XIV Legislatura - Dossier di documentazione | |||
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento lavoro | ||
Titolo: | Contrattazione del trattamento economico del personale in quiescenza del pubblico impiego - A.C. 2290 | ||
Serie: | Progetti di legge Numero: 819 | ||
Data: | 17/10/05 | ||
Organi della Camera: | XI-Lavoro pubblico e privato | ||
Riferimenti: |
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Servizio studi |
progetti di legge |
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Contrattazione del trattamento economico del personale in quiescenza del pubblico impiego A.C. 2290
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n. 819
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xiv legislatura 17 ottobre 2005 |
Camera dei deputati
Dipartimento Lavoro
SIWEB
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Scheda di sintesi per l’istruttoria legislativa
Elementi per l’istruttoria legislativa
§ Necessità dell’intervento con legge
§ Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite
§ Rispetto degli altri princìpi costituzionali
§ Incidenza sull’ordinamento giuridico
§ Impatto sui destinatari delle norme
Normativa nazionale
§ L. 30 aprile 1969, n. 153. Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale. (art. 19)
§ D.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1388. Istituzione del casellario centrale dei pensionati.
§ D.L. 22 dicembre 1990, n. 409. Disposizioni urgenti in tema di perequazione dei trattamenti di pensione nei settori privato e pubblico.
§ D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503. Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'articolo 3 della L. 23 ottobre 1992, n. 421. (art. 11)
§ L. 27 dicembre 1997, n. 449. Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica. (art. 59, comma 3)
§ L. 23 dicembre 1998, n. 448. Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo. (art. 34, commi 1-4)
§ D.M. 20 novembre 2004. Perequazione automatica delle pensioni per l'anno 2004. Valore definitivo per l'anno 2003.
Corte Costituzionale
§ Sentenza, del 23 gennaio 2004, n. 30
Atto di indirizzo
§ Ordini del giorno 9/2145-B/4 - Biondi, Nan.
Numero del progetto di legge |
A.C. 2290 |
Titolo |
Disposizioni in materia di contrattazione del trattamento economico del personale in quiescenza del pubblico impiego |
Iniziativa |
On. Publio Fiore |
Settore d’intervento |
Previdenza |
Iter al Senato |
no |
Numero di articoli |
1 |
Date |
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§ presentazione o trasmissione alla Camera |
6 febbraio 2002 |
§ annuncio |
7 febbraio 2002 |
§ assegnazione |
15 aprile 2002 |
Commissione competente |
11ª Lavoro pubblico e privato |
Sede |
Referente |
Pareri previsti |
1ª Affari costituzionali |
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5ª Bilancio |
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Questioni regionali |
La proposta di legge in esame, che consta di un unico articolo, prevede che, nell’ambito della contrattazione collettiva relativa al trattamento economico dei pubblici dipendenti, venga specificamente previsto l’adeguamento dei trattamenti pensionistici corrisposti al personale in quiescenza. In tal modo verrebbero garantite ai pensionati le medesime condizioni economiche del personale in servizio e si ridurrebbe il fenomeno per cui i pensionati di una medesima gestione, seppur con gli stessi requisiti contributivi, percepiscono pensioni di importo anche molto diverso a seconda dell’annualità di liquidazione delle pensioni (cd. pensioni d’annata).
L’intervento con legge si rende necessario dovendo modificare fonti normative di rango primario, tra cui quelle che disciplinano la contrattazione collettiva nel pubblico impiego (decreto legislativo n. 165 del 2001) e quelle sulla perequazione automatica delle pensioni (art. 11 del decreto legislativo n. 503 del 1992).
Lo schema di decreto, disciplinando la rivalutazione delle pensioni, riguarda una materia riconducibile alla potestà esclusiva dello Stato, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera o), della Costituzione (“previdenza sociale”).
Il provvedimento, essendo volto ad assicurare una pensione adeguata al crescere del costo della vita, appare coerente con l’articolo 38 della Costituzione, secondo cui i lavoratori hanno diritto a mezzi adeguati alle loro esigenze di vita, tra l’altro, nel caso di invalidità e vecchiaia.
Inoltre, il provvedimento potrebbe servire ad eliminare o almeno ridurre le disparità di trattamento di fatto derivanti dalle “pensioni di annata”, per cui potrebbe inquadrarsi anche nell’ambito dell’articolo 3 della Costituzione (principio di uguaglianza).
Il provvedimento attribuisce alla contrattazione collettiva del settore pubblico il compito di adeguare anche il trattamento economico del personale in quiescenza. Poiché il comma 2 prevede che i trattamenti pensionistici sono adeguati automaticamente alla dinamica retributiva, andrebbe chiarito il ruolo della contrattazione collettiva nell’attuazione di tale principio, in particolare se la contrattazione mantenga una certa discrezionalità a tal fine, anche per quanto riguarda la misura dell’aggancio delle pensioni alle retribuzioni o se invece sia vincolata a rivalutare le pensioni in misura integrale al crescere delle retribuzioni.
Il provvedimento, come sopra visto, attribuisce al CCNL del pubblico impiego il compito di fissare l’importo delle pensioni del personale in quiescenza, agganciandolo al trattamento del personale in attività.
Il provvedimento interviene indirettamente sulla disciplina della perequazione automatica delle pensioni, senza peraltro novellare le relative disposizioni.
L'istituto della perequazione automatica – introdotto dall’art. 19 della Legge n. 153/1969 e da ultimo disciplinato dall'art. 11 del D.Lgs. n. 503 del 1992, come modificato dall'art. 14 della L. n. 724/1994 -, costituisce il meccanismo di adeguamento della misura dei trattamenti delle forme pensionistiche obbligatorie.
In base alla normativa vigente gli aumenti a titolo di perequazione automatica sono calcolati applicando all'importo della pensione spettante alla fine di ciascun periodo la percentuale di variazione che si determina rapportando il valore medio dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per famiglie di operai ed impiegati, relativo all'anno precedente il mese di decorrenza dell'aumento, all'analogo valore medio relativo all'anno precedente.
La percentuale di variazione si applica al:
· 100% per le pensioni sulla fascia di importo fino a 3 volte il trattamento minimo INPS in vigore immediatamente prima dell’aumento;
· 90% per la fascia compresa tra 3 e 5 volte la pensione minima INPS;
· 75% per la fascia eccedente l’importo pari a 5 volte la pensione minima INPS.
Con effetto dal 1° gennaio 2009, infine, i predetti aumenti saranno stabiliti nel limite di un punto percentuale della base imponibile a valere sulle fasce di pensione fino a 5.164,57 euro annui (legge n. 335/1995, art, 1, comma 33); le pensioni superiori a tale limite non saranno quindi adeguate al costo della vita.
Si ricorda inoltre che l'art. 34, commi 1-4, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, ha disposto che, a decorrere dal 1° gennaio 1999, il meccanismo di perequazione automatica si applichi tenendo conto dell'importo complessivo dei diversi trattamenti pensionistici eventualmente percepiti dal medesimo soggetto. Tale norma concerne i trattamenti pensionistici delle forme previdenziali relative a lavoratori dipendenti (pubblici e privati) e ai lavoratori autonomi iscritti a gestioni INPS nonché dei fondi integrativi ed aggiuntivi di cui al primo periodo del comma 3 dell'art. 59 della L. 27 dicembre 1997, n. 449 .
Il provvedimento, inoltre, affida alla contrattazione collettiva del personale in attività il compito di aggiornare l’importo delle pensioni del personale in quiescenza, senza peraltro un adeguato coordinamento con la disciplina appositamente prevista per le modalità e le procedure della contrattazione collettiva dal decreto legislativo n. 165 del 2001 (articoli 40 e seguenti), che andrebbe a tal fine espressamente richiamata.
Si ricorda che, in materia di perequazione automatica, sono attualmente all’esame della XI Commissione in sede referente le proposte di legge C. 1666 ed abbinate, recanti norme relative al computo dell’indennità integrativa speciale nella determinazione della buonuscita dei pubblici dipendenti. Si tratta di provvedimenti che modificano, in particolare, alcune disposizioni della Legge n. 87 del 29 gennaio 1994, recante appunto norme relative al computo appunto della IIS nella determinazione dell’indennità di buonuscita dei pubblici dipendenti.
La ratio delle proposte in esame è quella di estendere l’applicazione della disciplina prevista dalla Legge 87 del 1994 a quei dipendenti pubblici che, al momento della sua entrata in vigore, erano già cessati dal servizio in data anteriore al 30 novembre 1984.
Si ricorda inoltre che nel calendario dei lavori della XI Commissione è previsto l’inizio dell’esame in sede referente della proposta di legge C. 5977 Biondi ed altri recante “Disposizioni per la rivalutazione delle pensioni in relazione alle variazioni del potere di acquisto della moneta”. La proposta di legge interviene sul meccanismo di adeguamento delle pensioni (non solamente di quelle dei pubblici dipendenti) in relazione alle variazioni del potere d’acquisto della moneta, rivedendo la disciplina della cd. “perequazione automatica”, in modo da renderlo più efficace e più idoneo ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia una pensione che cresca in corrispondenza dell’aumentare del costo della vita.
Il provvedimento, agganciando la pensioni alla dinamica salariale, farebbe beneficiare i pensionati di una maggiore rivalutazione delle pensioni in corrispondenza della crescita del costo della vita e quindi garantirebbe la disponibilità di mezzi più adeguati per le loro esigenze vitali. Inoltre potrebbero essere ridotte le disparità di trattamento derivanti dalle “pensioni d’annata”, cioè la penalizzazione di alcune pensioni anche a causa dei fenomeni inflattivi.
Si osserva che andrebbe chiarito se le modalità di adeguamento delle pensioni introdotte dal provvedimento riguardano tutti i pubblici dipendenti o, al contrario, avvenendo nell’ambito della contrattazione collettiva, siano limitate al personale contrattualizzato. In tal caso ne deriverebbe che per il personale in regime di diritto pubblico continua ad applicarsi la vigente normativa. Per evitare una penalizzazione di tale personale, sarebbe da valutare l’opportunità di introdurre un meccanismo analogo di aggancio delle pensioni alle retribuzioni anche se al di fuori della contrattazione.
Il testo dovrebbe coordinarsi con le disposizioni del decreto legislativo n. 165 del 2001 relative alla contrattazione collettiva nel pubblico impiego, disciplinando con più compiutezza la procedura, le modalità e le competenze. A tal fine sarebbe più opportuno intervenire direttamente novellando il decreto legislativo su citato.
Sarebbe inoltre opportuno coordinare il provvedimento con la disciplina della perequazione automatica, introdotta dall’art. 19 della Legge n. 153/1969 e da ultimo disciplinata dall'art. 11 del D.Lgs. n. 503 del 1992, come modificato dall'art. 14 della L. n. 724/1994. Andrebbe infatti chiarito il rapporto tra la perequazione automatica, attualmente prevista per rivalutare le pensioni in base agli indici ISTAT che misurano la perdita di potere d’acquisto della moneta, e il meccanismo che il testo in esame intende introdurre, che invece “aggancerebbe” le pensioni alla dinamica retributiva.
Si osserva inoltre che la proposta in esame non reca una quantificazione degli oneri derivanti dalle disposizioni del comma 1, e conseguentemente non prevede una norma di copertura dei medesimi.
La proposta di legge in esame, che consta di un unico articolo, prevede che, nell’ambito della contrattazione collettiva relativa al trattamento economico dei pubblici dipendenti, venga specificamente previsto l’adeguamento dei trattamenti pensionistici corrisposti al personale in quiescenza.
L’elemento più rilevante della privatizzazione dei dipendenti pubblici consiste nella previsione della fonte contrattuale, sia collettiva sia individuale[1], come strumento per la regolamentazione del rapporto di lavoro. La contrattazione collettiva, espressamente disciplinata dal titolo III del D.Lgs. 165/2001, si svolge su tutte le materie relative al rapporto di lavoro ed alle relazioni sindacali[2]. Ad essa spetta la competenza di disciplinare, in coerenza con il settore privato, la durata dei contratti collettivi nazionali ed integrativi, la struttura contrattuale e i rapporti tra i diversi livelli.
Nella procedura per la stipulazione dei contratti collettivi di lavoro dei dipendenti pubblici, la pubblica amministrazione è rappresentata dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN)[3], come controparte dei sindacati rappresentativi dei dipendenti pubblici.
Le pubbliche amministrazioni esercitano il potere di indirizzo nei confronti dell’ARAN e intervengono nelle varie fasi della procedura che porta alla sottoscrizione definitiva del contratto collettivo nazionale attraverso appositi Comitati di settore. In particolare, per le amministrazioni, le agenzie e le aziende autonome dello Stato, opera come Comitato di settore il Presidente del Consiglio tramite il Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro dell’economia ovvero, per il sistema scolastico, di concerto con il Ministro dell’istruzione.
La contrattazione collettiva si effettua per compartie si articola in vari livelli, secondo una gerarchia discendente delle fonti contrattuali[4]:
§ gli accordi quadro, che hanno il compito di individuare, per settori omogenei o affini, i comparti per ognuno dei quali dovranno essere stipulati i contratti collettivi nazionali;
§ i contratti collettivi nazionali di comparto, cui è deferita la competenza generale, e nel cui ambito possono essere previste discipline differenziate per le specifiche tipologie professionali e per le figure professionali che, in posizione di elevata responsabilità, svolgono compiti di direzione o attività professionali oppure tecnico - scientifiche e di ricerca;
§ i contratti collettivi integrativi, destinati a regolare le materie loro demandate dai contratti collettivi nazionali nei limiti da questi ultimi stabiliti.
Sono inoltre costituite autonome separate aree di contrattazione per i dirigenti, relativamente a uno o più di uno dei comparti in cui si svolge la contrattazione collettiva nazionale.
L’ARAN, in qualità di rappresentante della pubblica amministrazione, procede alla definizione dei contratti collettivi sulla base degli indirizzi deliberati dai Comitati di settore prima di ogni rinnovo contrattuale e negli altri casi in cui è richiesta una attività negoziale dell’ARAN. L’ARAN tiene informati costantemente i Comitati di settore e il Governo sullo svolgimento delle trattative; una volta raggiunta l’ipotesi di accordo, l’ARAN acquisisce il parere favorevole del Comitato di settore (o, per le amministrazioni, le agenzie e le aziende autonome dello Stato, del Ministro per la funzione pubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri) sul testo dell’accordo e sugli oneri finanziari che ne conseguono a carico dei bilanci delle amministrazioni interessate. L’ipotesi di accordo viene quindi trasmessa alla Corte dei conti per la valutazione dei costi contrattuali e la verifica dell’attendibilità della loro quantificazione e della compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio. Qualora la verifica dia esito positivo, l’ARAN sottoscrive definitivamente il contratto; in caso contrario, l’ARAN o consulta il Comitato di settore o il Presidente del Consiglio e assume le misure per adeguarsi alla pronuncia della Corte dei conti, oppure, ove non ritenga che ciò sia possibile, riapre la negoziazione con le organizzazioni sindacali. La procedura di certificazione deve comunque concludersi entro 40 giorni dall’ipotesi di accordo, decorsi i quali il Presidente dell’ARAN ha mandato di sottoscrivere definitivamente il contratto collettivo, salvo che non si renda necessaria la riapertura delle trattative per le ragioni suesposte.
Ai contratti e agli accordi collettivi nazionali sottoscritti definitivamente è data pubblicità attraverso la loro pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.
Si osserva che andrebbe chiarito se le modalità di adeguamento delle pensioni introdotte dal provvedimento riguardano tutti i pubblici dipendenti o, al contrario, avvenendo nell’ambito della contrattazione collettiva, siano limitate al personale contrattualizzato. In tal caso ne deriverebbe che per il personale in regime di diritto pubblico continua ad applicarsi la vigente normativa. Per evitare una penalizzazione di tale personale, sarebbe da valutare l’opportunità di introdurre un meccanismo analogo di aggancio delle pensioni alle retribuzioni anche se al di fuori della contrattazione.
Si ricorda che l’articolo 3 del decreto legislativo n. 165 del 2003 prevede che alcune categorie di personale[5] rimangano disciplinati dai rispettivi ordinamenti e quindi rimangano in regime di diritto pubblico, in deroga ai commi 2 e 3 dell’articolo 2, che invece, disponendo la “privatizzazione” del rapporto di pubblico impiego, prevedono che i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dal codice civile e dalle legge sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa e sono regolati contrattualmente.
In base al meccanismo che il provvedimento introduce, si intende garantire ai pensionati le medesime condizioni economiche del personale in servizio al fine di ridurre il fenomeno per cui i pensionati di una medesima gestione, seppur con gli stessi requisiti contributivi, percepiscono pensioni di importo anche molto diverso a seconda dell’annualità di liquidazione delle pensioni (cd. pensioni d’annata).
Il fenomeno delle cd. “pensioni d’annata” concerne le pensioni, prevalentemente liquidate in data anteriore al 1988, che hanno subito una penalizzazione, nel corso degli anni, rispetto al potere d'acquisto garantito dalla normale dinamica economica. Tali trattamenti pensionistici, infatti, hanno risentito sia dell’andamento economico, sia di alcuni interventi legislativi, che insieme hanno determinato, soprattutto nel corso degli anni ’70, un legame non organico dei trattamenti pensionistici all’effettivo aumento del costo della vita. Nell’arco temporale di riferimento, infatti, la pensione era calcolata sulle retribuzioni dell’ultimo anno (settore pubblico) o degli ultimi 5 anni (come nell’assicurazione generale obbligatoria). Tale sistema, legato all’importante processo inflattivo che caratterizzò quegli anni, generò sia situazioni positive, che si verificavano quando le retribuzioni subivano innalzamenti più elevati, in relazione alla situazione economica del momento o al successo delle richieste delle parti sociali, sia situazioni negative, caratterizzate da contesti di segno opposto rispetto a quelli in precedenza richiamati. Tutto ciò comportò una realtà in cui i trattamenti pensionistici di professioni analoghe e con anzianità pressoché uguale risultarono di fatto molto diversi tra loro in relazione al momento in cui furono liquidati i trattamenti stessi.
Le pensioni “d’annata” sono state rivalutate con il D.L. n. 409/1990, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 59/1991, che ha stabilito l'immediata riliquidazione dei trattamenti pensionistici dei dipendenti pubblici e privati, al fine di perequare gli importi ed il correlato potere reale di acquisto.
In questo contesto, la Corte Costituzionale ha più volte affermato (sentenze nn. 173 del 1986, 119 del 1992, 226 del 1993, 409 del 1993) che il principio di adeguatezza e proporzionalità della pensione, di cui al richiamato articolo 36 della Costituzione, pur non traducendosi necessariamente in un rigido meccanismo di perequazione – il quale comporti che sia garantita in ogni caso l’integrale corrispondenza fra retribuzione e pensione - richiede però, una “commisurazione del trattamento di quiescenza al reddito percepito in costanza di rapporto di lavoro”.
Da ultimo, con la sentenza n. 30 del 23 gennaio 2004, la Suprema Corte ha affermato che “se questa recente evoluzione legislativa è chiaramente orientata nel senso di salvaguardare nel tempo il potere d’acquisto e l’adeguatezza dei trattamenti pensionistici unicamente attraverso il meccanismo della perequazione automatica dell’importo alle variazioni del costo della vita, essa risulta sostanzialmente anche coerente sia con il prevalente carattere contributivo assunto dal sistema pensionistico a seguito della riforma introdotta dalla legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), sia anche con la profonda riforma che ha interessato il pubblico impiego ed in particolare la dirigenza pubblica, il cui trattamento economico è, per la parte accessoria, correlato alle funzioni attribuite, alle connesse responsabilità ed ai risultati conseguiti (art. 24 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”)”.
La stessa Corte, in merito, ha altresì evidenziato che “mentre tutto ciò rende sempre più difficile riferirsi allo scostamento tra le pensioni e le successive modificazioni dei diversi trattamenti stipendiali, il perdurante necessario rispetto dei principi di sufficienza ed adeguatezza delle pensioni impone al legislatore, pur nell’esercizio del suo potere discrezionale di bilanciamento tra le varie esigenze di politica economica e le disponibilità finanziarie, di individuare un meccanismo in grado di assicurare un reale ed effettivo adeguamento dei trattamenti di quiescenza alle variazioni del costo della vita (ordinanza n. 241 del 2002; ordinanza n. 439 del 2001; ordinanza n. 254 del 2001)”. In relazione a ciò, la Corte Costituzionale ha specificato che “il verificarsi di irragionevoli scostamenti dell’entità delle pensioni rispetto alle effettive variazioni del potere d’acquisto della moneta, sarebbe indicativo della inidoneità del meccanismo in concreto prescelto ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia mezzi adeguati ad una esistenza libera e dignitosa nel rispetto dei principi e dei diritti sanciti dagli artt. 36 e 38 della Costituzione”.
Si rileva che il problema della rivalutazione delle pensioni “d’annata”, oltre ad essere riconosciuto da sentenze della Corte Costituzionale, è stato posto anche in sede di discussione parlamentare della Legge n. 243/2004 : al riguardo il Governo ha accolto l’ordine del giorno 9/2145-B/4 con il quale lo si impegna a “riconoscere l’esistenza della questione e ad adottare iniziative normative”, nonché a prevedere “forme di adeguamento dei trattamenti pensionistici con riferimento anche alla dinamica delle retribuzioni dei lavoratori”.
Sembra quindi che, seppur indirettamente, la proposta di legge intenda introdurre un nuovo meccanismo di adeguamento delle pensioni per i pubblici dipendenti contrattualizzati, non più agganciato agli indici ISTAT sul costo della vita (perequazione automatica) ma piuttosto alla dinamica delle retribuzioni del personale in attività.
Nell’ordinamento vigente, al fine di adeguare l’importo delle pensioni all’aumento del costo della vita, è stato istituito un meccanismo automatico di rivalutazione, la c.d. perequazione automatica, calcolata sulla base degli indici ISTAT sul costo della vita.
L'istituto della perequazione automatica – istituito dall’art. 19 della Legge n. 153/1969 e da ultimo disciplinato dall'art. 11 del D.Lgs. n. 503 del 1992, come modificato dall'art. 14 della L. n. 724/1994, costituisce il meccanismo di adeguamento della misura dei trattamenti delle forme pensionistiche obbligatorie.
In base alla normativa vigente gli aumenti a titolo di perequazione automatica delle pensioni previdenziali ed assistenziali si applicano, con decorrenza dal 1994, sulla base del solo adeguamento al costo vita con cadenza annuale ed effetto dal primo novembre di ogni anno. Tali aumenti sono calcolati applicando all'importo della pensione spettante alla fine di ciascun periodo la percentuale di variazione che si determina rapportando il valore medio dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per famiglie di operai ed impiegati, relativo all'anno precedente il mese di decorrenza dell'aumento, all'analogo valore medio relativo all'anno precedente.
La percentuale di variazione si applica al:
· 100% per le pensioni sulla fascia di importo fino a 3 volte il trattamento minimo INPS in vigore immediatamente prima dell’aumento;
· 90% per la fascia compresa tra 3 e 5 volte la pensione minima INPS;
· 75% per la fascia eccedente l’importo pari a 5 volte la pensioine minima INPS.
Il successivo comma 2 dell’articolo 11 del Decreto 503 ha disposto che ulteriori aumenti possono essere stabiliti con legge finanziaria in relazione all'andamento dell'economia e tenuto conto degli obiettivi rispetto al PIL indicati nell'articolo 3, comma 1, della richiamata L. 421 del 1992, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale.
Con effetto dal 1° gennaio 2009, infine, i predetti aumenti saranno stabiliti nel limite di un punto percentuale della base imponibile a valere sulle fasce di pensione fino a 5.164,57 euro annui (legge n. 335/1995, art, 1, comma 33); lepensioni superiori a tale limite non saranno quindi adeguate al costo della vita.
Si ricorda inolte che l'art. 34, commi 1-4, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, ha disposto che, a decorrere dal 1° gennaio 1999, il meccanismo di perequazione automatica si applichi tenendo conto dell'importo complessivo dei diversi trattamenti pensionistici eventualmente percepiti dal medesimo soggetto. Tale norma concerne i trattamenti pensionistici delle forme previdenziali relative a lavoratori dipendenti (pubblici e privati) e ai lavoratori autonomi iscritti a gestioni INPS nonché dei fondi integrativi ed aggiuntivi di cui al primo periodo del comma 3 dell'art. 59 della L. 27 dicembre 1997, n. 449 .
La riduzione della misura ordinaria di perequazione viene effettuata sui vari trattamenti percepiti dal beneficiario in misura proporzionale al rapporto tra ogni singolo trattamento e l'ammontare complessivo degli stessi. Per l'applicazione delle nuove disposizioni vengono utilizzati i dati e le strutture del Casellario centrale dei pensionati istituito presso l'INPS e regolato dal D.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1388 e successive modificazioni e integrazioni.
Con Decreto emanato dal Ministro dell’Economia, di concerto con il Ministro del lavoro, del 20.11.2004 è stata stabilita una rivalutazione delle pensioni per il 2005 pari all'1,9%, salvo conguaglio da effettuarsi quando scatterà la perequazione automatica per l'anno successivo.
Il parametro di variazione per il calcolo della perequazione automatica delle pensioni per il 2003, con effetto dal 1^ gennaio 2004, è stata confermato nella misura definitiva del 2,5% (pari a quella previsionale).
Si osserva che il testo dovrebbe coordinarsi con le disposizioni del decreto legislativo n. 165 del 2001 relative alla contrattazione collettiva nel pubblico impiego (articoli 40 e seguenti), disciplinando con più compiutezza la procedura, le modalità e le competenze. A tal fine sarebbe più opportuno intervenire direttamente novellando il decreto legislativo su citato.
Sarebbe inoltre opportuno coordinare il provvedimento con la disciplina della perequazione automatica, introdotta dall’art. 19 della Legge n. 153/1969 e da ultimo disciplinata dall'art. 11 del D.Lgs. n. 503 del 1992, come modificato dall'art. 14 della L. n. 724/1994. Andrebbe infatti chiarito il rapporto tra la perequazione automatica, attualmente prevista per rivalutare le pensioni in base agli indici ISTAT che misurano la perdita di potere d’acquisto della moneta, e il meccanismo che il testo in esame intende introdurre, che invece “aggancerebbe” le pensioni alla dinamica retributiva.
Si osserva inoltre che la proposta in esame non reca una quantificazione degli oneri derivanti dalle disposizioni del comma 1, e conseguentemente non prevede una norma di copertura dei medesimi.
N. 2290
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CAMERA DEI DEPUTATI ¾¾¾¾¾¾¾¾ |
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PROPOSTA DI LEGGE |
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d’iniziativa del deputato FIORI ¾ |
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Disposizioni in materia di contrattazione del trattamento economico del personale in quiescenza del pubblico impiego |
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Presentata il 6 febbraio 2002
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Onorevoli Colleghi! - E' noto che gli ex dipendenti pubblici, penalizzati fin dal 1973 da norme che hanno prodotto la creazione delle deprecate cosiddette "pensioni d'annata", non sono stati né sono sufficientemente tutelati sotto l'aspetto giuridico-economico. Sul piano legislativo hanno lungamente atteso un provvedimento che rendesse loro giustizia, eliminando le sempre più macroscopiche sperequazioni, che aumentano sistematicamente ad ogni contratto per il personale in servizio, a causa del mancato aggancio delle pensioni alla dinamica retributiva.
La Camera dei deputati, sollecitata con particolare vigore da organizzazioni sindacali autonome e da molti parlamentari sensibili a un'equa soluzione del problema previdenziale, approvò a stragrande maggioranza la notissima risoluzione del 12 ottobre 1989, con la quale, constatato il permanere di sperequazioni non giustificabili sul piano giuridico e sociale, impegnava il Governo per "(...) un piano di rientro totale delle sperequazioni (...) nell'arco di un quadriennio a partire dal 1^ gennaio 1990, che garantisca uguali trattamenti a parità di condizioni nell'ambito delle rispettive gestioni (...)".
Il Governo dell'epoca, il 3 agosto 1990, presentò al Senato della Repubblica il disegno di legge n. 2583, assai deludente per il pubblico impiego, come è testimoniato da una lettera inviata ai sindacati il 17 ottobre 1990 dallo stesso Presidente del Consiglio dei ministri, Andreotti ("Questo provvedimento avvicinerà i dipendenti privati alla piena perequazione; consisterà per i pubblici in un terzo della perequazione con esclusione dei benefici dell'ultimo contratto collettivo per il triennio 1988/1990 (...)". Il disegno di legge n. 2583 è poi divenuto, con lievi modifiche, la legge 27 febbraio 1991, n. 59, i cui contenuti risultano ben lontani da quelli che erano gli impegni richiesti con la citata risoluzione della Camera dei deputati: modestissimi miglioramenti rateali nell'arco di un quinquennio (con l'ulteriore beffa dell'ultima rata, corrisposta, anziché il 1^ gennaio 1994, soltanto dal 1^ ottobre 1995 ai pensionati statali superstiti). La legge di riordino del sistema pensionistico (legge 8 agosto l995, n. 335) non contiene norme che prevedano il "rientro totale delle sperequazioni" e neppure l'aggancio alla dinamica salariale. Si sono ignorati, così, tanto la risoluzione del 12 ottobre 1989 ("collegamento delle pensioni con benefìci contrattuali o legislativi") quanto il documento della Commissione tecnica per la spesa pubblica del Ministero del tesoro, presieduta dal professor Piero Giarda nell'aprile 1993 ("l'indicizzazione delle pensioni dovrebbe essere commisurata all'andamento dei salari e non all'aumento dei prezzi (...) per evitare il formarsi delle cosiddette "pensioni di annata" (...)".
La legge-quadro sul pubblico impiego, legge 29 marzo 1983, n. 93, prevedeva che soltanto la disciplina del regime retributivo di attività venisse regolamentata in base ad accordi sindacali, sottolineando l'esigenza che gli atti previsti devono ispirarsi ai princìpi delle perequazioni e trasparenza dei trattamenti economici, mentre non veniva assicurata né perseguita dalla stessa normativa la perequazione dei trattamenti pensionistici pregressi e futuri. Il Parlamento, pertanto, decise di superare tale limitazione, impegnando il Governo, con l'ultimo capoverso della citata risoluzione del 12 ottobre 1989, "ad adoperarsi, in sede di contrattazione del pubblico impiego, per considerare anche la posizione dei pensionati, al fine di evitare il formarsi di nuove categorie di pensioni d'annata ed a riconsiderare gli aspetti istituzionali e finanziari relativi in particolare al personale dello Stato".
Dall'obiettiva constatazione che la tutela per legge del personale in quiescenza è stata del tutto insoddisfacente, deriva la presente proposta di considerare a parte, in sede di contrattazione quadriennale del pubblico impiego (decreto legislativo n. 29 del 1993) anche il trattamento pensionistico; ciò al fine di consentire alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale il potere di difendere contrattualmente il personale meno tutelato.
proposta di legge ¾¾¾
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Art. 1.
1. In sede di contrattazione collettiva del trattamento economico dei dipendenti pubblici è disciplinata a parte, specificamente, la posizione del personale in quiescenza, al fine di evitare il formarsi di nuove categorie di cosiddette "pensioni d'annata". 2. I trattamenti pensionistici sono adeguati automaticamente alla dinamica retributiva, in modo da garantire identico trattamento, a parità di requisiti, nell'ambito delle rispettive gestioni. |
[1] I contratti collettivi condizionano il contenuto dei contratti individuali in quanto questi ultimi devono essere stipulati secondo le prescrizioni contenute nei contratti collettivi. Il contratto individuale di lavoro regolamenta concretamente il rapporto che intercorre tra il datore e il prestatore di lavoro, in conformità con la normativa contenuta nel contratto collettivo.
[2] Art.
40, co. 1,
[3] L’ARAN è un organo tecnico, disciplinato dall’art. 46 del D.Lgs. 165/2001, con funzioni di rappresentanza delle pubbliche amministrazioni in sede di contrattazione collettiva nazionale. Esercita, a livello nazionale, ogni attività relativa alle relazioni sindacali, alle negoziazioni dei contratti collettivi, all’assistenza sulla uniforme applicazione degli stessi.
[4] Art. 40, co. 2 e 3, del D.Lgs. 165/2001.
[5] Per esempio i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e le Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia.