XIV Legislatura - Dossier di documentazione | |||
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento lavoro | ||
Titolo: | Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici dei dirigenti d'azienda - A.C. 5307 | ||
Serie: | Progetti di legge Numero: 829 | ||
Data: | 07/11/05 | ||
Organi della Camera: | XI-Lavoro pubblico e privato | ||
Riferimenti: |
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Servizio studi |
progetti di legge |
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Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici dei dirigenti d’azienda A.C. 5307
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n. 829
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xiv legislatura 7 novembre 2005 |
Camera dei deputati
Dipartimento Lavoro
SIWEB
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File: LA0636.doc
INDICE
Scheda di sintesi per l’istruttoria legislativa
Elementi per l’istruttoria legislativa
§ Necessità dell’intervento con legge
§ Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite
§ Rispetto degli altri princìpi costituzionali
§ Incidenza sull’ordinamento giuridico
§ Impatto sui destinatari delle norme
Contenuto della proposta di legge
Normativa nazionale
§ L. 30 aprile 1969, n. 153. Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale. (art. 19)
§ L. 15 marzo 1973, n. 44. Norme integrative della L. 27 dicembre 1953, n. 967, sulla previdenza dei dirigenti di aziende industriali. (artt. 1 e 2)
§ D.P.R. 8 gennaio 1976, n. 58. Norme per l'esecuzione della L. 15 marzo 1973, n. 44, sulla previdenza dei dirigenti di aziende industriali, e modificazioni e integrazioni al regolamento per l'esecuzione della L. 27 dicembre 1953, n. 967, approvato con D.P.R. 17 agosto 1955, n. 914, e successive modificazioni. (art. 2)
§ D.P.R. 11 febbraio 1987, n. 32. Norme di attuazione dell'art. 10 della legge 15 aprile 1985, n. 140, sulla previdenza dei dirigenti di aziende industriali gestita dall'Istituto nazionale di previdenza per i dirigenti di aziende industriali.
§ L. 11 marzo 1988, n. 67. Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1988). (art. 21)
§ D.L. 21 marzo 1988, n. 86. Norme in materia previdenziale, di occupazione giovanile e di mercato del lavoro, nonché per il potenziamento del sistema informatico del Ministero del lavoro e della previdenza sociale. (art. 3)
§ D.M. 25 luglio 1988, n. 422. Applicazione dell'art. 3, comma 2, del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 maggio 1988, n. 160, per la determinazione delle misure dell'aliquota contributiva e dei trattamenti pensionistici ai dirigenti di aziende industriali iscritti all'I.N.P.D.A.I.
§ D.P.R. 24 ottobre 1989, n. 369. Regolamento recante norme di attuazione dell'art. 4 della legge 29 dicembre 1988, n. 544, sulla previdenza dei dirigenti di aziende industriali, gestita dall'Istituto nazionale di previdenza per i dirigenti di aziende industriali.
§ D.P.R. 8 agosto 1991, n. 294. Regolamento di attuazione dell'art. 2-bis, comma 6, del decreto-legge 22 dicembre 1990, n. 409, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1991, n. 59, in materia di rivalutazione, con decorrenza 1° gennaio 1991, delle pensioni a carico dell'Istituto nazionale di previdenza per i dirigenti di aziende industriali. (art. 1)
§ D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503. Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'articolo 3 della L. 23 ottobre 1992, n. 421. (art. 11)
§ L. 23 dicembre 1998, n. 448. Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo. (art. 34)
§ L. 27 dicembre 2002, n. 289. Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003). (art. 42)
Corte Costituzionale
§ Sentenza 22 febbraio 1990, n. 72 (Anno 1990)
Numero del progetto di legge |
A.C. 5307 |
Titolo |
Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici dei dirigenti d'azienda |
Iniziativa |
On. Costa ed altri |
Settore d’intervento |
Previdenza |
Iter al Senato |
no |
Numero di articoli |
6 |
Date |
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§ presentazione o trasmissione alla Camera |
29 settembre 2004 |
§ annuncio |
30 settembre 2004 |
§ assegnazione |
14 ottobre 2004 |
Commissione competente |
11ª Lavoro pubblico e privato |
Sede |
Referente |
Pareri previsti |
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1ª Affari costituzionali |
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5ª Bilancio |
La proposta di legge C. 5307 a firma dei deputati Costa ed altri, è volta ad eliminare una disparità di trattamento che si è determinata ai danni dei dirigenti di aziende industriali andati in pensione antecedentemente al 1° gennaio 1988, che non hanno potuto beneficiare dell’innalzamento del massimale della retribuzione pensionabile previsto dall’articolo 3, commi 2 e 2-bis, del decreto legge n. 86 del 1988 con esclusivo riferimento alle pensioni liquidate a partire dal 1988.
Pertanto si prevede in primo luogo (articoli 1 e 2) la riliquidazione delle pensioni percepite dai soggetti andati in pensione antecedentemente al 1° gennaio 1988, tramite l’innalzamento del limite massimo di retribuzione considerato ai fini del calcolo della pensione; si prevede l’applicazione della perequazione automatica sin dalla decorrenza originaria.
La riliquidazione delle pensioni “riassorbe” gli aumenti concessi con una serie di D.P.R. che si sono succeduti nel tempo (articolo 3).
Gli aumenti si applicano anche sulle pensioni ai superstiti, in misura ridotta secondo le corrispondenti aliquote di determinazione delle pensioni stesse (articolo 4).
Per godere degli aumenti previsti gli interessati devono presentare domanda all’INPS entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge (articolo 5).
Infine si dispone la relativa copertura finanziaria (articolo 6).
L’intervento con legge si rende necessario poiché si modificano delle fonti normative di rango primario (in particolare si estende l’applicazione dei commi 2 e 2-bis del decreto-legge n. 86 del 1988). Inoltre si rende necessario ai sensi dell’articolo 81, comma 4, della Costituzione, determinandosi nuovi oneri finanziari per cui è necessario predisporre la relativa copertura finanziaria.
Lo schema di decreto, disciplinando la riliquidazione di trattamenti pensionistici, riguarda una materia riconducibile alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera o), della Costituzione (“previdenza sociale”).
Il provvedimento, essendo volto a migliorare alcuni trattamenti pensionistici, appare coerente con l’articolo 38 della Costituzione, secondo cui i lavoratori hanno diritto a mezzi adeguati alle loro esigenze di vita, tra l’altro, nel caso di invalidità e vecchiaia.
Inoltre, poiché farebbe venir meno disparità di trattamento tra i pensionati, per quanto riguarda l’importo della pensione, a seconda del momento del collocamento a riposo, potrebbe ritenersi coerente con l’articolo 3 della Costituzione (principio di uguaglianza).
L’articolo 1, comma 2, prevede che le modalità attuative della riliquidazione delle pensioni siano stabilite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da emanare entro un mese dall’entrata in vigore della legge.
Si osserva che sarebbe opportuno prevedere il concerto del Ministro dell’economia, in considerazione dell’onerosità della disposizione.
Il provvedimento interviene sulla disciplina del massimale della retribuzione pensionabile, estendendo ai soggetti andati in pensione fino al 31 dicembre 1987 la più favorevole disciplina introdotta a partire dal 1° gennaio 1988. In particolare si prevede che le pensioni siano riliquidate sulla base dei criteri introdotti dall’articolo 3, commi 2 e 2-bis, del decreto legge n. 86 del 1988.
Il provvedimento è volto a determinare un miglioramento dell’importo delle pensioni percepite dai dirigenti di aziende industriali andati in pensione precedentemente il 1° gennaio 1988, tramite un innalzamento del limite massimo della retribuzione pensionabile.
Conseguentemente si determinerebbe un aggravio in maniera corrispondente per il bilancio dell’INPS (competente ad erogare le pensioni a seguito della soppressione dell’INPDAI).
All’articolo 1, comma 1, sarebbe opportuno fare riferimento esclusivamente al comma 2-bis del decreto legge n. 86 del 1988, relativo all’innalzamento del limite massimo della retribuzione pensionabile per i dirigenti d’azienda collocati in quiescenza a partire dal 1° gennaio 1988. Difatti la previsione secondo cui si applicherebbero “i miglioramenti previsti ai sensi dei commi 2 e 2-bis” si presta a dubbi interpretativi, poiché tali due commi prevedono meccanismi di innalzamento del limite massimo della retribuzione pensionabile non sovrapponibili e che si escludono a vicenda.
Conseguentemente sarebbe opportuno richiamare anche il relativo decreto ministeriale n. 422 del 1988, di attuazione della disposizione legislativa, in particolare l’articolo 1, commi 4 e 5.
All’articolo 1, comma 2, sarebbe opportuno prevedere il concerto del Ministro dell’economia, in considerazione della onerosità della disposizione.
Allo stesso comma sarebbe opportuno precisare se la perequazione automatica debba essere calcolata integralmente secondo la disciplina attuale, di cui dall'art. 11 del D.Lgs. 30-12-1992 n. 503, o se invece si debba applicare, come sembra più logico ed equo, nelle singole annualità, la disciplina anno per anno vigente a partire dalla introduzione della perequazione automatica (art. 19 della Legge n. 153/1969).
All’articolo 2, che appare di non univoca interpretazione, andrebbe chiarito il rapporto tra la previsione dell’applicazione dei coefficienti di cui al d.p.r. 294 del 1991, rispetto al rinvio alle “modalità di cui all’articolo 1 della presente legge”. Difatti il meccanismo di adeguamento di cui all’articolo 1 appare difficilmente conciliabile con l’applicazione dei coefficienti di cui sopra.
All’articolo 4, sarebbe opportuno sostituire le parole “pensioni dirette” con le seguenti “pensioni stesse”.
All’articolo 6 andrebbero aggiornati i riferimenti alla decorrenza della spesa e al relativo bilancio di imputazione.
L'Istituto Nazionale di Previdenza per i Dirigenti di Aziende Industriali (INPDAI) è nato quale ente pubblico non economico, con la legge 27 dicembre 1953, n. 967, con il compito di gestire l'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti a favore dei dirigenti di aziende industriali in sostituzione dell'Assicurazione Generale Obbligatoria gestita dall'INPS.
L'INPDAI, ente sostitutivo dell'INPS, nel 2002 gestiva circa 200.000 posizioni assicurative suddivise tra:
- posizioni relative a dirigenti pensionati;
- posizioni relative a dirigenti versanti;
- posizioni relative a dirigenti non versanti;
- posizioni relative ad aziende industriali.
L'INPDAI si finanziava attraverso entrate contributive obbligatorie ed entrate di altra natura quali i proventi della gestione di beni mobiliari ed immobiliari.
Con il decreto legislativo 24 aprile 1997, n. 181[1], il principio di armonizzazione dei sistemi previdenziali è stato esteso anche all’INPDAP.
L’INPDAI non godeva di alcun trasferimento di fondi da parte dello Stato, mentre era tenuto al versamento del contributo di solidarietà all’AGO, e non percepiva i contributi versati all’INPS dai propri associati per prestazioni specifiche (i c.d. “oneri impropri”, pari al 4,39% della retribuzione imponibili); la maggior parte del patrimonio immobiliare posseduto dall’ente veniva utilizzato a fini assistenziali.
Con l’articolo 42 della Legge n. 289/2002 (legge finanziaria 2003) è stata prevista la soppressione dell’INPDAI a decorrere dal 1° gennaio 2003, con conseguente trasferimento all’INPS delle sue strutture e funzioni e contestuale iscrizione dei soggetti assicurati presso il Fondo pensioni lavoratori dipendenti (FPLD) dell’INPS con evidenza contabile separata.
Anche il personale in servizio presso l’INPDAI è stato trasferito all’INPS con lo stesso trattamento giuridico, economico e previdenziale, fino all’approvazione del nuovo contratto collettivo di lavoro.
Alla data del 31 dicembre 2002 risultavano 82.447 dirigenti titolari di posizione assicurativa presso l’INPDAI[2].
Sistema pensionistico degli iscritti INPDAI
La disciplina pensionistica vigente presso l’INPDAI, applicabile a tutto il 31 dicembre 2002, presentava le seguenti caratteristiche:
a) età pensionabile: 65 anni per gli uomini e 60 anni per le donne
b) la decorrenza della pensione di vecchiaia era così fissata:
· al primo giorno del mese successivo a quello di perfezionamento dei requisiti (minimo contributivo, età, cessazione del rapporto di lavoro), se la domanda era presentata entro 2 anni dalla data di perfezionamento degli stessi;
· al primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda, se erano trascorsi 2 anni dalla data di perfezionamento dei requisiti;
· al primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda, se il richiedente aveva compiuto il 67° anno di età (62° per le donne).
L’anzianità contributiva veniva espressa in giorni; l’annualità di contribuzione era commisurata a 360 giorni, corrispondenti a 12 mesi di 30 giorni. L’anzianità massima era fissata a 14.400 giorni, pari a 360 giorni per 40 anni.
Per la misura della pensione l’anzianità contributiva maturata:
· fino al 31.12.1994 viene computata in trentesimi, con un massimo di 10.800 giorni;
· dall’ 1/1/1995 viene computata in quarantesimi, con un massimo di 14.400 giorni.
Ai fini del calcolo della pensione, sino al 31.12.2002, per ogni anno di contribuzione versata veniva applicata alla retribuzione annua pensionabile un’aliquota di rendimento, correlata alle fasce retributive e variabile in funzione del periodo contributivo considerato, fino ad un massimale pensionabile.
Il trattamento pensionistico INPDAI, calcolato con il sistema retributivo, non può comunque risultare superiore all’80% della retribuzione pensionabile determinata secondo le norme in vigore presso l’INPS, né inferiore, alle medesime condizioni (ovvero: parità di anzianità contributiva e retribuzione pensionabile) a quello previsto dall’INPS.
Alle quote di pensione INPDAI così determinate veniva eventualmente aggiunta l’ulteriore quota proveniente da altre gestioni previdenziali.
Per quanto riguarda il massimale pensionabile, si ricorda che già la legge istitutiva n. 967 del 1953 prevedeva che i contributi e le prestazioni fossero calcolati in percentuale sull'ammontare della retribuzione lorda percepita dal dirigente entro un limite minimo ed un limite massimo della retribuzione stessa, stabiliti con decreto del Presidente della Repubblica.
Tali limiti, dapprima stabiliti con d.p.r. 27 novembre 1968, n. 1469, sono stati elevati dall’articolo 1 della legge n. 44 del 1973[3], che ha previsto anche una norma (articolo 2) secondo cui i limiti di retribuzione e l’aliquota contributiva indicati nell’articolo precedente potessero essere modificati con d.p.r., in relazione alle risultanze annuali di gestione e al fabbisogno dell’istituto medesimo, sulla base degli accorsi stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale.
Successivamente l’articolo 3 del decreto legge n. 86 del 1988, al comma 2, aveva previsto, per le quote di pensione dei dirigenti industriali maturate a partire dal 1° gennaio 1988, un meccanismo di adeguamento volto a porre rimedio alla disparità di trattamento che si era determinata rispetto agli assicurati dell’AGO, per cui, ai sensi dell’articolo 21, comma 6, della legge n. 67 del 1988, era sta prevista la possibilità di computare, secondo determinate aliquote, ai fini del calcolo della pensione, anche la retribuzione imponibile eccedente il limite massimo di retribuzione massima pensionabile. In sostanza, essendo stato eliminato nell’AGO il “tetto” della retribuzione pensionabile, il comma 2 dell’articolo 3 del decreto legge n. 86 del 1988 ha previsto per i dirigenti d’azienda industriale, a partire dall’inizio del 1988, un innalzamento del limite massimo della retribuzione contributiva, valida sia ai fini della contribuzione sia ai fini del calcolo della pensione, entro un limite massimo non inferiore al doppio della misura in vigore al 31 dicembre 1988. In particolare si affidava ad un decreto ministeriale l’attuazione in concreto di tale principio, in modo da determinare le misure dell’aliquota contributiva e dei trattamenti pensionistici relativi alla quota di retribuzione eccedente il limite massimo in vigore al 31 dicembre 1987. Si prevedeva, inoltre, che per le successive variazioni del limite massimo della retribuzione contributiva restavano ferme le disposizioni di cui all’articolo 2 della legge n. 44 del 1973, secondo cui i limiti di retribuzione e l’aliquota contributiva fissati dalla legge possono essere modificati con D.P.R., in relazione alle risultanze annuali della gestione e al fabbisogno dell’istituto e sulla base di accordi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale. Pertanto il decreto ministeriale n. 422 del 1988 ha stabilito un limite massimo della retribuzione contributiva pari al triplo della misura in vigore al 31 dicembre 1987[4]. Inoltre, con effetto dal 1° gennaio 1988, l’aliquota contributiva sulla retribuzione pensionabile, per la parte eccedente la misura in vigore al 31 dicembre 1987[5], veniva stabilita nella misura del 20 %.
Per la quota di retribuzione pensionabile eccedente il limite precedente, si prevedeva le seguenti aliquote di calcolo della pensione:
- fino a lire 103.454.000, aliquota dell’1,66%;
- da lire 103.454.001 fino a lire 155.181.000, aliquota dell’1,33%.
Si consideri, inoltre, che il citato articolo 3 del decreto-legge n. 86 del 1988, al comma 2-bis, prevedeva un meccanismo volto ad innalzare il massimale della retribuzione pensionabile per le pensioni liquidate dall’INPDAI con decorrenza a partire dal 1° gennaio 1988. In particolare si prevedeva che le retribuzioni annue relative al quinquennio precedente al 1° gennaio 1988 (periodo di riferimento per il calcolo della retribuzione media pensionabile) fossero prese in considerazione entro il limite pari al doppio dei massimali annui INPDAI in vigore nello stesso quinquennio, secondo modalità applicative definite con decreto ministeriale.
Il già citato decreto ministeriale n. 422 del 1988 ha quindi previsto, in attuazione di tale disposizione legislativa, che per le pensioni con decorrenza successiva al 31 dicembre 1987 le retribuzioni annue imponibili relative al quinquennio precedente fossero computate, secondo le percentuali di commisurazione già sopra viste, per la quota eccedente il limite massimo di retribuzione imponibile in vigore nei singoli periodi, entro un importo non superiore al doppio del limite stesso.
Calcolo della pensione a partire dal 1° gennaio 2003.
Con il comma 3 dell’art. 42 della Legge n. 289/2002 sono state stabilite nuove regole del sistema pensionistico per gli iscritti all’INPDAI, applicando il principio del c.d. “pro-rata” (la liquidazione delle pensioni viene calcolata sulla base di due quote: la prima, per le anzianità maturate fino al 31 dicembre 2002, con la normativa previgente alla soppressione dell’INPDAI; la seconda, per le anzianità successive, con le nuove regole INPS).
Pertanto, a decorrere dal 1° gennaio 2003, il regime previdenziale degli iscritti all’INPDAI è stato uniformato a quello degli iscritti al Fondo pensioni lavoratori dipendenti (FLPD).
L’importo della pensione dei dirigenti d’azienda (collocati in quiescenza dopo il 31 dicembre 2002) è determinato dalla somma:
a) dalla quota di pensione corrispondente all’anzianità contributiva di ciascun soggetto alla data del 31.12.2002, applicando il massimale contributivo previsto dall'articolo 3, comma 7, del D.Lgs. n. 181/1997 (pari a 150.204 euro per il 2004);
b) dalla quota di pensione corrispondente all’anzianità raggiunta a decorrere dal 1° gennaio 2003 applicando, ai fini del calcolo della retribuzione pensionabile, le aliquote vigenti nel FLDP presso l’INPS.
Fino all’anno 2002 l'aliquota contributiva IVS (pensione) sia all'INPDAI che all'INPS era uguale (32,70%, di cui 8,89% a carico del dirigente, oppure 33,70% di cui 9,89% a carico del dirigente qualora la quota di retribuzione eccedesse il limite di 36.093,00 euro annui).
Per quanto concerne il calcolo della pensione verranno applicate – sempre con decorrenza 1° gennaio 2003 - le aliquote di rendimento e le fasce retributive in vigore presso l’A.G.O.
Per i dirigenti di azienda industriale che hanno iniziato la loro attività lavorativa dipendente dal 1° gennaio 1996, privi di contribuzione precedente, non cambia alcunché: la pensione sia all'INPDAI che all'INPS viene liquidata con lo stesso sistema di calcolo, cioè quello esclusivamente contributivo introdotto dalla legge n. 335 del 1995 (c.d. “riforma Dini”).
Per tutti gli altri soggetti, nei confronti dei quali si applica il sistema retributivo, la novità più rilevante consiste nell’abolizione del massimale contributivo.
Articolo 1
(Riliquidazione
delle pensioni aventi decorrenza tra il 1° luglio 1982 e
il 31 dicembre 1987)
L’articolo in esame è volto ad adeguare i trattamenti pensionistici allora erogati dall’INPDAI, aventi decorrenza, originaria o di riliquidazione, compresa tra il 1° luglio 1982 e il 31 dicembre 1987, estendendo i miglioramenti previsti dall’articolo 3 del decreto legge n. 86 del 1988 per le pensioni liquidate a partire dal 1° gennaio 1988 (comma 1).
Si ricorda che l’articolo 3 del decreto legge n. 86 del 1988, al comma 2, aveva previsto, per le quote di pensione dei dirigenti industriali maturate a partire dal 1° gennaio 1988, un meccanismo di adeguamento volto a porre rimedio alla disparità di trattamento che si era determinata rispetto agli assicurati dell’AGO, per cui, ai sensi dell’articolo 21, comma 6, della legge n. 67 del 1988, era sta prevista la possibilità di computare, secondo determinate aliquote, ai fini del calcolo della pensione, anche la retribuzione imponibile eccedente il limite massimo di retribuzione massima pensionabile. In sostanza, essendo stato eliminato nell’AGO il “tetto” della retribuzione pensionabile, il comma 2 dell’articolo 3 del decreto legge n. 86 del 1988 ha previsto per i dirigenti d’azienda industriale, a partire dall’inizio del 1988, un innalzamento del limite massimo della retribuzione contributiva, valida sia ai fini della contribuzione sia ai fini del calcolo della pensione, entro un limite massimo non inferiore al doppio della misura in vigore al 31 dicembre 1988.
In particolare si affidava ad un decreto ministeriale l’attuazione in concreto di tale principio, in modo da determinare le misure dell’aliquota contributiva e dei trattamenti pensionistici relativi alla quota di retribuzione eccedente il limite massimo in vigore al 31 dicembre 1987. Si prevedeva, inoltre, che per le successive variazioni del limite massimo della retribuzione contributiva restavano ferme le disposizioni di cui all’articolo 2 della legge n. 44 del 1973, secondo cui i limiti di retribuzione e l’aliquota contributiva fissati dalla legge possono essere modificati con D.P.R., in relazione alle risultanze annuali della gestione e al fabbisogno dell’istituto e sulla base di accordi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale.
Pertanto il decreto ministeriale n. 422 del 1988 ha stabilito un limite massimo della retribuzione contributiva pari al triplo della misura in vigore al 31 dicembre 1987[6]. Inoltre, con effetto dal 1° gennaio 1988, l’aliquota contributiva sulla retribuzione pensionabile, per la parte eccedente la misura in vigore al 31 dicembre 1987[7], veniva stabilita nella misura del 20 %.
Per la quota di retribuzione pensionabile eccedente il limite precedente, si prevedeva le seguenti aliquote di calcolo della pensione:
- fino a lire 103.454.000, aliquota dell’1,66%;
- da lire 103.454.001 fino a lire 155.181.000, aliquota dell’1,33%.
Si consideri, inoltre, che il citato articolo 3 del decreto-legge n. 86 del 1988, al comma 2-bis, prevedeva un meccanismo volto ad innalzare il massimale della retribuzione pensionabile per le pensioni liquidate dall’INPDAI con decorrenza a partire dal 1° gennaio 1988. In particolare si prevedeva che le retribuzioni annue relative al quinquennio precedente al 1° gennaio 1988 (periodo di riferimento per il calcolo della retribuzione media pensionabile) fossero prese in considerazione entro il limite pari al doppio dei massimali annui INPDAI in vigore nello stesso quinquennio, secondo modalità applicative definite con decreto ministeriale.
Il già citato decreto ministeriale n. 422 del 1988 ha quindi previsto, in attuazione di tale disposizione legislativa, che per le pensioni con decorrenza successiva al 31 dicembre 1987 le retribuzioni annue imponibili relative al quinquennio precedente fossero computate, secondo le percentuali di commisurazione già sopra viste, per la quota eccedente il limite massimo di retribuzione imponibile in vigore nei singoli periodi, entro un importo non superiore al doppio del limite stesso.
Si ricorda inoltre che l’articolo 2 del d.p.r. n. 58 del 1976 prevede, previa apposita domanda, la possibilità di ottenere la riliquidazione della pensione di vecchiaia da parte dei dirigenti che abbiano continuato, dopo la data di pensionamento, a prestare servizio nella qualifica con ininterrotta copertura contributiva.
Pertanto l’articolo in esame è volto a sanare una differenza di trattamento tra coloro che sono stati collocati in pensione fino al 31 dicembre 1987 e coloro che invece, essendo andati in pensione a partire dal 1° gennaio 1988, hanno potuto beneficiare dell’innalzamento del limite massimo pensionabile della retribuzione previsto dal comma 2-bis dell’articolo 3 del decreto legge n. 86 del 1988.
Secondo quanto si legge nella relazione “mentre i dirigenti collocati in pensionefino al dicembre 1987 hanno avuto un trattamento di quiescenza calcolato con riferimento ai soli massimali vigenti negli anni presi in considerazione per il calcolo delle pensioni, i colleghi pensionati dal 1° gennaio 1988 si sono giovati di un importo raddoppiato dei medesimi massimali, senza che per questo abbiano versato maggiori contributi: tutto ciò ha comportato un trattamento economico nettamente diversificato”.
Si osserva che sarebbe opportuno fare riferimento esclusivamente al comma 2-bis del decreto legge n. 86 del 1988, relativo all’innalzamento del limite massimo della retribuzione pensionabile per i dirigenti d’azienda collocati in quiescenza a partire dal 1° gennaio 1988. Difatti la previsione secondo cui si applicherebbero “i miglioramenti previsti ai sensi dei commi 2 e 2-bis” si presta a dubbi interpretativi, poiché tali due commi prevedono meccanismi di innalzamento del limite massimo della retribuzione pensionabile non sovrapponibili e che si escludono a vicenda. In considerazione dell’analogia della fattispecie, appare, come sopra detto, più opportuno applicare il meccanismo di cui al comma 2-bis. Al contrario il comma 2, riguardando le modalità di calcolo della pensione per le annualità successive al 1987, contiene una fattispecie non applicabile retroattivamente ai soggetti già collocati in quiescenza precedentemente.
Conseguentemente sarebbe opportuno richiamare anche il relativo decreto ministeriale n. 422 del 1988, di attuazione della disposizione legislativa, in particolare l’articolo 1, commi 4 e 5.
In sostanza l’applicazione dei miglioramenti di cui al comma 2-bis dell’articolo 3 su citato ai pensionati dal 1° luglio 1982 e il 31 dicembre 1987 implicherebbe che anche per tali soggetti, ai fini della determinazione della retribuzione media pensionabile, le retribuzioni annue relative al quinquennio precedente al momento del pensionamento siano prese in considerazione entro il limite pari al doppio dei massimali annui INPDAP in vigore nello stesso quinquennio.
Si osserva che andrebbe precisato se la “riliquidazione” del trattamento pensionistico abbia valenza ex nunc, dal momento di entrata in vigore del provvedimento, o se invece comporti un “ricalcalo” della pensione con valenza retroattiva e quindi con diritto a percepire i relativi arretrati.
Il comma 2 rinvia ad un decreto del Ministro del lavoro, da emanare entro un mese dall’entrata in vigore del provvedimento, per le modalità applicative della riliquidazione, precisando comunque che i trattamenti pensionistici riliquidati “sono soggetti alla disciplina della perequazione automatica dalla data di decorrenza originaria”.
Si osserva che sarebbe opportuno prevedere il concerto del Ministro dell’economia, in considerazione della onerosità della disposizione.
Sembrerebbe che si voglia prevedere che l’importo delle pensioni, così come riliquidato ai sensi del comma 1, debba comunque essere rivalutato in base alla disciplina della perequazione automatica.
L'istituto della perequazione automatica – introdotto dall’art. 19 della Legge n. 153/1969 e da ultimo disciplinato dall'art. 11 del D.Lgs. n. 503 del 1992, come modificato dall'art. 14 della L. n. 724/1994 -, costituisce il meccanismo di adeguamento della misura dei trattamenti delle forme pensionistiche obbligatorie.
In base alla normativa vigente gli aumenti a titolo di perequazione automatica sono calcolati applicando, all'importo della pensione spettante alla fine di ciascun periodo, la percentuale di variazione che si determina rapportando il valore medio dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per famiglie di operai ed impiegati, relativo all'anno precedente il mese di decorrenza dell'aumento, all'analogo valore medio relativo all'anno precedente.
La percentuale di variazione si applica al:
• 100% per le pensioni sulla fascia di importo fino a 3 volte il trattamento minimo INPS in vigore immediatamente prima dell’aumento;
• 90% per la fascia compresa tra 3 e 5 volte la pensione minima INPS;
• 75% per la fascia eccedente l’importo pari a 5 volte la pensione minima INPS.
Con effetto dal 1° gennaio 2009, infine, i predetti aumenti saranno stabiliti nel limite di un punto percentuale della base imponibile a valere sulle fasce di pensione fino a 5.164,57 euro annui (legge n. 335/1995, art, 1, comma 33); le pensioni superiori a tale limite non saranno quindi adeguate al costo della vita.
Si ricorda inoltre che l'art. 34, commi 1-4, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, ha disposto che, a decorrere dal 1° gennaio 1999, il meccanismo di perequazione automatica si applichi tenendo conto dell'importo complessivo dei diversi trattamenti pensionistici eventualmente percepiti dal medesimo soggetto. Tale norma concerne i trattamenti pensionistici delle forme previdenziali relative a lavoratori dipendenti (pubblici e privati) e ai lavoratori autonomi iscritti a gestioni INPS nonché dei fondi integrativi ed aggiuntivi di cui al primo periodo del comma 3 dell'art. 59 della L. 27 dicembre 1997, n. 449 .
Si osserva che sarebbe opportuno precisare se la perequazione automatica debba essere calcolata integralmente secondo la disciplina attuale, di cui all'art. 11 delD.Lgs. 30-12-1992 n. 503[8] (che, come sopra visto, non permette un recupero integrale del costo della vita per le pensioni superiori ad una certa soglia), o se, come sarebbe più logico ed equo, invece si debba applicare, nelle singole annualità, la disciplina volta per volta vigente a partire dalla introduzione della perequazione automatica (art. 19 della Legge n. 153/1969).
Articolo 2
(Riliquidazione
delle pensioni aventi decorrenza anteriore al 1° luglio 1982)
L’articolo in esame è volto ad adeguare l’importo delle pensioni per i dirigenti di aziende industriali collocati in quiescenza prima del 1° luglio 1982.
Si prevede che i relativi trattamenti pensionistici siano riliquidati con l’applicazione dei coefficienti calcolati ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del regolamento di cui al D.P.R n. 294 del 1991, “secondo le modalità di cui all’articolo 1 della presente legge”.
Si ricorda che il d.p.r. 294 del 1991 recante regolamento di attuazione dell’articolo 2-bis, comma 6, del decreto legge n. 409 del 1990, ha previsto, con effetto dal 1° gennaio 1991, la rivalutazione delle pensioni a carico dell’INPDAI, aventi decorrenza anteriore alla stessa data, con l’applicazione di un certo coefficiente su un importo pari al 70% del trattamento massimo pensionabile liquidabile al 31 dicembre 1990 (articolo 1, comma 1). Il coefficiente da applicare è pari al rapporto tra la misura della pensione spettante alla data di decorrenza o di riliquidazione, e il trattamento massimo di pensione (comma 2). Comunque l’incremento annuo di pensione non poteva essere inferiore a lire 1.000.000 (comma 4).
Si osserva che l’articolo in esame appare di dubbia interpretazione. Andrebbe infatti chiarito il rapporto tra la previsione dell’applicazione dei coefficienti di cui al d.p.r. 294 del 1991, rispetto al rinvio alle “modalità di cui all’articolo 1 della presente legge”. Difatti il meccanismo di adeguamento di cui all’articolo 1 appare difficilmente conciliabile con l’applicazione dei coefficienti di cui sopra.
In particolare, andrebbe precisato se il riferimento alle modalità dell’articolo 1 implichi un rinvio a tutto l’articolo (quindi anche alla riliquidazione delle pensioni ai sensi del comma 2-bis dell’articolo 3 del decreto legge n. 86 del 1988) o se invece si vogliano richiamare esclusivamente le disposizioni attuative di cui al comma 2 dello stesso articolo 1 (attuazione con decreto ministeriale e previsione della perequazione automatica).
Articolo 3
(Riassorbimento dei precedenti
aumenti)
L’articolo in esame prevede che la riliquidazione delle pensioni effettuata ai sensi degli articoli precedenti “riassorbe” gli aumenti disposti ai sensi di vari D.P.R che si sono succeduti per recuperare in potere d’acquisto delle pensioni.
Si ricorda che il d.p.r. n. 32 del 1987, in attuazione dell’articolo 10 della legge n. 140 del 1985, ha previsto, con effetto dal 1° gennaio 1985, che le pensioni a carico dell’INPDAP aventi decorrenza anteriore al 1° luglio 1982, fossero aumentate in base a misure percentuali decrescenti rispetto all’anno di decorrenza delle pensioni. Si prevedeva inoltre che l’ammontare delle pensioni rivalutate non potesse superare l’importo massimo della pensione liquidabile con decorrenza 1° luglio 1982.
Successivamente il d.p.r. 369 del 1989, regolamento recante norme di attuazione dell’articolo 4 della legge n. 544 del 1988, ha previsto con effetto dal 1° gennaio 1989, per le pensioni INPDAI, aventi decorrenza anteriore al 1° gennaio 1988, una rivalutazione con l’applicazione di un certo coefficiente su un importo pari al 67 per cento dell’ammontare della pensione massima liquidabile al 1° gennaio 1989. Il coefficiente da applicare è pari al rapporto tra la misura della pensione spettante alla data di decorrenza, o di riliquidazione, e l’ammontare della pensione massima liquidabile. L’incremento annuo non poteva in ogni caso essere inferiore a lire 2.000.000.
Infine il d.p.r. n. 294 del 1991, di cui si è detto già con riferimento all’articolo 2, ha stabilito un ulteriore aumento per le pensioni con decorrenza dal 31 dicembre 1990.
Si osserva che andrebbe valutata l’effettiva opportunità della previsione del riassorbimento anche relativamente al d.p.r. 294 del 1991, poiché tale decreto prevede la rivalutazione, con decorrenza 1° gennaio 1991, di tutte le pensioni liquidate prima del 31 dicembre 1990. Inoltre, con riferimento alle pensioni aventi decorrenza anteriore al 1° luglio 1982, tale previsione appare non coordinata con l’articolo 2, che invece prevede che ai fini della riliquidazione si applichino proprio i coefficienti di cui al d.p.r. 294 del 1991.
Articolo 4
(Aumenti sulle pensioni ai
superstiti)
L’articolo in esame prevede che gli aumenti disposti ai sensi del provvedimento si applicano sulle pensioni ai superstiti in misura ridotta, secondo le corrispondenti aliquote previste dalla normativa vigente rispetto alle pensioni dirette.
Si osserva che, dal punto di vista della formulazione, sarebbe opportuno sostituire le parole “pensioni dirette” con le seguenti “pensioni stesse”.
Secondo le definizioni correnti il trattamento pensionistico ai superstiti individua tutti quei casi in cui la pensione viene erogata ad un destinatario diverso dal soggetto titolare della contribuzione. Più in particolare, nel sistema INPS la "pensione di reversibilità" denomina il trattamento corrisposto agli aventi diritto in caso di morte del pensionato, mentre la "pensione indiretta" denomina quello erogato ai medesimi soggetti in caso di morte dell'assicurato che ha maturato i requisiti contributivi minimi per la pensione di vecchiaia (o per quella di invalidità). Nel “sistema Stato”, che costituisce la più importante forma previdenziale esclusiva, rispetto a quella del regime di Assistenza Generale Obbligatoria (A.G.O.), la denominazione "pensione di reversibilità" ricomprende sia il trattamento ai superstiti del dipendente deceduto in attività di servizio, sia quello spettante ai superstiti del pensionato.
Il sistema dei trattamenti indiretti e di reversibilità INPS è disciplinato come segue dall'articolo 13 del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, come modificato dall'articolo 22 della L. 21 luglio 1965, n. 903.
Presupposto del trattamento è la sopravvivenza dei superstiti a carico del lavoratore al momento della morte di quest’ultimo. Tale requisito è presunto per i figli minori, mentre per gli altri soggetti è subordinato a prova. Nessuna condizione soggettiva è richiesta per il coniuge.
In particolare, sono soggetti beneficiari (L. 153 del 1969, articolo 24):
1) Il coniuge superstite (v. anche L. 903 del 1977, articolo 11):
non è prevista alcuna condizione soggettiva ai fini della fruizione della pensione. In particolare, il coniuge ha diritto alla pensione indiretta o di reversibilità anche se separato per colpa o con addebito della separazione con sentenza passata in giudicato, a condizione che abbia diritto ad usufruire degli alimenti.
Nel caso in cui il coniuge sia divorziato, il diritto alla pensione di reversibilità se sussistono le seguenti condizioni:
- assenza di un coniuge superstite avente titolo alla pensione stessa o esistenza di un coniuge superstite privo di titoli alla prestazione (se separato con colpa o con addebito della separazione con sentenza passata in giudicato, senza diritto agli alimenti);
- titolarità dell’assegno di divorzio;
- assenza di nuove nozze;
- anteriorità della data di inizio del rapporto assicurativo dell’assicurato o del pensionato rispetto alla data della sentenza di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio;
- perfezionamento, in caso di decesso dell’assicurato, dei requisiti di assicurazione e contribuzione stabiliti dalla legge.
Nel caso in cui il coniuge superstite muoia o contragga nuovo matrimonio, il coniuge divorziato titolare di una quota della pensione di reversibilità ha diritto all’intero trattamento.
Infine, nel caso in cui il lavoratore deceduto abbia contratto un secondo matrimonio, la pensione di reversibilità spetta sia al coniuge divorziato sia al coniuge superstite, a condizione che entrambi abbiano i requisiti richiesti.
2) I figli (v. anche R.D.L. 636 del1939, articolo 13):
La pensione ai superstiti spetta ai figli legittimi, legittimati o equiparati, che si trovino alla data del decesso del genitore in una di queste situazioni:
- età minore di 18 anni;
- studenti fino a 21 anni, se frequentano una scuola media o professionale; per la durata del corso legale, ma non oltre 26 anni, se frequentano l'università ;
- inabili a qualunque età, se inabili al lavoro e finché duri l'inabilità (lo svolgimento di una attività lavorativa determina la sospensione della pensione di invalidità ma non di quella di reversibilità).
La Corte costituzionale ha stabilito (C. Cost., 20 maggio 1999, n. 80) l’equiparazione dei nipoti ai figli, anche in assenza di adozione o affidamento, purché sia provata la vivenza a carico dell’ascendente deceduto.
3) I genitori (v. anche R.D.L. 636 del1939, articolo 13):
I genitori hanno diritto ad una quota della pensione ai superstiti solamente in caso di mancanza sia del coniuge sia dei figli. Devono inoltre avere più di 65 anni, non possedere titolarità di altre pensioni (non rilevano in proposito le pensioni di guerra e gli assegni di natura assistenziale) e la vivenza deve essere a carico del pensionato o dell’assicurato alla data del decesso.
I genitori naturali sono equiparati a quelli legittimi.
4) I fratelli celibi e le sorelle nubili (v. anche R.D.L. 636 del1939, articolo 13):
Hanno diritto alla pensione se non esistano o non abbiano diritto alla pensione il coniuge, i figli superstiti e i genitori, risultino permanentemente inabili al lavoro, anche si di età inferiore a 18 anni e a carico del deceduto alla data della sua morte, non siano titolari di un trattamento pensionistico.
La pensione ai superstiti è liquidata nel caso in cui (D.Lgs. 503 del 1992, articolo 2):
- il deceduto era titolare di pensione di vecchiaia o anzianità o di inabilità;
- l’assicurato aveva raggiunto, al momento del decesso, i requisiti contributivi per le prestazioni di invalidità o quelli richiesti per le pensioni di vecchiaia.
La decorrenza per la fruizione della pensione è fissata al primo giorno del mese successivo a quello in cui si è verificato il decesso, qualunque si la data di presentazione della domanda.
Le aliquote percentuali per determinare l’importo della pensione variano a seconda della tipologia dei superstiti e della composizione del nucleo familiare:
- 60% per il coniuge;
- 20% per ciascun figlio, se ha diritto alla pensione anche il coniuge;
- - 40% per ciascun figlio, se hanno diritto alla pensione solamente i figli. L’aliquota scende ad un terzo ciascuno se i figli sono tre, mentre sale al 60% se è superstite un solo figlio;
- - 15% per ciascun genitore, fratello o sorella.
Il diritto alla pensione cessa nel caso in cui:
- il coniuge si risposi;
- i figli minori conseguano la maggiore età;
- i figli studenti o universitari finiscano o interrompano gli studi o raggiungano il limite di età, ovvero inizino un’attività lavorativa;
- i genitori conseguano un’altra pensione;
- i fratelli o le sorelle conseguano un’altra pensione, si sposino o venga meno lo stato di inabilità.
Nel caso in cui il soggetto assicurato muoia prima di aver maturato il diritto alla pensione, a favore del coniuge superstite è concessa una indennità “una tantum”, pari a 45 volte i contributi versati, a condizione che nel quinquiennio precedente il decesso risulti accreditato almeno un anno di contribuzione.
L’indennità spetta ai figli in caso di assenza del coniuge, purché sussistano i requisiti soggettivi per il diritto alla pensione.
Nel sistema contributivo, ai sensi dell’articolo 1, comma 20, della L. 335 del 1995 l’indennità “una tantum” spetta ai superstiti che non abbiano diritto a rendita per infortunio sul lavoro o per malattie professionali per lo stesso evento e che abbiano diritto all’assegno sociale.
Articolo 5
(Domanda di riliquidazione)
L’articolo in esame dispone che, per godere della riliquidazione e dei miglioramenti previsti dagli articoli precedenti, gli interessati devono presentare domanda all’INPS entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge.
Articolo 6
(Copertura finanziaria)
L’articolo in esame dispone in merito alla copertura finanziaria, quantificando gli oneri in 90 milioni di euro a decorrere dal 2004 e riducendo in maniera corrispondente i fondi speciali del Ministero dell’economia.
Si osserva che i riferimenti alle annualità di bilancio appaiono superati, facendo riferimento al 2004.
N. 5307
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CAMERA DEI DEPUTATI ¾¾¾¾¾¾¾¾ |
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PROPOSTA DI LEGGE |
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d’iniziativa del deputato COSTA, ARNOLDI, BUONTEMPO, CARLUCCI, COLLAVINI, DELL'ANNA, FALLICA, FRAGALÀ, DANIELE GALLI, GALLO, LENNA, LUCCHESE, GIANNI MANCUSO, MANINETTI, MILANESE, MISURACA, MORETTI, NESI, PACINI, PARODI, PATRIA, PERLINI, PERROTTA, PINTO, RAISI, RAMPONI, RANIELI, RICCIUTI, RIVOLTA, ROMOLI, ANTONIO RUSSO, SANTORI, SANZA, SARO, SAVO, SELVA, SGARBI, TARDITI, TUCCI, ALFREDO VITO, ZACCHERA, ZAMA ¾ |
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Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici dei dirigenti d'azienda
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Presentata il 29 settembre 2004
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Onorevoli Colleghi! - I dirigenti di aziende industriali in quiescenza fruiscono di una pensione - già erogata dall'Istituto nazionale di previdenza per i dirigenti di aziende industriali (INPDAI) e dal 1o gennaio 2003 dall'Istituto nazionale della previdenza sociale - che è calcolata sulla media della retribuzione pensionabile degli ultimi anni presi in considerazione sulla base delle disposizioni legislative succedutesi nel tempo.
La retribuzione dei dirigenti di aziende industriali è soggetta a contribuzione ed è «pensionabile» soltanto nel limite di un massimale fissato periodicamente con un provvedimento del Ministro del lavoro e delle politiche sociali ad ogni rinnovo contrattuale: la parte della retribuzione eccedente il tetto massimo non è, pertanto, assoggettata al contributo previdenziale e non viene computata ai fini del calcolo della pensione.
L'importo del massimale è stato fino alla metà degli anni settanta di valore pari a 2,5/3 volte il minimo contrattuale, così che la quasi totalità della retribuzione risultava contenuta al di sotto del medesimo restando interamente assoggettata a contributi: in tale modo era assicurata una sostanziale equità.
In seguito ai rinnovi contrattuali successivi al 1974, il minimo definito dal contratto collettivo nazionale di lavoro è stato progressivamente incrementato in relazione all'andamento del costo della vita, mentre il massimale non è stato adeguato con uguale dinamica: in particolare, dal 1980 i due valori si sono avvicinati quasi a coincidere, con la conseguenza che quote sempre maggiori delle retribuzioni effettive, ormai ben al di sopra dei massimali stabiliti, sono state escluse dal calcolo della pensione.
Questa situazione anomala ha determinato un appiattimento sempre più sensibile delle pensioni erogate.
Il problema, seppure di diversa origine, si presenta analogo, quanto ad effetti, al tema più generale dei «tetti pensionistici», dove il crescente divario tra retribuzione imponibile e limite massimo di retribuzione annua pensionabile ha determinato una compressione sempre maggiore dei trattamenti pensionistici.
Ma se per le altre categorie di lavoratori l'articolo 21 della legge 11 marzo 1988, n. 67 (nell'interpretazione adeguatrice datane dalla Corte costituzionale con sentenza n. 72 del 1990) ha definitivamente corretto le distorsioni del sistema dei «tetti pensionistici», non altrettanto può dirsi per i dirigenti di aziende industriali, esclusi dall'applicabilità di queste norme e causa della peculiarità del loro sistema previdenziale.
Non è servito a dare soluzione al problema il decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 maggio 1988, n. 160, il quale per la verità ha complicato ancora più la questione marcando maggiormente la disparità di trattamento già esistente tra i dirigenti andati in pensione prima del 1o gennaio 1988 e quelli andati in pensione dopo tale data.
Secondo quanto previsto dall'articolo 3, comma 2-bis, del citato decreto-legge n. 86 del 1988, infatti, il calcolo delle retribuzioni pensionabili viene effettuato in relazione al quinquennio precedente di contribuzione e, a partire dal 1o gennaio 1988, le pensioni dei dirigenti sono calcolate entro un limite del doppio dei massimali vigenti nel quinquennio anteriore a tale data; il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 25 luglio 1988, n. 422 - attuativo del citato comma 2-bis - ha disposto, inoltre, che i massimali fossero presi in considerazione tout court per il doppio del loro importo, senza alcun aggravio contributivo per i beneficiari.
Pertanto, mentre i dirigenti collocati in pensione fino al dicembre 1987 hanno avuto un trattamento di quiescenza calcolato con riferimento ai soli massimali vigenti negli anni presi in considerazione per il calcolo delle pensioni, i colleghi pensionati dal 1o gennaio 1988 si sono giovati di un importo raddoppiato dei medesimi massimali, senza che per questo abbiano versato maggiori contributi: tutto ciò ha comportato un trattamento economico nettamente diversificato.
A partire dal 1o gennaio 1988, peraltro, sono entrati in vigore i nuovi massimali (più elevati) che hanno preso a divergere nuovamente in modo sensibile dai minimi contrattuali, ripristinando la situazione antecedente agli anni '70; ai contributi versati nel medesimo arco di tempo (quinquennio 1983-1987) è stato attribuito un valore doppio a valere esclusivamente per il computo delle pensioni aventi decorrenza dal 1o gennaio 1988 in poi: il quinquennio considerato era lo stesso per i pensionati ante e post 1988, ma - pur godendo di massimali raddoppiati - questi ultimi avevano versato gli stessi contributi.
Una analoga considerazione va fatta per i pensionati INPDAI anteriormente al quinquennio 1983-1987: coloro che sono andati in pensione prima del 1o gennaio 1983, infatti, sono stati danneggiati dalla compressione dei massimali e quindi delle pensioni, con l'aggravante che fino al 1984 questi trattamenti pensionistici sono stati oggetto di una perequazione automatica in quota fissa ovvero completamente indipendente dall'importo della pensione percepita con un conseguente appiattimento della stessa.
La stessa citata sentenza della Corte costituzionale n. 72 del 1990 sottolinea il carattere «illogico» e «ingiustificato» di quanto disposto dal decreto-legge n. 86 del 1988 e la necessità per il legislatore di procedere - da un lato - ad «un intervento di razionalizzazione complessiva della materia volto a ripristinare la legittimità costituzionale del tessuto normativo» e - dall'altro - a provvedere ad armonizzare l'andamento dei trattamenti pensionistici in questione.
Se, dunque, dal 1995 in poi - attraverso vari interventi normativi finalizzati a riformare il sistema previdenziale in Italia - si è tentato di porre mano alla razionalizzazione del sistema, con la presente proposta di legge si vuole eliminare la causa della ingiustificata disparità operata ai danni di alcune categorie di pensionati INPDAI.
Tale obiettivo comporta la necessità di fissare al 250 per cento il rapporto tra minimale e massimale ai fini contributivi e pensionistici da osservare ad ogni rinnovo contrattuale; il completo adeguamento delle pensioni all'effettivo andamento del costo della vita e della dinamica retributiva; di attenuare, infine, le differenze dei trattamenti pensionistici - a parità di requisiti - derivanti dalla diversa decorrenza: a questo proposito viene esteso il calcolo applicato alle pensioni aventi decorrenza dal 1o gennaio 1988 anche a quelle con decorrenza compresa tra luglio 1982 e dicembre 1987 e viene operato il ripristino di equa corrispondenza tra i trattamenti pensionistici aventi decorrenza anteriore al 1o luglio 1982 e quelli con decorrenza successiva.
proposta di legge ¾¾¾
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Art. 1.
1. Ai trattamenti pensionistici già a carico dell'Istituto nazionale di previdenza per i dirigenti di aziende industriali, aventi decorrenza, originaria o di riliquidazione ai sensi dell'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 8 gennaio 1976, n. 58, compresa tra il 1o luglio 1982 e il 31 dicembre 1987, si applicano i miglioramenti previsti ai sensi dei commi 2 e 2-bis dell'articolo 3 del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86, convertito, con modificazioni, della legge 20 maggio 1988, n. 160. 2. I trattamenti pensionistici riliquidati ai sensi del comma 1 secondo le modalità applicative stabilite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da emanare entro un mese dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono soggetti alla disciplina della perequazione automatica dalla data di decorrenza originaria.
Art. 2.
1. I trattamenti pensionistici aventi decorrenza anteriore al 1o luglio 1982 sono riliquidati, con l'applicazione dei coefficienti calcolati ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 agosto 1991, n. 294, secondo le modalità di cui all'articolo 1 della presente legge.
Art. 3.
1. La riliquidazione delle pensioni effettuata ai sensi degli articoli 1 e 2 della presente legge riassorbe gli aumenti disposti ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 1987, n. 32, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 ottobre 1989, n. 369, e del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 agosto 1991, n. 294.
Art. 4.
1. Gli aumenti disposti ai sensi della presente legge si applicano sulle pensioni ai superstiti in misura ridotta secondo le corrispondenti aliquote di determinazione delle pensioni dirette.
Art. 5.
1. Ai fini del godimento della riliquidazione e dei miglioramenti disposti dalla presente legge, gli interessati devono presentare domanda presso le sedi dell'Istituto nazionale della previdenza sociale entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
Art. 6.
1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, valutato in 90 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2004, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero. 2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
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[1] Il decreto è stato successivamente modificato dal decreto legislativo 29 giugno 1998, n. 278, recante “Disposizioni correttive dei decreti legislativi 16 settembre 1996, n. 564, 24 aprile 1997, n. 181 e 30 aprile 1997, numeri 157, 180 e 184 in materia pensionistica”.
[2] Fonte: INPS
[3] Norme integrative della legge 27 dicembre 1953, n. 967.
[4] Lire 155.181.000 annue.
[5] Lire 51.727.000 annue.
[6] Lire 155.181.000 annue.
[7] Lire 51.727.000 annue.
[8] Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'articolo 3 della L. 23 ottobre 1992, n. 421.