XIV Legislatura - Dossier di documentazione | |||
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari comunitari | ||
Altri Autori: | Servizio Studi - Segreteria generale-Ufficio rapporti con l'Unione europea | ||
Titolo: | Legge comunitaria 2004 - A.C. 5179-A - Schede di lettura - Parte I | ||
Serie: | Progetti di legge Numero: 626 Progressivo: 4 | ||
Data: | 08/10/04 | ||
Abstract: | Scheda di sintesi; schede di lettura sugli articoli; schede sulle direttive contenute negli allegati. | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | XIV - Politiche dell'Unione europea | ||
Riferimenti: |
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ufficio rapporti con l’ue |
progetti di legge |
Legge comunitaria 2004 A.C. 5179-A Schede di lettura
Parte I
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n. 626/4
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8 ottobre 2004 |
Camera dei deputati
In occasione dell’esame del disegno di legge comunitaria per il 2004, il Servizio Studi ha predisposto i seguenti dossier:
- schede di lettura sugli articoli e sulle direttive (n. 626/4 parte I e parte II), in collaborazione con l’Ufficio Rapporti con l’Unione europea (RUE) (A.C. 5179-A)
- schede di lettura sugli articoli e sulle direttive (n. 626), in collaborazione con l’Ufficio Rapporti con l’Unione europea (RUE) (A.C. 5179);
- iter al Senato (A.S. 2742) (n. 626/1);
- normativa comunitaria (n. 626/2 parte I, parte II e parte III);
- normativa nazionale (n. 626 /3).
Per i paragrafi relativi alle “Procedure di infrazione” e ai “Documenti all’esame delle Istituzioni europee” l’ultimo aggiornamento sistematico è al 16 giugno 2004.
Dipartimento affari comunitari
SIWEB
I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
File: ID0030d1.doc
INDICE
Schede di lettura sugli articoli
Capo I – Disposizioni generali sui procedimenti per l’adempimento degli obblighi comunitari
§ Art. 1 (Delega al Governo per l’attuazione di direttive comunitarie)
§ Art. 2 (Principi e criteri direttivi generali della delega legislativa)
§ Art. 3 (Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di disposizioni comunitarie)
§ Art. 4 (Oneri relativi a prestazioni e controlli)
Capo II – Disposizioni particolari di adempimento, criteri specifici di delega legislativa
§ Art. 6 (Abrogazione della legge quadro sul settore fieristico)
§ Art. 12 (Delega al Governo per la revisione della disciplina in materia di fertilizzanti)
Schede sulle direttive contenute negli allegati
Allegato A (Articolo 1, commi 1 e 3)
§ 2001/83/CE (Codice comunitario relativo ai medicinale per uso umano)
§ 2003/98/CE (Riutilizzo dell’informazione del settore pubblico)
Allegato B (articolo 1, commi 1 e 3)
§ 2001/42/CE (Valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente)
§ 2001/84/CE (Diritto dell’autore di un’opera d’arte sulle successive vendite dell’originale)
§ 2003/06/CE (Abusi di mercato)
§ 2003/41/CE (Attività e supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali)
§ 2003/42/CE (Segnalazione di taluni eventi nel settore dell’aviazione civile)
§ 2003/54/CE (Norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica)
§ 2033/55/CE (Norme comuni per il mercato interno del gas naturale)
§ 2003/85/CE (Misure comunitarie di lotta contro l’afta epizootica)
§ 2003/86/CE (Diritto al ricongiungimento familiare)
§ 2003/88/CE (Aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro)
§ 2003/99/CE (Misure di sorveglianza delle zoonosi e degli agenti zoonotici)
§ 2003/109/CE (Status dei cittadini dei paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo)
§ 2004/17/CE (Procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia)
§ 2004/18/CE (Procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi)
§ 2004/22/CE (Strumenti di misura)
§ 2004/25/CE (Offerte pubbliche di acquisto)
§ 2004/35/CE (Responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale)
§ 2004/39/CE (Mercati degli strumenti finanziari)
§ 2004/67/CE (Sicurezza dell’approvvigionamento di gas naturale)
Direttive da attuare in via amministrativa
Numero del progetto di legge |
C. 5179-A |
Titolo |
Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004 |
Iniziativa |
Governo |
Settore d’intervento |
Unione europea |
Iter al Senato |
Sì |
Numero di articoli |
25 |
Date |
|
§ presentazione o trasmissione alla Camera |
22 luglio 2004 |
§ annuncio |
22 luglio 2004 |
§ assegnazione |
23 luglio 2004 |
Commissione competente |
XIV Commissione (Politiche dell’Unione europea) |
Sede |
referente |
Pareri previsti |
Tutte le Commissioni permanenti; Commissione Parlamentare per le questioni regionali |
Il disegno di legge comunitaria per il 2004 “Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee, nel testo approvato dalla Commissione (A.C. 5179-A) si compone di 25 articoli[1] e di due allegati (A e B) con i quali si prevede il recepimento, conaltrettanti decreti legislativi, di 47 direttive (6 con l’allegato A e 41 con l’allegato B)[2].
Rispetto al testo approvato dal Senato è stato aggiunto, nel corso dell’esame in Commissione il recepimento di 9 nuove direttive (1 con l’allegato A e 8 con l’allegato B) e sono stati introdotti 10 nuovi articoli.
Nella relazione governativa all’originario ddl A.S. 2742 sono poi indicate le direttive da recepire in via amministrativa: si tratta di 53 direttive, contro le 38 dello scorso anno, confermandosi così una costante tendenza all’aumento di tale modalità di recepimento.
Si segnala peraltro che numerose direttive indicate nella relazione come da attuare in via amministrativa risultano già recepite (cfr. la tabella 1, allegata al presente dossier).
Per quanto riguarda la struttura e il contenuto della legge comunitaria 2004, il Capo I (articoli da 1 a 5) contiene, come consueto, disposizioni generali sui procedimenti per l’adempimento degli obblighi comunitari: tra questi, gli articoli 1 e 2 individuano i principi di delega legislativa per l’attuazione delle direttive contenute negli allegati A e B. Non è previsto invece il recepimento di direttive attraverso regolamenti di delegificazione.
In particolare, con riferimento all’articolo 1, si segnalano, rispetto allo standard oramai consueto e consolidato della norma, alcune significative innovazioni. In particolare:
- l’articolo 1, comma 8, prevede sostanzialmente il doppio parere parlamentare in alcune ipotesi specifiche, ovvero quando il Governo non intenda conformarsi ai pareri parlamentari relativi a sanzioni penali contenute negli schemi di decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese negli allegati A e B. In tali casi, il Governo è tenuto a ritrasmettere con le sue osservazioni ed eventuali modifiche i testi alle Camere per il parere definitivo, che deve essere espresso entro venti giorni;
In proposito, si segnala che il Comitato per la legislazione si era recentemente espresso favorevolmente all’introduzione del doppio parere per tutti i casi in cui il Governo non intendesse conformarsi ai pareri parlamentari, ritenendolo “un meccanismo particolarmente idoneo a consentire un rafforzamento delle prerogative parlamentari ed il massimo coinvolgimento del Parlamento al procedimento di emanazione dei decreti legislativi di attuazione della delega”[3]. Il Ministro delle politiche comunitarie nel corso dell’esame al Senato del ddl comunitaria 2004 ha argomentato la richiesta, poi accolta, di limitare il doppio parere ai soli casi di sanzioni penali contenute negli schemi di decreti legislativi. motivandola con la necessità di non appesantire ulteriormente il procedimento di attuazione delle direttive comunitarie, già di per sé non rapidissimo.
- il comma 4, prevede inoltre la necessità della relazione tecnica, di cui all’articolo 11-ter, comma 2, della legge n. 468 del 1978, sugli schemi di decreti legislativi, recanti attuazione di determinate direttive, che comportino conseguenze finanziarie[4](si tratta di 19 direttive[5]). Su tali schemi si prevede che venga altresì acquisito il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari;
Si ricorda che il comma 2 dell’art. 11-ter della l. n. 468, stabilisce che i disegni di legge, gli schemi di decreto legislativo e gli emendamenti di iniziativa governativa che comportino conseguenze finanziarie devono essere corredati da una relazione tecnica, predisposta dalle amministrazioni competenti e verificata dal Ministero del tesoro, sulla quantificazione delle entrate, degli oneri recati e delle relative coperture. Nella relazione devono essere indicati i dati e i metodi utilizzati per la quantificazione, le loro fonti e ogni elemento utile per la verifica tecnica in sede parlamentare secondo le norme da adottare con i regolamenti parlamentari.
E’ pertanto da valutare l’opportunità di mantenere tale disposizione specifica nella legge comunitaria, essendo la norma già prevista a livello generale nel citato art. 11-ter, comma 2 della L. 468/1978.
- in merito a queste direttive, a seguito dell’approvazione dell’emendamento 1.14 del relatore da parte della XIV Commissione della Camera, che aggiunge il terzo periodo al comma 4 dell’articolo 1, un doppio parere parlamentare viene introdotto per l’ipotesi in cui il Governo non si conformi alle condizioni relative all’osservanza dell’articolo 81, IV comma, Cost.: in tal caso, infatti, l’esecutivo è tenuto a ritrasmettere i testi alle Camere – corredati dei necessari elementi integrativi – affinché le Commissioni competenti si esprimano definitivamente entro venti giorni;
- il comma 7 prevede che ilMinistro per le politiche comunitarie trasmetta una relazione al Parlamento qualora una o più deleghe conferite dalla legge comunitaria non risulti esercitata trascorsi quattro mesi dal termine previsto dalla direttiva per la sua attuazione[6];
- lo stesso comma 7 prevede altresì un’informativa periodica (quadrimestrale) da parte del Ministro per le politiche comunitarie alle Camere sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e province autonome[7].
Si ricorda, infine, che il comma 6 del medesimo articolo 1 reca una disposizione, inserita già nelle tre precedenti leggi comunitarie, che prevede un intervento suppletivo anticipato e cedevole da parte dello Stato, in caso di inadempienza delle Regioni nell’attuazione delle direttive, nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dei princìpi fondamentali stabiliti dalla legislazione dello Stato.
Il vincolo del rispetto dei princìpi fondamentali rileva, è da ritenere, con riguardo alle sole materie incluse nella competenza legislativa concorrente di Stato e regioni. La norma contiene inoltre la previsione della necessaria indicazione espressa della natura sostitutiva e cedevole da parte dei provvedimenti statali suppletivi[8].
In merito al rapporto tra fonti statali e fonti regionali, derivante dalla riforma del Titolo V della Costituzione, si segnala che l’impostazione seguita dal comma 5 in esame rispecchia la più generale strategia normativa perseguita sia attraverso il provvedimento di modifica della legge n. 86 del 1989 (A.S. 2386, in stato di relazione presso l’Assemblea del Senato e già approvato dalla Camera), sia attraverso la legge 5 giugno 2003, n. 131, recante “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3” (c.d. “legge La Loggia”)[9].
Anche all’articolo 2 è stata apportata nel corso dell’esame in Commissione, una modifica significativa, che incide sui principi e criteri direttivi, ormai consolidati nelle ultime leggi comunitarie. Si tratta, in particolare, dell’introduzione del criterio alla lettera h), volto ad assicurare in sede di recepimento delle direttive un’effettiva parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto a quelli degli altri Stati membri (emendamento 2.1 Zanettin ed altri). Tale scopo viene perseguito assicurando la massima armonizzazione tra le legislazioni degli Stati membri al fine di evitare l’insorgere di “discriminazioni a rovescio” a danno dei cittadini italiani, tenuti a rispettare, con particolare riferimento ai requisiti per l’esercizio di attività commerciali e professionali, una disciplina più restrittiva di quella applicata ai cittadini degli altri Stati membri.
È la questione delle c.d. “discriminazioni a rovescio”, che insorgono appunto nel caso in cui la legislazione interna preveda una disciplina più restrittiva per l’esercizio di professioni o per determinate tipologie di prodotti rispetto a quella vigente negli altri Stati membri. La situazione discriminatoria che si determina è un effetto indiretto dell’applicazione del diritto comunitario, in quanto in base al principio di libera circolazione delle merci e delle persone all'interno dell’Unione, sia i prodotti sia i prestatori di servizi, operanti all'interno di uno Stato membro in base alle regole ivi vigenti, devono poter circolare liberamente in tutti gli altri Paesi, a prescindere dalla disciplina esistente nello Stato di destinazione[10]. Pertanto, nel caso in cui il Paese di destinazione abbia una disciplina più rigorosa, i produttori ed i prestatori di servizi nazionali, in mancanza di una piena armonizzazione nell'attuazione della normativa comunitaria da parte dei vari Stati membri, dovrebbero osservare regole più restrittive di quelle previste negli altri Stati per la produzione del medesimo tipo di bene o per l'esercizio della medesima attività.
Per rimediare a questo tipo di discriminazioni è stata ripetutamente adita la Corte di giustizia delle Comunità europee (come ad esempio nelle vicende relative all'aceto di vino italiano, alla birra tedesca, al gin, al formaggio olandese, alla pasta italiana, allo yogurt francese, nonché, da ultimo, al cioccolato e al prosciutto di Parma, rispettivamente CGCE sentenza 9 dicembre 1981, causa C-193/80; 12 marzo 1987, causa C-178/84; 26 novembre 1985, causa C-182/84; 5 dicembre 2000, causa C-448/98; 14 luglio 1988, causa C-407/85), la quale però ha negato la propria competenza per l'irrilevanza comunitaria di tutte quelle situazioni che, non avendo diretti collegamenti con il diritto comunitario, trovano il proprio fondamento nella legislazione interna del singolo Stato membro (CGCE 16 gennaio 1997, causa C-134/95; 9 settembre 1999, causa C-108/98; 21 ottobre 1999, causa C-97/98; 6 giugno 2000, causa C-281/98; 20 febbraio 2001, causa C-192/99; causa C-14/00).
Per quanto riguarda il nostro ordinamento, la Corte costituzionale è intervenuta nella vicenda della produzione della pasta, dichiarando costituzionalmente illegittime, per violazione del principio di eguaglianza, quelle disposizioni suscettibili di discriminare i cittadini italiani costringendoli a rispettare una disciplina più restrittiva di quella applicata ai cittadini degli Stati membri, in ordine ad una medesima fattispecie (sentenza n. 443 del 1997).
Si ricorda, infine, che in materia è stato approvato durante la seduta del 23 ottobre 2003 dell’Assemblea della Camera – nel corso dell’esame del disegno di legge comunitaria per il 2003 (ora legge n. 306 del 2003) – l’ordine del giorno 9/3618-B/7, Zanettin, Palma, il quale impegnava il Governo a: fare in modo che in sede di attuazione delle direttive comunitarie contenute negli allegati A e B del disegno di legge comunitaria 2003 fosse garantita una parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto a quelli degli altri Stati membri, facendo in modo di assicurare il massimo livello di armonizzazione possibile tra le legislazioni interne dei vari Stati membri; garantire anche per il futuro, in sede di attuazione della normativa comunitaria nell'ordinamento interno, la massima uniformità rispetto alla normativa di attuazione adottata dagli altri Stati membri; intervenire, anche con iniziative normative, per sanare le situazioni discriminatorie «a rovescio» presenti nella legislazione vigente di attuazione nella normativa comunitaria, con particolare riferimento ai requisiti richiesti per l'esercizio di attività commerciali e professionali.
L’articolo 3 reca la consueta delega al Governo per la disciplina sanzionatoria della violazione di disposizioni comunitarie attuate in via regolamentare o amministrativa, mentre l’articolo 4 stabilisce il principio in base al quale gli oneri per le prestazioni ed i controlli da eseguire da parte delle pubbliche amministrazioni in applicazione di normative comunitarie sono in generale a carico dei soggetti interessati sulla base di tariffe predeterminate.
L’articolo 5 è finalizzato a prevedere interventi di riordino normativo nelle materie interessate dalle direttive comunitarie. Anche la formula di tale norma, consolidata nelle ultime leggi comunitarie, ha subìto in questo caso una modifica. Infatti, a seguito dell’approvazione dell’emendamento del Governo 5.100 da parte dell’Assemblea del Senato, è stato aggiunto il comma 3, che contiene una delega specifica per l’adozione di un testo unico delle disposizioni in materia di riciclaggio.
Peraltro, trattandosi di una norma puntuale e non di portata generale, come i restanti commi dell’articolo 5 e come tutte le disposizioni contenute nel Capo I del ddl, sarebbe preferibile collocarla in un articolo a sé stante e nel Capo II.
Il Capo II del disegno di legge (articoli da 6 a 25) contiene disposizioni particolari di adempimento e criteri specifici di delega per alcune direttive il cui recepimento è previsto negli allegati.
Anche nella legge comunitaria 2004, come nelle precedenti, sono contenute disposizioni dirette a dare seguito a procedure di infrazione avviate a livello comunitario (articoli 11, 16, 18, 22 e 23).
Per quanto riguarda invece i criteri specifici di delega, questi sono presenti con riferimento a:
- l’articolo 8,che mira al recepimento della direttiva 2003/6/CE sugli abusi di mercato, nonché delle direttive di essa applicative 2003/124/CE e 2003/125/CE;
- l’articolo 9, approvato in Commissione, reca una delega per il recepimento della direttiva 2003/89/CE in materia di indicazione degli ingredienti, che possono provocare allergie o intolleranze, contenuti nei prodotti alimentari;
- l’articolo 13, volto al recepimento della direttiva 2003/87/CE, che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità;
- l’articolo 14, introdotto in Commissione, che reca una delega per l’attuazione della direttiva 2003/54/CE contenente norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica;
- l’articolo 15, introdotto in Commissione, per l’attuazione della direttiva 2003/55/CE, relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale;
- l’articolo 17, relativo al recepimento della direttiva 2001/42/CE in materia di valutazione degli effetti di determinati piani e programmi per l’ambiente;
- l’articolo 18, concernente il recepimento della direttiva 2003/105/CE, che modifica la direttiva 96/82/CE sui rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose;
- l’articolo 19, per il recepimento della direttiva 2004/8/CE sulla promozione della cogenerazione basata su una domanda di calore utile nel mercato interno dell’energia;
- l’articolo 20, introdotto in Commissione, per l’attuazione della direttiva 2004/22/CE, relativa agli strumenti di misura;
- l’articolo 21, introdotto in Commissione, per l’attuazione della direttiva 2004/67/CE recante misure volte a garantire la sicurezza nell’approvvigionamento di gas naturale;
- l’articolo 24, introdotto dalla Commissione, per dare attuazione alle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, in materia rispettivamente di coordinamento delle procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia e degli enti che forniscono servizi postali, nonché di coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi.
Il disegno di legge contiene altre due norme di delega specifiche e in particolare:
- l’articolo 11, che conferisce una specifica delega legislativa per poter introdurre sanzioni amministrative e penali per la violazione degli obblighi contenuti nella direttiva 91/414/CE, relativa a materiali prodotti fitosanitari, materia attualmente delegificata e disciplinata da un regolamento del 2001;
- l’articolo 12, che contiene una delega per la revisione della disciplina in materia di fertilizzanti, tra l’altro, al fine di armonizzare tale disciplina con il regolamento CE n. 2003/2003 del 13 ottobre 2003 (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai concimi).
I settori principalmente interessati dalla legge comunitaria 2004 sono i seguenti:
§ tutela dell’ambiente (emissioni, smaltimento rifiuti, piani e programmi ambientali, incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose);
§ lavori pubblici (procedure di appalto per gli enti erogatori di acqua, energia, servizi di trasporto e postali, nonché procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi);
§ sanità (zoonosi, afta epizootica, medicinali, codice comunitario dei medicinali);
§ giustizia (diritto d’autore, accesso alla professione notarile e consulenti di proprietà industriale);
§ disciplina del lavoro (società cooperativa europea, informazione e consultazione dei lavoratori, orario di lavoro, all’esposizione dei lavoratori a rischi derivanti da rumore, amianto, enti pensionistici);
§ trasporti e comunicazioni (cinture di sicurezza, aviazione civile, formazione conducenti);
§ finanze e assicurazioni (conti annuali e consolidati di società e banche, requisiti di pubblicità delle società, prospetti per l’ammissione alla negoziazione, offerte pubbliche di acquisto, comunicazione al pubblico di informazioni privilegiate e dei conflitti di interesse, tassazione prodotti energetici, abusi di mercato e mercati degli strumenti finanziari);
§ agricoltura (ingredienti dei prodotti alimentari che possano provocare allergie, prodotti fitosanitari, fertilizzanti);
§ immigrazione e sicurezza (soggiornanti di lungo periodo, espulsione per via aerea, ricongiungimento familiare);
§ attività produttive (mercato interno del gas e dell’energia elettrica, sostanze pericolose, promozione della cogenerazione, strumenti di misura).
Per quanto riguarda i singoli articoli, si segnala, in particolare, che:
- l’articolo 7 ed il comma 7 dell’articolo 23 sono volti a modificare norme di rango regolamentare. In proposito, si ricorda che la circolare dei Presidenti della Camera e del Senato e del Presidente del Consiglio dell’aprile 2001, al punto 3, lett. e), vieta di ricorrere all’atto legislativo per modificare atti non aventi forza di legge, per evitare che questi ultimi presentino un diverso grado di resistenza ad interventi modificativi successivi;
- l’articolo 9 conferisce al Governo una delega per il recepimento della direttiva 2003/89/CE, recante disposizioni in tema di indicazione degli ingredienti contenuti nei prodotti alimentari. Al riguardo, si segnala che i principi e criteri direttivi contenuti alle lettere a) e b) non sembrano trovare rispondenza nella direttiva 2000/13/CE, come modificata dalla direttiva 2003/89/CE; inoltre, sarebbe opportuno prevedere che il recepimento della direttiva avvenga novellando il D.lgs. 109/1992, che reca la disciplina generale della materia nell’ordinamento interno.
- l’articolo 14 delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi, per dare attuazione alla direttiva 2003/54/CE, relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica: si fa presente l’opportunità di coordinare la delega con quanto disposto dall’articolo 1, comma 121, della legge n. 239/04 di riordino del settore energetico, il quale ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni legislative in materia di energia nel rispetto di vari principi e criteri, tra i quali quello dell’ adeguamento alle disposizioni comunitarie, anche in vigore nell’ordinamento nazionale al momento dell’esercizio della delega (c.121, lett. b);
- l’articolo 15 delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per l’attuazione della direttiva 2003/55/CE, che stabilisce le nuove norme comuni per il mercato interno del gas naturale: analogamente al punto precedente, si segnala l’opportunità di coordinare tale delega con l’articolo 1, comma 121, della legge n. 239/04, che ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni legislative in materia di energia;
Infine, per quanto riguarda le direttive da recepire, si segnala che:
¨ talune delle prescrizioni contenute nella direttiva 2003/93/CE, recante “Modifica della direttiva 77/799/CEE relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette e indirette”, inserita nell’allegato A del presente ddl, risultano di fatto già superate. Infatti, la direttiva 77/799/CEE è stata ulteriormente modificata - proprio in alcune delle parti su cui ha inciso la direttiva 2003/93 - dalla direttiva 2004/56/CE del Consiglio, del 21 aprile 2004, il cui il termine per il recepimento da parte degli Stati membri è fissato, dall’articolo 2, al 31 dicembre 2004, e che non è presente nel presente disegno di legge. Peraltro, si ricorda che il principio e criterio direttivo contenuto nell’articolo 2, comma 1, lett. f), del presente ddl prescrive che i decreti di attuazione debbano tenere anche conto delle eventuali modifiche alle direttive da recepire, che potranno intervenire fino al momento del concreto esercizio della delega. Per ulteriori approfondimenti, si veda infra la scheda relativa alla direttiva 2003/93/CE nel presente Dossier;
¨ la direttiva 2003/6/CE relativa agli abusi di mercato, inserita nell’allegato B del ddl in esame, a seguito dell’approvazione dell’emendamento del Governo 6.0.100 da parte dell’Assemblea del Senato - emendamento con il quale è stato inserito anche l’articolo 6, contenente specifici principi e criteri di delega - è già contenuta nell’allegato B della legge comunitaria per il 2003 (l.n. 306 del 31 ottobre 2003). Al riguardo, si osserva che il termine di esercizio della delega contenuta nella comunitaria 2003 non è ancora scaduto (18 mesi dall’entrata in vigore della legge medesima ex art. 1 l. n. 306). Inoltre, la medesima norma è contenuta nel testo unificato delle pdl A.C. 2436 e abb., sulla tutela del risparmio. Si precisa altresì che l’articolo 6 del ddl in esame prevede anche il recepimento di due direttive (2003/124/CE e 2003/125/CE), che disciplinano modalità di esecuzione della precedente direttiva 2003/6/CE e sono state adottate dalla Commissione secondo la procedura indicata dalla direttiva n. 6. Al riguardo, si segnala che risulta adottata con le medesime forme e con lo stesso termine di recepimento anche la direttiva 2004/72/CE della Commissione, riguardante le prassi di mercato ammesse e le informazioni privilegiate;
¨ la direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, inserita nell’allegato B del ddl in esame, provvede a codificare la direttiva 93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, come modificata dalla direttiva 2000/34/CE, senza peraltro incidere sulla disciplina recata dalle due precedenti direttive. Al riguardo, si ricorda che nel nostro ordinamento - con il decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, adottato in base alla delega contenuta negli articoli 1, commi 1 e 3, e 22 della legge 1° marzo 2002, n. 39 (legge comunitaria 2001) - è stata già data organica attuazione alla direttiva n. 93/104/CE, come modificata dalla direttiva n. 2000/34/CE.
¨ Il recepimento delle direttive 2004/25/CE, relativa alle offerte pubbliche di acquisto, e 2004/39/CE, in tema di mercati degli strumenti finanziari, nell’ordinamento italiano dovrebbe comportare modifiche al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, emanato con decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.
In merito alla Relazione governativa illustrativa del disegno di legge comunitaria, si ricorda che essa deve contenere, in base a quanto previsto dall’art. 2, comma 3, della legge n. 86/89, e successive modificazioni:
a) i dati sullo stato di conformità dell'ordinamento interno al diritto comunitario e sullo stato delle eventuali procedure di infrazione dando conto, in particolare, della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee relativa alle eventuali inadempienze e violazioni degli obblighi comunitari da parte della Repubblica italiana.
La relazione 2004 riporta unicamente dati complessivi sui totali delle procedure di infrazione distinte per fase alla data del 31 dicembre 2003, senza fornire indicazioni sul merito delle procedure stesse.Vengono indicate un totale di 239 procedure pendenti[11] di cui:
- n. 202 procedure di infrazione, delle quali 138 sono lettere di costituzione in mora (primo stadio del contenzioso comunitario), e 64 pareri motivati emessi dalla Commissione europea per infrazioni al diritto comunitario;
- n. 37 ricorsi promossi davanti alla Corte di Giustizia delle Comunità europee.
A queste si aggiungono:
- n. 16 sentenze di condanna per inadempimento emesse dalla Corte di Giustizia;
- n. 10 procedure di cui all’art. 228 del Trattato CE in base al quale la Commissione europea, in caso di inesecuzione del giudicato, può adire la Corte di Giustizia per chiedere l’irrogazione di sanzioni pecuniarie per lo Stato membro inadempiente.
Si ricorda che la Commissione europea, nell’ultimo “Scoreboard” pubblicato (13 luglio 2004), evidenzia che il numero complessivo di procedimenti per infrazione alle disposizioni in tema di mercato interno[12] rimane negli Stati membri persistentemente elevato, nonostante con la Strategia per il Mercato Interno 2003-2006[13] la Commissione abbia invitato gli Stati membri a ridurre il numero delle procedure di almeno il 50% entro il 2006. Dal documento risulta in particolare che l’Italia ha il maggior numero di procedure di infrazione, seguita dalla Francia. Considerate unitamente, la Francia e l’Italia assommano il 30% del totale dei procedimenti di infrazione, mentre l’Italia da sola assomma quasi il totale delle procedure di Danimarca, Svezia, Finlandia, Lussemburgo e Portogallo. Al 1° maggio 2004 risultano aperte per l’Italia 149 procedure[14].
A tale proposito si ricorda anche che la Commissione europea, nella “Comunicazione sul miglioramento del controllo dell’applicazione del diritto comunitario” [COM(2002) 725 def.] ha optato per un approccio differenziato al trattamento delle procedure d’infrazione, a causa della loro costante crescita e alla prospettiva di un ulteriore forte aumento delle stesse con l’allargamento dell’UE. In pratica la Commissione, secondo la gravità della presunta infrazione, deciderà caso per caso se avviare la procedura d’infrazione ovvero ricorrere a meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie, principalmente le c.d. “riunioni pacchetto o cumulative” (si tratta di incontri informali tra esperti degli Stati membri e della Commissione per risolvere “pacchetti” di casi di infrazione politicamente, evitando azioni legali) nonché il meccanismo c.d. SOLVIT. Si tratta di una rete di 28 Centri, uno per ogni Stato membro (più Norvegia, Islanda e Liechtenstein), in funzione dal luglio 2002 al quale le vittime di un’applicazione erronea del diritto dell’UE, da parte di autorità locali o nazionali di un altro Stato membro, possono rivolgersi per ottenere che la questione sia rapidamente risolta: i tempi medi UE sono di 66 giorni per risolvere i reclami. (In Italia l’utilizzo di tale strumento è stato finora – dal 1° maggio 2003 al 25 maggio 2004 – piuttosto modesto con 11 casi affrontati, di cui 8 risolti ed un tempo medio impiegato di 83 giorni).
b) l'elenco delle direttive attuate o da attuare in via amministrativa.
Si tratta di 53 direttive (riportate nella tabella 1 allegata al presente dossier), alla cui attuazione provvedono lo Stato ovvero le regioni o le province autonome nell’ambito del riparto costituzionale di competenze e fermi restando i poteri sostitutivi dello Stato.
A tale proposito si segnala che 38 delle 53 direttive indicate nella Relazione governativa risultano già attuate con decreti ministeriali (nella tabella 1 allegata sono indicati gli atti di recepimento).
Si ricorda altresì che, contrariamente a quanto previsto dall’articolo 10, comma 3-quater, del Testo unico sulla promulgazione delle leggi (DPR n. 1092/1985), introdotto dall’art. 4 della legge comunitaria 1999, non è stato rispettato, in sede di pubblicazione delle leggi comunitarie del 2000, del 20001 e del 2002 e del 2003, l’obbligo di riportare a titolo informativo nella Gazzetta Ufficiale, unitamente alla legge comunitaria annuale, l’elenco delle direttive attuate o da attuare in via amministrativa. Tale obbligo era invece stato rispettato in sede di pubblicazione della legge comunitaria per il 1999.
c) Per quanto riguarda l’obbligo del Governo di indicare l’eventuale omissione dell’inserimento di direttive il cui termine di recepimento scada nel periodo di riferimento, quindi entro il 31 dicembre 2004, la relazione governativa non segnalava alcuna direttiva non inserita.
A tale proposito, come evidenziato nelle tabelle 4 e 5 allegate, risultano invece essere complessivamente 27 le direttive in scadenza nell’anno 2004 che non sono state inserite nel ddl comunitaria 2004. Di queste 17 sono già scadute alla data del 5/10/2004 (riportate in tabella 4) e 10 sono in scadenza dal 6/10 al 31/12/2004 (riportate nella tabella 5 allegata).
d) la legislazione regionale attuativa delle direttive comunitarie. Il disegno di legge comunitaria per il 2004 sottolinea che tali dati non risultano disponibili.
Nella relazione governativa dovrebbero inoltre essere contenute indicazioni relative a:
- l’elenco delle direttive che non necessitano di provvedimento di attuazione, in quanto evidentemente di diretta applicazione, in virtù del loro contenuto sufficientemente specifico, ovvero in quanto l’ordinamento interno risulta già conforme ad esse. La relazione governativa non indica alcuna direttiva;
- l’elenco delle direttive che risultano già attuate, con l’indicazione dei relativi decreti di recepimento. La relazione non riporta alcun elenco di direttive già attuate[15].
LO STATO DI ATTUAZIONE DELLE DIRETTIVE COMUNITARIE IN ITALIA
Nella tabella 2 è indicato, per ciascuno dei 25 Stati membri dell’Unione europea, lo stato di attuazione di tutte le direttive comunitarie già scadute. I dati, forniti dal Segretariato generale della Commissione europea, sono aggiornati al 31 agosto 2004. A tale data risultano scadute e applicabili in Italia 2480 direttive: l’Italia si colloca al 18° posto nella graduatoria del recepimento[16], avendo comunicato i provvedimenti di attuazione relativi a 2409 di queste, pari al 97,14% delle direttive da recepire (la media CE a 25 Stati è pari al 96,44%).
Nella tabella 3 allegata sono riportate tutte le direttive contenute nelle precedenti leggi comunitarie che non risultano ancora attuate.
Si segnala che complessivamente non risultano ancora adottati i provvedimenti di recepimento di 69 direttive, a prescindere dal termine di recepimento, delle quali 49 da attuare in base alla legge comunitaria 2003 (legge 31/10/2003, n. 306, pubblicata il 15/11/2003 in Gazzetta Ufficiale).
Le direttive contenute in precedenti leggi comunitarie, ancora da attuare ed il cui termine di recepimento è già scaduto (al 5/10/2004) risultano invece essere 44, come evidenziato nella tabella 3 allegata, di cui 27 da attuare con decreto legislativo in base alla delega contenuta nella legge comunitaria 2003 (il termine per l’esercizio della delega scade il 30 maggio 2005).
Per quanto riguarda invece lo stato di recepimento delle direttive comunitarie relative al solo mercato interno[17], l’ultimo Scoreboard sull’attuazione del diritto comunitario (pubblicato il 13 luglio 2004), evidenzia che gli Stati membri non hanno recepito nella legislazione nazionale, entro i termini che essi stessi hanno fissato, numerose direttive essenziali per la realizzazione del mercato interno e che persiste una forte disparità tra Stati membri nei tempi del recepimento. Il tasso di mancato recepimento, che indica la percentuale media per Stato membro delle direttive sul mercato interno in vigore non trasposte alla scadenza, raggiunge una media del 2,2% per la UE a 15 paesi[18]: sono 134 le direttive globalmente non recepite in tempo utile (il 9% dell’insieme delle direttive sul mercato interno) e in alcuni Stati membri si registra un ritardo di due anni.
Soltanto quattro Stati membri (Finlandia, Danimarca, Spagna e Regno Unito) hanno stabilmente un tasso di mancato recepimento molto basso, sotto quell’1,5% fissato come obiettivo dal Consiglio europeo di Barcellona del marzo 2002. L’Italia ha un tasso di mancato recepimento pari al 3,1% (pari a 47 direttive ancora da recepire)[19], il doppio rispetto all’obiettivo fissato, e si colloca in fondo alla graduatoria insieme a Francia, Grecia, Germania, Belgio, Lussemburgo, Olanda e Belgio, che registrano tassi tra il 4,1% e il 2,1%.
Per far sì che i ritardi di recepimento delle direttive del mercato interno nella legislazione nazionale non si protraessero in modo indefinito, il Consiglio europeo di Barcellona aveva fissato, per la primavera 2003, un obiettivo di "tolleranza zero" per le direttive il cui recepimento fosse in ritardo di due o più anni. In realtà, solo 4 Stati membri hanno raggiunto l’obiettivo (Spagna, Danimarca, Finlandia, Portogallo), anche se Belgio, Lussemburgo, Irlanda, Austria, Grecia e Italia hanno recentemente migliorato i loro risultati.
Si segnala infine che, tra le dieci direttive identificate dalla Commissione europea come “direttive-chiave” per il mercato interno, due risultano tuttora non trasposte in Italia a termine scaduto: si tratta delle direttive 1998/44/CE, relativa alla tutela giuridica delle invenzioni biotecnologiche[20], e 2003/48/CE, sulla tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di interessi[21].
LA LEGGE COMUNITARIA ANNUALELa legge 9 marzo 1989, n. 86 (legge “La Pergola"), ha introdotto una specifica procedura di recepimento della normativa comunitaria, che prevede la presentazione al Parlamento entro il 31 gennaio di ogni anno, da parte del Ministro per le politiche comunitarie di un disegno di legge annuale, con il quale viene assicurato l'adeguamento periodico dell'ordinamento nazionale a quello comunitario. La legge comunitaria, in base all’art. 2 dellla legge n. 86/1989 ed alle successive leggi di modifica, contiene: § Disposizioni modificative o abrogative di norme vigenti, in contrasto con gli obblighi comunitari, finalizzate a dare attuazione diretta alle direttive comunitarie; § Disposizioni di delega legislativa al Governo occorrenti per dare attuazione o assicurare l’applicazione di atti normativi del Consiglio o della Commissione dell’UE; le direttive da attuare con delega generalmente sono riportate in due distinti allegati – allegato A e allegato B – il secondo dei quali contiene le direttive per le quali si richiede che lo schema di decreto legislativo di attuazione venga sottoposto al parere del Parlamento; § Autorizzazione al Governo all’attuazione delle direttive o delle raccomandazioni (CECA) in via regolamentare. Viene così rimessa all'esercizio del potere regolamentare del Governo l'attuazione delle direttive (contenute in passato nell'allegato C), riguardanti materie già disciplinate con legge, ma non riservate alla legge. Si tratta di norme che autorizzano l'emanazione di regolamenti di delegificazione, da adottare secondo le procedure dell’articolo 17 della legge n. 400/1988, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge comunitaria. Solo se la legge comunitaria espressamente lo dispone, lo schema di decreto è sottoposto, prima dell’emanazione, al parere delle Commissioni parlamentari competenti, che devono esprimersi entro quaranta giorni dalla comunicazione. Decorso tale termine il regolamento può essere emanato anche in mancanza del parere. Tale tipologia di recepimento non è stata utilizzata nelle ultime due leggi comunitarie; § Disposizioni modificative o abrogative anche di vigenti norme di attuazione di direttive comunitarie, qualora esse formino oggetto di procedure di infrazione avviate dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia. |
LE PROPOSTE DI MODIFICA ALLA LEGGE LA PERGOLAÈ attualmente in stato di relazione presso l’Assemblea del Senato l’A.S. 2386, recante “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”. Il provvedimento, già approvato dalla Camera, è volto a modificare le procedure per la partecipazione dell’Italia al processo di formazione e di attuazione della normativa comunitaria previste dalla legge “La Pergola” (legge 9 marzo 1989, n. 86), che viene integralmente sostituita ed abrogata. Le innovazioni attengono principalmente ai seguenti profili: - la partecipazione parlamentare e degli altri soggetti interessati alla cosiddetta fase “ascendente” della formazione del diritto comunitario; - l’introduzione della riserva di esame parlamentare sui progetti di atti comunitari, che il Governo può apporre in sede di Consiglio dei Ministri dell’UE; - la previsione di nuove modalità per il recepimento del diritto comunitario nella cosiddetta fase “discendente”; - la procedimentalizzazione della partecipazione delle regioni, degli enti locali e delle parti sociali a tutto il processo di integrazione del nostro ordinamento con quello dell’Unione europea, anche in relazione alle modifiche apportate al Titolo V della Costituzione dalla L. cost. n. 3/2001. Il provvedimento intende rafforzare la partecipazione del nostro Paese al processo normativo comunitario, sia nella fase di formazione che in quella di attuazione. In particolare, viene ampliato il contenuto proprio della legge comunitaria, prevedendo altresì il recepimento delle decisioni-quadro e delle altre decisioni previste dall’articolo 34 del Trattato UE, anche attraverso il conferimento di delega legislativa. Vengono, inoltre, disciplinati i poteri sostitutivi statali, da esercitarsi in relazione a quanto disposto dall’articolo 117, quinto comma, della Costituzione. In particolare, possono essere adottati atti normativi statali nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome al fine di porre rimedio all’eventuale inerzia di tali enti. In tale caso, gli atti normativi statali: si applicano esclusivamente nelle regioni e province autonome nelle quali non sia ancora in vigore una propria normativa di attuazione, a decorrere dalla scadenza del termine stabilito per l’attuazione della rispettiva normativa comunitaria; perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione di ciascuna regione e provincia autonoma; recano l’esplicita indicazione della natura sostitutiva del potere esercitato e del carattere cedevole delle disposizioni in essi contenute. |
LA LEGGE N. 131 DEL 2003 (C.D. “LEGGE LA LOGGIA”)Sui profili della partecipazione delle regioni all’ordinamento comunitario, è intervenuta anche la legge n. 131 del 2003, recante “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”. In particolare, l’articolo 1, comma 2, della legge pone una clausola di cedevolezza – analogamente a quanto previsto dall’articolo 1, comma 5, della legge comunitaria in esame – in base alla quale la normativa statale vigente in materie rientranti nella competenza legislativa regionale si applica sino alla data di entrata in vigore delle specifiche disposizioni regionali in materia. Inoltre, l’articolo 5 di tale provvedimento reca disposizioni per la partecipazione delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano alla formazione degli atti comunitari e dell’Unione europea (la c.d. “fase ascendente”). La norma prevede che la partecipazione si svolga nell’ambito delle delegazioni del Governo e, nelle materie di competenza residuale delle regioni ex art. 117, IV comma, Cost., il Capo delegazione può anche essere un Presidente di Giunta regionale o di Provincia autonoma. Infine, l’articolo 8 disciplina l’esercizio dei poteri statali sostitutivi, in attuazione dell’art. 120, II comma, Cost., stabilendo che qualora essi siano necessari al fine di porre rimedio alla violazione della normativa comunitaria, gli atti ed i provvedimenti sostitutivi sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro competente per materia. |
Il Governo è delegato ad adottare, entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B.
2. I decreti legislativi sono adottati, nel rispetto dell'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell'economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione all'oggetto della direttiva.
3. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese nell'elenco di cui all'allegato B, nonché, qualora sia previsto il ricorso a sanzioni penali, quelli relativi all'attuazione delle direttive elencate nell'allegato A, sono trasmessi, dopo l'acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perché su di essi sia espresso il parere dei competenti organi parlamentari. Decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza del parere. Qualora il termine di quaranta giorni prima indicato scada nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini previsti ai commi 1 o 5 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di novanta giorni.
4. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive 2003/6/CE, 2003/10/CE, 2003/20/CE, 2003/35/CE, 2003/42/CE, 2003/59/CE, 2003/85/CE, 2003/87/CE, 2003/99/CE, 2003/124/CE, 2003/125/CE, 2004/8/CE, 2004/12/CE, 2004/17/CE, 2004/18/CE, 2004/22/CE, 2004/35/CE, 2004/39/CE e 2004/67/CE sono corredati della relazione tecnica di cui all'articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Su di essi è richiesto il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all'esigenza di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, deve ritrasmettere alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni competenti per i profili finanziari che devono essere espressi entro venti giorni.
5. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può emanare, con la procedura indicata nei commi 2, 3 e 4, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati ai sensi del comma 1.
6. In relazione a quanto disposto dall'articolo 117, quinto comma, della Costituzione, i decreti legislativi eventualmente adottati nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano entrano in vigore, per le regioni e le province autonome nelle quali non sia ancora in vigore la propria normativa di attuazione, alla data di scadenza del termine stabilito per l'attuazione della normativa comunitaria e perdono comunque efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione adottata da ciascuna regione e provincia autonoma nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e, nelle materie di competenza concorrente, dei princìpi fondamentali stabiliti dalla legislazione dello Stato. A tale fine i decreti legislativi recano l'esplicita indicazione della natura sostitutiva e cedevole delle disposizioni in essi contenute.
7. Il Ministro per le politiche comunitarie, nel caso in cui una o più deleghe di cui al comma 1 non risulti ancora esercitata trascorsi quattro mesi dal termine previsto dalla direttiva per la sua attuazione, trasmette alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica una relazione che dia conto dei motivi addotti dai Ministri con competenza istituzionale prevalente per la materia a giustificazione del ritardo. Il Ministro per le politiche comunitarie ogni quattro mesi informa altresì la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e delle province autonome.
8. Il Governo, quando non intende conformarsi ai pareri parlamentari di cui al comma 3, relativi a sanzioni penali contenute negli schemi di decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese negli allegati A e B, ritrasmette con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni i testi alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica per il parere definitivo che deve essere espresso entro venti giorni.
L’articolo 1 conferisce una delega al Governo per l’attuazione delle direttive comunitarie riportate in allegato ai disegno di legge in esame e stabilisce i termini e le modalità di emanazione dei decreti legislativi attuativi.
In particolare, il comma 1 fa richiamo ai due elenchi di direttive comprese negli allegati A e B al disegno di legge comunitaria, alle quali dare attuazione entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore della legge.
La distinzione tra i due allegati è nel fatto che (comma 3) il procedimento per l’attuazione delle direttive incluse nell’allegato B prevede l’espressione del parere da parte dei competenti organi parlamentari; entro quaranta giorni dalla data di trasmissione i decreti possono comunque essere emanati. Tale procedura – che riproduce quella già prevista nelle ultime leggi comunitarie – è estesa anche ai decreti di attuazione delle direttive di cui all’allegato A, qualora in essi sia previsto il ricorso a sanzioni penali.
E’ a tal proposito previsto che, qualora il termine fissato per l’espressione del parere parlamentare venga a spirare in un periodo compreso tra il trentesimo giorno antecedente ed il giorno ultimo per l’esercizio della delega (tale previsione normativa si applica anche ai decreti legislativi integrativi o correttivi previsti dal successivo comma 4), la scadenza del termine finale sia prorogata di novanta giorni. Si intende in tal modo permettere al Governo di usufruire in ogni caso di un adeguato periodo di tempo per l’eventuale recepimento nei decreti legislativi delle indicazioni emerse in sede parlamentare.
A tal riguardo, si fa presente che il parere parlamentare deve essere richiesto dopo aver già acquisito tutti gli altri pareri previsti dalla legge, secondo la prassi affermatasi nella scorsa legislatura, soprattutto a partire dal 1998, a seguito dei reiterati interventi dei Presidenti delle Camere nei confronti del Governo, volti ad ottenere che il testo trasmesso per il parere parlamentare avesse completato la fase procedimentale interna all’esecutivo.
Il comma 2 richiama la procedura prevista dall’art. 14 della L. 400/1988[22] per l’adozione dei decreti legislativi, i quali sono emanati dal Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio dei ministri su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del ministro per le politiche comunitarie e del ministro con competenza istituzionale prevalente per materia, di concerto con i ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze e con gli altri ministri interessati in relazione all’oggetto della direttiva.
Il comma 4[23], prevede modalità specifiche per l’esame parlamentare in relazione al recepimento di alcune direttive espressamente indicate. Si tratta delle direttive n. 6, 20, 35, 42, 59, 85, 87, 99, 10, 124 e 125, tutte del 2003 e le n. 8, 12, 17, 18, 22, 35, 39 e 67 del 2004[24]: per i relativi schemi di decreto legislativo che ne recano l’attuazione sono previste due ulteriori condizioni:
§ devono essere corredati della relazione tecnica prevista dalla legge n. 468 del 1978[25] (art. 11-ter, comma 2);
§ su di essi è richiesto il parere delle Commissioni competenti per i profili finanziari, oltre, si presume, a quello delle Commissioni competenti per materia.
Per quanto riguarda la prima condizione, la previsione che gli schemi di decreto legislativo debbano essere corredati dalla relazione tecnica è già contemplata in via generale dalla legge n. 468 del 1978, richiamata dal testo in esame, che ne richiede la presentazione per tutti i provvedimenti di iniziativa governativa - oltre agli schemi di decreto legislativo, anche ai disegni di legge e agli emendamenti del Governo – comportanti conseguenze finanziarie.
E’ pertanto da valutare l’opportunità di inserire tale disposizione, già prevista a livello generale, nell’articolo in commento.
Inoltre, si consideri la congruità della seconda condizione in cui, dal tenore letterale, potrebbe sembrare che i pareri della Commissioni competenti per i profili finanziari siano esclusivi e non aggiuntivi a quelli delle Commissioni competenti per materia, come invece esplicitato nel citato parere della Commissione bilancio al disegno di legge in esame.
A seguito di un’integrazione operata dalla XIV Commissione della Camera, è altresì previsto che il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate al fine di garantire il rispetto dell'art. 81, quarto comma, Cost., deve sottoporre nuovamente i testi (corredati delle necessarie informazioni integrative) al parere delle Commissioni competenti per i profili finanziari, che si esprimono entro venti giorni[26].
Viene così introdotto il cosiddetto “doppio parere”, limitatamente ai provvedimenti di recepimento delle direttive sopra indicate. Una misura analoga è prevista, come si vedrà, per gli schemi di decreto che prevedono sanzioni penali (comma 8).
La previsione generalizzata del doppio parere per tutte le direttive era stata aggiunta, nel corso dell’esame in sede referente al Senato, con un emendamento al comma 1. Era ivi previsto che il Governo, nei trenta giorni successivi all’espressione del primo parere delle Camere, dovesse ritrasmettere, con le osservazioni ed eventuali modifiche, gli schemi alle Commissioni per il secondi e definitivo parere, da rendere entro venti giorni dalla trasmissione. Il Governo ha ritenuto che tale disposizione costituisse un inutile aggravio della procedura[27] e ha presentato un emendamento - approvato dall’Assemblea del Senato - volto a sopprimere il doppio parere[28].
Si osserva che esistono alcuni precedenti di leggi di delega che prevedono due fasi per il parere parlamentare: da ultimo il “collegato fiscale”, legge 7 aprile 2003, n. 80, art. 11, comma 3.
Il Comitato per la legislazione si è recentemente espresso favorevolmente all’introduzione del doppio parere ritenendolo “un meccanismo particolarmente idoneo a consentire un rafforzamento delle prerogative parlamentari ed il massimo coinvolgimento del Parlamento al procedimento di emanazione dei decreti legislativi di attuazione della delega”[29].
Il comma 5 prevede l’autorizzazione al Governo ad emanare con la medesima procedura, entro diciotto mesi[30] dall’entrata in vigore della legge, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla legge.
L’istituto della delega legislativa è previsto dall’art. 76 della Costituzione che lo delinea nei seguenti termini: “L’esercizio della delega legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione dei princìpi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”.
Le modalità di esercizio della delega legislativa sono state disciplinate, sul piano della legislazione ordinaria, dal citato art. 14 della L. n. 400/1988. Tale articolo:
§ prescrive, al fine di ovviare ad alcuni inconvenienti in precedenza manifestatisi in ordine alla configurazione dei decreti emanati in attuazione di deleghe, regole precise sulla qualificazione dell’atto, che deve essere denominato “decreto legislativo” e recare nel preambolo la completa indicazione degli adempimenti procedurali necessari (legge di delegazione, deliberazione del Consiglio dei ministri, etc.);
§ ribadisce la vincolatività del termine fissato dalla legge di delegazione, prevedendo a tale scopo che il decreto vada trasmesso al Presidente della Repubblica, per l’emanazione, almeno venti giorni prima della scadenza, consentendo altresì – nel caso che la delega riguardi oggetti distinti suscettibili di separata disciplina – l’esercizio della delega stessa mediante più decreti successivi;
§ introduce una particolare disciplina per quelle deleghe il cui termine di scadenza ecceda i due anni, prevedendo una procedura di consultazione (della quale sono fissate rigide scansioni temporali) tra Governo e Parlamento: il Governo è, infatti, tenuto a richiedere il parere delle Commissioni permanenti competenti per materia delle due Camere sugli schemi dei decreti legislativi, recependone le eventuali osservazioni e trasmettendo nuovamente al Parlamento gli schemi stessi per il parere definitivo delle Commissioni interessate. Al di fuori di queste ipotesi obbligatorie, nulla esclude ovviamente che le singole leggi di delega possano prevedere, di volta in volta, la necessità del previo parere parlamentare sugli schemi dei decreti delegati.
Va osservato che l’attuazione delle direttive comunitarie mediante delega legislativa è espressamente prevista, in via generale, dalla L. n. 86/1989[31], c.d. “legge La Pergola”, il cui art. 3, nel fissare i contenuti della legge comunitaria annuale, prevede che l’adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello comunitario venga assicurato, oltre che con disposizioni modificative di norme vigenti e con autorizzazione al Governo ad intervenire in via regolamentare, anche mediante conferimento al Governo di delega legislativa.
A tal riguardo, si ricorda che il testo unificato dei progetti di legge n. 3071, 3123 e 3310, approvato il 3 luglio 2003 dalla Camera ed attualmente in corso d’esame al Senato (A.S. 2386), reca tra l’altro norme per semplificare ed accelerare le attività di recepimento del diritto comunitario e per far fronte con puntualità all’aumentato numero di atti comunitari, conseguente anche all’ampliamento delle materie attratte nell’area dell’Unione europea. Nel merito, il provvedimento di riforma prevede modifiche al contenuto della legge comunitaria annuale e introduce ulteriori sistemi di adeguamento al diritto comunitario per ottemperare a quegli obblighi di esecuzione i cui tempi si rivelino incompatibili con l’attesa della presentazione della successiva legge comunitaria.
Il comma 6 reca una disposizione, inserita già nelle tre precedenti leggi comunitarie, che tiene conto dell’entrata in vigore delle modifiche apportate al Titolo V della Parte Seconda della Costituzione dalla L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
Vi si prevede infatti un intervento suppletivo anticipato e cedevole da parte dello Stato, in caso di inadempienza delle Regioni nell’attuazione delle direttive. Tale clausola di salvaguardia prevede una duplice garanzia per le regioni e province autonome:
§ i decreti legislativi statali attuativi di direttive comunitarie, che intervengono su materie rimesse alla competenza legislativa – concorrente o residuale generale – delle regioni o delle province autonome, entrano in vigore solo alla data di scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa comunitaria, per le regioni e le province autonome che non abbiano ancora adottato la propria normativa di attuazione;
§ i decreti legislativi perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa regionale (o provinciale) di attuazione delle direttive comunitarie, adottata da ciascuna regione e provincia autonoma nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dei princìpi fondamentali stabiliti dalla legislazione dello Stato. A questo scopo i decreti legislativi devono recare l’esplicita indicazione della natura sostitutiva e cedevole delle disposizioni in essi contenute[32].
La norma in oggetto persegue la duplice finalità di rispettare, da un lato, il riparto di competenze legislative delineato dal nuovo art. 117 Cost. nonché le competenze in materia di attuazione degli atti comunitari attribuite alle regioni dal quinto comma dell’art. 117 medesimo; dall’altro, di garantire allo Stato – attraverso l’esercizio del potere sostitutivo previsto espressamente dal medesimo quinto comma – uno strumento per evitare l’insorgere di una responsabilità nei confronti dell’Unione europea a seguito dell’eventuale mancata attuazione delle direttive da parte delle regioni e conseguentemente del verificarsi di ritardi tali da esporre l’Italia a procedure di infrazione.
L’eventuale adozione di decreti legislativi nelle materie di competenza regionale viene configurata come uno strumento dall’operatività eventuale, in quanto le norme dei decreti sono destinate ad entrare in vigore solo nell’eventualità che alcune regioni non adottino proprie discipline attuative delle direttive e a produrre effetti solo per le regioni che, appunto, non abbiano adottato le necessarie leggi. In caso, cioè, di inadempienza legislativa delle regioni, lo Stato, con l’adozione dei decreti legislativi in parola, evita di incorrere in una responsabilità che solo allo Stato può essere imputata dall’Unione europea.
La natura cedevole delle norme dei decreti medesimi – secondo uno schema normativo già noto prima della modifica della Costituzione – consente in ogni caso alle regioni di esercitare la propria potestà legislativa.
La relazione al disegno di legge chiarisce che “il potere sostitutivo dello Stato trova chiaro fondamento nella circostanza che l’Unione europea costituisce un’Unione di Stati e che lo Stato nel suo complesso, nella qualità di interlocutore primario della comunità e dei partners europei, rappresenta il soggetto responsabile dell’adempimento degli obblighi comunitari. Di qui il corollario, a più riprese ribadito dalla Corte costituzionale, alla stregua del quale, ferma restando la competenza in prima istanza delle regioni e delle provincie autonome, allo Stato competono tutti gli strumenti necessari per non trovarsi impotente di fronte a violazioni di norme comunitarie determinate da attività positive ed omissive dei soggetti dotati di autonomia costituzionale. Gli strumenti consistono non in avocazioni di competenze dello Stato ma in interventi repressivi o sostitutivi e suppletivi – questi ultimi in via preventiva, ma cedevoli di fronte all’attivazione dei poteri regionali e provinciali normalmente competenti – rispetto a violazioni o carenze nell’attuazione e nell’esecuzione di norme comunitarie da parte delle regioni e delle province autonome (Corte costituzionale, sentenze n. 425 del 1999 e n. 126 del 1996, relative all’esercizio di competenza esclusiva da parte delle province autonome di Trento e Bolzano)”.
La medesima relazione dà notizia della circostanza che l’utilizzo di tale forma di sostituzione preventiva è stata favorevolmente considerata dalla Conferenza Stato-regioni in occasione dell’esame di molteplici schemi di decreti legislativi attuativi delle deleghe conferite da leggi comunitarie a partire dalla L. n. 39/2002 (legge comunitaria 2001).
Il vincolo del rispetto dei princìpi fondamentali rileva, è da ritenere, con riguardo alle sole materie incluse nella competenza legislativa concorrente di Stato e regioni.
Il comma 7, introdotto nel corso dell’esame da pare della 1ª Commissione del Senato, pone in capo al Ministro per le politiche comunitarie il duplice compito di comunicare alle Camere i motivi dell’eventuale mancata attuazione delle direttive comunitarie e lo stato di attuazione delle direttive a livello regionale, “al fine di assicurare la possibilità di un più efficace controllo parlamentare”[33].
In particolare, il Ministro, trascorsi quattro mesi dal termine di recepimento previsto dalla direttiva senza che vi sia data attuazione trasmette alla Camera e al Senato una relazione ad hoc, che dia conto delle motivazioni addotte dai Ministri competenti a giustificazione del ritardo.
Inoltre, ogni quattro mesi il Ministro informa le Camere dello stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e delle province autonome.
I canali di informazione Governo - Parlamento si arricchiscono di queste ulteriori forme di comunicazione, che si vanno ad aggiungere alla relazione annuale sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea - trasmessa alle Camere ed esaminata congiuntamente alla legge comunitaria - prevista dall’articolo 7 della legge n. 86 del 1989.
Per quanto riguarda le comunicazioni periodiche del Ministro alle Camere sullo stato di attuazione regionale, esse consentiranno “di avviare il necessario monitoraggio su un processo – quello dell’attuazione diretta da parte regionale del diritto comunitario – che se oggi è attivato solo sporadicamente, è destinato però ad assumere ben altra sistematicità nel quadro della piena attuazione della riforma del titolo V della parte II della Costituzione”[34].
Si ricorda, in proposito, che il citato disegno di legge di riforma della legge La Pergola (A.S. 2386) prevede che i provvedimenti adottati dalle regioni e dalle province autonome per dare attuazione alle direttive comunitarie nelle materia di propria competenza siano immediatamente trasmessi in copia al Dipartimento delle politiche comunitarie (art. 16, comma 2). Tale obbligo costituisce la condizione necessaria per consentire il monitoraggio di cui sopra.
Il comma 8, introdotto dall’Assemblea del Senato[35], prevede che, in relazione agli schemi di decreti legislativi di cui all’articolo 3 - ossia quelli volti a introdurre sanzioni per le violazioni di direttive attuate in via regolamentare o amministrativa - se il Governo non ha intenzione di conformarsi ai pareri parlamentari deve ritrasmettere alle Camere gli schemi con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni. Entro venti giorni le Commissioni competenti dovranno esprimere il parere definitivo.
Anche in questo caso, come per le direttive indicate nel comma 4, si prevede il cosiddetto “doppio parere”.
1. Salvi gli specifici princìpi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni di cui al capo II ed in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono informati ai seguenti princìpi e criteri direttivi generali:
a) le amministrazioni direttamente interessate provvedono all'attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture amministrative;
b) ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse, fatte salve le materie oggetto di delegificazione ovvero i procedimenti oggetto di semplificazione amministrativa;
c) salva l'applicazione delle norme penali vigenti, ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. Le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a 103.291 euro e dell'arresto fino a tre anni, sono previste, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi sono previste: la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l'interesse protetto; la pena dell'arresto congiunta a quella dell'ammenda per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità. La sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 103 euro e non superiore a 103.291 euro è prevista per le infrazioni che ledano o espongano a pericolo interessi diversi da quelli sopra indicati. Nell'ambito dei limiti minimi e massimi previsti, le sanzioni sopra indicate sono determinate nella loro entità, tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l'infrazione può recare al colpevole o alla persona o all'ente nel cui interesse egli agisce. In ogni caso sono previste sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per le violazioni omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi;
d) eventuali spese non contemplate da leggi vigenti e che non riguardano l'attività ordinaria delle amministrazioni statali o regionali possono essere previste nei decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive nei soli limiti occorrenti per l'adempimento degli obblighi di attuazione delle direttive stesse; alla relativa copertura, nonché alla copertura delle minori entrate eventualmente derivanti dall'attuazione delle direttive, in quanto non sia possibile fare fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni, si provvede a carico del fondo di rotazione di cui all'articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, per un ammontare complessivo non superiore a 50 milioni di euro;
e) all'attuazione di direttive che modificano precedenti direttive già attuate con legge o con decreto legislativo si procede, se la modificazione non comporta ampliamento della materia regolata, apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione della direttiva modificata;
f) i decreti legislativi assicurano in ogni caso che, nelle materie oggetto delle direttive da attuare, la disciplina sia pienamente conforme alle prescrizioni delle direttive medesime, tenuto anche conto delle eventuali modificazioni comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega;
g) quando si verifichino sovrapposizioni di competenze fra amministrazioni diverse o comunque siano coinvolte le competenze di più amministrazioni statali, i decreti legislativi individuano, attraverso le più opportune forme di coordinamento, rispettando i princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza e le competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, le procedure per salvaguardare l'unitarietà dei processi decisionali, la trasparenza, la celerità, l'efficacia e l'economicità nell'azione amministrativa e la chiara individuazione dei soggetti responsabili.
h) i decreti legislativi assicurano che sia garantita una effettiva parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto a quelli degli altri Stati membri dell'Unione europea, facendo in modo di assicurare il massimo livello di armonizzazione possibile tra le legislazioni interne dei vari Stati membri ed evitando l'insorgere di situazioni discriminatorie a danno dei cittadini italiani nel momento in cui gli stessi sono tenuti a rispettare, con particolare riferimento ai requisiti richiesti per l'esercizio di attività commerciali e professionali, una disciplina più restrittiva di quella applicata ai cittadini degli altri Stati membri.
L’articolo 2 detta i princìpi e criteri direttivi di carattere generale per l’esercizio delle deleghe ai fini dell’attuazione delle direttive comunitarie; si tratta di princìpi e criteri in gran parte già contenuti nelle precedenti leggi comunitarie.
La disposizione, prima di elencare tali princìpi generali, richiama due ulteriori categorie di princìpi e criteri direttivi per l’esercizio delle deleghe:
§ si tratta, innanzitutto, dei criteri contenuti nelle singole direttive comunitarie da attuare, ai quali si aggiungono i princìpi generali oggetto dell’articolo in esame;
§ in secondo luogo, sono fatti salvi gli specifici criteri di delega previsti dal capo II del disegno di legge in esame, contenenti, appunto, le disposizioni particolari di adempimento e i criteri specifici di delega di alcune delle direttive da attuare.
Tra i criteri generali di delega si segnala quello di cui alla lettera b), che prevede l’introduzione delle modifiche necessarie per un migliore coordinamento con le discipline vigenti nei singoli settori interessati dall’attuazione delle direttive comunitarie.
Analogamente alla legge comunitaria per il 2003 (L. 306/2003), la norma in esame fa salve “le materie oggetto di delegificazione ovvero i procedimenti oggetto di semplificazione amministrativa”.
Si ricorda che le leggi comunitarie precedenti specificavano espressamente che le modifiche, qualora incidessero su materie già oggetto di delegificazione o sui procedimenti amministrativi, dovessero essere introdotte con regolamento di delegificazione, al fine di evitare la rilegificazione di settori disciplinati da norme di rango sublegislativo.
Tale disposizione, già espunta dalla legge comunitaria 2001[36], è stata eliminata perché, in seguito della riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione[37], la potestà regolamentare è riservata alle Regioni nelle materie che non siano di competenza legislativa esclusiva dello Stato[38].
Il principio di delega di cui alla lettera d) fa riferimento alla copertura finanziaria delle norme delegate. Al riguardo si stabilisce che gli oneri derivanti dall’attuazione delle direttive debbano essere coperti con gli ordinari stanziamenti di bilancio. Nel caso in cui detti stanziamenti non risultassero sufficienti, si farà ricorso alle disponibilità sussistenti sul fondo di rotazione di cui all’art. 5 della L. 183/1987 (vedi infra) e, comunque, per un ammontare non superiore a 50 milioni di euro. Tale disposizione è contenuta già nella legge comunitaria 2002 (L. n. 14/2003).
La citata L. 183/1987[39] istituisce, tra gli organi del coordinamento delle politiche comunitarie, il Fondo di rotazione. Ai sensi dell’art. 5 della legge, confluiscono nel fondo le somme erogate dalle istituzioni comunitarie, le somme individuate annualmente in sede di legge finanziaria e altre somme determinate con la legge di bilancio (nonché altre somme specifiche). Le risorse presenti sul fondo vengono erogate, su richiesta e secondo limiti di quote determinate dal CIPE, alle amministrazioni pubbliche e ad altri operatori pubblici e privati per l’attuazione dei programmi di politica comunitaria.
Le procedure finanziarie riguardanti le erogazioni concesse dal Fondo di rotazione delle politiche comunitarie sono state modificate dall’art. 65, co. 2, della legge finanziaria 2001 (legge 23 dicembre 2000, n. 388). Richiamando le nuove procedure finanziarie previste dai regolamenti comunitari per il ciclo di interventi dei Fondi strutturali 2000-2006, la norma ha autorizzato il Fondo di rotazione ad anticipare alle amministrazioni centrali l’acconto dei contributi comunitari previsto dall’art. 32, par. 2, del Regolamento (CE) n. 1260/1999, direttamente in base ai programmi operativi previsti dai regolamenti comunitari, anziché, come in precedenza, in base ai progetti in cui si articolano i programmi di intervento. La norma intende facilitare l’avvio da parte delle amministrazioni centrali degli interventi, ovviando alla mancanza di disponibilità di cassa in attesa del ricevimento dell’acconto da parte comunitaria, fermo restando il successivo reintegro al Fondo stesso degli accrediti provenienti dall’Unione europea. I ritardi nell’avvio dell’attuazione degli interventi comportano infatti, secondo quanto espressamente previsto dal regolamento, il disimpegno automatico delle risorse comunitarie.
Criteri legati all’armonizzazione delle deleghe legislative sono contenuti nelle lettere e) ed f). In particolare, si prevede che l’attuazione di direttive che modificano precedenti direttive già attuate avvenga per mezzo di modifiche apportate ai testi legislativi di attuazione di tali direttive; è in ogni caso prescritto che i decreti di attuazione assicurino la piena conformità della disciplina alle prescrizioni delle direttive medesime, tenuto anche conto delle eventuali modifiche che potranno intervenire fino al momento del concreto esercizio della delega.
Criteri connessi all’univocità dei processi decisionali quando i decreti legislativi investano trasversalmente diverse competenze ed amministrazioni sono contenuti nella lettera g), che si pone inoltre l’obiettivo di garantire, attraverso opportune forme di coordinamento, anche la trasparenza nell’azione amministrativa e la chiarezza nell’attribuzione di responsabilità. Sono espressamente richiamati il rispetto delle competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, nonché il rispetto dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
Si ricorda che la terna di princìpi qui riprodotta (sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza), già posta dalla L. 59/1997[40] a fondamento della ripartizione delle funzioni e dei compiti amministrativi tra i vari livelli di governo, ha assunto rilievo costituzionale in virtù della L.Cost. 3/2001, di riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione. Quest’ultima, nel riscrivere l’art. 118 Cost., ha infatti posto i princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza alla base della ripartizione delle funzioni amministrative tra comuni, province, città metropolitane, regioni e Stato.
Norme specifiche per l’introduzione nei decreti legislativi di recepimento delle direttive comunitarie di sanzioni penali e amministrative, per il caso di violazioni delle disposizioni contenute nei decreti legislativi stessi, sono previste nella lettera c).
La scelta che il Governo è autorizzato ad operare, in sede di attuazione della delega, tra la configurazione delle violazioni come reati o come illeciti amministrativi, è ancorata ai seguenti princìpi e criteri direttivi[41]:
§ mantenimento delle norme penali vigenti;
§ introduzione di nuove fattispecie di reati contravvenzionali, sanzionate – in via alternativa o congiunta – con la pena pecuniaria dell’ammenda fino a 103.291 euro e dell’arresto sino a 3 anni, nei casi in cui siano lesi o esposti a pericolo “interessi costituzionalmente protetti”. Quest’ultima formula è stata per la prima volta introdotta nella legge comunitaria 2002 (L. n. 14/2003). Le leggi comunitarie precedenti facevano, invece, riferimento a “interessi generali dell’ordinamento interno, compreso l’ecosistema”. In particolare, la pena dovrà essere prevista come alternativa per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l’interesse protetto. Viceversa, si applicherà la pena congiunta dell’ammenda e dell’arresto per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità[42];
§ introduzione di nuove fattispecie di illeciti amministrativi puniti con la sanzione pecuniaria di importo non inferiore a 103 euro e non superiore a 103.291 euro, per le violazioni che ledano o espongano a pericolo beni giuridici diversi da quelli ora indicati;
§ determinazione del minimo e del massimo della pena edittale nelle nuove fattispecie di reati e di illeciti amministrativi previsti dai decreti legislativi, da effettuare tenendo conto delle diverse potenzialità lesive dell’interesse protetto che le infrazioni presentano in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole – con particolare riferimento a quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza – e del vantaggio patrimoniale che l’infrazione può recare al colpevole (o all’ente o alla persona nel cui interesse agisce);
§ in deroga ai limiti sopra indicati, è previsto che l’importo alle infrazioni previste dai decreti legislativi sia identico a quello eventualmente già comminato da leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività.
Nel corso dell’esame in Commissione è stato introdotto un ulteriore criterio alla lettera h), volto ad assicurare in sede di recepimento delle direttive un’effettiva parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto a quelli degli altri Stati membri[43]. Tale scopo viene perseguito assicurando la massima armonizzazione tra le legislazioni degli Stati membri al fine di evitare l’insorgere di “discriminazioni a rovescio” a danno dei cittadini italiani, tenuti a rispettare, con particolare riferimento ai requisiti per l’esercizio di attività commerciali e professionali, una disciplina più restrittiva di quella applicata ai cittadini degli altri Stati membri.
È la questione delle c.d. “discriminazioni a rovescio”, che insorgono appunto nel caso in cui la legislazione interna preveda una disciplina più restrittiva per l’esercizio di professioni o per determinate tipologie di prodotti rispetto a quella vigente negli altri Stati membri. La situazione discriminatoria che si determina è un effetto indiretto dell’applicazione del diritto comunitario, in quanto in base al principio di libera circolazione delle merci e delle persone all'interno dell’Unione, sia i prodotti sia i prestatori di servizi, operanti all'interno di uno Stato membro in base alle regole ivi vigenti, devono poter circolare liberamente in tutti gli altri Paesi, a prescindere dalla disciplina esistente nello Stato di destinazione[44]. Pertanto, nel caso in cui il Paese di destinazione abbia una disciplina più rigorosa, i produttori ed i prestatori di servizi nazionali, in mancanza di una piena armonizzazione nell'attuazione della normativa comunitaria da parte dei vari Stati membri, dovrebbero osservare regole più restrittive di quelle previste negli altri Stati per la produzione del medesimo tipo di bene o per l'esercizio della medesima attività.
Per rimediare a questo tipo di discriminazioni è stata ripetutamente adita la Corte di giustizia delle Comunità europee (come ad esempio nelle vicende relative all'aceto di vino italiano, alla birra tedesca, al gin, al formaggio olandese, alla pasta italiana, allo yogurt francese, nonché, da ultimo, al cioccolato e al prosciutto di Parma, rispettivamente CGCE sentenza 9 dicembre 1981, causa C-193/80; 12 marzo 1987, causa C-178/84; 26 novembre 1985, causa C-182/84; 5 dicembre 2000, causa C-448/98; 14 luglio 1988, causa C-407/85), la quale però ha negato la propria competenza per l'irrilevanza comunitaria di tutte quelle situazioni che, non avendo diretti collegamenti con il diritto comunitario, trovano il proprio fondamento nella legislazione interna del singolo Stato membro (CGCE 16 gennaio 1997, causa C-134/95; 9 settembre 1999, causa C-108/98; 21 ottobre 1999, causa C-97/98; 6 giugno 2000, causa C-281/98; 20 febbraio 2001, causa C-192/99; causa C-14/00).
Per quanto riguarda il nostro ordinamento, la Corte costituzionale è intervenuta nella vicenda della produzione della pasta, dichiarando costituzionalmente illegittime, per violazione del principio di eguaglianza, quelle disposizioni suscettibili di discriminare i cittadini italiani costringendoli a rispettare una disciplina più restrittiva di quella applicata ai cittadini degli Stati membri, in ordine ad una medesima fattispecie (sentenza n. 443 del 1997).
Si ricorda, infine, che in materia è stato approvato durante la seduta del 23 ottobre 2003 dell’Assemblea della Camera – nel corso dell’esame del disegno di legge comunitaria per il 2003 (ora legge n. 306 del 2003) – l’ordine del giorno 9/3618-B/7, Zanettin, Palma, il quale impegnava il Governo a: fare in modo che in sede di attuazione delle direttive comunitarie contenute negli allegati A e B del disegno di legge comunitaria 2003 fosse garantita una parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto a quelli degli altri Stati membri, facendo in modo di assicurare il massimo livello di armonizzazione possibile tra le legislazioni interne dei vari Stati membri; garantire anche per il futuro, in sede di attuazione della normativa comunitaria nell'ordinamento interno, la massima uniformità rispetto alla normativa di attuazione adottata dagli altri Stati membri; intervenire, anche con iniziative normative, per sanare le situazioni discriminatorie «a rovescio» presenti nella legislazione vigente di attuazione nella normativa comunitaria, con particolare riferimento ai requisiti richiesti per l'esercizio di attività commerciali e professionali.
Art. 3
(Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di disposizioni comunitarie)
1. Al fine di assicurare la piena integrazione delle norme comunitarie nell'ordinamento nazionale, il Governo, fatte salve le norme penali vigenti, è delegato ad adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di direttive comunitarie attuate in via regolamentare o amministrativa, ai sensi della legge 22 febbraio 1994, n. 146, della legge 24 aprile 1998, n. 128, e della presente legge, e di regolamenti comunitari vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, per i quali non siano già previste sanzioni penali o amministrative.
2. La delega di cui al comma 1 è esercitata con decreti legislativi adottati ai sensi dell'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia. I decreti legislativi si informeranno ai princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c).
3. Gli schemi di decreto legislativo di cui al presente articolo sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per l'espressione del parere da parte dei competenti organi parlamentari con le modalità e nei termini previsti dai commi 3 e 8 dell'articolo 1.
L’articolo 3 prevede, in analogia con quanto disposto dalle ultime leggi comunitarie (cfr. da ultimo, legge 31 ottobre 2003, n. 306), l'introduzione di un trattamento sanzionatorio per le violazioni alle direttive attuate non in via legislativa ai sensi delle leggi n. 146/1994 (legge comunitaria per il 1993), n. 128/1998 (legge comunitaria per il 1995-1997) e della legge comunitaria in commento, e per le violazioni ai regolamenti comunitari già vigenti nel nostro ordinamento giuridico.
A tal fine la norma contiene una delega al Governo per l'adozione, entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge, di disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per la violazione di direttive comunitarie attuate in via regolamentare o amministrativa, ai sensi della normativa sopra richiamata, nonché di regolamenti comunitari vigenti alla data di entrata in vigore della legge comunitaria e per i quali non siano già previste sanzioni penali o amministrative (comma 1).
La necessità della norma si spiega con la circostanza che, sia nel caso dell'attuazione di direttive in via regolamentare o in via amministrativa, sia nel caso di vigenza nell'ordinamento italiano di regolamenti comunitari (che, come è noto, non necessitano di leggi di recepimento, essendo direttamente applicabili all'interno dell'ordinamento), non vi è una fonte normativa di rango primario che possa introdurre norme sanzionatorie di natura penale.
La finalità di tali disposizioni è, pertanto, quella di consentire al Governo di individuare una serie di sanzioni dirette a punire le trasgressioni commesse in violazione dei precetti contenuti nelle disposizioni normative comunitarie, garantendo il rispetto degli atti regolamentari o amministrativi con cui tali disposizioni comunitarie vengono trasposte nell'ordinamento interno.
I decreti legislativi, da adottare su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia, potranno – fatte salve le norme penali vigenti – introdurre nuove sanzioni penali o sanzioni amministrative.
La tipologia e la scelta delle sanzioni dovrà essere effettuata secondo i medesimi princìpi e criteri che sovraintendono all'art. 2, comma 1, lettera c) della presente legge (comma 2).
Il comma 3 prevede l’acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari sugli schemi di decreto legislativo. I pareri sono espressi con le modalità previste dai commi 3 e 8 dell’articolo 1, cui si rinvia.
In particolare, il comma 8 dell’articolo 1, introdotto dall’assemblea del Senato, prevede, per gli schemi di decreto recanti sanzioni per violazione di direttive, un eventuale doppio parere delle Camere: il secondo parere interviene nel caso in cui il Governo non intenda conformarsi alle osservazioni espresse dalle commissioni competenti in occasione del primo parere.
1. Gli oneri per prestazioni e controlli da eseguire da parte di uffici pubblici nell'attuazione delle normative comunitarie sono posti a carico dei soggetti interessati, ove ciò non risulti in contrasto con la disciplina comunitaria, secondo tariffe determinate sulla base del costo effettivo del servizio. Le suddette tariffe sono predeterminate e pubbliche.
2. Le entrate derivanti dalle tariffe di cui al comma 1, qualora riferite all'attuazione delle direttive di cui agli allegati A e B della presente legge, nonché di quelle da recepire con lo strumento regolamentare, sono attribuite alle amministrazioni che effettuano le prestazioni ed i controlli, mediante riassegnazione ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1999, n. 469.
L’articolo 4, comma 1, prevede che gli oneri derivanti dall’esecuzione di prestazioni e controlli da parte di uffici pubblici in attuazione della normativa comunitaria siano posti a carico dei soggetti interessati.
Tali prestazioni e controlli sono considerati come un servizio reso dai pubblici uffici; ai soggetti destinatari è richiesto un corrispettivo che, secondo quanto prevede il comma 1 in esame, deve essere quantificato in relazione al costo effettivo del servizio reso ed è calcolato sulla base di tariffe pubbliche e predeterminate.
La disposizione considerata sembra avere lo scopo di evitare che l’applicazione della normativa comunitaria, nel caso in cui essa imponga alle pubbliche amministrazioni adempimenti rivolti a soggetti che è possibile individuare specificamente, comporti oneri aggiuntivi per la finanza pubblica.
E’ fatto comunque salvo il caso in cui la previsione di attribuire gli oneri delle prestazioni e dei controlli ai soggetti che ne sono gli specifici destinatari risulti in contrasto con la normativa comunitaria medesima.
Il comma 1 dell’articolo 4 in esame riproduce disposizioni già contenute in precedenti leggi comunitarie; si può citare, da ultimo, l’articolo 4 della legge comunitaria per il 2003 (legge 31 ottobre 2003, n. 306).
Al riguardo, peraltro, si può osservare che la formulazione di tali disposizioni, e, da ultimo, quelle contenute nel comma 1 dell’articolo 4 in esame (nel quale non emerge uno specifico riferimento alla normativa comunitaria la cui attuazione è oggetto del presente disegno di legge) si presta ad essere interpretata nel senso di affermare un principio di valenza generale, che, in quanto tale, potrebbe non rendere necessaria la riproposizione delle disposizioni medesime.
Si ricorda, infatti, che nell’ambito del provvedimento di riforma della legge n. 86 del 1989 - A.S. 2386 (“Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”), in stato di relazione presso l’Assemblea del Senato - l’articolo 9 individua i contenuti della legge comunitaria e, in particolare, al comma 2, pone una norma di portata generale concernente gli oneri relativi a prestazioni e controlli, che ha una formulazione pressoché identica a quella dell’articolo 4, comma 1, in esame.
Il comma 2 del medesimo articolo stabilisce, poi, che le entrate derivanti dalle tariffe di cui al comma 1, qualora riferite all’attuazione delle direttive di cui agli allegati A e B della presente legge, nonché di quelle da recepire con lo strumento regolamentare, siano attribuite alle amministrazioni che effettuano le prestazioni ed i controlli, mediante riassegnazione ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1999, n. 469.
Con il citato D.P.R. è stato emanato il Regolamento recante le norme di semplificazione del procedimento per il versamento di somme all'entrata e la riassegnazione alle unità previsionali di base per la spesa del bilancio dello Stato, con particolare riferimento ai finanziamenti dell'Unione europea.
Il particolare, l’articolo 2 del citato D.P.R. n. 469/1999 prevede che le riassegnazioni alle pertinenti unità previsionali di base di particolari entrate previste da specifiche disposizioni legislative, anche riguardanti finanziamenti dell'Unione europea, sono disposte con decreti del Ministro dell’economia e delle finanze, da registrarsi alla Corte dei conti.
Le amministrazioni interessate trasmettono al Ministero dell’economia e delle finanze le domande intese ad ottenere le riassegnazioni, corredate da una dichiarazione del responsabile del procedimento amministrativo che attesti, anche sulla base delle relative evidenze informatiche, l'avvenuto versamento all'entrata del bilancio e la riassegnabilità delle somme.
Art. 5
(Delega al Governo per il riordino normativo nelle materie interessate dalle direttive comunitarie)
1. Il Governo è delegato ad adottare, con le modalità di cui ai commi 2 e 3 dell'articolo 1, entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, testi unici delle disposizioni dettate in attuazione delle deleghe conferite per il recepimento di direttive comunitarie, al fine di coordinare le medesime con le norme legislative vigenti nelle stesse materie, apportando le sole modificazioni necessarie a garantire la semplificazione e la coerenza logica, sistematica e lessicale della normativa.
2. I testi unici di cui al comma 1 riguardano materie o settori omogenei. Fermo restando quanto disposto al comma 5, le disposizioni contenute nei testi unici non possono essere abrogate, derogate, sospese o comunque modificate, se non in modo esplicito mediante l'indicazione puntuale delle disposizioni da abrogare, derogare, sospendere o modificare.
3. Il Governo è delegato ad adottare, con le modalità di cui al comma 3 dell'articolo 1, entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, il Ministro della giustizia e il Ministro dell'interno, un testo unico in materia di disposizioni finalizzate a prevenire l'utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, inteso a riordinare la legislazione vigente in materia e ad apportarvi le modifiche necessarie in conformità dei seguenti princìpi:
a) garantire la semplificazione e la coerenza logica, sistematica e lessicale della normativa;
b) garantire l'economicità, l'efficienza e l'efficacia del procedimento ove siano previste sanzioni amministrative per la violazione della normativa antiriciclaggio.
4. Dall'attuazione del comma 3 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
5. Per le disposizioni adottate ai sensi del presente articolo si applica quanto previsto al comma 6 dell'articolo 1.
6. Il presente articolo non si applica alla materia della sicurezza e igiene del lavoro.
L’articolo 5 conferisce una delega al Governo per l’adozione, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge, di testi unici delle disposizioni dettate in attuazione delle deleghe conferite per il recepimento di direttive comunitarie nell’ordinamento interno, al fine di coordinare le norme vigenti nelle stesse materie apportandovi le integrazioni e modifiche necessarie a garantire la semplificazione e la coerenza logica, sistematica e lessicale della normativa (comma 1).
Il comma 2 stabilisce che i testi unici devono riguardare materie o settori omogenei e che le disposizioni contenute nei testi unici emanati in base al medesimo articolo 5 non possono essere abrogate, derogate o sospese o comunque modificate se non in modo esplicito, mediante l’indicazione puntuale delle disposizioni da abrogare, derogare, sospendere o modificare.
Si ricorda che disposizioni relative al riordinamento normativo nei settori interessati da direttive comunitarie erano già contenute nelle leggi comunitarie a partire dal 1994[45]. Peraltro tali deleghe sono state esercitate una volta soltanto, attraverso l’emanazione del testo unico in materia di intermediazione finanziaria (D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, adottato ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge comunitaria per il 1994[46]).
In materia di testi unici è intervenuta la disciplina generale di cui all’art. 7 della L. n. 50 del 1999[47] che prevede il riordino della normativa attraverso lo strumento dei testi unici cosiddetti “misti”, ossia recanti sia disposizioni di rango legislativo, che regolamentari. A tale proposito si ricorda che il Comitato per la legislazione della Camera dei deputati, nel parere reso in data 15 marzo 2000 sul disegno di legge comunitaria 2000, sottolineava l’opportunità di sopprimere la disposizione volta ad attuare un processo speciale di riordino normativo per le norme attuative delle direttive comunitarie considerato che l’art. 7 della L. n. 50 del 1999 prevedeva già un ampio programma di riordino normativo[48].
È da ultimo intervenuta la legge di semplificazione per il 2001 (L. 229/2003[49]), la quale ha innovato profondamente le metodologie di razionalizzazione normativa sinora perseguite, modificando il contenuto della legge annuale di semplificazione (così come disciplinato dall’art. 20 della L. 59/1997), privilegiando il ricorso alla delegazione legislativa ed alla delegificazione, e sancendo l’abbandono dei testi unici misti, con l’abrogazione del citato art. 7 della L. 50/1999, che li aveva introdotti. Come si legge nella relazione illustrativa del disegno di legge governativo, “il nuovo scopo che si vuole raggiungere con il riassetto, e con il suo prodotto finale, il codice, è quello di dar luogo in singole materie ad un complesso di norme stabili ed armonizzate, espressione di un assestamento della materia (…). Del resto, per pervenire a tali risultati non può essere considerato sufficiente lo strumento del testo unico, come mera raccolta e coordinamento di norme esistenti, ma è necessario uno strumento cui l’ordinamento attribuisca potere innovativo”.
Il comma 3, inserito a seguito dell’approvazione di un emendamento del Governo (n. 5.100) nel corso dell’esame presso l’Assemblea del Senato, delega il Governo ad adottare un testo unico delle disposizioni finalizzate a prevenire l’utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio. Il testo unico dovrà essere adottato entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame. Sullo schema di esso dovranno essere acquisiti, con le modalità di cui al comma 3 dell’articolo 1 del presente disegno di legge, i pareri delle competenti Commissioni parlamentari.
Il testo unico dovrà riordinare la legislazione vigente e potrà apportare modifiche alla stessa in conformità ai seguenti princìpi:
a) garantire la semplificazione e la coerenza logica, sistematica e lessicale della normativa;
b) garantire l’economicità, l’efficienza e l’efficacia del procedimento ove siano previste sanzioni amministrative per la violazione della normativa antiriciclaggio.
Si ricorda che la vigente disciplina antiriciclaggio è contenuta nei seguenti provvedimenti:
- D.L. 15 dicembre 1979, n. 625 (convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 1980, n. 15): articolo 13;
- D.L. 3 maggio 1991, n. 143 (convertito, con modificazioni, dalla legge 5 luglio 1991, n. 197);
- D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 153, recante integrazione dell'attuazione della direttiva 91/308/CEE;
- D.Lgs. 25 settembre 1999, n. 374, recante integrazione dell'attuazione della direttiva 91/308/CEE;
- Legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria per il 2001): articoli 150 e 151;
- D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 56, recante attuazione della direttiva 2001/97/CE.
Il sistema di lotta al riciclaggio, delineato dai sopra citati provvedimenti, si articola su quattro meccanismi fondamentali:
- canalizzazione delle transazioni maggiormente significative attraverso il sistema degli intermediari finanziari;
- rilevazione e gestione dei dati concernenti le operazioni superiori ad una soglia minima prefissata (12.500 euro) e l'accensione di conti, depositi e rapporti continuativi, attraverso un apposito archivio unico informatico;
- obbligo di identificazione e registrazione relativamente alle transazioni, anche se frazionate, per importi superiori a 12.500 euro, nonché con riguardo all’accensione di conti, depositi e altri rapporti continuativi;
- obbligo di segnalazione delle operazioni ritenute sospette.
Il comma 4, anch’esso introdotto nel corso dell’esame presso il Senato, prevede che dall’attuazione delle disposizioni del comma 3, che prevede la predisposizione del suddetto testo unico, non debbono provenire nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Il comma 5 prevede l’applicazione della clausola di salvaguardia delle competenze regionali, prevista dal comma 6 dell’articolo 1 del d.d.l. in esame, anche ai testi unici adottati nelle materie interessate da direttive comunitarie ai sensi del medesimo articolo 5.
Si ricorda che l’articolo 1, comma 6, stabilisce che, in relazione a quanto previsto dall’articolo 117, quinto comma, Cost., i decreti legislativi statali attuativi di direttive comunitarie, che intervengono su materie rimesse alla competenza legislativa delle regioni o delle provincie autonome:
- entrano in vigore solo alla data di scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa comunitaria, per le regioni e le provincie autonome che non abbiano ancora adottato la propria normativa di attuazione;
- perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa regionale (o provinciale) di attuazione delle direttive comunitarie.
Si ricorda, infine, che il quinto comma dell’art. 117 Cost. riguarda la partecipazione delle regioni e province autonome alla fase ascendente di formazione degli atti comunitari nonché all’attuazione della normativa stessa, nel rispetto della procedura determinata da legge statale, che disciplina l’esercizio del potere sostitutivo da parte dello Stato in caso di inadempienza.
Il comma 6 esclude dall’ambito di applicazione delle disposizioni previste nei precedenti commi la materia della sicurezza ed igiene del lavoro, disposizione già prevista nelle precedenti leggi comunitarie a partire dalla L. 422/2000 (legge comunitaria per il 2000), che faceva rinvio ad un apposito provvedimento normativo.
Si ricorda in proposito che la legge n. 229 del 2003 (legge di semplificazione 2003) delega il Governo ad emanare entro il 9 settembre 2004 uno o più decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni in materia di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori (art. 3, comma 1). Tale termine è stato recentemente prorogato di sei mesi dalla legge n. 186/2004, di conversione del decreto legge n. 136/2004.
Procedure di infrazione
Il 3 febbraio 2004 la Commissione europea ha inviato al Governo italiano un parere motivato per la mancata attuazione della direttiva 2001/97/CE (relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite), il cui termine per il recepimento è scaduto il 15 giugno 2003. Essendo stata la direttiva in questione recepita con il decreto legislativo 20 febbraio 2004, n. 56, la procedura d’infrazione è stata provvisoriamente archiviata.
Documenti all’esame delle Istituzioni europee
Il 30 giugno 2004 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva (c.d. terza direttiva in materia di riciclaggio) relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite, incluso il finanziamento del terrorismo (COM(2004)448).
La proposta, che integra la disciplina vigente in materia contenuta nelle direttive 91/308/CEE (prima direttiva sul riciclaggio) e 2001/97/CE (seconda direttiva sul riciclaggio) è considerata prioritaria nel programma legislativo della Commissione per il 2004 e rientra tra le misure preannunciate dal Commissario al mercato interno Bolkenstain per ristabilire un clima di fiducia dopo i recenti scandali che hanno scosso i mercati finanziari.
La proposta, che segue la procedura di codecisione, sarà esaminata prossimamente dal Consiglio e dal Parlamento europeo.
1. La legge 11 gennaio 2001, n. 7, sul settore fieristico, è abrogata, in esecuzione della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 15 gennaio 2002 nella causa C439/99.
L’articolo in esame dispone l’abrogazione della Legge 11 gennaio 2001, n. 7, “Legge quadro sul settore fieristico”.
La legge n. 7/2001 reca la disciplina, a livello statale, dei principi fondamentali che regolamentano l’attività fieristica.
Si ricorda che tale normativa è stata adottata a seguito dell’avvio di una procedura di infrazione: con lettera del 16 aprile 1996, la Commissione UE aveva aperto la procedura di infrazione 94/5095nei confronti dell'Italia ai sensi dell'articolo 169 del Trattato in relazione alla disciplina del settore fieristico. La Commissione aveva infatti ritenuto incompatibile, con i principi fondamentali della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei servizi, sostanzialmente l'intero complesso della normativa nazionale e regionale in materia a suo tempo vigente. Successivamente, l'iter della procedura di infrazione è sostanzialmente rimasto assorbito dalla Comunicazione interpretativa sul mercato interno per il settore fiere ed esposizioni (98/C 143/02),che riassume gli orientamenti comunitari rilevanti per la materia. Nella Comunicazione, la Commissione ribadisce l'esigenza della compatibilità delle misure nazionali con i principi del diritto comunitario, specie quelli relativi al mercato interno, e pertanto, si propone di rendere più chiare e trasparenti le norme comunitarie da far rispettare offrendo a tutti i soggetti interessati (amministrazioni nazionali e operatori economici) uno strumento che delinei il quadro giuridico all'interno del quale viene garantito agli operatori del settore fieristico l'esercizio delle libertà fondamentali previste dalle regole del mercato interno. In particolare il documento, oltre a definire il proprio campo di applicazione attraverso l'individuazione di diverse tipologie di manifestazioni (grandi fiere commerciali; saloni ed esposizioni specializzate, esposizioni minori), illustra i principi giuridici fondamentali del mercato interno applicabili al settore delle "fiere ed esposizioni", nonché le relative implicazioni in materia, in ordine al regime di organizzazione e di autorizzazione, all'accesso degli espositori e alle condizioni di esposizione.
Peraltro, la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora nel marzo 2003, su cui si veda infra il paragrafo successivo.
Si ricorda che la materia oggetto della legge, che in base al vecchio articolo 117 Cost. rientrava nell’ambito della competenza legislativa concorrente, sembra ora rientrare nella competenza residuale delle regioni in base all’articolo 117, quarto comma, Cost.
Sulla questione è intervenuta la Corte Costituzionale, con sentenza 1/2004, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 52, comma 17, della legge 28 dicembre 2001 n. 448, che prevede l’esclusione dell’applicabilità “delle disposizioni di cui alla legge 11 giugno 1971, n. 426 e successive modificazioni” (Disciplina del commercio) alle sagre, fiere e manifestazioni a carattere religioso, benefico o politico, riconoscendo tale disposizione come inerente alla potestà legislativa “residuale” riconosciuta dall’art. 117, quarto comma, della Costituzione alle Regioni, le quali possono autonomamente valutare l’opportunità di esercitare in tale materia la propria competenza legislativa.
Si ricordano, infine, i punti fondamentali del quadro normativo delineato dal provvedimento che l’articolo in esame è volto ad abrogare:
a) definizione dei principi fondamentali in attuazione dell’art. 117 della Costituzione e in linea con i principi della normativa comunitaria;
b) individuazione dei soggetti dell’attività fieristica, con specificazione del contenuto e delle caratteristiche delle singole attività;
c) definizione delle tipologie delle manifestazioni (fiere generali, fiere specializzate, mostre-mercato);
d) disciplina dell’esercizio delle attività di organizzazione di manifestazioni fieristiche sia da parte di soggetti pubblici che privati (rilascio autorizzazioni);
e) qualificazione delle manifestazioni in relazione al grado di rappresentatività dei settori economici cui esse sono rivolte, al programma, agli scopi dell’iniziativa e alla provenienza degli espositori e sulla base di requisiti che sono fissati da un apposito regolamento di attuazione della legge, al quale si demanda la definizione dei requisiti minimi dei quartieri fieristici e la creazione di un idoneo sistema di certificazione e di controllo dei dati delle manifestazioni internazionali e nazionali;
f) redazione e pubblicazione del calendario ufficiale annuale delle manifestazioni fieristiche;
g) istituzione presso il MICA di un comitato tecnico-consultivo;
h) riordino degli enti fieristici esistenti per i quali si prevede la possibilità di trasformazione in spa;
i) abrogazione della vecchie norme che attualmente disciplinano il settore.
Procedure di infrazione
La Corte di giustizia europea nella sentenza del 15 gennaio 2002 (C-439/99) ha dichiarato che i requisiti richiesti in Italia agli organizzatori di fiere e di esposizioni da norme statali, regionali e provinciali, violano il principio della libera prestazione dei servizi e della libertà di stabilimento previsti dagli articoli 43 e 49 del Trattato. Nel marzo 2003 la Commissione ha inviato all’Italia, ai sensi dell’art. 228 del Trattato CE[50], una lettera di costituzione in mora invitandola a conformarsi alla citata sentenza. L’Italia ha quindi comunicato alla Commissione una serie di modifiche legislative emanate a tal fine dalle varie regioni interessate dalla sentenza.
La Commissione ritiene tuttavia che varie restrizioni previste dalla legislazione statale e regionale restino incompatibili con il Trattato. Si tratta in particolare dell’obbligo di autorizzazione imposto senza distinzione a tutti gli operatori; della necessità di rispettare termini temporali particolarmente restrittivi; dell’impossibilità di organizzare fiere al di fuori del calendario ufficiale; dell’obbligo di conformare tale organizzazione agli obiettivi della programmazione regionale; del ruolo che hanno le commissioni consultive composte da operatori locali. A giudizio della Commissione tali elementi ostacolano il diritto degli operatori non italiani a prestare i loro servizi in Italia, limitando gli espositori che vogliono promuovere i loro prodotti mediante fiere e causando un potenziale aumento dei costi di tali promozioni.
Art. 7
(Modifica dell'articolo 2 del regolamento 30 maggio 1995, n. 342, in materia di ordinamento della professione di consulente in proprietà industriale)
1. In esecuzione della sentenza della Corte di giustizia delle comunità europee del 13 febbraio 2003 nella causa C-131/01, l'articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato 30 maggio 1995, n. 342, recante l'ordinamento della professione di consulente in proprietà industriale e la formazione del relativo Albo, è sostituito dal seguente:
«Art. 2. - (Requisiti per l'iscrizione all'Albo). - 1. Può essere iscritta all'Albo dei consulenti in proprietà industriale abilitati qualsiasi persona fisica che:
a) abbia il godimento dei diritti civili nel proprio ordinamento nazionale e sia persona di buona condotta civile e morale;
b) sia cittadino italiano ovvero cittadino degli Stati membri dell'Unione europea ovvero cittadino di Stati esteri nei cui confronti vige un regime di reciprocità;
c) abbia la residenza ovvero un domicilio professionale in Italia salvo che si tratti di cittadino di Stati che consentano ai cittadini italiani l'iscrizione a corrispondenti albi senza tale requisito;
d) abbia superato l'esame di abilitazione, di cui all'articolo 6 o abbia superato la prova attitudinale prevista per i consulenti in proprietà industriale all'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 115.
2. Sono altresì ammessi all'attività di rappresentanza professionale di fronte all'Ufficio italiano brevetti e marchi, con carattere di temporaneità, previa dichiarazione all'Ufficio italiano brevetti e marchi e al Consiglio dell'Ordine, i cittadini di Stati membri dell'Unione europea in possesso delle qualifiche professionali richieste dallo Stato membro nel quale essi esercitano stabilmente e legalmente la professione corrispondente a quella di consulente in proprietà industriale.
3. La prestazione di servizi di cui al comma 2 comporta l'iscrizione temporanea e automatica all'Albo dei consulenti in proprietà industriale al fine di assicurare l'applicazione delle disposizioni relative al godimento dei diritti e all'osservanza degli obblighi previsti dall'ordinamento professionale, in quanto compatibili.
4. Per l'iscrizione temporanea non si applicano i requisiti di cui alle lettere c) e d) del comma 1. Gli iscritti a titolo temporaneo non partecipano all'assemblea degli iscritti all'Albo e non possono essere eletti quali componenti del Consiglio dell'Ordine. L'iscrizione decade con il decorso del periodo per il quale l'iscrizione è stata effettuata.
5. La prestazione di servizi di cui al comma 2 è effettuata utilizzando, in lingua originale, o il titolo professionale, se esistente, o il titolo di formazione prevista dallo Stato membro di cui allo stesso comma.
6. L'iscrizione è effettuata dal Consiglio dell'Ordine su presentazione di un'istanza accompagnata dai documenti comprovanti il possesso dei requisiti di cui al comma 1 ovvero includente le autocertificazioni previste per legge. L'avvenuta iscrizione è prontamente comunicata dal Consiglio dell'Ordine all'Ufficio italiano brevetti e marchi».
L’articolo 7 del provvedimento, aggiunto durante l’esame presso la XIV Commissione, propone una nuova formulazione dell’art. 2 del DM 342/1995[51], disposizione relativa ai requisiti per l’iscrizione all’Albo dei consulenti in proprietà industriale.
Il D.M. 342 del 1995 contiene l’ordinamento della professione di consulente in proprietà industriale. Il relativo ordine raccoglie i professionisti che operano nel campo dei brevetti per invenzioni, marchi, modelli industriale, modelli ornamentali, diritto d’autore. L'ordine è composto dai membri iscritti nelle due sezioni dell’albo professionale: "Consulenti in brevetti" e/o "Consulenti in marchi"; la prima sezione (sez. brevetti) è, infatti, riservata ai consulenti abilitati agenti in materia di brevetti per invenzioni e modelli industriali e la seconda (sez. marchi) ai consulenti abilitati agenti in materia di marchi d'impresa. La vigilanza sull'esercizio della professione è esercitata dal Ministero delle attività produttive per il tramite dell'Ufficio italiano brevetti e marchi.
La norma in esame costituisce attuazione della sentenza 13 febbraio 2003 della Corte di giustizia delle comunità europee (causa C-131/01) che ha censurato la normativa interna italiana che impone ai consulenti in materia di brevetti stabiliti in altri Stati membri della U.E.:
a) di essere iscritti all'albo italiano dei consulenti in materia di brevetti (art. 94, RD 1127/1939)[52];
b) di avere una residenza o un domicilio professionale in Italia per prestare servizi dinanzi all'Ufficio italiano dei brevetti (art. 2, DM 342/1995).
L’art. 94 del TU in materia di brevetti (RD 1127 del 1939) prevede, infatti, che nelle procedure di fronte all'Ufficio centrale brevetti l’eventuale nomina[53] di uno o più mandatari (ai sensi dell’art. 1 del DM 342/1995 riservata ai soli consulenti abilitati iscritti all’Albo dei consulenti in proprietà industriale, nonché da coloro che siano iscritti negli albi degli avvocati) può essere fatta conferendola a mandatari iscritti in un albo all'uopo tenuto dall'Ufficio centrale brevetti.
L’art. 2 del DM 342/1995 prevede, attualmente, che può essere iscritta all'Albo dei consulenti in proprietà industriale abilitati qualsiasi persona fisica che:
a) sia cittadino italiano o italiano appartenente a territori non uniti politicamente all'Italia ovvero cittadino di Stati membri della Unione europea, ovvero cittadino di Stati esteri nei cui confronti vige un regime di reciprocità;
b) abbia il godimento dei diritti civili e sia persona di buona condotta civile e morale;
c) abbia la residenza ovvero un domicilio professionale in Italia, salvo che si tratti di cittadino di Stati che consentano ai cittadini italiani l'iscrizione a corrispondenti albi senza tale requisito;
d) abbia superato l'esame di abilitazione per l’esercizio della professione (art. 6) o la prova attitudinale prevista per i consulenti in proprietà industriale dalla disciplina sul reciproco riconoscimento in ambito comunitario dei titoli di studio superiori che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni (art. 6, comma 2, D.Lgs 115/1992) (comma 1).
L'iscrizione è effettuata dal Consiglio dell'Ordine su presentazione di un'istanza accompagnata dai documenti che attestano il possesso dei requisiti ovvero includente le autocertificazioni previste per legge. L'avvenuta iscrizione è prontamente comunicata dal Consiglio all'Ufficio italiano brevetti e marchi (comma 2).
Il mantenimento di tale disciplina costituisce per la Corte inosservanza degli obblighi relativi alla libera prestazione dei servizi che incombono al nostro Paese in forza degli artt. 49 - 55 del Trattato CE; obblighi che permangono nonostante il carattere di temporaneità dell’attività dei consulenti in materia di brevetti.
Inoltre, come la Corte ha più volte dichiarato, l'art. 49 CE prescrive non solo l'eliminazione di qualsiasi discriminazione nei confronti del prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro in base alla sua cittadinanza, ma anche la soppressione di qualsiasi restrizione, anche qualora essa si applichi indistintamente ai prestatori nazionali e a quelli degli altri Stati membri, allorché essa sia tale da vietare, da ostacolare o da rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro ove fornisce legittimamente servizi analoghi (vedi, in particolare, sentenza 3 ottobre 2000, causa C-58/98, Corsten).
L'obbligo d'iscriversi all'albo italiano imposto ai consulenti in materia di brevetti, stabiliti in uno Stato membro diverso dall’Italia, che intendono fornire una prestazione di servizi in quest'ultimo Stato, costituisce, per la Corte, una restrizione ai sensi dell'art. 49 CE.
Anche la condizione dell’obbligo di residenza o domicilio di cui all’art. 2 del DM 342/1995, secondo la Corte di giustizia, comporta un ostacolo ingiustificato al principio della libera prestazione dei servizi e può essere considerata compatibile con le norme del Trattato soltanto qualora sia provato che esistono, nel settore di attività considerato, esigenze imperative connesse all'interesse generale, le quali giustificano restrizioni della libera prestazione dei servizi. Deve inoltre essere provato che tale interesse non è già garantito dalle norme dello Stato di stabilimento e che lo stesso risultato non potrebbe essere ottenuto mediante provvedimenti meno drastici
L’articolo 7 del d.d.l. comunitaria, in risposta alle censure della Corte di giustizia, sostituisce integralmente l’art. 2 del DM 342/1995 (di fatto, rispetto al testo originario, vengono aggiunti tre ulteriori commi).
Confermando i requisiti di cui al comma 1 per l’iscrizione all’albo dei consulenti in proprietà industriale nonché le modalità di iscrizione all’albo (previste originariamente dal comma 2, ora comma 6 nel nuovo testo), è introdotta (comma 2) la possibilità - per i professionisti che svolgano stabilmente in Paesi della U.E. attività corrispondente a quella dei citati consulenti italiani - di esercitare temporaneamente la rappresentanza professionale davanti all’Ufficio italiano brevetti e marchi, previo avviso allo stesso Ufficio ed al Consiglio dell’Ordine.
La prestazione di tale servizio, consistente in particolare nel deposito e nella sorveglianza di domande di brevetti nonché nella tutela di questi ultimi, va fatta utilizzando in lingua originale il proprio titolo professionale o di formazione prevista dallo Stato membro (comma 5).
Alle censure della Corte di giustizia (obbligo di iscrizione all’albo e obbligo di residenza o domicilio) risponde, in particolare, la nuova disciplina prevista dai commi 3 e 4 dell’art. 2 del DM.
Alla rappresentanza davanti all’Ufficio italiano brevetti consegue, infatti, l’iscrizione temporanea automatica all’albo dei consulenti in proprietà industriale alla cui disciplina professionale, per il tempo dell’iscrizione, i professionisti stranieri sono soggetti (comma 3). Non sono necessari, ai fini dell’iscrizione temporanea, né l’obbligo di residenza o domicilio professionale in Italia, né il superamento dell’esame di abilitazione o della prova attitudinale ai fini del reciproco riconoscimento di titoli (art. 2, comma 1, lett. c) e d) del DM 342/1995). Alla temporaneità dell’iscrizione all’albo, che decade con il decorso del periodo stabilito, consegue l’impossibilità di partecipare all’assemblea degli iscritti nonchè l’ineleggibilità come membro del Consiglio (comma 4).
Procedure di infrazione
Nel dicembre 2003, ai sensi dell’art. 228 del trattato CE[54], la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora nella quale si invita a conformarsi alla sentenza della Corte di giustizia del 13 febbraio 2003 (causa C-131/01), relativa all’esercizio della professione di agente in brevetti. Il termine per fornire elementi di risposta era fissato al 13 luglio 2004.
Nella citata pronuncia la Corte aveva considerato che l’obbligo per gli agenti in brevetti – previsto dalla legislazione italiana – di essere iscritti all’albo italiano e di avere una residenza o domicilio professionale in Italia, costituisse un ostacolo alla libera prestazione di servizi.
Documenti all’esame delle Istituzioni europee
Il 1° agosto 2000 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento sul brevetto comunitario (COM(2000)412) che mira alla creazione di un sistema di brevetto unico valido in tutta l’Unione europea, rilasciato dall’Ufficio europeo dei brevetti, al fine di ridurre i costi per le imprese e incoraggiare l’innovazione.
La proposta, che segue la procedura di consultazione, è stata esaminata dal Parlamento europeo il 10 aprile 2002. Dopo aver raggiunto un accordo politico di massima il 3 marzo 2003, il 26 novembre 2003 il Consiglio Competitività ha esaminato un testo di compromesso presentato dalla Presidenza italiana, non riuscendo a raggiungere un accordo sulla specifica disposizione relativa al regime linguistico. Anche nelle riunioni dell’11 marzo 2004 e del 17 e 18 maggio 2004 il Consiglio Competitività non è riuscito a raggiungere un accordo sulla proposta di compromesso della Presidenza olandese.
La disciplina del brevetto comunitario rientra tra le priorità della Presidenza olandese, che sottolinea peraltro la difficoltà, già riscontrata dalla precedente Presidenza irlandese, di superare le resistenze di alcuni Stati membri alla proposta di regolamento sopra richiamata.
Il 20 febbraio 2002 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva relativa alla brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici (COM(2002)92), con l’obiettivo di armonizzare le normative nazionali in materia di brevetti nel campo informatico.
La disciplina, da cui sono esclusi i programmi informatici protetti dal diritto d’autore, si applica ai “contributi tecnici”, ovvero a quelle invenzioni che migliorano lo stato della tecnica in un determinato settore.
La proposta di direttiva, che segue la procedura di codecisione, è stata esaminata dal Parlamento europeo in prima lettura il 24 settembre 2003.
Il Consiglio Competitività del 17 e 18 maggio 2004 ha raggiunto un accordo politico a maggioranza qualificata - con l'astensione delle delegazioni austriaca, italiana e belga e col voto contrario della Spagna - in vista dell’adozione della posizione comune in prima lettura sulla proposta di direttiva. Una volta formalmente adottato dal Consiglio, il testo sarà trasmesso al Parlamento europeo per la seconda lettura.
Le Commissioni X (Attività produttive) e XIV (Politiche dell’Unione europea) della Camera hanno avviato, nel mese di gennaio 2004, l’esame della proposta di direttiva, ai sensi dell’art. 126-bis del Regolamento della Camera.
Art. 8
(Delega al Governo per il recepimento delle direttive 2003/6/CE, 2003/124/CE e 2003/125/CE, in materia di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato)
1. Il Governo è delegato ad adottare, con le modalità di cui all'articolo 1, commi 3 e 4, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze, della giustizia e delle attività produttive, un decreto legislativo recante le norme per il recepimento della direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, relativa all'abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato), nonché delle direttive 2003/124/CE della Commissione, del 22 dicembre 2003, recante modalità di esecuzione della direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda la definizione e la comunicazione al pubblico delle informazioni privilegiate e la definizione di manipolazione del mercato, e 2003/125/CE della Commissione, del 22 dicembre 2003, recante modalità di esecuzione della direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda la corretta presentazione delle raccomandazioni di investimento e la comunicazione al pubblico di conflitti di interesse.
2. Entro due anni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1, il Governo, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui alla presente legge e con la procedura prevista dallo stesso comma 1, nonché dall'articolo 1, comma 4, può emanare disposizioni correttive e integrative del medesimo decreto legislativo, anche per tenere conto delle eventuali disposizioni di attuazione adottate dalla Commissione europea secondo la procedura di cui all'articolo 17, paragrafo 2, della direttiva 2003/6/CE.
3. Il recepimento delle direttive è informato ai seguenti princìpi e criteri direttivi specifici:
a) individuare l'ambito di applicazione della normativa di recepimento definendo altresì le nozioni d'informazione privilegiata, abuso della stessa e manipolazione del mercato, nonché i tipi di strumenti finanziari e i soggetti ai quali si applicano le prescrizioni e i divieti delle direttive medesime, tenendo conto delle disposizioni di attuazione eventualmente adottate dalla Commissione europea secondo la procedura di cui all'articolo 17, paragrafo 2, della direttiva 2003/6/CE;
b) individuare nella Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) l'autorità nazionale competente in materia e disciplinare le modalità per la cooperazione tra la stessa e le altre autorità nazionali ed estere, al fine della repressione delle violazioni delle disposizioni contenute nel decreto legislativo di cui al comma 1, della circolazione delle informazioni e dell'opposizione del segreto d'ufficio;
c) disciplinare, anche mediante l'attribuzione del relativo potere regolamentare alla CONSOB, i seguenti aspetti, tenendo conto delle disposizioni di applicazione eventualmente adottate dalla Commissione europea secondo la procedura di cui all'articolo 17, paragrafo 2, della direttiva 2003/6/CE:
1) l'adeguamento delle definizioni di cui alla lettera a) anche in relazione alle prassi di mercato ammesse;
2) per gli emittenti di strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato o per i quali è stata chiesta l'ammissione alla negoziazione:
2.1) gli obblighi di comunicazione di informazioni privilegiate al pubblico;
2.2) il ritardo della divulgazione al pubblico, fermo restando il potere della CONSOB di adottare le misure necessarie a garantire la corretta informazione del pubblico;
2.3) i casi in cui è possibile la comunicazione di informazioni privilegiate a terzi senza obbligo di comunicazione al pubblico;
2.4) la tenuta dei registri delle persone che lavorano o svolgono incarichi per gli emittenti e che hanno accesso a informazioni privilegiate;
2.5) gli obblighi di comunicazione alla CONSOB e al pubblico delle informazioni relative ad operazioni effettuate da persone che esercitano responsabilità di direzione, o per conto di esse, nonché da soggetti a queste strettamente collegati, o per conto di essi, individuandone a tale fine la nozione;
3) le responsabilità e gli obblighi di correttezza e trasparenza a carico di chiunque produca o diffonda ricerche riguardanti strumenti finanziari o emittenti di strumenti finanziari, ovvero altre informazioni concernenti strategie d'investimento;
4) l'adozione da parte dei gestori di mercato di disposizioni strutturali intese a prevenire pratiche di abuso di mercato;
5) l'introduzione, a carico di chi opera professionalmente su strumenti finanziari, qualora abbia ragionevoli motivi per sospettare che le transazioni costituiscano un abuso di informazioni privilegiate o una manipolazione del mercato, dell'obbligo di segnalare la circostanza alla CONSOB;
6) le modalità, conformi a princìpi di trasparenza e correttezza, per la diffusione di statistiche suscettibili di influire in modo sensibile sui mercati finanziari da parte di istituzioni pubbliche;
7) i casi d'inapplicabilità delle disposizioni adottate nel recepimento della direttiva 2003/6/CE in relazione sia alle operazioni attinenti alla politica monetaria, alla politica dei cambi e alla gestione del debito pubblico, sia alle negoziazioni di azioni proprie effettuate nell'ambito di programmi di riacquisto di azioni proprie, nonché alle operazioni di stabilizzazione di uno strumento finanziario;
d) attribuire alla CONSOB i poteri di vigilanza e d'indagine di cui all'articolo 12 della direttiva 2003/6/CE, anche nei confronti di soggetti non vigilati di cui all'articolo 12, paragrafo 2, lettera b), della direttiva stessa, salvo l'ispezione e la perquisizione di locali non adibiti all'esercizio di attività professionali, consentite previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria, stabilendo inoltre che la CONSOB possa:
1) per l'esercizio dei poteri di cui all'articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2003/6/CE, avvalersi della collaborazione del Corpo della guardia di finanza;
2) avvalersi della collaborazione delle pubbliche amministrazioni;
3) accedere alle informazioni relative al traffico telefonico, via INTERNET o per via telematica, previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria, senza oneri aggiuntivi;
4) procedere al sequestro di beni in via amministrativa, ovvero richiedere all'autorità giudiziaria il sequestro penale dei beni che possono essere oggetto di confisca;
5) delegare a gestori di mercati regolamentati taluni poteri di vigilanza in materia;
e) disciplinare i rapporti tra la CONSOB e l'autorità giudiziaria per l'attività svolta nei confronti dei soggetti non vigilati;
f) prevedere la pena dell'arresto fino a un massimo di due anni per i soggetti che ostacolano l'esercizio dei poteri di vigilanza e d'indagine previsti dalla direttiva 2003/6/CE da parte della CONSOB, e la pena dell'ammenda, non inferiore nel minimo a 1.000 euro e non superiore nel massimo a 25.000 euro, per i soggetti che non ottemperino nei termini alle richieste della CONSOB ovvero ritardino l'esercizio delle sue funzioni, con aggravamento della pena per i soggetti indicati nell'articolo 2638 del codice civile;
g) prevedere sanzioni amministrative in caso di violazione delle norme primarie e secondarie di recepimento della direttiva, tenendo conto dei princìpi indicati nella legge 24 novembre 1981, n. 689; prevedere, in particolare, per l'abuso di informazioni privilegiate e per la manipolazione del mercato sanzioni amministrative pecuniarie non inferiori nel minimo a 20.000 euro e non superiori nel massimo ad 1.000.000 di euro, da aumentare fino al triplo quando, in relazione all'entità del profitto conseguito o conseguibile ovvero per gli effetti prodotti sul mercato, esse appaiano inadeguate anche se applicate nel massimo; prevedere per le altre violazioni sanzioni amministrative pecuniarie non inferiori nel minimo a 10.000 euro e non superiori nel massimo a 200.000 euro; escludere per tali sanzioni la facoltà di pagamento in misura ridotta di cui all'articolo 16 della citata legge n. 689 del 1981, e successive modificazioni; prevedere adeguate sanzioni accessorie;
h) per gli abusi di informazioni privilegiate e per le manipolazioni del mercato di maggiore gravità, da individuare sulla base di criteri quantitativi, in relazione alle variazioni dei valori di mercato che ne sono derivate, e qualitativi, in relazione al soggetto che ha posto in essere il comportamento, prevedere le pene della reclusione non inferiore nel minimo a un anno e non superiore nel massimo a sei anni, e della multa nella misura indicata alla lettera g);
i) stabilire il principio dell'autonomia reciproca dei procedimenti sanzionatori amministrativo e penale e prevedere norme di coordinamento dell'attività di accertamento amministrativo con quella dell'autorità giudiziaria;
l) disciplinare l'imputazione della responsabilità delle suddette violazioni, anche in relazione all'attribuzione di vantaggi alle società cui appartengono gli autori delle stesse, ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231;
m) prevedere norme transitorie che disciplinino gli effetti sostanziali e procedurali delle nuove disposizioni relativamente alle ipotesi di abuso di mercato depenalizzate commesse prima della data di entrata in vigore delle medesime disposizioni.
L’articolo in esame delega il Governo ad adottare un decreto legislativo per il recepimento della direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, relativa all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato), enunciando specifici princìpi e criteri direttivi. Contestualmente è conferita delega per il recepimento delle direttive 2003/124/CE, riguardante la definizione e la comunicazione delle informazioni privilegiate al pubblico e la definizione di manipolazione di mercato, e 2003/125/CE, relativa alla corretta presentazione delle raccomandazioni di investimento e la comunicazione al pubblico di conflitti d’interesse.
L’attuazione della direttiva 2003/6/CE è già prevista dall’allegato B alla legge 31 ottobre 2003, n. 306 (legge comunitaria per il 2004), che tuttavia non recava l’indicazione di specifici princìpi e criteri direttivi.
Si osserva a questo riguardo che l’articolo in esame non prevede esplicitamente l’abrogazione della precedente disposizione di delega.
Le direttive 2003/124/CE e 2003/125/CE disciplinano modalità di esecuzione della precedente direttiva 2003/6/CE e sono state adottate dalla Commissione a norma degli articoli 1 e 6 e secondo la procedura indicata all’articolo 17 della medesima.
Il termine per il recepimento delle tre direttive scade il 12 ottobre 2004.
Si segnala che è stata adottata con le medesime forme e con lo stesso termine di recepimento anche la direttiva 2004/72/CE della Commissione, riguardante le prassi di mercato ammesse, la definizione di informazione privilegiata in relazione agli strumenti derivati su merci, l'istituzione di un registro delle persone aventi accesso ad informazioni privilegiate, la notifica delle operazioni effettuate da persone che esercitano responsabilità di direzione e la segnalazione di operazioni sospette.
Il comma 1 dell’articolo in esame delega il Governo ad adottare, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze, della giustizia e delle attività produttive, con le modalità previste dall’articolo 1, commi 3 e 4, entro sei mesi dall’entrata in vigore del disegno di legge in esame, un decreto legislativo recante le norme per il recepimento delle direttive 2003/6/CE, 2003/124/CE e 2003/125/CE.
Per l’illustrazione del contenuto delle richiamate direttive si rinvia alle relative schede di lettura del presente dossier.
Il comma 2 dell’articolo in esame prevede che, entro due anni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1, il Governo, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi recati dal presente progetto di legge e con la procedura indicata al medesimo comma 1, possa adottare disposizioni correttive e integrative, anche al fine di tenere conto delle eventuali disposizioni di attuazione adottate dalla Commissione europea secondo la procedura di cui all'articolo 17, paragrafo 2, della direttiva.
L’articolo 17 della direttiva disciplina, in conformità alle regole previste per il secondo livello decisionale dal modello Lamfalussy, la procedura per l’adozione da parte della Commissione delle misure di attuazione previste dalle disposizioni della direttiva in esame.
In particolare, si prevede il ricorso, con alcune variazioni, alla procedura del comitato di regolamentazione prevista dalla decisione del Consiglio 1999/468/CE (c.d. nuova decisione comitatologia), recante le modalità per l’esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione ai sensi dell’articolo 202, ultimo capoverso, del Trattato CE.
Peraltro, occorre tenere conto che la disciplina della procedura recata dall’articolo in esame deve ritenersi integrata, in attuazione del rapporto Lamfalussy, dalle previsioni della risoluzione approvata dal Consiglio europeo di Stoccolma del 23 e 24 marzo 2001, sulla legislazione del settore dei servizi finanziari, e dalle decisioni della Commissione 2001/527/CE e 2001/528/CE, in particolare per quanto attiene alla consultazione del Comitato delle autorità europee di regolamentazione dei valori mobiliari (CAERVM o CESR, secondo l’acronimo inglese comunemente utilizzato).
Si ricorda, in estrema sintesi, che nella fase decisionale in esame la Commissione è assistita da due comitati appositamente istituiti in attuazione del Rapporto Lamfalussy:
- il Comitato europeo dei valori mobiliari (CEVM o ESC, secondo l’acronimo inglese comunemente utilizzato), istituito con la Decisione della Commissione 2001/528/CE, del 6 giugno 2001. Il comitato è costituito da “rappresentanti ad alto livello degli Stati membri”[55] ed è presieduto da un rappresentante della Commissione;
- il Comitato delle autorità europee di regolamentazione dei valori mobiliari (CAERVM), istituito con la decisione della Commissione 2001/527/CE, del 6 giugno 2001, quale “comitato consultivo indipendente” in materia di valori mobiliari, che ha il compito di assistere la Commissione nelle questioni connesse alle politiche in materia di valori mobiliari nonché nella preparazione di progetti di misure di esecuzione in tale ambito, sia su richiesta della Commissione che di propria iniziativa. Il comitato è composto da rappresentanti ad alto livello delle autorità nazionali pubbliche competenti per il settore dei valori mobiliari, designati da ciascuno Stato membro, ed elegge il presidente tra i suoi membri. La Commissione è presente alle riunioni del comitato e designa un rappresentante ad alto livello per prendere parte a tutti i suoi dibattiti.
La Commissione, consultato il CEVM, invita il CAERVM a trasmetterle, anche sulla base di un’ampia e articolata consultazione dei partecipanti al mercato e dei consumatori, un parere in merito ai dettagli tecnici della materia da disciplinare. Tenendo conto del parere, la Commissione presenta un progetto di misure di attuazione al CEVM, che deve pronunciarsi sullo stesso, entro il termine stabilito dal suo presidente secondo le regole della procedura di regolamentazione di cui alla citata Decisione 1999/468/CE.
Se il CEVM approva a maggioranza qualificata le misure proposte dalla Commissione, quest’ultima le adotta definitivamente. Se, invece, il CEVM, entro il termine prefissato, si pronuncia in senso contrario al progetto della Commissione, o non esprime alcun parere, la Commissione stessa è tenuta a sottoporre il progetto al Consiglio, che deve pronunciarsi entro un termine, non superiore a tre mesi, fissato nell’atto di base. Infine, se il Consiglio respinge la proposta, la Commissione provvede a riesaminarla e ha la facoltà di:
- sottoporre al Consiglio un progetto modificato di misure di attuazione;
- presentare nuovamente la sua proposta iniziale;
- presentare una proposta legislativa sulla base del Trattato.
Nel primo e nel secondo caso, la Commissione adotta le misure proposte salvo che il Consiglio non le respinga espressamente. Nel terzo caso, si segue la normale procedura decisionale prevista secondo la base giuridica su cui si fonda la proposta della Commissione, vale a dire la codecisione.
Per quanto riguarda il ruolo del Parlamento europeo, in base alle disposizioni di cui agli articoli 5, 7 e 8 della decisione comitatologia, come integrate dall’accordo interistituzionale relativo alla loro applicazione, viene riconosciuto un diritto all’informazione sui lavori del CEVM, mediante la trasmissione di tutti i documenti rilevanti, quali gli ordini del giorno, i resoconti, l’elenco dei partecipanti, e un diritto al riesame delle misure di esecuzione proposte.
In particolare, il Parlamento, entro tre mesi dalla trasmissione, può indicare che un progetto di misure di esecuzione, sottoposto al CEVM o al Consiglio, eccede le competenze di esecuzione previste nell’atto di base. In questo caso, la Commissione è tenuta a riesaminare il progetto, tenendo conto della risoluzione parlamentare, e può decidere di:
- presentare al comitato, rispettando i termini del procedimento in corso, un nuovo progetto;
- continuare il procedimento già avviato;
- presentare al Parlamento europeo e al Consiglio una proposta legislativa da esaminare secondo la procedura di codecisione.
Il comma 3 dell’articolo in esame reca i princìpi e criteri direttivi ai quali dovranno essere informati i decreti legislativi previsti dai commi 1 e 2.
La lettera a)del comma 3 dell’articolo in esame delega il Governo a individuare l'ambito di applicazione della normativa di recepimento, dando altresì la definizione delle nozioni di informazione privilegiata, abuso di informazione privilegiata e manipolazione del mercato, nonché dei tipi di strumenti finanziari e dei soggetti ai quali si applicano le prescrizioni e i divieti della direttiva, tenendo conto delle disposizioni di attuazione eventualmente adottate dalla Commissione europea secondo la procedura di cui all'articolo 17, paragrafo 2, della direttiva stessa.
Al riguardo, l’articolo 1 della direttiva reca le definizioni ai fini dell’applicazione della direttiva stessa. In coerenza con le esigenze di flessibilità sopra richiamate, la disposizione in esame fornisce una definizione generale delle fattispecie ricomprese negli abusi di mercato, al fine di assicurare, come rilevato anche dal preambolo, che nuove pratiche abusive, che dovessero insorgere in futuro, possano essere ricondotte alle definizioni recate dalla direttiva.
Il paragrafo 1 definisce quale "informazione privilegiata", un'informazione che:
- ha un carattere preciso[56];
- non è stata resa pubblica;
- concerne, direttamente o indirettamente, uno o più emittenti di strumenti finanziari o uno o più strumenti finanziari;
- potrebbe, se resa pubblica, influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari ovvero sui prezzi di strumenti finanziari derivati connessi[57].
Una specifica definizione viene dettata in relazione agli strumenti derivati su merci e alle persone incaricate dell'esecuzione di ordini relativi a strumenti finanziari. In particolare, relativamente a tali ultimi soggetti, si precisa che per "informazione privilegiata" si intende anche l'informazione trasmessa da un cliente e concernente gli ordini del cliente in attesa di evasione, che ha un carattere preciso e che concerne, direttamente o indirettamente, uno o più emittenti di strumenti finanziari o uno o più strumenti finanziari, che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari ovvero sui prezzi di strumenti finanziari derivati connessi.
La definizione di informazione privilegiata riprende quella contenuta nella citata direttiva sull'insider trading, estendendone, tuttavia, significativamente l’ambito di applicazione al fine di ricomprendervi anche i mercati primari e tutti gli strumenti finanziari, anziché i soli valori mobiliari.
Viene, inoltre, reso più chiaro che nella nozione di informazione privilegiata rientrano sia le informazioni relative alla società (corporate information) siaquelle che riguardano direttamente o indirettamente gli strumenti finanziari (market information).
In particolare, in base al paragrafo 3 dell’articolo 1, per "strumenti finanziari" si intendono:
- i valori mobiliari come definiti dalla direttiva 93/22/CEE relativa ai servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari[58];
- le quote di un organismo di investimento collettivo:
- gli strumenti del mercato monetario;
- i contratti a termine fermo (future) su strumenti finanziari, compresi gli strumenti equivalenti che si regolano in contanti;
- i contratti a termine su tassi di interesse (FRA);
- i contratti di scambio (swap) su tassi di interesse, su valute o su indici azionari (equity swaps);
- le opzioni per acquistare o vendere qualsiasi strumento rientrante in queste categorie, compresi gli strumenti equivalenti che si regolano in contanti;
- gli strumenti derivati su merci;
- qualsiasi altro strumento ammesso alla negoziazione in un mercato regolamentato in uno Stato membro o per il quale è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un siffatto mercato.
Tale definizione, che risulta più ampia di quella riportata nella sezione B dell’allegato alla direttiva 93/22/CEE, in quanto include anche i derivati su merci e ogni altro strumento ammesso alla negoziazione, è intesa in sostanza a includere tra gli strumenti finanziari che possono risentire dell'uso di informazioni privilegiate non soltanto quelli direttamente emessi dagli emittenti ma anche quelli derivati (vale a dire opzioni su azioni, future e opzioni su indici).
Si osserva che la definizione di informazione privilegiata recata dalla direttiva appare in buona parte coincidente con quella prevista nel nostro ordinamento dall'articolo 180, comma 3, del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF), di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, in base al quale per informazione privilegiata s’intende “un'informazione specifica di contenuto determinato, di cui il pubblico non dispone, concernente strumenti finanziari o emittenti di strumenti finanziari, che, se resa pubblica, sarebbe idonea a influenzare sensibilmente il prezzo”.
La definizione di strumenti finanziari di cui ai comma 2 e 3 dell’articolo 1 del TUF risulta, infatti, sostanzialmente identica a quella prevista dal citato paragrafo 3 dell’articolo 1 della direttiva in esame, fatta salva l’estensione a qualsiasi altro strumento (finanziario e no) ammesso o in corso di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato di uno Stato membro.
Il numero 2) dell’articolo 1 della direttiva contiene la definizione di "manipolazione del mercato" la quale si basa sulla condotta oggettiva dei soggetti che la attuano (effect based) e non sulle intenzioni o sugli obiettivi perseguiti dai medesimi. In particolare, la norma distingue la manipolazione operativa (lettera a) dalla manipolazione informativa (lettera c) e prevede una categoria residuale (lettera b) per gli altri artifici e glialtri tipi di inganni o espedienti.
Più in dettaglio, rientrano nella manipolazione operativa le operazioni o ordini di compravendita:
- che forniscano o siano suscettibili di fornire indicazioni false ovvero fuorvianti in merito all'offerta, alla domanda o al prezzo degli strumenti finanziari;
- che consentano, tramite l'azione di una o di più persone che agiscono in collaborazione, di fissare il prezzo di mercato di uno o più strumenti finanziari ad un livello anormale o artificiale, a meno che la persona che ha compiuto le operazioni o che ha conferito gli ordini di compravendita dimostri che le sue motivazioni per compiere tali operazioni o ordini sono legittime e che dette operazioni o ordini sono conformi alle prassi di mercato ammesse sul mercato regolamentato in questione[59].
In base al successivo numero 5) dell’articolo 1 della direttiva, per prassi di mercato ammesse si intendono le prassi di cui è ragionevole attendersi l'esistenza in uno o più mercati finanziari e che sono ammesse dalla competente autorità di vigilanza in conformità delle linee direttrici la cui adozione è delegata alla Commissione, con l’assistenza del CEVM, secondo la procedura di regolamentazione.
Rientrano nella categoria residuale, intesa ad assicurare alla previsione normativa la flessibilità necessaria per adeguarsi a nuovi possibili sviluppi del mercato le operazioni o ordini di compravendita che utilizzino artifici o ogni altro tipo di inganno o espediente[60].
Costituiscono, infine, manipolazione informativa la diffusione di informazioni tramite i mezzi di informazione, compreso Internet, o tramite ogni altro mezzo, che forniscano, o siano suscettibili di fornire, indicazioni false ovvero fuorvianti in merito agli strumenti finanziari, compresa la diffusione di notizie incontrollate o di informazioni false ovvero fuorvianti, se la persona che le ha diffuse sapeva o avrebbe dovuto sapere che le informazioni erano false o fuorvianti.
Con riguardo a tale ultima fattispecie si precisa che, per i giornalisti che operano nello svolgimento della loro attività professionale, la diffusione di informazioni va valutata tenendo conto delle norme deontologiche proprie di tale professione, a meno che dette persone traggano, direttamente o indirettamente, vantaggi o benefìci dalla diffusione delle informazioni in questione.
Il paragrafo 2 dell’articolo 1 della direttiva fornisce, inoltre, per finalità di chiarezza, tre esempi di strategie manipolative.
In particolare, con riguardo alla manipolazione operativa, vengono riportati gli esempi del c.d. marking the close, vale a dire“l'acquisto o la vendita alla chiusura del mercato con l'effetto di ingannare gli investitori che agiscono sulla base dei prezzi di chiusura” e del "corner" o "squeeze", vale a dire “il comportamento di una o più persone che concordemente agiscono per assicurarsi una posizione dominante sull'offerta o sulla domanda di uno strumento finanziario con l'effetto di fissare, direttamente o indirettamente, i prezzi di acquisto o di vendita o di creare altre condizioni di negoziazione non corrette."
Nel nostro ordinamento le pratiche manipolative sono punite nell’ambito del reato di aggiotaggio di cui all’articolo 2637 del codice civile, come sostituito dal D.Lgs. n. 61 del 2002, il quale stabilisce chechiunque diffonde notizie false, ovvero pone in essere operazioni simulate o altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari, quotati o non quotati, ovvero ad incidere in modo significativo sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o di gruppi bancari, è punito con la pena della reclusione da uno a cinque anni.
Il medesimo D.Lgs. n. 61 del 2002 ha abrogato l’articolo 181 del TUF che disciplinava l’aggiotaggio su strumenti finanziari.
L’ultimo periodo del paragrafo 2 prevede infine l’adattamento delle definizioni di manipolazione di mercato in modo da garantire la possibilità di includere nuovi tipi di attività che in base alla prassi costituiscono manipolazioni di mercato. La disposizione va letta in combinato disposto con la previsione dell’ultimo periodo dell’articolo 1 in esame, che demanda alla Commissione l’adozione di norme di attuazione, tra gli altri, del medesimo paragrafo 2.
La lettera b) del comma 3 delega il Governo, ai sensi dell'articolo 11 della direttiva, a individuare nella CONSOB l’autorità nazionale competente in materia, a disciplinare le modalità per la cooperazione tra la stessa e le altre autorità nazionali ed estere ai fini della repressione delle violazioni delle disposizioni contenute nei decreti di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo in esame, della circolazione delle informazioni e dell’opposizione del segreto d’ufficio.
L’articolo 11 della direttiva prevede, fatte salve le competenze delle autorità giudiziarie, la designazione da parte di ogni Stato membro di un'unica autorità amministrativa competente a vigilare sull'applicazione delle disposizioni adottate in recepimento della direttiva in esame.
Il considerando 36 rileva che l'esistenza negli Stati membri di differenti autorità competenti, dotate di responsabilità diverse, può generare confusione negli operatori economici.
In effetti, come evidenziato dalla relazione alla proposta originaria, mentre in alcuni Stati vi è un'unica autorità di vigilanza, in altri operano diverse autorità; in altri ancora non esiste alcuna autorità di vigilanza e il controllo viene assicurato dalle stesse autorità di Borsa. In alcuni casi vi è un concorso delle competenze di autorità di vigilanza e di autorità di Borsa.
Il medesimo considerando sottolinea che all'unica autorità competente designata dovrebbero essere attribuite almeno la responsabilità finale di controllare il rispetto delle disposizioni adottate in direttiva, nonché la collaborazione internazionale. L’autorità, inoltre, dovrebbe avere carattere di organo amministrativo, affinché ne sia garantita l'indipendenza nei confronti degli operatori economici e siano prevenuti i conflitti di interessi, e dovrebbe ricevere un finanziamento adeguato in conformità alle singole legislazioni nazionali.
Nel nostro ordinamento i poteri direttamente connessi al controllo delle fattispecie riconducibili all’abuso di informazioni privilegiate e (prima dell’abrogazione dell’articolo 181 del TUF, disposta dal D.Lgs. n. 61 del 2002) all’aggiotaggio sono attribuiti alla CONSOB dall’articolo 185 del TUF.
In particolare, il comma 2 dell’articolo 185 demanda alla CONSOB la competenza a compiere gli atti di accertamento delle violazioni avvalendosi dei poteri a essa attribuiti nei confronti dei soggetti sottoposti alla sua vigilanza.
In base al comma 3, al medesimo fine, la CONSOB può inoltre:
a) richiedere notizie, dati o documenti a chiunque appaia informato sui fatti, stabilendo il termine per la relativa comunicazione;
b) procedere all'audizione di chiunque appaia informato sui fatti, redigendone processo verbale;
c) avvalersi della collaborazione delle pubbliche amministrazioni e accedere al sistema informativo dell'anagrafe tributaria.
A norma del comma 4, i poteri previsti dal comma 3, lettere a) e b), sono esercitati nel rispetto delle disposizioni degli articoli 199 (Facoltà di astensione dei prossimi congiunti), 200 (Segreto professionale), 201 (Segreto di ufficio), 202 (Segreto di Stato) e 203 (Informatori della polizia giudiziaria e dei servizi di sicurezza) del codice di procedura penale, in quanto compatibili.
Il medesimo articolo 11 della direttiva dispone che gli Stati membri devono, inoltre, stabilire efficaci meccanismi e procedure di consultazione con i partecipanti al mercato in relazione ad eventuali modifiche nella legislazione nazionale. Tali meccanismi possono includere comitati consultivi presso ogni autorità competente, la cui composizione dovrebbe riflettere quanto più possibile la diversità dei partecipanti al mercato, siano essi emittenti, prestatori di servizi finanziari o consumatori.
Con riferimento alle modalità di cooperazione tra l’autorità nazionale competente e le autorità estere al fine della repressione delle violazioni della normativa recata dalla direttiva e della circolazione delle informazioni, nonché dell'opposizione del segreto d’ufficio, l’articolo 16 della direttiva prevede un generale obbligo di cooperazione tra le autorità competenti degli Stati membri per l'espletamento dei compiti loro assegnati.
La cooperazione si sostanzia nello scambio di informazioni e nella collaborazione nelle indagini transfrontaliere, le cui modalità e limiti sono disciplinati in modo dettagliato.
Per quanto attiene al primo aspetto, le autorità competenti provvedono, su richiesta, a comunicare immediatamente le informazioni richieste. Qualora non sia in grado di fornire immediatamente le informazioni, l'autorità competente destinataria della richiesta notifica i motivi all'autorità competente richiedente.
Le autorità che ricevono informazioni possono utilizzarle esclusivamente per l'espletamento delle loro funzioni e nell'ambito di procedimenti amministrativi o giudiziari specificamente legati all'esercizio di tali funzioni.
In base al paragrafo 3, inoltre, un'autorità competente la quale si convinca che siano in atto o siano state attuate attività contrarie alle disposizioni della direttiva sul territorio di un altro Stato membro o che talune attività incidano negativamente sugli strumenti finanziari negoziati in un mercato regolamentato situato in un altro Stato membro, essa ne informa nel modo più preciso possibile l'autorità nazionale competente.
Per quanto attiene alla collaborazione nelle indagini transfrontaliere, il paragrafo4 consente all'autorità competente di uno Stato membro di chiedere che venga compiuta un'indagine sul territorio di un altro Stato membro, a cura dell'autorità competente di quest'ultimo. L'indagine è tuttavia sempre soggetta al controllo generale dello Stato membro nel territorio del quale essa ha luogo.
Le autorità competenti possono rifiutarsi di accogliere la richiesta di compiere un'indagine qualora tale indagine possa pregiudicare la sovranità, la sicurezza o l'ordine pubblico dello Stato richiesto, ovvero quando nello Stato richiesto sia già stato iniziato un procedimento giudiziario per gli stessi fatti e contro le stesse persone, ovvero quando nello Stato richiesto sia già stata emessa una sentenza definitiva a carico delle stesse persone per gli stessi fatti.
Lo stesso articolo 16 prevede specifiche procedure nell’ipotesi di mancato adempimento degli obblighi di cooperazione da parte delle autorità di uno Stato membro.
In particolare, fatta salva la possibilità di avviare una procedura di infrazione da parte della Commissione nei confronti dello Stato membro inadempiente, ai sensi dell’articolo 226 del Trattato, un’autorità competente, alle cui richieste di informazione o di collaborazione nelle indagini non sia stato dato seguito entro un tempo ragionevole o la cui richiesta d'informazione sia stata respinta, può segnalare l’inadempimento presso il Comitato delle autorità europee di regolamentazione dei valori mobiliari, dove si discuterà per giungere ad una soluzione rapida ed efficace.
Il paragrafo 5 dell’articolo 16 delega poi alla Commissione l’adozione, conformemente alla procedura di regolamentazione, di disposizioni di attuazione sulle procedure di scambio di informazioni e di collaborazione nelle indagini transfrontaliere.
In materia di segreto professionale e di segreto d’ufficio, il paragrafo 3 dell’articolo 12 della direttiva stabilisce che i poteri previsti dal medesimo articolo non pregiudicano le disposizioni del diritto nazionale in materia di segreto professionale.
L’articolo 13 della direttiva prevede l’applicazione del segreto d’ufficio a tutte le persone che prestano o hanno prestato la loro attività per l'autorità competente o per qualsiasi autorità o organismo di mercato cui l'autorità competente ha delegato i suoi poteri, compresi i revisori e gli esperti incaricati da detta autorità.
Le informazioni coperte dal segreto non possono essere comunicate ad alcuna altra persona o autorità se non in forza di disposizioni di legge.
Con riguardo al nostro ordinamento si ricorda che l’articolo 4, comma 10, del TUF stabilisce che tutte le notizie, le informazioni e i dati in possesso della CONSOB in ragione della sua attività di vigilanza sono coperti dal segreto d'ufficio anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni, ad eccezione del Ministro dell’economia e delle finanze. Sono fatti salvi i casi previsti dalla legge per le indagini relative a violazioni sanzionate penalmente.
Il comma 12 del medesimo articolo prevede che i dipendenti della CONSOB, i consulenti e gli esperti dei quali la stessa si avvale sono vincolati dal segreto d'ufficio.
Il comma 8 fa inoltre salve le norme che disciplinano il segreto d'ufficio sulle notizie, i dati e le informazioni in possesso della Banca d'Italia.
La lettera c) del comma 3 in esame delega il Governo a disciplinare, anche mediante l'attribuzione alla CONSOB del relativo potere regolamentare, i seguenti aspetti, tenendo conto delle disposizioni di applicazione eventualmente adottate dalla Commissione europea secondo la procedura di cui all'articolo 17, paragrafo 2, della direttiva:
1. l'adeguamento delle definizioni di cui alla lettera a), anche in relazione all'individuazione delle prassi di mercato ammesse;
2. per gli emittenti di strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato o per i quali è stata chiesta l'ammissione alla negoziazione:
2.1 gli obblighi di comunicazione al pubblico di informazioni privilegiate.
Al riguardo, il paragrafo 1 dell’articolo 6 della direttiva prevede a carico degli emittenti di strumenti finanziari l’obbligo di comunicare al pubblico, al più presto possibile, le informazioni privilegiate che riguardano direttamente i medesimi emittenti, nonché di far apparire sul loro sito internet, per un periodo adeguato, tutte le informazioni privilegiate che sono tenuti a rendere pubbliche[61].
Queste disposizioni appaiono intese a ridurre alla fonte il rischio di uno sfruttamento abusivo di informazioni privilegiate.
A tal proposito, il considerando 24 osserva che la divulgazione tempestiva e corretta delle informazioni al pubblico da parte degli emittenti rafforza l'integrità del mercato, mentre la divulgazione selettiva potrebbe far venire meno la fiducia degli investitori nell'integrità dei mercati finanziari.
Il considerando 23 evidenzia che l'inserimento di informazioni privilegiate su siti internet da parte di emittenti dovrebbe essere conforme alle norme sul trasferimento di dati personali verso paesi terzi, come stabilito dalla direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati.
La disposizione in esame sembra prospettare per gli emittenti obblighi di informazione più rigorosi rispetto a quanto attualmente previsto dall'articolo 114 del TUF, il quale, invece, prescrive agli emittenti quotati e ai soggetti che li controllano di informare il pubblico dei fatti che accadono nella loro sfera di attività e in quella delle società controllate, non di pubblico dominio e idonei, se resi pubblici, a influenzare sensibilmente il prezzo degli strumenti finanziari.
La disciplina di attuazione del richiamato articolo 114 è contenuta dall’articolo 66 del regolamento della CONSOB recante la disciplina degli emittenti(adottato con delibera n. 11971 del 14 maggio 1999 e più volte modificato).
In particolare, in base a tale ultima disposizione, gli emittenti e i soggetti che li controllano informano senza indugio il pubblico dei fatti previsti dall'articolo 114, comma 1, del TUF mediante invio di un comunicato:
a) alla società di gestione del mercato, che lo mette immediatamente a disposizione del pubblico;
b) ad almeno due agenzie di stampa.
Il comunicato, che deve essere contestualmente trasmesso alla CONSOB, contiene gli elementi essenziali del fatto in forma idonea a consentire una valutazione completa e corretta degli effetti che esso può produrre sul prezzo degli strumenti finanziari;
2.2 le conseguenze del ritardo della divulgazione al pubblico, fermo restando l'obbligo di informare la CONSOB e il potere della medesima di adottare le misure necessarie a garantire la corretta informazione del pubblico.
A tal proposito, il paragrafo 2 dell’articolo 6 della direttiva riconosce agli emittenti la facoltà di ritardare, sotto la propria responsabilità, la divulgazione al pubblico di informazioni privilegiate, al fine di non pregiudicare i loro legittimi interessi, a condizione che la mancata pubblicazione non possa fuorviare il pubblico e che l'emittente sia in grado di assicurare la riservatezza delle informazioni stesse.
Peraltro, gli Stati membri, in sede di recepimento, possono esigere che l'emittente informi senza indugio l'autorità competente della decisione di ritardare la divulgazione al pubblico di informazioni privilegiate[62].
La relazione alla proposta originaria della Commissione individuava, quale esempio di ritardo giustificato della pubblicazione, il caso delle discussioni su una potenziale offerta pubblica di acquisizione. Se lo svolgimento di tali discussioni venisse reso noto prima della conclusione di un accordo, infatti, potrebbero verificarsi erratici movimenti di prezzo delle azioni della società bersaglio che renderebbero disagevole la fissazione di un giusto prezzo per l'offerta.
2.3 i casi in cui è possibile la comunicazione a terzi di informazioni privilegiate senza obbligo di comunicazione al pubblico;
2.4 la tenuta di registri delle persone che lavorano o svolgono incarichi per gli emittenti e che hanno accesso a informazioni privilegiate;
Tale previsione è contenuta nell’ultimo comma del paragrafo 3 dell’articolo 6 della direttiva che, al fine di assicurare l'osservanza dei richiamati obblighi di comunicazione, impone agli emittenti e ai soggetti che agiscono per loro conto l’obbligo di istituire e aggiornare un registro degli insider, vale a dire delle persone che lavorano per loro, in virtù di un contratto di lavoro o altro, e che hanno accesso a informazioni privilegiate.
2.5 gli obblighi di comunicazione alla CONSOB e al pubblico delle informazioni relative ad operazioni effettuate da, o per conto di, persone che esercitano responsabilità di direzione nonché da, o per conto di, soggetti a queste ultime strettamente collegati, individuandone a tal fine la nozione.
In tal senso, il paragrafo 4 dell’articolo 6 della direttiva dispone, a carico delle persone che esercitano responsabilità di direzione all'interno di un emittente di strumenti finanziari e, se del caso, delle persone ad esse strettamente legate, l’obbligo di notificare all'autorità competente l'esistenza di operazioni effettuate per loro conto attinenti ad azioni emesse da tale emittente o a strumenti derivati o ad altri strumenti finanziari a loro collegati.
Gli Stati membri provvedono a consentire il più presto possibile un agevole accesso del pubblico a dette informazioni, almeno su base individuale.
Nel nostro ordinamento l’obbligo in questione è previsto dal regolamento di Borsa Italiana S.p.A. (deliberato dalla Assemblea di Borsa Italiana S.p.A. del 29 aprile 2003 e approvato dalla CONSOB con delibera n. 14169 del 16 luglio 2003).
Diretti destinatari dell’obbligo di comunicazione sono peraltro gli emittenti, che a loro volta devono farsi trasmettere i dati dalle persone interessate sulla base di un codice di comportamento che i medesimi devono istituire al fine di disciplinare, appunto, con efficacia cogente, gli obblighi informativi delle persone rilevanti.
In particolare, l’articolo 2.6.4 (Operazioni compiute da persone rilevanti) del regolamento obbliga le società quotate a rendere periodicamente note al mercato, secondo le modalità e i tempi stabiliti nelle Istruzioni al medesimo regolamento, le operazioni a qualsiasi titolo compiute dalle persone rilevanti, comunicate alla società in osservanza del citato codice di comportamento, e aventi ad oggetto:
a) strumenti finanziari quotati emessi dall’emittente o da sue controllate, escluse le obbligazioni non convertibili;
b) strumenti finanziari, anche non quotati, che attribuiscono il diritto di sottoscrivere, acquistare o vendere gli strumenti di cui al punto precedente;
c) strumenti finanziari derivati, nonché covered warrant, aventi come attività sottostante gli strumenti finanziari di cui alla lettera a), anche quando l’esercizio avvenga attraverso il pagamento di un differenziale in contanti.
3. le responsabilità e gli obblighi di correttezza e trasparenza a carico di chiunque produca o diffonda ricerche riguardanti strumenti finanziari o emittenti di strumenti finanziari, ovvero altre informazioni concernenti strategie di investimento.
Al riguardo, il paragrafo 5 dell’articolo 6 della direttiva prevede l’introduzione di una serie di adeguati obblighi a carico delle persone che producono o diffondono ricerche riguardanti strumenti finanziari o degli emittenti di strumenti finanziari o delle persone che producono o diffondono altre informazioni che raccomandano o propongono strategie di investimenti destinate ai canali di divulgazione o al pubblico[63].
In particolare, i soggetti in questione devono:
- vigilare “con ragionevole diligenza” affinché l'informazione sia presentata correttamente (c.d. fairness);
- comunicare ogni loro interesse o indicare l'esistenza di conflitti di interessi riguardo agli strumenti finanziari cui l'informazione si riferisce (c.d. disclosure)[64].
Le disposizioni nazionali di attuazione devono essere notificate alla Commissione.
Il considerando 22 include tra gli strumenti adeguati che gli Stati membri dovrebbero adottare in attuazione del paragrafo in esame anche il ricorso a meccanismi appropriati di autoregolamentazione.
La previsione recata dal numero 3 della lettera c) dell’articolo in commento prospetta un ampliamento, in particolare per quanto attiene all’ambito soggettivo, degli obblighi attualmente previsti dal nostro ordinamento a carico dei c.d. analisti finanziari.
Il testo unico della finanza, all’articolo 114, comma 5, demanda alla CONSOB il compito di stabilire, con regolamento, “in quali casi e con quali modalità devono essere fornite informazioni al pubblico sugli studi e sulle statistiche concernenti gli emittenti quotati". La disposizione, peraltro, concerne i soli studi e statistiche elaborati da emittenti quotati e da intermediari autorizzati a prestare servizi di investimento, nonché da soggetti in rapporto di controllo con essi. Sono quindi esclusi dall'ambito di applicazione del medesimo articolo gli studi prodotti dagli analisti c.d. "indipendenti" o comunque da soggetti diversi dagli intermediari autorizzati ed emittenti quotati.
In attuazione della disposizione suddetta, l’articolo 69 del Regolamento emittenti della CONSOB stabilisce che gli emittenti di strumenti finanziari, gli intermediari autorizzati e i soggetti in rapporto di controllo con essi possono diffondere al pubblico studi o statistiche concernenti emittenti di strumenti finanziari a condizione che questi:
a) siano trasmessi alla CONSOB entro il giorno in cui sono diffusi al pubblico;
b) siano depositati, entro lo stesso termine, presso la società di gestione del mercato che li mette a disposizione del pubblico;
c) riportino, con evidenza grafica, un'avvertenza nella quale sia indicato che chi li diffonde può avere un proprio specifico interesse riguardo agli emittenti, agli strumenti finanziari e alle operazioni oggetto di analisi, indicandone le ragioni e l'estensione.
Qualora gli studi o le statistiche siano destinati ai soli soci dell'emittente o delle società in rapporto di controllo con l'emittente o ai soli clienti dell'intermediario autorizzato o delle società in rapporto di controllo con esso, la diffusione al pubblico è effettuata entro sessanta giorni a partire da quello di inizio della loro distribuzione secondo una delle seguenti modalità:
a) trasmissione alla società di gestione del mercato;
b) messa a disposizione direttamente sul sito Internet dell'intermediario e contestuale invio alla società di gestione del mercato di un avviso contenente la notizia della messa a disposizione e l'indirizzo Internet dove lo studio o la statistica sono consultabili.
Una ulteriore disciplina è stata posta in essere, in via di autoregolamentazione, dall'Associazione italiana degli analisti finanziari (AIAF), la quale ha di recente aggiornato e integrato il proprio codice etico, prevedendo, in caso di violazione delle previsioni in esso contenute, censure anche pubbliche.
Si ricorda che la proposta di legge C. 3227, approvata dalla Camera dei deputati in prima lettura il 31 luglio 2003 e attualmente all’esame del Senato (A.S. 2467) contiene disposizioni intese ad introdurre una disciplina organica dell’attività degli analisti finanziari.
In particolare, le disposizioni di cui agli articoli 2, 3, 4, e 5 della pdl in parola, le quali attribuiscono alla CONSOB il compito di disciplinare la correttezza dello svolgimento dell'attività di analisi finanziaria, al fine di prevenire o gestire correttamente eventuali situazioni di conflitto di interessi, le modalità di predisposizione e diffusione degli studi da parte dei soggetti abilitati, al fine di assicurarne la correttezza, l’imparzialità, la completezza e la chiarezza, nonché il compito di stabilire in quali casi e con quali modalità devono essere fornite informazioni al pubblico sugli studi e sulle statistiche concernenti titoli di emittenti quotati, sembrerebbero, almeno in parte, recepire le richiamate previsioni di cui all’articolo 6, paragrafo 5, della direttiva in esame.
4. l'adozione da parte dei gestori di mercato di disposizioni strutturali intese a prevenire pratiche di abuso di mercato.
Il considerando 24 della direttiva indica, a titolo di esempio di tale disposizione direttamente applicativa del paragrafo 6 dell’articolo 6 della stessa direttiva, tra gli strumenti che gli operatori dovrebbero adottare, la trasparenza delle operazioni effettuate, la piena divulgazione degli accordi sulla regolamentazione dei prezzi, un sistema corretto di raggruppamento degli ordini, l'introduzione di un efficace sistema relativo all'individuazione di ordini atipici, sistemi sufficientemente solidi per la fissazione dei prezzi di riferimento degli strumenti finanziari e la trasparenza delle regole sulla sospensione delle operazioni.
5. l'introduzione, a carico di chi opera professionalmente su strumenti finanziari, qualora abbia ragionevoli motivi per sospettare che le transazioni costituiscano un abuso di informazioni privilegiate o una manipolazione del mercato, dell'obbligo di segnalare la circostanza alla CONSOB.
Tale disposizione è direttamente applicativa del disposto recato dal paragrafo 9 dell’articolo 6 della direttiva.
6. le modalità di diffusione da parte di istituzioni pubbliche di statistiche suscettibili di influire in modo sensibile sui mercati finanziari, in modo conforme a princìpi di trasparenza e correttezza.
Questa disposizione è direttamente applicativa di quanto stabilito dal paragrafo 8 dell’articolo 6 della direttiva.
7. i casi di inapplicabilità delle disposizioni adottate in recepimento della direttiva in relazione sia alle operazioni attinenti alla politica monetaria, alla politica dei cambi o alla gestione del debito pubblico, sia alle negoziazioni di azioni proprie effettuate nell'ambito di programmi di riacquisto di azioni proprie, nonché alle operazioni di stabilizzazione di uno strumento finanziario.
Al riguardo, l’articolo 7 della stessa direttiva esclude l’applicazione della direttiva alle operazioni attinenti alla politica monetaria, alla politica dei cambi o alla gestione del debito pubblico effettuate da uno Stato membro, dal Sistema europeo di banche centrali, da una Banca centrale nazionale o da qualsiasi altro organismo ufficialmente designato, ovvero da qualsiasi persona che agisca per conto degli stessi.
Gli Stati membri possono estendere detta esclusione ai loro Stati federati o ad autorità locali analoghe per quanto attiene alla gestione del debito pubblico di questi ultimi.
Si ricorda che l’articolo 180, comma 6,del TUF già esclude dall’ambito di applicazione delle disposizioni sull’abuso di informazioni privilegiate di cui al medesimo articolo le operazioni compiute per conto dello Stato italiano, della Banca d'Italia e dell'Ufficio Italiano dei Cambi per ragioni attinenti alla politica economica.
L’articolo 8 della direttiva esclude invece l’applicazione della direttiva stessa alle negoziazioni di azioni proprie effettuate nell'ambito di programmi di riacquisto di azioni proprie e alle operazioni di stabilizzazione di uno strumento finanziario, a condizione che tali negoziazioni si svolgano in conformità delle disposizioni di applicazione adottate dalla Commissione.
La relazione alla proposta originaria della Commissione rileva che le operazioni di negoziazione di azioni proprie possono essere effettuate al fine di rafforzare il capitale azionario dell'emittente e quindi nell'interesse degli investitori, e che la stabilizzazione dei valori mobiliari per un limitato periodo di tempo nel corso di un'offerta pubblica iniziale o secondaria si rende spesso necessaria per ragioni economiche perfettamente valide. La stabilizzazione, inoltre, dà sicurezza agli investitori e incoraggia le piccole e medie imprese a ricorrere ai mercati dei capitali.
La lettera d) del comma 3 in esame delega il Governo ad attribuire alla CONSOB gli ulteriori poteri di vigilanza e di indagine di cui all’articolo 12 della direttiva.
L’articolo 12 della direttiva richiede che all’autorità di vigilanza competente siano conferiti tutti i poteri di vigilanza e di indagine necessari per l'esercizio delle sue funzioni.
Tali poteri possono essere esercitati:
- direttamente;
- in collaborazione con altre autorità o società di gestione di mercati o mediante delega ad esse sotto la propria responsabilità;
- mediante richiesta alle competenti autorità giudiziarie.
La disposizione, come precisato dalla relazione alla proposta originaria della Commissione, è intesa a salvaguardare la facoltà degli Stati membri di stabilire che, nel rispetto delle costituzioni e legislazioni nazionali, nonché delle loro tradizioni, l'autorità competente possa avvalersi dei propri poteri solo in raccordo con altri organi dello Stato, in particolare l'autorità giudiziaria, potendo gli abusi di mercato essere sanzionati anche penalmente.
Il paragrafo 2 dell’articolo 12 della direttiva reca un elenco minimo di poteri che devono essere attribuiti all’autorità competente, la quale li esercita in conformità alla normativa nazionale:
- diritto di accedere a qualsiasi documento sotto qualsiasi forma e ottenerne copia. Al riguardo, si può osservare che la norma non precisa se il diritto di accesso includa anche il potere di entrare in possesso del documento in caso di rifiuto da parte del soggetto interessato;
Oltre alle richiamate previsioni di cui all’articolo 185, commi 2-4, del TUF, si ricorda che in base agli articoli 8, comma 1, e 10, comma 1, del medesimo testo unico la CONSOB può, rispettivamente, chiedere ai soggetti abilitati la trasmissione di atti e documenti con le modalità e i termini da essa stabiliti, e richiedere l’esibizione dei documenti presso i soggetti abilitati;
- potere di richiesta di informazioni a qualsiasi persona, incluse quelle che intervengono successivamente nella trasmissione degli ordini o nell'esecuzione delle operazioni in questione, e ai loro mandanti e, se necessario, di convocazione e audizione di una persona;
Si rinvia al riguardo alla richiamata previsione di cui all’articolo 185, comma 3, del TUF.
- esecuzione di ispezioni in loco. Va segnalato che la disposizione non precisa se le ispezioni possano avvenire soltanto presso la sede sociale o altro luogo di lavoro del soggetto interessato, ovvero anche presso abitazioni private;
Si ricorda che in base all’articolo 10, comma 1, del TUF, la CONSOB può effettuare ispezioni presso i soggetti abilitati.
- richiesta delle registrazioni telefoniche esistenti e delle informazioni esistenti relative al traffico;
Nella legislazione vigente tale potere appare già attribuito, nei confronti dei soggetti abilitati, alla CONSOB e alla Banca d’Italia dal citato articolo 8, comma 1, del TUF.
- richiesta della cessazione di qualsiasi prassi contraria alle disposizioni adottate in attuazione della direttiva;
Si ricorda che l’articolo 51 del TUF consente alla CONSOB di emanare provvedimenti ingiuntivi nei confronti di intermediari nazionali ed extracomunitari.
- sospensione della negoziazione degli strumenti finanziari in questione;
Attualmente nel nostro ordinamento il potere di sospensione della negoziazione non è attribuito alle autorità di vigilanza ma alla società di gestione del mercato ai sensi dell’articolo 64, comma 1, lettera c), del TUF.
- richiesta del congelamento ovvero del sequestro dei beni;
Tale potere non è espressamente attribuito alla CONSOB dalla legislazione vigente.
- richiesta della temporanea interdizione dall'esercizio dell'attività professionale;
Il TUF attribuisce alle autorità di vigilanza poteri di interdizione temporanea relativamente ai promotori finanziari (articolo 55), ai soci o agli amministratori di società di revisione iscritte nel registro dei revisori contabili (articolo 163) e agli agenti di cambio (articolo 201, commi 14 e 15).
In linea generale, si osserva che le disposizioni in esame non precisano se i singoli poteri possano essere esercitati nei confronti sia dei soggetti vigilati che di quelli non vigilati dall’autorità competente in base alla normativa nazionale, ovvero sia dei soggetti residenti che non residenti.
Va rilevato che, in linea generale, i poteri elencati dal paragrafo in esame appaiono più ampi di quelli previsti dalle disposizioni richiamate in precedenza e, in particolare, con riferimento al solo abuso di informazioni privilegiate, dall’articolo 185, commi 2-4, del TUF.
La disposizione recata dalla lettera d) in esame specifica ora che tali poteri possono essere esercitati anche nei confronti dei soggetti non vigilati di cui all’articolo 12, comma 2, lettera b), della direttiva, salva l’ispezione e la perquisizione di locali non adibiti all’esercizio di attività professionali, consentite previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria, stabilendo inoltre che la CONSOB possa:
1. per l’esercizio dei poteri di cui all’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva, avvalersi della collaborazione del Corpo della Guardia di finanza;
2. avvalersi della collaborazione delle pubbliche amministrazioni;
3. accedere alle informazioni relative al traffico telefonico, via Internet o per via telematica, previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria, senza oneri aggiuntivi;
4. procedere al sequestro di beni in via amministrativa, ovvero richiedere all'autorità giudiziaria il sequestro penale dei beni che possono essere oggetto di confisca;
5. delegare a gestori di mercati regolamentati taluni poteri di vigilanza in materia.
La lettera e)del comma 3 in esame delega il governo a disciplinare i rapporti tra la CONSOB e l'autorità giudiziaria per l'attività svolta nei confronti dei soggetti non vigilati.
Le lettere da f) a l)del comma 3 in esame recano disposizioni di delega con riguardo al regime sanzionatorio previsto per la materia in esame.
Al riguardo, l’articolo 14 della direttiva stabilisce, in primo luogo, che le violazioni delle disposizioni adottate in attuazione della direttiva devono essere punite da ciascun ordinamento nazionale con sanzioni o misure amministrative.
Viene, tuttavia, fatta salva la facoltà per gli Stati membri di imporre sanzioni penali.
In secondo luogo, si precisa che le misure e sanzioni amministrative devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive.
Il considerando 39 sottolinea che, al momento di definire le misure e le sanzioni amministrative, gli Stati membri dovrebbero tener presente la necessità di garantire una certa omogeneità di regolamentazione da uno Stato membro all'altro.
La decisione di sanzionare in via primaria e generale gli abusi di mercato mediante l’applicazione di sanzioni amministrative, rimettendo ai singoli Stati la scelta di un eventuale ricorso alle sanzioni penali, deriva soprattutto dalla considerazione espressa dalla maggior parte delle autorità nazionali di vigilanza sui mercati finanziari in seno al FESCO (ora confluito nel CESR), secondo cui le sanzioni penali si sarebbero rivelate di scarsa efficacia.
La disposizione in esame ha un carattere fortemente innovativo rispetto alla disciplina vigente nel nostro ordinamento in cui, come già ricordato, l’insider trading e le manipolazioni di mercato sono sanzionate penalmente ai sensi, rispettivamente, dei richiamati articoli 180 del TUF e 2637 del codice civile.
Il paragrafo 2 delega alla Commissione, in conformità della procedura di regolamentazione cui all'articolo 17, paragrafo 2, il compito di stilare un elenco indicativo delle misure e delle sanzioni amministrative.
Il paragrafo 3 prevede la fissazione di specifiche sanzioni per l'omessa collaborazione alle indagini di cui all'articolo 12.
Il paragrafo 4 attribuisce all'autorità competente la facoltà di divulgare al pubblico le misure o sanzioni applicate per il mancato rispetto delle disposizioni adottate in attuazione della direttiva, salvo il caso in cui la divulgazione possa mettere gravemente a rischio i mercati finanziari o possa arrecare un danno sproporzionato alle parti coinvolte.
Si ricorda che l’articolo 182 del TUF prevede tra le pene accessorie applicabili in caso di abuso di informazioni privilegiate, la pubblicazione della sentenza di condanna su almeno due quotidiani, di cui uno economico, a diffusione nazionale.
Per quanto attiene alle sanzioni amministrative previste dagli articoli 188 e seguenti del TUF, l’articolo 195, comma 3, prevede che il decreto di applicazione delle sanzioni emanato dal Ministro dell’economia e delle finanze è pubblicato per estratto sul bollettino della Banca d'Italia o della CONSOB. Il Ministero, su richiesta dell'autorità proponente, tenuto conto della natura della violazione e degli interessi coinvolti, può stabilire modalità ulteriori per dare pubblicità al provvedimento, ponendo le relative spese a carico dell'autore della violazione.
Con riguardo alle singole misure sanzionatorie, la lettera f) del comma 3 in esame delega il Governo a prevedere la pena dell'arresto fino ad un massimo di due anni per i soggetti che ostacolano l'esercizio dei poteri di vigilanza e di indagine della CONSOB previsti dalla direttiva e la pena dell'ammenda non inferiore nel minimo a euro mille e non superiore nel massimo a euro venticinquemila per i soggetti che non ottemperano nei termini alle richieste ovvero ritardano l'esercizio delle funzioni della CONSOB, con aggravio della pena per i soggetti indicati nell'articolo 2638 del codice civile.
L’articolo 2638 del codice civile, in tema di ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, stabilisce che gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori di società o enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza, o tenuti ad obblighi nei loro confronti, i quali nelle comunicazioni alle predette autorità previste in base alla legge, al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni di vigilanza, espongono fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni, sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei sottoposti alla vigilanza ovvero, allo stesso fine, occultano con altri mezzi fraudolenti, in tutto o in parte, fatti che avrebbero dovuto comunicare, concernenti la situazione medesima, siano puniti con la reclusione da uno a quattro anni. La punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi. Sono puniti con la stessa pena gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori di società o enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza o tenuti ad obblighi nei loro confronti, i quali, in qualsiasi forma, anche omettendo le comunicazioni dovute alle predette autorità, consapevolmente ne ostacolano le funzioni.
La lettera g) del comma 3 delega il Governo a prevedere sanzioni amministrative in caso di violazione delle norme primarie e secondarie di recepimento della direttiva, tenendo conto dei princìpi indicati nella legge 24 novembre 1981, n. 689; a prevedere, in particolare, per l'abuso di informazioni privilegiate e per la manipolazione del mercato, sanzioni amministrative pecuniarie non inferiori nel minimo a euro ventimila e non superiori nel massimo ad euro un milione da aumentare fino al triplo quando, in relazione all'entità del profitto conseguito o conseguibile ovvero per gli effetti prodotti sul mercato, esse appaiano inadeguate anche se applicate nel massimo; a prevedere per le altre violazioni sanzioni amministrative pecuniarie non inferiori nel minimo a euro diecimila e non superiori nel massimo a euro duecentomila; a escludere, per tali sanzioni, la facoltà di pagamento in misura ridotta di cui all'articolo 16 della stessa legge n. 689 del 1981; a prevedere adeguate sanzioni accessorie.
L’articolo 16 della legge n. 689 del 1981 ammette il pagamento di una somma in misura ridotta pari alla terza parte del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa, o, se più favorevole e qualora sia stabilito il minimo della sanzione edittale, pari al doppio del relativo importo, oltre alle spese del procedimento, entro il termine di sessanta giorni dalla contestazione immediata o, se questa non vi è stata, dalla notificazione degli estremi della violazione.
La lettera h) del comma 3 delega il Governo a prevedere per gli abusi di informazioni privilegiate e per le manipolazioni del mercato di maggiore gravità, da individuare sulla base di criteri quantitativi, in relazione alle variazioni dei valori di mercato che ne sono derivate, e qualitativi, in relazione al soggetto che ha posto in essere il comportamento, in aggiunta alle sanzioni amministrative, le pene della reclusione non inferiore nel minimo a un anno e non superiore nel massimo a sei anni e la multa nella misura indicata dalla lettera g).
Ai sensi della lettera i) del comma 3, il Governo è delegato a stabilire il principio dell'autonomia reciproca dei procedimenti sanzionatorî amministrativo e penale e prevedere norme di coordinamento dell'attività di accertamento amministrativo con quella dell'autorità giudiziaria.
La lettera l) del comma 3 reca la delega al Governo per disciplinare l'imputazione della responsabilità delle suddette violazioni, anche in relazione all'attribuzione di vantaggi alle società cui appartengono gli autori delle stesse, ai sensi del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, che reca la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni, anche prive di personalità giuridica.
La lettera m) del comma 3 stabilisce infine che il Governo preveda norme transitorie che disciplinino gli effetti sostanziali e procedurali delle nuove disposizioni relativamente alle ipotesi di abuso di mercato depenalizzate commesse prima dell'entrata in vigore delle nuove disposizioni.
Documenti all’esame delle Istituzioni europee
1. Obblighi di trasparenza degli emittenti
Il 26 marzo 2003 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva sull’armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato (COM(2003)138). La proposta rientra nel pacchetto “comunicazione e trasparenza” (che comprende anche la direttiva sul prospetto unico[65], il regolamento sui princìpi contabili internazionali[66] e la direttiva sugli abusi di mercato[67]) e mira ad imporre un livello di trasparenza e di informazione commisurato agli obiettivi di una solida tutela degli investitori e dell’efficienza del mercato.
L’11 maggio 2004 il Consiglio ECOFIN ha raggiunto in seconda lettura l’accordo politico sulla proposta che, essendo già stata approvata dal Parlamento europeo nell’ambito della procedura di codecisione, sarà adottata in via definitiva, senza dibattito, in una delle prossime sessioni del Consiglio.
2. Altre misure in materia di trasparenza e buon funzionamento dei mercati finanziari
Il 16 marzo 2004 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva(COM(2004)177)[68]relativa alla revisione legale dei conti annuali e consolidati delle società, che modifica le direttive 78/660/CEE[69]e 83/349/CEE[70] e abroga la direttiva 84/253/CEE[71].
La proposta sarà esaminata prossimamente dal Consiglio e dal Parlamento europeo secondo la procedura di codecisione.
A seguito di una consultazione pubblica conclusa nel giugno scorso, il 6 ottobre 2004 la Commissione europea ha presentato due raccomandazioni rispettivamente sul ruolo degli amministratori indipendenti o dei membri degli organi di sorveglianza delle società quotate in borsa, e sulle retribuzioni degli amministratori delle società stesse.
La Commissione provvederà a monitorare l’applicazione negli Stati membri delle disposizioni contenute nelle raccomandazioni, valutando, se del caso, l’opportunità di adottare misure aggiuntive.
Art. 9
(Delega al Governo per il recepimento della direttiva 2003/89/CE, in materia di indicazione degli ingredienti contenuti nei prodotti alimentari)
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con le modalità di cui all'articolo 1, un decreto legislativo per il recepimento della direttiva 2003/89/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 novembre 2003, che modifica la direttiva 2000/13/CE, in materia di indicazione degli ingredienti contenuti nei prodotti alimentari. Con specifico riferimento alla disciplina relativa all'indicazione degli ingredienti che possono provocare allergie o intolleranze, come individuati dall'allegato III bis della direttiva 2003/89/CE, il Governo nell'adozione del suddetto decreto legislativo si conforma ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) stabilire, anche mediante rinvio ad un decreto del Ministro della salute, sulla base dei sistemi di rilevazione analitica disponibili, la soglia al di sopra della quale deve essere indicata in etichetta la presenza dei suddetti ingredienti;
b) qualora sia accertato, sulla base dei migliori studi scientifici disponibili a livello internazionale, che la soglia di tossicità degli ingredienti di cui all'alinea, per i soggetti affetti da allergia o intolleranza, sia superiore a quella di cui alla lettera a), nelle etichette dei prodotti alimentari può essere indicato che i suddetti ingredienti sono presenti, ma in misura inferiore alla soglia di tossicità;
c) stabilire le procedure di autocertificazione che le imprese devono adottare per la verifica della presenza degli ingredienti di cui all'alinea nei propri prodotti, in relazione alle materie prime ed ai processi di lavorazione utilizzati;
d) stabilire la disciplina relativa all'indicazione delle informazioni di cui al presente comma in etichetta, al fine di garantire l'agevole leggibilità delle medesime da parte dei consumatori.
L’articolo 9 conferisce al Governo una delega, che dovrà essere esercitata entro il termine di sei mesi dall’entrata in vigore della legge, per il recepimento della direttiva 2003/89/CE, recante disposizioni in tema di indicazione degli ingredienti contenuti nei prodotti alimentari.
La direttiva 2003/89/CE ha modificato la direttiva 2000/13/CE, che reca la disciplina comunitaria generale relativamente all’etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari. Le modifiche, dettate dall’esigenza di garantire una più ampia informazione dei consumatori e, in particolare, di informare sulla presenza nel prodotto di ingredienti con effetti allergenici o di intolleranza alimentare, ha previsto l’obbligo di indicare in etichetta, ferme restando alcune eccezioni espressamente previste, tutte le sostanze presenti in un determinato prodotto alimentare. Il termine per l’adozione delle disposizioni nazionali di adeguamento è stabilito al 25 novembre 2004 (art. 20)[72].
Il decreto legislativo diretto all’adeguamento interno dovrà conformarsi ai seguenti principi e criteri direttivi:
· stabilire la soglia oltre la quale diviene obbligatorio indicare in etichetta la presenza di un ingrediente;
· qualora detta soglia sia inferiore alla soglia di tossicità accertata per i soggetti affetti da allergie o intolleranze, consentire di indicare in etichetta che la presenza dell’ingrediente è al di sotto della soglia di tossicità;
· definire le procedure affinché le imprese possano procede all’autocertificazione in merito alla presenza degli ingredienti in questione nei processi di lavorazione da esse adottati;
· definire le modalità con le quali le informazioni debbono comparire in etichetta in modo che ne sia garantita una agevole lettura da parte dei consumatori.
La direttiva 2000/13/CE, come modificata dalla direttiva 2003/89/CE, recepita nell’ordinamento interno con il D.lgs. n.181/2003, che ha modificato in più parti il D.lgs. n.109/1992 (recante la disciplina generale della materia), si applica ai prodotti alimentari destinati ad essere consegnati al consumatore finale, ivi incluse le collettività quali ristoranti, ospedali o mense. La commercializzazione dei prodotti alimentari conformi alla direttiva stessa può essere vietata soltanto per ragioni attinenti alla salute pubblica, alla repressione delle frodi o alla protezione della proprietà industriale e commerciale. L'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari non debbono essere tali da indurre l'acquirente in errore sulle caratteristiche o sugli effetti di tali prodotti alimentari o attribuire ad un prodotto alimentare (ad eccezione delle acque minerali naturali e dei prodotti alimentari destinati ad un'alimentazione particolare per i quali esistono disposizioni comunitarie specifiche) delle proprietà di prevenzione, di trattamento e di cura di una malattia umana.
Tra le indicazioni obbligatorie che devono figurare in etichetta si segnalano, in particolare (per quanto in questa sede interessa):
- l'elenco degli ingredienti (preceduti da un'indicazione "ingredienti") che devono essere elencati in ordine decrescente di importanza ponderata e designati con il loro nome specifico, con la riserva di alcune deroghe previste dall'Allegato I (categoria di ingredienti la cui indicazione della categoria può sostituire quella del nome specifico – ad esempio: "olio", "burro di cacao", "formaggio", "verdura"), dall'Allegato II (categorie di ingredienti obbligatoriamente designati con il nome della loro categoria, seguito dal nome specifico o dal numero CE- ad esempio: colorante, acidificante, emulsionante, umettante...) e dall'Allegato III (designazione degli aromi). In alcune condizioni, l'indicazione degli ingredienti non viene richiesta per la frutta e per la verdura fresca, per le acque gassate, per gli aceti di fermentazione, per i formaggi, per il burro, per il latte o per la crema fermentata, nonché per i prodotti che contengono un solo ingrediente, quando la denominazione di vendita è identica al nome dell'ingrediente o permette di determinare la natura dell'ingrediente senza confusione. Peraltro, l'indicazione degli ingredienti di un ingrediente composto, che non rappresenta più del 25% del prodotto alimentare, non è obbligatorio;
- la quantità degli ingredienti o delle categorie di ingredienti espressa in percentuale; ciò è obbligatorio quando gli ingredienti figurano nella denominazione di vendita, sono posti in rilievo sull'etichetta o sono essenziali per caratterizzare un elemento determinato.
Per un esame più analitico del contenuto delle direttive in questione, si rinvia alla scheda relativa alla direttiva 2003/89/CE.
Con riferimento all’articolo in esame si osserva quanto segue:
· alle lettere a) e b) sono definiti principi e criteri direttivi che non sembrano trovare rispondenza nella direttiva 2000/13/CE, come modificata dalla direttiva 2003/89/CE;
· appare opportuno prevedere che il recepimento della direttiva avvenga novellando il D.lgs. 109/1992, che reca la disciplina generale della materia nell’ordinamento interno. Al riguardo merita ricordare che la direttiva 2000/13/CE, modificata dalla direttiva 2003/89/CE (cui si intende dare attuazione con la disposizione in commento) è stata recepita nell’ordinamento interno con il D.lgs. n.181/2003, che ha modificato in più parti il D.lgs. n.109/1992.
Documenti all’esame delle Istituzioni europee
Al fine di integrare i principi generali enunciati nella direttiva 2000/13/CE, modificata dalla direttiva 2003/89/CE, il 16 luglio 2003 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari (COM(2003)424). Allo scopo di contribuire ad un elevato livello di tutela della salute umana e di promuovere la protezione degli interessi dei consumatori, la Commissione propone che l’utilizzo di indicazioni nutrizionali nell’etichettatura e nella presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari venga autorizzato a condizioni rigorose e previa valutazione scientifica indipendente. Le indicazioni non conformi alla normativa verranno considerate pubblicità ingannevole. La Commissione si propone in tal modo di garantire che l'etichettatura degli alimenti recante tali indicazioni sia adeguata e chiara, per consentire al consumatore di compiere una scelta informata.
La proposta, che segue la procedura di codecisione, è in attesa di esame da parte del Parlamento europeo e del Consiglio.
A partire dal 2002 in stretta collaborazione con rappresentanti degli Stati membri, consumatori, esponenti del settore industriale, la Commissione ha avviato una valutazione della legislazione relativa all’etichettatura dei prodotti alimentari, ai fini di una sua semplificazione e modernizzazione. La relazione finale di questo studio è stata resa disponibile il 18 ottobre 2003 e costituirà il punto di partenza per ridisegnare la normativa vigente. La proposta della Commissione è attesa per il 2005, a seguito di un processo di consultazione con le parte interessate.
Art. 10
(Modifica all'articolo 5 della legge 16 febbraio 1913, n. 89, in materia di accesso alla professione notarile)
1. All'articolo 5 della legge 16 febbraio 1913, n. 89, dopo il numero 5o è inserito il seguente:
«5o-bis. I requisiti di cui ai commi 4o e 5o possono essere sostituiti dal possesso del decreto di riconoscimento professionale emanato in applicazione del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 115;».
L’articolo 10, novellando l’articolo 5 della legge n. 89/1913, concernente l’ordinamento del notariato e degli archivi notarili, stabilisce che alcuni requisiti necessari per ottenere la nomina a notaio, in particolare quelli relativi al possesso della laurea in giurisprudenza ed al compimento della pratica biennale presso un professionista, possano essere sostituiti dal possesso del decreto che riconosce in Italia i titoli attestanti formazioni professionali rilasciati da altri paesi membri dell’Unione europea; resta ferma la necessità, al fine di esercitare la professione notarile, del possesso degli altri requisiti previsti all’articolo 5 della legge n. 89/1913 ed in particolare di quello del superamento del relativo concorso, disciplinato dalla legge 6 agosto 1926, n.1365.
Si ricorda che il decreto legislativo n. 115/1992, recependo la direttiva n. 89/48/CEE, individua le modalità, i requisiti ed il procedimento per il riconoscimento in Italia dei titoli rilasciati da altri paesi dell’Unione, attestanti una formazione professionale al cui possesso le legislazioni dei medesimi paesi subordinano l’esercizio di una professione; tale riconoscimento è finalizzato all’esercizio, in Italia, della corrispondente attività.
Il cittadino comunitario può, inoltre, a certe condizioni, ottenere il riconoscimento anche nel caso in cui la professione da esercitare in Italia corrisponda, nel paese di provenienza, ad una attività il cui esercizio non sia subordinato al possesso di titoli di formazione.
La domanda di riconoscimento deve essere presentata al Ministero competente che, dopo aver accertato la completezza della documentazione fornita ed indetto una conferenza di servizi, emana il decreto che attribuisce al destinatario il diritto di accedere alla professione e di esercitarla nel rispetto delle condizioni richieste dalla normativa vigente.
Documenti all’esame delle Istituzioni europee
Il 13 gennaio 2004 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva relativa ai servizi nel mercato interno (COM(2004)2), mirata a stabilire un quadro giuridico che elimini gli ostacoli alla libertà di stabilimento dei prestatori di servizi ed alla libera circolazione dei servizi tra Stati membri.
In base all’articolo 2, la direttiva si applica ai servizi forniti da prestatori stabiliti in uno Stato membro; l'articolo 4, paragrafo 1, definisce “servizio, qualsiasi attività economica non salariata che consiste nel fornire una prestazione oggetto di un corrispettivo economico”.
La relazione illustrativa della proposta individua, in particolare, tra le attività che rientrano nel campo di applicazione della proposta di direttiva, i servizi di consulenza manageriale e gestionale, i servizi nel campo della pubblicità, i servizi di assunzione, comprese le agenzie di lavoro interinale, gli agenti commerciali, i servizi di consulenza giuridica o fiscale, i servizi legati al settore immobiliare, i servizi di costruzione e di architettura, la distribuzione, l'organizzazione di fiere, il noleggio di auto, i servizi di sicurezza, i servizi nel settore turistico, i servizi audiovisivi, i centri sportivi, i servizi legati alla salute, i servizi a domicilio come l'assistenza agli anziani. La proposta di direttiva non si applica ai servizi non a pagamento, ai settori del gas, dell’elettricità, dei trasporti, dei servizi finanziari.
La proposta prevede:
- misure di semplificazione amministrativa, specificamente mediante la creazione di sportelli unici presso i quali il prestatore potrà compiere le procedure pratiche amministrative relative alla propria attività, anche per via elettronica;
- una serie di regole e principi relativi alle autorizzazioni all’esercizio di attività;
- l’eliminazione di alcune prescrizioni particolarmente restrittive che ancora sussistono nelle legislazioni di taluni Stati membri.
- il principio del paese d'origine, in base al quale il prestatore è sottoposto unicamente alla legislazione del paese in cui è stabilito e gli Stati membri non devono imporre restrizioni ai servizi forniti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro;
- il diritto dei destinatari di utilizzare servizi forniti da prestatori stabiliti in altri Stati membri senza che questo possa essere impedito da misure restrittive del loro paese o da comportamenti discriminatori di autorità pubbliche o di operatori privati;
- un meccanismo d'assistenza al destinatario che utilizza un servizio fornito da un prestatore stabilito in un altro Stato membro.
L’esame della proposta, che segue la procedura di codecisione, è stato avviato l’11 marzo 2004 dal Consiglio competitività, che ne ha riconosciuto l’importanza nel mercato interno come elemento per migliorare la competitività dei servizi connessi alle imprese e si è impegnato a esaminarla in via prioritaria.
Il 9 febbraio 2004 la Commissione ha presentato una relazione sulla concorrenza nei servizi professionali (COM(2004)83). Il documento, che concerne soltanto talune categorie professionali (avvocati, notai, contabili, architetti, ingegneri e farmacisti), evidenzia che i servizi da esse offerte svolgono un ruolo importante sia ai fini del miglioramento della competitività dell’economia europea sia per la loro rilevanza immediata per i consumatori.
La relazione individua cinque principali ambiti di intervento:
- la fissazione delle tariffe;
- la raccomandazione delle tariffe;
- la pubblicità;
- i requisiti di accesso e i diritti esclusivi;
- la struttura aziendale e le pratiche multidisciplinari.
La Commissione invita tutte le parti interessate a compiere uno sforzo congiunto per riformare o eliminare le regole che limitano la concorrenza e si impegna a presentare nel 2005 una relazione sui progressi compiuti in tal senso.
Art. 11
(Delega al Governo per la piena attuazione della direttiva 91/414/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1991, concernente i prodotti fitosanitari)
1. Al fine di pervenire alla piena attuazione della direttiva 91/414/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1991, recante norme in materia di immissione in commercio dei prodotti fitosanitari, il Governo è delegato, fatte salve le norme penali vigenti, ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti sanzioni penali o amministrative per violazioni al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 aprile 2001, n. 290.
2. Nell'esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo si attiene ai princìpi ed ai criteri direttivi generali indicati dall'articolo 2, comma 1, lettera c).
3. Gli schemi di decreto legislativo di cui al presente articolo sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per l'espressione del parere da parte dei competenti organi parlamentari con le modalità e nei termini previsti dal comma 3 dell'articolo 1.
L’articolo 11 reca una delega al Governo per la definizione delle sanzioni, sia di carattere penale che amministrativo, volte a punire la violazione della disciplina recata dal D.P.R. 23 aprile 2001, n. 290.
La disposizione prevede che, fatte salve le norme penali vigenti, la delega dovrà essere esercitata, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, nel rispetto di quanto stabilito in materia di sanzioni dall’articolo 2, comma 1, lett. c), del presente disegno di legge (alla cui scheda di lettura si rinvia).
L'introduzione di una disciplina sanzionatoria si rende necessaria al fine di dare piena attuazione alla direttiva 91/414/CEE.
Il DPR n. 290 del 2001[73], adottato in attuazione della legge n. 59 del 1997, detta norme volta a semplificare i procedimenti di autorizzazione alla produzione, alla immissione in commercio e alla vendita di prodotti fitosanitari e relativi coadiuvanti. Esso costituisce uno dei provvedimenti di attuazione della direttiva 91/414/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1991 "relativa all'immissione in commercio dei prodotti fitosanitari". Attesa la sua natura di fonte secondaria, tuttavia, non reca sanzioni.
Al riguardo si ricorda, peraltro, che in merito alla produzione e commercio dei fitofarmaci, il regime definito dalla direttiva 91/414/CEE ha trovato inizialmente attuazione nell’ordinamento nazionale con il D.Lgs. n. 194/1995[74], che ha provveduto a disciplinare l'autorizzazione, l'immissione in commercio, l'utilizzazione ed il controllo dei prodotti fitosanitari. Le sanzioni sono recate dagli articoli da 23 a 28 e sono definite in base al soggetto che commette l’illecito. Pene quali l’arresto o l’ammenda sono pertanto previste per chiunque non si attenga alle disposizioni del decreto legislativo in una delle seguenti fasi: immissione in commercio, vendita o utilizzo dei prodotti; produzione o trasporto dei prodotti; attività di sperimentazione o prova; etichettatura dei prodotti; obbligo di corretta informazione.
In proposito vale segnalare che le violazioni inizialmente previste come reato dal D.lgs. n. 194/1995 sono state successivamente trasformate in semplici illeciti amministrativi dall'art.1 del D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507.
Si ricorda che una delega analoga a quella in esame era stata conferita al Governo dall’art.8 della L. 3 febbraio 2003, n. 14 "Legge comunitaria 2002". Tale delega, non esercitata entro il termine di scadenza, si estendeva anche alle ipotesi di infrazione del menzionato decreto legislativo n. 194/95.
Procedure di infrazione
Il 16 ottobre 2002 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora[75] in materia di immissione in commercio di prodotti fitosanitari utilizzati nell’agricoltura biologica. Secondo la Commissione il decreto del Presidente della Repubblica del 23 aprile 2001, n. 290, che disciplina i procedimenti di autorizzazione alla produzione, immissione in commercio e vendita di prodotti fitosanitari e relativi coadiuvanti, è in contrasto con quanto disposto dalle direttive 91/414/CEE, che disciplina a livello comunitario l’immissione sul mercato di prodotti fitosanitari, e 98/34/CE relativa alle procedure di informazione nel settore delle norme e regolamentazioni tecniche. In particolare, la Commissione rileva che le sostanze elencate[76] all’art. 38 del DPR n. 290 del 23 aprile 2001 siano disciplinate in maniera difforme poiché il loro utilizzo non richiede autorizzazione per l’agricoltura biologica, mentre lo richiede per quello tradizionale.
Si ricorda che la legge comunitaria 2003, all’art. 10, autorizzava il Governo a modificare il DPR n. 290 del 23 aprile 2001, ma non relativamente all’art. 38.
Il 16 dicembre 2003 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato[77] per la mancata attuazione della direttiva 2003/60/CE relativa ai livelli di residui di alcuni antiparassitari rispettivamente sui e nei cereali, sui e nei prodotti alimentari di origine animale nonché e su e in alcuni prodotti di origine vegetale, compresi gli ortofrutticoli. La direttiva avrebbe dovuto essere attuata entro il 20 giugno 2003, ad eccezione delle disposizioni concernenti il fentin idrossido, il fentin acetato e il clorfenapir che avrebbero dovuto essere attuate entro il 30 giugno 2004. La direttiva è inclusa nell’elenco, riportato nel disegno di legge comunitaria 2004, di direttive da attuare in via amministrativa.
Documenti all’esame delle istituzioni europee
Il 13 marzo 2003 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento (COM(2003)117) concernente i livelli massimi di residui di antiparassitari nei prodotti di origine vegetale e animale.
La proposta, che segue la procedura di codecisione, è stata esaminata il 20 aprile 2004 in prima lettura dal Parlamento europeo che ha approvato emendamenti.
II 19 giugno 2004 il Consiglio ha adottato la posizione comune sulla proposta che, probabilmente, sarà esaminata, in seconda lettura, dal Parlamento europeo nella sessione del 14 dicembre 2004.
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi di riordino e revisione della disciplina in materia di fertilizzanti, di cui alla legge 19 ottobre 1984, n. 748, in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) adeguamento e ammodernamento delle definizioni di «concime» e delle sue molteplici specificazioni, di «fabbricante» e di «immissione sul mercato», ai sensi dell'articolo 2 del regolamento (CE) n. 2003/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 2003;
b) utilizzo della forma delle indicazioni obbligatorie come stabilita dall'articolo 6 del citato regolamento (CE) n. 2003/2003 per i concimi immessi sul mercato con l'indicazione «concimi CE»;
c) individuazione delle misure ufficiali di controllo per valutare la conformità dei concimi, ai sensi dell'articolo 29, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 2003/2003;
d) revisione delle sanzioni da irrogare in base ai princìpi di effettività, proporzionalità e dissuasività, ai sensi dell'articolo 36 del regolamento (CE) n. 2003/2003.
2. Per le disposizioni adottate ai sensi del presente articolo si applica quanto previsto al comma 6 dell'articolo 1.
L’articolo 12, introdotto al Senato, conferisce una delega al Governo volta al riordino e alla revisione della legge 19 ottobre 1984, n. 748, recante “Nuove norme per la disciplina dei fertilizzanti”.
I principi e criteri direttivi sono fondamentalmente volti ad assicurare che il riordino normativo avvenga nel rispetto della nuova disciplina comunitaria della materia, recata dal Regolamento CE n. 2003/2003.
Con l’approvazione del reg. (CE) n. 2003/2003[78], entrato in vigore l’11 dicembre 2003, sono state in primo luogo ricondotte ad unitarietà norme che in precedenza erano disciplinate in una pluralità di direttive, peraltro più volte oggetto di modifiche, tutte volte ad avvicinare la legislazione degli Stati membri in tema di concimi. I provvedimenti, che sono stati conseguentemente abrogati, sono la direttiva 76/116/CEE di carattere generale sui concimi, la 77/535/CEE sui metodi di campionatura e analisi, la direttiva 80/876/CEE sui concimi semplici a base di nitrato d’ammonio ad elevato titolo d’azoto nonchè la direttiva 87/94/CEE, che per i medesimi concimi a base di azoto ha stabilito le procedure di controllo delle caratteristiche, dei limiti e dalla detonabilità.
La codifica e l’accorpamento delle menzionate direttive in un unico provvedimento, allo scopo di pervenire ad una maggiore chiarezza e semplificazione normativa, si è accompagnata anche alla scelta dello strumento regolamentare, in sostituzione della direttiva, allo scopo di rendere immediatamente applicabili disposizioni dal contenuto fortemente tecnico, quali sono le prescrizioni che debbono rispettare i fabbricanti di concimi.
Le disposizioni precedentemente in vigore elencavano i prodotti che avevano diritto di fregiarsi della dicitura “concime CE” senza tuttavia fornire la definizione delle espressioni maggiormente in uso. In proposito, il regolamento n. 2003 interviene, invece, con l’articolo 2, che in primo luogo attribuisce la definizione di concime alle sostanze la cui funzione principale è quella di fornire elementi nutritivi alle piante. Definite poi le diverse tipologie di concime, il medesimo articolo 2 identifica nella immissione sul mercato qualsiasi operazione di fornitura (sia onerosa che a titolo gratuito), immagazzinamento o importazione del prodotto, ed indica come fabbricante il produttore, importatore o confezionatore del prodotto.
Rilievo assumono poi gli artt. 6 (par. 1 e 2) in tema di indicazioni obbligatorie, 29 (par. 1) sull’attività di controllo e 36 sulle sanzioni, poiché in base al successivo articolo 37 le disposizioni nazionali adottate in recepimento dei menzionati articoli andranno comunicate dagli Stati membri, entro l’11 giugno 2005.
Più precisamente gli Stati dovranno comunicare quali siano le forme da essi prescelte fra quelle indicate all’art. 6, par. 1 in merito alla indicazione dei titoli di azoto, fosforo e potassio presenti nei concimi, nonché – ma in tale ipotesi trattasi di facoltà e non di obbligo – fra quelle di cui all’art. 6, par. 2 relative al titolo presente di calcio, magnesio, sodio e zolfo.
Dovranno altresì essere notificate le misure ufficiali di controllo dirette a verificare la conformità dei concimi alle disposizioni comunitarie, misure che l’art. 29, par. 1 lascia alla facoltà dei singoli Stati di rendere obbligatorie per i produttori stabiliti sul proprio territorio, e che potranno eventualmente essere finanziate con la imposizione di tasse.
Infine, all’obbligo della notifica sono anche assoggettate le disposizioni nazionali dirette a definire il sistema delle sanzioni volte ad assicurare il rispetto del regolamento comunitario, sanzioni che l’art. 36 impone debbano essere effettive, proporzionate, dissuasive.
Il conferimento della delega, per l’esercizio della quale è stabilito un termine di dodici mesi, viene accompagnato dalla specificazione dei seguenti principi e criteri direttivi:
§ intervenire sulle definizioni di concime, fabbricante e immissione sul mercato, in modo coerente con quanto previsto dall’articolo 2 del regolamento 2003/2003;
In merito alle definizioni attualmente vigenti va fatto riferimento all’articolo 2 della legge n. 748/1984 che distingue fra “fertilizzanti”, “concimi” ed “ammendanti e correttivi”.
§ utilizzare le indicazioni obbligatorie, ai sensi dell’articolo 6 del regolamento 2003/2003, per i concimi immessi sul mercato con l’indicazione “concimi CE”;
La dichiarazione del titolo dei vari elementi presenti nel prodotto è regolata dall’articolo 3 della legge 748/1984.
§ Individuare, in base all’art. 29 del regolamento 2003/2003, le misure ufficiali di controllo della conformità dei prodotti;
La legge n. 748/1984 individua con l’articolo 11 gli organi cui è attribuita una funzione di vigilanza, anche per la repressione delle frodi; mentre in tema di controlli il comma 3 dell’art.8 sancisce che tutti i concimi immessi in commercio possano essere sottoposti ad accertamenti diretti a verificarne la conformità attraverso un sistema a campionamento. La determinazione dei metodi ufficiali di analisi è invece demandata al Dicastero agricolo che li approva con proprio decreto. Da ultimo detti metodi di analisi sono stati aggiornati con il decreto 8 maggio 2003 dell’Ispettorato Centrale Repressione Frodi.
§ delineare un sistema sanzionatorio conforme al dettato dell’articolo 36 del regolamento 2003/2003, in base ai principi di effettività, proporzionalità e dissuasività;
Le sanzioni attualmente in vigore sono previste dall’articolo 12 della legge n. 748/1984, che definisce sanzioni esclusivamente di natura amministrativa, demandando al codice penale la previsione dei reati. Responsabili della conformità del prodotto alle disposizioni di legge è chiunque ponga in vendita o metta comunque in commercio il prodotto, con la sola eccezione dell’importatore che venda o distribuisca un prodotto in confezione originale del quale pertanto non sia in grado di accertare la mancanza di requisiti intrinseci.
Procedure di infrazione
Il 22 febbraio 2002 la Commissione ha deferito[79] l’Italia alla Corte di giustizia per non aver fornito alla Commissione stessa esaurienti informazioni in merito allo smaltimento dei fanghi di depurazione e per non aver adottato il sistema di registri previsto dalla direttiva 86/278/CEE. Tale direttiva, concernente la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura, prevede controlli di qualità sui fanghi di depurazione impiegati per evitare in special modo l’accumulo di metalli pesanti nel terreno.
Art. 13
(Disposizioni per l'attuazione della direttiva 2003/87/CE, che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra)
1. Il Governo è delegato ad adottare, con le modalità di cui all'articolo 1, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell'economia e delle finanze e delle attività produttive, un decreto legislativo di recepimento della direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 2003, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) considerare la sicurezza energetica nazionale e la salvaguardia della competitività del sistema industriale nazionale incentivando, nell'ambito del processo di liberalizzazione del mercato dell'energia elettrica, la diffusione di impianti e tecnologie finalizzati all'utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, secondo quanto previsto dalle direttive comunitarie in materia;
b) evitare effetti distorsivi sulla concorrenza tra le imprese;
c) assicurare la coerenza del piano nazionale di assegnazione delle quote di emissione, previsto all'articolo 9 della direttiva da recepire, con il piano di azione nazionale per la riduzione dei livelli di emissione dei gas serra e per l'aumento del loro assorbimento, mediante il riconoscimento e la valorizzazione dei livelli di efficienza già raggiunti dal sistema industriale nazionale, con particolare riferimento al settore elettrico, e tenendo conto sia del rapporto costo ed efficacia delle diverse opzioni tecnologiche per la riduzione delle emissioni per le attività contemplate nell'allegato I della direttiva, sia delle potenzialità di abbattimento dei costi di riduzione delle emissioni, attraverso l'impiego dei meccanismi di progetto del Protocollo di Kyoto, Clean Development Mechanism e Joint Implementation, secondo quanto previsto dall'articolo 30, paragrafo 3, della direttiva, sia del contenimento dei costi amministrativi per le imprese anche mediante l'utilizzo delle tecnologie informatiche;
d) conformare il piano nazionale di assegnazione delle quote di emissione, di cui alla lettera c), al piano di azione nazionale per la riduzione dei livelli di emissione di gas a effetto serra e per l'aumento del loro assorbimento, preventivamente revisionato, secondo le modalità stabilite dalla delibera del CIPE del 19 dicembre 2002, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 68 del 22 marzo 2003, allo scopo di individuare livelli massimi di emissione consentiti ai settori coinvolti nella direttiva nel periodo 2008-2012; tali livelli devono tenere conto sia degli obiettivi conseguibili, sulla base di previsioni realistiche di crescita del fabbisogno energetico, sia dell'efficienza già raggiunta dal sistema produttivo nazionale nel confronto con gli altri Stati membri dell'Unione europea;
e) valorizzare, attraverso opportune iniziative, gli strumenti di programmazione negoziata al fine di rendere efficaci dal punto di vista economico e ambientale le misure di attuazione della direttiva.
2. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministero delle attività produttive, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, individua, con proprio decreto, il formato e le modalità di comunicazione dei dati necessari ai fini dell'attuazione della direttiva 2003/87/CE, da parte dei gestori degli impianti in esercizio rientranti nelle categorie di attività elencate nell'allegato I della citata direttiva, nonché le modalità di informazione e di accesso del pubblico
3. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
L'articolo in esame delega il Governo ad adottare un decreto legislativo per il recepimento della direttiva 2003/87/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre 2003, che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità e che modifica la direttiva 96/61/CE del Consiglio (cd. direttiva IPPC).
Il decreto legislativo deve essere adottato su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro dell'ambiente e delle tutela del territorio, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell'economia e delle finanze e delle attività produttive.
La direttiva 2003/87/CE prevede l’istituzione di un mercato delle emissioni su scala europea: a partire dal 1° gennaio 2005, tutti gli impianti ad alto consumo energetico che solitamente generano le emissioni dei sei gas serra indicati nell’allegato II[80] potranno esercitare la loro attività solo se muniti di apposita autorizzazione, rilasciata dalle autorità competenti (art. 4). A tali impianti verrà poi assegnato (in gran parte gratuitamente[81]) un certo numero di quote (permessi) di emissione[82], ognuna delle quali darà diritto al rilascio di una tonnellata di biossido di carbonio equivalente. La direttiva prevede che tali assegnazioni avvengano, in ogni Stato membro, sulla base di un piano nazionale di assegnazione (art. 9). Per ulteriori approfondimenti circa il contenuto della direttiva, si veda la relativa scheda nel presente Dossier.
Il comma 1 dell’articolo in esame elenca i seguenti princìpi e criteri direttivi ai quali dovrà attenersi il Governo nell'esercizio della delega:
a) considerare la sicurezza energetica e la competitività del sistema industriale nazionale; nella relazione illustrativa del disegno di legge viene sottolineata, in relazione a tale criterio, la necessità di tener conto della priorità data nei piani energetici del Governo alla costruzione di nuova capacità elettrica per ridurre la dipendenza energetica dall'estero, nonché degli effetti della liberalizzazione dei mercati energetici. Nel corso dell’esame presso la XIV Commissione è stato approvato l’emendamento 9.1 con il quale il criterio di delega è stato ulteriormente specificato nel senso di incentivare “nell'ambito del processo di liberalizzazione del mercato dell'energia elettrica, la diffusione di impianti e tecnologie finalizzati all'utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, secondo quanto previsto dalle direttive comunitarie in materia”. Si ricorda in proposito che con il decreto legislativo n. 387 del 2003, attuativo della direttiva comunitaria n. 77/2001/CE, sono state introdotte disposizioni incentivanti per la produzione di energia da fonti rinnovabili (art. 5-8); l’art. 7 è specificamente riferito all’energia solare.
b) evitare effetti distorsivi sulla concorrenza tra le imprese; la medesima relazione richiama la necessità di verificare i possibili effetti derivanti dall'applicazione della direttiva sulla concorrenza, in considerazione della suscettibilità della disciplina introdotta di toccare una pluralità di settori;
La necessità di preservare l'integrità del mercato interno ed evitare distorsioni della concorrenza viene evidenziata anche nelle premesse della direttiva 2003/87 (VII considerato).
c) assicurare che il piano nazionale di assegnazione delle quote di emissione, previsto dall'art. 9 della direttiva, sia coerente con il piano nazionale per la riduzione dei livelli di emissione dei gas serra.
In proposito si ricorda che i Ministeri delle attività produttive e dell'ambiente stanno procedendo all’elaborazione del Piano nazionale di assegnazione (secondo quanto previsto dalla direttiva 2003/87/CE) che illustra i principi per l'applicazione della direttiva nel contesto energetico e industriale dell'Italia ed il metodo da utilizzare per l'assegnazione delle quote a livello di attività e di impianto[83]. La versione definitiva verrà notificata solo a seguito dell'avvenuto recepimento della direttiva previsto dall’articolo in esame.
Al fine di assicurare tale coerenza si richiama l'opportunità di:
- valorizzare i livelli di efficienza raggiunti dal sistema industriale nazionale e in particolare dal settore elettrico;
- tenere conto del rapporto costo ed efficacia delle diverse opzioni tecnologiche volte alla riduzione dei gas serra per le attività previste dall'allegato I della direttiva[84];
- tener conto dei possibili abbattimenti dei costi di riduzione delle emissioni attraverso l'impiego dei meccanismi flessibili previsti dal Protocollo di Kyoto.
- considerare il contenimento dei costi amministrativi per le imprese grazie all'utilizzo delle tecnologie informatiche.
§ conformare il piano nazionale di assegnazione delle quote di emissione per i settori industriali, previsto dall'art. 9 della direttiva in titolo, al piano di azione nazionale per la riduzione delle emissioni dei gas serra previsti dal protocollo di Kyoto, adottato con delibera del CIPE del 19 dicembre 2002. A tal proposito si chiede di individuare livelli massimi di emissione nel periodo 2008-2012 per i settori richiamati dalla direttiva, tenendo conto delle previsioni di crescita del fabbisogno energetico e dell'efficienza del sistema produttivo nazionale in confronto con gli altri Stati dell'Unione europea.
Si ricorda che la legge 1° giugno 2002, n. 120, “Ratifica ed esecuzione del Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, fatto a Kyoto l’11 dicembre 1997”, prevede che, al fine di individuare le politiche e le misure per la riduzione dei gas serra, sia sottoposto al CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) un piano di azione nazionale. La legge dispone inoltre la revisione delle linee guida per la riduzione delle emissioni di gas serra approvate con delibera CIPE n. 137 del 1998.
In attuazione della citata legge, con la delibera CIPE n. 123 del 19 dicembre 2002 è stato approvato il Piano Nazionale per la riduzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra, che, prendendo atto delle emissioni del 1990 e dello scenario tendenziale di crescita, al fine di consentire all'Italia di rispettare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra del 6,5% entro il 2008-2012, come prevede il Protocollo di Kyoto, stabilisce:
§ le quote di riduzione per i singoli settori industriali per il periodo 2008-2012;
§ il potenziale massimo di assorbimento di carbonio ottenuto mediante interventi di riforestazione e mediante interventi di gestione forestale e dei suoli agricoli, stimato in 10,2 Mt CO2 equivalente;
§ il ricorso illimitato ai meccanismi flessibili di JI e CDM anche per le imprese italiane.
Questo significa che le imprese, già nel periodo di prova 2005-2007, dovranno adeguarsi ai vincoli stabiliti dal Protocollo utilizzando le misure previste.
In particolare dovranno:
§ misurare l’esatta quantità di CO2 equivalente emessa in atmosfera per conoscere i propri livelli di emissione;
§ rispettare la quota di emissioni assegnata dal Ministero dell’Ambiente;
§ ricorrere a interventi di riduzione/controllo delle emissioni, anche utilizzando i meccanismi flessibili previsti dal Protocollo (CDM, JI e ET).
§ valorizzare, nell'attuazione della direttiva, gli strumenti della programmazione negoziata, sia per finalità ambientali, sia economiche, attraverso opportune iniziative.
Per quanto concerne la programmazione negoziata, questa riguarda, come è noto, diverse forme di intervento per la promozione delle attività produttive nelle aree depresse. La programmazione negoziata istituita nel 1995 (D.L. n. 32 del 1995), è stata poi disciplinata dalla legge n. 662/1996 e dalle relative deliberazioni del CIPE. Accanto ai contratti di programma, operanti sin dal 1986, sono state definite altre tipologie di accordi per la programmazione di interventi che coinvolgono una molteplicità di soggetti pubblici e privati ed utilizzano risorse finanziarie a carico delle amministrazioni statali e degli enti territoriali. Si tratta dei patti territoriali, dei contratti di area, delle intese istituzionali di programma e degli accordi di programma quadro[85].
Il comma 2 demanda ad apposito decreto interministeriale (adottato di concerto dai Ministri dell'ambiente e delle attività produttive), da emanarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, l'individuazione delle modalità di comunicazione nonché delle modalità di informazione e accesso al pubblico (quest’ultimo inciso è stato inserito a seguito dell’approvazione dell’emendamento 9.2 da parte della XIV Commissione della Camera) dei dati necessari per l'attuazione della direttiva da parte dei gestori degli impianti in esercizio, che rientrano nelle categorie di attività di cui all'allegato I della direttiva 2003/87/CE.
Si ricorda che l'articolo 3 della direttiva, alla lettera f), definisce "gestore", la persona che gestisce o controlla un impianto o, se previsto dalla normativa nazionale, alla quale è stato delegato un potere economico determinante per quanto riguarda l'esercizio tecnico del medesimo.
La relazione che accompagna il disegno di legge in esame precisa che si tratta di dati necessari per calcolare le quote di emissione di gas serra da attribuire nel piano di assegnazione previsto dall'art. 9 della direttiva.
Appare opportuno segnalare che l'art. 9 della direttiva dispone la notifica del piano nazionale di assegnazione da parte degli Stati membri entro il 31 marzo 2004. L'utilizzazione del tempo previsto dall'articolo in esame per l'emanazione del decreto (60 giorni dall'entrata in vigore della legge) prefigurerebbe, sin da ora, il mancato rispetto del termine previsto dalla direttiva, peraltro già scaduto da alcuni mesi.
Il comma 3 stabilisce, infine, che dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Il Protocollo firmato a Kyoto nel 1997 impegna i Paesi industrializzati ed i Paesi con economia in transizione a ridurre le emissioni di gas in grado di alterare l’effetto serra del pianeta entro il 2012.
Con il termine “Protocollo di Kyoto” si intende l’accordo internazionale sottoscritto il 7 dicembre 1997 da oltre 160 Paesi partecipanti alla terza sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Oggetto del Protocollo è uno degli aspetti del cambiamento climatico: la riduzione, attraverso un’azione concordata a livello internazionale, delle emissioni di gas serra.
I paesi industrializzati (elencati nell’Annex I del Protocollo) si impegnano a ridurre le proprie emissioni entro il 2012. Il protocollo di Kyoto, infatti, non prevede vincoli alle emissioni per tutti i Paesi firmatari (oltre 160), ma solo per quelli compresi nell’elenco riportato nell’Annex I: una lista di 39 Paesi che include i Paesi OCSE e quelli con economie in transizione verso il mercato. Tale scelta è stata operata in attuazione del principio di “responsabilità comune ma differenziata” secondo il quale, nel controllo delle emissioni, i paesi industrializzati si fanno carico di maggiori responsabilità, in considerazione dei bisogni di sviluppo economico dei PVS.
Obiettivo del Protocollo è la riduzione delle emissioni globali di sei gas ritenuti responsabili di una delle cause del riscaldamento del pianeta: anidride carbonica (CO2), metano (CH4), ossido di azoto (N2O), esafluoruro di zolfo (SF6), idrofluorocarburi (HFCs) e perfluorocarburi (PFCs).
Gli impegni generali previsti dal Protocollo sono:
- il miglioramento dell’efficienza energetica;
- la correzione delle imperfezioni del mercato (attraverso incentivi fiscali e sussidi);
- la promozione dell’agricoltura sostenibile;
- la riduzione delle emissioni nel settore dei trasporti;
- l’informazione a tutte le altre Parti sulle azioni intraprese (cd. “comunicazioni nazionali”).
La misura complessiva di riduzione deve essere del 5,2% rispetto ai livelli di emissione del 1990. L’onere, tuttavia, è stato ripartito fra i Paesi dell’Annex I in maniera non uniforme, in considerazione del grado di sviluppo industriale, del reddito e dei livelli di efficienza energetica.
Per l'Italia, che ha ratificato il Protocollo di Kyoto con la legge 1° giugno 2002, n. 120, l'obiettivo di riduzione è del 6,5%.
Ai sensi dell’art. 24 del Protocollo, le sue disposizioni entreranno in vigore 90 giorni dopo la ratifica da parte di almeno 55 paesi firmatari della Convenzione, fra i quali dovranno però essere compresi un numero di paesi dell’Annex I a cui sia riferibile almeno il 55% delle emissioni calcolate al 1990[86].
Per garantire un’attuazione flessibile del Protocollo e una riduzione di costi gravanti complessivamente sui sistemi economici dei paesi soggetti al vincolo sono stati introdotti i seguenti meccanismi flessibili:
§ L’emission trading (commercio dei diritti di emissione)[87], in base al quale i paesi soggetti al vincolo che riescano ad ottenere un surplus nella riduzione delle emissioni possono “vendere” tale surplus ad altri paesi soggetti a vincolo che, al contrario, non riescano a raggiungere gli obiettivi assegnati;
§ La joint implementation(attuazione congiunta degli obblighi individuali)[88], secondo cui gruppi di Paesi soggetti a vincolo, fra quelli indicati dall’Annex I, possono collaborare per raggiungere gli obiettivi fissati accordandosi su una diversa distribuzione degli obblighi rispetto a quanto sancito dal Protocollo, purchè venga rispettato l'obbligo complessivo. A tal fine essi possono trasferire a, o acquistare da, ogni altro Paese “emission reduction units” (ERUs) realizzate attraverso specifici progetti di riduzione delle emissioni;
§ I clean development mechanisms(meccanismi per lo sviluppo pulito)[89], il cui fine è quello di fornire assistenza alle Parti non incluse nell’Annex I negli sforzi per la riduzione delle emissioni. I privati o i governi dei paesi dell’Annex I che forniscono tale assistenza possono ottenere, in cambio dei risultati raggiunti nei paesi in via di sviluppo grazie ai progetti, “certified emission reductions” (CERs) il cui ammontare viene calcolato ai fini del raggiungimento del target.
Le diverse forme di intervento per la promozione delle attività produttive nelle aree depresse, comprese nel termine di programmazione negoziata (prima definita “contrattazione programmata”), istituita nel 1995 (D.L. n. 32/95), sono attualmente disciplinate dalla legge n. 662/1996 e dalle relative deliberazioni del CIPE.
Accanto ai già collaudati contratti di programma, operanti sin dal 1986, sono state definite nuove tipologie di accordi per la programmazione di interventi che coinvolgono una molteplicità di soggetti pubblici e privati ed utilizzano risorse finanziarie a carico delle amministrazioni statali e degli enti territoriali.
Si tratta dei patti territoriali, dei contratti di area, delle intese istituzionali di programma e degli accordi di programma quadro. Peraltro le intese e gli accordi, in quanto strumenti di carattere istituzionale, poiché i soggetti sottoscrittori sono lo Stato e le singole regioni, non vengono ricondotti all’area degli incentivi alle imprese. Conseguentemente, anche nel bilancio dello Stato le risorse destinate alle intese istituzionali di programma e ai relativi accordi quadro sono allocate su UPB e capitoli distinti da quelli riferiti ai patti territoriali e ai contratti.
Il patto territoriale è l'accordo tra più soggetti (enti locali, soggetti pubblici operanti a livello locale, rappresentanze locali delle categorie imprenditoriali, soggetti privati) per l'attuazione di un programma di interventi nei settori dell'industria, agroindustria, agricoltura, pesca e acquacoltura, produzione di energia termica o elettrica da biomasse, servizi (compresi la movimentazione ed il magazzinaggio dei terminals e dei containers, nonché il confezionamento, l'imballaggio, il reimballaggio, la pesatura e la campionatura delle merci, alimentari e non), turismo ed in quello dell'apparato infrastrutturale, tra loro integrati.
Il contratto di area è costituito da un’intesa tra le parti sociali (sindacati e associazioni imprenditoriali) al fine di definire particolari regole circa la flessibilità del lavoro. Oltre all’intesa tra le parti sociali, nel contratto d'area sono compresi un accordo tra le amministrazioni e gli enti pubblici interessati per lo snellimento delle procedure burocratiche ed un eventuale protocollo di legalità, firmato con la prefettura locale, allo scopo di conseguire un rafforzamento delle condizioni di sicurezza del territorio e garantire sicurezza alle attività imprenditoriali da ingerenze esterne. A differenza di quanto previsto per gli altri strumenti negoziali, la legge n. 662/1996 ha limitato il campo di applicazione dei contratti d’area a territori specificamente indicati nel DPCM 15 aprile 1998.
Per contratto di programma si intende il contratto stipulato tra l'amministrazione statale competente e grandi imprese, consorzi di medie e piccole imprese e rappresentanti di distretti industriali per la realizzazione di interventi oggetto di programmazione negoziata, relativi allo sviluppo delle attività produttive.
Procedure di infrazione
La Commissione europea ha inviato all’Italia, il 26 gennaio 2004, una lettera di messa in mora[90] per mancata attuazione della direttiva 2003/87/CE relativa al sistema per lo scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra, il cui termine per il recepimentoera il 31 dicembre 2003. Il 15 luglio 2004, la Commissione ha preannunciato l’intenzione di emettere il parere motivato. Contestualmente la Commissione ha preannunciato l’invio di una lettera di messa in mora all’Italia per la mancata presentazione, entro il 31 marzo 2004, del piano nazionale di assegnazione – previsto dalla direttiva 2003/87/CE - alle industrie delle quote di emissione di gas a effetto serra.
Documenti all’esame delle Istituzioni europee
Emissioni dei gas a effetto serra
La Commissione ha presentato, il 23 luglio 2003, una proposta di direttiva recante modifica della direttiva che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità (COM(2003)403), riguardo ai meccanismi basati sul protocollo di Kyoto.
La proposta prevede due meccanismi flessibili (l’attuazione congiunta - Joint Implementation e il meccanismo per lo sviluppo pulito - Clean Develompent Mechanism) previsti dal protocollo di Kyoto che la Commissione intende adottare a completamento del sistema per lo scambio di quote di emissioni istituito dalla direttiva 2003/87/CE. In particolare, la Commissione propone di riconoscere l’equivalenza tra i crediti derivanti dall’attuazione congiunta o dal meccanismo per lo sviluppo pulito e quelli delle quote di emissioni all’interno del sistema comunitario. Questo collegamento tra i meccanismi basati sui progetti e il sistema comunitario di scambio di quote di emissioni, secondo la Commissione, servirà ad allargare il ventaglio di alternative per l’adempimento degli obblighi previsti da detto sistema, favorendo il trasferimento di tecnologie verso paesi industrializzati e verso paesi in via di sviluppo, e riducendo per le imprese i costi degli adempimenti.
La proposta, già approvata dal Parlamento europeo in prima lettura nell’ambito della procedura di codecisione, è stata definitivamente adottata dal Consiglio il 13 settembre 2004.
La Commissione ha presentato, il 7 gennaio 2004, una comunicazione sugli orientamenti per l’attuazione da parte degli Stati membri dei criteri indicati nell’allegato III della direttiva 2003/87/CE (COM(2003)830), che presiedono all’elaborazione dei piani nazionali di allocazione dei contingenti di emissione dei gas a effetto serra.
In particolare, tali orientamenti sono intesi a:
- aiutare gli Stati membri a definire il loro piano di allocazione, precisando la portata dell’interpretazione dei criteri enunciati nell’allegato III che la Commissione ritiene accettabile;
- aiutare la Commissione a valutare i piani nazionali di allocazione notificati, conformemente all’articolo 9, paragrafo 3, della direttiva;
- descrivere le condizioni nelle quali sussiste la condizione di “forza maggiore”.
Il 14 settembre 2004 la Commissione ha avviato la consultazione on line “Azioni in materia di cambiamento climatico dopo il 2012”, che si concluderà il 31 ottobre 2004. I contributi pervenuti verranno utilizzati, nelle intenzioni della Commissione, per predisporre la relazione sul cambiamento climatico destinata al Consiglio di primavera 2005 che tratterà, tra l’altro, la futura politica in materia di cambiamento climatico a livello mondiale e dell’Unione europea.
Promozione delle energie rinnovabili
Il 20 gennaio 2004 la Commissione ha lanciato la piattaforma tecnologica europea per l’idrogeno e le celle a combustibile al fine di favorire la transizione dell’UE da un'economia basata sui combustibili fossili a un'economia basata sull'idrogeno.
Secondo la Commissione, le tecnologie per l’idrogeno e le celle a combustibile dovrebbero costituire parte integrante dei futuri sistemi energetici sostenibili al fine di contribuire al miglioramento della sicurezza energetica e della qualità dell’aria in Europa e alla lotta contro i cambiamenti climatici.
Nell’ambito di questa piattaforma, il 18 marzo 2004, la Commissione ha promosso l’iniziativa “quick start” nel settore dell’idrogeno e delle celle a combustibile, che beneficerà di investimenti pari a 300 milioni di euro, di cui 150 provenienti dal bilancio comunitario. Questi stanziamenti andranno ad aggiungersi ai 100 milioni di euro già destinati dall’UE ai progetti di ricerca in questo settore nell’ambito del sesto programma di ricerca e sviluppo tecnologico[91] e ad altri 100 milioni di euro provenienti dal settore privato.
Tale iniziativa costituisce la fase iniziale di un’iniziativa più vasta nel settore dell’economia dell’idrogeno, individuata nel programma “quick start”[92], che prevede a tal riguardo due progetti specifici: il primo (Hypogen) riguarda la creazione di un impianto di prova e dimostrazione completo in grado di produrre idrogeno ed elettricità su scala industriale, mentre il secondo (Hycom) sarà destinato ad orientare la ricerca e lo sviluppo tecnologico verso uno studio di fattibilità, dal punto di vista economico e della sicurezza, della gestione di comunità che utilizzano l'idrogeno ("villaggio idrogeno"). Questi progetti, che dovranno essere avviati nel 2004 e completati nel 2015, avranno una dotazione finanziaria pari rispettivamente a 1,3 e 1,5 miliardi di euro.
Il 26 maggio 2004 la Commissione ha adottato una comunicazione sulla quota dell’energia rinnovabile nell’UE (COM(2004)366) che ha costituito il suo contributo alla Conferenza di Bonn sulle energie rinnovabili (1-4 giugno 2004).
La comunicazione persegue tre obiettivi:
· valutare, ai sensi dell’art. 3 della direttiva 2001/77/CE sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili, i progressi compiuti dagli Stati membri nel conseguimento dell’obiettivo del 22% entro il 2010, che è stato fissato a livello nazionale relativamente al consumo di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili. A tale riguardo la Commissione ritiene che i risultati raggiunti siano globalmente insoddisfacenti ed invita gli Stati membri ad adoperarsi la fine di garantire il raggiungimento degli obiettivi prefissati;
· verificare la possibilità di conseguire l’obiettivo volto a portare, entro il 2010, al 12% la quota delle energie rinnovabili nel consumo globale di energia dell’UE. Secondo la Commissione, al fine di conseguire questo obiettivo, è necessario adottare misure non solo nel settore dell’elettricità, ma anche in quello dei trasporti, del riscaldamento e dell’efficienza energetica. La Commissione propone di effettuare una valutazione dell’obiettivo entro il 2005 al fine di fissare nel 2007 gli obiettivi per il periodo successivo al 2010;
· proporre una serie di misure concrete da attuare a livello nazionale e comunitario nel quadro della Conferenza mondiale sulle energie rinnovabili (Bonn 1-4 giugno 2004) al fine di garantire il perseguimento degli obiettivi fissati per il 2010. La Commissione sottolinea, in particolare, la necessità di un contributo da parte del settore privato, dell’integrazione delle azioni nel settore delle energie rinnovabili nell’ambito dei fondi strutturali e di coesione e nei programmi di cooperazione UE a livello internazionale nonché di ulteriori interventi nel settore della ricerca e dello sviluppo tecnologico.
La comunicazione è stata trasmessa al Parlamento europeo e al Consiglio.
Art. 14
(Delega per l’attuazione della direttiva 2003/54, relativa al mercato interno dell’energia elettrica)
1. Al fine di completare il processo di liberalizzazione del settore elettrico, il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, con le modalità di cui all'articolo 1, uno o più decreti legislativi, per dare attuazione alla direttiva 2003/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2003, relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica e che abroga la direttiva 96/92/CE, e ridefinire conseguentemente tutti gli aspetti connessi della normativa sul sistema elettrico nazionale, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) prevedere che l'apertura del mercato anche ai clienti civili si attui secondo i tempi previsti dalla direttiva 2003/54/CE ed in condizioni di trasparenza e di reciprocità, promuovendo idonee misure per la riduzione dei costi dell'energia e per la fornitura del servizio di ultima istanza;
b) assicurare ai clienti un'informazione chiara sulle condizioni della fornitura, l'accesso non discriminatorio alle reti di distribuzione e al servizio di misura prevedendone la separazione almeno amministrativa dalle attività di produzione e di vendita dell'energia elettrica;
c) promuovere la realizzazione di un mercato concorrenziale dell'offerta di energia elettrica che tenga conto delle esigenze di diversificazione delle fonti e delle aree di approvvigionamento e della sostenibilità sotto il profilo ambientale, con la chiara identificazione degli obblighi di servizio pubblico imposti nell'interesse economico generale ed in maniera omogenea, efficiente e non discriminatoria alle imprese che operano nel settore, evitando effetti distorsivi dovuti a ritardi nello sviluppo delle reti dell'energia elettrica e del gas naturale;
d) definire indirizzi e priorità che devono essere seguiti dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas e dal Gestore della rete di trasmissione nazionale ai fini della gestione degli scambi e dello sviluppo delle interconnessioni con altri Paesi; garantire la regolazione unitaria delle condizioni tecnico-economiche di accesso alle reti di trasmissione e distribuzione, secondo criteri di efficienza, qualità del servizio e non discriminazione;
e) sorvegliare il funzionamento della borsa dell'energia elettrica e della contrattazione bilaterale mediante efficaci sistemi di controllo nella formazione dei prezzi anche definendo una strategia per l'evoluzione del sistema di transazioni e delle strutture di mercato, ivi inclusi i mercati della riserva di potenza, dei derivati e di altri certificati;
f) sviluppare l'impiego delle nuove fonti rinnovabili di energia e della cogenerazione attraverso strumenti di mercato, prevedendo il riordino degli interventi esistenti con misure anche differenziate per tipologie di impianto e introducendo meccanismi di incentivazione basati su gare per la promozione delle soluzioni tecnologiche più avanzate e ancora lontane dalla competitività commerciale, e ferma restando, alla scadenza delle convenzioni in essere, la cessazione, senza possibilità di proroghe, di ogni incentivazione per gli impianti funzionanti con fonti assimilate alle rinnovabili;
g) definire la durata delle concessioni per le grandi derivazioni d'acqua a scopo idroelettrico, in relazione all'eliminazione di clausole di preferenza nel rinnovo delle concessioni, anche allo scopo di porre le imprese nazionali in situazioni vicine alle medie europee, e alla realizzazione da parte delle stesse imprese di adeguati interventi di ammodernamento degli impianti;
h) prevedere che il Ministero delle attività produttive, in materia di sicurezza degli approvvigionamenti, organizzi e progetti strumenti operativi per migliorare la sicurezza del sistema elettrico nazionale e l'economicità delle forniture, salvaguardando la competitività del sistema produttivo nazionale nell'ambito del contesto europeo;
i) promuovere lo sviluppo e la diffusione degli impianti di produzione di energia elettrica di potenza inferiore a 1 MW attraverso la semplificazione e la riduzione degli adempimenti previsti per la loro realizzazione, ivi compresa le procedure di valutazione di impatto ambientale;
l) promuovere la penetrazione delle imprese nazionali sui mercati esteri dell'energia anche agevolando la definizione di accordi tra imprese italiane ed estere e di iniziative di collaborazione e di partecipazione in programmi europei per lo sviluppo di nuove tecnologie e sistemi per la produzione dell'energia elettrica, ivi incluse le tecnologie nucleari, nonché lo svolgimento di attività di realizzazione e di esercizio di impianti, ivi compresi gli impianti elettronucleari, localizzati all'estero.
2. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
L’articolo 14, al fine di completare il processo di liberalizzazione del settore elettrico, delega il Governo ad emanare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi, per dare attuazione alla direttiva 2003/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2003, relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica e che abroga la direttiva 96/92/CE.
Per le modalità di adozione dei decreti legislativi, l’articolo rinvia all’articolo 1 del provvedimento in esame.
L’articolo in oggetto, al fine di dare attuazione alla citata direttiva e di ridefinire conseguentemente tutti gli aspetti connessi della normativa sul sistema elettrico nazionale, dispone che i relativi decreti legislativi debbano essere adottati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) prevedere che l'apertura del mercato anche ai clienti civili si attui secondo i tempi previsti dalla direttiva 2003/54/CE ed in condizioni di trasparenza e di reciprocità, promuovendo idonee misure per la riduzione dei costi dell'energia e per la fornitura del servizio di ultima istanza;
Si ricorda, preliminarmente, come fondamentali disposizioni relative all’apertura del mercato elettrico siano ora contenute nella legge n. 239 del 23 agosto 2004, recante i riordino del settore energetico, recentemente approvata dal Parlamento. In particolare, l’articolo 1, comma 30, della citata legge, definisce cliente idoneo: a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge, ogni cliente finale, singolo o associato, nonché le amministrazioni pubbliche, il cui consumo, destinato all’esercizio di attività di impresa in forma individuale o societaria, è risultato nell’anno precedente uguale o superiore a 0,05 GWh; a decorrere dal 1° luglio 2004 ogni cliente finale non domestico; a decorrere dal 1° luglio 2007, ogni cliente finale. Per quanto attiene alla disciplina comunitaria si ricorda, inoltre, come la direttiva 2003/54/CE preveda che tutti i clienti civili usufruiscano del servizio universale, cioè del diritto alla fornitura di elettricità di una qualità specifica a prezzi ragionevoli (art. 3, par. 3, comma 3). La garanzia del servizio universale può essere estesa anche alle piccole imprese e per garantire la fornitura del servizio universale gli Stati possono designare un fornitore di ultima istanza. In base alla direttiva gli Stati membri impongono, inoltre, alle società di distribuzione l’obbligo di collegare i clienti alla rete alle condizioni e alle tariffe stabilite dall’autorità di regolamentazione
Per ogni approfondimento della disciplina in materia introdotta dalla richiamata legge di riordino si rinvia al “Dossier Provvedimento” n. 241/4 (II edizione), predisposto dal Servizio Studi in occasione dell’esame del provvedimento.
b) assicurare ai clienti un'informazione chiara sulle condizioni della fornitura, l'accesso non discriminatorio alle reti di distribuzione e al servizio di misura, prevedendone la separazione almeno amministrativa dalle attività di produzione e di vendita dell'energia elettrica;
Per quanto concerne l’organizzazione della rete elettrica, si ricorda come il Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 maggio 2004 - adottato ai sensi dell’art.1 ter, c.1, del decreto legge n.239 - abbia definito i criteri per l’unificazione della proprietà e della gestione della rete elettrica nazionale di trasmissione. In esito a tale decreto sono state avviate le procedure per la privatizzazione del soggetto risultante dalla unificazione della proprietà e della gestione della rete elettrica di trasmissione, in seguito alle quali è stata svolta la quotazione delle azioni mediante offerta pubblica di vendita della società Terna spa, che detiene la proprietà di circa il 94 per cento della rete di trasmissione nazionale.In merito, si ricorda che la direttiva 2003/54/CE per garantire che l’accesso alla rete sia efficiente e non discriminatorio, introduce l’importante novità dell’unbundling (art. 15), che consiste nella separazione giuridica, organizzativa e decisionale del gestore del sistema di trasmissione (e, rispettivamente, di distribuzione) dalle attività non correlate alla trasmissione (o di distribuzione) di energia elettrica, con l’indicazione di criteri minimi per il rispetto di tale disposizione. È prevista, inoltre, la possibilità di deroga alle suddette disposizioni, per i gestori dei sistemi di distribuzione, sino al 1/7/2007, nonché l’esenzione per i gestori dei sistemi di distribuzione che servono meno di 100.000 clienti o piccoli sistemi isolati. Si rammenta, infine, che in base all’articolo 1, comma 34, della citata legge di riordino n.239/04, le aziende operanti nei settori dell'energia elettrica (e del gas naturale) che hanno in concessione o in affidamento la gestione di servizi pubblici locali ovvero la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni infrastrutturali, nel territorio cui la concessione o l'affidamento si riferiscono e per la loro durata, non possono esercitare, in proprio o con società collegate o partecipate, alcuna attività in regime di concorrenza, ad eccezione delle attività di vendita di energia elettrica e di gas e di illuminazione pubblica, nel settore dei servizi postcontatore, nei confronti degli stessi utenti del servizio pubblico e degli impianti.
c) promuovere la realizzazione di un mercato concorrenziale dell'offerta di energia elettrica che tenga conto delle esigenze di diversificazione delle fonti e delle aree di approvvigionamento e della sostenibilità sotto il profilo ambientale, con la chiara identificazione degli obblighi di servizio pubblico imposti nell'interesse economico generale ed in maniera omogenea, efficiente e non discriminatoria alle imprese che operano nel settore, evitando effetti distorsivi dovuti a ritardi nello sviluppo delle reti dell'energia elettrica e del gas naturale;
Si ricorda, al riguardo, che l’articolo 1, comma 2, della citata legge n.239/04 contempla, tra le attività espressamente definite di interesse pubblico e quindi sottoposte ad obblighi di servizio pubblico più penetranti, quelle del trasporto e dispacciamento del gas naturale a rete e di gestione di infrastrutture di approvvigionamento di energia connesse alle attività di trasporto e dispacciamento di energia a rete. In proposito, sia la direttiva 2003/54/CE, sia la direttiva 2003/55/CE, concernente il mercato interno del gas, confermano gli obblighi di servizio pubblico che possono essere imposti dagli Stati membri alle imprese che operano nel settore dell’energia (art. 3, par. 2), prevedendo che tali obblighi siano chiaramente definiti, trasparenti, non discriminatori e verificabili e garantiscano alle imprese comunitarie che operano nel settore dell’energia elettrica parità di accesso ai consumatori nazionali. Sono previsti inoltre due nuovi criteri per l’imposizione degli obblighi di servizio pubblico riguardanti l’efficienza nazionale energetica e la protezione del clima.
d) definire indirizzi e priorità che devono essere seguiti dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas e dal Gestore della rete di trasmissione nazionale ai fini della gestione degli scambi e dello sviluppo delle interconnessioni con altri paesi; garantire la regolazione unitaria delle condizioni tecnico-economiche di accesso alle reti di trasmissione e distribuzione, secondo criteri di efficienza, qualità del servizio e non discriminazione;
Quanto ai rapporti con l’Autorità di settore, si ricorda che il comma 11 della legge n.239/04 prevede espressamente che il Governo indichi all'Autorità per l'energia elettrica e il gas, nell'ambito del documento di programmazione economico-finanziaria, il quadro di esigenze di sviluppo dei servizi di pubblica utilità dei settori dell'energia elettrica e del gas che corrispondono agli interessi generali del paese. Nelle modalità di definizione degli indirizzi di politica generale del Governo per lo svolgimento delle funzioni riconosciute all’Autorità, si prevede inoltre il parere delle competenti Commissioni parlamentari.
e) sorvegliare il funzionamento della borsa dell'energia elettrica e della contrattazione bilaterale mediante efficaci sistemi di controllo nella formazione dei prezzi anche definendo una strategia per l'evoluzione del sistema dì transazioni e delle strutture di mercato, ivi inclusi i mercati della riserva di potenza, dei derivati e di altri certificati;
f) sviluppare l'impiego delle nuovi fonti rinnovabili di energia e della cogenerazione attraverso strumenti dì mercato, prevedendo il riordino degli interventi esistenti con misure anche differenziate per tipologie di impianto e introducendo meccanismi di incentivazione basati su gare per la promozione delle soluzioni tecnologiche più avanzate e ancora lontane dalla competitività commerciale, e ferma restando, alla scadenza delle convenzioni in essere, la cessazione, senza possibilità di proroghe, di ogni incentivazione per gli impianti funzionanti con fonti assimilate alle rinnovabili;
Si ricorda come in materia di fonti rinnovabili siano di recente intervenuti: il decreto legislativo n. 387 del 29 dicembre 2003, con il quale si è provveduto al recepimento della direttiva 2001/77/CE concernente la promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili; l’articolo 1, commi 71-76, della citata legge n.239/04. Segnatamente, il comma 71 ha esteso il nuovo strumento di incentivazione della produzione di energia elettrica, basato sui c.d.“Certificati Verdi”, all’energia elettrica prodotta mediante utilizzo di idrogeno e quella prodotta da impianti statici con l’utilizzo dell’idrogeno ovvero con celle a combustibile, nonché all'energia prodotta da impianti di cogenerazione abbinati al teleriscaldamento urbano, limitatamente alla quota di energia termica effettivamente utilizzata per il teleriscaldamento. Quanto ai certificati verdi, essi costituiscono il nuovo strumento di incentivazione dell’elettricità prodotta da fonti rinnovabili definito dall’art.11 del decreto legislativo n. 79 del 16 marzo 1999, di recepimento della direttiva 96/92/CE sul mercato interno dell’energia elettrica, e perfezionato con i successivi decreti ministeriali 11 novembre 1999 e 18 marzo 2002, con il quale è stato previsto il superamento del vecchio criterio di incentivazione tariffaria noto come Cip6. Si ricorda che la Direttiva 2004/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 febbraio 2004, sulla promozione della cogenerazione cita, nei considerando introduttivi, le osservazioni avanzate nel Libro verde, circa l’opportunità di perseguire l’obiettivo della sicurezza dell’approvvigionamento energetico attraverso una pluralità di iniziative dirette, fra l'altro, alla diversificazione delle fonti e delle tecnologie. In tal senso, l'uso crescente della cogenerazione orientato verso il risparmio di energia primaria, viene considerato un elemento importante del pacchetto di misure necessarie per rispettare il Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni unite sul cambiamento climatico.
Per ogni approfondimento inerente la materia delle fonti di energia rinnovabili si rinvia al Dossier ”Documentazione e ricerche” n.94 del 27 maggio 2004, predisposto dal Servizio studi in occasione della partecipazione, da parte di una delegazione parlamentare italiana, alla Conferenza internazionale sulle energie rinnovabili, tenutasi a Bonn dal 1al 4 giugno 2004.
g) definire la durata delle concessioni per le grandi derivazioni d'acqua a scopo idroelettrico, in relazione all'eliminazione di clausole di preferenza nel rinnovo delle concessioni, anche allo scopo di porre le imprese nazionali in situazioni vicine alle medie europee, e alla realizzazione da parte delle stesse imprese di adeguati interventi di ammodernamento degli impianti;
In ordine alle derivazioni ad uso idroelettrico, si rammenta come l’articolo 1, comma 72, della citata legge 239/04, abbia esteso alle piccole derivazioni ad uso idroelettrico, appartenenti a soggetti diversi dall’ENEL, la proroga di ulteriori trenta anni, oltre al termine di trenta anni già fissato dalla legge, che viene già applicata alle piccole derivazioni ad uso idroelettrico di pertinenza dell'ENEL; la proroga in oggetto è accordata previa presentazione della relativa domanda entro il 31 dicembre 2005. Si ricorda inoltre che tutte le concessioni di derivazione sono temporanee. La durata delle concessioni, non può eccedere i trenta anni, ovvero quaranta per uso irriguo, ai sensi dell’articolo 21, comma 1, del Regio Decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, come modificato dal decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152 recante “Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici”. La proroga di ulteriori trenta anni per le piccole derivazioni si applica ai sensi dell’articolo 23, comma 8, terzo periodo, dello stesso decreto legislativo n. 152 del 1999. Il comma in esame estende quest’ultima previsione normativa alle piccole derivazioni che non sono di pertinenza dell’ENEL.
h) prevedere che il Ministero delle attività produttive, in materia di sicurezza degli approvvigionamenti, organizzi e progetti strumenti operativi per migliorare la sicurezza del sistema elettrico nazionale e l'economicità delle forniture, salvaguardando la competitività del sistema produttivo nazionale nell'ambito del contesto europeo;
i) promuovere lo sviluppo e la diffusione degli impianti di produzione di energia elettrica di potenza inferiore a 1 MW attraverso la semplificazione e la riduzione degli adempimenti previsti per la loro realizzazione, ivi comprese le procedure di VIA;
In ordine al suddetto criterio direttivo, va tenuto presente che il comma 85 dell’articolo unico della citata legge 239/04, definisce di microgenerazione un impianto per la produzione di energia elettrica, anche in assetto cogenerativo, con capacità di generazione non superiore a 1 MW. Il successivo comma 86 prevede poi l’assoggettamento a norme autorizzative semplificate l’installazione di impianti di microgenerazione, prevedendo, in particolare, per gli impianti di generazione termoelettrici, gli stessi oneri tecnici ed autorizzativi di un impianto di generazione di calore con pari potenzialità termica. In proposito si segnala altresì come nell’originaria formulazione delle disposizioni richiamate, come approvate nel testo della Camera durante l’esame in prima lettura del provvedimento di riordino, si prevedeva espressamente l'esclusione delle procedure di VIA "regionale" per la costruzione di alcuni impianti energetici di impatto ambientale ridotto. Si trattava, in particolare, dei casi in cui la potenza prodotta fosse inferiore a 1 MW per impianti industriali non termici per la produzione di energia, vapore e acqua calda e degli impianti industriali per la produzione di energia mediane lo sfruttamento del vento.
l) promuovere la penetrazione delle imprese nazionali sui mercati esteri dell'energia, anche agevolando la definizione di accordi tra imprese italiane ed estere nonchè di iniziative di collaborazione e di partecipazione in programmi europei per lo sviluppo di nuove tecnologie e sistemi per la produzione dell'energia elettrica, ivi incluse le tecnologie nucleari, nonché lo svolgimento di attività di realizzazione e di esercizio di impianti, ivi compresi gli impianti elettronucleari, localizzati all'estero.
In ordine a tale criterio direttivo, va ricordato come una proposta volta a consentire la possibilità, per i produttori di energia, di svolgere all’estero attività di realizzazione ed esercizio di impianti elettronucleari, al fine di importarne l’energia prodotta, fosse già stata approvata dalla Camera dei deputati durante l’esame in prima lettura della più volte richiamata legge di riordino del settore energetico. La disposizione, tuttavia, è stata soppressa durante l’esame in seconda lettura da parte del Senato e non è stata successivamente reintrodotta durante l’esame in terza lettura, nel quale la Camera ha approvato in via definitiva il provvedimento nel testo approvato dal Senato.
Da ultimo, si fa presente come la delega in oggetto debba essere coordinata con quanto disposto dall’articolo 1, comma 121, della citata legge n. 239/04 di riordino del settore energetico, il quale ha delegato il Governo ad emanare, entro ventiquattro mesi dall'entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni legislative in materia di energia, secondo i principi e criteri di semplificazione normativa di cui all’articolo 20 della Legge n.59 del 1997, e ss. modificazioni, e nel rispetto di altri principi e criteri, tra i quali quello dell’adeguamento della normativa alle disposizioni comunitarie e agli accordi internazionali, anche in vigore nell’ordinamento nazionale al momento dell’esercizio della delega, nel rispetto delle competenze attribuite alle amministrazioni centrali e regionali (c.121, lett. b).
A seguito dell’approvazione dell’emendamento 9-bis.1 del relatore[93] da parte della XIV Commissione della Camera, è stato aggiunto il comma 2, il quale stabilisce che dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Documenti all’esame delle istituzioni europee
Approvvigionamenti di elettricità
Il 10 dicembre 2003 la Commissione ha presentato un pacchetto di misure[94]in materia di infrastrutture energetiche e sicurezza dell’approvvigionamento, che comprende fra l’altro:
· una proposta di direttiva relativa alle misure volte a garantire la sicurezza degli approvvigionamenti di elettricità e gli investimenti nelle infrastrutture(COM(2003)740).
La proposta tiene conto della necessità di realizzare le interconnessioni fra gli Stati membri al fine di rispettare l’obiettivo di interconnessioni elettriche pari al 10% della capacità di produzione installata fissato dal Consiglio europeo di Barcellona (marzo 2002). Secondo la Commissione, il perseguimento di tale obiettivo è di fondamentale importanza per completare l’unificazione dei mercati dell’energia elettrica, favorire una maggiore concorrenza e consentire alla rete di sostenere un aumento della domanda senza causare interruzioni nella fornitura o black out di corrente elettrica. Inoltre, al fine di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti, la proposta sottolinea la necessità di assicurare un costante equilibrio fra domanda e offerta e di fissare standard di rendimento della rete affinché essa possa funzionare continuamente entro limiti di frequenza, tensione e intensità di corrente accettabili.
La proposta, che segue la procedura di codecisione, è stata trasmessa al Consiglio e al Parlamento europeo che dovrebbe esaminarla in prima lettura il 9 marzo 2005;
Con la presentazione di questa proposta la Commissione prospetta una revisione degli orientamenti relativi alle reti transeuropee dell'energia al fine di tenere conto dell'adesione dei nuovi Stati membri e di consentire finanziamenti per progetti di interesse comune nell'Europa allargata.
La proposta, che segue la procedura di codecisione, è stata esaminata il 10 giugno 2004 dal Consiglio che ha adottato un orientamento generale, in vista della posizione comune. IlConsiglio, in particolare, ha deciso di eliminare dal testo della proposta gli articoli relativi all'attribuzione della dichiarazione di interesse europeo ad alcuni progetti particolarmente rilevanti per l'integrazione delle reti e alla nomina di coordinatori europei per progetti prioritari specifici. La proposta dovrebbe essere esaminata dal Parlamento europeo in prima lettura il 12 aprile 2005.
Energie rinnovabili
Cfr. la scheda relativa all’art. 13.
Sicurezza nucleare
II 30 gennaio 2003 la Commissione ha presentato una serie di misure in materia di sicurezza nucleare (cosiddetto "pacchetto nucleare").
Si tratta di:
· una comunicazione del 6 novembre 2002"La sicurezza nucleare e l'allargamento dell'Unione europea" (COM(2002)605), con la quale la Commissione delinea un approccio comunitario in materia di sicurezza nucleare nell'Unione europea in vista dell'allargamento;
· una proposta di direttiva quadro del 30 gennaio 2003 volta ad istituire norme e meccanismi comuni di controllo in materia di sicurezza degli impianti nucleari in funzione e in corso di disattivazione in Europa (COM(2003)32);
· una proposta di direttiva del 30 gennaio 2003 riguardante la gestione dei residui radioattivi e del combustibile usato (COM(2003)32).
Sulle proposte, che seguono la procedura di consultazione, il Parlamento europeo ha espresso il proprio parere il 13 gennaio 2004. Il Consiglio ambiente del 28 giugno 2004 ha avviato l'esame del pacchetto nucleare, sottolineando che la responsabilità nazionaleper quanto concerne la sicurezza degli impianti nucleari costituisce il principio fondamentale in base al quale la comunità internazionale ha elaborato il regolamento in materia di sicurezza nucleare e di gestione dei rifiuti nucleari e che tale principio è applicato dalla Convenzione sulla sicurezza nucleare e dalla Convenzione congiunta sulla sicurezza della gestione sicura del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi. Con queste conclusioni il Consiglio si è discostato dalla posizione della Commissione che, con la presentazione delle proposte in esame, prospettava un approccio comunitario in questo settore. Peraltro, nel corso del dibattito in seno al Consiglio, Italia, Austria e Lussemburgo hanno sostenuto le proposte della Commissione, sottolineando la necessità di perseguire i lavori a livello comunitario ed invitando la Commissione stessa a rilanciare la sua iniziativa volta a stabilire norme di sicurezza comune.
Al fine di tenere conto delle obiezioni sollevate dal Parlamento europeo e dal Consiglio, l’8 settembre 2004 la Commissione ha presentato una versione modificata delle due proposte (COM(2004)526) nella quale peraltro ha mantenuto l’obiettivo iniziale volto a dotare l’Unione allargata di una legislazione vincolante nel settore della sicurezza degli impianti nucleari e della gestione dei rifiuti radioattivi. La Commissione, in particolare, ha ribadito la necessità di “comunitarizzare” la disciplina esistente, di instaurare un sistema comune di valutazione della sicurezza nucleare in ciascuno Stato membro, di mantenere l’obbligo per ciascuno Stato membro di definire un programma per la gestione definitiva dei rifiuti, corredato del relativo calendario di attuazione, e di intensificare le attività di ricerca e sviluppo in questo settore.
Sviluppo sostenibile
La Commissione ha adottato, il 23 dicembre 2003, la comunicazione "Il Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile un anno dopo: attuazione degli impegni assunti" (COM(2003)829) nella quale sottolinea che per l'Unione europea la strategia per lo sviluppo sostenibile costitusce l'elemento chiave per onorare gli impegni assunti a Johannesburg e preannuncia il riesame di detta strategia nel 2004, da parte della nuova Commissione. In vista di tale revisione, il 30 luglio 2004 la Commissione ha avviato un’ampia consultazione pubblica che si concluderà il 31 ottobre 2004.
Il 26 aprile 2004 il Consiglio ha adottato conclusioni nelle quali si compiace della presentazione della comunicazione che rispecchia l’impegno politico dell’Unione europea a raggiungere gli obiettivi convenuti a Johannesburg e ricorda la necessità di attuare tempestivamente gli altri impegni assunti in quella sede.
Il 28 gennaio 2004 la Commissione ha adottato la comunicazione (COM(2004)38) "Incentivare le tecnologie per lo sviluppo sostenibile: piano d'azione sulle tecnologie ambientali per l'Unione europea" nella quale individua undici azioni prioritarie con cui la Commissione, i governi nazionali e regionali, l'industria e gli altri soggetti interessati potranno promuovere lo sviluppo e l'adozione delle tecnologie ambientali.
Il Consiglio europeo di Bruxelles (25-26 marzo 2004) ha accolto favorevolmente il piano di azione, chiedendone una rapida attuazione.
Servizi di interesse generale
Il 12 maggio 2004 la Commissione ha adottato un Libro bianco (COM(2004)374) sulla promozione dello sviluppo di servizi di interesse generale di alta qualità.
Il Libro bianco illustra le conclusioni tratte dalla Commissione a seguito di un'ampia consultazione pubblica lanciata sulla base del Libro verde (COM(2003)270) del 21 maggio 2003. Nel Libro bianco si sottolinea il fatto che, in materia di servizi di interesse generale, le responsabilità sono condivise tra l’Unione e gli Stati membri e che occorre garantire a tutti i cittadini e alle imprese la possibilità di accedere a un ampio ventaglio di servizi di interesse generale, assicurando, al tempo stesso, una maggiore certezza giuridica. La Commissione conclude che, nella fase attuale, non vi sono elementi sufficienti per dimostrare il valore aggiunto di una normativa quadro orizzontale a livello comunitario rispetto al quadro specifico per settore già in vigore.
Il Libro bianco è stato trasmesso al Parlamento europeo e al Consiglio.
Collaborazione con i Paesi terzi
La collaborazione energetica con i Paesi terzi costituisce l'oggetto di diverse comunicazioni presentate dalla Commissione.
Si tratta in particolare di:
· una comunicazione del 7 marzo 2001 volta a rafforzare la cooperazione euromediterraneanei settori dei trasporti e dell'energia per il periodo 2000-2006 (COM(2001)126).
La comunicazione è stata esaminata dal Consiglio trasporti del 26 marzo 2002 ed è stata trasmessa al Parlamento europeo;
· una comunicazione del 17 dicembre 2001 relativa alla cooperazione fra l'Unione europea e la Russianel settore ambientale (COM(2001)772).
Per quanto riguarda gli aspetti energetici il documento sottolinea l'importanza del Dialogo UE-Russia sull'energia, avviato in occasione del Vertice di Parigi dell'ottobre 2000, al fine di istituire un partenariato fra le due parti in campo energetico. II 28 gennaio 2004 la Commissione ha presentato un documento di lavoro(SEC(2004)114) nel quale fa il punto sullo stato di avanzamento del dialogo sull'energia con la Russia.
La comunicazione è stata esaminata dal Consiglio energia del 25 novembre 2002 edè stata trasmessa al Parlamento europeo;
· una comunicazione del 17 luglio 2002 concernente la cooperazione energetica con i paesi in via di sviluppo(COM(2002)408).
La comunicazione è stata esaminata il 19 giugno 2003 dal Parlamento europeo ed è stata trasmessa al Consiglio;
· una comunicazione del 13 maggio 2003 relativa al rafforzamento della cooperazione energetica con i paesi vicini (COM(2003)262), come parte della píù ampia strategia volta a creare un nuovo quadro per le relazioni con questi paesi.
La comunicazione è stata esaminata dal Consiglio trasporti del 15 dicembre 2003.
Art. 15
(Delega per l’attuazione della direttiva 2003/55/CE, relativa al mercato interno del gas naturale)
1. Al fine di completare il processo di liberalizzazione del mercato del gas naturale, il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, con le modalità di cui all'articolo 1, uno o più decreti legislativi per dare attuazione alla direttiva 2003/55/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2003, relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale e che abroga la direttiva 98/30/CE, e per integrare e aggiornare conseguentemente le disposizioni vigenti concernenti tutte le componenti rilevanti del sistema del gas naturale, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) accrescere la sicurezza degli approvvigionamenti, promuovendo la realizzazione di nuove infrastrutture di approvvigionamento, trasporto e stoccaggio di gas naturale in sotterraneo, il potenziamento di quelle esistenti, anche mediante la semplificazione dei procedimenti autorizzativi, e la diversificazione delle fonti di approvvigionamento;
b) stabilire norme affinché il mercato nazionale del gas risulti sempre più integrato nel mercato interno europeo del gas naturale, promuovendo la formazione di un'offerta concorrenziale e l'adozione di regole comuni per l'accesso al sistema del gas europeo, e garantendo effettive condizioni di reciprocità nel settore con le imprese degli altri Stati membri dell'Unione europea, soprattutto se in posizione dominante nei rispettivi mercati nazionali, anche individuando obiettive e non discriminatorie procedure per il rilascio di autorizzazioni o concessioni, ove previsto dalle norme vigenti;
c) prevedere lo sviluppo delle capacità di stoccaggio di gas naturale in sotterraneo necessarie per il funzionamento del sistema nazionale del gas, in relazione allo sviluppo della domanda e all'integrazione dei sistemi europei del gas naturale, definendo le componenti dello stoccaggio relative alla prestazione dei servizi essenziali al sistema e quelle funzionali al mercato;
d) integrare le disposizioni vigenti in materia di accesso al sistema nazionale del gas naturale relativamente alle nuove importanti infrastrutture e all'aumento significativo della capacità di quelle esistenti, e alle loro modifiche che consentano lo sviluppo di nuove fonti di approvvigionamento, per assicurarne la conformità alla disciplina comunitaria;
e) promuovere una effettiva concorrenza, anche rafforzando le misure relative alla separazione societaria, organizzativa e decisionale tra le imprese operanti nelle attività di trasporto, distribuzione e stoccaggio e le imprese operanti nelle attività di produzione, approvvigionamento, misura e commercializzazione, promuovendo la gestione delle reti di trasporto del gas naturale da parte di imprese indipendenti;
f) incentivare le operazioni di aggregazione territoriale delle attività di distribuzione del gas, a vantaggio della riduzione dei costi di distribuzione, in base a criteri oggettivi, trasparenti e non discriminatori, prevedendo meccanismi che tengano conto degli investimenti effettuati e incentivi, anche di natura fiscale, per la rivalutazione delle attività delle imprese concessionarie, anche a favore dell'efficienza complessiva del sistema;
g) stabilire misure per lo sviluppo di strumenti multilaterali di scambio di capacità e di volumi di gas, al fine di accrescere gli scambi e la liquidità del mercato nazionale, avviando ad operatività, con l'apporto dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, la borsa nazionale del gas, anche considerando i risultati della prima esperienza di funzionamento del punto virtuale di scambio;
h) rafforzare le funzioni del Ministero delle attività produttive in materia di indirizzo e valutazione degli investimenti in nuove infrastrutture di approvvigionamento affinché gli stessi siano commisurati alle previsioni di sviluppo della domanda interna di gas nonché in materia di sicurezza degli approvvigionamenti, prevedendo strumenti per migliorare la sicurezza del sistema nazionale del gas, l'economicità delle forniture, anche promuovendo le attività di esplorazione e di sfruttamento di risorse nazionali e la costruzione di nuove interconnessioni con altri Paesi e mercati.
2. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
L’articolo 15 delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per l’attuazione della direttiva 2003/55/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2003, che stabilisce le nuove norme comuni per il mercato interno del gas naturale, abrogando contestualmente la direttiva 98/30/CE, recepita nel nostro ordinamento con il D.Lgs 164/2000.
Il Governo dovrà provvedere all’attuazione della direttiva entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della legge comunitaria, secondo le modalità fissate dall’articolo 1 della medesima.
I decreti legislativi attuativi della direttiva 2003/55/CE, volti al completamento del processo di liberalizzazione del mercato del gas naturale, provvederanno, altresì, all’integrazione e all’aggiornamento delle disposizioni vigenti, attualmente disciplinanti l’intero sistema e saranno adottati dal Governo nel rispetto di principi e di criteri direttivi - di seguito illustrati - che prevedono:
a) l’accrescimento della sicurezza degli approvvigionamenti, promuovendo la realizzazione di nuove infrastrutture di approvvigionamento, trasporto e stoccaggio di gas naturale in sotterraneo, il potenziamento di quelle esistenti, anche attraverso la semplificazione dei procedimenti autorizzativi e la diversificazione delle fonti di approvvigionamento.
Si segnalano, in proposito, le disposizioni della direttiva 2004/67/CE, recante misurevolte a garantire la sicurezza dell'approvvigionamento di gas naturale, inserita nell’allegato B del presente provvedimento, e dell’articolo 21 del medesimo provvedimento, che conferisce una delega al Governo per il relativo recepimento, dettando i principi e i criteri direttivi ai quali dovrà attenersi il Governo (Cfr. infra le relative schede di lettura).
Si rileva, inoltre, come fondamentali disposizioni relative al mercato interno del gas naturale siano ora contenute nella legge n. 239 del 23 agosto 2004, recante il riordino del settore energetico, recentemente approvata dal Parlamento.
Per ogni approfondimento della disciplina in materia introdotta dalla richiamata legge di riordino si rinvia al “Dossier Provvedimento” n. 241/4 (II edizione), predisposto dal Servizio Studi in occasione dell’esame del provvedimento.
b) la fissazione di norme volte ad accrescere l’integrazione del mercato nazionale del gas nel mercato interno europeo del gas naturale, promuovendo la formazione di un'offerta concorrenziale e l'adozione di regole comuni per l'accesso al sistema del gas europeo e garantendo condizioni effettive di reciprocità con le imprese degli altri Stati membri - specie se in posizione dominante nei rispettivi mercati nazionali - anche mediante l’individuazione di procedure per il rilascio di autorizzazioni o di concessioni obiettive e non discriminatorie, se previsto dalle norme vigenti;
Quanto all’esigenza di garantire effettive condizioni di reciprocità nel mercato del gas, si segnala come l’art.1, comma 29, della legge n.239/04, rechi disposizioni in materia di operazioni di concentrazione di imprese nei settori dell’energia elettrica e del gas cui partecipino anche imprese o enti di Stati membri della UE, prevedendo che, in mancanza di adeguate garanzie di reciprocità, il Presidente del Consiglio possa definire, su proposta del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, condizioni e vincoli cui le imprese o gli enti predetti sono tenuti a conformarsi. L’intervento del Presidente del Consiglio, finalizzato alla tutela della sicurezza degli approvvigionamenti energetici del Paese e della concorrenza dei mercati, è previsto fino alla completa realizzazione del mercato unico dell’elettricità e del gas.
c) previsione di sviluppo delle capacità di stoccaggio di gas naturale in sotterraneo, necessarie per il funzionamento del sistema nazionale del gas, in relazione allo sviluppo della domanda e all'integrazione dei sistemi europei del gas naturale, attraverso la definizione delle componenti dello stoccaggio relative alla prestazione dei servizi essenziali al sistema e quelle funzionali al mercato.
Per quanto riguarda lo sviluppo delle capacità di stoccaggio, si ricorda che l’art.1, comma 61, della citata legge n.239/04, ha previsto che i titolari di concessioni di stoccaggio di gas naturale in sotterraneo possano usufruire di non più di due proroghe di dieci anni, qualora abbiano eseguito i programmi di stoccaggio ed adempiuto a tutti gli obblighi derivanti dalle concessioni medesime. Si rammenta inoltre, in via generale, che lo stoccaggio del gas naturale è una attività disciplinata dagli artt.11-13 del D.Lgs.164 del 23 maggio 2000. Essa è soggetta a concessione, di durata non superiore a venti anni, rilasciata dal Ministro delle attività produttive ai sensi delle disposizioni contenute nella legge 26 aprile 1974, n. 170 (“Stoccaggio di gas naturale in giacimenti di idrocarburi"). Al Ministro della attività produttive compete anche l’approvazione, con proprio DM, di un disciplinare tipo. Si rileva, inoltre, come il comma 62 della citata legge attribuisca al Ministero delle attività produttive, di concerto con i Ministeri dell’ambiente, e delle infrastrutture e trasporti, il compito di promuovere, attraverso accordi di programma con gli operatori interessati, gli istituti di ricerca e le regioni interessate, l’utilizzo degli idrocarburi liquidi derivati dal metano, mentre il successivo comma 63 ammette una serie di spese ai fini della concessione dei contributi per la realizzazione di adduttori secondari aventi le caratteristiche di infrastrutture pubbliche, previsti dall’articolo 11 della legge n. 784 del 1980, concernente il programma generale di metanizzazione del Mezzogiorno. Il comma 66 della medesima legge n.239 prevede inoltre una semplificazione volta ad esonerare il concessionario delle opere di metanizzazione dal richiedere la certificazione del comune ai fini della presentazione degli stadi di avanzamento intermedi dei lavori, previsti dall’art.11 della legge 784/1980.
d) integrazione delle disposizioni vigenti in materia di accesso al sistema nazionale del gas naturale, con riferimento alle nuove importanti infrastrutture e all'aumento della capacità di quelle esistenti, nonché modifiche finalizzate allo sviluppo di nuove fonti di approvvigionamento, onde assicurarne la conformità alla disciplina comunitaria;
In relazione allo sviluppo di nuove fonti di approvvigionamento si segnalano, in particolare, i commi da 17 a 23 dell’articolo 1 della citata legge n.239/04, i quali recano disposizioni in materia di allocazione delle nuove capacità ai punti di ingresso della rete del gas nazionale. Per quanto concerne l’accesso al sistema, si ricorda come esso sia stato disciplinato dagli artt.24-26 del D.Lgs. 164/2000. In particolare, alle imprese è imposto l’obbligo di consentire l’accesso alle reti e ai giacimenti di stoccaggio a coloro che ne facciano richiesta, mentre spetta all’Autorità dell’elettricità e del gas fissare con delibera i criteri a garanzia della libertà di accesso. Tre sono i casi in cui è previsto il rifiuto all'accesso: mancanza di capacità; obblighi di servizio pubblico; difficoltà economiche dovute a contratti take or pay (che impegnano gli importatori a garantire ai fornitori i ricavi indipendentemente dalla quantità prelevata). Qualora il Ministero, sentito il parere dell’Autorità per l’elettricità e il gas, ritenga di dover concedere la deroga, notifica la sua decisione alla Commissione UE. L'art. 25 comma 1, ultimo periodo, del decreto legislativo richiamato prevede, in particolare, che l’accesso non può essere rifiutato ove il cliente sostenga il costo delle opere necessarie per ovviare alla mancanza di capacità o di connessione. Si rileva, inoltre, che ai sensi dell'art. 18 della direttiva 2003/55/CE gli Stati membri garantiscono l'attuazione di un sistema di accesso dei terzi ai sistemi di trasporto e di distribuzione, nonché agli impianti GNL, basato su tariffe pubblicate, praticabili a tutti i clienti idonei, comprese le imprese di fornitura, ed applicato obiettivamente e senza discriminazioni tra gli utenti del sistema. Ai sensi del successivo art. 22 della medesima direttiva, le nuove importanti infrastrutture del sistema del gas, ossia interconnector tra Stati membri, impianti di GNL e impianti di stoccaggio possono essere oggetto, su richiesta, di una deroga alle disposizioni concernenti l'accesso sulla base di una serie di condizioni.
e) promozione di una effettiva concorrenza, anche attraverso il rafforzamento delle misure concernenti la separazione societaria, organizzativa e decisionale tra le imprese operanti nelle attività di trasporto, distribuzione e stoccaggio e le imprese operanti nelle attività di produzione, approvvigionamento, misura e commercializzazione, e la promozione della gestione delle reti di trasporto del gas naturale da parte di imprese indipendenti;
Si ricorda, in proposito, che il comma 4 dell’articolo 1-ter del D.L 239/03 ha disposto che ciascuna società operante nel settore della produzione, importazione, distribuzione e vendita dell'energia elettrica e del gas naturale, anche attraverso le società controllate, controllanti, o controllate dalla medesima controllante, e comunque ciascuna società a controllo pubblico, a decorrere dal 1° luglio 2007, non possa detenere, direttamente o indirettamente, quote superiori al 20 per cento del capitale delle società che sono proprietarie e che gestiscono reti nazionali di trasporto di energia elettrica e di gas naturale. Successivamente, il comma 24 dell’articolo 1 della legge di riordino del settore energetico n.239/04 ha novellato il citato decreto legge, stabilendo che il divieto di detenere quote superiori al 20% nel capitale di società, che sono proprietarie e che gestiscono reti nazionali di trasporto dell’energia, opererebbe nei confronti delle società a controllo pubblico, anche indiretto, solo qualora queste operino direttamente nei medesimi settori (della produzione, importazione, distribuzione e vendita dell’energia elettrica e del gas naturale).
f) incentivazione delle operazioni di aggregazione territoriale delle attività di distribuzione del gas sulla base di criteri oggettivi, trasparenti e non discriminatori (per la riduzione dei costi di distribuzione), attraverso l’introduzione di meccanismi, che tengano conto degli investimenti effettuati, e di incentivi per la rivalutazione delle attività delle imprese concessionarie, compresi quelli di natura fiscale, anche a vantaggio dell'efficienza complessiva del sistema;
g) adozione di misure atte a sviluppare gli strumenti multilaterali di scambio di capacità e di volumi di gas per accrescere gli scambi e la liquidità del mercato nazionale, rendendo operativa la borsa nazionale del gas, con l'apporto dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, tenendo conto dei risultati della prima esperienza di funzionamento del punto virtuale di scambio;
h) rafforzamento delle funzioni del Ministero delle attività produttive in materia di indirizzo e di valutazione degli investimenti in nuove infrastrutture di approvvigionamento, in modo che siano commisurati alle previsioni di sviluppo della domanda interna di gas, nonché in materia di sicurezza degli approvvigionamenti. A tal fine si dovrebbero prevedere strumenti atti a migliorare la sicurezza del sistema nazionale del gas, l'economicità delle forniture, anche mediante l’attività di esplorazione e di sfruttamento delle risorse nazionali e la costruzione di nuove interconnessioni con altri Paesi e mercati.
Da ultimo, si fa presente come la delega in oggetto debba essere coordinata con quanto disposto dall’articolo 1, comma 121, della citata legge n. 239/04 di riordino del settore energetico, il quale ha delegato il Governo ad emanare, entro ventiquattro mesi dall'entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni legislative in materia di energia, secondo i principi e criteri di semplificazione normativa di cui all’articolo 20 della Legge n.59 del 1997, e ss. modificazioni, e nel rispetto di altri principi e criteri, tra i quali quello dell’adeguamento della normativa alle disposizioni comunitarie e agli accordi internazionali, anche in vigore nell’ordinamento nazionale al momento dell’esercizio della delega, nel rispetto delle competenze attribuite alle amministrazioni centrali e regionali (c.121 lett. b).
A seguito dell’approvazione dell’emendamento 9-ter.1 del relatore[95] da parte della XIV Commissione della Camera, è stato aggiunto il comma 2, il quale stabilisce che dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica
Documenti all’esame delle Istituzioni europee
Norme comuni per il mercato interno del gas naturale
Il 10 dicembre 2003 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento[96] relativa alle condizioni di accesso alle reti di trasporto di gas (COM(2003)741).
Analogamente a quanto avvenuto per il settore dell’energia elettrica con l’adozione del regolamento (CE) n. 1228/2003, relativo alle condizioni di accesso alla rete per gli scambi transfrontalieri di energia elettrica, la Commissione ha deciso di presentare anche per il settore del gas una proposta di regolamento volta a favorire la realizzazione del mercato interno del gas naturale. A tal fine, la Commissione propone di fissare una serie di principi fondamentali indispensabili per il buon funzionamento del mercato interno del gas naturale con lo scopo di integrare la direttiva 2003/55/CE, relativa a norme comuni per il medesimo mercato. Tali principi riguarderanno, in particolare, l’accesso alla rete, l’assegnazione della capacità, i servizi di accesso per i terzi, la gestione della congestione, la tariffazione, la trasparenza, il bilanciamento e lo scambio dei diritti di capacità.
La proposta, che segue la procedura di codecisione, è stata esaminata dal Parlamento europeo in prima lettura, il 20 aprile 2004. Sulla proposta il Consiglio ha raggiunto un accordo politico nella sessione del 10 giugno 2004, in vista della posizione comune che sarà adottata in una delle prossime sessioni.
Art. 16
(Obblighi a carico dei detentori di apparecchi contenenti policlorodifenili e policlorotrifenili)
1. Lo smaltimento degli apparecchi contenenti policlorodifenili e policlorotrifenili, di seguito denominati: «PCB», soggetti ad inventario ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 209, e dei PCB in essi contenuti è effettuato nel rispetto del seguente programma temporale:
a) la dismissione di almeno il 50 per cento degli apparecchi detenuti alla data del 31 dicembre 2002 avviene entro il 31 dicembre 2005;
b) la dismissione di almeno il 70 per cento degli apparecchi detenuti alla data del 31 dicembre 2002 avviene entro il 31 dicembre 2007;
c) la dismissione di tutti gli apparecchi detenuti alla data del 31 dicembre 2002 avviene entro il 31 dicembre 2009;
d) i trasformatori che contengono fluidi con una percentuale di PCB compresa tra lo 0,05 per cento e lo 0,005 per cento in peso possono essere smaltiti alla fine della loro esistenza operativa nel rispetto delle condizioni stabilite dall'articolo 5, comma 4, del citato decreto legislativo n. 209 del 1999.
2. Gli apparecchi dismessi ed i PCB in essi contenuti sono conferiti, entro le scadenze di cui al comma 1, a soggetti autorizzati a riceverli ai fini del loro smaltimento.
3. I soggetti autorizzati, ai sensi del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, allo stoccaggio ed al trattamento di rifiuti costituiti da apparecchi contenenti PCB e dai PCB in essi contenuti avviano allo smaltimento finale detti rifiuti entro sei mesi dalla data del loro conferimento.
4. Fermi restando gli obblighi di cui al decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 209, e le sanzioni previste dalla normativa vigente, il mancato smaltimento finale nei tempi previsti dal comma 3 è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 50.000.
5. Le comunicazioni previste dall'articolo 3 del citato decreto legislativo n. 209 del 1999 sono integrate con l'indicazione del programma temporale di cui al comma 1, nonché con l'indicazione dell'intero percorso di smaltimento degli apparecchi contenenti PCB e dei PCB in essi contenuti.
L’articolo in esame dispone una serie di obblighi a carico dei detentori di apparecchi contenenti i policlorodifenili e policlorotrifenili (PCB)[97] soggetti ad inventario ai sensi dell’art.3 del decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 209, nonché a carico dei soggetti autorizzati al loro smaltimento, prevedendo che la decontaminazione e lo smaltimento di tali apparecchi avvenga entro il 2010 con precise scadenze temporali.
Si ricorda, in primo luogo, che la disciplina relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e policlorotrifenili (PCB) è contenuta prevalentemente nel decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 209[98], con il quale è stata data attuazione alla direttiva 96/59/CE del Consiglio del 16 settembre 1996. Successivamente le disposizioni contenute in tale decreto sono state integrate con il decreto attuativo dell’11 ottobre 2001 recante “Condizioni per l’utilizzo dei trasformatori contenenti PCB in attesa della decontaminazione e dello smaltimento”.
La direttiva 96/59/CE concernente lo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili (PCB/PCT), che ha sostituito la precedente direttiva 76/403/CEE, riguarda sostanze chimiche che, per la loro tossicità e tendenza al bioaccumulo (cioè all'accumulo nei tessuti di organismi viventi) rappresentano una particolare minaccia per l'ambiente e per la salute umana.
La direttiva intende garantire lo smaltimento controllato dei PCB negli Stati membri. In particolare, tutte le imprese impegnate nella decontaminazione e/o nello smaltimento dei PCB, o che utilizzano PCB o apparecchiature contenenti PCB, devono prima ottenere un'autorizzazione.
La direttiva fissa inoltre obblighi per la decontaminazione o lo smaltimento delle apparecchiature contenenti PCB e per lo smaltimento dei PCB usati, per garantire che queste sostanze siano eliminate completamente, al più tardi entro la fine del 2010, per quelle soggette ad inventario. Infatti, gli Stati membri avrebbero dovuto adottare e comunicare alla Commissione, entro il 16 settembre 1999:
§ una sintesi degli inventari delle apparecchiature di questo tipo contenenti quantitativi di PCB superiori ad un limite specificato (art. 4, par. 1);
§ un programma per la decontaminazionee/o smaltimento degli apparecchi inventariati e dei PCB in essi contenuti (art. 11);
§ una bozza di piano per la raccolta e lo smaltimento degli apparecchi non soggetti ad inventario (art. 11).
Dato che l’Italia non ha predisposto e comunicato alla Commissione delle Comunità europee, entro il 16 settembre 1999[99], né la sintesi degli inventari, né i programmi e le bozze di piano, è stata condannata dalla Corte di Giustizia europea con la sentenza del 27 febbraio 2002.
Il decreto legislativo n. 209 del 1999, all’art. 2, stabilisce che per policlorobifenili (PCB) debbano intendersi:
1) i policlorobifenili;
2) i policlorotrifenili;
3) il monometil-tetracloro-difenilmetano, il monometil-dicloro-difenilmetano, il monometil-dibromo-difenilmetano;
4) ogni miscela delle suddette sostanze che presenti una concentrazione complessiva superiore a 50 mg/Kg (0,005 %).
Per apparecchi contenenti PCB si intendono, invece, “qualsiasi apparecchio che contiene o è servito a contenere PCB e che non ha costituito oggetto di decontaminazione” e per PCB usati, qualsiasi PCB considerato rifiuto ai sensi del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22[100]. Lo stesso art. 2 prevede due procedimenti per smaltire tali sostanze: la decontaminazione[101] e lo smaltimento[102].
L'art. 3, comma 1, obbliga coloro che detengono apparecchi contenenti PCB in quantitativo superiore a 5 dm3ad effettuare una comunicazione biennale alle sezioni regionali, o delle provincie autonome, del catasto rifiuti.
L’art. 5, stabilisce, inoltre, alcuni termini entro i quali decontaminare o smaltire gli apparecchi contaminati da PCB:
- i PCB, gli apparecchi contenenti olio dielettrico in quantità inferiore a 5 litri che risultassero contaminati da PCB (concentrazione superiore a 50 mg/Kg)[103] e i PCB usati dovranno essere decontaminati o smaltiti entro il 31 dicembre 2005 (comma 1);
- gli apparecchi soggetti ad inventario (quantità di oli dielettrico superiore a 5 litri) che risultassero contaminati da PCB (concentrazione superiore a 50 mg/Kg) dovranno essere decontaminati o smaltiti entro il 31 dicembre 2010 (commi 2 e 3).
Di questi ultimi, quelli contaminati da PCB entro i 50-500 mg/Kg, potranno continuare ad essere utilizzati fino al termine del loro ciclo di vita (comma 3).
Le apparecchiature dovranno essere munite di etichetta conforme a quanto disposto dall'art. 6.
I controlli sull’osservanza delle norme sono di competenza delle province, ai sensi dell’art. 20 del decreto legislativo n. 22 del 1997 (art. 9).
L'art. 10 stabilisce quindi pesanti sanzioni amministrative per omessa o infedele comunicazione o per mancata etichettatura. Sanzioni penali ed amministrative sono previste a carico di coloro che effettuano in modo non conforme al decreto legislativo n. 22 del 1997 le operazioni di smaltimento e/o recupero dei PCB.
Le disposizioni del decreto non si applicano agli oli usati contenenti PCB in quantità inferiore ai 25 mg/Kg (è quindi possibile smaltirli tramite il consorzio obbligatorio degli oli usati).
I policlorodifenili (PCB), miscela di sostanze di sintesi nota in Italia con i nomi commerciali di apirolio o askarel, sono stati largamente utilizzati in tutto il mondo per circa 50 anni come isolante nei trasformatori e in altri apparati elettrici. I PCB furono impiegati anche in altre applicazioni, diverse da quelle elettriche, quali lubrificanti, fluidi per impianti di condizionamento, vernici, carte impregnate per usi particolari (tra cui la comune carta carbone), ecc. La mancanza di studi preliminari e attendibili ne hanno permesso impieghi su scala vastissima, fino a quando negli anni '70 - '80 vennero "messi al bando" in quanto studi accurati, condotti pressoché ovunque, dimostrarono che i PCB erano dotati di una straordinaria bio-resistenza in grado di provocare pericolosi effetti cumulativi sugli organismi viventi e potevano dar luogo a pericolose degradazioni (PCDD-diossine e PCDF-dibenzofurani) se sottoposti a forti riscaldamenti (scoppi, incendi). Stime attendibili valutano che dal 1930 siano state prodotte in tutto il mondo un milione di tonnellate di PCB. In Italia i PCB furono prodotti e commercializzati con nomi diversi, tra cui, il più noto, è, come detto, quello di apirolio. L'inizio della produzione di PCB in Italia risale al 1958; da allora, per la sola categoria merceologica dei trasformatori e dei condensatori elettrici, la produzione italiana è stata valutata in oltre 6.000 tonnellate, per il periodo1970-1974. Ma in Italia grandi quantità di PCB, stimate in circa 13.000 tonnellate per lo stesso periodo, venivano anche importate dall'estero, soprattutto dalla Francia, dallaGermania e dagli Stati Uniti. Sempre in Italia, le prime stime attendibili fornite dal Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio indicavano in circa 50.000 tonnellate le rimanenze di PCB ancora presenti sul territorio nazionale, con oltre 80.000 trasformatori variamente contaminati tuttora in esercizio. L'inventario nazionale, basato sulle dichiarazioni del dicembre 2000, è stato più di recente predisposto dall'APAT, che ha ricevuto dalle sezioni regionali e delle province autonome del catasto dei rifiuti le dichiarazioni informatizzate dei detentori di apparecchi contenenti PCB. I dati confermano le prime stime del Ministero, essendo stati censiti circa 98.000 apparecchi contaminati da askarel. Poiché circa il 60% degli apparecchi totali è stata dichiarata dall'ENEL, si potrebbe ritenere che gli apparecchi in possesso di piccoli detentori siano sottostimati; inoltre, non è da sottovalutare il problema degli apparecchi non soggetti a inventario. I dati preliminari sulle dichiarazioni del dicembre 2002 e le comunicazioni di avvenuto smaltimento mostrano una costante dismissione o decontaminazione di questi apparati.
Con il comma 1 dell'articolo in esame si stabilisce che lo smaltimento degli apparecchi contenenti policlorodifenili e policlorotrifenili (PCB), soggetti ad inventario ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 209, e dei PCB in essi contenuti venga effettuato rispettando un preciso programma temporale.
La relazione governativa al presente disegno di legge sottolinea, con riferimento all’articolo in esame, che tale pianificazione scadenzata è stata resa necessaria al fine di rispondere ai rilievi mossi in sede comunitaria con il parere motivato del 9 luglio 2003 (relativo alla procedura d’infrazione n. 1999/2263), inerenti la non corretta trasposizione della direttiva 96/59/CE effettuata con il decreto legislativo n. 209 del 1999.
Si ricorda che l'art. 3, comma 1, del decreto legislativo n. 209 del 1999 prevede un preciso obbligo di comunicazione da parte dei detentori di apparecchi contenenti PCB per un volume superiore a 5 dm3, inclusi i condensatori di potenza per i quali il limite di 5 dm3 deve essere inteso come comprendente il totale dei singoli elementi di un insieme composito, di una serie di informazioni elencate nello stesso comma 1, alle sezioni regionali e delle province autonome del catasto dei rifiuti. Tali informazioni sono ridotte nel caso in cui tali apparecchi contengano una percentuale di PCB compresa tra lo 0,05% e lo 0,005% in peso (comma 2). La comunicazione deve rispettare una cadenza biennaleed essere ripresentata entro dieci giorni dal verificarsi di un qualsiasi cambiamento del numero di apparecchi contenenti PCB o delle quantità di PCB detenuti. Essa è effettuata per la prima volta entro il 31 dicembre 1999, termine poi prorogato al 31 dicembre 2000 dall’art. 1, comma 2, del decreto legge 30dicembre 1999, n. 500, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2000, n. 33 (comma 3).
Ai sensi del comma 4 del medesimo art. 3, le informazioni sono trasmesse dalle sezioni regionali e delle province autonome del catasto dei rifiuti all'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente (ora APAT) che provvede all'elaborazione dei dati così raccolti ed alla predisposizione dell'inventario degli apparecchi soggetti a comunicazione e dei PCB in essi contenuti. I dati e l'inventario sono quindi trasmessi al Ministero dell'ambiente, alle regioni ed alle province autonome.
Il successivo art. 4 stabilisce, inoltre, che, entro tre anni dalla data di entrata in vigore del decreto, le regioni e le province autonome adottano e trasmettono al Ministero dell'ambiente un programma per la decontaminazione e lo smaltimento degli apparecchi soggetti ad inventario e dei PCB in essi contenuti, nonché un programma per la raccolta ed il successivo smaltimento degli apparecchi contenenti PCB per un volume inferiore o pari a 5 dm3.
Lo smaltimento, ai sensi del comma 1, dovrà quindi avvenire rispettando le seguenti scadenze:
a) entro il 31 dicembre 2005 deve avvenire la dismissione di almenoil 50 per cento degli apparecchi detenuti alla data del 31 dicembre 2002[104];
b) entro il 31 dicembre 2007 deve avvenire la dismissione di almeno il 70 per cento degli apparecchi detenuti alla data del 31 dicembre 2002;
c) entro il 31 dicembre 2009 deve avvenire la dismissione di tutti gli apparecchi detenuti alla data del 31 dicembre 2002.
La formulazione originaria dell’articolo, che faceva riferimento agli apparecchi detenuti alla data di entrata in vigore della presente legge, è stata così sostituita a seguito dell’approvazione dell’emendamento 10.1 da parte della XIV Commissione della Camera.
Si ricorda, in primo luogo, che l’art. 5 del decreto legislativo n. 209, conformemente all’art.3 della direttiva 96/59/CE, prevede che la decontaminazione o lo smaltimento degli apparecchi soggetti ad inventario debbano essere effettuati entro e non oltre il 31 dicembre 2010, prevedendo quindi un termine finale più ampio rispetto a quello indicato nel comma in esame.
d) i trasformatori che contengono fluidi con una percentuale di PCB compresa tra lo 0,05 per cento e lo 0,005 per cento in peso possono essere smaltiti alla fine della loro esistenza operativa nel rispetto delle condizioni stabilite dall’articolo 5, comma 4, del citato decreto legislativo n. 209 del 1999.
Si ricorda che le condizioni stabilite dall’articolo 5, comma 4, del citato decreto legislativo n. 209, prevedono il buono stato funzionale dei trasformatori stessi, l’assenza di perdite di fluidi e che i PCB in essi contenuti siano conformi alle norme od alle specifiche tecniche relative alla qualità dielettrica, che dovranno essere indicate in uno specifico decreto ministeriale che è stato emanato l’11 ottobre 2001.
Con il D.M. 11 ottobre 2001 recante le “Condizioni per l'utilizzo dei trasformatori contenenti PCB in attesa della decontaminazione o dello smaltimento” sono stati quindi introdotti importanti chiarimenti per quel che attiene le modalità di misura del contenuto di PCB e per il riconoscimento dato alle tecniche di dealogenazione come importante metodologia di decontaminazione da PCB[105], rappresentando la via di minore impatto per lo smaltimento di questa sostanza. Il decreto ha infatti definito le condizioni per l'utilizzo dei trasformatori contenenti PCB in attesa della decontaminazione e dello smaltimento, includendo anche gli standard analitici per la decontaminazione di PCB definiti nella decisione 2001/68/CE.
Successivamente il CEI (Comitato Elettrotecnico Italiano) ha pubblicato, nel novembre 2002, la norma CEI 10-38 "Guida Tecnica per l'inventario, il controllo, la gestione, la decontaminazione e/o lo smaltimento di apparecchiature elettriche e liquidi isolanti contenenti PCB" al fine di indicare chiaramente alla collettività procedure e metodologie per la decontaminazione e l'eliminazione dei PCB dagli impianti elettrotecnici contaminati.
Il comma 2 stabilisce che gli apparecchi dismessi ed i PCB in essi contenuti siano conferiti, entro le scadenze indicate nel comma precedente, a soggetti autorizzati a riceverli ai fini del loro smaltimento.
In relazione ai soggetti autorizzati allo smaltimento di tali materiali, l'art. 7 del decreto legislativo n. 209 rinvia alle imprese autorizzate ai sensi degli articoli 27 e 28 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, che costituiscono le prescrizioni di carattere generale applicabili a tutti gli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti e che includono sia la proceduta prevista per l’approvazione del progetto e l’autorizzazione alla realizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti che le modalità per l'esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero.
Inoltre, sempre l’art. 7 del decreto legislativo n. 209, dispone una serie di ulteriori misure cautelari, sia a carico dei detentori che delle imprese autorizzate, al fine di garantire che la decontaminazione e lo smaltimento avvengano in condizioni di massima sicurezza. Tali obblighi, prevedono, tra l’altro, anche la tenuta, a carico delle imprese autorizzate, di un registro di carico e scarico di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 5 febbraio n. 22 del 1997, che potrà essere consultato dalle autorità locali e dal pubblico. La consegna alle imprese dovrà risultare dal formulario di trasporto, previsto anch’esso per il trasporto di rifiuti dall'articolo 15 del decreto legislativo 5 febbraio n. 22. Il registro di carico e scarico può essere consultato dalle autorità locali e dal pubblico.
Il comma 3 dispone che i soggetti autorizzati, ai sensi del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni, allo stoccaggio ed al trattamento di rifiuti costituiti da apparecchi contenenti PCB e dai PCB in essi contenuti avviino allo smaltimento finale detti rifiuti entro sei mesi dalla data del loro conferimento.
Attualmente le disposizioni del decreto legislativo n. 209 non recano un termine entro il quale i soggetti autorizzati ai sensi dell’articolo 7 debbano avviare tali sostanze e gli apparecchi contenenti PCB allo smaltimento finale.
Il comma 4, introdotto con un emendamento approvato nel corso dell’iter al Senato[106], punisce con una sanzione amministrativa pecuniaria – da 5.000 a 50.000 euro - il mancato smaltimento finale nei sei mesi indicati dal comma precedente. Tale obbligo non esonera dagli altri obblighi previsti dal decreto legislativo n. 209 e dalla legislazione vigente in materia di rifiuti.
Si ricordano brevemente i numerosi obblighi previsti nel decreto legislativo n. 209:
- l’art.3, comma 3, dispone un obbligo di comunicazione alle sezioni regionali e delle province autonome del catasto dei rifiuti da parte dei detentori di apparecchi contenenti PCB;
- l’art.5, comma 4, prevede un’ulteriore comunicazione alla provincia di appartenenza da parte degli utilizzatori di trasformatori prima della loro decontaminazione o smaltimento;
- l’art.6 impone un obbligo di etichettatura degli apparecchi contenenti PCB, diverso a seconda del volume di fluido in essi contenuto e per i trasformatori decontaminati;
- l’art. 7, comma 2, prevede che il detentore, prima della consegna dei PCB, dei PCB usati e degli apparecchi contenenti PCB ad un'impresa autorizzata, garantisca il rispetto delle condizioni di massima sicurezza, e in particolare che siano prese tutte le misure necessarie per evitare rischi di incendio.
- l’art. 8 indica quindi una serie di divieti quali la separazione dei PCB dalle altre sostanze a scopi di recupero e riutilizzo dei PCB medesimi, il riempimento dei trasformatori con PCB, lo smaltimento in discarica di PCB e di PCB usati, con alcune eccezioni, l'incenerimento dei PCB o dei PCB usati sulle navi e la miscelazione dei PCB e dei PCB usati con altre sostanze o fluidi, salvo alcuni casi espressamente indicati.
Infine, l’art. 10 prevede una serie di sanzioni amministrative pecuniarie e penali nei confronti di chi contravviene a tali obblighi e divieti.
Il comma 5 prevede che le comunicazioni che devono essere inviate con cadenza biennale alle ARPA (art. 3 del decreto legislativo n. 209) siano integrate con l’indicazione del programma temporale di cui al comma 1 dell'articolo in esame, nonché con l’indicazione dell’intero percorso di smaltimento (stoccaggio, trattamento, smaltimento) degli apparecchi contenenti PCB e dei PCB in essi contenuti.
L’art. 3 del decreto legislativo n. 209 prevede che la comunicazione che i detentori di apparecchi contenenti PCB per un volume superiore a 5 dm3 (inclusi i condensatori di potenza per i quali il limite di 5 dm3 deve essere inteso come comprendente il totale dei singoli elementi di un insieme composito) sono tenuti ad effettuare alle sezioni regionali e delle province autonome del catasto dei rifiuti, debba contenere le seguenti informazioni:
a) nome e indirizzo;
b) collocazione e descrizione degli apparecchi;
c) quantitativo e concentrazione di PCB contenuto negli apparecchi;
d) date e tipi di trattamento o sostituzione effettuati o previsti;
e) quantitativo e concentrazione di PCB detenuto;
f) data della denuncia effettuata ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 216.
Si osserva, infine, che le disposizioni contenute nell’articolo in commento potrebbero essere formulate quale novella al decreto legislativo n. 209.
Procedure di infrazione
Il 27 febbraio 2002 l’Italia è stata condannata dalla Corte di giustizia delle Comunità europee (Causa 46/01) per mancata comunicazione dei programmi, bozze di piano e sintesi degli inventari previsti dagli articoli 11 e 4, comma 1, della direttiva 96/59/CE concernente lo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili (PCB(PCT).
Entro il 16 settembre 1999 gli Stati membri avrebbero dovuto comunicare alla Commissione il programma per la decontaminazione e/o smaltimento degli apparecchi inventariati e dei PCB in essa contenuti; una bozza di piano per la raccolta e il successivo smaltimento degli apparecchi non soggetti a inventario, nonché la sintesi degli inventari degli apparecchi contenenti PCB per un volume superiore a 5 dm3 .
Il 9 luglio 2003 la Commissione ha inviato un nuovo parere motivato all’Italia, poiché non tutte le regioni hanno adempiuto inviando il piano previsto dalla direttiva 96/59/CE. La procedura risulta attualmente provvisoriamente archiviata.
Art. 17
(Delega al Governo per il recepimento della direttiva 2001/42/CE, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente)
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro e non oltre il 30 ottobre 2004, un decreto legislativo di recepimento della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere l'applicazione della valutazione ambientale strategica ai piani e programmi che possono avere effetti significativi sull'ambiente, nonché alle loro modifiche;
b) garantire l'informazione, lo svolgimento di consultazioni e l'accesso al pubblico, nonché la valutazione del risultato delle consultazioni e la messa a disposizione delle informazioni sulla decisione;
c) assicurare la valutazione delle opzioni alternative;
d) garantire la partecipazione al processo decisionale delle istituzioni preposte alla tutela ambientale e paesaggistica;
e) attuare forme di monitoraggio sugli effetti ambientali dei piani e dei programmi, anche al fine della tempestiva individuazione degli effetti negativi e della adozione delle misure correttive;
f) garantire adeguate consultazioni nei casi in cui un piano o un programma possa avere effetti sull'ambiente di un altro Stato membro;
g) assicurare la complementarietà con gli altri strumenti di valutazione d'impatto ambientale, ove previsti;
h) prevedere forme di coordinamento con piani e strumenti di pianificazione urbanistica e di gestione territoriale esistenti;
i) garantire la definizione di scadenze temporali definite ed adeguate per il procedimento.
2. All'onere derivante dal presente articolo si provvede mediante l'utilizzo delle maggiori entrate derivanti dall'aumento del 5 per cento della componente specifica dell'imposta di consumo sulle sigarette, in attuazione dell'articolo 5 della legge 7 marzo 1985, n. 76.
Il comma 1 dell’articolo in esame delega il Governo ad adottare un decreto legislativo di recepimento della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente, entro il 30 ottobre 2004. L’articolo in esame fissa quindi un termine più stringente rispetto a quello previsto dall’art. 1, comma 1, del presente ddl (18 mesi dalla data di entrata in vigore della legge).
Si ricorda che il termine di recepimento della direttiva è scaduto il 21 luglio 2004.
In estrema sintesi, si segnala che la direttiva 2001/42/CE introduce una valutazione ambientale strategica (VAS), che si pone come completamento e sviluppo - in quanto concerne piani e programmi e non solo progetti definitivi - della già disciplinata valutazione di impatto ambientale (VIA), istituita dalla direttiva 85/337/CEE. Per un esame dettagliato del contenuto della direttiva 2001/42/CE si rinvia alla relativa scheda del presente Dossier.
La direttiva 2001/42/CE è inserita nell’allegato B del disegno di legge comunitaria: lo schema di decreto legislativo di recepimento dovrà pertanto essere sottoposto al parere delle competenti Commissioni parlamentari.
Si ricorda, inoltre, che la direttiva in questione compariva già nell’allegato B della legge comunitaria 2001 (legge 1° marzo 2002, n. 39) e che il termine per l’esercizio della delega era stato prorogato al 31 dicembre 2003 in forza dell'articolo 13-nonies del decreto legge n. 236 del 2002 introdotto dalla legge di conversione n. 284 del 2002.
La norma individua, quindi, i seguenti princìpi e criteri direttivi per l’esercizio della delega:
a) prevedere l’applicazione della valutazione ambientale strategica ai piani e programmi che possono avere effetti significativi sull’ambiente, nonché alle loro modifiche;
Ciò corrisponde ad uno degli obiettivi della direttiva, che si propone di assicurare che “venga effettuata la valutazione ambientale di determinati piani e programmi che possono avere effetti significativi sull'ambiente” (art. 1).
b) garantire l’informazione, lo svolgimento di consultazioni e l’accesso al pubblico, nonché la valutazione del risultato delle consultazioni e la messa a disposizione delle informazioni sulla decisione;
Tale criterio mutua gli obblighi introdotti dalla direttiva agli artt. 6, 7, 9 e 10.
c) assicurare la valutazione delle opzioni alternative;
Tale esigenza viene enunciata nel 14° considerando della direttiva e poi ripresa nell’art. 5, comma 1, dove si dispone che nella redazione del rapporto ambientale, da predisporre ogniqualvolta si effettua la VAS, “siano individuati, descritti e valutati gli effetti significativi che l'attuazione del piano o del programma potrebbe avere sull'ambiente nonché le ragionevoli alternative alla luce degli obiettivi e dell'ambito territoriale del piano o del programma”.
d) garantire la partecipazione al processo decisionale delle istituzioni preposte alla tutela ambientale e paesaggistica;
Tale criterio si propone di dare attuazione al dettato dell’art. 6 della direttiva, secondo cui la proposta di piano o di programma ed il rapporto ambientale devono essere messi a disposizione, oltre che del pubblico, anche delle autorità indicate dagli Stati membri. In particolare il paragrafo 3 dell’art. 6 dispone che “Gli Stati membri designano le autorità che devono essere consultate e che, per le loro specifiche competenze ambientali, possono essere interessate agli effetti sull'ambiente dovuti all'applicazione dei piani e dei programmi”.
e) attuare forme di monitoraggio sugli effetti ambientali dei piani e dei programmi, anche al fine della tempestiva individuazione degli effetti negativi e della adozione delle misure correttive;
Tale criterio mutua gli obblighi introdotti dall’art. 10, par. 1, della direttiva.
f) garantire adeguate consultazioni nei casi in cui un piano o un programma possa avere effetti sull’ambiente di un altro Stato membro;
Tale criterio riprende le disposizioni dell’art. 7 della direttiva.
g) assicurare la complementarietà con gli altri strumenti di valutazione d’impatto ambientale, ove previsti;
Tale disposizione accoglie l’invito recato dal 19° considerando e ripreso dall’art. 11, par. 2, ai sensi del quale “Per i piani e i programmi in merito ai quali l'obbligo di effettuare una valutazione dell'impatto ambientale risulta contemporaneamente dalla presente direttiva e da altre normative comunitarie, gli Stati membri possono prevedere procedure coordinate o comuni per soddisfare le prescrizioni della pertinente normativa comunitaria, tra l'altro al fine di evitare duplicazioni della valutazione”.
h) prevedere forme di coordinamento con piani e strumenti di pianificazione urbanistica e di gestione territoriale esistenti;
Tale criterio - che sembra informato, analogamente al precedente, ad evitare forme di duplicazione-, raccoglie l’invito contenuto nel 9° considerando della direttiva, ove si legge che “La presente direttiva ha carattere procedurale e le sue disposizioni dovrebbero essere integrate nelle procedure esistenti negli Stati membri o incorporate in procedure specificamente stabilite. Gli Stati membri dovrebbero eventualmente tener conto del fatto che le valutazioni saranno effettuate a diversi livelli di una gerarchia di piani e programmi, in modo da evitare duplicati”.
i) garantire la definizione di scadenze temporali definite ed adeguate per il procedimento.
Tale disposizione ripropone quanto affermato nel 15° considerando della direttiva, secondo cui “Allo scopo di contribuire ad una maggiore trasparenza dell'iter decisionale nonché allo scopo di garantire la completezza e l'affidabilità delle informazioni su cui poggia la valutazione, occorre stabilire che le autorità responsabili per l'ambiente ed il pubblico siano consultate durante la valutazione dei piani e dei programmi e che vengano fissate scadenze adeguate per consentire un lasso di tempo sufficiente per le consultazioni, compresa la formulazione di pareri”.
Il comma 2 individua la fonte per la copertura degli oneri derivanti dall’attuazione della delega legislativa di cui al comma 1.
A questo fine, con il decreto legislativo di recepimento della direttiva 2001/42/CE potrà essere aumentata del 5% la componente specifica dell’imposta di consumo sulle sigarette.
Si ricorda che il meccanismo di determinazione dell’imposta di consumo sulle sigarette è disciplinato dal combinato disposto dell’articolo 6 della legge 7 marzo 1985, n. 76, con l’articolo 4, comma 1, del D.L. 30 gennaio 2004, n. 24, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2004, n. 87.
L’imposta di consumo sulle sigarette appartenenti alla classe di prezzo più richiesta[107] è determinata dall’applicazione dell’aliquota di base, attualmente fissata al 58%[108], al prezzo di vendita al pubblico delle sigarette appartenenti alla suddetta classe di prezzo. L’importo risultante è il c.d. importo di base (co. 2 dell’art. 6 della legge n. 76 del 1985).
Anche l’imposta di consumo sulle sigarette vendute ad un prezzo inferiore a quello delle sigarette appartenenti alla classe di prezzo più richiesta è pari al c.d. importo di base (art. 4, co. 1, D.L. n. 24 del 2004).
L’imposta di consumo sulle sigarette vendute ad un prezzo superiore a quello delle sigarette appartenenti alla classe di prezzo più richiesta è invece costituita dalla somma dei seguenti due elementi (co. 3 dell’art. 6):
§ un importo specifico fisso (si ritiene che tale espressione corrisponda alla componente specifica di cui alla norma in commento) pari al 5% della somma di:
- importo di base,
- ammontare dell’IVA sulle sigarette appartenenti alla classe di prezzo più richiesta;
§ un importo risultante dall’applicazione di un’aliquota proporzionale alprezzo di vendita al pubblico. Tale aliquota proporzionale corrisponde all’incidenza percentuale dell’importo di base, diminuito dell’importo specifico fisso, sul prezzo di vendita al pubblico delle sigarette della classe di prezzo più richiesta.
Secondo la disposizione del comma in esame, per le sigarette vendute ad un prezzo superiore a quello della classe di prezzo più richiesta, l’importo specifico che concorre a formare l’imposta di consumo,attualmente fissato al 5%, potrà essere aumentato fino al 5,25% della somma del c.d. importo di base e dell’ammontare dell’IVA sulle sigarette appartenenti alla classe di prezzo più richiesta.
Si evidenzia che non appare corretto il riferimento all’articolo 5 della legge 7 marzo 1985, n. 76, il quale individua le aliquote di base delle imposte di consumo sui tabacchi lavorati. Il riferimento normativo più appropriato potrebbe essere il sopra illustrato articolo 6 della stessa legge.
Documenti all’esame delle Istituzioni europee
La Commissione ha presentato orientamenti sull’attuazione della direttiva 2001/42/CE sulla valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente. Gli orientamenti hanno il fine di aiutare gli Stati membri ad attuare la direttiva stessa rispettandone le disposizioni e ricavandone i benefici previsti. Il termine per il recepimento della direttiva è il 21 luglio 2004.
Il documento è destinato ad aiutare gli Stati membri e i paesi in via di adesione a capire pienamente gli obblighi contenuti nella direttiva e ad assisterli nel recepimento nel diritto nazionale nonché a creare o a migliorare le procedure che daranno effetto agli obblighi giuridici. Il documento non viene considerato come definitivo, ma, nelle intenzioni della Commissione, potrà essere rivisto in futuro a seconda dell’esperienza che verrà acquisita con l’attuazione della direttiva e la giurisprudenza futura.
Art. 18
(Delega al Governo per la piena attuazione della direttiva 96/82/CE, come modificata dalla direttiva 2003/105/CE, sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose)
1. Per dare organico e corretto recepimento alla direttiva 96/82/CE sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose, il Governo è delegato ad adottare, entro il 1o luglio 2005, con le modalità di cui all'articolo 1, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, un decreto legislativo per recepire la direttiva 2003/105/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2003, che modifica la citata direttiva 96/82/CE, nonché per introdurre, contestualmente, le disposizioni correttive necessarie per superare i rilievi formulati dalla Commissione europea nell'ambito della procedura d'infrazione 2003/2014 avviata per recepimento non conforme della predetta direttiva 96/82/CE, apportando a tali fini le necessarie modifiche al decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334.
2. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
L’articolo in esame, introdotto da un emendamento approvato nel corso dell’iter al Senato[109], delega il Governo ad adottare un decreto legislativo per il recepimento della direttiva 96/82/CE (del Consiglio, del 9 dicembre 1996, sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose, cosiddetta Seveso II), come modificata dalla direttiva 2003/105/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2003, nonché per introdurre le disposizioni correttive necessarie per superare i rilievi formulati dalla Commissione europea nell’ambito della procedura d’infrazione avviata per recepimento non conforme della predetta direttiva 96/82/CE, apportando a tali fini le necessarie modifiche al decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, recante “Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose” (con il quale, per l’appunto, è stata recepita la suddetta direttiva).
Si ricorda che, mentre la precedente normativa aveva ad oggetto determinate attività industriali, le disposizioni del decreto legislativo n. 334 si applicano a tutti gli stabilimenti in cui siano presenti sostanze pericolose in quantità uguali o superiori a determinati valori, quindi anche alle aziende non connesse ad attività industriali. I soggetti tenuti a rispettare gli obblighi prescritti non sono più i soli fabbricanti (in quanto responsabili dell'attività industriale), ma i gestori (persone fisiche o giuridiche che gestiscono o detengono lo stabilimento o l'impianto, o che semplicemente detengono sostanze pericolose).
Il decreto legislativo ha anche provveduto ad un adeguamento degli aspetti più tecnici della normativa (individuazione delle categorie di rischio, rideterminazione dei quantitativi limite delle sostanze pericolose, inserimento di nuove sostanze pericolose), in particolare con riferimento all'evoluzione tecnologica nel comparto chimico.
Con due decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, entrambi del 9 agosto 2000, sono state emanate quindi le linee guida per l'attuazione del sistema di gestione della sicurezza secondo le indicazioni dell'allegato III del decreto legislativo n. 334[110], e sono state individuate le modifiche di impianti e di depositi, di processi industriali, della natura o dei quantitativi di sostanze pericolose che potrebbero costituire aggravio del preesistente livello di rischio[111].
Successivamente è stato emanato il Decreto del Ministero dell’interno del 19 marzo 2001[112] volto a disciplinare le procedure di prevenzione incendi relative ad attività a rischio di incidente rilevante.
Con il decreto del Ministro dei lavori pubblici del 9 maggio 2001[113] sono stati, inoltre, indicati i requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione urbanistica e territoriale per le zone interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante[114].
In adempimento al disposto dell'articolo 4, comma 3, del decreto legislativo n. 334, è stato emanato, con il DM ambiente 16 maggio 2001, n. 293[115], il regolamento recante la normativa specifica applicabile ai porti industriali e petroliferi ai fini della prevenzione degli incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose e di garantire livelli di sicurezza equivalenti a quelli stabiliti nel decreto legislativo n. 334.
In particolare, il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 non ha recepito pienamente le norme della direttiva 96/82/CEE relative alle caratteristiche del rapporto di sicurezza, la procedura di valutazione di tale rapporto sia riguardo a i nuovi stabilimenti sia a quelli già esistenti e non ha disciplinato le modalità di svolgimento delle ispezioni.
Il decreto legislativo da emanarsi dovrà quindi essere adottato su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio.
Il termine massimo per l’adozione del decreto è fissato al 1º luglio 2005, termine entro il quale gli Stati membri sono tenuti a conformarsi alle disposizioni della direttiva 2003/105/CE.
Si ricorda che la direttiva 2003/105/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2003 - emanata in seguito ad alcuni incidenti industriali rilevanti (si veda la scheda relativa alla direttiva 2003/105/CE nel presente Dossier) e in considerazione degli studi sulle sostanze cancerogene e sulle sostanze pericolose per l'ambiente acquatico - tende ad ampliare il campo di applicazione della direttiva 96/82/CE, che viene quindi novellata.
Essa quindi ha quindi previsto regole più stringenti soprattutto in relazione al problema della sicurezza negli stabilimenti a rischio di incidente rilevante. In particolare, la nuova direttiva include ora nel campo di applicazione:
- le operazioni di trattamento chimico e termico nell'industria mineraria;
- gli impianti funzionali di gestione degli sterili contenenti sostanze pericolose;
- le sostanze cancerogene.
La direttiva, inoltre, rafforza talune disposizioni in settori quali l’elaborazione del rapporto di sicurezza, i piani di emergenza interni ed esterni allo stabilimento, la trasmissione di informazioni sulle misure di sicurezza da adottare e sullo scambio di informazioni tra gli Stati su tutti i siti «Seveso» ubicati sul loro territorio (modifiche all’art. 19).
A seguito dell’approvazione dell’emendamento 12.1 del relatore[116] da parte della XIV Commissione della Camera, è stato aggiunto il comma 2, il quale stabilisce che dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Procedure di infrazione
Il 9 luglio 2003 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato per essere venuta meno agli obblighi derivanti dagli articoli 9, 17 e 18 della direttiva 1996/82/CE sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose. In particolare, la Commissione osserva che le previsioni del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 – di attuazione della direttiva 1996/82/CE – non recepiscono pienamente le norme relative alle caratteristiche del rapporto di sicurezza nonché alla procedura di valutazione di tale rapporto sia riguardo a i nuovi stabilimenti sia a quelli già esistenti.
La Commissione inoltre contesta che il citato decreto legislativo non disciplini le modalità di svolgimento delle ispezioni.
Art. 19
(Delega per l’attuazione della direttiva 2004/8/CE sulla promozione della cogenerazione nel mercato interno dell’energia)
1. Il Governo è delegato ad adottare, con le modalità di cui all'articolo 1, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro delle attività produttive, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell'economia e delle finanze e dell'ambiente e della tutela del territorio, un decreto legislativo per il recepimento della direttiva 2004/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 febbraio 2004, sulla promozione della cogenerazione basata su una domanda di calore utile nel mercato interno dell'energia e che modifica la direttiva 92/42/CEE, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) individuare le misure di promozione e sviluppo della cogenerazione, basate sulla domanda di calore utile e sul risparmio di energia primaria, secondo obiettivi di accrescimento della sicurezza dell'approvvigionamento energetico e dell'efficienza energetica;
b) assicurare la coerenza delle misure di promozione e sviluppo della cogenerazione di cui alla lettera a) con il quadro normativo e regolatorio nazionale sul mercato interno dell'energia elettrica e con le misure per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, garantendo altresì la stabilità del quadro normativo per gli investimenti effettuati;
c) prevedere l'avvio di un regime di garanzia d'origine dell'elettricità prodotta dalla cogenerazione ad alto rendimento e, in coordinamento con le amministrazioni territoriali interessate, l'istituzione di un sistema nazionale per l'analisi delle potenzialità della cogenerazione e per il monitoraggio sulle realizzazioni e sull'efficacia delle misure adottate, anche ai fini di cui agli articoli 6 e 10 della direttiva 2004/8/CE;
d) agevolare l'accesso alla rete dell'elettricità da cogenerazione ad alto rendimento e semplificare gli adempimenti amministrativi e fiscali, a parità di gettito complessivo, per la realizzazione di unità di piccola cogenerazione e di microcogenerazione.
2. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
L’articolo in esame delega il Governo ad adottare, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro delle attività produttive, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell'economia e delle finanze e dell'ambiente e della tutela del territorio, un decreto legislativo di recepimento della direttiva 2004/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 febbraio 2004, sulla promozione della cogenerazione basata su una domanda di calore utile nel mercato interno dell'energia e che modifica la direttiva 92/42/CEE.
La lettera in esame sembra rispondere a quanto previsto dall’articolo 7 della direttiva circa i regimi di sostegno alla cogenerazione che gli Stati membri sono tenuti ad adottare. Per un commento della direttiva si rinvio alla relativa scheda di lettura.
Si ricorda in proposito che l’articolo 1, comma 71, legge 23 agosto 2004 n. 239, prevede che abbiano diritto alla emissione dei certificati verdi, di cui all'articolo 11 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, e successive modificazioni: l'energia elettrica prodottacon l'utilizzo dell'idrogeno; l'energia prodotta in impianti statici con l'utilizzo dell'idrogeno ovvero con celle a combustibile; l'energia prodotta da impianti di cogenerazione abbinati al teleriscaldamento, limitatamente alla quota di energia termica effettivamente utilizzata per il teleriscaldamento.
Sotto il profilo comunitario, si ricorda, inoltre come direttiva in esame citi, nei considerando introduttivi, le osservazioni avanzate nel Libro verde «Verso una strategia europea per la sicurezza dell'approvvigionamento energetico» [117], circa l’opportunità di perseguire l’obiettivo della sicurezza dell’approvvigionamento energetico attraverso una pluralità di iniziative dirette, fra l'altro, alla diversificazione delle fonti e delle tecnologie. In tal senso, l'uso crescente della cogenerazione orientato verso il risparmio di energia primaria, viene considerato un elemento importante del pacchetto di misure necessarie per rispettare il Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni unite sul cambiamento climatico.
Tale criterio risponde agli obblighi di istituzione di un regime di garanzia d’origine e di analisi del potenziale nazionale per l'attuazione della cogenerazione ad alto rendimento, che gli artt. 5 e 6 della direttiva impongono agli Stati membri. Sul punto, si rinvia alla scheda di commento della direttiva.
In ordine al suddetto criterio direttivo, va tenuto presente che il comma 85 dell’articolo unico della citata legge 239/04, definisce di microgenerazione un impianto per la produzione di energia elettrica, anche in assetto cogenerativo, con capacità di generazione non superiore a 1 MW. Il successivo comma 86 prevede poi l’assoggettamento a norme autorizzative semplificate l’installazione di impianti di microgenerazione, prevedendo, in particolare, per gli impianti di generazione termoelettrici, gli stessi oneri tecnici ed autorizzativi di un impianto di generazione di calore con pari potenzialità termica. Tale criterio direttivo sembra inoltre rispondere a quanto previsto dall’articolo 8 della direttiva in esame, per un commento del quale si rinvia alla relativa scheda di lettura.
A seguito dell’approvazione dell’emendamento 12-bis.1 del relatore[118] da parte della XIV Commissione della Camera, è stato aggiunto il comma 2, il quale stabilisce che dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica
Documenti all’esame delle Istituzioni europee
Efficienza energetica
II 1 ° agosto 2003 è stata presentata una proposta di direttiva volta ad istituire un quadro normativo per l'elaborazione di specifiche disposizioni in materia di progettazione ecocompatibile dei prodotti che consumano energia(COM(2003)453).
AI fine di promuovere lo sviluppo sostenibile e l'integrazione delle considerazioni ambientali in politiche comunitarie come quelle riguardanti l’energia, il mercato interno e la competitività, la proposta mira ad istituire un quadro regolamentare per la progettazione di prodotti ecocompatibili con lo scopo di: garantire la libera circolazione dei prodotti che consumano energia all'interno dell'UE e migliorarne le prestazioni ambientali; contribuire alla sicurezza dell'approvvigionamento energetico; accrescere la competitività dell'economia dell'Unione; tutelare gli interessi dell'industria e dei consumatori.
La proposta, che segue la procedura di codecisione, è stata esaminata in prima lettura dal Parlamento europeo il 20 aprile 2004. Il Consiglio trasporti ed energia del 10-11 giugno 2004 ha raggiunto un accordo politico in vista della posizione comune che sarà adottata in una delle prossime sessioni.
Per quanto riguarda la promozione dell'efficienza energetica si segnala anche la proposta di direttiva[119] del 10 dicembre 2003, relativa all'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici(COM(2003)739).
La proposta, che è intesa a configurare l'efficienza energetica quale parte integrante del mercato interno dell'energia, fissa, in particolare, l’obbligo per gli Stati membri di raggiungere obiettivi di risparmio energetico pari all'1% annuo. Essa prevede anche un obiettivo di risparmio energetico da realizzare nel settore pubblico pari all'1,5% cumulativo annuo, da raggiungere mediante la realizzazione di servizi energetici, di programmi per l'efficienza energetica e di altre misure di efficienza energetica. Secondo la Commissione, i miglioramenti dell’efficienza energetica ottenuti grazie all’applicazione delle misure proposte, contribuiranno a ridurre le emissioni dei gas ad effetto serra e a migliorare la sicurezza dell'approvvigionamento energetico.
La proposta, che segue la procedura di codecisione, è stata trasmessa al Consiglio e al Parlamento europeo che dovrebbe esaminarla in prima lettura il 22 febbraio 2005.
Sicurezza degli approvvigionamenti energetici
Cfr. la scheda relativa all’art. 14.
Emissioni inquinanti
L’11 agosto 2003 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento su taluni gas fluorurati ad effetto serra (COM(2003)492) al fine di istituire un quadro normativo per la riduzione delle emissioni di idrofluorocarburi (HFC), perfluorocarburi (PFC) ed esafluoruro di zolfo, potenti gas ad effetto serra contemplati dal protocollo di Kyoto.
La proposta, che segue la procedura di
codecisione, è stata esaminata dal Parlamento europeo in prima lettura il 31
marzo 2004. Sulla proposta è attesa la posizione comune del Consiglio.
Il 7 gennaio 2004 la Commissione ha presentato una comunicazione sugli orientamenti per assistere gli Stati membri nell’applicazione ai rispettivi piani nazionali dei criteri indicati dalla direttiva 2003/87/CE per l’assegnazione delle quote di gas a effetto serra (COM(2003)830).
La presentazione dei piani delle quote che gli Stati intendono assegnare alle loro industrie - prevista dalla direttiva 2003/87/CE, che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra nella Comunità - era prevista entro il 31 marzo 2004. La Commissione ha peraltro avviato, nel mese di luglio 2004, procedure di infrazione nei confronti degli Stati membri (fra cui l’Italia) che non hanno ottemperato a tale obbligo (cfr. la scheda relativa all’art. 13).
La comunicazione è stata trasmessa al Consiglio e al Parlamento europeo.
Il 14 settembre 2004 la Commissione ha avviato la consultazione on line “Azioni in materia di cambiamento climatico dopo il 2012”, che si concluderà il 31 ottobre 2004. I contributi pervenuti verranno utilizzati, nelle intenzioni della Commissione, per predisporre la relazione sul cambiamento climatico destinata al Consiglio di primavera 2005 che tratterà, fra l’altro, la futura politica in materia di cambiamento climatico a livello mondiale e dell’Unione europea.
Art. 20
(Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2004/22/CE, relativa agli strumenti di misura)
1. Il Governo è delegato ad adottare, con le modalità di cui all'articolo 1, un decreto legislativo per il recepimento della direttiva 2004/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa agli strumenti di misura, secondo i seguenti principi e criteri direttivi:
a) prevedere la prescrizione dell'utilizzo, per le funzioni di misura di cui all'articolo 2, paragrafo 1, della direttiva, di tutti i dispositivi e sistemi con funzioni di misura definiti agli allegati specifici MI-001, MI-002, MI-003, MI-004, M1-005, MI-006, MI-007, MI-008, MI-009 e MI-010;
b) prevedere, per tutti gli strumenti di misura di cui agli allegati della direttiva, la valutazione della conformità, come previsto dall'articolo 9 della direttiva stessa;
c) prevedere l'obbligo dell'utilizzo di strumenti di misura recanti la marcatura di conformità, di cui all'articolo 7 della direttiva, nel caso la funzione della misura investa motivi di interesse pubblico, sanità pubblica, sicurezza pubblica, ordine pubblico, protezione dell'ambiente, tutela dei consumatori, imposizione di tasse e diritti, lealtà delle transazioni commerciali;
d) prevedere per il Ministero delle attività produttive la qualità di autorità competente per gli adempimenti connessi alla designazione, nel rispetto dei criteri previsti dall'articolo 12 della direttiva, nonché alla relativa notifica, agli Stati membri e alla Commissione europea, degli organismi nazionali abilitati ai compiti previsti dai moduli di valutazione della conformità, di cui all'articolo 9 della citata direttiva;
e) prevedere che gli strumenti di misura, soggetti a controlli metrologici legali, non conformi alle prescrizioni della direttiva, non possono essere commercializzati né utilizzati per le funzioni di cui alla lettera c);
f) prevedere che, qualora venga accertata l'indebita apposizione della marcatura «CE», nel rispetto delle disposizioni previste dall'articolo 21 della direttiva, vengano introdotte misure finalizzate a stabilire l'obbligo di:
1) conformarsi alle disposizioni comunitarie in materia di marcatura «CE»;
2) limitare o vietare l'utilizzo o la commercializzazione dello strumento di misura non conforme;
3) ritirare dal mercato, ove necessario, lo strumento non conforme;
g) prevedere sanzioni amministrative volte a dissuadere la commercializzazione e la messa in servizio di strumenti di misura non conformi alle disposizioni della direttiva;
h) prevedere l'armonizzazione della disciplina dei controlli metrologici legali intesi a verificare che uno strumento di misura sia in grado di svolgere le funzioni cui è destinato.
2. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
L’articolo 20 delega il Governo ad adottare un decreto legislativo per il recepimento della direttiva comunitaria 2004/22/CE, relativa agli strumenti di misura. Per le modalità di adozione rinvia all’articolo 1 del provvedimento in esame.
Il Governo, nell’attuazione della direttiva, dovrà attenersi ai principi e ai criteri specifici dettati dal comma 1 dell’articolo in commento.
Tali principi e criteri prevedono, in particolare:
a) la prescrizione dell'utilizzo di tutti i dispositivi e dei sistemi con funzioni di misura definiti agli allegati specifici MI-001, MI-002, MI-003, MI-004, M1-005, MI-006, MI-007, MI-008, MI-009 e MI-010, per le funzioni di misura per motivi di interesse, di sanità, di sicurezza e di ordine pubblici, protezione dell’ambiente, tutela dei consumatori, imposizione di tasse e diritti e lealtà nelle transazioni commerciali, individuate dall'articolo 2, paragrafo 1, della direttiva.
Per quanto concerne gli allegati sopra indicati, si ricorda che si tratta degli allegati specifici concernenti: i contatori dell'acqua (MI-001), i contatori del gas e i dispositivi di conversione del volume (MI-002), i contatori di energia elettrica attiva e trasformatori di misura (MI-003), i contatori di calore (MI-004), i sistemi di misura per la misurazione continua e dinamica di quantità di liquidi diversi dall'acqua (MI-005), gli strumenti per pesare a funzionamento automatico (MI-006), i tassametri (MI-007), le misure materializzate (MI-008), gli strumenti di misura della dimensione (MI-009) e gli analizzatori dei gas di scarico (MI-010);
b) la previsione della valutazione di conformità, per tutti gli strumenti di misura elencati negli allegati della direttiva, come previsto dal relativo articolo 9;
c) la previsione dell'obbligo dell'utilizzo di strumenti recanti la marcatura di conformità, in attuazione dell’articolo7 della direttiva, qualora la funzione della misura investa motivi di interesse pubblico, sanità pubblica, sicurezza pubblica, ordine pubblico, protezione dell'ambiente, tutela dei consumatori, imposizione di tasse e diritti, lealtà delle transazioni commerciali;
d) il riconoscimento del Ministero delle attività produttive quale autorità competente per la designazione - nel rispetto dei criteri fissati dall’art. 12 della direttiva - e la notifica alla Commissione e agli Stati membri degli organismi nazionali abilitati ai compiti previsti dai moduli di valutazione della conformità.
Si ricorda, in proposito, che i moduli di valutazione della conformità, previsti dall’art. 9 della direttiva, delineano le procedure e sonodescritti negli allegati da A ad H1 della direttiva stessa, mentre i criteri dettati dall’art. 12 della direttiva sono quelli che devono essere soddisfatti dagli organismi notificati.
e) la previsione del divieto di commercializzazione e di utilizzo - relativamente alle funzioni indicate alla precedente lettera c) - degli strumenti di misura, soggetti a controlli metrologici legali, non conformi alle prescrizioni della direttiva;
f) la previsione – in caso di accertamento di indebita apposizione della marcatura «CE» - dell’introduzione, nel rispetto delle disposizioni previste dall'articolo 21 della direttiva, di misure finalizzate ad introdurre l'obbligo di:
· conformità alle disposizioni comunitarie in materia di marcatura «CE»;
· limitazione o divieto di utilizzo o di commercializzazione dello strumento di misura non conforme;
· ritiro dal mercato dello strumento non conforme, qualora si renda necessario;
g) la previsione di sanzioni amministrative per dissuadere dalla commercializzazione e messa in servizio di strumenti di misura non conformi alle disposizioni della direttiva in commento;
h) la previsione dell'armonizzazione della disciplina dei controlli metrologici legali volti a verificare che uno strumento di misura sia in grado di svolgere le funzioni cui è destinato.
Si ricorda che la metrologia legale prevede una serie di controlli sugli strumenti di misurazione delle merci, al fine di garantire la legalità della misura dei beni nelle transazioni commerciali. In Italia il sistema di metrologia legale, istituito per fissare e mantenere unità di misura e peso legalmente obbligatorie, è stato introdotto dalla prima legge organica di unificazione del sistema di pesi e misure, adottata nel 1861 (legge n. 837 del 28 luglio 1891). La disciplina attuale in materia è contenuta nel testo unico n. 7088 del 23 agosto 1890 e successive modificazioni, seguito dal regolamento esecutivo approvato con regio decreto n. 776 del 1907 e dal regolamento n. 747 del 1909, che organizza il servizio metrico statale. Si ricorda, altresì, che l’art 8, co.1, della legge 29 luglio 2003, n. 229 (Legge di semplificazione 2001), ha delegato il Governo ad adottare (entro il 9 marzo 2004), uno o più D.Lgs. per il riassetto delle disposizioni in materia di metrologia legale. I termini per l’adozione del decreto, scaduti nel marzo scorso, sono stati prorogati al 9 marzo 2005 dall’art. 2, comma 7 della legge 27 luglio 2004, n. 186, di conversione del DL 136/04, recante disposizioni urgenti per garantire la funzionalità di taluni settori della pubblica amministrazione.
Per un esame più dettagliato della direttiva, si rinvia all’apposita scheda.
A seguito dell’approvazione dell’emendamento 12-ter.1 del relatore[120] da parte della XIV Commissione della Camera, è stato aggiunto il comma 2, il quale stabilisce che dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica
Art. 21
(Delega per l’attuazione della direttiva 2004/67/CE sulle misure per l’approvvigionamento di gas naturale)
1. Al fine di garantire un adeguato livello di sicurezza dell'approvvigionamento di gas naturale, il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, con le modalità di cui all'articolo 1, uno o più decreti legislativi per dare attuazione alla direttiva 2004/67/CE del Consiglio, del 26 aprile 2004, concernente misure volte a garantire la sicurezza dell'approvvigionamento di gas naturale, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) stabilire norme per la sicurezza degli approvvigionamenti trasparenti e non discriminatorie cui devono conformarsi i soggetti operanti nel sistema nazionale del gas, specificandone i ruoli e le responsabilità;
b) stabilire misure atte ad assicurare un adeguato livello di sicurezza per i clienti civili nelle eventualità di una parziale interruzione degli approvvigionamenti o di avversità climatiche o di altri eventi eccezionali, nonché la sicurezza del sistema elettrico nazionale nelle stesse circostanze;
c) stabilire gli obiettivi minimi indicativi in relazione al contributo alla sicurezza degli approvvigionamenti che deve essere fornito dal sistema nazionale degli stoccaggi di gas naturale in sotterraneo;
d) definire strumenti ed accordi con altri Stati membri per l'utilizzo condiviso, qualora le condizioni tecniche, geologiche e infrastrutturali lo consentano, di stoccaggi di gas naturale in sotterraneo tra più Stati;
e) stabilire procedure per la redazione e l'aggiornamento dei piani di emergenza nazionali per il sistema del gas naturale, per il loro coordinamento a livello di Unione europea e per la gestione di emergenze dei sistemi nazionali del gas naturale di uno o più Stati membri;
f) prevedere che il Ministero delle attività produttive predisponga ogni tre anni il programma pluriennale per la sicurezza degli approvvigionamenti di gas naturale e che tale programma venga presentato al Parlamento prevedendo strumenti per migliorare la sicurezza del sistema nazionale del gas e misure per lo sviluppo delle capacità di stoccaggio di gas naturale in sotterraneo.
2. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
L’articolo 21delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per l’attuazione della direttiva 2004/67/CE del Consiglio, concernente misure volte a garantire la sicurezza dell'approvvigionamento di gas naturale, secondo le modalità stabilite dall’articolo 1 della stesso disegno di legge comunitaria.
Il termine ultimo fissato per l’adozione della decreto legislativo è di un anno dall’entrata in vigore del provvedimento in esame, mentre i principi e i criteri direttivi ai quali si dovrà attenere il Governo prevedono che si stabiliscano:
a) norme per la sicurezza degli approvvigionamenti trasparenti e non discriminatorie, cui debbono conformarsi i soggetti operanti nel sistema nazionale del gas, specificandone i ruoli e le responsabilità;
Tale criterio sembra rispondere a quanto previsto dagli articoli 1 e 3 della direttiva 2004/67/CE, per ciò che attiene agli obiettivi della stessa e alle politiche che gli Stati membri debbono intraprendere per garantire la sicurezza nell’approvvigionamento del gas.
b) misure in grado di assicurare un adeguato livello di sicurezza in caso di parziale interruzione degli approvvigionamenti, di avversità climatiche o di altri eventi eccezionali, non solo per i clienti civili ma anche per la sicurezza del sistema elettrico nazionale nel caso si verifichino circostanze analoghe;
Tale criterio sembra richiamare l’art. 4 della direttiva, circa la sicurezza dell’approvvigionamento per clienti specifici. Si osserva, peraltro, come il riferimento alla sicurezza del sistema elettrico appaia ultroneo rispetto alla materia della direttiva in esame, che concerne esclusivamente l’approvvigionamento del gas naturale.
c) obiettivi minimi indicativi con riferimento al contributo alla sicurezza degli approvvigionamenti che deve essere fornito dal sistema nazionale degli stoccaggi di gas naturale in sotterraneo;
Tale criterio pare conformarsi all’art. 4, comma 4, della direttiva, laddove si prevede, in particolare, che gli Stati membri, tenendo debitamente conto delle condizioni geologiche del loro territorio e della fattibilità economica e tecnica, possano anche adottare le misure necessarie ad assicurare che gli impianti di stoccaggio di gas situati nel loro territorio apportino il contributo idoneo ad ottemperare alle norme in materia di sicurezza dell'approvvigionamento.
d) strumenti ed accordi con altri Stati membri per l'utilizzo condiviso di stoccaggi di gas naturale in sotterraneo, nei casi in cui le condizioni tecniche, geologiche e infrastrutturali lo consentano
La lettera in esame sembra richiamare l’art. 4, co. 5, della direttiva, laddove si prevede, in particolare, che se è disponibile un adeguato livello di interconnessione, gli Stati membri possono adottare, in cooperazione con un altro Stato membro, misure idonee ad ottemperare alle norme in materia di sicurezza dell'approvvigionamento, utilizzando impianti di stoccaggio di gas situati nel territorio dell'altro Stato membro. Tali misure, tra le quali rientrano gli accordi bilaterali, non ostacolano il corretto funzionamento del mercato interno del gas.
e) procedure finalizzate alla redazione e all’aggiornamento dei piani di emergenza nazionali per il sistema del gas naturale, nonché per il relativo coordinamento a livello di Unione europea e per la gestione di emergenze dei sistemi nazionali del gas naturale di uno o più Stati membri;
f) la predisposizione ogni tre anni, da parte del Ministero delle attività produttive, del programma pluriennale per la sicurezza degli approvvigionamenti di gas naturale, che dovrà essere presentato al Parlamento adottando, oltre a strumenti volti a migliorare la sicurezza del sistema nazionale del gas, misure finalizzate allo sviluppo delle capacità di stoccaggio di gas naturale in sotterraneo.
Tale criterio sembra conformarsi a quanto previsto nell’articolo 8 della direttiva, circa le misure di emergenza nazionali che gli Stati membri sono tenuti a predisporre in anticipo, ed eventualmente aggiornare, comunicandole alla Commissione.
Si ricorda, infine, come importanti disposizioni relative al settore del gas naturale siano contenute nella legge n. 239 del 23 agosto 2004, di riordino del settore energetico. In particolare, proprio al fine di favorire la sicurezza nell’approvvigionamento di gas naturale, l’articolo 1, comma 17, prevede che i soggetti che investono, direttamente o indirettamente, nella realizzazione di nuove infrastrutture di interconnessione tra le reti nazionali di trasporto di gas degli Stati membri dell'Unione europea e la rete di trasporto italiana, nella realizzazione in Italia di nuovi terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto e di nuovi stoccaggi in sotterraneo di gas naturale, o in significativi potenziamenti delle capacità delle infrastrutture esistenti sopra citate, tali da permettere lo sviluppo della concorrenza e di nuove fonti di approvvigionamento di gas naturale, possono richiedere, per la capacità di nuova realizzazione, un'esenzione dalla disciplina che prevede il diritto di accesso dei terzi . L'esenzione dal diritto di accesso è accordata “caso per caso” dal "Ministero delle attività produttive", previo parere dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas.
Riguardo alla adozione di indirizzi per continuità, sicurezza, approvvigionamenti, si ricorda come, a norma dell’art. 28, c. 2, del D.Lgs. n. 164 del 2000, il Ministero delle attività produttive provveda alla sicurezza, all’economicità e alla programmazione a lungo termine del sistema nazionale del gas, anche mediante specifici indirizzi volti a salvaguardare la continuità e la sicurezza degli approvvigionamenti, il funzionamento coordinato del sistema degli stoccaggi, ed a ridurre la vulnerabilità del sistema nazionale del gas.
A seguito dell’approvazione dell’emendamento 12-quater.1 del relatore[121] da parte della XIV Commissione della Camera, è stato aggiunto il comma 2, il quale stabilisce che dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica
Documenti all’esame delle Istituzioni europee
Si veda la scheda sub art. 15.
Art. 22
(Disposizioni in materia di rinnovo dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi)
1. L'ultimo periodo dell'articolo 6, comma 2, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e successive modificazioni, è soppresso.
2. I contratti per acquisti e forniture di beni e servizi, già scaduti o che vengano a scadere nei sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della presente legge, possono essere prorogati per il tempo necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica a condizione che la proroga non superi comunque i sei mesi e che il bando di gara venga pubblicato entro e non oltre novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
L’articolo in esame è volto a correggere le condizioni e le procedure di rinnovo dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi.
Le modifiche normative comportano la soppressione dell’ultimo periodo dell’art. 6, comma 2, della legge 24 dicembre 1993, n. 537[122], come modificato dall’articolo 44 della legge 23 dicembre 1994, n. 724[123] (comma 1 dell’articolo in commento) e l’aggiunta di nuove disposizioni (comma 2 dell’articolo in commento), non formulate quali novelle di testi normativi vigenti.
Con il comma 1 si prevede l’abrogazione di una disposizione introdotta nel 1994 (in particolare, all’articolo 6, comma 2, della legge n. 537 del 1993, alla stregua della riformulazione operata dall'articolo 44 della L. n. 724 del 1994)[124] secondo la quale è ammessa la possibilità di un rinnovo al medesimo contraente (senza ricorso a nuova procedura di gara) dei contratti di forniture e servizi delle pubbliche amministrazioni, purché tale rinnovo avvenga entro tre mesi dalla scadenza dei contratti, e sempre che le amministrazioni accertino la sussistenza di ragioni di convenienza e di pubblico interesse per il rinnovo dei contratti medesimi; verificata detta sussistenza, le amministrazioni comunicano al contraente la volontà di procedere alla rinnovazione.
Si ricorda che il primo periodo dello stesso comma 2 dell’articolo 6 prevede – in via generale - il divieto di rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi e, per tale parte, la norma resterà in vigore.
La disposizione che risulterebbe soppressa sarebbe, quindi, quella relativa alla possibilità di procedere al rinnovo, ma in forma esplicita e subordinatamente al sussistere delle condizioni sopra riportate.
La procedura prevista dal citato art. 6, comma 2, ultimo periodo, che qui verrebbe abrogata, non appare conforme ai principi del diritto comunitario, in primo luogo in quanto non prevede l’obbligo per le amministrazioni che intendano avvalersi della facoltà di rinnovo, di rendere pubblica tale possibilità sin dall’origine della procedura di evidenza pubblica da cui si origina il successivo contratto (cioè nello stesso bando di gara).
Tali disposizioni sono state oggetto di censure da parte della Commissione europea, espresse nel parere motivato del 16 dicembre 2003 (procedura d’infrazione n. 2003/2110), per contrasto con gli articoli 11, 15 e 17 della direttiva 92/50/CEE, in materia di appalti pubblici di servizi, con gli articoli 6 e 9 della direttiva 93/36/CEE, in materia di appalti pubblici di forniture e con i princìpi di non discriminazione e di trasparenza, preordinati ad assicurare le libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi contemplate dagli articoli 43 e 49 del Trattato CE.
La Commissione europea ha infatti ritenuto che la citata disposizione della legge 24 dicembre 1993, n. 537, consentirebbe alle amministrazioni pubbliche di attribuire in modo diretto, e senza ricorrere ad alcuna procedura di messa in concorrenza, quelli che in realtà sono nuovi appalti di servizi e di forniture, sostanzialmente aggirando i vincoli del diritto comunitario a tutela della concorrenza e la trasparenza nel settore degli appalti pubblici.
La direttiva 92/50/CEE del Consiglio, del 18 giugno 1992 disciplina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi. Essa è stata recepita in Italia con il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157[125].
In particolare, l’art.11 della direttivastabilisce le procedure che le amministrazioni pubbliche sono tenute a seguire nell’aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, definendo i casi in cui le stesse possono procedere mediante procedura negoziata, previa pubblicazione di un bando di gara (art.11, co.2)[126]; quelli in cui si può procedere mediante procedura negoziata non preceduta dalla pubblicazione di un bando di gara (art.11, co.3) ed, infine, tutti i casi in cui le amministrazioni aggiudicano gli appalti pubblici di servizi con procedura aperta ovvero con procedura ristretta (art.11, co.4)[127].
L’art.15 reca le norme comuni di pubblicità che le pubbliche amministrazioni aggiudicatrici devono seguire al fine di garantire la regolarità nell’aggiudicazione degli appalti di servizi, rendendo noti gli appalti pubblici che intendono aggiudicare, indipendentemente dalla procedura, tramite un bando di gara.
Infine, l’art.17, disciplinando anch’esso le norme di pubblicità da seguire, stabilisce le modalità di redazione, di invio e di pubblicazione dei bandi o avvisi di gara.
La direttiva 93/36/CEE del 14 giugno 1993 del Consiglio che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture. Essa è stata recepita in Italia con il decreto legislativo 24 luglio 1992, n. 358, modificato successivamente dal D.Lgs. 20 ottobre 1998, n. 402.
La direttiva 93/36/CEE disciplina all’articolo 6 le ipotesi di aggiudicazione degli appalti di forniture mediante procedura negoziata, preceduta dalla pubblicazione di un bando di gara; quelle di aggiudicazione mediante procedura negoziata non preceduta dalla pubblicazione di un bando di gara ed, infine, i casi di aggiudicazione con procedura aperta ovvero con procedura ristretta.
L’art.9 della dir. 93/36/CEE disciplina le norme comuni di pubblicità che le pubbliche amministrazioni devono seguire nell’aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture.
Infine, si ricorda che l’art. 43 del Trattato che istituisce la Comunità europea disciplina il diritto di stabilimento, stabilendo, al paragrafo 2, che: “La libertà di stabilimento importa l'accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società (…)”.
L’art. 49 dello stesso Trattato disciplina invece le prestazioni di servizi, stabilendo al paragrafo 1, che: “Le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno della Comunità sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità che non sia quello del destinatario della prestazione”.
Gli unici casi in cui il diritto comunitario ammette deroghe ai principi generali in materia di appalti di servizi e forniture sopra riferiti vanno riportati alle specifiche disposizioni presenti nelle direttive, che espressamente elencano alcuni casi, sottoponendoli peraltro a numerose condizioni. In particolare,
§ Per gli appalti di servizi, occorre riferirsi all’art. 11, par. 3, lettere e) ed f) della direttiva 92/50 (casi di “servizi complementari diventati necessari a causa di circostanze impreviste” e di “servizi conformi ad un progetto di base”);
§ Per gli appalti di forniture, occorre invece all’articolo 6 della direttiva 93/36 (caso di “consegne complementari effettuate dal fornitore originario”).
La norma italiana non è evidentemente conforme a tali disposizioni.
Si osserva poi che, nella relazione illustrativa al disegno di legge comunitaria (A.S.2742), si afferma che “le norme in questione interpretate sistematicamente risultano di già abrogate[128]. Tuttavia le censure mosse dalla Commissione nondimeno muovono dalla constatazione di pronunce giurisprudenziali e prassi amministrative, orientate nel senso di ammettere la vigenza delle norme in questione”.
L'emanazione di "apposita norma interpretativa" (così viene definito, nella relazione, l'intervento legislativo in esame) sarebbe funzionale alla conclusione della procedura d'infrazione, a fronte della obiettiva incertezza interpretativa riscontrata anche nelle giurisdizioni superiori.
Si osserva, tuttavia – anche ai fini della previsione degli effetti della nuova norma sulle procedure di infrazione in corso - che la formulazione delle disposizioni in commento non reca l’esplicita indicazione della loro natura di norme interpretative e quindi la espressa clausola di retroattività[129]: non può escludersi, pertanto, che essa sia diversamente intesa dalla giurisprudenza, cioè quale "norma innovativa".
Per quanto concerne l’incertezza interpretativa cui fa riferimento la relazione illustrativa al disegno di legge comunitaria, si ricorda che la V sezione del Consiglio di Stato, nella sentenza 19 febbraio 2003, n. 921, ha ritenuto sussistente una (almeno parziale) abrogazione tacita della disposizione qui oggetto di abrogazione espressa.
La stessa sezione, tuttavia, nella successiva sentenza 31 dicembre 2003, n. 9302, sembrerebbe aver mutato indirizzo interpretativo, sostenendo di fatto la perdurante vigenza della norma de qua.
La decisione da ultimo citata, inoltre, chiarisce taluni profili interpretativi relativi alla disciplina sui rinnovi contrattuali, affermando che:
1) il rinnovo è cosa diversa dalla proroga;[130]
2) la proroga, anche tacita, non ricade nel divieto di cui all’articolo 6, comma 2, della legge 537/1993;[131]
3) il termine di tre mesi per procedere al rinnovo decorre dalla scadenza del contratto, non dai tre mesi antecedenti tale scadenza.[132]
Il comma 2 dell’articolo in esame, introdotto nel corso dell’esame in Commissione al Senato[133] ha lo scopo - come si evince dalla relazione illustrativa al testo-A del d.d.l. A.S.2742 - di attenuare il rigore del divieto di rinnovo espresso, derivante dalla abrogazione disposta dal comma precedente, e di garantire continuità nella fruizione dei servizi, offrendo alle stazioni appaltanti un congruo periodo temporale per predisporre le gare.
La disposizione ha carattere transitorio e esplicherà i suoi effetti limitatamente ai contratti per acquisti e forniture di beni e servizi già scaduti o che vengano a scadere nei sei mesi successivi all’entrata in vigore della legge comunitaria in commento. Per tale motivo, fra l’altro, tale disposizione non è formulata come novella all’articolo 6 della legge n. 537 del 1993.
In sostanza, la disposizione permette di prorogare i detti contratti per il tempo necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica a condizione che la proroga non superi comunque i sei mesi, e che si provveda a pubblicare i bandi di gara per la stipula dei nuovi contratti entro i novanta giorni successivi alla data di entrata in vigore della legge stessa.
Si segnala da ultimo che, in materia di appalti pubblici, sono di recente entrate in vigore due nuove direttive europee. Si tratta, in particolare, della direttiva 2004/18/CE e della direttiva 2004/17/CE, entrambe del 31 marzo 2004, dirette a riunire in testi unici, le direttive vigenti rispettivamente nel settore “classico” (forniture, servizi e lavori) e nei settori “speciali” (acqua, energia, trasporto e servizi postali), entrate in vigore il 30 aprile 2004.
Le due direttive rappresentano la novità più rilevante degli ultimi dieci anni nella disciplina degli appalti. I testi, infatti, contengono alcuni aspetti e principi molto innovativi degli istituti e delle procedure di appalto, che avranno un impatto diretto e indiretto sulle pubbliche amministrazioni e che potranno, in prospettiva, condizionare fortemente la legislazione e la prassi degli ordinamenti interni.
Tre sono gli obiettivi principali perseguiti dalle nuove direttive. Primo: la semplificazione e razionalizzazione normativa, attraverso la regolazione uniforme di aspetti procedurali e formali che, pur sostanzialmente analoghi, ricevevano ancora una disciplina differente a seconda dell’oggetto dell’appalto (come, ad esempio, per quanto riguarda le “soglie”). Secondo: la modernizzazione, con particolare riferimento alla piena applicazione al settore degli appalti dell’utilizzo delle nuove tecnologie informatiche e telematiche, non solo nelle comunicazioni, ma anche nelle stesse procedure di gara (disciplina delle aste telematiche e centrali di acquisto). Terzo: la flessibilità, con l’introduzione o il rafforzamento di procedure e istituti innovativi più flessibili che riconoscano una maggiore libertà di azione ai committenti pubblici, come nell’ipotesi dell’accordo quadro (in precedenza limitato ai settori speciali) o dell’appalto integrato (istituto nuovo, che trova applicazione soprattutto negli appalti particolarmente complessi dove l’amministrazione ha la necessità di chiarire e approfondire alcuni aspetti tecnici prima di avviare la procedura di gara).[134]
Gli Stati membri sono tenuti a recepire le citate direttive entro il 31 gennaio 2006.
Procedure di infrazione
Il 16 dicembre 2003 la Commissione ha notificato all’Italia un parere motivato nel quale rileva che l’articolo 44 della legge 724/1994 (legge finanziaria 1995) - che ha modificato l’art. 6 della legge 573/1993 (legge finanziaria 1994) - viola gli articoli 11, 15 e 17 della direttiva 92/50/CEE, in materia di appalti pubblici di servizi, gli articoli 6 e 9 della direttiva 93/36/CEE, in materia di appalti pubblici di forniture, ed i princìpi di non discriminazione e di trasparenza, preordinati ad assicurare le libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi contemplate dagli articoli 43 e 49 del Trattato CE. Il termine entro il quale adottare i provvedimenti per conformarsi al parere stesso è indicato in due mesi.
La norma in questione ha vietato il rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni per fornitura di beni e servizi e ha previsto che entro tre mesi dalla scadenza dei contratti, dopo le opportune e necessarie verifiche di convenienza e pubblico interesse, le amministrazioni comunichino al contraente la volontà di procedere al rinnovo.
La Commissione osserva che tale disciplina viola i principi della libera prestazione di servizi e di libertà di stabilimento, che implicano l’obbligo di aggiudicare i contratti di appalto pubblico a seguito di adeguate procedure di messa in concorrenza. In particolare, per gli appalti di forniture vige il principio del rispetto delle regole di pubblicità e partecipazione. In base alle normative italiane in vigore, al contrario, le amministrazioni italiane possono rinnovare al medesimo affidatario un nuovo contratto di appalto senza il rispetto di tutte le procedure previste dalle citate direttive, che, ad esempio, in molti casi prevedono l’obbligo di procedere alla pubblicazione del bando sulla Gazzetta ufficiale dell’UE.
Documenti all’esame delle Istituzioni europee
Il 30 aprile 2004 la Commissione ha presentato un Libro verde relativo ai partenariati pubblico-privati e aldiritto comunitariodegli appalti pubblici e delle concessioni(COM(2004) 327 def.).
La Commissione intende in tal modo avviare un dibattito sull’applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni al partenariato pubblico-privato. A tale scopo ha invitato tutte le parti interessate a trasmettere le proprie osservazioni e commenti entro il prossimo 30 luglio.
Il Libro verde precisa che, anche se nel regime comunitario non sono presenti regole specifiche per il partenariato, qualunque atto attraverso il quale un’impresa pubblica affida la prestazione di un’attività economica ad un terzo deve essere esaminato alla luce delle norme e dei principi del Trattato (artt. 43 e 49), relativi alla trasparenza, alla parità di trattamento, alla proporzionalità e al mutuo riconoscimento. Il Parlamento europeo ha invitato la Commissione a valutare l’eventualità di adottare una proposta di direttiva volta a regolamentare in maniera omogenea il settore delle concessioni e di altre forme di partenariato pubblico-privato.
Art. 23
(Modifiche alla legge 11 febbraio 1994, n. 109, al decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157 ed al Decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554)
1. L'articolo 8, comma 11-quater, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, è sostituito dal seguente:
«11-quater. Le imprese alle quali venga rilasciata da organismi accreditati, ai sensi delle norme europee della serie UNI CEI EN 45000, la certificazione di sistema di qualità conforme alle norme europee della serie UNI CEI ISO 9000 ovvero la dichiarazione della presenza di elementi significativi e tra loro correlati di tale sistema, usufruiscono del beneficio che la cauzione e la garanzia fidejussoria, previste rispettivamente dal comma 1 e dal comma 2 dell'articolo 30 della presente legge, sono ridotte, per le imprese certificate, del 50 per cento».
2. All'articolo 2, comma 1, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, il secondo periodo è sostituito dai seguenti: «Nei contratti misti di lavori, forniture e servizi e nei contratti di forniture o di servizi quando comprendono lavori si applicano le norme della presente legge qualora i lavori assumano rilievo superiore al 50 per cento. Quest'ultima disposizione non si applica ove i lavori abbiano carattere meramente accessorio rispetto all'oggetto principale dedotto in contratto».
3. All'articolo 3 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157, il comma 3 è sostituito dal seguente:
«3. Nei contratti misti di lavori e servizi e nei contratti di servizi quando comprendono lavori si applicano le norme della legge 11 febbraio 1994, n. 109, qualora i lavori assumano rilievo economico superiore al 50 per cento. Questa disposizione non si applica ove i lavori abbiano carattere meramente accessorio rispetto all'oggetto principale dedotto in contratto».
4. L'articolo 17, comma 12, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, è sostituito dal seguente:
«12. Per l'affidamento di incarichi di progettazione ovvero della direzione dei lavori il cui importo stimato sia inferiore a 100.000 euro, le stazioni appaltanti, per il tramite del responsabile del procedimento, possono procedere all'affidamento ai soggetti di cui al comma 1, lettere d), e), f) e g), nel rispetto dei princìpi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza».
5. All'articolo 30, comma 6-bis, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, il secondo periodo è sostituito dal seguente: «Gli incarichi di verifica di ammontare inferiore alla soglia comunitaria possono essere affidati a soggetti scelti nel rispetto dei princìpi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza».
6. L'articolo 17, comma 14, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, è sostituito dal seguente:
«14. Nel caso in cui il valore delle attività di progettazione e direzione lavori superi complessivamente la soglia di applicazione della direttiva comunitaria in materia, l'affidamento diretto della direzione dei lavori al progettista è consentito soltanto ove espressamente previsto dal bando di gara della progettazione».
7. All'articolo 188 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554, sono abrogati i commi 8, 9, 10 e 11.
8. All'articolo 37-bis, comma 2-bis, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «L'avviso deve indicare espressamente che è previsto il diritto a favore del promotore ad essere preferito ai soggetti previsti dall'articolo 37-quater, comma 1, lettera b), ove lo stesso intenda adeguare il proprio progetto alle offerte economicamente più vantaggiose presentate dai predetti soggetti offerenti. Con apposito decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sono disciplinati gli effetti sulle procedure in corso che non si siano ancora chiuse a seguito di aggiudicazione, i cui avvisi indicativi pubblicati prima della data del 31 gennaio 2004 non contengano quest'ultima indicazione espressa».
9. L'amministrazione aggiudicatrice ovvero il soggetto aggiudicatore di un appalto pubblico, all'atto di una aggiudicazione definitiva, ne invia comunicazione ai concorrenti non aggiudicatari, provvedendo allo svincolo delle garanzie provvisorie eventualmente prestate da questi soggetti per la partecipazione alla gara.
L'articolo 23 modifica alcune disposizioni della legge 11 febbraio 1994, n. 109, Legge quadro in materia di lavori pubblici (c.d. “legge Merloni”), relative ai seguenti oggetti:
§ rapporti fra certificazione di qualità e qualificazione per la partecipazione ad appalti di lavori;
§ contratti misti;
§ progettazione e direzione dei lavori;
§ procedure di collaudo;
§ disciplina del promotore;
§ svincolo delle garanzie e coperture assicurative.
Le modifiche, secondo la relazione governativa al disegno di legge comunitaria, hanno la finalità di chiudere la procedura d’infrazione n. 2001/2182, avviata dalla Commissione europea nei confronti della repubblica italiana con una lettera di messa in mora risalente al 17 dicembre 2002 con la quale sono state contestate una serie di disposizioni della legge n. 109 del 1994, come modificata dall’articolo 7 della legge 1° agosto 2002, n. 166, (cd “collegato infrastrutturale”). Successivamente, in data 15 ottobre 2003, la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato con il quale ha invitato il Governo italiano a conformarsi ai rilievi in esso contenuti, entro e non oltre il termine di due mesi a decorrere dalla sua notifica.
Si ricorda inoltre che nella lettera di messa in mora della Commissione del 17 dicembre 2002 erano state contestate anche alcune disposizioni della legge n. 109 del 1994 (art. 2, comma 5) relative alla disciplina degli interventi eseguiti da privati a scomputo degli contributi di urbanizzazione; in relazione a tali aspetti, tuttavia, non sono state introdotte modifiche normative nell’articolo in esame.
Secondo la Commissione europea, alcune norme della disciplina in materia di lavori pubblici della legge quadro n. 109 del 1994, come da ultimo modificata dalla legge n. 166 del 2002, sono in contrasto con il diritto comunitario in materia di appalti pubblici e concessioni, in particolare con alcune disposizioni contenute nelle direttive 93/37/CEE, 93/361CEE, 92/50/CEE e 93/38/CEE, nonché con gli articoli 43 e 49 del trattato CE e con i principi di trasparenza e di parità dì trattamento che ne costituiscono il corollario.
Il comma 1 dell'articolo in esamesostituisce il comma 11-quater dell’articolo 8 della "legge Merloni" riducendo da due ad una le ipotesi di beneficio a favore delle imprese “certificate”.
Infatti, secondo il testo vigente del comma 11-quater le imprese in possesso della certificazione di sistema di qualità conforme alle norme europee della serie UNI CEI ISO 9000[135] (ovvero la dichiarazione della presenza di elementi significativi e tra loro correlati di tale sistema)[136], ai sensi dell’art. 8, comma 3, lett. a) e b), usufruiscono di due benefici:
§ la cauzione[137] e la garanzia fidejussoria (previste, rispettivamente, dal comma 1 e dal comma 2 dell’articolo 30 della stessa “legge Merloni”) sono ridotte del 50 per cento[138];
§ nel caso di appalto concorso, le stazioni appaltanti prendono in considerazione la certificazione del sistema di qualità, ovvero la dichiarazione della presenza di elementi significativi e tra loro correlati di tale sistema, in aggiunta agli elementi variabili (indicati al comma 2 dell'articolo 21 della stessa “legge Merloni”)[139].
Sul primo dei benefici, appare utile richiamare la determinazione dell’Autorità di vigilanza per i lavori pubblici n. 21 del 3 dicembre 2003, nella quale vengono recati chiarimenti di carattere generale in relazione alla natura, a regime, del beneficio di cui all’art. 8, comma 11 quater. Occorre infatti ricordare che la disciplina generale delle certificazioni prevede che il sistema sia facoltativo in un periodo iniziale transitorio, ma diventi (in corrispondenza di determinate scadenze temporali) obbligatorio per le varie categorie di lavori. Pertanto, l’Autorità osserva che, se è generalmente condivisa l’interpretazione della natura delle norme in oggetto quali incentivi per le imprese ad acquisire la certificazione di qualità, è necessario invece rilevare che tale natura è riferibile solo al periodo antecedente le scadenze previste dalle norme (in particolare la tabella inserita nell’allegato B al D.P.R. n. 34/2000), ossia prima che questo requisito diventi obbligatorio. Più problematica è invece la configurazione di detto beneficio a partire dal momento in cui la certificazione di qualità diviene obbligatoria e i benefici previsti dall’art. 8, comma 11-quater, conseguendo automaticamente al possesso di detto requisito obbligatorio, divengono generalizzati, cessando di svolgere la loro funzione premiante.
La modifica apportata dal comma in esame elimina invece il secondo dei due benefici.
Tale modifica si è resa necessaria in seguito ai rilievi della Commissione europea che ha sottolineato come il contenuto di tale secondo beneficio sia in contrasto con la direttiva 93/37/CEE che impone la netta separazione tra la fase della qualificazione e quella della valutazione dell'offerta, prevedendo, conseguentemente, i diversi requisiti dei concorrenti da valutarsi nelle rispettive fasi.
La norma italiana recata dalla lettera b) del comma 11-quater dell’art. 8, dispone, invece, che nel caso di appalto-concorso le stazioni appaltanti prendono in considerazione in fase di aggiudicazione e, quindi, di esame delle offerte, anche la certificazione di qualità o la presenza di elementi significativi e tra loro correlati del sistema di qualità, mentre tali elementi non dovrebbero rilevare in fase di espletamento della gara: essi possono essere considerati solo nella previa procedura di qualificazione.
L’abrogazione della disposizione, operata attraverso la sostituzione dell’intero comma 11-quater dell’art. 8, comporta conseguentemente che il possesso della certificazione di qualità non rappresenti più un elemento da valutare ai fini dell’aggiudicazione degli appalti mediante appalto-concorso.
Si ricorda che a seguito dei rilievi promossi in sede comunitaria, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ha emanato la circolare 16 gennaio 2003, n.2079[140], con la quale ha ribadito l’impegno “a predisporre entro l'anno in corso un apposito provvedimento allo scopo di adeguare la normativa italiana a quella europea di modo che, anche negli appalti pubblici di lavori, la fase di ammissione alle gare miri a selezionare i concorrenti sulla base dei curricula posseduti e quella dell'aggiudicazione sia invece diretta ad individuare la migliore offerta sul diverso piano della qualità”. Nel contempo le Amministrazioni aggiudicatrici sono state invitate – proprio al fine di evitare ulteriori procedure di infrazione - a tenere presente i rilievi comunitari nel caso di aggiudicazione di appalti pubblici di lavori, mediante procedura di appalto-concorso, a favore di imprese in possesso di certificazione del sistema di qualità o della dichiarazione della presenza di elementi significativi e tra loro correlati.
I commi 2 e 3, attraverso la sostituzione del secondo periodo dell’articolo 2, comma 1, della legge quadro sui lavori pubblici e del comma 3 dell’articolo 3 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157 sugli appalti pubblici di servizi, modificano, entrambi, la disciplina relativa ai contratti misti, per i quali si dispone l’applicazione del criterio dell’accessorietà dei lavori rispetto a quello della prevalenza economica, attualmente vigente.
Si ricorda, innanzitutto, che per contratti misti si intendono quelli che hanno caratteristiche tipiche di due o più tra le categorie dei lavori, delle forniture o dei servizi.
In merito alla loro disciplina, l’articolo 2, comma 1, secondo periodo, della legge Merloni (nel testo vigente), prevede che nei contratti misti di lavori, forniture e servizi e nei contratti di forniture o di servizi quando comprendano lavori accessori, si applicano le norme della legge quadro sui lavori pubblici qualora i lavori assumano rilievo economico superiore al 50 per cento.
Analogamente, l’articolo 3, comma 3, del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157 (disciplina degli appalti di servizi), prevede che nei contratti misti di lavori e servizi e nei contratti di servizi quando comprendono lavori accessori, si applicano le norme della legge quadro sui lavori pubblici qualora i lavori assumano rilievo economico superiore al 50 per cento.
La normativa attuale quindi, per delimitare l’ambito di applicazione delle diverse discipline, utilizza il criterio del rilievo economico.
La Commissione europea ha più volte rilevato[141] come, ai fini della determinazione della regole applicabili a un appalto misto di lavori e servizi, occorra invece individuare l’oggetto principale del contratto, mentre la prevalenza economica delle prestazioni non è che uno degli elementi che possono contribuire all'individuazione di tale oggetto principale[142].
Secondo il diritto comunitario, quindi, la prevalenza economica, in un contratto misto, dei lavori rispetto ai servizi e/o alle forniture, non comporta necessariamente che tale contratto sia qualificato come appalto pubblico di lavori.
E’ da escludere altresì che possa essere qualificato come appalto di lavori un contratto in cui i lavori, pur se di importo superiore al 50% delle prestazioni oggetto dell'appalto, abbiano carattere meramente accessorio rispetto all'oggetto principale del contratto medesimo.
La qualificazione del contratto – è bene ricordarlo – rileva ai fini della individuazione della normativa applicabile, in quanto (almeno nel diritto comunitario e nazionale vigente) la disciplina degli appalti di lavori è differente da quella degli appalti di servizi e forniture.
Alla luce di tali considerazioni la Commissione europea ha ritenuto che le disposizioni dell’articolo 2, comma 1, secondo periodo, della Merloni e dell’articolo 3, comma 3, del decreto legislativo sugli appalti pubblici di servizi, che assoggettano alla disciplina degli appalti pubblici di lavori i contratti nei quali la componente lavori ha carattere chiaramente accessorio, purchè sia prevalente dal punto di vista meramente economico, hanno come conseguenza la sottrazione di numerosi appalti sostanzialmente di servizi e di forniture all'applicazione delle relativa disciplina comunitaria, contenuta nelle direttive 92/50/CEE e 93/36/CEE sugli appalti pubblici di servizi e sugli appalti pubblici di forniture.
Infatti, essendo le soglie di applicazione di tali direttive sensibilmente inferiori a quelle di applicazione della direttiva 93/37/CEE, le disposizioni recate dall’art. 2 della legge Merloni e dall’art. 3 del decreto legislativo n. 157 del 1995, permettono l’attribuzione, senza il rispetto delle procedure di messa in concorrenza a livello comunitario previsto dalle direttive 92/50/CEE e 93/36/CEE degli appalti misti il cui importo sia superiore alle soglie di applicazione di queste ultime, ma inferiore a quelle relativo agli appalti di lavori di cui alla direttiva 93/37/CEE, per il solo fatto che i lavori, benché abbiano carattere accessorio, sono prevalenti sul piano economico.
Con le due novelle recate dai commi 2 e 3 ai contratti misti si rafforza quindi il criterio dell’accessorietà dei lavori rispetto a quello della prevalenza economica[143].
Infatti, al criterio del rilievo economico sinora utilizzato (i lavori dovranno essere comunque superiori al 50 per cento del valore dell’appalto), viene anche aggiunto quello relativo alla natura complessiva del contratto e delle prestazioni previste da esso: tali lavori dovranno costituire anche l’oggetto principale dell’appalto e non costituire una parte meramente accessoria dell’obbligazione.
Qualora, invece, essi abbiano un carattere meramente accessorio, siano cioè un completamento o una conseguenza eventuale rispetto all’oggetto principale del contratto, anche se con un valore superiore al 50 per cento del valore dell’appalto, dovranno essere assoggettati alle disposizioni del decreto legislativo n. 157 del 1995 (più severe nella determinazione delle soglie) e non a quelle della legge quadro sui lavori pubblici.
I commi 4 e 5, novellano, rispettivamente, l’articolo 17, comma 12, e il secondo periodo del comma 6-bis dell’articolo 30, della legge quadro sui lavori pubblici in relazione all’affidamento di incarichi inferiori alla soglia comunitaria.
Si tratta, in particolare, degli incarichi di progettazione o di direzione dei lavori, e degli incarichi per la validazione dei progetti. Le modifiche consistono nel superamento della mera discrezionalità da parte dell’amministrazione aggiudicatrice nella scelta del soggetto affidatario e nell’introduzione di una formula che – pur non prescrivendo l’adozione di una specifica procedura – fa comunque riferimento ai principi di derivazione comunitaria di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza.
Si ricorda innanzitutto che la legge n. 109 del 1994 disciplina, oltre agli appalti di lavori, anche gli appalti di servizi aventi ad oggetto gli incarichi di progettazione e di direzione dei lavori (art.17), nonché gli incarichi di verifica degli elaborati progettuali (art.30, commi 6 e 6-bis).
In relazione agli incarichi di progettazione e di direzione di lavori, per gli appalti di importo inferiore a 100.000 euro, la legge n. 166 del 2002 ha introdotto una modifica del comma 12 dell’art. 17 prevedendo la possibilità, per le amministrazioni aggiudicatici, di affidare tali appalti a soggetti di loro fiducia, previa verifica della loro esperienza e capacità professionale (e con motivazione della scelta in relazione al progetto da affidare). Analogamente, il secondo periodo del comma 6-bis dell’art. 30 (sempre a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 166) prevede la medesima possibilità per gli incarichi di validazione di progetti al di sotto della soglia di applicazione della direttiva 92/50/CEE (quindi al di sotto dei 236.000 euro).
In relazione a tali disposizioni la Commissione europea ha più volte rilevato[144] che, anche se tali appalti non rientrano nel campo di applicazione della direttiva 92/50/CEE, sono comunque soggetti al rispetto delle norme del trattato CE in materia di libera prestazione dei servizi e di libertà di stabilimento, nonché ai principi generali di non discriminazione, di parità di trattamento, di proporzionalità e di trasparenza sottesi a tali norme[145].
Ha inoltre ribadito come la previsione secondo la quale tali appalti possono essere attribuiti a soggetti di fiducia dell'amministrazione, senza che sia necessario rispettare alcun onere minimo di messa in concorrenza, non sia idonea a garantire il rispetto di tali principi e, in particolare, del principio di trasparenza e dell'obbligo di pubblicità che ne deriva.
Inoltre, le norme nazionali richiamate, consentendo alle amministrazioni aggiudicatici di attribuire gli appalti in modo fiduciario senza il rispetto di alcuna forma di pubblicità, sono altresì contrarie al principio di trasparenza, corollario dell'articolo 49 dei trattato CE, ed il ricorso quindi ad una procedura di verifica dell'esperienza e della capacità dei prestatori non vale da solo ad assicurare il rispetto del principio di trasparenza, se non accompagnato da “seppur minime forme di pubblicità” atte a consentire un confronto concorrenziale, in condizioni di parità, tra tutti i soggetti potenzialmente interessati alla prestazione del servizio.
Si ricorda che tali principi sono stati comunque richiamati nella circolare della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le politiche comunitarie – del 6 giugno 2002, n. 8756 “Normativa applicabile agli appalti pubblici "sottosoglia"[146], che ha, tra l’altro, precisato che “…anche per gli appalti pubblici sottosoglia, e più in generale per i contratti stipulati da pubblici soggetti in settori non regolamentati sul versante europeo, il diritto comunitario considera il ricorsoalla scelta diretta, in deroga ai principi ditrasparenza e di concorrenza, quale evenienza eccezionale, giustificabile solo in presenza di specifiche ragioni tecniche ed economiche, necessitanti di adeguata motivazione, che rendano impossibile in termini di razionalità l'individuazione di un soggetto diverso da quello prescelto, ovvero che evidenzino la non rilevanza di un'operazione sul piano della concorrenza nel mercato unico europeo”.
La circolare invita quindi le pubbliche amministrazioni che intendono stipulare contratti non regolamentati sul piano europeo, pur non essendo vincolate da regole analitiche in punto di pubblicità e di procedura, ad osservare criteri di condotta che, in proporzione alla rilevanza economica della fattispecie ed alla sua pregnanza sotto il profilo della concorrenza nel mercato comune, consentano a tutte le imprese interessate di venire per tempo a conoscenza dell'intenzione amministrativa di stipulare il contratto.
La novella recata dal comma 4 in esame incide quindi sulla possibilità di affidare gli incarichi di progettazione a soggetti privati, eliminando le incompatibilità con la normativa comunitaria nella parte in cui gli attuali criteri non vincolano le amministrazioni al rispetto dei principi di trasparenza e non discriminazione.
Viene infatti eliminato il criterio di mera fiduciarietà nella scelta del progettista e del direttore dei lavori – il cui importo stimato risulti inferiore a 100 mila euro - sostituendolo con l’esplicito richiamo ai principisuddetti.
Il riferimento soggettivo a persone di fiducia, benché accompagnato dal possesso di esperienza e capacità professionale, viene sostituito da un riferimento oggettivo ai criteri indicati nella norma, tutti di derivazione comunitaria, che devono presiedere alla scelta dei soggetti affidatari.
Analogo criterio basato sugli stessi principi di derivazione comunitaria viene applicato, dalla novella recata dal comma 5 in esame, agli incarichi di validazione dei progetti – di ammontare inferiore alla soglia comunitaria dei 236 mila euro – eliminando l’attuale principio di fiduciarietà.
Il comma 6, attraverso la sostituzione del comma 14 dell’art. 17 della legge n. 109 del 1994, obbliga alla previa indicazione nel bando di gara dell’affidamento diretto della direzione dei lavori al progettista incaricato, qualora l’importo complessivo delle due attività superi la soglia di applicazione della direttiva comunitaria (236.000 euro).
Il vigente comma 14 dell’art. 17 dispone, invece, che nel caso di affidamento di incarichi di progettazione ai sensi del comma 4 (ossia, sostanzialmente affidati a soggetti esterni all’amministrazione aggiudicatrice), l’attività di direzione dei lavori sia affidata, con priorità rispetto ad altri professionisti esterni, al progettista incaricato. In tal caso il conteggio effettuato per stabilire l’importo stimato, ai fini dell’affidamento dell’incarico di progettazione, deve comprendere l’importo della direzione dei lavori.
Per meglio comprendere la portata della innovazione normativa, è opportuno ricordare che l’art. 27, comma 2, della legge n. 109 prevede che, qualora l'attività dì direzione dei lavori non sia svolta dall'amministrazione aggiudicatrice o non sia curata da altre amministrazioni pubbliche, essa debba essere affidata al progettista incaricato ai sensi dell’art.17, comma 4 della stessa legge (cioè, il progettista esterno all’amministrazione).
Invero, era avverso questa seconda disposizione che la Commissione europea aveva avanzato i propri rilievi (e non avverso il comma 14 dell’articolo 17, che ora viene sostituito).
Infatti, la Commissione europea ha censurato[147] la disposizione che – con valore imperativo – vincola le amministrazioni aggiudicatrici a nominare quale direttore dei lavori colui che è già stato incaricato della progettazione (art. 27, comma 2): tale attribuzione diretta, senza alcuna messa in concorrenza, costituirebbe una violazione, secondo l’importo dei servizi attribuiti e della disciplina applicabile, delle direttive 92/50/CEE e 93/38/CE, nonché degli artt. 43 e 49 del trattato CE[148].
Al riguardo, l’Autorità di vigilanza per i lavori pubblici, nella determinazione N.10/2000 del 17 febbraio 2000, aveva ritenuto che la “coerenza tra detta norma nazionale e la citata direttiva comunitaria[149] può essere rinvenuta in una interpretazione dell’art. 27, comma 2 lett. b) della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni la quale precisi che all’affidamento diretto si può procedere soltanto nell’ipotesi in cui lo stesso sia stato esplicitamente previsto nel bando di gara di progettazione. Nella definizione della relativa procedura dovrà tenersi, comunque, conto, ai sensi dell’articolo 17, comma 12 bis e 14 della legge 109/94, dell’importo totale delle competenze di progettazione e direzione lavori”.
Sembrerebbe pertanto che – al fine di adeguare la normativa nazionale ai rilievi comunitari, secondo gli indirizzi contenuti nella citata delibera dell’Autorità sui lavori pubblici – sia da novellare non l’articolo 17, comma 14, bensì l’articolo 27, comma 2, comma b).
Si osserva inoltre che il comma 6 in commento dispone la sostituzione del comma 14 dell’art. 17. Al contrario, sembrerebbe preferibile una diversa formulazione che aggiunge un ulteriore periodo al contenuto del comma 14.
In particolare, il contenuto dell’attuale comma 14 (che appare coerente con la citata delibera dell’Autorità di vigilanza) potrebbe essere integrato con l’obbligo di previa indicazione nel bando di gara nei casi in cui la direzione dei lavori sia affidata allo stesso progettista e l’importo dei due incarichi sia superiore alla soglia comunitaria.
Il comma 7 abroga i commi 8, 9, 10 ed 11 dell’articolo 188 del regolamento di cui al D.P.R. n. 554 del 1999, che consentono la scelta diretta dei collaudatori esterni da parte delle amministrazioni aggiudicatrici senza prevedere la pubblicazione né di un bando di gara né di altre fonti di pubblicità atte a consentire a tutti i prestatori potenzialmente interessati di concorrere all’attribuzione dell’appalto sui servizi di collaudo.
L’abrogazione consegue ad alcuni rilievi comunitari di lesione delle norme sulla concorrenza, ma anche alla sentenza della Corte Costituzionale 23 settembre - 1° ottobre 2003, n. 302 che aveva giudicato parzialmente illegittime le norme in esame in relazione al riparto di competenze fra Stato e Regioni.
Si ricorda innanzitutto il rilievo normativo che le procedure di collaudo assumono nella disciplina dei lavori pubblici. Infatti, a differenza degli appalti di opere private (cfr. articolo 1665, comma 4, c.c.), per gli appalti di opere pubbliche il collaudo è un atto formale ed indispensabile ai fini dell’accettazione dell’opera da parte delle stazioni appaltanti (Cass. civ., sent. 1146/1982).
La legge quadro sui lavori pubblici prevede all’art.28, comma 4, che le operazioni di collaudo siano svolte da tecnici nominati dalle amministrazioni aggiudicatrici, salvo che nell’ipotesi di carenza di organico accertata e certificata. In tale caso, l’art. 188 del regolamento di attuazione, D.P.R. n. 554 del 1999, prevede l’affidamento a soggetti esterni, individuando il professionista nell’ambito di elenchi appositamente istituiti presso il Ministero dei lavori pubblici, le regioni e le province autonome.
A livello comunitario si è sottolineato che i servizi di collaudo rientrano a pieno titolo negli appalti dei servizi - categoria 12 dell'allegato A della direttiva 92/50/CEE e categoria 12 dell’allegato XVIA della direttiva 93/38/CEE - pertanto, qualora il loro valore superi le soglie di applicazione di tali direttive, essi sono sottoposti alle norme comuni di pubblicità e partecipazione previste dalle stesse direttive. Nel caso in cui, invece, il loro valore dovesse risultare inferiore, le amministrazioni aggiudicatrici saranno comunque tenute a garantire una adeguata pubblicità al fine di garantire la concorrenza nel mercato di tali servizi.
Al riguardo, la procedura contenuta nella normativa nazionale di rango secondario citata, non prevede alcuna procedura di evidenza pubblica nella scelta del collaudatore esterno.
Contestualmente sui commi 8, 9 e 10 dell’articolo 188 è recentemente intervenuta anche Corte costituzionale che, con sentenza 23 settembre - 1° ottobre 2003, n. 302, pronunciandosi su un conflitto di attribuzione sollevato da alcune regioni e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano, ha dichiarato, tra l’altro, che non spetta allo Stato e per esso al Presidente del Consiglio dei Ministri, adottare, con il D.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34 e con il D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, norme applicabili nei confronti delle Regioni, anche a statuto speciale, e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, e, conseguentemente, ha annullato, tra l’altro, l’art.188, commi 8, 9 e 10 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, nella parte in cui si riferiscono alle Regioni, anche a statuto speciale, e alle Province autonome di Trento e di Bolzano.
Le modifiche introdotte, quindi, accolgono i rilievi della Commissione europea sopprimendo la disciplina derogatoria rispetto alle norme generali sugli appalti di servizi che i commi abrogati avevano introdotto.
Va rilevato che l’abrogazione del comma 11 comporterebbe il coordinamento con il comma 3 dello stesso art. 188.
Il comma 8, attraverso alcuni periodi aggiuntivi all’articolo 37-bis, comma 2-bis, della legge n. 109 del 1994, dispone alcune modifiche alla procedura della finanza di progetto, in particolare viene previsto che venga data un’idonea pubblicità alla possibilità per il promotore di godere del diritto di prelazione nei confronti degli altri concorrenti. Si ricorda che tale diritto è stato introdotto dalla legge n. 166 del 2002.
L’ultimo periodo contiene poi una disposizione tendente a disciplinare le procedure ancora in corso al momento dell’entrata in vigore della modifica in esame.
Occorre innanzitutto ricordare che la disciplina del project financing (introdotta dalla legge n. 415 del 1998) ha lo scopo di favorire il ricorso alla particolare forma di realizzazione di lavori pubblici denominata concessione di costruzione e gestione di lavori pubblici[150], quale strumento attraverso cui convogliare capitali privati nella realizzazione di opere pubbliche.
Sul piano giuridico - l’istituto della concessione di costruzione e gestione di opere pubbliche non si identifica, però, con il project financing: la differenza difondo tra le due figureconsiste nell’iniziativa del procedimento. Mentre prima dell’innovazione normativa introdotta dalla legge n. 415 era solo l’amministrazione aggiudicatrice che dava avvio alla procedura che si concludeva con il contratto di concessione di costruzione e gestione, le nuove regole sul project financing hanno attribuito al privato una funzione decisiva di individuazione e di proposta di opere pubbliche.
La norma oggetto di censura da parte della Commissione (diritto di prelazione da parte del promotore) ha proprio la finalità di incentivare l’attività di proposta del soggetto privato.
Tuttavia le forme di incentivazione del promotore non possono comunque essere tali da alterare i principi di tutela della concorrenza e di parità di trattamento.
In proposito, il comma 2-bis dell’articolo 37 (testo vigente) disciplina le forme di pubblicità che le amministrazioni aggiudicatrici devono fornire circa la presenza, negli strumenti di programmazione periodici, di interventi suscettibili di gestione economica realizzabili tramite capitali privati, e quindi tali da remunerare l’impegno del soggetto privato alla realizzazione dell’opera.
Ai sensi degli artt. 37-ter e 37-quater, leamministrazioni aggiudicatici, valutate le proposte presentate, individuano quelle che ritengono di pubblico interesse e, per ogni proposta individuata, procedono ad indire una gara da svolgere secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ponendo a base di gara il progetto presentato dal promotore.
Per l’attribuzione della concessione, l’amministrazione aggiudicatrice svolge quindi una procedura negoziata tra il promotore ed i soggetti presentatori delle due migliori offerte nella precedente gara ovvero, qualora a quest'ultima abbia partecipato un solo soggetto, tra il promotore e tale soggetto (art. 37-quater, comma 1, lett.b).
L'articolo 37-ter, infine, nel testo novellato dalla legge n. 166 del 2002, dispone che nel corso di tale procedura negoziata, il promotore ha la possibilità di adeguare la propria proposta a quella giudicata daII'amministrazione più conveniente e che, in questo caso, risulterà aggiudicatario della concessione.
In relazione a tale disciplina, la Commissione europea aveva rilevato[151] che le modalità di messa in concorrenza della concessione presenta due vantaggi a favore del promotore nei confronti degli altri concorrenti:
§ uno di carattere procedurale che prevede che il promotore sia automaticamente chiamato a partecipare alla procedura negoziata per l’attribuzione della concessione, indipendentemente dalla comparazione tra la sua offerta e. quelle presentate dagli altri partecipanti alla precedente gara(art. 37-quater, comma 1, lett. b);
§ l’altro di carattere sostanziale, che prevede la possibilità, a favore del promotore, di modificare la propria offerta nel corso della procedura negoziata, al fine di adeguarla a quella ritenuta più conveniente dall’amministrazione (art. 37-ter, ultimo periodo). Tale adeguamento produce l’effetto, a favore dello stesso promotore, di un diritto di prelazione nell’attribuzione della concessione.
La Commissione ha pertanto rilevato che se da un lato tali vantaggi possono essere strettamente collegati alla qualità del promotore, assunta a seguito della presentazione di una proposta ai sensi dell’art. 37-bis, dall’altro tale posizione di vantaggio attribuita al promotore non è compatibile con il principio di parità di trattamento se e nella misura in cui tutti i soggetti potenzialmente interessati non siano posti in grado, in condizioni di parità, di valutare l'opportunità di assumere la qualità di promotore.
Sin dal principio tutti i partecipanti devono quindi essere posti in condizione di conoscere non solo la possibilità di presentare una proposta ai sensi del citato art.37-bis, ma anche della posizione di vantaggio di cui gode il promotore ai fini dell’attribuzione della concessione di lavori relativa a tale proposta, e dell’esistenza di un diritto di prelazione nella fase di aggiudicazione della concessione.
Pertanto la Commissione ha sollecitato una modifica della disciplina suesposta prevedendo che le amministrazioni aggiudicatrici rendano noto:
§ l’esistenza del diritto di prelazione per il promotore;
§ i criteri sulla base dei quali le amministrazioni perverranno in maniera obiettiva all’individuazione del promotore[152].
Solo tale adeguata pubblicità sarebbe in grado di mettere tutti i soggetti potenzialmente interessati nelle condizioni di valutare la convenienza della presentazione di un’eventuale proposta, ovvero della mera partecipazione alla successiva procedura di messa in concorrenza per l’aggiudicazione della concessione.
Con la novella disposta dal comma 8 dell’articolo in esame si aggiunge quindi un ulteriore obbligo informativo in capo alle amministrazioni aggiudicatrici, le quali dovranno espressamente indicare nell’avviso di cui all’art. 37-bis, comma 2-bis, che il promotore gode di un diritto di prelazione che può essere esercitato adeguando il proprio progetto alle offerte presentate dai concorrenti.
La novella sembra soddisfare le richieste della Commissione europea.
L’ultimo periodo del comma 8 in esame reca, infine, una norma di carattere transitorio relativa alle procedure già avviate e ancora in corso, i cui avvisi indicativi siano stati pubblicati prima del 31 gennaio 2004[153], sempre che tali avvisi non rispettino le forme di pubblicità previste dal comma in esame.
La norma rinvia ad un successivo decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti la disciplina degli effetti sulle procedure in corso.
Si osserva che la disposizione – a prescindere dai contenuti del futuro decreto - non sembrerebbe comunque idonea a sanare procedure di affidamento già avviate e non conformi ai requisiti indicati dalla Commissione, in quanto il diritto di prelazione, associato alla mancata pubblicità nelle forme indicate dalla Commissione, sembrerebbe comunque produrre una lesione dei principi di parità di trattamento. In proposito può ricordarsi che un problema analogo si era posto a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 166, laddove la Commissione europea aveva rilevato che il riconoscimento del vantaggio del diritto di prelazione a favore del promotore, relativamente a procedure avviate prima dell’entrata in vigore della stessa legge n. 166 fossero da ritenersi comunque in contrasto con il principio di parità di trattamento.
Le autorità italiane avevano precisato, al riguardo, che la citata procedura di favore per il promotore si applicava solamente alle procedure “avviate”[154] successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 166 del 2002. In tal senso la deliberazione dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici n. 27 del 16 ottobre 2002.
Si osserva, infine, che la relazione illustrativa non reca alcun chiarimento in merito alla scelta del termine del 31 gennaio 2004.
Il comma 9 impone alle stazioni appaltanti, al momento dell’aggiudicazione definitiva, di informare i concorrenti non aggiudicatari, provvedendo quindi allo svincolo delle garanzie provvisorie eventualmente prestate da questi soggetti per la partecipazione alla gara.
Si osserva che la disposizione non è formulata come novella alla legge n. 109.
Fra l’altro, per il motivo appena indicato, appare anche problematica la individuazione della portata normativa della disposizione. Qualora, come sembra più probabile, la norma dovesse essere riferita a tutti gli appalti pubblici, dovrebbe essere collocata all’interno dell’articolo 30, relativo alle garanzie e coperture assicurative, e più in particolare - avendo ad oggetto le garanzie presentate al momento della presentazione dell’offerta per l’affidamento - quale novella al comma 1.
In relazione alla prima parte della disposizione relativa all’obbligo di informazione nei confronti dei concorrenti non aggiudicatari, la modifica interviene a seguito di una procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea per violazione delle disposizioni comunitarie[155] nella parte in cui la legge quadro sui lavori pubblici non prevede l'obbligo per le amministrazioni aggiudicatrici di notificare i provvedimenti di aggiudicazione a tutti i partecipanti ad una gara di appalto.
Si ricorda, infatti, che la direttiva 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, ha disposto che gli Stati membri della Comunità europea prevedano mezzi di ricorso efficaci e rapidi tali da consentire al ricorrente di ottenere una tempestiva ed efficace tutela dell'interesse ritenuto violato. Ciò, anche al fine di evitare che la mancanza o l'insufficienza di mezzi di ricorso siffatti, in vari Stati membri, possa dissuadere le imprese comunitarie dal concorrere alle gare di appalto bandite nel relativo Stato. Le regole poste dalla direttiva 89/665/CEE sono state successivamente estese alla materia degli appalti di servizi per effetto della direttiva 92/50/CEE.
In conformità alla direttiva 89/665/CEE, la Corte di giustizia della Comunità europea, con giurisprudenza costante, ha più volte sottolineato la necessità che i candidati o gli offerenti in una gara, per poter presentare utilmente ricorso contro un provvedimento di aggiudicazione, in una fase in cui la violazione possa ancora essere sanata, debbano prendere conoscenza di detta decisione in tempo utile, e quindi anteriormente alla stipula del contratto.
Tali principi sono stati ribaditi nella circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti del 10 marzo 2003, n. 2107 “Procedure di aggiudicazione di appalti pubblici di lavori, forniture e servizi, Direttiva 89/665/CEE del 21 dicembre 1989- Art. 14, comma 3, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190”[156].
La citata circolare invita le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori di appalti pubblici di lavori, forniture e servizi - nelle more dell’emanazione di un apposito provvedimento tendente a modificare la legge quadro - ad interpretare in tal senso le direttive 93/36/CEE (art.7, paragrafo 2), 93/37/CEE (art.8, paragrafo 2) e 92/50/CEE (art.12, paragrafo 2) le quali, pur non precisando il momento in cui le amministrazioni aggiudicatrici devono fornire l'informazione sull'esito dell'appalto, tuttavia impongono una comunicazione all'insegna della rapidità, in linea con i principi delineati dalla direttiva 89/665/CEE.
La circolare ricorda che anche la Corte di giustizia delle Comunità europee con sentenza del 28 ottobre 1999, «Alcatel», nella causa C-81/98, ha ulteriormente sviluppato e interpretato i principi emanati nella direttiva 89/665/CEE ed ha precisato, fra l'altro, che il provvedimento di aggiudicazione di un appalto deve essere comunicato a tutti i partecipanti alla procedura di gara e che deve esistere un lasso di tempo ragionevole tra la data di adozione di detto provvedimento e la data di stipula del relativo contratto. Ciò al fine di evitare che i concorrenti alla gara eventualmente interessati a chiedere l'annullamento del provvedimento stesso, possano venire a conoscenza della suddetta decisione in un momento tardivo per potere utilmente far valere le proprie ragioni, in quanto l'amministrazione potrebbe avere già stipulato il contratto oppure quest'ultimo potrebbe addirittura, in taluni casi, essere stato già eseguito (es. appalto di forniture da eseguirsi in un'unica soluzione). In entrambi i casi il ricorrente, ancorché vittorioso, sarebbe privato della possibilità di essere riammesso alla gara e di concorrere ad una nuova aggiudicazione.
La suddetta circolare aggiunge, inoltre, che esiste una norma nella legislazione italiana che “appare idonea ad adeguare la normativa italiana a quella comunitaria e a superare i rilievi sollevati dalla Commissione europea in ordine alla necessità di rendere obbligatoria la comunicazione del provvedimento di aggiudicazione a tutti i partecipanti ad una gara di appalto nonché di prevedere un termine ragionevole tra la predetta aggiudicazione e la stipula del relativo contratto di appalto”.
Tale norma è l’art. 14 del decreto legislativo n. 190 del 2002[157], che al comma 3, prevede espressamente che «il soggetto aggiudicatore comunica il provvedimento di aggiudicazione ai controinteressati almeno trenta giorni prima della firma del contratto».
Si ricorda, comunque, che tale previsione è specificamente riferita alle procedure di progettazione, approvazione e realizzazione di infrastrutture e insediamenti produttivi strategici.
Con la norma introdotta dal comma in esame, si offre quindi ai partecipanti non aggiudicatari la garanzia di ricevere comunque una comunicazione, e quindi anche di poter eventualmente ricorrere avverso le aggiudicazioni ritenute lesive dei propri interessi, in tutti i settori degli appalti pubblici.
Si ricorda che la giurisprudenza amministrativa[158] ha, infatti, costantemente individuato «la piena conoscenza» nella comunicazione e acquisizione del provvedimento relativo. L'esigenza di dare piena effettività alla norma citata e al principio di tutela degli interessi del ricorrente ivi contenuto, impone che l'interessato debba essere messo in grado di conoscere non solo dell'esistenza, ma anche, e soprattutto, dei contenuti del provvedimento. D'altra parte la comunicazione dell'avvenuta aggiudicazione - anche a titolo provvisorio – è espressione di un obbligo generale di informativa regolante tutte le procedure ad evidenza pubblica, nonché principio immanente nel nostro ordinamento giuridico.
Per quanto riguarda, infine, lo svincolo delle garanzie prestate in sede di presentazione dell’offerta, si ricorda che l’ultimo periodo del comma 1, dell’articolo 30 della legge Merloni, prevede che la cauzione sia restituita ai non aggiudicatari entro trenta giorni dall'aggiudicazione (art. 30, comma 1, ultimo periodo della legge n. 109), mentre nulla dispone in merito allo svincolo delle eventuali fidejussioni bancarie o assicurative.
La norma in commento sembrerebbe quindi integrare quanto già previsto dall’ultimo periodo del comma 1.
Le nuove direttive sugli appalti pubblici
Sulla materia degli appalti pubblici, importanti novità sono state introdotte dalle due nuove direttive approvate recentemente in sede comunitaria:
§ direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004[159] relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, forniture, e di servizi (direttiva “classica”);
§ direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004[160] che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali (direttiva “servizi di pubblica utilità”)[161].
La finalità perseguita dalle due direttive è quella di modernizzare, semplificare e rendere più flessibile la normativa comunitaria in materia di aggiudicazione degli appalti di lavori e servizi, come suggerito dalle amministrazioni aggiudicatrici e dagli operatori economici nelle loro risposte al Libro verde adottato dalla Commissione il 27 novembre 1996 “Gli appalti pubblici nell’Unione Europea - Spunti di riflessione per il futuro”. I tre obiettivi delle nuove direttive sono chiari, dunque[162]:
§ semplificazione, affinché i testi attuali siano più facilmente comprensibili agli utilizzatori, in modo da consentire l’aggiudicazione degli appalti conformemente alle norme ed ai principi che disciplinano la materia e da permettere alle imprese interessate di meglio conoscere i loro diritti;
§ modernizzazione, per tenere conto delle nuove tecnologie e delle modifiche del contesto economico;
§ flessibilità, per rendere le procedure rispondenti ai fabbisogni degli operatori pubblici e provati.
Sono ribaditi quali cardini della materia i principi comunitari della libera circolazione delle merci, della libertà di stabilimento, della libera prestazione di servizi, del rispetto della parità di trattamento, di non discriminazione, di proporzionalità e di trasparenza nell’aggiudicazione degli appalti. La basegiuridica delle due direttive è costituita dalle parti del Trattato CE che consentono l’emanazione di norme volte a ravvicinare le legislazioni per l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno (articoli 47, paragrafo 2, 55 e 95). La normativa comunitaria, in ogni caso, fornisce norme di coordinamento solo per gli appalti di importo superiore alle soglie fissate. Restano comunque fermi i principi sopra esposti per gli appalti sotto soglia, nonché per le concessioni.
Le due direttive, quindi, procedono ad aggiornare il quadro normativo comunitario in materia, che attualmente è composto:
§ dalla direttiva 92/50/CEE del Consiglio del 18 giugno 1992 che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi;
§ dalla direttiva 93/36/CEE del Consiglio del 14 giugno 1993, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture;
§ dalla direttiva 93/37/CEE del Consiglio del 14 giugno 1993, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori;
§ dalla direttiva 93/38/CEE del Consiglio del 14 giugno 1993, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto, nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni.
Le prime tre direttive saranno abrogate a decorrere dalla data di cui all’art. 80 della direttiva 2004/18/CE[163].
Ai sensi dell’art.73 della direttiva 2004/17/CEE, la direttiva 93/38/CEE è abrogata dalla data di entrata in vigore della nuova direttiva[164], fatti salvi gli obblighi degli Stati membri relativi ai termini di attuazione[165] e di applicazione di cui all’allegato XXV.
Procedure di infrazione
Il 19 luglio 2004 la Commissione ha manifestato l’intenzione di adire la Corte di giustizia contro l’Italia, con riguardo ad alcune disposizioni della legge 109/1994 in materia di lavori pubblici, come modificata dall’art. 7 della legge 166/2002[166]: talune norme sarebbero incompatibili con il diritto comunitario in materia di appalti pubblici e concessioni (direttive 93/36/CEE, 93/37/CEE, 93/38/CEE, 92/50/CEE). Un parere motivato era stato inviato all’Italia 15 dicembre 2003.
La Commissione ritiene che non sia corretto l’assoggettamento alla disciplina degli appalti pubblici di lavori anche di quei contratti nei quali la componente lavori, prevalente da un punto di vista economico, abbia carattere accessorio rispetto all’oggetto principale dell’appalto. Ciò infatti fa sì che molti appalti di servizi e forniture siano di fatto sottratti alla disciplina comunitaria prevista per gli appalti misti, sia di lavori e servizi, sia di lavori e forniture, e siano fatti rientrare nella disciplina degli appalti pubblici.
Ai fini della determinazione delle regole comunitarie applicabili a un appalto misto di lavori e servizi, occorre individuare quale sia l’oggetto principale del contratto e la prevalenza economica delle prestazioni è uno solo degli indici che contribuiscono all’individuazione dell’oggetto principale. In ogni caso, è da escludere che possa essere classificato come appalto pubblico di lavori un contratto in cui i lavori, pure se di importo superiore al 50% delle prestazioni oggetto dell’appalto, abbiano carattere accessorio rispetto all’oggetto principale del contratto.
Oltre che per gli appalti misti, la Commissione sollecita l’applicazione delle regole di messa in concorrenza e il rispetto dell’obbligo di pubblicità adeguata anche per:
- gli appalti c.d. sotto-soglia, relativi ai lavori remunerati tramite la deduzione degli oneri di urbanizzazione, ai servizi d’ingegneria, d’architettura e di validazione dei progetti, ai servizi di direzione dei lavori e al collaudo;
- nell’ambito delle procedure di finanza di progetto, le norme relative al diritto di prelazione del promotore, che potrebbero determinare una discriminazione dei prestatori non nazionali quando questi presentano la candidatura per l’attribuzione di una concessione di lavori pubblici.
Il 16 ottobre 2002 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora nella quale contesta al legislatore italiano l’inosservanza delle disposizioni contenute nelle direttive 93/36/CEE, 93/37/CEE e 92/50/CEE con riguardo specifico alle procedure di ricorso nell’aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e lavori. In particolare non sarebbe previsto un sistema di informazione obbligatoria da parte delle amministrazioni aggiudicatrici degli appalti pubblici in merito alle decisioni di aggiudicazione degli appalti stessi; inoltre nella legislazione italiana non sarebbe garantita una tutela giurisdizionale tale da consentire ai partecipanti la possibilità di presentare un ricorso contro la decisione di aggiudicazione dell’appalto prima della conclusione del relativo contratto.
Documenti all’esame delle Istituzioni europee
Vedi paragrafo riportato all’art. 22.
Art. 24
(Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2004/17/CE, relativa agli appalti degli enti erogatori di acqua, di energia e che forniscono servizi di trasporto e postali, e della direttiva 2004/18/CE, relativa all’aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi)
1. Il Governo è delegato ad adottare, con le modalità di cui all'articolo 1, uno o più decreti legislativi volti a definire un quadro normativo finalizzato al recepimento della direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali, e della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) compilazione di un testo unico delle disposizioni legislative in materia di procedure di appalto disciplinate dalle due direttive coordinando anche le altre disposizioni in vigore nel rispetto dei principi del Trattato istitutivo dell'Unione europea;
b) semplificazione delle procedure di affidamento che non costituiscono diretta applicazione delle normative comunitarie, finalizzata a favorire il contenimento dei tempi e la massima flessibilità degli strumenti giuridici.
2. I decreti legislativi previsti dal comma 1 sono emanati sentito il parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, che si pronunzia entro trenta giorni; decorso tale termine i decreti legislativi sono emanati anche in mancanza di detto parere.
3. Entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dal comma 1 possono essere emanate disposizioni correttive ed integrative nel rispetto delle procedure di cui all'articolo 1, commi 2 e 3.
4. In attesa dell'emanazione dei decreti legislativi di cui al comma 1, al settore postale si applica la disciplina di cui al decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 158, e successive modificazioni.
L’articolo 24, introdotto nel corso dell’esame presso la XIV Commissione, al comma 1, delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi volti a definire un quadro normativo finalizzato al recepimento di due direttive comunitarie:
§ la 2004/17/CE, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali (cd “settori esclusi” o “settori speciali”);
§ la 2004/18/CE relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi.
Per le modalità di adozione rinvia all’articolo 1 del provvedimento in esame.
Le nuove direttive sugli appalti pubblici
Rinviando alla illustrazione del contenuto delle norme comunitarie (vedi le relative schede del dossier), si ricorda che finalità comune delle due direttive è quella di modernizzare, semplificare e rendere più flessibile il quadro normativo in materia di aggiudicazione degli appalti di lavori e servizi. Tale riforma risponde alle esigenze manifestate sia dalle amministrazioni aggiudicatici, sia dagli operatori economici nelle loro risposte al Libro verde adottato dalla Commissione il 27 novembre 1996 “Gli appalti pubblici nell’Unione Europea - Spunti di riflessione per il futuro”. I tre obiettivi principali delle nuove direttive sono:
§ semplificazione, affinché i testi attuali siano più facilmente comprensibili agli utilizzatori, in modo da consentire l’aggiudicazione degli appalti conformemente alle norme ed ai principi che disciplinano la materia e da permettere alle imprese interessate di meglio conoscere i loro diritti;
§ modernizzazione, per tenere conto delle nuove tecnologie e delle modifiche del contesto economico;
§ flessibilità, per rendere le procedure rispondenti ai fabbisogni degli operatori pubblici e privati.
Sono ribaditi quali cardini della materia i principi comunitari della libera circolazione delle merci, della libertà di stabilimento, della libera prestazione di servizi, del rispetto della parità di trattamento, di non discriminazione, di proporzionalità e di trasparenza nell’aggiudicazione degli appalti. La base giuridica delle due direttive è costituita dalle parti del Trattato CE che consentono l’emanazione di norme volte a ravvicinare le legislazioni per l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno (articoli 47, paragrafo 2, 55 e 95).
Si ricorda che la normativa comunitaria, in ogni caso, fornisce norme di coordinamento solo per gli appalti di importo superiore alle soglie fissate, secondo uno schema che già caratterizzava la precedente normativa comunitaria. Gli Stati membri sono comunque tenuti a disciplinare anche gli appalti sotto le soglie comunitarie e le concessioni (per le quali non esiste una direttiva comunitaria) secondo i principi generali comunitari sopra esposti.
Le due direttive, quindi, procedono ad aggiornare il quadro normativo comunitario in materia, che attualmente è composto:
- dalla direttiva 92/50/CEE del Consiglio del 18 giugno 1992 che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi;
- dalla direttiva 93/36/CEE del Consiglio del 14 giugno 1993, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture;
- dalla direttiva 93/37/CEE del Consiglio del 14 giugno 1993, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori;
- dalla direttiva 93/38/CEE del Consiglio del 14 giugno 1993, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto, nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni.
Le prime tre direttive saranno abrogate a decorrere dalla data di cui all’art. 82 della direttiva 2004/18/CE (31 gennaio 2006).
Ai sensi dell’art. 73 della direttiva 2004/17/CEE, la direttiva 93/38/CEE è stata abrogata dalla data di entrata in vigore della nuova direttiva (30 aprile 2004)[167].
Secondo il comma 1 dell’articolo in esame, il Governo, nell’attuazione della direttiva, dovrà attenersi ai seguenti principi e criteri direttivi specifici:
§ la compilazione di un testo unico delle disposizioni legislative in materia di procedure di appalto disciplinate dalle due direttive coordinando anche le altre disposizioni in vigore nel rispetto dei principi del Trattato istitutivo dell’Unione europea;
In base al primo dei principi e criteri specifici della delega, il legislatore dovrà adottare un testo unico con cui, oltre al recepimento delle due citate direttive, si provveda al coordinamento delle altre disposizioni nazionali - di rango legislativo - in vigore. Si ricorda che, in materia di appalti nei “settori speciali”, la normativa vigente è ricompressa all’interno del D.Lgs. 17 marzo 1995 n. 158, che ha recepito la direttiva 93/38/CE. Per quanto riguarda, invece, la normativa in materia di appalti di lavori il quadro normativo risulta alquanto più articolato. Infatti la disciplina fondamentale vigente nell’ordinamento interno è costituita dalla cd. “legge Merloni”, Legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni, tra cui si ricorda, in particolare, il cd “collegato infrastrutture” (legge 1° agosto 2002, n. 166). Tuttavia occorre considerare che la legge Merloni non ha abrogato interamente la stratificata legislazione previgente in materia di lavori pubblici. Ad esempio, risultano ancora vigenti disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 406 del 1991. Inoltre, occorre considerare la legislazione speciale – sempre in materia di lavori pubblici, ma limitatamente alle opere di carattere strategico e di preminente interesse nazionale – avviata con la cd. “legge obiettivo” (Legge 21 dicembre 2001, n. 443, “Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive”), cui ha fatto seguito il decreto legislativo 20 agosto 2002 n. 190, Attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale. In materia di appalti pubblici di forniture, la normativa di riferimento è recata dal decreto legislativo 24 luglio 1992, n. 358, recante testo unico delle disposizioni in materia di appalti pubblici di forniture, in attuazione delle direttive 93/36/CEE e 97/52/CEE, successivamente modificato ed integrato dal D.Lgs. 20 ottobre 1998, n. 402. Ma di recente sono intervenuti, in materia, sia l’art.24 della legge Legge 27 dicembre 2002 n. 289 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003), recante “Nuove disposizioni per gli appalti di forniture di beni e servizi”, sia il comma 171 dell’art. 3 della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria 2004). Infine, in materia di appalti di pubblici servizi, occorre fare riferimento al D.Lgs. 17 Marzo 1995, n. 157 (Attuazione della direttiva 92/50/CEE in materia di appalti pubblici di servizi), al D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 65, recante Attuazione delle direttive 97/52/CE e 98/4/CE, che modificano ed integrano, rispettivamente, le direttive 92/50/CEE, in materia di appalti pubblici di servizi, e 93/38/CEE, limitatamente ai concorsi di progettazione, nonché alle alle norme appena citate delle due leggi finanziarie 2003 e 2004. Quanto al riferimento ai principi del Trattato istitutivo dell’UE, si ricorda che tra i principi che possono rilevare nella materia in esame vi sono la parità di trattamento per merci e persone nel campo delle quattro libertà fondamentali (libera circolazione delle merci: articolo 28 del trattato CE, libera circolazione: articolo 39 del trattato CE, libertà di stabilimento: articolo 43 del trattato CE, libera prestazione di servizi: articolo 50 del trattato CE) e la libera concorrenza (articolo 81 del trattato CE). Le quattro libertà fondamentali della CE, che garantiscono le libertà di base della vita professionale, possono essere considerate anche come un diritto comunitario fondamentale alla libera circolazione e al libero esercizio di un’attività professionale.
§ la semplificazione delle procedure di affidamento che non costituiscono diretta applicazione delle normative comunitarie, finalizzata a favorire il contenimento dei tempi e la massima flessibilità degli strumenti giuridici.
In base a tale principio e criterio direttivo il legislatore dovrà procedere alla semplificazione delle procedure di affidamento degli appalti di lavori pubblici previste dalla disciplina attualmente vigente, pur nei limiti delle normative comunitarie, perseguendo l’obiettivo del contenimento dei tempi e la flessibilità degli strumenti giuridici. La formulazione chiarisce pertanto il carattere innovativo (e non meramente compilativo) del testo unico di cui alla predente lettera a). A tale riguardo si segnala che la normativa italiana (almeno nella materia degli appalti di lavori pubblici) è sempre stata giudicata più restrittiva di quella comunitaria, sia sul piano degli oneri procedurali e dei controlli, sia sul piano delle modalità di esecuzione dei lavori. Tuttavia, anche aspetti non disciplinati dalle direttive hanno trovato (ovviamente) uno spazio nelle norme nazionali: ad esempio la disciplina della progettazione (contenuti, indicazione dei soggetti preposti), o la programmazione dei lavori da parte delle amministrazioni aggiudicatici. Un mero ricalco della disciplina comunitaria da parte della disciplina nazionale non sembrerebbe pertanto realizzabile. La lettera b), peraltro, sembra limitare il contenuto del criterio direttivo ad un solo aspetto della normativa complessiva sui lavori pubblici, le procedure di affidamento, corrispondente sostanzialmente -per gli appalti di lavori - al contenuto degli artt. 20-24 della legge n. 109, per gli appalti di servizi, agli artt. 6-10 del decreto legislativo n. 157 del 1995, per gli appalti di forniture, al contenuto degli articoli 4-9 del decreto legislativo n. 358 del 1992, e per gli appalti nei settori esclusi agli articoli 11-17 del decreto legislativo n. 158 del 1995.
Data l’eterogeneità e la complessità delle norme su cui la delega è idonea ad incidere, nonché il livello dei contrapposti interessi coinvolti, una maggiore specificazione del contenuto dei principi e criteri sembrerebbe auspicabile.
Il comma 2 prevede che i decreti legislativi di cui al comma 1 siano emanati sentito il parere della Conferenza unificata, di cui all’articolo 8 del d.lgs. n. 281 del 1997, che si pronunzia entro trenta giorni; decorso tale termine i decreti sono emanati anche in mancanza di tale parere[168].
Il comma 3 autorizza il Governo ad emanare, entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti di cui al comma 1, disposizioni correttive ed integrative, nel rispetto delle procedure previste dai commi 2 e 3:
§ Acquisizione del parere della Conferenza unificata (comma 2);
§ Rispetto del termine di due anni (comma 3).
Il comma 4 prevede che, in attesa dell’emanazione dei decreti legislativi di cui al comma 1, agli appalti del settore postale si applichi la disciplina di cui al decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 158 e successive modificazioni.
La disposizione trova fondamento nella innovazione recata nel diritto comunitario dalla direttiva 2004/17/CE, che ha inserito, fra i cd “settori speciali”, anche i servizi postali, laddove la precedente direttiva che disciplinava i “settori speciali” (93/38/CEE) non includeva tali servizi. Tale innovazione ha la finalità di favorire l’apertura progressiva alla concorrenza e alla liberalizzazione in un settore che ha acquisito – negli Stati membri – i caratteri tipici del “settore speciale”, cioè la presenza di soggetti giuridicamente privati, ma che operano in larga parte con le finalità e gli oneri del servizio universale e sulla base di una concessione da parte dell’amministrazione pubblica di diritti speciali o esclusivi.
Ai servizi postali, nell’ordinamento italiano, non si applicavano pertanto le norme del decreto n. 158 del 1995.
Si ricorda che il “considerando” n. 28 della direttiva precisa che: “A prescindere dal loro statuto giuridico gli enti che forniscono servizi postali non sono attualmente soggetti alle norme stabilite nella direttiva 93/38/CEE. Pertanto l'adeguamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti alle norme della presente direttiva potrebbe richiedere più tempo per questi enti rispetto agli enti già soggetti a dette norme, che dovranno semplicemente adeguare le loro procedure alle modifiche apportate dalla presente direttiva. Occorre pertanto permettere l'applicazione differita della presente direttiva in funzione dei tempi necessari a detto adeguamento. Considerata la diversità delle situazioni degli enti interessati, occorre consentire agli Stati membri di prevedere un periodo transitorio per l'applicazione della presente direttiva agli enti aggiudicatori che operano nel settore dei servizi postali”.
Sulla base di tali premesse, l’art. 71 della direttiva dispone che “Gli Stati membri possono accordarsi un termine supplementare di 35 mesi dalla scadenza del termine di cui al primo comma[169] ai fini dell'attuazione delle disposizioni necessarie per conformarsi all'articolo 6 della presente direttiva[170].
Art. 25
(Modificazioni all’articolo 3, comma 29, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, recante misure di razionalizzazione della finanza pubblica)
1. All'articolo 3, comma 29, primo periodo, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, le parole: «in misura non inferiore a lire 2 e non superiore a lire 20 per i rifiuti dei settori minerario, estrattivo, edilizio, lapideo e metallurgico; in misura non inferiore a lire 10 e non superiore a lire 20 per gli altri rifiuti speciali; in misura non inferiore a lire 20 e non superiore a lire 50 per i restanti tipi di rifiuti» sono sostituite dalle seguenti: «in misura non inferiore ad euro 0,001 e non superiore ad euro 0,01 per i rifiuti ammissibili al conferimento in discarica per i rifiuti inerti ai sensi dell'articolo 2 del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio 13 marzo 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 67 del 21 marzo 2003; in misura non inferiore ad euro 0,00517 e non superiore ad euro 0,02582 per i rifiuti ammissibili al conferimento in discarica per rifiuti non pericolosi e pericolosi ai sensi degli articoli 3 e 4 del medesimo decreto».
L’articolo in esame, attraverso una novella all’art. 3, comma 29, della legge n. 549 del 1995, introduce un diverso criterio per l'individuazione del tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi[171].
L’articolo adegua, infatti, la fiscalità alla recente disciplina del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36 in materia di discariche di rifiuti e al successivo decreto attuativo del 13 marzo 2003 con cui sono stati definiti i criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica.
L’articolo modifica quindi l’art. 3, comma 29, della legge n. 549 del 1995, introducendo una variazione nel criterio per l’individuazione della tassa, ma ne lascia inalterata la struttura complessiva.
Si ricorda che l’istituzione del tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi è stata disposta con l'art. 3, commi da 24 a 40 della legge 28 dicembre 1995, n. 549 recante "Misure di razionalizzazione della finanza pubblica", con la finalità di favorire la minore produzione di rifiuti e il recupero dagli stessi di materia prima e di energia.
Presupposto dell'imposta è il deposito in discarica dei rifiuti solidi (compresi i fanghi palabili)[172], mentre il gestore dell'impresa di stoccaggio definitivo ne è il soggetto passivo, con obbligo di rivalsa nei confronti di colui che effettua il conferimento; base imponibile del tributo è la quantità dei rifiuti conferiti in discarica. Il tributo è dovuto alle Regioni, salvo una quota del 10 per cento spettante alle province. Il comma 27 dell'articolo 3 prevede altresì alcuni vincoli di destinazione riguardo all'utilizzo del gettito da parte delle Regioni: il 20 per cento di esso deve infatti affluire in apposito fondo regionale per investimenti ambientali, quali:
- misure finalizzate a favorire la minore produzione di rifiuti e le attività di recupero di materie prime e di energia, con priorità per i soggetti che realizzano sistemi di smaltimento alternativi alle discariche;
- opere di bonifica dei suoli inquinati, ivi comprese le aree industriali dismesse, il recupero delle aree degradate;
- progetti di intervento delle Agenzie Regionali per la Protezione dell'Ambiente finalizzati all'istituzione e alla manutenzione delle aree naturali protette.
Tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi (legge 549/1995, art. 3, commi da 24 a 40) |
|
Finalità |
Disincentivare la produzione di rifiuti favorendone il recupero di materia ed energia |
Presupposto dell’imposta e base imponibile |
Il presupposto per il pagamento del tributo è lo smaltimento in discarica dei rifiuti o l’incenerimento in impianti che siano privi di sistemi di recupero energetico |
Soggetto passivo |
Il gestore della discarica o dell’impianto di incenerimento privo di recupero energetico con obbligo di rivalsa nei confronti di colui che effettua il conferimento del rifiuto. Chiunque eserciti attività di discarica abusiva e chiunque abbandona, scarica od effettua un deposito incontrollato di rifiuti. |
Soggetto creditore |
Il tributo è dovuto alla Regione in cui ha sede l’impianto di stoccaggio definitivo; una quota del 10% del gettito è dovuto alla provincia di competenza. |
Entrate tributarie e Fondo ambientale |
Il gettito del tributo affluisce ad un apposito capitolo di bilancio; il 20% del gettito totale al netto di quanto di competenza provinciale, affluisce ad un apposito “Fondo per investimenti ambientali”. La Regione definisce con proprio atto amministrativo i criteri per l’accesso al fondo ambientale. |
Ammontare dell’imposta |
La base imponibile è costituita dalla quantità di rifiuti conferiti in discarica. L’ammontare dell’imposta è fissato annualmente dalla Regione; in caso di mancato adempimento si applicano gli importi previsti dalla normativa nazionale. L’ammontare dell’imposta (per kilogrammo di rifiuto conferito) è così stabilito: § non inferiore a lire 2 (0,001 € o 1,03 € per tonn.) e non superiore a lire 20 (0,01 € o 10,33 € per tonn.) per i rifiuti del settore minerario, estrattivo, edilizio, lapideo e metallurgico; § non inferiore a lire 10 (0,00517 € o 5,17 € per tonn.) e non superiore a lire 20 (0,01 € o 10,33 € per tonn.) per tutti gli altri rifiuti speciali; § non inferiore a lire 20 (0,01 € o 10,33 € per tonn.) e non superiore a lire 50 (0,02582 € o 25,82 € per tonn.) per tutte le altre tipologie di rifiuti. |
Agevolazioni e riduzioni |
I rifiuti smaltiti in impianti di incenerimento privi di sistemi di recupero energetico, per i sovvalli di impianti di selezione automatica, riciclaggio e compostaggio, il tributo è applicato nella misura ridotta del 20% del tributo dovuto. |
Il comma 29 dispone quindi che l’ammontare dell’imposta venga determinato con legge regionale da emanarsi entro il 31 luglio di ogni anno, nella quale viene fissato l'importo dovuto tra un valore minimo ed un massimo stabilito dallo stesso comma 29 in base alle diverse tipologie di rifiuto.
Attualmente è prevista una differenziazione dell'imposta (calcolata per chilogrammi di rifiuti conferiti) secondo tre tipologie:
a) rifiuti dei settori minerario, estrattivo, edilizio, lapideo e metallurgico: tra lire 2 e lire 20 (tra 0,001 € e 0,01€);
b) altri rifiuti speciali: tra lire 10 e lire 20 (tra 0,00517 € e 0,01€);
c) restanti tipi di rifiuti: tra lire 20 e lire 50 (tra 0,01 € e 0,02582€).
La disciplina dell’imposta non è stata ancora oggi definita da tutte le amministrazioni regionali (si veda tabella allegata in fondo all’articolo in esame).
La novella prevista dall’articolo in esame, come precisato anche nella relazione governativa, si è resa necessariaa seguito del recepimento, con il decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, della direttiva 1999/31/CE con la quale è stata introdotta una nuova disciplina in materia di discariche di rifiuti classificate in base alle caratteristiche del rifiuto anziché, come in precedenza, in base alla provenienza dello stesso.
Il decreto legislativo n. 36 del 2003 recante "Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti", all'articolo 4 ha quindi classificato le discariche nelle seguenti categorie:
a) discarica per rifiuti inerti;
b) discarica per rifiuti non pericolosi;
c) discarica per rifiuti pericolosi.
La normativa precedentemente vigente distingueva invece le discariche sulla base della provenienza del rifiuto, ed esse erano disciplinate dal paragrafo 4.2 (Stoccaggio definitivo dei rifiuti) della deliberazione 27 luglio 1984 Disposizioni per la prima applicazione dell'art. 4 del DPR n. 915 del 1982, concernente lo smaltimento dei rifiuti.[173]
Con il successivo decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio del 13 marzo 2003[174] sono stati definiti i criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica, ai sensi dell’art. 7, comma 5, del precedente decreto legislativo n. 36.
Da qui la necessità di modificare le categorie di rifiuti a cui applicare il suddetto tributo, al fine di evitare trattamenti differenziati per rifiuti che in realtà vengono conferiti nella stessa tipologia di discarica, oltre che per semplificare l’esazione dell’imposta da parte del gestore della discarica.
L’articolo in esame lascia comunque invariata la struttura complessiva del tributo (che rimane differenziato, a seconda della tipologia di rifiuto conferito), modificando, invece, la modalità di individuazione e di distinzione fra le categorie dei rifiuti soggette all’imposta:, da un lato i rifiuti inerti, dall’altro i rifiuti non pericolosi e pericolosi, come individuati negli articoli 2, 3 e 4 del D.M. del 13 marzo 2003.
Per quanto riguarda la determinazione dell’ammontare minimo e massimo, i vigenti tre raggruppamenti vengono ridotti a due “al fine di omogeneizzare gli importi riferiti ai rifiuti destinati a ciascuna tipologia di discarica sulla base della nuova classificazione”.
L'imposta verrebbe, pertanto, a configurarsi come segue:
a) rifiuti ammissibili al conferimento in discarica per i rifiuti inerti: non inferiore a 0,001 € e non superiore a 0,01 €;
b) rifiuti ammissibili al conferimento in discarica per rifiuti non pericolosi e pericolosi: non inferiore a 0,00517 € e non superiore a 0,02582 € .
Nella tabella[175] seguente sono riportate le leggi regionali che disciplinano il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi
Regione/Provincia autonoma |
Leggi regionali |
Abruzzo |
L.R. 16-12-1998 n. 146 e s.m.i. (successive modifiche ed integrazioni) Disciplina del tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi. |
Basilicata |
Non ancora emanata la legge di disciplina |
Calabria |
L.R. 28-8-2000 n. 16 e s.m.i. “Disciplina del tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi” |
Campania |
Non ancora emanata la legge di disciplina |
Emilia-Romagna |
L.R. 19-8-1996 n. 31 e s.m.i. “Disciplina del tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi” |
Friuli-Venezia Giulia |
L.R. 24-1-1997 n. 5 e s.m.i. “Disciplina del tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi ed integrazione alla legge regionale 7 settembre 1987, n. 30, in materia di smaltimento di rifiuti solidi” |
Lazio |
L.R. 10-9-1998 n. 42 e s.m.i. “Disciplina del tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi” |
Liguria |
L.R. 13-5-1996 n. 21 e s.m.i. “Disciplina del tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi” |
Lombardia |
L.R. 14-7-2003 n. 10 “Riordino delle disposizioni legislative regionali in materia tributaria - Testo unico della disciplina dei tributi regionali” (artt. da 50 a 58 e art 99) |
Marche |
L.R. 20-1-1997 n. 15 e s.m.i. “Disciplina del tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi” |
Molise |
L.R. 3-1-2003 n. 1 “Disposizioni per l'applicazione del tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi, di cui all'articolo 3 della legge 28 dicembre 1995, n. 549” |
Piemonte |
L.R. 3-7-1996 n. 39 e s.m.i. “Tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi - Attuazione della legge 28 dicembre 1995, n. 549 - Delega alle province” |
Puglia |
L.R. 22-1-1997 n. 5 e s.m.i. “Tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi” |
Sardegna |
Non ancora emanata la legge di disciplina |
Sicilia |
L.R. 7-3-1997 n. 6 e s.m.i. “Programmazione delle risorse e degli impieghi. Contenimento e razionalizzazione della spesa e altre disposizioni aventi riflessi finanziari sul bilancio della Regione” (art. 2). |
Toscana |
L.R. 29-7-1996 n. 60 e s.m.i. “Disposizioni per l'applicazione del tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi di cui all'art. 3 della L. 28 dicembre 1995, n. 549” |
Provincia Autonoma di Trento |
L.P. 7-7-1997 n. 10 e s.m.i. “Misure per la razionalizzazione della finanza provinciale” (art. 38) |
Provincia Autonoma di Bolzano |
L.P. 13-2-1997 n. 3 e s.m.i. “Istituzione del tributo provinciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi” |
Umbria |
L.R. 21-10-1997 n. 30 e s.m.i. “Disciplina del tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi” |
Valle d’Aosta |
Non ancora emanata la legge di disciplina |
Veneto |
L.R. 21-1-2000 n. 3 e s.m.i. “Nuove norme in materia di gestione dei rifiuti” (artt. 39-49). |
Direttiva 2001/83/CE
(Codice comunitario relativo ai medicinale per uso umano)
La direttiva 2001/83/CE organizza in codice la normativa comunitaria in materia di prodotti farmaceutici per uso umano di produzione industriale (direttiva 65/65/CEE e successive modificazioni); si tratta di una normativa finalizzata ad assicurare la tutela della sanità pubblica, salvaguardando allo stesso tempo la libertà di scambio commerciale all'interno della Comunità. Essendo una direttiva di codificazione non è fissato un termine per il recepimento.
In particolare, la direttiva raccoglie e coordina le disposizioni in materia di autorizzazione all'immissione in commercio dei farmaci. Salvi i casi di autorizzazione centralizzata a livello comunitario da parte dell'Agenzia europea di valutazione dei medicinali (EMEA), nessun medicinale può essere commercializzato in uno Stato membro senza l’autorizzazione delle autorità nazionali competenti, rilasciata a norma della direttiva stessa (disposizioni speciali sono dettate per i medicinali omeopatici che non abbiano un dosaggio che non comporti rischi per il paziente). In caso di disaccordo sulla qualità, sicurezza o efficacia del prodotto, è prevista una valutazione scientifica a livello comunitario, da cui scaturirà una decisione vincolante per tutti gli Stati membri; a tal fine è previsto un comitato per le specialità medicinali (CPMP) nell’ambito dell’EMEA.
In allegato alla direttiva sono riportati i protocolli relativi alle prove da effettuare sui medicinali oggetto di domanda di autorizzazione all'immissione sul mercato [176].
Gli Stati membri adottano tutte le opportune disposizioni affinché la fabbricazione dei medicinali e la relativa distribuzione all'ingrosso sul loro territorio sia subordinata al possesso di un'autorizzazione.
La direttiva reca inoltre le disposizioni relative all'etichettatura, alle forme di pubblicità dei farmaci e di informazione dei pazienti, al fine di favorire l’attività di farmacovigilanza, da parte delle autorità nazionali e comunitarie competenti, nella fase successiva all’immissione in commercio di un medicinale.
Per quanto concerne l'utilizzazione del sangue o del plasma umani come materia prima per la produzione dei medicinali, gli Stati membri devono prendere i provvedimenti necessari per evitare la trasmissione di malattieinfettive.
La direttiva 2001/83 è stata successivamente modificata dalleseguenti direttive:
§ Dir. 2002/98/CE, che stabilisce norme di qualità e di sicurezza per la raccolta, il controllo, la lavorazione, la conservazione e la distribuzione del sangue umano e dei suoi componenti;
§ Dir. 2003/63/CE, che sostituisce l’allegato I della direttiva 2001/83/CE, riguardante le norme e i protocolli analitici i protocolli relativi alle prove da effettuare sui medicinali oggetto di domanda di autorizzazione all'immissione sul mercato;
§ Dir. 2004/24/CE che riguarda i medicinali vegetali tradizionali;
§ Dir. 2004/27/CE che riguarda i medicinali vegetali registrabili con le procedure europee ordinarie di mutuo riconoscimento, decentrata e centralizzata, e include una nuova definizione di medicinale.
Si ricorda che la direttiva 2001/83 era già ricompressa all’interno dell’allegato A della legge comunitaria per il 2002 (legge n. 14 del 3 febbraio 2003). Il decreto legislativo di recepimento di tale direttiva non risulta peraltro emanato nei termini previsti dalla delega (12 mesi dall’entrata in vigore della legge comunitaria medesima).
Direttiva 2003/38/CE
(Modifica della direttiva 78/660/CEE relativa ai conti annuali di taluni tipi di società per quanto concerne gli importi espressi in euro)
La direttiva 2003/38/CE del Consiglio del 13 maggio 2003 modifica la direttiva 78/660/CEE relativa ai conti annuali di taluni tipi di società per quanto concerne gli importi espressi in euro[177].
In particolare, gli articoli 11 e 27 della direttiva 78/660/CEE e, per riferimento, l'articolo 6 della direttiva 83/349/CEE del Consiglio, del 13 giugno 1989, relativa ai conti consolidati, nonché gli articoli 20 e 21 dell'ottava direttiva 84/253/CEE del Consiglio, del 10 aprile 1984, relativa all'abilitazione delle persone incaricate del controllo di legge dei documenti contabili, stabiliscono limiti numerici espressi in euro per il totale dello stato patrimoniale e per l'importo netto del volume d'affari entro il quale gli Stati membri possono concedere alcune deroghe a tali direttive.
Poiché il quinto periodo quinquennale seguente all'adozione della direttiva 78/660/CEE è terminato il 24 luglio 2003, il Consiglio ha proceduto al riesame dei suddetti limiti, come prescritto nella direttiva stessa. Alla luce dell'evoluzione economica e monetaria nella Comunità, è risultato necessario elevare gli importi espressi in euro.
In particolare l’articolo 11 della direttiva 78/660/CEE autorizza gli Stati membri a permettere che le società redigano uno stato patrimoniale in forma abbreviata, qualora esse alla data di chiusura del bilancio non superino i limiti numerici relativi a due dei tre criteri seguenti:
- totale dello stato patrimoniale: 3.125.000 euro,
- importo netto del volume d'affari: 6.250.000 euro,
- numero dei dipendenti occupati in media durante l'esercizio: 50.
L’articolo 27 della medesima direttiva dispone che gli Stati membri possono autorizzare a derogare agli schemi di cui agli articoli da 23 a 26 le società che alla data di chiusura del bilancio non superano i limiti numerici relativi a due dei tre criteri seguenti:
- totale dello stato patrimoniale: 12.500.000 euro
- importo netto del volume d'affari: 25.000.000 euro
- numero dei dipendenti occupati in media durante l'esercizio: 250.
L’articolo 1 della direttiva 2003/38/CE modifica gli importi indicati nella direttiva 78/660/CEE nei seguenti termini:
- all'articolo 11, primo comma, primo trattino, i limiti relativi al totale dello stato patrimoniale passano da 3.125.000 euro a 3.650.000 euro;
- all'articolo 11, primo comma, secondo trattino, i limiti relativi all’importo netto del volume d'affari passano da 6.250.000 euro a 7.300.000 euro.
- all'articolo 27, primo comma, primo trattino, i limiti relativi al totale dello stato patrimoniale passano da 12.500.000 euro a 14.600.000 euro;
- all'articolo 27, primo comma, secondo trattino, i limiti relativi all’importo netto del volume d'affari passano da 25.000.000 euro a 29.200.000 euro.
L’articolo 2 della medesima direttiva 2003/38/CE prevede che gli Stati membri adottino le disposizioni necessarie per conformarsi alla presente direttiva se e nel momento in cui intendono valersi dell'opzione prevista dagli articoli 11 e 27 della direttiva 78/660/CEE. Essi ne informano immediatamente la Commissione.
Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, esse contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità del riferimento sono decise dagli Stati membri.
Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni essenziali di diritto nazionale che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva.
Direttiva 2003/73/CE
(Modifica dell’allegato III della direttiva 1999/94/CE del Parlamento europeo e del Consiglio)
La direttiva 2003/73/CE modifica l'allegato III della direttiva 1999/94/CE avente ad oggetto le informazioni sul risparmio di carburante e sulle emissioni di CO2 da fornire ai consumatori per quanto riguarda la commercializzazione di autovetture nuove.
La direttiva 1999/94/CE ha l'obiettivo di fornire informazioni sufficienti in merito al consumo di carburante e alle emissioni di anidride carbonica al fine di permettere ai consumatori una scelta consapevole al momento dell'acquisto di autoveicoli nuovi in vendita o in leasing nella Comunità. A tale scopo essa prescrive le modalità con cui tali informazioni devono essere portate all'attenzione del consumatore.
In particolare, nei quattro allegati della direttiva sono descritti in dettaglio gli strumenti di pubblicità delle informazioni, ovvero l'etichetta da apporre sull'autovettura (allegato I), la guida al risparmio di carburante (allegato II), il poster da esporre nei punti vendita (allegato III) e il materiale promozionale (allegato IV).
L'intervento di modifica dell'allegato III ad opera della direttiva 2003/73/CE è finalizzato ad introdurre uno strumento di comunicazione più moderno, nella specie un display elettronico, e a prevenire l'uso di tecniche di aggiornamento dei poster più difficili da impiegare.
Le modifiche introdotte prevedono quindi le esatte dimensioni del display elettronico, la tecnica di scorrimento per la visualizzazione delle informazioni e la cadenza trimestrale dell'aggiornamento delle informazioni.
Il termine di recepimento è fissato al 25 luglio 2004.
Direttiva 2003/93/CE
(Modifica della direttiva 77/799/CEE, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette e indirette)
Con la direttiva 2003/93/CE del Consiglio del 7 ottobre 2003 è stata modificata la direttiva 77/799/CEE relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette e indirette.
Alla direttiva 77/799/CEE è stata data attuazione, sulla base di delega legislativa conferita dalla legge 9 febbraio 1982, n. 42, con il decreto del Presidente della repubblica 5 giugno 1982, n. 506.
Il provvedimento comunitario interviene in modo specifico sulle regole di cooperazione esistenti, modificando e ridisegnando l'ambito applicativo ed il contenuto della precedente direttiva 77/799/CEE.
La direttiva nasce anzitutto dall'esigenza, manifestata in più occasioni, di estendere la cooperazione anche a settori impositivi che, in precedenza, non erano stati mai specificamente disciplinati, ma che presentano particolari profili di pericolosità fiscale o che possono essere di particolare interesse per delicate indagini internazionali. In questo senso, la direttiva 2003/93/CE provvede ad estendere la cooperazione anche alle imposte sui premi assicurativi.
Risultava inoltre necessario, considerando l'esperienza pregressa, ridisciplinare in modo più puntuale i meccanismi e le regole con cui gli Stati membri utilizzano le informazioni acquisite in forza della direttiva 77/799/CEE.
A tal fine la direttiva 2003/93/CE prevede, quale strumento centrale di cooperazione, lo scambio di informazioni. Questo può avvenire sia su richiesta di altro Stato membro, sia su base volontaria o in forza di meccanismi automatici.
In tutti i casi le informazioni che uno Stato dell'UE ottiene in virtù della direttiva 77/799/CEE, come modificata dalla direttiva in oggetto, dovranno:
- essere accessibili soltanto alle persone direttamente interessate dall'accertamento o dal controllo fiscale;
- essere rese note solo nel corso di procedimenti giurisdizionali penali o amministrativi rivolti all'accertamento o al controllo fiscale per il quale le informazioni sono state ottenute;
- essere utilizzate solo per l'accertamento delle imposte espressamente disciplinate dalla direttiva 77/799/CEE.
Per esplicita previsione dall'articolo 7 della direttiva 77/799/CEE, come novellato dall’articolo 1 della direttiva 2003/93/CE, le informazioni potranno essere utilizzate per l'accertamento di contributi, dazi e imposte di cui all'articolo 2 della direttiva 76/308/CEE.
Tale articolo, oltre alle imposte sul reddito, sul capitale e sui premi assicurativi, nonché alle accise già contemplate nella direttiva 77/799/CEE, menziona espressamente:
- restituzioni, interventi ed altre misure che fanno parte del sistema di finanziamento integrale o parziale del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG), compresi gli importi da riscuotere nel quadro di queste azioni;
- contributi ed altri dazi previsti nell'ambito dell'organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero;
- dazi all'importazione;
- dazi all'esportazione;
- imposta sul valore aggiunto;
- interessi, penali e ammende amministrative, e spese relativi ai crediti sopra indicati, con l'esclusione di qualsiasi sanzione di natura penale.
Riguardo infine all'IVA, la cooperazione non sarà più regolata dalla direttiva 77/799/CEE: per l'IVA, infatti, dal 1° gennaio 2004 la cooperazione è disciplinata dal regolamento 1798/2003 del 7 ottobre 2003.
Il termine per l'adozione di misure di applicazione della direttiva 2003/93/CE da parte degli Stati membri è stato fissato al 31 dicembre 2003.
Si segnala che la direttiva 77/799/CEE è stata ulteriormente modificata dalla direttiva 2004/56/CE del Consiglio, del 21 aprile 2004, il cui il termine per il recepimento da parte degli Stati membri è fissato, dall’articolo 2, al 31 dicembre 2004. Alcune delle modificazioni recate dalla direttiva 2004/56/CE incidono su parti modificate dalla direttiva 2003/93/CE in esame.
In particolare la direttiva 2003/93/CE, all’articolo 1, paragrafo 2b), modifica l’articolo 1, paragrafo 5, della direttiva 77/799/CEE, individuando l’autorità competente, per l’Italia, nel “Ministro dell’economia e delle finanze o un rappresentante autorizzato”, mentre la direttiva 2004/56/CE la identifica nel “Capo del Dipartimento per le politiche fiscali o suoi rappresentanti autorizzati”.
Una ulteriore modifica è recata all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 77/799/CEE, relativamente all’utilizzo delle informazioni: in particolare ne è previsto l’utilizzo nel corso delle udienze pubbliche o nelle sentenze qualora l’autorità dello Stato membro che fornisce le informazioni non vi si opponga. La direttiva 2004/56/CE specifica che l’opposizione deve essere esercitata “al momento della trasmissione iniziale delle informazioni”.
La direttiva 2004/56/CE, inoltre, modifica i paragrafi 1 e 3 dell’articolo 8 relativo ai limiti allo scambio di informazioni, ed introduce gli articoli 8-bis (Notifica) e 8-ter (Controlli simultanei).
Direttiva 2003/94/CE
(Principi e linee direttrici sulla fabbricazione dei medicinali per uso umano, inclusi quelli in fase di sperimentazione)
I princìpi e le buone prassi di fabbricazione dei medicinali per uso umano sono definiti nella direttiva 91/356/CEE della Commissione, nel cui campo di applicazione non sono, tuttavia, inclusi i medicinali in fase di sperimentazione. La direttiva 2001/20/CE del Parlamento europeo e del Consiglio[178] (concernente l'armonizzazione delle norme nazionali sulla buona pratica clinica nell'esecuzione della sperimentazione clinica dei medicinali per uso umano) prevede che siano elaborate indicazioni specifiche sui medicinali in fase di sperimentazione.
In questo quadro si inserisce la presente direttiva 2003/94/CE, che stabilisce i princìpi e le linee di indirizzo relativi alle buone prassi di fabbricazione dei medicinali ad uso umano in fase di sperimentazione e, per ragioni di chiarezza, aggiorna integralmente le norme della direttiva 91/356/CEE, la quale viene, quindi, abrogata.
Il termine per il recepimento e l’attuazione della presente direttiva è stabilito nel 30 aprile 2004.
In particolare, la direttiva prevede l’impegno degli Stati membri, attraverso reiterate ispezioni, a far sì che i fabbricanti rispettino i princìpi e le linee di indirizzo fissati dalla direttiva medesima.
Il fabbricante - ovvero l'importatore, nel caso di provenienza del prodotto da paesi terzi - è il garante dell'attuazione della buona pratica in sede di produzione: egli si accerta che tutte le operazioni di fabbricazione dei medicinali soggetti ad un'autorizzazione di immissione in commercio siano eseguite in conformità alla relativa domanda di autorizzazione e riesamina, ad intervalli regolari, i propri metodi di fabbricazione. Le varie operazioni di produzione sono effettuate secondo procedure prestabilite e in base a buone prassi di fabbricazione.
E' inoltre compito del fabbricante di attivare:
- un sistema di garanzia della qualità, il quale comprende anche lo svolgimento di ripetute autoispezioni;
- un sistema di controllo della medesima qualità; di quest'ultimo è responsabile "una persona adeguatamente qualificata e indipendente dalla produzione", a cui è assicurata la possibilità di far "analizzare e testare le materie prime, i materiali da imballaggio e i prodotti intermedi e finali".
In ogni sito produttivo, il personale deve essere in numero sufficiente, con competenza e qualifiche idonee e ricevere una formazione iniziale e permanente.
Gli stabilimenti e gli impianti sono progettati, costruiti e mantenuti in modo adeguato, tale da minimizzare rischi di errore e da permettere pulizia e manutenzione efficaci onde evitare contaminazioni.
Il fabbricante è tenuto a conservare la documentazione sui lotti di un medicinale per un determinato periodo di tempo (variabile secondo le fattispecie), in modo da consentire la ricostruzione dell'iter di fabbricazione di ogni lotto e delle modifiche introdotte durante lo sviluppo di un farmaco in fase di sperimentazione.
Ogni operazione di fabbricazione o ad essa collegata, se affidata a terzi, deve essere oggetto di contratto scritto; nel caso di subappalto, è necessaria un'autorizzazione per iscritto da parte del committente.
Il fabbricante ha l'obbligo di predisporre un sistema di esame dei reclami e di richiamo rapido del prodotto dalla rete di distribuzione, sia per i medicinali in commercio che per quelli in fase di sperimentazione.
Per questi secondi, si dispone altresì che l'etichetta sia "tale da tutelarne l'oggetto e garantirne la rintracciabilità, da consentire l'identificazione dei prodotti e degli esami e da permettere l'uso adeguato del medicinale".
Direttiva 2003/98/CE
(Riutilizzo dell’informazione del settore pubblico)
La direttiva n. 98 del 2003 disciplina il riutilizzo dell'informazione del settore pubblico, vale a dire l'uso dei documenti in possesso di enti pubblici da parte di persone fisiche o giuridiche a fini commerciali o non commerciali diversi dall'adempimento dei compiti di servizio pubblico.
Gli enti pubblici raccolgono, producono, riproducono e diffondono documenti nell’adempimento dei loro compiti del servizio pubblico. L’uso di tali documenti per altri motivi costituisce riutilizzo. L’informazione del settore pubblico (ad esempio informazioni geografiche, statistiche, commerciali e sul traffico) rappresenta un notevole patrimonio economico; fornisce la materia prima di nuovi prodotti e servizi digitali ed è un elemento chiave del commercio elettronico.
L'obiettivo della direttiva è quello di ridurre gli ostacoli che le imprese europee fornitrici di contenuti digitali incontrano nello sviluppo di una nuova generazione di prodotti e servizi fondati sulle informazioni del settore pubblico. La direttiva mira, in particolare, ad armonizzare le normative e le prassi degli Stati membri in materia, anche in funzione di un adeguato sviluppo della società dell'informazione. Infatti, come riconosciuto nel considerando 5 della direttiva, le informazioni raccolte o prodotte dal settore pubblico "sono un'importante materia prima per i prodotti e i servizi imperniati sui contenuti digitali". Gli enti pubblici, inoltre, dovrebbero promuovere e incoraggiare il riutilizzo di documenti, compresi i testi ufficiali di carattere legislativo e amministrativo, nei casi in cui gli enti pubblici hanno il diritto di autorizzarne il riutilizzo.
La direttiva - nel cui ambito di applicazione non sono compresi i programmi informatici (considerando 9) - non prescrive l’obbligo di consentire il riutilizzo di documenti, la cui decisione in merito spetta agli Stati membri o all’ente pubblico interessato.
La questione del riutilizzo dei documenti pubblici rientra nella strategia delineata dal piano d'azione eEurope 2002 intitolato Una società dell'informazione per tutti, approvato durante il Consiglio europeo di Feira del giugno 2000. In base ad esso, nell’ottobre del 2001 è stato adottata una comunicazione della Commissione relativa alla valorizzazione delle informazioni del settore pubblico incentrata sugli aspetti economici e sugli aspetti legati al mercato interno; essa propone una serie di iniziative volte ad eliminare gli ostacoli che ancora permangono nel mercato europeo, affrontando in particolare il problema della valorizzazione delle informazioni del settore pubblico[179].
La direttiva è entrata in vigore il 31 dicembre 2003; il termine per il suo recepimento è il 1° luglio 2005.
È previsto un complesso minimo di norme in materia di riutilizzo e di strumenti pratici al fine espresso di agevolare il riutilizzo dei documenti esistenti in possesso degli enti pubblici degli Stati membri. Non si prescrive un vero e proprio obbligo di consentire il riutilizzo dei documenti: la direttiva si limita a statuire che, se l'ordinamento nazionale permette il riutilizzo dei documenti in possesso di enti pubblici, questo deve essere consentito a fini commerciali e non commerciali. La disciplina non si applica:
§ ai documenti la cui fornitura costituisce un'attività che esula dall'ambito dei compiti del servizio pubblico;
§ ai documenti su cui terzi detengono diritti di proprietà intellettuale;
§ ai documenti esclusi dall'accesso per motivi di tutela della sicurezza nazionale o di segreto statistico o commerciale; ai documenti in possesso delle emittenti di servizio pubblico;
§ a quelli in possesso di istituti di istruzione e ricerca o di enti culturali quali musei, biblioteche, archivi (articolo 1).
Dopo la definizione dei termini utilizzati (articolo 2), l'articolo 3 enuncia, tra l'altro, il principio per cui i documenti sono resi disponibili, ove possibile, per via elettronica. L'esame delle richieste di riutilizzo e la fornitura dei documenti debbono avvenire in tempi ragionevoli (articolo 4). Gli enti pubblici mettono a disposizione i propri documenti in qualunque formato, con preferenza per quello elettronico (articolo 5). Per quanto riguarda la tariffazione (articolo 6), ne viene garantita la trasparenza (articolo 7), e si prescrive che l'eventuale corrispettivo richiesto non superi i costi di raccolta, produzione, riproduzione e diffusione, maggiorati di un congruo utile sugli investimenti. Inoltre, è possibile, per gli enti pubblici, sia autorizzare un riutilizzo incondizionato dei documenti sia imporre delle condizioni (anche, ove opportuno, attraverso licenze, ex articolo 8). Il principio di non discriminazione fra categorie analoghe di riutilizzo viene fissato nell'articolo 10, mentre l'articolo 11 prevede il divieto di (nuovi) accordi di esclusiva[180], ponendo un termine finale di efficacia per quelli in essere (31 dicembre 2008).
Infine, l'articolo 13 prevede una procedura di riesame dell'applicazione (entro il 1° luglio 2008) da parte della Commissione, che ne comunica i risultati al Parlamento e al Consiglio.
Nell’ordinamento interno il riuso di documenti della pubblica amministrazione è previsto dalla legge n. 340 del 2000 (legge di semplificazione del 2000) ed è limitato ai programmi informatici che possono essere dati in uso gratuito solamente ad altre amministrazioni pubbliche[181].
Documenti all’esame delle Istituzioni europee
La Commissione ha adottato il 26 settembre 2003 una comunicazione sul ruolo dell'e-government per il futuro dell'Europa (COM(2003) 567)
La comunicazione contiene una tabella di marcia - con una serie dettagliata di azioni - per l'attuazione dell'e-government, che si basa sia sul potenziamento degli scambi di buone prassi tra gli Stati membri, sia sul sostegno dell'Unione europea agli Stati membri nell'ambito dei programmi e dispositivi comunitari pertinenti, onde determinare, con un effetto leva, maggiori investimenti nazionali nell'organizzazione delle risorse umane, e non soltanto a livello delle tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni.
La Commissione europea ha adottato il 17 maggio 2004 una comunicazione (COM(2004) 380) sull’aggiornamento del piano d’azione e-Europe 2005 nella quale si propongono azioni mirate ad una maggiore generalizzazione dei servizi offerti in tre settori di e-Europe: e‑government, e‑health e e‑learning.
Il piano e-Europe 2005, adottato dal Consiglio europeo di Siviglia (21-22 giugno 2002), rappresenta la continuazione del programma e-Europe 2002 e traccia gli orientamenti per interventi coordinati nel settore della società dell’informazione al fine di perseguire i seguenti obiettivi: offrire servizi pubblici interattivi a partire da piattaforme tecnologiche diverse (e-government); favorire la diffusione delle reti a banda larga; garantire la sicurezza delle reti e dell’informazione; promuovere l’apprendimento per via elettronica (e-learning) e l’assistenza sanitaria on line (e-health).
Il Consiglio ha adottato il 30 marzo 2004 la decisione relativa all'erogazione interoperabile di servizi paneuropei di governo elettronico alle amministrazioni pubbliche, alle imprese e ai cittadini (programma IDABC).
Il programma IDABC, che sostituirà l'attuale programma IDA[182], è volto a individuare, sostenere e promuovere la creazione e lo sviluppo di servizi paneuropei di governo elettronico e delle connesse reti telematiche interoperabili. Il nuovo programma fungerà da sostegno all'applicazione di atti legislativi comunitari e avrà al centro delle sue attività la prestazione di servizi da pubblica amministrazione a pubblica amministrazione, estendendo ai cittadini e alle imprese i vantaggi risultanti dalla cooperazione tra le pubbliche amministrazioni in Europa.
Il Consiglio,nella riunione del 10 e 11 giugno 2004, ha raggiunto (nell’ambito della procedura di codecisione) un accordo politico sulla proposta modificata di decisione che adotta un programma comunitario pluriennale inteso a incentivare lo sviluppo e l'utilizzo dei contenuti digitali europei nelle reti globali e a promuovere la diversità linguistica nella società dell'informazione (e-Contentplus) (COM)(2004)367).
Scopo del programma è rendere i contenuti digitali europei più accessibili, utilizzabili e sfruttabili, favorendo la combinazione di informazioni provenienti da sistemi informatici, formati e lingue differenti, apportando un contributo significativo alla strategia e-Europe. La proposta prevede per il programma una dotazione finanziaria pari a135 milioni di euro per il periodo 2005-2008.
Il testo della posizione comune del Consiglio, una volta formalmente adottato, sarà trasmesso al Parlamento europeo per la seconda lettura.
Direttiva 2001/42/CE
(Valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente)
La direttiva 2001/42/CE ha la finalità di contribuire, grazie al sistema di valutazione di impatto ambientale, all'integrazione delle considerazioni ambientali nell'elaborazione e nell'adozione di taluni piani e programmi, che possono avere effetti significativi sull'ambiente, garantendo un elevato livello di protezione ambientale al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile (art.1).
Tale direttiva introduce, quindi, una valutazione ambientale strategica (VAS) che si pone come completamento e sviluppo, in quanto concerne piani e programmi e non solo progetti definitivi, della già disciplinata valutazione di impatto ambientale (VIA). il sistema di valutazione di impatto ambientale istituito dalla direttiva 85/337/CEE concernente, appunto, la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati.
Problema rilevante della attuale VIA, infatti, è che essa interviene in una fase troppo avanzata del processo di pianificazione, spesso quando il progetto è quasi in fase di realizzazione, con conseguenti apprezzabili costi sia economici che ambientali. La valutazione ambientale strategica cerca di sopperire a tale carenza, introducendo tempestivamente - nel processo di pianificazione – l’esame degli aspetti ambientali. Obiettivo ultimo di tale procedura è la realizzazione di una integrazione concreta della dimensione ambientale nelle politiche degli altri settori, con un conseguente sviluppo sostenibile.
Si ricorda che la direttiva 85/337/CEE ha instaurato negli Stati membri un sistema di valutazione preventiva degli effetti che determinati progetti pubblici e privati possono avere sull'ambiente. L’ambito di applicazione della direttiva 85/337/CEE comprende la realizzazione di lavori di costruzione, di impianti od opere, nonché di altri interventi sull'ambiente naturale o sul paesaggio[183].
Prima dell’emanazione della presente direttiva – che introduce una disciplina organica della VAS - la normativa comunitaria prevedeva l’obbligo della stessa esclusivamente all’interno di interventi di settore, ed in particolare nell’ambito della politica per le aree depresse.
Il Regolamento CE n. 1260 del Consiglio del 21 giugno del 1999, recante disposizioni generali sui Fondi strutturali, prevede infatti - per la valutazione dell’efficacia degli interventi strutturali - che l’azione comunitaria sia oggetto di una valutazione ex ante, di una valutazione intermedia e di una valutazione ex post (art. 40-43). La valutazione ex ante, in particolare, è finalizzata alla preparazione ed all’adozione dei piani, dei quali è parte integrante, integrando le tematiche ambientali nelle misure e nelle azioni dei Fondi strutturali.
In Italia, invero, l’art. 1, comma 4 della legge 9 ottobre 2000, n. 285 (Interventi per i Giochi olimpici invernali “Torino 2006”), ha introdotto - per la prima volta - nella legislazione statale, l’obbligo della valutazione ambientale strategica, per valutare preventivamente gli “effetti sul territorio, diretti ed indiretti, cumulativi, sinergici, a breve ed a lungo termine, permanenti e temporanei , positivi e negativi” del piano degli interventi previsti per lo svolgimento dei XX Giochi olimpici invernali “Torino 2006”, al fine di verificare la sostenibilità ambientale del piano stesso.
Si segnala, inoltre, che l’istituto della VAS è già previsto e disciplinato da alcune leggi regionali. Ci si riferisce, in particolare, all’art. 6 della legge della Regione Basilicata n. 48 del 2000; agli articoli 5, 14, 18 e 40 della legge Regione Emilia Romagna n. 20 del 2000; all’art. 5 della legge Friuli Venezia Giulia n. 43 del 1990; agli articoli 3, 4 e 5 della legge Regione Liguria n. 38 del 1998; agli articoli 2 e 20 della legge Regione Piemonte n. 40 del 1998, con riferimento a piani e programmi; agli articoli 22-24 della legge Regione Puglia n. 11 del 2001 ; all’art. 8 della legge Regione Toscana n. 5 del 1995; alle leggi Regione Umbria n. 28 del 1995 e n. 31 del 1997; alle leggi Regione Valle d’Aosta n. 11 del 1998 e n. 14 del 1999 (art. 6); ed all’art.5 della legge della Provincia Autonoma di Bolzano n. 7 del 1998.
La finalità prioritaria della VAS è la verifica della rispondenza del programma con gli obiettivi dello sviluppo sostenibile, sia valutando il grado di integrazione dei principi di sviluppo sostenibile al suo interno, sia verificandone il complessivo impatto ambientale, ovvero la diretta incidenza sulla qualità dell’ambiente.
I momenti fondamentali di tale valutazione vertono sulla verifica dei seguenti aspetti:
- corrispondenza degli obiettivi del piano o del programma con gli obiettivi dello sviluppo sostenibile;
- coerenza delle previsioni puntuali del piano o del programma con gli obiettivi della sostenibilità ambientale;
- coerenza delle previsioni del programma con il quadro conoscitivo delle risorse territoriali ed ambientali e con le sensibilità e le criticità esistenti.
Tale direttiva, composta da 15 articoli, ha – come viene recitato nel preambolo – “carattere procedurale e le sue disposizioni dovrebbero essere integrate nelle procedure esistenti negli Stati membri o incorporate in procedure specificamente stabilite”.
Importante innovazione introdotta è riconducibile al momento della valutazione stessa che "deve essere effettuata durante la fase preparatoria del piano o del programma ed anteriormente alla sua adozione o all'avvio della relativa procedura legislativa" (art.4). È quindi una procedura che accompagna l'iter pianificatorio o programmatico tesa a garantire una scelta coscienziosa fra le alternative "alla luce degli obiettivi e dell'ambito territoriale del piano e programma" (art.5).
L’art. 5 dispone, infatti, che qualora sia necessaria una valutazione ambientale ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, deve essere redatto un rapporto ambientale in cui sono esposte dettagliatamente, fra l'altro, una serie di informazioni indicate nell’Allegato I[184]. La dichiarazione dovrà inoltre contenere un riassunto in cui tali informazioni sono espresse in linguaggio non tecnico.
L'ambito di applicazione della VAS riguarda tutti "i piani e i programmi che possono avere effetti significativi sull'ambiente e che sono elaborati per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, e che definiscono il quadro di riferimento per l'applicazione dei progetti elencati negli allegati I e II della direttiva 85/337/CEE, o per i quali, in considerazione dei possibili effetti sui siti, si ritiene necessaria una valutazione ai sensi degli art. 6 e 7 della direttiva 92/43/CEE" (art. 3.2). Inoltre, l’art. 3 (punti 3, 4, 5) prevede che gli Stati membri possano determinare altre tipologie di piani o programmi che possono avere effetti significativi sull'ambiente. Infine si ricorda che l'art. 3.8 definisce anche gli ambiti di non applicazione.
Altra importante introduzione è la sostanziale partecipazione del "pubblico" (art. 6) nel processo valutativo dove per pubblico si intende "una o più persone fisiche o giuridiche, secondo la normativa o la prassi nazionale, e le loro associazioni, organizzazioni o gruppi"[185].
L’art. 6 della direttiva prevede, infatti, che la proposta di piano o di programma ed il rapporto ambientale devono essere messi a disposizione delle autorità responsabili dell'ambiente e del pubblico, che hanno la possibilità di esprimere la propria opinione sul progetto di piano o di programma prima dell'adozione o dell'avvio dell'iter legislativo.
L’art. 8 prevede poi che in fase di preparazione del piano o del programma e prima della sua adozione le autorità competenti prendono in considerazione il rapporto ambientale, i pareri espressi dalle autorità responsabili e dal pubblico nonché i risultati di ogni consultazione transfrontaliera avviata ai sensi dell’art. 7.
Ai sensi dell’art.9, quando un piano o un programma è adottato, lo Stato membro responsabile ne informa tutte le parti interessate e consultate. Mette a loro disposizione il piano o il programma adottato, una dichiarazione di sintesi in cui si illustra in che modo le considerazioni ambientali sono state integrate, il rapporto ambientale, i pareri e i risultati delle consultazioni, le ragioni per le quali è stato scelto il piano o il programma adottato e le misure di monitoraggio previste.
Un’altra importante innovazione è infatti costituita dalle misure previste per il monitoraggio durante l'attuazione del piano al fine di contrastare gli effetti negativi derivanti dall'attuazione dello stesso, il che permette di effettuare delle correzioni al processo in atto (art. 10).
L’art. 13 stabilisce, infine, il termine ultimo per il recepimento della normativa comunitaria negli Stati membri che è fissato al 21 luglio 2004.
Direttiva 2001/84/CE
(Diritto dell’autore di un’opera d’arte sulle successive vendite dell’originale)
La direttiva intende armonizzare le normative degli Stati membri introducendo a vantaggio dell'autore di un’opera d’arte un diritto obbligatorio sulle vendite successive ovvero il diritto inalienabile a percepire una percentuale del prezzo ad ogni rivendita di un'opera d'arte originale; tale diritto sussiste quando la rivendita sia effettuata da professionisti del mercato dell'arte quali case d'asta, gallerie o commercianti di opere d'arte in generale.
Tale disciplina si rende necessaria in quanto sebbene la Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie e artistiche contempli il diritto dell'autore di un'opera d'arte sulle vendite successive dell'originale, ciò non costituisce un obbligo per gli Stati membri, alcuni dei quali, infatti, non hanno ancora recepito le relative disposizioni.
Il diritto sulle vendite successive si applica alle opere delle arti figurative come quadri, collage, dipinti, disegni, incisioni, stampe, litografie, sculture, arazzi, ceramiche, opere in vetro e fotografie purché si tratti di creazioni interamente eseguite dall'artista stesso o di esemplari considerati come opere d'arte originali, secondo la prassi della categoria (ad esempio, una produzione limitata o le opere firmate). Va osservato che il diritto sulle vendite successive non si applica ai manoscritti originali degli scrittori e dei compositori.
Il diritto, valido per settanta anni dalla morte dell'autore dell’opera, è a carico del rivenditore e viene percepito dall'autore; dopo la sua morte - salvo eccezioni - è percepito dai suoi aventi diritto.
La direttiva si applica a tutte le opere che nel gennaio 2006 saranno ancora protette dalla legislazione degli Stati membri in tema di diritto d'autore o che a tale data soddisferanno i criteri di protezione della direttiva.
Per preservare una certa gradualità nell’introduzione della normativa oggetto della direttiva, l’art. 8 prevede che gli Stati membri che nell’ottobre 2001 (e cioè all’entrata in vigore della direttiva) non avevano ancora una disciplina del diritto sulle vendite successive, non siano tenuti, fino al 1° gennaio 2010, a riconoscere tale diritto a favore degli aventi causa dell'artista. Tale termine, in presenza di adeguate motivazioni, potrà essere prorogato di ulteriori due anni.
Gli Stati membri fissano un prezzo di vendita minimo a partire dal quale le vendite sono soggette al diritto sulle vendite successive, ma tale prezzo non può superare i 3000 euro. La direttiva stabilisce che gli artisti percepiscano una percentuale sul prezzo di vendita delle loro opere compresa tra il 4% e lo 0,25% per cinque fasce di prezzo.
L'importo totale di tale diritto non può comunque superare i 12 500 euro.
Se un autore è cittadino di un paese non appartenente all'Unione europea egli può beneficiare del diritto sulle vendite successive di opere d'arte se il suo paese accorda un'analoga protezione agli autori cittadini degli Stati membri; uno Stato membro può tuttavia applicare le disposizioni della direttiva se il beneficiario risiede abitualmente in detto Stato membro.
Al fine di garantire procedure adeguate atte a consentire il controllo delle transazioni i beneficiari del diritto sulle vendite successive possono, per un periodo di tre anni a partire dalla rivendita, esigere da qualsiasi professionista del mercato dell'arte tutte le informazioni necessarie ad assicurare il pagamento dei compensi relativi al diritto sulle vendite successive di opere d'arte.
La Commissione è tenuta a presentare al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale, al più tardi entro il 1° gennaio 2009 e successivamente ogni quattro anni, una relazione sull'applicazione e gli effetti della direttiva in cui verrà prestata particolare attenzione alla concorrenzialità del mercato dell'arte moderna e contemporanea nella Comunità. All'occorrenza la Commissione può presentare proposte di modifica della direttiva.
È stato istituito un comitato di contatto incaricato di organizzare le consultazioni sulle questioni derivanti dall'applicazione della direttiva e di facilitare gli scambi di informazioni fra la Commissione e gli Stati membri sull'andamento del mercato dell'arte nella Comunità.
Ai sensi dell’articolo 12, la direttiva deve essere attuata dagli Stati entro il 1° gennaio 2006.
Direttiva 2002/14/CE
(Istituzione di un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori)
La direttiva 2002/14/CE - che istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori nelle imprese o negli stabilimenti situati nell’Unione Europea - si applica, a seconda della scelta fatta dagli Stati membri, a tutte le imprese[186] che impiegano in uno Stato membro almeno 50 addetti o a tutti gli stabilimenti[187] che impiegano, sempre in uno Stato membro, almeno 20 addetti.
Le procedure di informazione e consultazione riguardano in particolare l’evoluzione e le prospettive dell’attività dell’impresa o dello stabilimento; la situazione economica; la situazione, la struttura e l’evoluzione probabile dell’occupazione nell’ambito dell’impresa o stabilimento, nonché tutte le decisioni suscettibili di comportare cambiamenti di rilievo in materia di organizzazione del lavoro e di contratti di lavoro (art. 4).
L’articolo 5 della direttiva prevede che gli Stati membri possano autorizzare le parti sociali a definire liberamente e mediante accordo le modalità di applicazione dei dispositivi di informazione e di consultazione.
Deve essere altresì garantita la riservatezza delle informazioni fornite in via riservata ai rappresentanti dei lavoratori ed agli eventuali esperti che li assistano, ed il datore di lavoro può essere esentato dall'obbligo di informazione e di consultazione nel caso in cui ciò ostacoli gravemente il funzionamento dell'impresa o le rechi pregiudizio (art. 6).
Dovranno poi essere previste disposizioni atte a garantire protezione ai rappresentanti dei lavoratori nell’esercizio delle loro funzioni (art. 7) e misure di carattere sanzionatorio applicabili in caso di violazione agli obblighi derivanti dall’attuazione della direttiva (art. 8).
L’articolo 9 specifica che le disposizioni della direttiva non pregiudicano:
a) le procedure di informazione e consultazione stabilite dall’art. 2 della direttiva 98/59/CE e dall’art. 7 della direttiva 2001/23/CE.
Si ricorda che l’articolo 2 della direttiva 98/59/CE del 20 luglio 1998[188], concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, disciplina gli obblighi di informazione e consultazione del datore di lavoro nei confronti dei rappresentanti dei lavoratori, nel caso in cui il primo preveda di effettuare licenziamenti collettivi. La direttiva è stata recepita nell’ordinamento nazionale con il D.Lgs. 8 aprile 2004, n. 110, recante “Modifiche ed integrazioni alla legge 23 luglio 1991, n. 223, in materia di licenziamenti collettivi”, emanato in attuazione della delega prevista dal’art. 20, comma 1, della Legge 14 del 2003 (legge comunitaria 2002).
L’articolo 7 della direttiva 2001/23/CE del 12 marzo 2001[189], concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, disciplina gli obblighi di informazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori interessati dal trasferimento da parte del cedente e del cessionario[190].
b) i provvedimenti adottati in base alle direttive 94/45/CE e 97/74/CE.
Si ricorda che la direttiva 94/45/CE, del Consiglio, del 22 settembre 1994, concernente l'istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l'informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie, al fine di migliorare il diritto all'informazione e alla consultazione dei lavoratori. La Direttiva è stata recepita nell’ordinamento con il D.Lgs. 2 aprile 2002, n. 74, emanato in attuazione della delega prevista dagli articoli 1, 2 e 8 e dall'allegato B della legge 422 del 2000 (legge comunitaria 2000). La direttiva 97/74/CE,del Consiglio, del 15 dicembre 1997, estende le disposizioni della direttiva 94/45/CE, alle imprese e gruppi di imprese di dimensioni comunitarie al Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord.
Entro il 23 marzo 2007 è prevista una verifica da parte della Commissione in merito all'applicazione della direttiva, in consultazione con le parti sociali e gli Stati membri per proporre al Consiglio le modifiche che si rendessero necessarie (art. 12).
ll termine di recepimento della direttiva è stato fissato al 23 marzo 2005 (art. 11).
Si ricorda che con l’art. 1 della legge 3 febbraio 2003, n. 14 (Legge comunitaria per il 2002), il Governo è già stato delegato dal Parlamento a dare attuazione alla direttiva 2002/14/CE contenuta nell’Allegato B alla medesima legge. La delega, non essendo stata esercitata entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della Legge 14, è scaduta.
Il tema della partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa - che non riguarda comunque la gestione corrente, di competenza della direzione, bensì la vigilanza e lo sviluppo delle strategie dell'impresa - è stato più volte affrontato in sede comunitaria, soprattutto per quel che riguarda i diritti di informazione e consultazione dei lavoratori stessi.
L’articolo 136 del Trattato stabilisce che la Comunità e gli Stati membri devono prefiggersi, in particolare, di promuovere il dialogo sociale ed il punto 17 della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori prevede la necessità di sviluppare l’informazione, la consultazione e la partecipazione dei lavoratori, tenendo conto delle prassi vigenti negli Stati membri.
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea proclamata il 7 dicembre 2000 a Nizza, congiuntamente da parte del Consiglio, della Commissione e del Parlamento europeo, all’art. 27, garantisce il diritto dei lavoratori, o di loro rappresentanti, all’informazione e alla consultazione in tempo utile, nei casi e alle condizioni previsti dal diritto comunitario e dalle legislazioni e prassi nazionali. Dal momento che la Carta dei diritti è stata inserita nella parte II del Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa, adottato dalla Conferenza intergovernativa, riunita a livello di Capi di Stato e di Governo, a Bruxelles il 18 giugno 2004, il medesimo principio è ribadito anche in quella sede (articolo II-27).
Si ricorda, inoltre, che in riferimento ad altri aspetti sono state emanate le seguenti direttive:
- direttiva 2001/86/CE dell’8 ottobre 2001 che completa lo statuto della società europea per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori. La delega al Governo per l‘attuazione della direttiva 2001/86/CE è contenuta nella Legge 1° marzo 2002, n. 39, legge comunitaria 2001. Si ricorda che la direttiva 2001/86/CE provvede a disciplinare sia l'informazione che la consultazione dei rappresentanti dei lavoratori in merito a questioni che riguardano la società per azioni europea (Societas Europaea, denominata SE[191]); le sue affiliate o dipendenze, riprendendo essenzialmente le disposizioni già previste per il comitato aziendale europeo (cfr. Direttiva 94/45/CEE); nonché le modalità di partecipazione dei lavoratori nell'organo di vigilanza o di amministrazione della società
- direttiva 2003/72/CE del Consiglio del 22 luglio 2003: che completa lo statuto della società cooperativa europea per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori (sulla quale si vedano infra le schede del presente dossier).
Nell’ordinamento nazionale di recente, con l’articolo 4, comma 112, della legge n. 350 del 2003 (Legge finanziaria 2004), è stato istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un Fondo speciale per l'incentivazione della partecipazione dei lavoratori nelle imprese finalizzato a sostenere programmi - definiti in attuazione di accordi sindacali o statuti societari - volti a promuovere la partecipazione dei lavoratori ai "risultati" o alle "scelte gestionali" dell'impresa.
Si ricorda che è attualmente all’esame in sede referente presso le Commissioni riunite VI Finanze e XI Lavoro pubblico e privato della Camera la proposta di legge C. 2023 Cirielli ed altri recante “Delega al Governo per l'adozione di uno “statuto partecipativo” delle imprese finalizzato alla partecipazione dei lavoratori alla gestione e ai risultati di impresa”[192].
Inoltre, in data 20 novembre 2003, è stato approvato dalla Camera dei Deputati e trasmesso al Senato[193] il disegno di legge A.S. 2595, recante “Delega al Governo concernente la disciplina dell’impresa sociale ”, con il quale il Governo viene delegato ad emanare uno o più decreti legislativi per adottare una definizione di impresa sociale applicabile trasversalmente ad enti del libro I e del libro V del codice civile e per adottare le fondamentali prescrizioni della relativa disciplina.
Tra i principi e criteri direttivi è contemplata la previsione di forme di partecipazione nell’impresa per i prestatori d’opera.
Direttiva 2002/15/CE
(Organizzazione dell’orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto)
La Direttiva 2002/15/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2002, relativa all'organizzazione dell'orario di lavoro dei lavoratori mobili svolgenti attività di trasporto su strada, stabilisce prescrizioni minime in materia di organizzazione dell’orario di lavoro, al fine di proteggere la salute e garantire la sicurezza delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto, per migliorare la sicurezza stradale ed evitare distorsioni di concorrenza all'interno della Comunità.
In sostanza, la direttiva in esame, insieme ad altre misure coordinate, mira ad estendere il campo d'applicazione delle disposizioni della Direttiva 93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, come modificata dalla direttiva 2000/34/CE, del 22 giugno 2000, del Parlamento europeo e del Consiglio,a tutte le attività del settore stradale.
La direttiva deve essere adottata entro il 23 marzo 2005 (articolo 14).
La direttiva si è resa necessaria in quanto “malgrado attive negoziazioni tra le parti sociali non si è raggiunta un'intesa per i lavoratori mobili del settore dell'autotrasporto” (“considerando” n. 3). In relazione a ciò, si è ritenuto necessario “prevedere un insieme di prescrizioni più specifiche relative all'orario di lavoro per i trasporti su strada, miranti ad assicurare la sicurezza dei trasporti nonché la salute e la sicurezza delle persone interessate” (“considerando” n. 4).
In ogni caso (“considerando” n. 9), le definizioni di cui alla presente direttiva non devono costituire un precedente per altre normative comunitarie relative all'orario di lavoro.
Al riguardo, si ricorda che nel 1993, in occasione dell'adozione della citata direttiva 93/104/CE relativa all'organizzazione dell’orario di lavoro, il Consiglio aveva escluso dal campo d'applicazione della direttiva i settori "dei trasporti aerei, ferroviari, stradali, marittimi, fluviali e lacustri, della pesca marittima, di altre attività in mare, nonché delle attività dei medici in formazione", data la natura specifica di tali attività.
Nel caso specifico del settore dei trasporti su strada, con il regolamento (CEE) n. 3820/85 è stata già stabilita la durata massima giornaliera di guida e la durata minima dei periodi di riposo.
In data 15 luglio 1997, la Commissione ha adottato un Libro bianco sui settori e sulle attività escluse dalla direttiva riguardante l'orario di lavoro[194], proponendo una serie di approcci al fine di garantire la protezione della salute e la sicurezza dei lavoratori dei settori esclusi dall'applicazione della citata direttiva 93/104/CE.
Successivamente, il 18 novembre 1998, la Commissione ha presentato una comunicazione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni, sull'organizzazione dell'orario di lavoro nei settori e per le attività non rientranti nel campo d'applicazione della richiamata direttiva 93/104/CE[195].
Il provvedimento riguarda tutti i lavoratori mobili svolgenti attività di trasporto su strada occupati presso imprese ubicate in uno Stato membro, che partecipano ad attività di trasporto contemplate dal Regolamento (CEE) n. 3280/85, relativo all'armonizzazione di alcune disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada - o dell’accordo europeo relativo alle prestazioni lavorative degli equipaggi dei veicoli addetti ai trasporti internazionali su strada (AETR) -, nonché i conducenti indipendenti a decorrere dal 23 marzo 2009[196] (“considerando” n. 6, articolo 1, paragrafo 2).
Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, la direttiva in esame integra le disposizioni del citato Regolamento (CEE) n. 3820/85, e, se necessario, dell’accordo AETR, che prevalgono su quelle della presente direttiva. Allo stesso tempo, il disposto della direttiva in esame prevale su quello della direttiva 93/104/CE, nel caso in cui le prescrizioni indicate siano più specifiche per i lavoratori (“considerando” n. 2, articolo 2, paragrafo 3).
Oltre a fornire alcune definizioni, la direttiva in esame disciplina la durata massima settimanale della prestazione lavorativa(articolo 4), i riposi intermedi (articolo 5), i periodi di riposo (articolo 6) e il lavoro notturno (articolo 7).
Ai sensi del “considerando” n. 10, infatti, si ritiene necessario che, “al fine di migliorare la sicurezza stradale, impedire distorsioni di concorrenza e tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori mobili oggetto della presente direttiva, questi ultimi dovrebbero sapere con precisione, da un lato, quali siano i periodi dedicati ad operazioni di autotrasporto che sono considerati orario di lavoro e, dall'altro, quali siano quelli che ne sono esclusi e che sono considerati come riposi intermedi, come periodi di riposo o tempi di disponibilità. Questi lavoratori dovrebbero aver diritto a riposi minimi giornalieri e settimanali, nonché ad adeguati riposi intermedi. È altresì necessario stabilire il limite massimo dell'orario di lavoro settimanale”.
La durata media della settimana lavorativa non deve superare le 48 ore.
Questa può essere estesa a 60 ore se la media di 48 ore settimanali non viene superata nell'arco di quattro mesi.
La durata del lavoro per i lavoratori mobili corrisponde alla somma complessiva delle ore svolte nelle varie imprese. Il lavoratore dipendente è tenuto ad informare ciascuno dei suoi datori di lavoro relativamente alle ore lavorate per le altre imprese.
Le disposizioni relative ai periodi di pausa del Regolamento (CEE) n. 3820/85 si applicano ai conducenti indipendenti e ai lavoratori mobili interessati. E’ inoltre previsto il divieto di lavorare oltre 6 ore consecutive senza un riposo intermedio.
Inoltre, l'orario di lavoro deve essere interrotto da riposi intermedi di almeno 30 minuti se il totale delle ore di lavoro è compreso fra 6 e 9 ore, di almeno 45 minuti se supera le 9 ore.
In applicazione delle disposizioni del Regolamento (CEE) n. 3820/85 o dell’accordo AETR, ai fini della presente direttiva, gli apprendisti e i tirocinanti sono soggetti, per quanto riguarda i periodi di riposo, alle stesse disposizioni di cui beneficiano gli altri lavoratori mobili
La direttiva prevede che la durata quotidiana del lavoro giornaliero, nel caso sia svolto il lavoro notturno, non possa essere superiore a 10 ore per ciascun periodo di 24 ore. Inoltre, il lavoro notturno deve essere indennizzato conformemente alla normativa nazionale, ai contratti collettivi, agli accordi tra parti sociali ovvero alle consuetudini nazionali, sempreché il metodo di indennizzo prescelto sia tale da non compromettere la sicurezza stradale.
Si segnala, peraltro, che l’articolo 8 della direttiva detta disposizioni di deroga alla disciplina appena descritta. In particolare, gli Stati membri possono derogare alle disposizioni della direttiva relative alla durata massima settimanale del lavoro e del lavoro notturno, per mezzo di accordi collettivi o accordi tra le parti sociali ovvero, qualora ciò non sia possibile, con disposizioni legislative, regolamentari e amministrative, previa consultazione dei datori di lavoro e dei lavoratori interessati e previo tentativo di incoraggiare il dialogo sociale in tutte le forme idonee. La deroga in materia di durata massima settimanale dell’orario non può in nessun caso estendere oltre i 6 mesi il periodo di riferimento per calcolare la settimana lavorativa media di 48 ore.
Il successivo articolo 9 detta disposizioni in materia di informazione dei lavoratori e registri.
In particolare, gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché il datore di lavoro:
§ affigga una copia della direttiva e della normativa nazionale applicabile in materia, in un luogo accessibile a tutti i lavoratori;
§ registri il tempo di lavoro svolto dai lavoratori mobili.
In ogni caso, agli Stati membri è riconosciuta la facoltà di introdurre disposizioni (legislative, regolamentari o amministrative) più favorevoli per la tutela della sicurezza e della salute delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto, o di promuovere o consentire l'applicazione di contratti collettivi o di altri accordi stipulati tra le parti sociali che risultino più favorevoli per la tutela della sicurezza e della salute di tali lavoratori (articolo 10).
La definizione delle sanzioni rientra nella competenza e nella responsabilità degli Stati membri. Le sanzioni devono essere effettive, proporzionate all'infrazione e dissuasive (articolo 11).
Infine, gli Stati membri presenteranno alla Commissione ogni due anni una relazione sull'attuazione pratica delle disposizioni della direttiva, indicando i punti di vista espressi dalle parti sociali. Allo stesso tempo, la Commissione elabora ogni due anni una relazione sull'attuazione della direttiva da parte degli Stati membri che viene successivamente trasmessa al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale (articolo 13).
Direttiva 2003/06/CE
(Abusi di mercato)
La direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, relativa all'abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato), è stata adottata nel contesto dell’attuazione del Piano d’azione per i servizi finanziari.
Il Piano d’azione per i servizi finanziari è stato presentato dalla Commissione europea nel maggio 1999[197], su richiesta del Consiglio europeo di Vienna del dicembre 1998, allo scopo di tradurre in un preciso programma di lavoro le linee di intervento prospettate nel Quadro di azione per i servizi finanziari[198].
Il Piano d’azione prevede l’adozione di una serie di misure, prevalentemente di natura legislativa, necessarie per la creazione, entro il 2005, di un mercato unico di tutti i servizi finanziari (banche, assicurazioni e valori mobiliari). A tal fine, il documento individua tre grandi obiettivi strategici: la creazione di un mercato unico dei servizi all’ingrosso; la creazione di mercati al dettaglio aperti e sicuri; l’adozione di norme prudenziali adeguate.
In merito alla attuazione del Piano d’azione occorre rilevare che il Consiglio europeo di Stoccolma del 23 e 24 marzo 2001, approvando una specifica risoluzione relativa ad una più efficace regolamentazione dei mercati dei valori mobiliari nell'Unione europea, ha fissato l’obiettivo di realizzare un mercato dei valori mobiliari integrato, già entro la fine del 2003.
A tal fine, la risoluzione ha previsto l’applicazione del modello decisionale proposto nel rapporto finale sulla regolamentazione dei mercati europei dei valori mobiliari presentato nel febbraio 2001 dal comitato di personalità indipendenti presieduto dall’ex presidente dell’IME Alexandre Lamfalussy, costituito in seguito alle conclusioni del Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000.
La direttiva in esame costituisce il primo atto normativo approvato che prevede l’applicazione del modello decisionale Lamfalussy.
Il preambolo della direttiva (considerando 9-11) riconnette l’adozione della nuova disciplina degli abusi di mercato alla necessità di assicurare l'integrità del mercato finanziario europeo, la quale costituisce il presupposto per il regolare funzionamento dei mercati mobiliari e la fiducia del pubblico nei valori mobiliari e negli strumenti derivati.
Il quadro giuridico comunitario e nazionale a tutela dell'integrità del mercato previgente alla direttiva in esame risultava inadeguato, come sottolineato dall’undicesimo considerando.
In primo luogo, l’unica direttiva in materia, la 89/592/CEE del Consiglio, del 13 novembre 1989, si limitava a prevedere il coordinamento delle legislazioni nazionali in materia di insider trading e non anche di manipolazione del mercato. La disciplina della direttiva, inoltre, era in parte superata dai cambiamenti successivamente intervenuti nella normativa comunitaria, quali la direttiva sui servizi di investimento, e soprattutto dai nuovi sviluppi finanziari e tecnici, quali le nuove tecnologie, l'incremento delle attività transfrontaliere e Internet, che hanno accresciuto i mezzi e le opportunità per commettere abusi di mercato.
In secondo luogo, in difetto di una specifica disciplina comunitaria sulla manipolazione dei prezzi e la diffusione di informazioni ingannevoli, in alcuni Stati membri manca una normativa in materia, mentre in altri Stati si riscontra forte differenza nella determinazione dei presupposti giuridici delle fattispecie in questione. Tale situazione è stata fonte di incertezza per gli operatori economici relativamente ai concetti, alle definizioni e all'applicazione.
In terzo luogo, in seguito agli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001, era emersa l’esigenza di tenere conto anche nella disciplina degli abusi di mercato della necessità di contrastare il finanziamento delle attività terroristiche.
La direttiva in esame prevede l’introduzione di un quadro giuridico comune in materia di prevenzione, di accertamenti, di indagini e di regime sanzionatorio degli abusi di mercato, che non sostituisce le disposizioni nazionali in materia con disposizioni comunitarie di diretta applicazione, ma è inteso a favorire la convergenza tra le diverse discipline nazionali, in modo da creare condizioni di parità tra gli operatori nei diversi Stati membri.
Al fine di evitare che, per effetto della rapida evoluzione dei mercati finanziari, la disciplina da essa recata divenga obsoleta e inadeguata, la direttiva, in coerenza con il modello decisionale Lamfalussy, contiene disposizioni di carattere generale e flessibile, demandando la definizione delle norme dettagliate e tecniche alla Commissione, secondo la procedura di cui all’articolo 17 della direttiva medesima.
Il modello regolamentare proposto dal Comitato dei saggi presieduto da A. Lamfalussy si articola in quattro differenti livelli decisionali[199]. Ai primi due livelli si collocano, rispettivamente, l’attività legislativa in senso stretto – vale a dire l’adozione di regolamenti o direttive da parte del Parlamento europeo e del Consiglio secondo la procedura di codecisione – e le relative disposizioni di attuazione poste in essere dalla Commissione. Il terzo livello decisionale consiste nel coordinamento delle attività delle autorità nazionali di regolazione e vigilanza sui mercati finanziari, in via formale, in seno al Comitato delle autorità europee di regolamentazione dei valori mobiliari (CAERVM), al fine di garantire un recepimento uniforme e coerente delle disposizioni adottate ai primi due livelli. Al quarto livello si colloca, infine, l’attività di attuazione, in via legislativa e amministrativa, delle norme comunitarie da parte degli Stati membri e il relativo controllo della Commissione europea.
L’articolo 1 della direttiva reca le definizioni rilevanti ai fini dell’applicazione della direttiva stessa. In coerenza con le esigenze di flessibilità sopra richiamate, la disposizione in esame fornisce una definizione generale delle fattispecie riferibili alla nozione di abuso di mercato, al fine di assicurare, come rilevato anche dal preambolo, che nuove pratiche abusive, le quali dovessero insorgere in futuro, possano essere ricondotte alle definizioni recate dalla direttiva.
Tali definizioni si riferiscono, in particolare, alle fattispecie di “informazione privilegiata” e “manipolazione di mercato”.
È informazione privilegiata un'informazione avente un carattere preciso, che non è stata resa pubblica e che concerne, direttamente o indirettamente, uno o più emittenti di strumenti finanziari o uno o più strumenti finanziari, la quale, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari ovvero sui prezzi di strumenti finanziari derivati connessi.
Costituiscono manipolazione di mercato:
- le operazioni o gli ordini di compravendita che forniscano, o siano suscettibili di fornire, indicazioni false ovvero fuorvianti in merito all'offerta, alla domanda o al prezzo degli strumenti finanziari, ovvero che consentano di fissare il prezzo di mercato di uno o più strumenti finanziari ad un livello anormale o artificiale, salva dimostrazione della legittimità delle motivazioni di tali operazioni o ordini o della loro conformità alle prassi di mercato, o che comunque utilizzino artifici o ogni altro tipo di inganno o espediente;
- la diffusione di informazioni che forniscano, o siano suscettibili di fornire, indicazioni false ovvero fuorvianti in merito agli strumenti finanziari, compresa la diffusione dolosa o colposa di notizie incontrollate o di informazioni false ovvero fuorvianti.
Gli articoli 2, 3 e 4 recano disposizioni intese a vietare l’abuso di informazioni privilegiate, le quali riprendono, con alcune importanti modificazioni, le analoghe previsioni della direttiva 89/592/CEE. In particolare, gli articoli 2 e 4 concernono il divieto di abuso, rispettivamente, da parte dei c.d. insider primari e secondari, mentre l’articolo 3 vieta le pratiche c.d. di tipping (comunicazione di informazioni privilegiate) e tuyautage (suggerimento di operazioni in base ad informazioni privilegiate).
In particolare, l’articolo 2 vieta ai c.d. insider primari di utilizzare le informazioni privilegiate acquisendo o cedendo, o cercando di acquisire o cedere, per conto proprio o per conto terzi, direttamente o indirettamente, gli strumenti finanziari cui le informazioni si riferiscono.
Gli insider primari sono, ai sensi del secondo comma del paragrafo 1, i soggetti che possiedono le informazioni privilegiate:
a) a motivo della loro qualità di membro degli organi di amministrazione, di direzione o di controllo dell'emittente;
b) a motivo della loro partecipazione al capitale dell'emittente;
c) per il fatto di avere accesso a tali informazioni a motivo del loro lavoro, della loro professione e delle loro funzioni;
d) in virtù delle proprie attività criminali.
Quando i soggetti in questione sono persone giuridiche, il divieto si applica anche alle persone fisiche che partecipano alla decisione di procedere all'operazione per conto della persona giuridica in questione.
In sostanza, la persona giuridica è considerata quale soggetto autonomo del divieto di abuso delle informazioni in suo possesso.
Rispetto alle previsioni dell’articolo 2 della direttiva 89/592/CEE, la disposizione in esame elimina, in primo luogo, il requisito dello “sfruttamento consapevole” delle informazioni privilegiate ai fini della configurazione del divieto, configurando come sufficiente l’utilizzo delle medesime.
La relazione alla proposta originaria della Commissione riconnetteva tale scelta alla considerazione per cui gli insider primari hanno accesso giornalmente ad informazioni privilegiate e sono consapevoli del carattere riservato delle informazioni che ricevono.
In secondo luogo, sono inclusi tra gli insider primari anche coloro che possiedono l’informazione in virtù di attività criminali.
In terzo luogo, vengono eliminate la distinzione, prevista dal paragrafo 3 dell’articolo 2 della direttiva 89/592/CEE, fra le transazioni effettuate per il tramite di un intermediario professionista e quelle effettuate senza di esso, nonché la previsione per cui gli Stati membri avevano la facoltà di esonerare queste ultime dal divieto di utilizzazione delle informazioni privilegiate.
Il paragrafo 3 dell’articolo in esame precisa che i divieti sopra richiamati non si applicano alle operazioni effettuate per garantire l'esecuzione di un obbligo di acquisizione o di cessione di strumenti finanziari risultante da un accordo concluso prima che la persona interessata fosse in possesso di un'informazione privilegiata.
L’articolo 3, ponendo il divieto di tipping e di tuyautage,vieta alle persone soggette ai divieti di cui all'articolo 2:
a) di comunicare informazioni privilegiate a un'altra persona se non nell'ambito del normale esercizio del loro lavoro, della loro professione o delle loro funzioni (c.d. tipping);
b) di raccomandare ad un'altra persona di acquisire o cedere o di indurre un'altra persona ad acquisire o cedere, in base a informazioni privilegiate, strumenti finanziari a cui tali informazioni si riferiscono (c.d. tuyautage).
Si ricorda che la lettera b) del comma 1 dell’articolo 180 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF), adottato con decreto legislativo n. 58 del 1998, vieta, con formulazione peraltro meno specifica rispetto a quella della direttiva, le pratiche in parola, sanzionando gli insider primari che, senza giustificato motivo, danno comunicazione delle informazioni, ovvero consigliano ad altri, sulla base di esse, il compimento di operazioni sugli strumenti finanziari.
L’articolo 4 estende i divieti di cui agli articoli 2 e 3 ai c.d. insider secondari, vale a dire qualsiasi persona, diversa dagli insider primari, in possesso di informazioni privilegiate, che sappia o che avrebbe dovuto sapere trattarsi di informazioni privilegiate.
Tale previsione risulta più ampia di quella contenuta dall’articolo 180, comma 2, del TUF, il quale:
- reca una definizione più restrittiva degli insider secondari, intesi come coloro che ottengano, direttamente o indirettamente, informazioni privilegiate dagli insider primari;
- estende ai soggetti in questione soltanto i divieti previsti dalla lettera a) del comma 1 del medesimo articolo 180 (coincidenti con quelli stabiliti dall’articolo 2 in esame) e non anche i divieti di tipping e tuyautage.
L’articolo 5 vieta a qualsiasi persona fisica o giuridica di porre in essere manipolazioni del mercato.
La relazione alla proposta originaria della Commissione sottolinea come l'esperienza dimostri che, a seconda delle circostanze, sia le persone fisiche, sia quelle giuridiche possono operare manipolazioni del mercato con analoghe ripercussioni negative sul mercato finanziario.
L’articolo 6 della direttiva contempla una serie di misure preventive rispetto agli abusi di mercato, le quali, in particolare, attengono all’obbligo di pubblicazione delle informazioni privilegiate, al c.d. insider dealing, agli studi e informazioni che suggeriscono strategie operative.
Gli articoli 7 e 8 individuano alcune operazioni per le quali non si applica il divieto di abuso di informazioni privilegiate o di manipolazione del mercato.
Gli articoli 9 e 10 concernono l’ambito oggettivo e territoriale di applicazione delle disposizioni recate dalla direttiva.
L’articolo 9 dispone l’applicazione della direttiva ad ogni strumento finanziario ammesso alla negoziazione in un mercato regolamentato di almeno uno Stato membro, o per il quale è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in detto mercato, a prescindere dal fatto che le operazioni di negoziazione abbiano o meno effettivamente luogo in tale mercato.
In sostanza, la direttiva prospetta l’estensione della disciplina degli abusi anche alle operazioni effettuate nel c.d. "mercato grigio".
I divieti di abuso di informazioni privilegiate di cui agli articoli 2, 3 e 4 si applicano altresì a ogni strumento finanziario non ammesso alla negoziazione in un mercato regolamentato in uno Stato membro, ma il cui valore dipende da uno strumento finanziario ammesso alla negoziazione ovvero oggetto di richiesta di ammissione.
Le misure preventive di natura informativa di cui ai paragrafi da 1 a 3 dell’articolo 6 non si applicano agli emittenti che non hanno richiesto o approvato l'ammissione dei loro strumenti finanziari alla negoziazione su un mercato regolamentato in uno Stato membro.
L’articolo 10 prevede che ogni Stato applichi i divieti e gli obblighi fissati nella direttiva:
a) alle attività effettuate nel proprio territorio o all'estero e aventi ad oggetto strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato situato o operante nel suo territorio o per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in tale mercato;
b) alle attività effettuate nel proprio territorio e aventi ad oggetto strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato di uno Stato membro o per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in tale mercato.
I criteri indicati dalla disposizione in esame coincidono in sostanza, relativamente agli strumenti già ammessi alla quotazione, con quelli previsti dall’articolo 183 del TUF in merito all’applicazione dell’abuso di informazioni privilegiate.
In particolare il reato in questione è punito secondo la legge italiana anche se commesso all'estero, qualora attenga a strumenti finanziari negoziati presso mercati regolamentati italiani o di altri paesi dell'Unione Europea.
L’articolo 11 prevede, fatte salve le competenze delle autorità giudiziarie, la designazione da parte di ogni Stato membro di un'unica autorità amministrativa competente a vigilare sull'applicazione delle disposizioni adottate in recepimento della direttiva in esame.
L’articolo 12 della direttiva richiede che all’autorità di vigilanza competente siano conferiti tutti i poteri di vigilanza e di indagine necessari per l'esercizio delle sue funzioni. Tali poteri possono essere esercitati direttamente, in collaborazione con o mediante delega ad altre autorità o con società di gestione di mercati ovvero mediante richiesta alle competenti autorità giudiziarie.
Il paragrafo 2 dell’articolo in esame reca un elenco minimo di poteri che devono essere attribuiti all’autorità competente, la quale li esercitata in conformità alla normativa nazionale.
Il paragrafo 3 dell’articolo 12 prevede che i poteri previsti dal medesimo articolo non pregiudicano le disposizioni del diritto nazionale in materia di segreto professionale.
L’articolo 13 prevede l’applicazione del segreto di ufficio a tutte le persone che prestano o hanno prestato la loro attività per l'autorità competente o per qualsiasi autorità o organismo di mercato cui l'autorità competente ha delegato i suoi poteri, compresi i revisori e gli esperti incaricati da detta autorità. Le informazioni coperte dal segreto non possono essere divulgate ad alcuna altra persona o autorità se non in forza di disposizioni di legge.
L’articolo 14 stabilisce, in primo luogo, che le violazioni delle disposizioni adottate in attuazione della direttiva devono essere punite da ciascun ordinamento nazionale con sanzioni o misure amministrative. Viene, tuttavia, fatta salva la facoltà per gli Stati membri di imporre sanzioni penali. In secondo luogo, si precisa che le misure e sanzioni amministrative devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive.
L’articolo 15 prevede che le decisioni adottate dall'autorità di vigilanza competente devono essere impugnabili di fronte ad un organo giurisdizionale.
La relazione alla proposta originaria della Commissione evidenzia che la disposizione in esame è intesa a garantire il rispetto del principio della certezza del diritto e del diritto ad un equo processo sancito dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Il considerando 44, inoltre, stabilisce, in via generale, che la direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.
L’articolo 17 disciplina, in conformità alle regole previste per il secondo livello decisionale dal modello Lamfalussy, la procedura per l’adozione da parte della Commissione delle misure di attuazione previste dalle richiamate disposizioni della direttiva in esame.
In particolare, si prevede il ricorso, alla procedura del comitato di regolamentazione prevista dalla Decisione del Consiglio 1999/468/CE (c.d. nuova decisione comitatologia), recante le modalità per l’esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione ai sensi dell’articolo 202, ultimo capoverso, del trattato CE.
L’articolo 18 fissa il termine per il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri al 12 ottobre 2004 (18 mesi dall’entrata in vigore della direttiva stessa).
Gli Stati devono informare immediatamente la Commissione dell’avvenuto recepimento.
Si segnala, da ultimo, che la Commissione ha adottato finora i seguenti provvedimenti di attuazione della direttiva in esame:
- la direttiva 2003/124/CE della Commissione, del 22 dicembre 2003, recante modalità di esecuzione della direttiva in esame con riferimento alla definizione e alla comunicazione al pubblico delle informazioni privilegiate nonché alla definizione di manipolazione del mercato (si veda la scheda corrispondente);
- la direttiva 2003/125/CE della Commissione, del 22 dicembre 2003, recante modalità di esecuzione della direttiva in esame per quanto riguarda la corretta presentazione delle raccomandazioni di investimento e la comunicazione al pubblico dei conflitti di interessi (si veda la scheda corrispondente);
- la direttiva 2004/72/CE della Commissione, del 29 aprile 2004, recante modalità di esecuzione della direttiva in esame per quanto riguarda le prassi di mercato ammesse, la definizione di informazione privilegiata in relazione agli strumenti derivati su merci, l'istituzione di un registro delle persone aventi accesso ad informazioni privilegiate, la notifica delle operazioni effettuate da persone che esercitano responsabilità di direzione e la segnalazione di operazioni sospette;
- il regolamento 2273/2003, recante modalità di esecuzione relativi alla deroga per i programmi di riacquisto di azioni proprie e per le operazioni di stabilizzazione di strumenti finanziari.
Direttiva 2003/10/CE
(Prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici)
La direttiva 2003/10/CE, concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (rumore), precisa nel 7° Considerando che le misure protettive che si intendono introdurre “mirano non solo ad assicurare la salute e la sicurezza di ciascun lavoratore considerato individualmente, ma anche a creare per tutti i lavoratori della Comunità una piattaforma minima di protezione che eviti possibili distorsioni di concorrenza”.
Nel 9° Considerando viene inoltre precisato che il sistema di protezione contro il rumore dovrà limitarsi a definire, senza entrare inutilmente nel dettaglio, gli obiettivi da raggiungere, i principi da rispettare e le grandezze fondamentali da utilizzare onde permettere agli Stati membri di applicare le prescrizioni minime in maniera equivalente.
Viene inoltre sottolineata, nel 10° Considerando, la maggiore efficacia dell’applicazione di provvedimenti preventivi fin dalla progettazione dei posti e dei luoghi di lavoro, nonché attraverso la scelta delle attrezzature, dei procedimenti e dei metodi di lavoro, allo scopo di ridurre in via prioritaria i rischi alla fonte; si ribadisce anche la priorità delle misure di protezione collettiva e l’utilità di applicare un metodo di misura oggettivo del rumore, adottando gli standard ISO 1999:1990 (12° Considerando).
Pertanto è necessario (14° Considerando) “che i datori di lavoro si adeguino ai progressi tecnici e alle conoscenze scientifiche per quanto riguarda i rischi derivanti dall'esposizione al rumore, in vista del miglioramento della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori”.
Infine, tenendo conto delle peculiarità di tali comparti, la direttiva si propone di intervenire anche “a bordo delle navi” (11° Considerando) e nei “settori della musica e dell’intrattenimento” (13° Considerando).
L’articolo 1 della direttiva, nel definirne l’oggetto ed il campo di applicazione, precisa che le prescrizioni dovranno applicarsi alle attività lavorative durante le quali i lavoratori sono o possono essere esposti a rischi derivanti dal rumore, restando comunque salve le disposizioni di carattere generale contenute nella direttiva 89/391/CEE del 12 giugno 1989, che definisce il quadro delle condizioni minime necessarie per garantire un adeguato livello di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori.
Si menziona che tale direttiva, unitamente a 7 delle 17 direttive particolari da essa derivanti, è stata recepita nell’ordinamento italiano con il decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, concernente il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, e successive modificazioni.
L’articolo 2 reca le definizioni dei parametri fisici utilizzati quali indicatori del rischio, mentre l’articolo 3 stabilisce tre livelli di soglia oltre i quali scatta l’azione in relazione al livello di esposizione giornaliera al rumore ed alla pressione acustica; tali livelli riguardano:
a) i valori limite di esposizione;
b) i valori superiori di esposizione;
c) i valori inferiori di esposizione.
Nell'applicare i valori limite di esposizione, bisogna comunque tener conto dell'attenuazione prodotta dai dispositivi individuali di protezione dell'udito indossati dal lavoratore.
L’articolo 4 precisa gli obblighi a carico del datore di lavoro, già indicati in via generale dalla direttiva 89/391 e dal Decreto legislativo n. 626 del 1994. In particolare viene precisato che nella valutazione dei rischi il datore di lavoro deve considerare ed eventualmente misurare i livelli di rumore cui i lavoratori sono esposti. Le misurazioni dovranno riflettere “le condizioni prevalenti” ed essere effettuate con metodi ed apparecchiature che consentono di determinare i parametri fisici indicati nell’articolo 2 della direttiva e di decidere se siano stati superati i limiti fissati. La misurazione può consistere anche in misure di campionamento del rumore. La valutazione dovrà essere ripetuta ad intervalli “idonei” e i dati dovranno essere conservati in forma “idonea” per consentirne la consultazione. Durante la misurazione si deve tener conto delle imprecisioni seguendo la prassi metrologica. Inoltre il datore di lavoro deve prestare particolare attenzione a determinati elementi quali, a titolo esemplificativo: livello, tipo e durata dell'esposizione, ivi inclusa ogni esposizione a rumore impulsivo; tutti gli effetti sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori appartenenti a gruppi a rischio particolarmente esposti (quindi anche gli aspetti relativi al danno extrauditivo e al disturbo, nonché gli aspetti correlati alla interferenza con i segnali acustici di sicurezza); le informazioni sull'emissione di rumore fornite dai costruttori dell'attrezzatura di lavoro in conformità delle direttive comunitarie in materia; l'esistenza di attrezzature di lavoro alternative progettate per ridurre l'emissione di rumore; informazioni adeguate raccolte dal controllo sanitario, comprese le informazioni pubblicate; la disponibilità di dispositivi di protezione dell'udito con adeguate caratteristiche di attenuazione.
Il datore di lavoro deve essere in possesso di una valutazione dei rischi che deve essere regolarmente aggiornata, in particolare se vi sono stati notevoli mutamenti che potrebbero averla resa superata, oppure quando i risultati del controllo sanitario lo rendano necessario.
Le misure da adottare al fine di escludere o ridurre l’esposizione al rumore sono contenute nell’articolo 5 della direttiva che, in primis, prescrive che i rischi derivanti dall’esposizione al rumore devono essere eliminati alla fonte o ridotti al minimo. La riduzione dei rischi, oltre a basarsi sui criteri generali di prevenzione previsti dalla normativa sulla sicurezza dei lavoratori, dipende dalla scelta oculata dei metodi e delle attrezzature di lavoro, dalla minuziosa progettazione del luogo di lavoro, da adeguate iniziative di formazione e informazione dei lavoratori, da programmi di manutenzione delle attrezzature, da una migliore organizzazione del lavoro con orari di lavoro che consentano sufficienti periodi di riposo, nonché dalla segnalazione del rischio e dalla individuazione/predisposizione di luoghi di riposo acustico.
Per quanto concerne la protezione individuale dei lavoratori, l’articolo 6 della direttiva prevede che i dispositivi individuali di protezione dell’udito devono essere “messi a disposizione” dei lavoratori al superamento dei limiti inferiori che fanno scattare l’azione, mentre al superamento dei limiti superiori essi devono “essere indossati”; il datore di lavoro deve fare “tutto il possibile” per assicurare che essi vengano indossati.
L’articolo 7 precisa che l'esposizione del lavoratore al rumore non dovrà in nessun caso superare i valori limite; in caso di superamento dei limiti, il datore di lavoro deve:
a) adottare immediate misure per ridurre l'esposizione;
b) individuare le cause dell'esposizione eccessiva;
c) modificare le misure protettive e preventive.
Particolari disposizioni sono previste ai fini dell’informazione dei lavoratori e della loro formazione in relazione ai rischi provenienti dall'esposizione al rumore, con particolare riguardo – tra l’altro - all'uso corretto dei dispositivi di protezione dell'udito, all'utilità e ai mezzi impiegati per individuare e segnalare sintomi di danni all'udito; alle circostanze nelle quali i lavoratori hanno diritto a un controllo sanitario e alle procedure di lavoro sicure per ridurre al minimo l'esposizione al rumore (art. 8).
L’articolo 9 reca disposizioni in materia di consultazione e partecipazione dei lavoratori in merito alle prescrizioni della direttiva.
Per quanto attiene al controllo sanitario, l’articolo 10 della direttiva rinvia alla legislazione e/o prassi nazionale l’adozione delle misure necessarie per garantire l'adeguato controllo sanitario dei lavoratori qualora dall'esito della valutazione e misurazione del rumore risulti un rischio per la loro salute.
Il lavoratore la cui esposizione al rumore supera i valori superiori di esposizione ha diritto a sottoporsi ad un controllo del proprio udito effettuato da un medico o da una persona debitamente qualificata sotto la responsabilità di un medico, mentre il lavoratore la cui esposizione supera i valori inferiori di esposizione ha diritto ad essere sottoposto a “test audiometrici preventivi”, ma solo “nel caso in cui la valutazione e la misurazione rivelino un rischio per la salute”: non viene precisato in questo caso chi effettuerà il test.
I controlli hanno quali obiettivi la diagnosi precoce di ogni diminuzione dell'udito dovuta al rumore e la conservazione della funzione uditiva.
Per ciascun lavoratore sottoposto a controllo deve essere tenuta e aggiornata una documentazione medica individuale da conservarsi in una forma idonea, che ne consenta la successiva consultazione. Particolari disposizioni sono previste nel caso in cui dal controllo sanitario della funzione uditiva risulti che un lavoratore soffre di un danno all'udito identificabile
I casi di deroga sono previsti dal successivo articolo 11 per situazioni eccezionali e previa consultazione delle parti sociali e, ove opportuno, delle autorità mediche competenti, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali.
L’articolo 12 riguarda le modifiche tecniche che possono essere apportate alla normativa comunitaria: in tal caso la Commissione sarà coadiuvata da un Comitato appositamente istituito (art. 13).
Viene prevista la presentazione, con cadenza quinquennale, di una relazione alla Commissione da parte degli Stati membri che dovranno indicare lo stato applicativo della direttiva e la descrizioni delle migliori prassi atte a prevenire il rumore negli ambienti di lavoro e le azioni intraprese per diffondere la conoscenza di tali prassi (art. 16).
ll termine di recepimento della direttiva è stato fissato al 15 febbraio 2006 (art. 17).
Sono peraltro previste le seguenti proroghe:
· per quanto concerne il personale marittimo imbarcato, gli Stati membri possono disporre se necessario di cinque anni supplementari, a partire dal 15 febbraio 2006, ovvero complessivamente di otto anni al massimo;
· per quanto riguarda i settori della musica e dell'intrattenimento, anche al fine di consentire l'elaborazione del codice di condotta previsto dall’articolo 14 della direttiva, recante orientamenti pratici volti all'applicazione delle disposizioni della direttiva, gli Stati membri possono usufruire di un periodo transitorio massimo di cinque anni, a partire dal 15 febbraio 2006, ovvero complessivamente di cinque anni al massimo, a condizione che durante tale periodo siano mantenuti i livelli di protezione già raggiunti nei singoli Stati membri per il personale che lavora in tali settori.
La direttiva 2003/10/CE interviene sulla disciplina nazionale contenuta negli artt. 38-57 del D. Lgs. 15 agosto 1991, n. 277, anch’esso originato da direttive comunitarie[200], il cui contenuto era stato tuttavia ampliato in sede di recepimento.
Si osserva peraltro quanto segue:
· l’art. 2 della direttiva ripete le definizioni già presenti nel testo dell’art. 39 del Decreto 277 relativamente al livello di esposizione quotidiana e settimanale: viene peraltro introdotta una nuova definizione della “pressione acustica di picco” quale valore massimo della pressione acustica istantanea ponderata con frequenza “C” (in precedenza la direttiva 86/188/CEE e il Decreto 277 definivano il rumore di picco come “valore massimo della pressione acustica istantanea non ponderata”);
· per quanto concerne gli obblighi generali a carico del datore di lavoro – già previsti nell’ordinamento nazionale - la direttiva introduce talune importanti precisazioni e modifica i valori di alcuni parametri;
· l’ambito applicativo della direttiva si estende anche ai settori della musica e dell’intrattenimento (13° Considerando): il D.Lgs. 277 del 1991 non fa alcuna distinzione per genere di attività e non prevede disposizioni particolari al riguardo. Si ricorda peraltro che limiti sul livello sonoro dell’intrattenimento offerto al pubblico sono stati introdotti con la legge 447 del 1995 (Legge quadro in materia di tutela ambientale da inquinamento acustico).
La direttiva in esame si inserisce in un ampio filone normativo comunitario dedicato alla sicurezza del lavoro, che si è articolato in due gruppi di direttive, ciascuno costituito da una direttiva di carattere generale, cosiddetta “direttiva-madre”, e da altre direttive, da questa derivate, di carattere più specifico.
Il primo gruppo origina dalla direttiva 80/1107/CEE del 22 novembre 1980, in materia di protezione dagli agenti chimici, fisici e biologici; da tale direttiva ne sono discese altre relative alla protezione dei lavoratori, rispettivamente, dal piombo metallico, dall’amianto e dai rumori. Tutte queste direttive sono state recepite nell’ordinamento italiano con il decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277.
Il secondo gruppo origina dalla direttiva 89/391/CEE del 12 giugno 1989, che ha ampia portata e definisce il quadro delle condizioni minime necessarie per garantire l’adeguato livello di sicurezza e di tutela della salute dei lavoratori. Tale direttiva, unitamente a 6 delle 17 direttive particolari da essa derivanti, è stata recepita nell’ordinamento italiano con il decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, in seguito più volte aggiornato, anche in relazione ad aspetti specifici.
Il citato decreto legislativo ha evidenziato infatti problemi di applicazione e interpretativi, in relazione sia alla consistente portata delle innovazioni introdotte, che in alcuni casi avrebbero potuto richiedere tempi di attuazione maggiori di quelli consentiti,sia all'esatta incidenza delle nuove disposizioni sulla normativa preesistente. Ne sono seguiti un differimento della effettiva e completa entrata in vigore e significative modificazioni di alcuni aspetti specifici del nuovo impianto normativo, che è entrato a regime solo negli ultimi anni.
L'azione legislativa si è conseguentemente indirizzata sui seguenti filoni principali:
aggiornamento ed adeguamento del nucleo normativo costituito dal D.Lgs. n. 626, con particolare riferimento ai seguenti temi:
· cantieri temporanei o mobili (D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, modificato dal D.Lgs. 19 novembre 1999, n. 528);
· la segnaletica sul luogo di lavoro (D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 493);
· le industrie estrattive (D.Lgs. 25 novembre 1996, n. 624);
· la tutela delle lavoratrici gestanti (D.Lgs. 25 novembre 1996, n. 645);
· attrezzature di lavoro da parte dei lavoratori (D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 359);
· la sicurezza a bordo delle navi da pesca (D. Lgs. 17 agosto 1999, n. 298);
· i rischi derivanti da agenti chimici (D. Lgs. 2 febbraio 2002, n. 25);
· i rischi derivanti da atmosfere esplosive (D. Lgs. 12 giugno 2003, n. 233);
recepimento delle direttive comunitarie riguardanti specifici settori di attività, esclusi dal campo di diretta applicazione del D.Lgs. n. 626, o particolari categorie di lavoratori. In tal senso, vanno in particolare ricordati gli interventi riguardanti:
· la protezione dei giovani sul lavoro (D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 345);
· i lavoratori portuali e marittimi (L. 31 dicembre 1998, n. 485, D.Lgs. 27 luglio 1999, n. 271, D.Lgs. 27 luglio 1999, n. 272, D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 298);
· la protezione contro le radiazioni ionizzanti (D.Lgs. 26 maggio 2000, n. 241);
altri interventi volti a corrispondere a specifiche esigenze del contesto italiano. In tale senso, vanno tra l'altro segnalate:
a) la Legge 3 dicembre 1999, n. 493, che ha istituito una assicurazione obbligatoria contro gli infortuni domestici, per tutelare contro il rischio di invalidità permanente le persone che svolgono attività di lavoro domestico e non sono iscritte ad altre forme obbligatorie di previdenza;
b) la Legge 7 novembre 2000, n. 327, che ha dettato disposizioni in ordine alla valutazione dei costi del lavoro e della sicurezza nelle gare di appalto, per contrastare i fenomeni di ribassi d'asta in violazione delle normative di sicurezza.
Si rileva che l'articolo 3 della legge 29 luglio 2003, n. 229 (“Legge di semplificazione 2001”), delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori, secondo i principi e criteri direttivi di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, come sostituito dall'articolo 1 della medesima Legge 229. L’esercizio della delega è stato indicato come priorità di intervento da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nascendo dalla constatazione che “la legislazione che ha recepito le numerose direttive europee è stata, per molti versi, complicata e burocratizzata, tanto che nella sua pratica attuazione stenta a portare effettivi benefici concreti al fenomeno infortunistico e delle tecnopatie”, tanto da registrare un incremento degli infortuni sul lavoro, che hanno sfiorato nel 2000 il milione di casi, distribuiti in tutti i settori produttivi.
Alla data del 15 giugno 2004 la delega non è stata ancora esercitata.
Al riguardo si segnala che l’articolo 2, comma 8, del d.d.l. di conversione del D.L. 136 del 2004, convertito in legge n. 186/2004, differisce da un anno a 18 mesi dalla data di entrata in vigore della legge 229 del 2003 (ed è pertanto prorogato al 9 marzo 2005) il termine per l’esercizio della delega legislativa per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori.
Direttiva 2003/18/CE
(Modifica della direttiva 83/477/CEE del Consiglio sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con un’esposizione all’amianto durante il lavoro)
La direttiva 2003/18/CE – concernente misure di protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con un’esposizione all’amianto durante il lavoro - trae origine dalla necessità di migliorare le disposizioni già adottate con la direttiva 83/477/CEE [201](seconda direttiva particolare ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 80/1107/CEE), recepita nell’ordinamento nazionale con il decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277 (artt. 22-37).
L’articolo 1 della direttiva in esame prevede le seguenti modifiche alla direttiva 83/477/CE:
all’articolo 1: mediante l’abrogazione del paragrafo 2, il campo di applicazione della normativa comunitaria viene esteso a tutti i settori di attività, includendo quindi anche quelli attualmente esclusi, ovvero i settori marittimo ed aereo;
all’articolo 2: vengono aggiornate le definizioni dei silicati fibrosi indicati con il termine “amianto”;
all’articolo 3: viene sostituito il paragrafo 3 con l'introduzione di un unico valore limite d'esposizione dei lavoratori, inferiore ai due valori limite attuali. Conseguentemente viene precisato che, in caso di esposizioni sporadiche e limitate in relazione a determinate attività ritenute non particolarmente rischiose[202] senza che sia superato il valore limite di esposizione concernenti attività non rischiose, possono non trovare applicazione alcune disposizioni in materia di notifica dell’attività (art. 4), informazione dei lavoratori (art. 14) ed accertamento dello stato di salute prima dell’inizio dell’attività lavorativa (art. 15).
all’articolo 4: vengono meglio precisate e chiarite le disposizioni di cui alla direttiva 83/477/CEE. Pertanto nella notifica dell’attività che il datore di lavoro deve presentare all'autorità nazionale responsabile prima dell'inizio dei lavori deve essere riportata una descrizione sintetica:
a) dell'ubicazione del cantiere;
b) del tipo e dei quantitativi di amianto utilizzati o maneggiati;
c) delle attività e dei procedimenti applicati;
d) del numero dei lavoratori interessati;
e) della data di inizio dei lavori e della relativa durata;
f) delle misure adottate per limitare l'esposizione dei lavoratori all'amianto.
Inoltre viene inserito l’obbligo di presentazione di una nuova notifica ogniqualvolta intervenga una modifica delle condizioni di lavoro (anziché mutamenti importanti nell’impiego dell’amianto) tale da comportare un aumento significativo dell'esposizione alla polvere prodotta dall'amianto o da materiali contenenti amianto;
all’articolo 5: viene introdotto il divieto di svolgere attività che espongano i lavoratori alle fibre d'amianto durante l'estrazione dell'amianto, la fabbricazione e trasformazione di prodotti a base d'amianto, o la fabbricazione e trasformazione di prodotti contenenti amianto deliberatamente aggiunto (la direttiva 83/477/CEE prevedeva invece solo il divieto all'uso dell'amianto in applicazione a spruzzo); possono invece essere effettuate tutte le operazioni connesse al trattamento e della messa a discarica di prodotti derivanti dalla demolizione e dalla rimozione dell'amianto;
all’articolo 6:vengono aggiornate le misure da adottare al fine di ridurre al minimo (anziché al livello più basso ragionevolmente praticabile) l’esposizione dei lavoratori, e in ogni caso al disotto del valore limite indicato dal successivo articolo 8. Tra le misure protettive si segnalano quelle riguardanti i processi lavorativi (che non devono produrre polveri di amianto), lo stoccaggio ed il trasporto dell’amianto o dei materiali che rilasciano o contengono polvere di amianto, e la raccolta e rimozione dei residui trattati come rifiuti pericolosi;
all’articolo 7: modifica le disposizioni riguardanti il metodo di misurazione della concentrazione delle fibre di amianto nell’aria del luogo di lavoro e viene conseguentemente abrogato l’Allegato I della direttiva 83/477/CEE;
all’articolo 8: vengono aggiornati i valori limite di esposizione indicati dalla direttiva 83/477/CEE, come modificati dalla direttiva 91/382/CEE: la direttiva in esame contempla un solo valore limite che non deve essere mai essere superato, ovvero nessun lavoratore deve essere esposto a una concentrazione di amianto in sospensione nell'aria superiore a 0,1 fibre per cm3, misurata in rapporto a una media ponderata nel tempo di riferimento di 8 ore (TWA).
all’articolo 11: vengono meglio specificate le misure da intraprendere nelle attività per le quali è prevedibile il superamento del limite, in particolare per evitare la dispersione della polvere d’amianto al di fuori del luogo di lavoro;
all’articolo 12: vengono modificati dei primi due comma del paragrafo 2 riguardanti il piano di lavoro, da predisporre prima dell’inizio dei lavori di demolizione o di rimozione dell’amianto e dei materiali contenenti amianto;
all’articolo 14: modifica le disposizioni relative all’obbligo di informare i lavoratori ed i loro rappresentanti qualora venga superato il valore limite di esposizione, come stabilito dall’articolo 8 della direttiva in esame;
all’articolo 15: al punto 3) viene prevista la possibilità di segnalare al lavoratore la necessità di proseguire la sorveglianza medica anche dopo la fine dell’esposizione all’amianto, per il periodo di tempo ritenuto necessario dal medico o dall’autorità preposta alla sorveglianza medica;
all’articolo 16: al punto 2) il periodo di tempo per il quale devono essere conservati i registri e le cartelle cliniche viene portato a 40 anni (anziché 30). Inoltre viene inserita la previsione che registri e cartelle cliniche siano messi a disposizione dell’autorità responsabile in caso di cessazione dell’attività da parte dell’azienda.
all’Allegato II: vengono modificate le disposizioni in materia di accertamento clinico dei lavoratori.
Vengono inoltre inseriti i seguenti nuovi articoli:
Articolo 10-bis: vengono presi in considerazione anche i lavori di demolizione o di manutenzione, con l’obbligo per i datori di lavoro di adottare, chiedendo anche informazioni ai proprietari dei locali, ogni misura necessaria volta a individuare la presenza di materiali a potenziale contenuto di amianto e conseguente applicazione della normativa comunitaria;
Articolo 12-bis: viene prevista una formazione specifica dei lavoratori esposti o che possono essere esposti a polveri contenenti amianto affinché possano acquisire le conoscenze e competenze fondamentali a garantire loro una maggiore tutela dai rischi connessi all’amianto[203].
Articolo 12-ter: viene inserito l’obbligo per le imprese che effettuano lavori di demolizione o rimozione dell’amianto di provare la propria competenza nel settore, secondo le norme o le prassi nazionali.
Articolo 16-bis: viene prevista l’applicazione di adeguate sanzioni, effettive, proporzionate e dissuasive, in caso di violazione della normativa nazionale adottata in attuazione della normativa comunitaria.
ll termine di recepimento della direttiva è stato fissato al 15 aprile 2006 (art. 2).
Direttiva 2003/20/CE
(Modifica della direttiva 91/671/CEE del Consiglio per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’uso obbligatorio delle cinture di sicurezza sugli autoveicoli di peso inferiore a 3,5 tonnellate)
Con la direttiva 2003/20/CE dell'8 aprile è stato esteso l'uso obbligatorio delle cinture di sicurezza agli occupanti di sedili che ne sono dotati su automezzi pesanti e autobus (categorie M3, M2, M3), ed è stato imposto l'impiego di dispositivi di ritenuta omologati a tale scopo per bambini trasportati su veicoli leggeri.
Peraltro, va segnalato che il 20 giugno 2003 la Commissione ha adottato una nuova proposta di direttiva (COM(2003)363) intesa a rendere obbligatoria l'installazione delle cinture di sicurezza in tutti i veicoli a motore e a vietare l'uso di sedili disposti lateralmente, partendo dalla constatazione che ormai le norme tecniche di costruzione prevedono la presenza di cinture anche su categorie di veicoli diverse dalle autovetture.
Il termine di recepimento della direttiva in esameè il 9 maggio 2006.
La direttiva in oggetto modifica la direttiva 91/671/CEE, volta al riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all'uso obbligatorio delle cinture di sicurezza sugli autoveicoli di peso inferiore a 3,5 tonnellate.
La direttiva del 1991, pur prevedendo l'uso obbligatorio dei sistemi di ritenuta per bambini sui sedili provvisti di cinture di sicurezza, non specificava quale sistema fosse adeguato, consentendo il trasporto senza ritenuta di bambini di età inferiore ai tre anni se occupanti il sedile posteriore, qualora nel veicolo tali sistemi non fossero montati o disponibili.
In considerazione dell’elevato livello di perfezionamento raggiunto dai sistemi di ritenuta per bambini attualmente disponibili, la direttiva in oggetto sancisce, pur con alcune misure di adeguamento, ilprincipio di un obbligo generalizzato per l'uso della cintura, stabilendo altresì regole comuni più severe per la protezione dei bambini tramite l'uso di strumenti particolari di ritenuta.
In particolare, accanto ad interventi di natura formale quali la modifica del titolo della direttiva 91/671/CEE in "Direttiva del Consiglio, del 16 dicembre 1991, relativa all'uso obbligatorio delle cinture di sicurezza e dei sistemi di ritenuta per bambini nei veicoli", la direttiva elimina tutte le deroghe esistenti relative all'uso dei sistemi di ritenuta, specialmente di quelli per bambini, stabilendo che questi ultimi siano assicurati alla vettura da dispositivi adeguati, adatti alla loro statura, età e peso, approvati conformemente ad uno standard tecnicoriconosciutodalla Commissione Economica per l'Europa delle Nazioni Unite o alla direttiva 77/541/CEE.
Viene poi interdetto il trasporto di bambini di età inferiore a tre anni in veicoli, eccettuati i taxi, sprovvisti di sistemi di sicurezza adeguati, nonché l'uso di sistemi di ritenuta per bambini collocati sul sedile anteriore del passeggero e rivolti all'indietro, salvo che non venga disattivato il relativo air-bag.
La direttiva, che stabilisce l’utilizzo delle cinture di sicurezza da parte di conducenti e passeggeri di tutte le categorie di autoveicoli che ne siano muniti, prevede infine un sistema d’informazione volto a ricordare ai passeggeri la necessità di utilizzare le cinture di sicurezza.
Resta salva la possibilità per gli Stati membri, previa autorizzazione della Commissione, di stabilire per il trasporto nel proprio territorio norme particolari o di concedere esenzioni temporanee, il cui periodo di efficacia non ecceda i sei anni a decorrere dal 9 maggio 2003.
Si prevede inoltre che la Commissione prosegua gli studi sui dispositivi di sicurezza più adeguati intesi a migliorare la protezione di tutti i passeggeri contro ogni tipo di incidente.
La Commissione presenta al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sui risultati di tali studi e sull’applicazione della presente direttiva.
Si segnala, infine che tale direttiva, sulla base di un emendamento approvato dal Senato figura ora nell’allegato B del disegno di legge comunitaria per il 2004, e pertanto il relativo schema di decreto legislativo di attuazione verrà sottoposto al parere delle competenti commissioni parlamentari secondo la procedura di cui all’articolo 1, comma 3 del disegno di legge in esame.
In base al parere espresso dalla commissione Bilancio del Senato, si prevede che lo schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva in esame venga altresì sottoposto al parere delle commissioni parlamentari competenti per i profili di carattere finanziario, e sia corredato della relazione tecnica di cui all’articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, sulla quantificazione degli oneri recati da ciascuna disposizione.
Direttiva 2003/35/CE
(Partecipazione del pubblico nell’elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale)
La direttiva 2003/35 ha lo scopo di contribuire all’attuazione degli obblighi derivanti dalla Convenzione di Arhus,[204] prevedendo la partecipazione del pubblico nell'elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale e prevedendo disposizioni sull'accesso alla giustizia nel quadro delle direttive del Consiglio 85/337/CEE, in materia di valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, e 96/61/CE sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento.
Si ricorda che la direttiva 85/337/CEE era stata recepita in Italia con L. 8 luglio 1986, n. 349 Istituzione del Ministero dell'ambiente e norme in materia di danno ambientale e con la L. 22 febbraio 1994, n. 146 Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - legge comunitaria 1993[205].
La direttiva 96/61/CE era stata recepita con L. 24 aprile 1998, n. 128 (legge comunitaria 1995-1997), con il D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 372 Attuazione della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento, con L. 1° marzo 2002, n. 39 (legge comunitaria 2001) e con la L. 31 ottobre 2003, n. 306 (legge comunitaria 2003).
L’art.1 enuncia l’obiettivo della direttiva, che consiste nel contribuire all'attuazione degli obblighi derivanti dalla convenzione di Århus. L’art.2 disciplina la partecipazione del pubblico ai piani e ai programmi. L’art.3 reca modifiche alla direttiva 85/337/CEE; l’art.4 reca modifiche alla direttiva 96/61/CE. L’art.5 stabilisce che entro il 25 giugno 2009 la Commissione invii al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sull'applicazione ed efficacia della presente direttiva, corredata delle eventuali proposte di modifica che si ritenessero necessarie. In tale quadro si prevede che la Commissione vagli la possibilità di estendere l'ambito d'applicazione della presente direttiva ad altri piani e programmi in materia ambientale. Gli artt.6 e 7 indicano rispettivamente i termini di recepimento e la clausola relativa all’entrata in vigore.
L’Allegato I alla direttiva, richiamato dall’articolo 2, comma 2, indica specificamente i piani e i programmi per i quali è previsto che gli Stati membri provvedano a garantire tempestive offerte ed effettive opportunità di partecipazione del pubblico.
Più diffusamente, si segnala che la direttiva in commento reca modifiche sia alla direttiva 96/61/CE del Consiglio per renderla conforme alla citata Convenzione, sia alla direttiva 85/337/CEE. In particolare, si modifica l'articolo 6, paragrafo 1, della prima delle direttive citate, affinché sia obbligatoria una domanda di autorizzazione comprendente un riassunto delle alternative prese in esame dal richiedente. È modificato, inoltre, l'articolo 15 della medesima direttiva sulle disposizioni relative alla partecipazione del pubblico, fra l'altro per imporre agli Stati membri di garantire che al pubblico interessato sia offerta tempestivamente l'opportunità di partecipare alla procedura decisoria relativa alle autorizzazioni, e l’art.6 della dir.85/337/CEE. La direttiva in esame aggiunge alla direttiva 96/61/CE un nuovo allegato (V) che fornisce disposizioni dettagliate in materia di partecipazione del pubblico, prevedendo l'obbligo per l'autorità competente di informare il pubblico sul testo della decisione e sui motivi e le considerazioni su cui la stessa è basata. Si prevede inoltre, attraverso l’introduzione dell’art.15-bis nella direttiva 96/61/CE, che il pubblico interessato debba avere accesso a procedure giudiziarie celeri e non eccessivamente onerose per contestare la legittimità di qualsiasi atto o omissione soggetti alle disposizioni sulla partecipazione dei cittadini stabilite dalla Convenzione di Arhus. Sono inoltre modificate le disposizioni relative alle consultazioni transfrontaliere di cui all’art.17 della direttiva citata.
Gli Stati membri devono recepire le disposizioni della direttiva entro il 25 giugno 2005.
Direttiva 2003/41/CE
(Attività e supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali)
La Direttiva 2003/41/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 giugno 2003, relativa alle attività e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali (di seguito EPAP), fa seguito (“considerando” n. 3) alla comunicazione della Commissione dell’11 maggio 1999 sulle pensioni complementari e fa parte del piano d’azione per i servizi finanziari (PASF) di cui il Consiglio europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000 ha chiesto l’attuazione entro il 2005.
La direttiva mira a istituire una vigilanza prudenziale (“considerando” n. 4) dei citati enti, al fine di tutelare i diritti dei futuri pensionati (“considerando” n. 7). Nell'ottica del mercato integrato dei capitali e dell'introduzione dell'euro, il testo mira inoltre ad eliminare gli ostacoli agli investimenti dei fondi pensionistici.
Nell’ottica di contenere la sostenibilità dei regimi pubblici alla stregua dei loro crescenti costi, si è reso necessario, infatti, nell’affrontare il problema della ristrutturazione del sistema pensionistico pubblico, favorire lo sviluppo dei fondi pensione privati, soprattutto in quegli Stati membri, come l’Italia, in cui hanno prodotto modesti risultati, al fine di consentire ai lavoratori la possibilità di attenuare le conseguenze della riduzione pensionistica del regime obbligatorio pubblico.
In particolare, la Commissione Europea ha ritenuto che, pur considerando che né il sistema basato sulla capitalizzazione, né quello contributivo-redistributivo sono in grado di scongiurare del tutto le tensioni demografiche nei regimi pensionistici del futuro negli Stati membri dell’UE, con il sistema pensionistico a capitalizzazione è possibile, in un contesto globalizzato di capitali e investimenti, utilizzare in modo positivo gli effetti internazionali della crescita per le assicurazioni di vecchiaia individuali.
In relazione a ciò, la citata direttiva, avente lo scopo di stimolare lo sviluppo della previdenza complementare, atteso che i fondi pensione svolgono una funzione essenziale per la promozione della coesione sociale in molti Stati membri e per il finanziamento dell’economia europea, è stata predisposta allo scopo di conciliare nel miglior modo possibile la sicurezza ed il rendimento finanziario per salvaguardare le prestazioni dei pensionati.
In sintesi, gli obiettivi principali della direttiva sono i seguenti:
- assicurare un’adeguata protezione degli aderenti e dei beneficiari delle prestazioni e la sicurezza ed efficienza degli investimenti;
- consentire la libera scelta dei gestori e dei depositari all’interno dell’UE e assicurare la parità delle condizioni di concorrenza tra tutti gli enti che corrispondono prestazioni complementari;
- promuovere le attività transfrontaliere e sviluppare un reale mercato unico delle pensioni integrative;
- stimolare gli investimenti degli EPAP nel complesso dell’UE.
In particolare (“considerando” n. 6), la direttiva rappresenta un “primo passo nella direzione di un mercato interno degli schemi pensionistici aziendali e professionali organizzato su scala europea”. Inoltre, sulla base di investimenti realizzati secondo il principio della “persona prudente” e permettendo l’operatività transfrontaliera degli enti, si incoraggia il “riorentamento del risparmio verso il settore degli schemi pensionistici aziendali e professionali contribuendo in tal modo al progresso economico e sociale”
Si ricorda che per ente pensionistico aziendale o professionale (articolo 6, “considerando” n. 8) si intende un ente, a prescindere dalla sua forma giuridica, operante secondo il principio di capitalizzazione, distinto da qualsiasi impresa promotrice o associazione di categoria, costituito al fine di erogare prestazioni pensionistiche in relazione a un'attività lavorativa sulla base di un accordo o di un contratto stipulato:
§ individualmente o collettivamente tra datore di lavoro e lavoratore, o i loro rispettivi rappresentanti o
§ con lavoratori autonomi, conformemente alla legislazione dello Stato membro di origine e dello Stato membro ospitante e che esercita le attività direttamente connesse.
I diritti acquisiti non devono poter essere "riscattati" prima che sia raggiunta l'età della pensione (sistema pensionistico e non di risparmio).
Agli EPAP, in sostanza, viene attribuito un ruolo importante (“considerando” nn. 4 e 8) nei sistemi fondati sul principio della capitalizzazione, come completamento del regime pensionistico pubblico di base, in quanto “si tratta di una categoria importante di istituzioni finanziarie chiamate a svolgere un ruolo essenziale ai fini dell’integrazione, dell’efficienza e della liquidità dei mercati finanziari”; trattandosi infatti di investitori a lunghissimo termine, possono accrescere le prestazioni, integrando più efficacemente i regimi pubblici obbligatori, o ridurre i contributi necessari per ottenere un determinato ammontare di prestazioni, con il risultato di realizzare un effetto positivo sulle prestazioni.
Ambito soggettivo
Ai sensi dell’articolo 2, comma 1, il campo di applicazione della direttiva in oggetto si riferisce a tutti gli EPAP che operano secondo il principio di capitalizzazione (pensioni private complementari) e non fanno capo al sistema previdenziale. La direttiva copre tutti i tipi di regimi gestiti dagli EPAP, tenendo altresì conto delle diversità nazionali in quanto gli EPAP funzionano in maniera molto diversa da uno Stato all'altro, operando sia come compagnie assicurative che come fondi di investimento.
Rimangono espressamente esclusi dall’applicazione della direttiva in oggetto (articolo 2, comma 2):
§ gli enti che gestiscono regimi di sicurezza sociale di cui ai regolamenti (CEE) n. 1408/71 e (CEE) n. 574/72;
§ gli enti rientranti nel campo di applicazione delle direttive 73/209/CEE (assicurazioni dirette diverse dall’assicurazione sulla vita), 85/611/CEE (organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari), 93/22/CEE (servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari), 2000/12/CE (accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio), 2002/83/CE (assicurazioni sulla vita);
§ gli enti funzionanti secondo il principio della ripartizione;
§ gli enti in cui i dipendenti delle imprese promotrici non hanno legalmente diritto a prestazioni e in cui l'impresa promotrice può svincolare le attività in qualunque momento senza dover necessariamente far fronte ai propri obblighi di erogare prestazioni pensionistiche;
§ le società che utilizzano sistemi fondati sulla costituzione di riserve contabili per l'erogazione di prestazioni pensionistiche ai loro dipendenti.
E’ prevista un’applicazione facoltativa (articolo 4) di alcune disposizioni della direttiva in esame agli enti di cui alla citata direttiva 2002/83/CE, relativa all’assicurazione sulla vita.
E’ presente, inoltre, una clausola de minimis (“considerando” n. 15, articolo 5) che consente agli Stati membri di escludere dal campo di applicazione della direttiva i regimi pensionistici di ridotte dimensioni che non sono presumibilmente interessati a svolgere attività transfrontaliera.
Infine, si prevede (“considerando” n. 12) l’applicazione dei requisiti prudenziali minimi indicati nella direttiva in esame alle imprese di assicurazione sulla vita nel settore delle pensioni previdenziali ed assistenziali.
Tale previsione deriva dalla necessità di evitare effetti distorsivi nel mercato, in quanto tali imprese, che di regola dovrebbero essere escluse dal campod’applicazione della direttiva in esame, potrebbero offrire prestazioni relative a pensioni aziendali o professionali.
Tra l’altro, lo stesso “considerando” afferma che la Commissione dovrebbe procedere al monitoraggio del mercato delle prestazioni pensionistiche, valutando altresì la possibilità di estendere l’applicazione facoltativa prevista al citato articolo 3 ad altre istituzioni finanziarie regolamentate.
Ambito oggettivo
Alle imprese è richiesto l’obbligo di soddisfare requisiti prudenziali minimi (“considerando” n. 20) in funzione della natura dell’EPAP e dei rischi coperti per consentire il riconoscimento dei regimi di vigilanza nazionali, comprendenti specificatamente disposizioni riguardanti la specializzazione delle attività, attraverso:
§ la separazione giuridica tra imprese promotrici ed EPAP (articolo 8), affinché, in caso di fallimento dell’impresa promotrice, l’attivo dell’ente pensionistico sia salvaguardato. Si ricorda che per impresa promotrice, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), si intende un’impresa, o altro organismo, a prescindere dalla sua composizione, che versi contributi ad un EPAP. Tra l’altro, in determinati casi (“considerando” n. 30) potrebbe essere l’impresa promotrice e non l’EPAP a coprire i rischi biometrici o a garantire determinate prestazioni o un dato rendimento degli investimenti;
§ le condizioni per lo svolgimento dell’attività (articolo 9). Tali condizioni prevedono che:
- l’ente sia registrato in un registro nazionale dalla competente attività di vigilanza o autorizzato;
- l’ente sia effettivamente gestito da persone in possesso dei requisiti di onorabilità e dotate di qualifiche ed esperienze professionali adeguate;
- siano applicate regole al funzionamento definite in maniera adeguate per ogni schema pensionistico (dove per schema pensionistico, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), si intende un contratto, un accordo un negozio fiduciario o un insieme di disposizioni che stabilisce le prestazioni pensionistiche erogabili nonché le condizioni per la loro erogazione);
- le riserve tecniche siano correttamente calcolate;
- l’impresa promotrice si impegni a finanziare regolarmente il pagamento delle prestazioni pensionistiche;
- sia garantita un’adeguata informazione ai soggetti aderenti in relazione a determinate situazioni
- per esercitare attività transfrontaliera un EPAP debba ottenere l’autorizzazione preventiva delle autorità di vigilanza competenti;
§ i conti annuali e la relazione annuale (articolo 10) che tengano conto di ogni schema pensionistico gestito dall’ente;
§ la comunicazione di informazioni e della politica d’investimento agli aderenti e ai beneficiari, nonché alle autorità di vigilanza (rispettivamente articoli 11, 12 e 13).
La direttiva in esame, infatti, riconosce la necessità di una adeguata informazione (“considerando” n. 23) agli aderenti e ai beneficiari (cioè, rispettivamente, gli aventi diritto - a motivo delle loro attività lavorative - a percepire le prestazioni pensionistiche, e le persone che percepiscono le prestazioni pensionistiche[206]).
In particolare, si richiede, tra gli altri, che gli aderenti e i beneficiari ricevano le informazioni rilevanti relative a modifiche delle regole dello schema pensionistico, oltre ai conti e relazioni annuali di cui all’articolo 10.
Inoltre, gli EPAP hanno l’obbligo di presentazione alle autorità di vigilanza (articolo 12, “considerando” n. 24), con periodicità triennale, e in ogni caso dopo eventuali modifiche significative della politica d’investimento, di un documento illustrante i principi alla base della loro politica d’investimento con riferimento alla natura ed alla durata degli impegni per prestazioni pensionistiche, con specifica descrizione dei metodi di misurazione del rischio e delle tecniche di gestione del rischio utilizzati.
§ le riserve tecniche e il loro finanziamento (articoli 15 e 16).
In particolare, lo Stato membro di origine ha l’obbligo di provvedere affinché gli EPAP gestori di schemi previdenziali che coprono rischi biometrici (cioè i rischi relativi a morte, invalidità e longevità[207]) e/o garantiscono o un rendimento degli investimenti o un determinato livello di prestazioni, costituiscano riserve tecniche sufficienti in relazione al complesso di schemi pensionistici gestiti.
Le riserve tecniche dovrebbero essere calcolate (“considerando” n. 26) utilizzando metodi attuariali riconosciuti e certificate da esperti qualificati, atteso che un calcolo prudente delle stesse è condizione essenziale per assicurare che l’ente possa far fronte alle sue obbligazioni di erogazione.
Inoltre, le riserve tecniche debbono essere in qualsiasi momento integralmente coperte da attività adeguate, prevedendo, peraltro, che gli Stati membri possano consentire agli enti, per un periodo limitato, di scostarsi dal principio della copertura integrale, fermo restando l’obbligo di un piano di ripristino della copertura che accompagni qualsiasi sospensione della copertura stessa.
Infine, atteso che i rischi coperti dagli enti in oggetto variano in maniera significativa da uno Stato membro all’altro, è prevista la facoltà, per gli Stati membri di origine (“considerando” n. 27), di assoggettare il calcolo delle riserve tecniche a disposizioni supplementari più dettagliate rispetto a quelle contenute nella direttiva in esame.
§ i fondi propri obbligatori nel caso in cui gli EPAP assumano in proprio l’onere a copertura dei rischi biometrici (articolo 17) e le regole in materia di investimenti (articolo 18).
In particolare, lo Stato membro di origine ha l’obbligo di provvedere affinché gli EPAP gestori di schemi previdenziali in cui è l’ente stesso a coprire direttamente rischi biometrici e/o garantisce o un rendimento degli investimenti o un determinato livello di prestazioni a copertura, detengano, su base permanente, attività supplementari rispetto alle riserve tecniche gestite.
Inoltre, per quanto concerne le regole in materia di investimenti, la gestione dei portafogli d’investimento deve ispirarsi a criteri qualitativi (sicurezza, liquidità, qualità, rendimento, diversificazione) piuttosto che a criteri quantitativi uniformi, al fine di consentire ad ogni EPAP l’applicazione dei criteri indicati conformemente alla natura ed alla scadenza delle future pensionistiche previste.
Vigilanza
Ai sensi dell’articolo 14, le autorità di vigilanza hanno poteri sufficienti per esercitare le proprie funzioni e tutelare gli interessi degli aderenti e dei beneficiari, potendo svolgere anche accertamenti presso gli uffici degli EPAP e, se del caso, presso società esterne alle quali questi abbiano affidato delle funzioni.
In particolare (paragrafo 2), le autorità di vigilanza possono limitare o vietare la libera disponibilità dell’attivo dell’EPAP nel caso in cui l’ente stesso:
§ non abbia costituito riserve tecniche sufficienti in relazione all’attività complessiva;
§ non detenga fondi propri obbligatori.
Le autorità di vigilanza possono altresì trasferire (paragrafo 3), in tutto o in parte, i poteri attribuiti dalla legge dello Stato membro d’origine ai soggetti gestori dell’ente ad un rappresentante speciale, idoneo ad esercitare i poteri stessi.
Attività transfrontaliera
Ai sensi dell’articolo 20, si provvede alla rimozione degli ostacoli alla gestione transfrontaliera di regimi di pensione aziendali e professionali, armonizzando alcune norme prudenziali di base, prevedendo altresì il riconoscimento reciproco dei sistemi nazionali e proponendo un sistema di comunicazione e cooperazione tra le autorità competenti estabilendo, in particolare (paragrafo 1), che un ente che intenda gestire un regime in un altro Stato membro debba applicare le peculiari disposizioni legislative in materia sociale e di diritto del lavoro dello Stato membro nel quale ha sede l’impresa promotrice (si tratta essenzialmente di norme che stabiliscono quali tipi di prestazioni devono essere erogate). Inoltre, “l’elevatissimo numero degli enti operanti in alcuni Stati membri rende necessaria una soluzione pragmatica per quanto riguarda il requisito della loro autorizzazione preventiva” (“considerando” n. 21): a tal fine, come accennato in precedenza (articolo 9, paragrafo 5), per svolgere attività su scala transfrontaliera un EPAP deve disporre di una autorizzazione rilasciata dall’autorità competente dello Stato membro di origine (paragrafo 2).
Ai fini dell’attività transfrontaliera è inoltre previsto:
§ che gli Stati membri possano esigere dall’EPAP con sede nel loro territorio, ma con impresa promotrice in un altro Stato membro, ulteriori informazioni alla citata notificazione. Tali informazioni sono successivamente comunicate alle autorità competenti dello Stato membro ospitante (paragrafo 4);
§ che le autorità dello Stato membro ospitante comunichino alle autorità dello Stato membro dell’EPAP che abbia iniziato a gestire uno schema pensionistico le disposizioni legislative in materia sociale e di diritto del lavoro conformemente alle quali lo schema pensionistico – avente un’impresa promotrice in uno Stato membro ospitante - debba essere gestito;
§ che l’EPAP inizi la sua attività una volta ricevuta la comunicazione di cui al precedente punto;
§ che gli EPAP aventi impresa promotrice in altro Stato osservino i requisiti di informazione di cui all’articolo 11;
§ che le autorità di vigilanza dello Stato membro ospitante comunichino alle autorità dello Stato membro di origine eventuali modifiche significative delle disposizioni legislative in materia sociale e di diritto del lavoro;
§ che le autorità di vigilanza dello Stato membro ospitante informino le autorità dello Stato membro di origine nel caso in cui rilevino irregolarità nell’attività dell’EPAP in relazione alle disposizioni legislative in materia sociale e di diritto del lavoro o in materia di informazione, prendendo opportune misure nel caso in cui talli irregolarità non cessino.
Si ricorda, infine, che è stata definitivamente approvata la legge n. 243/2004 recante delega al Governo per la riforma del sistema previdenziale, la quale, tra i principi e criteri direttivi, di cui all’articolo 1, comma 2, prevede il riassetto del sistema della previdenza complementare (lettera e),con riferimento anche al sistema di vigilanza (lettera h) e alla disciplina fiscale (lettera i).
Tra gli aspetti più qualificanti del riassetto del sistema della previdenza complementare, si evidenzia:
§ il conferimento del TFR alle forme pensionistiche complementari, attraverso l’istituto del silenzio-assenso;
§ la facoltà, per i fondi pensione, di dotarsi di linee di investimento tali da garantire rendimenti comparabili al tasso di rivalutazione del TFR;
§ l’omogeneizzazione del sistema di vigilanza sull’intero settore della previdenza complementare e la semplificazione delle procedure amministrative;
§ la contitolarità del diritto di contribuzione ai fondi pensione;
§ la ridefinizione della disciplina fiscale, al fine, tra gli altri, di ampliare la deducibilità fiscale della previdenza complementare e di rendere più favorevole il trattamento dei rendimenti delle forme pensionistiche complementari.
Attuazione
L’articolo 22 dispone che la presente direttiva sia attuata entro il 31 dicembre 2005.
Direttiva 2003/42/CE
(Segnalazione di taluni eventi nel settore dell’aviazione civile)
Obiettivo principale della direttiva in commento è quello di migliorare la sicurezza del trasporto aereo, provvedendo affinché le informazioni essenziali per la sicurezza siano segnalate, raccolte, registrate, tutelate e diffuse ai fini di facilitarne l'analisi ed il controllo effettivi. L'istituzione di sistemi di segnalazione degli eventi ha per unico obiettivo la prevenzione di futuri incidenti ed inconvenienti e non mira a determinare colpe o responsabilità.
Secondo quanto riportato nelle premesse della direttiva, negli ultimi dieci anni il tasso di incidenti nell'aviazione civile è rimasto pressoché costante. Tuttavia in un prossimo futuro l'incremento del traffico aereo potrebbe portare ad un aumento del numero di incidenti. Per migliorare la sicurezza dell'aviazione civile occorre una conoscenza più approfondita di alcuni eventi, grazie alla quale sarà più facile analizzare e prevenire gli incidenti.
Il campo di applicazione della direttiva comprende gli eventi (inconvenienti, incidenti o incidenti gravi) che mettono in pericolo oppure che, se non corretti, rischiano di mettere in pericolo un aeromobile, i suoi occupanti o qualsiasi altra persona. In particolare le segnalazioni riguardano le operazioni di volo, gli elementi tecnici dell'aeromobile, la manutenzione e riparazione dell'aeromobile ed i servizi di navigazione aerea, le strutture e i servizi a terra.
Le segnalazioni di eventi devono essere raccolte, valutate, trattate e conservate in una base dati. Gli Stati membri devono affidare questo compito ad un'autorità competente, tenuta ad operare con imparzialità. Può trattarsi dell'autorità nazionale dell'aviazione civile o dell'organismo preposto ad investigare sugli incidenti aerei o di qualsiasi altro organismo o ente indipendente incaricato di questa funzione, quale definito dalla direttiva 94/56/CE[208].
Gli Stati membri devono garantire un adeguato scambio di informazioni e mettere a disposizione delle autorità competenti degli altri paesi e della Commissione tutte le informazioni conservate nelle basi dati nazionali. Per agevolare lo scambio di informazioni la Commissione dovrà fornire loro un apposito software che garantirà le necessarie interconnessioni.
Le informazioni raccolte a partire dalle segnalazioni obbligatorie di eventi saranno successivamente diffuse al fine di migliorare la sicurezza. Tali informazioni potranno essere consultate dalle autorità nazionali dell'aviazione civile e dagli organismi di indagine sugli incidenti. Altre parti interessate potranno ricevere informazioni ma il loro accesso sarà limitato ai dati strettamente necessari. Anche il pubblico sarà informato del livello di sicurezza dell'aviazione mediante la pubblicazione annuale di un'apposita relazione e, se necessario, mediante estratti delle segnalazioni di eventi dai quali saranno stati cancellati tutti i dati personali relativi all'informatore e tutti gli aspetti tecnici.
Le informazioni scambiate e diffuse sono utilizzate unicamente per fini che rientrano nelle attività dei partecipanti e dei destinatari. Gli informatori e le informazioni da essi fornite sono tutelati per stimolare una segnalazione basata sulla libertà e sulla fiducia.
Oltre al sistema delle segnalazioni obbligatorie, gli Stati membri possono mettere a punto un sistema di segnalazioni spontanee per raccogliere e analizzare le informazioni sulle carenze osservate nel settore dell'aviazione, la cui segnalazione non è obbligatoria, ma che l'informatore ritiene rappresentino o possano rappresentare un rischio.
La Commissione è assistita dal comitato istituito dall'articolo 12 del regolamento n. 3922/91 concernente l'armonizzazione di regole tecniche e di procedure amministrative nel settore dell'aviazione civile.
La direttiva indica come termine di recepimento il 4 luglio 2005.
Si segnala, infine che la direttiva in esame, sulla base di un emendamento approvato dal Senato, figura ora nell’allegato B del disegno di legge comunitaria per il 2004, e pertanto il relativo schema di decreto legislativo di attuazione verrà sottoposto al parere delle competenti commissioni parlamentari.
In base al parere espresso dalla commissione Bilancio del Senato, si prevede che lo schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva in esame venga altresì sottoposto al parere delle commissioni parlamentari competenti per i profili di carattere finanziario, e sia corredato della relazione tecnica di cui all’articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, sulla quantificazione degli oneri recati da ciascuna disposizione.
Direttiva 2003/51/CE
(Modifica delle direttive 78/660/CEE, 83/349/CEE, 86/635/CEE e 91/674/CEE, relative ai conti annuali e ai conti consolidati di taluni tipi di società, delle banche e altri istituti finanziari e delle imprese di assicurazione)
La direttiva 2003/51/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 giugno 2003 modifica le direttive 78/660/CE, 83/349/CEE, 86/635/CEE e 91/674/CEE relative ai conti annuali e ai conti consolidati di taluni tipi di società, delle banche e altri istituti finanziari e delle imprese di assicurazione.
La direttiva 2003/51/CE mira ad armonizzare le norme contabili applicabili alle società e ad altri organismi che non sono soggetti al regolamento (CE) n. 1606/2002[209] del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 luglio 2002, relativo all'applicazione di principi contabili internazionali alle imprese quotate in borsa.
In questo modo essa elimina qualsiasi discordanza tra le direttive contabili ed il regolamento sull'applicazione dei principi contabili internazionali (IAS), in quanto consente di rendere le opzioni contabili IAS applicabili alle imprese che conservano le direttive contabili come legislazione di base. Inoltre, la direttiva chiarisce il trattamento dei finanziamenti fuori bilancio (debiti e prestiti) ed estende al di là degli aspetti finanziari l'analisi dei rischi nelle relazioni sulla gestione delle imprese. Essa precisa altresì il contenuto obbligatorio delle relazioni dei revisori dei conti.
Nella comunicazione del 13 giugno 2000 dal titolo "La strategia dell'UE in materia di informativa finanziaria: la via da seguire", la Commissione ha proposto che tutte le società comunitarie quotate siano tenute a redigere il loro bilancio consolidato conformemente ad un'unica serie di principi contabili, gli International Accounting Standards (IAS), al più tardi a partire dal 2005. Questa misura mira a rafforzare l'efficienza globale del mercato, riducendo il costo del capitale per le imprese. La comunicazione rientra nel piano d'azione per i servizi finanziari, del quale il Consiglio europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000 ha chiesto l'attuazione entro il 2005. La comunicazione propone di dare agli Stati membri la possibilità di estendere l'applicazione degli IAS anche agli istituti finanziari ed alle imprese di assicurazione non quotati in borsa, per accrescere la comparabilità in tutto il settore e garantire un controllo efficace e mirato.
La comunicazione della Commissione è suddivisa in due parti, riguardanti rispettivamente: l'introduzione degli IAS nell'UE e l'allineamento delle direttive contabili UE agli IAS.
Ai fini dell'attuazione della prima parte, il 19 luglio 2002 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato il regolamento sull'applicazione degli IAS, che prevede un meccanismo per il riconoscimento di questi ultimi nell'UE. Il regolamento stabilisce che a partire dal 1° gennaio 2005 tutte le imprese quotate in borsa devono presentare i propri bilanci consolidati conformemente agli IAS adottati dall'UE. Esso dà inoltre agli Stati membri la facoltà di consentire o prescrivere a tali imprese di applicare gli IAS anche nella redazione dei conti annuali, nonché di autorizzare o obbligare anche società non quotate ad applicare gli IAS adottati.
Le norme attualmente applicabili nell'Unione Europea in materia di contabilità sono contenute principalmente nei seguenti atti legislativi comunitari:
- la quarta direttiva 78/660/CEE del Consiglio, del 25 luglio 1978, relativa ai conti annuali di taluni tipi di società, che stabilisce le norme per la preparazione dei conti annuali delle società. È stata recepita nell’ordinamento italiano con il D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127, e il D.L. 23 febbraio 1994, n. 129;
- la settima direttiva 83/349/CEE del Consiglio, del 13 giugno 1983, relativa ai conti consolidati, che stabilisce le norme per la preparazione dei conti consolidati, recepita con il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 526, e il D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127;
- la direttiva 86/635/CEE del Consiglio, dell'8 dicembre 1986, relativa ai conti annuali ed ai conti consolidati delle banche e degli altri istituti finanziari, che tratta le questioni specifiche che si pongono nei bilanci di tali enti. La direttiva è stata recepita con D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 87;
- la direttiva 91/674/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1991, relativa ai conti annuali e ai conti consolidati delle imprese di assicurazione, che tratta le questioni specifiche che si pongono nella preparazione dei bilanci di queste ultime. Essa è stata recepita con D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 173.
L'innovazione più significativa introdotta dalla direttiva 2003/51/CE è l'obbligo per tutte le società quotate dell'UE di redigere i loro bilanci consolidati conformemente agli IAS adottati dall'UE a partire dal 2005. Essa dà inoltre agli Stati membri la facoltà di consentire o prescrivere alle società quotate di applicare gli IAS adottati nella redazione dei conti annuali e di consentire o prescrivere anche alle società non quotate di applicare gli IAS adottati.
Gli obiettivi della direttiva 2003/51/CE sono tre:
1. eliminare tutti i conflitti che esistono tra le direttive contabili e gli IAS;
2. far sì che i trattamenti contabili opzionali attualmente consentiti dagli IAS possano essere utilizzati dalle società dell'UE, che continueranno a dover osservare regole contabili fondate sulle direttive contabili (cioè le società che non redigeranno i loro conti annuali o consolidati conformemente agli IAS adottati a norma del regolamento IAS);
3. aggiornare la struttura fondamentale delle direttive contabili in modo che esse offrano un quadro di informazione finanziaria che sia al tempo stesso in linea con la prassi moderna e sufficientemente flessibile per adeguarsi agli sviluppi futuri degli IAS.
In particolare l'articolo 1 della direttiva 2003/51/CE apporta le necessarie modifiche alla direttiva 78/660/CEE del Consiglio, del 25 luglio 1978, relativa ai conti annuali di taluni tipi di società.
Gli Stati membri hanno la facoltà di consentire o prescrivere che nei conti annuali vengano inclusi documenti supplementari, quali, ad esempio, un prospetto dei flussi di cassa.
A norma degli IAS, gli Stati membri hanno la facoltà di consentire o prescrivere che le voci relative alla presentazione degli importi nel conto profitti e perdite e nello stato patrimoniale rispecchino la sostanza dell'operazione o del contratto piuttosto che la loro forma giuridica. Tale autorizzazione o obbligo può tuttavia essere soggetto a limitazioni.
Gli Stati membri hanno la facoltà di consentire alle imprese di redigere il loro stato patrimoniale conformemente alle disposizioni degli IAS. Allo stesso tempo, il documento anticipa una prossima riforma della presentazione del conto profitti e perdite.
Quanto alla contabilizzazione degli accantonamenti, le norme IAS appaiono più restrittive di quelle della direttiva 78/660/CEE, che limita la costituzione di accantonamenti a quanto disposto dagli IAS per le società che li applicano, ma prevede uno status quo per i conti annuali delle società non quotate.
Lo IAS 38 consente la rivalutazione delle immobilizzazioni immateriali.
Gli Stati membri hanno la facoltà di estendere l'applicazione del concetto di "valore equo" (fair value), già introdotto nelle direttive sui conti annuali dalla direttiva 2001/65/CE (recepita con decreto legislativo 30 dicembre 2003, n. 394), ad altre categorie di attività (eventualmente solo nei conti annuali consolidati), nonché di riportare le variazioni di tale valore nel conto profitti e perdite.
La direttiva estende l'obbligo basilare di redigere un rendiconto annuale che rispecchi fedelmente l'andamento degli affari e la situazione della società, per permettere di tener conto anche delle prestazioni delle società, nonché dei principali rischi e incertezze in cui esse incorrono. Qualora ciò si renda necessario per ben comprendere l'evoluzione, le prestazioni o la situazione della società, occorre prevedere, oltre alle informazioni finanziarie, un'analisi di altri aspetti, tra cui quelli ambientali e sociali.
Per i casi in cui i conti annuali vengano pubblicati in forma abbreviata, la direttiva prevede adesso che, oltre a presentare una dichiarazione con o senza rilievi, si debbano precisare gli eventuali punti sui quali il revisore esterno abbia richiamato l'attenzione, pur senza esprimere rilievi. La direttiva cerca inoltre di armonizzare ulteriormente tali relazioni di revisione indicandone il contenuto necessario.
Le società quotate non possono più avvalersi delle esenzioni previste rispetto a determinati obblighi.
L'articolo 2 apporta le necessarie modifiche alla direttiva 83/349/CEE del Consiglio, del 13 giugno 1983, relativa ai conti consolidati.
Secondo gli IAS, un'impresa è considerata un'"impresa figlia" quando è controllata da un'"impresa madre", indipendentemente dal fatto che quest'ultima detenga una partecipazione nel suo capitale. Per allineare la direttiva agli IAS è quindi necessario sopprimere l'obbligo di partecipazione da essa previsto.
Sono inoltre soppresse le disposizioni della direttiva che prevedevano l'esclusione di un'impresa dai conti consolidati dell'impresa madre quando le sue attività fossero così diverse da quelle della casa madre che includerle sarebbe stato contrario all'obiettivo di fornire un quadro fedele di tutte le imprese oggetto del consolidamento. Oggi si ritiene che tale situazione non si verifichi in alcun caso.
La modifica della direttiva precisa inoltre che nei casi in cui, oltre alla relazione sulla gestione annuale, venga richiesta una relazione sulla gestione consolidata, le due relazioni possono essere presentate in un unico documento.
L’articolo 3 modifica la direttiva 86/635/CEE del Consiglio, dell’8 dicembre 1986, relativa ai conti annuali ed ai conti consolidati delle banche e degli altri istituti finanziari. In particolare la maggior parte delle modifiche proposte alla direttiva 86/635/CEE discende da quelle relative alla direttiva 78/660/CEE.
Gli Stati membri possono consentire o obbligare gli istituti di credito o determinate loro categorie a redigere il proprio stato patrimoniale sulla base della tipologia delle voci di bilancio e della loro relativa liquidità.
In deroga alla direttiva 78/660/CEE, gli Stati membri possono consentire o obbligare gli istituti di credito a redigere una relazione sui risultati, anziché un conto profitti e perdite, a condizione che le informazioni in essa contenute siano equivalenti.
A seguito della soppressione dell'esonero dall'obbligo di inclusione nei conti consolidati per le imprese che esercitano attività fortemente differenti da quelle dell'impresa madre, è anche soppresso l'obbligo di consolidamento imposto agli istituti di credito/imprese madri nei confronti delle imprese figlie che esercitano attività non bancarie.
L'articolo 4 apporta le necessarie modifiche alla direttiva 91/674/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1991, relativa ai conti annuali e ai conti consolidati delle imprese di assicurazione, al fine di renderla compatibile con gli IAS.
La maggior parte delle modifiche disposte alla direttiva 91/674/CEE discende da quelle relative alla direttiva 78/660/CEE. Si prevedono ulteriori modifiche per la valutazione di voci specifiche al loro valore equo (fair value), conformemente allo IAS 39.
Ai sensi dell’articolo 5 della direttiva gli Stati membri devono far entrare in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva stessa entro il 1° gennaio 2005.
Il recepimento nell’ordinamento italiano della direttiva 2003/51/CE dovrebbe comportare modifiche:
- al libro V del codice civile;
- al D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127, relativamente ai conti annuali e consolidati;
- al D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 87, relativa ai conti annuali ed ai conti consolidati delle banche e degli altri istituti finanziari;
- al D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 173, circa i conti annuali e consolidati delle imprese di assicurazione.
Direttiva 2003/54/CE
(Norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica)
La direttiva 2003/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2003, che abroga la direttiva 96/92/CE concernente norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, è volta a conseguire progressivamente l'apertura completa del mercato e livelli più elevati dei servizi nel settore elettrico.
Si ricorda che la direttiva in esame fa parte di un unico «pacchetto legislativo», che racchiude la direttiva 2003/55/CE, recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, che abroga la direttiva 1998/30/CE, (la direttiva 2003/55/CE è inserita, anch’essa, nell’allegato B del disegno di legge comunitaria in esame, cfr. la relativa scheda di lettura), ed il regolamento (CE) n. 1228/2003 relativo alle condizioni di accesso alla rete per gli scambi transfrontalieri di energia elettrica.
Campo di applicazione (art.1)
La direttiva in esame, entrata in vigore il 4 agosto 2003, stabilisce norme comuni per la generazione, trasmissione, distribuzione e fornitura dell’energia elettrica, e norme organizzative e di funzionamento del settore, quali l’accesso ai mercati, i criteri e le procedure relative ai bandi di gara, al rilascio di autorizzazioni e alla gestione dei sistemi.
Obblighi di servizio pubblico e tutela dei consumatori (art.3)
La direttiva impone agli Stati membri taluni obblighi relativi al servizio pubblico e alla tutela dei consumatori, in primis quello di far sì che le imprese del settore elettrico siano gestite secondo i principi previsti in materia dalla direttiva stessa, al fine di realizzare un mercato concorrenziale, sicuro sotto il profilo ambientale e senza discriminazioni tra imprese.
A questo fine, gli Stati membri possono:
· imporre alle imprese che operano nel settore elettrico, nell'interesse economico generale, obblighi di servizio pubblico relativi alla sicurezza, compresa la sicurezza d'approvvigionamento, la regolarità, la qualità e il prezzo delle forniture, nonché la tutela dell'ambiente;
· provvedere affinché i clienti civili e, se necessario, le piccole imprese[210], usufruiscano di un servizio universale, cioè del diritto alla fornitura di una qualità specifica di energia a prezzi ragionevoli comparabili e trasparenti, anche attraverso la designazione di un fornitore di ultima istanza; imporre alle società di distribuzione l’obbligo di collegare i clienti alla rete a tariffe e condizioni secondo procedure fissate dalle Autorità di regolamentazione (art.23, par.2);
· adottare le misure appropriate a tutela dei clienti finali, garantendo una adeguata protezione ai clienti vulnerabili, comprese le misure volte ad evitare l'interruzione delle forniture di elettricità; assicurare un livello elevato di tutela dei consumatori riguardo alla trasparenza delle condizioni di contratto, alle informazioni generali e ai meccanismi di risoluzione delle controversie; provvedere affinché i clienti idonei possano effettivamente cambiare fornitore; nonché provvedere affinché dai fornitori sia inviato ai clienti finali la quota di ciascuna fonte energetica nel mix complessivo di combustibili utilizzato dal fornitore nell’anno precedente. Un elenco delle misure a tutela dei consumatori è peraltro fornito nell’allegato A della direttiva;
· attuare misure idonee a realizzare gli obiettivi della coesione economica e sociale, della tutela ambientale e della sicurezza dell’approvvigionamento; informare la Commissione delle misure adottate per adempiere agli obblighi di servizio universale e pubblico, inclusa la tutela dei consumatori e dell'ambiente, nonché delle loro eventuali ripercussioni sulla concorrenza nazionale ed internazionale o della necessità di una deroga alla presente direttiva.
Controllo della sicurezza degli approvvigionamenti (art.4)
Gli Stati membri garantiscono il controllo della sicurezza degli approvvigionamenti (l'equilibrio tra domanda e offerta sul mercato nazionale, il livello della domanda prevista, le capacità addizionali previste in corso di programmazione o di costruzione, la qualità e il livello di manutenzione delle reti, nonché le misure per far fronte ai picchi della domanda e alle carenze di uno o più fornitori), e tale controllo può essere affidato alle autorità nazionali di regolamentazione.
Ogni due anni, entro il 31 luglio, è prevista la trasmissione alla Commissione, da parte delle autorità competenti, di un rapporto sui risultati dei controlli in materia.
Norme tecniche (art.5)
E’ prevista, da parte degli Stati membri, l’adozione di norme tecniche a garanzia della sicurezza e dell’interoperabilità delle reti, nelle quali siano stabiliti i requisiti tecnici minimi di progettazione e di funzionamento per la connessione alla rete degli impianti di generazione, delle reti di distribuzione, delle apparecchiature dei clienti connesse direttamente, dei circuiti di interconnessione e delle linee dirette. Le norme devono essere notificate alla Commissione.
Generazione
Procedura di autorizzazione per nuove capacità (art.6)
Gli Stati membri sono tenuti all’adozione di procedure autorizzative per la costruzione di nuovi impianti secondo criteri obiettivi e non discriminatori. Agli Stati compete la fissazione di criteri di rilascio delle autorizzazioni. Tali criteri possono in particolare riguardare: la sicurezza tecnica e fisica del sistema, la tutela della salute e della sicurezza pubblica, la tutela ambientale, l’assetto territoriale, l’uso del suolo pubblico, l’efficienza energetica, la natura delle fonti primarie e le caratteristiche dei richiedenti.
Gli Stati membri debbono motivare il rifiuto delle autorizzazioni, secondo ragioni documentate, obiettive e non discriminatorie. Tali ragioni debbono essere comunicate al richiedente e contro la decisione di rigetto deve essere possibile esperire ricorso.
Gli Stati membri devono inoltre tenere conto, nelle procedure autorizzatorie per i piccoli impianti e/o per gli impianti di generazione distribuita, della dimensione e dell’impatto potenziale limitati di questi ultimi.
Indizione di gare per nuove capacità (art.7)
Il ricorso alla gara di appalto per assicurare nuove capacità è consentito solo laddove gli impianti di generazione in costruzione ovvero le misure di efficienza energetica/gestione della domanda adottate in base alla procedura di autorizzazione, non siano in grado di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti.
Le gare possono inoltre essere previste anche a fini della tutela dell’ambiente e della promozione di nuove tecnologie, e possono riguardare nuove capacità e misure di efficienza energetica/gestione della domanda. Anche in questo caso, la gara è consentita a condizione che gli obiettivi non siano perseguibili con misure adottate sulla base delle autorizzazioni.
L’organizzazione, la sorveglianza ed il controllo sulle procedure di gara devono essere assicurati da un organismo, pubblico o privato, designato da ciascuno Stato membro e comunque indipendente dalle attività di generazione, trasmissione, distribuzione e fornitura di energia elettrica. Tale organismo può essere sia l’autorità di regolamentazione sia il gestore della rete di trasmissione, purché sia pienamente indipendente sotto il profilo dell’assetto proprietario da altre attività non connesse alla rete.
Gestione del sistema di trasmissione
Designazione e compiti dei gestori (artt.8 e 9)
I gestori del sistema di trasmissione possono essere designati direttamente dallo Stato membro o su richiesta di questi, dalle imprese proprietarie del sistema di trasmissione.
Il gestore del sistema di trasmissione è tenuto a:
· garantire la capacità a lungo termine del sistema di soddisfare le richieste ragionevoli di trasmissione dell’energia;
· contribuire alla sicurezza dell’approvvigionamento;
· gestire i flussi di energia sul sistema. Il gestore a tal fine, è responsabile della sicurezza, affidabilità ed efficienza della rete elettrica e assicura la disponibilità dei servizi ausiliari;
· fornire ad altri gestori di sistemi informazioni sufficienti per garantire il funzionamento sicuro ed efficiente, lo sviluppo coordinato e l’interoperabilità del sistema interconnesso;
· assicurare la non discriminazione tra gli utenti del sistema;
· fornire agli utenti del sistema le informazioni necessarie per un efficiente accesso al sistema;
I gestori sono tenuti alla riservatezza sulle informazioni commercialmente sensibili acquisite nel corso della loro attività (art.12).
Separazione giuridica dei gestori del sistema di trasmissione (art.10)
Il gestore del sistema di trasmissione, qualora faccia parte di un'impresa verticalmente integrata, è indipendente, quantomeno sotto il profilo della forma giuridica, dell'organizzazione e del potere decisionale, dalle altre attività non connesse alla trasmissione. Tali norme non comportano l’obbligo di separazione della proprietà dei mezzi del sistema di trasmissione dall’impresa verticalmente integrata.
Per garantire l’indipendenza del gestore del sistema di trasmissione, la direttiva prevede che gli Stati membri applichino tali criteri minimi:
· i soggetti responsabili della gestione del sistema di trasmissione non possono far parte di strutture societarie dell'impresa elettrica integrata, le quali siano responsabili, direttamente o indirettamente, della gestione ordinaria delle attività di generazione, di distribuzione e di fornitura di energia elettrica;
· l’adozione di misure idonee ad assicurare che gli interessi professionali delle persone responsabili della gestione del sistema di trasmissione siano presi in considerazione, a garanzia della loro indipendenza;
· il Gestore del sistema deve poter disporre di poteri decisionali indipendenti dall’impresa elettrica integrata, in relazione alle installazioni necessarie alla gestione, manutenzione e sviluppo della rete;
· il gestore deve predisporre un programma di adempimenti contenente le misure adottate per escludere comportamenti discriminatori e garantire che ne sia adeguatamente controllata l'osservanza. L’organo responsabile del controllo del programma presenta, annualmente, all’autorità di regolamentazione una relazione sulle misure adottate.
Dispacciamento e bilanciamento (art.11)
Il gestore del sistema di trasmissione è responsabile del dispacciamento degli impianti di generazione della sua zona e dell’impiego di interconnector con altri sistemi, che avvengono sulla base di criteri obiettivi, pubblicati e applicati in modo non discriminatorio, che possono essere approvati dallo Stato membro.
Lo Stato può imporre al gestore l’obbligo di dare la precedenza agli impianti di generazione che utilizzano fonti energetiche rinnovabili o rifiuti o che assicurano la produzione mista di calore ed energia elettrica, nonché il rispetto di standard minimi di manutenzione e di sviluppo del sistema, compresa la capacità di interconnessione.
Inoltre può imporre - per motivi di sicurezza di approvvigionamento - la priorità al dispacciamento di impianti alimentati con fonti nazionali di energia combustibile primaria in proporzione non superiore al 15% annuo di tutta l’energia primaria necessaria per produrre l’energia elettrica consumata nello Stato interessato.
L’acquisizione di energia da parte del gestore del sistema di trasmissione per la copertura delle perdite di energia e la capacità di riserva del sistema, avviene sulla base di procedure trasparenti, non discriminatorie e su criteri di mercato.
Gli stessi gestori adottano regole di bilanciamento obiettive, trasparenti e non discriminatorie, comprese le regole per addebitare agli utenti lo sbilanciamento energetico.
Gestione del sistema di distribuzione
Designazione e compiti dei gestori (artt.13 e 14)
Lo Stato membro designa direttamente, ovvero può imporre alle imprese che possiedono o sono responsabili dei sistemi di distribuzione di designare, i gestori del sistema di distribuzione, per un periodo prestabilito.
Il gestore del sistema di distribuzione è tenuto a:
· mantenere un sistema di distribuzione sicuro, affidabile ed efficiente, nel rispetto dell'ambiente;
· astenersi da discriminazioni tra gli utenti del sistema;
· fornire ad altri gestori di sistemi le informazioni necessarie per un accesso sicuro ed efficiente del sistema interconnesso.
Lo Stato può imporre al gestore l’obbligo di dare la precedenza agli impianti di generazione che utilizzano fonti energetiche rinnovabili o rifiuti o che assicurano la produzione mista di calore ed energia elettrica.
L’acquisizione di energia da parte del gestore del sistema di distribuzione per coprire le perdite di energia e la capacità di riserva del loro sistema, avviene sulla base di procedure trasparenti, non discriminatorie e su criteri di mercato. Gli stessi gestori adottano regole di bilanciamento obiettive, trasparenti e non discriminatorie, comprese le regole per addebitare agli utenti lo sbilanciamento energetico.
I gestori sono tenuti alla riservatezza sulle informazioni commercialmente sensibili acquisite nel corso della loro attività (art.16).
Separazione dei gestori del sistema di distribuzione (art.15)
Il gestore del sistema di distribuzione, qualora faccia parte di un'impresa verticalmente integrata, è indipendente, quantomeno sotto il profilo della forma giuridica, dell'organizzazione e del potere decisionale, dalle altre attività non connesse alla trasmissione. Le norme non comportano l’obbligo di separazione della proprietà dei mezzi del sistema di trasmissione dall’impresa verticalmente integrata. Il gestore è inoltre indipendente da altre attività non connesse alla distribuzione per quanto concerne l’organizzazione e l’adozione di decisioni.
Al fine di conseguire l’indipendenza del gestore, la direttiva prevede che si applichino i seguenti criteri minimi:
· i responsabili della gestione del sistema di trasmissione non possono far parte di strutture societarie dell'impresa elettrica integrata, le quali siano responsabili, direttamente o indirettamente, della gestione ordinaria delle attività di generazione, trasmissione, fornitura di elettricità;
· l’adozione di misure idonee ad assicurare che gli interessi professionali delle persone responsabili della gestione del sistema di trasmissione siano presi in considerazione;
· il Gestore del sistema deve poter disporre di poteri decisionali indipendenti dall’impresa elettrica integrata, in relazione alle installazioni necessarie alla gestione, manutenzione e sviluppo della rete;
· la predisposizione da parte del gestore di un programma di adempimenti contenente le misure adottate per escludere comportamenti discriminatori e garantire che ne sia adeguatamente controllata l'osservanza. L’organo responsabile del controllo del programma presenta, annualmente, all’autorità di regolamentazione una relazione sulle misure adottate.
Gestione di un sistema combinato (art.17)
Le disposizioni relative alla separazione giuridica dei gestori del sistema di trasmissione non impediscono la gestione di un sistema combinato di trasmissione e distribuzione da parte di un gestore indipendente, sotto il profilo della forma giuridica, dell'organizzazione e del potere decisionale, dalle altre attività non connesse alla trasmissione o alla distribuzione.
E’ prevista l’applicazione al gestore del sistema combinato di criteri minimi di indipendenza che richiamano quelli già stabiliti dalla direttiva per i gestori dei sistemi di trasmissione e distribuzione (cfr. supra, art.15).
Separazione e trasparenza della contabilità (artt.18 e 19)
Gli Stati membri e le autorità competenti da essi designate, ivi comprese le autorità competenti per la risoluzione delle controversie, hanno il diritto di accedere alla contabilità delle imprese elettriche nella misura necessaria allo svolgimento delle loro funzioni e mantengono la riservatezza sulle informazioni commercialmente sensibili (art.18).
Per quanto riguarda la separazione della contabilità, la direttiva determina le modalità alle quali la contabilità delle imprese elettriche deve conformarsi.
I conti annuali devono essere redatti, sottoposti a revisione e pubblicati secondo le norme di diritto interno sui conti annuali delle società di capitali, adottate conformemente alla legislazione comunitaria. Le imprese che non sono per legge tenute a pubblicare i conti annuali devono tuttavia tenerne una copia a disposizione del pubblico.
Le imprese elettriche tengono conti separati per le loro attività di trasmissione e di distribuzione al fine di evitare discriminazioni, trasferimenti incrociati e distorsioni della concorrenza. Fino al 1º luglio 2007 (data in cui tutti i clienti diverranno idonei) le società elettriche tengono conti separati per le attività di fornitura a clienti idonei e le attività di fornitura a clienti non idonei. Per ciascuna attività viene redatto uno stato patrimoniale e un conto profitti e perdite.
Organizzazione del sistema di accesso
Accesso dei terzi (art.20)
Per l'accesso di terzi al sistema, gli Stati membri garantiscono una procedura basata su tariffe pubblicate praticabili a tutti i clienti idonei e applicata obiettivamente e senza discriminazioni tra gli utenti.
Il gestore del sistema di trasmissione e di distribuzione può rifiutare l'accesso al sistema per mancanza della capacità necessaria. Questo rifiuto deve essere debitamente motivato.
Apertura del mercato e reciprocità (art.21)
Gli Stati membri provvedono affinché i clienti idonei siano determinati in base ai seguenti criteri:
· fino al 1º luglio 2004, i clienti idonei sono definiti ai sensi dell'articolo 19, par. 1,2 e 3 della direttiva 96/92/CE. Gli Stati membri pubblicano, entro il 31 gennaio di ogni anno, i criteri per la definizione dei suddetti clienti idonei;
· a partire dal 1º luglio 2004, al più tardi, tutti i clienti non civili;
· a partire dal 1º luglio 2007, tutti i clienti.
I contratti di fornitura di elettricità conclusi con un cliente idoneo del sistema di uno Stato membro non sono vietati se tale cliente è considerato idoneo in entrambi i sistemi.
Linee dirette (art.22)
Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché impianti, società controllate e clienti idonei possano essere riforniti tramite linee dirette e stabiliscono i criteri di rilascio delle autorizzazioni alla costruzione di dette linee.
Gli Stati membri possono negare l'autorizzazione ad una linea diretta qualora il rilascio di tale autorizzazione ostacoli l'osservanza delle disposizioni concernenti gli obblighi relativi al servizio pubblico e tutela dei consumatori.
Autorità di regolamentazione (art.23)
La direttiva prevede che gli Stati membri designino uno o più organismi con la funzione di Autorità di regolamentazione, preposte allo svolgimento delle seguenti funzioni:
a) assicurare l’efficace funzionamento del mercato, attraverso il controllo: delle regole di gestione e di assegnazione della capacità di interconnessione; dei dispositivi per risolvere la congestione; del tempo impiegato dalle imprese di trasmissione e distribuzione per effettuare le connessioni e le riparazioni; dell’effettiva separazione contabile tra attività di trasmissione e distribuzione da parte delle imprese elettriche; dell’obiettività e trasparenza delle condizioni e delle tariffe di connessione dei nuovi produttori di elettricità; dell’adempimento degli obblighi da parte dei gestori dei sistemi di trasmissione e di distribuzione; e, in generale, del livello di trasparenza e concorrenza;
b) fissare o approvare i metodi per calcolare e stabilire le condizioni di fornitura dei servizi di bilanciamento, nonché le condizioni di connessione ed accesso alle reti nazionali, comprese le tariffe di trasmissione e di distribuzione. In quest’ultimo caso, i metodi e le tariffe devono garantire che gli investimenti necessari a livello delle reti siano effettuati in modo tale da assicurare il funzionamento delle reti stesse. E’ fatta salva comunque la possibilità per gli Stati membri di chiedere alle Autorità di regolamentazione la presentazione di un progetto di decisione riguardante le tariffe o le metodologie all’organo competente dello stesso Stato membro che può adottarlo o respingerlo; la reiezione del progetto di decisione viene pubblicata unitamente alla sua motivazione.
L’Autorità può imporre ai gestori della rete di trasmissione e di distribuzione di modificare le condizioni, le tariffe, le regole, i meccanismi le metodologie per garantire che siano ragionevoli e non siano applicate in modo discriminatorio;
c) la risoluzione delle controversie riferite alle questioni di cui alle precedenti lettere a) e b). Le Autorità adottano una decisione entro due mesi dalla ricezione del reclamo. Tale termine può essere prorogato di ulteriori due mesi nel caso in cui l’Autorità di regolamentazione richieda ulteriori informazioni e può essere ulteriormente prorogato con il consenso del reclamante[211]. La decisione produce effetti vincolanti sino al suo annullamento a seguito di impugnazione.
Agli Stati membri spetta l’adozione di misure volte ad evitare abusi di posizione dominante e comportamenti predatori. Con cadenza annuale fino al 2010 e ogni due anni dopo questa data, le autorità competenti degli Stati membri trasmettono alla Commissione una relazione in cui si dà conto di eventuali posizioni dominanti sul mercato, di comportamenti predatori ed anticoncorrenziali, dell’evoluzione dei modelli di proprietà, delle misure adottate a livello nazionale per garantire la presenza sul mercato di un’adeguata varietà di operatori e di quelle volte a rafforzare l’interconnessione e la concorrenza.
La soluzione delle controversie transfrontaliere spetta all’autorità nazionale di regolamentazione competente per il gestore che nega l’uso o l’accesso alla rete.
Misure di salvaguardia (art.24)
La direttiva prevede la possibilità che uno Stato membro, nell'eventualità di una crisi improvvisa del mercato dell'energia e quando è minacciata la sicurezza fisica o l'integrità delle persone, delle apparecchiature o degli impianti o della rete, possa adottare le necessarie misure di salvaguardia le quali devono essere notificate alla Commissione, che può decidere per una loro abolizione o modifica, laddove le ritenga distorsive della concorrenza.
Deroghe (art.26)
Sono previste, altresì, deroghe a talune disposizioni della direttiva:
· in caso di gestione dei piccoli sistemi isolati;
· in caso di problemi all’apertura del mercato per gruppi limitati di clienti non civili.
Relazioni (artt.27 e 28)
Entro la fine del primo anno successivo all’entrata in vigore della direttiva, la Commissione trasmette al Parlamento europeo ed al Consiglio una relazione generale sullo stato di attuazione della direttiva stessa.
Al più tardi il 1º gennaio 2006, la Commissione trasmette al Parlamento europeo ed al Consiglio una relazione particolareggiata che illustra i progressi compiuti nella creazione del mercato interno dell’elettricità.
Qualora in quest’ultima relazione si giunga alla conclusione che, data la piena efficacia con cui l'accesso alla rete è stato realizzato in uno Stato membro, determinati obblighi imposti alle imprese dalla direttiva in esame, tra i quali la separazione giuridica dei gestori del sistema di distribuzione, non sono proporzionati all'obiettivo perseguito, lo Stato membro in cui l’accesso è pienamente realizzato può chiedere alla Commissione di essere esonerato dal requisito in questione.
Abrogazioni (art.29)
La direttiva in esame abroga la precedente direttiva di liberalizzazione del settore elettrico, 96/92/CE e la direttiva 90/547/CE, concernente il transito di energia elettrica sulle grandi reti.
Attuazione (art.30)
La direttiva prevede che gli Stati membri mettano in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie all’attuazione della stessa entro il 1 luglio 2004 e possano posporre l’attuazione dell’art.15, par.1, che prevede l’indipendenza del gestore del sistema di distribuzione quanto a forma giuridica, organizzazione e potere decisionale, dalle altre attività non connesse alla distribuzione, qualora faccia parte di un'impresa verticalmente integrata.
Direttiva 2003/55/CE
(Norme comuni per il mercato interno del gas naturale)
La direttiva 2003/55/CE in esame, che per logica e struttura dell’articolato ricalca la direttiva 2003/54/CE, relativa al mercato interno dell'energia elettrica, stabilisce le nuove norme comuni per il mercato interno del gas naturale, abrogando esplicitamente la direttiva 98/30/CE.
La direttiva si propone l'obiettivo di adottare misure concrete per garantire parità di condizioni e per ridurre il rischio di posizioni dominanti nel mercato, per assicurare tariffe di trasporto e di distribuzione non discriminatorie e per tutelare, infine, i diritti dei piccoli clienti.
Ambito di applicazione (art.1)
Le norme previste dalla direttiva per il trasporto, la distribuzione, la fornitura e lo stoccaggio di gas naturale, compreso il gas naturale liquefatto (GNL), si applicano anche al biogas e al gas derivante dalla biomassa o ad altri tipi di gas, nella misura in cui i suddetti gas possano essere iniettati nel sistema del gas naturale e trasportati attraverso tale sistema senza porre problemi di ordine tecnico o di sicurezza.
NORME GENERALI PER L’ORGANIZZAZIONE DEL SETTORE
Obblighi relativi al servizio pubblico e tutela dei consumatori (art.3)
La direttiva impone agli Stati membri taluni obblighi relativi al servizio pubblico e alla tutela dei consumatori, in primis quello far si che le imprese del settore siano gestite secondo i principi della direttiva in esame, al fine di realizzare un mercato concorrenziale, sostenibile sotto il profilo ambientale e senza discriminazioni tra imprese.
Gli Stati membri possono imporre alle imprese che operano nel comparto del gas naturale obblighi relativi al servizio pubblico concernenti, in particolare, la sicurezza, la regolarità, la qualità ed il prezzo delle forniture, nonché il rispetto dell'ambiente, compresa l’efficienza energetica e la protezione del clima.
Gli Stati provvedono altresì ad assicurare un elevato livello di tutela dei consumatori, scongiurando il rischio, soprattutto per i clienti più vulnerabili, di interruzioni delle forniture. Per ciò che concerne i clienti civili le misure a loro tutela comprendono quelle che figurano nell’allegato A alla direttiva in commento. Gli Stati membri possono inoltre adottare misure adeguate a tutela dei clienti nelle zone isolate che siano allacciati al sistema del gas, e designare un fornitore di ultima istanza per i clienti allacciati alla rete del gas.
Gli Stati membri possono inoltre adottare misure finalizzate a garantire la coesione economica e sociale, la tutela ambientale e la sicurezza dell’approvvigionamento. A quest’ultimo proposito, gli Stati membri possono, facendo ricorso a tutti gli strumenti nazionali e comunitari esistenti, adottare misure, compresa la concessione di incentivi economici, per la manutenzione e la costruzione di infrastrutture di rete e per la capacità di interconnessione.
Nell’attuare la direttiva in esame, gli Stati membri sono tenuti ad informare la Commissione delle misure adottate per adempiere agli obblighi relativi al servizio pubblico e alla tutela dei clienti finali.
Procedura di autorizzazione alla costruzione di impianti di gas naturale (art.4)
Gli Stati membri, nei casi in cui è richiesta una autorizzazione per la costruzione o la gestione di impianti di gas naturale, sono tenuti a rilasciarla o a rifiutarla nel rispetto di criteri obiettivi e non discriminatori per le imprese richiedenti. La motivazione del rifiuto deve essere comunicata al richiedente.
Un sistema autorizzatorio può essere previsto dagli Stati membri anche per la fornitura di gas naturale e per i clienti grossisti.
Inoltre, per la zone in cui la fornitura è iniziata di recente e ai fini di una efficiente gestione, facendo salvo quanto previsto per le linee dirette (di cui all’art.24, cfr. infra), gli Stati membri possono rifiutare di rilasciare un’ulteriore autorizzazione per la costruzione e la gestione di reti di gasdotti e distribuzione quando in quella zona la capacità esistente o già proposta non sia saturata.
Gli Stati membri possono comunque decidere di non applicare le disposizioni previste nell’articolo 4, sopra descritte, in materia di distribuzione, allorquando la loro applicazione osti all’adempimento, in diritto ed in fatto, degli obblighi che incombono alle imprese di gas naturale nell’interesse economico generale e nella misura in cui lo sviluppo degli scambi non venga talmente compromesso da nuocere agli interessi della comunità.
Controllo della sicurezza degli approvvigionamenti (art.5)
La direttiva impone agli Stati membri l’obbligo di garantire il controllo della sicurezza degli approvvigionamenti, anche delegando tale compito alle autorità nazionali di regolamentazione; e di informare annualmente la Commissione circa i risultati ottenuti.
Norme tecniche (art.6)
Gli Stati membri provvedono affinché siano definiti criteri tecnici di sicurezza ed elaborate e rese pubbliche norme tecniche che stabiliscano i requisiti minimi di progettazione e di funzionamento per la connessione al sistema degli impianti di gas naturale liquefatto (GNL), agli impianti di stoccaggio, ad altri sistemi di trasporto e distribuzione ed alle linee dirette, assicurando l'interoperabilità dei sistemi stessi e la non discriminazione delle imprese. Tali norme devono essere notificate alla Commissione.
trasporto e stoccaggio del GNL
Designazione e compiti dei gestori del sistema (artt.7, 8 e 10)
Gli Stati membri sono chiamati a designare - o a far designare alle imprese di gas naturale proprietarie di impianti di trasporto e stoccaggio del GNL- uno o più gestori del sistema (art.7), cui spetta il compito di gestire, mantenere e sviluppare, a condizioni economicamente accettabili, la sicurezza, l'affidabilità e l'efficienza del sistema stesso, con modalità non discriminatorie e fornendo al riguardo agli utenti ed agli operatori interessati le necessarie informazioni (art.8). Al contempo, essi devono mantenere la dovuta riservatezza in relazione alle informazioni commercialmente sensibili acquisite nel corso dell'attività (art.10).
Le regole di bilanciamento del sistema di gas naturale, adottate dai gestori del sistema di trasporto del gas, comprese le regole per addebitare agli utenti della loro rete lo sbilanciamento energetico, devono essere obiettive trasparenti e non discriminatorie.
Separazione dei gestori del sistema di trasporto (art.9)
Il gestore del sistema di trasporto deve agire in maniera indipendente, e ciò comporta la sua separazione giuridica, organizzativa e decisionale dalle attività non connesse al trasporto in una impresa verticalmente integrata, di cui possa eventualmente far parte. A garanzia dell’indipendenza del gestore del sistema di trasporto, la direttiva prevede che gli Stati membri applichino i seguenti criteri minimi:
· i soggetti responsabili dell’amministrazione del sistema di trasmissione non possono far parte di strutture societarie dell'impresa di gas integrata, le quali siano responsabili, direttamente o indirettamente, della gestione ordinaria delle attività di generazione, di distribuzione e di fornitura di gas naturale;
· l’adozione di misure idonee ad assicurare che gli interessi professionali delle persone responsabili della gestione del sistema di trasporto siano presi in considerazione;
· il gestore del sistema deve poter disporre di poteri decisionali indipendenti dall’impresa di gas integrata, in relazione alle installazioni necessarie alla gestione, manutenzione e sviluppo della rete;
· la predisposizione da parte del gestore di un programma di adempimenti contenente le misure adottate per escludere comportamenti discriminatori e garantire che ne sia adeguatamente controllata l'osservanza. L’organo responsabile del controllo del programma presenta, annualmente, all’autorità di regolamentazione una relazione sulle misure adottate.
fornitura e distribuzione
Designazione e compiti dei gestori del sistema di distribuzione (artt.11, 12 e 14)
Analogamente a quanto previsto per il trasporto di gas, gli Stati membri designano - o fanno designare alle imprese proprietarie o responsabili di impianti di distribuzione - uno o più gestori del sistema, chiamati a loro volta a gestire, mantenere e sviluppare un sicuro, affidabile ed efficiente sistema, a fornire informazioni agli altri gestori di sistema ed agli utenti in modo non discriminatorio, ma anche a mantenere la riservatezza sulle informazioni commercialmente sensibili di cui entrino in possesso.
Separazione dei gestori della rete di distribuzione (art.13)
Il gestore del sistema di distribuzione deve garantire la propria indipendenza; pertanto, come per il gestore del sistema di trasporto, la direttiva, impone la sua separazione giuridica, organizzativa e decisionale dalle attività non connesse alla distribuzione di una impresa verticalmente integrata, di cui possa eventualmente far parte.
A garanzia dell’indipendenza organizzativa e decisionale del gestore, nel caso di impresa verticalmente integrata, la direttiva prende in considerazione gli stessi criteri minimi previsti a garanzia dell’indipendenza del gestore della rete di trasporto (cfr. supra, art.9).
Gestore di un sistema combinato (art.15)
La direttiva ammette la gestione di un sistema combinato di trasporto, stoccaggio e distribuzione di GNL, da parte di un gestore che sia indipendente, sotto il profilo della forma giuridica, dell'organizzazione e del potere decisionale, dalle altre attività non connesse al trasporto, stoccaggio e distribuzione.
E’ prevista l’applicazione al gestore del sistema combinato, che sia parte di un’impresa verticalmente integrata, di criteri minimi di indipendenza che richiamano quelli già stabiliti dalla direttiva per i gestori dei sistemi di trasporto e distribuzione.
Separazione e trasparenza della contabilità (artt.16 e 17)
La direttiva statuisce la separazione e la trasparenza della contabilità delle imprese di gas naturale, garantendo la possibilità per gli Stati membri di accedere alla loro contabilità, nonché stabilendo l'obbligo per le stesse di assicurare la pubblicità e la separazione della contabilità interna per ciascuna attività di trasporto e distribuzione di GNL e di stoccaggio.
organizzazione dell'accesso al sistema
Accesso dei terzi (art.18 e 27)
La direttiva impone agli Stati membri di garantire l'attuazione di un sistema di accesso dei terzi ai sistemi di trasporto e distribuzione, nonché agli impianti di GNL basato su tariffe pubblicate e praticabili a tutti i clienti idonei, comprese le imprese di fornitura.
A questo proposito, la direttiva prevede che, qualora un’impresa di gas naturale incontri o ritenga di incontrare gravi difficoltà economiche e finanziarie in seguito agli impegni take or pay da queste assunti in uno o più contratti di acquisto di gas, l’impresa in questione può inviare allo Stato membro interessato una richiesta di deroga temporanea a quanto previsto dall’art.18 sull’accesso dei terzi. La richiesta deve peraltro essere presentata senza indugio qualora un’impresa di gas naturale rifiuti l’accesso.
Accesso allo stoccaggio (art.19)
Agli Stati membri è inoltre imposto l’obbligo di adottare procedure per l’accesso agli impianti di stoccaggio e ai servizi ausiliari secondo criteri obiettivi, trasparenti e non discriminatori.
In caso di accesso negoziato, gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le imprese di gas naturale ed i clienti idonei siano in grado di negoziare un accesso efficiente al sistema.
I contratti di accesso sono negoziati con il gestore del sistema di stoccaggio o le imprese di gas naturale interessate. Gli Stati membri impongono a questi di pubblicare le loro principali condizioni commerciali per l’utilizzo dello stoccaggio, entro il primo semestre dall’attuazione della direttiva in esame e successivamente, con cadenza annuale.
In caso di accesso regolato, gli Stati membri adottano tutte le misure necessarie per assicurare un diritto di accesso efficiente allo stoccaggio e agli servizi ausiliari, sulla base di tariffe pubblicate e/o altre condizioni e obblighi per l’utilizzo del suddetto stoccaggio. Il diritto di accesso può essere conferito autorizzando i clienti idonei a stipulare contratti di fornitura con imprese di gas naturale concorrenti, diverse dal proprietario e/o dal gestore del sistema o da un’impresa ad essi collegata.
Accesso alla rete di gasdotti upstream (art.20)
La direttiva impone agli Stati membri di garantire l'accesso delle imprese alle reti di gasdotti upstream, e agli impianti che forniscono servizi tecnici connessi, ad esclusione delle parti di reti utilizzare per le attività locali di coltivazione e situati nell’area di un giacimento di produzione di gas.
Si ricorda che ai sensi della definizione riportata nell’art.2 della direttiva, è “gasdotto upstream” ogni gasdotto o rete di gasdotti gestiti e/o costruiti quale parte di un impianto di produzione di petrolio o gas, oppure utilizzati per trasportare gas naturale da uno o più di tali impianti fino a un impianto o terminale di trattamento oppure a un terminale costiero di approdo.
Rifiuto dell’accesso (art.21)
La direttiva consente alle le imprese di gas naturale di rifiutare, in maniera motivata, l'accesso al sistema qualora non abbiano la capacità necessaria o per gravi difficoltà economiche e finanziarie in relazione ai contratti take or pay.
Gli Stati membri possono adottare misure per garantire che le imprese di gas naturale che rifiutino l’accesso al sistema provvedano agli opportuni miglioramenti.
Nuove infrastrutture (art.22)
Deroghe alle disposizioni sull'organizzazione dell'accesso al sistema possono essere contemplate, su richiesta, per nuovi importanti infrastrutture del sistema gas, interconnettor tra Stati membri, impianti di GNL e impianti di stoccaggio, nonché per infrastrutture che aumentino significativamente la capacità delle infrastrutture già esistenti.
Tali deroghe trovano giustificazione in presenza di una serie di condizioni, indicate nella direttiva, e in particolare:
a) l'investimento deve rafforzare la concorrenza e la sicurezza degli approvvigionamenti;
b) il livello del rischio connesso all'investimento è tale che l'investimento non verrebbe effettuato senza la concessione di una deroga;
c) l'infrastruttura deve essere di proprietà di una persona fisica o giuridica, separata quanto meno sotto il profilo della forma giuridica dai gestori dei sistemi nei cui sistemi tale infrastruttura sarà creata;
d) gli oneri sono riscossi presso gli utenti di tale infrastruttura;
e) la deroga non deve pregiudicare la concorrenza o l'efficace funzionamento del mercato interno del gas o l'efficiente funzionamento del sistema regolato a cui l'infrastruttura è collegata.
La direttiva attribuisce la competenza a decidere circa la concessione della deroga all’autorità di regolazione di ciascuno Stato membro, ovvero all’autorità competente presso ciascuno Stato membro, che decide acquisendo il parere dell’autorità di regolamentazione. Il parere è pubblicato assieme alla decisione.
La decisione è notificata alla Commissione, la quale entro due mesi può chiedere la modifica o il ritiro della decisione.
Apertura del mercato e reciprocità (art.23)
A completamento dell’apertura del mercato del gas, avviata con la precedente direttiva, si ricorda che il provvedimento in esame prevede, in particolare, che a partire dal 1 luglio 2004 siano idonei tutti i clienti non civili e che a partire dal 1 luglio 2007 siano idonei tutti i clienti.
Linee dirette (art.24)
Ai sensi della direttiva, gli Stati membri devono adottare le misure necessarie perché le imprese del gas riforniscano attraverso linee dirette i clienti idonei (cioè i clienti liberi di acquistare il gas dal fornitore di propria scelta).
Autorità di regolamentazione (art.25)
Anche nella direttiva 2003/55/CE, come nella direttiva 2003/54/CE per l’energia elettrica, è previsto che gli Stati membri designino organismi con funzioni di autorità di regolamentazione chiamati ad assicurare la non discriminazione, l'effettiva concorrenza e l'efficace funzionamento del mercato attraverso un'opera di attento monitoraggio. Il provvedimento specifica peraltro l’ambito entro il quale le autorità di regolazione operano tale monitoraggio (regole di gestione e assegnazione della capacità di interconnessione, metodi per la soluzione di problemi di congestione, tempo impiegato dai gestori dei sistemi di distribuzione e trasporto per effettuare le connessioni e le riparazioni, pubblicazione di adeguate informazioni sugli interconnector, separazione contabile di cui all’art.17, condizioni di accesso allo stoccaggio, adempimento dei loro compiti da parte dei gestori dei sistemi di trasporto e distribuzione, livello trasparenza e concorrenza nel mercato).
DISPOSIZIONI FINALI
Misure di salvaguardia (art.26)
La direttivastabilisce che in caso di crisi improvvisa sul mercato o di minaccia alla sicurezza di persone, apparecchiature o all'integrità del sistema, uno Stato membro possa adottare temporaneamente - dandone comunicazione agli altri Stati membri ed alla Commissione - necessarie misure di salvaguardia, causando con ciò il minor turbamento possibile al funzionamento del mercato interno.
Mercati emergenti ed isolati (art.28)
La direttiva prevede talune deroghe alla sua attuazione per Stati membri non collegati direttamente al sistema interconnesso di un altro Stato e che hanno un solo fornitore esterno principale, e per quelli aventi le caratteristiche di mercati emergenti.
Procedura di revisione (art.29)
E’ ammessa una procedura di revisione degli obblighi imposti dalla presente direttiva alle imprese (compreso quello della separazione giuridica dei gestori dei sistemi di distribuzione), su richiesta di e per quello Stato membro in cui risulti essere realizzato un accesso pienamente effettivo e non discriminatorio alla rete, a seguito della presentazione da parte della Commissione della relazione illustrativa dei progressi compiuti nel mercato del gas.
Relazioni (art.30 e 31)
Assistita da un apposito Comitato (art.30), la Commissione è chiamata a controllare l'applicazione della direttiva, presentando con cadenza annuale una relazione generale sullo stato di attuazione della stessa al Parlamento europeo e al Consiglio e, entro il 1 gennaio 2006, una relazione illustrativa dei progressi compiuti nella creazione del mercato interno del gas (art.31).
Abrogazioni (art.32)
La direttiva in esame abroga la precedente direttiva di liberalizzazione, n. 98/30/CE e la direttiva n. 91/296/CE, concernente il transito di gas naturale sulle grandi reti, facendo salvi i contratti stipulati ai sensi dell’art.3 par.1 della direttiva in esame, riguardanti le condizioni del transito del gas naturale tra grandi reti.
Attuazione (art.33)
La direttiva dispone infine che gli Stati membri si conformino ai dettami della direttiva entro il 1 luglio 2004, fatta salva la possibilità di posporre l'attuazione delle norme sulla separazione dei gestori della rete di distribuzione al 1 luglio 2007.
Sono, infine, acclusi alla direttiva due allegati, l’allegato A, già citato all’art.3, indicante le misure a tutela dei clienti finali di gas, e l’allegato B, contenente la tavola di concordanza degli articoli della direttiva 98/30/CE (abrogata) con quelli della direttiva in esame.
Direttiva 2003/58/CE
(Modifica della direttiva 68/151/CEE del Consiglio per quanto riguarda i requisiti di pubblicità di taluni tipi di società)
La direttiva 2003/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 luglio 2003 modifica la direttiva 68/151/CEE del Consiglio per quanto riguarda i requisiti di pubblicità di taluni tipi di società, al fine di accelerare l'accesso del pubblico alle informazioni sulle società e semplificare nel contempo le formalità imposte a queste ultime. Le modifiche così apportate riguardano la facoltà di ricorrere a supporti elettronici e alla diversificazione linguistica su base volontaria.
La direttiva 68/151/CEE è stata la prima direttiva comunitaria in materia di società commerciali. Il suo obiettivo principale era quello di creare un contesto favorevole alla protezione degli interessi dei soci e dei terzi attraverso la cosiddetta pubblicità legale nel caso delle società la cui caratteristica fondamentale è la responsabilità limitata dei soci, vale a dire le società di capitali.
La pubblicità legale deriva dall'obbligo d'iscrizione delle società commerciali presso registri pubblici appositi che esistono a tal fine in ciascun paese. Questi non hanno altro obiettivo che la protezione degli interessi dei soci fondatori di tali società e degli interessi dei terzi che hanno rapporti contrattuali con le stesse. Tale pubblicità riguarda tre aspetti: le informazioni sull'atto costitutivo, la validità degli obblighi assunti nel periodo della costituzione della società e gli effetti che comporta la dichiarazione di nullità dell'atto costitutivo.
Questo genere d'informazione legale corrispondeva nei suoi effetti in passato alla registrazione dei commercianti nelle rispettive associazioni professionali. Il contenuto dell'obbligo d'iscrizione concerne due ambiti, quello interno, in riferimento all'esigenza di un contenuto minimo della costituzione delle società commerciali, e quello esterno che comporta la designazione di persone o organi che con i propri atti vincoleranno tali società giuridicamente e patrimonialmente.
Nel lungo arco di tempo trascorso dall'entrata in vigore della direttiva vi sono stati cambiamenti giuridici ed economici che ne hanno reso necessaria la modifica.
La direttiva 68/151/CEE è stata recepita nell’ordinamento nazionale con il D.P.R. 29 dicembre 1969, n. 1127, recante “Modificazioni alle norme del codice civile sulle società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata”.
La direttiva 2003/58/CE facilita e accelera l'accesso del pubblico alle informazioni sulle società, semplificando le formalità relative alla pubblicità cui le stesse sono tenute. Permette inoltre di fruire pienamente dei vantaggi offerti dalle tecnologie moderne, in quanto le società possono ormai scegliere di registrare gli atti e le indicazioni richieste su supporto cartaceo o per via elettronica. Le parti interessate possono quindi ottenerne una copia sia su supporto cartaceo sia per via elettronica. Le società continuano inoltre a pubblicare gli atti e le indicazioni nella lingua o in una delle lingue dello Stato membro in cui sono registrate e possono, altresì, pubblicarli in altre lingue dell'Unione europea, al fine di migliorare l'accesso transfrontaliero alle informazioni che le riguardano.
In particolare, l’articolo 1, al paragrafo 3), sostituisce l’articolo 3 della direttiva 68/151/CEE, disponendo che in ciascuno Stato membro venga costituito un fascicolo, o presso un registro centrale ovvero presso il registro di commercio o registro delle imprese, per ogni società iscritta.
Gli Stati membri provvedono entro il 1° gennaio 2007 affinché le società e le altre persone e uffici tenuti alla notifica o a intervenire nella procedura relativa alla stessa possano registrare per via elettronica tutti gli atti e le indicazioni soggetti a pubblicità. Inoltre, gli Stati membri possono obbligare tutte le società, ovvero talune categorie di società, a registrare per via elettronica in tutto o in parte gli atti e le indicazioni in questione.
Gli atti che sono stati registrati su supporto cartaceo fino al 31 dicembre 2006 non devono essere convertiti d'ufficio in formato elettronico dal registro. Tuttavia gli Stati membri assicurano che essi siano convertiti in formato elettronico alla ricezione di una richiesta di pubblicità per via elettronica.
Viene inoltre introdotto l’articolo 3-bis, che prevede che gli atti e le indicazioni soggetti a pubblicità siano redatti e registrati in una delle lingue autorizzate dalle norme applicabili in materia nello Stato membro nel quale è stato costituito il fascicolo. Oltre alla pubblicità obbligatoria, gli Stati membri consentono che la pubblicità volontaria degli atti e delle indicazioni sia effettuata in qualsiasi lingua ufficiale della Comunità. Gli Stati membri possono prescrivere che la traduzione di detti atti ed indicazioni sia autenticata.
Ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 2003/58/CE gli Stati membri devono far entrare in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva anteriormente al 31 dicembre 2006.
Alla luce dell'esperienza acquisita, la Commissione europea presenterà al Parlamento europeo e al Consiglio entro il 1° gennaio 2012 una relazione, eventualmente corredata di una proposta di modifica della normativa stessa.
Il recepimento della direttiva 2003/58/CE nell’ordinamento nazionale dovrebbe comportare modifiche al libro V del codice civile.
Direttiva 2003/59/CE
(Qualificazione iniziale e formazione periodica dei conducenti di taluni veicoli stradali adibiti al trasporto di merci o passeggeri)
La direttiva in titolo è diretta a fissare norme comunitarie uniformi sulla formazione dei conducenti di veicoli stradali adibiti al trasporto merci o passeggeri e ad applicare tali norme a tutte le categorie di conducenti.
Scopo principale è migliorare la sicurezza stradale e la sicurezza del conducente, garantendo che quest’ultimo possieda il livello necessario di qualificazione sia per l’accesso che per l’esercizio dell’attività di guida.
Già il regolamento (CEE) 3820/85 ha stabilito che i conducenti di veicoli per trasporto merci debbano essere, in funzione della loro età, della categoria di veicoli utilizzata e della lunghezza del percorso, titolari di un certificato di idoneità professionale. I livelli minimi per il conseguimento dell'idoneità sono fissati dalla direttiva 76/914/CEE, che viene abrogata dalla presente direttiva.
Soggetti destinatari della presente direttiva sono i conducenti cittadini di Stati membri o cittadini di un paese terzo dipendenti di un'impresa stabilita in uno Stato membro o impiegati presso la stessa che effettuano trasporti su strada all'interno della Comunità, su strade aperte all'uso pubblico per mezzo di:
- veicoli per i quali è necessaria una patente di guida di categoria C1, C1+E, C, C+E, quali definite dalla direttiva 91/439/CEE o una patente di guida riconosciuta come equivalente;
- veicoli per i quali è necessaria una patente di categoria D1, D1+E, D, D+E, quali definite dalla direttiva 91/439/CEE o una patente di guida riconosciuta come equivalente.
L'attività di guida sopra definita è subordinata al conseguimento di titoli relativi alla qualificazione iniziale ed alla formazione periodica. Gli Stati membri possono prevedere diverse modalità (frequenza di corsi ed esami) per il conseguimento dei titoli necessari per la guida.
Il raggiungimento della qualificazione iniziale e la frequenza dei corsi di formazione periodica sono comprovate dal conseguimenti dei corrispondenti CAP (certificato di abilitazione professionale alla guida).
Il CAP per la qualificazione iniziale può essere rilasciato, a scelta degli Stati membri, in seguito alla frequenza obbligatoria di un corso ed al superamento di un esame oppure in seguito al solo superamento di un esame.
Sono esentati dal conseguimento del CAP iniziale:
a) titolari di una patente di guida di categoria D1, D1+E, D o D+E o di una patente di guida riconosciuta equivalente, rilasciata al più tardi due anni dopo la data limite di recepimento della presente direttiva; per tali soggetti, le disposizioni della direttiva entrano in vigore a partire dal 10 settembre 2008
b) titolari di una patente di guida di categoria C1, C1+E, C o C+E o di una patente di guida riconosciuta equivalente, rilasciata al più tardi tre anni dopo la data limite di recepimento della presente direttiva (art. 4); per tali soggetti, le disposizioni entrano in vigore a partire dal 10 settembre 2009.
Il CAP per la formazione periodica viene rilasciato al termine di corsi che devono essere frequentati entro cinque anni dal conseguimento del CAP per la qualifica iniziale. Coloro che sono esentati dall'obbligo di conseguimento del CAP iniziale dovranno conseguire il CAP per la formazione periodica entro cinque anni dalle date stabilite dall'articolo 4 sopra ricordate.
Corsi di formazione periodica dovranno poi essere frequentati ogni cinque anni.
La direttiva prevede infine che gli Stati membri appongano un codice comunitario armonizzato da apporre sulla patente di guida o sulla carta di qualificazione del conducente, di cui all'allegato II della direttiva stessa. Tale codice attesta l'effettivo conseguimento dei CAP.
Il termine di recepimento della direttiva è fissato al 10 settembre 2006. Delle misure adottate dagli Stati membri deve esserne data contestuale informazione alla Commissione.
La direttiva reca, infine, due allegati:
- l'allegato I enuncia i requisiti minimi della qualificazione e della formazione, specificando le materie sulle quali devono vertere l’accertamento della qualificazione iniziale e della formazione periodica.
- l'allegato II elenca i requisiti tecnici relativi al modello di carta di qualificazione del conducente.
Gli allegati possono essere modificati ed aggiornati in considerazione dei progressi tecnologici e scientifici.
Entro il 10 settembre 2011 la Commissione presenta al Parlamento europeo al Consiglio, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni una relazione recante una prima valutazione concernente l'attuazione della direttiva in esame, in particolare per quanto riguarda l'equivalenza dei vari sistemi di qualificazione iniziale e la loro efficienza nel conseguire il livello di qualificazione perseguito.
Si segnala, infine, che la direttiva in esame, sulla base di un emendamento approvato dal Senato, figura ora nell’allegato B del disegno di legge comunitaria per il 2004, e pertanto il relativo schema di decreto legislativo di attuazione verrà sottoposto al parere delle competenti commissioni parlamentari.
In base al parere espresso dalla commissione Bilancio del Senato, si prevede che lo schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva in esame venga altresì sottoposto al parere delle commissioni parlamentari competenti per i profili di carattere finanziario, e sia corredato della relazione tecnica di cui all’articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, sulla quantificazione degli oneri recati da ciascuna disposizione.
Direttiva 2003/71/CE
(Prospetto da pubblicare per l’offerta pubblica o l’ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari)
La direttiva 2003/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, riguarda il prospetto da pubblicare per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari e modifica la direttiva 2001/34/CE.
La direttiva 2001/34/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 28 maggio 2001, riguardante l'ammissione di valori mobiliari alla quotazione ufficiale e l'informazione da pubblicare su detti valori, ha provveduto alla codificazione[212] della regolamentazione comunitaria relativa all'ammissione di valori mobiliari alla quotazione ufficiale ed all'informazione da pubblicare su detti valori.
La materia era infatti disciplinata da numerose direttive:
- 79/279/CEE del Consiglio, del 5 marzo 1979, concernente il coordinamento delle condizioni per l'ammissione di valori mobiliari alla quotazione ufficiale di una borsa valori[213];
- 80/390/CEE del Consiglio, del 17 marzo 1980, per il coordinamento delle condizioni di redazione, controllo e diffusione del prospetto da pubblicare per l'ammissione di valori mobiliari alla quotazione ufficiale di una borsa valori[214];
- 82/121/CEE del Consiglio, del 15 febbraio 1982, relativa alle informazioni periodiche che devono essere pubblicate dalle società le cui azioni sono ammesse alla quotazione ufficiale di una borsa valori[215];
- 88/627/CEE del Consiglio, del 12 dicembre 1988, relativa alle informazioni da pubblicare al momento dell'acquisto e della cessione di una partecipazione importante in una società quotata in borsa[216].
La direttiva 2001/34/CE rispetta totalmente la sostanza dei testi codificati, limitandosi a raggrupparli apportandovi solo quei ritocchi formali che sono necessari alla stessa operazione di codificazione, e, contestualmente, all’articolo 111, ne dispone l’abrogazione.
Trattandosi di una codificazione, la direttiva 2001/34/CE non è stata recepita formalmente nell’ordinamento nazionale, in quanto le disposizioni in essa raccolte erano già state recepite.
In materia è intervenuta anche la direttiva 89/298/CEE del Consiglio, del 17 aprile 1989[217], per il coordinamento delle condizioni di redazione, controllo e diffusione del prospetto da pubblicare per l'offerta pubblica di valori mobiliari, che congiuntamente alla direttiva 80/390/CEE ha introdotto un meccanismo parziale e complesso di riconoscimento reciproco.
La nuova direttiva 2003/71/CE sul prospetto mira a completare la codificazione intrapresa dalla direttiva 2001/34/CE. Essa è altresì volta a migliorare la direttiva 89/289/CEE, la quale prevede un sistema parziale e complesso di mutuo riconoscimento del prospetto che non consente di raggiungere l'obiettivo del passaporto unico. A tal fine la nuova direttiva sul prospetto abrogherà la direttiva 89/298/CEE a decorrere dal 30 giugno 2004.
Tale direttiva è altresì uno degli elementi chiave del Piano d'azione per i servizi finanziari, che dovrebbe incoraggiare la creazione di un mercato integrato di tali servizi entro il 2003. Si tratta di una delle prime due proposte elaborate secondo il “metodo Lamfalussy", che consiste nel distinguere i principi quadro dai dettagli tecnici di esecuzione. Il Comitato europeo delle autorità di regolamentazione dei valori mobiliari (CESR) ha pertanto adottato l'11 settembre 2001 un programma di lavoro che comprende in particolare la preparazione di misure tecniche di esecuzione di tale progetto.
La direttiva 2003/71/CE, composta di 33 articoli, prevede nuove regole che consentono alle società di raccogliere capitali più facilmente e a minor costo in tutta l'Unione europea sulla base dell'avallo dato dall'autorità regolamentare di un unico Stato membro ("autorità competente dello Stato membro di origine"). Essa rafforza la protezione offerta agli investitori garantendo che tutti i prospetti, ovunque siano emessi nell'Unione europea, forniscano loro l'informazione chiara e completa di cui necessitano per prendere le loro decisioni. In questo caso, il prospetto è un documento di pubblicità contenente importanti dati finanziari e non finanziari, che una società mette a disposizione dei potenziali investitori quando emette valori mobiliari (azioni, obbligazioni, strumenti derivati, ecc.) per raccogliere capitali o quando vuole far ammettere i suoi valori mobiliari alla negoziazione in un mercato borsistico. Esso costituisce un "passaporto unico" per l’emissione di valori mobiliari nell'insieme degli Stati membri.
In dettaglio, la direttiva, stabiliti ambito d'applicazione e definizioni delle nozioni ad essa relative, disciplina all’articolo 3 l’obbligo di pubblicare un prospetto e, all’articolo 4, i casi di esenzione.
L’articolo 5 definisce il contenuto del prospetto, ulteriormente precisato dall’articolo 7 che ìndica le informazioni minime in esso contenute. All’articolo 6 è definita la responsabilità per la sua predisposizione.
L’articolo 8 precisa le informazioni che non debbono essere comprese nel prospetto o la cui omissione può essere consentita dalla competente autorità.
L’articolo 9 specifica la durata della validità del prospetto e degli altri documenti previsti (prospetto di base e documento di registrazione).
L’articolo 10 prevede che gli emittenti i cui strumenti finanziari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato presentino almeno annualmente un documento che contiene o fa riferimento a tutte le informazioni che essi hanno pubblicato o reso disponibili al pubblico nei dodici mesi precedenti.
Gli articoli 11 e 12 disciplinano rispettivamente i casi in cui le informazioni siano fornite nel prospetto mediante riferimento e la predisposizione di prospetti costituiti da documenti separati.
Gli articoli 13 e 14 regolano l’approvazione e la pubblicazione del prospetto. L’articolo 16 prescrive i casi in cui fatti nuovi sopravvenuti, errori o imprecisioni debbono essere comunicati mediante supplemento al prospetto.
L’articolo 15 disciplina i princìpi cui deve attenersi la pubblicità relativa ad un'offerta al pubblico di strumenti finanziari o all'ammissione di strumenti finanziari alla negoziazione in un mercato regolamentato.
A norma dell’articolo 17, qualora l'offerta al pubblico o l'ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato siano previsti in uno o più Stati membri, o in uno Stato membro diverso dallo Stato membro d'origine, il prospetto approvato nello Stato membro d'origine e i supplementi sono validi per l'offerta al pubblico o per l'ammissione alla negoziazione in qualsiasi Stato membro ospitante, previa la sola comunicazione all'autorità competente di ciascuno Stato membro ospitante. L’articolo 18 disciplina le forme della comunicazione.
L’articolo 19 contiene prescrizioni circa l’uso delle lingue ammesse per la redazione dei prospetti.
L’articolo 20 ìndica le condizioni alle quali l’autorità competente dello Stato membro d'origine di emittenti, aventi la loro sede legale in un paese terzo, può approvare un prospetto per l'offerta al pubblico o per l'ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato redatto secondo la legislazione del paese terzo.
L’articolo 21 definisce i poteri attribuiti alle autorità competenti designate da ciascuno Stato membro per l’applicazione della direttiva. Sono indicate le regole concernenti il segreto d'ufficio e cooperazione tra autorità (articolo 22) e i provvedimenti cautelari ammessi (articolo 23).
Gli articoli successivi contengono misure di esecuzione. L’articolo 24 disciplina la procedura per l’adozione delle norme d’attuazione da parte della Commissione, assistita dal Comitato europeo dei valori mobiliari. Gli articoli 25 e 26 prescrivono rispettivamente i requisiti delle sanzioni che debbono essere previste dagli ordinamenti degli Stati membri e l’obbligo di prevedere forme d’impugnazione giurisdizionale.
Gli articoli 27 e 28 provvedono alla modificazione e all’abrogazione di norme delle direttive preesistenti.
L’articolo 29 prescrive agli Stati membri il recepimento entro il 1° luglio 2005.
L’articolo 30 enunzia disposizioni transitorie, l’articolo 31 prevede il riesame da parte della Commissione dopo un quinquennio d’applicazione.
Alla direttiva si accompagnano quattro allegati, che recano rispettivamente il contenuto del prospetto (allegato I), del documento di registrazione (allegato II), della nota informativa sui valori mobiliari (allegato III) e della nota di sintesi (allegato IV).
Ai sensi dell’articolo 29 della direttiva 2003/71/CE, gli Stati membri dovranno far entrare in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 1° luglio 2005.
Documenti all’esame delle Istituzioni europee
Il 25 giugno 2004 la Commissione europea, sulla base del c.d. metodo Lamfalussy[218], ha dato mandato al Comitato delleautorità europee di regolamentazione e vigilanza sui valori mobiliari[219] di elaborare un parere tecnico sulle misure che dovranno essere adottate per dare attuazione ad alcune disposizioni della direttiva 2003/71/CE, relativa al prospetto da pubblicare per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari. Il Comitato ha avviato una consultazione delle parti interessate (che si concluderà il 18 ottobre 2004), in vista dell’adozione del parere prevista entro giugno 2005.
Il 26 marzo 2003 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva sull'armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato e che modifica la direttiva 2001/34/CE (COM(2003)138).
La proposta rientra nel pacchetto “comunicazione e trasparenza” (che comprende anche la direttiva sul prospetto unico[220], il regolamento sui princìpi contabili internazionali[221] e la direttiva sugli abusi di mercato[222]) e mira ad imporre un livello di trasparenza e di informazione commisurato agli obiettivi di una solida tutela degli investitori e dell’efficienza del mercato.
L’11 maggio 2004 il Consiglio ECOFIN ha raggiunto l’accordo politico sulla proposta che, essendo già stata approvata dal PE nell’ambito della procedura di codecisione, sarà adottata in via definitiva, senza dibattito, in una delle prossime sessioni del Consiglio.
Direttiva 2003/72/CE
(Completamento dello statuto della società cooperativa europea per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori)
La direttiva 2003/72/CE del Consiglio, del 22 luglio 2003, completa il quadro normativo posto dal regolamento (CE) n. 1435/2003 del Consiglio, del 22 luglio 2003[223], concernente la disciplina della società cooperativa europea (di seguito SCE), dettando disposizioni specifiche intese ad assicurare il pieno "coinvolgimento" dei lavoratori.
Ai sensi dell’articolo16, paragrafo 1, la direttiva deve essere recepita entro il 18 agosto 2006.
Il completamento del mercato interno dell’Unione europea ha comportato l'eliminazione degli ostacoli agli scambi commerciali nonché l'adeguamento delle strutture produttive alla dimensione comunitaria del mercato stesso. In particolare, ciò ha significato, per le imprese operanti in ambito comunitario impegnate in attività non rivolte unicamente al soddisfacimento di esigenze locali, la necessità di una programmazione e riorganizzazione delle loro attività su scala comunitaria. Atteso che il quadro giuridico nel quale le imprese esercitano le loro attività nella UE resta in gran parte basato sulle legislazioni nazionali e che tale situazione di fatto ha ostacolato in modo considerevole il raggruppamento di società di diversi Stati membri, il Consiglio ha adottato il regolamento (CEE) n. 2137/85, relativo all'istituzione di un gruppo europeo di interesse economico (GEIE) e il regolamento (CE) n. 2157/2001, relativo allo statuto della Società europea.
Tuttavia questi due interventi non sono stati considerati adeguati in relazione alle specificità delle imprese cooperative. Nell'intento di assicurare la parità delle condizioni di concorrenza e di contribuire al proprio sviluppo economico, la Comunità ha dunque deciso di dotare le società cooperative, entità giuridiche normalmente riconosciute in tutti gli Stati membri, di strumenti giuridici adeguati e in grado di facilitare lo sviluppo di attività transnazionali, mediante la collaborazione, la cooperazione o la fusione tra cooperative esistenti appartenenti a diversi Stati membri, o mediante la creazione di nuove imprese cooperative su scala europea.
In altri termini, i due provvedimenti hanno lo scopo di facilitare, tenendo conto delle loro specificità, lo sviluppo delle attività transnazionali delle cooperative dotandole di strumenti giuridici adeguati, permettendo altresì la creazione di nuove cooperative di persone fisiche o giuridiche su scala europea.
Tale intento si è tradotto nel Regolamento (CE) n. 1435/2003 del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativo allo Statuto della Società cooperativa europea.
Con l'adozione del richiamato regolamento è stato costituito un vero e proprio statuto giuridico unico della SCE.
Il Regolamento in oggetto definisce la SCE una società avente personalità giuridica e il cui capitale sottoscritto è diviso in quote. La sede della SCE, fissata dallo statuto, deve essere situata all'interno della UE e coincidere con il luogo in cui è stabilita l'amministrazione centrale. La SCE dispone della personalità giuridica a partire dalla sua iscrizione nello stato in cui ha la sede.
In particolare, oggetto principale della SCE è il soddisfacimento dei bisogni e/o la promozione delle attività economiche e sociali dei propri soci, in particolare mediante la conclusione di accordi con questi ultimi per la fornitura di beni o servizi o l'esecuzione di lavori nel quadro dell'attività che la SCE esercita o fa esercitare.
La costituzione di una SCE è disciplinata dalla legislazione applicabile alle cooperative dello Stato in cui la SCE stabilisce la propria sede sociale, fatte ovviamente salve le disposizioni del presente regolamento.
In particolare, la SCE può essere costituita nei modi seguenti:
· da almeno cinque persone fisiche residenti in almeno due stati membri;
· da almeno cinque persone fisiche e società ai sensi dell'articolo 48, secondo comma, del Trattato, nonché da altre entità giuridiche di diritto pubblico o privato, costituite conformemente alla legge di uno Stato membro e che abbiano la sede sociale in almeno due Stati membri diversi o siano soggette alla legge di almeno due Stati membri diversi;
· da società ai sensi dell'articolo 48, secondo comma, del Trattato e altre entità giuridiche di diritto pubblico o privato costituite conformemente alla legge di uno Stato membro che siano soggette alla giurisdizione di almeno due Stati membri diversi;
· mediante fusione di cooperative costituite secondo la legge di uno Stato membro e aventi la sede sociale e l'amministrazione centrale nella Comunità, se almeno due di esse sono soggette alla legge di Stati membri diversi;
· mediante trasformazione di una cooperativa, costituita secondo la legge di uno Stato membro ed avente la sede sociale e l'amministrazione centrale nella Comunità, se ha da almeno due anni una filiazione o una succursale soggetti alla legge di un altro Stato membro.
Il capitale è rappresentato dalle quote dei soci espresse nella valuta nazionale[224]. Esso deve essere di almeno 30.000 euro o del suo equivalente in valuta nazionale (articolo 3). E’ inoltre prevista la sottoscrizione di un importo più elevato nel caso in cui la legge di uno Stato membro lo prescriva. Un aumento o una diminuzione del capitale non richiede né modifiche statutarie, né pubblicità, purché sia rispettato l'ammontare minimo e la pubblicità annuale dell'ammontare del capitale.
Relativamente allo statuto, esso deve almeno indicare (articolo 5, paragrafo 4):
· la denominazione sociale preceduta o seguita dalla sigla “SCE” e, ove occorra, dall'indicazione “a responsabilità limitata”;
· l'indicazione esatta dell'oggetto sociale;
· il nome delle persone fisiche e la denominazione sociale delle entità che sono soci fondatori della SCE, con l'indicazione, in quest'ultimo caso, dell'oggetto e della sede sociale;
· l'indirizzo della sede sociale della SCE;
· le condizioni e le modalità per l'ammissione, l'esclusione e il recesso dei soci;
· i diritti e gli obblighi dei soci e, se del caso, le loro differenti categorie, nonché i diritti e gli obblighi di ciascuna categoria;
· il valore nominale delle quote sottoscritte, nonché l'ammontare del capitale sottoscritto e l'indicazione della variabilità del capitale;
· le norme specifiche relative all'importo degli utili da destinare, ove occorra, alla riserva legale;
· i poteri e le attribuzioni dei membri dei singoli organi sociali;
· le condizioni di nomina e di revoca dei membri degli organi sociali;
· le regole che disciplinano le maggioranze e i quorum;
· la durata della vita della società, quando questa ha durata limitata.
Per ogni SCE sussiste l'obbligo di iscrizione, nello Stato membro della sede sociale, in un registro designato dalla legge di tale Stato, conformemente alla legge applicabile alle società per azioni. L'iscrizione e la cancellazione dell'iscrizione di una SCE formano oggetto di una comunicazione pubblicata a titolo informativo nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.
Il regolamento in oggetto, inoltre, prevede che la struttura della SCE comprenda un'assemblea generale e un organo di direzione affiancato da un organo di vigilanza (sistema dualistico) o da un organo di amministrazione (sistema monistico) a seconda della scelta adottata dallo statuto. L'assemblea generale deve essere convocata almeno una volta l'anno, entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio.
Si ricorda, in proposito, che nel sistema dualistico l'organo di direzione assicura la gestione della società cooperativa europea. Il membro o i membri dell'organo di direzione hanno il potere di obbligare la società cooperativa nei confronti dei terzi e di rappresentarla in giudizio. Essi sono nominati e revocati dall'organo di vigilanza. Nessuno può esercitare simultaneamente la funzione di membro dell'organo di direzione e quella di membro dell'organo di vigilanza della SCE. L'organo di vigilanza può tuttavia, in caso di una vacanza, designare uno dei suoi membri per esercitare le funzioni di membro dell'organo di direzione. Nel corso di tale periodo, le funzioni dell'interessato in qualità di membro dell'organo di vigilanza sono sospese.
Nel sistema monistico, invece, l'organo di amministrazione garantisce la gestione della SCE. Il membro o i membri dell'organo di amministrazione hanno il potere di obbligare la SCE nei confronti dei terzi e di rappresentarla in giudizio. Solo la gestione della SCE può essere delegata dall'organo di amministrazione ad uno o più soci.
Lo scioglimento della SCE, infine, è pronunciato mediante decisione dell'assemblea generale in relazione a determinate cause, quali, tra le altre, la decorrenza del termine fissato dallo statuto o la riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo stabilito, oppure per decisione giudiziaria, ad esempio quando la sede della SCE è stata trasferita al di fuori della Comunità. La SCE oggetto di una procedura di liquidazione, d'insolvenza o di cessazione dei pagamenti è sottoposta alle disposizioni del diritto nazionale dello Stato in cui ha la sede.
La direttiva disciplina il coinvolgimento dei lavoratori nelle attività delle SCE. Essa coordina le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri relative al ruolo dei lavoratori della SCE. Le modalità relative al coinvolgimento dei lavoratori sono stabilite in ciascuna SCE secondo la procedura di negoziazione (articoli da 3 a 6) o le disposizioni di riferimento sul coinvolgimento dei lavoratori fissate dalla direttiva (articoli 7 ed 8).
Lo scopo della direttiva, infatti (“considerando” n. 3), nel promuovere gli obiettivi sociali della Comunità, è di stabilire disposizioni specifiche, in particolare nel settore del coinvolgimento dei lavoratori, “per garantire che la costituzione di una SCE non comporti la scomparsa o la riduzione delle prassi del coinvolgimento dei lavoratori esistenti nelle entità partecipanti alla costituzione di una SCE”.
La grande varietà delle normative e delle prassi esistenti negli Stati membri circa le modalità di coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori nell'iter decisionale delle società cooperative, infatti (“considerando” n. 5), rende inopportuno stabilire un unico modello europeo di coinvolgimento dei lavoratori applicabile alla SCE.
In particolare, gli articoli da 3 a 8 della direttiva in esamedistinguono tra:
§ le SCE costituite solo da persone fisiche, ovvero da una sola entità giuridica e da persone fisiche, che impieghino meno di 50 lavoratori; oppure SCE che impiegano 50 o più lavoratori, ma concentrati in un solo Stato membro. In particolare, ai sensi dell’articolo 8, nel caso di una SCE costituita esclusivamente da persone fisiche ovvero da una sola entità giuridica e da persone fisiche, che impiegano, nel loro insieme, almeno 50 lavoratori in almeno due Stati membri, si applicano le disposizioni di cui ai precedenti articolo da 3 a 7. Nel caso di una SCE costituita esclusivamente da persone fisiche ovvero da una sola entità giuridica e da persone fisiche, che impiegano, nel loro insieme, meno di 50 lavoratori o che impiegano 50 o più lavoratori in un solo Stato membro, il coinvolgimento dei lavoratori è disciplinato dalle seguenti disposizioni:
· nella SCE stessa, si applicano le disposizioni dello Stato membro della sede sociale della SCE, applicabili ad altre entità dello stesso tipo;
· nelle sue filiazioni e succursali, si applicano le disposizioni dello Stato membro in cui esse sono situate, applicabili ad altre entità dello stesso tipo;
§ le SCE non rientranti nell'ambito di cui al punto precedente. Per esse, il coinvolgimento è assicurato mediante la conclusione di un apposito accordo. Quest'ultimo è stipulato tra la società ed una delegazione speciale di negoziazione, costituita in modo da rappresentare i lavoratori interessati.
Una volta definito il progetto di costituzione di una SCE, gli organi di direzione o di amministrazione delle entità giuridiche partecipanti (paragrafo 1) intraprendono le iniziative necessarie per avviare una negoziazione con i rappresentanti dei lavoratori delle entità giuridiche sulle modalità relative al coinvolgimento dei lavoratori nella SCE. A tal fine (paragrafo 2), è istituita una delegazione speciale di negoziazione, rappresentativa dei lavoratori delle entità giuridiche partecipanti e delle filiazioni o succursali interessate, secondo specifici orientamenti.
In particolare (paragrafo 2, lettera a)), in occasione dell’elezione o designazione dei membri della delegazione in oggetto, si deve garantire:
· che i membri debbano essere eletti o designati in proporzione al numero dei lavoratori impiegati in ciascuno Stato membro dalle entità giuridiche partecipanti e dalle filiazioni o succursali interessate, assegnando a ciascuno Stato membro un seggio per ogni quota, pari al 10% o sua frazione, del numero di lavoratori nell'insieme degli Stati membri;
· che, nel caso di una SCE costituita mediante fusione, debbano essere presenti altri membri supplementari per ogni Stato membro, in misura tale da assicurare che la delegazione speciale di negoziazione annoveri almeno un membro rappresentante per ogni società cooperativa partecipante, che è iscritta e ha lavoratori in tale Stato membro e della quale si propone la cessazione come entità giuridica distinta in seguito all'iscrizione della SCE.
Inoltre (paragrafo 2, lettera b)), gli Stati membri devono stabilirele modalità di elezione e di designazione dei membri della delegazione speciale di negoziazione.
La delegazione speciale di negoziazione e gli organi competenti delle entità giuridiche partecipanti determinano, tramite accordo scritto, le modalità del coinvolgimento dei lavoratori nella SCE (paragrafo 3).
A tal fine, gli organi competenti delle entità giuridiche partecipanti informano la delegazione speciale di negoziazione del progetto e dello svolgimento del processo di costituzione della SCE, sino all'iscrizione di quest'ultima.
In particolare, si evidenzia (“considerando” n. 10) che le norme sul voto nella delegazione speciale che rappresenta i lavoratori a fini negoziali, in particolare nel caso in cui stipuli accordi che prevedono un livello di partecipazione inferiore a quello esistente in una o più entità partecipanti, dovrebbero essere commisurate al rischio che i regimi e le prassi di partecipazione esistenti scompaiano o siano ridotti. Detto rischio è maggiore nel caso di una SCE costituita mediante trasformazione o fusione che nel caso di una SCE costituita mediante creazione di una SCE ex novo.
Salvo i casi in cui la procedura di negoziazione sia regolata dalla legislazione dello Stato membro (articolo 6), la delegazione speciale di negoziazione decide, ai sensi del paragrafo 4, a maggioranza assoluta dei membri, a condizione che tale maggioranza rappresenti anche la maggioranza assoluta dei lavoratori.
Ciascun membro dispone di un voto. Nel caso in cui i risultati dei negoziati portino ad una riduzione dei diritti di partecipazione, la maggioranza richiesta per decidere di approvare tale accordo è composta dai voti di due terzi dei membri della delegazione speciale di negoziazione che rappresentino almeno due terzi dei lavoratori, compresi i voti dei membri che rappresentano i lavoratori occupati in almeno due Stati membri:
§ nel caso di una SCE da costituire mediante fusione, se la partecipazione comprende almeno il 25% del numero complessivo dei lavoratori impiegati dalle cooperative partecipanti;
§ nel caso di una SCE da costituire in qualsiasi altro modo, se la partecipazione comprende almeno il 50 % del numero complessivo dei lavoratori delle entità giuridiche partecipanti.
Ai sensi del paragrafo 6, ad eccezione del caso di una SCE costituita mediante trasformazione (nel qual caso il paragrafo stesso non trova applicazione se la partecipazione è prevista nella cooperativa da trasformare), la delegazione speciale di negoziazione può decidere di non aprire negoziati o di porre termine a negoziati in corso, mediante una decisione che richiede una maggioranza composta dai voti di due terzi dei membri che rappresentino almeno i due terzi dei lavoratori. Tali voti devono, in questo caso, rappresentare lavoratori impiegati in almeno due Stati membri.
La delegazione speciale di negoziazione, infine, può nuovamente riunirsi su richiesta scritta di almeno il 10% dei lavoratori della SCE, delle filiazioni e succursali o dei loro rappresentanti, non prima che siano trascorsi due anni dalla data della decisione anzidetta, a meno che le parti non convengano di riaprire i negoziati più rapidamente.
L’accordo è negoziato dagli organi competenti delle entità giuridiche partecipanti e la delegazione speciale di negoziazione, secondo la legislazione dello Stato membro nel quale sarà situata la sede sociale della SCE.
I negoziati iniziano subito dopo la costituzione della delegazione speciale di negoziazione e possono proseguire nei sei mesi successivi. Inoltre, le parti possono decidere di comune accordo di prorogare i negoziati fino ad un anno in totale, a decorrere dalla costituzione della delegazione speciale di negoziazione (articolo 5).
L'accordo deve determinare (paragrafo 2):
§ il campo d'applicazione dell'accordo stesso;
§ la composizione, il numero di membri e la distribuzione dei seggi dell'organo di rappresentanza che sarà l'interlocutore degli organi competenti della SCE nel quadro dei dispositivi di informazione e di consultazione dei lavoratori di quest'ultima e delle sue filiazioni e succursali;
§ le attribuzioni e la procedura prevista per l'informazione e la consultazione dell'organo di rappresentanza;
§ la frequenza delle riunioni dell'organo di rappresentanza;
§ le risorse finanziarie e materiali da attribuire all'organo di rappresentanza;
§ le modalità di attuazione delle procedure per l'informazione e la consultazione nel caso in cui, durante i negoziati, le parti decidano di istituire una o più di queste procedure anziché un organo di rappresentanza;
§ la procedura da seguire, affinché i lavoratori possano eleggere, designare o raccomandare i loro membri o opporsi alla loro designazione, nonché i loro diritti, qualora durante i negoziati le parti decidano di stabilire modalità per la partecipazione dei lavoratori, il merito di tali modalità compresi, a seconda dei casi, il numero di membri dell'organo di amministrazione o di vigilanza della SCE che i lavoratori saranno autorizzati ad eleggere, designare, raccomandare o alla cui designazione potranno opporsi;
§ la data di entrata in vigore dell'accordo e la sua durata, i casi in cui l'accordo deve essere rinegoziato e la procedura per rinegoziarlo, compreso, ove opportuno, nel caso di modifiche strutturali intervenute nella SCE e nelle sue filiazioni e succursali in seguito alla creazione della SCE.
Ai fini del coinvolgimento dei lavoratori nelle attività della SCE, gli Stati membri stabiliscono disposizioni di riferimento (paragrafo 1) sul coinvolgimento dei lavoratori, volte al soddisfacimento delle disposizioni contenute nell'allegato della direttiva stessa.
Le disposizioni di riferimento previste dalla legge dello Stato membro in cui deve situarsi la sede sociale della SCE si applicano dalla data di iscrizione di quest'ultima:
§ nel caso in cui le parti abbiano deciso in tal senso;
§ qualora non sia stato concluso alcun accordo tra gli organi competenti delle entità giuridiche partecipanti e la delegazione speciale di negoziazione entro i termini stabiliti e:
- l'organo competente di ciascuna delle entità giuridiche decida di accettare l'applicazione delle disposizioni di riferimento relative alla SCE e di proseguire in questo modo la registrazione della SCE;
- e la delegazione speciale di negoziazione non abbia preso la decisione di non aprire i negoziati o di porre termine ai negoziati in corso con gli organi competenti delle entità giuridiche partecipanti.
Inoltre, occorre sottolineare (paragrafo 2) che le disposizioni di riferimento stabilite dalla legislazione nazionale dello Stato membro di iscrizione si applicano soltanto nei casi tassativamente elencati dalla direttiva, che variano secondo il modo di costituzione della SCE (trasformazione, fusione o altro).
La direttiva 2003/72 detta inoltre disposizioni comuni a tutte le SCE.
In particolare:
§ si assicura (articolo 9) la partecipazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti alle assemblee generali o a quelle separate o di settore in specifici casi, e cioè:
- quando le parti convengano in tal senso nell’accordo di cui al precedente articolo 4;
- quando una cooperativa disciplinata dal sistema in oggetto si trasforma in SCE;
- nel caso in cui una SCE non costituita mediante trasformazione di una cooperativa partecipante era disciplinata con il sistema in oggetto e si realizzino specifiche situazioni;
§ si disciplina l’obbligo di riservatezza sugli elementi forniti in via riservata ai membri della delegazione speciale di negoziazione e dell'organo di rappresentanza nonché ai rappresentanti dei lavoratori, che operano nell'ambito di una procedura per l'informazione e la consultazione (articolo 10);
§ si dispongono le stesse garanzie, previste per gli altri rappresentanti dei lavoratori dalle discipline e/o dalle prassi nazionali, per i rappresentanti dei lavoratori che fanno parte dell'organo di vigilanza o di amministrazione della SCE (articolo 12);
§ si adottano misure al fine di impedire lo sviamento delle procedure di costituzione di una SCE al fine di privare i lavoratori dei diritti in materia di coinvolgimento o di negare tali diritti agli stessi (articolo 13).
La direttiva, infine, non pregiudica i diritti e le disposizioni, previsti dalle normative e/o dalle prassi nazionali, in materia di coinvolgimento dei lavoratori e di partecipazione agli organi (articolo 15).
Direttiva 2003/74/CE
(Nuova disciplina sul divieto di utilizzazione di ormoni e di altre sostanze nelle produzioni animali)
La presente direttiva modifica per alcuni aspetti la disciplina sul divieto di utilizzazione di ormoni di crescita nella produzione animale (di cui alla direttiva 96/22/CE), al fine di armonizzare il principio di tutela della salute con il rispetto della normativa comunitaria vigente e degli obblighi internazionali della Comunità.
La direttiva in esame si conforma alle raccomandazioni formulate nella decisione dell’OMC in data 13 febbraio 2003, nell'ambito di una procedura di conciliazione che ha visto contrapposti gli Stati Uniti d'America e il Canada, da una parte, e l'UE, dall'altra. Oggetto del cosiddetto "caso ormoni" era l'accusa nei confronti della UE di vietare l’utilizzo di alcuni ormoni di crescita senza una valutazione scientifica di rischio associata al consumo di carne.
La Commissione ha quindi intrapreso e finanziato studi scientifici allo scopo di approfondire le conseguenze provocate dall'utilizzo di sei ormoni (estradiolo17-β, testosterone, progesterone, acetato di trenbolone, zeranol e acetato di melengestrolo), pervenendo alla conclusione che soltanto l'estradiolo17-β è una sostanza da considerarsi totalmente cancerogena.
La presente direttiva, sulla base delle predette ricerche, prevede:
- il mantenimento in via permanente del divieto di utilizzo di estradiolo17-β, prescrivendo contemporaneamente un divieto provvisorio con riguardo agli altri cinque ormoni;
- l’esclusione in via generale della somministrazione di estradiolo17-β per scopi terapeutici o a fini di trattamento zootecnico, salva la possibilità di autorizzare l'uso di tale sostanza per taluni trattamenti che incidono gravemente sulla salute e il benessere degli animali. Si prevede tuttavia l'obbligo a carico della Commissione di continuare ad indagare sulla disponibilità di medicinali veterinari alternativi a quelli contenenti estradiolo17-β.
La direttiva provvede infine ad introdurre delle modifiche di raccordo formale che si rendono necessarie a causa dell'avvenuta sostituzione di numerosedirettive citate nel testo della direttiva 96/22/CE ad opera della direttiva 2001/82/CE, che reca il codice comunitario relativo ai medicinali veterinari.
Il termine per il recepimento della direttiva è quello del 14 ottobre 2004.
Si segnala che, in seguito ad una modifica approvata dal Senato al testo originario del disegno di legge, la direttiva in esame è ora riportata nell’allegato B e, pertanto, lo schema di decreto legislativo di recepimento dovrà essere sottoposto al parere delle Camere.
Direttiva 2003/85/CE
(Nuovi interventi per la lotta all’afta epizootica)
La direttiva 2003/85/CE stabilisce le misure minime da attuare in caso di insorgenza dell’afta epizootica (ovvero di focolai sospetti), a prescindere dal tipo di virus, nonché taluni interventi preventivi destinati a migliorare le conoscenze e la preparazione delle autorità competenti e degli allevatori in materia.
Rimane ferma, in ogni caso, la possibilità per gli Stati membri di adottare misure più restrittive.
Il termine previsto per il recepimento della direttiva in esame è del 30 giugno 2004.
Si segnala che, in seguito alle modifiche apportate dal Senato, la direttiva in esame è ora riportata nell’allegato B; inoltre, ai sensi dell’art. 1, comma 3-bis, della presente legge comunitaria, lo schema del decreto legislativo recante attuazione della direttiva in esame dovrà essere corredato, ai fini dell’espressione del parere parlamentare, della relazione tecnica sugli effetti finanziari (di cui all’articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468). Sullo schema di decreto legislativo sarà espresso il parere anche da parte delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari.
In particolare, la direttiva reca disposizioni più dettagliate relative alla raccolta e al trasporto del latte proveniente da animali di specie sensibili nelle zone soggette a misure di lotta contro l’afta epizootica. Essa specifica inoltre, all’allegato IX, i trattamenti che offrono sufficienti garanzie ai fini della distruzione del virus aftoso nel latte e nei prodotti lattiero-caseari destinati al consumo umano o a quello animale in modo conforme alle raccomandazioni dall’Ufficio internazionale delle epizoozie (UIE).
La direttiva 92/46/CEE prevedeva invece un trattamento del latte destinato al consumo umano, che andava oltre i requisiti del codice UIE sulla distruzione del virus dell’afta epizootica nel latte e comportava, secondo una diffusa opinione, problemi logistici per lo smaltimento di quantitativi considerevoli di latte rifiutati dagli stabilimenti lattiero-caseari.
La presente direttiva abroga, a decorrere dal 1º luglio 2004:
§ la direttiva 85/511/CEE del Consiglio, che stabilisce misure comunitarie di lotta contro l’afta epizootica;
§ la decisione 89/531/CEE del Consiglio, che designa un laboratorio di riferimento per l’identificazione del virus dell’afta epizootica e ne fissa le attribuzioni;
§ la decisione 91/665/CEE del Consiglio, che individua un Istituto comunitario di coordinamento per i vaccini contro l’afta epizootica e ne fissa le attribuzioni.
La direttiva in esame, inoltre, modifica la direttiva 92/46/CEE del Consiglio, concernente le norme sanitarie per la produzione e la commercializzazione di latte crudo, di latte trattato termicamente e di prodotti a base di latte.
Si ricorda che l’afta epizootica è una malattia virale fortemente contagiosa che colpisce i biungulati. Data l’eccezionale rilevanza economica, essa, benché sia priva di impatto sulla salute pubblica, occupa la prima posizione nell’elenco A delle malattie, redatto dall’Ufficio internazionale delle epizoozie. Durante la crisi dell’afta epizootica del 2001, la Commissione ha rafforzato le misure comunitarie di lotta contro la malattia previste dalla direttiva 85/511/CEE. Essa ha adottato, infatti, misure di protezione ai sensi della direttiva 90/425/CEE del Consiglio, del 26 giugno 1990 (relativa ai controlli veterinari e zootecnici applicabili negli scambi intracomunitari di taluni animali vivi e prodotti di origine animale) e misure di protezione ai sensi della direttiva 89/662/CEE del Consiglio, dell’11 dicembre 1989 (concernente i controlli veterinari applicabili negli scambi intracomunitari).
Si ricorda altresì che ogni Stato membro deve denunciare i focolai (della malattia in esame) presenti sul territorio alla Commissione e agli altri Stati membri, ai sensi della direttiva 82/894/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1982, concernente la notifica delle malattie degli animali nella Comunità.
La direttiva in esame - come specificato nella premessa - tiene conto:
- della relazione del 1998 del gruppo di esperti degli Stati membri su una revisione della normativa comunitaria relativa all’afta epizootica, che raccoglie l’esperienza acquisita durante l’epidemia di peste suina classica del 1997;
- delle conclusioni della Conferenza internazionale sulla prevenzione e la lotta contro l’afta epizootica tenutasi a Bruxelles nel 2001;
- della risoluzione del 17 dicembre 2002 del Parlamento europeo sull’epidemia di afta epizootica del 2001 nell’Unione europea (risoluzione basata sulle conclusioni della commissione temporanea sull’afta epizootica del Parlamento europeo);
- delle raccomandazioni formulate nella relazione del 1993 della 30ª sessione della commissione europea per la lotta contro l’afta epizootica della FAO, concernenti le norme minime per i laboratori che manipolano il virus dell’afta epizootica in vitro e in vivo;
- delle modifiche apportate al Codice zoosanitario e al Manuale sulle norme per le prove diagnostiche e i vaccini dell’UIE.
Direttiva 2003/86/CE
(Diritto al ricongiungimento familiare)
Il diritto al ricongiungimento familiare per i cittadini dei paesi terzi legalmente residenti nell'Unione è il principio fondamentale contenuto nella direttiva 2003/86/CE[225]. Alla sua base c’è la considerazione che il ricongiungimento familiare è uno strumento necessario per permettere la vita familiare e contribuire così a creare una stabilità socioculturale che facilita l’integrazione dei cittadini di Paesi terzi nell’Unione.
L’adozione di questa direttiva ha avuto un lungo iter decisionale: la prima proposta della Commissione, infatti, risale al dicembre 1999 ma solamente nel 2003 agli Stati membri è stato possibile raggiungere l'accordo politico necessario per approvare il testo.
La direttiva stabilisce norme comuni in materia di ingresso e soggiorno dei familiari di un cittadino di uno stato terzo legalmente soggiornante in un Stato membro. Norme particolari sono stabilite per il ricongiungimento familiare dei rifugiati (articoli 9-12).
Gli Stati membri, comunque, oltre agli standard minimi comuni stabiliti dalla direttiva, possono adottare o mantenere in vigore, qualora risultino più favorevoli, altre norme oltre quelle comunitarie (gli accordi bilaterali e multilaterali già stipulati con i Paesi terzi e le disposizioni contenute nella Carta sociale europea[226] e nella Convenzione europea del 1977, relativa allo status di lavoratore migrante[227]) ed eventualmente legiferare su quanto non disciplinato dalla direttiva (articolo 3, commi 4 e 5).
Al fine di conservare l'unità familiare, si stabilisce, pertanto, che il cittadino di uno Stato terzo, che abbia ottenuto un permesso di soggiorno per un periodo di validità pari o superiore ad un anno e che abbia la prospettiva di poter soggiornare stabilmente in un Paese membro (articolo 3, comma 1), ha il diritto di ricongiungersi ai membri del nucleo familiare, anch’essi cittadini di Paesi terzi (articolo 4, comma 1), e precisamente:
§ al coniuge del soggiornante;
§ ai figli minorenni della coppia o di uno dei due, compresi quelli adottati secondo la decisione delle autorità competenti dello Stato membro interessato o in virtù di obblighi internazionali contratti dallo Stato membro;
§ ai figli affidati al soggiornante o ad entrambi i coniugi, a condizione che l'altro titolare dell'affidamento abbia dato il suo consenso.
Per quanto riguarda i minorenni (sono minori i figli che abbiano un'età inferiore a quella in cui si diventa legalmente maggiorenni nello Stato membro interessato e non siano coniugati) la direttiva lascia agli Stati membri la possibilità di limitare il ricongiungimento dei minorenni con più di 12 anni, stabilendo di subordinarne l'ingresso al perfezionamento delle misure di integrazione previste dalla legge nazionale. Invece per quelli di età superiore a 15 anni, l'ingresso e il soggiorno possono essere autorizzati per motivi diversi dal ricongiungimento familiare.
La direttiva non si applica ai familiari di cittadini dell'Unione. Non si applica, altresì, ai rifugiati (la cui domanda non sia stata ancora oggetto di una decisione definitiva) per i quali sono previste disposizioni che tengano conto del loro particolare status, nonché al soggiornante autorizzato in virtù di una protezione temporanea o di forme sussidiarie di protezione (articolo 3, comma 2).
Sarà facoltà degli Stati membri decidere l'autorizzazione alla riunificazione con i seguenti familiari (articolo 4, comma 2, 3 e 4):
§ gli ascendenti diretti di primo grado qualora non dispongano di un adeguato sostegno familiare nel paese d'origine;
§ figli maggiorenni non coniugati che, a causa dello stato di salute, non possono provvedere alle proprie necessità;
§ partner non coniugato che abbia con il soggiornante una relazione stabile debitamente comprovata o la formalmente registrata.
In caso di matrimoni poligami lo Stato membro interessato non autorizza il ricongiungimento di un altro coniuge quando il soggiornante ha già un coniuge convivente sul territorio di uno Stato membro (articolo 2, comma 4).
Nelle procedure di richiesta di ricongiungimento, oltre alla domanda corredata dei documenti che comprovano i vincoli familiari (articolo 5), gli Stati membri possono chiedere al soggiornante di dimostrare di avere la disponibilità di un alloggio che abbia i requisiti di sicurezza, di avere un'assicurazione contro le malattie e delle risorse stabili e sufficienti al mantenimento della famiglia; inoltre, il soggiornante e i suoi familiari potranno essere convocati per appositi colloqui e potranno essere condotte le indagini che si ritengano necessarie per ottenere la prova dell’esistenza di vincoli familiari (articolo 5 e 7).
Le autorità competenti decidono sulla domanda entro un massimo di nove mesi con possibile proroga in casi eccezionali dovuti alla complessità della istanza da esaminare (articolo 5, comma 4).
Gli Stati membri possono chiedere, quale ulteriore condizione per il ricongiungimento familiare, che il richiedente debba aver soggiornato legalmente per un periodo al massimo di due anni (articolo 8)
Accettata la domanda, lo Stato autorizza l’ingresso del familiare agevolandone il rilascio del visto e concedendo un primo permesso di soggiorno, rinnovabile, con un periodo di validità di almeno un anno (articolo 13). I familiari, una volta ricongiunti, hanno gli stessi diritti del soggiornante relativamente all'accesso al mercato del lavoro ed al sistema scolastico e formativo.
Ciascun Stato, tuttavia, può determinare le condizioni per l'esercizio da parte dei familiari di un'attività lavorativa, subordinata o indipendente la cui autorizzazione è rilasciata a seguito di una valutazione della situazione del mercato del lavoro, da svolgersi in un periodo non superiore a 12 mesi (articolo 14).
Dopo un periodo massimo di cinque anni di soggiorno nello Stato membro il familiare (se si tratta di figlio, solo nel caso in cui, nel frattempo, sia divenuto maggiorenne), ha diritto a un permesso di soggiorno autonomo, indipendente da quello del soggiornante riconosciuto (articolo 15).
L'autorizzazione al ricongiungimento può essere negata e il permesso di soggiorno del familiare può essere revocato o non rinnovato qualora le condizioni previste dalla direttiva non siano, o non siano più, soddisfatte, o quando si sia fatto ricorso a informazioni false, frode o altri mezzi illeciti (articolo 16).
Gli Stati membri assicurano, comunque, che si prevedano rimedi giurisdizionali avverso ogni provvedimento negativo in relazione al soggiorno del soggiornante o dei suoi familiari (articolo 18).
Gli Stati membri dovranno recepire nel loro ordinamento interno le disposizioni di questa Direttiva entro il 3 ottobre 2005 e la Commissione, entro il 3 ottobre 2007, dovrà presentare al Parlamento Europeo e al Consiglio una relazione sulla sua applicazione.
Il diritto all’unità familiare degli stranieri che soggiornano legalmente nel nostro Paese è garantito dall’ordinamento.
Infatti, il testo unico in materia di immigrazione[228] disciplina il ricongiungimento familiare (articoli 28 e seguenti) ponendo una serie di condizioni: il richiedente il ricongiungimento deve essere in possesso di un titolo legale di permanenza in Italia: permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno oppure carta di soggiorno (che ha durata indeterminata) e deve dimostrare la disponibilità di un alloggio decoroso e di un reddito minimo annuo.
I familiari per i quali è possibile richiedere il ricongiungimento sono i seguenti:
§ il coniuge non legalmente separato;
§ i figli minori a carico, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati ovvero legalmente separati, a condizione che l'altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso;
§ i figli maggiorenni a carico, qualora non possano per ragioni oggettive provvedere al proprio sostentamento a causa del loro stato di salute che comporti invalidità totale;
§ i genitori a carico qualora non abbiano altri figli nel Paese di origine o di provenienza ovvero genitori ultrasessantacinquenni qualora gli altri figli non possono provvedere al loro sostentamento per documentati gravi motivi di salute.
Per figli minori si intendono anche i bambini adottati o in affidamento.
Direttiva 2003/87/CE
(Istituzione di un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità)
La direttiva 2003/87/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13 ottobre 2003 istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni di gas a effetto serra nella Comunità, al fine di promuovere la riduzione di dette emissioni secondo criteri di efficacia dei costi ed efficienza economica.
Il campo d’applicazione della direttiva riguarda le attività elencate nell’allegato I della medesima ed i gas serra indicati nel successivo allegato II[229]; in particolare la direttiva si applica alle emissioni di anidride carbonica provenienti da attività di combustione energetica, produzione e trasformazione dei metalli ferrosi, lavorazione di prodotti minerari, produzione di pasta per carta, carta e cartoni (art. 2).
La direttiva prevede un duplice obbligo per gli impianti da essa regolati:
1) la necessità per operare di possedere un permesso all’emissione in atmosfera di gas serra a partire dal 1° gennaio 2005 (art. 4);
2) l’obbligo di rendere alla fine dell’anno un numero di quote (o diritti) d’emissione pari alle emissioni di gas serra rilasciate durante l’anno (art. 6).
Il permesso all’emissione di gas serra viene rilasciato dalle autorità competenti previa verifica da parte delle stesse della capacità dell’operatore dell’impianto di monitorare nel tempo le proprie emissioni di gas serra.
Le quote d’emissioni consentite vengono stabilite dalle autorità competenti all’operatore di ciascun impianto regolato dalla direttiva sulla base di un piano di allocazione nazionale; ogni quota da diritto al rilascio di una tonnellata di biossido di carbonio equivalente.
Il piano di allocazione nazionale (art. 9) viene redatto in conformità ai criteri previsti dall’allegato III della direttiva stessa, che richiedono la coerenza con:
§ gli obiettivi di riduzione nazionale;
§ le previsioni di crescita delle emissioni;
§ il potenziale di abbattimento delle stesse;
§ i principi di tutela della concorrenza.
Il piano di allocazione prevede l’assegnazione di quote a livello d’impianto per periodi di tempo predeterminati.
Una volta rilasciate, le quote possono essere vendute o acquistate. Tali transazioni possono vedere (ai sensi dell’art. 12) la partecipazione sia degli operatori degli impianti coperti dalla direttiva, sia di soggetti terzi (quali intermediari, organizzazioni non governative, singoli cittadini). Il trasferimento delle quote viene registrato nell’ambito di un registro nazionale (art. 19).
La resa delle quote d’emissione è effettuata annualmente dagli operatori degli impianti in numero pari alle emissioni reali degli impianti stessi. Le emissioni reali utilizzate nell’ambito della resa delle quote da parte degli operatori sono il risultato del monitoraggio effettuato dall’operatore stesso e certificato da un soggetto terzo accreditato dalle autorità competenti.
La mancata resa di una quota d’emissione prevede una sanzione pecuniaria di 40 Euro nel periodo 2005-2007 e di 100 Euro nei periodi successivi; le emissioni oggetto di sanzione non sono esonerate dall’obbligo di resa di quote (art. 16).
Si ricorda, infine, che l’art. 8 apporta una modifica all'art. 9, paragrafo 3, della direttiva IPPC al fine di chiarire la relazione tra il processo di autorizzazione imposto dalla direttiva e il sistema di scambio di quote di emissione.
Procedure di infrazione
La Commissione europea ha inviato all’Italia, il 26 gennaio 2004, una lettera di messa in mora[230] per mancata attuazione della direttiva 2003/87/CE, relativa al sistema per lo scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra, il cui termine per il recepimentoera il 31 dicembre 2003. Il 15 luglio 2004, la Commissione ha preannunciato l’intenzione di emettere il parere motivato. Contestualmente la Commissione ha preannunciato l’invio di una lettera di messa in mora all’Italia per la mancata presentazione, entro il 31 marzo 2004, del piano nazionale di assegnazione - previsto dalla direttiva 2003/87/CE - alle industrie delle quote di emissione di gas a effetto serra.
Documenti all’esame delle Istituzioni europee
La Commissione ha presentato, il 23 luglio 2003, una proposta di direttiva recante modifica della direttiva che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità (COM(2003)403), riguardo ai meccanismi basati sul protocollo di Kyoto.
La proposta prevede due meccanismi flessibili (l’attuazione congiunta - Joint Implementation e il meccanismo per lo sviluppo pulito - Clean Develompent Mechanism) previsti dal protocollo di Kyoto che la Commissione intende adottare a completamento del sistema per lo scambio di quote di emissioni istituito dalla direttiva 2003/87/CE. In particolare la Commissione propone di riconoscere l’equivalenza tra i crediti derivanti dall’attuazione congiunta o dal meccanismo per lo sviluppo pulito e quelli delle quote di emissioni all’interno del sistema comunitario. Questo collegamento tra i meccanismi basati sui progetti e il sistema comunitario di scambio di quote di emissioni, secondo la Commissione, servirà ad allargare il ventaglio di alternative per l’adempimento degli obblighi previsti da detto sistema, favorendo il trasferimento di tecnologie verso paesi industrializzati e verso paesi in via di sviluppo, e riducendo per le imprese i costi degli adempimenti.
La proposta, già approvata dal Parlamento europeo in prima lettura nell’ambito della procedura di codecisione, è stata definitivamente adottata dal Consiglio il 13 settembre 2004.
La Commissione ha presentato, il 7 gennaio 2004, una comunicazione sugli orientamenti per l’attuazione da parte degli Stati membri dei criteri indicati nell’allegato III della direttiva 2003/87/CE (COM(2003)830), che presiedono all’elaborazione dei piani nazionali di allocazione dei contingenti di emissione dei gas a effetto serra.
In particolare, tali orientamenti sono intesi a:
- aiutare gli Stati membri a definire il loro piano di allocazione, precisando la portata dell’interpretazione dei criteri enunciati nell’allegato III che la Commissione ritiene accettabile;
- aiutare la Commissione a valutare i piani nazionali di allocazione notificati, conformemente all’articolo 9, paragrafo 3, della direttiva;
- descrivere le condizioni nelle quali sussiste la condizione di “forza maggiore”.
Il 14 settembre 2004 la Commissione ha avviato la consultazione on line “Azioni in materia di cambiamento climatico dopo il 2012”, che si concluderà il 31 ottobre 2004. I contributi pervenuti verranno utilizzati, nelle intenzioni della Commissione, per predisporre la relazione sul cambiamento climatico destinata al Consiglio di primavera 2005 che tratterà, tra l’altro, la futura politica in materia di cambiamento climatico a livello mondiale e dell’Unione europea.
Direttiva 2003/88/CE
(Aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro)
La Direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, provvede a codificare la Direttiva 93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, che ha stabilito prescrizioni minime di sicurezza e sanitarie in materia di organizzazione dell'orario di lavoro, in relazione ai periodi di riposo quotidiano, di pausa, di riposo settimanale, di durata massima settimanale del lavoro e di ferie annuali, nonché relativamente ad aspetti del lavoro notturno, del lavoro a turni e del ritmo di lavoro. La codificazione è necessaria (“considerando” n. 1) in quanto la richiamata direttiva 93/104/CE ha subito sostanziali modificazioni (da ultimo, dalla direttiva 2000/34/CE).
Allo stesso tempo, la direttiva in esame, ai sensi dell’articolo 27, provvede ad abrogare la Direttiva 93/104/CE (come modificata dalla presente direttiva di cui all'allegato I, parte A), fatti salvi gli obblighi degli Stati membri relativi ai termini di recepimento di cui all'allegato I, parte B.
Lo stesso articolo precisa altresì che i riferimenti alla direttiva abrogata si intendono fatti alla presente direttiva e si leggono secondo la tavola di concordanza di cui all'allegato II.
Si ricorda, in proposito, che restano esclusi dal campo di applicazione della direttiva 93/104/CE, oltre ai medici in formazione, i lavoratori dei seguenti settori: trasporti stradali, aerei, ferroviari e marittimi, navigazione interna, pesca marittima, altre attività in mare.
Dopo aver fornito la definizione dei “termini rilevanti” (orario di lavoro, periodo di riposo, lavoro, lavoro a turni), la direttiva ha disposto che gli Stati membri siano tenuti a prendere le misure necessarie perché il lavoratore fruisca:
· di un periodo minimo di riposo di 11 ore consecutive per periodo di 24 ore;
· di un periodo minimo di un giorno di riposo, immediatamente susseguente al periodo di riposo giornaliero nel corso, in media, di ogni periodo di 7 giorni. Tale periodo minimo di riposo può essere riferito come media su un periodo non superiore ai 14 giorni;
· per un lavoro giornaliero superiore a 6 ore, di un tempo di pausa le cui modalità sono fissate dai contratti collettivi, dagli accordi conclusi con le parti sociali o dalla legislazione nazionale;
· di un congedo annuale retribuito di almeno 4 settimane, conformemente alle condizioni previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali.
Inoltre è stato disposto che la durata settimanale del lavoro sia limitata in media a 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario, per ogni periodo di 7 giorni. Tale limite può essere riferito come media in un periodo non superiore a 4 mesi.
Per quanto riguarda il lavoro notturno, la sua durata normale non deve superare in media 8 ore su 24. I lavoratori devono essere sottoposti a un esame sanitario gratuito, prima di essere assegnati a un lavoro notturno e, quindi, devono essere visitati ad intervalli regolari.
Per quanto riguarda infine il lavoro a turni, si prevede che il datore di lavoro debba tenere conto del principio generale di adattamento del lavoro all'uomo, soprattutto per attenuare il lavoro monotono e ripetitivo.
Le norme illustrate possono essere derogate in presenza di determinate condizioni.
La successiva Direttiva 2000/34/CEhamodificato la richiamata Direttiva 1993/104/CE, allo scopo di ricomprendere nell’ambito applicativo di quest'ultima i settori e le attività originariamente esclusi(trasporti stradali, aerei, ferroviari e marittimi, navigazione interna, pesca marittima e le altre attività in mare, attività dei medici in formazione), sulla base del presupposto, formulato nel quinto considerando, che tutti i lavoratori meritano tutela in quanto tali.
Pertanto rientrano nel suo ambito applicativo le seguenti categorie di lavoratori:
· lavoratori non mobili, compresi i medici in formazione;
Per “lavoratore mobile” si intende qualsiasi lavoratore impiegato quale membro del personale viaggiante o di volo presso un’impresa che effettua servizi di trasporto passeggeri o merci su strada, per via aerea o per via navigabile (articolo 1, paragrafo 2);
· lavoratori che svolgono attività “offshore”.
Il “lavoro offshore” viene definito come l’attività svolta prevalentemente su un’installazione “offshore” (compresi gli impianti di perforazione) o a partire da essa, direttamente o indirettamente legata all’esplorazione, all’estrazione o allo sfruttamento di risorse minerali, compresi gli idrocarburi, nonché le attività d’immersione collegate a tali attività, effettuate sia a partire da un’installazione offshore che da una nave (articolo 1, paragrafo 2).
La direttiva definisce inoltre il “riposo adeguato” come un periodo di riposo regolare a disposizione del lavoratore, la cui durata è espressa in unità di tempo, e sufficientemente lungo e continuo per evitare che i lavoratori, a causa della stanchezza e della fatica, o di altri fattori che perturbano l’organizzazione del lavoro, causino lesioni a se stessi, ad altri lavoratori o a terzi, o danneggino la loro salute, a breve o a lungo termine. Va sottolineato che la direttiva in esame elimina la tendenziale coincidenza del riposo settimanale con la domenica stabilita dalla direttiva 93/104.
Vengono infine previste misure specifiche per il settore della pesca marittima: i lavoratori interessati potranno beneficiare della garanzia di un riposo sufficiente, di un tetto massimo di ore annuali di lavoro e di quattro settimane di congedo annuale retribuito.
Con il decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, adottato in base alla delega contenuta negli articoli 1, commi 1 e 3, e 22 della legge 1° marzo 2002, n. 39 (legge comunitaria 2001), è stata data organica attuazione alla direttiva n. 93/104/CE, come modificata dalla direttiva n. 2000/34/CE[231].
Occorre ricordare, in particolare, che la legge comunitaria 2001 ha delegato il Governo a dare attuazione a due ulteriori direttive, riguardanti l’orario di lavoro – rispettivamente – della gente di mare (direttiva n. 1999/63/CE) ed il personale di volo nell’aviazione civile (direttiva n. 2000/79/CE)[232].
Documenti all’esame delle Istituzioni europee
A conclusione del processo di consultazione[233] dei partner sociali, la Commissione ha presentato, il 22 settembre 2004, la proposta di direttiva che modifica la direttiva 2003/88/CE concernente alcuni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (COM(2004)697).
Con tale proposta, la Commissione intende modificare la direttiva 2003/88/CE nel rispetto dei seguenti criteri:
- assicurare un elevato livello di protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori per quanto riguarda l’orario di lavoro;
- consentire alle imprese e agli Stati membri maggiore flessibilità nella gestione dell’orario di lavoro;
- consentire una migliore compatibilità tra vita professionale e vita familiare;
- evitare l’imposizione di vincoli irragionevoli alle imprese, con particolare riguardo alle piccole e medie imprese.
La Presidenza olandese, in esito ad un primo scambio di vedute sulla proposta di direttiva nel corso del Consiglio occupazione del 4 ottobre 2004, ha auspicato il raggiungimento dell’accordo politico in occasione del Consiglio occupazione del 6-7 dicembre 2004, nell’ambito della procedura di codecisione.
Direttiva 2003/89/CE
(Modifica della direttiva 2000/13/CE per quanto riguarda l’indicazione degli ingredienti contenuti nei prodotti alimentari)
La direttiva 2003/89/CE modifica la direttiva 2000/13/CE, sulla indicazione degli ingredienti contenuti nei prodotti alimentari, allo scopo di assicurare nell’ambito del territorio comunitario un più elevato livello di tutela della salute dei consumatori.
Poiché lo strumento individuato consiste in una adeguata informazione sulla composizione dei prodotti alimentari e poiché l’attuale articolo 6 della direttiva 2000/13 consente di escludere talune sostanze dall’obbligo di figurare quali ingredienti, la direttiva in commento reca un obbligo generalizzato di indicare in etichetta tutti gli ingredienti. Più in particolare viene resa obbligatoria l’inclusione, nell’elenco degli ingredienti, di tutti gli ingredienti e di tutte le sostanze presenti nei prodotti alimentari.
Tale estensione trova motivo nella diffusione di allergie o intolleranze nei consumatori, causate dalla presenza di ingredienti o sostanze o additivi che agendo da allergeni rappresentano un pericolo per la salute dei consumatori.
E’ in particolare prevista la possibilità di rivedere con rapidità l’elenco degli ingredienti allo scopo di adeguarlo all’evolversi delle conoscenze scientifiche
Quanto ai termini per l’adeguamento della normativa nazionale alle nuove disposizioni, l’articolo 2 della direttiva richiede che gli Stati membri adottino entro il 25 novembre 2004 le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per:
§ consentire la vendita dei prodotti conformi alle nuove disposizioni, a decorrere dal 25 novembre 2004;
§ vietare la vendita dei prodotti non conformi, a decorrere dal 25 novembre 2005, consentendo tuttavia che i prodotti immessi sul mercato o etichettati prima di tale data e non conformi alle nuove norme possano essere venduti fino ad esaurimento delle scorte.
La direttiva 2000/13/CE ha codificato ed abrogato la direttiva 79/112/CEE; essa si applica ai prodotti alimentari preimballati destinati ad essere consegnati in tale stato al consumatore finale, ovvero ai ristoranti, agli ospedali o ad altre collettività simili.
Secondo la normativa comunitaria, l'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari non possono essere tali da:
- indurre l'acquirente in errore sulle caratteristiche o sugli effetti di tali prodotti alimentari;
- attribuire ad un prodotto alimentare (ad eccezione delle acque minerali naturali e dei prodotti alimentari destinati ad un'alimentazione particolare per i quali esistono disposizioni comunitarie specifiche) delle proprietà di prevenzione, di trattamento e di cura di una malattia umana.
Le indicazioni obbligatorie che devono figurare in etichettatura sono:
- la denominazione di vendita: si tratta della denominazione prevista per il prodotto dalle disposizioni comunitarie ad esso applicabili o, in mancanza, dalle disposizioni legislative o dagli usi dello Stato membro di commercializzazione. La denominazione di vendita dello Stato di produzione viene ammessa tranne nel caso in cui, nonostante le altre indicazioni obbligatorie e l'aggiunta di altre informazioni descrittive, possa ingenerare confusione nello Stato di commercializzazione. La denominazione di vendita deve comportare inoltre un'indicazione sullo stato fisico e sul procedimento di trattamento del prodotto (ad esempio: in polvere, liofilizzato, surgelato, concentrato, affumicato,...) nei casi in cui una tale omissione potrebbe creare confusione. L'indicazione di un eventuale trattamento ionizzante è per contro sempre obbligatorio;
- l'elenco degli ingredienti, preceduti da un'indicazione "ingredienti"; questi devono essere elencati in ordine decrescente di importanza ponderata e designati con il loro nome specifico, con la riserva di alcune deroghe previste dall'Allegato I[234] (categoria di ingredienti la cui indicazione della categoria può sostituire quella del nome specifico – ad esempio: "olio", "burro di cacao", "formaggio", "verdura"), dall'Allegato II (categorie di ingredienti obbligatoriamente designati con il nome della loro categoria, seguito dal nome specifico o dal numero CE- ad esempio: colorante, acidificante, emulsionante, umettante...) e dall'Allegato III (designazione degli aromi)[235]. In alcune condizioni, l'indicazione degli ingredienti non viene richiesta per la frutta e per la verdura fresca, per le acque gassate, per gli aceti di fermentazione, per i formaggi, per il burro, per il latte o per la crema fermentata, nonché per i prodotti che contengono un solo ingrediente, quando la denominazione di vendita è identica al nome dell'ingrediente o permette di determinare la natura dell'ingrediente senza confusione. Peraltro, l'indicazione degli ingredienti di un ingrediente composto che non rappresenta più del 25% del prodotto alimentare non è obbligatorio;
- la quantità degli ingredienti o delle categorie di ingredienti espressa in percentuale; ciò è obbligatorio quando gli ingredienti figurano nella denominazione di vendita, sono posti in rilievo sull'etichetta o sono essenziali per caratterizzare un elemento determinato;
- la quantità netta; questa indicazione deve figurare espressa in unità di volume per i prodotti liquidi e in unità di massa per gli altri prodotti. Disposizioni particolari sono, tuttavia, previste per i prodotti alimentari venduti al pezzo e per i prodotti alimentari solidi presentati in un liquido di copertura;
- il termine minimo di conservazione e la data di scadenza; il primo indica la data fino alla quale il prodotto conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione. Il termine deve essere espresso con l'indicazione del giorno e del mese per i prodotti conservabili per meno di tre mesi, del mese e dell'anno per i prodotti conservabili per più di tre mesi ma non più di 18 mesi, esclusivamente dell'anno per quei prodotti aventi una durabilità superiore ai 18 mesi. La data di scadenza si applica, invece, nel caso di prodotti alimentari rapidamente deperibili dal punto di vista microbiologico e che, conseguentemente, possono costituire dopo breve tempo un pericolo immediato per la salute umana;
- le condizioni particolari di conservazione e di utilizzazione;
- il nome o la ragione sociale e l'indirizzo del fabbricante o del confezionatore ovvero di un venditore con sede nel territorio della Comunità;
- il luogo d'origine o di provenienza, nel caso in cui una sua omissione possa indurre il consumatore in errore;
- le istruzioni per l'uso, se necessario;
- la menzione del titolo alcolometrico volumico acquisito per bevande con un titolo superiore all'1,2% di alcool in volume.
Disposizioni comunitarie specifiche relative ad alcuni prodotti possono prevedere deroghe alle indicazioni obbligatorie previste dalla direttiva in esame.
Le indicazioni da fornire devono essere facilmente comprensibili, visibili, leggibili e indelebili.
Tuttavia sono previste alcune disposizioni particolari per quanto riguarda:
- le bottiglie di vetro riutilizzabili e gli imballaggi di piccole dimensioni;
- gli alimenti preimballati;
- gli alimenti presentati non preimballati al momento della vendita o gli alimenti imballati in occasione della vendita su richiesta del compratore. Inoltre, le indicazioni devono figurare in una lingua facilmente comprensibile al consumatore.
La commercializzazione dei prodotti alimentari conformi alla direttiva può essere vietata soltanto per ragioni attinenti alla salute pubblica, alla repressione delle frodi o alla protezione della proprietà industriale e commerciale.
Direttiva 2003/92/CE
(Modifica della direttiva 77/388/CEE relativamente alle norme sul luogo di cessione di gas e di energia elettrica)
La direttiva 2003/92/CE del 7 ottobre 2003 modifica la direttiva 77/388/CEE (c.d. sesta direttiva) relativamente alle norme per l’individuazione del luogo di cessione, ai fini dell’imposizione IVA, del gas trasportato mediante gasdotto e dell'energia elettrica.
Poiché il gas e l’elettricità, considerati beni ai fini dell’IVA, sono fisicamente difficili da rintracciare, risulta particolarmente complesso determinare il luogo della loro cessione secondo le norme attuali (articolo 8 della citata direttiva 77/388/CEE e articolo 6 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633).
Allo scopo di superare tali problemi, la direttiva in esame stabilisce che, se l'acquirente acquista gas o elettricità per rivenderle, il luogo d'imposizione sarà quello in cui l’acquirente-rivenditore ha fissato la sede della propria attività economica, ovvero quello in cui l’acquirente-rivenditore ha costituito un centro di attività stabile ove i beni vengono erogati, ovvero, in mancanza di tale sede o centro di attività stabile, il luogo in cui ha l'indirizzo permanente o in cui risiede abitualmente (cfr. la lett. d) del par. 1 dell’art. 8 della direttiva 77/388/CEE, introdotta dall’articolo 1, n. 1), della direttiva 2003/92/CE in commento).
Se il gas o l’elettricità è venduto dal commerciante al consumatore finale, il luogo d'imposizione sarà il luogo del consumo finale[236], in linea di principio identificato nel luogo in cui è collocato il contatore del cliente (cfr. la lett. e) del par. 1 dell’art. 8 della direttiva 77/388/CEE, introdotta dall’articolo 1, n. 1), della direttiva 2003/92/CE in commento).
Al fine di evitare l’omissione o la duplicazione dell’imposizione, la direttiva armonizza le norme IVA relative al luogo di prestazione dei servizi di trasmissione e trasporto dell'elettricità e del gas. L’uno e l’altra sono infatti erogati attraverso reti di distribuzione alle quali i rispettivi gestori danno accesso. La direttiva dispone che il luogo di prestazione dei servizi di accesso alle reti di distribuzione e il relativo uso, nonché della fornitura di altri servizi direttamente collegati, è quello in cui il destinatario ha stabilito la sede della sua attività economica o ha costituito un centro di attività stabile per il quale si è avuta la prestazione di servizi o, in mancanza di tale sede o centro d'attività stabile, il luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale (cfr. il nono trattino della lett. e) del par. 2 dell’art. 9 della direttiva 77/388/CEE, introdotto dall’articolo 1, n. 2), della direttiva 2003/92/CE in commento).
E’ inoltre prevista l'esenzione dall’IVA per l'importazione del gas, mediante la rete di distribuzione di gas naturale, nonché per l’importazione dell'elettricità (cfr. la lett. k) del par. 1 dell’art. 14 della direttiva 77/388/CEE, introdotta dall’articolo 1, n. 3), della direttiva 2003/92/CE in commento).
La data per il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri è fissata al 1° gennaio 2005.
Si segnala che i commi 38 e 50 dell’articolo 1 della legge 239 del 23 agosto 2004,relativa alRiordino del settore energetico (G.U. n. 215 del 13 settembre 2004), recano disposizioni connesse alla materia in esame, in relazione al tempo in cui si considera effettuata la cessione.
Il comma 38, relativamente alle operazioni effettuate sul mercato elettrico, di cui all’articolo 5, comma 1, del D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79, prevede che tali operazioni si considerano effettuate, ai fini dell’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto, all’atto del pagamento del corrispettivo. Il pagamento costituisce pertanto il momento in cui l’imposta diviene esigibile e dal quale sorge l’obbligo di versamento nei termini e con le modalità prescritte. Tuttavia, qualora sia stata emessa fattura prima di tale momento, l’operazione, limitatamente all’importo fatturato, si considera effettuata alla data di emissione della fattura stessa. Analoghe disposizioni sono contenute nel comma 50 del medesimo articolo per le cessioni di gas effettuate nel sistema del gas naturale.
Direttiva 2003/96/CE
(Ristrutturazione del quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità)
La direttiva 2003/96/CE del Consiglio del 27 ottobre 2003 ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità.
Essa consente inoltre agli Stati membri di applicare aliquote differenziate nazionali per uno stesso prodotto in ragione della sua utilizzazione, nonché di esentare dalle accise o di accordare riduzioni d'accisa per promuovere i biocarburanti, contribuendo in tal modo ad un migliore funzionamento del mercato interno e garantendo un adeguato grado di certezza del diritto agli Stati membri e agli operatori economici.
La normativa comunitaria sulla materia risulta limitata al trattamento fiscale degli olî minerali, ai sensi della direttiva 92/81/CEE del 19 ottobre 1992, relativa all'armonizzazione delle strutture delle accise sugli olî minerali, e della direttiva 92/82/CEE del 19 ottobre 1992, relativa al ravvicinamento delle aliquote di accisa sugli olî minerali.
Secondo la Commissione, l'assenza di disposizioni comunitarie che assoggettino a tassazione minima l'elettricità e i prodotti energetici diversi dagli olî minerali può essere pregiudizievole al buon funzionamento del mercato interno. Conseguentemente si è ravvisata la necessità che siano fissati nella Comunità livelli minimi di tassazione per la maggior parte dei prodotti energetici, compresi l'elettricità, il gas naturale e il carbone.
Infatti l'esistenza di notevoli differenze tra i livelli nazionali di tassazione sull'energia applicati dagli Stati membri potrebbe essere pregiudizievole al buon funzionamento del mercato interno, mentre la fissazione di livelli minimi comunitari di tassazione appropriati può consentire di ridurre le attuali differenze tra i livelli nazionali di tassazione.
Peraltro, la Comunità, in quanto parte della convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici, ha ratificato il protocollo di Kyoto, ove si prevede che la tassazione dei prodotti energetici e, se del caso, dell'elettricità sia uno degli strumenti disponibili per conseguire gli obiettivi del protocollo medesimo.
L’articolo 2 della direttiva 2003/96/CE individua, fra l’altro, i prodotti energetici e l’elettricità ai quali applicare i livelli minimi di tassazione stabiliti nella direttiva stessa.
Per "livello di tassazione", ai sensi dell’articolo 4, si intende l'onere fiscale complessivo derivante dal cumulo di tutte le imposte indirette (eccetto l'IVA), calcolate direttamente o indirettamente sulla quantità di prodotti energetici e di elettricità, all'atto dell'immissione in consumo.
In talune circostanze o in determinate condizioni di natura strutturale è consentita l'applicazione di aliquote differenziate nazionali di tassazione per uno stesso prodotto, purché siano rispettati i livelli minimi comunitari di tassazione e le norme in materia di mercato interno e di concorrenza (articolo 5).
L’articolo 7 stabilisce che a decorrere dal 1° gennaio 2004 e dal 1° gennaio 2010 i livelli minimi di tassazione da applicare ai carburanti per motori sono quelli fissati nell'allegato I, tabella A, di seguito riportato.
Allegato I
Tabella A - Livelli minimi di imposizione applicabili ai carburanti per motori
|
1° gennaio 2004 |
1° gennaio 2010 |
Benzina con piombo (in euro per 1.000 l) Codici NC 2710 11 31, 2710 11 51 e 2710 11 59 |
421 |
421 |
Benzina (in euro per 1.000 l) Codici NC
2710 11 31, 2710 11 41, 2710 11 45 |
359 |
359 |
Gasolio (in euro per 1.000 l) Codici NC da 2710 19 41 a 2710 19 49 |
302 |
330 |
Cherosene (in euro per 1.000 l) Codici NC 2710 19 21 e 2710 19 25 |
302 |
330 |
GPL (in euro per 1.000 kg) Codici NC da 2711 12 11 a 2711 19 00 |
125 |
125 |
Gas naturale (in euro
per gigajoule, potere calorifico superiore) |
2,6 |
2,6 |
Entro il 1° gennaio 2012 il Consiglio, deliberando all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo, decide, sulla scorta di una relazione e di una proposta della Commissione, in merito ai livelli minimi di tassazione per il gasolio applicabili nel periodo successivo al 1° gennaio 2013.
È inoltre consentito agli Stati membri di distinguere tra uso commerciale e non commerciale del gasolio utilizzato come propellente[237], purché siano rispettati i livelli minimi comunitari e l'aliquota per il gasolio commerciale utilizzato come propellente non sia inferiore al livello nazionale di tassazione vigente al 1° gennaio 2003, a prescindere dalle deroghe per detta utilizzazione stabilite dalla presente direttiva. È ammessa la possibilità di applicare un'aliquota ridotta sul gasolio utilizzato dagli autoveicoli a motore o dagli autoveicoli con rimorchio, adibiti esclusivamente al trasporto di merci su strada.
L’articolo 8 prevede l’applicazione a decorrere dal 1° gennaio 2004 dei livelli minimi di tassazione, indicati nell'allegato I, tabella B, ai prodotti utilizzati come carburante per motori per i seguenti fini industriali e commerciali:
a) lavori nei settori dell'agricoltura, dell'orticoltura, della piscicoltura e della silvicoltura;
b) motori fissi;
c) impianti e macchinari usati nell'edilizia, nelle opere di ingegneria civile e nei lavori pubblici;
d) veicoli destinati ad essere utilizzati al di fuori della rete stradale pubblica o che non hanno ricevuto un'autorizzazione a circolare prevalentemente sulla rete stradale pubblica.
Tabella B - Livelli minimi di imposizione applicabili
ai carburanti
per motori utilizzati per i fini di cui all'articolo 8, paragrafo 2
Gasolio (in euro per 1.000 l) Codici NC da 2710 19 41 a 2710 19 49 |
21 |
Cherosene (in euro per 1.000 l) Codici NC 2710 19 21 e 2710 19 25 |
21 |
GPL (in euro per 1.000 kg) Codici NC da 2711 12 11 a 2711 19 00 |
41 |
Gas naturale (in euro per gigajoule, potere calorifico superiore) Codici NC 2711 11 00 e 2711 21 00 |
0,3 |
La successiva Tabella C dell’Allegato I fissa, a decorrere dal 1° gennaio 2004, i livelli minimi di tassazione da applicare al combustibile per riscaldamento (articolo 9) e all’elettricità (articolo 10).
Tabella C - Livelli minimi di imposizione applicabili
ai combustibili per riscaldamento e all'elettricità
|
Imprese |
Non imprese |
Gasolio (in euro per 1.000 l) Codici NC da 2710 19 41 a 2710 19 49 |
21 |
21 |
Olio combustibile pesante (in euro per 1.000 kg) Codici NC da 2710 19 61 a 2710 19 69 |
15 |
15 |
Cherosene (in euro per 1.000 l) Codici NC 2710 19 21 e 2710 19 25 |
0 |
0 |
GPL (in euro per 1.000 kg) Codici NC da 2711 12 11 a 2711 19 00 |
0 |
0 |
Gas naturale (in euro per gigajoule, potere calorifico superiore) Codici NC 2711 11 00 e 2711 21 00 |
0,15 |
0,3 |
Carbone e coke (in euro per gigajoule) Codici NC 2701, 2702 e 2704 |
0,15 |
0,3 |
Elettricità (in euro per MWh) Codice NC 271 |
0,5 |
1,0 |
Il paragrafo 2 dell’articolo 9 autorizza gli Stati membri, che al 1° gennaio 2003 già applicano una tassa di controllo sul gasolio per riscaldamento, a continuare ad applicare un'aliquota ridotta pari a 10 euro per 1000 litri di prodotto. L'autorizzazione sarà abrogata il 1° gennaio 2007 se il Consiglio, deliberando all'unanimità in base ad una relazione e ad una proposta della Commissione, deciderà in tal senso, dopo aver preso atto che il livello dell'aliquota ridotta risulta troppo basso, allo scopo di evitare problemi di distorsione negli scambi commerciali tra gli Stati membri.
Sono, quindi, previste dalla direttiva 2003/96 disposizioni agevolative. In particolare:
- l’articolo 14 elenca i prodotti esentati dalla tassazione al fine di garantire un'agevole e corretta applicazione delle esenzioni stesse e di evitare frodi, evasioni o abusi;
- l’articolo 15 indica i prodotti per i quali gli Stati membri possono applicare, sotto controllo fiscale, esenzioni o riduzioni totali o parziali del livello di tassazione;
- l’articolo 16 individua i prodotti soggetti ad accisa ai quali applicare, sotto controllo fiscale, esenzioni o riduzioni dell'aliquota di imposta;
- l’articolo 17 prevede la possibilità di applicare sgravi fiscali sul consumo di prodotti energetici utilizzati per il riscaldamento o a favore delle imprese a forte consumo di energia[238] o qualora siano conclusi accordi con imprese o associazioni di imprese, o qualora siano attuati regimi concernenti diritti commercializzabili o misure equivalenti, purché volti a conseguire obiettivi di protezione ambientale o a migliorare l'efficienza energetica.
L’articolo 18, in deroga alle disposizioni della direttiva stessa, autorizza gli Stati membri a continuare ad applicare le riduzioni nei livelli di tassazione o le esenzioni fissate nell'allegato II per ogni singolo Stato[239].
Previo esame da parte del Consiglio in base a una proposta della Commissione, l'autorizzazione scade il 31 dicembre 2006 o alla data specificata nell'allegato II.
Allegato II
Riduzioni delle aliquote di imposizione ed esenzioni
dall'imposizione
di cui all'articolo 18, paragrafo 1
(…)
8. ITALIA:
- per l’applicazione fino al 30 giugno 2004 di un'aliquota di accisa differenziata alle miscele impiegate come carburanti, comprendenti 5% o 25% di biodiesel. L'accisa ridotta non può essere superiore all'importo dell'accisa imponibile sul volume dei biocarburanti presenti nei prodotti che possono beneficiare di tale riduzione. Le riduzioni di accisa sono modulate ogni anno in funzione dell'evoluzione dei prezzi delle materie prime, per evitare che dette riduzioni portino ad una sovracompensazione dei costi aggiuntivi legati alla produzione di biocarburanti;
- per una riduzione dell'aliquota dell'accisa sul gasolio utilizzato dagli operatori del trasporto su strada fino al 1° gennaio 2005, che non può essere inferiore a 370 euro per 1000 litri a decorrere dal 1° gennaio 2004;
- per l'utilizzazione di gas di idrocarburi di scarto come combustibili;
- applicazione di una aliquota ridotta di accisa alle emulsioni acqua/gasolio e acqua/olio combustibile pesante a decorrere dal 1° ottobre 2000 e fino al 31 dicembre 2005 a condizione che tali aliquote differenziate siano conformi agli obblighi stabiliti dalla presente direttiva, in particolare alle aliquote minime di accisa;
- per il metano impiegato come carburante per veicoli a motore;
- per le forze armate nazionali;
- per le ambulanze;
- per i veicoli adibiti al trasporto pubblico locale di passeggeri;
- per il carburante usato nei taxi;
- per l'applicazione di aliquote ridotte di accisa, in talune zone geografiche particolarmente svantaggiate, sul gasolio domestico per riscaldamento e sul GPL usato come combustibile per riscaldamento e distribuito dalle reti locali, a condizione che tali aliquote siano conformi agli obblighi definiti dalla presente direttiva, in particolare alle aliquote minime di accisa;
- per il consumo nella regione della Valle d'Aosta e nella provincia di Gorizia;
- per una riduzione delle aliquote di accisa sulla benzina consumata nel territorio del Friuli-Venezia Giulia, a condizione che tali aliquote differenziate siano conformi agli obblighi definiti dalla presente direttiva, in particolare alle aliquote minime di accisa;
- per una riduzione delle aliquote di accisa sugli olî minerali consumati nelle province di Udine e Trieste, a condizione che tali aliquote siano conformi agli obblighi definiti dalla presente direttiva;
- per un'esenzione dall'accisa sugli olî minerali usati come combustibili per la produzione di allumina in Sardegna;
- per una riduzione delle aliquote di accisa sulla nafta destinata alla produzione di vapore e sul gasolio impiegato nei forni di essiccamento e di "attivazione" dei setacci molecolari nella regione Calabria, a condizione che tali aliquote siano conformi agli obblighi definiti dalla presente direttiva;
- per la navigazione aerea diversa da quella di cui all'articolo 14, paragrafo 1, lettera b), della presente direttiva;
- per gli olî usati reimpiegati come combustibili subito dopo il recupero oppure previo riciclaggio, il cui reimpiego è soggetto ad accisa.
Il paragrafo 2 dell’articolo 18 prevede una deroga ai periodi fissati nei successivi paragrafi da 3 a 12 dell’articolo stesso, e purché ciò non comporti una significativa distorsione della concorrenza, prevedendo che gli Stati membri che incontrano difficoltà nell'applicare i nuovi livelli minimi di tassazione beneficeranno di un periodo transitorio fino al 1° gennaio 2007, in particolare per non pregiudicare la stabilità dei prezzi.
Ai sensi del paragrafo 11 dell’articolo 18 l’Italia può applicare, fino al 1° gennaio 2008, per la definizione di usi commerciali di cui all'articolo 7, paragrafo 3, lettera a)[240], un peso a pieno carico massimo ammissibile non inferiore a 3,5 tonnellate.
Ai sensi dell’articolo 28, gli Stati membri adottano e pubblicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative, necessarie per conformarsi alla presente direttiva, entro il 31 dicembre 2003.
Direttiva 2003/99/CE
(Misure di sorveglianza delle zoonosi e degli agenti zoonotici)
La presente direttiva è intesa a rafforzare i sistemi di sorveglianza delle zoonosi, degli agenti zoonotici e della resistenza agli antimicrobici ad essi correlata nonché a migliorare la qualità delle indagini epidemiologiche a livello comunitario per i casi di focolai di tossinfezione alimentare.
Il termine previsto per il recepimento della direttiva in esame è del 12 aprile 2004 e quello per la sua applicazione è stabilito il 12 giugno del corrente anno.
Si segnala che, in seguito alle modifiche apportate dal Senato, la direttiva in esame è ora riportata nell’allegato B; inoltre, ai sensi dell’art. 1, comma 3-bis, della presente legge comunitaria, lo schema del decreto legislativo recante attuazione della direttiva in esame dovrà essere corredato, ai fini dell’espressione del parere parlamentare, della relazione tecnica sugli effetti finanziari (di cui all’articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468). Sullo schema di decreto legislativo sarà espresso il parere anche da parte delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari.
Si ricorda che per zoonosi ed agente zoonotico si intendono rispettivamente:
§ qualsiasi malattia e/o infezione che possa essere trasmessa naturalmente, direttamente o indirettamente, tra gli animali e l’uomo;
§ qualsiasi virus, batterio, fungo, parassita o altra entità biologica che possa causare una zoonosi.
La direttiva in esame disciplina i criteri e le modalità mediante i quali gli Stati membri devono provvedere alla raccolta, all’analisi ed alla tempestiva pubblicazione dei dati utili alla conoscenza dei fenomeni.
La sorveglianza è obbligatoria per le zoonosi e gli agenti zoonotici elencati nell'allegato I, parte A, mentre, per quelli compresi nella successiva parte B, è attivata in funzione della situazione epidemiologica del territorio (di ciascun Stato membro).
Essa è effettuata nella fase o nelle fasi più appropriate della catena alimentare e viene condotta in base a sistemi già esistenti negli Stati membri, fatta salva la successiva adozione di norme comunitarie in materia.
E’ previsto anche uno scambio di informazioni sulle tendenze in atto, mediante l’invio alla Commissione, entro il mese di maggio, di una relazione annua, contenente i dati raccolti in merito.
Possono essere predisposti programmi coordinati di sorveglianza, in particolare, quando sono identificate esigenze specifiche, per valutare i rischi connessi alle zoonosi o agli agenti zoonotici a livello degli Stati membri o a livello comunitario o per stabilire valori di riferimento ad essi correlati.
Le autorità competenti (degli Stati membri) hanno il compito di indagare sui focolai di tossinfezione alimentare, allo scopo di acquisire dati sul profilo epidemiologico, sui prodotti alimentari eventualmente coinvolti e sulle cause potenziali del focolaio [241].
La Commissione consulta l'Autorità europea per la sicurezza alimentare per qualsiasi questione rientrante nel campo di applicazione della direttiva che potrebbe avere un impatto significativo sulla salute pubblica; in particolare, è previsto il parere dell’Autorità per le modifiche agli allegati I [242] e II [243] nonché in occasione dell'elaborazione dei programmi coordinati di sorveglianza sopra ricordati.
Si ricorda infine che la presente direttiva:
- modifica la decisione 90/424/CEE del Consiglio (nella parte concernente i contributi finanziari comunitari per la sorveglianza ed il controllo di alcune zoonosi);
- abroga - a decorrere dal 12 giugno 2004 - la direttiva 92/117/CEE del Consiglio ("riguardante le misure di protezione dalle zoonosi specifiche e la lotta contro agenti zoonotici specifici negli animali e nei prodotti di origine animale allo scopo di evitare focolai di infezioni e intossicazioni alimentari").
Direttiva 2003/105/CE
(Modifica della direttiva 96/82/CE del Consiglio sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose)
In seguito agli incidenti industriali occorsi a Baia Mare[244] e ad Enschede nel 2000[245], quindi a Tolosa nel 2001[246], e in considerazione degli studi sulle sostanze cancerogene e sulle sostanze pericolose per l'ambiente acquatico effettuati dalla Commissione su richiesta del Consiglio, il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato, il 16 dicembre 2003, la direttiva 2003/105/CE ampliando il campo di applicazione della direttiva 96/82/CE del Consiglio, del 9 dicembre 1996, sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose, cosiddetta Seveso II.
La nuova direttiva, che novella la direttiva 96/82/CE, include ora nel campo di applicazione anche le operazioni di trattamento chimico e termico nell'industria mineraria, nonché gli impianti funzionali di gestione degli sterili contenenti sostanze pericolose e si applica anche alle sostanze cancerogene (modifiche agli artt. 4 e 6 della direttiva 96/82/CE).
Sono state inoltre rafforzate talune disposizioni in settori quali la trasmissione di informazioni all'autorità competente da parte degli stabilimenti per i quali la probabilità o le conseguenze di un incidente rilevante possono essere maggiori, ai fini della predisposizione dei piani di emergenza esterni (modifiche all’art. 8).
In relazione alla elaborazione del rapporto di sicurezza che il gestore dell’impianto è tenuto a presentare, ne viene integrato il relativo contenuto con ulteriori dati e con l'inventario aggiornato delle sostanze pericolose presenti nello stabilimento stesso (modifiche all’art. 9).
Vengono quindi previste misure dirette a rendere più efficaci i piani di emergenza interni allo stabilimento ed esterni e, per questi ultimi, per agevolare una cooperazione rafforzata negli interventi di soccorso della protezione civile in caso di emergenze gravi (modifiche all’art. 11).
Gli Stati dovranno provvedere affinché la loro politica in materia di assetto del territorio tenga conto della necessità, a lungo termine, di mantenere opportune distanze tra gli stabilimenti e le zone residenziali, gli edifici e le zone frequentate dal pubblico, le vie di trasporto principali, le aree ricreative e le aree di particolare interesse naturale o particolarmente sensibili dal punto di vista naturale (modifiche all’art. 12).
Modifiche sono infine disposte affinché le informazioni sulle misure di sicurezza da adottare e sulle norme di comportamento da osservare in caso di incidente siano fornite d'ufficio, regolarmente e nella forma più idonea, a ogni persona e a ogni struttura frequentata dal pubblico che possono essere colpite da un incidente rilevante (modifiche all’art. 13) e sullo scambio di informazioni tra gli Stati membri che sono tenuti a fornire alla Commissione un minimo di informazioni su tutti i siti «Seveso» ubicati sul loro territorio (modifiche all’art. 19).
Gli Stati membri devono conformarsi alla direttiva anteriormente al 1° luglio 2005, informandone immediatamente la Commissione.
Direttiva 2003/109/CE
(Status dei cittadini dei paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo)
La direttiva in esame, che gli Stati membri sono chiamati a recepire entro il 23 gennaio 2006, disciplina lo status dei cittadini provenenti da Paesi terzi che soggiornano da lungo periodo nell’Unione europea.
La direttiva stabilisce alcune norme relative alle condizioni e alle procedure per il riconoscimento giuridico di tale status, e ai diritti ad esso connessi.
Le condizioni per l’ottenimento del riconoscimento dello status sono:
§ 5 anni di soggiorno legale ed ininterrotto;
§ disponibilità di un reddito sufficiente e di una assicurazione contro le malattie;
§ comportamento tale da non costituire una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza interna.
Le procedure per l’esame della domanda volta a conseguire lo status di soggiornante di lungo periodo devono essere improntate all’efficacia, alla trasparenza e all’equità. Esse si concludono con il rilascio di un documento (permesso di soggiorno) attestante lo status.
Allo status di residente di lungo periodo sono collegati una serie di diritti quali:
§ la parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro in un ampia gamma di settori economici e sociali, tra cui l’assistenza sociale, almeno per quanto riguarda le prestazioni essenziali;
§ l’accesso al sistema educativo;
§ una tutela rafforzata contro l’espulsione che preveda l’accesso effettivo agli organi giurisdizionali;
§ il diritto di soggiorno in altri Stati membri;
§ il diritto all’unità familiare.
Il tema dell’immigrazione è divenuto una questione centrale per l’Unione europea soprattutto a partire dal 1999, quando il Consiglio europeo di Tampere ha stabilito che l’Unione elaborasse una politica comune in materia di asilo e immigrazione.
Da allora le azioni comunitarie si sono indirizzate su quattro direttrici:
§ partenariato con i Paesi d’origine dei flussi migratori;
§ regime europeo comune in materia di asilo;
§ gestione efficace dei flussi migratori;
§ equo trattamento dei cittadini dei Paesi terzi.
E proprio nell’ambito dell’attuazione di quest’ultimo punto ha avuto origine la direttiva in commento, proposta dalla Commissione il 13 marzo 2001.
Tra gli altri provvedimenti comunitari in vigore nel settore dell’immigrazione si ricordano quelli in materia di:
§ riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento;
§ definizione di favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali;
§ protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati;
§ accoglienza dei richiedenti asilo;
§ parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica.
Il Consiglio europeo di Salonicco (19-20 giugno 2003) ha proseguito nel processo di elaborazione di una politica comune in materia adottando alcune importanti decisioni, tra le quali:
§ l’istituzione di una agenzia per la cooperazione nella gestione e controllo comune delle frontiere esterne, anche marittime, dell’Unione;
§ l’adozione di un sistema di visti comuni;
§ l’armonizzazione dei passaporti europei che dovrebbero trasformarsi in futuro in passaporti elettronici contenenti i dati biometrici del portatore;
§ l’istituzione di una politica comune in materia di asilo e di rimpatrio dei clandestini;
§ il rafforzamento del partenariato con i Paesi terzi;
§ il finanziamento di 140 milioni di euro nel periodo 2004-2006 da destinare alla gestione delle frontiere esterne, allo sviluppo del sistema dei visti e al programma di azione sul rimpatrio.
Ai sensi della direttiva in commento, lo status di soggiornante di lungo periodo viene conferito in modo permanente - salvo revoca - da parte di uno Stato membro a cittadini di Paesi terzi che abbiano soggiornato nel suo territorio in modo legale ed ininterrottamente nei cinque anni precedenti la domanda (articolo 4, comma 1). Non sono presi in considerazione i periodi di permanenza del personale diplomatico e di coloro che soggiornano per motivi di carattere temporaneo (lavoratori stagionali, “alla pari” ecc.), mentre i periodi di studio o di formazione professionale, sono computati soltanto per metà (articolo 4, comma 2).
I cittadini richiedenti devono comprovare la disponibilità di risorse stabili e regolari, sufficienti ad assicurare il loro sostentamento e quello dei familiari senza il ricorso al sistema sociale dello Stato, nonché il possesso di una assicurazione sanitaria (articolo 5). Il diniego da parte dello Stato membro al conferimento dello status può essere motivato da ragioni di ordine pubblico o di sicurezza, ma non da considerazioni di tipo economico (articolo 6).
Ai soggiornanti di lungo periodo la direttiva stabilisce venga rilasciato un permesso di soggiorno CE, valido ed uniforme in tutti gli Stati membri ai sensi del Regolamento (CE) n. 1030/2002[247], di durata almeno quinquennale, la cui scadenza non comporti in nessun caso la perdita dello status medesimo (articolo 8).
Le cause di revoca dello status sono riferibili alla constatazione dell'acquisizione fraudolenta dello stesso, ad una assenza dal territorio comunitario per un periodo di dodici mesi consecutivi, o ancora al fatto che la presenza del soggiornante costituisca una minaccia grave per l'ordine o la sicurezza pubblici, tale da legittimarne l'allontanamento (articolo 9).
L’eventuale provvedimento di rifiuto o revoca dello status di soggiornante di lungo periodo deve essere motivato e deve essere notificato all’interessato con l’indicazione delle modalità e dei termini di impugnazione (articolo10).
La direttiva stabilisce quindi che lo "status di soggiornante di lungo periodo" consenta allo straniero di essere equiparato ai cittadini nazionali - salvo parziali limitazioni che gli Stati possono comunque introdurre - nell'esercizio di attività lavorative, nei campi della istruzione, della formazione professionale e del riconoscimento dei titoli, nonché nella possibilità di beneficiare delle prestazioni sociali, delle agevolazioni fiscali, dell'accesso a beni e servizi (comprese le procedure per l'ottenimento di un alloggio), della libertà di associazione, di adesione, di partecipazione e di accesso a tutto il territorio dello Stato stesso. La direttiva, inoltre, prevede la possibilità che gli Stati membri estendano la parità di trattamento a settori diversi da quelli menzionati (articolo 11).
La direttiva in commento dispone poi che al soggiornante di lungo periodo sia altresì consentito di soggiornare e godere dello stesso trattamento a lui riservato nel primo Stato, nel territorio di altri Stati membri in qualità di lavoratore autonomo o dipendente, per frequentare corsi e attività di formazione professionale o anche per altri scopi (articolo 14), purché presenti entro tre mesi dal suo ingresso una domanda di permesso di soggiorno alle autorità competenti, dalle quali può essere chiamato a fornire prova della disponibilità di risorse stabili e regolari, sufficienti a sé ed alla propria famiglia, e di idonea assicurazione sanitaria (articolo 15). Il medesimo diritto è esteso anche ai familiari di cui alla direttiva 2003/86/CE ("Direttiva del Consiglio relativa al diritto al ricongiungimento familiare")[248] - ovvero al coniuge del soggiornante ed ai figli minorenni di entrambi, anche se adottati - purché già uniti al soggiornante nel primo Stato membro. Lo Stato di nuova accoglienza, tuttavia, può respingere le domande di soggiorno qualora i richiedenti rappresentino una minaccia per l'ordine pubblico o la pubblica sicurezza (articolo 17), ovvero per la sanità pubblica (articolo 18); inoltre può decidere, prima che il cittadino del Paese terzo abbia ottenuto lo status di soggiornante di lungo periodo, di rifiutare il rinnovo o di revocare il titolo di soggiorno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza o perché siano cessate le condizioni prescritte per il rilascio, e di allontanarlo dal proprio territorio (articolo 22). Contro il diniego, il mancato rinnovo o la revoca del titolo di soggiorno, la direttiva dispone che sia consentito all'interessato il diritto all'impugnativa (articolo 20). Nel caso di adozione di tali provvedimenti, il primo Stato membro è tenuto a riammettere immediatamente senza procedure formali il soggiornante di lungo periodo e i suoi familiari (articolo 22, comma 2). Nel caso in cui, invece, una stabilizzazione della situazione di soggiorno renda possibili le condizioni previste per la domanda, il cittadino di Paese terzo, già "soggiornante di lungo periodo" in uno Stato membro, può richiedere il riconoscimento del medesimo status anche al secondo Stato membro (articolo 23).
Per esigenze di coordinamento fra gli Stati membri, la direttiva dispone che gli Stati membri assicurino un adeguato livello di cooperazione nello scambio di informazioni e di documentazione in materia (articolo 25).
Si rammenta che nel nostro ordinamento esiste una disciplina specifica in materia.
L’articolo 9 del testo unico in materia di immigrazione[249], infatti, prevede che lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato da almeno sei anni[250] può fare richiesta di una carta di soggiorno a tempo indeterminato.
La carta è concessa ad una serie di condizioni: oltre a soggiornare nel territorio italiano da almeno sei anni, lo straniero deve essere in possesso di un permesso di soggiorno che consenta un numero indeterminato di rinnovi e deve dimostrare di avere un reddito sufficiente per il proprio sostentamento e per quello dei suoi familiari.
Il possesso della carta di soggiorno conferisce allo straniero una serie di diritti, quali:
§ entrare in Italia senza bisogno del visto di ingresso;
§ svolgere qualsiasi attività lecita nel territorio dello Stato, ad eccezioni di quelle espressamente vietate agli stranieri;
§ accedere ai servizi ed alle prestazioni erogate dalla pubblica amministrazione;
§ partecipare alla vita pubblica locale.
Inoltre, nei confronti del titolare della carta di soggiorno può essere disposta l’espulsione amministrativa solamente in un limitato numero di circostanze.
Documenti all’esame delle istituzioni europee
Il 3 giugno 2003 la Commissione ha presentato una comunicazione[251]su immigrazione, integrazione e occupazione.
La comunicazione passa in rassegna le politiche in vigore, sia a livello nazionale sia dell'UE, per favorire l'integrazione dei cittadini di paesi terzi. Esamina inoltre, nel contesto dell'invecchiamento della popolazione, il ruolo dell'immigrazione in relazione agli obiettivi di Lisbona e formula orientamenti politici e priorità (comprendenti azioni a livello dell'UE) in appoggio alle strategie nazionali in materia d'integrazione.
In particolare – dopo aver ricordato come il Consiglio europeo di Tampere (ottobre 1999) avesse richiesto “una politica di integrazione più incisiva”, mirante a “garantire ai cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente nel territorio degli Stati membri diritti e obblighi analoghi a quelli dei cittadini dell’UE” – la Commissione ripropone il concetto di “cittadinanza civile”, da essa introdotto già nel novembre 2000 (COM/2000/757). Tale concetto è definibile come un nucleo comune di diritti e doveri fondamentali (oggi individuabili alla luce della Carta dei diritti fondamentali) che il migrante acquisisce gradualmente nel corso di un certo numero di anni, in modo da garantire che questi goda dello stesso trattamento concesso ai cittadini del paese ospitante, anche quando non sia naturalizzato.
Un aspetto della “cittadinanza civile” è la possibilità di accedere alla partecipazione politica: a tale riguardo, la Commissione ritiene che conferire diritti politici ai migranti residenti di lungo periodo sia importante ai fini del processo di integrazione e chiede agli Stati membri, all’atto di trasporre la direttiva sullo status dei residenti di lungo periodo nella legislazione nazionale, di valutare l’opportunità di concedere, soprattutto a livello locale, diritti politici ai migranti che siano residenti di lungo periodo.
Il Parlamento europeo ha esaminato la comunicazione nella seduta del 15 gennaio 2004 approvando una risoluzione nella quale, tra l’altro, appoggia l’idea di creare una “cittadinanza civile” che permetta ai cittadini dei paesi terzi che risiedono legalmente nell’Unione europea di beneficiare di uno status che preveda diritti e doveri di natura economica, sociale e politica, incluso il diritto di voto per le elezioni municipali ed europee.
Direttiva 2003/110/CE
(Assistenza durante il transito nell’ambito di provvedimenti di espulsione per via aerea)
Il ricorso alla via aerea per l’espulsione dei cittadini di Paesi terzi, o in quanto immigrati illegalmente o perché condannati per reati che prevedono tale misura, si sta diffondendo sempre più nell’Unione europea. Nonostante gli sforzi degli Stati membri di ricorrere prioritariamente a collegamenti aerei diretti, può essere necessario, per motivi economici o tecnici, utilizzare collegamenti che prevedono scali intermedi in aeroporti di transito di altri Stati dell’Unione.
La presente direttiva - che dovrà essere recepita entro il 6 dicembre 2005 - ha lo scopo di definire alcune misure comuni in materia di assistenza tra le autorità competenti qualora nell'ambito di una procedura di espulsione, con o senza scorta, si verifica appunto il transito negli Stati membri[252].
La direttiva risponde ad una duplice necessità: in primo luogo, dotare l’Unione di misure comuni contro l’immigrazione illegale e clandestina, il cui contrasto è ormai considerato come una delle priorità della politica comunitaria[253]. Inoltre, una regolamentazione vincolante contribuisce alla sicurezza giuridica e alla armonizzazione delle procedure.
Le autorità di uno Stato membro che devono rimpatriare uno cittadino di un Paese terzo per via aerea devono in via generale utilizzare collegamenti diretti verso il Paese di destinazione.
Solamente nel caso in cui questo non sia possibile, si può fare richiesta ad un altro Stato membro di transitare per via aerea attraverso il suo territorio (articolo 3, comma 2).
Lo Stato di transito deve accogliere in via generale la richiesta. Ha la facoltà di opporsi ad essa solamente se si verificano alcune circostanze espressamente indicate dalla legge (articolo 3, comma 3):
§ l’espulso è imputato o ricercato per gravi reati oppure la sua presenza è considerata una grave minaccia per la sicurezza e l’ordine pubblico;
§ il transito non è fattibile;
§ è previsto un cambio di aeroporto nel proprio territorio;
§ l’assistenza richiesta non può essere fornita nel momento richiesto e deve essere posticipato il transito.
La direttiva disciplina le procedure per la richiesta di transito (articolo 4). Essa deve essere presentata per iscritto almeno entro due giorni dalla partenza, entro i quali deve essere data risposta.
Tuttavia, gli Stati membri possono procedere ad intese od accordi tra loro di carattere generale che consentano una procedura semplificata che prevede la semplice notifica da parte del Paese che deve effettuare l’espulsione.
Gli Stati membri devono comunque provvedere a nominare ciascuno un’autorità centrale alla quale sono trasmesse le richieste; a loro volta le autorità centrali nominano, negli aeroporti di transito pertinenti, “punti di contatto” accessibili per tutta la durata delle operazioni di transito.
Sono inoltre regolate dettagliatamente le modalità di assistenza e i reciproci obblighi delle autorità dei due paesi.
In particolare, le operazioni di transito devono svolgersi nel più breve tempo possibile e comunque entro 24 ore e lo Stato di transito deve assicurare tutte le misure di sostegno necessarie nelle operazioni (articolo 5).
Nell’attuazione di tali operazioni, i poteri dei componenti della scorta – che non possono portare armi e devono vestire abiti civili - sono limitati all’autodifesa (articolo 7).
La direttiva fa salvi gli obblighi derivanti dalla convenzione di Ginevra del 1951 sullo status rifugiati[254], le convenzioni internazionali in materia di diritti dell’uomo[255] e dalle convenzioni internazionali in materia di estradizione[256] (articolo 8).
Ad un comitato ad hoc, da istituirsi nell’ambito della Commissione ai sensi della decisione 1999/468/CE[257], è affidati il compito di adottare le misure di esecuzione necessarie per l’attuazione della direttiva, ed in particolare le misure relative all’aggiornamento e all’adeguamento della richiesta di transito (il cui modello è indicato in allegato alla direttiva) e le modalità di trasmissione della stessa (articoli 4 e 9).
Procedure di infrazione
Il 20 ottobre 2003 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivatoper il mancato recepimento della direttiva 2001/40/CE relativa al riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento dei cittadini di paesi terzi (termine di recepimento: 2 dicembre 2002).
La direttiva 2001/40/CE figurava nell’allegato A della legge comunitaria per il 2001 (legge 1° marzo 2002, n. 39) e in quello della legge comunitaria per il 2003 (legge 31 ottobre 2003, n. 306) ma non risulta ad oggi trasposta nel diritto interno.
Documenti all’esame delle istituzioni europee
Il 9 settembre 2003 l’Italia ha presentato un’iniziativa[258] per l'adozione di una direttiva relativa all'assistenza durante il transito attraverso il territorio di uno o più Stati membri, nell'ambito di provvedimenti di allontanamento adottati dagli Stati membri nei confronti di cittadini di paesi terzi.
La proposta, che segue la procedura di consultazione, è in attesa di esame da parte del Parlamento europeo e del Consiglio.
Il 22 dicembre 2003 il Consiglio ha adottato delle conclusioni sull'assistenza durante il transito di breve durata per via terrestre o marittima, attraverso il territorio di un altro Stato membro, durante l'esecuzione di un provvedimento di allontanamento adottato da uno Stato membro nei confronti di un cittadino di un paese terzo. Nel testo il Consiglio sottolinea l'importanza di completare il quadro definito dalla direttiva 2003/110/CE intensificando la cooperazione operativa tra le autorità nazionali degli Stati membri e ricorda che il transito attraverso il territorio di un altro Stato membro deve mantenere un carattere di eccezionalità. Incoraggia gli Stati membri ad accordarsi al fine di semplificare il transito e lo Stato membro interessato a fornire mezzi fisici di assistenza per facilitare le operazioni di transito.
L’8 giugno 2004 il Consiglio ha adottato delle conclusioni relative alla gestione dei rimpatri nell'ambito delle migrazioni.
Nelle conclusioni il Consiglio stabilisce orientamenti per l'adozione di misure preparatorie per la gestione dei rimpatri di persone che soggiornano clandestinamente nell'Unione europea verso i paesi d'origine, precedente residenza o transito. Tali misure hanno il fine di agevolare la cooperazione operativa tra Stati membri. Il Consiglio ritiene che la Commissione dovrebbe, in stretta cooperazione con gli Stati membri, formulare ogni anno piani di rimpatrio integrati e la invita a tener conto dei suoi orientamenti per quanto riguarda l'individuazione di gruppi bersaglio e/o le misure specifiche da prendere. Il Consiglio sottolinea altresì che la Commissione dovrebbe concludere accordi bilaterali o multilaterali con paesi terzi e/o organizzazioni internazionali sull'attuazione dei piani di rimpatrio.
Direttiva 2003/124/CE
(Comunicazione di informazioni privilegiate e la definizione di manipolazione del mercato, per l’attuazione della direttiva 2003/6/CE)
La direttiva 2003/124/CE del 22 dicembre 2003, riguardante la definizione e la comunicazione al pubblico delle informazioni privilegiate e la definizione di manipolazione del mercato, costituisce, assieme alla direttiva 2003/125/CE della stessa data, il primo pacchetto di misure di applicazione della direttiva 2003/6/CE del 3 dicembre 2002, relativa agli abusi di mercato.
L’articolo 1 della direttiva 2003/124/CE specifica alcuni elementi della definizione di informazione privilegiata.
È informazione di carattere preciso quella che si riferisce a un complesso di circostanze esistente, o di cui si possa ragionevolmente ritenere che venga ad esistere, o ad un evento verificatosi, o di cui si possa ragionevolmente ritenere che si verificherà, e che è sufficientemente specifica da consentire di trarre conclusioni sul possibile effetto di detto complesso di circostanze o di detto evento sui prezzi di strumenti finanziari o di strumenti finanziari derivati connessi.
È informazione che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari ovvero sui prezzi di strumenti finanziari derivati connessi l’informazione tale da essere presumibilmente utilizzata da un investitore ragionevole come uno degli elementi su cui fondare le proprie decisioni d’investimento.
L’articolo 2 prescrive agli Stati membri di assicurare che le informazioni privilegiate vengano rese pubbliche dall'emittente secondo modalità che consentano un accesso rapido e una valutazione completa, corretta e tempestiva dell'informazione da parte del pubblico. La comunicazione al pubblico di informazioni privilegiate deve inoltre avvenire in maniera quanto più possibile sincronizzata presso tutte le categorie di investitori e in tutti gli Stati membri in cui sono negoziati gli strumenti finanziari. È inoltre estesa a queste informazioni la disciplina recata dagli articoli 102, paragrafo 1 (pubblicazione mediante annunci su giornali a diffusione nazionale) e 103 (redazione delle comunicazioni nelle lingue ufficiali o in lingue d’uso comune in materia finanziaria) della direttiva 2001/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio.
L’articolo 3 contempla circostanze che giustificano il rinvio della comunicazione al pubblico. Esse si riferiscono:
a) alle negoziazioni in corso, o ad elementi connessi, nel caso in cui la comunicazione al pubblico possa comprometterne l'esito o il normale andamento, o di compromettere gravemente gli interessi degli azionisti esistenti o potenziali, in quanto pregiudicherebbe la conclusione di trattative miranti ad assicurare il risanamento finanziario a lungo termine dell'emittente;
b) alle decisioni adottate o ai contratti conclusi dall'organo direttivo di un emittente la cui efficacia sia subordinata all'approvazione di un diverso e separato organo dell'emittente, a condizione che la comunicazione, combinata con il simultaneo annuncio che l'approvazione è ancora in corso, possa compromettere la corretta valutazione dell'informazione da parte del pubblico.
È prescritto agli Stati membri d’imporre in questi casi agli emittenti di controllare l'accesso alle informazioni privilegiate, al fine di assicurarne la riservatezza, in particolare adottando:
a) meccanismi efficaci per impedire l'accesso a tali informazioni a persone diverse da coloro che necessitano di esse per l'esercizio delle loro funzioni nell'ambito dell'emittente;
b) le misure necessarie per garantire che le persone che hanno accesso a tali informazioni conoscano i doveri che ne derivano e le sanzioni per la loro violazione;
c) misure che consentano l'immediata comunicazione al pubblico delle informazioni privilegiate, qualora non siano stati in grado di assicurarne la riservatezza.
Gli articoli 4 e 5 specificano una serie di fattori di cui si deve tenere conto per la definizione di un determinato comportamento come manipolazione del mercato.
L’articolo 4, in rapporto alla nozione di manipolazioni consistenti nel fornire indicazioni false o fuorvianti e nel fissare i prezzi, prescrive agli Stati membri di assicurare che i partecipanti al mercato e le autorità competenti, al momento di esaminare le operazioni o gli ordini di compravendita, tengano conto delle indicazioni di cui al successivo elenco non esaustivo, le quali non devono essere considerate come costituenti di per sé una manipolazione di mercato:
a) la misura in cui gli ordini di compravendita impartiti o le operazioni eseguite rappresentano una quota significativa del volume giornaliero di scambi dello strumento finanziario pertinente nel mercato regolamentato interessato, in particolare quando tali attività determinano una significativa variazione del prezzo dello strumento finanziario;
b) la misura in cui gli ordini di compravendita impartiti o le operazioni eseguite da soggetti con una significativa posizione di acquisto o di vendita su uno strumento finanziario determinano significative variazioni del prezzo dello strumento finanziario o dello strumento derivato collegato o dell'attività sottostante ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato;
c) se le operazioni eseguite non determinano alcuna variazione nella proprietà beneficiaria di uno strumento finanziario ammesso alla negoziazione in un mercato regolamentato;
d) la misura in cui gli ordini di compravendita impartiti o le operazioni eseguite prevedono inversioni di posizione nel breve periodo e rappresentano una quota significativa del volume giornaliero di scambi dello strumento finanziario pertinente nel mercato regolamentato interessato e possono associarsi a significative variazioni del prezzo di uno strumento finanziario ammesso alla negoziazione in un mercato regolamentato;
e) la misura in cui gli ordini di compravendita impartiti o le operazioni eseguite sono concentrati in un breve lasso di tempo nel corso della sessione di negoziazione e determinano una variazione del prezzo che successivamente si inverte;
f) la misura in cui gli ordini di compravendita impartiti modificano la rappresentazione dei migliori prezzi delle proposte in denaro e lettera di uno strumento finanziario ammesso alla negoziazione in un mercato regolamentato o, più in generale, la misura in cui essi modificano la rappresentazione del prospetto degli ordini a disposizione dei partecipanti al mercato, e sono revocati prima della loro esecuzione;
g) la misura in cui gli ordini vengono impartiti e le operazioni eseguite al momento o intorno al momento in cui vengono calcolati i prezzi di riferimento, i prezzi di regolamento e i prezzi di valutazione, determinando variazioni nei prezzi che hanno effetti su detti prezzi di riferimento, di regolamento o di valutazione.
A norma dell’articolo 5, in rapporto alla nozione di manipolazioni consistenti nell'utilizzazione di artifici o di ogni altro tipo di inganno o espediente, gli Stati membri debbono assicurare che i partecipanti al mercato e le autorità competenti, al momento di esaminare le operazioni o gli ordini di compravendita, tengano conto delle indicazioni di cui al successivo elenco non esaustivo, le quali non devono essere considerate come costituenti di per sé una manipolazione di mercato:
a) se gli ordini di compravendita impartiti o le operazioni eseguite da persone sono preceduti o seguiti dalla diffusione di informazioni false o fuorvianti da parte delle stesse persone o da persone ad esse collegate;
b) se vengono impartiti ordini di compravendita o eseguite operazioni da parte di persone, prima o dopo che le stesse persone o persone ad esse collegate abbiano elaborato o diffuso ricerche o raccomandazioni di investimento errate o tendenziose o manifestamente influenzate da interessi rilevanti.
Il termine per il recepimento della direttiva in esame da parte degli Stati è fissato al 12 ottobre 2004.
Direttiva 2003/125/CE
(Corretta presentazione delle raccomandazioni di investimento e la comunicazione al pubblico di conflitti di interesse, per l’attuazione della direttiva 2003/6/CE)
La direttiva 2003/125/CE del 22 dicembre 2003, riguardante la corretta presentazione delle raccomandazioni di investimento e la comunicazione al pubblico di conflitti di interesse, costituisce, assieme alla direttiva 2003/124/CE della stessa data, il primo pacchetto di misure di applicazione della direttiva 2003/6/CE del 3 dicembre 2002, relativa agli abusi di mercato.
L’articolo 1 reca alcune definizioni.
Sono raccomandazioni d’investimento le ricerche e le altre informazioni, destinate ai canali di distribuzione o al pubblico, intese a raccomandare o a proporre, in maniera esplicita o implicita, una strategia d’investimento in merito ad uno o a più strumenti finanziari o emittenti di strumenti finanziari.
Le ricerche o le altre informazioni intese a raccomandare o a proporre una strategia d’investimento sono:
a) le informazioni elaborate da un analista indipendente, da un'impresa d’investimento, da un ente creditizio, da soggetti la cui principale attività consiste nell'elaborazione di raccomandazioni o da una persona fisica che lavori per loro in base ad un contratto di lavoro o altro, con cui, direttamente o indirettamente, viene formulata una particolare raccomandazione di investimento in merito ad uno strumento finanziario o ad un emittente di strumenti finanziari; oppure:
b) le informazioni elaborate da soggetti diversi dai soggetti di cui alla lettera a) intese a raccomandare direttamente una particolare decisione di investimento in uno strumento finanziario.
I consigli d’investimento per mezzo di raccomandazioni personali, fornite ai clienti in merito ad una o a più operazioni aventi ad oggetto strumenti finanziari, non sono considerati raccomandazioni ai sensi della direttiva in esame (considerando numero 3).
L’articolo 2 disciplina la comunicazione dell'identità del soggetto che elabora le raccomandazioni d’investimento, delle regole di condotta e dell'identificazione dell'autorità competente cui è sottoposto. Tali elementi possono invero costituire per gli investitori un utile elemento d’informazione da prendere in considerazione nella formazione delle decisioni.
In particolare, è prescritto agli Stati membri di garantire che ogni raccomandazione riporti in modo chiaro e visibile l'identità del soggetto responsabile della sua elaborazione, in particolare il nome e la funzione del soggetto che ha preparato la raccomandazione e la denominazione della persona giuridica responsabile della sua elaborazione, nonché, qualora il soggetto sia un'impresa d’investimento o un ente creditizio, la relativa autorità competente. Qualora si tratti di una diversa entità soggetta a norme di autoregolamentazione o a codici di condotta, dev’essere indicato il riferimento a tali norme o codici. Questi obblighi debbono essere adeguati (ad esempio mediante rinvio a fonti accessibili), in modo da non risultare sproporzionati nel caso di raccomandazioni non scritte. Essi non si applicano ai giornalisti soggetti negli Stati membri ad appropriata regolamentazione equivalente, anche in forma di autoregolamentazione.
Gli articoli 3 e 4 dettano criteri per la corretta e accurata presentazione delle raccomandazioni d’investimento.
L’articolo 3 indica le regole generali per la corretta presentazione delle raccomandazioni (distinzione dei fatti dalle interpretazioni, verifica dell’attendibilità delle fonti o enunciazione delle riserve al riguardo esistenti, esplicitazione dei criteri impiegati nel formulare e utilizzare proiezioni, previsioni e obiettivi).
L’articolo 4 reca prescrizioni ulteriori riguardanti gli analisti indipendenti, le imprese d’investimento, gli enti creditizi, le persone giuridiche collegate e gli altri soggetti la cui attività principale consista nell'elaborazione di raccomandazioni nonché le persone fisiche che lavorano per questi. Sono richieste l’indicazione di tutte le più importanti fonti d’informazione (specificandosi se la raccomandazione sia stata comunicata all'emittente e modificata a seguito di tale comunicazione prima della diffusione al pubblico) nonché degli elementi e metodi utilizzati; la spiegazione del significato di ogni raccomandazione formulata («acquistare», «vendere», «mantenere»), con segnalazione dei rischi eventualmente insiti; la menzione della frequenza degli aggiornamenti; la data di diffusione della raccomandazione nonché la data e l'ora di tutti i prezzi degli strumenti finanziari menzionati. Nel caso in cui una raccomandazione differisca da una raccomandazione relativa allo stesso strumento finanziario o allo stesso emittente emessa nel corso dei dodici mesi precedenti, debbono essere evidenziate la modifica e la data della prima raccomandazione.
Gli articoli 5 e 6 disciplinano la comunicazione al pubblico di interessi e di conflitti d’interesse. A tal fine le persone fisiche o giuridiche che, nell'esercizio della propria professione o attività, elaborano o diffondono raccomandazioni sono tenute a comunicare al pubblico tutti i rapporti e tutte le circostanze che possono essere ragionevolmente ritenuti tali da compromettere l'obiettività della raccomandazione, in particolare nel caso in cui questi soggetti abbiano un rilevante interesse finanziario in uno o in più strumenti finanziari oggetto della raccomandazione o versino in un rilevante conflitto d’interesse in rapporto all'emittente cui la raccomandazione si riferisce.
Nel caso delle persone giuridiche, la comunicazione riguarda gli interessi o i conflitti di interesse del soggetto pertinente o delle persone giuridiche collegate che siano o possano ragionevolmente ritenersi accessibili ai soggetti che partecipano alla preparazione della raccomandazione o che, pur non avendo partecipato alla preparazione della raccomandazione, avevano accesso alla raccomandazione prima che essa venisse diffusa ai clienti o al pubblico.
Obblighi specifici sono enunziati all’articolo 6 per gli analisti indipendenti, le imprese d’investimento, gli enti creditizi, le persone giuridiche collegate e gli altri soggetti la cui attività principale consiste nell'elaborazione di raccomandazioni. In questi casi, debbono essere comunicate le partecipazioni rilevanti (oltre il 5%) esistenti tra il soggetto pertinente, o le persone giuridiche collegate, e l'emittente; gli altri interessi finanziari rilevanti detenuti dal soggetto pertinente o dalle persone giuridiche collegate in rapporto all'emittente; eventualmente, lo svolgimento di funzioni di market maker o fornitore di liquidità, lead-manager o di co-lead manager nell'ambito di un'offerta pubblica di strumenti finanziari, la prestazione di servizi di finanza aziendale per l’emittente, o accordi con esso relativamente all'elaborazione della raccomandazione. È inoltre prescritta la comunicazione dei meccanismi organizzativi e amministrativi, ivi comprese le barriere allo scambio di informazioni, posti in essere all'interno dell'impresa d’investimento o dell'ente creditizio per prevenire ed evitare conflitti di interesse in rapporto alle raccomandazioni.
Per quanto riguarda le persone fisiche o giuridiche che lavorino per un'impresa di investimento o un ente creditizio e abbiano partecipato alla preparazione della raccomandazione, deve comunicarsi se la remunerazione di tali persone sia legata ad operazioni di finanza aziendale effettuate dal soggetto pertinente o dalle persone giuridiche collegate e, qualora esse ricevano o acquistino le azioni dell'emittente prima della loro offerta pubblica, il prezzo e la data d'acquisto.
Le imprese d’investimento e gli enti creditizi debbono altresì comunicare trimestralmente al pubblico la percentuale delle raccomandazioni «acquistare», «mantenere», «vendere» e, per ognuna di tali categorie, la percentuale degli emittenti ai quali l'impresa di investimento o l'ente creditizio ha fornito rilevanti servizi di finanza aziendale nel corso dei precedenti dodici mesi.
Gli articoli 7, 8 e 9 disciplinano la diffusione delle raccomandazioni elaborate da terzi, prevedendo in particolare che sia indicata in modo chiaro e visibile l'identità del soggetto che, sotto la propria responsabilità, diffonde la raccomandazione.
Conformemente all'articolo 6 della direttiva 2003/6/CE sugli abusi di mercato, le modalità di esecuzione contenute in questa direttiva tengono conto delle norme, comprese quelle di autoregolamentazione, che disciplinano la professione di giornalista. I giornalisti, in particolare quelli specializzati nel settore finanziario, che elaborano o diffondono raccomandazioni di investimento debbono attenersi a determinati princìpi generali. La direttiva contempla tuttavia misure di tutela e consente il ricorso a meccanismi di autoregolamentazione al fine di stabilire le modalità di applicazione dei suddetti princìpi generali. Questa soluzione mira a garantire la libertà di stampa, tutelando allo stesso tempo gli investitori e gli emittenti dai rischi di eventuali manipolazioni di mercato per opera di soggetti che svolgono la professione giornalistica.
Il termine per il recepimento della direttiva in esame da parte degli Stati è fissato al 12 ottobre 2004.
Direttiva 2004/8/CE
(Promozione della cogenerazione basata su una domanda di calore utile nel mercato interno dell’energia)
La Direttiva 2004/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 febbraio 2004, sulla promozione della cogenerazione cita, nei considerando introduttivi, le osservazioni avanzate nel Libro verde “Verso una strategia europea per la sicurezza dell'approvvigionamento energetico” , circa l’opportunità di perseguire l’obiettivo della sicurezza dell’approvvigionamento energetico attraverso una pluralità di iniziative dirette, fra l'altro, alla diversificazione delle fonti e delle tecnologie. In tal senso, l'uso crescente della cogenerazione orientato verso il risparmio di energia primaria, viene considerato un elemento importante del pacchetto di misure necessarie per conseguire gli obiettivi di riduzione di gas serra derivanti dal Protocollo di Kyoto allegato alla Convenzione quadro delle Nazioni unite sul cambiamento climatico.
La direttiva in esame definisce tra l’altro «cogenerazione» la generazione simultanea in un unico processo di energia termica ed elettrica e/o di energia meccanica (art.3).
L'obiettivo della direttiva è l'istituzione di un quadro comune trasparente per promuovere e facilitare l'installazione di impianti di cogenerazione dove esiste o è prevista una domanda effettiva di calore utile (art.1). A tal fine, la direttiva prevede che la Commissione adotti, entro il 21 febbraio 2006, i valori di rendimento di riferimento per la cogenerazione, i quali si fondano su una matrice di fattori differenziati, tra i quali l'anno di costruzione dell’impianto e i tipi di combustibile impiegato. Tali valori devono essere aggiornati, per la prima volta il 21 febbraio 2011 e successivamente ogni quattro anni, onde tenere conto degli sviluppi tecnologici e delle variazioni nella distribuzione delle fonti energetiche (art. 4).
Sulla base dei valori di rendimento fissati a livello comunitario, entro sei mesi dall’adozione di detti valori, agli Stati membri è fatto obbligo di far sì che sia garantita da criteri oggettivi, trasparenti e non discriminatori, l’elettricità prodotta dalla cogenerazione ad alto rendimento, attraverso l’emissione di una apposita garanzia di origine, rilasciata su richiesta del produttore. Tali garanzie devono essere reciprocamente riconosciute dagli Stati membri (art. 5).
La direttiva obbliga altresì gli Stati membri ad effettuare un'analisi del potenziale nazionale per l'attuazione della cogenerazione ad alto rendimento, compresa la micro - cogenerazione ad alto rendimento, nonché a valutare, per la prima volta entro il 21 febbraio 2007 e successivamente ogni quattro anni - dietro richiesta della Commissione presentata almeno sei mesi prima della data prevista - i progressi compiuti per aumentare la quota della cogenerazione ad alto rendimento (art. 6).
Gli Stati membri sono inoltre tenuti ad assicurare che i regimi di sostegno alla cogenerazione si basino sulla domanda di calore utile e sui risparmi di energia primaria, alla luce delle opportunità disponibili di riduzione della domanda energetica tramite altre misure economicamente realizzabili o vantaggiose dal punto di vista ambientale (come le altre misure relative all'efficienza energetica). La direttiva, che fa salva la disciplina comunitaria relativa agli aiuti di Stato, dispone che la Commissione valuti i regimi pubblici di sostegno diretto ed indiretto alla cogenerazione, che potrebbero avere un effetto distorsivo nel mercato interno.
Al fine di garantire la trasmissione e la distribuzione di elettricità prodotta mediante cogenerazione ad alto rendimento, agli Stati membri è fatto obbligo di facilitare l'accesso alla rete dell'elettricità prodotta da unità di cogenerazione che utilizzano fonti di energia rinnovabili. Inoltre, previa notifica alla Commissione, gli Stati membri possono rendere particolarmente agevole l'accesso alla rete dell'elettricità da cogenerazione ad alto rendimento, prodotta da unità di piccola cogenerazione e di micro-cogenerazione (art. 8).
Agli Stati membri o agli organi competenti, nominati dagli Stati membri, è fatto obbligo di valutare il quadro legislativo e regolamentare esistente relativo alle procedure di autorizzazione per nuove capacità applicabili alle unità di cogenerazione ad alto rendimento. Ciò al fine, tra l’altro, di razionalizzare e accelerare le stesse procedure autorizzatorie e dunque di ridurre gli ostacoli di ordine regolamentare e di altro tipo all'aumento della cogenerazione. Le norme autorizzatorie debbono peraltro essere oggettive, trasparenti e non discriminatorie e tener pienamente conto delle particolarità delle varie tecnologie di cogenerazione (art. 9).
La direttiva prevede, inoltre, che, entro il 21 febbraio 2006, gli Stati membri pubblichino una relazione contenente i risultati delle analisi e valutazioni circa: l’affidabilità del sistema di garanzia d’origine, di cui all’articoli 5, paragrafo 3; il potenziale nazionale per l’attuazione della cogenerazione ad alto rendimento, di cui all’art. 6, paragrafo 1; il quadro legislativo e regolamentare autorizzatorio per nuove capacità, di cui all’art. 9, paragrafi 1 e 2, e dei progressi compiuti per un suo snellimento (art. 10).
Sulla base delle relazioni presentate dagli Stati membri, la Commissione, entro il 21 febbraio 2008 e successivamente ogni quattro anni, valuta l'applicazione della presente direttiva e trasmette al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione di sintesi sull'attuazione della stessa. La relazione contine un'analisi ben documentata circa l'esperienza maturata nell'applicazione e nella coesistenza dei diversi meccanismi di sostegno nonchè una valutazione relativa ai regimi di sostegno, che hanno contribuito a creare condizioni stabili per gli investimenti nella cogenerazione (artt. 7 e 11).
La direttiva prevede inoltre che gli Stati membri possano operare, fino al 2010, talune deroghe ai criteri indicati negli allegati II e III della direttiva, rispettivamente per il calcolo dell’elettricità da cogenerazione e del rendimento del processo di cogenerazione (art. 12).
I valori soglia usati per calcolare l'elettricità da cogenerazione di cui all'allegato II, lettera a), e quelli usati per calcolare il rendimento della produzione mediante cogenerazione e il risparmio di energia primaria di cui all'allegato III, lettera a), della direttiva, sono adeguati al progresso tecnico ad opera della Commissione, assistita da un comitato di regolamentazione (art. 13 e 14).
Il termine per gli Stati membri per porre in essere le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva è fissato al 21 febbraio 2006 (art. 15).
La direttiva in esame, modificando l’articolo 3, par. 1, della direttiva 92/42/CEE, concernente i requisiti di rendimento per le nuove caldaie ad acqua calda alimentate con combustibili liquidi o gassosi, introduce le unità di cogenerazione tra i casi ai quali la sopra citata direttiva 92/42/CEE non si applica (art. 16).
La direttiva è entrata in vigore il 21 febbraio 2004 (art.17).
Direttiva 2004/12/CE
(Modifiche alla direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio)
La direttiva 2004/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 febbraio 2004 reca alcune modifiche alla direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (cd. direttiva packaging), soprattutto attraverso l’introduzione di una più precisa definizione della nozione di “imballaggio” e l’innalzamento degli obiettivi minimi di recupero e di riciclaggio degli imballaggi.
Il recepimento di tali modifiche nell’ordinamento nazionale - che dovrà avvenire entro il 18 agosto 2005 (secondo quanto disposto dall’art. 2 della direttiva) - renderà necessario novellare il decreto legislativo 22/1997 (c.d. decreto Ronchi), nel cui articolato trovano posto le disposizioni attuative della direttiva 94/62/CE.
In base alle modifiche recate alla definizione di imballaggio (attraverso l’aggiunta di tre nuovi commi al punto 1 dell’art. 3 della direttiva 94/62/CE), sono fuori dal regime degli imballaggi gli articoli non costituenti parti integranti di un prodotto ma necessari per contenere, sostenere o preservare tale prodotto per tutto il suo ciclo di vita, a condizione che tutti gli elementi dell’articolo in questione siano destinati ad essere utilizzati, consumati o eliminati insieme. Rientrano invece nella definizione di imballaggio, gli articoli progettati e destinati ad essere riempiti nel punto vendita e gli elementi usa e getta venduti, riempiti o progettati e destinati ad essere riempiti nel punto vendita, a condizione che svolgano una funzione di imballaggio.
Infine, sono considerati parti integranti dell’imballaggio i suoi componenti e gli accessori in esso integrati, fissati o attaccati che svolgono funzioni di imballaggio, a meno che tali elementi accessori non siano parte integrante del prodotto e siano destinati ad essere consumati o eliminati insieme (art. 1, punto 1).
Un’altra importante innovazione prevista dalla direttiva in esame è rappresentata, come preannunciato sopra, dal generale innalzamento degli obiettivi di recupero e riciclo dei materiali utilizzati per gli imballaggi, da raggiungere entro il 31 dicembre 2008 (art. 1, punto 3).
Per quanto riguarda il recupero dei rifiuti di imballaggio, il nuovo provvedimento eleva la soglia minima dal 50 al 60% in peso (in modo tale da ridurne ulteriormente l’impatto sull’ambiente) ed elimina la soglia massima del 65%, prevista dalla precedente formulazione della direttiva 94/62/CE. Per quanto riguarda, invece, il riciclaggio dei materiali di imballaggio, si prevede da un lato l’innalzamento delle percentuali complessive di imballaggi da riciclare (si passa dal minimo del 25% precedentemente stabilito a quello del 55%) e dall’altro la determinazione di soglie minime diverse a seconda dei singoli materiali (vetro, carta e cartone, metalli, plastica, legno).
La tabella seguente mette a confronto gli obiettivi fissati dalla nuova direttiva 2004/12/CE con quelli precedentemente indicati dalla direttiva 94/62/CE (e recepiti con il d.lgs. n. 22/1997[259]) e con i risultati raggiunti nel corso del 2002 nel nostro Paese:
Obiettivi |
Direttiva 94/62 (d.lgs. n.22/97) |
Direttiva 2004/12 |
Italia Risultati 2002[260] |
Obiettivo globale di recupero |
min. 50% max. 65% |
min. 60% |
55,7% |
Obiettivo globale di riciclo |
min. 25% max. 45% |
min. 55% max. 80% |
50,5% |
Obiettivi minimi di riciclo per materiale: |
|||
acciaio carta vetro legno alluminio plastica |
15% |
50% 60% 60% 15% 50% 22,5% |
54,9% 56,2% 52,6% 59,7% 43,0% 23,0% |
La tabella evidenzia come il sistema di gestione italiano, affidato al Consorzio nazionale imballaggi (CONAI)[261], non sia lontano dai nuovi obiettivi. Di più, i dati a preconsuntivo per il 2003 evidenziano che i volumi riciclati complessivi sono cresciuti del 3% circa rispetto al 2002, grazie all'incremento del riciclo da raccolta differenziata pubblica, cresciuto del 13,4% (pari a 273.000 tonnellate), “portando il CONAI in linea con i nuovi obiettivi di recupero e riciclo stabiliti dalla nuova Direttiva europea sugli imballaggi”[262].
Altre rilevanti novità previste dalla direttiva in esame consistono:
§ nell’individuazione (come si evince dalla lettura della tabella) di parametri differenziati per il riciclo a seconda del tipo di materiale di imballaggio, in sostituzione dell’obiettivo minimo del 15 per cento comune ad ogni materiale;
§ nel consentire l’utilizzo, ai fini del calcolo dell’obiettivo globale di recupero, delle quantità di rifiuti inceneriti per la produzione di energia.
Direttiva 2004/17/CE
(Procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia)
La direttiva 2004/17CE del Parlamento e del Consiglio del 31 marzo 2004 coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia e degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali (cd. settori speciali).
La nuova direttiva, conformemente alla direttiva 93/38, all’art. 2 individua tre categorie di soggetti aggiudicatori, distinguendo tra:
§ Amministrazioni aggiudicatici;
§ Imprese pubbliche;
§ Soggetti titolari di diritti speciali ed esclusivi.
Uno degli aspetti più rilevanti dei settori speciali, infatti, che rappresenta il motivo per cui gli stessi sono stati dapprima esclusi dall’applicazione delle direttive-appalti e successivamente fatti oggetto di una specifica regolamentazione, è sicuramente la natura giuridica dei soggetti aggiudicatori (che può essere sia pubblica che privata, contrariamente alle direttive appalti che prevedono solo soggetti aggiudicatori di natura pubblica). Ciò dimostra chiaramente la volontà del legislatore comunitario di assoggettare alle regole della concorrenza tutti quei soggetti che, pur rivestendo dal punto di vista giuridico, carattere formalmente privato, di fatto sono sostanzialmente soggetti pubblici, nel senso che operano secondo logiche pubbliche e non private. Tale volontà appare peraltro evidente al punto 10 delle premesse, in cui si afferma come “la necessità di garantire l’effettiva liberalizzazione del mercato e il giusto equilibrio nell’applicazione delle norme sugli appalti nei settori speciali esige che gli enti interessati siano definiti in modo diverso dal riferimento alla loro qualificazione giuridica”. Per tali ragioni, la loro qualificazione giuridica può essere del tutto irrilevante. Il campo di applicazione della direttiva si estende pertanto a tre categorie di soggetti aggiudicatori:
§ Sono amministrazioni aggiudicatici: lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli organismi di diritto pubblico, le associazioni costituite da uno o più di tali enti pubblici territoriali o da uno o più di tali organismi di diritto pubblico;
§ Sono imprese pubbliche: le imprese su cui le amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un'influenza dominante perché ne sono proprietarie, vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù di norme che disciplinano le imprese in questione.
§ Sono soggetti titolari diritti speciali ed esclusivi: soggetti privati che annoverano tra le loro attività una o più delle attività proprie dei settori speciali e operano in virtù di diritti speciali o esclusivi[263] concessi loro dall’autorità competente in uno Stato membro.
Ai fini della direttiva sono considerati settori speciali e quindi oggetto di regolamentazione:
§ gas, energia termica ed elettricità,
§ l’acqua;
§ i servizi di trasporto;
§ i servizi postali;
§ l’estrazione e prospezione di petrolio e altri combustibili.
Si ricorda che dalla nuova direttiva è escluso il settore delle telecomunicazioni (art. 30), ormai considerato già concorrenziale, ed è stato invece inserito il settore dei servizi postali (art. 6), non compreso in passato nei settori speciali.
Ancora sotto il profilo dell’ambito di applicazione, l’art. 30, par. 1, prevede una procedura volta ad esonerare dall’applicazione della direttiva la prestazione di quelle attività che, nello Stato membro in cui vengono esercitate, “sono direttamente esposte alla concorrenza su mercati liberamente accessibili”.
Gli appalti cui la direttiva si riferisce sono.
§ L’appalto di lavori: quelli aventi “per oggetto l'esecuzione o, congiuntamente, la progettazione e l'esecuzione di lavori relativi a una delle attività di cui all'allegato XII o di un'opera, oppure l'esecuzione, con qualsiasi mezzo, di un'opera corrispondente alle esigenze specificate dall'ente aggiudicatore” (art., par. 1, lett. b);.
§ L’appalto di forniture: ”appalto avente per oggetto l’acquisto, la locazione finanziaria, la locazione o l’acquisto a riscatto, con o senza opzione per l’acquisto, di prodotti” (art. 1, par. 2, lett. c).
§ L’appalto di servizi: “appalto avente per oggetto una delle attività indicate nei due specifici allegati XVIIA e XVIIB della direttiva” (art. 1, par. 2, lett. d).
L’art. 16 della direttiva ha anche stabilito nuove soglie di valore, prevedendo espressamente che rientrino nel campo di applicazione della stessa tutti gli appalti che, al netto dell’IVA, sono pari o superiori a:
§ 499.000 euro per gli appalti di forniture e servizi;
§ 6.242.000 euro per gli appalti di lavori.
L’art. 17 detta poi i criteri relativi alle modalità di calcolo del valore stimato degli appalti, stabilendo in linea generale, che esso debba tenere conto dell’importo massimo stimato, ivi compresa qualsiasi forma di eventuali opzioni e di rinnovi eventuali del contratto.
La direttiva contiene inoltre una serie di esclusioni generali dalla sua applicazione riguardanti tutti gli enti e tutti i tipi di appalto (art. 19-23), una serie di esclusioni relative riguardanti tutti gli enti ma solo alcuni tipi di appalti di servizi (art. 24) ed infine alcune esclusioni relative solo ad alcuni enti aggiudicatori (art. 26).
Tra i casi di esclusione generale rientrano: gli appalti aggiudicati a scopo di rivendita o di locazione a terzi (art. 19); gli appalti aggiudicati per fini diversi dall'esercizio di un'attività interessata o per esercizio di un'attività in un paese terzo (art. 20); gli appalti segreti o che esigono particolari misure di sicurezza (art. 21); gli appalti aggiudicati in forza di norme internazionali (art. 22) ed, infine, gli appalti aggiudicati ad un'impresa collegata ad una joint-venture ad un ente aggiudicatore facente parte di una joint-venture (art. 23).
Per quanto concerne le procedure di gara la direttiva ne prevede tre:
§ la procedura aperta: quella in cui qualsiasi operatore economico interessato può presentare un'offerta (art. 1, par. 9, lett. a);
§ la procedura ristretta: quella alla quale ogni operatore economico può chiedere di partecipare e possono presentare un'offerta solo i candidati invitati dall'ente aggiudicatore (art. 1, par .9, lett. b);
§ la procedura negoziata: quella in cui l'ente aggiudicatore consulta gli operatori economici di propria scelta e negozia con uno o più di essi le condizioni dell'appalto (art. 1,par. 9, lett. c);
La Direttiva contiene inoltre una serie di norme atte a garantire la massima pubblicità agli avvisi con cui si indice una gara (art. 42 - onde assicurare la massima partecipazione alle gare - agli avvisi relativi agli appalti aggiudicati (art. 43), nonché agli avvisi relativi ai sistemi di qualificazione (art. 41).
In materia di qualificazione dei concorrenti, la direttiva fissa all’art. 54 i cd. criteri di qualificazione qualitativa dei candidati, stabilendo che gli enti aggiudicatori che fissano criteri di selezione in una procedura aperta ristretta o negoziata devono farlo secondo regole e criteri oggettivi che vanno resi disponibili agli operatori economici interessati.[264] Nel caso i cui l’ente aggiudicatore sia una amministrazione, si applicano anche i criteri di esclusione definiti dall’art. 45 della dir. 2004/18/CE, ossia le ipotesi di commissione di particolari reati[265].
Per quanto concerne i sistemi di qualificazione, una della più rilevanti differenze rispetto ai settori classici degli appalti è data dalla previsione di cui all’art. 53, secondo cui i soggetti aggiudicatori possono istituire un proprio sistema di qualificazione degli operatori economici (albi di fornitori, di prestatori di servizi, di esecutori di lavori pubblici), con la possibilità, una volta istituito il sistema, di invitare alle gare (a procedura ristretta o negoziata) solo le imprese qualificate (art. 53, par. 9).
La direttiva prevede inoltre in varie disposizioni la possibilità di introdurre criteri ambientali e sociali negli appalti pubblici di settore speciale.[266]
Infine, la direttiva reca, da un lato, una serie di norme (art. 45 - 48) atte a favorire il ricorso ai mezzi di comunicazione elettronici, nonché l’utilizzo di strumenti informatici e telematici nell’ambito delle tradizionali procedure di gara; dall’altro, fissa regole specifiche (artt. 15 e 48 e ss.) per l’istituzione ed il funzionamento di sistemi di acquisto interamente elettronici (sistemi dinamici di acquisto, v. art. 1, par. 5) ovvero di processi elettronici di valutazione delle offerte (aste elettroniche, art. 1, par. 6, e art. 56).
La direttiva deve essere recepita dagli Stati membri entro il 31 gennaio 2006.
Direttiva 2004/18/CE
(Procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi)
La direttiva 2004/18/CE presenta numerosi aspetti innovativi della disciplina comunitaria degli appalti pubblici. In primo luogo essa procede alla unificazione di tutte le norme comunitarie in materia di appalti pubblici (a parte i cd “settore speciali”, per i quali è stata contestualmente emanata la direttiva 2004/17/CE). Alcune delle principali novità della nuova direttiva 2004/18/CE riguardano le soglie di applicazione più elevate, l’introduzione del dialogo competitivo, delle aste elettroniche, dei sistemi dinamici di acquisto, degli accordi quadro, la possibilità di partecipare alle gare con le holding.
Spetterà ai singoli Stati membri recepire il testo nel proprio ordinamento entro 21 mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea.
Soglie di applicazione.
Fra le principali novità del testo unificato c'è innanzitutto l'innalzamento delle soglie di applicazione della normativa europea che consentirà alle imprese di potere contare su di un ampliamento del mercato nazionale non soggetto alla pubblicità comunitaria. Rispetto ai valori attuali le variazioni saranno le seguenti: per i servizi si passerà da 236.945 euro a 249 mila euro, per i lavori si passerà da 5.923.624 euro a 6.242.000 euro, per le forniture da 154.014 euro a 162.000 euro.
Centrali di committenza.
La direttiva conferma la nozione di amministrazione aggiudicatrice e ribadisce che gli appalti in-house possono essere effettuati soltanto nel settore dei servizi.
La novità più rilevante consiste nell’introduzione delle cosiddette “centrali di committenza”, centri unici di imputazione di appalti, modellati secondo lo schema della Consip italiana. Il risultato è che gli appaltatori potrebbero trovarsi, in alcuni settori merceologici, ad avere molto meno controparti rispetto a oggi. Per il legislatore comunitario una centrale di committenza è “un'amministrazione aggiudicatrice che acquista forniture e servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici, o che aggiudica appalti pubblici o conclude accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatici”. La scelta di prevedere tali soggetti spetta a ogni Stato membro: “Gli stati membri possono prevedere la possibilità per le amministrazioni aggiudicatici di acquistare lavori, forniture e servizi facendo ricorso a una centrale di committenza” (art. 11, par. 1). Il principio che la direttiva afferma è quello dell'automatico rispetto delle norme comunitarie da parte di un'amministrazione che acquista lavori, forniture e servizi facendo ricorso a una centrale di committenza, ma a condizione che in precedenza la centrale di committenza abbia rispettato le norme comunitarie.
Il dialogo competitivo.
Il dialogo competitivo è la nuova procedura di aggiudicazione introdotta dalla direttiva e può essere utilizzata per i soli appalti complessi, quando la stazione appaltante si trovi di fronte ad un appalto di cui non sia “in grado di definire i mezzi tecnici per la sua esecuzione o non sappia impostare giuridicamente o finanziariamente il progetto” (art. 1, par. 11, lettera c). Nella procedura di gara è netta la separazione tra la fase del dialogo, in cui avviene una vera e propria messa a punto, anche per fasi successive, della soluzione o delle soluzioni ritenute idonee dall'amministrazione, e la successiva fase in cui l'amministrazione riceve e valuta le offerte. Se l'amministrazione, “per ridurre il numero delle soluzioni da discutere” (art. 29), sceglie di svolgere la procedura in più fasi successive (e deve prevederlo nel bando di gara o nel documento descrittivo), è tenuta ad applicare i criteri di aggiudicazione previsti nel bando di gara. Il dialogo può anche durare molto dal momento che è previsto che prosegua finché l'amministrazione non sia in grado di individuare, “se del caso dopo averle confrontate” (art. 29) la o le soluzioni che essa ritiene idonee e soddisfacenti. Solo dopo parte la fase di offerta, nel corso della quale le offerte possono anche successivamente essere precisate, chiarite e perfezionate. Successivamente si apre la fase della scelta della migliore offerta. In questo caso la direttiva precisa che la scelta avviene con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
Una volta individuata l'offerta economicamente più vantaggiosa, si prevede ancora la possibilità per la stazione appaltante di chiedere al migliore offerente di precisare alcuni aspetti dell'offerta e di confermare gli impegni che derivano dall'offerta presentata. È infine prevista la facoltà per l'amministrazione di stabilire premi o pagamenti per i partecipanti al dialogo.
La partecipazione all'appalto con le holding.
Per quel che riguarda la partecipazione all'appalto, in applicazione della sentenza Ballast Noedam Groep del 1994, si precisa che un operatore economico (e quindi il principio vale per tutti e tre i tipi di appalto, lavori, forniture e servizi) può “fare affidamento sulle capacità di altri soggetti a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi” (art. 47, par. 2), provando che “per l'esecuzione dell'appalto disporrà delle risorse necessarie, per esempio, presentando l'impegno di tale soggetto di mettere a disposizione dell'operatore economico le risorse necessarie”(idem). Questa possibilità può essere utilizzata anche dai raggruppamenti che, a loro volta, possono “fare assegnamento sulle capacità dei partecipanti al raggruppamento o di altri soggetti” (art. 47, par. 3). La norma sembra aprire la strada alla candidatura di soggetti, per esempio gruppi o holding, ma anche ati (associazioni temporanee di imprese), che potrebbero qualificarsi a un appalto pure con le referenze di altri soggetti o con altri soggetti anche estranei al raggruppamento. E ciò sarà possibile, sia con una semplice lettera di impegno del soggetto che apporterà le referenze, sia con altri mezzi (dal momento che la direttiva testualmente afferma che “l'impegno” è solo un esempio di dimostrazione nei confronti della stazione appaltante, della messa a disposizione delle risorse necessarie).
Sistemi dinamici di acquisizione e aste elettroniche.
Ulteriori innovazioni riguardano i cosiddetti sistemi dinamici di acquisto e le aste elettroniche. Il “sistema dinamico di acquisizione” (art. 33), istituito con pubblico incanto, è caratterizzato dall'essere funzionale soprattutto agli acquisti di uso corrente per i quali, di norma, quanto disponibile sul mercato è già in grado di soddisfare le esigenze dell'amministrazione aggiudicatrice. In buona sostanza, si tratta di sistemi elettronici aperti che per una durata limitata (non possono durare per più di quattro anni) consentono agli operatori economici di formulare un'offerta indicativa nell'arco di un certo periodo di tempo. I candidati in possesso dei requisiti minimi per l'accesso alla gara possono quindi presentare offerte che siano in linea con il capitolato d'oneri messo a disposizione dalla stazione appaltante e le offerte formulate possono essere migliorate in ogni momento. Quindi, una volta pubblicato il bando di gara e reso noto il capitolato d'oneri, le stazioni appaltanti lasceranno libero l'accesso in via elettronica alla documentazione di gara. Le offerte dovranno essere valutate entro 15 giorni dalla loro ricezione e comunicata all'offerente l'eventuale ammissione nel sistema dinamico o il rigetto dell'offerta.
Le aste elettroniche sono invece dei processi che si inseriscono all'interno delle usuali procedure di aggiudicazione e costituiscono un sistema di negoziazione delle offerte che precede l'aggiudicazione dell'appalto. Non possono in alcun modo essere utilizzate quando si tratti di appalti di servizi o di lavori che abbiano a oggetto “prestazioni intellettuali quali la progettazione di lavori” (art. 1, comma 7). Tale esclusione comporta anche che non potrà essere utilizzata nelle procedure di appalto integrato in cui la stazione appaltante chiede all'impresa, associando o individuando un progettista, di predisporre la progettazione esecutiva dell'intervento da realizzare. Si può fare ricorso all'asta elettronica quando “le specifiche dell'appalto possono essere fissate in maniera precisa” (art. 54, par. 2). L'oggetto dell'asta elettronica è ben determinato: può infatti riguardare il prezzo o i prezzi (o valori) degli elementi dell'offerta previsti dal capitolato nel caso di appalto aggiudicato con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. Come di consueto anche l'impiego dell'asta elettronica deve essere segnalato dall'amministrazione nel bando di gara. L'asta si conclude in una data fissata o quando non si ricevono più nuovi prezzi o, ancora, quando si è raggiunto il numero di fasi previsto nel bando.
Gli accordi quadro.
La direttiva unificata estende ai settori tradizionali anche l'utilizzazione degli accordi quadro già previsti dalla direttiva settori speciali (93/38/CEE), ma essi non saranno applicabili in caso di appalti di servizi aventi a oggetto prestazioni intellettuali. In particolare, viene definito come accordo quadro un accordo concluso tra una o più amministrazioni e uno o più operatori economici con lo scopo di stabilire le clausole relative agli appalti da aggiudicare in un determinato periodo, in particolare per quanto riguarda i prezzi e le quantità previste. In sede di aggiudicazione degli appalti pubblici basati su un accordo quadro, le parti non possono apportare modifiche sostanziali alle condizioni fissate in tale accordo. Un accordo quadro potrà durare al massimo quattro anni. Sono stabiliti diversi criteri di aggiudicazione a seconda che l'accordo quadro sia concluso con un solo operatore economico o con più operatori economici.
La direttiva deve essere recepita dagli Stati membri entro il 31 gennaio 2006.
Direttiva 2004/22/CE
(Strumenti di misura)
La direttiva 2004/22/CE del 31 marzo 2004, relativa agli strumenti di misura, è volta ad assicurare la libera circolazione di detti strumenti nel mercato interno e a garantire un livello elevato di affidabilità mediante la definizione di specifiche essenziali, applicabili in tutti gli Stati membri. La direttiva in commento costituisce, altresì, una direttiva specifica relativamente ai requisiti sull’immunità elettromagnetica, ai sensi dell’art. 2, par. 2, della dir. 89/336/CEE, che continua ad applicarsi riguardo ai requisiti di emissione, come precisato nell’art. 3.
Rientrano nel campo di applicazione della direttiva gli strumenti di misura, individuati negli allegati della direttiva stessa, che devono conformarsi ai requisiti essenziali da questa fissati, qualora essi siano soggetti a controlli metrologici legali in uno Stato membro. Gli strumenti dovranno, altresì, essere sottoposti, prima della commercializzazione e della messa in servizio, alla valutazione di conformità stabilita dalla direttiva.
Si ricorda che, in base alla definizione riportata all’art. 4 della direttiva, per controlli metrologici legali si intendono i controlli per motivi di interesse pubblico, sanità pubblica, sicurezza pubblica, ordine pubblico, protezione dell’ambiente, imposizione di tasse e diritti, tutela dei consumatori e lealtà delle transazioni commerciali, intesi a verificare che uno strumento di misura sia atto a svolgere le funzioni cui è destinato.
In particolare, l'allegato I stabilisce i requisiti a cui devono conformarsi tutti gli strumenti di misura, mentre gli allegati specifici descrivono i requisiti particolari applicabili agli strumenti oggetto dei medesimi allegati.
La conformità di uno strumento di misura alla direttiva in esame è attestata dalla marcatura “CE” di conformità e dalla marcatura metrologica supplementare (secondo quanto specificato all'articolo 17), apposte dal fabbricante o sotto la sua responsabilità. E’ fatto divieto di apporre marcature che possano trarre in inganno o che riducano la visibilità e la leggibilità della marcatura CE e di quella supplementare (art. 7).
La direttiva stabilisce, altresì, che gli Stati membri non possono ostacolare la commercializzazione e messa in servizio di strumenti di misura, recanti la marcatura «CE» di conformità e la marcatura metrologica supplementare. Sono, inoltre, tenuti ad adottare misure appropriate per garantire la messa in servizio esclusivamente di strumenti che soddisfino i requisiti della direttiva in esame, mentre possono esigere che uno strumento sia conforme a disposizioni di messa in servizio giustificate dalle condizioni climatiche locali (art. 8).
La direttiva stabilisce che la valutazione della conformità di uno strumento di misura sia effettuata applicando, a scelta del fabbricante, una delle procedure di valutazione della conformità elencate nell'allegato specifico relativo allo strumento in questione. Dispone, altresì, che il fabbricante, se necessario, fornisca la documentazione tecnica per specifici strumenti o gruppi di strumenti.
I moduli di valutazione della conformità che costituiscono le procedure sono riportati in allegato alla direttiva (A-H1), mentre per i documenti e la corrispondenza relativi alla valutazione di conformità, la direttiva richiede che siano redatti nella lingua dello Stato membro in cui è stabilito l’organismo notificato che esegue la valutazione, ovvero in una lingua accettata da tale organismo(art.9).
La documentazione tecnica, secondo l’art. 10,deve descrivere in modo intelligibile la progettazione, la fabbricazione e il funzionamento dello strumento di misura e deve consentire di valutare la conformità dello stesso ai requisiti pertinenti della direttiva. Deve, inoltre, essere sufficientemente dettagliata in modo da assicurare: la definizione delle caratteristiche metrologiche; la riproducibilità dei risultati delle misure degli strumenti prodotti quando essi sono correttamente tarati avvalendosi degli opportuni mezzi previsti; l'integrità dello strumento. L’articolo definisce dettagliatamente il contenuto della documentazione tecnica, ai fini della valutazione e dell'identificazione del tipo e/o dello strumento.
Ciascuno Stato membro è tenuto alla notifica agli altri Stati membri e alla Commissione degli organismi da esso designati per l'espletamento dei compiti relativi alla valutazione della conformità unitamente ai numeri di identificazione attribuiti dalla Commissione a tali organismi, ai tipi di strumento per cui sono stai designati i singoli organismi ed eventualmente alla classe di accuratezza cui lo strumento appartiene. La Commissione pubblicherà l'elenco degli organismi notificati (art. 11).
I criteri seguiti dagli Stati membri per la designazione degli organismi sono definiti dall’art. 12 della direttiva e vietano qualsiasi forma di coinvolgimento dell’organismo, del suo direttore o del personale nella progettazione, fabbricazione, utilizzazione o commercializzazione degli strumenti di misura che devono ispezionare. Inoltre, non devono essere sottoposti a pressioni e ad incentivi - in particolare, di ordine finanziario - che possano influenzare il loro giudizio o i risultati della valutazione della conformità da essi effettuati.
Non sono, tuttavia, vietati gli scambi di informazioni tecniche tra il fabbricante e l'organismo, a fini della valutazione della conformità che, peraltro, deve essere effettuata con il massimo grado di integrità professionale e competenza tecnica in campo metrologico.
L'organismo deve essere in grado di effettuare tutti i compiti di valutazione della conformità per cui è stato designato, indipendentemente dal fatto che tali compiti siano realizzati dall'organismo medesimo o per conto e sotto la responsabilità di quest'ultimo; inoltre, deve disporre del personale necessario e dell’accesso agli impianti necessari a realizzare i compiti tecnici e amministrativi ai fini della valutazione della conformità.
Gli Stati membri presumono la conformità ai requisiti essenziali degli strumenti di misura che ottemperano alle norme nazionali di attuazione delle norme europee armonizzate applicabili. I riferimenti delle norme saranno pubblicati nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea (art. 13).
I requisiti essenziali definiti nella presente direttiva possono essere soddisfatti, in tutto o in parte, anche con la conformità alle specifiche tecniche e di prestazione contenute in documenti normativi concordati a livello internazionale. In tali casi, l'impiego di detti documenti normativi può costituire un'alternativa all'impiego delle norme tecniche armonizzate e assicurare, a determinate condizioni, la presunzione di conformità.
Inoltre, la conformità ai requisiti essenziali della direttiva può essere conseguita anche tramite l'applicazione di specifiche non contenute in una norma tecnica europea o in un documento normativo concordato a livello internazionale. L'applicazione di norme tecniche europee o di documenti normativi concordati a livello internazionale dovrebbe pertanto essere facoltativa.
Qualora uno Stato membro o la Commissione reputino che una norma europea armonizzata, di cui all’art. 13, non soddisfi i requisiti essenziali fissati dagli allegati della direttiva, possono interpellare il Comitato permanente istituito dall’art. 5 della direttiva 98/34/CEE (Procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche) che svolge attività di consulenza in materia di regolamentazione tecnica (art. 14). La Commissione può essere assistita anche da un Comitato per gli strumenti di misura (art. 15), che viene interpellato qualora sia un documento normativo (documento contenente specifiche tecniche adottate dalla Organisation Internationale de Métrologie Légale, OIML) i cui riferimenti sono stati pubblicati in GUCE (serie C) a non soddisfare i requisiti essenziali fissati dalla direttiva.
Gli Stati membri sono tenuti alla vigilanza sul mercato, adottando tutti i provvedimenti atti ad impedire la commercializzazione o l'uso di strumenti non conformi, nonché alla cooperazione amministrativa. Sono tenuti, altresì a ritirare gli strumenti o a vietarne e limitarne la commercializzazione qualora accertino che la totalità o una parte degli strumenti di uno specifico modello, benché munito della marcatura CE e della marcatura metrologica supplementare (costituita da una M) non soddisfino i requisiti essenziali connessi con le prestazioni metrologiche definite dalla direttiva. Qualora si tratti di una mancanza di conformità costante, lo Stato è tenuto ad informarne la Commissione (art. 19).
In caso di marcatura apposta indebitamente, lo Stato membro ha l’obbligo di conformare lo strumento alle disposizioni relative alla marcatura CE della direttiva e a porre fine all’infrazione (art. 20).
La direttiva stabilisce che qualunque decisione relativa al ritiro o alla limitazione della commercializzazione di una strumento di misura debba essere motivata in modo preciso (art. 21)
La proposta della Commissione prevede l'abrogazione delle seguenti direttive:
· Direttiva 71/318/CEE (contatori di volume di gas);
· direttiva 71/31/CEE (contatori di volume di gas);
· direttiva 71/348/CEE (contatori di liquidi diversi dall'acqua - dispositivi accessori);
· direttiva 73/362/CEE (misure lineari materializzate);
· direttiva 75/33/CEE (contatori d'acqua fredda);
· direttiva 75/410/CEE (strumenti per pesare totalizzatori continui);
· direttiva 76/891/CEE (contatori di energia elettrica);
· direttiva 77/95/CEE (tassametri);
· direttiva 77/313/CEE (misurazione di liquidi diversi dall'acqua);
· direttiva 78/1031/CEE (selezionatrici ponderali a funzionamento automatico);
· direttiva 79/830/CEE (contatori d'acqua calda).
Da ultimo, la direttiva prevede che, in via transitoria, gli Stati membri consentano la commercializzazione e la messa in servizio degli strumenti di misura conformi alle norme applicabili anteriormente al 30 ottobre 2006, data fissata per il recepimento della direttiva, fino alla scadenza della validità dell’omologazione di tali strumenti o, in caso di omologazione di validità indefinita, per un periodo massimo di dieci anni a decorrere dal 30 ottobre 2006, limitatamente alle funzioni di misurazione per cui hanno prescritto l'impiego di uno strumento di misura sottoposto a controlli legali (art. 23).
La direttiva è entrata in vigore il 20 maggio 2004.
Direttiva 2004/25/CE
(Offerte pubbliche di acquisto)
La direttiva 2004/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, interviene in tema di offerte pubbliche di acquisto (OPA).
La direttiva costituisce un aspetto essenziale del Piano d'azione per i servizi finanziari. Il Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000 aveva annoverato tale atto fra le misure prioritarie da adottare per l'integrazione dei mercati finanziari europei entro il 2005.
La direttiva è volta a istituire linee direttrici minime per lo svolgimento di OPA laddove i titoli di società disciplinati dalle leggi degli Stati membri sono, parzialmente e integralmente, ammessi alla negoziazione sul mercato regolamentato. Essa mira altresì a fornire un adeguato livello di protezione ai possessori di titoli in seno alla Comunità, istituendo un quadro di princìpi comuni e di requisiti generali che gli Stati membri devono attuare attraverso norme più dettagliate, conformemente ai rispettivi sistemi nazionali e contesti culturali. Gli Stati membri dovranno procedere alla trasposizione di tale direttiva entro due anni dall'entrata in vigore.
Campo d'applicazione
La direttiva prevede misure di coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative, dei codici deontologici o di altre disposizioni degli Stati membri, comprese le disposizioni adottate da organizzazioni ufficialmente abilitate a regolamentare i mercati (qui di seguito denominate "regole"), concernenti le OPA su titoli di una società regolamentati dal diritto di uno Stato membro, qualora la totalità o una parte di tali titoli sia ammessa alla negoziazione su un mercato regolamentato ai sensi della direttiva 93/22/CEE in uno o più Stati membri ("mercato regolamentato").
La direttiva non si applica alle OPA su titoli emessi da società aventi quale fine l'investimento collettivo di capitali raccolti presso il pubblico, il cui funzionamento sia soggetto al principio della ripartizione dei rischi e le cui quote, su richiesta dei possessori, vengono riacquistate o rimborsate - direttamente o indirettamente - a carico degli attivi di tali società. Gli atti o le operazioni compiuti da queste società per garantire che il valore di borsa delle loro quote non varii in modo significativo rispetto al loro valore d'inventario netto sono considerati equivalenti a un tale riscatto o rimborso.
Infine, la direttiva non si applica alle OPA su titoli emessi dalle banche centrali degli Stati membri.
Principi generali
Gli Stati membri verificano che siano rispettati i seguenti princìpi:
· parità di trattamento per tutti i possessori di titoli della società emittente; qualora una persona acquisisca il controllo di una società, gli altri possessori devono essere tutelati;
· i destinatari dell'offerta devono ricevere in tempo utile un documento d'offerta contenente le informazioni necessarie per decidere con cognizione di causa; nella sua funzione di consigliere dei possessori di titoli, l'organo d’amministrazione della società emittente deve esprimere il suo parere circa le ripercussioni dell'offerta sull'occupazione, sulle condizioni occupazionali e sulla sede dell'attività della società;
· l'organo d'amministrazione o di direzione della società emittente deve agire nell'interesse della società nel suo insieme e non deve negare ai possessori di titoli la possibilità di decidere sul merito dell'offerta;
· non devono crearsi mercati fittizi per i titoli della società emittente, della società offerente o di qualsiasi altra società interessata dall'offerta, suscettibili di dar luogo al rialzo o al ribasso artificiale delle quotazioni dei titoli e di turbare il normale funzionamento del mercato;
· un offerente annunzia un'offerta solo dopo essersi assicurato di poter far fronte pienamente ad ogni impegno in materia di corrispettivo in contanti, se così prevede l'offerta, e dopo aver adottato tutte le misure ragionevoli per assicurare il soddisfacimento degli impegni in materia di corrispettivi di altra natura;
· la società emittente non dev’essere ostacolata nelle sue attività oltre un ragionevole lasso di tempo per effetto di un'offerta sui suoi titoli.
Gli Stati membri possono stabilire condizioni supplementari o disposizioni più rigorose di quelle previste dalla direttiva per regolamentare le offerte.
Autorità di vigilanza e diritto applicabile
Gli Stati membri designano l'autorità o le autorità competenti per la vigilanza di un'offerta. Le autorità designate sono enti pubblici, associazioni o organismi privati riconosciuti dall'ordinamento nazionale o da autorità pubbliche espressamente abilitate a tal fine dall'ordinamento nazionale. Gli Stati membri informano la Commissione sulle designazioni. Gli Stati verificano che tali autorità esercitino le loro funzioni in modo imparziale e indipendente rispetto a tutte le parti dell'offerta.
L'autorità competente per la vigilanza dell'offerta è quella dello Stato membro in cui la società emittente ha la propria sede sociale, qualora i titoli di tale società siano ammessi alla negoziazione sul mercato regolamentato di tale Stato membro. In tutti gli altri casi (titoli non ammessi alla negoziazione ovvero ammessi alla negoziazione su vari mercati regolamentati o altro) la direttiva consente di definire l'autorità competente per la vigilanza.
Gli Stati membri verificano che tutte le persone che svolgono o hanno svolto attività lavorativa presso le rispettive autorità di vigilanza siano tenute al segreto professionale.
Le autorità di vigilanza e le autorità incaricate di controllare i mercati di capitali cooperano e si scambiano informazioni. Tali informazioni sono coperte dal segreto professionale.
Tutela degli azionisti di minoranza, offerta obbligatoria e prezzo equo
Qualora una persona fisica o giuridica, a seguito di un'acquisizione effettuata da essa stessa o da persone che agiscono di concerto con essa, possieda titoli di una società che le conferiscono una determinata percentuale dei diritti di voto e pertanto il controllo di tale società, gli Stati membri verificano che tale persona sia tenuta a fare un'offerta a tutela degli azionisti di minoranza della società. Tale offerta è presentata quanto prima a tutti i possessori di titoli e concerne l’acquisto della loro intera quota di partecipazione ad un prezzo equo.
L'obbligo di presentare una tale offerta decade qualora il controllo sia stato acquisito a seguito di un'offerta volontaria rivolta a tutti i possessori di titoli per la totalità delle loro partecipazioni.
La percentuale di diritti di voto che conferisce il controllo e le relative modalità di calcolo della ponderazione sono fissate dalla normativa dello Stato membro nel quale la società ha la sua sede sociale.
Le autorità di vigilanza possono essere autorizzate dagli Stati membri a modificare il "prezzo equo" secondo circostanze e criteri chiaramente determinati. Tale decisione dev’essere motivata e resa pubblica.
L'offerente può proporre vari tipi di corrispettivo, nella fattispecie titoli, contanti o una combinazione dei due. Qualora non si tratti di titoli liquidi ammessi alla negoziazione su un mercato regolamentato l'offerta deve comprendere, almeno come alternativa, un corrispettivo in contanti.
Gli Stati membri possono prevedere che un corrispettivo in contanti debba essere offerto in ogni caso, almeno a titolo di opzione.
Informazione sull'offerta
Gli Stati membri verificano che la decisione di fare un'offerta sia resa immediatamente pubblica e che l'autorità di vigilanza ne sia informata. Essi verificano altresì che l'offerente rediga e renda pubblico in tempo utile un documento d'offerta contenente le informazioni necessarie affinché i possessori di titoli della società emittente possano decidere sulle offerte con piena cognizione di causa.
La direttiva prescrive le indicazioni minime che il documento d'offerta deve contenere, nella fattispecie: il contenuto dell'offerta, l'identità dell'offerente, il corrispettivo offerto, la percentuale o il numero massimo e minimo di titoli che l'offerente si impegna ad acquisire nonché le condizioni alle quali l'offerta è subordinata, le intenzioni dell'offerente in relazione ai programmi futuri della società emittente, il termine per l'accettazione e l'ordinamento nazionale cui è soggetto il contratto.
Diritti dei dipendenti
La direttiva prevede l'obbligo di informare dettagliatamente i dipendenti o i rappresentanti della società emittente. Estende altresì l'obbligo di informare o consultare i dipendenti alla società offerente. Inoltre, prevede espressamente che l'informazione e la consultazione dei lavoratori debba essere conforme alle disposizioni nazionali pertinenti e alle varie disposizioni comunitarie in materia, quali la direttiva 94/45/CE concernente l'istituzione di un comitato aziendale europeo, la direttiva 98/59/CE relativa ai licenziamenti collettivi e la direttiva 2002/14/CE relativa all'informazione e alla consultazione dei lavoratori .
Termine entro il quale l'offerta deve essere accettata
Gli Stati membri prevedono che il termine entro il quale l'offerta dev’essere accettata non possa essere inferiore a due settimane né superiore a dieci settimane, decorrenti dalla data di pubblicazione dei documenti di offerta. In taluni casi, gli Stati membri possono prevedere una proroga oltre le dieci settimane.
Obblighi degli amministratori della società emittente
Quantunque la direttiva preveda un dispositivo in materia, essa lascia agli Stati membri la decisione circa l'opportunità di applicarlo o meno. Pertanto, la norma che impone al consiglio d’amministrazione di una società emittente di ottenere l'accordo degli azionisti prima di adottare misure difensive è facoltativa per gli Stati membri. Questi ultimi lasciano alle società la decisione sull'opportunità o meno di applicare tale disposizione.
Neutralizzazione delle restrizioni
La disposizione relativa all'obbligo di sospendere i diritti speciali dei soci relativi a talune azioni (diritto di voto multiplo, diritto di nomina, restrizioni al trasferimento di titoli) durante l'OPA è altresì opzionale per gli Stati membri. Questi ultimi lasciano alle società la decisione sull'opportunità di applicare tale disposizione.
Altre norme applicabili allo svolgimento delle offerte
Gli Stati membri provvedono ad emanare norme per lo svolgimento delle offerte che disciplinino almeno i seguenti aspetti:
· decadenza dell'offerta;
· revisione delle offerte;
· offerte concorrenti;
· pubblicazione dei risultati delle offerte;
· irrevocabilità delle offerte e condizioni ammesse.
Cessione obbligatoria
La direttiva prevede un dispositivo di "cessione obbligatoria" che permette a un azionista di maggioranza di esigere che gli azionisti di minoranza gli vendano i loro titoli. Gli Stati membri devono garantire che un offerente possa esigere che tutti i restanti possessori di titoli gli vendano tali titoli ad un prezzo equo.
Gli Stati membri introducono questo diritto in uno dei due casi seguenti:
1) qualora l'offerente detenga almeno il 90% dei diritti di voto della società emittente. Gli Stati membri possono fissare una soglia più alta a condizione che non superi il 95% del capitale che conferisce il diritto di voto e il 95% dei diritti di voto;
2) qualora, a seguito dell'accettazione dell'offerta, l'offerente abbia acquisito - o si sia fermamente impegnato per contratto ad acquisire - titoli che rappresentano almeno il 90% del capitale che conferisce il diritto di voto della società emittente e il 90% dei diritti di voto oggetto dell'offerta.
L'offerente che intende esercitare il diritto di ricorrere alla cessione obbligatoria deve farlo entro un termine di tre mesi dalla scadenza del termine per l'accettazione dell'offerta. Gli Stati membri verificano che sia garantito un prezzo equo.
Riscatto obbligatorio
La cessione obbligatoria è combinata con un diritto di "riscatto obbligatorio" che, a seguito di un'OPA, consente agli azionisti minoritari di costringere un azionista fortemente maggioritario a riacquistare i loro titoli. Difatti, gli Stati membri devono garantire che un possessore di titoli fortemente minoritario possa esigere che l'offerente riacquisti i suoi titoli ad un prezzo equo.
Recepimento
Il termine di recepimento della direttiva è fissato al 20 maggio 2006.
Una clausola di revisione prevede che la Commissione possa proporre una modifica del testo a cinque anni dalla data limite di trasposizione, e ciò alla luce dell'esperienza acquisita nel quadro della sua applicazione.
In tale contesto, gli Stati membri forniscono ogni anno alla Commissione informazioni sulle OPA da essi lanciate relative a società i cui titoli sono ammessi alla negoziazione sui loro mercati regolamentati.
Il recepimento della direttiva 2004/25/CE nell’ordinamento italiano dovrebbe comportare modificazioni al testo unico delle leggi sull’intermediazione finanziaria, approvato con decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.
Direttiva 2004/35/CE
(Responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale)
La Direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, che deve essere recepita dagli Stati membri entro il 30 aprile 2007, istituisce un regime unico per prevenire e risarcire il danno ambientale.
La nuova direttiva è stata adottata nella duplice considerazione che esistono nella Comunità molti siti contaminati che comportano rischi significativi per la salute e che, negli ultimi decenni, vi è stata una forte accelerazione della perdita della biodiversità. L’ottica della direttiva, come si legge nei considerando, è quella secondo la quale la prevenzione e la riparazione del danno ambientale dovrebbero essere attuate applicando il principio “chi inquina paga”, inserito dall’Atto Unico europeo all’art. 174 del Trattato che istituisce la Comunità europea, in coerenza con il principio dello sviluppo sostenibile. Il principio fondamentale della direttiva dovrebbe essere quello secondo il quale l’operatore, la cui attività ha causato un danno ambientale, o la minaccia imminente di tale danno, sarà considerato finanziariamente responsabile, in modo da indurre gli operatori ad adottare misure e pratiche atte a ridurre al minimo i rischi di danno ambientale.
Assecondando il suddetto principio di prevenzione, la direttiva disciplina azioni di prevenzione (art. 5) e azioni di riparazione (art. 6).
Quanto alle azioni di prevenzione - novità introdotta dalla direttiva - l’art. 5 prevede che quando un danno ambientale non si è ancora verificato, ma esiste una minaccia imminente che si verifichi, l'operatore deve adottare tutte le misure di prevenzione necessarie. Nel caso in cui la minaccia imminente di danno ambientale persista nonostante le misure adottate, gli Stati membri provvedono affinché gli operatori abbiano l'obbligo di informare il più presto possibile l'autorità competente di tutti gli aspetti pertinenti della situazione.
In tali casi l'autorità competente, in qualsiasi momento, ha la facoltà tra le altre, oltre a chiedere all’operatore di adottare le misure di prevenzione necessarie, di adottarle essa stessa.
Quanto invece alle azioni di riparazione, l’art. 6 stabilisce che quando si è verificato un danno ambientale, l'operatore comunica all'autorità competente tutti gli aspetti pertinenti della situazione e adotta tutte le iniziative praticabili per controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo, con effetto immediato, gli inquinanti in questione e/o qualsiasi altro fattore di danno, allo scopo di limitare o prevenire ulteriori danni ambientali e effetti nocivi per la salute umana. Anche in tal caso, ampi poteri sono riconosciuti all’autorità competente nei confronti dell’operatore al quale può chiedere di adottare tutte le iniziative praticabili per eliminare o limitare il danno e adottarle, se necessario, essa stessa.
Altra definizione di interesse, in correlazione alle sopradette azioni di prevenzione, è quella di minaccia imminente di danno: “il rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno ambientale in un futuro prossimo” (art. 2, par. 9).
Infine di rilevo, negli aspetti più generali, la determinazione dei costi delle azioni di prevenzione e di riparazione, in merito ai quali l’art. 8, commi 1 e 2, stabilisce che siano a carico dell'operatore.
La direttiva fornisce all’art. 2 una nozione di danno ambientale, che può assumere tre diverse tipologie:
§ danno alle specie e agli habitat naturali protetti, vale a dire qualsiasi danno che produca significativi effetti negativi sul raggiungimento o il mantenimento di uno stato di conservazione favorevole di tali specie e habitat;
§ danno alle acque, qualsiasi danno che incida in modo significativamente negativo sullo stato ecologico chimico e/o quantitativo e/o sul potenziale ecologico delle acque interessate;
§ danno al terreno, vale a dire qualsiasi contaminazione del terreno che crei un rischio significativo di effetti negativi sulla salute umana a seguito dell'introduzione diretta o indiretta nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi nel suolo.
La nuova direttiva in materia di responsabilità ambientale trova applicazione anche in materia di gestione dei rifiuti. Infatti, l’art. 3, che ne definisce l’ambito di applicazione, prevede che essa si applichi:
§ al danno ambientale causato da una delle attività professionali elencate nell'allegato III (tra cui rientrano appunto le operazioni di gestione dei rifiuti, compresi la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento di rifiuti pericolosi, nonché la gestione dei siti di discarica) e a qualsiasi minaccia imminente di tale danno a seguito di una di dette attività;[267]
§ al danno alle specie e agli habitat naturali protetti, causato da una delle attività professionali non elencate nell'allegato III e a qualsiasi minaccia imminente di tale danno a seguito di una di dette attività, in caso di comportamento doloso o colposo dell'operatore.
Ai fini della presente direttiva gli Stati membri possono decidere che tali operazioni non comprendono lo spargimento, per fini agricoli, di fanghi di depurazione provenienti da impianti di trattamento delle acque reflue urbane, trattati secondo una norma approvata (Allegato III, par.1).
L’art. 3 specifica inoltre che la nuova disciplina, ferma restando la pertinente legislazione nazionale, non conferisce ai privati un diritto a essere indennizzati in seguito a un danno ambientale o a una minaccia imminente di tale danno (art. 3, par. 3).
La direttiva prevede poi all’art. 4, par. 5, oltre aduna serie di eccezioni,[268] che essa si applichi al danno ambientale o alla minaccia imminente di tale danno, causati da inquinamento di carattere diffuso unicamente quando sia possibile accertare un nesso causale tra il danno e le attività di singoli operatori.
L’art. 8, par. 3 e 4, prevede inoltre, in materia di costi di prevenzione e riparazione, che non sono a carico dell'operatore i costi delle azioni di prevenzione o di riparazione, se egli può provare che il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno sia stato causato da un terzo e si sia verificato nonostante l'esistenza di opportune misure di sicurezza; ovvero sia conseguenza dell'osservanza di un ordine o istruzione obbligatori impartiti da una autorità pubblica; ovvero qualora sia dimostrabile che il danno è stato causato da un'emissione o un evento espressamente autorizzati; ovvero da un'emissione o da un'attività o qualsiasi altro modo di utilizzazione di un prodotto nel corso di un'attività, che l'operatore dimostri non essere state considerate probabile causa di danno ambientale. In tali casi gli Stati membri adottano le misure appropriate per consentire all'operatore di recuperare i costi sostenuti.
Riguardo poi all'applicazione della direttiva stessa nel tempo, l'art. 17 stabilisce che le disposizioni in essa contenute non si applicheranno:
§ al danno causato da una emissione, un evento o un incidente verificatosi prima del 30 aprile 2007;
§ al danno verificatosi dopo la medesima data, se derivante da una specifica attività posta in essere e terminata prima di detta data;
§ al danno in relazione al quale sono passati più di 30 anni dall'emissione, evento o incidente che l’ha causato.
Direttiva 2004/39/CE
(Mercati degli strumenti finanziari)
La direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 interviene in tema di mercati degli strumenti finanziari, recando modificazioni alle direttive 85/611/CEE e 93/6/CEE del Consiglio e alla direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e abrogando la direttiva 93/22/CEE del Consiglio. La direttiva è composta da 73 articoli.
Le norme contenute nella direttiva 2004/39/CE costituiscono un passo importante verso la costruzione di un mercato azionario europeo integrato: le imprese d’investimento godranno effettivamente di un "passaporto unico" e gli investitori beneficeranno del medesimo livello di protezione in qualsiasi sistema europeo d’intermediazione mobiliare.
La direttiva 2004/39/CE inoltre cerca di stabilire per la prima volta un quadro regolamentare completo che regola l'esecuzione delle transazioni degli investitori da parte dei mercati regolamentati, dei sistemi di negoziazione alternativi e degli intermediari (imprese di investimento), che operano in qualità di internalizzatori.
L’abrogazione della direttiva 93/22/CEE sui servizi di investimento, del 10 maggio 1993, si è resa necessaria a seguito dell'evoluzione del mercato finanziario europeo, che ha visto un aumento del numero degli investitori, della gamma di servizi e strumenti offerti, dei canali di offerta, delle tipologie di intermediari e mercati. Allo stesso tempo, i sistemi di esecuzione degli ordini, grazie anche agli sviluppi della tecnologia, hanno registrato una radicale evoluzione e un deciso ampliamento, che hanno reso la definizione di mercato regolamentato insufficiente per comprendere tutte le modalità (bilaterali e multilaterali) attraverso le quali avviene l'esecuzione.
Le principali innovazioni previste dalla direttiva 2004/39 riguardano tre diverse aree: l’ambito di applicabilità della normativa, la disciplina dell’offerta di servizi di negoziazione e il regime di trasparenza delle condizioni di mercato.
In relazione all’applicabilità della normativa, la direttiva estende la portata della regolamentazione, espandendo sia l'elenco dei servizi finanziari soggetti (con l'inclusione dell'attività di consulenza agli investimenti, ma mantenendo alla ricerca e all'analisi finanziaria la qualifica di servizi accessori), sia l'elenco degli strumenti finanziari che sono oggetto della prestazione di servizi di investimento (includendovi anche strumenti derivati su merci e su crediti liquidati per cassa).
Con riferimento alla disciplina dell’offerta di servizi di negoziazione, si introduce la distinzione tra mercati regolamentati, sistemi multilaterali di negoziazione (Multilateral Trading Facilities – MTF) e intermediari autorizzati, eventualmente operanti in qualità di "internalizzatori sistematici".
Le definizioni dei tre istituti sono le seguenti:
§ mercato regolamentato è un "sistema multilaterale, amministrato e/o gestito dal gestore del mercato, che consente o facilita l'incontro - al suo interno e in base alle sue regole non discrezionali - di interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari, in modo da dare luogo a contratti relativi a strumenti finanziari ammessi alla negoziazione conformemente alle sue regole e/o ai suoi sistemi, e che è autorizzato e funziona regolarmente";
§ sistema multilaterale di negoziazione è un "sistema multilaterale gestito da un'impresa di investimento o da un gestore del mercato che consente l'incontro - al suo interno e in base a regole non discrezionali - di interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari, in modo da dare luogo a contratti";
§ internalizzatore sistematico è "un'impresa di investimento che in modo organizzato, frequente e sistematico negozia per conto proprio eseguendo gli ordini del cliente al di fuori di un mercato regolamentato o di un sistema multilaterale di negoziazione".
La direttiva 2004/39/CE esclude che i singoli paesi membri possano imporre il vincolo (cosiddetto “obbligo di concentrazione”) che gli scambi su titoli quotati in un mercato regolamentato avvengano esclusivamente su mercati regolamentati; consente invece che tali scambi possano avvenire anche su sistemi multilaterali di negoziazione o a cura di internalizzatori sistematici. In Italia l’obbligo di concentrazione è attualmente previsto, con alcune eccezioni, solo per i titoli azionari quotati su un mercato regolamentato e limitatamente agli orari di funzionamento di almeno uno dei mercati regolamentati in cui il titolo è negoziato.
Per quanto riguarda le regole di gestione degli ordini della clientela, l'articolo 21 prescrive che essi siano eseguiti alle condizioni più favorevoli per il cliente, "tenuto conto del prezzo, dei costi, della rapidità e della probabilità di esecuzione e di regolamento, delle dimensioni, della natura, dell'ordine o di qualsiasi altra considerazione pertinente ai fini della sua esecuzione". Se il cliente fornisce istruzioni specifiche, tuttavia, l'impresa di investimento deve eseguire l'ordine seguendo tali istruzioni. Per conseguire l’obiettivo delle “condizioni più favorevoli”, le imprese di investimento devono definire una strategia di esecuzione degli ordini; devono fornire informazioni adeguate ai loro clienti e possono operare solo subordinatamente al fatto che il cliente abbia dato il suo consenso preliminare sulla strategia di esecuzione proposta. Se la strategia contempla la possibilità di esecuzione al di fuori di un mercato regolamentato o di un sistema multilaterale di negoziazione, l'impresa di investimento deve informare i clienti di tale possibilità e ottenerne il consenso preliminare, che può essere formulato come accordo generale o con riferimento a singole operazioni. Le imprese di investimento devono poi essere in grado di dimostrare ai loro clienti che hanno eseguito gli ordini in conformità alla strategia di esecuzione adottata e dovranno definire a priori criteri per misurare la qualità dell’esecuzione, prendendo in considerazione l'entità e il tipo dell'ordine e la natura, al dettaglio o professionale, del cliente.
Nella gestione degli ordini dei clienti, le imprese di investimento dovranno applicare "procedure e dispositivi che assicurino un'esecuzione rapida, equa ed efficiente di tali ordini rispetto ad altri ordini di clienti e agli interessi di negoziazione della stessa impresa", rispettando la priorità temporale della loro ricezione. Se gli ordini inviati dal cliente indicano un limite di prezzo e riguardano azioni ammesse alla negoziazione in un mercato regolamentato, l'impresa di investimento che li riceve potrà o eseguirli immediatamente alle condizioni prevalenti del mercato (internalizzazione) oppure dovrà adottare misure volte a facilitarne l'esecuzione più rapida possibile, pubblicandoli immediatamente e in un modo facilmente accessibile agli altri partecipanti al mercato (a meno che il cliente abbia fornito esplicitamente istruzioni diverse). Tale obbligo potrà essere assolto trasmettendo gli ordini con limite di prezzo a un mercato regolamentato o a un sistema multilaterale di negoziazione. Potranno essere esentati dall'obbligo di pubblicazione gli ordini con limite di prezzo riguardanti un volume elevato rispetto alle dimensioni normali del mercato.
Nel contesto introdotto dalla direttiva diventerà molto rilevante stabilire i criteri per definire la best execution.
Nella scelta della sede (trading venue) in cui dare attuazione all’ordine, le imprese di investimento dovranno valutarne la capacità di offrire i migliori risultati possibili per il cliente, in considerazione dei tipi di ordine che essa utilizza e dei tipi di cliente che essa serve, e dimostrare di averla utilizzata per un certo periodo di tempo e di valutarla periodicamente.
Fattori dei quali tenere conto per giudicare la bontà di una sede saranno: prezzo, liquidità, commissioni e altri costi, dimensione tipica dell'ordine, caratteristiche prevalenti delle controparti, capacità di condurre a termine scambi e di liquidarli.
Per quanto riguarda i requisiti di trasparenza, essi sono trattati negli articoli 27-30 e 44-45 della direttiva. Gli articoli 27 e 28 sono dedicati agli obblighi di trasparenza degli internalizzatori sistematici. Questi, quando negoziano quantitativi inferiori alla dimensione ordinaria del mercato, sono tenuti a pubblicare quotazioni irrevocabili per le azioni ammesse alla negoziazione nei mercati regolamentati per le quali esiste un mercato liquido. Le quotazioni devono essere pubblicate con regolarità e continuità durante il normale orario di contrattazione e possono essere ritirate solo in condizioni di mercato eccezionali. Le quotazioni devono essere accessibili da parte dei partecipanti al mercato a condizioni commerciali ragionevoli. Nel caso di azioni per le quali non esiste un mercato liquido, gli internalizzatori sistematici sono invece tenuti a comunicare le loro quotazioni alla clientela su richiesta, mentre sono esentati dall'obbligo di pubblicazione di quotazioni irrevocabili se negoziano soltanto quantitativi al di sopra delle dimensioni ordinarie del mercato. Nei confronti dei clienti professionali, gli internalizzatori sistematici possono praticare condizioni di prezzo migliori rispetto al prezzo quotato al momento in cui ricevono l'ordine, "in casi giustificati, a patto che il prezzo rientri in una forbice pubblicata prossima alle condizioni di mercato e che gli ordini siano di dimensioni maggiori di quelle abitualmente considerate da un investitore al dettaglio". Infine, gli internalizzatori sistematici possono eseguire gli ordini che ricevono dagli investitori professionali a prezzi diversi da quelli delle loro quotazioni senza rispettare le condizioni precedenti, quando l'esecuzione in vari titoli fa parte di una sola transazione o riguardo ad ordini soggetti a condizioni diverse dal prezzo corrente di mercato.
Per quanto riguarda la trasparenza post-negoziazione (articolo 28) gli internalizzatori devono rendere pubblici il volume e il prezzo delle operazioni svolte e il momento nel quale sono state concluse. Tali informazioni sono pubblicate per quanto possibile immediatamente, a condizioni commerciali ragionevoli e in modo da essere facilmente accessibili agli altri partecipanti al mercato, tramite un mercato regolamentato dove lo strumento è quotato oppure tramite un sistema multilaterale di negoziazione nel quale è trattato o ancora tramite i servizi di un terzo o tramite dispositivi propri.
Gli articoli 29 e 30 disciplinano gli obblighi di trasparenza ex ante e ex post dei sistemi multilaterali di negoziazione. Questi (o meglio le imprese di investimento e i gestori di mercato che li gestiscono) devono rendere pubblici i prezzi correnti di acquisto e di vendita e lo spessore del mercato a tali prezzi tramite i loro sistemi, se relativi ad azioni quotate in un mercato regolamentato, a condizioni commerciali ragionevoli e in modo continuo durante il normale orario di contrattazione. Essi possono essere esentati da tale obbligo se le operazioni riguardano volumi elevati rispetto alle dimensioni normali del mercato. Per quanto riguarda l'informativa ex post, i sistemi multilaterali di negoziazione devono rendere pubblici il prezzo, il volume e il momento di esecuzione delle operazioni concluse su azioni quotate in un mercato regolamentato, a condizioni commerciali ragionevoli e per quanto possibile in tempo reale. Questo requisito non si applica alle negoziazioni eseguite in un sistema multilaterale di negoziazione le cui informazioni siano rese pubbliche nell'ambito dei sistemi di un mercato regolamentato. La pubblicazione può essere differita in base al tipo o alle dimensioni delle operazioni, in particolare quando le operazioni riguardano volumi che sono elevati se raffrontati alle dimensioni normali del mercato.
Gli articoli 44 e 45 disciplinano gli obblighi di trasparenza ex ante e ex post dei mercati regolamentati. Questi devono rendere pubblici i prezzi correnti di acquisto e di vendita e la profondità del mercato a tali prezzi, a condizioni commerciali ragionevoli e in modo continuo durante il normale orario di contrattazione. Per quanto riguarda la trasparenza ex post, i mercati regolamentati devono rendere pubblici il prezzo, il volume e la data di esecuzione delle operazioni concluse riguardanti le azioni ammesse alla negoziazione, a condizioni commerciali ragionevoli e per quanto possibile in tempo reale. I mercati regolamentati possono essere autorizzati a differire la pubblicazione dei dettagli delle operazioni in base al loro tipo o alle loro dimensioni. In particolare l'autorità competente può autorizzare a differire la pubblicazione quando le operazioni sono di dimensioni elevate se raffrontate alle dimensioni delle operazioni, normalmente negoziate sul mercato, aventi ad oggetto le stesse azioni o categorie di azioni.
Il termine di recepimento della direttiva è fissato al 30 aprile 2006 (24 mesi dalla data della sua entrata in vigore).
Il recepimento della direttiva 2004/25/CE nell’ordinamento italiano dovrebbe comportare modifiche al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, emanato con decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.
Documenti all’esame delle Istituzioni europee
Il 25 giugno 2004 la Commissione europea, sulla base del c.d. metodo Lamfalussy[269], ha dato mandato al Comitato delleautorità europee di regolamentazione e vigilanza sui valori mobiliari[270] di elaborare un parere tecnico sulle misure che dovranno essere adottate per dare attuazione ad alcune disposizioni della direttiva 2003/39/CE, relativa ai mercati degli strumenti finanziari. Il Comitato ha avviato una consultazione delle parti interessate (che si è chiusa il 4 ottobre), in vista dell’adozione del parere prevista entro il 30 aprile 2005.
Direttiva 2004/67/CE
(Sicurezza dell’approvvigionamento di gas naturale)
La direttiva 2004/67/CE del 26 aprile 2004, concernente misure volte a garantire la sicurezza dell'approvvigionamento di gas naturale,si pone l’obiettivo di completare il mercato interno del gas naturale nell'Unione europea e garantire la sicurezza dell'approvvigionamento in un contesto concorrenziale.
Come si ricorda nei considerando della direttiva stessa, il gas naturale occupa un posto sempre più rilevante nell’approvvigionamento energetico comunitario. La dipendenza dalle importazioni di gas da fonti esterne alla UE assume peraltro carattere preoccupante: più del 40% del nostro consumo di gas naturale è importato e, secondo le previsioni, tale dipendenza potrebbe raggiungere il 70% nel 2020[271].
Pertanto, è stata avvertita a livello comunitario l’esigenza di definire regole comuni e responsabilità chiare per tutti i soggetti operanti sul mercato.
La direttiva in esame stabilisce un quadro comune entro il quale gli Stati membri definiscono politiche di sicurezza dell'approvvigionamento generali, trasparenti e non discriminatorie, compatibili con le esigenze di un mercato unico concorrenziale del gas.
Gli Stati membri adottano le misure opportune per definire le politiche e le norme generali in materia di sicurezza dell'approvvigionamento del gas naturale e i ruoli e le responsabilità generali dei vari soggetti del mercato (art. 1).
Le azioni mirano a:
Gli Stati membri adottano, inoltre, le misure necessarie affinché l'approvvigionamento degli utenti domestici sia assicurato:
a) in caso di parziale interruzione dell'approvvigionamento nazionale, per un periodo stabilito dagli Stati membri;
b) in presenza di temperature estremamente basse o di inverni rigidi;
c) per periodi caratterizzati da domanda di gas eccezionalmente elevata durante i periodi più freddi.
Le misure possono essere estese anche alle piccole e medie imprese ed agli utenti, che non possono passare dal gas ad altre fonti energetiche (art.4).
Gli Stati membri pubblicano entro il 31 luglio di ogni anno una relazione che tenga conto dei seguenti aspetti:
Al fine di garantire la sicurezza permanente dell'approvvigionamento comunitario a lungo termine di gas e lo sviluppo progressivo di un mercato interno del gas più fluido, la Commissione svolge attività di sorveglianza su: i nuovi contratti di importazione per l'approvvigionamento di gas; l’esistenza di una adeguata fluidità dell’approvvigionamento; il livello di working gas, sull’interconnessione dei sistemi nazionali dei singoli Stati membri; la situazione di approvvigionamento di gas prevedibile in funzione della domanda, dell’autonomia di approvvigionamento e delle relative fonti. La Commissione, entro il mese di maggio del 2008, presenta al Parlamento europeo ed al Consiglio una relazione di analisi sull’esperienza acquisita nell’applicazione delle suddette disposizioni (art. 6).
La direttiva prevede l’istituzione di un Gruppo di coordinamento del gas, composto dai rappresentanti degli Stati membri e di organismi rappresentativi dell’industria e dei consumatori, al fine di agevolare il coordinamento delle misure di sicurezza dell’approvvigionamento (art. 7).
Si dispone, inoltre, l’adozione o l’aggiornamento, da parte dei singoli Stati membri, di misure di emergenza nazionali che devono essere comunicate alla Commissione (art. 8)
Per quanto riguarda la gestione di una grave interruzione dell'approvvigionamento, la presente direttiva prevede un meccanismo basato su un approccio in tre fasi. Nella prima di queste si prevede che siano attivate le reazioni dell'industria all'interruzione dell'approvvigionamento. Ove ciò non fosse sufficiente, gli Stati membri sono tenuti all’adozione di misure per risolvere l'interruzione dell'approvvigionamento. Si dovrebbero adottare misure adeguate a livello comunitario soltanto qualora le misure adottate nelle fasi precedenti risultassero inefficaci (art. 9).
Entro il mese di maggio del 2008 la Commissione è chiamata a riferire in merito all’efficacia degli strumenti utilizzati, sulla base dell’attuazione della direttiva da parte degli Stati membri. Alla luce dei risultati ottenuti può formulare raccomandazioni o presentare proposte concernenti ulteriori misure di potenziamento dell’approvvigionamento del gas.
La direttiva è entrata in vigore il 19 maggio 2004.
Gli Stati membri adottano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il mese di maggio 2006.
Direttiva 2002/88/CE
(Ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai provvedimenti da adottare contro l’emissione di inquinanti gassosi e particolato inquinante prodotti dai motori a combustione interna destinati all’installazione su macchine mobili non stradali)
La direttiva 2002/88/CE estende il campo d'applicazione della direttiva 97/68/CE includendovi i piccoli motori a benzina ad accensione comandata di potenza non superiore a 19 kW (falciatrici, motoseghe, tagliasiepe, decespugliatrici, pompe, generatori, ecc). Si tratta, infatti, di motori prodotti in tutto il mondo per un totale di circa 25 milioni di unità all'anno il cui contributo alle emissioni globali di composti organici volatili (COV) nella Comunità è pari al 10-15%.
Come precisato al punto 5 della premessa alla direttiva le emissioni prodotte dai piccoli motori a benzina ad accensione comandata nei vari tipi di macchine contribuiscono sensibilmente ai problemi di qualità dell'aria attuali e futuri, in particolare per quanto concerne la formazione di ozono.
Si ricorda che la direttiva 97/68/CE del Parlamento europeo e del Consiglio è stata emanata nel tentativo di ridurre l'inquinamento atmosferico causato dai motori delle macchine mobili non stradali mediante la definizione a livello comunitario di norme sulle emissioni ammissibili per tali motori di inquinanti gassosi e particelle inquinanti. Lo scopo di tale direttiva era di riavvicinare le legislazioni degli Stati membri in materia di parametri di emissione e di procedure di omologazione per i motori destinati all'installazione su macchine mobili non stradali .
In Italia la direttiva 97/68/CE è stata recepita con il DM 20 dicembre 1999 (pubblicato sulla G.U. 9 febbraio 2000, n. 32, S.O.) recante, appunto, l’Attuazione della direttiva 97/68/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 1997 concernente i provvedimenti da adottare contro l'emissione di inquinanti gassosi e particolato inquinante prodotti dai motori a combustione interna destinati all'installazione su macchine mobili non stradali, come modificato dal DM 1° giugno 2001 (pubblicato sulla G.U. 27 giugno 2001, n. 147) Recepimento della rettifica alla direttiva 97/68/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 1997 concernente i provvedimenti da adottare contro l'emissione di inquinanti gassosi e particolato inquinante prodotti da motori a combustione interna destinati all'installazione su macchine mobili non stradali.
I principali elementi della direttiva sono i seguenti :
- valori limite applicati in due fasi secondo la classe del motore: 18 mesi dopo l'entrata in vigore della direttiva (fase I) e nel 2004-2010 (fase II) ;
- un sistema di compensazione e di messa in riserva di crediti di emissione.
L’art.2 stabilisce che entro l'11 agosto 2004 gli Stati membri dovranno adottare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva, informandone immediatamente la Commissione.
L’art. 3 prevede che entro l'11 agosto 2004 la Commissione presenti una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio, e, ove necessario, una proposta, sui potenziali costi/benefici e sulla fattibilità della riduzione delle emissioni di particolato prodotto da piccoli motori ad accensione comandata, in particolare per quanto concerne i motori a due tempi; della riduzione delle emissioni prodotte dai veicoli da diporto, inclusi motoslitte e go-cart, attualmente non contemplati; della riduzione dei gas di scarico e delle emissioni di particolato prodotti da motori ad accensione per compressione per locomotive.
La relazione dovrà tenere conto dei seguenti elementi:
i) stime del contributo di tali motori alle emissioni di particolato e del potenziale impatto delle misure di riduzione delle emissioni proposte ai fini del miglioramento della qualità dell'aria e della riduzione degli effetti sulla salute;
ii) procedure di prova e misurazione e relative apparecchiature che potrebbero essere usate per valutare le emissioni di particolato prodotto da piccoli motori ad accensione comandata in sede di omologazione;
iii) lavori e conclusioni nell'ambito del programma per la misurazione del particolato;
iv) sviluppi in procedure di prova, tecnologia dei motori, disinquinamento dei gas di scarico nonché standard rafforzati per carburante e olio motore;
v) costi da sostenere per la riduzione delle emissioni di particolato prodotto da piccoli motori ad accensione comandata e rapporto costi-efficacia delle misure proposte;
Infine, gli artt. 4 e 5 recano, rispettivamente, la data relativa all’entrata in vigore della direttiva fissata il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea e la clausola di rito che destinatari della presente direttiva sono gli Stati membri.
Direttiva 2002/94/CE
(Direttiva della Commissione recante talune modalità di applicazione della direttiva 76/308/CEE del Consiglio sull'assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da taluni contributi, dazi, imposte ed altre misure)
La direttiva 2002/94/CE della Commissione, del 9 dicembre 2002, reca talune modalità di applicazione della direttiva 76/308/CEE del Consiglio, del 15 marzo 1976.
Con la direttiva 76/308/CEE[272] del 15 marzo 1976 la Comunità europea ha emanato le disposizioni relative “all'assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da operazioni che fanno parte del sistema di finanziamento del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia, nonché dei prelievi agricoli e dei dazi doganali”.
Con la direttiva della Commissione 77/794/CEE del 4 novembre 1977 sono state stabilite le modalità pratiche necessarie per l'applicazione di talune disposizioni della direttiva 76/308/CEE.
A seguito del moltiplicarsi delle frodi nei confronti degli strumenti comunitari e vista l’opportunità di far rientrare nell'ambito d'applicazione i crediti relativi a determinate imposte sui redditi e sul capitale e a imposte sui premi assicurativi, è stata emanata la direttiva 2001/44/CE[273] del Consiglio, del 15 giugno 2001, che ha novellato la direttiva 76/308/CEE, modificandone, peraltro, il titolo in “direttiva sull'assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da taluni contributi, dazi, imposte ed altre misure”.
Il sistema di assistenza reciproca tra le autorità competenti degli Stati membri, istituito dalla direttiva 73/308/CEE, è stato modificato dalla direttiva 2002/94/CE per quanto riguarda le informazioni da trasmettere all'autorità richiedente, la notificazione al destinatario di atti o di decisioni che lo riguardano, l'adozione di provvedimenti cautelari e il recupero di crediti da parte dell'autorità adita per conto dell'autorità richiedente.
Le disposizioni attuative previste dalla direttiva 77/794/CEE[274] vengono modificate dalla direttiva 2002/94/CE in relazione a ciascuno degli aspetti summenzionati.
Nella direttiva 2002/94/CE lo scambio d’informazioni è previsto previa richiesta dello Stato richiedente. Non è quindi possibile lo scambio automatico né spontaneo.
Lo scambio d’informazioni utili per il recupero di un credito non è limitato alle informazioni di cui è già in possesso l'amministrazione adita, dovendo quest’ultima adoperarsi per ottenere l’informazione richiesta. A questo fine essa eserciterà i poteri previsti dalle disposizioni applicabili per il recupero di crediti analoghi sorti nello Stato membro in cui essa ha sede. La richiesta d’informazione deve avvenire per iscritto. Se non è inviata per via elettronica, la domanda deve avere il timbro dell’autorità richiedente e deve essere firmata da un funzionario debitamente autorizzato. Nella richiesta deve segnalarsi ogni altra autorità cui è stata eventualmente inoltrata un'analoga richiesta (articolo 3). La domanda d’informazioni indica il nome, l'indirizzo e qualsiasi altro dato utile per l'identificazione della persona sul conto della quale debbono essere fornite le informazione, nonché la natura e l'importo del credito. La richiesta d’informazioni può riguardare il debitore, un'altra persona tenuta al pagamento del credito, secondo le norme vigenti nello Stato richiedente, un terzo che detenga beni appartenenti ad una delle suddette persone (articolo 4). Ciò può comportare l’estensione della garanzia personale del credito anche a soggetti non obbligati al pagamento nello Stato dell'autorità adita. L'autorità adita riscontra per iscritto la ricezione della richiesta entro sette giorni dalla data in cui essa è pervenuta (articolo 5) e trasmette le informazioni richieste all'autorità richiedente nel momento in cui le ha ottenute. Se non è stato possibile ottenerle entro termini congrui, l'autorità adita ne informa l'autorità richiedente, indicandone le ragioni. In ogni caso, allo scadere del termine di sei mesi dalla data di ricevimento della domanda, l'autorità adita informa l'autorità richiedente dell'esito delle ricerche effettuate. Successivamente l'autorità richiedente, entro il termine di due mesi, può domandare all'autorità adita di proseguire le ricerche (articolo 6). In qualsiasi momento, comunicandolo per iscritto, l'autorità richiedente può ritirare la richiesta d’informazioni (articolo 8). L'articolo 22 prevede che ciascuno Stato designi, un ufficio centrale responsabile della comunicazione per via elettronica.
L’articolo 30 della direttiva prevede che gli Stati membri vi conformino la loro legislazione entro il 30 aprile 2003 e ne informino immediatamente la Commissione.
Si segnala, infine, che, con la direttiva 2004/79/CE del 4 marzo 2004 della Commissione è stata adattata la direttiva 2002/94/CE, in materia di fiscalità, in conseguenza dell'adesione della Repubblica ceca, dell'Estonia, di Cipro, della Lettonia, della Lituania, dell'Ungheria, di Malta, della Polonia, della Slovenia e della Slovacchia all’Unione europea.
Direttive 2003/2/CE, 2003/3/CE, 2003/11/CE, 2003/34/CE, 2003/36/CE e 2003/53/CE
(Direttive volte a limitare l’immissione sul mercato di sostanze e preparati pericolosi per la salute e per l’ambiente)
Tra le direttive da attuare in via amministrativa, ne risultano diverse attinenti alla questione dell’immissione sul mercato di sostanze e preparati pericolosi per la salute e l’ambiente. In particolare, si tratta delle:
§ Dir. 2003/2/CE del 6 gennaio 2003della Commissione,relativa alle restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso dell'arsenico (decimo adeguamento al progresso tecnico della direttiva 76/769/CEE del Consiglio).
§ Dir. 2003/3/CE del 6 gennaio 2003della Commissione, relativa alle restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso del «colorante blu» (dodicesimo adeguamento al progresso tecnico della direttiva 76/769/CEE del Consiglio).
§ Dir. 2003/11/CE del 6 febbraio 2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, recante la ventiquattresima modifica della 76/769/CEE del Consiglio relativa alle restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso di talune sostanze e preparati pericolosi (pentabromodifenil etere, ottabromodifenil etere)
Si segnala che le direttive2003/2/CE e 2003/3/CE sono state già recepite nel nostro ordinamento con il DM 17 ottobre 2003 (GU 302 del 31 dicembre 2003), mentre la direttiva 2003/11/CE è stata recepita dal DM 17 aprile del 2003 (GU n. 185 dell’11 agosto 2003).
§ Dir. 2003/34/CE del 26 maggio 2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, recante la ventitreesima modifica della direttiva 76/769/CEE del Consiglio relativa alle restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso di talune sostanze e preparati pericolosi (sostanze classificate come cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione).
§ Dir. 2003/36/CE del 26 maggio 2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, recante la venticinquesima modifica della direttiva 76/769/CEE del Consiglio concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri relative alle restrizioni in materia d'immissione sul mercato e di uso di talune sostanze e preparati pericolosi (sostanze classificate come cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione - CMR).
§ Dir. 2003/53/CE del 18 giugno 2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, che modifica per la ventiseiesima volta la direttiva 76/769/CEE del Consiglio relativamente alle restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso di talune sostanze e preparati pericolosi (nonilfenolo, nonilfenolo etossilato, cemento)
Si segnala che le direttive 2003/36/CE e 2003/53/CE sono stata recentemente recepite nel nostro ordinamento rispettivamente con i decreti ministeriali 18 giugno 2004 e 10 maggio 2004, entrambi pubblicati nella GU n. 198 del 24 agosto 2004.
Le ultime tre direttive indicate riguardano le restrizioni in materia di immissioni sul mercato e di uso di talune sostanze e preparati pericolosi e recano, rispettivamente, la ventitreesima, la venticinquesima e la ventiseiesima modifica della direttiva 76/769/CEE del Consiglio e introducono ulteriori restrizioni in materia di commercializzazione e utilizzo di alcune sostanze e preparati pericolosi (sostanze classificate come cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione), modificando la lista delle sostanze ritenute nocive indicate nell’Allegato I della direttiva 76/769/CEE.
Si ricorda che la Direttiva 76/769/CEE del Consiglio, è stata adottata allo scopo ditutelare la popolazione e l'ambiente nei confronti di alcune sostanze e preparati pericolosi e garantire il buon funzionamento del mercato comune, ravvicinando le disposizioni legislative esistenti in materia negli Stati membri, concernenti l'immissione sul mercato e l'uso di tali sostanze.
Sono esclusi dal campo di applicazione della direttiva:
· il trasporto delle sostanze e dei preparati pericolosi per ferrovia, su strada, per via fluviale, marittima o aerea;
· le sostanze e ai preparati pericolosi esportati verso paesi terzi;
· le sostanze e ai preparati in transito sottoposti a controllo doganale, purché non siano oggetto di nessuna trasformazione.
Le limitazioni stabilite dalla direttiva non si applicano all'immissione sul mercato o all'uso a fini di ricerca, di sviluppo e di analisi.
In allegato alla direttiva sono elencati i prodotti disciplinati dalla direttiva e le condizioni previste per la loro immissione nel mercato. Le successive direttive di modifica alla direttiva 76/769/CEE hanno aggiunto ulteriori sostanze e preparati.
All’attuazione nel nostro ordinamento della direttiva CEE n. 76/769 si è provveduto con il DPR 10 settembre 1982, n. 904 contenente la disciplina generale della materia, regolando le restrizioni all’immissione sul mercato e all’uso sul territorio nazionale delle sostanze e dei preparati pericolosi elencati in allegato al decreto. L'art. 27 della legge 22 febbraio 1994, n. 146 (legge comunitaria 1993) ha aggiunto un articolo (art. 1-bis) al DPR n. 904, con cui si prevede che l’allegato in cui sono elencate le sostanze pericolose possa essere modificato con decreto del Ministro della sanità, per assicurarne la conformità alle direttive comunitarie.
Per quanto riguarda le modifiche apportate dalle direttive citate, si segnala, in particolare, che:
§ La prima direttiva (2003/34) integra l’elenco delle sostanze classificate come cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione, di categorie 1 o 2, riportato nella appendice relativa ai punti 29, 30 e 31 dell'allegato I della direttiva 76/769/CEE (appendice introdotta dalla dir. 94/60/CE, recante quattordicesima modifica della direttiva 76/769/CEE). Dispone, infatti, che ai suddetti punti siano aggiunte 22 sostanze recentemente classificate come cancerogene, mutagene o tossiche, elencate nell’allegato I della direttiva 67/548/CEE relativa alla classificazione, l'imballaggio e l'etichettatura delle sostanze pericolose. Gli stati membri devono adottare il provvedimento entro 15 luglio 2004 ed applicarlo a decorrere dal 15 gennaio 2005.
§ La seconda direttiva (2003/36/CE) integra l’elenco delle sostanze classificate come cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione, di categorie 1 o 2, riportato nella appendice relativa ai punti 29, 30 e 31 dell'allegato I della direttiva 76/769/CEE (appendice introdotta dalla dir. 94/60/CE, recante quattordicesima modifica della direttiva 76/769/CEE ), aggiungendo due nuove sostanze di categoria 1, delle quali è stato accertato che possano indurre gravi patologie cancerogene (butano e butadiene), altre diciannove di categoria 2, che presentano rischi analoghi sia pure di minore entità, tra le quali il cromato di sodio, largamente impiegato, alcune tipologie di ossidi, il furano, il dinitroulene, alcuni cloruri e solfati. Sono state aggiunte anche cinque sostanze classificate come mutagene, tra cui il solfato e l'ossido di propilene, una sostanza giudicata tossica per la riproduzione di categoria 1, il bromopropano, e infine sedici preparati definiti tossici per la riproduzione di categoria 2. Gli Stati membri sono tenuti a adottare il provvedimento entro il 25 giugno del 2004, con disposizioni regolamentari e amministrative nazionali applicano tali disposizioni a decorrere dal 25 dicembre 2004.
§ Infine, la direttiva 2003/53/CE stabilisce restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso di tre sostanze pericolose – nonilfenolo (NP), nonilfenolo etossilato (NPE), cemento - al fine di garantire la tutela dell’ambiente e della salute umana. La direttiva è volta ad armonizzazione le disposizioni concernenti l'immissione sul mercato e l'uso delle prime due sostanze (NP ed NPE) pericolose per l’ambiente, utilizzate nella produzione di resine, plastiche, stabilizzatori nell'industria dei polimeri, ma anche nella fabbricazione degli ossimi fenolici e in alcune tinture speciali. Il provvedimento, inoltre, considerati gli effetti prodotti dal contatto cutaneo diretto e prolungato con il cemento, provvede a limitare l'immissione sul mercato e l'uso di cemento, per tutelare la salute umana. Studi scientifici hanno, infatti, provato che i preparati di cemento contenenti cromo VI ( il cui utilizzo è già stato vietato ai sensi della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso e della direttiva 2002/95/CE sulla restrizione dell'uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche) possono causare reazioni allergiche in determinate circostanze, se vi è un contatto diretto e prolungato con la pelle umana. Il termine di recepimento è fissato al 17 luglio 2004, mentre le disposizioni della direttiva si applicano a partire dal 17 gennaio 2005.
Direttiva 2003/13/CE
(Direttiva della Commissione che modifica la direttiva 96/5/CE sugli alimenti a base di cereali e gli altri alimenti destinati ai lattanti e ai bambini)
La direttiva 2003/13/CE modifica la disciplina sugli alimenti a base di cereali e gli altri alimenti destinati a lattanti e bambini, di cui alla direttiva 96/5/CE [275].
La direttiva 96/5/CE [276] riguarda gli obblighi in materia di composizione e d'etichettatura degli alimenti destinati a essere utilizzati durante il periodo di svezzamento dei bambini (da uno a tre anni) e dei lattanti (bambini di meno di dodici mesi), nonché come complemento di alimentazione in vista di un loro adattamento ad un'alimentazione normale.
La direttiva 2003/13/CE innalza il livello di protezione dei lattanti, applicando controlli di rilevazione più severi per un numero limitato di antiparassitari e di loro metaboliti particolarmente pericolosi e già vietati dalla direttiva 1999/39/CE. Ciò al fine di tener conto degli effetti di contaminazione nell’ambiente, anche a più lungo termine, derivanti dall’impiego di alcuni prodotti fitosanitari.
A tal fine sono stabilite nuove quantità massime dei residui in misura tale da preservare in ogni caso la salute dei soggetti consumatori.
Si ricorda che il termine di recepimento è stabilito per il 6 marzo 2004.
Direttiva 2003/14/CE
(Direttiva della Commissione che modifica la direttiva 91/321/CEE sugli alimenti per lattanti e alimenti di proseguimento)
La direttiva 2003/14/CE modifica la disciplina sugli alimenti per lattanti e alimenti di proseguimento, di cui alla direttiva 91/321/CEE[277].
La direttiva 91/321/CEE [278] fissa le norme per la commercializzazione degli alimenti per lattanti e degli alimenti di proseguimento destinati ai lattanti in buona salute nella Comunità e permette, inoltre, agli Stati membri di applicare i principi e gli obiettivi fissati dal Codice internazionale dei sostituti del latte materno.
Nell'ambito delle norme di commercializzazione, la direttiva specifica gli ingredienti autorizzati, gli elementi della composizione, le sostanze che possono essere utilizzate per la fabbricazione di questo tipo di alimenti, la presentazione alla vendita, le indicazioni che devono obbligatoriamente figurare sull'etichetta, che si aggiungono a quelle fissate dalla direttiva 79/112/CEE del Consiglio relativa all'etichettatura dei prodotti alimentari, ecc.
La pubblicità relativa agli alimenti per lattanti deve limitarsi alle pubblicazioni scientifiche e a quelle specializzate nel settore della puericultura. Gli Stati membri dovranno garantire un'informazione oggettiva e coerente sull'alimentazione dei lattanti e dei bambini nella prima infanzia.
La direttiva 2003/14/CE innalza il livello di protezione dei lattanti, applicando controlli di rilevazione più severi per un numero limitato di antiparassitari e di loro metaboliti particolarmente pericolosi e già vietati dalla direttiva 1999/50/CE. Ciò al fine di tener conto degli effetti di contaminazione nell’ambiente, anche a più lungo termine, derivanti dall’impiego di alcuni prodotti fitosanitari.
A tal fine sono stabilite nuove quantità massime dei residui in misura tale da preservare in ogni caso la salute dei soggetti consumatori.
Si ricorda che il termine di recepimento è stabilito per il 6 marzo 2004.
Direttiva 2003/65/CE
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici)
La direttiva 2003/65/CE modifica la disciplina sulla protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici, di cui alla direttiva 86/609/CEE[279].
La Direttiva 86/609/CEE concerne il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri. Essa riguarda l'utilizzazione di animali per lo sviluppo, la produzione e le prove di qualità, di efficacia e di innocuità dei preparati farmaceutici, degli alimenti e di altre sostanze o prodotti:
§ per il controllo di malattie o disturbi della salute nelle persone, negli animali e nelle piante;
§ per il controllo delle condizioni fisiologiche nelle persone, negli animali e nelle piante;
§ per la protezione dell'ambiente naturale, nell'interesse delle persone e degli animali.
Gli Stati membri devono vietare l'impiego a fini sperimentali degli animali minacciati di estinzione. L'impiego di questi animali può essere permesso solo in casi particolari.
La direttiva 2003/65/CE introduce modalità più snelle per l’aggiornamento in futuro degli allegati della direttiva ai più recenti sviluppi scientifici e tecnici e ai risultati della ricerca nei settori interessati. Tale modifica è volta ad evitare il ricorso alla più complessa procedura di codecisione.
I nuovi articoli 24 bis e 24 ter prevedono che la Commissione sia assistita da un comitato, sulla base delle procedure previste dagli articoli 5, 7 e 8 della decisione 1999/468/CE. Il periodo per la delibera del Consiglio è fissato a tre mesi dalla proposta della Commissione.
Si ricorda che il termine di recepimento è stabilito per il 16 settembre 2004.
Direttiva 2003/66/CE
(Etichettatura indicante il consumo d’energia dei frigoriferi elettrodomestici, dei congelatori elettrodomestici e delle relative combinazioni)
Dir. 2003/66/CE del 3 luglio 2003 della Commissione che modifica la direttiva 94/2/CE concernente le modalità d'applicazione della direttiva 92/75/CE del Consiglio per quanto riguarda l'etichettatura indicante il consumo d'energia dei frigoriferi elettrodomestici, dei congelatori elettrodomestici e delle relative combinazioni.
La direttiva 94/2/CE, oggetto di modifica da parte della direttiva in esame, è stata adottata - relativamente all’etichettatura dei frigoriferi - in attuazione della direttiva 92/75/CEE, che costituisce la base normativa vigentein materia di informazione, mediante etichettatura, del consumo di energia degli apparecchi domestici.
Si ricorda che le prime disposizioni comunitarie
in materia di informazione, mediante
etichettatura, del consumo di energia degli apparecchi domestici si rinvengono
nella direttiva 79/530/CEE (attuata nel nostro ordinamento dal DPR 12 agosto
1982, n. 783), in seguito sostituita dalla direttiva
92/75/CEE che è stata recepita con il DPR 9 marzo 1998, n. 107 (“
Regolamento
recante norme per l'attuazione della direttiva 92/75/CEE concernente le
informazioni sul consumo di energia degli apparecchi domestici’”) e con il DM
10 novembre 1999 (“Norme sui requisiti di
rendimento energetico di frigoriferi, congelatori e loro combinazioni di uso
domestico, in conformità alla direttiva comunitaria 96/57/CE[280]).
Nell'ambito di applicazione della direttiva rientrano i seguenti apparecchi domestici: 1) frigoriferi, congelatori e loro combinazioni; 2) lavatrici, essiccatoi e loro combinazioni; 3) lavastoviglie; 4) forni; 5) scalda acqua e serbatoi di acqua calda; 6) fonti di illuminazione; 7) condizionatori d'aria; 8) altri apparecchi indicati da successive disposizioni comunitarie.
Per questi tipi di apparecchi è fatto obbligo al fornitore di predisporre tre tipi di documenti: una scheda informativa, una etichetta da apporre sul prodotto e una documentazione tecnica. La scheda e l'etichetta devono essere rese note al consumatore, la documentazione tecnica, comprovante l'esattezza delle informazioni inserite nella scheda e nell'etichetta, è a disposizione per eventuali controlli da parte delle autorità nazionali. In Italia questo compito spetta al Ministero delle attività produttive che ha, inoltre, il compito di promuovere una campagna informativa finalizzata ad incentivare un uso responsabile dell'energia da parte dei consumatori.
Specifiche modalità di etichettatura e di informazione del consumatore relative a ciascun tipo di apparecchio, adottate in applicazione della direttiva in esame, sono stabilite da singole direttive comunitarie (previste dall'art. 2 della dir. 92/75/CEE) da attuarsi mediante regolamenti del Ministero dell'industria (ora delle attività produttive) ai sensi dell’art.1, comma 2, del regolamento di attuazione della direttiva 92/75/CEE.
La direttiva 94/2/CE - recepita nel nostro
ordinamento con il DM 2 aprile 1998 (“
Modalità
di applicazione della etichettatura energetica a frigoriferi domestici,
congelatori e relative combinazioni”), successivamente modificato dal DM 7
ottobre 1998 (“Modalità di applicazione
della etichettatura energetica a lavatrici, asciugabiancheria e lavasciuga ad
uso domestico”) - viene ora modificata
dalla direttiva 2003/66 che, per
gli elettrodomestici del freddo, aggiunge due nuove classi di efficienza energetica - denominate A+
e A++ - alle sette attualmente
previste che vanno da A (efficienza massima) a G (efficienza minima) (Si ricorda che i prodotti definiti
energeticamente efficienti ricadono nelle classi A e B).
La Commissione Europea, infatti, rilevando il successo ottenuto dal regime di etichettatura introdotto dalla citata direttiva 94/2/CE che, nel quadriennio dal 1996 al 2000, ha provocato un aumento degli indici di efficienza dei nuovi frigoriferi e congelatori superiore al 30% e rilevando, altresì, che nel 2000 il 20% delle apparecchiature refrigeranti vendute apparteneva alla classe più efficiente (A), con percentuali superiori al 50% in alcuni paesi, ha ritenuto necessario introdurre le due classi addizionali A+ e A++, nell’attesa di una revisione complessiva delle classi di etichettatura energetica (i frigoriferi e congelatori che consumano di più sono classificati «F» e «G»).
A partire dal 2004, la direttiva 2003/66 consentirà ai consumatori di individuare i frigoriferi e i congelatori che consumano meno energia e che sono contrassegnati dalle diciture «A+» (maggiore efficienza) e «A++» (efficienza massima) sull'etichetta di vendita di questi prodotti.
Gli Stati membri dovranno adottare e pubblicare le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla nuova direttiva entro il 30 giugno 2004, applicando tali disposizioni a partire dal 1° luglio 2004.
Tuttavia, sino al 31 dicembre 2004 è consentita l'immissione sul mercato e la commercializzazione dei prodotti non conformi alle nuove disposizioni
Direttiva 2003/101/CE
(Modifica della disciplina sulla fabbricazione e immissione in commercio di talune sostanze impiegate nella fabbricazione illecita di stupefacenti o di sostanze psicotrope)
La direttiva 2003/101/CE modifica per alcuni aspetti limitati la disciplina sulla fabbricazione e immissione in commercio di talune sostanze (cd. “precursori”) impiegate nella fabbricazione illecita di stupefacenti o di sostanze psicotrope, di cui alla direttiva 92/109/CEE[281].
In particolare, la direttiva in esameaggiorna:
- l’allegato I, che elenca le “sostanze classificate” regolate dalla direttiva 92/109/CEE;
- l’allegato II, cheindica i “valori soglia” di alcune sostanze.
Il termine di recepimento è previsto per il 1° gennaio 2004.
Si ricorda che la direttiva 92/109/CEE distingue tra due tipi di precursori: gli uni di utilizzazione limitata a fini leciti, gli altri d'importanza primordiale per un'utilizzazione commerciale legittima.
Gli Stati membri devono designare l'autorità competente responsabile della corretta applicazione della direttiva. La direttiva prevede anche la cooperazione intracomunitaria tra autorità competenti.
Si segnala che di recente è stato approvato il regolamento (CE) n. 273/2004, che detta una nuova disciplina complessiva sul controllo e monitoraggio intracomunitario delle sostanze frequentemente utilizzate per la fabbricazione illecita di stupefacenti e sostanze psicotrope.
L’entrata in vigore del regolamento è prevista con decorrenza 18 agosto 2005, salvo alcune disposizioni volte a favorire una tempestiva attuazione del provvedimento alla data prevista [282].
Tale regolamento prevede anche l’abrogazione, con la medesima decorrenza del 18 agosto 2005 [283], delle direttive 92/109/CEE e 2003/101/CE, sopra citate.
[1] Nel testo originario del provvedimento (A.S. 2742) gli articoli erano 11 mentre nel testo approvato dal Senato (A.C. 5179 ) erano 15.
[2] Nel testo originario del provvedimento (A.S. 2742) le direttive da recepire erano 32, di cui22 con l’allegato A e 10 con l’allegato B.
[3] Parere, ai sensi dell’articolo 16-bis, del Regolamento, sul disegno di legge recante Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia (A.C. 3297-B), 14 luglio 2004.
[4] La modifica è stata apportata per la necessità di recepire il parere della Commissione bilancio del Senato, reso il 1° aprile 2004: a seguito dell’approvazione da parte dell’Assemblea del Senato degli emendamenti 1.102 (testo 2) e 6.0.100 (testo 2), che hanno inserito nuove direttive nell’allegato B, sulle quali risulta necessaria la relazione ex art. 11-ter, comma 2, l. n. 468, è stata approvata la proposta di coordinamento C.1 del relatore, con la quale anche tali direttive sono inserite al comma 4 dell’articolo 1 del ddl in esame
[5] Il testo approvato dal Senato prevedeva 12 direttive, altre sette sono state inserite durante l’esame da parte della XIV Commissione della Camera, a seguito dell’approvazione dell’emendamento del relatore 1.16, volto a recepire una condizione formulata nel parere della V Commissione (Bilancio) del 29 settembre 2004.
[6] Si tratta dell’emendamento 1.27 (testo 2) Bedin e altri, approvato nella seduta del 6 aprile 2004, n.42.
[7] Si tratta dell’emendamento 1.27 (testo 2) Bedin e altri, approvato nella seduta della 14° Commissione del 6 aprile 2004, n. 42.
[8] Al riguardo, si ricorda che il Comitato per la legislazione, nel parere espresso il 6 febbraio 2002 sul disegno di legge comunitaria per il 2001 (A.C. 1533-B) – che pur recando una norma analoga a quella in esame, non conteneva la precisazione espressa della cedevolezza – aveva formulato un’osservazione, volta ad evidenziare la necessità di rendere chiaramente individuabili le disposizioni dei decreti legislativi aventi carattere sostitutivo. Ciò al fine di tutelare il principio di certezza del diritto e di conoscibilità dell’ordinamento giuridico, oltre che le autonomie regionali, in quanto si tratterebbe di norme relative a materie che non rientrano nella competenza legislativa esclusiva dello Stato. Successivamente, la legge n. 14 del 2003, legge comunitaria per il 2002, aveva aggiunto, alla fine del comma 5 dell’articolo 1, un periodo contenente la precisazione del carattere sostitutivo e cedevole dei decreti legislativi in questione, mentre la legge comunitaria per il 2003 (l. n. 306 del 2003), a seguito dell’approvazione di un emendamento soppressivo da parte del Senato, non contiene analogo inciso.
[9] In particolare, si vedano gli artt. 11, comma 8, 13, comma 2, e 16, comma 4 dell’A.S. 2386 e l’art. 1, comma 2, della “legge La Loggia”.
[10] In base alla giurisprudenza comunitaria tale principio può limitarsi esclusivamente per «esigenze imperative attinenti, in particolare, all'efficacia dei controlli fiscali, alla protezione della salute pubblica, alla lealtà dei negozi commerciali e alla difesa dei consumatori» (sentenza 20 febbraio 1979, in causa C-120/78, Rewe Zentral, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee - GUCE).
[11] Si ricorda che in base ai dati forniti dal Ministro per le politiche comunitarie nel corso dell’audizione del 26/6/2003 presso la XIV Commissione della Camera dei deputati (aggiornati al 23/6/2003), risultavano a tale data ufficialmente aperte contro l’Italia complessivamente 226 procedure di infrazione, delle quali 87 per mancata trasposizione di direttive e 179 per non corretta applicazione del diritto comunitario
[12] I dati si riferiscono a casi di non conformità o di applicazione erronea della legislazione del mercato interno e non comprendono i casi di recepimento tardivo per il quale il procedimento d’infrazione è stato fino ad oggi automatico.
[13] COM(2003)238 final, del 7 maggio 2003.
[14] In base al comunicato del 12 gennaio 2004, relativo all’attuazione della Strategia per il mercato interno 2003-2006, al 31 ottobre 2003 ne risultavano 146.
[15] Erano 45 le direttive attuate negli anni 2000 e 2001 indicate nella relazione governativa al ddl comunitaria per il 2002.
[16] Prima dell’allargamento, al 30/4/2004, l’Italia aveva recepito il 97,70% delle direttive allora applicabili, collocandosi al quartultimo posto nella graduatoria a 15 paesi.
[17] Al 31 ottobre 2003, erano 1535 le direttive e 429 i regolamenti riferibili al Mercato interno come definito dal Trattato CE.
[18] Tale valore registra un minimo cambiamento rispetto a quello del 2,3% previsto nella “Relazione sull’attuazione della strategia per il mercato interno 2003-2006” pubblicata dalla Commissione europea il 21/1/2004 (COM(2004)22 def, con dati relativi al 30 novembre 2003.
[19] I dati sono aggiornati al 31/5/2004
[20] Il Governo ha presentato alle Camere un disegno di legge delega (A.C. 2031-ter) per il recepimento di tale direttiva, approvato in terza lettura alla Camera (2031-ter- B) e ritrasmesso al Senato (A.S. 1745-B). Le Commissioni riunite 10a e 12a del Senato hanno concluso l’esame in sede referente il 3 marzo 2004.
[21] Per il recepimento di tale direttiva la legge comunitaria per il 2003 (L. n. 306/2003) ha previsto apposita norma di delega al Governo. Ad oggi, la delega non risulta esercitata.
[22] Legge 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri.
[23] Il comma 4 è stato introdotto nel corso dell’esame in sede referente al Senato a seguito del parere della 5ª Commissione ed è stato integrato dalla XIV Commissione della Camera. Un emendamento presentato dal Governo (n. 1.204) volto a sopprimere il comma 4 e a ripristinare il testo originario del d.d.l. è stato respinto dall’Assemblea del Senato (seduta pomeridiana del 7 luglio 2004).
[24] L’attuazione delle direttive 6, 124 e 125 del 2003 e della direttiva 12 del 2004 è stata introdotta – attraverso modifiche all’allegato B e all’articolato - nel corso dell’esame da parte dell’Assemblea del Senato con l’approvazione degli emendamenti 1.102, Turroni ed altri (2004/12), 6.0.100, Governo (2003/6) e 6.100/1, Cambursano ed altri (2003/124 e 2003/125). L’inserimento di tali direttive nel comma in esame è stato operato in sede di coordinamento formale (si veda la seduta pom. del 20 luglio 2004). L’attuazione delle direttive 8, 17, 18, 22, 35, 39 e 67 del 2004 è stata introdotta dalla XIV Commissione della Camera con l’emendamento 1.16 approvato dalla XIV Commissione nella seduta 29 settembre 2004.
[25] L. 5 agosto 1978 n. 468, Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio.
[26] Em. 1.14 del relatore approvato nella seduta del 22 settembre 2004.
[27] Si vedano gli interventi del Ministro per le politiche comunitarie nel corso dell’esame in Assemblea, seduta del 29 giugno 2004 (pom.) e del 7 luglio 2004 (pom.).
[28] Em. 1.200, approvato nella seduta del 7 luglio 2004 (pom.).
[29] Parere, ai sensi dell’articolo 16-bis, del Regolamento, sul disegno di legge recante Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia (A.C. 3297-B), 14 luglio 2004.
[30] E’ stato così elevato il termine che a partire dalla legge comunitaria 2000 (L. 422/2000) era stato fissato a 12 mesi (in precedenza era di due anni). Il termine è stato così adeguato a quello indicato al comma 1 per l’adozione dei decreti legislativi di attuazione delle direttive comunitaria, portato da 12 a 18 mesi nella scorsa legge comunitaria (L. 306/2003).
[31] Legge 9 marzo 1989, n. 86, Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari.
[32] Quest’ultima disposizione, introdotta per la prima volta nella legge comunitaria 2002 (L. 14/2003), è stata eliminata nel corso dell’esame parlamentare del disegno di legge comunitaria per il 2003 (L. 306/2003). Al riguardo si ricorda che il Comitato per la legislazione, nel parere espresso il 6 febbraio 2002 sul disegno di legge comunitaria per il 2001 (A.C. 1533-B ora L. 39 del 2002) – che pur recando una norma analoga a quella in esame, non conteneva la precisazione da ultimo illustrata – aveva formulato un’osservazione, volta ad evidenziare la necessità di rendere chiaramente individuabili le disposizioni dei decreti legislativi aventi carattere sostitutivo. Ciò al fine di tutelare il principio di certezza del diritto e di conoscibilità dell’ordinamento giuridico, oltre che le autonomie regionali, in quanto si tratterebbe di norme relative a materie che non rientrano nella competenza legislativa esclusiva dello Stato.
[33] Così il relatore sen. Greco intervenuto in sede di replica a conclusione della discussione generale presso l’Assemblea del Senato (Seduta antimeridiana del 29 giugno 2004). Egli ha aggiunto che ciò rappresenta un’efficace misura di bilanciamento rispetto alla scelta del Governo di aumentare il termine per l’esercizio delle deleghe a 18 mesi, dai consueti 12 previsti fino alla legge comunitaria per il 2002 (L. 14/2003).
[34] Si veda ancora il citato intervento del sen. Greco.
[35] Introdotto con l’approvazione dell’em. 1.1000 del relatore nella seduta pom. Del 20 luglio 2004.
[36] Legge 1 marzo 2002, n. 39, “Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2001”.
[37] L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3, “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione”. Si veda in particolare il nuovo art. 117, sesto comma, Cost..
[38] Così il relatore, sen. Basile, in sede di integrazione della relazione scritta (Assemblea del Senato, seduta antimeridiana del 16 luglio 2002).
[39] L. 16 aprile 1987, n. 183, “Coordinamento delle politiche riguardanti l’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee ed adeguamento dell’ordinamento interno agli atti normativi comunitari”.
[40] L. 15 marzo 1997, n. 59, “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”.
[41] Al riguardo si ricorda che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 53 del 1997, confermata dalla successiva sentenza n. 456 del 1998, ha avuto modo di pronunciarsi criticamente sulla scarsa precisione dei princìpi e criteri direttivi relativi alle sanzioni penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi delegati. La Corte ha infatti affermato, in relazione alla disposizione dell’art. 2, lett. d), della L. 146/1994 – legge comunitaria per il 1993 – analoga a quella contenuta nella lett. c) in esame, che la disposizione, che stabilisce i criteri e princìpi direttivi della delega conferita al Governo, in ordine alle sanzioni per le infrazioni alle norme delegate “non appare certo perspicua. […] La Corte esprime dunque l’auspicio che il legislatore, ove conferisca deleghe ampie di questo tipo, adotti, per quanto riguarda il ricorso alla sanzione penale, al cui proposito è opportuno il massimo di chiarezza e certezza, criteri configurati in modo più preciso”.
[42] Le infrazioni lesive di determinati interessi generali dell’ordinamento interno, in quanto ritenuti meritevoli di tutela penale, erano state escluse dalla depenalizzazione effettuata dalla L. 689/1981 e, da ultimo, dalla ulteriore depenalizzazione prevista dalla legge 25 giugno 1999, n. 205, e dal D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, emanato in base alla delega ivi prevista.
[43] Emendamento Zanettin 2.1, approvato dalla XIV Commissione nella seduta del 22 settembre 2004.
[44] In base alla giurisprudenza comunitaria tale principio può limitarsi esclusivamente per «esigenze imperative attinenti, in particolare, all'efficacia dei controlli fiscali, alla protezione della salute pubblica, alla lealtà dei negozi commerciali e alla difesa dei consumatori» (sentenza 20 febbraio 1979, in causa C-120/78, Rewe Zentral, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee - GUCE).
[45] L. 22 febbraio 1994, n. 146, art. 8.
[46] L. 6 febbraio 1996, n. 52, art. 8.
[47] L. 8 marzo 1999, n. 50, Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1998.
[48] Nel frattempo, l’articolo 7 della legge n. 50 del 1999 veniva modificato ad opera della legge di semplificazione 1999 (L. n. 340 del 2000), la quale tra l’altro ha stabilito che il programma di riordino normativo ivi previsto riguardi non solo le materie indicate in allegato alla stessa legge, ma possa comprendere altresì “ogni altra disposizione che preveda la redazione dei testi unici”.
[49] Legge 29 luglio 2003, n. 229, Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione. - Legge di semplificazione 2001.
[50] [50] In base all’art. 228 del Trattato CE, lo Stato membro ha l’obbligo di adottare i provvedimenti indicati dalla sentenza Corte di giustizia. Nel caso in cui lo Stato in questione non abbia preso detti provvedimenti, la Commissione, dopo aver dato allo Stato la possibilità di presentare le sue osservazioni, formula un parere motivato che precisa i punti sui quali lo Stato non si è conformato alla sentenza della Corte di giustizia. Qualora lo Stato in questione non abbia preso, entro il termine fissato dalla Commissione, i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte comporta, la Commissione può adire la Corte di giustizia. In questa azione essa precisa l’importo della somma forfettaria o della penalità da versare da parte dello Stato membro in questione.
[51] D.M. 30 maggio 1995, n. 342, Regolamento recante l'ordinamento della professione di consulente in proprietà industriale e la formazione del relativo Albo.
[52] R.D. 29 giugno 1939, n. 1127, Testo delle disposizioni legislative in materia di brevetti per invenzioni industriali.
[53] l citato art. 94 prevede che nessuno è obbligato a farsi rappresentare da un mandatario abilitato nelle procedure di fronte all'Ufficio centrale brevetti; le persone fisiche e giuridiche possono agire per mezzo di un loro dipendente anche se non abilitato.
[54] In base all’art. 228 del Trattato CE, lo Stato membro ha l’obbligo di adottare i provvedimenti indicati dalla sentenza Corte di giustizia. Nel caso in cui lo Stato in questione non abbia preso detti provvedimenti, la Commissione, dopo aver dato allo Stato la possibilità di presentare le sue osservazioni, formula un parere motivato che precisa i punti sui quali lo Stato non si è conformato alla sentenza della Corte di giustizia. Qualora lo Stato in questione non abbia preso, entro il termine fissato dalla Commissione, i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte comporta, la Commissione può adire la Corte di giustizia. In questa azione essa precisa l’importo della somma forfettaria o della penalità da versare da parte dello Stato membro in questione.
[55] Tenuto conto della lista dei componenti pubblicata dalla Commissione europea nel settembre 2001, al CEVM partecipano essenzialmente i direttori generali o altri funzionari di vertice dei ministeri del Tesoro.
[56] L’articolo 1 della direttiva 2003/124/CE specifica che un'informazione ha carattere preciso se si riferisce ad un complesso di circostanze esistente o di cui si possa ragionevolmente ritenere che verrà ad esistere o ad un evento verificatosi o di cui si possa ragionevolmente ritenere che si verificherà, e se risulta sufficientemente specifica da consentire di trarre conclusioni sul possibile effetto di detto complesso di circostanze o di detto evento sui prezzi di strumenti finanziari o di strumenti finanziari derivati connessi.
[57] L’articolo 1 della direttiva 2003/124/CE specifica che l’informazione idonea ad influire in modo sensibile sui prezzi è quella che presumibilmente un investitore ragionevole utilizzerebbe come uno degli elementi su cui fondare le proprie decisioni d’investimento.
[58] Ai sensi del numero 4 dell’articolo 1 delle direttiva 93/22/CEE sono valori mobiliari:
- le azioni ed altri valori assimilabili ad azioni;
- le obbligazioni ed altri titoli di credito negoziabili sul mercato dei capitali;
- qualsiasi altro valore normalmente negoziato che permetta di acquisire valori immobiliari mediante sottoscrizione o scambio o che comporti un pagamento in contanti, esclusi i mezzi di pagamento.
[59] L’articolo 4 della direttiva 2003/124/CE, in rapporto alla nozione di manipolazioni consistenti nel fornire indicazioni false o fuorvianti e nel fissare i prezzi, prescrive agli Stati membri di assicurare che i partecipanti al mercato e le autorità competenti, al momento di esaminare le operazioni o gli ordini di compravendita, tengano conto delle indicazioni di cui al successivo elenco non esaustivo, le quali non devono essere considerate come costituenti di per sé una manipolazione di mercato:
a) la misura in cui gli ordini di compravendita impartiti o le operazioni eseguite rappresentano una quota significativa del volume giornaliero di scambi dello strumento finanziario pertinente nel mercato regolamentato interessato, in particolare quando tali attività determinano una significativa variazione del prezzo dello strumento finanziario;
b) la misura in cui gli ordini di compravendita impartiti o le operazioni eseguite da soggetti con una significativa posizione di acquisto o di vendita su uno strumento finanziario determinano significative variazioni del prezzo dello strumento finanziario o dello strumento derivato collegato o dell'attività sottostante ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato;
c) se le operazioni eseguite non determinano alcuna variazione nella proprietà beneficiaria di uno strumento finanziario ammesso alla negoziazione in un mercato regolamentato;
d) la misura in cui gli ordini di compravendita impartiti o le operazioni eseguite prevedono inversioni di posizione nel breve periodo e rappresentano una quota significativa del volume giornaliero di scambi dello strumento finanziario pertinente nel mercato regolamentato interessato e possono associarsi a significative variazioni del prezzo di uno strumento finanziario ammesso alla negoziazione in un mercato regolamentato;
e) la misura in cui gli ordini di compravendita impartiti o le operazioni eseguite sono concentrati in un breve lasso di tempo nel corso della sessione di negoziazione e determinano una variazione del prezzo che successivamente si inverte;
f) la misura in cui gli ordini di compravendita impartiti modificano la rappresentazione dei migliori prezzi delle proposte in denaro e lettera di uno strumento finanziario ammesso alla negoziazione in un mercato regolamentato o, più in generale, la misura in cui essi modificano la rappresentazione del prospetto degli ordini a disposizione dei partecipanti al mercato, e sono revocati prima della loro esecuzione;
g) la misura in cui gli ordini vengono impartiti e le operazioni eseguite al momento o intorno al momento in cui vengono calcolati i prezzi di riferimento, i prezzi di regolamento e i prezzi di valutazione, determinando variazioni nei prezzi che hanno effetti su detti prezzi di riferimento, di regolamento o di valutazione.
[60] L’articolo 5 della direttiva 2003/124/CE, in rapporto alla nozione di manipolazioni consistenti nell'utilizzazione di artifici o di ogni altro tipo di inganno o espediente, prescrive agli Stati membri di assicurare che i partecipanti al mercato e le autorità competenti, al momento di esaminare le operazioni o gli ordini di compravendita, tengano conto delle indicazioni di cui al successivo elenco non esaustivo, le quali non devono essere considerate come costituenti di per sé una manipolazione di mercato:
a) se gli ordini di compravendita impartiti o le operazioni eseguite da persone sono preceduti o seguiti dalla diffusione di informazioni false o fuorvianti da parte delle stesse persone o da persone ad esse collegate;
b) se vengono impartiti ordini di compravendita o eseguite operazioni da parte di persone, prima o dopo che le stesse persone o persone ad esse collegate abbiano elaborato o diffuso ricerche o raccomandazioni di investimento errate o tendenziose o manifestamente influenzate da interessi rilevanti.
[61] L’articolo 2 della direttiva 2003/124/CE specifica modalità e termini per la comunicazione d’informazioni privilegiate al pubblico, prevedendo l’applicazione degli articoli 102, paragrafo 1 (pubblicazione mediante annunci su giornali a diffusione nazionale) e 103 (redazione delle comunicazioni nelle lingue ufficiali o in lingue d’uso comune in materia finanziaria) della direttiva 2001/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio. Prescrive inoltre che le informazioni privilegiate vengano rese pubbliche dall'emittente secondo modalità che consentano un accesso rapido e una valutazione completa, corretta e tempestiva dell'informazione da parte del pubblico, e che le comunicazioni dell'emittente non combinino tra loro in maniera fuorviante la comunicazione al pubblico di informazioni privilegiate e la pubblicità delle proprie attività. Gli emittenti s’intendono avere ottemperato agli obblighi di comunicazione quando abbiano informato senza indugio il pubblico al verificarsi di un complesso di circostanze o di un evento, sebbene non ancora formalizzati. Ogni modifica significativa delle informazioni privilegiate già comunicate al pubblico viene comunicata senza indugio con lo stesso mezzo utilizzato per la comunicazione delle informazioni iniziali. La comunicazione deve avvenire in maniera quanto più possibile sincronizzata presso tutte le categorie di investitori e in tutti gli Stati membri in cui gli emittenti hanno richiesto o approvato l'ammissione alla negoziazione dei loro strumenti finanziari in un mercato regolamentato.
[62] L’articolo 3 della direttiva 2003/124/CE individua, non esaustivamente, alcuni legittimi interessi che giustificano il rinvio della comunicazione al pubblico. Essi si riferiscono:
a) alle negoziazioni in corso, o ad elementi connessi, nel caso in cui la comunicazione al pubblico possa comprometterne l'esito o il normale andamento, o di compromettere gravemente gli interessi degli azionisti esistenti o potenziali, in quanto pregiudicherebbe la conclusione di trattative miranti ad assicurare il risanamento finanziario a lungo termine dell'emittente;
b) alle decisioni adottate o ai contratti conclusi dall'organo direttivo di un emittente la cui efficacia sia subordinata all'approvazione di un diverso e separato organo dell'emittente, a condizione che la comunicazione, combinata con il simultaneo annuncio che l'approvazione è ancora in corso, possa compromettere la corretta valutazione dell'informazione da parte del pubblico.
È prescritto agli Stati membri d’imporre in questi casi agli emittenti di controllare l'accesso alle informazioni privilegiate, al fine di assicurarne la riservatezza, in particolare adottando:
a) meccanismi efficaci per impedire l'accesso a tali informazioni a persone diverse da coloro che necessitano di esse per l'esercizio delle loro funzioni nell'ambito dell'emittente;
b) le misure necessarie per garantire che le persone che hanno accesso a tali informazioni conoscano i doveri che ne derivano e le sanzioni per la loro violazione;
c) misure che consentano l'immediata comunicazione al pubblico delle informazioni privilegiate, qualora non siano stati in grado di assicurarne la riservatezza.
[63] L’articolo 2 della direttiva 2003/125/CE prescrive agli Stati membri di garantire che ogni raccomandazione riporti in modo chiaro e visibile l'identità del soggetto responsabile della sua elaborazione, in particolare il nome e la funzione del soggetto che ha preparato la raccomandazione e la denominazione della persona giuridica responsabile della sua elaborazione, nonché, qualora il soggetto sia un'impresa d’investimento o un ente creditizio, la relativa autorità competente. Qualora si tratti di una diversa entità soggetta a norme di autoregolamentazione o a codici di condotta, dev’essere indicato il riferimento a tali norme o codici. Questi obblighi debbono essere adeguati (ad esempio mediante rinvio a fonti accessibili), in modo da non risultare sproporzionati nel caso di raccomandazioni non scritte. Essi non si applicano ai giornalisti soggetti negli Stati membri ad appropriata regolamentazione equivalente, anche in forma di autoregolamentazione.
Il successivo articolo 3 stabilisce regole generali per la corretta presentazione delle raccomandazioni (distinzione dei fatti dalle interpretazioni, verifica dell’attendibilità delle fonti o enunciazione delle riserve al riguardo esistenti, esplicitazione dei criteri impiegati nel formulare e utilizzare proiezioni, previsioni e obiettivi). L’articolo 4 reca prescrizioni ulteriori riguardanti gli analisti indipendenti, le imprese d’investimento, gli enti creditizi, le persone giuridiche collegate e gli altri soggetti la cui attività principale consista nell'elaborazione di raccomandazioni, nonché le persone fisiche che lavorano per questi. Sono richieste l’indicazione di tutte le più importanti fonti d’informazione (specificandosi se la raccomandazione sia stata comunicata all'emittente e modificata a seguito di tale comunicazione prima della diffusione al pubblico) nonché degli elementi e metodi utilizzati; la spiegazione del significato di ogni raccomandazione formulata, («acquistare», «vendere», «mantenere»), con segnalazione dei rischi eventualmente insiti; la menzione della frequenza degli aggiornamenti; la data di diffusione della raccomandazione nonché la data e l'ora di tutti i prezzi degli strumenti finanziari menzionati. Nel caso in cui una raccomandazione differisca da una raccomandazione relativa allo stesso strumento finanziario o allo stesso emittente emessa nel corso dei dodici mesi precedenti, debbono essere evidenziate la modifica e la data della prima raccomandazione.
Gli articoli 7, 8 e 9 riguardano la diffusione di raccomandazioni elaborate da soggetti terzi.
[64] Ulteriori specificazioni sui conflitti d’interessi sono contenute nell’articolo 5 della direttiva 2003/125/CE (comunicazione di rapporti e circostanze che possono essere ragionevolmente ritenuti tali da compromettere l'obiettività della raccomandazione.
Nel caso delle persone giuridiche, la comunicazione riguarda gli interessi o i conflitti di interesse del soggetto pertinente o delle persone giuridiche collegate che siano o possano ragionevolmente ritenersi accessibili ai soggetti che partecipano alla preparazione della raccomandazione o che, pur non avendo partecipato alla preparazione della raccomandazione, avevano accesso alla raccomandazione prima che essa venisse diffusa ai clienti o al pubblico).
Obblighi specifici sono enunziati all’articolo 6 per gli analisti indipendenti, le imprese d’investimento, gli enti creditizi, le persone giuridiche collegate e gli altri soggetti la cui attività principale consiste nell'elaborazione di raccomandazioni. In questi casi, debbono essere comunicate le partecipazioni rilevanti (oltre il 5%) esistenti tra il soggetto pertinente, o le persone giuridiche collegate, e l'emittente; gli altri interessi finanziari rilevanti detenuti dal soggetto pertinente o dalle persone giuridiche collegate in rapporto all'emittente; eventualmente, lo svolgimento di funzioni di market maker o fornitore di liquidità, lead-manager o di co-lead manager nell'ambito di un'offerta pubblica di strumenti finanziari, la prestazione di servizi di finanza aziendale per l’emittente, o accordi con esso relativamente all'elaborazione della raccomandazione. È inoltre prescritta la comunicazione dei meccanismi organizzativi e amministrativi, ivi comprese le barriere allo scambio di informazioni, posti in essere all'interno dell'impresa d’investimento o dell'ente creditizio per prevenire ed evitare conflitti di interesse in rapporto alle raccomandazioni.
Per quanto riguarda le persone fisiche o giuridiche che lavorino per un'impresa di investimento o un ente creditizio e abbiano partecipato alla preparazione della raccomandazione, deve comunicarsi se la remunerazione di tali persone sia legata ad operazioni di finanza aziendale effettuate dal soggetto pertinente o dalle persone giuridiche collegate e, qualora esse ricevano o acquistino le azioni dell'emittente prima della loro offerta pubblica, il prezzo e la data d'acquisto.
Le imprese d’investimento e gli enti creditizi debbono altresì comunicare trimestralmente al pubblico la percentuale delle raccomandazioni «acquistare», «mantenere», «vendere» e, per ognuna di tali categorie, la percentuale degli emittenti ai quali l'impresa di investimento o l'ente creditizio ha fornito rilevanti servizi di finanza aziendale nel corso dei precedenti dodici mesi.
[65] Direttiva 2003/71/CE relativa al prospetto da pubblicare per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2001/34/CE.
[66] Regolamento (CE) n. 1606/2002 relativo all'applicazione di principi contabili internazionali.
[67] Direttiva 2003/6/CE relativa all'abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato).
[68] Per approfondimenti, vedi bollettino RUE “Proposta di direttiva sulla revisione contabile” del 26 marzo 2004.
[69] Quarta direttiva 78/660/CE in materia di società relativa ai conti annuali di taluni tipi di società.
[70] Settima direttiva relativa ai conti consolidati.
[71] Ottava direttiva in materia di società relativa all'abilitazione delle persone incaricate del controllo legale dei documenti contabili.
[72] La direttiva richiede anche che entro tale data le disposizioni adottate dai singoli Stati membri siano atte a consentire la commercializzazione dei prodotti conformi alle nuove norme a decorrere dal 25 novembre 2004, e a vietare la vendita di quelli non conformi a decorrere dal 25 novembre 2005 (ferma restando, peraltro, la possibilità di smaltimento delle scorte).
[73] “Regolamento di semplificazione dei procedimenti di autorizzazione alla produzione, alla immissione in commercio e alla vendita di prodotti fitosanitari e relativi coadiuvanti”
[74] D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 194 "Attuazione della direttiva 91/414/CEE in materia di immissione in commercio di prodotti fitosanitari".
[75] Procedura d’infrazione n. 2002/4742.
[76] “Solfato di rame, zolfi grezzi o raffinati, sia moliti che ventilati, gli zolfi rmati e il solfato ferroso, i prodotti indicati all’allegato II B del regolamento (CEE) 2092/91 , nonché i prodotti elencati all’allegato 2 del presente regolamento”.
[77] Procedura d’infrazione n. 2003/789.
[78] Regolamento (CE) n. 2003/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre 2003 relativo ai concimi.
[79] Causa n. 248/2002.
[80] Si tratta di anidride carbonica (CO2), metano (CH4), ossido di azoto (N2O), esafluoruro di zolfo (SF6), idrofluorocarburi (HFCs) e perfluorocarburi (PFCs).
[81] Per il triennio a partire dal 1° gennaio 2005, gli Stati membri dovranno assegnare almeno il 95% delle quote di emissioni a titolo gratuito; per il quinquennio dal 1° gennaio 2008 ne assegneranno almeno il 90%.
[82] Tali impianti dovranno poi, a fine anno, rendere un numero di quote (o diritti) d’emissione pari alle emissioni di gas serra rilasciate durante l’anno. La mancata resa di una quota d’emissione prevede una sanzione pecuniaria di 40 Euro nel periodo 2005-2007 e di 100 Euro nei periodi successivi; le emissioni oggetto di sanzione non sono esonerate dall’obbligo di resa di quote.
[83] Il testo dell’attuale bozza è consultabile all’indirizzo www.minambiente.it/Sito/news/pna_quote_ghg.asp.
[84] L’ambito di applicazione della direttiva (art. 2) riguarda le emissioni derivanti dalle attività elencate nell'Allegato I, nel quale (ad esclusione degli impianti o di parti di impianti utilizzati per la ricerca, lo sviluppo e la sperimentazione di nuovi prodotti e processi) sono indicate:
- Attività energetiche (Impianti di combustione con una potenza calorifica di combustione di oltre 20 MW - esclusi gli impianti per rifiuti pericolosi o urbani - Raffinerie di petrolio, Cokerie);
- Produzione e trasformazione dei metalli ferrosi (Impianti di arrostimento o sinterizzazione di minerali metallici compresi i minerali solforati, Impianti di produzione di ghisa o acciaio - fusione primaria o secondaria- compresa la relativa colata continua di capacità superiore a 2,5 t all'ora);
- Industria dei prodotti minerali (Impianti destinati alla produzione di clinker - cemento- in forni rotativi la cui capacità di produzione supera 500 t al giorno oppure di calce viva in forni rotativi la cui capacità di produzione supera 50 t al giorno, o in altri tipi di forni aventi una capacità di produzione di oltre 50 t al giorno, Impianti per la fabbricazione del vetro compresi quelli destinati alla produzione di fibre di vetro, con capacità di fusione di oltre 20 t al giorno , Impianti per la fabbricazione di prodotti ceramici mediante cottura, in particolare tegole, mattoni, mattoni refrattari, piastrelle, gres, porcellane, con una capacità di produzione di oltre 75 t al giorno e/o con una capacità di forno superiore a 4 m3 e con una densità di colata per forno superiore a 300 kg/m3);
- Altre attività (Impianti industriali destinati alla fabbricazione: a) di pasta per carta a partire dal legno o da altre materie fibrose b) di carta e cartoni con capacità di produzione superiore a 20 t al giorno)
[85] Per un breve approfondimento di tali temi si veda l'apposito paragrafo riportato alla fine della scheda.
[86] L'uscita dal Protocollo degli USA, che rappresentano da soli il 36% delle emissioni dei Paesi industrializzati, ha reso difficile l’entrata in vigore del Protocollo, in quanto essendo necessaria la ratifica dei Paesi che rappresentano almeno il 55% delle emissioni di CO2, essa rende necessaria la ratifica di tutti gli altri Paesi industrializzati. Il Protocollo di Kyoto diventerà dunque vincolante a livello internazionale solo se verrà ratificato anche dalla Russia (le cui emissioni rappresentano il 17,4% del totale dei Paesi industrializzati). Alla data del 15 aprile 2004 hanno ratificato il protocollo ben 122 paesi, tuttavia la percentuale in termini di emissioni è pari solo al 44,2% (cfr. http://unfccc.int/resource/kpstats.pdf).
[87] Previsto dall’art. 3 del Protocollo.
[88] Prevista dall’art. 6 del Protocollo.
[89] Previsti dall’art. 12 del Protocollo.
[90] Procedura 2004/0060
[91] Il Sesto programma quadro (6° PQ) di azioni comunitarie di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione, è stato istituito con la decisione n. 1513/2002/CE del 27 giugno 2002.
[92] Il programma “quick start” è stato presentato dalla Commissione l’11 novembre 2003 nell’ambito dell’”Azione europea per la crescita” promossa dalla Presidenza italiana e dalla Commissione europea al fine di fare progredire la strategia di Lisbona. II programma individua 17 progetti nel settore dell'energia per i quali i lavori possono essere avviati al più tardi entro il 2006. I progetti sono stati selezionati sulla base dei seguenti criteri: la maturità, la dimensione transfrontaliera, l'impatto sulla crescita e l'innovazione nell'Europa allargata e i vantaggi per l'ambiente. Secondo le stime della Commissione la loro realizzazione richiederà investimenti pari a 10,1 miliardi di euro fino al 2010, per lo più provenienti dal settore privato.
[93] L’emendamento è volto a recepire una condizione contenuta nel parere della Commissione Bilancio del 29 settembre 2004.
[94] Oltre alle due proposte in esame il pacchetto comprende: una comunicazione sulle infrastrutture energetiche e la sicurezza degli approvvigionamenti (COM(2003)743); una proposta di direttiva relativa all'efficienza energetica nelle utilizzazioni finali e ai servizi energetici (COM(2003)739); una proposta di regolamento relativo alle condizioni di accesso alle reti di trasporto di gas (COM(2003)741).
[95] L’emendamento è volto a recepire una condizione contenuta nel parere della Commissione Bilancio del 29 settembre 2004.
[96] La proposta fa parte di un pacchetto di misure in materia di infrastrutture energetiche e sicurezza dell’approvvigionamento, presentato il 10 dicembre 2003, che comprende anche: una comunicazione sulle infrastrutture energetiche e la sicurezza degli approvvigionamenti(COM(2003)743); una proposta di direttiva relativa all'efficienza energetica nelle utilizzazioni finali e ai servizi energetici (COM(2003)739); una proposta di direttiva relativa alle misure volte a garantire la sicurezza degli approvvigionamenti di elettricità e gli investimenti nelle infrastrutture(COM(2003)740); una proposta di decisione relativa agli orientamenti delle reti transeuropee dell'energia(COM(2003)742). Per maggiori dettagli sul contenuto di alcune delle misure in questione cfr. la scheda relativa all’art. 14.
[97] Si tratta di sostanze cancerogene meglio conosciute come PCB presenti soprattutto nei trasformatori elettrici.
[98] Attuazione della direttiva 96/59/CE relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili.
[99] La direttiva prevedeva tali comunicazioni entro tre anni dall’adozione della direttiva stessa.
[100] Essi sono inclusi tra i rifiuti pericolosi elencati nell’allegato D (cod. CER 130101, oli per circuiti idraulici contenenti PCB e PCT e 130301, oli isolanti e di trasmissione di calore esauriti ed altri liquidi contenenti PCB e PCT) ai sensi dell’art. 7, comma 4.
[101] La decontaminazione è l’insieme delle operazioni che rendono riutilizzabili o riciclabili o eliminabili nelle migliori condizioni gli apparecchi, gli oggetti, le sostanze o i fluidi contaminati da PCB e che possono comprendere la sostituzione, cioè l'insieme delle operazioni che consistono nel sostituire ai PCB un fluido adeguato che non contiene PCB.
[102] Consistente nelle operazioni D8, D9, D10 (incenerimento a terra), D12 (limitatamente al deposito sotterraneo sicuro e situato in profondità localizzato in una formazione rocciosa asciutta e esclusivamente per apparecchi contenenti PCB e PCB usati che non possono essere decontaminati) e D15 di cui all'allegato B del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni ed integrazioni.
[103] Per concentrazioni non superiori a 50 mg/kg lo smaltimento è effettuato nelle discariche per rifiuti pericolosi come indicato dall’art. 4 del D.M. 13 marzo 2003, “Criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica”, G.U. n. 67 del 21 marzo 2003.
[104] La formulazione originaria dell’articolo, che faceva riferimento alla data di entrata in vigore della presente legge, è stata così sostituita a seguito dell’approvazione dell’emendamento 10.1 da parte della XIV Commissione della Camera.
[105] Le tecnologie di decontaminazione, ormai note, disponibili e ampiamente collaudate, consentono la rimozione del cloro presente nelle molecole di PCB, convertendole in composti non pericolosi e maggiormente biodegradabili. Con ciò è possibile la detossificazione dei PCB e il recupero del liquido isolante stesso. Tra queste tecniche di decontaminazione, di grande rilievo risultano i processi on site a circuito chiuso, senza svuotamento degli apparati, che garantiscono la decontaminazione delle apparecchiature elettriche e dei liquidi isolanti in esse contenuti contaminati da PCB senza la contestuale generazione del "rifiuto PCB" e limitano drasticamente la possibilità di incidenti ambientali. In Italia, tra l'altro, questi impianti di dealogenazione del PCB risultano già esistenti, con capacità stimate di oltre 5.000 tonnellate/anno.
[106] Emendamento 8.12 (testo 2), senatori Turroni et al., approvato dalla 14a Commissione del Senato nella seduta del 21 aprile 2004 n. 44.
[107] La classe di prezzo più richiesta viene rilevata con decreto del Ministro dell’economia, ai sensi dell’art. 9 della citata L. 76/1985, sulla base dei dati risultanti dalle vendite nell’intero territorio nazionale, registrate dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato.
Il DM 15 luglio 2004 (pubblicato sulla G.U. 19 luglio 2004, n. 167) riporta che, nel corso del primo semestre del 2004, la classe di prezzo più richiesta è stata quella di euro 140,00 per chilogrammo convenzionale.
[108] La misura del 58% per l’aliquota di base è stata determinata dall’art. 1 del D.M. 28 febbraio 1997.
[109] Si tratta dell’articolo aggiuntivo 12.0.103 del Governo, approvato dall’Assemblea del Senato nella seduta del 20 luglio 2004.
[110] G.U. n. 195 del 22 agosto 2000.
[111] G.U. n. 196 del 23 agosto 2000.
[112] G.U. n. 80 del 5 aprile 2001.
[113] S.O. n. 151 alla G. U. n. 138 del 16 giugno 2001.
[114] Sono 1.119 le attività industriali soggette alle restrizioni del d.lgs. n. 334 del 1999 e interessano 700 comuni italiani, circa l’8% del totale. Dati tratti da: Edilizia e Territorio, n. 18 del 2003. L’elenco completo degli stabilimenti, distinto per regione, è tenuto ed aggiornato dal Ministero dell’ambiente, in collaborazione con l’APAT, ed è consultabile all’indirizzo internet www.minambiente.it/Sito/settori_azione/iar/stabilimenti/stabilimenti_italia.asp.
[115] G. U. n. 165 del 18 luglio 2001.
[116] L’emendamento è volto a recepire una condizione contenuta nel parere della Commissione Bilancio del 29 settembre 2004.
[117] Libro verde della Commissione del 29 novembre 2000, "Verso una strategia europea di sicurezza dell'approvvigionamento energetico" Com (2000)769.
[118] L’emendamento è volto a recepire una condizione contenuta nel parere della Commissione Bilancio del 29 settembre 2004.
[119] La proposta fa parte di un pacchetto di misure in materia di infrastrutture energetiche e sicurezza dell’approvvigionamento, presentato il 10 dicembre 2003, che oltre alla proposta in esame comprende anche: una comunicazione sulle infrastrutture energetiche e la sicurezza degli approvvigionamenti(COM(2003)743); una proposta di regolamento relativa alle condizioni di accesso alle reti di trasporto di gas (COM(2003)741); una proposta di direttiva relativa alle misure volte a garantire la sicurezza degli approvvigionamenti di elettricità e gli investimenti nelle infrastrutture(COM(2003)740); una proposta di decisione relativa agli orientamenti delle reti transeuropee dell'energia(COM(2003)742).
[120] L’emendamento è volto a recepire una condizione contenuta nel parere della Commissione Bilancio del 29 settembre 2004.
[121] L’emendamento è volto a recepire una condizione contenuta nel parere della Commissione Bilancio del 29 settembre 2004.
[122] Interventi correttivi di finanza pubblica.
[123] Misure di razionalizzazione della finanza pubblica.
[124] Transitoriamente, per gli stessi contratti era stata prevista – nella originaria formulazione del 1993 – la possibilità di rinnovo previa riduzione del 10% del prezzo in atto (art. 6, comma 1), facendo venir meno le clausole di rinnovo tacito.
[125] Attuazione della direttiva 92/50/CEE in materia di appalti pubblici di servizi.
[126] Si ricorda che, eccezionalmente, nei casi previsti dalla direttiva, le amministrazioni aggiudicatrici possono aggiudicare gli appalti di servizi ricorrendo ad una procedura negoziata, che consiste nel consultare prestatori di servizi di loro scelta e negoziare con uno o più di loro le condizioni dell'appalto.
[127] Si ricorda che, ai sensi dell’art.1, della dir. 92/50 CEE, le procedure aperte sono le procedure nazionali nelle quali qualsiasi prestatore di servizi interessato può presentare un'offerta; mentre le procedure ristrette sono le procedure nazionali in cui possono presentare un'offerta soltanto i prestatori di servizi invitati dall'amministrazione aggiudicatrice.
[128] In particolare, l’abrogazione implicita dell’ultimo periodo dell’articolo 6, comma 2, sarebbe l’effetto dell’art. 27 della legge n. 488 del 1999. Ma nel parere motivato della Commissione tale abrogazione esplicita non viene riconosciuta, in quanto la norma introdotta nel 1999 sarebbe egualmente viziata di incompatibilità con il diritto comunitario, oltre che a vigenza temporalmente limitata (periodo 2000-2002).
[129] Quanto ai limiti della c.d. interpretazione autentica, si rammenta che, secondo la giurisprudenza costituzionale, sia che una legge sia qualificabile come di interpretazione autentica, sia che costituisca norma innovativa con clausola di retroattività, essa "è soggetta al controllo di conformità al principio di ragionevolezza secondo criteri analoghi".
[130] Cfr. la sent. n.9302 del 2003, Sez. V, C.d.S., in cui tra l’altro si afferma: “In sostanza, la proroga sposta in avanti il solo termine di scadenza del rapporto, che resta regolato dalla convenzione accessiva all’atto di affidamento del servizio, mentre il rinnovo del contratto, anche se in forma tacita, comporta una nuova negoziazione con il medesimo soggetto, ossia un rinnovato esercizio dell’autonomia negoziale (cfr. C.d.S., Sez. VI, 29.3.2002 n. 1767).
[131] Cfr. la sent. n.9302 del 2003 ove si dice: “ Dunque, tra la proroga e la rinnovazione del contratto corre una sostanziale differenza e appunto per tale ragione deve ritenersi che l’art. 6, nella prima parte, vieta, in modo diretto ed assoluto, solo l’effetto del rinnovo, ma non impedisce l’inserimento di clausole che prevedano la prorogabilità del contratto (cfr. dec. Sez. V, 20.10.1998 n. 1508)”.
[132] Cfr. la sent. n.9302 del 2003 in cui si afferma:” “Ora, considerato che l’art. 6, secondo comma, dispone che, “entro tre mesi dalla scadenza dei contratti, le amministrazioni accertano la sussistenza delle ragioni di pubblico interesse per la rinnovazione dei contratti medesimi e, ove verificata detta sussistenza, comunicano al contraente la volontà di procedere alla rinnovazione”, appare evidente (…) che il termine di tre mesi va inteso come successivo alla scadenza del contratto; del resto, anche per ragioni logiche, detto termine non può intendersi riferito al momento anteriore alla scadenza, considerato che si tratta di rinnovo e non di proroga del contratto”.
[133] Cfr. l’emendamento 9.2 del relatore (nuova formulazione), approvato nella seduta n.44 del 21 aprile 2004, nel corso dell’esame presso la 14° Commissione del Senato.”
[134] Per un’analisi della disciplina introdotta dalle due direttive cfr. Quaderno del Giornale di diritto amministrativo n. 9, maggio 2004, L. Fiorentino e C. Lacava (a cura di), Le nuove direttive europee sugli appalti pubblici.
[135] Il Comunicato n. 37 dell’Autorità di vigilanza per i lavori pubblici del 28 gennaio 2004 avente ad oggetto i criteri cui devono uniformarsi le Soa (“Società organismi attestazione”) in materia di riconoscimento del requisito di cui all’art. 4 del D.P.R. n. 34/2000, fa presente che le norme ISO 9000:1994 sono state modificate e sono state adottale le nuove norme ISO 9001:2000.
[136] Sulla certificazione di sistema di qualità e sulla “dichiarazione della presenza di elementi significativi e correlati del sistema di qualità”, si veda la determinazione dell’Autorità di vigilanza per i lavori pubblici n. 11 del 14 maggio 2003.
[137] Il Consiglio di Stato, sent. 3886/2003, ha chiarito che la cauzione provvisoria assolve alla precipua ed esclusiva funzione di garantire all’amministrazione aggiudicatrice il risarcimento dei danni cagionati dall’eventuale rifiuto dell’impresa aggiudicataria di stipulare il contratto e che, in occasione della conclusione di quest’ultimo, quel tipo di garanzia viene sostituita da quella definitiva (di importo maggiore), invece preordinata ad assicurare la stazione appaltante per il pregiudizio patito in conseguenza dell’eventuale violazione degli obblighi contrattuali.
[138] L’articolo 30, commi 1 e 2, della legge Merloni prevedono infatti, a garanzia della stazione appaltante, che le imprese versino sia una cauzione al momento della presentazione dell’offerta, sia una garanzia fideiussoria al momento dell’aggiudicazione.
[139] Si ricorda che l’articolo 21, comma 2, della legge Merloni prevede che l’aggiudicazione degli appalti mediante appalto-concorso avvenga con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, prendendo in considerazione i seguenti elementi variabili in relazione all’opera da realizzare:
1) il prezzo;
2) il valore tecnico ed estetico delle opere progettate;
3) il tempo di esecuzione dei lavori;
4) il costo di utilizzazione e di manutenzione;
5) ulteriori elementi individuati in base al tipo di lavoro da realizzare.
Con la modifica introdotta dall’articolo in esame, si aggiungerebbe alla suddetta elencazione un ulteriore elemento variabile, rappresentato dalla certificazione del sistema di qualità, ovvero la presenza di elementi significativi e tra loro correlati di tale sistema.
[140] “Affidamento di appalti pubblici di lavori mediante procedura di appalto concorso ad imprese in possesso di certificazione del sistema di qualità o della dichiarazione della presenza di elementi significativi e tra loro correlati”, pubblicata nella G.U. n. 85 del 11-4-2003.
[141] Procedura di infrazione 2001/2182 e parere motivato del 15 ottobre 2003.
[142] La Corte di giustizia delle Comunità europee nella sentenza Gestion Hotlera del 19 aprile 1994, causa C-331/92, ha chiarito che un contratto "misto" avente ad oggetto tanto un'esecuzione di lavori quanto un’attività diversa, può non essere considerato un appalto di lavori nel solo caso in cui i lavori abbiano carattere meramente accessorio rispetto all'oggetto principale dell'aggiudicazione.
Tale interpretazione trova, inoltre, riscontro nel sedicesimo considerando della direttiva 92/50/CEE che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, secondo il quale il fatto che un appalto includa dei lavori non può giustificare la classificazione dello stesso come appalto pubblico di lavori quando tali lavori sono accessori e non costituiscono l’oggetto principale dell'appalto.
[143] Si ricorda che – come si è sopra riportato – anche il testo vigente dell’art. 2, comma 1, della legge n. 109 reca la parola “accessori”, ma il senso generale della formulazione non consente di escludere con chiarezza e in modo univoco dall’applicazione della disciplina sui lavori tutti i casi in cui tali lavori abbiano carattere “accessorio”.
[144] Procedura di infrazione 2001/2182 e parere motivato del 15 ottobre 2003.
La Corte di giustizia ha in particolare statuito che "sebbene le direttive comunitarie che coordinano le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici si applichino soltanto ai contratti il cui valore supera un determinato limite previsto espressamente in ciascuna delle dette direttive, il solo fatto che il legislatore comunitario abbia considerato che le procedure particolari e rigorose previste in tali direttive non sono adeguate allorché si tratta di appalti pubblici di scarso valore, non significa che questi ultimi siano esclusi dall'ambito di applicazione del diritto comunitario" (v., in tal senso, ordinanza 3 dicembre 2001, in C-59/00, punto 19). Già in precedenza il giudice comunitario aveva sottolineato la necessità del rispetto del principio di trasparenza anche per gli appalti non rientranti espressamente nella sfera di applicazione di una direttiva, ricordando che "nonostante il fatto che siffatti contratti, allo stadio attuale del diritto comunitario, siano esclusi dalla sfera di applicazione della direttiva 93/38, gli enti aggiudicatori che li stipulano sono ciò nondimeno tenuti a rispettare i principi fondamentali del Trattato in generale, e il principio di non discriminazione in base alla nazionalità in particolare" (sentenza 7 dicembre 2000, in C-324/98, Teleaustria c. Post & Telekom Austria, punto 60). Infine, anche il Consiglio di Stato, riconoscendo la giurisdizione del giudice amministrativo in un appalto di servizi di importo inferiore a quello previsto dalla disciplina comunitaria, ai sensi dell'art. 33, lettera d), nel testo attuale del decreto legislativo n. 80 del 1998 e dell'art. 6, comma 1, della legge n. 205 del 2000, ha richiamato e condiviso gli orientamenti della Corte di giustizia, puntualizzando che norme comunitarie vincolanti ben possono imporsi oltre il ristretto ambito applicativo delle direttive sugli appalti e che i sistemi di scelta del contraente ispirati alla par condicio presentano sempre i medesimi requisiti strutturali e richiedono, sul fronte del contenzioso, le medesime tecniche di indagine e giudizio (cfr. decisione del Consiglio di Stato, sezione IV, 15 febbraio 2002, n. 934, Consiglio nazionale dei chimici c. Azienda elettrica città di Bolzano).
[146] G.U. n. 178 del 31 luglio 2002.
[147] Procedura di infrazione 2001/2182 e parere motivato del 15 ottobre 2003.
[148] Si ricorda, infatti che dato che le attività di direzione dei lavori sono ricomprese nella categoria 12 dell'allegato A della direttiva 92/50/CEE e nell'analoga categoria 12 dell’allegato XVIA della direttiva 93/38/CEE, quando il valore dei servizi attribuiti è superiore alla soglia di applicazione di tali direttive, l’appalto dove essere aggiudicato secondo le norme comuni di pubblicità e partecipazione previste dalle stesse direttive. Nel caso in cui, invece, tale soglia non venga raggiunta, devono comunque trovare applicazione i principi generali del trattato CE e, in particolare, quello della trasparenza, con il conseguente obbligo di pubblicità.
[149] Direttiva 92/50/CEE che limita a specifiche, individuate ipotesi - tra cui non è ricompresa quella indicata - la possibilità del ricorso alla procedura negoziata.
[150] Le caratteristiche del contratto di concessione di costruzione e gestione di lavori pubblici sono ora delineate all’art. 19, commi 2 e 2 bis della legge n. 109 del 1994.
[151] Procedura di infrazione 2001/2182 e parere motivato del 15 ottobre 2003.
[152] In effetti, la Commissione europea ha verificato che gli avvisi informativi pubblicati anche di recente dalle amministrazioni aggiudicatrici italiane per l’individuazione di un promotore, di regola, non fanno assolutamente menzione né di tali vantaggi e, in particolare del citato diritto di prelazione per l’aggiudicazione della concessione a vantaggio del promotore, né dei criteri che condurranno all’individuazione di una proposta.
[153] Gli avvisi indicativi sono quelli a cui fa riferimento il comma 2-bis dell’articolo 37-bis.
[154] La Commissione ha sottolineato come l’interpretazione secondo la quale il suddetto vantaggio in favore del promotore non può essere applicato alle procedure avviate prima dell’entrata in vigore della legge n. 166 del 2002 è lungi dall’essere chiara. La determinazione n. 27 del 2002 dell’Autorità di vigilanza, pur affermando tale principio, precisa che al fine di individuare il criterio temporale che consente il discrimine tra l’applicazione della vecchia e della nuova normativa, la procedura deve intendersi “avviata” quando è già stato pubblicato il bando “per la scelta di colui o coloro che competeranno con il promotore”. Ne consegue che, secondo tale interpretazione, la prelazione in favore dei promotori, può essere applicata anche nelle procedure in cui, alla data di entrata in vigore della citata legge n. 166 del 2002, era già stato pubblicato l’avviso indicativo per la scelta del promotore. La Commissione ritiene pertanto che tale interpretazione non garantisca il rispetto del principio di parità di trattamento e che la disciplina in questione, nella misura in cui consente di applicare la citata norma di favore per il promotore anche qualora l’avviso indicativo per la scelta del medesimo è stato pubblicato prima dell’entrata in vigore della legge n. 166 del 2002, sia da ritenersi in ogni caso contrario a tale principio.
[155] Direttiva 89/665/CEE (in particolare l'art. 2, paragrafo 1, lettera b), e delle Direttive 93/36/CEE, 93/37/CEE e 92/50/CEE.
[156] G.U. n. 126 del 3 giugno 2003.
[157] Il decreto legislativo dà attuazione alla legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale. L’articolo 14, comma 3, prevede che il soggetto aggiudicatore comunica il provvedimento di aggiudicazione ai controinteressati almeno trenta giorni prima della firma del contratto.
[158] Come rilevato dal Consiglio di Stato, sent. 6762/2003, l’aggiudicazione provvisoria della gara di appalto di opera pubblica ha natura di atto endoprocedimentale, inidoneo a produrre la definitiva lesione dell’interesse della ditta che non è risultata vincitrice (a divenire tale), lesione che si verifica, appunto, soltanto con l’aggiudicazione definitiva.
[159] Pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea L 134 del 30.4.2004.
[160] Pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea L 134 del 30.4.2004.
[161] Dall’applicazione di quest’ultima direttiva, sono escluse le imprese che operano nel settore dei trasporti aerei e nei trasporti marittimi comunitari; sono altresì escluse le imprese che operano in alcuni settori delle telecomunicazioni.
[162] Come evidenziato dalla Relazione sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea (Anno 2003).
[163] Entro il 31 gennaio 2006.
[164] L’art. 74 della direttiva 2004/17/CEE prevede che essa entri in vigore il giorno della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea, avvenuta il 30 aprile 2004.
[165] Entro il 31 gennaio 2006.
[166] Si segnala che il Ministero delle Infrastrutture ha poi diramato la circolare 18 dicembre 2003 , n. 2316 rivolta alle amministrazioni ed enti aggiudicatori di appalti pubblici di lavori, forniture e servizi sulla disciplina dei contratti misti negli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi, in cui dà conto del contenuto delle osservazioni della Commissione in merito alla disciplina dei contratti misti.
[167] Rimangono tuttavia salve le deroghe previste dall’Allegato XXV. Si ricorda che in tale allegato si concedevano ai tre stati membri Spagna, Grecia e Portogallo termini di recepimento delle precedenti direttive sui “settori speciali” più lunghi rispetto a quelli generali, in considerazione dello stato del processo di liberalizzazione dei mercati di tali settori.
[168] Si ricorda che la Conferenza Unificata, ai sensi dell’art. 9 del D.Lgs. 28-08-1997 n. 281 “Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali”, assume deliberazioni, promuove e sancisce intese ed accordi, esprime pareri, designa rappresentanti in relazione alle materie ed ai compiti di interesse comune alle regioni, alle province, ai comuni e alle comunità montane.
[169] 31 gennaio 2006.
[170] Applicazione ai servizi postali.
[171] Si fa riferimento solo ai rifiuti solidi, in quanto i rifiuti allo stato liquido non sono ammessi in discarica (art. 6 del decreto legislativo n. 36 del 2003).
[172] Naturalmente occorre far riferimento alla classificazione dei rifiuti disposta dall’art.7 del decreto legislativo n. 22 del 1997, intervenuto dopo l’approvazione della legge n. 549 che fa invece riferimento (art. 3, comma 24), alla precedente classificazione disposta dall’art. 2 del D.P.R. n. 915 del 1982.
[173] Tale atto classifica le discariche secondo il seguente schema:
- Discariche di prima categoria (semplici impianti di stoccaggio nei quali possono essere smaltiti rifiuti solidi urbani, rifiuti speciali assimilati agli urbani, fanghi non tossici e nocivi)
- Discariche di seconda categoria, definiti “impianti di stoccaggio definitivo sul suolo o nel suolo”, suddivise a loro volta in:
· Discariche di Tipo A (nelle quali possono essere smaltiti soltanto i rifiuti inerti)
· Discariche di Tipo B (nelle quali possono essere smaltiti rifiuti sia speciali che tossici e nocivi, tal quali o trattati, a condizione che non contengano – in determinate concentrazioni - sostanze appartenenti ai gruppi 9, 20 e 24, 25, 27 e 28 dell'allegato al decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982).
- Discariche di terza categoria: impianti aventi caratteristiche di sicurezza particolarmente elevate per la protezione dell'ambiente e della salute dell'uomo, nei quali possono essere confinati rifiuti tossici e nocivi contenenti sostanze appartenenti ai gruppi 9, 20 e 24, 25, 27, 28 di cui all'allegato al decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982, anche in concentrazioni superiori a una determinata soglia fissata dalle stesse norme.
[174] G.U. del 21 marzo 2003, n. 67.
[175] Tabella tratta dal sito dell’Apat: http://www.apat.it/site/it-IT/Temi/Rifiuti/Prevenzione/Tributo_speciale_per_il_deposito_in_discarica/
[176]Si ricorda che in attuazione della legge n. 39/2001 (Legge comunitaria 2001) è stato emanato il decreto leg.vo n. 211 del 2003, concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri relative all'applicazione della buona pratica clinica nell'esecuzione della sperimentazione clinica di medicinali ad uso umano (direttiva 2001/20/CE).
[177]La direttiva 78/660/CEE è stata recepita nell’ordinamento nazionale con il D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127, e con il D.L. 23 febbraio 1994, n. 129.
[178] Recepita con il D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 211.
[179] Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni, eEurope 2002: un quadro normativo comunitario per la valorizzazione delle informazioni del settore pubblico, 23 ottobre 2001, COM(2001) 607 definitivo. In testo della comunicazione e una sintesi della politica comunitaria in materia in http://europa.eu.int/information_society/topics/multi/psi/index_en.htm.
[180] Con una eccezione: l'esclusiva è consentita se necessaria per l'erogazione di un servizio di interesse pubblico. In tal caso, peraltro, è previsto un riesame periodico (con cadenza almeno triennale) della fondatezza del motivo per l'attribuzione del diritto esclusivo.
[181] L. 24 novembre 2000 n. 340, Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1999, (Art. 25. Accesso alle banche dati pubbliche: “1. Le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, che siano titolari di programmi applicativi realizzati su specifiche indicazioni del committente pubblico, hanno facoltà di darli in uso gratuito ad altre amministrazioni pubbliche, che li adattano alle proprie esigenze.
2. Le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 29 del 1993 hanno accesso gratuito ai dati contenuti in pubblici registri, elenchi, atti o documenti da chiunque conoscibili).”
[182] IDA è il programma dell'Unione europea mediante il quale la Comunità europea, in collaborazione con gli Stati membri, opera nel campo delle reti telematiche transeuropee perseguendo gli obiettivi di costituire: reti telematiche transeuropee interoperabili tra le amministrazioni nazionali o regionali degli Stati membri; reti telematiche integrate per facilitare le comunicazioni tra le istituzioni comunitarie ed a supporto dei procedimenti decisionali della comunità. La prima fase del programma IDA è stata completata alla fine del 1997, mentre la seconda (IDA II) è stata avviata nell'agosto del 1999 e verrà completata alla fine del 2004.
[183] Si ricorda che la direttiva 85/337/CEE era stata recepita con L. 8 luglio 1986, n. 349 Istituzione del Ministero dell'ambiente e norme in materia di danno ambientale e con la L. 22 febbraio 1994, n. 146 Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - legge comunitaria 1993.
[184] Tali informazioni riguardano: il tenore del piano o del programma ed i suoi obiettivi principali; le caratteristiche ambientali della zona interessata dal piano o dal programma; i problemi ambientali esistenti e rilevanti per il piano o il programma; gli obiettivi nazionali, comunitari o internazionali di protezione dell'ambiente rilevanti ai fini del piano o del programma; le conseguenze che possono derivare per l'ambiente dall'attuazione del piano o del programma; le possibili misure intese ad evitare, ridurre e compensare l'impatto ambientale; i controlli previsti.
[185] Definizione recata dall’art. 2 della direttiva.
[186] Ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della Direttiva per “imprese” si intende le imprese pubbliche o private che esercitano un’attività economica, che perseguano o meno fini di lucro, situate sul territorio degli Stati membri.
[187] Ai sensi dell’articolo 2, lettera b) della Direttiva per “stabilimenti” si intende una unità di attività definita conformemente alle leggi e prassi nazionali, situata sul territorio di uno Stato membro e nella quale l’attività economica è svolta in modo stabile con l’aiuto di risorse umane e materiali.
[188] La direttiva 98/59/CE costituisce la codificazione di due precedenti direttive, la 75/129/CEE e la 92/56/CE, che sono state attuate rispettivamente con la Legge 23 luglio 1991, n. 223, e con il D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 151.
[189] Si evidenzia che la direttiva 2001/23/CE costituisce la codificazione di due precedenti direttive, la 77/187/CEE e la 98/50/CE, che sono state attuate rispettivamente con l’art. 47 della Legge 29 dicembre 1990, n. 428, e con il D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 18.
[190] Si menziona che l’articolo 32 del D. Lgs. 276 del 2003 in materia di occupazione e mercato del lavoro, emanato in attuazione della Legge 30 del 2003 (“Legge Biagi”), ha modificato l’art. 2112 c.c. in materia di mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda. In particolare è stato specificato che le disposizioni riguardanti la continuazione del rapporto di lavoro con il cessionario e la conservazione dei diritti derivanti al lavoratore da tale rapporto si applicano anche nel caso di trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento.
Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all'impresa del cessionario. L'effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello.
Inoltre, nel caso in cui l'alienante stipuli con l'acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d'azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore opera il regime di solidarietà previsto dall'articolo 1676 c.c..
L’articolo 32 del citato Decreto 276 ha inoltre disposto che restano fermi i diritti dei prestatori di lavoro in caso di trasferimento d'azienda di cui alla normativa di recepimento delle direttive europee in materia.
[191] La SE è disciplinata dal regolamento (CE) n. 2157/2001. Si tratta di un nuovo tipo di società per azioni destinata ad operare in più stati membri.
[192] La p.d.l. C. 2023, assegnata in sede referente alla XI Commissione della Camera, è stata nuovamente assegnata in data 2 ottobre 2003 alle Commissioni riunite VI Finanze e XI Lavoro pubblico e privato. Alla proposta di legge sono stati successivamente abbinati i seguenti progetti, tutti di iniziativa parlamentare: AC 1003 Serena, AC 1943 Benvenuto ed altri, AC 2778 Volonté, AC 3642 Del Bono ed altri, AC 3926 Benvenuto ed altri, AC 4039 Del Bono ed altri, AC 4083 Cordoni ed altri. Nella seduta del 23 marzo 2004 i relatori hanno presentato alle Commissioni riunite una proposta di testo unificato.
[193] Il d.d.l. A.S. 2595 è stato assegnato in sede referente alla 2a Commissione Giustizia del Senato, ed è tuttora (ottobre 2004) in corso di esame in Commissione.
[194] COM (97) 334 def., il documento non risulta essere stato pubblicato sulla GUCE.
[195] COM (98) 662 def., il documento non risulta essere stato pubblicato sulla GUCE.
[196] In proposito, il “considerando” n. 8 specifica che è opportuno escludere dal campo di applicazione della direttiva in esame gli autotrasportatori autonomi, in quanto inclusi nel campo di applicazione del Regolamento (CEE) n. 3820/85, ma esclusi dal campo di applicazione della direttiva 93/104/CE.
[197] COM(1999) 232.
[198] Comunicazione della Commissione Servizi finanziari: elaborazione di un quadro d'azione, COM (1998) 625.
[199] Il comitato di personalità indipendenti sulla regolamentazione dei mercati europei dei valori mobiliari, presieduto dall’ex presidente dell’IME Alexandre Lamfalussy, è stato costituito in seguito alle conclusioni del Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000. Il comitato ha presentato il proprio rapporto finale nel febbraio 2001. Il rapporto è stato approvato, come già ricordato, dal Consiglio europeo di Stoccolma del 23 e 24 marzo 2001. Il Parlamento europeo ha approvato tre risoluzioni, rispettivamente nei mesi di marzo e aprile 2001 e di febbraio 2002, con le quali si è pronunciato in maniera favorevole sul rapporto Lamfalussy, condividendo l’obiettivo di realizzare l’integrazione del mercato dei valori mobiliari entro il 2003. Le risoluzioni, tuttavia, hanno posto alcune precise condizioni ai fini dell’applicazione del modello proposto dal comitato dei saggi.
Nel corso della seduta plenaria del Parlamento europeo del 5 febbraio 2002, il Presidente della Commissione Prodi ha pronunciato una dichiarazione formale con la quale la Commissione stessa si è impegnata a rispettare buona parte delle condizioni previste dal Parlamento.
[200] Il Decreto 277 del 1991 è stato emanato in attuazione della delega recata dall’art. 7 della Legge 212 del 1990 e recepisce le direttive 80/117/CCEE, 82/605/CEE, 86/188/CEE e 88/642/CEE. Di queste, la Direttiva 86/188/CEE reca disposizioni in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti dall'esposizione al rumore durante il lavoro.
[201] La direttiva 83/477/CEE è stata successivamente modificata dalla direttiva 91/382/CEE che, all'art. 1, par. 4, provvede a sostituire il testo dell'art. 8 della precedente normativa in merito ai valori limite di concentrazione di amianto nell'atmosfera. In particolare vengono fissati i seguenti valori limite:
a) - 0,6 fibre per centimetro cubo per il crisotilo, per un periodo di tempo medio di otto ore;
b) - 0,3 fibre per centimetro cubo, per tutte le altre varietà di amianto, sia isolate sia in miscela.
[202] Si tratta delle seguenti attività:
a) brevi attività non continuative di manutenzione effettuate solo su materiali non friabili;
b) rimozione senza deterioramento di materiali non degradati in cui le fibre di amianto sono fermamente legate ad una matrice;
c) incapsulamento e condizionamento di guaine a materiali contenenti amianto che si trovano in buono stato;
d) sorveglianza e controllo dell'aria e prelievo di campioni ai fini dell'individuazione della presenza di amianto in un determinato materiale.
[203] Ciò deve avvenire con particolare attenzione a:
a) le proprietà dell'amianto e i suoi effetti sulla salute, incluso l'effetto sinergico dovuto al fumo;
b) i tipi di prodotti o materiali che possono contenere amianto;
c) le operazioni che possono comportare un'esposizione all'amianto e l'importanza dei controlli preventivi per ridurre al minimo tale esposizione;
d) le procedure di lavoro sicure, i controlli e le attrezzature di protezione;
e) la funzione, la scelta, la selezione, i limiti e la corretta utilizzazione dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie;
f) le procedure di emergenza;
g) le procedure di decontaminazione;
h) l'eliminazione dei residui;
i) la necessità del controllo sanitario.
[204] Si ricorda che il 25 giugno 1998 la Comunità europea ha sottoscritto la convenzione UN/ECE sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale («convenzione di Århus»). Tra gli obiettivi della convenzione di Århus vi è il desiderio di garantire il diritto di partecipazione del pubblico alle attività decisionali in materia ambientale, per contribuire a tutelare il diritto di vivere in un ambiente adeguato ad assicurare la salute e il benessere delle persone.
[205] Vedi anche la L. 29 dicembre 2000, n. 422 (legge comunitaria 2000) e la legge 31 ottobre 2003, n. 306 (legge comunitaria 2003)
[206] Rispettivamente, articolo 6, paragrafo 1, lettere e) ed f).
[207] Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera h).
[208] Si ricorda che tale direttiva è stata recepita nell’ordinamento italiano con il d.lgs. n. 66/1999, recante l’istituzione dell'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo e modifiche al codice della navigazione, in attuazione della direttiva 94/56/CE del Consiglio del 21 novembre 1994.
[209]L’articolo 25 della legge comunitaria per il 2003 (legge n. 306/2003) delega il Governo ad adottare, entro un anno dalla entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per l’esercizio delle facoltà previste dall’articolo 5 del regolamento (CE) n. 1606/2002 relativo all'applicazione di principi contabili internazionali. I decreti saranno adottati, su proposta del Ministro delle politiche comunitarie e del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia, previo parere degli organi parlamentari competenti.
[210] Sono considerate “piccole imprese” quelle con meno di 50 dipendenti e un fatturato annuo non eccedente i 10 milioni di euro.
[211] Nel caso in cui il reclamo riguardi le tariffe di connessione per nuovi impianti di generazione di grandi dimensioni, il termine di due mesi può essere prorogato dall’Autorità di regolamentazione.
[212]Con la decisione del 1° aprile 1987, la Commissione aveva dato istruzioni ai suoi Servizi di procedere alla codificazione costitutiva od ufficiale degli atti giuridici al più tardi dopo la decima modifica ad essi apportata, sottolineando che si trattava di una regola minima, poiché nell'interesse della chiarezza e della corretta comprensione della legislazione comunitaria i servizi dovrebbero tentare di codificare i testi di cui sono responsabili ad intervalli ancora più brevi.
[213]La direttiva 79/279/CEE è stata recepita con la legge 4 giugno 1985, n. 281, e con il D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 89.
[214]La direttiva 80/390/CEE è stata recepita con la legge 4 giugno 1985, n. 281, e con il D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 89.
[215]La direttiva 82/121/CEE è stata recepita con la legge 4 giugno 1985, n. 281.
[216]La direttiva 88/627/CEE è stata recepita con il D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 90.
[217]La direttiva 89/298/CEE è stata recepita con il D.Lgs. 25 gennaio 1992, n. 85.
[218] Il cosiddetto metodo Lamfalussy è un modello decisionale che trova applicazione per l’adozione e l’attuazione degli atti legislativi comunitari nel settore dei servizi finanziari. In particolare, il modello prevede l’articolazione del processo decisionale in quattro livelli:
· al primo livello si colloca l’attività legislativa in senso stretto (adozione di regolamenti o direttive secondo la procedura di codecisione). In questa fase la Commissione consulta, prima di presentare le relative proposte legislative, il Comitato europeo dei valori mobiliari (ESC);
· al secondo livello intervengono le disposizioni di attuazione poste in essere dalla Commissione, sulla base della delega contenuta nell’atto legislativo, in conformità alle procedure di comitatologia di cui alla decisione 1999/468/CE. A tal fine la Commissione è assistita dal Comitato europeo dei valori mobiliari (ESC), che opera quale comitato di regolamentazione, e consulta il Comitato delle autorità europee di regolamentazione e vigilanza sui valori mobiliari (CESR, cfr. nota 2);
· il terzo livello decisionale consiste nel coordinamento, in via informale in seno al CESR, delle attività delle autorità nazionali di regolazione e vigilanza sui mercati finanziari, al fine di garantire un recepimento uniforme e coerente delle disposizioni adottate ai primi due livelli;
· al quarto livello decisionale si colloca, infine, l’attività di attuazione, in via legislativa e amministrativa, delle norme comunitarie da parte degli Stati membri e il relativo controllo della Commissione europea.
[219] Il Comitato delle autorità europee di regolamentazione dei valori mobiliari (CAERVM o CESR, secondo l’acronimo inglese comunemente utilizzato), istituito con la decisione della Commissione 2001/528/CE, è composto dai presidenti delle autorità nazionali aventi competenze di regolazione e vigilanza sui mercati mobiliari, tra i quali viene eletto il presidente.
[220] Direttiva 2003/71/CE relativa al prospetto da pubblicare per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2001/34/CE.
[221] Regolamento (CE) n. 1606/2002 relativo all'applicazione di principi contabili internazionali.
[222] Direttiva 2003/6/CE. relativa all'abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato).
[223] Si ricorda che il richiamato regolamento si applica a decorrere dalla data del 18 agosto 2006.
[224] Anche una SCE che ha la sede sociale in un paese al di fuori della zona euro può esprimere le quote in euro.
[225] La proposta si ricollega alle decisioni assunte dal Consiglio europeo di Tampere del 1999 per il ravvicinamento delle legislazioni nazionali relative alle condizioni di ammissione e soggiorno dei cittadini dei Paesi terzi. Per una breve sintesi delle linee generali dell’Unione in materia di immigrazione si veda la scheda relativa alla direttiva 2003/109/CE (relativa allo status dei cittadini dei paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo) nel presente dossier.
[226] Ratificata dalla L. 9 febbraio 1999, n. 30, Ratifica ed esecuzione della Carta sociale europea, riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996.
[227] Ratificata con la L. 2gennaio 1995, n. 13, Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea relativa allo status giuridico del lavoratore migrante, adottata a Strasburgo il 24 novembre 1977.
[228] D.Lgs.25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
[229] Si tratta di Biossido di carbonio (CO2), metano (CH4), ossido di azoto (N2O), esafluoruro di zolfo (SF6), idrofluorocarburi (HFCs) e perfluorocarburi (PFCs).
[230] Procedura 2004/0060
[231] Si ricorda, al riguardo, che attualmente è in fase di pubblicazione sulla G.U. uno schema di decreto legislativo recante alcune modificazioni ed integrazioni al citato D.Lgs. 66 del 2003, sul quale la XI Commissione Lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati ha espresso parere favorevole il 16 giugno 2004. Esso è adottato in conformità del dettato dell’articolo 1, comma 4, della citata L. 39 del 2002, che ha stabilito che, entro un anno dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di attuazione delle direttive indicate, nel rispetto dei principi e criteri direttivi fissati dalla legge stessa, il Governo abbia facoltà di emanare disposizioni integrative e correttive dei richiamati decreti legislativi.
In particolare, lo schema, pur recando come titolo “modifiche ed integrazioni al decreto legislativo n. 66/2003 in materia di apparato sanzionatorio dell’orario di lavoro”, prevede una serie di disposizioni che modificano diversi aspetti della disciplina recata dal citato D.Lgs. 66, non limitate ai profili di carattere sanzionatorio, quali, tra le altre, la non applicabilità immediata delle disposizioni del citato D.Lgs. 66 al personale delle Forze di polizia e delle Forze armate, la modifica della disciplina del diritto alle ferie annuali, la modifica delle modalità di computo della durata massima del lavoro notturno, la disciplina delle modalità con cui il datore di lavoro assicuri i controlli sulla salute dei lavoratori adibiti al lavoro notturno.
[232] Dall’ambito di applicazione restano esclusi anche i lavoratori mobili, di cui alla successiva direttiva n. 2002/15/CE.
[233] La prima fase di consultazione è stata effettuata sulla base della comunicazione della Commissione relativa al riesame della direttiva sull’orario di lavoro (COM(2003) 843), presentata il 30 dicembre 2003. La seconda fase è stata avviata il 19 maggio 2004 sulla base del documento SEC (2004)610.
[234] L'Allegato I è stato in parte modificato dalla direttiva 2001/101/CE che ha dettato nuove norme per l'indicazione in etichetta delle carni.
[235] L'Allegato III è stato in parte modificato dalla direttiva 2002/67/CE secondo la quale il chinino e/o la caffeina utilizzati come aromi nella fabbricazione o preparazione di un prodotto alimentare devono essere indicati nell'elenco degli ingredienti con la loro denominazione specifica, immediatamente dopo il termine "aroma". La stessa direttiva prevede, poi, che quando una bevanda destinata al consumo contiene caffeina in proporzione superiore a 150 mg/l, deve figurare sull'etichetta, nello stesso campo visivo della denominazione di vendita della bevanda: "tenore elevato di caffeina".
[236] Se la totalità o parte dei beni non è di fatto consumata dal cliente in questione, la direttiva presume che tali beni non consumati siano stati usati e consumati nel luogo in cui il cliente ha fissato la sede della propria attività o ha un centro di attività stabile in cui i beni vengono erogati. In mancanza di tale sede o centro di attività stabile, si considera il luogo in cui ha l'indirizzo permanente o in cui risiede abitualmente
[237] La direttiva (articolo 7, comma 3) intende per "gasolio commerciale utilizzato come propellente" il gasolio utilizzato ai fini seguenti:
a) trasporto di merci per conto terzi o per conto proprio, effettuato con un autoveicolo a motore o un autoveicolo con rimorchio, adibito esclusivamente al trasporto di merci su strada, avente un peso a pieno carico massimo ammissibile pari o superiore a 7,5 tonnellate;
b) trasporto regolare o occasionale di passeggeri, effettuato con un autoveicolo delle categorie M2 o M3, quali definite dalla direttiva 70/156/CEE del Consiglio, del 6 febbraio 1970, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all'omologazione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi.
[238] Per "impresa a forte consumo di energia" si intende un'impresa in cui i costi di acquisto dei prodotti energetici ed elettricità siano pari almeno al 3,0 % del valore produttivo ovvero l'imposta nazionale sull'energia pagabile sia pari almeno allo 0,5 % del valore aggiunto. Nell'ambito di questa definizione gli Stati membri possono applicare concetti più restrittivi, compresi il valore del fatturato e le definizioni di processo e di settore.
[239] Con le direttive 2004/74/CE e 2004/75/CE del 29 aprile 2004 (pubblicate nella GUCE L 157 del 30.4.2004) sono stati inseriti nella direttiva n. 2003/96/CE gli articoli 18-bis e 18-ter,relativi alle deroghe previste in favore dei dieci Stati entrati a far parte dell’Unione europea il 1° maggio 2004.
[240] Trasporto di merci per conto terzi o per conto proprio, effettuato con un autoveicolo a motore o un autoveicolo con rimorchio, adibito esclusivamente al trasporto di merci su strada, avente un peso a pieno carico massimo ammissibile pari o superiore a 7,5 tonnellate.
[241]Per quest'ultimo la direttiva intende "un'incidenza, osservata in determinate circostanze, di due o più casi di persone colpite dalla stessa malattia e/o infezione, oppure la situazione in cui il numero di casi di malattia osservato sia superiore al numero prevedibile e i casi abbiano una correlazione, od una correlazione probabile, con la stessa fonte alimentare".
[242] Si tratta della tabella concernente le zoonosi e gli agenti zoonotici da sottoporre a sorveglianza.
[243] L’allegato II concerne i criteri per la sorveglianza della resistenza agli antimicrobici.
[244]Il versamento di cianuro che ha causato l'inquinamento del Danubio dopo l'incidente di Baia Mare, in Romania, del gennaio 2000, ha dimostrato che talune attività di deposito e lavorazione nell'industria mineraria, in particolare gli impianti di smaltimento degli sterili, compresi i bacini e le dighe di raccolta degli sterili, possono provocare gravissime conseguenze.
[245] L'incidente di materiale pirotecnico avvenuto a Enschede, nei Paesi Bassi, nel maggio 2000, ha dimostrato il potenziale di incidenti rilevanti derivante dal deposito e dalla fabbricazione di sostanze pirotecniche ed esplosive.
[246] L'esplosione in uno stabilimento di fertilizzanti avvenuta a Tolosa nel settembre 2001 ha evidenziato il potenziale di incidenti derivante dal deposito di nitrato di ammonio e di fertilizzanti a base di nitrato di ammonio, in particolare di materiale di scarto del processo di produzione o materiale restituito al produttore (detto «off-specs»).
[247] Regolamento (CE) n. 1030/2002, "Regolamento del Consiglio che istituisce un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi", pubblicato nella G.U.C.E. 15 giugno 2002, n. L 157, ed entrato in vigore il 15 giugno 2002.
[248] La cui attuazione è prevista dal presente disegno di legge (si veda in proposito la scheda relativa nel presente dossier).
[249] D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
[250] Il termine, originariamente fissato a cinque anni, è stato così elevato ad opera della L. 30 luglio 2002, n. 189 (art. 9, co. 1).
[251] COM/2003/336.
[252] La materia era regolata dalla decisione del comitato esecutivo del 21 aprile 1998 (SCH/Com-ex(98)10) abrogata dall’articolo 11 della presente direttiva.
[253] La gestione efficace dei flussi migratori, tra cui rientra il contrasto all’immigrazione clandestina, è uno dei quattro pilastri della politica comunitaria in materia, individuati dal Consiglio europeo di Tampere del 1999. Per una breve sintesi delle linee generali di tale politica si veda la scheda relativa alla direttiva 2003/109/CE (relativa allo status dei cittadini dei paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo) nel presente dossier.
[254] Ratificata dall’Italia con L. 24 luglio 1954, n. 722, Ratifica ed esecuzione della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951.
[255] Tra di esse la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 ratificata dall’Italia L. 4 agosto 1955, n. 848, e i relativi protocolli.
[256] Tra cui la Convenzione europea di estradizione, firmata a Parigi il 13 dicembre 1957, ratificata con la L. 30 gennaio 1963, n. 300.
[257] 1999/468/CE: Decisione del Consiglio del 28 giugno 1999 recante modalità per l'esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione.
[258]JAI(2003)14.
[259]Si vedano l’art. 37 e l’allegato E del decreto.
[260]Fonte: Programma generale di prevenzione e gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio – CONAI, 2003.
[261]Si tratta del Consorzio obbligatorio previsto dall’art. 41 del decreto Ronchi, al quale aderiscono quasi 1.4000.000 aziende, ripartite tra produttori, importatori, utilizzatori e distributori di imballaggi.
[262]Cfr. www.conai.org.
[263]Sono "diritti speciali o esclusivi" quelli “concessi da un'autorità competente di uno Stato membro mediante qualsiasi disposizione legislativa, regolamentare o amministrativa, avente l'effetto di riservare a uno o più enti l'esercizio di una attività di cui agli articoli da 3 a 7 e di incidere sostanzialmente sulla capacità di altri enti di esercitare tale attività” (art.2, par. 3).
[264]L’art. 54, par. 3, prevede che “nel caso delle procedure ristrette o negoziate, i criteri possono fondarsi sulla necessità oggettiva, per l'ente aggiudicatore, di ridurre il numero dei candidati a un livello che corrisponda a un giusto equilibrio tra caratteristiche specifiche della procedura di appalto e i mezzi necessari alla sua realizzazione. Il numero dei candidati prescelti tiene conto tuttavia dell'esigenza di garantire un'adeguata concorrenza”.
[265]Partecipazione ad organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio dei proventi di attività illecite.
[266]Cfr. il punto 53 dei Considerando che prevede che “Nei casi appropriati, in cui l'applicazione di misure o sistemi di gestione ambientale durante l'esecuzione dell'appalto è giustificata dalla natura dei lavori e/o dei servizi, può essere richiesta l'applicazione di tali misure o sistemi”. Cfr anche l’art. 52, par. 3, ove si dispone che “Per gli appalti di lavori e di servizi e solo in determinati casi, per accertare la capacità tecnica dell'operatore economico, gli enti aggiudicatori possono chiedere che l'operatore economico indichi i provvedimenti di gestione ambientale che egli sarà in grado di applicare in occasione della realizzazione dell'appalto”.
[267]Tra le attività indicate nell’allegato III figurano anche la fabbricazione, uso, stoccaggio, trattamento, interramento, rilascio nell'ambiente e trasporto sul sito di: sostanze pericolose definite nell'articolo 2, paragrafo 2 ,della direttiva 67/548/CEE; preparati pericolosi definiti nell'articolo 2, paragrafo 2 della direttiva 1999/45/CE; prodotti fitosanitari definiti nell'articolo 2, paragrafo 1 della direttiva 91/414/CEE; biocidi definiti nell'articolo 2, paragrafo 1, lettera a) della direttiva 98/8/CE; trasporto per strada, ferrovia, navigazione interna, mare o aria di merci pericolose o di merci inquinanti definite nell'allegato A della direttiva 94/55/CE.
[268]Tra le eccezioni contemplate vi sono, tra le altre, quelle relative ai danni cagionati dai conflitti armati, ovvero da fenomeni naturali di carattere eccezionale, inevitabile e incontrollabile.
[269]Il cosiddetto metodo Lamfalussy è un modello decisionale che trova applicazione per l’adozione e l’attuazione degli atti legislativi comunitari nel settore dei servizi finanziari. In particolare, il modello prevede l’articolazione del processo decisionale in quattro livelli:
· al primo livello si colloca l’attività legislativa in senso stretto (adozione di regolamenti o direttive secondo la procedura di codecisione). In questa fase la Commissione consulta, prima di presentare le relative proposte legislative, il Comitato europeo dei valori mobiliari (ESC);
· al secondo livello intervengono le disposizioni di attuazione poste in essere dalla Commissione, sulla base della delega contenuta nell’atto legislativo, in conformità alle procedure di comitatologia di cui alla decisione 1999/468/CE. A tal fine la Commissione è assistita dal Comitato europeo dei valori mobiliari (ESC), che opera quale comitato di regolamentazione, e consulta il Comitato delle autorità europee di regolamentazione e vigilanza sui valori mobiliari (CESR, cfr. nota 2);
· il terzo livello decisionale consiste nel coordinamento, in via informale in seno al CESR, delle attività delle autorità nazionali di regolazione e vigilanza sui mercati finanziari, al fine di garantire un recepimento uniforme e coerente delle disposizioni adottate ai primi due livelli;
· al quarto livello decisionale si colloca, infine, l’attività di attuazione, in via legislativa e amministrativa, delle norme comunitarie da parte degli Stati membri e il relativo controllo della Commissione europea.
[270] Il Comitato delle autorità europee di regolamentazione dei valori mobiliari (CAERVM o CESR, secondo l’acronimo inglese comunemente utilizzato), istituito con la decisione della Commissione 2001/528/CE, è composto dai presidenti delle autorità nazionali aventi competenze di regolazione e vigilanza sui mercati mobiliari, tra i quali viene eletto il presidente.
[271] I dati sono forniti nel “Libro Verde: verso una strategia europea per la sicurezza dell'approvvigionamento energetico” del 29 novembre 2000.
[272]La direttiva 76/308/CEE è stata recepita nell’ordinamento italiano con il D.P.R. 9 gennaio 1978, n. 35, il D.M. 28 dicembre 1978 e il D.M. 19 giugno 1981.
[273]La direttiva 2001/44/CE è recepita con il D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 69.
[274]L’articolo 32 della direttiva 2002/94/CE abroga la direttiva 77/794/CEE.
[275] Recepita con D.P.R. 7 aprile 1999, n. 128. Si tratta di una direttiva specifica concernente disposizioni specifiche, applicabili ai gruppi di alimenti destinati ad un'alimentazione particolare e indicati in allegato (emanata ai sensi dell'art. 4 della direttiva 89/398/CEE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernente i prodotti alimentari destinati ad un'alimentazione particolare). La direttiva 96/5/CE è stata modificata dalle direttive 98/36/CE e 1999/39/CE.
[277] Recepita con D.M. 6 aprile 1994, n. 500 e D.Lgs. 19 marzo 1996, n. 241.
[278] Si tratta di una direttiva specifica concernente disposizioni specifiche, applicabili ai gruppi di alimenti destinati ad un'alimentazione particolare e indicati in allegato (emanata ai sensi dell'art. 4 della direttiva 89/398/CEE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernente i prodotti alimentari destinati ad un'alimentazione particolare). Tale direttiva inoltre è stata già modificata dai seguenti provvedimenti: direttive 1999/50/CE e 96/4/CE.
[279] Direttiva recepita con D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 116.
[280]La direttiva 96/57/CE, relativa ai requisiti di rendimento energetico di frigoriferi, congelatori e loro combinazioni di uso domestico demanda agli stati membri l’adozione di misure atte garantire che gli elettrodomestici di refrigerazione possano essere immessi sul mercato soltanto se il consumo elettrico dell'apparecchio in questione è inferiore o uguale al consumo di energia elettrica massimo consentito per la sua categoria, calcolato secondo le procedure definite nell'allegato I della stessa direttiva. La conformità a tutte le disposizioni della è attestata dalla marcatura "CE".
[281] Da ritenersi recepita con L. 22 febbraio 1994, n. 146.
[282] Articolo 18.
[283] Articolo 17.