale alla forma pensionistica complementare dell'importo corrispondente agli abbuoni accantonati a seguito di acquisti effettuati tramite moneta elettronica o altro mezzo di pagamento presso i centri vendita convenzionati. Per la regolarizzazione di dette operazioni deve ravvisarsi la coincidenza tra il soggetto che conferisce la delega al centro convenzionato con il titolare della posizione aperta presso la forma pensionistica complementare medesima.

13. Gli statuti e i regolamenti disciplinano, secondo i criteri stabiliti dalla COVIP, le modalità in base alle quali l'aderente può suddividere i flussi contributivi anche su diverse linee di investimento all'interno della forma pensionistica medesima, nonché le modalità attraverso le quali può trasferire l'intera posizione individuale a una o più linee.


 

 

L’articolo 8 innova profondamente la disciplina del finanziamento delle forme pensionistiche complementari, rispetto alle disposizioni di cui all’analogo articolo 8 del D.Lgs. 124 del 1993.

 

Al riguardo, il citato articolo 8 del D.Lgs. 124 definisce (comma 1) i soggetti sui quali grava il finanziamento delle forme pensionistiche complementari.

In particolare, i lavoratori autonomi e i professionisti possono usufruire solamente dei propri versamenti, mentre i lavoratori dipendenti, i lavoratori legati al committente da rapporti di prestazione d’opera coordinata e continuativa prevalentemente a carattere personale senza rapporto di subordinazione e i soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro possono avvalersi, ai fini della contribuzione, oltre che sui propri versamenti, anche sulle quote a carico dei datori di lavoro, tra i quali si ricomprendono i committenti e le società cooperative.

Il comma 1-bis, introdotto dall’articolo 17 del D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 47 e successivamente modificato dal comma 14 dell'articolo 78 della legge finanziaria per il 2001 (L. 388 del 2000) si riferisce ai soggetti che possono iscriversi al “Fondo di previdenza per le persone che svolgono lavori di cura non retribuiti derivanti da responsabilità familiari” (cd. fondo per le casalinghe). In particolare, ai soggetti in questione sono consentite contribuzioni saltuarie e non fisse. I medesimi soggetti possono altresì delegare il centro servizi o l'azienda emittente la carta di credito o di debito al versamento con cadenza trimestrale al fondo pensione dell'importo corrispondente agli abbuoni accantonati a seguito di acquisti effettuati tramite moneta elettronica o altro mezzo di pagamento presso i centri vendita convenzionati. Per la regolarizzazione di dette operazioni deve ravvisarsi la coincidenza tra il soggetto che conferisce la delega al centro convenzionato non più con il titolare della moneta elettronica, ma con il titolare della posizione aperta presso il fondo pensione medesimo. Le modifiche introdotte dalla legge finanziaria per il 2001 tendono ad ampliare le previsioni della norma modificata consentendo gli abbuoni per acquisti effettuati con qualsiasi mezzo di pagamento (non solo con moneta elettronica) e anche nel caso in cui il titolare della posizione previdenziale non coincida con il titolare della moneta elettronica.

Lo stesso articolo definisce (comma 2) i parametri di riferimento per la determinazione delle contribuzioni ai fondi pensione. In particolare, per i lavoratori dipendenti si fa riferimento ad una percentuale, da concordare in sede di contrattazione collettiva, applicabile alla retribuzione assunta a base della determinazione del T.F.R. stesso.

Per i lavoratori autonomi, invece, la contribuzione si definisce in relazione al reddito d’impresa o di lavoro autonomo, mentre per i soci di cooperative come parametro di riferimento si utilizza la retribuzione imponibile ai fini contributivi[22].

Lo stesso comma, inoltre, prevede un’ulteriore fonte di finanziamento a favore dei fondi pensione, consistente nella possibilità di smobilizzo di parte degli accantonamenti annuali al T.F.R., determinando le quote a carico del datore di lavoro e del lavoratore. Inoltre, si stabilisce che, qualora si preveda l’utilizzazione della quota dell’accantonamento annuale al T.F.R., si determini la misura della riduzione della quota degli accantonamenti annuali futuri al T.F.R. stesso.

Il successivo comma 3 prevede la destinazione integrale ai fondi pensione degli accantonamenti al T.F.R. successivi all’iscrizione ai fondi pensione, per i lavoratori di prima occupazione assunti dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 124, e cioè a decorrere dal 28 aprile 1993.

L’articolo in oggetto, inoltre, detta disposizioni (comma 4) per i lavoratori dipendenti della pubblica amministrazione. In particolare, si dispone che i contributi ai fondi pensione debbano, nel caso in cui appunto i destinatari siano i dipendenti pubblici, siano definiti dagli accordi collettivi in sede di determinazione del trattamento economico.

Infine (comma 5), si dispone che le convenzioni per il servizio di raccolta dei contributi nonché dell’erogazione delle prestazioni sono ammesse a condizione che l’ente che presta il servizio attui il criterio di separazione contabile rispetto alle proprie attività istituzionali.

 

Il comma 1 prevede che il finanziamento delle forme pensionistiche complementari possa essere attuato sia mediante il versamento di contributi a carico del lavoratore, del datore di lavoro o del committente, nonché attraverso il conferimento del TFR maturando.

Lo stesso comma stabilisce altresì che il finanziamento delle forme pensionistiche complementari, nel caso di lavoratori autonomi e di liberi professionisti, è attuato mediante contribuzioni a carico dei soggetti stessi. Nel caso di soggetti diversi dai titolari di reddito di lavoro o d’impresa e di soggetti fiscalmente a carico di altri il richiamato finanziamento è attuato dagli stessi o dai soggetti nei confronti dei quali sono a carico.

 

Il comma 2 stabilisce che, ferma restando la facoltà per tutti i lavoratori di determinare liberamente l’entità della contribuzione a proprio carico, per i lavoratori dipendenti che aderiscono a forme di previdenza complementare, con l’ eccezione dell’adesione individuale a fondi pensione aperti e dell’adesione a forme pensionistiche individuali, la misura minima della contribuzione a carico del datore di lavoro o del committente e del lavoratore stesso possono essere fissati dai contratti e dagli accordi collettivi, anche aziendali.

Il livello minimo della contribuzione a carico dei lavoratori, inoltre, può essere determinato dagli accordi tra soli lavoratori.

Il contributo da destinare alle forme pensionistiche complementari è stabilito in cifra fissa oppure:

§      per i lavoratori dipendenti: in percentuale della retribuzione assunta per il calcolo del TFR o con riferimento ad elementi particolari della retribuzione stessa;

§      per i lavoratori autonomi e i liberi professionisti: in percentuale del reddito d'impresa o di lavoro autonomo dichiarato ai fini IRPEF, relativo al periodo d'imposta precedente;

§      per i soci lavoratori di società cooperative: secondo la tipologia del rapporto di lavoro, in percentuale della retribuzione assunta per il calcolo del TFR, ovvero degli imponibili considerati ai fini dei contributi previdenziali obbligatori, ovvero in percentuale del reddito di lavoro autonomo, dichiarato ai fini IRPEF, relativo al periodo d'imposta precedente.

Si ricorda che tra socio lavoratore e cooperativa si instaurano due diversi rapporti giuridici: quello associativo e, successivamente, quello di lavoro. Difatti il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente all’instaurazione del rapporto associativo un rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma (compresa quella della collaborazione coordinata non occasionale), con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali (art. 1, comma 3, legge n. 142/2001).

Se il rapporto di lavoro è svolto in forma subordinata, al socio lavoratore di cooperativa, ai sensi dell’articolo 2 della legge n. 142 del 2001, si applicano, tra le altre: le disposizioni della legge n. 300/1970 (cd. Statuto dei lavoratori). Fanno eccezione le norme concernenti: la reintegrazione nel posto di lavoro nel caso di licenziamento illegittimo nell’ambito di operatività della tutela reale (art. 18 della legge citata), qualora venga a cessare anche il rapporto associativo assieme a quello di lavoro; i diritti sindacali (artt. 19-27 della legge n. 300/1970), che possono essere esercitati, compatibilmente con lo status di socio lavoratore, solamente se ciò è previsto da specifici accordi collettivi tra associazioni nazionali del movimento cooperativo ed organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative. Si applicano inoltre le norme vigenti in materia di sicurezza e igiene del lavoro.

Se il rapporto di lavoro è svolto in forma autonoma (o parasubordinata), al socio lavoratore si applicano esclusivamente le norme dello Statuto dei lavoratori relative alla libertà di opinione, religiosa e sindacale (art. 1, della legge n. 300/1970), al divieto per il datore di lavoro di effettuare indagini sulle convinzioni politiche, religiose e sindacali dei lavoratori o su fatti non rilevanti ai fini della valutazione della loro professionalità (art. 8 della legge n. 300/1970), al diritto di associazione e di attività sindacale (artt. 14 e 15 della legge n. 300/1970). Tuttavia, in sede di accordi collettivi su citati, tenendo conto della peculiarità del sistema cooperativo, possono essere individuate forme specifiche di esercizio dei diritti sindacali. Le disposizioni relative alla sicurezza sui luoghi di lavoro si applicano solamente se compatibili con la prestazione lavorativa.

 

Il comma 3 conferma le disposizioni di cui al comma 4 dell’articolo 8 del D.Lgs. 124 del 193: nel caso in cui i destinatari delle forme pensionistiche complementari sono dipendenti della pubblica amministrazione, i contributi alle forme pensionistiche debbono essere definiti in sede di determinazione del trattamento economico, secondo procedure coerenti alla natura del rapporto.

In attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 1, comma 2, lettera e), numeri 1) e 2), della più volte richiamata L. 243 del 2004, il conferimento del TFR maturando (escludendo così il T.F.R. maturato, che resta eventualmente accantonato presso l’azienda) alle forme pensionistiche complementari avviene secondo modalità esplicite o tacite (comma 7).

 

Si ricorda, in proposito, che i numeri 1) e 2) della lettera e) concernono il conferimento del trattamento di fine rapporto (T.F.R.) alle forme pensionistiche complementari.

Il T.F.R. del settore privato, regolato dall'articolo 2120 del codice civile, come sostituito dall'articolo 1 della L. 29 maggio 1982, n. 297, si configura come una sorta di retribuzione differita e si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso, divisa per 13,5. Esso è rivalutato annualmente, su base composta, con l'applicazione di un tasso costituito dall'1,5% in misura fissa e dal 75% dell'aumento dell'indice dei prezzi al consumo calcolato dall'ISTAT rispetto all'anno precedente.

Il prestatore di lavoro, con almeno otto anni di servizio presso le stesso datore di lavoro, può chiedere, in costanza di rapporto di lavoro, una anticipazione non superiore al 70 per cento sul trattamento cui avrebbe diritto nel caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta, per far fronte a spese sanitarie per terapie e interventi straordinari o all’acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli.

La legge di riforma del sistema pensionistico n. 335 del 1995 ha proceduto ad uniformare il trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici alla disciplina del trattamento di fine rapporto.[23]

Si ricorda infine che con il D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 299, emanato in attuazione della delega di cui all’articolo 71 della legge 17 maggio 1999, n. 144 (cd. collegato ordinamentale in materia di investimenti, occupazione e riordino degli enti previdenziali) ha previsto – per un periodo limitato - la possibilità di trasformare in titoli il TFR[24].

 

In particolare, è stato introdotto l’istituto del silenzio-assenso:il conferimento del TFR a forme pensionistiche complementari ha luogo solo se il lavoratore non decida diversamente, in maniera espressa, entro sei mesi dalla data di prima assunzione. Per i lavoratori già assunti al momento dell’entrata in vigore del decreto legislativo in esame, i sei mesi decorrono dal 1° gennaio 2008 (art. 23, comma 8 del decreto legislativo)

Nel caso in cui decida in maniera esplicita per il conferimento del T.F.R., il lavoratore ha inoltre facoltà di scegliere, sempre entro sei mesi, la forma pensionistica complementare cui destinarlo.

Si ricorda che la legge delega prevede un’adeguata informazione ai lavoratoriin merito alla facoltà di scelta delle forme pensionistiche cui destinare il T.F.R.,“previa omogeneizzazione delle stesse in materia di trasparenza e tutela”, anche in deroga alle disposizioni legislative che già prevedono l'accantonamento del trattamento di fine rapporto e altri accantonamenti previdenziali presso gli enti di previdenza privatizzati, di cui al D.Lgs. 509 del 1994, per titoli diversi dalla previdenza complementare di cui al citato D.Lgs. 124. L’informazione al lavoratore, che riguarda esplicitamente solo le modalità di funzionamento dei fondi pensione, ma non la disciplina del T.F.R., concerne in particolare la tipologia, le condizioni per il recesso anticipato ed i rendimenti stimati dei fondi di previdenza complementari.

Inoltre il numero 2) della lettera e) prevede l’individuazione di modalità tacite di conferimento del T.F.R. ai fondi istituiti o promossi dalle regioni, ai fondi pensione chiusi previsti dalla contrattazione collettiva, ai fondi pensione aperti disciplinati dal D.Lgs. 124 del 1993 o ai fondi istituiti da regolamenti di enti o aziende, i cui rapporti di lavoro non siano disciplinati da contratti o accordi collettivi, e ai fondi istituiti sulla base di accordi fra soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro (articolo 3, comma 1, lettere c) e c-bis), del D.Lgs. 124 del 1993.

 

Sulla base delle disposizioni di delega, il richiamato comma 7 prevede che il conferimento avvenga mediante:

§      modalità esplicite (lettera a)): queste prevedono che, entro 6 mesi dalla data di prima assunzione, il lavoratore possa conferire l’intero importo del TFR maturando ad una forma qualsiasi di previdenza complementare, scelta dal lavoratore stesso. E’ inoltre previsto che, nel caso in cui il lavoratore decida di mantenere il T.F.R. maturando presso il proprio datore di lavoro, tale scelta possa essere successivamente revocata.

Al riguardo, il successivo articolo 23, comma 7, dispone che il termine di 6 mesi per la predetta scelta vale anche per i lavoratori assunti prima dell’entrata in vigore del provvedimento in esame (in tal caso il termine dei 6 mesi che inizia a decorrere dal 1° gennaio 2008);

§      modalità tacite (lettera b)): tali modalità operano nel caso in cui il lavoratore, entro il periodo di tempo in precedenza indicato, non abbia espresso alcuna volontà (cd. “silenzio-assenso”) in ordine al conferimento del T.F.R..

In questo caso, a decorrere dal mese successivo alla scadenza prevista:

-        il datore di lavoro trasferisce il T.F.R. maturando dei propri dipendenti alla forma pensionistica collettiva prevista dagli accordi o contratti collettivi, anche territoriali, salvo sia intervenuto un diverso accordo aziendale che preveda la destinazione del T.F.R. ai fondi istituiti o promossi dalle regioni, ai fondi pensione chiusi previsti dalla contrattazione collettiva,  ai fondi pensione aperti, oppure ai fondi istituiti da regolamenti di enti o aziende (cfr. supra). Tale accordo deve essere notificato dal datore di lavoro al lavoratore, in modo diretto e personale (lettera b), n. 1);

-        in caso di presenza di più forme pensionistiche alle quali l’azienda abbia aderito, il T.F.R. è trasferito, salvo diverso accordo aziendale, a quella alla quale abbia aderito il maggior numero di lavoratori dell’azienda (lettera b), n. 2);

-        infine, nel caso in cui non siano applicabili i criteri precedenti, il datore di lavoro trasferisce il TFR maturando alla forma pensionistica complementare residuale istituita presso l’INPS, di cui al successivo articolo 9 (vedi infra) (lettera b), n. 3).

 

Si consideri che l’articolo 23, comma 8, prevede che per i lavoratori assunti prima dell’entrata in vigore del presente provvedimento il periodo di 6 mesi in cui si forma il c.d. “silenzio-assenso” inizia a decorrere dal 1° gennaio 2008.

 

La successiva lettera c) reca disposizioni per i lavoratori iscritti alla previdenza obbligatoria prima del 29 aprile 1993, data di entrata in vigore del D.Lgs. 124 del 1993, per i quali era già previsto un diverso regime, concernente la possibilità di aderire alle forme pensionistiche complementari attraverso il conferimento parziale del T.F.R.

 

In particolare, per i richiamati soggetti:

§      nel caso in cui risultano già iscritti a forme pensionistiche complementari in regime di contribuzione definita alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, è consentito di scegliere, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, o dalla data di nuova assunzione, se successiva, se mantenere il residuo T.F.R. maturando presso il proprio datore di lavoro, ovvero conferirlo (ciò vale anche nel caso in cui non esprimano alcuna volontà) alla forma complementare collettiva alla quale gli stessi abbiano già aderito (lettera c), n. 1);

§      nel caso in cui non risultino iscritti a forme pensionistiche complementari alla stessa data, è consentito di scegliere, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, se mantenere il T.F.R. maturando presso il proprio datore di lavoro, ovvero conferirlo, nella misura già fissata dagli accordi o contratti collettivi, ovvero, qualora detti accordi non prevedano il conferimento del TFR, nella misura non inferiore al 50%, con possibilità di incrementi successivi, ad una forma pensionistica complementare. Nel caso in cui tali soggetti non esprimano alcuna volontà, si applicano i criteri di trasferimento del T.F.R. di cui alla lettera b) (lettera c), n. 2).

 

Come già accennato in precedenza, attualmente il T.F.R. accantonato, ai sensi dell’articolo 2120, quinto comma, c.c., con esclusione della quota maturata nell'anno, è incrementato, su base composta, al 31 dicembre di ogni anno, con l'applicazione di un tasso costituito dall'1,5% in misura fissa e dal 75% dell'aumento dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato dall'ISTAT, rispetto al mese di dicembre dell'anno precedente.

Si rammenta che, ai sensi dell’articolo 3, comma 4, del D.M. 21 novembre 1996, n. 703, gli statuti dei fondi pensione possono individuare al loro interno diverse linee di investimento, ad una delle quali gli iscritti hanno facoltà di aderire per un periodo di tempo predeterminato. Le linee di investimento si differenziano in relazione alla loro politica di investimento (ad esempio, si può avere una maggiore presenza di investimenti azionari oppure obbligazionari).

A ciascuna linea di investimento si applicano, con riferimento alle risorse gestite, i limiti e i criteri previsti dal D.Lgs. 124 del 1993 e dal D.M. 703 del 1996 per i fondi pensione.

I fondi pensione (articolo 3, comma 1, del D.M. 703 del 1996) possono investire le proprie disponibilità in:

a)       titoli di debito (titoli emessi da Stati o da organismi internazionali; obbligazioni, anche convertibili; certificati di deposito e di investimento; cambiali finanziarie; altri strumenti finanziari, diversi da quelli assicurativi, che prevedono a scadenza la restituzione del capitale);

b)       titoli di capitale (come azioni; quote di società immobiliari a responsabilità limitata; altri strumenti finanziari negoziabili rappresentativi del capitale di rischio);

c)       parti di OICVM (organismi di investimento collettivo di cui alla direttiva 85/611/CEE);

d)       quote di fondi comuni di investimento mobiliare e immobiliare chiusi.

Possono inoltre:

a)       effettuare operazioni di pronti contro termine che prevedano l'acquisto a pronti e la rivendita a termine ovvero la vendita a pronti ed il riacquisto a termine di strumenti finanziari ed il prestito titoli;

b)       detenere liquidità;

c)       effettuare operazioni in contratti derivati (futures su strumenti finanziari, tassi di interesse, valute, e relativi indici; contratti di scambio a pronti e a termine – swaps - su tassi di interesse, valute e indici; contratti di opzione per acquistare o vendere titoli di debito, titoli di capitale ed altri strumenti finanziari, contratti futures o swaps, indici, valute e tassi di interesse).

Non sono invece ammesse le vendite allo scoperto.

I fondi pensione possono stipulare accordi, con i soggetti di cui all’articolo 6, comma 1, del D.Lgs. 124 del 1993 (società di intermediazione mobiliare, imprese assicurative, società di gestione dei fondi comuni di investimento mobiliare), per la gestione delle disponibilità loro affidate, che prevedano la garanzia di restituzione del capitale (articolo 6 del D.M. 703 del 1996). Non è invece prevista dalla legislazione vigente la stipula di accordi che garantiscano, oltre alla restituzione del capitale, un rendimento in misura comparabile al tasso di rivalutazione del T.F.R.

 

Il comma 8 al fine di consentire una scelta consapevole del lavoratore circa la destinazione del TFR, prevede che, prima dell’avvio del periodo di sei mesi previsto dal comma 7, il datore di lavoro deve fornire al lavoratore adeguate informazioni sulle diverse scelte disponibili. Inoltre, trenta giorni prima della scadenza dei sei mesi utili ai fini del conferimento del TFR maturando, il lavoratore che non abbia ancora manifestato alcuna volontà deve ricevere dal datore di lavoro le necessarie informazioni relative al fondo pensione verso il quale il TFR maturando è destinato alla scadenza del semestre.

 

I commi da 4 a 6 dell’articolo 8 introducono benefìci fiscali diretti ad incentivare l’adesione ai fondi pensione da parte dei soggetti interessati.

In particolare, vengono aumentati i limiti di deducibilità dal reddito imponibile per i contributi versati dai lavoratori e vengono introdotte ulteriori agevolazioni per coloro che inizino a lavorare dopo l’entrata in vigore delle nuove disposizioni.

 

Le disposizioni tributarie sono state collocate nella presente fonte normativa, recante la disciplina della previdenza complementare; mediante il successivo articolo 21, i rinvii alle disposizioni qui contenute sono stati inseriti nel testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, che costituisce la naturale sedes materiae.

 

Il comma 4 consenteche i contributi versati dal lavoratore, dal datore di lavoro o dal committente alle forme di previdenza complementari possano essere dedotti ai sensi dell’articolo 10 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito: TUIR). È espressamente specificato che questa disposizione si applica sia ai contributi volontari, sia a quelli eventualmente versati per obbligo derivante da contratti o accordi collettivi, anche aziendali.

 

L’articolo 10 del TUIR, nell’ambito del titolo I concernente l’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), reca disposizioni riguardanti gli oneri deducibili dal reddito complessivo.

In particolare, ai sensi del comma 1, lettera e-bis), sono deducibili i contributi versati alle forme pensionistiche complementari e i contributi e premi versati alle forme pensionistiche individuali, previste dal decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124[25], entro i limiti d’importo fissati. La deduzione non può essere superiore al 12% del reddito complessivo (limite percentuale) e, in ogni caso, è ammessa nell’importo massimo di 5.164,57 euro (limite d’importo fisso). Inoltre, se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi di lavoro dipendente, relativamente a tali redditi la deduzione compete per un importo complessivamente non superiore al doppio della quota di TFR destinata alle forme pensionistiche collettive (ulteriore limite per lavoratori dipendenti) e, comunque, entro i predetti limiti del 12% del reddito complessivo e di euro 5.164,57. L’ulteriore limite relativo al lavoro dipendente non opera se la fonte istitutiva sia costituita unicamente da accordi tra lavoratori, nonché nei riguardi dei soggetti iscritti entro il 28 aprile 1993 alle forme pensionistiche complementari che risultano istituite alla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421, e se le forme pensionistiche collettive istituite non siano operanti dopo due anni. Ai fini del computo dei predetti limiti si deve tenere conto di tutti i versamenti che affluiscono alle forme pensionistiche, collettive e individuali, con la sola eccezione del TFR. In altre parole, come precisato anche nella circolare dell’Agenzia delle entrate n. 29/E del 21 marzo 2001, concorrono alla determinazione dell’importo:

1)       le somme versate dall’iscritto;

2)       le somme versate dal datore di lavoro;

3)       le quote accantonate dal datore di lavoro per fondi di previdenza interni, ai sensi dell’articolo 105, comma 1 del TUIR;

4)       i contributi eccedenti il massimale contributivo versati dal datore di lavoro o dal lavoratore ai fondi pensione.

Ai sensi del comma 2 dell'articolo 10 del TUIR è ammessa la deduzione delle somme versate alle forme di previdenza per le persone fiscalmente a carico, per l’ammontare non dedotto dalle persone stesse, fermo restando l’importo complessivamente stabilito.

 

Le disposizioni sopra illustrate sono modificate dall’articolo 21 del presente decreto legislativo nei termini sotto indicati:

-        è sostituita la lettera e-bis) del comma 1, prevedendosi la deducibilità dei contributi versati alle forme pensionistiche complementari alle condizioni e nei limiti previsti dall’articolo 8 del presente decreto;

-        è abrogato l’ultimo periodo del comma 2, in relazione a quanto disposto dal successivo comma 5 del presente articolo.

 

Le disposizioni contenute nell’articolo 10 del TUIR riguardano gli oneri deducibili dal reddito complessivo delle persone fisiche e non interessano, invece, gli oneri deducibili ai fini della determinazione del reddito d’impresa.

 

Pertanto, per quanto concerne l’ambito soggettivo, si ritiene che il rinvio all’articolo 10 del TUIR interessi esclusivamente la deducibilità da parte dei lavoratori e non anche quella relativa ai datori di lavoro o committenti.

 

Per quanto riguarda il datore di lavoro, l'intero importo dei contributi versati costituisce costo per lavoro dipendente e, pertanto, risulta integralmente deducibile ai sensi dell’articolo 95 del TUIR.

 

L’articolo 3 del decreto legislativo n. 47 del 2000 ha abrogato, con effetto dal 1° gennaio 2001, i commi 2 e 6 dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 124 del 1993. Ai sensi del comma 2 i contributi erano deducibili, ai fini della determinazione del reddito d'impresa, in misura non superiore, per ciascun dipendente, al 2 per cento della retribuzione annua complessiva assunta come base per la determinazione del TFR, e comunque per un importo non eccedente 1.291,14 euro. Ai sensi del comma 6, la deducibilità, ai fini della determinazione del reddito d'impresa, era limitata al 3 per cento delle quote di accantonamento annuale al TFR destinate a forme pensionistiche complementari.

 

Viene inoltre specificato che i contributi di eguale natura versati dal datore di lavoro usufruiscono altresì delle medesime agevolazioni contributive previste dall’articolo 16 (assoggettamento a contribuzione obbligatoria ridotta, denominata contributo di solidarietà, nella misura del 10 per cento).

 

Con riferimento all’ambito soggettivo, il presente comma include tra i soggetti destinatari della disposizione, oltre al lavoratore e al datore di lavoro, anche il committente. La disciplina, pertanto, risulterebbe applicabile non esclusivamente ai contratti di lavoro subordinato, ma anche ad altri contratti quali, ad esempio, i contratti di lavoro a progetto o contratti di collaborazione coordinata e continuativa.

 

Si osserva che il riferimento al committente non è ripetuto nell’inciso riguardante la fruizione delle agevolazioni contributive previste dall’articolo 16.

 

La disposizione prevede un importo massimo deducibile determinato – esclusivamente in cifra fissa – in 5.164,57 euro per ciascun anno.

Quest’importo, come già ricordato, coincide con quello stabilito dall’articolo 10 del TUIR, il quale, tuttavia, dispone anche un limite percentuale e, per i lavoratori dipendenti, anche un ulteriore limite massimo rapportato al TFR.

 

Per quanto riguarda i datori di lavoro o committenti, non appare chiaro se la norma intenda introdurre un limite alla deducibilità dei contributi in argomento.

 

Ai fini del computo dell’importo massimo deducibile si deve tenere conto, oltre ai contributi versati dall’iscritto, anche delle quote accantonate dal datore di lavoro come trattamento di fine rapporto e di quelle accantonate nei fondi di previdenza del personale (deducibili, a norma dell’articolo 105, comma 1, del TUIR, nei limiti delle quote maturate nell’esercizio)[26].

In altre parole, rispetto all’articolo 10 del TUIR, non rilevano, ai fini della determinazione del limite massimo di importo deducibile, i contributi versati ai sensi dell’articolo 2 della legge n. 335 del 1995, eccedenti il massimale contributivo stabilito dal D.Lgs. n. 579 del 1995[27].

 

L’ultimo periodo del presente comma reca disposizioni circa la comunicazione dei contributi non dedotti, che il contribuente deve effettuare nei riguardi del fondo pensione di riferimento.

 

Si ricorda che, sulla base della disciplina fiscale introdotta, modificando il TUIR, dal D.Lgs. n. 47 del 2000, le prestazioni previdenziali riferibili ai contributi e ai premi non dedotti (anche per il superamento dei limiti previsti) non concorrono alla formazione della base imponibile della prestazione erogata dalla forma pensionistica (collettiva o individuale).

In particolare, l’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 47 del 2000 dispone che, se l'ammontare dei contributi o dei premi versati alle forme pensionistiche previste dal decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, non ha fruito, anche parzialmente, della deduzione ai sensi della lettera e-bis) del comma 1 dell'articolo 10 del TUIR, “il contribuente comunica al fondo pensione o all'impresa di assicurazione, entro il 30 settembre dell'anno successivo a quello in cui è stato effettuato il versamento ovvero, se antecedente, alla data in cui sorge il diritto alla prestazione, l'importo non dedotto o che non sarà dedotto in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi”.

Inoltre, come precisato nella circolare dell’Agenzia delle entrate n. 29/E del 2001, “l'ammontare della prestazione corrispondente ai contributi non dedotti non va in ogni caso assoggettato a tassazione, in quanto la nuova disciplina prevede, in via di principio, la sola tassazione delle prestazioni riferibili alle somme che hanno fruito della deducibilità fiscale durante la fase di costituzione della prestazione stessa”.

In proposito appare opportuno ricordare, infine, che l’Agenzia delle entrate, con risoluzione del n. 245/E del 23 luglio 2002, ha ritenuto che il fondo pensione, in qualità di sostituto d’imposta, non possa escludere i contributi, non dedotti dall’iscritto, dalla base imponibile della prestazione previdenziale da erogare, quando quest’ultimo non abbia provveduto a comunicarli al fondo stesso ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 47 del 2000.

 

In particolare, entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in qui è stato effettuato il versamento il contribuente deve comunicare al fondo pensione la parte dei contributi che non ha fruito della deduzione.

Qualora il versamento sia successivo alla data in cui sorge il diritto alla prestazione, il termine per la presentazione della comunicazione è fissato al 31 dicembre dell’anno successivo a quest’ultima data.

 

Il comma 5, modificando la disciplina attualmente contenuta nell’ultimo periodo del comma 2 dell’articolo 10 del TUIR [che viene conseguentemente abrogato dal successivo articolo 21, comma 3, lettera a)], dispone la deducibilità dei contributi versati per le persone fiscalmente a carico, indicate nell’articolo 12 del TUIR.

 

L’articolo 12 del TUIR fa riferimento al coniuge non legalmente ed effettivamente separato, ai figli, compresi i figli naturali riconosciuti, i figli adottivi e gli affidati o affiliati, nonché alle altre persone indicate nell'articolo 433 del codice civile[28] che convivano con il contribuente o percepiscano assegni alimentari non risultanti da provvedimenti dell'autorità giudiziaria.

 

In particolare, il soggetto che versa contributi per le persone a carico può dedurre gli importi corrisposti, entro i limiti fissati nel comma 4, limitatamente alla parte non dedotta dalle persone stesse.

Il rinvio ai limiti fissati dal comma 4 comporta, anche in questo caso, l’inapplicabilità dei limiti percentuali fissati dall’articolo 10 del TUIR, nonché di quelli ulteriori, correlati al TFR, previsti per i lavoratori dipendenti.

 

Il comma 6introduce ulteriori agevolazione in favore dei lavoratori il cui primo rapporto di lavoro venga instaurato successivamente alla data di entrata in vigore del presente schema di decreto.

In particolare, se nei primi cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari[29] è stato superato il limite di 5.164,57 euro, è consentito a questi soggetti di portare in deduzione l’eccedenza nei venti anni successivi al quinto, ossia dal sesto al venticinquesimo anno.

L’eccedenza deducibile, tuttavia, non può superare complessivamente l’importo di 25.822,85 euro e, annualmente, l’importo di 2.582,29 euro.

 

Sulla base del testo normativo, sembrerebbe possibile, per il lavoratore, fruire del beneficio anche nel caso in cui l’adesione avvenga in un momento successivo all’inizio del rapporto di lavoro.

 

L’articolo in esame, inoltre, prevede che:

§      in caso di conferimento tacito del T.F.R., gli statuti e i regolamenti prevedono l’investimento dello stesso T.F.R. nella linea a contenuto più prudenziale, in modo da garantire la restituzione del capitale e rendimenti comparabili al tasso di rivalutazione del T.F.R (comma 9);

Sembrerebbe che implicitamente si preveda l’obbligo, per gli statuti e i regolamenti delle forme pensionistiche complementari, di istituire linee di investimento tali da garantire, nel caso di conferimento tacito del T.F.R.,  non solo la restituzione del capitale, ma anche rendimenti pari al tasso di rivalutazione del T.F.R.

L’inciso “nei limiti previsti dalla normativa statale e comunitaria” sembra da riferire esclusivamente ai rendimenti e non, invece, alla restituzione del capitale.

§      l’adesione ad una forma pensionistica realizzata tramite il solo conferimento esplicito o tacito del T.F.R. non comporta l’obbligo della contribuzione (ulteriore rispetto al T.F.R.) a carico del lavoratore e del datore di lavoro, anche se è facoltà del lavoratore decidere di destinare una parte della retribuzione alla forma pensionistica prescelta in modo autonomo, anche in assenza di accordi collettivi. In tal caso, il lavoratore comunica al datore di lavoro l’entità del contributo ed il fondo pensione di destinazione (comma 10, primo e secondo periodo);

§      il datore di lavoro possa a sua volta decidere, anche in assenza di accordi collettivi, anche aziendali, di contribuire alla forma pensionistica collettiva alla quale il lavoratore ha già aderito, oppure a quella prescelta autonomamente (comma 10, terzo periodo);

Il testo appare poco perspicuo nella parte in cui fa riferimento ad una forma pensionistica eventualmente prescelta “in base al citato accordo”, dal momento che si tratta del caso in cui il lavoratore ha deciso di destinare una parte della retribuzione ad un fondo pensione prescelto “in modo autonomo  ed anche in assenza di accordi collettivi”.

§      nel caso in cui il lavoratore intenda contribuire al fondo pensione e qualora abbia diritto ad un contributo del datore di lavoro sulla base di accordi collettivi, anche aziendali, il contributo del lavoratore affluisce alla forma pensionistica prescelta dal lavoratore stesso, “nei limiti e secondo le modalità stabilite dai predetti contratti o accordi” (comma 10, ultimo periodo);

Si consideri, nel merito, che la formulazione iniziale della disposizione in esame, nello schema di decreto sottoposto al parere parlamentare, prevedeva una “portabilità” per così dire “automatica” del contributo del datore di lavoro, mentre nel testo definitivo del decreto si rimette agli accordi collettivi la facoltà di permettere tale portabilità. Pertanto, nel testo definitivo del decreto, si interpreta in maniera più restrittiva il principio di delega di cui al numero 3) della lettera e) dell’articolo 1, comma 2, della legge delega, volto a prevedere che “qualora il lavoratore abbia diritto ad un contributo del datore di lavoro da destinare alla previdenza complementare, detto contributo affluisca alla forma pensionistica prescelta dal lavoratore stesso”. In sostanza, il legislatore delegato dà per presupposto che il diritto soggettivo alla “portabilità” del contributo del datore di lavoro previsto dagli accordi collettivi sorge nella sfera giuridica del lavoratore solamente allorché gli stessi accordi dispongano in tal senso.

§      la contribuzione alle forme pensionistiche complementari possa proseguire volontariamente oltre il raggiungimento dell’età pensionabile prevista dal regime obbligatorio di appartenenza. Tale facoltà opera a condizione che l’aderente, alla data del pensionamento, possa far valere almeno un anno di contribuzione continuativa a favore delle forme di previdenza complementare. In ogni caso, è fatta salva la facoltà del soggetto interessato di determinare autonomamente il momento di fruizione delle prestazioni pensionistiche (comma 11);

Si ricorda che tale disposizione dà attuazione al numero 5) della lettera e) dell’articolo 1, comma 2, della legge delega.

§      è possibile suddividere i flussi contributivi anche su diverse linee di investimento all’interno della medesima forma pensionistica, nonché trasferire l’intera posizione individuale a una o più linee di investimento. In particolare, gli statuti e i regolamenti disciplinano, secondo criteri stabiliti dalla COVIP, le modalità in base alle quali l’aderente può effettuare la citata suddivisione nonché le modalità attraverso le quali si può trasferire la posizione da una linea ad un’altra (comma 13).

Si consideri che, rispetto al testo iniziale, è stato eliminato l’inciso che espressamente impediva di aderire contemporaneamente a più di una forma pensionistica complementare. E’ pertanto da ritenere che, ricorrendone i presupposti, i “destinatari” di cui all’articolo 2 possano aderire contemporaneamente a più di una forma pensionistica complementare.

 

Infine, il comma 12, riprendendo quanto disposto dal comma 1-bis dell’articolo 8 del D.Lgs. 124 del 1993 (vedi supra), così come modificato dall’articolo 78, comma 14, della L. 388 del 2000, estende il meccanismo di finanziamento introdotto per sovvenzionare il cd. Fondo per le casalinghe a tutte le forme pensionistiche complementari. Anche in questo caso, affinché le operazioni possano considerarsi regolari, è obbligatoria la coincidenza tra il soggetto che conferisce la delega al centro convenzionato con il titolare della posizione aperta presso la forma pensionistica complementare.

 

Secondo tale meccanismo di finanziamento, l’azienda emittente la carta di credito o di debito può essere delegata al versamento , con cadenza trimestrale, al fondo pensione dell’importo relativo agli abbuoni accantonati a seguito di acquisti effettuati tramite moneta elettronica presso i centri vendita convenzionati.

 

 


Art. 9
(Istituzione e disciplina della forma pensionistica complementare residuale presso l'INPS)

 

 


1. Presso l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) è costituita la forma pensionistica complementare a contribuzione definita prevista dall'articolo 1, comma 2, lettera e), n. 7), della legge 23 agosto 2004, n. 243, alla quale affluiscono le quote di TFR maturando nell'ipotesi prevista dall'articolo 8, comma 7, lettera b), n. 3). Tale forma pensionistica è integralmente disciplinata dalle norme del presente decreto.

2. La forma pensionistica di cui al presente articolo è amministrata da un comitato dove è assicurata la partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, secondo un criterio di pariteticità. I membri del comitato sono nominati dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali e restano in carica per quattro anni. I membri del comitato devono possedere i requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza stabiliti con decreto di cui all'articolo 4, comma 3.

3. La posizione individuale costituita presso la forma pensionistica di cui al presente articolo può essere trasferita, su richiesta del lavoratore, anche prima del termine di cui all'articolo 14, comma 6, ad altra forma pensionistica dallo stesso prescelta.


 

 

L’articolo 9 istituisce presso l’INPS la forma pensionistica complementare residuale a contribuzione definita di cui all’articolo 1, comma 2, lettera e), n. 7, della L. 243 del 2004.

 

Si ricorda che la citata lettera e), n. 7, del comma 2 dell’articolo 1 della L. 243, completando il quadro della normativa sulla destinazione del TFR, ha previsto la costituzione, presso enti di previdenza obbligatoria, di forme pensionistiche alle quali destinare in via residuale le quote del TFR non altrimenti devolute.

La disposizione dovrebbe disciplinare, quindi, i casi di devoluzione tacita del TFR nel caso in cui non sia possibile il conferimento ai fondi di cui al precedente numero 2) della lettera e). Il citato numero 2) dispone che, in caso di silenzio-assenso - ossia nel caso in cui il lavoratore, nel citato termine di sei mesi, non esprima la volontà di non aderire ad alcune forma pensionistica e non scelga una forma pensionistica complementare – il TFR, sia conferito:

§      ai fondi istituiti o promossi dalle regioni, tramite l’istituzione di strutture pubbliche o a partecipazione pubblica;

§      ai fondi pensione chiusi previsti dalla contrattazione collettiva o ai fondi pensione aperti disciplinati dal D.Lgs. 124 del 1993;

§      ai fondi istituiti da regolamenti di enti o aziende, i cui rapporti di lavoro non siano disciplinati da contratti o accordi collettivi, e ai fondi istituiti sulla base di accordi fra soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro (articolo 3, comma 1, lettere c) e c-bis), del D.Lgs. 124 del 1993.

 

In particolare il comma 1 prevede l’istituzione presso l’INPS (che viene così riconosciuto come unico ente al quale destinare il T.F.R. maturando non altrimenti conferito) della forma pensionistica complementare a contribuzione definita, alla quale, nel caso di conferimento tacito, affluiscono le quote di TFR maturando nell’ipotesi di assenza di una forma pensionistica complementare collettiva, prevista da accordi o contratti collettivi, della quale i lavoratori siano destinatari (vedi articolo 8, comma 7, lettera b)). Tale forma pensionistica è integralmente disciplinata dalle norme del presente decreto.

 

Il successivo comma 2 prevede che tale forma pensionistica sia amministrata da un comitato i cui membri devono garantire la partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro secondo un criterio paritetico. I membri del comitato sono nominati dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e restano in carica per quattro anni. I membri del comitato, inoltre, devono possedere i requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza stabiliti con il decreto di cui al precedente articolo 4, comma 3 (vedi supra).

Al riguardo, si segnala che il testo non prevede il numero dei membri del comitato ed il termine entro il quale devono essere nominati.

 

Infine, il comma 3 prevede la facoltà del lavoratore di trasferire la propria posizione individuale, costituita presso la forma pensionistica di cui al presente articolo, anche in deroga al rispetto del termine di due anni di cui al successivo articolo 14, comma 6, ad altra forma pensionistica scelta dal lavoratore stesso (vedi infra).

 

Dal combinato disposto dei commi 1 e 3, sembrerebbe che al fondo in questione affluiscano solamente le quote di T.F.R. nell’ipotesi residuale di conferimento tacito.

 

Si evidenzia, al riguardo, che il criterio di delega, disponendo la costituzione di un fondo residuale, presso enti di previdenza obbligatoria, al quale destinare le quote del T.F.R. non altrimenti devolute nel caso di conferimento tacito, non impediva la previsione, nel decreto legislativo, di una facoltà di adesione volontaria al Fondo complementare INPS, al di là della sua funzione residuale. Il legislatore delegato, come sopra visto, ha invece attribuito al Fondo in questione una valenza esclusivamente residuale nel caso di conferimento tacito del T.F.R.

 

 


Art. 10
(Misure compensative per le imprese)

 

 


1. Dal reddito d'impresa è deducibile un importo pari al quattro per cento dell'ammontare del TFR annualmente destinato a forme pensionistiche complementari; per le imprese con meno di 50 addetti tale importo è elevato al sei per cento.

2. Il datore di lavoro è esonerato dal versamento del contributo al fondo di garanzia previsto dall'articolo 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297, nella stessa percentuale di TFR maturando conferito alle forme pensionistiche complementari, ferma restando l'applicazione del contributo previsto ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80.

3. Le modalità di funzionamento del Fondo di garanzia per facilitare l'accesso al credito per le imprese a seguito del conferimento del TFR alle forme pensionistiche complementari, istituito dall'articolo 8, comma 1, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, sono stabilite con il decreto previsto nel medesimo comma, nel rispetto delle prescrizioni contenute in un apposito accordo stipulato dai Ministri del lavoro e delle politiche sociali e dell'economia e delle finanze con l'Associazione bancaria italiana, fermo restando, in ogni caso, il rispetto della dotazione finanziaria a tal fine prevista.

4. Un'ulteriore compensazione dei costi per le imprese, conseguenti al conferimento del TFR alle forme pensionistiche complementari, è assicurata anche mediante una riduzione del costo del lavoro, attraverso una riduzione degli oneri impropri, correlata al flusso di TFR maturando conferito, nei limiti e secondo quanto stabilito dall'articolo 8, comma 2, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203.

5. Le misure di cui al presente articolo si applicano previa verifica della loro compatibilità con la normativa comunitaria in materia.


 

 

L’articolo 10, per compensare il venir meno della disponibilità degli importi accantonati quale trattamento di fine rapporto, dispone misure di carattere tributario e contributivo in favore delle imprese e completa la disciplina di cui all’articolo 8, commi 1 e 2, del decreto legge n. 203/2005, con riguardo all’istituzione di un fondo per agevolare l’accesso al credito e alla previsione di riduzione dei contributi previdenziali ed assistenziali.

La disposizione si richiama al criterio di delega posto dall’articolo 1, comma 2, lettera e), numero 9), della legge n. 243 del 2004.

Esso prescrive che il conferimento del T.F.R. a forme pensionistiche complementari non determini oneri per le imprese, richiedendo a questo fine “l'individuazione delle necessarie compensazioni in termini di facilità di accesso al credito, in particolare per le piccole e medie imprese, di equivalente riduzione del costo del lavoro e di eliminazione del contributo relativo al finanziamento del fondo di garanzia del trattamento di fine rapporto”.

 

Il comma 1 stabilisce che dal reddito d’impresa sia deducibile un importo pari al 4 per cento dell’ammontare del trattamento di fine rapporto annualmente destinato a forme pensionistiche complementari.

La misura della deduzione è aumentata al 6 per cento per le imprese con meno di cinquanta addetti.

 

A norma degli articoli 2424 e 2424-bis, comma 4, del codice civile, gli accantonamenti destinati al trattamento di fine rapporto (calcolati secondo l’articolo 2120) sono iscritti nel bilancio delle società in apposita voce del passivo dello stato patrimoniale. Essi sono altresì iscritti nel conto economico, a norma dell’articolo 2425, e classificati nell’apposita voce fra i costi della produzione relativi al personale.

Secondo i princìpi contabili italiani, la passività per il trattamento di fine rapporto è rilevata sulla base del debito nominale maturato alla data di chiusura del bilancio; secondo i princìpi contabili internazionali (IAS), l'istituto rientra nella tipologia dei piani a benefìci definiti, soggetti a valutazioni di natura attuariale per esprimere il valore attuale del beneficio, erogabile al termine del rapporto di lavoro, che i dipendenti hanno maturato alla data di bilancio. Pertanto, il valore attuale finanziario-attuariale della passività dev’essere ricalcolato, per ciascun dipendente, col "metodo di proiezione del credito unitario" previsto dallo IAS 19.

 

La disciplina tributaria vigente relativamente agli accantonamenti destinati ai fondi per le indennità di fine rapporto e ai fondi di previdenza del personale dipendente istituiti ai sensi dell'articolo 2117 del codice civile è attualmente contenuta nell’articolo 105 del testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.

A norma del comma 1, tali fondi, se costituiti in conti individuali dei singoli dipendenti, sono deducibili dal reddito dell’impresa o della società nei limiti delle quote maturate nell'esercizio in conformità alle disposizioni legislative e contrattuali che regolano il rapporto di lavoro dei dipendenti stessi[30].

Il comma 3 ammette inoltre la deduzione di un importo non superiore al 3 per cento delle quote di accantonamento annuale del TFR destinate a forme pensionistiche complementari.

 

L’articolo 21, comma 4, del presente provvedimento modifica il comma 3 dell’articolo 105 del TUIR, richiamando la disciplina della deduzione contemplata nel comma 1 del presente articolo.

 

Il comma 2 prevede l’esonero, a favore del datore di lavoro, del versamento del contributo al Fondo di garanzia per il T.F.R., istituito dall’articolo 2 della L. 29 maggio 1982, n. 297, nella stessa percentuale di T.F.R. maturando conferito alle forme pensionistiche complementari.

Si ricorda, al riguardo, che il Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto (T.F.R.) è stato istituito dal richiamato articolo 2 con lo scopo di sostituirsi al datore di lavoro in caso di insolvenza del medesimo nel pagamento del T.F.R. stesso, di cui all'articolo 2120 del codice civile, spettante ai lavoratori o loro aventi diritto.

Lo stesso articolo, inoltre, ha stabilito che tale Fondo, per le cui entrate ed uscite è tenuta una contabilità separata nella gestione dell'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione, sia alimentato con un contributo a carico dei datori di lavoro a decorrere dal periodo di paga in corso al 1° luglio 1982.

L’entità di tale contributo, originariamente pari allo 0,03% della retribuzione di cui all'articolo 12 della L. 30 aprile 1969, n. 153, è stata successivamente elevata allo 0,15% dal D.M. 9 febbraio 1988, a decorrere dal periodo di paga in corso al primo giorno del mese successivo a quello della pubblicazione del decreto stesso, e cioè dal marzo 1988.

Ai sensi dell’articolo 4 del citato D.Lgs. 80 del 1992, per l'anno 1992 l'aliquota contributiva è stata elevata dello 0,05% e, per gli anni successivi, si prevede che sia determinata sulla base dell'andamento gestionale del Fondo stesso.

Si ricorda, infine, che per tale contributo si osservano le stesse disposizioni vigenti per l'accertamento e la riscossione dei contributi dovuti al Fondo pensioni dei lavoratori dipendenti. E’ previsto un vincolo di destinazione del contributo alle finalità istituzionali del fondo stesso. Al fine di assicurare il pareggio della gestione, l'aliquota contributiva può essere modificata, in diminuzione o in aumento, con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale (attualmente Ministro del lavoro e delle politiche sociali), di concerto con il Ministro del tesoro (attualmente Ministro dell’economia e delle finanze), sentito il consiglio di amministrazione dell'INPS, sulla base delle risultanze del bilancio consuntivo del fondo medesimo.

 

Lo stesso comma dispone altresì che resta ferma l’applicazione del contributo di cui all’articolo 4 del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80. La disposizione va interpretata nel senso che rimane fermo, per il datore di lavoro, l’obbligo di versare il contributo al Fondo di garanzia relativo al finanziamento dell’intervento dello stesso Fondo per i crediti di lavoro (con esclusione del T.F.R.). Tale contributo è previsto nella misura dello 0,05% dall’articolo 4 su citato, ma tale aliquota può essere variata anno per anno, sulla base dell’andamento gestionale del Fondo, con decreto del Ministro del lavoro di concerto con il Ministro dell’economia, sentito il consiglio di amministrazione dell’INPS[31].

 

Il comma 3 precisa che la definizione dei criteri e delle modalità di funzionamento del Fondo di garanzia, istituito dall’articolo 8, comma 1, del D.L. n. 203/2005, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 248/2005, per agevolare l'accesso al credito delle imprese a seguito del conferimento del T.F.R., saranno stabilite con il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, emanato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro delle attività produttive, la cui emanazione è già stata prevista nel decreto-legge sopra menzionato. Nella definizione di tali criteri si terrà conto delle prescrizioni indicate in un apposito Accordo stipulato dai Ministri del lavoro e dell’economia e dall’ABI, fermo restando il rispetto della dotazione finanziaria del Fondo.

Si ricorda che il comma 1 del citato articolo 8 del D.L. n. 203/2005 prevede l'istituzione di un Fondo di garanzia per agevolare l'accesso al credito delle imprese, in favore del quale viene erogato un contributo finanziario a carico dello Stato (anche ai fini dei costi di gestione), pari a 154 milioni di euro per il 2006, 347 milioni per il 2007, 424 milioni per ciascuno degli anni del triennio 2008-2010 e 243 milioni per il 2011.

Si specifica che la garanzia del Fondo copre fino all'intero ammontare (oltre ai relativi interessi) dei finanziamenti concessi a fronte dei summenzionati conferimenti alle forme pensionistiche complementari effettuati nel periodo 2006-2010.

La definizione dei criteri e delle modalità di funzionamento e di gestione del Fondo è demandata ad un decreto di natura non regolamentare del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, emanato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro delle attività produttive.

Il decreto in questione deve stabilire, tra l’altro, che le disponibilità finanziarie del Fondo affluiscono, con separata evidenza contabile, presso i fondi di cui all’articolo 2, comma 100, lettere a) e b) della legge n. 662 del 1996.

Si ricorda che l’articolo 2, comma 100, della legge n. 662 del 1996 prevede che il CIPE può destinare delle risorse finanziarie, fino ad un certo ammontare:

-      per il finanziamento di un fondo di garanzia costituito presso il Mediocredito Centrale Spa allo scopo di assicurare una parziale assicurazione ai crediti concessi dagli istituti di credito a favore delle piccole e medie imprese (lettera a));

-      per l'integrazione del Fondo centrale di garanzia istituito presso l'Artigiancassa S.p.A. (lettera b)).

Inoltre il decreto ministeriale deve fissare “le scadenze delle relative convenzioni, in coerenza con le esigenze per gli interventi di garanzia” e deve indicare anche le modalità di recupero dei crediti erariali, con la previsione dell’eventuale ricorso all’iscrizione a ruolo secondo le disposizioni dell’art. 17 del D.Lgs. n. 46/1999 .

 

Si ricorda inoltre che il 4 ottobre 2005 è stato sottoscritto un Accordo per il finanziamento dello smobilizzo del TFR maturando, tra il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e l'ABI, che reca in allegato lo schema di funzionamento del Fondo di garanzia. L’Accordo, che non è ancora stato sottoscritto dal Ministro dell’economia, prevede una serie di requisiti di solidità economico finanziaria perché le imprese possano beneficiare del credito con garanzia a carico del Fondo.

 

Si consideri che l’articolo 1, comma 269, lettera a), della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), ha riformulato i primi tre periodi del comma 1 dell’articolo 8 del D.L. 203/2005.

In primo luogo, in considerazione dello “slittamento” al 2008 dell’entrata in vigore della riforma della disciplina della previdenza complementare, l’istituzione del Fondo  di garanzia è prevista dal 1° gennaio 2008.

La dotazione finanziaria del Fondo di garanzia, dopo le modifiche, risulta essere pari a 424 milioni di euro per ciascuno degli anni tra il 2008 ed il 2012 e a 253 milioni di euro per il 2013.

La garanzia del Fondo copre fino all'intero ammontare (oltre ai relativi interessi) dei finanziamenti concessi a fronte dei summenzionati conferimenti alle forme pensionistiche complementari effettuati nel periodo 2008-2012.

 

Si ricorda, come sopra già accennato, che nel nostro ordinamento è già presente un Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese con funzioni analoghe a quello in oggetto.

In particolare, il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese è stato istituito presso il Mediocredito centrale dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662 (provvedimento collegato alla manovra finanziaria per il 1997), allo scopo di fornire una parziale assicurazione ai crediti concessi dalle banche a favore delle piccole e medie imprese; la Sezione speciale del Fondo di garanzia, istituita dal decreto del Ministro delle attività produttive e del Ministro per l’innovazione e le tecnologie del 15 giugno 2004, è riservata alla concessione di garanzie su finanziamenti concessi a piccole e medie imprese finalizzati all’introduzione di innovazioni di processo e di prodotto mediante l’uso di tecnologie digitali.

Ad essa il decreto ha destinato le risorse di cui all’art. 27 della legge n. 3 del 2003, concernenti il Fondo di finanziamento per i progetti strategici nel settore informatico, per un importo pari a 20 milioni di euro per l’anno 2004, 20 milioni di euro per l’anno 2005, 20 milioni di euro per il 2006 (art. 1).

Il decreto istitutivo prevede, in particolare, che la Sezione speciale del fondo di garanzia sia riservata alla concessione di garanzie su finanziamenti di durata non inferiore a 36 mesi e non superiore a 10 anni, a fronte di programmi di investimento delle piccole e medie imprese, finalizzati a introdurre innovazioni di prodotto e di processo attraverso l’utilizzo di tecnologiche digitali.

Successivamente, l’articolo 1, comma 209, della legge finanziaria per il 2005 (L 311 del 2004) ha integrato finanziariamente la Sezione speciale del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, consentendo altresì l’utilizzazione delle somme stanziate, limitatamente a quelle non impegnate al termine di ciascun anno, anche per altri interventi del Fondo.

Da ultimo, l’articolo 4, comma 1, lettera a-ter), del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito dalla L. 14 maggio 2005, n. 80 (cd. decreto sulla competitività) ha modificato l'ultimo periodo del richiamato comma 209, disponendo che il decreto, di natura non regolamentare, per la rideterminazione delle caratteristiche degli interventi del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese (rideterminazione da effettuarsi in conformità a quanto stabilito dall’Accordo di Basilea, che reca la disciplina sui requisiti minimi di capitale per le banche) sia emanato dal Ministro delle attività produttive unitamente al Ministro per l'innovazione e le tecnologie.

 

Le imprese che provvederanno a conferire le quote di TFR ai fondi di previdenza complementare potranno godere di una riduzione degli oneri impropri relativi ai rapporti di lavoro, secondo quanto stabilito dall’art. 8, comma 2, del citato D.L. n. 203/2005 (e successive modificazioni[32]) (comma 4).

Il comma 2 dell’articolo 8 stabilisce infatti, a partire dal 1° gennaio 2008[33], una riduzione dei contributi di previdenza ed assistenza sociale a carico dei datori di lavoro in favore della Gestione INPS “prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti”[34], come misura compensativa a fronte dei maggiori oneri finanziari sostenuti dalle imprese per il versamento ai fondi di previdenza complementare delle quote relative al TFR.

La misura del decremento, prevista dalla Tabella A, allegata al Decreto n. 203/2005, è pari a 0,19 punti percentuali per il 2008 ed aumenta ogni anno fino alla percentuale, a regime, di 0,28 punti, decorrente dal 2014[35]. Tali riduzioni, tuttavia, non si applicano necessariamente per intero, bensì nella misura percentuale degli accantonamenti corrispondenti alle quote di trattamento di fine rapporto destinati (dai dipendenti del datore di lavoro) alle forme pensionistiche complementari (rispetto al totale degli accantonamenti medesimi).

Per quanto riguarda le tipologie contributive INPS da sottoporre a riduzione, l’articolo 8, comma 2, indica in via prioritaria i contributi dovuti per assegni familiari, per maternità e per disoccupazione, escludendo espressamente il contributo al “Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto” e il contributo integrativo per l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria[36].

 

La previsione del comma 5, infine, reca una norma di chiusura, rinviando l’applicazione delle disposizioni sopra illustrate alla verifica della compabilità con quanto disposto in materia dalla normativa comunitaria.

Al riguardo si rileva che la XIV Commissione (Politiche dell’Unione europea) della Camera dei deputati, in sede di esame dello schema di decreto legislativo recante riforma della previdenza complementare, nella seduta del 3 novembre 2005, aveva formulato dei rilievi sull’articolo 10, comma 3, nelle cui premesse si sottolineava come tale articolo introducesse “un accesso di fatto automatico al credito, garantito da un fondo che sembrerebbe finanziato interamente dallo Stato, a condizioni predefinite, meccanismo che appare suscettibile di introdurre ingiustificate distorsioni alla concorrenza ed al sistema degli incentivi alla migliore efficienza allocativa”. Pertanto, nei medesimi rilievi si invitava la Commissione di merito a segnalare al Governo “che potrà procedersi all'istituzione ed all'avvio dell'operatività del fondo di garanzia previsto dall’articolo 10, comma 3 – da parte del decreto ministeriale – solo dopo aver preventivamente verificato, presso le competenti autorità comunitarie, la compatibilità di esso con il principio di concorrenza, di cui agli articoli 3, paragrafo 1, lett. c), e 4, paragrafo 1, del TCE, e con la disciplina degli aiuti di Stato, contenuta negli articoli 87 e 88 TCE”. In sostanza, secondo la XIV Commissione, l’istituzione del Fondo di garanzia per agevolare l’accesso al credito delle imprese, finanziato dallo Stato con un contributo, andrebbe valutata alla luce del principio di concorrenza, di cui agli articoli 3, paragrafo 1, lett. c), e 4, paragrafo 1, del TCE, e della disciplina degli aiuti di Stato, contenuta negli articoli 87 e 88 TCE.

Il rispetto del quadro comunitario, per quanto riguarda il Fondo di garanzia, dipenderà, comunque, anche e soprattutto dal contenuto del decreto ministeriale di attuazione, a cui spetterà la definizione dei criteri e delle modalità di funzionamento e di gestione del Fondo.

Se venisse recepito nel decreto ministeriale il contenuto dell’Accordo, su citato, stipulato tra il Ministro del lavoro e l’ABI il 4 ottobre 2005, in considerazione della non automaticità e anzi della rigorosa selettività nella concessione della garanzia, potrebbero attenuarsi eventuali profili di compatibilità con il quadro comunitario.

 

 


Art. 11
(Prestazioni)

 

 


1. Le forme pensionistiche complementari definiscono i requisiti e le modalità di accesso alle prestazioni nel rispetto di quanto disposto dal presente articolo.

2. Il diritto alla prestazione pensionistica si acquisisce al momento della maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni stabiliti nel regime obbligatorio di appartenenza, con almeno cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari.

3. Le prestazioni pensionistiche in regime di contribuzione definita e di prestazione definita possono essere erogate in capitale, secondo il valore attuale, fino ad un massimo del 50 per cento del montante finale accumulato, e in rendita. Nel computo dell'importo complessivo erogabile in capitale sono detratte le somme erogate a titolo di anticipazione per le quali non si sia provveduto al reintegro. Nel caso in cui la rendita derivante dalla conversione di almeno il 70 per cento del montante finale sia inferiore al 50 per cento dell'assegno sociale di cui all'articolo 3, commi 6 e 7, della legge 8 agosto 1995, n. 335, la stessa può essere erogata in capitale.

4. Le forme pensionistiche complementari prevedono che, in caso di cessazione dell'attività lavorativa che comporti l'inoccupazione per un periodo di tempo superiore a 48 mesi, le prestazioni pensionistiche siano, su richiesta dell'aderente, consentite con un anticipo massimo di cinque anni rispetto ai requisiti per l'accesso alle prestazioni nel regime obbligatorio di appartenenza.

5. A migliore tutela dell'aderente, gli schemi per l'erogazione delle rendite possono prevedere, in caso di morte del titolare della prestazione pensionistica, la restituzione ai beneficiari dallo stesso indicati del montante residuo o, in alternativa, l'erogazione ai medesimi di una rendita calcolata in base al montante residuale. In tale caso è autorizzata la stipula di contratti assicurativi collaterali contro i rischi di morte o di sopravvivenza oltre la vita media.

6. Le prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di capitale sono imponibili per il loro ammontare complessivo al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta. Le prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di rendita sono imponibili per il loro ammontare complessivo al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta e a quelli di cui alla lettera g-quinquies) del comma 1 dell'articolo 44 del TUIR, e successive modificazioni, se determinabili. Sulla parte imponibile delle prestazioni pensionistiche comunque erogate è operata una ritenuta a titolo d'imposta con l'aliquota del 15 per cento ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali. Nel caso di prestazioni erogate in forma di capitale la ritenuta di cui al periodo precedente è applicata dalla forma pensionistica a cui risulta iscritto il lavoratore; nel caso di prestazioni erogate in forma di rendita tale ritenuta è applicata dai soggetti eroganti. La forma pensionistica complementare comunica ai soggetti che erogano le rendite i dati in suo possesso necessari per il calcolo della parte delle prestazioni corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta se determinabili.

7. Gli aderenti alle forme pensionistiche complementari possono richiedere un'anticipazione della posizione individuale maturata:

a) in qualsiasi momento, per un importo non superiore al 75 per cento, per spese sanitarie a seguito di gravissime situazioni relative a sè, al coniuge e ai figli per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche. Sull'importo erogato, al netto dei redditi già assoggettati ad imposta, è applicata una ritenuta a titolo d'imposta con l'aliquota del 15 per cento ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali;

b) decorsi otto anni di iscrizione, per un importo non superiore al 75 per cento, per l'acquisto della prima casa di abitazione per sè o per i figli, documentato con atto notarile, o per la realizzazione degli interventi di cui alle lettere a), b), c), e d) del comma 1 dell'articolo 3 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, relativamente alla prima casa di abitazione, documentati come previsto dalla normativa stabilita ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 27 dicembre 1997, n. 449. Sull'importo erogato, al netto dei redditi già assoggettati ad imposta, si applica una ritenuta a titolo di imposta del 23 per cento;

c) decorsi otto anni di iscrizione, per un importo non superiore al 30 per cento, per ulteriori esigenze degli aderenti. Sull'importo erogato, al netto dei redditi già assoggettati ad imposta, si applica una ritenuta a titolo di imposta del 23 per cento;

d) le ritenute di cui alle lettere a), b) e c) sono applicate dalla forma pensionistica che eroga le anticipazioni.

8. Le somme percepite a titolo di anticipazione non possono mai eccedere, complessivamente, il 75 per cento del totale dei versamenti, comprese le quote del TFR, maggiorati delle plusvalenze tempo per tempo realizzate, effettuati alle forme pensionistiche complementari a decorrere dal primo momento di iscrizione alle predette forme. Le anticipazioni possono essere reintegrate, a scelta dell'aderente, in qualsiasi momento anche mediante contribuzioni annuali eccedenti il limite di 5.164,57 euro. Sulle somme eccedenti il predetto limite, corrispondenti alle anticipazioni reintegrate, è riconosciuto al contribuente un credito d'imposta pari all'imposta pagata al momento della fruizione dell'anticipazione, proporzionalmente riferibile all'importo reintegrato.

9. Ai fini della determinazione dell'anzianità necessaria per la richiesta delle anticipazioni e delle prestazioni pensionistiche sono considerati utili tutti i periodi di partecipazione alle forme pensionistiche complementari maturati dall'aderente per i quali lo stesso non abbia esercitato il riscatto totale della posizione individuale.

10. Ferma restando l'intangibilità delle posizioni individuali costituite presso le forme pensionistiche complementari nella fase di accumulo, le prestazioni pensionistiche in capitale e rendita, e le anticipazioni di cui al comma 7, lettera a), sono sottoposti agli stessi limiti di cedibilità, sequestrabilità e pignorabilità in vigore per le pensioni a carico degli istituti di previdenza obbligatoria previsti dall'articolo 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 aprile 1935, n. 1155, e dall'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950, n. 180, e successive modificazioni. I crediti relativi alle somme oggetto di riscatto totale e parziale e le somme oggetto di anticipazione di cui al comma 7, lettere b) e c), non sono assoggettate ad alcun vincolo di cedibilità, sequestrabilità e pignorabilità.


 

L’articolo 11 reca disposizioni in merito alle prestazioni delle forme pensionistiche complementari.

 

Si ricorda, al riguardo, che analoghe disposizioni sono contenute nell’articolo 7 del D.Lgs. 124 del 1993.

 

Nel richiamato articolo 7 i requisiti ai fini dell’adesione al fondo pensione da parte dell’aderente sono legati alle tipologie delle prestazioni pensionistiche per anzianità e vecchiaia.

In particolare, i commi 2 e 3 del citato articolo 7 indicano analiticamente i requisiti che consentono la corresponsione delle prestazioni pensionistiche citate a favore dell’aderente.

Più specificamente per la prestazione di vecchiaia si richiede (comma 2):

§      il raggiungimento da parte dell’aderente dell’età pensionabile nel regime obbligatorio di appartenenza. Per i soggetti iscritti al Fondo di previdenza per le persone che svolgono lavori di cura non retribuiti derivanti da responsabilità familiari l’età pensionabile si raggiunge a 57 anni;

§      una pregressa permanenza nel fondo pensione per almeno 5 anni;

 

Per la prestazione di anzianità si richiede che l’aderente (comma 3):

§      abbia cessato l’attività lavorativa;

§      abbia una pregressa permanenza nel fondo pensione per almeno 15 anni;

§      abbia un’età di non più di 10 anni inferiore a quella prevista per il pensionamento nell’ordinamento pensionistico obbligatorio di appartenenza.

Lo stesso comma, inoltre, prevede che all'atto della costituzione di forme pensionistiche complementari, le fonti costitutive possano graduare l’accesso alle prestazioni in ragione dell'anzianità già maturata dal lavoratore.

Particolarmente importante risulta essere, da un punto di vista interpretativo, il ruolo che è stato assegnato dal legislatore alle prestazioni per anzianità e vecchiaia. Più specificamente, occorre precisare se le prestazioni richiamate esauriscono le prestazioni consentite alla previdenza complementare o meno. Al riguardo, si segnala che le disposizioni di cui al precedente articolo 3, comma 3, hanno regolamentato anche le eventuali prestazioni per invalidità o premorienza. In base a ciò, e considerando che l’elencazione di cui all’articolo 7 non appare tassativa, la tutela previdenziale si dovrebbe considerare estesa ad una pluralità di eventi, quali l’invalidità, l’inabilità o la premorienza.

Le fonti istitutive definiscono altresì i criteri con i quali valutare ai fini del presente comma la posizione dei lavoratori che si avvalgono della facoltà di trasferimento presso un altro fondo pensione, cui il lavoratore acceda in relazione alla sua nuova attività.

Riguardo all’entità delle prestazioni, il comma 5 prevede che la determinazione degli importi delle prestazioni pensionistiche sia demandata alle scelte statutarie e contrattuali effettuate all'atto della costituzione di ciascun fondo pensione, secondo criteri di corrispettività ed in conformità al principio della capitalizzazione, nell'ambito della distinzione fra regimi a contribuzione definita e regimi a prestazione definita.

L’articolo in oggetto, inoltre, disciplina anche le modalità con le quali può essere liquidata la prestazione pensionistica complementare. In proposito, il comma 6 attribuisce alle fonti costitutive del fondo pensione la possibilità di prevedere:

-          la facoltà del titolare del diritto di chiedere la liquidazione della prestazione pensionistica complementare in capitale secondo il valore attuale, per un importo non superiore al 50% dell'importo maturato, salvo che l'importo annuo della prestazione pensionistica in forma periodica risulti di ammontare inferiore al 50% dell'assegno sociale[37] di cui, all'articolo 3, commi 6 e 7, della L. 335 del 1995;

-          l'adeguamento delle prestazioni nel rispetto dell'equilibrio attuariale e finanziario di ciascuna forma.

Tale comma introduce un sostanziale indirizzo previdenziale, consistente nella limitazione della liquidazione della prestazione pensionistica in capitale in un ammontare predefinito, prevedendo altresì che la restante parte sia liquidata sotto forma di rendita.

Infine, il comma 4 dispone la possibilità, per l’aderente, di conseguire un’anticipazione in conto capitale della prestazione.

Più specificamente, l’aderente iscritto al fondo pensione da almeno 8 anni può conseguire un'anticipazione dei contributi accumulati per:

-        eventuali spese sanitarie per terapie ed interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche;

-        l'acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli, documentato con atto notarile,

-        la realizzazione degli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 1 della L. 27 dicembre 1997, n. 449 (provvedimento collegato alla manovra finanziaria per il 1998), con facoltà di reintegrare la propria posizione nel fondo secondo modalità stabilite dal fondo stesso.

Non sono ammessi altre anticipazioni o riscatti diversi da quelli su indicati, per quanto concerne la posizione individuale. Ai fini della determinazione dell'anzianità necessaria per avvalersi della facoltà richiamata, sono considerati utili tutti i periodi di contribuzione a forme pensionistiche complementari maturati dall'iscritto per i quali l'interessato non abbia esercitato il riscatto della posizione individuale.

 

L’articolo in esame, oltre a precisare (comma 1) che spetta alle forme pensionistiche complementari definire i requisiti e le modalità di accesso alle prestazioni (nei limiti di quanto disposto dallo stesso articolo), stabilisce che (comma 2) il diritto alla prestazione pensionistica si acquisisce al momento della maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni stabiliti nel regime obbligatorio di appartenenza, “fermo restando il possesso di almeno cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari”.

 

Ai sensi del successivo comma 3, le prestazioni pensionistiche, in regime di prestazione definita e contribuzione definita, possono essere erogate in capitale, al valore attuale, fino ad un massimo del 50% del montante finale accumulato, e in rendita. Nel computo dell’importo complessivo erogabile in capitale sono detratte le somme erogate a titolo di anticipazione per le quali non si sia provveduto al reintegro.

Lo stesso comma inoltre, prevede che, nel caso in cui la rendita derivante dalla conversione di almeno il 70% del montante finale sia inferiore al 50% dell’assegno sociale (vedi supra), la rendita stessa possa essere erogata in capitale.

La disposizione dovrebbe intendersi nel senso che, nel caso in cui la rendita che corrisponde al 70% del montante finale sia inferiore al 50% dell’assegno sociale, allora può derogarsi al limite massimo di cui al periodo precedente e quindi le prestazioni possono essere erogate sotto forma di capitale anche oltre il 50%.

 

Completamente nuova è la previsione di cui al comma 4, che dispone la possibilità, da parte delle forme pensionistiche complementari, di anticipare le prestazioni, su richiesta dell’aderente, per un periodo massimo di 5 anni rispetto ai normali requisiti per l’accesso alle prestazioni nel regime obbligatorio di appartenenza. Tale agevolazione opera a condizione che l’attività lavorativa cessi comportando uno stato di inoccupazione per un periodo di tempo superiore a 48 mesi.

 

Il comma 5 provvede a definire le prestazioni in caso di morte del titolare, con ciò superando alcune incertezze interpretative che hanno caratterizzato l’articolo 7 del D.Lgs. 124 in merito alle cause danti diritto alle prestazioni stesse (vedi supra). In questi casi gli schemi per l’erogazione delle rendite possono prevedere la restituzione ai beneficiari indicati dal titolare del montante residuo o, in alternativa, l’erogazione ai beneficiari di una rendita calcolata in base al montante residuale. In tal caso è autorizzata la stipulazione di contratti assicurativi collaterali contro i rischi di morte o di sopravvivenza oltre la vita media.

 

Il comma 6 reca disposizioni concernenti il regime tributario delle prestazioni pensionistiche complementari.

 

Come già rilevato in relazione all’articolo 8, le disposizioni tributarie sono state collocate nella presente fonte normativa, recante la disciplina della previdenza complementare; mediante il successivo articolo 21, i rinvii alle disposizioni qui contenute sono stati inseriti nel testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, che costituisce la naturale sedes materiae.

 

Ai sensi dell’articolo 50, comma 1, lettera h-bis), del TUIR, le prestazioni erogate, in forma periodica o in forma di capitale, dalle forme pensionistiche disciplinate dal D.Lgs. n. 124 del 1993 sono qualificate redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.

Le prestazioni erogate in forma periodica sono soggette a tassazione ordinaria e concorrono alla formazione del reddito imponibile. Tuttavia, l’articolo 52, comma 1, lettera d), del TUIR stabilisce che le richiamate prestazioni si assumono al netto dei redditi già assoggettati a tassazione e di quelli indicati alla lettera g-quinquies) dell'articolo 44, comma 1, del TUIR, se determinabili. Si tratta, in particolare:

-        dei redditi assoggettati ad imposta sostitutiva in capo al fondo pensione, ovvero di quelli assoggettati a ritenuta o ad imposta sostitutiva nella fase di accumulazione dei contributi e di gestione degli stessi nel periodo di tempo che precede il diritto all’accesso alla prestazione;

-        dei redditi di capitale derivanti dai rendimenti della posizione individuale maturata che dà origine alle prestazioni pensionistiche in corso di erogazione.

Le prestazioni pensionistiche erogate in forma capitale sono assoggettate a tassazione separata ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera a-bis), del TUIR. Sono incluse in questa tipologia di prestazioni il riscatto anche parziale della posizione individuale ai sensi dell'articolo 10, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 124, il riscatto della posizione individuale ai sensi del medesimo articolo 10, comma 1, lettera c), esercitato per effetto del pensionamento o per la cessazione del rapporto di lavoro per mobilità o per altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti, e le anticipazioni. Con il regime della tassazione separata, ai sensi dell’articolo 20 del TUIR, il fondo pensione, in qualità di sostituto d’imposta, trattiene una ritenuta a titolo di acconto determinata tenendo conto del numero degli anni di effettiva contribuzione e dei redditi già assoggettati a tassazione. Gli uffici finanziari, dopo aver rideterminato, in via definitiva, l’imposta dovuta applicando l’aliquota fiscale media del contribuente nei cinque anni precedenti quello in cui è maturato il diritto alla percezione, provvedono alla iscrizione a ruolo della differenza dovuta dal contribuente, ovvero al rimborso allo stesso della maggiore ritenuta trattenuta dal fondo pensione. Ai sensi del D.Lgs. n. 124 del 1993, l'esclusione dei redditi assoggettati ad imposta spetta, in ogni caso, nelle seguenti ipotesi:

-        riscatto a causa di morte dell’iscritto prima del pensionamento di vecchiaia;

-        riscatto della posizione individuale esercitato a seguito di pensionamento o per la cessazione del rapporto di lavoro per mobilità o per altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti quali, ad esempio, il licenziamento derivante dal dissesto finanziario del datore di lavoro, dal fallimento o altra procedura concorsuale;

-        qualora l’importo annuo della prestazione spettante in forma periodica sia inferiore al 50% dell’assegno sociale.

 

Lo stesso comma 6 prevede l’applicazione di una ritenuta a titolo d’imposta sulle prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di capitale o di rendita.

La base imponibile è costituita dall’ammontare complessivo della prestazione, al netto dei redditi già assoggettati ad imposta. Per le prestazioni periodiche, inoltre, sono esclusi dalla base imponibile anche i redditi indicati nell’articolo 44, comma 1, lettera g-quinquies), del TUIR, se determinabili.

 

L’articolo 44, comma 1, lettera g-quinquies), del TUIR classifica tra i redditi di capitale i redditi derivanti dai rendimenti delle prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma periodica e delle rendite vitalizie aventi funzione previdenziale.

 

L’aliquota è determinata nella misura del 15 per cento.

Al fine di incentivare la permanenza nel fondo pensione, inoltre, la predetta aliquota è ridotta di 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari. La riduzione complessiva non può eccedere, tuttavia, i 6 punti percentuali: pertanto, l’aliquota d’imposta sostitutiva non può essere inferiore al 9 per cento. In altre parole, poiché i 6 punti percentuali corrispondono a venti anni di iscrizione eccedenti il quindicesimo, la misura della riduzione cessa di crescere al compimento del trentacinquesimo anno d’iscrizione.

 

Con riferimento, infine, al sostituto d’imposta, il presente comma dispone che, nel caso di prestazioni in forma di capitale, la ritenuta è operata dalla forma pensionistica a cui risulta iscritto il lavoratore.

Per le prestazioni in forma di rendita, invece, il sostituto d’imposta è rappresentato dal soggetto erogatore; in tal caso la forma pensionistica è tenuta a comunicare al soggetto che eroga le rendite i dati necessari per la determinazione delle prestazioni già assoggettate a imposta, se determinabili.

 

Il successivo articolo 21, comma 5, del presente decreto legislativo apporta le conseguenti modificazioni all’articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, concernente le ritenute alla fonte sui redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.

 

Il successivo comma 7 estende il sistema delle anticipazioni della posizione individuale maturata.

Ai fini della determinazione dell’anzianità necessaria per la richiesta delle anticipazioni, sono considerati utili (comma 9) tutti i periodi di partecipazione alle forme pensionistiche complementari maturati dall’aderente, a condizione che l’aderente stesso non abbia esercitato il riscatto totale della posizione individuale.

È previsto che un’anticipazione possa essere richiesta:

§      in qualsiasi momento, per un importo non superiore al 75% della posizione individuale maturata, per spese sanitarie a seguito di gravissime situazioni relative all’iscritto o al coniuge e ai figli per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche. In questa ipotesi, alle somme anticipate viene applicato il medesimo regime fiscale previsto dal comma 6 per le prestazioni pensionistiche. Infatti, sull’importo erogato viene applicata, al netto dei redditi già assoggettati ad imposta, una ritenuta a titolo d’imposta del 15%, ridotta di 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari, con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali (lettera a));

§      decorsi otto anni di iscrizione alla forma pensionistica complementare, per un importo non superiore al 75% della posizione individuale maturata, per l’acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli, o per la realizzazione di interventi di ristrutturazione edilizia, di cui all’articolo 1, comma 3, della L. 449 del 1997. Il regime fiscale relativo a questa forma di anticipazione prevede l’applicazione di una ritenuta a titolo di imposta, nella misura del 23% sull’importo erogato, al netto dei redditi già assoggettati ad imposta (lettera b)). L’aliquota fiscale fissata è, pertanto, superiore di almeno otto punti percentuali rispetto a quella fissata nel comma 6.;

§      decorsi otto anni di iscrizione alla forma pensionistica complementare, per un importo non superiore al 30% della posizione individuale maturata, per ulteriori esigenze degli aderenti. Analogamente al punto precedente, viene prevista l’applicazione di una ritenuta a titolo di imposta nella misura del 23% sull’importo erogato, al netto dei redditi già assoggettati ad imposta (lettera c)).

 

Si segnala, al riguardo, che il testo appare generico laddove non specifica le “ulteriori esigenze” che rendono possibile la richiesta di anticipazione.

 

Per quanto riguarda il sostituto d’imposta, viene confermato quanto previsto nel comma 6 relativamente alle prestazioni erogate in forma di capitale. Infatti, ai sensi della lettera d) del comma in esame, le ritenute a titolo d’imposta sono applicate dalla forma pensionistica complementare erogante le anticipazioni.

Con il comma 8 si pone un limite all’entità delle anticipazioni. In particolare, si stabilisce che, in ogni caso, le somme percepite a titolo di anticipazione complessivamente non possono mai eccedere il 75 per cento del totale dei versamenti effettuati dal momento della prima iscrizione a forme pensionistiche complementari (comprese le quote del TFR), maggiorati delle plusvalenze realizzate nel tempo.

Si dispone, inoltre, in favore dell’aderente, la facoltà di reintegrazione delle somme anticipate, in qualsiasi momento, anche mediante contribuzioni annuali eccedenti il limite annuo di deducibilità fiscale dei contributi versati, fissato in 5.164,57 euro. Sulla somma eccedente, relativa a contributi versati per la reintegrazione delle somme percepite a titolo di anticipazioni, viene riconosciuto al contribuente un credito d’imposta. L’importo del richiamato credito è determinato in modo da neutralizzare, in misura proporzionale all’importo reintegrato, le ritenute operate dal sostituto d’imposta al momento del pagamento dell’anticipazione. In sostanza, qualora l’iscritto versi contributi annuali in misura tale da reintegrare l’intera somma ricevuta come anticipazione, avrà diritto ad un credito d’imposta di importo pari alla quota parte della ritenuta effettuata dal fondo pensione al momento dell’erogazione, corrispondente proporzionalmente alla somma eccedente il limite di 5.164,57 euro.

 

Infine il comma 10 prevede, ferma restando l’intangibilità delle posizioni individuali costituite presso le forme pensionistiche complementari nella fase di accumulo, che le prestazioni pensionistiche in capitale e rendita e le anticipazioni di cui al precedente comma 7, lettera a), siano sottoposti agli stessi limiti di cedibilità, sequestrabilità e pignorabilità in vigore per le pensioni a carico degli istituti di previdenza obbligatoria, di cui all’articolo 128 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827 convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 1155/1935 e all’articolo 2 del D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180.

Al riguardo, si ricorda che l'assoggettamento delle prestazioni di previdenza complementare a vincoli in tema di cedibilità, sequestrabilità e pignorabilità, analoghi a quelli previsti per la previdenza di base, è stato previsto dal criterio di delega di cui all’articolo 1, comma 2, lett. e), n. 11, della più volte richiamata L. 243 del 2004.

In materia di cedibilità, sequestrabilità e pignorabilità della pensione, l’articolo 128 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, ha disposto che le pensioni, gli assegni, e le indennità spettanti in forza del presente decreto non sono cedibili, né sequestrabili, né pignorabili, ad eccezione delle pensioni, che possono essere cedute, sequestrate e pignorate soltanto nell'interesse di ospedali pubblici o di ricoveri per il pagamento delle diarie relative, e non oltre l'importo delle stesse.

A tale principio una seconda eccezione, è stata introdotta dall'articolo 69 della legge 153 del 30 aprile 1969, che prevede che possono essere ceduti, sequestrati e pignorati nei limiti di un quinto del loro ammontare, per debiti verso l'INPS derivanti da indebite prestazioni, ovvero da omissioni contributive, escluse, in questo caso, le somme dovute per interessi e sanzioni amministrative. Per le pensioni ordinarie liquidate a carico della assicurazione generale obbligatoria, viene comunque fatto salvo l'importo corrispondente al trattamento minimo.

Per quanto concerne le prestazioni a carico dell’INPDAP, l'articolo 2, comma 1, numero 3, del D.P.R. 180 del 5 gennaio 1950, stabilisce che le pensioni e gli altri assegni di quiescenza corrisposti dallo Stato e dagli altri enti sono assoggettati a sequestro e pignoramento fino a concorrenza di un quinto, valutato al netto di ritenute, per tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni da cui il debitore dipende, derivanti dal rapporto di impiego o di lavoro.

La Corte costituzionale, con la sentenza 506 del 20 novembre 2002, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del citato articolo 128 del R.D.L. n. 1827 del 1935, nella parte nella quale esclude la pignorabilità per ogni credito dell'intero ammontare di pensioni, assegni e indennità erogati dall'INPS, anziché prevedere l'impignorabilità, con le eccezioni stabilite dalla legge per crediti qualificati, della sola parte della pensione, assegno o indennità indispensabile per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte (cd. soglia minima vitale).

Lo stesso discorso vale per i trattamenti pensionistici dei dipendenti pubblici a seguito della dichiarata illegittimità costituzionale degli articoli 1 e 2, comma 1, del citato D.P.R. 180 del 1950.

Si ricorda, inoltre, che ulteriori modifiche ed integrazioni alla disciplina in oggetto sono state apportate all’articolo 1, commi 137 e 138, della L. 311 del 2004 (legge finanziaria per il 2005)[38], dall’articolo 13-bis del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, recante il piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale (cd. decreto competitività)[39].

 

Lo stesso comma prevede altresì che non sono invece assoggettabili ad alcun vincolo di cedibilità, sequestrabilità e pignorabilità i crediti relativi alle somme oggetto di anticipazione di cui al comma 7, lettere b) e c).

 

Si ricorda, in proposito, che la legge delega non ha previsto differenziazioni né deroghe in ordine all'assoggettamento delle prestazioni di previdenza complementare a vincoli in tema di cedibilità, sequestrabilità e pignorabilità.

 

 


Art. 12
(Fondi pensione aperti)

 

 


1. I soggetti con i quali è consentita la stipulazione di convenzioni ai sensi dell'articolo 6, comma 1, possono istituire e gestire direttamente forme pensionistiche complementari mediante la costituzione di appositi fondi nel rispetto dei criteri di cui all'articolo 4, comma 2. Detti fondi sono aperti alle adesioni dei destinatari del presente decreto legislativo, i quali vi possono destinare anche la contribuzione a carico del datore di lavoro a cui abbiano diritto, nonché le quote del TFR.

2. Ai sensi dell'articolo 3, l'adesione ai fondi pensione aperti può avvenire, oltre che su base individuale, anche su base collettiva.

3. Ferma restando l'applicazione delle norme del presente decreto legislativo in tema di finanziamento, prestazioni e trattamento tributario, l'autorizzazione alla costituzione e all'esercizio è rilasciata, ai sensi dell'articolo 4, comma 3, dalla COVIP, sentite le rispettive autorità di vigilanza sui soggetti promotori.

4. I regolamenti dei fondi pensione aperti, redatti in base alle direttive impartite dalla COVIP e dalla stessa preventivamente approvati, stabiliscono le modalità di partecipazione secondo le norme di cui al presente decreto.


 

 

L’articolo 12 disciplina l’attività dei fondi pensione aperti.

 

La disciplina dei fondi pensione aperti è attualmente regolamentata dall’articolo 9 del D.Lgs. 124 del 1993.

Il fondo pensione aperto non necessita, per costituirsi, a differenza dei fondi pensione contrattuali (cosiddetti fondi chiusi), di una fonte istitutiva promossa da soggetti che rappresentino gli iscritti al fondo stesso. Quindi, mentre nei fondi chiusi la fonte e la forma sono dei soggetti promotori e il gestore rimane del tutto estraneo ad essi, nei fondi pensione aperti si determina una totale compenetrazione tra promotore e gestore. Per la costituzione di un fondo aperto, quindi, non occorre un atto di autonomia collettiva per i lavoratori subordinati oppure un accordo associativo o sindacale peri lavoratori autonomi e liberi professionisti, bensì occorre un atto costitutivo da parte del gestore. Fonte istitutiva è quindi la deliberazione del consiglio di amministrazione dell’ente che lo costituisce.

Possono quindi istituire e gestire i fondi pensione aperti:

§       le banche;

§       le società di gestione del risparmio;

§       le SIM;

§       le società fiduciarie autorizzate;

§       le compagnie di Assicurazione;

§       le imprese di investimento comunitarie, previa autorizzazione rilasciata dalla COVIP, d'intesa con le rispettive autorità preposte alla vigilanza sui soggetti istitutori dei fondi (Banca d'Italia, CONSOB, e ISVAP).

In particolare, il comma 1 dell’articolo 9 dispone che nella costituzione dei fondi pensione aperti i soggetti istitutori devono rispettare le disposizioni inerenti alla forma del pregresso fondo interno, cioè la forma del patrimonio interno autonomo e separato, regolato dalle disposizioni di cui all’articolo 2117 c.c., di cui al precedente articolo 4, comma 2.

I fondi aperti, quindi, sono stati concepiti, almeno inizialmente, come forme previdenziali per i lavoratori privi dei requisiti necessari per l’iscrizione ad un fondo chiuso.

Ai sensi del successivo comma 2, vengono identificati gli aderenti al fondo aperto, mediante un rinvio ai destinatari previsti per i fondi chiusi.

Possono quindi aderire ai fondi aperti, purché non sussistano o non operino le fonti istitutive negoziali, i lavoratori subordinati, i lavoratori autonomi o liberi professionisti, i soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro. Possono inoltre essere iscritti ai fondi aperti i lavoratori per i quali si determini il venir meno dei requisiti di partecipazione al fondo pensione[40].

L’adesione ad un fondo aperto è quindi consentita:

-        ai lavoratori non iscritti a sindacati o ad associazioni professionali;

-        a lavoratori iscritti, i cui contratti o accordi collettivi non prevedano l’istituzione di forme pensionistiche complementare;

-        ai lavoratori iscritti ad un fondo chiuso che perdono i requisiti partecipativi previsti dal relativo statuto;

-        ai lavoratori iscritti ad un fondo chiuso che chiedano volontariamente il trasferimento della propria posizione individuale ai sensi del richiamato articolo 10.

Il comma 3, infine, stabilisce che, ferma restando l'applicazione delle norme del D.Lgs. 124 del 1993 in tema di finanziamento, prestazioni e trattamento tributario, l'autorizzazione alla costituzione e all'esercizio è rilasciata ai sensi dell'articolo 4, comma 3, dalla COVIP, d'intesa con le rispettive Autorità di vigilanza sui soggetti promotori dei fondi pensione aperti.

 

Il comma 1 consente l’istituzione e la diretta gestione di fondi pensione aperti ai soggetti che, ai sensi dell’articolo 6, comma 1, possono gestire, su convenzione, le risorse dei fondi pensione (soggetti di cui all’articolo 1, comma 5, lett. d), del D.Lgs. n. 58 del 1998, imprese assicurative e società di gestione del risparmio).

La costituzione del fondo pensione aperto avviene, ai sensi dell’articolo 4, comma 2, attraverso la formazione, con apposita deliberazione di una società od ente, di un patrimonio di destinazione, separato ed autonomo, nell'ambito della medesima società o ente.

L’adesione ai fondi pensione aperti, ai quali può essere destinata, oltre alle quote di TFR, anche la contribuzione a carico del datore di lavoro alla quale il lavoratore abbia diritto, a norma del comma 2, può avvenire, oltre che su base individuale, anche su base collettiva.

La possibilità di aderire a fondi aperti anche da parte dei lavoratori per i quali operino i fondi negoziali costituisce una delle novità più rilevanti del provvedimento: viene introdotta, in attuazione del principio di delega di cui all’articolo 1, comma 2, lettera e), numero 4, la completa equiparazione delle forme pensionistiche al fine dell’adesione dei lavoratori.

In sostanza, al contrario di quanto previsto dalla normativa vigente, anche i lavoratori per i quali operino le fonti istitutive negoziali potranno, sin dall’inizio, optare per l’adesione ad un fondo aperto.

Anche con riferimento a tali forme pensionistiche è ribadita la centralità del ruolo della COVIP, che rilascia, sentite le rispettive autorità di vigilanza sui soggetti promotori, l’autorizzazione alla costituzione e all’esercizio (comma 3), e approva i regolamenti dei fondi dopo aver impartito le direttive sui quali i regolamenti medesimi sono redatti (comma 4).

 

 


Art. 13
(Forme pensionistiche individuali)

 

 


1. Ferma restando l'applicazione delle norme del presente decreto legislativo in tema di finanziamento, prestazioni e trattamento tributario, le forme pensionistiche individuali sono attuate mediante:

a) adesione ai fondi pensione di cui all'articolo 12;

b) contratti di assicurazione sulla vita, stipulati con imprese di assicurazioni autorizzate dall'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private (ISVAP) ad operare nel territorio dello Stato o quivi operanti in regime di stabilimento o di prestazioni di servizi.

2. L'adesione avviene, su base individuale, anche da parte di soggetti diversi da quelli di cui all'articolo 2.

3. I contratti di assicurazione di cui al comma 1, lettera b), sono corredati da un regolamento, redatto in base alle direttive impartite dalla COVIP e dalla stessa preventivamente approvato nei termini temporali di cui all'articolo 4, comma 3, recante disposizioni circa le modalità di partecipazione, il trasferimento delle posizioni individuali verso altre forme pensionistiche, la comparabilità dei costi e dei risultati di gestione e la trasparenza dei costi e delle condizioni contrattuali nonché le modalità di comunicazione, agli iscritti e alla COVIP, delle attività della forma pensionistica e della posizione individuale. Il suddetto regolamento è parte integrante dei contratti medesimi. Le condizioni generali dei contratti devono essere comunicate dalle imprese assicuratrici alla COVIP, prima della loro applicazione. Le risorse delle forme pensionistiche individuali costituiscono patrimonio autonomo e separato con gli effetti di cui all'articolo 4, comma 2. La gestione delle risorse delle forme pensionistiche di cui al comma 1, lettera b), avviene secondo le regole d'investimento di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e nel rispetto dei princìpi di cui all'articolo 6, comma 11, lettera c).

4. L'ammontare dei contributi, definito anche in misura fissa all'atto dell'adesione, può essere successivamente variato. I lavoratori possono destinare a tali forme anche le quote dell'accantonamento annuale al TFR e le contribuzioni del datore di lavoro alle quali abbiano diritto.

5. Per i soggetti non titolari di reddito di lavoro o d'impresa si considera età pensionabile quella vigente nel regime obbligatorio di base.


 

 

L’articolo 13 determina le forme pensionistiche individuali e ne disciplina le condizioni.

 

La delega legislativa conferita dalla legge 23 ottobre 1992, n. 421, all’articolo 3, comma 1, lettera v), aveva delineato forme di previdenza, anche articolate secondo criteri di flessibilità e diversificazione per categorie di beneficiari, per l’erogazione di trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio pubblico, su base volontaria, collettiva o individuale, con garanzia di autonomia e separazione contabile e patrimoniale, mediante gestioni dirette o convenzionate affidate, in regime di concorrenza, agli organismi gestori delle forme obbligatorie di previdenza e assistenza, nonché alle imprese assicurative abilitate alla gestione di fondi collettivi costituiti per l'erogazione di prestazioni in caso di morte, in caso di vita o in caso di cessazione o riduzione dell'attività lavorativa, alle società di intermediazione mobiliare (SIM) e ad operatori pubblici e privati, con l'osservanza di sistemi di capitalizzazione.

L’articolo 3 della legge 13 maggio 1999, n. 133, conferì ulteriore delega legislativa per il riordinamento del regime fiscale delle forme di previdenza complementare, la disciplina di forme di risparmio individuali vincolate a finalità previdenziali, la modificazione del trattamento fiscale dei contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione, nonché il riordinamento del regime fiscale del trattamento di fine rapporto e delle altre indennità. In attuazione di essa, con l’articolo 2 del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 47, sono stati introdotti neldecreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, gli articoli 9-bis e 9-ter, che disciplinano specificamente le forme pensionistiche individuali attuate, rispettivamente, mediante fondi pensione aperti e contratti di assicurazione sulla vita.

A quest’assetto ha fatto riferimento la delega legislativa conferita dalla legge 23 agosto 2004, n. 243, che, all’articolo 1, comma 2, lettera e), ha previsto l’adozione di misure volte a incrementare l'entità dei flussi di finanziamento alle forme pensionistiche complementari, collettive e individuali, mentre, alla lettera h), ha prescritto di perfezionare l'omogeneità[41] del sistema di vigilanza sull'intero settore della previdenza complementare, con riferimento a tutte le forme pensionistiche collettive e individuali previste dall'ordinamento. A tal fine si prescrive di attribuire alla Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP), in aggiunta alle funzioni già esercitate, la vigilanza regolamentare sulla trasparenza delle condizioni contrattuali fra tutte le forme pensionistiche collettive e individuali, comprese quelle relative ai contratti di assicurazione sulla vita, e il compito di disciplinare e di vigilare sulle modalità di offerta al pubblico di tutti i predetti strumenti previdenziali, compatibilmente con le disposizioni per la sollecitazione del pubblico risparmio, al fine di tutelare l'adesione consapevole dei soggetti destinatari (cfr. infra, schede relative agli artt. 18 e 19 del provevdimento).

 

Il comma 1 stabilisce che, ferma restando l’applicazione delle disposizioni riguardanti il finanziamento, le prestazioni e il trattamento tributario della previdenza complementare secondo quanto previsto nel presente decreto legislativo, le forme pensionistiche individuali sono attuate mediante:

a)      adesione ai fondi pensione indicati all’articolo 12 (ossia i fondi pensione aperti, già disciplinati dagli articoli 9 e 9-bis del decreto legislativo 21 aprile 1993 n. 124);

b)      contratti di assicurazione sulla vita stipulati con imprese di assicurazione autorizzate dall’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (ISVAP) a operare nel territorio dello Stato, ovvero operanti in esso in regime di stabilimento o di prestazione di servizi.

 

L’attuazione di forme pensionistiche individuali mediante contratti di assicurazione sulla vita è attualmente disciplinata dall’articolo 9-ter del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124. Esso stabilisce che i contratti di assicurazione possono essere stipulati, anche in assenza di specifiche previsioni delle fonti istitutive, con imprese di assicurazione autorizzate dall'ISVAP a operare nel territorio dello Stato o quivi operanti in regime di stabilimento o di prestazione di servizi[42], e debbono garantire prestazioni a condizioni e con modalità conformi a quelle previste per i fondi aperti, consentendo parimenti la prosecuzione volontaria non oltre cinque anni dal raggiungimento dell’età pensionabile e la liquidazione in forma di capitale negli stessi limiti per quelli previsti.

L'ammontare dei premi, definito anche in misura fissa all'atto della conclusione del contratto, può essere successivamente variato.

Le condizioni di polizza dei contratti, prima della loro applicazione, debbono essere comunicate alla COVIP dalle imprese assicuratrici.

 

Il comma 2 dispone che alle forme pensionistiche individuali possono aderire, su base individuale, anche soggetti diversi da quelli indicati all’articolo 2 (lavoratori dipendenti pubblici e privati, lavoratori autonomi e liberi professionisti, soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro, soggetti che svolgono, senza vincolo di subordinazione, lavori non retribuiti in relazione a responsabilità familiari e che non prestano attività lavorativa autonoma o alle dipendenze di terzi e non sono titolari di pensione diretta).

 

A norma del comma 3, i predetti contratti di assicurazione debbono essere corredati da un regolamento, redatto in base alle direttive impartite dalla COVIP e dalla stessa preventivamente approvato nei termini indicati all’articolo 4, comma 3.

Questo regolamento deve disciplinare le modalità di partecipazione, il trasferimento delle posizioni individuali verso altre forme pensionistiche, la comparabilità dei costi e dei risultati di gestione e la trasparenza dei costi e delle condizioni contrattuali, nonché le modalità di comunicazione, agli iscritti e alla COVIP, delle attività della forma pensionistica e della posizione individuale. Esso costituisce parte integrante dei contratti di assicurazione stessi.

Le imprese assicuratrici debbono comunicare alla COVIP le condizioni generali dei contratti, prima della loro applicazione.

Si rinvia agli artt. 18 e 19 del provvedimento in esame, per quanto riguarda l’eventuale impatto dell’art. 25, commi 3 e 4, della legge n. 262/2005 sui poteri della COVIP relativi alla vigilanza sulle forme pensionistiche individuali attuate tramite contratti di assicurazione sulla vita.

 

Le risorse delle forme pensionistiche individuali costituiscono patrimonio autonomo e separato con gli effetti indicati all’articolo 4, comma 2.

 

L’articolo 4, comma 2, del presente decreto legislativo consente la costituzione di fondi pensione da parte dei soggetti indicati nelle lettere f), g) e h) del comma 1 dell’articolo 3, nell’ambito della singola società o ente, prescrivendo in tal caso la formazione di un patrimonio di destinazione, separato e autonomo, con gli effetti indicati dall’articolo 2117 del codice civile.

L’articolo 2117 del codice civile stabilisce che i fondi speciali per la previdenza e l'assistenza che l'imprenditore abbia costituiti, anche senza contribuzione dei prestatori di lavoro, non possono essere distratti dal fine al quale sono destinati e non possono formare oggetto di esecuzione da parte dei creditori dell'imprenditore o del prestatore di lavoro.

 

Nella gestione delle risorse delle forme pensionistiche attuate mediante contratti di assicurazione sulla vita debbono osservarsi le regole d’investimento prescritte dal decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209.

 

Il decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, reca il codice delle assicurazioni private. In particolare, i capi II e III del titolo III determinano i princìpi concernenti gli attivi ammessi a copertura delle riserve tecniche, rimettendo a regolamenti dell’ISVAP l’emanazione delle disposizioni di attuazione.

 

Nella gestione delle risorse delle forme pensionistiche attuate mediante contratti di assicurazione sulla vita debbono altresì osservarsi i princìpi indicati [rectius: le regole determinate in base] all’articolo 6, comma 11, lettera c), del presente decreto legislativo.

 

L’articolo 6, comma 11, lettera c), del presente decreto legislativo stabilisce che con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la COVIP, siano individuate le regole da osservarsi in materia di conflitti d’interessi, compresi quelli eventualmente attinenti alla partecipazione dei soggetti sottoscrittori delle fonti istitutive dei fondi pensione ai soggetti gestori dei fondi medesimi.

 

Il comma 4 stabilisce che l’ammontare dei contributi, definito anche in misura fissa all’atto dell’adesione, può essere successivamente variato.

 

La disposizione, applicabile sia ai fondi aperti disciplinati dal precedente articolo 12, sia ai contratti d’assicurazione regolati dal presente articolo, riproduce quanto è previsto, rispettivamente, negli articoli 9-bis, comma 3, e 9-ter, comma 2, del decreto legislativo n. 124 del 1993, che, in relazione alla seconda fattispecie, trattandosi di contratti d’assicurazione, fa più correttamente riferimento all’ “ammontare dei premi”.

 

Viene aggiunto, inoltre, che i lavoratori possono destinare a tali forme anche le quote dell’accantonamento annuale riferito al trattamento di fine rapporto e le contribuzioni del datore di lavoro alle quali abbiano diritto.

 

Il comma 5 precisa infine che, per i soggetti che aderiscono alle forme pensionistiche individuali, che non siano titolari di reddito di lavoro o d’impresa, in materia di età pensionabile si applicano le disposizioni vigenti per il “regime obbligatorio di base”.

 

La legge n. 243/2004 ha lasciato immutato il sistema previdenziale fino al 2008 per quanto attiene ai requisiti di accesso al pensionamento.

Pertanto i requisiti della maturazione del diritto alle prestazioni pensionistiche di anzianità e di vecchiaia restano quelli definiti dalla legge n. 335 del 1995 e dalla legge n. 449 del 1997, siano esse calcolate con il metodo retributivo, con quello contributivo o con quello misto. Pertanto, per i lavoratori dipendenti del settore pubblico e privato che maturano i requisiti per la pensione entro la fine del 2007, il diritto alla pensione di anzianità è riconosciuto in presenza di 57 anni di età e 35 di contributi ovvero, indipendentemente dall’età, qualora ricorra un requisito contributivo più elevato (39 anni per il biennio 2006-2007).

Per i lavoratori dipendenti è confermato il regime anagrafico ridotto per gli operai ed i “lavoratori precoci”, essendo richiesti 56 anni di età per il 2004-2005 e 57 per il 2006-2007.

Per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS sono attualmente richiesti 58 anni di età e 35 di contributi ovvero, indipendentemente dall’età, 40 anni di contributi.

Per la pensione di vecchiaia i requisiti per le pensioni retributive e miste sono rappresentati da almeno 20 anni di contributi e 60 anni d’età, per le donne, e 65 per gli uomini.

Per la nuova pensione di vecchiaia, calcolata esclusivamente con il sistema contributivo, valgono invece le seguenti condizioni di accesso: almeno 5 anni di contributi, 57 anni di età ed una pensione da liquidare di importo pari o superiore a 1,2 volte l’assegno sociale. Si prescinde dal requisito legato all’importo della pensione al compimento dei 65 anni di età.

Pertanto i lavoratori che fino al 2007 conseguiranno i requisiti sopra indicati potranno accedere al relativo trattamento pensionistico secondo la normativa e le stesse decorrenze vigenti anteriormente alle innovazioni della riforma.

Questi stessi lavoratori, inoltre, potranno esercitare il diritto alla prestazione in un qualsiasi momento successivo alla maturazione dei predetti requisiti, indipendentemente da ogni modifica normativa, grazie all’istituto della “certificazione del diritto alla pensione”. Tale certificazione assume valenza garantistica dei diritti quesiti, consentendo agli interessati di pensionarsi in base alle regole del previgente regime anche laddove sia intervenuta una revisione della normativa in materia.

Dal 2008 si assisterà alla riforma strutturale, con i seguenti requisiti per accedere al pensionamento.

Per la pensione di anzianità nel sistema retributivo e misto i requisiti per l'accesso alla pensione sono: 35 anni di contributi e 60 anni di età (61 per gli autonomi), con incremento di 1 anno nel 2010 e poi ancora di uno nel 2014, salvo verifica degli effetti finanziari; 40 anni di anzianità contributiva a prescindere dal requisito anagrafico.

Per la pensione nel sistema contributivo: si può accedere alla pensione con 65 anni per gli uomini e 60 per le donne e un quinquennio di contributi; 40 anni di contributi a prescindere dall'età; 35 anni di contributi e 60 anni di età (61 per gli autonomi) con gli incrementi anagrafici di cui al precedente punto.

Come eccezione è consentito, in via sperimentale fino al 2015, alle lavoratrici che optano per la liquidazione della pensione con il sistema contributivo, di conseguire la pensione di anzianità ancora con 35 anni di contributi e 57 anni di età (58 anni per le lavoratrici autonome).

 

 


Art. 14
(Permanenza nella forma pensionistica complementare e cessazione dei requisiti di partecipazione e portabilità)

 

 


1. Gli statuti e i regolamenti delle forme pensionistiche complementari stabiliscono le modalità di esercizio relative alla partecipazione alle forme medesime, alla portabilità delle posizioni individuali e della contribuzione, nonché al riscatto parziale o totale delle posizioni individuali, secondo quanto disposto dal presente articolo.

2. Ove vengano meno i requisiti di partecipazione alla forma pensionistica complementare gli statuti e i regolamenti stabiliscono:

a) il trasferimento ad altra forma pensionistica complementare alla quale il lavoratore acceda in relazione alla nuova attività;

b) il riscatto parziale, nella misura del 50 per cento della posizione individuale maturata, nei casi di cessazione dell'attività lavorativa che comporti l'inoccupazione per un periodo di tempo non inferiore a 12 mesi e non superiore a 48 mesi, ovvero in caso di ricorso da parte del datore di lavoro a procedure di mobilità, cassa integrazione guadagni ordinaria o straordinaria;

c) il riscatto totale della posizione individuale maturata per i casi di invalidità permanente che comporti la riduzione della capacità di lavoro a meno di un terzo e a seguito di cessazione dell'attività lavorativa che comporti l'inoccupazione per un periodo di tempo superiore a 48 mesi. Tale facoltà non può essere esercitata nel quinquennio precedente la maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni pensionistiche complementari; in questi casi si applicano le previsioni di cui al comma 4 dell'articolo 11.

3. In caso di morte dell'aderente ad una forma pensionistica complementare prima della maturazione del diritto alla prestazione pensionistica l'intera posizione individuale maturata è riscattata dagli eredi ovvero dai diversi beneficiari dallo stesso designati, siano essi persone fisiche o giuridiche. In mancanza di tali soggetti, la posizione, limitatamente alle forme pensionistiche complementari di cui all'articolo 13, viene devoluta a finalità sociali secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Nelle forme pensionistiche complementari di cui agli articoli 3, comma 1, lettere da a) a g), e 12, la suddetta posizione resta acquisita al fondo pensione.

4. Sulle somme percepite a titolo di riscatto della posizione individuale relative alle fattispecie previste ai commi 2 e 3, è operata una ritenuta a titolo di imposta con l'aliquota del 15 per cento ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali, sul medesimo imponibile di cui all'articolo 11, comma 6.

5. Sulle somme percepite a titolo di riscatto per cause diverse da quelle di cui ai commi 2 e 3, si applica una ritenuta a titolo di imposta del 23 per cento sul medesimo imponibile di cui all'articolo 11, comma 6.

6. Decorsi due anni dalla data di partecipazione ad una forma pensionistica complementare l'aderente ha facoltà di trasferire l'intera posizione individuale maturata ad altra forma pensionistica. Gli statuti e i regolamenti delle forme pensionistiche prevedono esplicitamente la predetta facoltà e non possono contenere clausole che risultino, anche di fatto, limitative del suddetto diritto alla portabilità dell'intera posizione individuale. Sono comunque inefficaci clausole che, all'atto dell'adesione o del trasferimento, consentano l'applicazione di voci di costo, comunque denominate, significativamente più elevate di quelle applicate nel corso del rapporto e che possono quindi costituire ostacolo alla portabilità. In caso di esercizio della predetta facoltà di trasferimento della posizione individuale, il lavoratore ha diritto al versamento alla forma pensionistica da lui prescelta del TFR maturando e dell'eventuale contributo a carico del datore di lavoro nei limiti e secondo le modalità stabilite dai contratti o accordi collettivi, anche aziendali.

7. Le operazioni di trasferimento delle posizioni pensionistiche sono esenti da ogni onere fiscale, a condizione che avvengano a favore di forme pensionistiche disciplinate dal presente decreto legislativo. Sono altresì esenti da ogni onere fiscale i trasferimenti delle risorse o delle riserve matematiche da un fondo pensione o da una forma pensioristica individuale ad altro fondo pensione o ad altra forma pensionistica individuale.

8. Gli adempimenti a carico delle forme pensionistiche complementari conseguenti all'esercizio delle facoltà di cui al presente articolo devono essere effettuati entro il termine massimo di sei mesi dalla data di esercizio stesso.


 

 

L'articolo 14 regolamenta la permanenza nel fondo pensione e la cessazione dei requisiti di partecipazione, innovando parzialmente il precedente disposto dell’articolo 10 del decreto 124 del 1993, e rinviando agli statuti ed ai regolamenti dei fondi per le regole di dettaglio relative alle modalità di esercizio inerenti la partecipazione, la portabilità delle posizioni individuali e le eventualità di riscatto delle medesime (comma 1).

 

Il comma 2 dispone che, nel caso in cui vengano meno i requisiti di partecipazione al fondo pensione, lo statuto e il regolamento dei fondi debbano prevedere:

 

a)      il trasferimento ad altro fondo cui il lavoratore acceda in relazione alla nuova attività.

In tale caso dovrebbero ritenersi ricompresi anche i passaggi tra fondi a contribuzione definita e quelli a prestazione definita, che potrebbero presentare, in concreto, rilevanti difficoltà attuative.

 

b)    il riscatto della posizione individuale, ed in particolare:

b1)         riscatto parziale (50% della posizione maturata) in caso di:

-       cessazione dell’attività lavorativa con conseguente inoccupazione per un periodo compreso tra i 12 ed i 48 mesi;

-       ricorso a procedure di mobilità, cassa integrazione guadagni ordinaria o straordinaria.

b2)         riscatto totale in caso di:

-       invalidità permanente, purché comporti la riduzione della capacità lavorativa a meno di un terzo;

-       cessazione dell’attività lavorativa con conseguente inoccupazione per un periodo superiore a 48 mesi.

La facoltà di riscatto totale non può essere esercitata nei cinque anni precedenti la maturazione dei diritti previdenziali: in questo caso opera infatti il disposto dell’articolo 11, comma 4, del decreto che consente – dietro richiesta del soggetto interessato ed in presenza di uno stato di inoccupazione superiore a 48 mesi – l’anticipo delle prestazioni pensionistiche fino ad un massimo di cinque anni rispetto ai requisiti richiesti nel regime pensionistico obbligatorio cui appartiene il soggetto.

Il comma 3 disciplina l’eventualità in cui il soggetto aderente deceda prima della maturazione del diritto alla prestazione previdenziale: il testo in esame prevede il riscatto dell’intera posizione maturata da parte degli eredi o dei soggetti, sia persone fisiche sia giuridiche, indicati dal titolare.

In mancanza di tali soggetti viene stabilito che:

·         per quanto riguarda le posizioni inerenti le forme pensionistiche complementari indicate all’articolo 13 (forme pensionistiche individuali: contratti di assicurazione sulla vita), esse saranno devolute a finalità sociali con le modalità stabilite in un decreto di futura emanazione da parte del Ministro del lavoro,

·         per quanto riguarda le posizioni inerenti i fondi negoziali, i fondi regionali ed i fondi pensione aperti (di cui all’articolo 12 del decreto), esse restano acquisite al fondo pensione.

Non è chiaro se le posizioni presso i fondi pensione aperti, di cui all’articolo 12, restano acquisite al fondo pensione in ogni caso o, al contrario, solamente nel caso di adesione su base collettiva.

 

Si ricorda che il comma 3-ter dell’articolo 10 del D.Lgs. 124 prevede l’esercizio della facoltà di riscatto solo da parte del coniuge, ovvero dei figli, o dei genitori (qualora questi siano stati a carico dell’iscritto quando questi era in vita) e solo nel caso in cui il lavoratore sia deceduto prima del pensionamento per vecchiaia.

 

Il comma 4 stabilisce che nei casi di riscatto della posizione individuale previsti dai precedenti commi 2 (riscatto parziale o totale per cessazione dell’attività lavorativa o in caso di invalidità permanente) e 3 (riscatto in favore degli eredi o dei beneficiari in caso di morte dell’iscritto), sulle somme percepite è operata una ritenuta a titolo d’imposta con l’aliquota del 15 per cento, ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari, con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali, sul medesimo imponibile indicato dall’articolo 11, comma 6 (ossia sull’ammontare complessivo al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati a imposta e a quella derivante dai rendimenti, se determinabili).

La misura della ritenuta a titolo d’imposta sostitutiva e delle previste riduzioni è disciplinata conformemente all’analogo istituto previsto dal citato articolo 11, comma 6, del presente decreto per l’imposizione tributaria sulle prestazioni.

 

Il comma 5 prevede che sulle somme percepite a titolo di riscatto per cause diverse da quelle previste nei precedenti commi 2 e 3 si applica una ritenuta a titolo d’imposta, nella misura del 23 per cento, sul medesimo imponibile indicato dall’articolo 11, comma 6 (ammontare complessivo al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati a imposta e a quella derivante dai rendimenti, se determinabili).

 

L’articolo 52, comma 1, lettera d-ter), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), esclude l’applicazione del regime, previsto dal precedente articolo 51 per la determinazione dei redditi da lavoro dipendente, alle prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di capitale a seguito di riscatto della posizione individuale, quando non si tratti di riscatto conseguente a pensionamento o a cessazione del rapporto di lavoro per mobilità o per altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti.

In sostanza, il riscatto totale per sopravvenuta mancanza dei requisiti di partecipazione al fondo pensione viene assoggettato a imposizione progressiva IRPEF per l'importo corrispondente alle somme dedotte dal reddito complessivo (cioè l'ammontare erogato al netto dei redditi già assoggettati a imposta e dei contributi non dedotti), in quanto in quest’ipotesi viene meno la finalità previdenziale per la quale il contribuente ha fruito della deduzione.

In caso di riscatto per cessazione del rapporto di lavoro a seguito di pensionamento o per mobilità o altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti, si applica invece la tassazione separata [articolo 17, comma 1, lettera a-bis), TUIR] sull'importo al netto dei redditi già assoggettati ad imposizione, secondo i criteri sopra menzionati [articolo 20 TUIR].

 

Le citate disposizioni dell’articolo 17, comma 1, lettera a-bis), dell’articolo 20 e dell’articolo 52, comma 1, lettera d-ter), del TUIR sono abrogate, in conseguenza dell’introduzione della disciplina sopra illustrata, dall’articolo 21, comma 3, lettere b), c) e d), del presente decreto.

 

Il successivo articolo 21, comma 5, del presente decreto legislativo apporta le conseguenti modificazioni all’articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, concernente le ritenute alla fonte sui redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.

 

Il comma 6 conferma il diritto di trasferimento della posizione individuale maturata presso un’altra forma pensionistica, con l’unico limite costituito dall’esclusione della possibilità di effettuare il trasferimento prima di due anni dalla data di partecipazione ad un fondo (nel disposto dell’art. 10, comma 3-quinquies, del D.Lgs. n. 124/1993 sono indicati invece tre anni dalla data di adesione o di conclusione del contratto).

Viene pertanto disposto che gli statuti e i regolamenti prevedono espressamente la facoltà in questione e che  non possono contenere nessuna clausola limitativa, anche di fatto, di tale diritto di trasferimento, comprese eventuali previsioni di voci di costo volte a ostacolare la portabilità. Resta inteso che nel nuovo fondo scelto dal lavoratore confluiranno sia il TFR maturando sia le contribuzioni a carico del datore di lavoro, entro i limiti e con le modalità stabilite dai contratti o accordi collettivi, anche aziendali (vedi supra, le osservazioni all’articolo 8, comma 10).

 

Per le operazioni di trasferimento delle posizioni pensionistiche, il comma 7 prevede l’esenzione da ogni onere fiscale, a condizione che esse avvengano in favore di altre forme pensionistiche disciplinate dal presente schema di decreto.

Sono altresì esenti da ogni onere fiscale i trasferimenti delle risorse o delle riserve matematiche da un fondo pensione o da una forma pensionistica individuale ad altro fondo pensione o ad altra forma pensionistica individuale.

 

La disposizione contenuta nel presente comma 7 riprende quanto previsto dal comma 13 dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 124 del 1993, il quale stabilisce che le operazioni di trasferimento delle posizioni pensionistiche sono esenti da ogni onere fiscale, a condizione che avvengano a favore di forme pensionistiche disciplinate dal medesimo decreto legislativo n. 124 del 1993. Sono altresì esenti da ogni onere fiscale i trasferimenti delle risorse o delle riserve matematiche da un fondo pensione o da una forma pensionistica individuale ad altro fondo pensione o ad altra forma pensionistica individuale.

 

Il comma 8 fissa il termine massimo di sei mesi, decorrenti dalla data di esercizio delle predette opzioni, per l'espletamento da parte del fondo dei conseguenti adempimenti.

 

 


Art. 15
(Vicende del fondo pensione)

 

 


1. Nel caso di scioglimento del fondo pensione per vicende concernenti i soggetti tenuti alla contribuzione, si provvede alla intestazione diretta della copertura assicurativa in essere per coloro che fruiscono di prestazioni in forma pensionistica. Per gli altri destinatari si applicano le disposizioni di cui all'articolo 14.

2. Nel caso di cessazione dell'attività o di sottoposizione a procedura concorsuale del datore di lavoro che abbia costituito un fondo pensione ai sensi dell'articolo 4, comma 2, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali nomina, su proposta della COVIP, un commissario straordinario che procede allo scioglimento del fondo.

3. Le determinazioni di cui ai commi 1 e 2 devono essere comunicate entro sessanta giorni alla COVIP, che ne dà comunicazione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

4. Nel caso di vicende del fondo pensione capaci di incidere sull'equilibrio del fondo medesimo, individuate dalla COVIP, gli organi del fondo e comunque i suoi responsabili devono comunicare preventivamente alla COVIP stessa i provvedimenti ritenuti necessari alla salvaguardia dell'equilibrio del fondo pensione.

5. Ai fondi pensione si applica esclusivamente la disciplina dell'amministrazione straordinaria e della liquidazione coatta amministrativa, con esclusione del fallimento, ai sensi degli articoli 70, e seguenti, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni ed integrazioni, attribuendosi le relative competenze esclusivamente al Ministro del lavoro e delle politiche sociali ed alla COVIP.


 

 

Le disposizioni dell’articolo 15 riproducono in modo sostanzialmente identico il contenuto dell’articolo 11 del citato D.Lgs. n. 124/1993 in merito alle vicende del fondo pensione, con prevalente riguardo per le situazioni di scioglimento ed eventuali difficoltà o crisi di carattere finanziario, ed alle conseguenze che ne derivano per gli iscritti.

Vengono così previste le seguenti fattispecie:

 

a)      scioglimento del fondo per vicende inerenti i soggetti tenuti alla contribuzione (comma 1). Tali vicende possono essere costituite, in particolare, dalla cessazione dell’attività o dalla sottoposizione a procedura concorsuale del datore di lavoro che abbia costituito un fondo “interno” (cioè con patrimonio separato) (comma 2).

In tal caso il legislatore distingue tra:

1.      i soggetti che già usufruiscono delle prestazioni del fondo (ovvero i pensionati)

2.      i soggetti che devono ancora maturare il diritto al trattamento previdenziale.

Nel primo caso l’iscritto al fondo subentra direttamente nella contraenza della copertura assicurativa in essere, nel secondo il testo in esame rinvia alle disposizioni dell’art. 14, che prevedono il trasferimento della posizione presso un altro fondo oppure il riscatto totale o parziale della posizione maturata.

La cessazione di ogni attività da parte di un’impresa - alla quale viene equiparata la procedura concorsuale a carico del datore di lavoro - nella quale figura un “fondo interno” costituito nella forma di patrimonio autonomo e separato, comporta la nomina di un commissario straordinario da parte del Ministro del lavoro, su proposta della COVIP, in modo da porre in essere le procedure di scioglimento del fondo con conseguente tutela dei diritti dei singoli aderenti.

 

Le determinazioni sopra indicate (scioglimento del fondo e nomina del commissario straordinario) vanno comunicati entro 60 giorni alla COVIP, che a sua volta informerà il Ministero del lavoro (comma 3).

 

b)      eventuale stato di squilibrio del fondo, individuato dalla COVIP.

Viene previsto l’obbligo di comunicare alla COVIP i provvedimenti che si intendono adottare ai fini della salvaguardia del fondo.

 

Alla fattispecie del dissesto economico del fondo pensione si applica la disciplina dell’amministrazione straordinaria e della liquidazione coatta amministrativa, mentre viene esclusa l’applicazione della disciplina del fallimento, ai sensi dell’articolo 70 del D.Lgs. 385 del 1993 (T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia). Il controllo della fase liquidativa viene affidato al Ministero del lavoro ed alla COVIP (comma 5).

 

Si ricorda che gli articoli 70 e seguenti del testo unico bancario di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993 (TUB) escludono l’applicabilità alle banche della disciplina fallimentare ordinaria, assoggettandole alla particolare procedura concorsuale della liquidazione coatta amministrativa. Per quanto non espressamente previsto si applicano comunque le disposizioni della legge fallimentare, se compatibili. Prima di procedere alla liquidazione coatta amministrativa, la banca può essere assoggettata all’amministrazione straordinaria.

Nel dettaglio, l’articolo 70, comma 1, del TUB prevede che il Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta della Banca d'Italia, può disporre con decreto lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e di controllo delle banche quando:

a)      risultino gravi irregolarità nell'amministrazione, ovvero gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che regolano l'attività della banca;

b)      siano previste gravi perdite del patrimonio;

c)      lo scioglimento sia richiesto con istanza motivata dagli organi amministrativi ovvero dall'assemblea straordinaria.

Le funzioni delle assemblee e degli altri organi diversi da quelli indicati nel comma 1 sono sospese per effetto del provvedimento di amministrazione straordinaria.

L'amministrazione straordinaria dura un anno dalla data di emanazione del decreto previsto dal comma 1, salvo che il decreto preveda un termine più breve o che la Banca d'Italia ne autorizzi la chiusura anticipata. In casi eccezionali la procedura può essere prorogata, per un periodo non superiore a sei mesi, con il medesimo procedimento indicato nel comma 1. La Banca d'Italia può disporre proroghe non superiori a due mesi del termine della procedura, anche se prorogato, per gli adempimenti connessi alla chiusura della procedura quando le relative modalità di esecuzione siano state già approvate dalla medesima Banca d'Italia.

Alle banche non si applica il titolo IV della legge fallimentare e l'articolo 2409 del codice civile. Se vi è fondato sospetto che i soggetti con funzioni di amministrazione, in violazione dei propri doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione che possono arrecare danno alla banca o ad una o più società controllate, l'organo con funzioni di controllo od i soci che il codice civile abilita a presentare denuncia al tribunale, possono denunciare i fatti alla Banca d'Italia, che decide con provvedimento motivato.

Ai sensi dell’articolo 71 del TUB, la Banca d'Italia, con provvedimento da emanarsi entro quindici giorni dalla data del decreto previsto dall'art. 70, comma 1, nomina:

a)      uno o più commissari straordinari;

b)      un comitato di sorveglianza, composto da tre a cinque membri, che nomina a maggioranza di voti il proprio presidente.

L’articolo 80 del TUB prevede che il Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta della Banca d'Italia, può disporre con decreto la revoca dell'autorizzazione all'attività bancaria e la liquidazione coatta amministrativa delle banche, anche quando ne sia in corso l'amministrazione straordinaria ovvero la liquidazione secondo le norme ordinarie, qualora le irregolarità nell'amministrazione o le violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie o le perdite previste dall'art. 70 siano di eccezionale gravità.

La liquidazione coatta può essere disposta su istanza motivata degli organi amministrativi, dell'assemblea straordinaria, dei commissari straordinari o dei liquidatori.

Ai sensi dell’articolo 83, comma 1, del TUB, dalla data di insediamento degli organi liquidatori ai sensi dell'articolo 85, e comunque dal terzo giorno successivo alla data di adozione del provvedimento che dispone la liquidazione coatta, sono sospesi il pagamento delle passività di qualsiasi genere e le restituzioni di beni di terzi. La data di insediamento dei commissari liquidatori, con l'indicazione del giorno, dell'ora e del minuto, è rilevata dalla Banca d'Italia sulla base del processo verbale previsto all'articolo 85.

Dal termine indicato nel comma 1 si producono gli effetti previsti dagli articoli 42, 44, 45 e 66, nonché dalle disposizioni del titolo II, capo III, sezione II e sezione IV della legge fallimentare. Dal termine previsto nel comma 1 contro la banca in liquidazione non può essere promossa né proseguita alcuna azione, salvo quanto disposto dagli articoli 87, 88, 89 e 92, comma 3, né, per qualsiasi titolo, può essere parimenti promosso né proseguito alcun atto di esecuzione forzata o cautelare. Per le azioni civili di qualsiasi natura derivanti dalla liquidazione è competente esclusivamente il tribunale del luogo dove la banca ha la sede legale.

 

 

 


Art. 16
(Contributo di solidarietà)

 

 


1. Fermo restando l'assoggettamento a contribuzione ordinaria nel regime obbligatorio di appartenenza di tutte le quote ed elementi retributivi di cui all'articolo 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153, e successive modificazioni, anche se destinate a previdenza complementare, a carico del lavoratore, sulle contribuzioni o somme a carico del datore di lavoro, diverse da quella costituita dalla quota di accantonamento al TFR, destinate a realizzare le finalità di previdenza pensionistica complementare di cui all'articolo 1, è applicato il contributo di solidarietà previsto nella misura del 10 per cento dall'articolo 9-bis del decreto-legge 29 marzo 1991, n. 103, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° giugno 1991, n. 166.

2. A valere sul gettito del contributo di solidarietà di cui al comma 1:

a) è finanziato, attraverso l'applicazione di una aliquota pari all'1 per cento, l'apposito fondo di garanzia istituito, mediante evidenza contabile nell'àmbito della gestione delle prestazioni temporanee dell'INPS, contro il rischio derivante dall'omesso o insufficiente versamento da parte dei datori di lavoro sottoposti a procedura di fallimento, di concordato preventivo, di liquidazione coatta amministrativa ovvero di amministrazione controllata, come previsto ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80;

b) è destinato al finanziamento della COVIP l'importo di ulteriori 3 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2005, a incremento dell'importo previsto dall'articolo 13, comma 2, della legge 8 agosto 1995, n. 335, come integrato dall'articolo 59, comma 39, della legge 27 dicembre 1997, n. 449; a tale fine è autorizzata, a decorrere dall'anno 2005, la spesa di 3 milioni di euro annui a favore dell'INPS.


 

 

L’articolo 16 reca disposizioni in merito alla contribuzione obbligatoria relativa alle somme destinate alle forme di previdenza complementare.

 

In particolare, il comma 1 riproduce quasi totalmente le disposizioni di cui all’articolo 12, comma 1, del D.Lgs. 124 del 1993, che ha confermato l’applicabilità dell’articolo 9-bis, comma 2, del D.L. 29 marzo 1991, n. 103, convertito dalla L. 1° giugno 1991, n. 166, recante disposizioni urgenti in materia previdenziale. Tale articolo ha previsto, per gli accantonamenti o versamenti effettuati a favore di forme pensionistiche complementari da parte dei datori di lavoro, l’assoggettamento ad un’aliquota contributiva pari al 10%.

 

Si ricorda, al riguardo, che l’articolo 9-bis, comma 2, del citato D.L. 103 del 1991 aveva stabilito che, fino alla data di entrata in vigore di norme in materia di previdenza integrativa che disciplinassero i regimi contributivi cui assoggettare le contribuzioni versate ad enti, fondi, istituti gestori di forme di previdenza o assistenza integrativa nonché le prestazioni erogate dai fondi stessi, a decorrere dal periodo di paga successivo alla data del 1° giugno 1991 (data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. richiamato), per le contribuzioni o le somme versate o accantonate, anche con il sistema della mancata trattenuta da parte del datore di lavoro nei confronti del lavoratore, a finanziamento di casse, fondi, gestioni o forme assicurative previsti da contratti collettivi o da accordi o da regolamenti aziendali, al fine di erogare prestazioni integrative previdenziali o assistenziali a favore del lavoratore e suoi familiari, nel corso del rapporto o dopo la sua cessazione, fosse dovuto un contributo di solidarietà ad esclusivo carico dei datori di lavoro nella misura del 10% in favore delle gestioni pensionistiche di legge cui fossero iscritti i lavoratori.

 

Più specificamente, l’articolo in esame dispone l’assoggettamento a contribuzione ordinaria, nel regime obbligatorio di appartenenza, per le contribuzioni a carico dei lavoratori dipendenti. Tali contribuzioni, pertanto, non usufruiscono di alcuna agevolazione.

Allo stesso tempo, si prevede l’assoggettamento ad una contribuzione obbligatoria agevolata, pari, appunto, al 10%, sugli accantonamenti o versamenti a forme di previdenza complementare a carico del datore di lavoro. Non sono soggette alla contribuzione in questione le quote di T.F.R. smobilizzate a favore di forme pensionistiche complementari.

 

Si segnala, al riguardo, che con tale disposizione è definitivamente messo a regime il citato contributo di solidarietà, originariamente previsto in forma transitoria dal richiamato articolo 9-bis del D.L. 103 del 1991 e successivamente confermato dal citato articolo 12 del D.Lgs. 124 del 1993.

 

Il successivo comma 2 vincola la destinazione di parte delle somme derivanti dal contributo di cui al comma precedente.

In particolare:

§      si finanzia (lettera a), riprendendo sostanzialmente le disposizioni di cui all’articolo 5 del D.Lgs 27 gennaio 1992, n. 80, recante l’attuazione della direttiva 80/987/CEE in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, l’apposito fondo di garanzia istituito contro il rischio derivante dall’omesso o insufficiente versamento dei contributi dovuti per forme di previdenza complementare di cui al citato articolo 9-bis del D.L. 103 del 1991, per prestazioni di vecchiaia, comprese quelle per i superstiti, da parte dei datori di lavoro sottoposti a procedura di fallimento, di concordato preventivo, di liquidazione coatta amministrativa ovvero di amministrazione controllata. A differenza di quanto disposto dal comma 5 del richiamato articolo 5, che rimandava ad uno o più decreti del Ministro del lavoro e della previdenza sociale (attualmente Ministro del lavoro e delle politiche sociali), di concerto con il Ministro del tesoro (attualmente Ministro dell’economia e delle finanze) la determinazione della parte del contributo di solidarietà che doveva essere destinata al finanziamento del Fondo, si stabilisce che tale Fondo debba essere finanziato attraverso l’applicazione di un’aliquota pari all’1% del contributo;

§      si destina (lettera b) al finanziamento della COVIP un ulteriore importo, nella misura di 3 milioni di euro, ad incremento dell’importo previsto dall’articolo 13, comma 2, della L. 335 del 1995[43]. A tal fine è autorizzata, a decorrere dall’anno 2005, la spesa di 3 milioni di euro annui a favore dell’INPS.

Si ricorda che la disposizione di cui alla lettera b) rientra tra quelle che sono già entrate in vigore dal 14 dicembre 2005.

 

Secondo la relazione tecnica allegata dal Governo allo schema di decreto presentato per il parere alle competenti Commissioni parlamentari, dalla disposizione di cui alla lettera b) (che comporta oneri solamente come limite massimo di spesa), conseguono quindi “maggiori oneri a decorrere dall’anno 2005 pari a 3 milioni di euro annui, per effetto del trasferimento da effettuare a favore dell’INPS a ristoro della quota del contributo di solidarietà destinata all’incremento del finanziamento alla COVIP”.

 

Si ricorda, infine, che nell’ordinamento sono presenti ulteriori contributi di solidarietà di somme versate alla previdenza complementare.

In particolare, il D.Lgs. 579 del 1995, nel disciplinare il trattamento fiscale e contributivo della parte eccedente l’importo del massimale annuo della base contributiva e pensionabile di cui all’articolo 2, comma 18, della più volte richiamata L 335 del 1995, ove destinata al finanziamento dei fondi pensione di cui al D.Lgs. 124 del 93, all’articolo 1, comma 5, lett. b), poneva a carico del lavoratore un contributo di solidarietà del 2%, determinato sulla parte oggetto di ulteriore deduzione fiscale, da devolvere alla gestione pensionistica obbligatoria cui il medesimo lavoratore era iscritto.

Essendosi succedute nel tempo una serie di modifiche normative che hanno reso problematica l’individuazione della base imponibile per il versamento del predetto contributo, a decorrere dal 1° gennaio 2001[44], il contributo di solidarietà in argomento non è più dovuto, in quanto il richiamato articolo 1, comma 5, lettera b), sebbene non espressamente abrogato, non può più trovare concreta applicazione, sia per l’impossibilità di rinvenire la base imponibile su cui calcolare l’importo del contributo di solidarietà, nei termini di riferimento percentuali già fissati dal legislatore, sia per il venir meno della precedente disciplina fiscale derogatoria che ne costituiva il fondamento.

Ulteriore contributo di solidarietà concerne le erogazioni previste dai contratti collettivi aziendali o di secondo livello, di cui all’articolo 2 del D.L. 67 del 1997, convertito dalla L. 135 del 1997, recanti disposizioni urgenti per l’occupazione. Tale norma prevede (commi 1 e 2) che siano escluse dalla base imponibile ai fini contributivi le erogazioni previste dai contratti collettivi aziendali, ovvero di secondo livello, delle quali sono incerti la corresponsione o l’ammontare e la cui struttura sia correlata dal contratto collettivo medesimo alla misurazione di incrementi di produttività, qualità ed altri elementi di competitività assunti come indicatori dell’andamento economico dell’impresa e dei suoi risultati, nell’ambito di un tetto massimo pari al 3% della retribuzione imponibile percepita, nell’anno solare di riferimento, dai lavoratori che ne godono. Il successivo comma 3 prevede, inoltre, che le predette erogazioni siano assoggettate ad un contributo di solidarietà del 10%, a carico del datore di lavoro, in favore delle gestioni pensionistiche di legge cui sono iscritti i lavoratori. Il predetto contributo non è dovuto quando tali erogazioni sono destinate ai fondi pensione. Infine, se è destinata a tale finalità solo una parte di dette erogazioni, il predetto contributo si applica sulla parte residua.

In proposito, la circolare INPS n. 167 del 2004 ha recato alcuni chiarimenti in merito a tale forma di contribuzione[45].

 

Si ricorda, infine, che il comma 7 del successivo articolo 21 (cfr. infra) prevede conseguentemente l’abrogazione dei commi 5 e 6 dell’articolo 5 del D.Lgs. 80 del 1992.

 

 

 


Art. 17
(Regime tributario delle forme pensionistiche complementari)

 

 


1. I fondi pensione sono soggetti ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura dell'11 per cento, che si applica sul risultato netto maturato in ciascun periodo d'imposta.

2. Per i fondi pensione in regime di contribuzione definita, per i fondi pensione il cui patrimonio, alla data del 28 aprile 1993, sia direttamente investito in immobili relativamente alla restante parte del patrimonio e per le forme pensionistiche complementari di cui all'articolo 20, comma 1, in regime di contribuzione definita o di prestazione definita, gestite in via prevalente secondo il sistema tecnico-finanziario della capitalizzazione, il risultato si determina sottraendo dal valore del patrimonio netto al termine di ciascun anno solare, al lordo dell'imposta sostitutiva, aumentato delle erogazioni effettuate per il pagamento dei riscatti, delle prestazioni previdenziali e delle somme trasferite ad altre forme pensionistiche, e diminuito dei contributi versati, delle somme ricevute da altre forme pensionistiche, nonché dei redditi soggetti a ritenuta, dei redditi esenti o comunque non soggetti ad imposta e il valore del patrimonio stesso all'inizio dell'anno. I proventi derivanti da quote o azioni di organismi di investimento collettivo del risparmio soggetti ad imposta sostitutiva concorrono a formare il risultato della gestione se percepiti o se iscritti nel rendiconto del fondo e su di essi compete un credito d'imposta del 15 per cento. Il credito d'imposta concorre a formare il risultato della gestione ed è detratto dall'imposta sostitutiva dovuta. Il valore del patrimonio netto del fondo all'inizio e alla fine di ciascun anno è desunto da un apposito prospetto di composizione del patrimonio. Nel caso di fondi avviati o cessati in corso d'anno, in luogo del patrimonio all'inizio dell'anno sì assume il patrimonio alla data di avvio del fondo, ovvero in luogo del patrimonio alla fine dell'anno si assume il patrimonio alla data di cessazione del fondo. Il risultato negativo maturato nel periodo d'imposta, risultante dalla relativa dichiarazione, è computato in diminuzione del risultato della gestione dei periodi d'imposta successivi, per l'intero importo che trova in essi capienza o utilizzato in tutto o in parte, dal fondo in diminuzione del risultato di gestione di altre linee di investimento da esso gestite, a partire dal medesimo periodo d'imposta in cui è maturato il risultato negativo, riconoscendo il relativo importo a favore della linea di investimento che ha maturato il risultato negativo. Nel caso in cui all'atto dello scioglimento del fondo pensione il risultato della gestione sia negativo, il fondo stesso rilascia agli iscritti che trasferiscono la loro posizione individuale ad altra forma di previdenza, complementare o individuale, un'apposita certificazione dalla quale risulti l'importo che la forma di previdenza destinataria della posizione individuale può portare in diminuzione del risultato netto maturato nei periodi d'imposta successivi e che consente di computare la quota di partecipazione alla forma pensionistica complementare tenendo conto anche del credito d'imposta corrispondente all'11 per cento di tale importo.

3. Le ritenute operate sui redditi di capitale percepiti dai fondi di cui al comma 2 sono a titolo d'imposta. Non si applicano le ritenute previste dal comma 2 dell'articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, sugli interessi e altri proventi dei conti correnti bancari e postali, nonché la ritenuta prevista, nella misura del 12,50 per cento, dal comma 3-bis dell'articolo 26 del predetto decreto legislativo n. 600 del 1973 e dal comma 1 dell'articolo 10-ter della legge 23 marzo 1983, n. 77.

4. I redditi di capitale che non concorrono a formare il risultato della gestione e sui quali non è stata applicata la ritenuta a titolo d'imposta o l'imposta sostitutiva sono soggetti ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi con la stessa aliquota della ritenuta o dell'imposta sostitutiva.

5. Per i fondi pensione in regime di prestazioni definite, per le forme pensionistiche individuali di cui all'articolo 13, comma 1, lettera b), e per le forme pensionistiche complementari di cui all'articolo 20, comma 1, gestite mediante convenzioni con imprese di assicurazione, il risultato netto si determina sottraendo dal valore attuale della rendita in via di costituzione, calcolato al termine di ciascun anno solare, ovvero determinato alla data di accesso alla prestazione, diminuito dei contributi versati nell'anno, il valore attuale della rendita stessa all'inizio dell'anno. Il risultato negativo è computato in riduzione del risultato dei periodi d'imposta successivi, per l'intero importo che trova in essi capienza.

6. I fondi pensione il cui patrimonio, alla data del 28 aprile 1993, sia direttamente investito in beni immobili, sono soggetti ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura dello 0,50 per cento del patrimonio riferibile agli immobili, determinato, in base ad apposita contabilità separata, secondo i criteri di valutazione previsti dal decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, per i fondi comuni di investimento immobiliare chiusi, calcolato come media annua dei valori risultanti dai prospetti periodici previsti dal citato decreto. Sul patrimonio riferibile al valore degli immobili per i quali il fondo pensione abbia optato per la libera determinazione dei canoni di locazione ai sensi della legge 9 dicembre 1998, n. 431, l'imposta sostitutiva di cui al periodo precedente è aumentata all'l,50 per cento.

7. Le forme pensionistiche complementari di cui all'articolo 20, comma 1, in regime di prestazioni definite gestite in via prevalente secondo il sistema tecnico-finanziario della ripartizione, se costituite in conti individuali dei singoli dipendenti, sono soggette a imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, nella misura dell'11 per cento, applicata sulla differenza, determinata alla data di accesso alla prestazione, tra il valore attuale della rendita e i contributi versati.

8. L'imposta sostitutiva di cui ai commi 1, 4, 6 e 7 è versata dai fondi pensione, dai soggetti istitutori di fondi pensione aperti, dalle imprese di assicurazione e dalle società e dagli enti nell'àmbito del cui patrimonio il fondo è costituito entro il 16 febbraio di ciascun anno. Si applicano le disposizioni del capo III del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241.

9. La dichiarazione relativa all'imposta sostitutiva è presentata dai fondi pensione con le modalità e negli ordinari termini previsti per la dichiarazione dei redditi. Nel caso di fondi costituiti nell'àmbito del patrimonio di società ed enti la dichiarazione è presentata contestualmente alla dichiarazione dei redditi propri della società o dell'ente. Nel caso di fondi pensione aperti e di forme pensionistiche individuali di cui all'articolo 13, comma 1, lettera b), la dichiarazione è presentata rispettivamente dai soggetti istitutori di fondi pensione aperti e dalle imprese di assicurazione.


 

 

L’articolo 17 definisce il trattamento fiscale dei redditi conseguiti dalle diverse forme di previdenza complementare disciplinate dal presente schema di decreto.

 

Il comma 1, corrispondente al primo periodo del comma 1 dell’articolo 14 del D.Lgs. n. 124 del 1993, conferma nella misura dell’11 per cento l’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi applicabile al risultato netto maturato dal fondo pensione in ciascun periodo di imposta. Tale imposta sostitutiva si applica nella suddetta misura dell’11 per cento a tutte le forme pensionistiche complementari, ad eccezione dei fondi pensione indicati al comma 6 (fondi il cui patrimonio, al 28 aprile 1993, fosse direttamente investito in beni immobili), per i quali è ivi prevista una disciplina speciale, limitatamente alla parte di patrimonio direttamente investita in immobili.

 

I successivi commi da 2 a 7 individuano, in relazione a ciascuna forma di previdenza complementare, la base imponibile sulla quale si applica l’imposta sostitutiva.

 

Il comma 2 individua il regime tributario delle seguenti forme di previdenza complementare:

§         i fondi pensione in regime di contribuzione definita (attualmente disciplinati dall’articolo 14 del D.Lgs. n. 124 del 1993);

§         i fondi pensione il cui patrimonio, alla data del 28 aprile 1993[46], fosse direttamente investito in immobili, limitatamente alla parte del patrimonio non investita in immobili (attualmente disciplinati dall’articolo 14-ter del D.Lgs. n. 124 del 1993);

§         le forme pensionistiche complementari istituite alla data del 15 novembre 1992 (entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421), in regime di contribuzione definita o di prestazione definita e gestite in via prevalente secondo il sistema tecnico-finanziario della capitalizzazione (attualmente disciplinate dall’articolo 14-quater, comma 1, del D.Lgs. n. 124 del 1993).

Il risultato netto delle suddette forme previdenziali, sul quale si applica l’imposta sostitutiva nella misura dell’11 per cento, fissata dal comma 1, è pari alla differenza[47] tra il valore del patrimonio netto al termine dell’anno solare, al lordo dell'imposta sostitutiva, e il valore del patrimonio stesso all’inizio del medesimo anno solare. I suddetti valori si desumono da appositi prospetti di composizione del patrimonio. Nel caso di fondi iniziati o cessati nel corso dell’anno, si considerano rispettivamente il patrimonio alla data d’inizio e a quella di cessazione.

 

Il valore del patrimonio netto al termine dell’anno solare deve essere aumentato delle erogazioni effettuate per il pagamento:

§         dei riscatti;

§         delle prestazioni previdenziali;

§         delle somme trasferite ad altre forme pensionistiche.

Il suddetto importo deve inoltre essere diminuito:

§         dei contributi versati;

§         delle somme ricevute da altre forme pensionistiche;

§         dei redditi soggetti a ritenuta;

§         dei redditi esenti o comunque non soggetti ad imposta.

 

I proventi derivanti da quote o azioni di organismi d’investimento collettivo del risparmio concorrono a formare il risultato netto della forma pensionistica complementare che li percepisce o li iscrive nel rendiconto del fondo. Essi sono soggetti alla medesima imposta sostitutiva, e in relazione a ciò è riconosciuto un credito d’imposta nella misura del 15 per cento, che concorre a formare il risultato della gestione ed è detratto dall’imposta sostituiva dovuta dalla forma pensionistica complementare.

L’eventuale risultato negativo è computato in diminuzione del risultato dei periodi d’imposta successivi, ovvero utilizzato, in tutto o in parte, dal fondo in diminuzione del risultato di altre linee d’investimento da esso gestite, fin dal medesimo periodo d’imposta in cui è maturato il risultato negativo medesimo. In questa seconda ipotesi, il fondo riconosce un importo corrispondente a favore della linea d’investimento che ha maturato il risultato negativo.

L’eventuale risultato negativo della gestione, risultante all’atto dello scioglimento della forma di previdenza, può essere portato in diminuzione da parte di altra forma di previdenza, destinataria della posizione individuale dell’iscritto. A questo fine, il fondo in liquidazione rilascia agli iscritti apposita certificazione, dalla quale deve risultare l’importo che può essere portato in diminuzione dalla forma di previdenza cui l’iscritto aderisca, e che deve consentire di computare la quota di partecipazione dell’iscritto, tenendo anche conto del credito d’imposta nella misura dell’11 per cento di tale importo.

Queste disposizioni corrispondono sostanzialmente ai vigenti commi 1 e 2 dell’articolo 14 del D.Lgs. n. 124 del 1993.

 

Il comma 3, corrispondente al comma 3 dell’articolo 14 del D.Lgs. n. 124 del 1993, detta la disciplina fiscale dei redditi di natura finanziaria conseguiti dalle forme di previdenza complementare indicate al precedente comma 2.

Il primo periodo del comma 3 prevede che le ritenute operate sui redditi di capitale percepiti dai soggetti in esame sono a titolo d’imposta; pertanto, questi redditi, assoggettati a tassazione secondo le aliquote per essi ordinariamente previste, non concorrono a formare la base imponibile del soggetto che li percepisce.

Il secondo periodo elenca invece alcune ritenute che non si applicano quando i redditi sono percepiti dai soggetti destinatari delle presenti disposizioni. Tali redditi sono pertanto soggetti all’imposta sostitutiva prevista dal comma 1 del presente articolo con l’aliquota dell’11 per cento. Si tratta di:

§         ritenuta, nella misura del 27 per cento, sugli interessi e sugli altri proventi dei conti correnti bancari e postali, di cui all’articolo 26, comma 2, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600;

§         ritenuta, nella misura del 12,50 per cento, sui proventi derivanti da riporti e pronti contro termine su titoli e valute e sui proventi derivanti dal mutuo di titoli garantito, di cui all’articolo 26, comma 3-bis, del citato D.P.R.[48] n. 600 del 1973;

§         ritenuta, nella misura del 12,50 per cento, sui proventi derivanti dalla partecipazione ad organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) di diritto estero, situati negli Stati membri dell’Unione europea, conformi alle direttive comunitarie (c.d. armonizzati), di cui al comma 1 dell'articolo 10-ter della legge 23 marzo 1983, n. 77.

 

Ai sensi del comma 4, corrispondente al comma 4 dell’articolo 14 del D.Lgs. n. 124 del 1993, i redditi di capitale che non concorrono a formare il risultato della gestione in quanto assoggettabili a ritenuta a titolo d'imposta o ad imposta sostitutiva, ma sui quali il prelievo non è stato effettuato, sono soggetti ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi con la stessa aliquota della ritenuta o dell'imposta sostitutiva[49].

 

Il comma 5, corrispondente agli articoli 14-bis e 14-quater, commi 2 e 2-bis, del decreto legislativo n. 124 del 1993, disciplina la determinazione del risultato netto, che costituisce la base imponibile per l’applicazione dell’imposta sostitutiva prevista dal comma 1, per le seguenti forme pensionistiche complementari:

§         i fondi pensione in regime di prestazioni definite (attualmente disciplinati dall’articolo 14-bis, comma 1, del D.Lgs. n. 124 del 1993);

§         le forme pensionistiche individuali attuate mediante i contratti di assicurazione sulla vita di cui all’articolo 13, comma 1, lettera b), del presente decreto legislativo (attualmente disciplinati dall’articolo 14-bis, comma 2, del D.Lgs. n. 124 del 1993);

§         le forme pensionistiche complementari istituite alla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (15 novembre 1992), gestite mediante convenzioni con imprese di assicurazioni (attualmente disciplinate dall’articolo 14-quater, commi 2 e 2-bis, del D.Lgs. n. 124 del 1993).

Il risultato netto delle sopra indicate forme pensionistiche è dato dalla differenza tra il valore attuale della rendita in via di costituzione, calcolato al termine di ciascun anno solare, ovvero alla data di accesso alla prestazione, diminuito dei contributi versati nell’anno, e il valore attuale della rendita stessa all'inizio dello stesso anno solare. Analogamente a quanto previsto dal sesto periodo del comma 2, anche per queste forme pensionistiche il risultato negativo conseguito in un periodo di imposta è computato a riduzione del risultato dei periodi d’imposta successivi.

 

Il comma 6, corrispondente all’articolo 14-ter, comma 1, del D.Lgs. n. 124 del 1993, fissa nella misura dello 0,50 per cento l’aliquota dell’imposta sostitutiva applicabile ai fondi pensione che, alla data del 28 aprile 1993[50], avevano un patrimonio direttamente investito in beni immobili.

L’imposta si applica limitatamente alla parte di patrimonio riferibile a detti beni[51].

Qualora tali beni siano locati in regime di libera determinazione dei canoni, ai sensi della legge 9 dicembre 1998, n. 431, l’aliquota dell’imposta sostitutiva applicabile sul loro valore è elevata all’1,50 per cento.

La base imponibile per l’applicazione dell’imposta sostitutiva ai fondi in esame è il patrimonio riferibile agli immobili, determinato, in base ad apposita contabilità separata, secondo i criteri di valutazione previsti dal decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, per i fondi comuni d’investimento immobiliare chiusi[52], calcolato come media annua dei valori risultanti dai prospetti periodici previsti dal citato decreto legislativo.

 

L’articolo 6, comma 1, lettera c), numero 5), del decreto legislativo n. 58 del 1998 rimette alla Banca d’Italia, sentita la CONSOB, la competenza a determinare i criteri e le modalità da adottare per la valutazione dei beni e dei valori in cui è investito il patrimonio e la periodicità della valutazione, prevedendo che per la valutazione di beni non negoziati in mercati regolamentati la Banca d'Italia possa prescrivere il ricorso a esperti indipendenti e richiederne l'intervento anche in sede di acquisto e vendita dei beni da parte del gestore.

 

Il comma 7, corrispondente all’articolo 14-quater, comma 2-bis, del D.Lgs. n. 124 del 1993, prevede l’applicazione di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, nella misura dell’11 per cento, alle forme pensionistiche complementari, esistenti al 15 novembre 1992[53], in regime di prestazioni definite, gestite in via prevalente secondo il sistema tecnico-finanziario della ripartizione e costituite in conti individuali dei singoli dipendenti. L’imposta sostitutiva si applica sulla differenza, determinata alla data di accesso alla prestazione, tra il valore attuale delle rendita e i contributi versati.

 

A norma del comma 8, corrispondente all’articolo 14, comma 5, del D.Lgs. n. 124 del 1993, le imposte sostitutive disciplinate ai commi 1, 4, 6 e 7 devono essere versate entro il 16 febbraio di ciascun anno dai seguenti soggetti:

§         fondi pensione;

§         soggetti istitutori di fondi pensione aperti;

§         imprese di assicurazione;

§         società ed enti nell’ambito del cui patrimonio il fondo è costituito.

 

È prevista l’applicazione delle disposizioni in materia di riscossione contenute nel capo III del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni).

 

Il capo III del decreto legislativo n. 241 del 1997 disciplina le procedure e i termini per il versamento unitario di imposte, contributi, premi previdenziali e assistenziali e altre somme ivi indicate nell’articolo 17, nonché la possibilità di compensazione con i relativi crediti.

 

Il comma 9 stabilisce che la dichiarazione relativa all’imposta sostitutiva è presentata dai fondi pensione con le modalità e nei termini[54] previsti per la dichiarazione dei redditi. La dichiarazione relativa a fondi costituiti nell'ambito del patrimonio di società ed enti è presentata contestualmente alla dichiarazione dei redditi della società o dell'ente[55]. La dichiarazione relativa ai fondi pensione aperti deve essere presentata dai soggetti istitutori dei fondi stessi, mentre quella relativa alle forme pensionistiche individuali, attuate mediante i contratti di assicurazione sulla vita, di cui all’articolo 13, comma 1, lettera b), del presente decreto legislativo, deve essere presentata dalle imprese di assicurazione.

Attualmente l’articolo 14, comma 6, del D.Lgs. n. 124 del 1993, collega il termine di presentazione della dichiarazione, relativa all’imposta sostitutiva, all’approvazione del bilancio o del rendiconto del fondo.

 

Come già indicato nel commento ai singoli commi, la disciplina dettata dal presente articolo 17 corrisponde sostanzialmente, tranne quanto espressamente indicato, a quella contenuta negli articoli 14, 14-bis, 14-ter e 14-quater del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, il quale è abrogato dall’articolo 21, comma 8, del presente decreto legislativo, a decorrere dal 1° gennaio 2008.

 

Si ricorda che il testo dell’articolo 17 dello schema, presentato alle Commissioni parlamentari per il parere, teneva conto, ai commi 2 e 3, del regime fiscale di favore introdotto dall’articolo 12 del D.L. 20 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, per gli organismi di investimento collettivo del risparmio che investono in azioni di società di piccola o media capitalizzazione, quotate nei mercati regolamentati degli Stati membri dell’Unione europea (c.d. small cap)[56]. Sui proventi di tali organismi si applica, ai sensi della citata disposizione, un’aliquota fiscale nella misura del 5 per cento, anziché del 12,50 per cento.

La Commissione europea ha successivamente ritenuto che il sopra indicato regime fiscale violasse le norme dall’articolo 87 del trattato istitutivo della Comunità europea in materia di aiuti di Stato, e ha disposto che lo stesso, essendo stato posto in essere senza attendere l’autorizzazione della Commissione, dovesse essere recuperato dagli intermediari che hanno applicato l’agevolazione fiscale (IP/05/1103 del 7 settembre 2005).

Probabilmente per questa ragione il presente articolo 17 non contiene riferimenti al citato regime fiscale agevolato, rendendo quindi applicabile anche ai proventi dei citati organismi collettivi, quando concorrono a costituire il risultato netto dei fondi pensione, l’imposta sostitutiva prevista al comma 1 del presente articolo 17, nella misura generale dell’11 per cento.

 

Si ricorda altresì che l’articolo 1, comma 2, lettera i), della legge n. 243 del 2004, aveva delegato il Governo a rivedere la tassazione dei rendimenti delle attività delle forme pensionistiche, rendendone più favorevole il trattamento in ragione della finalità pensionistica.

A tal proposito può osservarsi che il trattamento fiscale dei rendimenti delle attività delle forma pensionistiche non ha subito modifiche sostanziali rispetto a quanto attualmente previsto dal D.Lgs. n. 124 del 1993.

 

Si segnala infine che il presente articolo non riproduce la misura agevolativa prevista dal vigente comma 7 dell’articolo 14 del D.Lgs. n. 124 del 1993, secondo cui le operazioni di costituzione, trasformazione, scorporo e concentrazione tra fondi pensione sono soggette all’imposta di registro e all’imposta catastale e ipotecaria in misura fissa[57]. La sola disposizione contenuta a questo riguardo nel presente decreto legislativo è quella dell’articolo 20, comma 3, riguardante le operazioni di conferimento per l’eventuale adeguamento delle forme pensionistiche esistenti alla data del 15 novembre 1992.

 

 


Art. 18
(Vigilanza sulle forme pensionistiche complementari)

 

 


1. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali vigila sulla COVIP ed esercita l'attività di alta vigilanza sul settore della previdenza complementare, mediante l'adozione, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, di direttive generali alla COVIP, volte a determinare le linee di indirizzo in materia di previdenza complementare.

2. La COVIP è istituita con lo scopo di perseguire la trasparenza e la correttezza dei comportamenti e la sana e prudente gestione delle forme pensionistiche complementari, avendo riguardo alla tutela degli iscritti e dei beneficiari e al buon funzionamento del sistema di previdenza complementare. La COVIP ha personalità giuridica di diritto pubblico.

3. La COVIP è composta da un presidente e da quattro membri, scelti tra persone dotate di riconosciuta competenza e specifica professionalità nelle materie di pertinenza della stessa e di indiscussa moralità e indipendenza, nominati ai sensi della legge 24 gennaio 1978, n. 14, con la procedura di cui all'articolo 3 della legge 23 agosto 1988, n. 400; la deliberazione del Consiglio dei Ministri è adottata su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Il presidente e i commissari durano in carica quattro anni e possono essere confermati una sola volta. Ad essi si applicano le disposizioni di incompatibilità, a pena di decadenza, di cui all'articolo 1, quinto comma, del decreto-legge 8 aprile 1974, n. 95, convertito con modificazioni, dalla legge 7 giugno 1974, n. 216. Al presidente e ai commissari competono le indennità di carica fissate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. È previsto un apposito ruolo del personale dipendente della COVIP. La COVIP può avvalersi di esperti nelle materie di competenza; essi sono collocati fuori ruolo, ove ne sia fatta richiesta.

4. Le deliberazioni della COVIP sono adottate collegialmente, salvo casi di urgenza previsti dalla legge o dal regolamento di cui al presente comma. Il presidente sovrintende all'attività istruttoria e cura l'esecuzione delle deliberazioni. Il presidente della COVIP tiene informato il Ministro del lavoro e delle politiche sociali sugli atti e sugli eventi di maggior rilievo e gli trasmette le notizie ed i dati di volta in volta richiesti. La COVIP delibera con apposito regolamento, nei limiti delle risorse disponibili e sulla base dei princìpi di trasparenza e celerità dell'attività, del contraddittorio e dei criteri di organizzazione e di gestione delle risorse umane di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in ordine al proprio funzionamento e alla propria organizzazione, prevedendo per il coordinamento degli uffici la qualifica di direttore generale, determinandone le funzioni, al numero dei posti della pianta organica, al trattamento giuridico ed economico del personale, all'ordinamento delle carriere, nonché circa la disciplina delle spese e la composizione dei bilanci preventivo e consuntivo che devono osservare i princìpi del regolamento di cui all'articolo 1, settimo comma, del decreto-legge 8 aprile 1974, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 giugno 1974, n. 216. Tali delibere sono sottoposte alla verifica di legittimità del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, e sono esecutive decorsi venti giorni dalla data di ricevimento, ove nel termine suddetto non vengano formulati rilievi sulle singole disposizioni. Il trattamento economico complessivo del personale delle carriere direttiva e operativa della COVIP è definito, nei limiti dell'ottanta per cento del trattamento economico complessivo previsto per il livello massimo della corrispondente carriera o fascia retributiva per il personale dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Al personale in posizione di comando o distacco è corrisposta una indennità pari alla eventuale differenza tra il trattamento erogato dall'amministrazione o dall'ente di provenienza e quello spettante al corrispondente personale di ruolo. La Corte dei conti esercita il controllo generale sulla COVIP per assicurare la legalità e l'efficacia del suo funzionamento e riferisce annualmente al Parlamento.

5. I regolamenti, le istruzioni di vigilanza e i provvedimenti di carattere generale, adottati dalla COVIP per assolvere i compiti di cui all'articolo 19, sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale e nel bollettino della COVIP.


 

 

Gli articoli 18 e 19 del testo in esame attuano il principio di delega di cui all’art. 1, comma 2, lettera h, nn. 1) e 2)della L. 243 del 2004, concernente il perfezionamento dell'unitarietà e dell'omogeneità del sistema di vigilanza sull'intero settore della previdenza complementare e la semplificazione delle procedure amministrative.

E’ opportuno evidenziare che l’operatività delle disposizioni di cui agli articoli 18 e 19 decorre dal 14 dicembre 2005 (data di entrata in vigore del decreto).

 

Si consideri che l’art. 25, comma 4, della legge 28 dicembre 2005, n. 262, recante “Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari” ha soppresso, nella disposizione contenente il principio di delega su citato, il riferimento all’unitarietà del sistema della vigilanza sul settore della previdenza complementare.

Si evidenzia la particolarità di tale modifica, intervenuta su una disposizione di delega legislativa già esercitata con l’emanazione del decreto legislativo in esame.

Si consideri, a tal proposito, che gli articoli 18 e 19 in esame sono stati elaborati proprio sulla base del principio di unitarietà della vigilanza.

Invece la soppressione del riferimento all’unitarietà della vigilanza potrebbe assumere una valenza sistematica, sul piano interpretativo, che incide sull’ambito delle competenze attribuite dagli artt. 18 e 19 in esame alla COVIP (cfr. amplius infra).

 

In particolare, l’articolo 18, riproducendo sostanzialmente le disposizioni di cui all’articolo 16 del D.Lgs. 124 del 1993, definisce l’esercizio dell’attività di vigilanza sulle forme pensionistiche complementari.

Più specificamente, il comma 1 prevede l'esercizio, da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, della vigilanza sulla Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP) nonché dell’esercizio dell'attività di alta vigilanza nel settore della previdenza complementare mediante l'adozione di direttive generali alla COVIP stessa, adottate di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze.

I successivi commi da 2 a 5 concernono il funzionamento e la composizione della COVIP, anche in questo caso riproducendo sostanzialmente le disposizioni di cui al richiamato articolo 16 del D.Lgs. 124 del 1993.

Istituita appunto dall'articolo 16 del D.Lgs. 124 del 1993[58], la COVIP ha personalità giuridica di diritto pubblico, ed è dotata di autonomia regolamentare, organizzativa e contabile.

Si ricorda che il comma 1 dell'articolo 14 della L. 8 agosto 1995, n. 335, ha ridisegnato completamente la disciplina dei compiti della Commissione; tra tali compiti si segnalano in particolare:

a)  tenere l'albo dei fondi pensione autorizzati ai sensi dell'articolo 4 del D. Lgs. 124 del 1993;

b)    approvare gli statuti ed i regolamenti dei fondi pensione;

c)    istruire gli atti di autorizzazione alla costituzione ed all'esercizio dei fondi pensione (anche dei fondi aperti);

d)    definire con le autorità di vigilanza dei singoli gestori (Banca d'Italia, CONSOB e ISVAP) schemi tipo di convenzione tra i fondi ed i gestori ed autorizzare in via preventiva le convenzioni tra fondi e gestori, verificando il rispetto dei predetti schemi tipo;

e)  indicare criteri omogenei per la determinazione del valore del patrimonio dei fondi e della loro redditività

f)   valutare l'attuazione dei principi di trasparenza nei rapporti tra i partecipanti ai fondi ed i fondi medesimi, mediante l'elaborazione di appositi schemi, criteri e modalità di verifica, nonché in ordine alla comunicazione periodica, da parte dei fondi, agli iscritti circa l'andamento amministrativo e finanziario dei fondi stessi;

g)    esercitare il controllo, anche mediante l'effettuazione di ispezioni e la richiesta di esibizione di documenti ed atti, sulla gestione tecnica, finanziaria, patrimoniale e contabile dei fondi;

h)    pubblicare e diffondere informazioni utili alla conoscenza dei problemi previdenziali.

 

 

La Commissione (comma 2) ha il compito di perseguire la corretta e trasparente amministrazione e la sana e prudente gestione dei fondi di previdenza complementare, avendo come obiettivi la tutela degli iscritti e il buon funzionamento del sistema della previdenza complementare.

Sull’ambito della ripartizione di competenze tra varie autorità, per quanto riguarda la vigilanza sui fondi pensione, è intervenuto il comma 3 dell’art. 25 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 già citata.

Tale disposizione prevede che le competenze in materia di trasparenza e di correttezza dei comportamenti sono esercitate dalla COVIP compatibilmente con le disposizioni per la sollecitazione del pubblico risparmio (su cui è invece competente la CONSOB).

Restano ferme le competenze in materia di tutela della concorrenza su tutte le forme pensionistiche complementari attribuite all'Autorità garante della concorrenza e del mercato dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287.

Di particolare rilevanza, invece, l’attribuzione all’ISVAP delle competenze in materia di sana e prudente gestione delle imprese di assicurazione, incluse quelle relative ai prodotti assicurativi con finalità previdenziali.

Tale ultima previsione si pone in linea con l’eliminazione della finalità dell’unitarietà del sistema di vigilanza sulle forme pensionistiche complementari dai principi di delega, riducendo l’ambito di competenza della COVIP (cfr. supra).

In sostanza, mentre la disposizione di cui all’art. 18, comma 2 in esame, attribuisce alla COVIP la vigilanza sulla trasparenza dei comportamenti e sulla sana e prudente gestione per tutte le forme pensionistiche complementari, il successivo art. 25, comma 3, della legge n. 262/2005 determina una ripartizione di competenze, restituendo all’ISVAP la vigilanza sulla sana e prudente gestione delle imprese di assicurazione[59], anche con riferimento ai “prodotti assicurativi con finalità previdenziali” (in sostanza, le forme pensionistiche individuali di cui all’art. 13 del provvedimento in esame: contratti di assicurazione sulla vita) (cfr. infra, per l’incidenza di tale previsione sui compiti attribuiti alla COVIP).

 

La COVIP è composta (comma 3) da un presidente e da quattro membri, che durano in carica 4 anni e possono essere confermati una sola volta, scelti “tra persone dotate di riconosciuta competenza e specifica professionalità nelle materie di pertinenza della stessa e di indiscussa moralità e indipendenza”.

Essi sono nominati con deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, ed è sottoposta a parere parlamentare, ai sensi della L. 24 gennaio 1978, n. 14, con la procedura di cui all'articolo 3 della L. 23 agosto 1988, n. 400[60]. Ad essi si applicano le disposizioni di incompatibilità, a pena di decadenza, previste per il presidente e i commissari della CONSOB, di cui all'articolo 1, quinto comma, del D.L. 8 aprile 1974, n. 95, convertito dalla L. 7 giugno 1974, n. 216[61], recante disposizioni relative al mercato mobiliare e trattamento fiscale dei titoli azionari, in merito alla gestione autonoma delle spese necessarie al proprio funzionamento. Al presidente e ai commissari competono le indennità di carica fissate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.

E' inoltre previsto un apposito ruolo del personale dipendente della COVIP. La COVIP, infine, può avvalersi di esperti nelle materie di competenza; essi sono collocati fuori ruolo, ove ne sia fatta richiesta.

 

Ai sensi del successivo comma 4, le deliberazioni della COVIP vengono adottate collegialmente, salvo particolari casi di urgenza previsti dalla legge o dal regolamento in seguito menzionato.

La COVIP è dotata di ampia autonomia: essa può infatti deliberare, con proprio regolamento, nei limiti delle risorse disponibili, in ordine alla propria organizzazione e al proprio ordinamento, al trattamento giuridico ed economico del personale e all’ordinamento delle carriere. La Commissione può altresì deliberare in ordine alla disciplina delle spese e alla composizione dei bilanci preventivo e consuntivo, i quali devono osservare i principi del regolamento di cui all’articolo 1, settimo comma, del richiamato D.L. 95 del 1974[62].

Tali deliberazioni devono essere sottoposte al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, ne verifica la legittimità. Esse diventano esecutive decorsi 20 giorni dal ricevimento senza che siano formulati rilievi; questi ultimi devono essere effettuati, in ogni caso, unitariamente e in unico contesto sulle singole disposizioni. La norma stabilisce altresì che il trattamento economico complessivo del personale delle carriere direttive ed operativa della COVIP viene ridefinito nei limiti dell'80% di quello complessivo previsto per il livello massimo della corrispondente carriera o fascia retributiva del personale dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Al personale in posizione di comando o distacco è corrisposta un'indennità pari all'eventuale differenza tra il trattamento erogato dall'amministrazione o dall'ente di provenienza e quello spettante al corrispondente personale di ruolo.

Infine, è previsto il controllo della Corte dei conti allo scopo di assicurare la legalità e l’efficacia del funzionamento della COVIP.

 

Ai sensi del comma 5, i regolamenti, le istruzioni di vigilanza ed i provvedimenti di carattere generale adottati dalla COVIP, vengono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale.

 

 


Art. 19
(Compiti della COVIP)

 

 


1. Le forme pensionistiche complementari di cui al presente decreto, ivi comprese quelle di cui all'articolo 20, commi 1, 3 e 8, nonché i fondi che assicurano ai dipendenti pubblici prestazioni complementari al trattamento di base e al TFR, comunque risultino gli stessi configurati nei bilanci di società o enti ovvero determinate le modalità di erogazione, ad eccezione delle forme istituite all'interno di enti pubblici, anche economici, che esercitano i controlli in materia di tutela del risparmio, in materia valutaria o in materia assicurativa, sono iscritte in un apposito albo, tenuto a cura della COVIP.

2. In conformità agli indirizzi generali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, e ferma restando la vigilanza di stabilità esercitata dalle rispettive autorità di controllo sui soggetti abilitati di cui all'articolo 6, comma 1, la COVIP esercita, anche mediante l'emanazione di istruzioni di carattere generale e particolare, la vigilanza su tutte le forme pensionistiche complementari. In tale àmbito:

a) definisce le condizioni che, al fine di garantire il rispetto dei princìpi di trasparenza, comparabilità e portabilità, le forme pensionistiche complementari devono soddisfare per poter essere ricondotte nell'àmbito di applicazione del presente decreto ed essere iscritte all'albo di cui al comma 1;

b) approva gli statuti e i regolamenti delle forme pensionistiche complementari, verificando la ricorrenza dei requisiti di cui al comma 3 dell'articolo 4 e delle altre condizioni richieste dal presente decreto e valutandone anche la compatibilità rispetto ai provvedimenti di carattere generale da essa emanati; nel disciplinare, con propri regolamenti, le procedure per l'autorizzazione dei fondi pensione all'esercizio dell'attività e per l'approvazione degli statuti e dei regolamenti dei fondi, nonché delle relative modifiche, la COVIP individua procedimenti di autorizzazione semplificati, prevedendo anche l'utilizzo del silenzio-assenso e l'esclusione di forme di approvazione preventiva. Tali procedimenti semplificati devono in particolar modo essere utilizzati nelle ipotesi di modifiche statutarie e regolamentari conseguenti a sopravvenute disposizioni normative. Ai fini di sana e prudente gestione, la COVIP può richiedere di apportare modifiche agli statuti e ai regolamenti delle forme pensionistiche complementari, fissando un termine per l'adozione delle relative delibere;

c) verifica il rispetto dei criteri di individuazione e ripartizione del rischio come individuati ai sensi dei commi 11 e 13 dell'articolo 6;

d) definisce, sentite le autorità di vigilanza sui soggetti abilitati a gestire le risorse delle forme pensionistiche complementari, i criteri di redazione delle convenzioni per la gestione delle risorse, cui devono attenersi le medesime forme pensionistiche e i gestori nella stipula dei relativi contratti;

e) verifica le linee di indirizzo della gestione e vigila sulla corrispondenza delle convenzioni per la gestione delle risorse ai criteri di cui all'articolo 6, nonché alla lettera d);

f) indica criteri omogenei per la determinazione del valore del patrimonio delle forme pensionistiche complementari, della loro redditività, nonché per la determinazione della consistenza patrimoniale delle posizioni individuali accese presso le forme stesse; detta disposizioni volte all'applicazione di regole comuni a tutte le forme pensionistiche circa la definizione del termine massimo entro il quale le contribuzioni versate devono essere rese disponibili per la valorizzazione; detta disposizioni per la tenuta delle scritture contabili, prevedendo: il modello di libro giornale, nel quale annotare cronologicamente le operazioni di incasso dei contributi e di pagamento delle prestazioni, nonché ogni altra operazione, gli eventuali altri libri contabili, il prospetto della composizione e del valore del patrimonio della forma pensionistica complementare attraverso la contabilizzazione secondo i criteri definiti in base al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, evidenziando le posizioni individuali degli iscritti e il rendiconto annuale della forma pensionistica complementare; il rendiconto e il prospetto sono considerati quali comunicazioni sociali agli effetti di cui all'art. 2621 del codice civile;

g) detta disposizioni volte a garantire la trasparenza delle condizioni contrattuali di tutte le forme pensionistiche complementari, al fine di tutelare l'adesione consapevole dei soggetti destinatari e garantire il diritto alla portabilità della posizione individuale tra le varie forme pensionistiche complementari, avendo anche riguardo all'esigenza di garantire la comparabilità dei costi; disciplina, tenendo presenti le disposizioni in materia di sollecitazione del pubblico risparmio, le modalità di offerta al pubblico di tutte le predette forme pensionistiche, dettando disposizioni volte all'applicazione di regole comuni per tutte le forme pensionistiche complementari, sia per la fase inerente alla raccolta delle adesioni sia per quella concernente l'informativa periodica agli aderenti circa l'andamento amministrativo e finanziario delle forme pensionistiche complementari, anche al fine di eliminare distorsioni che possano arrecare pregiudizio agli aderenti; a tale fine elabora schemi per gli statuti, i regolamenti, le schede informative, i prospetti e le note informative da indirizzare ai potenziali aderenti a tutte le forme pensionistiche complementari, nonché per le comunicazioni periodiche da inoltrare agli aderenti alle stesse; vigila sull'attuazione delle predette disposizioni nonché, in generale, sull'attuazione dei princìpi di trasparenza nei rapporti con gli aderenti, nonché sulle modalità di pubblicità, con facoltà di sospendere o vietare la raccolta delle adesioni in caso di violazione delle disposizioni stesse;

h) detta disposizioni volte a disciplinare le modalità con le quali le forme pensionistiche complementari sono tenute ad esporre nel rendiconto annuale e, sinteticamente, nelle comunicazioni periodiche agli iscritti, se ed in quale misura nella gestione delle risorse e nelle linee seguite nell'esercizio dei diritti derivanti dalla titolarità dei valori in portafoglio, siano stati presi in considerazione aspetti sociali, etici ed ambientali;

i) esercita il controllo sulla gestione tecnica, finanziaria, patrimoniale, contabile delle forme pensionistiche complementari, anche mediante ispezioni presso le stesse, richiedendo l'esibizione dei documenti e degli atti che ritenga necessari;

l) riferisce periodicamente al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, formulando anche proposte di modifiche legislative in materia di previdenza complementare;

m) pubblica e diffonde informazioni utili alla conoscenza dei problemi previdenziali;

n) programma ed organizza ricerche e rilevazioni nel settore della previdenza complementare anche in rapporto alla previdenza di base; a tale fine, le forme pensionistiche complementari sono tenute a fornire i dati e le informazioni richiesti, per la cui acquisizione la COVIP può avvalersi anche dell'Ispettorato del lavoro.

3. Per l'esercizio della vigilanza, la COVIP può disporre che le siano fatti pervenire, con le modalità e nei termini da essa stessa stabiliti:

a) le segnalazioni periodiche, nonché ogni altro dato e documento richiesti;

b) i verbali delle riunioni e degli accertamenti degli organi interni di controllo delle forme pensionistiche complementari.

4. La COVIP può altresì:

a) convocare presso di sè gli organi di amministrazione e di controllo delle forme pensionistiche complementari;

b) richiedere la convocazione degli organi di amministrazione delle forme pensionistiche complementari, fissandone l'ordine del giorno.

5. Nell'esercizio della vigilanza la COVIP ha diritto di ottenere le notizie e le informazioni richieste alle pubbliche amministrazioni. I dati, le notizie, le informazioni acquisiti dalla COVIP nell'esercizio delle proprie attribuzioni sono tutelati dal segreto d'ufficio anche nei riguardi delle pubbliche amministrazioni, ad eccezione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e fatto salvo quanto previsto dal codice di procedura penale sugli atti coperti dal segreto. I dipendenti e gli esperti addetti alla COVIP nell'esercizio della vigilanza sono incaricati di un pubblico servizio. Essi sono vincolati al segreto d'ufficio e hanno l'obbligo di riferire alla COVIP tutte le irregolarità constatate, anche quando configurino fattispecie di reato.

6. Accordi di collaborazione possono intervenire tra la COVIP, le autorità preposte alla vigilanza sui gestori soggetti di cui all'articolo 6 e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato al fine di favorire lo scambio di informazioni e di accrescere l'efficacia dell'azione di controllo.

7. Entro il 31 maggio di ciascun anno la COVIP trasmette al Ministro del lavoro e delle politiche sociali una relazione sull'attività svolta, sulle questioni in corso di maggior rilievo e sugli indirizzi e le linee programmatiche che intende seguire. Entro il 30 giugno successivo il Ministro del lavoro e delle politiche sociali trasmette detta relazione al Parlamento con le proprie eventuali osservazioni.


 

 

I compiti della COVIP vengono delineati nell’articolo 19, in attuazione del principio di delega di cui all’art. 1, comma 2, lettera h), n. 2) della L. 243 del 2004 che, rispetto all’ordinamento previgente, ha previsto l’attribuzione alla Commissione i seguenti ulteriori compiti:

§      impartire disposizioni volte a garantire la trasparenza delle condizioni contrattuali fra tutte le forme pensionistiche collettive ed individuali, incluse le forme pensionistiche individuali attuate mediante contratti di assicurazione sulla vita;

§      vigilare sulle modalità di offerta al pubblico di tutti i predetti strumenti previdenziali, al fine di tutelare l'adesione consapevole dei soggetti destinatari, compatibilmente con le disposizioni per la sollecitazione del pubblico risparmio, al fine di tutelare l’adesione consapevole dei soggetti destinatari.

 

Si consideri, tuttavia, che sulle previsioni dell’art. 19 in esame interviene l’art. 25, comma 3, della legge n. 262 del 2005 (cfr. supra, scheda dell’art. 18), che restituisce all’ISVAP la vigilanza sulla sana e prudente gestione delle imprese di assicurazione, anche con riferimento ai “prodotti assicurativi con finalità previdenziali” (in sostanza,  contratti di assicurazione sulla vita).

Si potrebbe concludere che ciò incide sui compiti attribuiti alla COVIP dall’art. 19, riducendone la portata con riferimento alle forme pensionistiche individuali attuate mediante contratti assicurativi sulla vita (cfr. infra).

 

Le previsioni di cui al comma 1, riproducendo quanto contenuto nell’articolo 17 del D.Lgs. 124 del 1993, prevedono l’obbligo di iscrizione delle forme pensionistiche complementari in esame, comprese quelle preesistenti alla data del 15 novembre 1992 (entrata in vigore della L. 421 del 1992), nonché i fondi che assicurano ai dipendenti pubblici prestazioni complementari al trattamento di base e al TFR, ad eccezione delle forme istituite all'interno di enti pubblici, anche economici, che esercitano i controlli in materia di tutela del risparmio, in materia valutaria o in materia assicurativa, in un apposito albo, tenuto a cura della COVIP.

 

Il comma 2, come accennato in precedenza, amplia e ridefinisce le funzioni della Commissione in materia di vigilanza per quanto riguarda la trasparenza, la comparabilità dei costi e la portabilità delle forme pensionistiche complementari, da esercitarsi in conformità agli indirizzi generali del Ministero del lavoro, emanati di concerto con quello dell’Economia, ferma restando la vigilanza sulla stabilità (ovvero sui requisiti patrimoniali) degli intermediari finanziari da parte delle autorità competenti (ISVAP, CONSOB, Banca d’Italia) in relazione alla natura degli stessi intermediari.

Le funzioni di vigilanza, esercitate anche mediante l'emanazione di istruzioni a carattere generale e particolare, riguardano in particolare:

§      tenuta dell'albo delle forme pensionistiche complementari, come richiamato in precedenza (comma 1);

§      definizione delle condizioni che - allo scopo di garantire l'attuazione dei principi di trasparenza, comparabilità e portabilità - le forme pensionistiche complementari devono soddisfare (lettera a));

§      autorizzazione dell'esercizio dell'attività dei fondi pensione mediante procedimenti di autorizzazione semplificati soprattutto nelle ipotesi di modifiche statutarie e regolamentari conseguenti a sopravvenute disposizioni normative, anche con l'utilizzo del silenzio-assenso e l'esclusione di forme di approvazione preventiva (lettera b), primo periodo);

§      richiesta di apportare modifiche agli statuti e ai regolamenti dei fondi pensione, fissando un termine per l'assunzione di queste delibere, per una sana e prudente gestione (lettera b), secondo periodo);

§      approvazione degli statuti e dei regolamenti dei fondi con le relative modifiche valutandone anche la compatibilità con i propri provvedimenti di carattere generale già emanati (lettera b), primo periodo);

§      verifica dell'osservanza dei criteri di individuazione e ripartizione del rischio come individuato nei commi 11 (ad esempio, criteri di investimento nelle varie categorie di valori mobiliari) e 13 (i fondi pensione non possono comunque assumere o concedere prestiti e determinati limiti nell'investimento delle disponibilità di competenza) dell'articolo 6 dello schema in esame (lettera c));

§      definizione dei criteri di redazione delle convenzioni (sentite le autorità di vigilanza sui soggetti gestori) per la gestione delle risorse, nonché verifica delle linee di indirizzo della gestione e vigilanza sulla corrispondenza delle convenzioni per la gestione delle risorse ai criteri di cui al precedente articolo 6 (vedi supra) (lettere d) ed e));

§      indicazione di criteri omogenei per la determinazione del valore del patrimonio delle forme pensionistiche complementari e della loro redditività (lettera f));

§      disposizioni per la tenuta delle scritture contabili con la previsione del modello di libro giornale nel quale annotare cronologicamente le operazioni di incasso dei contributi e di pagamento delle prestazioni e gli eventuali altri libri contabili (lettera f));

§      disposizioni per assicurare la trasparenza delle condizioni contrattuali di tutte le forme pensionistiche complementari allo scopo di tutelare l'adesione consapevole dei soggetti destinatari e di garantire il diritto alla portabilità della posizione individuale tra le varie forme pensionistiche complementari anche sotto il profilo della comparabilità dei costi; disciplinare, come accennato in precedenza, le modalità di offerta al pubblico di tutti i citati strumenti previdenziali, allo scopo di tutelare l'adesione consapevole dei soggetti destinatari, compatibilmente con le disposizioni per la sollecitazione del pubblico risparmio, al fine di tutelare l’adesione consapevole dei soggetti destinatari (lettera g));

§      disposizioni volte a disciplinare le modalità con le quali le forme pensionistiche complementari debbano evidenziare, nel rendiconto annuale e nelle comunicazioni periodiche, se ed in quale misura nella gestione delle risorse e nelle linee seguite nell’esercizio dei diritti derivanti dalla titolarità dei valori in portafoglio, siano stati presi in considerazione aspetti sociali, etici ed ambientali (lettera h));

§      esercizio del controllo sulla gestione tecnica, finanziaria, patrimoniale e contabile dei fondi, anche mediante ispezioni (lettera i));

§      attività informativa e di rilevazione nel settore della previdenza complementare (lettere m) e n));

§      collaborazione con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, consistente nel riferire periodicamente ad esso, formulando anche proposte di modifiche legislative in materia di previdenza complementare (lettera l)).

 

Si osserva che non appare di univoca interpretazione stabilire se e in quale misura vengano ridimensionati i singoli poteri della COVIP elencati all’art. 19, comma 2, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 25, comma 3 della legge n. 262/2005  (cfr. supra). In particolare, non è chiaro se tali poteri, relativamente alla vigilanza sulle imprese assicurative, vengano attribuiti in maniera esclusiva all’ISVAP o, al contrario, vedano coinvolti congiuntamente sia l’ISVAP sia la COVIP.

Si pensi al potere di “controllo sulla gestione tecnica, finanziaria, patrimoniale, contabile”, anche mediante ispezioni, di cui alla lettera i) dell’art. 19, comma 2. Relativamente alle imprese assicurative che istituiscono forme pensionistiche individuali tali poteri dovrebbero spettare, al fine della vigilanza sulla “sana e prudente gestione”, all’ISVAP; non è chiaro, però, se i poteri in questione non possano essere esercitati, per le imprese assicurative, anche dalla COVIP.

Si consideri che l’art. 20 della legge n. 262/2005, al fine di migliorare l’efficienza della vigilanza e un miglio coordinamento tra autorità, prevede che la Banca d'Italia, la CONSOB, l’ISVAP, la COVIP e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nel rispetto della reciproca indipendenza, individuano forme di coordinamento per l'esercizio delle competenze ad essi attribuite anche attraverso protocolli d'intesa o l'istituzione. A tal fine si prescrive la riunione delle autorità almeno una volta l’anno.

 

Per l'esercizio della vigilanza la COVIP può disporre di una serie di misure quali l'ottenimento dei verbali delle riunioni e degli accertamenti degli organi interni di controllo delle forme pensionistiche complementari e di ogni altro dato o documento richiesti. Ai fini dell’attuazione del potere di vigilanza, la COVIP ha diritto di ottenere notizie e informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni (comma 3).

 

La COVIP può inoltre procedere alla (comma 4):

§      convocazione degli organi di amministrazione e di controllo delle forme pensionistiche obbligatorie;

§      richiesta di convocazione degli organi di amministrazione delle forme pensionistiche con fissazione dell'ordine del giorno.

 

I successivi commi 5, 6 e 7 dell’articolo 19,riproducendo le disposizioni contenute nel più volte richiamato articolo 17 del D:Lgs. 124 del 1993, disciplinano l’esercizio della vigilanza.

 

In particolare, nell’esercizio della vigilanza la COVIP:

 

-       ha il diritto di ottenere notizie e informazioni da parte delle amministrazioni pubbliche: tali notizie sono tutelate dal segreto d’ufficio – anche nei riguardi delle pubbliche amministrazioni stesse – ad eccezione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e salvaguardando le disposizioni del codice di procedura penale su atti coperti dal segreto (comma 5);

-       pone in essere accordi di collaborazione con le autorità di vigilanza sui soggetti gestori e l’antitrust, al fine di favorire lo scambio di informazioni e accrescere l’effettività dell’azione di controllo (comma 6);

-       trasmette al Ministro del lavoro la relazione sull’attività svolta entro il 31 maggio di ogni anno; entro il 30 giugno successivo, inoltre, trasmette la richiamata relazione al Parlamento (comma 7).

 

 


Art. 20
(Forme pensionistiche complementari istituite alla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421)

 

 


1. Fino alla emanazione del decreto di cui al comma 2, alle forme pensionistiche complementari che risultano istituite alla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421, non si applicano gli articoli 4, comma 5, e 6, commi 1, 3 e 5. Salvo quanto previsto al comma 3, dette forme, se già configurate ai sensi dell'art. 2117 del codice civile ed indipendentemente dalla natura giuridica del datore di lavoro, devono essere dotate di strutture gestionali amministrative e contabili separate.

2. Le forme di cui al comma 1 devono adeguarsi alle disposizioni del presente decreto legislativo secondo i criteri, le modalità e i tempi stabiliti, anche in relazione alle specifiche caratteristiche di talune delle suddette forme, con uno o più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali sentita la COVIP, da adottarsi entro un anno dalla data di pubblicazione del presente decreto legislativo nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Le operazioni necessarie per l'adeguamento alle disposizioni di cui al presente comma sono esenti da ogni onere fiscale. Le forme da cui ai commi 1 sono iscritte in una sezione speciale dell'albo di cui all'articolo 19, comma 1.

3. Qualora le forme pensionistiche di cui al comma 1 intendano comunque adeguarsi alle disposizioni di cui all'articolo 6, comma 1, lettera d), le operazioni di conferimento non concorrono in alcun caso a formare il reddito imponibile del soggetto conferente e i relativi atti sono soggetti alle imposte di registro, ipotecarie e catastali nella misura fissa di euro 51,64 per ciascuna imposta; a dette operazioni si applicano, agli effetti dell'imposta sull'incremento di valore degli immobili, le disposizioni di cui all'articolo 3, secondo comma, secondo periodo, e 6, settimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 643, e successive modificazioni.

4. L'attività di vigilanza sulle forme pensionistiche di cui al comma 1 è svolta dalla COVIP secondo piani di attività differenziati temporalmente anche con riferimento alle modalità di controllo e alle diverse categorie delle predette forme pensionistiche. La COVIP riferisce al riguardo al Ministro del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero dell'economia e delle finanze.

5. Per i destinatari iscritti alle forme pensionistiche di cui al comma 1, successivamente alla data del 28 aprile 1993, si applicano le disposizioni stabilite dal presente decreto legislativo e, per quelli di cui all'articolo 2, comma 1, lettera a), non possono essere previste prestazioni definite volte ad assicurare una prestazione determinata con riferimento al livello del reddito, ovvero a quello del trattamento pensionistico obbligatorio.

6. L'accesso alle prestazioni per anzianità e vecchiaia assicurate dalle forme pensionistiche di cui al comma 1, che garantiscono prestazioni definite ad integrazione del trattamento pensionistico obbligatorio, è subordinato alla liquidazione del predetto trattamento.

7. Le forme pensionistiche di cui al comma 1, gestite in via prevalente secondo il sistema tecnico-finanziario della ripartizione e con squilibri finanziari, che siano già state destinatarie del decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali con il quale è stata accertata una situazione di squilibrio finanziario derivante dall'applicazione del previgente decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, possono deliberare di continuare, sotto la propria responsabilità, a derogare agli articoli 8 e 11. Ai relativi contributi versati continua ad applicarsi, anche per gli iscritti successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, il trattamento tributario previsto dalle norme previgenti.

8. Le forme pensionistiche di cui al comma 7 debbono presentare annualmente alla COVIP e al Ministero del lavoro e delle politiche sociali il bilancio tecnico, nonché documentazione idonea a dimostrare il permanere della situazione finanziaria di cui al precedente comma 7; con cadenza quinquennale un piano che, con riguardo a tutti gli iscritti attivi e con riferimento alle contribuzioni e alle prestazioni, nonché al patrimonio investito, determini le condizioni necessarie ad assicurare l'equilibrio finanziario della gestione ed il progressivo allineamento alle norme generali dei presente decreto. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previo parere della COVIP, accerta la sussistenza delle predette condizioni.

9. Le deliberazioni assembleari delle forme di cui al comma 1 continuano a essere validamente adottate secondo le procedure previste dai rispettivi statuti, anche con il metodo referendario, non intendendosi applicabili ad esse le modalità di presenza previste dall'art. 20 e dall'art. 21 del codice civile.


 

 

L'articolo 20 ha la finalità di raccordare la nuova normativa alla situazione attualmente esistente nel settore della previdenza complementare, ovvero alle forme pensionistiche complementari che risultavano già istituite alla data del 15 novembre 1992 (data di entrata in vigore della legge delega 421 del 1992).

Si osserva che disposizioni volte a disciplinare il regime dei fondi preesistenti sono attualmente contenute nell’articolo 18 del più volte richiamato D.Lgs. 124 del 1993.

 

Si osserva che la mancanza di una disciplina previdenziale specifica ha determinato il realizzarsi di una varietà di forme gestionali, nel cui ambito si hanno gestioni previdenziali complementari di origine direttamente legale (tra le principali: quella per gli impiegati delle esattorie, per i dipendenti delle aziende private del gas, per gli agenti e rappresentanti di commercio), che erogano una integrazione della pensione obbligatoria fornita dall'INPS; gestioni private ma dotate di personalità giuridica (specialmente nelle aziende di credito, in quanto derivanti dalla trasformazione in integrativi di precedenti fondi esonerativi); gestioni complementari private prive di riconoscimento giuridico (la maggior parte, di cui più di un centinaio nel settore creditizio e le restanti - qualche migliaio, secondo studi di settore, ma non si hanno dati precisi - in ambito aziendale).

 

In relazione ai fondi pensione preesistenti il comma 1 dell’articolo in esame prevede innanzitutto, in via transitoria, l’esclusione dall’applicazione delle disposizioni contemplate:

 

§      nel comma 5 dell’articolo 4: pertanto i fondi chiusi, costituiti nell’ambito di comparti o raggruppamenti, sono esentati dall’obbligo di assumere la forma di personalità giuridica riconosciuta; sembrerebbe che siano esentati anche dall’obbligo di prevedere modalità di raccolta delle adesioni compatibili con le disposizioni per la sollecitazione al pubblico risparmio;

§      nei commi 1, 3 e 5 dell’articolo 6: i fondi preesistenti sono quindi esentati dall’osservanza delle norme concernenti la gestione diretta o convenzionata delle risorse patrimoniali, dall’obbligo di erogare le rendite mediante convenzione con un’impresa di assicurazione e – per i fondi a prestazione definita e per le prestazioni per invalidità e premorienza – dall’obbligo di stipulare apposita polizza con imprese di assicurazioni.

L’ultimo periodo del comma 1 stabilisce che i fondi preesistenti “interni” costituiti come patrimonio autonomo e separato all’interno del patrimonio complessivo dell’azienda, ed indipendentemente dalla natura giuridica del datore di lavoro, devono dotarsi di strutture gestionali amministrative e contabili separate.

 

Il regime di esclusione sopra descritto opera tuttavia in una fase transitoria, ovvero fino all’emanazione degli appositi provvedimenti da parte del Ministro dell’economia, di concerto con il Ministro del lavoro e sentita la COVIP, da adottarsi entro un anno dalla data di pubblicazione del provvedimento in esame nella Gazzetta Ufficiale[63] (comma 2), con i quali saranno indicati criteri, modalità e tempi per l’adeguamento dei fondi alle disposizioni dello provvedimento in esame.

 

Il testo in esame specifica, inoltre, allo stesso comma 2, che i fondi preesistenti saranno iscritti in una sezione speciale dell’albo tenuto dalla COVIP e che le operazioni necessarie ai fini dell’adeguamento alle nuove disposizioni sono esentate da qualsiasi onere fiscale.

 

Il comma 3 disciplina specificamente l’eventualità che le forme pensionistiche esistenti alla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (ossia al 15 novembre 1992) intendano adottare la forma di gestione delle proprie risorse prevista dall’articolo 6, comma 1, lettera d), sottoscrivendo o acquisendo azioni o quote di società immobiliari o di fondi d’investimento immobiliare chiusi.

La disposizione riproduce l’articolo 18, comma 5, secondo periodo, del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124.

In tale ipotesi, le operazioni di conferimento non concorrono in alcun caso a formare il reddito imponibile del soggetto conferente.

A norma dell’articolo 9, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, in caso di conferimento o apporto in società o altri enti, si considera corrispettivo conseguito il valore normale dei beni o dei crediti conferiti. Se le azioni o i titoli ricevuti sono negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri e il conferimento o l'apporto è proporzionale, il corrispettivo non può essere inferiore al valore normale determinato in base alla media aritmetica dei prezzi rilevati nell'ultimo mese; qualora non siano negoziati in mercati regolamentati, il valore normale è determinato in proporzione al valore effettivo del patrimonio netto della società o dell’ente, ovvero, per i soggetti di nuova costituzione, proporzionalmente all'ammontare complessivo dei conferimenti.

 

Gli atti di conferimento vengono assoggettati alle imposte di registro, ipotecarie e catastali nella misura fissa di euro 51,64 per ciascuna imposta (lire centomila nell’originaria formulazione dell’articolo 18, comma 5, del D.P.R. n. 124 del 1993).

 

Secondo quanto disposto dall'articolo 9 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2002, n. 410, gli atti relativi all'istituzione dei fondi immobiliari e alla sottoscrizione ovvero al rimborso delle relative quote[64] non sono soggetti a obbligo di registrazione (applicandosi l’articolo 7 della tabella allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131)[65]. Tuttavia, in caso di registrazione volontaria e per gli atti stipulati per atto pubblico o scrittura privata autenticata, a norma dell’articolo 7 del medesimo decreto, l'imposta di registro è applicata in misura fissa (stabilita in euro 168 dall’articolo 11 della parte prima della tariffa allegata allo stesso decreto).

Pertanto, gli atti aventi ad oggetto l'apporto di beni immobili, che devono essere necessariamente redatti per atto pubblico o scrittura privata, scontano l'imposta di registro in misura fissa. Inoltre, in mancanza di una specifica disposizione di deroga, gli stessi atti sono soggetti alle imposte ipotecarie e catastali nelle ordinarie misure proporzionali, rispettivamente, del 2 per cento e dell'1 per cento.

 

Agli effetti dell’imposta sull’incremento di valore degli immobili (INVIM), si applicano le disposizioni dell’articolo 3, secondo comma, secondo periodo, e 6, settimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 643, e successive modificazioni, riguardanti l’applicazione dell’imposta per gli immobili appartenenti a società incorporate o partecipanti ad una fusione.

 

L’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 643, disciplina l’applicazione dell’INVIM per decorso del periodo decennale. Il secondo periodo del secondo comma stabilisce che nei casi di fusione tra più società, per il computo del decennio, si tiene conto anche del periodo di tempo in cui gli immobili sono appartenuti alle società fuse o incorporate.

L’articolo 6, settimo comma, stabilisce, con riferimento alla medesima ipotesi, che per la determinazione dell'incremento di valore degli immobili già appartenenti a società fuse o incorporate, alienati dalla società risultante dalla fusione o incorporante o a questa appartenenti al compimento del decennio, il valore iniziale è quello degli immobili stessi alla data dell'acquisto da parte delle società fuse o incorporate ovvero quello assunto a base della precedente tassazione nei confronti di tali società.

 

Si segnala per altro che l'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili è stata soppressa dall’articolo 17, commi 6, 7 e 8, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, con effetto dal 1° gennaio 1993, continuando ad essere dovuta anche nel caso in cui il presupposto si verificasse dal 1° gennaio 1993 al 31 dicembre 2003, limitatamente all'incremento di valore maturato fino al 31 dicembre 1992. L'articolo 8 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, ha quindi anticipato il termine della cessazione al 1° gennaio 2002. Pertanto, la disposizione qui riprodotta sembra disciplinare una fattispecie non più attuale.

 

Il comma 4 del testo in esamespecifica che la COVIP esercita l’attività di vigilanza sui fondi pensione preesistenti secondo piani di attività differenziati temporalmente, anche con riferimento alle modalità di controllo e alle diverse categorie dei richiamati fondi. Al riguardo, la COVIP riferisce in tal senso al Ministro del lavoro e delle politiche sociali ed al Ministero dell’economia e delle finanze.

 

Le disposizioni dei commi 5 e 6, riproponendo norme già presenti nel D.Lgs. 124, stabiliscono che, a coloro che si sono iscritti ai fondi pensione dopo il 28 aprile 1993 (data di entrata in vigore del D.Lgs. 124 del 1993), si applicano le disposizioni recate dal provvedimento in esame, mentre tutti i lavoratori dipendenti sia pubblici sia privati – compresi i lavoratori assunti in base alle tipologie contrattuali previste dal D.Lgs. 276 del 2003 – non possono aderire a fondi pensione a prestazione definita.

Inoltre, i fondi di tipo integrativo possono erogare le prestazioni definite solo al momento in cui il lavoratore percepirà la pensione pubblica (ciò significa che hanno perso l'eventuale caratteristica di “fondi sostituitivi”, non potendo erogare pensioni in via anticipata).

 

Il comma 7 reca disposizioni derogatorie riguardanti le forme pensionistiche esistenti alla data di entrata in vigore della legge n. 421 del 1992, gestite in via prevalente secondo il sistema tecnico-finanziario della ripartizione e con squilibri finanziari, che siano già state destinatarie del decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali con il quale è stata accertata una situazione di squilibrio finanziario derivante dall'applicazione del decreto legislativo n. 124 del 1993.

 

La materia era in precedenza disciplinata nei commi 8-bis, 8-ter e 8-quater dell’articolo 18 del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, riguardanti le forme pensionistiche esistenti alla data di entrata in vigore della legge n. 421 del 1992, gestite in via prevalente secondo il sistema tecnico-finanziario della ripartizione e interessate da rilevanti squilibri finanziari derivanti dall'applicazione delle disposizioni previste dagli articoli 7, commi 3 e 5 (in materia di trattamenti di anzianità e di entità delle prestazioni), e 8, comma 2 (in materia di determinazione dei contributi),

Il comma 8-bis consentiva a tali forme pensionistiche, per un periodo di otto anni[66], l'iscrizione di nuovi soggetti in deroga alle citate disposizioni degli articoli 7 e 8. A tal fine, con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, sentita la COVIP, sono determinati i criteri di accertamento della predetta situazione di squilibrio, con riguardo, in particolare, alla variazione dell'aliquota contributiva necessaria al riequilibrio della gestione, senza aggravio degli oneri a carico degli enti del settore pubblico allargato.

Il comma 8-ter richiedeva a questo fine la presentazione di istanza al Ministero del lavoro e della previdenza sociale, con la documentazione idonea a dimostrare l'esistenza dello squilibrio finanziario e un piano che determini le condizioni necessarie ad assicurare l'equilibrio finanziario della gestione alla scadenza dei suddetti otto anni. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, previo parere della COVIP, accerta la sussistenza delle predette condizioni.

Il comma 8-quater disponeva, infine, che ai contributi versati ai fondi di previdenza complementare che abbiano presentato istanza per l'applicazione delle disposizioni sopra illustrate, anche per gli iscritti successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 124 del 1993, continui ad applicarsi il trattamento tributario previsto dalle norme vigenti alla stessa data[67].

Alla determinazione dei criteri di accertamento della situazione di squilibrio finanziario per le forme pensionistiche complementari gestite in via prevalente secondo il sistema tecnico-finanziario della ripartizione si è provveduto con il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 23 giugno 1994 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale 16 luglio 1994, n. 165).

Infine, l’articolo 9, comma 1-bis, del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 47, ha stabilito che, per i fondi pensione che abbiano presentato la suddetta istanza al Ministero del lavoro e della previdenza sociale, sull’imposta sostitutiva[68] dovuta continui ad applicarsi, fino al termine del predetto periodo transitorio, l'addizionale dell'1 per cento del patrimonio netto contabile risultante dall'ultimo bilancio approvato dal fondo, secondo quanto stabilito dall'articolo 15, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335.

 

Il presente comma stabilisce che le suddette forme pensionistiche per le quali siano state accertate situazioni di squilibrio possono deliberare di continuare, sotto la propria responsabilità, a derogare alle disposizioni riguardanti il finanziamento e la determinazione delle prestazioni, contenute rispettivamente negli articoli 8 e 11 dello schema di decreto.

 

Ai contributi versati a queste forme pensionistiche continua ad applicarsi, anche per gli iscritti successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, il trattamento tributario previsto dalle norme previgenti, in forza delle quali i contributi medesimi usufruiscono della totale deducibilità nella determinazione dell’imponibile agli effetti dell’imposta sui redditi.

 

Il comma 8 prevede che i fondi debbano trasmettere annualmente alla COVIP il bilancio tecnico e la documentazione relativa alla situazione finanziaria, nonché un piano volto a garantire il progressivo riequilibrio della gestione.

Si ricorda che il D.M. 23 giugno 1994 ha stabilito le condizioni di ammissibilità al regime di deroga per i fondi che presentano una situazione di squilibrio sulla base del bilancio tecnico-attuariale e della relativa relazione.

 

Con il comma 9, infine, si precisa che ai fini della validità delle assemblee dei fondi pensione valgono le disposizioni indicate nei rispettivi statuti, non applicandosi alle stesse le disposizioni civilistiche in materia.

Al riguardo si ricorda che l’art. 20 c.c. precisa che l'assemblea delle associazioni deve essere convocata dagli amministratori una volta l'anno per l'approvazione del bilancio, quando se ne ravvisa la necessità o quando ne è fatta richiesta motivata da almeno un decimo degli associati, mentre l’art. 21 c.c. stabilisce che le deliberazioni dell'assemblea sono prese a maggioranza di voti e con la presenza di almeno la metà degli associati; in seconda convocazione la deliberazione è valida qualunque sia il numero degli intervenuti. Per modificare l'atto costitutivo e lo statuto, qualora non sia disposto altrimenti, occorrono la presenza di almeno tre quarti degli associati e il voto favorevole della maggioranza dei presenti, mentre per deliberare lo scioglimento dell'associazione e la devoluzione del patrimonio occorre il voto favorevole di almeno tre quarti degli associati.

 

 

 


Art. 21
(Abrogazioni e modifiche)

 

 


1. La lettera d) del comma 1 dell'articolo 52 del TUIR è sostituita dalla seguente:

«d) per le prestazioni pensionistiche di cui alla lettera h-bis) del comma 1 dell'articolo 50, comunque erogate, si applicano le disposizioni dell'articolo 11 e quelle di cui all'articolo 23, comma 6, del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252».

2. La lettera e-bis) del comma 1 dell'articolo 10 del TUIR, è sostituita dalla seguente:

«e-bis) i contributi versati alle forme pensionistiche complementari di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, alle condizioni e nei limiti previsti dall'articolo 8 del medesimo decreto;».

3. Sono abrogate le seguenti disposizioni del TUIR e successive modificazioni:

a) l'ultimo periodo del comma 2 dell'articolo 10;

b) la lettera a-bis) del comma 1 dell'articolo 17;

c) l'articolo 20;

d) la lettera d-ter) del comma 1 dell'articolo 52.

4. Il comma 3 dell'articolo 105 del TUIR è sostituito dal seguente: «3. L'ammontare del TFR annualmente destinato a forme pensionistiche complementari è deducibile nella misura prevista dall'articolo 10, comma 1, del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252».

5. All'articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«1-quater. Sulla parte imponibile delle prestazioni pensionistiche complementari di cui all'articolo 50, comma 1, lettera h-bis) del TUIR è operata una ritenuta con l'aliquota stabilita dagli articoli 11 e 14 del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252».

6. Sono abrogati altresì l'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 47, e la lettera d-bis) del comma 2 dell'articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.

7. Sono abrogati i commi 5 e 6 dell'articolo 5 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80.

8. Fatto salvo quanto previsto all'articolo 23, comma 5, è abrogato il decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124.


 

 

L’articolo 21 abroga o modifica norme del testo unico sulle imposte sui redditi approvato con il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), e di altri atti legislativi, in conseguenza delle disposizioni contenute nel presente decreto legislativo.

 

In particolare, il comma 1 modifica l’articolo 52 del TUIR, concernente la determinazione dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, sostituendo la lettera d) del comma 1.

 

Il testo vigente della richiamata lettera d) del comma 1 dell’articolo 52 del TUIR prevede che per le prestazioni pensionistiche di cui alla lettera h-bis) del comma 1 dell'articolo 50, erogate in forma periodica, non si applicano le disposizioni del richiamato articolo 51. Le stesse si assumono al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta e di quelli di cui alla lettera g-quinquies) del comma 1, dell'articolo 44 (redditi derivanti dai rendimenti delle prestazioni pensionistiche erogate in forma periodica e delle rendite vitalizie aventi funzione previdenziale), se determinabili.

 

La novella recata dal presente comma 1 dispone che per le prestazioni pensionistiche di cui alla lettera h-bis) del comma 1 dell’articolo 50, comunque erogate, si applicano le disposizioni dell’articolo 11 e quelle indicate all’articolo 23, comma 6, del presente decreto legislativo.

Correlativamente, il comma 3, lettera d), abroga la lettera d-ter) dello stesso comma 1 dell’articolo 52, riguardante le prestazioni erogate in forma di capitale.

 

Il comma 2 sostituisce la lettera e-bis) del comma 1 dell’articolo 10 del TUIR prevedendo la deducibilità dei contributi versati alle forme pensionistiche complementari disciplinate dal presente decreto legislativo, alle condizioni e nei limiti previsti dall’articolo 8 del medesimo.

 

La lettera e-bis), nel testo vigente, prevede la deducibilità dei contributi versati alle forme pensionistiche complementari e dei contributi e premi versati alle forme pensionistiche individuali, previste dal decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, per un importo complessivamente non superiore al 12 per cento del reddito complessivo e comunque non eccedente 10 milioni di lire (pari a euro 5164,57). Se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi di lavoro dipendente, relativamente a tali redditi la deduzione compete per un importo complessivamente non superiore al doppio della quota di TFR destinata alle forme pensionistiche collettive istituite ai sensi del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, e, comunque, entro i predetti limiti del 12 per cento del reddito complessivo e di 10 milioni di lire. Tali previsioni non si applicano nel caso in cui la fonte istitutiva sia costituita unicamente da accordi tra lavoratori, nonché ai soggetti iscritti entro il 28 aprile 1993 alle forme pensionistiche complementari che risultano istituite alla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421, e se le forme pensionistiche collettive istituite non siano operanti dopo due anni. Ai fini del computo del predetto limite di lire 10 milioni di lire si tiene conto: delle quote accantonate dal datore di lavoro ai fondi di previdenza di cui all'articolo 105, comma 1; dei contributi versati ai sensi dell'articolo 2 della legge 8 agosto 1995, n. 335, eccedenti il massimale contributivo stabilito dal decreto legislativo 14 dicembre 1995, n. 579. Per le persone che sono fiscalmente a carico di altri soggetti non si tiene conto del predetto limite percentuale, nonché, nei riguardi del soggetto di cui sono a carico, della condizione di destinazione delle quote di TFR alle forme pensionistiche complementari.

 

Il comma 3 dispone l’abrogazione delle seguenti disposizioni del TUIR:

 

§      l’ultimo periodo del comma 2 dell’articolo 10, relativo alla quota degli oneri deducibili relativi ai contributi versati alle forme pensionistiche complementari e ai contributi e premi versati alle forme pensionistiche nell’interesse di prossimi congiunti, in quanto ora disciplinato dall’articolo 8, comma 5, del presente decreto legislativo;

§      la lettera a-bis) del comma 1 dell’articolo 17, relativo alla tassazione separata di talune prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di capitale, in quanto la disciplina è ora determinata dall’articolo 11, comma 6, del presente decreto legislativo;

§      l’articolo 20, relativo alla misura dell’assoggettamento ad imposta delle prestazioni pensionistiche indicate dall’abrogata lettera a-bis) del comma 1 dell’articolo 17, in quanto la disciplina è ora determinata dall’articolo 11, comma 6, del presente decreto legislativo;

§      la lettera d-ter) del comma 1 dell’articolo 52, concernente l’esclusione delle prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma capitale a seguito di riscatto della posizione individuale dalla determinazione dei redditi assimilati a quello di lavoro dipendente, in quanto la materia è ora disciplinata dall’articolo 14, commi 4 e 5, del presente decreto legislativo.

 

Il comma 4 sostituisce il comma 3 dell’articolo 105 del TUIR, stabilendo che l’ammontare del trattamento di fine rapporto (TFR) annualmente destinato a forme pensionistiche complementari è deducibile nella misura prevista dal precedente articolo 10, comma 1, del presente decreto legislativo.

 

La normativa vigente ammette la deduzione per un importo non superiore al 3 per cento delle quote di accantonamento annuale del TFR destinate a forme pensionistiche complementari.

 

Il comma 5 novella l’articolo 24 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, relativo alla ritenuta alla fonte sui redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, introducendo un nuovo comma 1-quater, con cui si stabilisce che sulla parte imponibile delle prestazioni pensionistiche complementari di cui all’articolo 50, comma 1, lettera h-bis), del TUIR è operata una ritenuta con l’aliquota stabilita [recte: le aliquote stabilite] dagli articoli 11, comma 6, e 14[69] del presente decreto legislativo.

 

Il comma 6 dispone l’abrogazione:

-          dell’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 47, relativo alla comunicazione che l’iscritto deve inviare al fondo pensione circa l'ammontare dei contributi o dei premi versati alle forme pensionistiche complementari che non sia stato portato, anche parzialmente, in deduzione. La relativa disciplina è ora contenuta nell’articolo 8, comma 4, ultimo periodo, del presente decreto legislativo;

-          della lettera d-bis) del comma 2 dell’articolo 23 del D.P.R. n. 600 del 1973, relativamente alla ritenuta alla fonte da operarsi sulle prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di capitale soggette a tassazione separata a norma dell’articolo 20 del TUIR. La disciplina è ora contenuta nell’articolo 11, comma 6, del presente decreto legislativo.

 

Il comma 7 abroga i commi 5 e 6 dell’articolo 5 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80, recante attuazione della direttiva 80/987/CEE in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro.

 

L’articolo 5 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80, reca disposizioni in materia di previdenza complementare.

In particolare il comma 1 stabilisce che fino alla data di entrata in vigore di norme in materia di previdenza complementare, contro il rischio derivante dall'omesso o insufficiente versamento da parte dei datori di lavoro sottoposti a una delle procedure di cui all'articolo 1 dei contributi dovuti per forme di previdenza complementare di cui all'articolo 9-bis del decreto-legge n. 103 del 1991, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 166 del 1991, per prestazioni di vecchiaia, comprese quelle per i superstiti, sia istituito un apposito Fondo di garanzia presso l'Istituto nazionale della previdenza sociale.

Il richiamato comma 5 dispone che, con uno o più decreti del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, da emanarsi ai sensi dell'art. 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988, sentito il consiglio di amministrazione dell'INPS, vengano determinate:

a)       le modalità di funzionamento e di gestione del Fondo di garanzia previsto dal comma 1 del medesimo articolo 5;

b)       la parte del contributo di solidarietà di cui al comma 2 dell'art. 9-bis del decreto-legge n. 103 del 1991, convertito, con modificazioni dalla legge n. 166 del 1991, che deve essere destinata al finanziamento del Fondo stesso.

Il comma 6 prescrive che, a partire dal 1° gennaio 1993, se necessario, si proceda all'elevazione della misura del contributo medesimo, in relazione alle esigenze di gestione del Fondo di garanzia di cui al comma 1 dell’articolo 5.

 

Infine, il comma 8 abroga il decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, recante la disciplina delle forme pensionistiche complementari.

L’articolo 21, comma 8, nell’abrogare il decreto legislativo n. 124 del 1993, fa salve le previsioni di cui all’articolo 23, comma 5, del presente decreto legislativo. Il richiamo del comma 5 sembra privo di senso: esso sembra doversi intendere riferito al comma 6 (corrispondente al comma 5 dello schema presentato per il parere parlamentare), secondo il quale per i dipendenti della pubblica amministrazione, fino a che non sia emanato un apposito decreto legislativo, continuerà ad applicarsi la normativa previgente, e quindi anche il decreto legislativo n. 124 del 1993.

 

 

 


Art. 22
(Disposizioni finanziarie)

 

 


1. Al fine di realizzare gli obiettivi di cui al presente decreto legislativo, volti al rafforzamento della vigilanza sulle forme pensionistiche complementari e alla realizzazione di campagne informative intese a promuovere adesioni consapevoli alle medesime forme pensionistiche complementari è autorizzata, per l'anno 2005, la spesa di 17 milioni di euro.

2. All'onere derivante dall'attuazione del presente decreto legislativo, per gli anni a decorrere al 2005, si provvede mediante utilizzazione dello stanziamento previsto all'articolo 13, comma 1, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.


 

 

Il comma 1 dell’articolo 22 autorizza la spesa di 17 milioni di euro per il 2005 per il rafforzamento della vigilanza sulle forme pensionistiche complementari e per la realizzazione di campagne di informazione volte a promuovere l’adesione consapevole alle medesime forme pensionistiche.

Tale disposizione, ai sensi del successivo articolo 23, comma 1, è entrata in vigore dal 14 dicembre 2005.

 

Il successivo comma 2 dispone in ordine alla copertura degli oneri derivanti dal provvedimento in esame, prevedendo l’utilizzo dello stanziamento di cui all’articolo 13, comma 1, del D.L. 4 marzo 2005, n. 35, convertito, dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, recante disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale (cd. decreto per la competitività).

 

Si ricorda, in proposito, che l’articolo 1, comma 42, della L. 23 agosto 2004, n. 243, ha stabilito che i decreti legislativi previsti dalla medesima legge, dalla cui attuazione derivino nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, siano emanati solo successivamente all'entrata in vigore di provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie[70].

In attuazione di tale comma 42, il citato articolo 13, comma 1, del citato D.L. 35 del 2005 ha autorizzato la spesa di 20 milioni di euro per l'anno 2005, 200 milioni di euro per l'anno 2006 e 530 milioni di euro a decorrere dall'anno 2007.

 

Più specificamente, la copertura finanziaria di tale stanziamento, l’art. 13, comma 1:

§       ha ridotto, nella misura di 20 milioni di euro per il 2005, 200 milioni per il 2006 e 506 milioni annui a decorrere dal 2007, l'accantonamento relativo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali del Fondo speciale di parte corrente;

§       ha previsto l'utilizzo di una parte, pari a 14 milioni di euro annui a decorrere dal 2007, delle maggiori entrate derivanti dall'attuazione dell'articolo 7, comma 3, del D.L. 35 del 2005, in materia di apparecchi e congegni da intrattenimento;

§       ha ridotto, nella misura di 10 milioni di euro annui a decorrere dal 2007, il "Fondo di riserva per l'integrazione delle autorizzazioni di spesa delle leggi permanenti di natura corrente".

 

Successivamente, l’articolo 1, comma 270, della legge finanziaria per il 2006 (L. 23 dicembre 2005, n. 266), ha disposto, in considerazione dello slittamento al 1° gennaio 2008 della riforma, la rideterminazione dello stanziamento di cui al citato articolo 13, comma 1, del D.L. 35 del 2005.

In particolare, l’autorizzazione di spesa è rideterminata:

§      per il 2006, in 3 milioni di euro;

§      per il 2007, in 3 milioni di euro;

§      a decorrere dal 2008, in 530 milioni di euro.

 

Il successivo comma 271 ha stabilito, inoltre, che i risparmi derivanti dall’attuazione del comma 270 (oltre che del comma 269[71]), per gli anni 2006 e 2007, concorrono al miglioramento dei saldi di finanza pubblica.

 

Si ricorda, al riguardo, che entrambi gli stanziamenti di 3 milioni di euro riferiti al biennio 2006-2007 concernono le disposizioni di cui all’articolo 16, comma 2, lettera b), in materia di finanziamento della COVIP attraverso destinazione di quota parte del contributo di solidarietà (vedi supra).

 

Si consideri che l’articolo 23 prevede che la disposizione di cui all’articolo 22, comma 2, entra in vigore dal 1° gennaio 2008. Dal punto di vista tecnico-contabile, trattandosi di una disposizione che copre oneri con decorrenza dal 2005, sarebbe invece stato necessario includere tale comma tra le disposizioni che entrano in vigore dal giorno successivo alla pubblicazione (cioè, come più volte detto, dal 14 dicembre 2005).

 

Si pone in evidenza, per quanto riguarda la norma di copertura finanziaria di cui all’articolo 22, comma 2 del provvedimento in esame, che l’art. 11-ter, comma 1, della legge n. 468/78, prevede che «in attuazione dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ciascuna legge che comporti nuove o maggiori spese indica espressamente, per ciascun anno e per ogni intervento da essa previsto, la spesa autorizzata, che si intende come limite massimo di spesa, ovvero le relative previsioni di spesa, definendo una specifica clausola di salvaguardia per la compensazione degli effetti che eccedano le previsioni medesime.»

La disposizione in esame invece non provvede alla quantificazione degli oneri derivanti dalle singole disposizioni del provvedimento. Tenendo conto della relazione tecnica allegata allo schema di decreto, considerando il differimento dell’entrata in vigore del decreto al 1° gennaio 2008, tali oneri potrebbero essere stimati in complessivi 20 milioni di euro per il 2005, 3 milioni di euro per il 2006 e il 2007 e 530 milioni di euro a decorrere dal 2008. Ne conseguirebbe dunque l’integrale utilizzazione delle risorse stanziate dall’art. 13, comma 1, del decreto-legge n. 35/2005, così come rideterminate dall’articolo 1, comma 270, della legge finanziaria per il 2006 (L. 23 dicembre 2005, n. 266).

 

Si osserva infine che, come si desume anche dalla relazione tecnica, per gli anni successivi al 2007[72] il provvedimento comporta oneri che non sono configurati come limite massimo di spesa; tuttavia non viene predisposta una specifica clausola di salvaguardia per tali oneri.

 

 

 

 


Art. 23
(Entrata in vigore e norme transitorie)

 

 


1. Il presente decreto legislativo entra in vigore il 1° gennaio 2008, salvo per quanto attiene alle disposizioni di cui agli articoli 16, comma 2, lettera b), 18, 19 e 22, comma 1, che entrano in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione del presente decreto legislativo nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. I contratti di assicurazione di carattere previdenziale stipulati fino alla data del 31 dicembre 2007 continuano ad essere disciplinati dalle disposizioni vigenti alla data di pubblicazione del presente decreto legislativo.

2. Le norme di cui all'articolo 8, comma 7, relative alle modalità tacite di conferimento del TFR alle forme pensionistiche complementari, non si applicano ai lavoratori le cui aziende non sono in possesso dei requisiti di accesso al Fondo di garanzia di cui all'articolo 10, comma 3, limitatamente al periodo in cui sussista tale situazione e comunque non oltre un anno dall'entrata in vigore del presente decreto legislativo; i lavoratori delle medesime aziende possono tuttavia conferire il TFR secondo le modalità esplicate di cui all'articolo 8, comma 7, e in questo caso l'azienda beneficia delle agevolazioni previste al predetto articolo 10, con esclusione dell'accesso al predetto Fondo di garanzia.

3. Entro sei mesi dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana dal presente decreto legislativo, la COVIP emana le direttive, a tutte le forme pensionistiche, sulla base dei contenuti del presente decreto legislativo. Entro il 31 dicembre 2007:

a) tutte le forme pensionistiche devono adeguarsi, sulla base delle citate direttive, alle norme del presente decreto legislativo;

b) le imprese di assicurazione, per le forme pensionistiche individuali attuate prima della predetta data mediante contratti di assicurazione sulla vita, provvedono:

1) alla costituzione del patrimonio autonomo e separato di cui all'articolo 13, comma 3, con l'individuazione degli attivi posti a copertura dei relativi impegni secondo criteri di proporzionalità dei valori e delle tipologie degli attivi stessi;

2) alla predisposizione del regolamento di cui all'articolo 13, comma 3.

4. A decorrere dal 1° gennaio 2008, solo le forme pensionistiche complementari che hanno provveduto agli adeguamenti richiesti e hanno ricevuto la relativa autorizzazione o approvazione anche tramite procedura di silenzio-assenso, da parte della COVIP, possono ricevere nuove adesioni anche con riferimento al finanziamento tramite conferimento del TFR.

5. Per i soggetti che risultino iscritti a forme pensionistiche complementari alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo le disposizioni concernenti la deducibilità dei premi e contributi versati e il regime di tassazione delle prestazioni erogate si rendono applicabili a decorrere dal 1° gennaio 2008. Per i medesimi soggetti, relativamente alle prestazioni maturate fino a tale data, continuano ad applicarsi le disposizioni previgenti ad eccezione dell'articolo 20, comma 1, secondo periodo, del TUIR. Per le prestazioni erogate anteriormente alla suddetta data per le quali gli uffici finanziari non hanno provveduto a tale data, all'iscrizione a ruolo per le maggiori imposte dovute ai sensi dell'articolo 20, comma 1, secondo periodo, del predetto testo unico, non si dà luogo all'attività di riliquidazione prevista dal medesimo secondo periodo del comma 1 dell'articolo 20 del medesimo testo unico.

6. Fino all'emanazione del decreto legislativo di attuazione dell'articolo 1, comma 2, lettera p), della legge 23 agosto 2004, n. 243, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, si applica esclusivamente ed integralmente la previgente normativa.

7. Per i lavoratori assunti antecedentemente al 29 aprile 1993 e che entro tale data risultino iscritti a forme pensionistiche complementari istituite alla data di entrata in vigore dalla legge 23 ottobre 1992, n. 421:

a) alle contribuzioni versate dalla data di entrata in vigore del presente decreto si applicano le disposizioni di cui ai commi 4 e 5 dell'articolo 8;

b) alle prestazioni pensionistiche maturate entro il 31 dicembre 2007 si applica il regime tributario vigente alla predetta data;

c) alle prestazioni pensionistiche maturate a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, ferma restando la possibilità di richiedere la liquidazione della intera prestazione pensionistica complementare in capitale secondo il valore attuale con applicazione del regime tributario vigente alla data del 31 dicembre 2007 sul montante accumulato a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto, è concessa la facoltà al singolo iscritto di optare per l'applicazione del regime di cui all'articolo 11.

8. Ai lavoratori assunti prima della data di entrata in vigore del presente decreto legislativo si applicano, per quanto riguarda la modalità di conferimento del TFR, le disposizioni di cui all'articolo 8, comma 7, e il termine di sei mesi ivi previsto decorre dal 1° gennaio 2008.


 

 

L’articolo 23 stabilisce al 1° gennaio 2008 (comma 1) la data di entrata in vigore del decreto legislativo in esame[73], eccetto che per alcune disposizioni, che entrano invece in vigore il giorno successivo alla pubblicazione (cioè il 14 dicembre 2005):

 

§      destinazione del contributo di solidarietà al finanziamento della COVIP (articolo 16, comma 2, lettera b));

§      disposizioni in materia di vigilanza della COVIP e compiti della medesima (articoli 18 e 19);

§      stanziamento per il rafforzamento della vigilanza sulle forme pensionistiche complementari (articolo 22, comma 1), con una spesa pari a 17 milioni di euro per il 2005.

 

Per quanto riguarda la data di entrata in vigore della disposizione dell’articolo 22, comma 2, relativa alla copertura finanziaria del decreto legislativo, si rinvia alle osservazioni contenute nella relativa scheda di lettura.

 

Si prevede inoltre, per i contratti di assicurazione di carattere previdenziale stipulati fino alla data del 31 dicembre 2007, l’applicazione della disciplina vigente alla data di pubblicazione del presente provvedimento (comma 1)

 

Il comma 2 introduce una disciplina transitoria per le aziende che non sono in possesso dei requisiti per accedere al Fondo di garanzia per il credito di cui all’articolo 10, comma 3. In particolare si prevede che, limitatamente al periodo in cui sussista tale situazione e comunque non oltre un anno dall’entrata in vigore del decreto (quindi non oltre il 31 dicembre 2008), ai lavoratori di tali aziende non si applica la norma relativa al conferimento tacito del T.F.R. (meccanismo del silenzio-assenso) di cui all’articolo 8, comma 7. Resta fermo che i lavoratori in questione possono conferire in maniera esplicita, con dichiarazione di volontà, il T.F.R.; in tal caso l’azienda beneficia delle agevolazioni previste dal citato articolo 10, naturalmente con esclusione dell’accesso al Fondo di garanzia.

 

Il successivo comma 3 dispone che la COVIP emani, entro sei mesi dalla pubblicazione del decreto in esame, le direttive rivolte a tutte le forme pensionistiche, per dare attuazione alle disposizioni dello stesso decreto.

In seguito, entro il 31 dicembre 2007 tutte le forme pensionistiche sono tenute ad adeguarsi, sulla base delle direttive COVIP, alle norme del decreto in esame.

In particolare, le imprese di assicurazione, per le forme pensionistiche individuali “attuate prima della predetta data” (cioè prima del 31 dicembre 2007), sono tenute alla costituzione del patrimonio autonomo e separato e alla predisposizione del regolamento da allegare ai contratti di assicurazione, ai sensi dell’articolo 13, comma 3 (cfr. supra).

 

Con il comma 4 si prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 2008, possano ricevere nuove adesioni, anche tramite conferimento del T.F.R., solamente le forme pensionistiche che hanno provveduto agli adeguamenti necessari e conseguentemente hanno ricevuto la relativa autorizzazione dalla COVIP.

 

Il comma 5 prevede che, a decorrere dalla loro entrata in vigore (1° gennaio 2008), le disposizioni del presente decreto legislativo, relative alla deducibilità dei premi e dei contributi versati e al regime di tassazione delle prestazioni erogate, si applicheranno anche ai soggetti che a tale data risultano già iscritti a forme pensionistiche complementari.

 

Le prestazioni maturate[74], in favore dei menzionati soggetti, sino al 31 dicembre 2007 sono assoggettate alla disciplina previgente, ad eccezione dell’articolo 20, comma 1, secondo periodo, del testo unico delle imposte sui redditi approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR).

 

Il citato articolo 20 del TUIR disciplina il trattamento fiscale delle prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di capitale. Tali prestazioni, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera a-bis), del TUIR, sono soggette a tassazione separata, ad esclusione di quelle derivanti da riscatto della posizione individuale per motivo diverso dal pensionamento o dalla cessazione del rapporto di lavoro per mobilità o per altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti, con applicazione, in analogia con quanto previsto per la tassazione dell’indennità di fine rapporto, dell’aliquota determinata con riferimento all’anno nel quale è maturato il diritto alla percezione.

Il secondo periodo del comma 1 del citato articolo 20 demanda agli uffici finanziari la riliquidazione dell’imposta in base all'aliquota media di tassazione dei cinque anni precedenti a quello in cui è maturato il diritto alla percezione, con rimborso o iscrizione a ruolo, rispettivamente, delle minori o maggiori imposte dovute. La riliquidazione deve essere effettuata entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione da parte del sostituto di imposta.

 

La previsione dell’inapplicabilità del secondo periodo dell’articolo 20, comma 1, del TUIR comporta che diviene definitiva la tassazione separata delle prestazioni pensionistiche complementari, erogate in forma di capitale, effettuata secondo l’aliquota determinata con riferimento all’anno nel quale è maturato il diritto alla percezione della suddetta prestazione.

Il trattamento testé illustrato si applica anche alle prestazioni erogate entro il 31 dicembre 2007 e per le quali, entro la stessa data, l’amministrazione finanziaria non ha provveduto all’iscrizione a ruolo delle maggiori imposte dovute. A decorrere dal 1° gennaio 2008 non dovrà più essere effettuata la riliquidazione dell’imposta.

 

La norma vigente (articolo 20 del TUIR) contempla anche l’eventualità di rimborso dell’imposta versata in eccedenza e non dovuta. Poiché dal 2008 l’amministrazione finanziaria non dovrà proseguire l’attività di riliquidazione relativamente alle prestazioni erogate fino al 2007, non sarà possibile l’individuazione dei casi in cui si verifichi questa seconda ipotesi.

 

Si ricorda che il comma 3 dell’articolo 21 del presente decreto legislativo dispone che siano abrogati la lettera a-bis) del comma 1 dell’articolo 17 e l’articolo 20 del TUIR. Il nuovo sistema di tassazione delle prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di capitale è disciplinato dall’articolo 11, comma 6, del presente decreto.

 

Il comma 6 prevede che, per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni,  continui ad applicarsi esclusivamente la normativa previgente, fino all’attuazione della specifica delega di cui all’articolo 1, comma 2, lettera p), della L. 243 del 2004[75].

 

I commi 7 e 8 recano disposizioni transitorie per le seguenti categorie di lavoratori:

 

1)    lavoratori assunti prima del 29 aprile 1993 (data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 124 del 1993) e iscritti entro tale data a forme pensionistiche complementari istituite alla data del 15 novembre 1992 (data di entrata in vigore della legge di delega n. 421 del 1992):

-       ai contributi versati dopo la data di entrata in vigore del presente decreto legislativo si applicano le disposizioni di carattere tributario stabilite dall’articolo 8, commi 4 e 5 (cfr. supra);

-       per le prestazioni previdenziali maturate fino al 31 dicembre 2007 si applica il regime tributario vigente a tale data;

-       per le prestazioni previdenziali maturate dopo l’entrata in vigore del presente decreto legislativo, il soggetto interessato può chiedere l’applicazione del regime previsto dall’articolo 11 del medesimo (cfr. supra). Resta ferma la possibilità di richiedere la liquidazione della prestazione pensionistica in capitale con applicazione del regime tributario vigente al 31 dicembre 2007 “sul montante accumulato a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto”.

 

2)    lavoratori assunti prima dell’entrata in vigore del provvedimento in esame: entro la data del 30 giugno 2008potranno indicare le modalità di conferimento del TFR alla previdenza complementare, secondo le modalità indicate all’articolo 8, comma 7 (cfr. supra).

 




[1]    “Disciplina delle forme pensionistiche complementari, a norma dell'articolo 3, comma 1, lettera v), della legge 23 ottobre 1992, n. 421”

[2]    La Commissione VI (Finanze) della Camera dei deputati, nella seduta del 18 gennaio 2006, ha approvato la risoluzione Benvenuto ed altri n. 7-00725, con la quale – in considerazione del differimento dell’efficacia della nuova disciplina al 1° gennaio 2008, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 – ha impegnato il Governo “ad adottare le opportune iniziative normative perché sia prorogata la richiamata disposizione dell'articolo 11, comma 5, del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 47, che consente ai pensionati una detrazione di imposta annua di 61,97 euro (ovvero mensile di 5,16 euro), fino al momento della effettiva entrata in vigore della riforma del TFR, evitando comunque ogni ulteriore peggioramento del regime tributario applicabile ai trattamenti di fine rapporto”.

[3]    Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all'occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria.

[4]     Il comma 45 citato stabilisce che, entro i trenta giorni successivi all’espressione dei pareri il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni ivi eventualmente formulate relativamente all’osservanza dei principi e criteri direttivi recati dalla stessa legge, nonché con riferimento all’esigenza di garantire il rispetto dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi corredati dai necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni competenti, che sono espressi entro trenta giorni dalla data di trasmissione.

[5]     La lettera di trasmissione riporta in allegato il verbale del Consiglio dei ministri del 5 ottobre 2005.

[6]    L’articolo 1, comma 46 della legge delega dispone che, qualora il termine per l’espressione del parere scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine per l’esercizio della delega, o successivamente, quest’ultimo è prorogato di sessanta giorni.

[7]    Per un esame più approfondito dei singoli articoli del decreto legislativo, si rinvia alle relative schede di lettura.

[8]     L’articolo 22 prevede che la direttiva deve essere attuata entro il 23 settembre  2005.

[9]     Rispettivamente, articolo 6, paragrafo 1, lettere e) ed f).

[10]    Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera h).

[11]   Cioè entro il 12 novembre 2006.

[12]   Naturalmente, a seguito della pubblicazione del decreto legislativo n. 252 del 2005 e all’entrata in vigore di alcuni articoli di tale decreto, sarà necessario adeguare la formulazione dell’articolo 18 del disegno di legge comunitaria 2005 (nella parte in cui richiama esclusivamente il decreto legislativo n. 124 del 1993), in modo da far riferimento anche al decreto legislativo n. 252. Si ricorda, infatti, che gli articoli 18 e 19 del decreto legislativo n. 252 in esame – che riguardano proprio la vigilanza sulle forme pensionistiche complementari e i compiti della COVIP, materie su cui incide la direttiva  2003/41/CE -, ai sensi dell’articolo 23, comma 1, sono già entrati in vigore dal 14 dicembre 2005.

 

[13]    Si ricorda, in proposito, che l’attribuzione della competenza legislativa concorrente alle regioni in materia di previdenza complementare e integrativa ha rappresentato una novità assoluta, non riconducibile né ad una evoluzione interpretativa del vecchio testo dell’articolo 117 in oggetto né il risultato di specifici indirizzi normativi o giurisprudenziali, come ad esempio è successo nel trasferimento delle funzioni amministrative dallo Stato alle regioni in alcuni settori per effetto delle disposizioni della L. 59 del 1997 e del D.Lgs. 112 del 1998.

[14]   Entro tre mesi dalla pubblicazione del testo un quinto dei membri di una Camera, o cinquecentomila elettori, o cinque consigli regionali possono domandare che si proceda a referendum popolare.

[15]    Friuli-Venezia Giulia, legge regionale 15 febbraio 2000 n. 1, articoli 31-35; Lazio, legge regionale 27 febbraio 2004 n. 2, articolo 10; Trentino-Alto Adige, legge regionale 27 febbraio 1997 n. 3; Valle d’Aosta, legge regionale 26 giugno 1997 n. 22.

[16]    Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private e di approvazione delle modifiche dell'atto costitutivo e dello statuto.

[17]    Negli stessi termini è formulato l’articolo 1, comma 2, lettera h), numero 2), della legge di delega 23 agosto 2004, n. 243, che prevede sia attribuito alla Commissione di vigilanza sui fondi pensione il compito di impartire disposizioni volte a garantire la trasparenza delle condizioni contrattuali fra tutte le forme pensionistiche collettive e individuali e di disciplinare e di vigilare sulle modalità di offerta al pubblico di tutti i predetti strumenti previdenziali, compatibilmente con le disposizioni per la sollecitazione del pubblico risparmio, al fine di tutelare l'adesione consapevole dei soggetti destinatari.

[18]   Il testo originario della disposizione prevedeva anche che fosse perfezionata “l’unitarietà” del sistema di vigilanza: il comma 4 dell’articolo 25 della legge 28 dicembre 2005, n. 262, ha tuttavia soppresso le parole: “l’unitarietà e”.

[19]    L’ipotesi del fallimento non può verificarsi per i fondi pensione, cui, a norma dell’articolo 15, comma 5, si applicano esclusivamente gli istituti dell’amministrazione straordinaria e della liquidazione coatta amministrativa.

[20]    L’articolo 2393-bis del codice civile disciplina l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità da parte dei soci. Il contenuto degli altri articoli è illustrato sopra, in relazione al precedente comma 6.

[21]   L’articolo 621 del codice di procedura civile determina i limiti della prova testimoniale nel procedimento di opposizione di terzi all’esecuzione. In particolare, dispone che il terzo opponente non può provare con testimoni il suo diritto sui beni mobili pignorati nella casa o nell'azienda del debitore, tranne che l'esistenza del diritto stesso sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore. La nuova disposizione conferma l’interpretazione giurisprudenziale formatasi nel vigore della precedente disciplina (Cass., sez. I civ., sent. 19 marzo 2003, n. 4043; sez. I civ., sent. 9 luglio 2004, n. 12684).

[22]    L’articolo 12 della L. 153 del 1969, così come sostituito dall’articolo 6 del D.Lgs. 314 del 1997, ha disposto che costituiscono redditi di lavoro dipendente ai fini contributivi quelli di cui all'articolo 49, comma 1, del TUIR,maturati nel periodo di riferimento. Inoltre, per il calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale si applicano le disposizioni contenute nell'articolo 51 del richiamato TUIR, salvo specifiche eccezioni. Le somme ed i valori di cui al comma 1 dell'articolo 51 del TUIR si intendono al lordo di qualsiasi contributo e trattenuta, ivi comprese quelle trattenute al dipendente come oneri deducibili.

[23]    Prima della riforma del sistema pensionistico attuata dalla legge n. 335 del 1995, l'indennità di fine servizio riconosciuta ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni aveva natura previdenziale (con eccezione dei dipendenti del parastato, per i quali operava un sistema simile a quello privatistico), consistendo in una prestazione - determinata su parametri costituiti dalla base contributiva e dal periodo di servizio computabile - a cui concorrevano, in misura diversa, i dipendenti, con contributi trattenuti mensilmente dallo stipendio, e le singole amministrazioni di appartenenza.

      In particolare, la base contributiva era costituita dall'80% dello stipendio annuo lordo (compresa la tredicesima mensilità nonché - nella misura del 60% per i dipendenti statali - l'indennità di contingenza). L'aliquota contributiva non risultava identica nelle varie gestioni; in quella relativa ai dipendenti dello Stato, la misura era pari al 9,60%, ripartita tra lavoratore (2,50%) e datore di lavoro (7,10%); quote differenti vigevano nella gestione per i dipendenti degli enti locali, ove il contributo era del 6,10%, di cui 3,60 a carico dell'ente ed il 2,50 a carico del dipendente. L'importo dell'indennità si determinava moltiplicando per il numero degli anni di servizio computabili il dodicesimo (il quindicesimo nella gestione relativa ai dipendenti degli enti locali) della base contributiva dell'ultimo stipendio (proiettato su scala annua).

      L'articolo 2, comma 5, della L. 335 del 1995, ha disposto, per i soggetti assunti dal 1° gennaio 1996 alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, l'applicazione della normativa sul trattamento di fine rapporto relativo ai lavoratori privati. Il comma 6 del medesimo articolo 2 ha inoltre demandato alla contrattazione collettiva nazionale dei comparti pubblici la definizione - entro il 30 novembre 1995 - delle norme attuative, ai fini delle conseguenti modificazioni della struttura contributiva e retributiva del personale.

      Il successivo comma 7 ha altresì previsto che i contratti collettivi nazionali (sempre dei comparti pubblici) definiscano le modalità di applicazione della nuova disciplina ai lavoratori pubblici già in servizio alla data del 31 dicembre 1995. Le misure previste dai citati commi 6 e 7 sono state recepite con il D.P.C.M. 20 dicembre 1999 (Gazz. Uff. 15 maggio 2000, n. 111). recante disposizioni in materia di trattamento di fine rapporto e istituzione dei fondi pensione dei pubblici dipendenti.

      In sostanza, dall'omologazione tra settore pubblico e privato è derivata, per i dipendenti pubblici, un calcolo non più basato sull'ultima retribuzione, ma sull'entità degli accantonamenti annuali.

      Successivamente, l’articolo 74 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (finanziaria 2001), ha dettato disposizioni volte a garantire l’erogazione degli importi finanziari necessari per avviare le forme di previdenza complementare per i pubblici dipendenti, agendo sia sul versante dei contributi dovuti dalle amministrazioni pubbliche, quali datori di lavoro, sia su quello dei contributi dovuti dai dipendenti che abbiano esercitato l'opzione per l'applicazione del regime privatistico in materia di TFR.

[24]    In particolare, le disposizioni di cui all’articolo 71, che avevano lo scopo di accelerare lo sviluppo dei fondi pensione, prevedevano la trasformazione del debito per TFR in titoli emessi dal debitore, di gradimento del creditore, da assegnare al fondo pensione costituito dagli stessi soggetti, in base ad uno specifico e preventivo accordo in tal senso. In tal modo è stata prospettata una sorta di “cartolarizzazione” del TFR che, oltre ad assicurare evidenti vantaggi per l’impresa direttamente interessata e a favorire la crescita dei fondi pensione, poteva contribuire allo sviluppo dei mercati finanziari mediante l’offerta di nuovi strumenti. Con tale operazione - eseguibile previo l’accordo fra le fonti istitutive del Fondo pensione -, la minore liquidità per l’impresa, derivante dal mancato accantonamento del TFR, veniva recuperata tramite l’emissione di strumenti finanziari da parte della stessa.

      Il citato D.Lgs. 299 del 1999 prevede dunque (articolo 2) che le fonti istitutive dei fondi pensione possano attribuire, in alternativa all’accantonamento dell’importo, ai Fondi stessi determinati strumenti finanziari aventi valore corrispondente. Tale facoltà è tuttavia limitata al 1999 e ai tre anni solari successivi. La trasformazione del TFR in strumenti finanziari deve comunque essere esplicitamente accettata dal lavoratore. A tal fine le fonti istitutive devono determinare le modalità di manifestazione del consenso del lavoratore, ferma restando la necessità della forma scritta e specifica.

      L’attribuzione ai Fondi pensione di strumenti finanziari, secondo le modalità richiamate, può riguardare, in alternativa all’importo del solo accantonamento annuale, anche, cumulativamente, un ammontare corrispondente agli accantonamenti di più esercizi, purché compresi tra quelli indicati in precedenza.

      L’attribuzione del TFR non opera con riferimento alle quote di accantonamento annuali al TFR già in precedenza impegnate in forma di previdenza complementare sulla base di disposizioni di legge o contratti collettivi nazionali.

      Lo stesso provvedimento, inoltre, individua ulteriori modalità di finanziamento dei fondi pensione, differenziandoli sulla base delle caratteristiche dei soggetti debitori del TFR medesimo. In particolare, si disciplina la trasformazione del TFR in strumenti finanziari emessi, rispettivamente, da emittenti quotati (articolo 3), emittenti quotandi (articolo 4) e qualificati operatori finanziari (articolo 5).

[25]    Ai sensi dell’articolo 3 del D.Lgs. n. 124 del 1993 sono forme pensionistiche complementari quelle derivanti da contratti e accordi collettivi; accordi fra lavoratori autonomi o fra liberi professionisti, promossi da loro sindacati o associazioni di rilievo almeno regionale; regolamenti di enti o aziende; accordi fra soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro, promossi da associazioni nazionali di rappresentanza del movimento cooperativo legalmente riconosciute; accordi tra soggetti destinatari del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 565, promossi da loro sindacati o associazioni di rilievo almeno regionale. Ai sensi degli articoli 9-bis e 9-ter del medesimo decreto legislativo, le forme pensionistiche individuali sono attuate mediante adesione ai fondi pensione aperti (articolo 9) nonché mediante stipulazione di contratti di assicurazione sulla vita con imprese di assicurazione autorizzate dall’ISVAP.

[26]   Si veda anche quanto disposto dal successivo articolo 10, comma 1, del presente decreto legislativo in favore delle imprese circa la deducibilità di importi del TFR destinati a forme pensionistiche complementari.

[27]    L’articolo 1 del decreto legislativo n. 579 del 1995 disciplina il trattamento fiscale e contributivo della parte eccedente l'importo del massimale annuo della base contributiva e pensionabile, stabilito in lire 132 milioni ai sensi dell'art. 2, comma 18, della legge 8 agosto 1995, n. 335, ove destinata al finanziamento di fondi di previdenza complementare.

      I contributi eccedenti i limiti percentuali di importo della contribuzione, versati ai predetti fondi dai datori di lavoro e dai lavoratori appartenenti a regimi pensionistici in precedenza privi di massimale contributivo, sono deducibili ai fini fiscali in misura complessivamente non superiore al 10 per cento del reddito annuo eccedente il suddetto massimale della base contributiva, e comunque per un ammontare non superiore a lire 16.800.000.

      Qualora tali contributi superino complessivamente la misura del 10 per cento del reddito annuo, la deduzione fiscale a favore del datore di lavoro può operare nella misura massima della differenza tra tale misura del 10 per cento e la misura del contributo del lavoratore.

      Alla contribuzione, nei confronti della quale opera la suddetta deduzione fiscale, si applica inoltre un contributo di solidarietà.

[28]    Si tratta, oltre al coniuge e ai figli, dei discendenti prossimi, anche naturali; dei genitori e ascendenti prossimi, anche naturali; degli adottanti; dei generi e delle nuore; del suocero e della suocera; dei fratelli e delle sorelle germani o unilaterali.

[29]   Sembra doversi così interpretare l’inciso: “e, limitatamente ai primi cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari,”, la cui collocazione logico-sintattica appare poco perspicua, anche in ragione della virgola interposta dopo la congiunzione “e”.

[30]    Il comma 4 estende l’applicazione di questa disposizione agli accantonamenti relativi alle indennità di fine rapporto di cui all'articolo 17, comma 1, lettere c), d) e f), dello stesso testo unico (indennità per la cessazione di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di rapporti di agenzia e dell’attività degli sportivi professionisti).

[31]    Ai sensi dell’articolo 2, comma 8, della legge n. 297 del 1982.

[32]   Si consideri che anche il comma 2 dell’articolo 8 del decreto legge 203/2005 è stato modificato dall’articolo 1, comma 269, lettera b), della legge 23 dicembre 2005, n. 266  (finanziaria 2006).

[33]   Il termine, originariamente stabilito al 1° gennaio 2006, è stato differito al 1° gennaio 2008 dall’art. 1,comma 269, lettera b), della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006).

[34]    Ai sensi dell’art. 24 della Legge n. 88/1989 la Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti comprende: assicurazione per la disoccupazione involontaria (DS); assicurazione per la tubercolosi (TBC): a decorrere dal 1999 la contribuzione è a carico dello Stato; fondo garanzia TFR; cassa unica per gli assegni familiari (CUAF); cassa integrazione guadagni (industria, edilizia, agricoltura); assicurazione per la malattia; assicurazione per la maternità; fondo rimpatrio per i lavoratori extracomunitari (il relativo contributo è stato soppresso a decorrere dall’anno 2000); cassa per il trattamento di richiamo alle armi; ogni altra forma di previdenza a carattere temporaneo diversa dalle pensioni.

[35]   La  Tabella A (che nel testo iniziale partiva dall’annualità 2006) è stata modificata dall’art. 1, comma 269, lettera b), della legge finanziaria per il 2006, conseguentemente al differimento dell’entrata in vigore della disposizione all’annualità 2008.

[36]   Il contributo integrativo per l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria è stato previsto dall’articolo 12 della legge n. 160 del 1975 nella misura dell’1,30 per cento della retribuzione. In seguito, a decorrere dal 1° gennaio 1979, l’articolo 25, comma 4 della legge n. 845 del 1978 ha previsto un aumento dell’aliquota di tale contributo in misura pari allo 0,30 per cento delle retribuzioni.

[37]    L’assegno sociale, di cui all’articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è una prestazione di natura assistenziale che a decorrere dal 1° gennaio 1996 ha sostituito la pensione sociale, che continua comunque ad essere erogata a coloro che, avendone i requisiti, ne hanno fatto domanda entro il 31 dicembre 1995.

      L’assegno sociale è riservato ai cittadini italiani che abbiano 65 anni di età, siano residenti in Italia ed abbiano un reddito pari a zero o di importo comunque inferiore ai limiti stabiliti annualmente dalla legge. Se il soggetto interessato è coniugato si tiene conto anche del reddito del coniuge.

      Sono equiparati ai cittadini italiani gli abitanti della Repubblica di San Marino, i rifugiati politici, i cittadini dell'Unione europea ed i cittadini extracomunitari che hanno ottenuto la carta di soggiorno.

      L'importo dell'assegno viene stabilito anno per anno ed è esente da imposta. Per il 2005 è pari a € 374,97 al mese. L’assegno non è esportabile e pertanto si perde se l’interessato si trasferisce all’estero. L’assegno non è reversibile e quindi non può essere trasmesso ai familiari superstiti. Coloro che percepiscono l’assegno sociale possono, a determinate condizioni, avere diritto alle maggiorazioni sociali

[38]    Tali commi hanno esteso - novellando il disposto dell’articolo 1, primo comma, del D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 - la disciplina concernente il sequestro, pignoramento e cessione di stipendi, salari e pensioni dei dipendenti pubblici ai dipendenti delle aziende private.

[39]    Tale articolo ha recato una serie di modifiche all’articolo 1 del richiamato D.P.R. 180. In particolare:

-        è stato specificato che le deroghe al divieto di sequestro, di pignoramento e di cessione dei trattamenti erogati ai dipendenti pubblici possono essere previste non solo dal Testo Unico, ma anche da altre disposizioni di legge;

-        viene consentita, a tutti i titolari di trattamento pensionistico (e non solo ai soggetti che abbiano lavorato presso pubbliche amministrazioni) la stipula di prestiti - mediante la cessione di una quota del trattamento previdenziale non superiore ad un quinto, calcolato al netto delle ritenute fiscali - con le banche e gli intermediari finanziari che, ai sensi dell’articolo 106 del D.Lgs. 385 del 1993 (TUB) , sono iscritti in un apposito elenco tenuto dall'UIC. La durata del prestito non potrà superare i dieci anni (nuovo comma terzo dell’articolo 1 del D.P.R. 180);

-        è stata introdotta la facoltà di cedere specifici trattamenti economici (quali, tra gli altri, le pensioni e gli assegni di invalidità, gli assegni vitalizi).

      Lo stesso articolo, inoltre, ha introdotto modifiche agli articoli 52 e 55 del richiamato D.P.R. 180.

[40]    Il comma 1 di tale articolo prevede infatti che, ove vengano meno i requisiti di partecipazione alla forma pensionistica complementare, lo statuto del fondo pensione deve consentire le seguenti opzioni stabilendone misure, modalità e termini di esercizio:

-        il trasferimento presso altro fondo pensione complementare, cui il lavoratore acceda in relazione alla nuova attività;

-        il trasferimento ad uno dei fondi di cui all'art. 9 o a una delle forme pensionistiche individuali di cui agli articoli 9-bis e 9-ter);

-        il riscatto della posizione individuale.

[41]   [41]      Il testo originario della disposizione prevedeva anche che fosse perfezionata “l’unitarietà” del sistema di vigilanza: il comma 4 dello stesso articolo 25 della legge n. 262 del 2005 ha tuttavia soppresso le parole: “l’unitarietà e”.

[42]    Le disposizioni relative allo stabilimento in altro Stato membro da parte di imprese di assicurazione autorizzate in uno Stato membro dell’Unione europea e allo svolgimento di attività in regime di libera prestazione di servizi sono contenute nel titolo IV della direttiva n. 2002/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 novembre 2002, relativa all'assicurazione sulla vita.

[43]    Tale comma ha disposto, per il funzionamento della COVIP, un’autorizzazione di spesa di 2.582.284,50 euro (5 miliardi di lire) a decorrere dall'anno 1996. Successivamente, l’articolo 59, comma 39, della L. 449 del 1997 (provvedimento collegato alla manovra finanziaria per il 1998) ha incrementato tale spesa, per il 1998, di 516.456,90 euro (1 miliardo di lire) e, per gli anni successivi, di 2.582.284,50 euro (5 miliardi di lire). Si ricorda, infine, che le modalità tecnico-contabili per il finanziamento della COVIP sono state definite con il D.M. 15 aprile 1998.

[44]    Data di entrata in vigore del D.Lgs. 47 del 2000, concernente la riforma della disciplina della previdenza complementare.

[45]    Più specificamente, la circolare richiamata, ha chiesto al Ministero del lavoro e delle politiche sociali “se la normativa in argomento esaurisca o meno la disciplina relativa al versamento della contribuzione di solidarietà gravante sulle erogazioni di cui al citato articolo 2 del D.L. n. 67/1997, o se debba, invece, tenersi comunque conto delle previsioni dell’art. 6, co. 4, lett. f) del D.Lgs. n. 314/1997 (rectius: articolo 12 comma 4, lettera f), della L. 153 del 1969). Al riguardo, il predetto Dicastero ha fatto presente che le erogazioni in argomento, qualora vengano destinate a finanziare trattamenti pensionistici complementari, debbano in ogni caso essere assoggettate allo specifico contributo di solidarietà del 10 per cento, sempre a carico del datore di lavoro, previsto dall’art. 6, co. 4, lett. f) del citato D.Lgs. n. 314/1997.

      Conseguentemente:

-        sulle erogazioni direttamente corrisposte ai lavoratori, il datore di lavoro è tenuto a versare il contributo di solidarietà del 10 per cento ex art. 2, co. 3, del D.L. n. 67/1997, riprodotto nell’art. 6, co. 4, lett. e) del D.Lgs. n. 314/1997 (rectius: articolo 12 comma 4, lettera f), della L. 153 del 1969);

-        qualora tali erogazioni vengano destinate al finanziamento di trattamenti pensionistici complementari, il datore di lavoro è comunque tenuto a versare sull’intero accantonamento, il diverso contributo di solidarietà del 10 per cento, ex art. 9-bis della legge n. 166/91, dovuto a suo carico in virtù del richiamo espresso operato dall’art. 6, co. 4, lett. f) del citato D.Lgs. n. 314/1997 (rectius: articolo 12 comma 4, lettera f), della L. 153 del 1969)”.

[46]    Il 28 aprile 1993 è entrato in vigore il D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124.

[47]    Nel primo periodo del comma 2 qui illustrato si legge che “il risultato si determina sottraendo dal valore del patrimonio netto al termine di ciascun anno solare [...] e il valore del patrimonio stesso all’inizio dell’anno”. La congiunzione è stata evidentemente introdotta per mero errore materiale.

[48]   Erroneamente il testo fa qui riferimento al “decreto legislativo n. 600 del 1973”.

[49]    La circolare dell’Agenzia delle entrate n. 29/E del 20 marzo 2001, di commento del D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 47, cita ad esempio il caso dei proventi degli OICVM esteri non armonizzati collocati all'estero e percepiti senza l'intervento di un soggetto residente incaricato del loro pagamento.

[50]    Il 28 aprile 1993 è entrato in vigore il D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124.

[51]    Alla restante parte del patrimonio di detti fondi si applica l’imposta sostitutiva nell’ordinaria misura dell’11 per cento e la base imponibile è determinata ai sensi del comma 2 del presente articolo 17.

[52]    La valutazione dei beni immobili dei fondi comuni di investimento immobiliare chiusi è effettuata da esperti indipendenti, ai sensi dell’articolo 6, comma 1, lettera c), numero 5), del D.Lgs. n. 58 del 1998 e dell’articolo 17 del successivo regolamento di attuazione di cui al D.M. 24 maggio 1999, n. 228.

[53]    Data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421.

[54]    Il termine per la presentazione della dichiarazione dei soggetti IRES è fissato all’ultimo giorno del settimo mese successivo alla chiusura dell’esercizio, per la dichiarazione cartacea (nel caso in cui sia ammessa la presentazione di tale tipo di dichiarazione), e all’ultimo giorno del decimo mese successivo alla chiusura dell’esercizio, per la dichiarazione telematica (articolo 2 del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322).

[55]    Questa disposizione corrisponde all’ultimo periodo dell’articolo 14, comma 6, del D.Lgs. n. 124 del 1993.

[56]    Anche i commi 2 e 3 dell’articolo 14 del D.Lgs. n. 124 del 1993 tenevano conto del sopra indicato regime fiscale di favore.

[57]   L’importo dell’imposta di registro e delle imposte ipotecarie e catastale in misura fissa, precedentemente stabilito in 250.000 lire (pari a 129,11 euro), è stato aumentato a 168 euro dall’articolo 7 del D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43.

[58]    Il disposto originario dell’art. 16 del Decreto 124 è stato successivamente modificato dall'articolo 13 della legge 8 agosto 1995, n. 335, dall’articolo 71 della Legge 17 marzo 1999, n. 144, e dall’articolo 59, comma 40, della Legge 27 dicembre 1997, n. 449.

[59]   Già attribuite all’ISVAP dalla legge n. 576/1982.

[60]   Il richiamato articolo prevede che le nomine alla presidenza di enti, istituti o aziende di carattere nazionale, di competenza dell'amministrazione statale, fatta eccezione per le nomine relative agli enti pubblici creditizi, sono effettuate con decreto del Presidente della Repubblica emanato su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri adottata su proposta del ministro competente. Resta ferma, in ogni caso, la vigente disciplina in ordine all'acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari.

[61]   Il richiamato quinto comma stabilisce che il presidente e i membri della Commissione non possono esercitare, a pena di decadenza dall'ufficio, alcuna attività professionale, neppure di consulenza, né essere amministratori, ovvero soci a responsabilità illimitata, di società commerciali, sindaci revisori o dipendenti di imprese commerciali o di enti pubblici o privati, né ricoprire altri uffici pubblici di qualsiasi natura, né essere imprenditori commerciali. Per tutta la durata del mandato i dipendenti statali sono collocati fuori ruolo e i dipendenti di enti pubblici sono collocati d'ufficio in aspettativa. Il rapporto di lavoro dei dipendenti privati è sospeso ed i dipendenti stessi hanno diritto alla conservazione del posto.

[62]   Tale comma stabilisce che La CONSOB provvede all'autonoma gestione delle spese per il proprio funzionamento nei limiti del fondo stanziato a tale scopo nel bilancio dello Stato e iscritto, con unico capitolo, nello stato di previsione della spesa del Ministero del tesoro (attualmente dell’economia e delle finanze). La gestione finanziaria si svolge in base al bilancio di previsione approvato dalla CONSOB entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello cui il bilancio si riferisce. Il contenuto e la struttura del bilancio di previsione, il quale deve comunque contenere le spese indicate entro i limiti delle entrate previste, sono stabiliti dal regolamento, di cui al successivo comma, che disciplina anche le modalità per le eventuali variazioni. Il rendiconto della gestione finanziaria, approvato entro il 30 aprile dell'anno successivo, è soggetto al controllo della Corte dei conti. Il bilancio preventivo e il rendiconto della gestione finanziaria sono pubblicati nel Bollettino della CONSOB.

[63]   Si ricorda che il provvedimento è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 13 dicembre 2005.

[64]    L’Agenzia delle entrate, con circolare n. 47/E del 2003, ha chiarito che nella nozione di atti relativi all’istituzione o alla sottoscrizione di fondi immobiliari debbono rientrare anche gli atti relativi alle sottoscrizioni effettuate mediante apporto di beni.

[65]    L’articolo 7 ìndica fra gli atti per cui non vi è obbligo di chiedere la registrazione gli “atti relativi alla istituzione di fondi comuni di investimento mobiliare autorizzati, alla sottoscrizione e al rimborso delle quote, anche in sede di liquidazione, e all'emissione ed estinzione dei relativi certificati, compresi le quote ed i certificati di analoghi fondi esteri autorizzati al collocamento nel territorio dello Stato”.

[66]    Decorrenti dalla data di emanazione del decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 14 gennaio 1997, n. 211, recante norme per l'autorizzazione all'esercizio dei fondi pensione (pubblicato nella Gazzetta ufficiale 11 luglio 1997, n. 160).

[67]    L’articolo 4, comma 3-bis, del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 47, ha confermato che “per i soggetti iscritti ai fondi di previdenza complementare che abbiano presentato istanza al Ministero del lavoro e della previdenza sociale per l'applicazione del periodo transitorio di cui al comma 8-bis dell'articolo 18 del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, nei termini ivi previsti, ai fini della deducibilità di cui all'articolo 10, comma 1, lettera e-bis), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, continua ad applicarsi, fino al termine del predetto periodo transitorio, il comma 8-quater dell'articolo 18 del citato decreto legislativo”.

[68]    Si veda anche la risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 169/E del 29 ottobre 2001.

[69]   In relazione a quest’ultimo articolo rilevano i commi 4 e 5, che stabiliscono aliquote diverse per la tassazione delle somme percepite a titolo di riscatto della posizione individuale in relazione alle diverse fattispecie possibili.

[70]    La disposizione vale per tutte le deleghe conferite dalla legge, con l’eccezione di quella relativa al riordino degli enti pubblici di previdenza e assistenza obbligatoria (comma 33), dalla quale non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

[71]   Tale comma 269 introduce modifiche ai commi 1 e 2 dell’articolo 8 del decreto legge n. 203 del 2005 , recanti forme di compensazione alle imprese che conferiscono il TFR a forme pensionistiche complementari, in considerazione dello “slittamento” al 2008 dell’entrata in vigore della riforma della disciplina della previdenza complementare.

[72]   Originariamente per gli anni successivi al 2005. A seguito del differimento di due anni dell’entrata in vigore del decreto (dal 1° gennaio 2006 al 1° gennaio 2008), gli oneri che non assumono la natura di limite massimo di spesa iniziano a determinarsi dall’anno 2008.

[73]   Si ricorda che l’articolo 23 dello schema di decreto originario, presentato per il parere parlamentare, prevedeva l’entrata in vigore dal 1° gennaio 2006.

[74]    La norma si applica alle prestazioni maturate entro il 31 dicembre 2007, indipendentemente dal momento della loro erogazione.

[75]   La norma prevede la progressiva applicazione delle disposizioni oggetto della delega di cui alla Legge 243, nonché della normativa sugli incentivi al posticipo del pensionamento (prevista per i dipendenti del settore privato) ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001.

      Tale previsione si inscrive in una evoluzione normativa tesa a ravvicinare il rapporto di lavoro pubblico ed il relativo trattamento previdenziale alla disciplina vigente per i rapporti di lavoro privato.

      L’applicazione sarà effettuata con le necessarie armonizzazioni, previo confronto con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative dei datori di lavoro e dei lavoratori, con le regioni, gli enti locali e le autonomie funzionali, tenendo conto non solo delle specificità dei singoli settori ma anche dell’interesse pubblico connesso all’organizzazione del lavoro e all’esigenza di efficienza della pubblica amministrazione.