XIV Legislatura - Dossier di documentazione
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Modificazioni al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato - Schema di D.Lgs. n. 531 (art. 1, co. 2, L. 80/2005)
Serie: Pareri al Governo    Numero: 461
Data: 22/09/05
Descrittori:
ARBITRATO E CONCILIAZIONE   CODICE E CODIFICAZIONI
CORTE DI CASSAZIONE   DIRITTO PROCESSUALE CIVILE
Organi della Camera: II-Giustizia

Servizio studi

 

pareri al governo

Modificazioni al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato

Schema di D.Lgs. n. 531

(art. 1, co. 2, L. 80/2005)

n. 461

 

xiv legislatura

22 settembre 2005

 


Camera dei deputati


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dipartimento Giustizia

 

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File: GI0591.doc

 


 

INDICE

Scheda di sintesi per l'istruttoria legislativa

Dati identificativi3

Struttura e oggetto  4

§      Contenuto  4

§      Relazioni e pareri allegati5

Elementi per l’istruttoria legislativa  6

§      Conformità con la norma di delega  6

§      Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite  8

§      Formulazione del testo  8

Schede di lettura

§      Il contenuto dello schema di decreto legislativo  11

Schema di decreto legislativo n. 531

Modificazioni al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato

§      Lettera di trasmissione del 5 settembre 2005  47

§      Relazione  48

§      Articoli80

§      Parere dell'Assemblea generale della Corte suprema di cassazione del 21 luglio 2005  105

Normativa di riferimento

§      Costituzione della Repubblica (artt. 76, 87, 111 e 117)121

§      Codice penale (art. 75)127

§      Codice civile (artt. 1341, 1342 e 1469-bis)128

§      Codice di procedura civile (artt. 42, 43, 44, 45, 48, 50, 51, 96, 105, 111, 113, 133, 176, 274, 278, 279, 288, 295, 306-310, 332, 337, 339, 360-391-bis, 395, 398, 405, 409, 739, 806-838)132

§      Disposizioni di attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie (artt. 129, 133, 134, 138, 142, 143, 151)187

§      R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443. Approvazione del codice di procedura civile.191

§      R.D. 30 gennaio 1941, n. 12. Ordinamento giudiziario. (art. 65)193

§      R.D. 18 dicembre 1941, n. 1368. Disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie.194

§      L. 11 marzo 1953, n. 87. Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale. (art. 23)195

§      L. 24 novembre 1981, n. 689. Modifiche al sistema penale. (artt. 22-bis e 23)197

§      L. 13 aprile 1988, n. 117. Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati. (art. 2)201

§      D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165. Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. (artt. 63 e 64)202

§      D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5. Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della L. 3 ottobre 2001, n. 366. (art. 35)206

§      L. 14 maggio 2005, n. 80. Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali. (art. 1)207

 

 


Scheda di sintesi
per l'istruttoria legislativa


Dati identificativi

Numero dello schema di decreto legislativo

n. 531

Titolo

Modificazioni al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato

Norma di delega

Legge 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, co. 2

Settore d’intervento

Diritto processuale civile

Numero di articoli

29

Date

 

§          presentazione

5 settembre 2005

§          assegnazione

12 settembre 2005

§          termine per l’espressione del parere

11 novembre 2005

§          scadenza della delega

15 novembre 2005

Commissione competente

II Commissione (Giustizia)

Rilievi di altre Commissioni

No

 


Struttura e oggetto

Contenuto

Lo schema di decreto legislativo in esame, è stato adottato in attuazione della delega contenuta nell’articolo 1, comma 2, della legge 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali ).

Più in particolare, l’articolo 1 della legge 80/2005, che al comma 1 reca la clausola di conversione del decreto legge, conferisce, al comma 2, una delega al Governo per modificare il codice di procedura civile.

I principi e criteri direttivi della delega, enunciati dal comma 3, ineriscono a due profili fondamentali (specificati mediante la successiva delineazione di una serie di ulteriori principi e criteri direttivi, nell’ambito delle lettere a) e b) del comma 3):

 

1)      disciplinare il processo di cassazione “in funzione nomofilattica”;

2) riformare in senso razionalizzatore la disciplina dell’arbitrato.

 

Lo schema di decreto, adottato il 5 settembre scorso – e quindi entro i termini previsti dalla legge delega – e corredato, come prescritto, dal parere della Assemblea Generale della Corte Suprema di Cassazione, si compone di III Capi e di 29 articoli.

Rinviando per un’esposizione più approfondita al contenuto delle schede di lettura, in questa sede ci si limiterà a dar conto sinteticamente degli argomenti trattati dal provvedimento.

 

Il Capo I (artt. 1-19), modifica la disciplina del processo di cassazione in funzione nomofilattica incidendo sui temi dei motivi di ricorso,dell’enunciazione del principio di diritto da parte della Corte di cassazione, sui contenuti del ricorso, sul procedimento per la decisione a sezioni unite e in camera di consiglio, sull’accertamento pregiudiziale relativo a contratti ed accordi collettivi, e su talune disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile.

Il Capo II (artt. 20-25) è dedicato alla riforma dell’istituto dell’arbitrato disciplinato nel titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile (rimane, comunque, ferma la normativa sul riconoscimento dei lodi stranieri).

Le nuove disposizioni si conformano al criterio dettato dalla legge 80/2005 di una maggiore valorizzazione della volontà delle parti, e di una agevolazione del ricorso a tale strumento alternativo di giurisdizione.

 Il Capo III (artt. 26-29) contiene le disposizioni finali.

Relazioni e pareri allegati

Oltre che dalla relazione illustrativa lo schema di decreto è accompagnato dal parere dell’Assemblea generale della Corte suprema di cassazione, secondo quanto previsto dall’articolo 1, comma 2, della legge 80/2005.

 


Elementi per l’istruttoria legislativa

Conformità con la norma di delega

Come già ricordato, lo schema di decreto è adottato in attuazione della delega contenuta nell’articolo 1, comma 2, della legge 80/2005 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali ).

Più in particolare, l’articolo 1 della legge 80/2005, che al comma 1 reca la clausola di conversione del decreto legge, conferisce, al comma 2, una delega al Governo per modificare il codice di procedura civile.

Con il decreto legislativo, che è tenuto ad osservare i principi e i criteri direttivi della delega nonché la normativa comunitaria (cfr. artt. 76, comma primo, e 117, comma primo Cost.), il Governo è chiamato anche a realizzare il necessario coordinamento con “le altre disposizioni vigenti”.

Il decreto legislativo è da adottare nel termine di sei mesi dalla entrata in vigore della legge di conversione, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa sottoposizione del relativo schema al parere della Assemblea Generale della Corte Suprema di Cassazione e delle competenti Commissioni parlamentari.

Nel termine di un anno dalla data di entrata in vigore del predetto decreto legislativo, il Governo è autorizzato a emanare disposizioni correttive e integrative nel rispetto dei medesimi princìpi e procedure.

I principi e criteri direttivi della delega, enunciati dal comma 3, ineriscono a due profili fondamentali (specificati mediante la successiva delineazione di una serie di ulteriori principi e criteri direttivi, nell’ambito delle lettere a) e b) del comma 3):

 

1) disciplinare il processo di cassazione “in funzione nomofilattica”;

 

Per dare una definizione di “funzione nomofilattica” gli interpreti fanno solitamente riferimento all’art. 65 della legge sull’ordinamento giudiziario (R.D. 30 gennaio 1941 n. 12), che attribuisce alla Corte di cassazione il compito di garantire l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonché l’unità del diritto oggettivo nazionale. Tale disposizione sembra evidenziare la duplicità dei compiti attribuiti alla Cassazione, che da un lato garantisce l’attuazione della legge nel caso concreto (giurisdizione in senso stretto), e dall’altro tende a fornire indirizzi interpretativi tendenzialmente uniformi per finalità di unità dell’ordinamento (uniformazione della giurisprudenza). Parte della dottrina preferisce parlare di nomofilachia con riferimento specifico alla prima funzione (che si sostanzia nella garanzia dell’esatta osservanza del diritto da parte dei giudici di primo e secondo grado nei casi concreti da loro esaminati, tramite il meccanismo delle impugnazioni) più che alla funzione di uniformazione della giurisprudenza, mentre altra parte della dottrina preferisce riferire il concetto di nomofilachia più alla seconda attività che non alla prima.

 

Di particolare rilievo, in proposito, appare l’introduzione, seppur limitatamente ai rapporti tra sezioni semplici e sezioni unite della Corte di cassazione, e con alcuni temperamenti, del principio, sviluppatosi negli ordinamenti di Common Law, dello stare decisis: si stabilisce, infatti, che le sezioni semplici siano vincolate al precedente delle sezioni unite e che, ove non intendano aderirvi, debbano reinvestire le sezioni unite con ordinanza motivata.

Occorre, poi, segnalare, sempre in relazione al potenziamento del ruolo nomofilattico della Corte, la previsione concernente l’estensione del sindacato diretto sulla interpretazione ed applicazione dei contratti collettivi nazionali (a tal fine il legislatore delegato dovrebbe modificare la previsione di cui all’articolo 360, n. 3) c.p.c.), nonché l’attribuzione in via esclusiva alle sezioni unite della competenza a pronunciarsi sulle questioni di giurisdizione di cui all’articolo 111, ottavo comma, della Costituzione (impugnazione delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti).

 

2) riformare in senso razionalizzatore la disciplina dell’arbitrato.

 

 

In generale, non si rilevano profili di incompatibilità tra le disposizioni contenute nello schema di decreto e quelle della legge delega; lo schema di decreto, infatti, adottato il 5 settembre scorso – e quindi entro i termini previsti dalla legge delega – e corredato, come prescritto, dal parere della Assemblea Generale della Corte Suprema di Cassazione, provvede, nei suoi III Capi, a riformare la disciplina del processo di cassazione e dell’istituto dell’arbitrato, conformemente ai criteri dettati nella legge di delegazione.

In relazione a tale ultimo aspetto, va rilevato che l’art. 1, comma 3, della legge delega 80/2005 prevede “la soppressione del capo dedicato all'arbitrato internazionale, con tendenziale estensione della relativa disciplina all'arbitrato interno, salvi gli opportuni adattamenti, con esclusione di quanto previsto dall'articolo 838 del codice di procedura civile”. Tuttavia, l’articolo 25 si limita a sostituire l’intero capo VI con l’art. 832 sopra esaminato, senza nulla disporre sulla sopravvivenza dell’istituto dell’arbitrato internazionale e sulla estensione allo stesso della disciplina dell’arbitrato interno.

Va, poi, ricordato che la Corte di cassazione, in relazione alle disposizioni attuative del processo davanti ad essa, pur fornendo un parere diversamente articolato in merito alle singole disposizioni del provvedimento, ha rilevato che l’impianto generale dell’articolato normativo appare coerente con i principi e con i criteri direttivi contenuti nella legge delega.

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Il provvedimento interviene a modificare disposizioni ed istituti contenuti nel codice di procedura civile.

La base giuridica del provvedimento è pertanto da rinvenire nell’articolo 117, comma 2, lettera l (giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa) della Costituzione, trattandosi di materia rientrante nella potestà legislativa esclusiva dello Stato.

Coordinamento con la normativa vigente

Lo schema di decreto interviene a modificare, sostituire od inserire nuove disposizioni nell’ambito del codice di procedura civile; la tecnica utilizzata è pertanto quella della “novellazione”.

Formulazione del testo

Per l’esame delle osservazioni alla formulazione del testo si fa rinvio al contenuto delle schede di lettura.

 


Schede di lettura

 


Il contenuto dello schema di decreto legislativo

Lo schema di decreto legislativo in esame, è stato adottato in attuazione della delega contenuta nell’articolo 1, comma 2, della legge 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali ).

Più in particolare, l’articolo 1 della legge 80/2005, che al comma 1 reca la clausola di conversione del decreto legge, conferisce, al comma 2, una delega al Governo per modificare il codice di procedura civile.

Con il decreto legislativo, che è tenuto ad osservare i principi e i criteri direttivi della delega nonché la normativa comunitaria (cfr. artt. 76, comma primo, e 117, comma primo Cost.), il Governo è chiamato anche a realizzare il necessario coordinamento con “le altre disposizioni vigenti”.

Il decreto legislativo è da adottare nel termine di sei mesi dalla entrata in vigore della legge di conversione, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa sottoposizione del relativo schema al parere della Assemblea Generale della Corte Suprema di Cassazione e delle competenti Commissioni parlamentari.

Nel termine di un anno dalla data di entrata in vigore del predetto decreto legislativo, il Governo è autorizzato a emanare disposizioni correttive e integrative nel rispetto dei medesimi princìpi e procedure.

I principi e criteri direttivi della delega, enunciati dal comma 3, ineriscono a due profili fondamentali (specificati mediante la successiva delineazione di una serie di ulteriori principi e criteri direttivi, nell’ambito delle lettere a) e b) del comma 3):

 

1) disciplinare il processo di cassazione “in funzione nomofilattica”;

 

Per dare una definizione di “funzione nomofilattica” gli interpreti fanno solitamente riferimento all’art. 65 della legge sull’ordinamento giudiziario (R.D. 30 gennaio 1941 n. 12), che attribuisce alla Corte di cassazione il compito di garantire l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonché l’unità del diritto oggettivo nazionale. Tale disposizione sembra evidenziare la duplicità dei compiti attribuiti alla Cassazione, che da un lato garantisce l’attuazione della legge nel caso concreto (giurisdizione in senso stretto), e dall’altro tende a fornire indirizzi interpretativi tendenzialmente uniformi per finalità di unità dell’ordinamento (uniformazione della giurisprudenza). Parte della dottrina preferisce parlare di nomofilachia con riferimento specifico alla prima funzione (che si sostanzia nella garanzia dell’esatta osservanza del diritto da parte dei giudici di primo e secondo grado nei casi concreti da loro esaminati, tramite il meccanismo delle impugnazioni) più che alla funzione di uniformazione della giurisprudenza, mentre altra parte della dottrina preferisce riferire il concetto di nomofilachia più alla seconda attività che non alla prima.

 

Di particolare rilievo, in proposito, appare l’introduzione, seppur limitatamente ai rapporti tra sezioni semplici e sezioni unite della Corte di cassazione, e con alcuni temperamenti, del principio, sviluppatosi negli ordinamenti di Common Law, dello stare decisis: si stabilisce, infatti, che le sezioni semplici siano vincolate al precedente delle sezioni unite e che, ove non intendano aderirvi, debbano reinvestire le sezioni unite con ordinanza motivata.

Occorre, poi, segnalare, sempre in relazione al potenziamento del ruolo nomofilattico della Corte, la previsione concernente l’estensione del sindacato diretto sulla interpretazione ed applicazione dei contratti collettivi nazionali (a tal fine il legislatore delegato dovrebbe modificare la previsione di cui all’articolo 360, n. 3) c.p.c.), nonché l’attribuzione in via esclusiva alle sezioni unite della competenza a pronunciarsi sulle questioni di giurisdizione di cui all’articolo 111, ottavo comma, della Costituzione (impugnazione delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti).

 

2) riformare in senso razionalizzatore la disciplina dell’arbitrato.

 

Lo schema di decreto, adottato il 5 settembre scorso – e quindi entro i termini previsti dalla legge delega – e corredato, come prescritto, dal parere della Assemblea Generale della Corte Suprema di Cassazione, si compone di III Capi e di 29 articoli.

 

Il Capo I (artt. 1-19), modifica la disciplina del processo di cassazione in funzione nomofilattica, il Capo II (artt. 20-25) è dedicato alla riforma dell’istituto dell’arbitrato, il Capo III (artt. 26-29) contiene le disposizioni finali.

Qui di seguito si darà conto specificamente delle modifiche apportate alle singole disposizioni concernenti la disciplina del processo innanzi alla Corte di cassazione, confrontandole con la disciplina in vigore, mentre, per quanto concerne l’arbitrato, poiché le modifiche previste sono numerose ed intervengono su tutti i Capi (da I a VI) del Titolo VIII del Libro IV del Codice di procedura civile, si procederà, dopo una ricostruzione complessiva della disciplina attuale, ad una sintetica esposizione delle principali linee di riforma dell’istituto. 

 

L’articolo 1 sostituisce il terzo comma dell’articolo 339 c.p.c. (Appellabilità delle sentenze).

In proposito va ricordato che il terzo comma dell’articolo citato considera inappellabili le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità - a norma dell’articolo 113, secondo comma c.p.c. - .

La modifica disposta dall’articolo in esame introduce alcune eccezioni all’inappellabilità stabilendo che essa non investa più la violazione delle norme sul procedimento, delle norme costituzionali o comunitarie, dei principi regolatori della materia.

L’intento del legislatore, come evidenziato anche nella relazione di accompagnamento al provvedimento, appare quindi quello  di restringere le ipotesi di immediata ricorribilità per cassazione, non soltanto nell’ottica, pur importante, di una riduzione quantitativa del carico di lavoro della Corte, ma anche al fine di evitare che il giudizio di diritto, e dunque l’esercizio della funzione nomofilattica, vengano inquinati da impropri elementi di fatto,riversati sulla Corte proprio a causa dell’assenza del filtro intermedio di un ulteriore giudizio di merito. Naturalmente il ripristino dell’appellabilità non esclude la successiva ricorribilità per cassazione, nelle forme ordinarie, della sentenza emessa in grado di appello.

L’articolo 2 sostituisce l’articolo 360 c.p.c., concernente le sentenze impugnabili con ricorso per cassazione ed i motivi di ricorso.

 

Va ricordato che il ricorso per cassazione è ammesso solo contro gli errori di diritto contenuti nella sentenza, che possono essere di due tipi:  errores in iudicando, vale a dire gli errori in cui è incorso il giudice nel giudizio di diritto, cioè nella individuazione e nella applicazione delle norme che regolano il rapporto giuridico dedotto in giudizio, o errores in procedendo, che sono gli errori di carattere procedurale, attinenti al rapporto processuale  che si è concluso con l’emanazione della sentenza, e cioè gli errori nella osservanza delle norme giuridiche che regolano lo svolgimento del processo.

I motivi di ricorso sono tassativamente indicati nell’articolo 360, che stabilisce che le sentenze pronunziate in grado d’appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione:

per motivi attinenti alla giurisdizione, sia nel caso che il giudice si sia attribuito poteri giurisdizionali che non gli spettavano, sia nel caso che si sia dichiarato erroneamente carente di giurisdizione;

per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza; sia nel caso di erronea dichiarazione implicita di competenza, che il giudice di appello abbia reso decidendo anche il merito della causa, sia nel caso in cui il giudice si sia, invece, dichiarato erroneamente incompetente, non si può esperire il ricorso per cassazione quando si deve proporre regolamento necessario di competenza;

per violazione o falsa applicazione di norme di diritto; si tratta di un caso di errore in iudicando: in particolare, si è in presenza di violazione allorché il giudice ha affermato una norma inesistente , ovvero ha errato nell’individuazione o interpretazione della norma o nella qualificazione giuridica della fattispecie;

Si è in presenza di falsa applicazione allorché la norma è applicata ad un fatto da essa non regolato, o applicata in modo da giungere a conseguenze contrarie a quelle previste dalla legge;

per nullità della sentenza o del procedimento: questo tipo di errore comprende tutti i motivi di nullità dell’attività processuale anteriore alla sentenza rispetto ai quali non sia avvenuta sanatoria, ed i motivi di nullità propri della sentenza.

Per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio; sulla base della giurisprudenza costante il vizio di contraddittorietà di motivazione sussiste solo quando le ragioni esposte a sostegno della tesi seguita dal giudice per l’accoglimento o per il rigetto della pretesa fatta valere in giudizio siano tra loro contrastanti al punto da elidersi a vicenda, in modo che la parte dispositiva della sentenza non sia più la logica conseguenza della premessa, ovvero quando il contrasto tra motivo emotivo sia talmente insanabile da privare la decisione del requisito essenziale della motivazione, in guisa da impedire la ricostruzione dell’iter logico-giuridico della pronuncia giudiziale, e quindi l’individuazione della ratio decidendi.

L’articolo 360 stabilisce infine che può inoltre essere impugnata con ricorso per cassazione una sentenza appellabile del tribunale, se le parti sono d’accordo per omettere l’appello; ma in tal caso l’impugnazione può proporsi soltanto per violazione o falsa applicazione di norme di diritto.

 

Le modifiche introdotte dall’articolo in esame concernono:

 

L’articolo 3 sostituisce il primo comma dell’articolo 361 c.p.c. (Riserva facoltativa di ricorso contro sentenze non definitive).

 

Attualmente il comma citato stabilisce che contro le sentenze previste dall’articolo 278 (Condanna generica. Provvisionale) e dal n. 4 del secondo comma dell’articolo 279, il ricorso per cassazione può essere differito, qualora la parte soccombente ne faccia riserva, a pena di decadenza, entro il termine per la proposizione del ricorso, e in ogni caso non oltre la prima udienza successiva alla comunicazione della sentenza stessa.

 

La modifica prevista, conformemente al principio ispiratore delle disposizioni di cui all’articolo 360 da ultimo esaminate, prevede che il ricorso per cassazione avverso le sentenze di condanna generica e quelle che decidono alcune delle domande senza definire il giudizio,può essere differito qualora la parte soccombente ne faccia riserva, a pena di decadenza, entro il termine per la proposizione del ricorso e comunque non oltre la prima udienza successiva alla comunicazione della sentenza stessa.

 

L’articolo 4, in attuazione del principio di delega diretto ad ampliare il ruolo del giudice preposto all’interpretazione delle leggi, sostituisce l’articolo 363 c.p.c. e dà una nuova configurazione all’istituto del ricorso nell’interesse della legge, ampliandone i casi e introducendo  una specifica procedura.

 

Attualmente, l’articolo 363 c.p.c. prevede che , quando le parti non hanno proposto ricorso nei termini di legge o vi hanno rinunciato, il procuratore generale presso la Corte di cassazione può proporre ricorso per chiedere che la sentenza sia cassata nell’interesse della legge.

In tal caso le parti non possono giovarsi della cassazione della sentenza.

 

Le modifiche proposte riguardano:

·         l’estensione dell’istituto di cui all’articolo 363 anche alle ipotesi in cui il provvedimento non è ricorribile in cassazione e non è altrimenti impugnabile (comma 1 dell’articolo 363);

·         la finalizzazione del ricorso presentato dal procuratore generale all’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge - al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi – da parte della Corte di cassazione (comma 1 cit.). Tale principio può essere pronunciato dalla Corte anche d’ufficio, quando il ricorso presentato dalle parti è dichiarato inammissibile, sempre che la Corte ritenga che la questione decisa sia di interesse generale (comma 3 art. 363);

·         la definizione del contenuto della richiesta del Procuratore generale nonché dei poteri del primo presidente al quale la stessa è rivolta: più in particolare, viene stabilito che la richiesta del procuratore generale contenga una sintetica esposizione del fatto e delle ragioni di diritto poste a fondamento dell’istanza e sia rivolta al primo presidente il quale può disporre che la Corte si pronunci a sezioni unite se ritiene che la questione è di particolare importanza (comma 3 art. 363);

·         la previsione - comma 4 articolo 363 - che la pronuncia della Corte non abbia effetto sul provvedimento del giudice di merito (che sostituisce la dizione originaria secondo la quale le parti non possono giovarsi della cassazione della sentenza).

 

Gli articoli 5 e 6, intervenendo, rispettivamente, sull’articolo 366 c.p.c. (Contenuto del ricorso) e introducendo nel codice un nuovo articolo 366 bis (Formulazione dei motivi), attuano quella previsione della legge delega (articolo 1, comma 2, lettera a) della legge 80/2005) relativa all’obbligo che il motivo di ricorso si chiuda, a pena di inammissibilità dello stesso, con la chiara enunciazione di un quesito di diritto.

La previsione relativa alla necessaria esposizione di tale elemento è stata inserita nel nuovo articolo 366 bis, introdotto dall’articolo 6, a cui fa rinvio,a sua volta, l’articolo 366, comma 1, n. 4), nel testo novellato dall’articolo 5.

In particolare, il citato nuovo articolo 366 bis al comma 1, precisa che ciascuno dei motivi di ricorso di cui all’articolo 360, comma 1, numeri 1), 2),3) e 4) deve concludersi,a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto sottoposto alla Corte che consenta alla stessa di enunciare un corrispondente principio di diritto.

Il comma 2 del nuovo articolo 366 bis, con riferimento al motivo di ricorso di cui all’articolo 360, primo comma, n. 5, non implicante un errore di diritto nel giudizio di merito, stabilisce che l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero la ragione per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

L’articolo 5, come sopra ricordato, è diretto a sostituire l’articolo 366 c.p.c.

 

L’articolo 366 c.p.c., disciplinante il contenuto del ricorso, prevede che lo stesso debba contenere, a pena di inammissibilità:

1)       l’indicazione delle parti;

2)       l’indicazione della sentenza o decisione impugnata;

3)       l’esposizione sommaria dei fatti della causa;

4)       i motivi per i quali richiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano;

5)       l’indicazione della procura, se conferita con atto separato, e, nel caso di ammissione al gratuito patrocinio, del relativo decreto.

Se il ricorrente non ha eletto domicilio in Roma, le notificazioni gli sono fatte presso la cancelleria della Corte di cassazione.

Nel caso previsto dall’articolo 360, secondo comma, l’accordo delle parti deve risultare mediante visto apposto sul ricorso dalle altre parti o dai loro difensori muniti di procura speciale, oppure mediante atto separato da unirsi al ricorso stesso.

 

Le modifiche disposte dall’articolo in esame riguardano:

·         il collegamento dell’indicazione dei motivi di cui all’articolo 366, n. 4, c.p.c. alle disposizioni del nuovo articolo 366 bis;

·         l’introduzione di un nuovo n. 6) prescrivente la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda nonché della loro specifica collocazione nei fascicoli dei precedenti gradi. Tale previsione, secondo quanto evidenziato dalla stessa relazione illustrativa, risponde all’esigenza di offrire alla Corte, nonché alla stessa parte resistente, un quadro che sia il più possibile immediato, completo ed autosufficiente delle censure sulle quali dovrà pronunciarsi e di agevolarne il lavoro di reperimento degli atti e documenti sui quali esse si fondano.    L’indicazione è consentita solo per gli atti e i documenti depositati con le modalità di cui all’articolo 369, secondo comma, n. 4.

·         la previsione, mediante un intervento sul comma 3 dell’articolo 366, che l’accordo delle parti in ordine alla proposizione del ricorso per cassazione c.d. omisso medio possa essere “anche anteriore alla sentenza impugnata”, con ciò superando l’attuale orientamento interpretativo della Corte nel senso della necessità che tale accordo possa essere validamente stipulato solo dopo la pronuncia in primo grado.

·         l’introduzione di un nuovo quarto comma, avente lo scopo di consentire, anche nel corso del giudizio di cassazione, la possibilità che le notificazioni tra difensori, nelle ipotesi di cui agli articoli 372 (Produzione di altri documenti) e 390 c.p.c. (Rinuncia) e le comunicazioni tra ufficio di cancelleria e difensori, avvengano in forme semplificate (telefax e posta elettronica), quando il difensore dichiari nel ricorso di volerle così ricevere, indicando il relativo numero di fax o indirizzo di posta.

 

L’articolo 7 sostituisce il numero 4) del secondo comma dell’articolo 369 (Deposito del ricorso).

 

Il secondo comma dell’articolo citato stabilisce che insieme con il ricorso debbano essere depositati, a pena di improcedibilità:

1)       il decreto di concessione del gratuito patrocinio;

2)      copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa avvenuta, tranne che nei casi di cui ai due articoli precedenti, oppure copia autentica dei provvedimenti dai quali risulta il conflitto nei casi di cui ai nn. 1 e 2 dell’articolo 362;

3)      la procura speciale, se questa è conferita con atto separato;

4)      gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda.

 

 

La modifica introdotta – diretta a prevedere il deposito oltre che degli atti e dei documenti, anche dei contratti ed accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda -, si coordina con quanto disposto dall’articolo 2 in ordine all’ampliamento del motivo di impugnazione di cui al primo comma, n. 3, dell’articolo 360 c.p.c., concernente l’errore di diritto nel giudizio di merito, anche ai contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro.

L’articolo 8 interviene sull’articolo 374 c.p.c. (Pronuncia a sezioni unite), introducendo una nuova previsione al comma 1 dello stesso ed inserendo un nuovo terzo comma.

 

Va ricordato che l’articolo 374 c.p.c., concernente i casi in cui la Corte pronuncia a sezioni unite, stabilisce che ciò si verifichi nei casi previsti nel n. 1 dell’articolo 360 (motivi attinenti alla giurisdizione) e nell’articolo 362 – pronunce su decisioni in grado di appello o in unico grado di un giudice speciale per motivi attinenti alla giurisdizione del giudice stesso, nonché conflitti positivi o negativi di giurisdizione tra giudici speciali, o tra questi e i giudici ordinari e conflitti negativi di attribuzione tra la pubblica amministrazione e il giudice ordinario -.

Inoltre il primo presidente può disporre che la Corte pronunci a sezioni unite sui ricorsi che presentano una questione di diritto già decisa in senso difforme dalle sezioni semplici, e su quelli che presentano una questione di massima di particolare importanza.

In tutti gli altri casi la Corte pronuncia a sezione semplice.

 

Conformemente alle previsioni della legge di delegazione, la modifica disposta al comma 1 dell’articolo 374 prevede che, tranne che nei casi di impugnazione delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, il ricorso può essere assegnato alle sezioni semplici qualora sulla questione di giurisdizione proposta si siano già pronunciate le Sezioni unite.

Come evidenziato nella relazione illustrativa, tale previsione, oltre a valorizzare l’effetto delle precedenti pronunce delle Sezioni unite, risponde anche all’intento di operare una riduzione, una razionalizzazione ed agevolazione  del carico di lavoro di queste ultime.

Tale obbiettivo perseguito ha comportato anche una modifica della disposizione di cui all’articolo 142 delle Disposizioni per l’attuazione del c.p.c. sulla quale cfr. ultra (art. 19, co 1, lettera d).

La modifica disposta al comma 3 stabilisce che il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite vincoli la sezione semplice e che se questa ritiene di non condividere il principio, rimette alle sezioni unite, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso. 

Tale previsione, come evidenziato nella relazione illustrativa, mira a recepire una delle direttive fondamentali contenute nella legge delega, quella relativa alla necessità di assicurare la funzione nomofilattica nell’ambito della stessa giurisprudenza della Corte di cassazione, evitando contestualmente che su uno stesso tema e nello stesso periodo temporale si registri, da parte delle sezioni semplici della Corte e talvolta dei diversi collegi di una stessa sezione, una pluralità di orientamenti diversi e confliggenti. 

L’articolo 9 detta alcune modifiche all’articolo 375 c.p.c., concernente i casi in cui la Corte pronuncia in camera di consiglio.

 

L’articolo 375 stabilisce che la Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia con ordinanza in camera di consiglio quando riconosce di dovere:

1)                      dichiarare l’inammissibilità del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto;

2)                      ordinare l’integrazione del contraddittorio o disporre che sia eseguita la notificazione dell’impugnazione a norma dell’articolo 332;

3)                      dichiarare l’estinzione del processo per avvenuta rinuncia a norma dell’articolo 390;

4)                      pronunciare in ordine all’estinzione del processo in ogni altro caso;

5)                      pronunciare sulle istanze di regolamento di competenza e di giurisdizione.

 

La Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia sentenza in camera di consiglio quando il ricorso principale e quello incidentale eventualmente proposto sono manifestamente fondati e vanno,pertanto, accolti entrambi, o quando riconosce di dover pronunciare il rigetto di entrambi per mancanza dei motivi previsti nell’articolo 360 o per manifesta infondatezza degli stessi, nonché quando un ricorso va accolto per essere manifestamente fondato e l’altro va rigettato per mancanza dei motivi previsti nell’articolo 360 oper manifesta infondatezza degli stessi.

La Corte, se non ritiene che ricorrano le ipotesi di cui al primo e secondo comma, rinvia la causa alla pubblica udienza.

Le conclusioni del pubblico ministero, almeno venti giorni prima dell’adunanza della Corte in camera di consiglio, sono notificate agli avvocati delle parti, che hanno facoltà di presentare memorie entro il termine di cui all’articolo 378 e di essere sentiti, se compaiono, nei casi previsto al primo comma, numeri 1), 4) e 5), limitatamente al regolamento di giurisdizione, e al secondo comma.

 

Sostanzialmente viene stabilito che, ogni qual volta la Corte provveda in camera di consiglio, essa decida con ordinanza.

Ferme restando le ipotesi attualmente previste ai nn. 1) e 2) dell’articolo 375 – in riferimento a quest’ultimo si è soltanto provveduto ad includere l’esplicito riferimento all’ipotesi della rinnovazione dell’impugnazione -, l’articolo in esame interviene a modificare il n. 3) nel senso di considerare ogni caso di estinzione del processo diverso dalla rinuncia (sulla quale dispone il nuovo testo dell’articolo 391), e ad introdurre un nuovo numero 5) relativo all’accoglimento o al rigetto del ricorso principale e dell’eventuale ricorso incidentale per manifesta fondatezza o infondatezza, e alla dichiarazione di inammissibilità per mancanza dei motivi di cui all’articolo 360 per difetto dei requisiti di cui all’articolo 366 bis.          

Conseguentemente vengono abrogati il secondo e il quarto comma.

 

L’articolo 10 sostituisce integralmente l’articolo 380 c.p.c. (Deliberazione della sentenza) dettando una specifica disciplina relativa al procedimento per la decisione in camera di consiglio.

 

L’articolo 11 dello schema di decreto legislativo in esame inserisce, dopo l’articolo 380 c.p.c. (Deliberazione della sentenza), un nuovo articolo 380-bis per la disciplina del procedimento per la decisione sulle istanze di regolamento di giurisdizione e di competenza.

Qualora insorga una questione sulla sussistenza di un difetto di giurisdizione del giudice adìto, ai sensi dell’articolo 37 c.p.c., o un conflitto sulla competenza tra due o più giudici in merito alla medesima controversia, ex art. 38 c.p.c., l’ordinamento prevede due specifici strumenti di soluzione: il regolamento di giurisdizione (art. 41 c.p.c.) e il regolamento di competenza (artt. 42-43 c.p.c.). Per quanto concerne il regolamento di giurisdizione, finché la causa non sia decisa nel merito in primo grado, ciascuna parte può presentare con ricorso alle Sezioni unite della Corte di cassazione istanza di regolamento di giurisdizione, ai sensi dell’articolo 41 c.p.c., al fine di ottenere una pronuncia sulla questione ed evitare che il processo si svolga dinnanzi ad un giudice privo di giurisdizione. Il regolamento di giurisdizione non è, dunque, un mezzo di impugnazione in quanto vi si ricorre quando ancora non vi sia stata sentenza del giudice adìto; si tratta, piuttosto, di una decisione di tipo preventivo avente carattere vincolante. Il regolamento viene presentato nelle forme e nei modi del ricorso per Cassazione (cfr. artt. 360 c.p.c. ss.). Peraltro, la legge n. 353 del 1990 ha modificato l’articolo 367, comma 1, c.p.c. che prevedeva la sospensione automatica del processo di merito in caso di presentazione di un’istanza di regolamento; attualmente il giudice di merito sospende il processo solo se non ritiene l’istanza manifestamente inammissibile o infondata. Per quanto concerne il conflitto di competenza, occorre distinguere a seconda che il giudice adìto si sia già pronunciato con sentenza in ordine alla propria incompetenza (sulla base della cosiddetta “competenza sulla competenza”) o se sia insorto un conflitto con altro giudice che, a sua volta, affermi la propria competenza o incompetenza (conflitti reali positivi e negativi) in ordine alla controversia, o ancora se entrambi i giudici, investiti della causa, non si siano pronunciati al riguardo. Il regolamento di competenza può essere rilevato su istanza di parte o d’ufficio; nel primo caso si presuppone che sia già intervenuta una sentenza in merito alla competenza e, per tale ragione, la dottrina e la giurisprudenza propendono per una qualificazione del regolamento di competenza quale mezzo di impugnazione ordinario volto ad impedire il passaggio in giudicato. Il regolamento a istanza di parte è necessario quando la sentenza del giudice abbia solo pronunciato sulla competenza, essendo in tal caso il regolamento l’unico strumento utile per ottenere la revisione della pronuncia. Il regolamento è facoltativo quando la sentenza abbia anche pronunciato sul merito della causa: in tal caso, la parte può impugnare la sentenza limitatamente alla parte del dispositivo relativa alla competenza, per mezzo del regolamento, o sul merito e sulla competenza ricorrendo agli ordinari mezzi di impugnazione. Il regolamento di competenza rilevato d’ufficio presuppone, invece, un conflitto tra due o più giudici. Il codice di procedura civile contempla espressamente, all’articolo 45 c.p.c., la sola ipotesi di conflitto di competenza virtuale negativo per materia o per territorio inderogabile, di cui non è consentita l’estensione analogica ad altro genere di conflitto, positivo ed attuale.

Per quanto concerne gli aspetti procedimentali, il regolamento di giurisdizione  (art. 41 c.p.c.) può essere richiesto da ciascuna parte, finché la causa non sia decisa nel merito in primo grado, innanzi alle Sezioni unite della Corte di cassazione. L’istanza si propone con ricorso a norma degli artt. 360 ss. c.p.c.; su di esso, ai sensi dell’articolo 375 c.p.c, le Sezioni unite si pronunciano con ordinanza in camera di consiglio. L’istanza di regolamento di competenza (art. 47 c.p.c.) è proposta alla Corte di cassazione con ricorso o con ordinanza del giudice, il quale dispone la rimessione nel fascicolo d’ufficio alla cancelleria della Corte di cassazione. La proposizione del regolamento di competenza determina la sospensione dei processi di merito a decorrere dal giorno della presentazione dell’istanza o della pronuncia dell’ordinanza che richiede il regolamento. Il giudice può comunque autorizzare il compimento di atti urgenti (art. 48 c.p.c.).  La Corte si pronuncia sul regolamento in camera di consiglio per definire, oltre alla competenza, anche i provvedimenti necessari per la prosecuzione del processo e, se necessario, la rimessione delle parti nei termini affinché provvedano alla loro difesa (artt. 49 e 375 c.p.c.). La causa è riassunta dal giudice competente entro il termine stabilito nella sentenza della Corte o, in mancanza, entro sei mesi dalla comunicazione della sentenza di regolamento o della sentenza che dichiara l’incompetenza del giudice adìto, diversamente il processo si estingue (art. 367  c.p.c.).

La nuova disposizione, introdotta dallo schema di decreto legislativo in esame, recita, al primo comma, che nei casi in cui la Corte pronuncia sulle istanze di regolamento di competenza e di giurisdizione ai sensi del nuovo articolo 375, prima comma, numero 4), il presidente, se non provvede ai sensi dell’articolo 380, primo comma - vale a dire, se non ritiene di nominare il relatore affinché esamini il ricorso in vista dell’applicazione dello stesso art. 375 c.p.c. - richiede al pubblico ministero le sue conclusioni scritte. Il secondo comma dispone che le conclusioni ed il decreto del presidente che fissa l’adunanza sono notificati, almeno venti giorni prima, agli avvocati delle parti, che hanno facoltà di presentare memorie non oltre cinque giorni prima e di chiedere di essere sentiti, se compaiono, limitatamente al regolamento di giurisdizione. Il terzo comma stabilisce che non si applica la disposizione del sesto comma dell’articolo 380, ovvero la possibilità per la Corte di rinviare la causa alla pubblica udienza.

L’articolo 12 dello schema di decreto legislativo riformula l’articolo 384 c.p.c. (Enunciazione del principio di diritto e decisione della causa nel merito) stabilendo che :

§         la Corte enuncia il principio di diritto quando decide il ricorso proposto a norma dell’articolo 360, primo comma, numero 3, e in ogni caso in cui, decidendo su altri motivi del ricorso, risolve una questione di diritto di interesse generale (comma 1).

§         La Corte, quando accoglie il ricorso, cassa la sentenza rinviando la causa ad altro giudice, il quale deve uniformarsi al principio di diritto e, comunque, a quanto statuito dalla Corte (comma 2).

§         La Corte, quando accoglie il ricorso, decide la causa nel merito qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto (comma 3).

§         Se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d’ufficio, la Corte assegna con ordinanza alle parti un termine per il deposito di osservazioni sulla medesima questione (comma 4).

§         Non sono soggette a cassazione le sentenze erroneamente motivate in diritto, quando il dispositivo sia conforme al diritto; in tal caso la Corte si limita a correggere la motivazione (comma 5).

Come segnalato dalla relazione illustrativa che accompagna il provvedimento, le norme recate dal nuovo articolo 384 c.p.c. sono finalizzate ad attuare la delega legislativa relativamente al criterio per cui la Corte dichiara il principio di diritto in tutti i casi di accoglimento o di rigetto del ricorso e in ordine a tutti i motivi. Se in una prima fase tale impegno potrà comportare un incremento del carico di lavoro della Corte, nel lungo periodo la rafforzata capacità di orientamento nei confronti della giurisprudenza di merito dovrebbe contribuire a scoraggiare tentativi di ricorso alla Corte volti ad ottenere pronunciamenti su principi di diritto già dichiarati dal giudice di merito. Il secondo comma della nuova disposizione, relativo alla cassazione con rinvio, non contiene più la limitazione all’ipotesi di accoglimento del ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto al fine di coordinare la norma con quanto previsto nel nuovo primo comma dell’articolo 384, per cui l’enunciazione del principio di diritto non è più limitata ai casi previsti dall’art. 360, comma 1, numero 3.  Il terzo comma, nel prevedere la possibilità per la Corte di decidere la causa nel merito quando non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto, contribuisce ad estendere in modo implicito la possibilità per la Corte di decidere la causa nel merito oltre alle ipotesi di violazione per falsa applicazione di norme di diritto. La relazione illustrativa sottolinea, altresì, che non si è ritenuto opportuno adeguare l’articolo 143 delle Disposizioni di attuazione del codice (Formulazione del principio di diritto affermato dalla Corte) alle nuove norme, contenute nell’articolo 384 c.p.c., relativamente alla necessità che la Corte enunci in modo specifico il principio di diritto in caso di cassazione con rinvio, essendo tale indicazione volta essenzialmente a facilitare il compito del giudice di rinvio da un punto di vista operativo. Infine, il quarto comma  assicura tutela al principio costituzionale del contraddittorio in quanto prevede che se la Corte pone a fondamento di una decisione una questione rilevabile d’ufficio, occorre assegnare alle parti un termine per il deposito di osservazioni.

L’articolo 13 aggiunge un quarto comma al dettato dell’articolo 385 c.p.c., in materia di provvedimenti sulle spese, al fine di prevedere che quando la Corte pronuncia sulle spese, anche nelle ipotesi di cui all’articolo 375 c.p.c. - quindi anche nel caso di pronuncia in camera di consiglio - la Corte, anche d’ufficio, condanna, altresì, la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma, equitativamente determinata, non superiore al doppio dei massimi tariffari, se ritiene che essa ha proposto il ricorso o vi ha resistito anche solo con colpa grave.

A tal proposito si ricorda che l’articolo 385 c.p.c., attualmente in vigore, stabilisce, al primo comma, che laCorte, se rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese. Se cassa senza rinvio o per violazione delle norme sulla competenza, provvede sulle spese di tutti i precedenti giudizi, liquidandole essa stessa o rimettendone la liquidazione al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata (secondo comma). Se rinvia la causa ad altro giudice, può provvedere sulle spese del giudizio di cassazione o rimetterne la pronuncia al giudice di rinvio (terzo comma).

Come segnalato nella relazione illustrativa che accompagna il provvedimento, la modifica apportata all’articolo 385 c.p.c. è volta ad applicare ed attuare in concreto il principio della responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., a bilanciamento delle più ampie possibilità di accesso alla giurisdizione della Suprema Corte.

L’articolo 14 sostituisce integralmente il contenuto dell’articolo 388 c.p.c., relativo alla trasmissione di copia del dispositivo al giudice di merito, prevedendo che copia della sentenza è trasmessa dal cancelliere della Corte a quello del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, affinché ne sia presa nota in margine all’originale di quest’ultima. Tale trasmissione può avvenire anche in via telematica.

Considerato che l’articolo 388 c.p.c. contempla la trasmissione al giudice di merito della copia del solo dispositivo della sentenza della Corte, la relazione illustrativa spiega che la novella è volta ad assicurare piena conoscenza da parte del giudice di merito delle pronunce della Corte nella loro integrità e non solo rispetto al loro esito, nell’intento di rafforzare la funzione di orientamento della giurisprudenza e di nomofilachia esercitata dalla Corte medesima.

L’articolo 15 interviene sui primi tre commi dell’articolo 391 c.p.c. in materia di pronuncia sulla rinuncia.

La rinuncia costituisce una delle cause di estinzione del processo e consiste in una dichiarazione esplicita della parte che ha proposto la domanda di volere rinunciare agli atti, vale a dire alla domanda e agli atti successivi (art. 306 c.p.c.). Poiché ai fini dell’estinzione del processo occorre l’accordo di tutte le parti, la norma prevede la necessità che la rinuncia sia accettata da tutte le parti costituite che potrebbero avere interesse alla prosecuzione. Tale accettazione non ha effetto se contiene riserve o condizioni.

Il primo comma della nuova disposizione dispone che sulla rinuncia la Corte provvede con sentenza quando deve decidere altri ricorsi contro lo stesso provvedimento, altrimenti provvede il presidente con decreto, anziché la Corte stessa con ordinanza in camera di consiglio, come invece attualmente stabilito dal primo comma dell’articolo 391 c.p.c.. Come sottolineato dalla relazione illustrativa, la finalità della nuova norma è quella di ridurre l’attività processuale svolta dalla Corte in relazione a pronunce sostanzialmente automatiche, quale quella relative alla rinuncia. Di conseguenza, il secondo comma viene modificato al fine di prevedere che il decreto, e non più l’ordinanza, e la sentenza che provvede sulla rinuncia possono - e non devono - condannare il rinunciante alle spese. In tal modo la condanna alle spese, con sentenza o decreto, è resa facoltativa evitando, come segnalato nella relazione, un automatismo che allo stato attuale può essere scongiurato soltanto con la adesione delle altre parti alla rinuncia e che costituisce un fattore di remora per chi intenda rinunciare al ricorso. Infine, il terzo comma del nuovo articolo 391 c.p.c. dispone che il decreto ha efficacia di titolo esecutivo se nessuna delle parti chiede la fissazione dell’udienza nel termine di dieci giorni dalla comunicazione.

L’articolo 16 modifica i primi due commi dell’articolo 391-bis c.p.c. (Correzione degli errori materiali e revocazione delle sentenze della Corte di cassazione) ed introduce due nuovi commi.

Per ragioni di coordinamento con le modifiche apportate all’articolo 375 c.p.c., primo comma (cfr. supra commento all’art. 9), la lettera a) dell’articolo 16 interviene sul dettato del primo comma dell’articolo 391-bis c.p.c. estendendo anche all’ordinanza, pronunciata ai sensi del nuovo articolo 375, primo comma, numeri  4) e 5), la possibilità, riconosciuta alla parte interessata tramite ricorso, di richiedere la correzione o la revocazione della sentenza pronunciata dalla Corte di cassazione affetta da errore materiale o di calcolo ai sensi dell’articolo 287 c.p.c. ovvero da errore di fatto ai sensi dell’articolo 395, numero 4), c.p.c..

La lettera b) dell’articolo 16, riscrivendo il secondo comma dell’articolo 391-bis, in base al qualela Corte pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 375 c.p.c. sul ricorso volto ad ottenere la correzione o la revocazione, dispone che la Corte decide sul ricorso in camera di consiglio nell’osservanza delle disposizioni di cui al nuovo articolo 380 c.p.c. sul procedimento in camera di consiglio.

Infine, la lettera c) dell’articolo 16 inserisce, dopo il secondo comma dell’articolo 391-bis, due nuovi commi per prevedere che sul ricorso per correzione dell’errore materiale la Corte pronuncia con ordinanza mentre sul ricorso per revocazione pronuncia con ordinanza se lo dichiara inammissibile, altrimenti rinvia alla pubblica udienza.

In attuazione dell’ultimo criterio di delega, contenuto nell’articolo 1, comma 2, lettera a) della legge n. 80 del 2005, in base al quale le modifiche al codice di procedura civile devono “prevedere la revocazione straordinaria e l’opposizione di terzo contro le sentenze di merito della Corte di cassazione, disciplinandone la competenza”, l’articolo 17 inserisce, dopo l’articolo 391-bis c.p.c. un nuovo articolo 391-ter che, al primo comma, estende anche alla sentenza di merito della Corte la possibilità dell’impugnazione per revocazione per i motivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell’articolo 395 e per opposizione di terzo. I relativi ricorsi si propongono alla stessa Corte e debbono contenere gli elementi, rispettivamente, degli articoli 398, commi 2 e 3, e 405, comma 2. In base al secondo commadel nuovo articolo 391-ter, quando pronuncia la revocazione o accoglie l’opposizione di terzo, la Corte decide la causa nel merito qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto; altrimenti, pronunciata la revocazione ovvero dichiarata ammissibile l’opposizione di terzo, rinvia la causa al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata.

Anche l’articolo 18 dello schema di decreto legislativo in commento introduce nel codice una nuova disposizione, l’articolo 420-bis sull’accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti e accordi collettivi in linea con il principio di delega riguardante l’estensione del sindacato diretto della Corte sull’interpretazione e sull’applicazione dei contratti collettivi nazionali di diritto comune, che ha determinato la modifica dell’articolo 360, primo comma, numero 3) del codice (cfr. supra commento all’articolo 2).

La nuova norma prevede, al primo comma, che, quando per la definizione di una controversia di cui all’articolo 409 c.p.c. (Controversie individuali in materia di lavoro) è necessario risolvere in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto o di un accordo collettivo nazionale, il giudice decide con sentenza tale questione, impartendo distinti provvedimenti per l’ulteriore istruzione o, comunque, per la prosecuzione della causa fissando una successiva udienza in data non anteriore a novanta giorni. Il secondo comma stabilisce che la sentenza è impugnabile soltanto con ricorso immediato per cassazione da proporsi entro sessanta giorni dalla comunicazione dell’avviso di deposito della sentenza.

La relazione illustrativa del provvedimento pone tale nuova disposizione in connessione con il menzionato principio di delega sull’accertamento pregiudiziale sui contratti o accordi collettivi nazionali. Come sottolineato nella relazione illustrativa, in ordine a tali atti negoziali, il giudice che valuta rilevante, per la definizione della controversia, la questione relativa all’efficacia validità od interpretazione, ritenendo oscura la clausola contrattuale, in quanto può  effettivamente dare adito a dubbi interpretativi, emette una sentenza – non definitiva – impartendo istinti provvedimenti per l’ulteriore istruzione o, comunque, per la prosecuzione della causa, e fissando un’udienza successiva. A seguito del tentativo di componimento interpretativo in sede ARAN, le parti possono impugnare la sentenza solamente con ricorso immediato in cassazione. Tale ricorso sospende il processo che riprenderà, previa riassunzione delle parti, di fronte allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza. In ordine alla riassunzione del processo, alla eventuale sospensione di altri processi la cui definizione dipenda dalla risoluzione della questione sollevata in altre cause, per quanto riguarda i profili di vincolatività della pronuncia della Corte e la condanna alle spese, si applicano le disposizioni dell’articolo 64 del decreto legislativo numero 165 del 2001, come previsto nell’articolo 142-bis delle Disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, come modificato dal successivo articolo 19, lettera e) dello schema di decreto legislativo (vedi infra).

L’articolo 19 dello schema di decreto legislativo reca talune modifiche alle Disposizioni per l’attuazione del Codice di procedura civile e disposizioni transitorie.

In particolare, la lettera a) dell’articolo 19 dispone che all’articolo 133 Disp.att. (Riserva di ricorso. Estinzione del processo) sul procedimento davanti alla Corte Suprema di cassazione, sia aggiunto, in fine, un comma che dispone che l’articolo 129, terzo comma, - sugli effetti della estinzione del processo di primo grado sulla sentenza di merito contro cui fu fatta riserva di appello - si applica altresì se il processo si estingue dopo la pronuncia delle sentenze previste dall’articolo 360, terzo comma, (cfr. supra commento all’articolo 2) del codice di procedura civile.

La successiva lettera b) prevede l’inserimento, dopo l’articolo 134 Disp. att. (Deposito del ricorso e del controricorso a mezzo della posta), di un nuovo articolo 134-bis (Residenza o sede delle parti) in base al quale, all’atto del deposito di ricorso, controricorso o memoria, i difensori dichiarano il luogo di residenza o la sede della parte. Come precisato nella relazione, tale novità è da porre in relazione con il recentissimo orientamento delle Sezioni unite della Corte in ordine agli adempimenti delle cancellerie nelle ipotesi di morte dell’unico difensore domiciliatario.

La lettera c) abroga l’articolo 138 Disp. att. alla luce della disciplina dettata sul procedimento in camera di consiglio dal nuovo articolo 380 c.p.c. (cfr. supra commento all’articolo 10).

La lettera d) innova il dettato dell’articolo 142 Disp. att. (Ricorso di competenza delle sezioni unite e delle sezioni semplici) in considerazione delle novità introdotte dallo schema di decreto legislativo all’articolo 374 c.p.c. sulla pronuncia a Sezioni unite (cfr. supra commento all’articolo 8), volte a razionalizzare e ridurre il carico di lavoro delle Sezioni unite in relazione ai ricorsi per motivi di giurisdizione.

In base all’attuale formulazione dell’articolo 142 Disp. att. “se nel ricorso sono contenuti insieme con motivi di competenza delle sezioni unite motivi di competenza delle sezioni semplici, queste pronunciano con separata sentenza dopo la pronuncia delle sezioni unite”. Come evidenziato nella relazione illustrativa, può accadere che per decidere lo stesso ricorso la Corte di cassazione debba pronunciare due sentenze, una a sezioni riunite su questioni di giurisdizione rientranti nella esclusiva competenza delle stesse, e una a sezioni semplici sugli ulteriori motivi del ricorso.

Nella prospettiva di una ragionevole durata del processo e in previsione della riduzione delle questioni di giurisdizione assegnate alle Sezioni unite per effetto del nuovo testo dell’articolo 374 c.p.c., lo schema di decreto legislativo riformula l’articolo 142 delle Disposizioni di attuazione prevedendo, al primo comma, che, se nel ricorso sono contenuti motivi di competenza delle sezioni semplici insieme con motivi di competenza delle sezioni unite, queste ultime, se non ritengono opportuno decidere l’intero ricorso, dopo aver deciso i motivi di propria competenza, rimettono, con ordinanza, alla sezione semplice la causa per la decisione, con separata sentenza, degli ulteriori motivi. Dunque, la novità è rappresentata dalla possibilità, affidata alla valutazione delle Sezioni unite, di pronunciare con unica sentenza sull’intero ricorso, con conseguente vantaggio sia in relazione all’interesse delle parti e della collettività, protetto dalla Costituzione, ad una durata ragionevole del processo.

Il secondo comma del nuovo articolo 142 Disp. att. prevede che le sezioni unite possono disporre ai sensi del primo comma anche nel caso di rimessione ai sensi dell’articolo 374, terzo comma (cfr. supra commento all’articolo 8), vale a dire qualora la sezione semplice rimetta alle sezioni unite la decisione sul ricorso non ritenendo condivisibile il principio di diritto enunciato da queste ultime.

La lettera e), in ragione di esigenze di carattere sistematico connesse al dettato dell’articolo 18 dello schema di decreto legislativo, dispone l’inserimento tra le disposizioni d’attuazione del codice relative alle controversie di lavoro, di previdenza e assistenza, di un nuovo articolo 146-bis Disp att.,in materia di accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti e accordi collettivi. La nuova norma stabilisce, nei casi di cui all’articolo 420-bis (cfr. supra commento all’articolo 18), in quanto compatibile, l’applicazione dell’articolo 64, commi 4, 6, 7 e 8 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, (Accertamento pregiudiziale sull'efficacia, validita' ed interpretazione dei contratti collettivi), che disciplinano rispettivamente la riassunzione del processo (comma 4), la eventuale sospensione di altri processi la cui definizione dipende dalla risoluzione della medesima questione sulla quale la Corte e' chiamata a pronunciarsi (comma 6), il carattere vincolante della pronuncia della Corte sulle clausole di un accordo o contratto collettivo nazionale per la definizione di altri processi (comma 7) e la condanna alle spese e il risarcimento dei danni nei casi di responsabilità aggravata (comma 8).

Infine, la lettera f) dell’articolo 19 dello schema di decreto legislativo in esame riformula l’articolo 151 Disp. att., in materia di riunione di procedimenti, disponendo che la riunione, ai sensi dell’articolo 274 del codice, dei procedimenti relativi a controversie in materia di lavoro e di previdenza e di assistenza e a controversie dinnanzi al giudice di pace, connesse anche soltanto per identità delle questioni dalla cui risoluzione dipende, totalmente o parzialmente, la loro decisione deve essere sempre disposta dal giudice, tranne nelle ipotesi che essa renda troppo gravoso o comunque ritardi eccessivamente il processo. In queste ipotesi la riunione, salvo gravi e motivate ragioni, è, comunque, disposta tra le controversie che si trovano nella stessa fase processuale. Analogamente si provvede nel giudizio di appello.

La relazione illustrativa che accompagna il provvedimento sottolinea che la disposizione in questione è finalizzata ad estendere alle controversie davanti al giudice di pace la previsione che impone oggi al giudice, nelle controversie in materia di lavoro, di previdenza e di assistenza, la riunione dei procedimenti aventi carattere seriale o comunque connessi anche soltanto per identità delle questioni dalla cui risoluzione dipende la decisione. L’obiettivo ulteriore è quello di ridurre il numero dei ricorsi alla Corte di cassazione valorizzandone la funzione nomofilattica. La relazione  precisa, altresì, che, considerata l’efficace sperimentazione nel processo del lavoro, la soluzione prospettata dal nuovo articolo 151 Disp. att., oltre ad evitare, anche per la cause promosse davanti al giudice di pace, la spesso fittizia e strumentale moltiplicazione dei procedimenti, consentirà infatti la proposizione di un più ridotto numero di ricorsi in Cassazione.

Gli ulteriori interventi apportati all’articolo 151 Disp. att. consistono in norme volte a rendere più cogente l’obbligo di riunione prevedendo che la facoltà del giudice di non disporre la riunione quando essa renda troppo gravoso o comunque ritardi eccessivamente il processo, non possa essere esercitata, salvo gravi e motivate ragioni, quando le controversie da riunire si trovino nella medesima fase processuale. Inoltre, l’obbligo di riunione viene esteso al giudizio di appello.

 

Il Capo II del provvedimento in esame, sulla base della delega prevista dall’art. 1, commi 2 e 3, lett. b) della citata legge 80/2005, di conversione del decreto-legge 35/2005, mira a riformare in senso razionalizzatore la disciplina dell'arbitratocontenuta nel codice processuale civile.

 

L’arbitrato è uno strumento privato di soluzione delle liti, alternativo rispetto alla giurisdizione ordinaria.

In base all’articolo 806 del c.p.c. le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra loro insorte, tranne quelle previste dagli articoli 409 e 442 c.p.c. (si tratta delle controversie in materia di lavoro[1] e di quelle che riguardano questioni di stato e separazione personale tra coniugi e delle altre che non possono formare oggetto di transazione). Al riguardo si rammenta che, ai sensi dell’articolo 1966 del codice civile, non possono essere transatti i diritti indisponibili; si tratta di quei diritti riconosciuti ad un soggetto per soddisfare, oltre al suo diretto interesse, anche un interesse ultraindividuale (come, ad esempio, quelli relativi allo status familiae).

Negli ultimi anni l’arbitrato ha conosciuto un periodo di grande utilizzazione, anche per effetto della celerità della procedura in relazione ai tempi (lunghi) ordinariamente necessari per lo svolgimento di un processo nonchè in ragione della certezza e del contenimento dei costi della lite rispetto alla via giudiziale.

L’arbitrato si distingue in arbitrato rituale - il solo regolato dal codice di procedura civile - ed irrituale o libero. Secondo la giurisprudenza il discrimine tra le due forme di arbitrato accennate non è formale, ma deve essere condotto alla stregua di una accurata indagine sulla volontà delle parti giusta, l’utilizzazione dei consueti criteri ermeneutici di cui agli articoli 1362 e ss. del codice civile. La differenza tra arbitrato rituale e irrituale va ricondotta alla dicotomia giudizio-contratto, nel senso che con il primo si demanda agli arbitri l'esercizio di un potere decisorio alternativo e sostitutivo rispetto a quello del giudice ordinario, che si concretizza in una pronuncia avente efficacia corrispondente a quella della sentenza, mentre con l'arbitrato libero le parti incaricano gli arbitri di eliminare la controversia mediante un procedimento che mira alla formazione di un risultato a carattere negoziale, vincolante nei confronti delle parti stesse. (Cass. Civile, sez. I, 3.5.2000, n. 5505).

L'arbitrato rituale, regolato dal titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile, si svolge come un vero e proprio giudizio, secondo le norme procedurali stabilite dalle parti nel compromesso o nella clausola compromissoria o in altro atto scritto successivo, purchè anteriore al giudizio arbitrale. In mancanza di tali norme gli arbitri hanno facoltà di regolare lo svolgimento del giudizio nel modo che ritengono più opportuno, fatte salve alcune regole che devono in ogni caso essere osservate (v. artt. 816 e ss. c.p.c.).

Mentre il compromesso è atto con cui le parti si impegnano a far decidere da arbitri una controversia tra loro già insorta (art. 806), la clausola compromissoria è testimone di volontà precedente essendo già contenuta nell’atto contrattuale cui accede e che stabilisce la via arbitrale per le eventuali liti nascenti dal contratto medesimo (art. 808).

Sia il compromesso che la clausola compromissoria necessitano di forma scritta ab sustantiam e debbono indicare gli arbitri nominati ovvero stabilirne il numero (uno o più, purchè in numero dispari) e le modalità di nomina; motivo di nullità del compromesso è anche la mancata determinazione dell’oggetto della controversia.

Gli artt. 810-815 sono dedicati agli arbitri (capo II), di cui definiscono le regole sulla nomina (in caso di inerzia di una parte, è previsto l’intervento del presidente del tribunale), sui requisiti di capacità (cittadini sia italiani che stranieri, con esclusione di minori, falliti, interdetti, inabilitati e sottoposti ad interdizione dagli uffici pubblici), sull’accettazione dell’incarico e sugli obblighi cui sono tenuti (accettazione per iscritto, pronuncia del lodo nel termine, eventuale risarcimento danni per rinuncia ingiustificata), sui loro diritti (in particolare, il rimborso spese e l’onorario per l’arbitrato) nonchè le ipotesi di sostituzione (su accordo delle parti, per omissioni o ritardi nel compimento di atti) e ricusazione (con ricorso al presidente del tribunale, per i motivi di astensione di cui all’art. 51.

La disciplina del procedimento arbitrale (artt. 816-819-ter) prevede, in particolare: che la sede dell’arbitrato sia determinata dalle parti nel territorio italiano o, in mancanza, dagli stessi arbitri nella prima riunione (art. 816); l’assenza di competenze cautelari in capo agli arbitri (art. 818); la sospensione obbligatoria del giudizio arbitrale per l’insorgere di questioni incidentali non arbitrabili, decisive ai fini della definizione della causa (l’arbitrato riprende dopo il passaggio in giudicato della sentenza che ha deciso la causa incidentale) (art. 819); la possibilità di svolgere l’arbitrato nonostante la controversia che ne è oggetto sia in connessione con altra causa davanti al giudice ordinario (art. 819-bis); la possibilità di ascoltare testimoni (anche a domicilio, art. 819-ter).

L'arbitrato rituale conduce alla formazione di un accordo, denominato lodo (capo IV, artt. 820-826), ovvero l’atto deliberato a maggioranza che decide la controversia e che è emesso entro 180 giorni (salvo proroga concessa dalle parti) dall’accettazione della nomina. Il lodo, i cui requisiti sono specificamente indicati dall’art. 823, assume efficacia vincolante tra le parti dalla data dell’ultima sottoscrizione (da parte di uno degli arbitri).

Gli arbitri decidono della controversia ordinariamente secondo diritto, ma possono essere autorizzati dalle parti a pronunciarsi secondo equità).

La parte che intende far eseguire il lodo lo deposita presso il tribunale competente insieme al compromesso o all’atto negoziale contenente la clausola compromissoria ovvero ad altro documento equipollente.

Accertata la regolarità formale del lodo, il tribunale (in composizione monocratica) lo dichiara esecutivo con decreto (cd. exequatur, art. 825); il lodo è a questo punto soggetto a trascrizione negli stessi casi in cui lo sarebbe una sentenza di identico contenuto. Avverso il decreto che nega l’esecutorietà del lodo è ammesso reclamo entro 30 giorni (dalla comunicazione) con ricorso al tribunale in composizione collegiale, che provvede con ordinanza camerale non impugnabile; non è, invece, impugnabile il decreto che rende esecutivo il lodo.

Per qual che concerne il regime delle impugnazioni (capo V, artt. 827-831), va ricordato che, a seguito della novella introdotta dalla legge n. 25 del 1994, l’impugnazione non è ammessa solo avverso la sentenza arbitrale bensì nei confronti dello stesso lodo. Prima della citata riforma, infatti, si verificava la circostanza, del tutto incongruente, di un soccombente nel giudizio arbitrale che, per poter impugnare il contenuto del lodo, doveva farsi carico del deposito dello stesso per ottenere la declaratoria di esecutività da parte del tribunale.

La novella ha consentito, inoltre, di impugnare anche il lodo che decide solo in parte il merito della controversia (cd. lodo parziale); tale impugnazione differisce da quella che si limita a risolvere alcune delle questioni insorte senza definire il giudizio arbitrale. Quest’ultimo (cd lodo non definitivo) è, infatti, impugnabile soltanto unitamente al lodo definitivo (art. 827).

Mezzi d’impugnazione del lodo sono attualmente l’impugnazione per nullità e per revocazione (già del sistema previgente la legge del 1994) nonché l’opposizione di terzo (art. 827).

Quella per nullità è impugnazione ammessa nei soli casi tassativamente enumerati dall’art. 829 e si propone, come gli altri gravami, davanti alla corte d’appello nella cui circoscrizione ha sede l’arbitro o il collegio arbitrale che ha pronunciato il lodo; il termine di impugnazione è quello breve, di 90 giorni dalla notifica del lodo e quello lungo, di un anno dalla data dell’ultima sottoscrizione del lodo.

La corte d’appello, che nelle more del giudizio di impugnazione, su richiesta di parte, può sospendere l’esecutività del lodo, decide con sentenza. In caso di annullamento, si pronuncia -  se ritiene sufficiente l’istruzione - anche sul merito del lodo, salvo volontà contraria di tutte le parti; in caso contrario, rimette le parti al giudice dell’istruzione per un supplemento di istruttoria.

L’impugnazione per revocazione (art. 831) è, invece ammessa nei casi di cui all’art. 395 c.p.p., limitatamente alle ipotesi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6[2] (cd. revocazione straordinaria); il termine per impugnare è di 20 giorni dalla notificazione del lodo Se le ipotesi di possibile revocazione si verificano durante il giudizio di impugnazione per nullità, fino alla sentenza che abbia pronunciato sulla nullità è sospeso il termine di proposizione della domanda di revocazione.

L’opposizione di terzo (art. 831), introdotta come detto con la novella del ’94, è esperibile nei confronti del lodo negli stessi casi previsti dall’art. 404. Un terzo potrà, quindi, impugnare il lodo quando esso pregiudichi i suoi diritti; gli aventi causa e i creditori di una delle parti potranno, invece, impugnare quando il lodo sia effetto di dolo o collusione a loro danno. Mentre in tale ultima ipotesi il termine di impugnazione è di 30 giorni dalla scoperta del dolo o della collusione, l’opposizione di terzo ordinaria non è soggetta ad alcun termine.

La corte d’appello può riunire nello stesso giudizio le impugnazione per nullità, revocazione e opposizione di terzo, salvo che lo stato della causa instaurata per prima non consenta l’esauriente trattazione e decisione degli altri giudizi (art. 831)

Il lodo arbitrale irrituale non è soggetto al regime di impugnazione previsto dagli artt. 827 e ss. per il lodo rituale.

L’arbitrato, sia rituale che libero, si distingue infine dall’arbitraggio (v. art. 1349 c.c.), nel quale le parti, in sede di conclusione di  un contratto, deferiscono ad un terzo la determinazione della prestazione contrattuale, con ciò integrando un negozio incompleto con equo apprezzamento ovvero, se autorizzato, secondo il mero arbitrio.

 

I principi direttivi cui deve uniformarsi la riforma dell’arbitrato, enucleati dalla legge 80/2005, sono diretti, nel loro complesso, ad una maggiore valorizzazione della volontà delle parti, rendendo più agevole, di conseguenza, il ricorso a tale strumento alternativo di giurisdizione.

Viene previsto pertanto (art. 1, comma 3, lett. b):

§         che la disponibilità dell’oggetto rappresenti l’unico e sufficiente presupposto dell’arbitrato – salva diversa disposizione di legge;

§         che per la stipulazione del compromesso e della clausola compromissoria occorrerà aver riguardo al potere di disporre in relazione al rapporto controverso;

§         che negli arbitrati con pluralità di parti la disciplina dettata garantisca, nella nomina degli arbitri, il rispetto della volontà originaria o successiva delle parti;

§         la messa a punto di una disciplina specifica dell’indipendenza e imparzialità degli arbitri, della loro responsabilità;

§         l’introduzione di una disciplina dell’istruzione probatoria che comprenda forme adeguate di assistenza giudiziaria;

§         il potere degli arbitri di conoscere in via incidentale delle questioni pregiudiziali non arbitrabili, salva diversa disposizione di legge;

§         una razionalizzazione dei tempi e delle forme di pronuncia del lodo, dei suoi effetti e del procedimento relativo; in particolare il lodo, anche non omologato, dovrà avere effetto di sentenza;

§         una razionalizzazione dei casi di impugnazione per nullità del lodo;

§         la definizione dei rapporti tra arbitro e giudice;

§         la disciplina dell’arbitrato amministrato;

§         l’eliminazione del Capo VI (artt. 832 e ss.) dedicato all’arbitrato internazionale, con conseguente estensione delle norme relative all’arbitrato interno;

§         l’applicabilità delle norme sull’arbitrato in presenza di patto compromissorio comunque denominato, salva diversa ed espressa volontà delle parti e fermo restando il rispetto di alcuni principi fondamentali.

 

Va ricordato che presso la Commissione giustizia della Camera sono all’esame in sede referente alcune proposte di legge (A.C. 5492 ed abb.) dirette a disciplinare, nei suoi diversi aspetti, l’arbitrato e la conciliazione. Le proposte fanno particolare riferimento al fenomeno della conciliazione stragiudiziale professionale, quale mezzo di risoluzione alternativa delle controversie ispirato al modello anglo-americano dell’Alternative Dispute Resolution, al quale si ricorre in caso di lite in materia civile e commerciale. Lo scopo è quello di ovviare, da un lato, ai costi ed ai ritardi della giustizia ordinaria, e, dall’altro, di rispondere in maniera più specifica a quelli che appaiono essere le reali esigenze ed i interessi delle parti.

 

Gli articoli 20 e ss. dello schema di decreto legislativo in esame (capo II) riformano quindi la disciplina dell’arbitrato contenuta nel titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile (rimane, comunque, ferma la normativa sul riconoscimento dei lodi stranieri).

Il successivo capo III del provvedimento (Norme finali) - oltre ad abrogare l’intera disciplina dell’arbitrato internazionale - detta, in particolare, una normativa transitoria per la disciplina dei procedimenti pendenti.

 

L’articolo 20 dello schema di decreto legislativo interviene sul capo I del titolo VIII, rubricato ex novo “Della convenzione d’arbitrato”.

Con tale definizione sono ora contemplati, oltre al compromesso e la clausola compromissoria, anche altri accordi di natura negoziale che prevedono il ricorso ad arbitri.

Rispetto alla disciplina vigente, si evidenzia, anzitutto, come il nuovo art. 806 (Controversie arbitrabili) – nel rispetto di uno dei principali criteri di delega - individui il presupposto del ricorso agli arbitri nel carattere disponibile dei diritti oggetto di controversia; conseguentemente, per dirimere la controversia gli arbitri potranno anche affrontare questioni relative a diritti indisponibili, purché le stesse non rappresentino l’oggetto del contendere e non debbano essere decise con efficacia di giudicato (v. infra, art. 819-bis).

Quanto alla forma del compromesso, viene ribadita (art. 807) la necessità della forma scritta, che si intende rispettata anche attraverso l’utilizzo del fax o della posta elettronica.

La disciplina della clausola compromissoria (art. 808) resta sostanzialmente invariata: si segnala soltanto che quando inserita in condizioni generali di contratto ovvero in formulari, non deve essere appositamente sottoscritta non essendo considerata clausola vessatoria.

L’art. 808-bis, Convenzione di arbitrato in materia non contrattuale rappresenta una novità all’interno della disciplina dell’arbitrato: viene infatti espressamente previsto che, in relazione a rapporti non contrattuali determinati (e quindi a rapporti che non traggono origine dall’autonomia negoziale delle parti bensì, ad esempio, direttamente dalla legge), le parti possano decidere in via convenzionale di devolvere le eventuali future controversie ad arbitri.

Il successivo art. 808-ter inserisce nel codice di rito la previsione – attualmente mancante - dell’arbitrato irrituale: attraverso un’espressa volontà manifestata per iscritto le parti potranno pattuire che l’arbitrato definisca la controversia con efficacia negoziale e dunque senza che il lodo arbitrale acquisisca gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria (cfr. art. 824-bis). Conseguentemente, il lodo non sarà impugnabile, bensì annullabile dal giudice competente con le procedure previste per far valere l’invalidità dei contratti, in presenza dei vizi indicati dall’art. 808-ter, comma 2.

Gli ultimi due articoli di questo capo mirano a consentire il più ampio ricorso alle procedure arbitrali, prevedendo:

- che la convenzione debba essere interpretata nel senso di devolvere agli arbitri tutte le controversie che derivano dal rapporto (art. 808-quater);

- che, anche in assenza di pronuncia sul merito della controversia da parte degli arbitri, l’efficacia della convenzione d’arbitrato non venga meno (art. 808-quinquies).

 

L’articolo 21 dello schema di decreto riscrive il successivo Capo II del Titolo VIII, dedicato agli arbitrinell’ottica, in accordo con le previsioni di delega, di una miglior puntualizzazione della disciplina dell’indipendenza, imparzialità e responsabilità degli arbitri.

Le disposizioni relative al numero degli arbitri (art. 809), alla loro nomina (art. 810) e sostituzione (art. 811) restano sostanzialmente invariate, con la sola aggiunta di una valutazione da parte del presidente del tribunale in ordine all’esistenza della convenzione d’arbitrato e alla esclusione di un arbitrato estero (art. 810, co. 3).

L’articolo 812 della riforma esclude che possa essere arbitro colui che è privo di piena capacità legale d’agire e, rispetto alla formulazione precedente, elimina ogni riferimento alla cittadinanza.

Nei successivi tre articoli dedicati all’accettazione degli arbitri (art. 813), alla decadenza (art. 813-bis) e alla responsabilità (art. 813-ter) si evidenziano le seguenti novità:

- l’accettazione può risultare non solo dalla sottoscrizione del compromesso, ma anche dalla sottoscrizione del verbale della prima riunione (art. 813, co. 1);

- gli arbitri non sono pubblici ufficiali né incaricati di pubblico servizio (art. 183, co. 2);

- analogamente a quanto previsto per la responsabilità del giudice dalla legge n. 117 del 1988[3], l’arbitro risponde dei danni cagionati alle parti solo in caso di dolo o colpa grave (art. 813-ter, co. 1 e 2);

- l’azione di responsabilità può essere proposta in pendenza del giudizio arbitrale soltanto se l’arbitro è stato dichiarato decaduto o ha rinunciato all’incarico, altrimenti deve essere proposta dopo l’accoglimento dell’impugnazione (art. 813-ter, co. 3 e 4);

- in caso di responsabilità dell’arbitro il corrispettivo e il rimborso spese non sono dovuti o sono soggetti a riduzione; se la responsabilità dipende da colpa grave – e non da dolo - il risarcimento non può superare il triplo del compenso spettante all’arbitro (art. 813-ter, co. 5 e 6).

La disposizione sui diritti degli arbitri (art. 814) resta sostanzialmente invariata mentre lo schema di decreto esplicita i motivi che possono portare ad una ricusazione dell’arbitro. L’articolo 815, infatti, non si limita a ricondurre le ipotesi di ricusazione alla disciplina sull’astensione del giudice (art. 51 c.p.c.), ma delinea le diverse ipotesi alla luce della posizione peculiare dell’arbitro. In particolare, rispetto a quanto previsto dall’art. 51, si evidenzia che l’arbitro può essere ricusato:

-       quando non ha le qualifiche richieste dalle parti (art. 815, co. 1, n. 1);

-       quando egli stesso o il coniuge nutre notoriamente una grave inimicizia nei confronti di una delle parti (n. 4);

-       quando è legato (anche indirettamente, cioè attraverso partecipazioni societarie) ad una delle parti da rapporti di natura patrimoniale o associativa che ne compromettano l’indipendenza (n. 5).

Ai sensi del comma 2, la parte che ha nominato - o contribuito a nominare - l’arbitro non può ricusarlo se non per motivi conosciuti dopo la nomina; gli ultimi due commi specificano che l’istanza di ricusazione non sospende l’arbitrato e che il presidente del tribunale si pronuncia con ordinanza potendo condannare la parte che ha presentato un’istanza manifestamente infondata al pagamento di una somma non superiore al triplo del massimo del compenso spettante all’arbitro.

 

L’articolo 22 dello schema di decreto sostituisce il capo III del titolo VIII dedicato al procedimento arbitrale (artt. da 816 a 819-ter).

 

La norma novella anzitutto l’art. 816, relativo alla sola sede dell’arbitrato; la disposizione non attua un punto preciso della delega bensì risponde a quelle esigenze di razionalizzazione e rispetto dell’autonoma delle parti cui è ispirata l’intera riforma. Il nuovo testo non ripropone, infatti, la previsione in base alla quale gli arbitri, in caso di inerzia delle parti, devono determinate la sede dell’arbitrato nella loro prima riunione. Ciò in effetti poteva provocare, in caso di omissione di tale formalità da parte degli arbitri, la nullità dei risultati ottenuti dal procedimento nel frattempo proseguito.

Inoltre, viene individuata la sede della convenzione d’arbitrato (v. ante, nuovo capo I) come sede dell’arbitrato stesso quando quest’ultima non risulti stabilita né dalle parti né dagli arbitri; se però la sede della convenzione risulti all’estero, l’arbitrato ha sede a Roma.

Ulteriore innovazione riguarda, infine, la possibilità per gli arbitri di compiere atti del procedimento anche fuori della sede dell’arbitrato nonché in territorio estero.

 

Viene poi introdotta ex novo una disposizione (art. 816-bis) relativa allo svolgimento del procedimento, definita dalla relazione allo schema di decreto “uno dei punti focali” della riforma. Ispirata a principi di celerità ed efficienza, la norma vuol costituire attuazione della delega fornita con la citata legge 80, che lascia alle parti .

E’, in particolare, confermata l’autonomia delle parti nella scelta delle forme procedimentali (gli arbitri si regolano autonomamente solo in carenza di disposizioni in merito) e, anche in considerazione dei casi sempre più ricorrenti di rapporti negoziali transnazionali, deve essere specificata la lingua da usare nell’arbitrato.

Ulteriore novità è costituita dalla esplicitazione che il procedimento arbitrale non può, in ogni caso, in assenza di disposizioni concordate, prescindere dal principio del contraddittorio di cui all’art. 111 Cost.

Si ricorda che attualmente l’art. 816, comma 3, prevede che siano in tal caso gli stessi arbitri a regolare la procedura “nel modo che ritengono più opportuno”.

Va osservato come l’introduzione esplicita del rispetto del principio del contraddittorio nel giudizio arbitrale sia collegata a quella (art. 829, comma 1, n. 9, c.p.c.) che ora prevede la violazione di tale principio come autonomo motivo di impugnazione del lodo per nullità.

Altra novità contenuta nella disciplina procedimentale di cui all’art. 816-bis è quella che prevede la possibile rappresentanza delle parti in giudizio a mezzo di difensori, la cui procura - se non espressamente limitata - ricomprende ogni atto del procedimento.

Sono, infatti, conferiti, da un lato, al presidente del collegio arbitrale poteri autorizzatori per lo svolgimento del giudizio; dall’altro, agli arbitri è assegnata competenza decisoria per le questioni insorte durante il giudizio stesso, in assenza di decisione con lodo non definitivo.Tale norma ha attuato il principio di delega in base al quale gli arbitri possano conoscere in via incidentale delle questioni pregiudiziali non arbitrabili.

 

L’art. 816-ter contiene disposizioni sull’istruzione probatoria in parte riproduttive di norme già contenute nei vigenti art. 816, comma 5 (come la possibile delega ad uno degli arbitri degli atti istruttori) e 819-ter (sull’assunzione delle testimonianze da parte degli arbitri).

Il quid novum dell’art. 816-ter riguarda la previsione del comma 3 che stabilisce che gli arbitri, in caso un testimone si rifiuti di deporre, possono chiedere al presidente del tribunale competente per territorio di ordinarne la comparizione davanti a loro; la norma costituisce attuazione del principio di delega che ha stabilito che la disciplina dell'istruzione probatoria prevedesse adeguate forme di assistenza in giudizio.

Oltre alla possibile assistenza agli arbitri da parte di consulenti tecnici altra novità è costituita dal possibile ricorso alla P.A. per l’acquisizione di informazioni e documentazione necessaria al giudizio..

 

L’art. 816-quater introduce una apposita disciplina degli arbitrati con pluralità di parti volta a garantire, secondo le previsioni della delega che, nella nomina degli arbitri, sia rispettata la volontà originaria o successiva delle parti nonché relativa alla successione nel diritto controverso ed alla partecipazione dei terzi al processo arbitrale, nel rispetto dei princìpi fondamentali dell'istituto.

La norma ammette esplicitamente tale tipo di arbitrato, quando più di due parti siano vincolati in tal senso dalla relativa convenzione; tale tipo di giudizio è soggetto a specifiche condizioni di ammissibilità, relative alla nomina degli arbitri, volte a garantire l’accordo delle parti o piene condizioni di parità nella nomina. In assenza di tali presupposti, il giudizio arbitrale è improcedibile e quello avanzato contro più di due parti si scinde in tanti giudizi quanti sono le parti.

 

Il successivo art. 816-quinquies disciplina l’intervento (volontario o su chiamata) del terzo nel giudizio arbitrale, sottoponendolo alla condizione dell’accordo di questi, delle parti e del consenso degli arbitri.

La norma ammette che, per sostenere le ragioni di una delle parti in giudizio, il terzo possa volontariamente intervenire nel procedimento arbitrale, quando vi abbia un interesse proprio (art, 105, comma 2, c.p.c.). In caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso è, inoltre, ammesso l’intervento in giudizio del successore (volontario o su chiamata); in tal caso, se le parti sono d’accordo, l’alienante o il successore a titolo universale può essere estromesso dal giudizio (art. 111 c.p.c.).

 

Con l’art. 816-sexies è disciplinata ex novo l’ipotesi di una parte che venga meno per morte o altra causa ovvero perda la piena capacità di agire. In tal caso, gli arbitri dovranno assumere le misure più idonee alla prosecuzione del giudizio, garantendo il contraddittorio.

 

Mentre l’art. 816-septies permette agli arbitri di richiedere alle parti l’anticipazione delle spese prevedibili, l’art. 817 disciplina le ipotesi di eccezione di incompetenza. Mentre l’attuale testo dell’art. 817 prevede l’impossibilità di impugnazione del lodo per la parte che non abbia eccepito in giudizio l’esorbitare dai limiti del compromesso (o della clausola compromissoria) delle conclusioni altrui, la nuova versione della norma disciplina le ipotesi di contestazione di vizi della convenzione di arbitrato o della regolare costituzione degli arbitri, affidando la relativa decisione agli stessi arbitri. E’ poi fissato nella prima difesa successiva,  in ragione del “principio di lealtà processuale” il termine utile per la contestazione dell’incompetenza arbitrale (escluse le ipotesi di controversie non arbitrabili).

 

L’art. 817-bis prevede, poi, le ipotesi – attualmente non disciplinate -di compensazione, affidando agli stessi arbitri la competenza a decidere sulla relativa eccezione (sempre nei limiti quantitativi della domanda) anche quando il credito in eccedenza rivendicato non sia compreso nella convenzione arbitrale.

 

Nessuna novità, invece, riguardo alla confermata impossibilità, per gli arbitri, di assumere provvedimenti di natura cautelare; è, comunque, fatta, salva diversa disposizione di legge (art. 818).

 

Va osservato come, al contrario, con la riforma introdotta con il D.Lgs 5/2003 (art. 35, co. 5) siano stati assegnati poteri cautelari nell’arbitrato (anche non rituale) di controversie societarie.

 

Per quanto riguarda le decisioni sulle questioni pregiudiziali di merito insorte durante il giudizio (anche su materie non arbitrabili), il provvedimento – nel rispetto di uno dei principi di delega - affida la competenza agli stessi arbitri; le relative decisioni sono prive di autorità di giudicato (art. 819). E’ invece stabilita la sospensione obbligatoria del procedimento quando la decisione sulla pregiudiziale debba assumere per legge valore di giudicato autonomo.

 

Con il successivo art. 819-bis sono disciplinate le ipotesi di sospensione del giudizio arbitrale; oltre a quella appena citata di cui all’art. 819, si ha riguardo: al caso di sospensione in attesa della sentenza penale irrevocabile (art. 75 c.p.p.); alla sospensione per questione pregiudiziale da decidere, per legge, con sentenza con autorità di giudicato; alla sospensione per rimessione da parte degli arbitri davanti alla Consulta di una questione di legittimità costituzionale. La norma disciplina, infine, specificatamente le modalità di prosecuzione ovvero di eventuale estinzione del procedimento di arbitrato.

 

A tale proposito sembrerebbe opportuno che, in analogia con quanto disposto  per il rito ordinario (artt. 306 e ss. c.p.c.), le disposizioni relative all’estinzione del procedimento vengano inserite in una norma avente dignità autonoma.

 

L’ultima disposizione in materia procedimentale (art. 819-ter) relativa ai rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria, conferma, anzitutto, le previsioni dell’attuale art. 819-bis, ovvero che la connessione con una causa davanti ad un giudice non preclude la competenza degli arbitri sulla controversia; la norma aggiunge che tale competenza non è esclusa neanche dalla pendenza della stessa controversia davanti al giudice ordinario. Oltre a prevedere la possibile impugnazione della sentenza del giudice che decide sulla propria competenza in relazione ad una convenzione d’arbitrato, viene precisata l’inapplicabilità, nei rapporti tra arbitrato e processo di cognizione, della disciplina del codice di rito (artt. 44, 45, 48, 50, 295) relativa alla sospensione del processo.

 

 

Lo schema di decreto introduce, sostituisce, con l’art. 23, il capo IV del titolo VIII, relativo al lodo arbitrale (artt. 820-826).

La legge delega ha previsto sul punto, anzitutto, la razionalizzazione della disciplina dei termini di pronuncia, anche con riferimento alle ipotesi di proroga degli stessi;

In tal senso, l’art. 820, pur confermando l’autonomia delle parti nella fissazione di un termine per la decisione, in mancanza di disposizione sul punto, eleva da 180 a 240 giorni dall’accettazione della nomina, il termine per la pronuncia del lodo.

Sono, inoltre, previste ipotesi di prorogadei suddetti termini di pronuncia collegate comunque alla volontà concorde delle parti, di una di esse o degli arbitri (negli ultimi due casi, prima non contemplati, la competenza decisoria è del presidente del tribunale) nonché ipotesi di proroga già previste (assunzione di mezzi di prova e pronuncia di lodo non definitivo) e di nuova introduzione (caso di consulenza tecnica d’ufficio, di lodo parziale, di sostituzione di arbitro unico o di modifica della composizione del collegio arbitrale). Rimane confermato che il termine per la decisione può essere prorogato al massimo di 180 gg. e per non più di una volta.

 

Per ragioni di economia procedurale è confermata la disciplina vigente di cui all’art. 821 che sancisce la validità e non impugnabilità per nullità del lodo pronunciato oltre i termini stabiliti in assenza di una tempestiva eccezione in tal senso ad opera della parte prima della deliberazione (art. 821).

 

Mentre rimane invariata la previsione dell’art. 822 relativa alla deliberazione del lodo secondo diritto (quella secondo equità deve essere autorizzata dalle parti) l’art. 823 mira all’attuazione del principio di delega volto a semplificare e razionalizzare le modalità di pronuncia del lodo.

Confermate le modalità del voto sul lodo a maggioranza (semplice) nonché sulla forma scritta, è espunta invece dalla norma la necessità per gli arbitri di deliberare riuniti in conferenza personale, considerata un inutile appesantimento della procedura.

In relazione ai requisiti formali del lodo, elementi “nuovi” rispetto a quanto già previsto dal vigente art. 823 sono, in particolare, l’indicazione del nome degli arbitri e delle conclusioni delle parti; l’indicazione della convenzione di arbitrato appare, ovviamente, conseguente alla sua formale introduzione nell’ordinamento (nuova rubrica del capo I).

 

Mentre ll contenuto dell’art. 824 conferma quello del comma 1 del vigente art. 825 (sulla redazione e comunicazione-consegna alle parti di distinti originali del lodo), l’art. 824-bis del provvedimento, in attuazione di specifico principio di delega sulla efficacia del lodo, stabilisce che il lodo, anche non omologato, abbia gli effetti di una sentenza a far data dal momento delle sua ultima sottoscrizione.

Per quel che concerne il deposito del lodo, la disciplina dell’art. 825 rimane sostanzialmente immutata, risultando confermata la procedura ad iniziativa di parte per l’exequatur da parte del tribunale.

Novità sono, invece, introdotte in materia di reclamo:

-             il decreto del tribunale che concede (e non solo nega) l’esecutorietà del lodo sarà reclamabile;

-             giudice del ricorso diventa la corte d’appello, anziché il tribunale in composizione collegiale;

Come già per le decisioni del tribunale collegiale ai sensi del vigente art. 825, comma 5, l’ordinanza camerale (con cui la corte d’appello decide sul ricorso) non è ulteriormente reclamabile, in accordo con i principi generali di cui all’art. 739, ultimo comma, c.p.c.

 

In relazione alla correzione del lodo, l’art. 826 specifica maggiormente la relativa disciplina, prevedendo alcune innovazioni. E’, anzitutto, introdotto un termine di un anno (dalla comunicazione) decorso il quale non sono proponibili agli arbitri domande di correzione.

Per ragioni di economia della procedura si consente, inoltre:

-             la correzione di errore materiale che abbia determinato una divergenza tra i diversi originali del lodo anche in relazione alla sottoscrizione degli arbitri;

-             l’integrazione del testo del lodo in riferimento ai nomi degli arbitri, alla sede dell’arbitrato, all’indicazione delle parti nonché della convenzione di arbitrato e delle conclusioni delle parti.

Altra novità riguarda il ricorso al tribunale in caso di inerzia degli arbitri sulla domanda di correzione.

Per quanto concerne, infine, la competenza, rimane confermata la titolarità degli arbitri alla correzione fino al momento del deposito del lodo e, di converso, quella del tribunale, una volta depositato il lodo.

 

 

L’art. 24 dello schema di decreto novella il capo V del titolo VIII (artt.827-831) relativo alla disciplina delle impugnazioni.

Mentre gli artt. 827 e 828, relativi rispettivamente, ai mezzi di gravame (nullità, revocazione ed opposizione di terzi) nonché all’individuazione del giudice dell’impugnazione per nullità ed ai relativi termini, rimangono sostanzialmente identici, l’art. 829 (casi di nullità) mira al recepimento del principio di delega stabilito dalla legge 80/2005. La delega, nell’ottica di assicurare la piena autonomia delle parti, ha infatti previsto di “subordinare la controllabilità del lodo ai sensi del secondo comma dell'articolo 829 del codice di procedura civile alla esplicita previsione delle parti, salvo diversa previsione di legge e salvo il contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico”.

Confermata dall’art. 828 la competenza della Corte d'Appello, il nuovo testo dell’art. 829, ricalca sostanzialmente i casi che ammettono l’appello (una novità è la possibilità di impugnare se il lodo che conclude il procedimento senza aver pronunciato nel merito della controversia quando doveva essere invece deciso dagli arbitri). In particolare, in attuazione del citato principio di delega, è ora ammessa l’impugnazione per nullità del lodo per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia soltanto se espressamente disposta dalle parti e dalla legge; fanno eccezione a tale regola, e quindi è sempre ammessa l’impugnazione, nelle controversie di lavoro (nelle quali si può impugnare anche per violazione di contratti e accordi collettivi) e in quelle in cui la violazione delle citate regole riguarda la decisione di questioni pregiudiziali relative a materie non arbitrabili. L’impugnazione della decisione per contrarietà a disposizioni di ordine pubblico è, però, sempre ammessa.

In ragione del principio di lealtà processuale, il nuovo art. 829 stabilisce l’impossibilità di impugnare il lodo: per la parte che vi abbia dato causa; per chi vi abbia rinunciato; per chi non abbia eccepito con tempestività la violazione di una norma del procedimento.

 

Per qual che riguarda la decisione della corte d’appello sull’impugnazione il legislatore delegato ha più specificamente disciplinato le ipotesi in cui la corte d’appello può decidere direttamente il merito della controversia oggetto del lodo in caso di accoglimento dell’impugnazione per nullità (art. 830). La disciplina in questione ha cercato, come riferito dalla relazione al provvedimento, di mediare tra le opposte esigenze di economia procedurale (privilegiando la potestà decisoria della corte d’appello), da una parte, e di rispetto dell’autonomia delle parti, dall’altra (in relazione alla salvaguardia delle attribuzioni degli arbitri, cui la controversia è, comunque, stata liberamente deferita).

Mentre attualmente le sole cause che possono essere decise nel merito sono quelle ritenute, in generale, dalla corte d’appello “mature” in tal senso (salvo supplemento d’istruttoria), il nuovoart. 830 individua specifiche ipotesi, tra quelle di cui all’art. 829, che autorizzano il giudice dell’impugnazione ad una decisione nel merito, pur facendo salvo il diverso accordo tra le parti (sia in sede di convenzione d’arbitrato che in momento successivo).

Le disposizioni relative agli ulteriori due mezzi di impugnazione, revocazione e opposizione di terzo (art. 831), sono invece sostanzialmente riproposte nella formulazione vigente.

 

L’art. 25 del provvedimento sostituisce, infine, il capo VI, attualmente dedicato all’arbitrato internazionale (v, ultra art. 28), dettando - col nuovo art. 832 - la disciplina del rinvio a regolamenti arbitrali.

La norma precisa infatti che se in sede convenzionale si rinvia ad un  regolamento precostituito e questo contrasta con la convenzione d’arbitrato, è quest’ultima a prevalere sul regolamento.

Per garantire l’imparzialità degli arbitri, si aggiunge poi l’impossibilità per istituzioni a carattere associativo ed enti che rappresentino categorie professionali di nominare arbitri in controversie con terzi in cui sia parte un proprio associato; a maggior garanzia si prevede che il regolamento arbitrale introduce ultra legem nuovi casi di sostituzione e ricusazione.

E’, infine, regolato il caso di rifiuto di amministrare l’arbitrato da parte dell’istituzione arbitrale designata prevedendo comunque l’efficacia della convenzione ed il ricorso alla disciplina arbitrale ordinaria.

 

A tale proposito va rilevato che l’art. 1, comma 3, della legge delega 80/2005 prevede “la soppressione del capo dedicato all'arbitrato internazionale, con tendenziale estensione della relativa disciplina all'arbitrato interno, salvi gli opportuni adattamenti, con esclusione di quanto previsto dall'articolo 838 del codice di procedura civile”. Tuttavia, l’articolo 25 in esame si limita a sostituire l’intero capo VI con l’art. 832 sopra esaminato, senza nulla disporre sulla sopravvivenza dell’istituto dell’arbitrato internazionale e sulla estensione allo stesso della disciplina dell’arbitrato interno.

 

Con l’art. 26, lo schema di decreto legislativo in esame dispone l’abrogazione dell’art. 23, ultimo comma, della legge 689 del 1981, cd. legge di depenalizzazione[4].

La norma attualmente sancisce l’inappellabilità delle sentenza del giudice di pace o del tribunale pronunciate nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione di pagamento emessa dall’autorità amministrativa; la decisione è comunque ricorribile per cassazione.

L’abrogazione, ripristinando il regime di impugnazione ordinario, fa si che avverso le decisioni del giudice di pace sarà possibile ricorrere davanti al tribunale, mentre le decisioni del tribunale saranno impugnabili davanti alla corte d’appello.

 

Si osserva che sia la rubrica che il testo dell’articolo 26 contengono un refuso riferito alla data di promulgazione della legge 689. La data corretta è, infatti, quella del 24 (e non 23) novembre 1981.

 

L’art. 27 contiene la disciplina transitoria per all’applicabilità ai giudizi in corso della nuova normativa introdotta dal decreto legislativo.

Per quel che riguarda i due profili di maggior rilievo:

-             si prevede l’applicazione della nuova disciplina del processo di cassazione ai ricorsi avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del decreto in esame;

-             per quanto concerne, invece, il “nuovo” arbitrato, l’applicabilità della riforma varia in ragione: della data di stipula della convenzione di arbitrato (in riferimento alle norme relative, art. 20) e della data della domanda di arbitrato (per le restanti disposizioni sugli arbitri, il lodo, il procedimento, le impugnazioni e l’arbitrato amministrato).

 

 

L’art. 28 dispone l’abrogazione delle disposizioni dell’attuale capo VI, relativo al citato arbitrato internazionale, di cui la legge delega 80/2005 ha previsto la soppressione (v. ante, commento art. 25).

 

L’art. 29 riguarda, infine, la copertura finanziaria dell’intervento in esame, per l’attuazione del quale non sono previsti oneri a carico del bilancio dello Stato.


Schema di decreto legislativo n. 531

 



 

Relazione

 

La legge 14 maggio 2005, n. 80, contiene una duplice delega al Governo per la modifica delle regole che disciplinano il processo civile, modifica orientata, da un canto, al recupero ed alla valorizzazione della funzione di nomofilachia tradizionalmente esercitata dalla Suprema Corte di cassazione e, dall’altro, alla razionalizzazione della disciplina dell’arbitrato.

Il presente decreto si compone di tre capi. Il primo dedicato alla modifica della disciplina del processo di cassazione in funzione nomofilattica, il secondo dedicato alla riforma in senso razionalizzatore della disciplina dell’istituto dell’arbitrato ed il terzo contenente le disposizioni finali.

Quanto al capo primo, la Corte di cassazione, come enuncia l’art. 65 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, recante l’ordinamento giudiziario, assicura "l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni". Questa enunciazione ha il pregio di evidenziare la duplice funzione della Corte di cassazione che, da un lato, con il curare "l’esatta osservanza della legge" opera sul caso concreto ad iniziativa delle parti e, dall’altro lato, proprio mentre cura l’osservanza della legge nei singoli casi concreti, può assicurare "l’uniforme interpretazione della legge" e "l’unità del diritto nazionale", ossia assolvere alla funzione di c.d. nomofilachia.

Proprio in quanto le decisioni della Corte di cassazione costituiscono dei precedenti che, senza essere vincolanti, finiscono con l’orientare la giurisprudenza di merito, è importante valorizzare questa funzione di guida; ciò al fine di acquisire sempre maggiore certezza del diritto attraverso statuizioni che, per la forza stessa delle argomentazioni giuridiche su cui si fondano, per l’autorità del giudice dal quale promanano, per l’esigenza costituzionale di ragionevolezza di eventuali decisioni difformi, fissino principi interpretativi delle norme.

A questo fine, il legislatore ha inteso, con il primo principio di delega, "disciplinare il processo di cassazione in funzione nomofilattica, stabilendo identità dei motivi di ricorso ordinario e straordinario ai sensi dell’articolo 111, settimo comma, della Costituzione, prevedendo che il vizio di motivazione debba riguardare un fatto controverso", posto che entrambi gli strumenti di gravame hanno il preciso scopo di consentire alla Corte di assolvere alla funzione di nomofilachia in ogni settore dell’ordinamento, anche in relazione a quelle norme che trovano applicazione in provvedimenti non ricorribili per cassazione in via ordinaria.

Analogamente, è stata prevista, anche per ragioni di carattere sistematico, "l'estensione del sindacato diretto della Corte sull'interpretazione e sull'applicazione dei contratti collettivi nazionali di diritto comune, ampliando la previsione del numero 3) dell'articolo 360 del codice di procedura civile", in analogia con le disposizioni introdotte dalla riforma del pubblico impiego (art. 64 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165).

Inoltre, viene esaltato il ruolo svolto dalle Sezioni unite della Corte, alle quali spetta il compito di pronunciare sentenze autorevoli, i cui principi siano applicati dalle sezioni semplici ovvero, consapevolmente disattesi dalle stesse, attraverso il meccanismo della rimessione alle Sezioni unite della medesima questione che si intende decidere in maniera difforme rispetto al precedente; a tale fine, il principio di delega prevede "il vincolo delle sezioni semplici al precedente delle sezioni unite, stabilendo che, ove la sezione semplice non intenda aderire al precedente, debba reinvestire le sezioni unite con ordinanza motivata".

A fronte, poi, delle divergenze interpretative che sussistono in ordine ai numeri 3) e 4) del primo comma dell’art. 360 c.p.c., si è reso, inoltre, opportuno chiarire che, determinante al fine di ottenere una decisione della Corte in via definitiva, non è il tipo di norma violata, sostanziale o processuale, quanto la circostanza che la Corte possa decidere senza dover procedere ad accertamenti di fatto, in conformità con quanto previsto dall’ulteriore principio di delega secondo cui è possibile "l'estensione delle ipotesi di decisione nel merito, (…) anche nel caso di violazione di norme processuali".

Sempre nell’ottica di una valorizzazione della funzione di nomofilachia esercitata dalla Corte, è stata data attuazione al principio di delega recante "l'enunciazione del principio di diritto, sia in caso di accoglimento, sia in caso di rigetto dell'impugnazione e con riferimento a tutti i motivi della decisione", prevedendo che detta enunciazione avvenga non solamente nei casi di ricorso proposto per violazione o falsa applicazione di norme di diritto ma, altresì, per gli altri motivi enunciati dal novellato articolo 360 c.p.c., quando la questione di diritto risolta presenti un interesse generale. In tal guisa si è inteso, da un lato, attribuire maggiore autorevolezza alla pronuncia e, dall’altro, produrre anche una maggiore consapevolezza di quanto affermato.

Proprio con riguardo alla funzione di orientamento della giurisprudenza da parte della Corte di cassazione, la legge delega prefigura "meccanismi idonei, modellati sull'attuale articolo 363 del codice di procedura civile, a garantire l'esercitabilità della funzione nomofilattica della Corte di cassazione, anche nei casi di non ricorribilità del provvedimento ai sensi dell'articolo 111, settimo comma, della Costituzione". Quest’ultimo principio è stato attuato con l’estendere il meccanismo del ricorso nell’interesse della legge proponibile dal pubblico ministero previsto dall’art. 363 c.p.c., che, per eccellenza, costituisce espressione della funzione nomofilattica assegnata alla Corte, anche alle ipotesi in cui il provvedimento non è ricorribile e non è altrimenti impugnabile, al fine di consentire la produzione di orientamenti giurisprudenziali di indirizzo interpretativo.

Inoltre, è stato ritenuto opportuno rimediare ad una lacuna creatasi nel codice da quando è consentito alla Corte di cassazione di emettere una pronuncia sostitutiva di quella impugnata e, pertanto, "prevedere la revocazione straordinaria e l'opposizione di terzo contro le sentenze di merito della Corte di cassazione, disciplinandone la competenza". A tal fine, ferma restando la competenza della Suprema corte a provvedere sulla revocazione o l’opposizione di terzo, la Corte, pronunciata la revocazione o accolta l’opposizione, deciderà nel merito quando non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto; in caso contrario, al fine di evitare un’attività istruttoria, anche complessa, estranea ai compiti della Cassazione, è stato previsto il rinvio della causa al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata.

Infine, si è provveduto, in conformità con quanto imposto dalla delega, a realizzare il "necessario coordinamento" con le altre disposizioni vigenti del codice di procedura civile al fine di garantire la coerenza logica e sistematica della normativa.

Invero, alcune disposizioni sono state dettate al fine di rendere la disciplina del ricorso per cassazione, modificata in conformità ai principi contenuti nella delega, più coerente nel suo complesso, in sintonia con l’evolversi dei principi generali e con il diritto vivente creato dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, tenendo anche conto che il recupero e la valorizzazione della funzione nomofilattica della Corte - che costituisce il principio orientatore della delega - con il conseguente incremento del carico di lavoro che sulla stessa potrebbe venire a gravare, non può non passare attraverso una razionalizzazione della attività della Corte e delle ipotesi di intervento della stessa attualmente contemplate dall’ordinamento.

 

In attuazione dei principi di delega il presente decreto prevede le modifiche di seguito esposte.

 

L’articolo 1 interviene sull’articolo 339 c.p.c.. Il corretto ed efficace esercizio della funzione nomofilattica, obiettivo primario del legislatore delegante, presuppone, come indispensabile condizione operativa, la riduzione del numero dei ricorsi proposti alla Corte di cassazione, soprattutto se riguardanti cause di natura bagattellare.

In funzione del raggiungimento di questo risultato, e riprendendo sul punto un’istanza già avanzata in passato sia dal mondo accademico che dalla stessa magistratura associata, la riforma interviene sul regime delle impugnazioni, limitando sensibilmente il novero delle sentenze di primo grado che la legge dichiara oggi inappellabili e così restringendo le ipotesi di immediata ricorribilità per cassazione.

Ciò è avvenuto non soltanto nell’ottica, pur importante, di una riduzione quantitativa del carico di lavoro della Corte, ma anche al fine di evitare che il giudizio di diritto, e dunque l’esercizio della funzione nomofilattica, vengano inquinati da impropri elementi di fatto, riversati sulla Corte proprio a causa dell’assenza del filtro intermedio di un ulteriore giudizio di merito.

Il ripristino dell’appellabilità non esclude naturalmente la successiva ricorribilità per cassazione, nelle forme ordinarie, della sentenza emessa in grado d’appello. Il permanere di tale possibilità non dovrebbe tuttavia comportare il semplice differimento del problema da cui il legislatore delegato ha preso le mosse: sia perché, comunque, l’intervento della Corte di cassazione avverrà in tal caso secondo gli ordinari e corretti canoni del giudizio di diritto, sia perché è noto e sperimentato che il giudizio d’appello costituisce un filtro efficace sulla strada che conduce al giudice di legittimità.

L’intervento è avvenuto lungo una duplice linea direttrice.

In primo luogo, è stato appunto modificato l’art. 339 c.p.c.. La disposizione prevede attualmente l’assoluta inappellabilità delle sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità, a norma dell’art. 113, secondo comma, c.p.c.. La riforma, nel confermare tale regola generale, prevede tuttavia un’eccezione significativa. L’inappellabilità, infatti, non investe più la violazione delle norme sul procedimento, delle norme costituzionali o comunitarie, nonché dei principi regolatori della materia.

Il riferimento ai principi regolatori vuole recuperare l’assetto giurisprudenziale faticosamente raggiunto su tale punto dalla Suprema Corte.

Per far valere tali vizi della sentenza di primo grado, il soccombente non potrà più proporre ricorso per cassazione, ma avrà invece l’onere di seguire l’ordinario percorso delle impugnazioni.

La seconda modifica concerne le norme relative all’impugnazione delle sentenze di primo grado, che decidono sulle opposizioni avverso le ordinanze o gli altri provvedimenti con i quali vengono irrogate sanzioni amministrative. In proposito si rinvia all’illustrazione dell’art. 26.

 

L’articolo 2 modifica l’articolo 360 c.p.c., prevedendo le seguenti novelle: a) al primo comma, n. 3), l’ampliamento dei motivi di impugnazione agli errori di diritto commessi in sede di applicazione o interpretazione delle clausole negoziali dei contratti o accordi collettivi di lavoro. Il sindacato della Corte di cassazione viene, pertanto, ampliato, in analogia con le disposizioni vigenti nel settore del pubblico impiego (art. 63, co. 5, del decreto legislativo n. 165 del 2001), ricomprendendo le questioni di diritto che concernono i contratti collettivi del settore privato; b) al primo comma, n. 5), la precisazione dei limiti del vizio di motivazione impugnabile in Cassazione, vizio deducibile solo in ordine a fatti controversi e decisivi, in modo da circoscrivere l’impugnazione a punti che sono stati oggetto di discussione e contrapposizione tra le parti e dalla cui diversa considerazione (o dalla cui considerazione omessa dal giudice di merito) discenderebbe con certezza una decisione diversa; c) in attuazione della delega, ed in funzione deflattiva dei ricorsi immediati in cassazione, l’inserimento di un nuovo terzo comma nell’articolo 360 c.p.c., ove si limita l’impugnazione immediata alle sentenze che decidono una o alcune delle domande proposte, senza definire l’intero giudizio, rinviando l’impugnazione delle sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio, alla contestuale impugnazione della sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio; d) l’inserimento di un nuovo quarto comma, che consente un ampio ricorso per cassazione anche avverso le sentenze ed i provvedimenti diversi dalla sentenza contro i quali è ammesso il ricorso per cassazione per violazione di legge.

L’intervento sul secondo comma dell’articolo è dettato, invece, da ragioni sistematiche, che suggeriscono, senza modificare il contenuto sostanziale della disposizione, di dipanare ogni dubbio interpretativo sui motivi di impugnazione per saltum.

Per ragioni di carattere sistematico, in stretta correlazione con la previsione innovativa introdotta nel nuovo terzo comma dell’articolo 360, l’articolo 19 estende alle sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il merito, la disciplina dell’impugnazione delle sentenze avverso le quali si è fatto riserva d’appello nell’ipotesi in cui il processo di primo grado si estingua (articolo 133, terzo comma, Disp. att. c.p.c., introdotto dall’art. 19, co. 1, lett. a)).

 

L’articolo 3 modifica l’articolo 361 c.p.c. in senso corrispondente al principio illustrato e delineato con riguardo all’introduzione del nuovo terzo comma dell’articolo 360 c.p.c.

 

L’articolo 4 modifica l’art. 363 c.p.c., in attuazione del principio di delega teso ad ampliare il ruolo del giudice preposto all’interpretazione delle leggi, intervenendo sulla disposizione del codice di rito che più chiaramente esalta la funzione ermeneutica della Suprema corte. A tal fine, è stato previsto di estendere il meccanismo dell’istituto del ricorso nell’interesse della legge proponibile dal pubblico ministero, previsto dall’art. 363 c.p.c., anche alle ipotesi in cui il provvedimento non è ricorribile e non è altrimenti impugnabile, al fine di consentire la produzione di orientamenti giurisprudenziali di indirizzo interpretativo.

In particolare, viene novellato integralmente il testo del primo comma dell’art. 363 c.p.c., consentendo che il Procuratore generale presso la Corte di cassazione formuli, nelle ipotesi in cui "le parti non hanno proposto ricorso nei termini di legge o vi hanno rinunciato, ovvero quando il provvedimento non è ricorribile in cassazione e non è altrimenti impugnabile", una richiesta volta ad ottenere l’enunciazione di un principio di diritto nell’interesse della legge da parte della Suprema corte al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi.

Vengono, inoltre, ex novo, introdotte le disposizioni di cui ai nuovi commi secondo e terzo, con le quali viene, da un lato, delineato il contenuto della richiesta del Procuratore generale nonché i poteri del Primo presidente al quale la stessa è rivolta – il Primo presidente può, in particolare, disporre che la Corte si pronunci a Sezioni unite se ritiene che la questione sia di particolare importanza - e, dall’altro, introdotto il potere d’ufficio della Corte di pronunciare il principio di diritto allorquando il ricorso delle parti è dichiarato inammissibile e la Corte ritenga che la questione decisa è di interesse generale.

Viene, poi, introdotto un quarto comma nel quale, superando la dizione originaria secondo cui "le parti non possono giovarsi della cassazione della sentenza" viene disposto che "la pronuncia della Corte non ha effetto sul provvedimento del giudice di merito".

 

Gli articoli 5 e 6, rispettivamente, modificano l’articolo 366 c.p.c. ed introducono un nuovo articolo 366 bis c.p.c.. Sempre all’evidente scopo di meglio finalizzare l’attività della Corte alla decisione delle questioni di diritto e di evitare che il ricorso si limiti ad una mera ripetizione degli argomenti sostenuti nelle precedenti fasi, la legge di delegazione ha fissato la direttiva relativa alla previsione dell’"obbligo che il motivo di ricorso si chiuda, a pena di inammissibilità dello stesso, con la chiara enunciazione di un quesito di diritto". La previsione relativa alla necessaria esposizione di tale elemento è stata inserita nel nuovo articolo 366 bis, c.p.c., concernente la "Formulazione dei motivi", disposizione alla quale fa, a sua volta, rinvio, l’art. 366, primo comma, n. 4), c.p.c., nel testo novellato dall’art. 5. In particolare, il primo comma del nuovo articolo 366 bis precisa che ciascuno dei motivi di ricorso di cui all’art. 360, primo comma, numeri 1), 2), 3) e 4), deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto sottoposto alla Corte che consenta alla stessa di enunciare un corrispondente principio di diritto. Con riferimento al motivo di ricorso di cui all’art. 360, primo comma, n. 5), non implicante un errore di diritto del giudizio di merito – fatta salva l’ipotesi, pressochè di scuola, della totale omissione della motivazione - né un relativo quesito da sottoporre alla Corte, l’esigenza di una più puntuale determinazione e delimitazione del giudizio della stessa è stata invece tradotta nella previsione dell’obbligo che il ricorso contenga la chiara indicazione del fatto controverso investito dalla omissione o contraddittorietà della motivazione, ovvero l’esposizione delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Ancora allo scopo di offrire alla Corte, nonché alla stessa parte resistente, un quadro che sia il più possibile immediato, completo ed autosufficiente delle censure sulle quali dovrà pronunciarsi e di agevolarne il lavoro di reperimento degli atti e documenti sui quali esse si fondano, tra gli elementi di cui all’art. 366, primo comma, c.p.c., che il ricorso deve contenere a pena di inammissibilità, è stato inserito, in un nuovo n. 6), quello relativo alla "specifica indicazione degli atti processuali, documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda nonché della loro specifica collocazione nei fascicoli dei precedenti gradi", con la precisazione che tale indicazione è consentita solo per gli atti e documenti ritualmente depositati, insieme col ricorso, ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 4).

Al fine di favorire l’immediato accesso alla Corte e la possibilità di ottenere prontamente dalla stessa orientamenti interpretativi, si è previsto, intervenendo sul terzo comma dell’art. 366, che l’accordo delle parti in ordine alla proposizione del ricorso per cassazione c.d. omisso medio possa essere "anche anteriore alla sentenza impugnata", con ciò superando l’attuale orientamento interpretativo della Corte nel senso della necessità che tale accordo possa essere validamente stipulato solo dopo la pronuncia di primo grado.

E’ stato, infine, introdotto un nuovo quarto comma dell’art. 366 c.p.c., avente lo scopo di consentire, anche nel corso del giudizio di cassazione, la possibilità che le notificazioni tra difensori, nelle ipotesi di cui agli articoli 372 e 390 c.p.c., e le comunicazioni tra ufficio di cancelleria e difensori, avvengano in forme semplificate (telefax e posta elettronica), quando il difensore dichiari nel ricorso di volerle così ricevere, indicando il relativo numero di fax od indirizzo di posta.

 

L’articolo 7 modifica il secondo comma, n. 4), dell’articolo 369 c.p.c., in coerenza con l’ampliamento del motivo di impugnazione di cui al primo comma, n. 3), dell’articolo 360 c.p.c., concernente l’errore di diritto nel giudizio di merito, anche ai contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro.

 

L’articolo 8 introduce alcune modifiche al primo comma dell’art. 374 c.p.c., oltre a prevedere un nuovo terzo comma.

Con riguardo alle modifiche di cui al primo comma, la legge di delegazione ha inteso eliminare l’assoluto automatismo attualmente previsto dall’art. 374 c.p.c. in virtù del quale, sui ricorsi attinenti alla giurisdizione, sussiste una competenza esclusiva delle Sezioni unite della Corte di cassazione. In tale prospettiva, la legge numero 80 del 2005 ha inteso, anche in relazione a tali ricorsi, valorizzare l’effetto delle precedenti pronunce delle Sezioni unite, disponendo che, qualora sulla questione di giurisdizione le Sezioni unite si siano già pronunciate, la stessa possa essere assegnata alle sezioni semplici. Tale previsione della legge delega, che prende le mosse da un evidente intento di razionalizzazione ed agevolazione del lavoro della Corte di cassazione, in particolare delle Sezioni unite della stessa, è stata trasposta nel nuovo testo novellato dell’art. 374 c.p.c., mantenendo tuttavia ferma, come la stessa legge di delegazione imponeva, la competenza esclusiva delle Sezioni unite in relazione ai ricorsi avverso le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti per motivi inerenti alla giurisdizione, ai sensi dell’art. 111, ottavo comma, della Costituzione e dell’articolo 362, primo comma, c.p.c..

La riduzione del carico di lavoro delle Sezioni unite della Corte di cassazione, in relazione ai ricorsi per motivi di giurisdizione, che consegue alla previsione del testo novellato dell’articolo 374 c.p.c., ha dato le mosse ad una rivisitazione della disposizione di cui all’articolo 142 delle Disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile (vedi l’art. 19, co. 1, lett. d)). Tale disposizione, infatti, tenendo anche conto della notevole mole di lavoro gravante sul più ampio collegio giudicante della Corte, per effetto della competenza esclusiva dello stesso in ordine ai ricorsi per motivi attinenti alla giurisdizione, come attualmente previsto dall’articolo 374, primo comma, c.p.c., consente alle Sezioni unite, nel caso in cui nel ricorso siano contenuti sia motivi rientranti nella sua specifica "competenza" e, quindi, in particolare, questioni di giurisdizione, sia motivi di competenza delle sezioni semplici, di limitarsi a risolvere i primi, lasciando alle sezioni semplici la pronuncia sui secondi. Ciò comporta, tuttavia, la conseguenza, che può risultare dannosa sia ai fini del miglior funzionamento della Corte, sia nella prospettiva di una durata ragionevole del processo, che, in tali ipotesi, per decidere uno stesso ricorso, la Corte di cassazione può trovarsi a dover pronunciare due sentenze: una a Sezioni unite, che rigetta, come più spesso nella pratica accade, la censura relativa alla giurisdizione ed una a sezioni semplici. E ciò anche quando gli altri motivi di competenza delle sezioni semplici siano di agevole ed immediata soluzione. Alla stregua di tali ultime considerazioni, e tenuto conto di come, per effetto del testo novellato dell’art. 374 c.p.c., le questioni di giurisdizione assegnate alle Sezioni unite subiranno una significativa contrazione, si è ritenuto di dover prevedere la possibilità che, in relazione al più limitato numero di ricorsi contenenti sia questioni di giurisdizione che motivi di competenza delle sezioni semplici, che saranno assegnati alle Sezioni unite, queste ultime possano decidere, qualora lo ritengano opportuno, con unica sentenza, l’intero ricorso. Il che potrà senz’altro avvenire nel caso in cui i motivi non rientranti nella sua competenza siano di agevole e pronta soluzione, con conseguente vantaggio sia in relazione all’interesse ad un funzionamento più razionale della Corte, sia in relazione all’interesse delle parti e della collettività, protetto dalla Costituzione, ad una durata ragionevole del processo.

Il nuovo terzo comma dell’art. 374, mira a recepire una delle direttive fondamentali contenuta nella legge delega: quella relativa alla necessità di assicurare la funzione nomofilattica nell’ambito della stessa giurisprudenza della Corte di cassazione.

E’ noto che, con crescente frequenza, su uno stesso tema e nello stesso periodo temporale, si registra, da parte delle sezioni semplici della Corte e talvolta dei diversi collegi di una stessa sezione, una pluralità di orientamenti diversi e confliggenti. Tale fenomeno, pur comprensibile per l’enorme numero dei ricorsi che quotidianamente affluiscono alla Corte e per le difficoltà di comunicazione delle decisioni tra i suoi componenti, deve essere tuttavia arginato, in quanto, agli occhi dell’operatore del diritto e degli stessi cittadini che ne hanno notizia attraverso i mezzi di comunicazione, appanna l’immagine della Corte, ne svilisce l’operato e contraddice apertamente la funzione nomofilattica che la Corte è chiamata ad esercitare verso i giudici di merito.

Naturalmente, il perseguimento di tale obiettivo non può che essere tendenziale, occorrendo contemperare l’esigenza di uniformazione con la libertà interpretativa dei singoli collegi giudicanti.

Si è così ritenuto di poter attuare la delega attraverso un’opera di duplice coordinamento.

Da un lato, il nuovo terzo comma dell’articolo 374 c.p.c. fa leva su un’altra innovazione apportata dalla legge delega, quella cioè che impone alla Corte di enunciare il principio di diritto, sia che accolga sia che rigetti il ricorso, quando questo sia proposto a norma dell’articolo 360, primo comma, n. 3), c.p.c. o comunque involga una questione di diritto di particolare interesse (così il nuovo art. 384 c.p.c.); dall’altro lato, si aggancia alla previsione dell’attuale articolo 374, secondo comma, c.p.c., in base alla quale il Primo presidente può disporre che la Corte pronunci a Sezioni unite su questioni di diritto sulle quali è sorto un contrasto.

Ove, pertanto, la sezione semplice sia chiamata a decidere una questione sulla quale le Sezioni unite hanno già enunciato un principio di diritto e prefiguri una propria decisione in contrasto con tale principio, è tenuta a rimettere la decisione del ricorso alle Sezioni unite. A salvaguardia della libertà interpretativa della sezione semplice, è previsto che la rimessione debba essere motivata, debba cioè illustrare le ragioni per le quali la sezione semplice si intende discostare dall’orientamento delle Sezioni unite.

Sotto il profilo del procedimento applicabile, anche alla nuova ipotesi di rimessione alle Sezioni unite è destinato ad si applicarsi il procedimento delineato dall’articolo 376 vigente.

Infine, anche nell’ipotesi in esame, le Sezioni unite potranno disporre ai sensi dell’art. 142, primo comma, delle Disposizioni di attuazione del codice (vedi il testo di tale disposizione, secondo comma, come novellato dall’art. 19, co. 1, lett. d), del presente decreto).

 

L’articolo 9, nel primo comma, lettera a), novella i numeri 2), 3), 4) e 5) del primo comma dell’articolo 375 del codice di procedura civile, dettando modifiche con le quali si provvede a realizzare il necessario coordinamento della disciplina vigente con le modificazioni conformi all’intero complesso dei principi direttivi dettati dalla delega. Viene in tale ottica, difatti, disposto che, ogni qual volta la Corte provvede in camera di consiglio, essa decide con ordinanza. Ciò avverrà, in particolare, ferme restando le ipotesi di cui ai numeri 1) e 2) del primo comma dell’art. 375 (rispetto a tale ultimo n. 2), si è solo provveduto ad includere l’esplicito riferimento all’ipotesi della rinnovazione della notificazione dell’impugnazione), quando la Corte provvede: a) in ordine all’estinzione del processo in ogni caso diverso dalla rinuncia (come, peraltro, già attualmente previsto dal primo comma, n. 4), vigente; quanto alla dichiarazione di estinzione del processo per avvenuta rinuncia, dispone il nuovo testo dell’art. 391); b) in ordine alle istanze di regolamento di competenza e di giurisdizione (come già attualmente previsto dal primo comma, n. 5); c) quando accoglie o rigetta il ricorso principale e l’eventuale ricorso incidentale per manifesta fondatezza o infondatezza ovvero ne dichiara l’inammissibilità per mancanza dei motivi previsti nell’articolo 360, o per difetto dei requisiti previsti dal nuovo art. 366 bis. Tale ultima previsione, nel riprendere, aggiungendo il riferimento al nuovo art. 366 bis, le ipotesi di pronuncia della Corte in camera di consiglio già contemplate dal vigente secondo comma dell’art. 375 (che viene, quindi, abrogato), ne prevede però, innovativamente, la decisione con ordinanza anziché con sentenza.

La nuova disciplina delle sequenze procedimentali necessarie per la decisione in camera di consiglio dettata dall’art. 380 novellato e dal nuovo art. 380 bis, ha infine comportato la conseguente abrogazione dei vigenti terzo e quarto comma dell’art. 375.

 

L’articolo 10 reca l’integrale novella dell’articolo 380 del codice di rito, anch’esso riformulato nell’ottica di coordinamento consentita e ritenuta necessaria dalla legge delega.

Nello specifico, nel primo comma, vengono delineate le sequenze procedimentali necessarie per la decisione in camera di consiglio della Corte e viene precisato che, nelle ipotesi previste dall’articolo 375, comma primo, numeri 1), 2), 3), e 5), così come riformulati dall’articolo 9 del presente decreto, il relatore, nominato dal presidente ai sensi dell’art. 377, se non ritiene che il ricorso sia deciso in udienza, deposita nella cancelleria una relazione contenente una concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in base ai quali ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio.

Vengono altresì previste, nel secondo comma, la fissazione da parte del presidente, con decreto, dell’adunanza, nonché nel terzo comma, le modalità di comunicazione e di notificazione della data di fissazione dell’adunanza e della relazione, i termini entro i quali le parti hanno facoltà di presentare conclusioni scritte e memorie e di chiedere di essere sentiti, se compaiono, nei casi previsti dall’articolo 375, primo comma, numeri 1), 3) e 5).

Nel quarto comma si precisa che nella seduta la Corte delibera sul ricorso con ordinanza, mentre, nel quinto comma, si prevede che la Corte, qualora non ritenga ricorrenti le condizioni per la pronuncia in camera di consiglio, possa rinviare la causa alla pubblica udienza.

La disciplina del procedimento in camera di consiglio dettata dal nuovo articolo 380 c.p.c. (e, con riferimento alle ipotesi di cui all’articolo 375, primo comma, n. 4), dal nuovo articolo 380 bis), sostituisce quella attualmente prevista dall’articolo 138 della Disposizioni di attuazione del codice, articolo di cui è quindi disposta l’abrogazione (vedi l’art. 19, comma 1, lettera c)).

 

L’articolo 11 introduce un nuovo articolo 380 bis nel codice di rito, dettando la disciplina del procedimento per la decisione sulle istanze di regolamento di giurisdizione e di competenza .

In particolare, la norma, nel primo comma, prevede che il presidente, allorquando la Corte sia chiamata a pronunciarsi su istanze di regolamento di giurisdizione e di competenza e se non ritenga di nominare il relatore affinchè esamini il ricorso in vista dell’applicazione dell’articolo 375 c.p.c., richiede direttamente al pubblico ministero le sue conclusioni scritte.

Nel secondo comma, specularmente a quanto previsto nell’articolo 380 c.p.c. novellato, si dettano le modalità di notificazione della data di fissazione dell’adunanza e della conclusioni nonchè i termini entro i quali le parti hanno facoltà di presentare le memorie e di chiedere di essere sentiti, se compaiono, limitatamente al regolamento di giurisdizione.

Nel terzo e ultimo comma viene previsto che non si applica la disposizione del sesto comma dell’articolo 380 ovvero la possibilità per la Corte di rinviare la causa alla pubblica udienza.

 

L’articolo 12 riformula l’articolo 384 c.p.c. attuando, anzitutto, la delega, nella parte relativa alla necessità che la Corte enunci il principio di diritto non solo nell’ipotesi di accoglimento dell’impugnazione e successiva cassazione con rinvio, ma in tutti i casi di accoglimento e di rigetto del ricorso, e con riferimento a tutti i motivi della decisione.

Anche questo allargamento obbedisce all’esigenza di rafforzare l’efficacia della funzione nomofilattica. Esso è indubbiamente destinato ad appesantire il lavoro della Corte, almeno nel breve periodo, ma dovrebbe contribuire ad aumentarne la capacità di incidere sugli orientamenti dei giudici di merito e, quindi, spiegare effetti deflattivi nel medio-lungo periodo. Un più ampio reticolo di principi di diritto, enunciati anche in caso di rigetto dell’impugnazione, dovrebbe infatti scoraggiare la riproposizione di ricorsi già più volte respinti con chiare affermazioni di principio.

Il nuovo testo dell’art. 384 prevede uno smembramento dell’attuale primo comma in tre distinti enunciati.

Nel nuovo primo comma è contenuta la norma di carattere generale, che impone l’enunciazione del principio di diritto quando la Corte decide il ricorso ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 3), e in ogni altro caso in cui risolva una questione di diritto di interesse generale.

Il nuovo secondo comma disciplina l’ipotesi della cassazione con rinvio, senza la preesistente limitazione all’ipotesi di accoglimento del ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Ciò avviene per coordinare tale norma con l’allargamento contenuto nel nuovo primo comma dell’articolo 384, in base al quale l’enunciazione del principio di diritto non è più limitata ai casi rientranti nell’articolo 360, primo comma, n. 3).

Analogamente, il nuovo terzo comma ribadisce la possibilità per la Corte di decidere la causa nel merito, quando non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto, ma implicitamente estende tale possibilità a ipotesi diverse da quelle della violazione o falsa applicazione di norme di diritto. In tal modo, il legislatore delegato ha inteso dare attuazione a un altro principio di delega, quello che appunto indirizzava verso l’estensione delle ipotesi di decisioni nel merito. Non si è, peraltro, ritenuto che le innovazioni apportate all’art. 384 rendessero necessaria una corrispondente modifica dell’art. 143 Disp di att., in cui si stabilisce che la Corte debba enunciare "specificamente", in caso di cassazione con rinvio, il principio di diritto cui il giudice di rinvio deve uniformarsi. La disposizione in parola ha un carattere strettamente operativo e l’invito rivolto alla Corte a formulare il principio di diritto in termini precisi, ha soltanto lo scopo di facilitare l’opera demandata al giudice di rinvio.

A tutela del principio costituzionale del contraddittorio nello svolgimento del processo, si è, infine, previsto, che ogni qual volta la Corte ritenga di porre a fondamento della propria decisione una questione rilevabile d’ufficio, essa debba assegnare alle parti un termine per il deposito di osservazioni in ordine alla questione medesima.

 

L’articolo 13 interviene sull’articolo 385 c.p.c., aggiungendo un quarto comma che rappresenta una applicazione del principio della responsabilità aggravata contenuto nell’articolo 96 c.p.c., in modo da prevederne una specifica attuazione, in funzione di bilanciamento con l’ampliata possibilità di ricorrere alla Suprema corte.

 

L’articolo 14, sostituisce l’articolo 388 c.p.c., prevedendo la trasmissione, da parte del cancelliere della Corte a quello del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, non più della copia del solo dispositivo della sentenza della Corte, ma della sentenza stessa, trasmissione effettuabile anche per via telematica. Tale novella è volta ad assicurare la conoscenza delle pronunce della Corte e, non solo, come è attualmente, dell’esito delle stesse, in funzione di orientamento dei giudici di merito e, dunque, di valorizzazione della funzione nomofilattica della Corte.

 

L’articolo 15 sostituisce i primi tre commi dell’articolo 391 c.p.c.. Il nuovo testo di tali commi prevede, innovativamente, che, quando la Corte non debba decidere altri ricorsi contro lo stesso provvedimento, nel qual caso resta ferma la pronuncia della stessa con sentenza, la pronuncia sulla rinuncia abbia luogo con decreto del presidente, anziché, come attualmente previsto, con ordinanza in camera di consiglio. Ciò con evidente risparmio di attività processuale, in relazione a pronunce sostanzialmente automatiche. E’, peraltro, previsto, che ciascuna delle parti possa chiedere la fissazione dell’udienza nel termine di dieci giorni dalla comunicazione del decreto che, in mancanza di tale richiesta, condannando il rinunciante alle spese, avrà efficacia di titolo esecutivo. La condanna alle spese, con sentenza o con decreto, è resa, inoltre, facoltativa, evitando così un automatismo, attualmente escluso solo dalla adesione alla rinuncia delle altre parti, che può costituire un fattore di remora, per chi intenda rinunciare al ricorso, del tutto estraneo alle motivazioni poste a base della scelta in ordine alla rinuncia medesima.

 

L’articolo 16 modifica l’articolo 391 bis c.p.c. In particolare, la lettera a), col prevedere che la correzione per errore materiale o di calcolo e la revocazione ai sensi dell’art. 395, primo comma, n. 4), può riguardare anche "l’ordinanza pronunciata ai sensi dell’articolo 375, primo comma, n. 4) e 5)", opera il necessario coordinamento rispetto alle modificazioni introdotte nell’articolo 375, primo comma, dall’articolo 9 del presente decreto. La lettera b), sostituendo il secondo comma dell’art. 391 bis, prevede che la pronuncia della Corte in camera di consiglio sui ricorsi de quibus, avvenga secondo il procedimento per le decisioni in camera di consiglio di cui all’articolo 380 c.p.c., nel testo novellato dall’articolo 10 del presente decreto. La lettera c), infine, introducendo due nuovi commi nell’articolo 391 bis, disciplina la forma del provvedimento della Corte, che pronuncerà con ordinanza sul ricorso per correzione dell’errore materiale, mentre, sul ricorso per revocazione, pronuncerà con ordinanza se lo dichiara inammissibile, rinviando altrimenti alla pubblica udienza.

 

L’articolo 17, in attuazione dell’ultimo criterio di delega, introduce l’art. 391 ter nel codice di rito, prevedendo che la sentenza della Corte che ha deciso la causa nel merito, è, altresì, impugnabile per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 6) dell’articolo 395, nonché per opposizione di terzo.

Viene, altresì, precisato che, allorquando la Corte pronuncia la revocazione o accoglie l’opposizione di terzo, decide la causa nel merito nell’ipotesi in cui non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto; in caso contrario, dopo aver pronunciato la revocazione o dichiarata ammissibile l’opposizione di terzo, la Corte rinvia la causa al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata.

 

L’articolo 18, in attuazione del medesimo principio di delega che ha comportato la modifica dell’articolo 360, primo comma, n. 3), introduce, nel codice di rito, l’articolo 420 bis che, sulla falsariga del meccanismo previsto dall’articolo 64 del decreto legislativo numero 165 del 2001, consente l’accertamento pregiudiziale sui contratti o accordi collettivi nazionali. In relazione a tali atti negoziali, il giudice che valuta rilevante, per la definizione della controversia, la questione relativa alla loro efficacia, validità od interpretazione, ritenendo oscura la clausola contrattuale, in quanto può effettivamente dare adito a dubbi interpretativi, emette una sentenza - non definitiva – impartendo distinti provvedimenti per l’ulteriore istruzione o, comunque, per la prosecuzione della causa, fissando una udienza successiva. In corrispondenza all’iter previsto dall’articolo 64 del decreto legislativo numero 165 del 2001 (a seguito del tentativo di componimento interpretativo in sede ARAN), le parti possono impugnare la sentenza solamente con ricorso immediato in cassazione. L’impugnazione sospende il processo, che riprenderà – previa riassunzione delle parti – di fronte allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza. Si applicano, con riguardo alla riassunzione del processo, alla eventuale sospensione di altri processi la cui definizione dipende dalla risoluzione della questione sollevata in altre cause, in ordine ai profili di vincolatività della pronuncia della Cassazione ed alla condanna alle spese, le disposizioni dell’articolo 64 del decreto legislativo numero 165 del 2001: tale richiamo è stato previsto, per ragioni di ordine sistematico, nell’articolo 146 bis delle Disposizioni di attuazione del codice di procedura civile (vedi l’articolo 19, lett. e)).

 

L’articolo 19 interviene sulle Disposizioni di attuazione del c.p.c. modificando, come innanzi illustrato, l’articolo 133 (vedi l’illustrazione dell’art. 2, in fondo) e l’articolo 142 (vedi l’illustrazione dell’art. 8), abrogando l’articolo 138 (vedi l’illustrazione dell’art. 10, in fondo) ed introducendo il nuovo articolo 146 bis (vedi l’illustrazione dell’articolo 18, in fondo).

E’, inoltre, prevista la modifica dell’art. 151, modifica finalizzata ad estendere alle controversie davanti al giudice di pace la previsione che impone oggi al giudice, nelle controversie in materia di lavoro, di previdenza e di assistenza, la riunione dei procedimenti aventi carattere seriale o comunque connessi anche soltanto per identità delle questioni dalla cui risoluzione dipende la decisione.

Anche questa innovazione ha dunque come obiettivo quello di preservare la funzione nomofilattica, nel senso di contenere quantitativamente l’accesso alla Corte.

Detta soluzione, sperimentata efficacemente nel processo del lavoro, oltre ad evitare, anche per le cause promosse davanti al giudice di pace, la spesso fittizia e strumentale moltiplicazione dei procedimenti, consentirà infatti la proposizione di un più ridotto numero di ricorsi per cassazione.

L’intervento sull’art. 151 Disp. att. è poi completato con altre due nuove previsioni: l’una rende più cogente l’obbligo di riunione, prevedendo che la facoltà del giudice di non disporre la riunione quando essa renda troppo gravoso o comunque ritardi eccessivamente il processo, non possa essere esercitata, salve gravi e motivate ragioni, quando le controversie da riunire si trovino nella medesima fase processuale; l’altra, che estende l’obbligo di riunione al giudizio d’appello.

Viene, infine, introdotto, un nuovo art. 134 bis, che, specie alla luce del recentissimo orientamento delle Sezioni unite della Corte in ordine agli adempimenti delle cancellerie nelle ipotesi di morte dell’unico difensore domiciliatario, prevede che i difensori, all’atto del depopsito del ricorso, controricorso o memoria, debbano dichiarare il luogo di residenza o la sede della parte.

Venendo, poi, al capo secondo dedicato alla riforma in senso razionalizzatore della disciplina dell’istituto dell’arbitrato, la nuova formulazione dei capi da I a VI del titolo VIII del libro IV c.p.c. realizzano una riforma complessiva dell’intera materia, secondo i principi espressi nella legge di delega.

In primo luogo, la razionalizzazione della disciplina è perseguita con l’ individuazione della disponibilità dell’oggetto quale unico e sufficiente presupposto dell’arbitrato, salva diversa disposizione di legge.

Si è quindi risolta nel senso più coerente con gli approdi della giurisprudenza e della dottrina più accreditata la problematica dei presupposti delle "controversie arbitrabili" (così la rubrica del nuovo articolo 806). La disponibilità dell’oggetto come unico e sufficiente presupposto dell’arbitrato sposta quindi l’angolo visuale dalle "questioni" che possono essere decise dagli arbitri ai "diritti" controversi. La conseguenza praticamente più rilevante è la tendenziale irrilevanza della circostanza che gli arbitri, nel percorso logico della decisione, debbano affrontare questioni relative a diritti indisponibili; in tal caso, gli arbitri decideranno anche se la decisione riguardi questioni che vertono su materie che non possono formare oggetto di arbitrato, a meno che, come prevede la delega, la questione pregiudiziale non debba essere decisa con efficacia di giudicato in base ad una espressa previsione di legge (art. 819); in quest’ultimo caso, è prevista la sospensione del procedimento (art. 819-bis comma 1 n.2 ).

La nuova intitolazione del capo I ("della convenzione d’arbitrato") sottolineano il ruolo dell’ autonomia negoziale, da cui derivano numerose conseguenze di seguito illustrate.

Le parti possono prevedere espressamente una convenzione d’arbitrato sia in materia contrattuale (art. 808-ter) che in materia non contrattuale (art. 808-bis); per evitare incertezze nell’interpretazione dell’accordo, e per incentivare il più possibile il ricorso all’arbitrato rituale, l’art. 808-ter pretende una chiara esternazione (per iscritto) della volontà di dirimere il contenzioso mediante arbitrato irrituale, rafforzando la volontà delle parti mediante l’annullabilità del lodo contrattuale pronunziato in violazione delle domande e delle regole stabilite dalle parti stesse.

Il rispetto della volontà delle parti e le esigenze di economia processuale sono anche alla base della regola sull’interpretazione del contratto di arbitrato e sulla efficacia della convenzione nel caso in cui il procedimento si concluda senza pronunzia nel merito.

Il decreto legislativo razionalizza le norme in materia di arbitri (capacità, nomina e sostituzione, decadenza, terzietà e responsabilità) mediante una disciplina più completa ed articolata rispetto a quella precedente.

Viene infatti individuato il requisito fondamentale di capacità degli arbitri (possesso della piena capacità legale di agire), le modalità della nomina ed i casi di sostituzione e di decadenza, con l’importante precisazione che l’accettazione dell’incarico non comporta l’assunzione della qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio.

Viene quindi tracciato un quadro relativo alla responsabilità dell’arbitro, incentrato su condotte dolose o gravemente colpose produttive di danno, e munito di una clausola di riserva che limita la responsabilità per dolo o colpa grave ai sensi della dalla legge sulla responsabilità dei magistrati (art. 2 legge 13 aprile 1988 n. 117). Sono inoltre previsti limiti specifici per evitare che la proposizione dell’azione di responsabilità sia piegata a fini indebiti, sia in pendenze del giudizio che dopo la pronunzia del lodo (art. 813-ter),

A garanzia della terzietà del giudice, l’art. 815 disegna un sistema tendenzialmente completo di fattispecie in cui le parti possono ricusare gli arbitri, scoraggiando manovre dilatorie o strumentali attraverso la previsione della condanna al pagamento di una somma a seguito di istanze manifestamente inammissibili o infondate.

I casi di ricusazione elencati nell’art. 815 corrispondono in gran parte a quelli previsti dall’art. 51 c.p.c., opportunamente integrati e rivisitati alla luce delle peculiarità del procedimento arbitrale e dei contesti in cui questo può avere luogo.

Vengono anche regolati i diritti degli arbitri (art. 814), introducendo la reclamabilità dell’ordinanza con cui il Presidente del Tribunale determina spese ed onorari quando le parti non accettino la liquidazione effettuata dagli arbitri.

Per quanto riguarda il procedimento arbitrale, le nuove norme, stabilita qual’è la sede dell’arbitrato (art. 816), prevedono le norme fondamentali per lo svolgimento del procedimento, assegnando un ruolo determinate alla volontà delle parti, le quali possono sostanzialmente prevedere le norme che gli arbitri devono osservare nel procedimento; in tale sede vengono anche previsti i limiti della procura ai difensori e la forma (ordinanza revocabile non soggetta a deposito) con cui gli arbitri decidono le questioni su cui non devono adottare provvedimenti a contenuto decisorio.

Durante l’istruzione probatoria gli arbitri possono avvalersi dell’assistenza giudiziaria nelle forme previste dall’art. 816-ter, nominare consulenti tecnici (non solo persone fisiche) e richiedere informazioni scritte alla p.a. .

Viene quindi disciplinato l’intervento di terzi e la successione del diritto controverso, e alcune conseguenze della morte, estinzione o perdita di capacità della parti; per queste ultime vicende, la norma attribuisce agli arbitri il potere di prendere le misure idonee a garantire l’applicazione del contraddittorio ai fini della prosecuzione del giudizio, contemperando altresì l’interesse delle parti alla prosecuzione del giudizio con quello degli arbitri di non rimanere vincolati senza limiti (806-sexies comma secondo).

In relazione alle questioni di competenza che possono insorgere nel procedimento arbitrale, le nuove norme riaffermano il principio consolidato secondo cui gli arbitri decidono sulla propria competenza, se questa é contestata dinanzi a loro. Inoltre, in applicazione del principio di lealtá processuale e di autoresponsabilità, le nuove norme prevedono rigidi termini di decadenza per eccepire l'incompetenza.

Viene ribadita l’estraneità della tutela cautelare al giudizio arbitrale, e previsti espressamente i casi di sospensione del procedimento arbitrale (819-bis). In relazione alle questioni di merito, viene innanzitutto precisato che gli arbitri possono conoscere dell’eccezione di compensazione nei limiti del valore della domanda, anche se il controcredito non è compreso nell’ambito della convenzione di arbitrato (817-bis); viene poi prevista la normale conoscibilità da parte degli arbitri delle questioni pregiudiziali di merito anche se relative a materie che non possono formare oggetto di convenzione (819). L’art. 819-ter disciplina i rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria.

Per quanto riguarda il termine per la decisione, le nuove norme razionalizzano i tempi pur mantenendo in parte l’assetto normativo previgente. In mancanza di specifico accordo tra le parti, la legge fissa un termine. Ciascuna parte o gli arbitri hanno inoltre la possibilità di chiedere la proroga del termine. E’ inoltre prevista la proroga del termine nei casi previsti dal nuovo art. 820 terzo comma.

La rilevanza del decorso del termine viene stabilita dall’art. 821.

Le norme sulla deliberazione (art. 822) restano sostanzialmente invariate.

Per quanto riguarda la deliberazione ed i requisiti del lodo, non è più prevista la conferenza personale (salva apposita richiesta da parte di un arbitro), mentre è ora richiesta esplicitamente l’indicazione della data delle sottoscrizioni. In armonia con lo spirito della riforma, volto a riconoscere che il lodo, anche non omologato abbia gli stessi effetti di una sentenza, viene espressamente previsto che il lodo produce gli effetti della sentenza pronunciata dall’Autorità giudiziaria dalla data della sua ultima sottoscrizione.

La disciplina delle impugnazioni è improntata, secondo la delega, al principio che la controllabilita' del lodo ai sensi del secondo comma dell'articolo 829 del codice di procedura civile è subordinata alla esplicita previsione delle parti, salvo diversa previsione di legge e salvo il contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico, con la previsione delle ipotesi di pronuncia rescissoria da parte del giudice dell'impugnazione per nullità.

Le ipotesi di pronunzia rescissoria da parte del giudice dell’impugnazione sono indicati negli articoli 829 e 830. In presenza di gravi motivi, l’art. 830 ult. comma prevede che la Corte di Appello possa disporre la sospensione dell’efficacia del lodo.

L’art. 831 prevede e disciplina la revocazione e l’opposizione di terzo.

Viene disciplinato il rinvio a regolamenti arbitrali, con prevalenza della convenzione d’arbitrato nei casi di contrasto tra convenzione d’arbitrato e regolamento arbitrale. Sono previste regole particolari per garantire l’imparzialità delle istituzioni arbitrali. L’art. 832 prevede che, se l’istituzione arbitrale rifiuta di svolgere i compiti che le sono attribuite dal regolamento, la convenzione d'arbitrato mantiene efficacia e il procedimento arbitrale si svolge secondo le regole generali.

Si passa, pertanto, ad esaminare, il contenuto dell’articolato.

 

L’articolo 20, sostituisce il Capo I, dettando le disposizioni che di seguito si illustrano:

 

 

CAPO I

DELLA CONVENZIONE D’ARBITRATO

 

 

art. 806. Controversie arbitrabili

La norma attua un punto fondamentale della delega, prevedendo, come unico e sufficiente presupposto dell'arbitrato, la disponibilità dell'oggetto, salvo espresso divieto di legge.

Viene in tal modo superato l’approccio analitico della norma previgente, dal cui riferimento alla disciplina della transazione, peraltro, era desunto per l’appunto l’ indisponibilità dell’oggetto quale elemento indefettibile dell’ arbitrabilità della controversia.

La disponibilitá va riferita al diritto azionato, non alle questioni che si pongano nel percorso logico-giuridico della decisone, salvo si tratti di questioni che per legge debbano essere decise con autoritá di giudicato.

La disponibilità dei diritti è elemento di fondamentale importanza per garantire la legittimità dell’arbitrato nelle controversie di lavoro, scevro ormai l’istituto dai limiti di ammissibilità previsti dall’art. 808 comma 2° vecchia formulazione, ma ancor munito della garanzia costituita della previsione da parte della o dei contratti o accordi collettivi di lavoro.

 

art. 807. Compromesso

Viene ovviamente mantenuta la necessità della forma scritta, quale ineliminabile elemento a presidio della certezza e della responsabilizzazione delle parti stipulanti.

La norma ribadisce i requisiti di forma previsti nella vecchia formulazione, aggiungendo che la forma scritta si intende rispettata anche qualora la volontà delle parti sia espressa per telefacsimile o messaggio telematico.

 

art. 808. Clausola compromissoria

Le disposizioni sulla clausola compromissoria restano sostanzialmente invariate. E’ stata invece aggiunta la previsione che esclude espressamente l’approvazione specifica, prevista dagli artt. 1341 e 1342 c.c., delle clausole compromissorie contenute in condizioni generali di contratto ovvero in moduli o formulari. Resta in ogni caso impregiudicata l’applicabilità dell’art 1469 bis c.c. nei contratti conclusi tra professionisti e consumatori.

 

art. 808-bis. Convenzione di arbitrato in materia non contrattuale

La norma prevede la possibilità di deferire ad arbitri la risoluzione di controversie attinenti a rapporti non contrattuali, purchè la convenzione si riferisca a controversie future, siano osservati i requisiti di forma previsti dall’art. 807 e i rapporti in parola siano chiaramente individuati.

 

art. 808-ter. Arbitrato irrituale

La norma ribadisce le potenzialità della volontà negoziale in relazione alla composizione delle controversie; viene valutata, in particolare, la possibilitá di realizzare in via negoziale le composizioni di interessi particolari legati a circostanze sopravvenute, che non sarebbero realizzabili mediante un giudizio, sia pur esso di equitá.

Tuttavia, l'articolo 808-ter dispone che la volontá di devolvere la controversia a un arbitrato irrituale debba essere espressa, e per iscritto (808-ter comma1). In tal modo s'intende evitare le frequenti incertezze interpretative manifestatesi in passato, contemporaneamente orientando le parti, nel dubbio, verso l'arbitrato rituale; ciò anche in considerazione del fatto che in un mondo di affari sempre piú aperto ai rapporti internazionali l'arbitrato rituale è più conosciuto (e meglio riconoscibile) all'estero.

La norma prevede poi che il lodo contrattuale sia annullabile dal giudice ordinario competente secondo le disposizioni del libro I (art. 808-ter n.1), in coerenza con la natura negoziale della relativa convenzione.

I casi in cui il giudice potrà annullare il lodo discendono dalla ridetta natura negoziale della convenzione: invalidità della convenzione, pronunzia su conclusioni non previste nella convenzione, laddove la relativa eccezione sia stata sollevata nel procedimento arbitrale (comma 2 n. 1), nomina degli arbitri al di fuori delle forme e dei modi pattuiti (comma 2 n. 2), pronunzia del lodo da parte di arbitro incapace a norma dell’art. 812 (comma 2 n. 3), violazione delle regole poste dalle parti come condizione di validità del lodo (comma 2 n. 4), violazione del principio del contraddittorio (comma 2 n. 5).

Il terzo comma precisa che per il lodo contrattuale, attesa evidentemente la sua natura squisitamente negoziale, non è possibile il depositato e la dichiarazione di esecutorietà.

 

art. 808-quater. Interpretazione della convenzione d’arbitrato

Per ragioni di efficienza operativa e di apertura verso le procedure arbitrali, l'articolo 808-ter dispone che, nel dubbio, la convenzione d'arbitrato dev’ essere interpretata nel senso di includere tutte le controversie che possono derivare dal contratto o dal rapporto cui essa si riferisce.

 

art. 808-quinquies. Efficacia della convenzione d’arbitrato

La norma intende assicurare il rispetto della volontá delle parti di devolvere ad arbitri la decisione della controversia, evitando la caducazione degli effetti della convenzione d’arbitrato nel caso in cui il procedimento arbitrale si concluda senza pervenire ad una pronuncia nel merito.

 

art. 809. Numero e modo di nomina degli arbitri

L’art. 809 disciplina numero e modo di nomina degli arbitri senza apportare significative innovazioni rispetto alla disciplina previgente.

 

L’articolo 21, sostituisce il Capo II, dettando le disposizioni che di seguito si illustrano:

 

 

CAPO II

DEGLI ARBITRI

 

 

art. 810. Nomina degli arbitri

Non vi sono sostanziali modifiche relative al procedimento di nomina degli arbitri. Viene ancora una volta ribadita la competenza del presidente del tribunale a nominare l’arbitro nel caso in cui la parte alla quale è rivolto l’invito a nominare l’arbitro non vi abbia provveduto; precisamente, la parte che ha fatto l’invito può chiedere, mediante ricorso, che la nomina sia fatta dal presidente del tribunale nel cui circondario è la sede dell’arbitrato. Se le parti non hanno ancora determinato tale sede, il ricorso è presentato al presidente del tribunale del luogo in cui è stata stipulata la convenzione di arbitrato oppure, se tale luogo è all’estero, al presidente del tribunale di Roma.

Viene in tal modo confermata la competenza "residuale" del presidente del tribunale di Roma, anche per evitare l’aggravio derivante dall’intervento di altre autorità territorialmente competenti. La norma aggiorna al "circondario" (in luogo della "circoscrizione") il riferimento della competenza territoriale.

Esigenze di economia e di speditezza hanno consigliato l’introduzione di un vaglio preventivo da parte del Presidente del Tribunale competente, in ordine alla nomina degli arbitri, concretizzantesi nel riscontro circa l’ esistenza della convenzione d’arbitrato o circa la sicura previsione di un arbitrato estero.

 

art. 811. Sostituzione di arbitri

La norma non subisce variazioni, eccezion fatta per il riferimento alla convezione d’arbitrato in luogo di quella al compromesso ed alla clausola compromissoria.

 

art. 812. Incapacità di essere arbitro

La norma attua la razionalizzazione dell’arbitrato in relazione alla capacità richiesta per essere arbitri. Il requisito fondamentale è individuato nel possesso della piena capacità di agire.

La rubrica ed il contenuto della norma, evidenziando con la negativa (incapacità ad essere arbitri) la capacità richiesta, ed indicando la categoria generale, esprimono l’ orientamento di maggiore apertura verso la funzione arbitrale, scongiurando anche il rischio, prodotto dalla vecchia formulazione della norma, di produrre vuoti normativi e di mantenere distinzioni inopportune (ad es: cittadini e stranieri).

 

art. 813. Accettazione degli arbitri

Come già l’art. 813 vecchia formulazione, la norma prevede ancora la necessità dell’accettazione per iscritto, risultante anche dalla sottoscrizione del compromesso, estendendola anche alla sottoscrizione del verbale della prima riunione. La norma ha quindi cura di precisare che, accettato l’incarico, l’arbitro non assume la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio.

 

art. 813-bis. Decadenza degli arbitri

La norma ricalca il tenore del previgente articolo 813, con la sola innovazione costituita dall’obbligo per il Presidente del Tribunale di ascoltare anche l’arbitro interessato, prima di provvedere sulla sostituzione di questi.

 

art. 813-ter. Responsabilità degli arbitri

La responsabilità degli arbitri è disciplinata dall'articolo 813-ter in modo analogo alla responsabilitá del giudice, con i necessari adattamenti.

Si dispone che l'arbitro risponde per i danni cagionati alle parti solo per fatti commessi con dolo o colpa grave, indicando sub nn. 1) e 2) specifiche ipotesi di fattispecie omissive.

Fuori di tali casi, il comma 2 contiene la responsabilità per danni per dolo o colpa grave entro i limiti previsti dalla normativa sulla responsabilità del giudice (precisamente, dall’art. 2 della legge 13 aprile 1988 n. 117, commi secondo e terzo).

Per evitare un uso dilatorio e strumentale dell’istanza di ricusazione, e pressioni sugli arbitri, la norma prevede che l’esperibilità dell’azione di responsabilità, in pendenze del giudizio arbitrale, è ammessa solo in caso di omissione o ritardo di atti dovuti posta in essere con dolo o colpa grave, per la quale l’arbitro sia stato dichiarato decaduto; in tal caso, infatti, l’evidenza del fatto riduce grandemente il rischio di strumentalizzazioni.

La norma prevede poi che la stessa proponibilità dell’azione di responsabilità sia correlata ai motivi per cui il lodo sia stato invalidato con sentenza definitiva, passata in giudicato.

Come la responsabilitá del giudice, fuori dai casi di dolo, è contenuta entro un limite commisurato al suo stipendio, così il limite alla responsabilitá dell'arbitro per fatti non dolosi è commisurato a un multiplo del compenso previsto per la sua attivitá: la previsione di un massimale è dettata da esigenze connesse con la natura stessa dell'attivitá richiesta al giudicante, che valgono identicamente nell'arbitrato e nel giudizio ordinario.

Si é ritenuto opportuno, inoltre, chiarire che ciascun arbitro risponde solo del fatto proprio.

La responsabilitá per l'approvazione di un lodo viziato presuppone che, in conseguenza del vizio, il lodo sia stato annullato o revocato.

 

art. 814. Diritti degli arbitri

La norma disciplina il rimborso delle spese e dell’onorario degli arbitri in modo sostanzialmente conforme alla vecchia formulazione dell’art. 814; è stata aggiunta la reclamabilità innanzi alla corte d’Appello dell’ordinanza con cui il presidente del Tribunale determina l’ammontare delle spese e dell’onorario nel caso in cui le parti non accettino la liquidazione delle spese e dell’onorario effettuata dagli arbitri.

 

art. 815. Ricusazione degli arbitri

La norma attua la delega realizzando una disciplina specifica finalizzata a garantire l'indipendenza e l'imparzialità degli arbitri.

Il modello di riferimento è costituito dal sistema tracciato dall’art. 51 c.p.c., riveduto ed integrato alla luce delle peculiarità e delle specifiche esigenze del giudizio arbitrale.

Le integrazioni comprendono la mancanza delle qualifiche convenute dalle parti. Alla generica previsione dell'esistenza dei rapporti di debito e credito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori, che ha reso necessarie precisazioni giurisprudenziali nel senso dell'irrilevanza di crediti o debiti di natura tale da non compromettere l'indipendenza, si è preferito sostituire la specifica previsione di rapporti continuativi di consulenza o di prestazione d'opera retribuita e la previsione generale di altri rapporti di natura patrimoniale tali da compromettere l'indipendenza dell'arbitro.

Degna di nota è la precisazione secondo cui, nei casi previsti sub 5), il rapporto che lega una delle parti e l’arbitro, e che intacca la terzietà di quest’ultimo, può anche essere di natura associativa.

Per scoraggiare iniziative strumentali, la norma prevede che la proposizione dell’istanza di ricusazione non sospende il procedimento arbitrale, ferma restando l’inefficacia dell’attività compiuta dall’arbitro nei casi di accoglimento dell’istanza; inoltre, nel caso di manifesta infondatezza dell’istanza di ricusazione, la parte istante può essere condannata al pagamento di una somma equitativamente determinata non superiore ad un tetto massimo, individuato nel triplo del massimo della tariffa forense applicabile quale compenso dell’arbitro singolo.

 

L’articolo 22, sostituisce il Capo III, dettando le disposizioni che di seguito si illustrano:

 

 

CAPO III

DEL PROCEDIMENTO

 

 

art. 816. Sede dell’arbitrato

L’esigenza di razionalizzazione indicata dalla delega ha consigliato di dedicare apposita norma alla sede dell’arbitrato. La regola stabilita nel nuovo testo dell’art. 816 è che la sede dell’arbitrato sia determinata dalle parti nel territorio della Repubblica, altrimenti vi provvedono gli arbitri; in quest’ultimo caso, a differenza di quanto previsto nella vecchia formulazione, non è più previsto che gli arbitri debbano determinare la sede dell’arbitrato nella loro prima riunione: qui, come altrove, la nuova disciplina intende, per manifeste esigenze di efficienza, evitare che il risultato utile del procedimento arbitrale sia messo nel nulla per ragioni puramente formali e per vizi facilmente rimediabili.

Altro elemento di novità è che se le parti e gli arbitri non hanno determinato la sede dell’arbitrato, questa è nel luogo in cui è stata stipulata la convenzione di arbitrato. Se tale luogo non si trova nel territorio nazionale, la sede è a Roma.

Per favorire la maggiore diffusione del procedimento si è previsto che, ove la convenzione d’arbitrato non disponga diversamente, gli arbitri possono tenere udienza, compiere atti istruttori, deliberare e sottoscrivere il lodo anche in luogo diverso dalla sede dell’arbitrato ed anche all’estero.

 

art. 816-bis Svolgimento del procedimento

La norma costituisce uno dei punti focali della riforma dell’arbitrato.

Celerità, efficacia e funzionalità della procedura, ma soprattutto il rispetto della volontà delle parti di regolare quanto più possibile liberamente la risoluzione della controversa, spiegano l’importanza della scelta lasciata alle parti, circa le norme di procedura e, elemento di novità non indifferente visto l’ambito internazionale dell’arbitrato, sulla lingua dell’arbitrato.

Nel caso in cui le parti non prevedano norme di procedura, il secondo comma dell’art. 816- bis richiede ancor oggi il rispetto del principio del contraddittorio. Il rispetto di tale principio dovrebbe essere ritenuto esigenza ineliminabile del procedimento arbitrale alla luce del nostro sistema costituzionale, e non è senza significato che la violazione del principi del contraddittorio sia previsto come distinto motivo di impugnazione del lodo.

Il terzo comma prevede poi che le parti possano stare in arbitrato per mezzo di difensori, estendendo la procura a qualsiasi atto processuale, ivi compresa la rinuncia agli atti e la determinazione o proroga del termine per la pronuncia del lodo.

Il quarto comma prevede poi diversi elementi di novità. In primo luogo, le parti o gli altri arbitri possono autorizzare il presidente del collegio arbitrale a deliberare le ordinanze circa lo svolgimento del procedimento, in secondo luogo, è previsto che gli arbitri, su tutte le questioni che si presentano nel corso del procedimento, provvedono con ordinanza revocabile non soggetta a deposito se non ritengano di provvedere con lodo non definitivo.

 

art. 816-ter Istruzione probatoria

La norma mantiene la previsione secondo cui l’istruttoria o singoli atti di istruzione possono essere delegati dagli arbitri ad uno di essi.

Viene inserita nella nuova norma il contenuto del vecchio 819-ter, prevedendosi che gli arbitri possono assumere direttamente presso di sé la testimonianza, ovvero deliberare di assumere la deposizione del testimone, ove questi vi consenta, nella sua abitazione o nel suo ufficio, e prevedendosi altresì la possibilità di deliberare di assumere la deposizione richiedendo al testimone di fornire per iscritto risposte a quesiti nel termine che essi stessi stabiliscono.

Ma la novità più importante in ordine all’assunzione della testimonianza, che intende dare attuazione alla delega laddove quest’ultima prevede "adeguate forme di assistenza giudiziaria", è la previsione secondo cui, se un testimone rifiuta di comparire davanti agli arbitri, questi, quando lo ritengono opportuno secondo le circostanze, possono richiedere al Presidente del Tribunale della sede dell’arbitrato, che ne ordini la comparizione davanti a loro; in tal caso, il termine per la pronuncia del lodo è sospeso dalla data dell’ordinanza alla data fissata per l’assunzione della testimonianza.

In relazione alla possibilità di avvalersi di consulenti tecnici, si è precisato che la consulenza tecnica può essere affidata non solo a persone fisiche, ma anche ad enti, quali -ad esempio- societá di revisione, istituti universitari, istituti di ricerca.

Altra novità è la facoltà espressamente riconosciuta in favore degli arbitri di chiedere informazioni scritte alla p.a..

 

art. 816-quater. Pluralità di parti

La norma introduce una specifica disciplina relativa all’arbitrato con pluralità di parti, atta a garantire, come stabilito dalla delega, il rispetto della volontà originaria o successiva delle parti nella nomina degli arbitri, ed il rispetto dei principi fondamentali dell'istituto in ordine alla successione nel diritto controverso ed alla partecipazione dei terzi al processo arbitrale.

La norma si apre delimitando la fattispecie in relazione al vincolo derivante dalla stessa convenzione, ricomprendendo quindi sia la successione nel processo che nel diritto controverso (in quest’ultimo caso gli effetti della convenzione di arbitrato si estendono al soggetto od ai soggetti che subentrano nel contratto).

La norma ammette dunque esplicitamente la possibilitá di convenire piú parti (tutte o alcune delle altre) nel medesimo arbitrato alla doppia condizione a) che tutte siano vincolate dalla convenzione arbitrale e b) che la convenzione d’arbitrato devolva a un terzo la nomina degli arbitri, o gli arbitri sono nominati con l’accordo di tutte le parti, ovvero se le altre parti, dopo che la prima ha nominato l’arbitro o gli arbitri, nominano d’accordo o affidano a un terzo la nomina di un ugual numero di arbitri. Altrimenti, il procedimento iniziato da una parte nei confronti di piú altre si scinde in tanti procedimenti quante sono queste ultime, tranne che si versi in un'ipotesi di litisconsorzio necessario, nel qual caso l'arbitrato è improcedibile.

 

art. 816-quinquies. Intervento di terzi e successione nel diritto controverso

L’intervento volontario o la chiamata in arbitrato di un terzo richiede l'accordo del terzo, delle parti e degli arbitri, mentre la successione a titolo particolare nel diritto controverso é disciplinata allo stesso modo che nel giudizio ordinario, mediante rinvio all’art. 111 c.p.a..

 

art. 816-sexies. Morte, estinzione o perdita di capacità della parte

La norma prevede che se la parte viene meno per morte, estinzione o altra causa, ovvero perde la capacità legale, gli arbitri assumono le misure idonee a garantire l’applicazione del contraddittorio ai fini della prosecuzione del giudizio. In tal caso, gli arbitri possono anche sospendere il procedimento. Per evitare un eccessivo appesantimento del vincolo che gli arbitri assumono accettando l’incarico, la norma prevede che, nel caso in cui nessuna delle parti ottemperi alle disposizioni degli arbitri per la prosecuzione del giudizio, gli arbitri possano rinunciare all’incarico.

 

art. 816-septies. Anticipazione delle spese

La norma intende garantire agli arbitri il pagamento delle spese prevedibili, consentendo loro di subordinare la prosecuzione del procedimento al versamento anticipato delle spese prevedibili,e, salvo diverso accordo delle parti, di determinare la misura dell’anticipazione a carico di ciascuna parte; la norma prevede che, se una delle parti non presta l’anticipazione richiestale, l’altra può anticipare la totalità delle spese. Se poi le parti non provvedono all’anticipazione, la norma prevede che esse non sono più vincolate alla convenzione di arbitrato con riguardo alla controversia che ha dato origine al procedimento arbitrale.

 

art. 817. Eccezione d’incompetenza

La norma riafferma il principio consolidato, secondo il quale gli arbitri decidono sulla propria competenza, se questa é contestata dinnanzi a loro. Inoltre, in applicazione del principio di lealtá processuale (poi ripreso nella norma relativa ai casi di annullamento), nonché di un elementare principio di autoresponsabilità, la norma dispone che l'eccezione d'incompetenza degli arbitri deve essere proposta, dopo l’accettazione degli arbitri, prima di ogni difesa, salvo che l'incompetenza derivi dalla non arbitrabilitá della controversia. Parallelamente, l'articolo 819-ter dispone che anche nel giudizio ordinario l'eccezione d'incompetenza dev’essere proposta dal convenuto, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta.

 

art. 817 bis. Compensazione

La norma prevede che gli arbitri possono conoscere dell’eccezione di compensazione nei limiti del valore della domanda, anche se il controcredito non è compreso nell’ambito della convenzione di arbitrato. In tal modo sono assicurate esigenze di economia, ed è favorita la composizione dei contrapposti interessi in contesti più ampi di quello inizialmente segnati dalla domanda; la prassi insegna infatti che l’evolversi del procedimento arbitrale può portare ad una moltiplicazione delle domande, che le esigenze del mondo degli affari suggeriscono di risolvere il più velocemente possibile, nello stesso procedimento.

 

art. 818. Provvedimenti cautelari

La norma ribadisce la tendenziale estraneità della tutela cautelare alla struttura ed alle potenzialità dell’arbitrato, salva diversa disposizione di legge.

 

art. 819. Questioni pregiudiziali di merito

Sulle questioni pregiudiziali di merito l'articolo 819, raccogliendo l'auspicio espresso da gran parte della dottrina, dispone che gli arbitri risolvono senza autoritá di giudicato tutte le questioni rilevanti per la decisione della controversia, anche se vertono su materie non arbitrabili, salva solo l'ipotesi che si tratti di questione che per legge deve essere decisa con autoritá di giudicato; in questo caso è prevista e disciplinata la sospensione del procedimento arbitrale.

 

art. 819 bis. Sospensione del procedimento arbitrale

La norma introduce il meccanismo della sospensione del procedimento arbitrale, raccordandolo con il sistema processuale civile; la norma prevede i casi di sospensione e il meccanismo mediante il quale, a seguito della sospensione, il processo prosegue ovvero si estingue.

 

art. 819-ter. Rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria

L'articolo 819-ter riprende la regola secondo la quale la competenza degli arbitri non è esclusa dalla connessione tra la controversia ad essi deferita ed una causa pendente davanti al giudice (art. 819-bis previgente), precisando ulteriormente che la competenza degli arbitri non è esclusa neppure dalla pendenza davanti al giudice della stessa causa; il quarto comma precisa anzi che nei rapporti tra arbitrato e processo giudiziario non si applicano regole corrispondenti agli articoli 44, 45, 48, 50 e 295; non è dunque applicabile la disciplina della sospensione.

La sentenza, con la quale il giudice afferma o nega la propria competenza in relazione a una convenzione d’arbitrato, è impugnabile a norma degli articoli 42 e 43.

Inoltre, per impedire azioni pretestuose, il quinto comma dispone che in pendenza del procedimento arbitrale non possono essere proposte domande giudiziali aventi ad oggetto l’invaliditá o l’inefficacia della convenzione di arbitrato.

 

L’articolo 23, sostituisce il Capo IV, dettando le disposizioni che di seguito si illustrano:

 

 

CAPO IV

DEL LODO

 

art. 820 Termine per la decisione.

Le parti possono concordare un termine per la decisione; se le parti non hanno fissato il termine, è previsto che gli arbitri devono pronunziarsi entro duecentoquaranta giorni dall’accettazione della nomina.

E’ inoltre prevista la proroga del termine su concorde richiesta di tutte le parti o mediante ordinanza del Presidente del Tribunale, su istanza motivata di una delle parte o degli arbitri.

Infine, vengono individuati particolari casi che provocano inevitabilmente l’allungamento dei tempi per la pronunzia del lodo, in presenza dei quali è prevista la proroga del termine per la decisione. Per evitare un numero imprecisato ed imprevedibile di proroghe è stata limitata tale possibilità ad una sola volta (per centottanta giorni) con riferimento a ciascuna ipotesi o serie di ipotesi individuate nelle lettere a), b), c) e d) del comma 3.

 

art. 821 Rilevanza del decorso del termine

E’ mantenuta la regola attuale che esclude la possibilità di far valere, come causa di nullità del lodo, la decadenza degli arbitri per decorso del termine dopo che questi abbiano deliberato il lodo sottoscrivendone il dispositivo.

 

art. 822 Norme per la deliberazione

E’ mantenuta la regola attuale, secondo la quale gli arbitri decidono secondo diritto, salvo che le parti abbiano disposto con qualsiasi espressione che gli arbitri possano pronunciare secondo equità.

 

art. 823. Deliberazione e requisiti del lodo.

Il lodo dev’ essere deliberato a maggioranza di voti con la partecipazione di tutti gli arbitri e redatto per iscritto, mentre non è più richiesta necessariamente la conferenza personale, che spesso costituiva un inutile appesantimento soprattutto nei casi di accordo tra gli arbitri. E’stata, però, introdotta la possibilità per ciascun arbitro di chiedere che il lodo, o una parte di esso, sia deliberato in conferenza personale.

E’ stata mantenuta la previsione dei requisiti formali del lodo (comma 2 n. 1, 2,3,4,5,6 e7, mentre viene ora prevista l’indicazione della data delle sottoscrizioni degli arbitri.

 

art. 824 Originali e copie del lodo.

E’ stabilito che gli arbitri diano comunicazione del lodo a ciascuna parte mediante consegna in originale o di una copia conforme all’originale.

 

art. 824-bis Efficacia del lodo.

In piena armonia con lo spirito della riforma, volto a riconoscere che il lodo, anche non omologato, abbia gli stessi effetti di una sentenza, viene espressamente previsto che il lodo produce gli effetti della sentenza pronunciata dall’Autorità giudiziaria dalla data della sua ultima sottoscrizione.

art. 825 deposito del lodo.

La norma conserva l’attuale procedura per il conseguimento dell’esecutorietà del lodo nel territorio della Repubblica, mediante decreto reso dal Tribunale previo accertamento della regolarità formale dello stesso. Parimenti, viene ribadito l’obbligo di trascrivere o annotare il lodo reso esecutivo in tutti quei casi in cui lo sarebbe la sentenza avente il medesimo contenuto.

Al quarto comma viene chiarito che il reclamo avverso il decreto di esecutorietà del Tribunale è consentito non solo nel caso in cui venga negata, ma anche nell’ipotesi in cui venga concessa l’esecutorietà del lodo. Inoltre il Giudice del reclamo viene individuato nella Corte di Appello.

 

art. 826. Correzione del lodo

Viene più dettagliatamente disciplinato il procedimento di correzione del lodo.

In primo luogo, al fine di economia dei giudizi, si estende la possibilità di correzione del lodo non solo in caso di qualsiasi errore redazionale o di calcolo ma anche in caso errore materiale che abbia "determinato una divergenza tra diversi originali del lodo anche quanto alla sottoscrizione degli arbitri".

Viene disciplinata l’ipotesi in cui, per qualsiasi ragione, gli arbitri non provvedano sull’istanza di correzione che in tal caso andrà proposta al tribunale nel cui circondario ha sede l’arbitrato. Viene invece mantenuta la regola secondo cui una volta depositato il lodo, la correzione spetta al tribunale investito del deposito.

La correzione del lodo può essere chiesta agli arbitri entro un anno, e questi, sentite le parti, provvedono sull’istanza entro il termine di sessanta giorni.

 

L’articolo 24, sostituisce il Capo V, dettando le disposizioni che di seguito si illustrano:

 

 

CAPO V

DELLE IMPUGNAZIONI

 

 

art. 827 Mezzi di impugnazione

La norma prevede l’impugnazione per nullità, revocazione ed opposizione di terzo, precisando ora che il lodo che decide parzialmente il merito della controversia è immediatamente impugnabile, ma se il lodo risolve alcune delle questioni insorte senza definire il giudizio arbitrale, esso è impugnabile solo unitamente al lodo definitivo

 

art. 828 Impugnazione per nullità

La norma prevede che l’impugnazione per nullità si propone nel termine di novanta giorni dalla notificazione del lodo, davanti alla Corte d’appello nel cui distretto è la sede dell’arbitrato, e che essa non è più proponibile decorso un anno dalla data dell’ultima sottoscrizione. Il terzo comma precisa inoltre che l’istanza per la correzione del lodo non sospende il termine per l’impugnazione, e che tuttavia il lodo può essere impugnato relativamente alle parti corrette nei termini ordinari, a decorrere dalla comunicazione dell’atto di correzione.

 

art. 829 Casi di nullità

L’impugnazione del lodo per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa solo se espressamente disposta dalle parti e dalla legge.

Tuttavia, l’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia, è sempre ammissibile nelle controversie di cui all’articolo 409 c.p.c. e qualora la violazione delle regole di diritto concerna la soluzione di questioni pregiudiziali su materie che non possono formare oggetto di convenzione di arbitrato. Nelle controversie previste dall’articolo 409 cpc il lodo è soggetto anche all’impugnazione per violazione dei contratti e degli accordi collettivi.

E’ ammessa però in ogni caso l’impugnazione delle decisioni per contrarietà all’ordine pubblico.

Si valorizza il principio di lealtà processuale, secondo il quale la parte che ha dato causa ad un motivo di annullamento, o vi ha espressamente rinunciato o che non ha eccepito, nella prima istanza o difesa successiva, la violazione di una delle regole che disciplina lo svolgimento del procedimento arbitrale, non può per queste ragioni impugnare il lodo.

Per quanto riguarda i singoli casi di nullità, questi ricalcano in gran parte quelli vigenti. Tra le novità, si segnala quella per cui viene espressamente previsto, quale motivo d’ impugnazione, il caso in cui il lodo non decide il merito della controversia che invece doveva essere deciso.

 

art. 830 Decisione sull’impugnazione per nullità

Il legislatore ha cercato di contemperare due opposte esigenze: da una parte, quella di riservare agli arbitri, fin dove è possibile, la decisione sul merito della controversia, dall’altra, quella di evitare l’eccessiva dilatazione dei tempi della decisione nei casi in cui la Corte di Appello possa senz’altro definire la controversia; la prima esigenza scaturisce dal fatto che la parti hanno comunque scelto la via dell’arbitrato e sarebbe controproducente disperdere il patrimonio di conoscenze degli arbitri; l’altra esigenza vuole evitare l’allungamento dei tempi della decisione derivante dalla rimessone agli arbitri, ma anche la possibilità che il lodo possa essere nuovamente rimesso in discussione.

Ne è derivata la norma secondo cui la Corte d’appello decide sull’impugnazione per nullità e, se l’accoglie, annulla con sentenza il lodo (830 primo comma), mentre, se il lodo è annullato per i motivi di cui all’art. 829, commi primo, numeri 5), 6), 7), 8), 9), 11) o 12), terzo, quarto o quinto, la Corte d’appello decide la controversia nel merito salvo che le parti non abbiano stabilito diversamente nella convenzione di arbitrato o con accordo successivo (830 secondo comma).

Recependo poi il principio della delega che prevede la tendenziale estensione della disciplina dell’arbitrato internazionale, salvi gli opportuni adattamenti, l’art. 830 comma secondo seconda parte prevede che se una delle parti, alla data della sottoscrizione della convenzione di arbitrato, risiede o ha la propria sede effettiva all’estero, la Corte d’appello decide la controversia nel merito solo se le parti hanno così stabilito nella convenzione di arbitrato o gliene fanno concorde richiesta.

Con riferimento alla sospensione dell’efficacia del lodo, viene espressamente previsto che possa farsi luogo a tale evenienza soltanto qualora ricorrano gravi motivi, su istanza di parte anche successiva alla proposizione dell’impugnazione.

 

art. 831 Revocazione ed opposizione di terzo.

L’articolo ripropone sostanzialmente le norme vigenti in materia di impugnazione del lodo per revocazione ed opposizione di terzo, salvo alcune correzioni formali imposte dalla riformulazione degli articoli precedenti.

Unico aspetto degno di rilievo riguarda la restrizione della possibilità di riunire le impugnazione per nullità, revocazione ed opposizione di terzo nei casi in cui lo stato della causa preventivamente proposta non consenta l’esauriente trattazione e decisione delle altre.

 

L’articolo 25, sostituisce il Capo VI, dettando le disposizioni che di seguito si illustrano:

 

 

CAPO VI

DELL’ARBITRATO SECONDO REGOLAMENTI PRECOSTITUITI

 

 

art. 832. Rinvio a regolamenti arbitrali

Per il caso in cui la convenzione d'arbitrato faccia rinvio a un regolamento arbitrale precostituito l'articolo 834 dispone che, nel contrasto fra quella e questo, prevalga la convenzione d'arbitrato; precisa, inoltre, che si applica il regolamento in vigore alla data d'inizio del procedimento arbitrale, se le parti non hanno diversamente convenuto.

A garanzia dell'imparzialitá del giudizio é disposto che le istituzioni arbitrali di carattere associativo e quelle costituite per la rappresentanza degli interessi di categorie professionali, non possono nominare arbitri nelle controversie fra i propri associati o fra gli appartenenti alla categoria professionale e i terzi. Per realizzare meglio il principio di imparzialità in relazione alle peculiarità dei settori in cui l’arbitro può essere amministrato dalle istituzioni in argomento, la norma prevede che il regolamento può contemplare ulteriori casi di sostituzione e ricusazione in aggiunta a quelli previsti dalla legge.

E' precisato, infine, che se l'istituzione arbitrale rifiuta di amministrare l’arbitrato, la convenzione d'arbitrato mantiene efficacia e il procedimento arbitrale si svolge secondo le regole sopra descritte.

 

Si passa, infine, ad illustrare il capo III, contenente le disposizioni finali

 

L’articolo 26 procede, in primo luogo, all’abrogazione dell’art. 23, ultimo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, il quale attualmente stabilisce che la sentenza resa all’esito del giudizio di opposizione è inappellabile ma è ricorribile per cassazione.

Questa abrogazione determina il ripristino del regime ordinario delle impugnazioni in questa materia: le sentenze rese dal giudice di pace saranno appellabili davanti al tribunale, mentre le sentenze pronunciate dal tribunale nelle materie ad esso riservate dall’art. 22 bis della legge 689/81 e da altre disposizioni, lo saranno davanti alla corte d’appello.

Nella medesima prospettiva, è prevista l’appellabilità dell’ordinanza di cui al primo comma dell’art. 23 della legge n. 689 del 1981.

Nei residui giudizi di opposizione, che la legge attualmente attribuisce in primo grado alla competenza della corte d’appello, resta naturalmente ferma la ricorribilità per cassazione.

 

L’articolo 27 contiene la Disposizione transitoria, con il regime intertemporale relativo applicazione sia delle nuove disposizioni sul processo di cassazione, sia di quelle relative all’arbitrato.

 

L’articolo 28 dispone l’abrogazione degli articoli del codice di rito relativi all’arbitrato internazionale.

 

L’articolo 29 reca la clausola di copertura finanziaria, prevedendo che dall’attuazione del presente decreto non derivano nuovi o maggiori oneri a carico dell’erario.

 

 


Articoli

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

 

VISTI gli articoli 76 e 87 della Costituzione;

 

VISTA la legge 14 maggio 2005, n. 80, concernente delega al Governo per l'emanazione di un decreto legislativo recante modificazioni al codice di procedura civile di cui al regio decreto 28 ottobre 1940, n.1443, in materia di giudizio in cassazione e di arbitrato;

 

VISTI il regio decreto n.1443 del 1940, recante Approvazione del Codice di procedura civile ed il regio decreto 18 dicembre 1941, n.1368, recante Disposizioni per l’attuazione del Codice di procedura civile e disposizioni transitorie;

 

VISTA la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 15 luglio 2005;

 

ACQUISITO il parere dell’Assemblea generale della Corte suprema di cassazione a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge n.80 del 2005 ...........;

 

ACQUISITI i pareri delle competenti Commissioni parlamentari della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica .............;

 

VISTA la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del ...........;

 

SULLA PROPOSTA del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;

 

E M A N A
il seguente decreto legislativo:

Capo I - MODIFICAZIONI AL CODICE DI PROCEDURA CIVILE IN MATERIA DI PROCESSO DI CASSAZIONE IN FUNZIONE NOMOFILATTICA

Art. 1

(Modifiche all'articolo 339)

1. Il terzo comma dell'articolo 339 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

 

"Sono, altresì, inappellabili le sentenze del giudice di pace pronunziate secondo equità a norma dell'articolo 113, secondo comma, tranne che per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia.".

 

Art. 2

(Modifiche all'articolo 360)

1. L'articolo 360 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

 

"Articolo 360 (Sentenze impugnabili e motivi di ricorso). Le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione:

1) per motivi attinenti alla giurisdizione;

2) per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza;

3) per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro;

4) per nullità della sentenza o del procedimento;

5) per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio.

Può inoltre essere impugnata con ricorso per cassazione una sentenza appellabile del tribunale, se le parti sono d'accordo per omettere l'appello; ma in tal caso l'impugnazione può proporsi soltanto a norma del primo comma, n3.

Non sono immediatamente impugnabili con ricorso per cassazione le sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio. Il ricorso per cassazione avverso tali sentenze può essere proposto, senza necessità di riserva, allorché sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio.

Le disposizioni di cui al primo comma e terzo comma si applicano alle sentenze ed ai provvedimenti diversi dalla sentenza contro i quali è ammesso il ricorso per cassazione per violazione di legge.".

 

 

Art. 3

(Modifiche all'articolo 361)

1. Il primo comma dell'articolo 361 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

 

"Contro le sentenze previste dall'articolo 278 e contro quelle che decidono una o alcune delle domande senza definire l'intero giudizio, il ricorso per cassazione può essere differito, qualora la parte soccombente ne faccia riserva, a pena di decadenza, entro il termine per la proposizione del ricorso, e in ogni caso non oltre la prima udienza successiva alla comunicazione della sentenza stessa.".

 

Art. 4

(Modifiche all'articolo 363)

1. L'articolo 363 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

 

"Articolo 363 (Principio di diritto nell'interesse della legge). "Quando le parti non hanno proposto ricorso nei termini di legge o vi hanno rinunciato, ovvero quando il provvedimento non è ricorribile in cassazione e non è altrimenti impugnabile, il Procuratore generale presso la Corte di cassazione può chiedere che la Corte enunci nell'interesse della legge il principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi.

La richiesta del procuratore generale, contenente una sintetica esposizione del fatto e delle ragioni di diritto poste a fondamento dell'istanza, è rivolta al primo presidente, il quale può disporre che la Corte si pronunci a sezioni unite se ritiene che la questione è di interesse generale.

Il principio di diritto può essere pronunciato dalla Corte anche d'ufficio, quando il ricorso proposto dalle parti è dichiarato inammissibile, se la Corte ritiene che la questione decisa è di interesse generale.

La pronuncia della Corte non ha effetto sul provvedimento del giudice di merito.".

 

Art. 5

(Modifiche all'articolo 366)

1. L'articolo 366 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

 

"Articolo 366 (Contenuto del ricorso). Il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità:

1) l'indicazione delle parti;

2) l'indicazione della sentenza o decisione impugnata;

3) l'esposizione sommaria dei fatti della causa;

4) i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l'indicazione delle norme di diritto su cui si fondano, secondo quanto previsto dall'articolo 366 bis;

5) l'indicazione della procura, se conferita con atto separato e, nel caso di ammissione al gratuito patrocinio, del relativo decreto.

6) la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda nonché della loro specifica collocazione nei fascicoli dei precedenti gradi. L'indicazione è consentita solo per gli atti ed i documenti depositati con le modalità di cui all'articolo 369, secondo comma, n. 4.

Se il ricorrente non ha eletto domicilio in Roma, le notificazioni gli sono fatte presso la cancelleria della Corte di cassazione.

Nel caso previsto nell'articolo 360, secondo comma l'accordo delle parti deve risultare mediante visto apposto sul ricorso dalle altre parti o dai loro difensori muniti di procura speciale, oppure mediante atto separato, anche anteriore alla sentenza impugnata, da unirsi al ricorso stesso.

Le comunicazioni della cancelleria e le notificazioni tra i difensori di cui agli articoli 372 e 390 sono fatte al numero di fax o all'indirizzo di posta elettronica indicato in ricorso dal difensore che così dichiari di volerle ricevere. Si applicano le disposizioni richiamate dal secondo comma dell'articolo 176.".

 

Art. 6

(Articolo 366-bis)

1. Dopo l'articolo 366 del codice di procedura civile è inserito il seguente:

 

" Articolo 366-bis. (Formulazione dei motivi). Nei casi previsti dall'articolo 360, primo comma, numeri 1, 2, 3 e 4 l'illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che consenta alla Corte di enunciare un corrispondente principio di diritto.

Nel caso previsto dall'articolo 360, primo comma, n.5, l'illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.".

 

Art. 7

(Modifiche all'articolo 369)

1. Il numero 4 del secondo comma dell'articolo 369 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

 

"n.4 gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda.".

 

Art. 8

(Modifiche all'articolo 374)

1.L'articolo 374 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

 

"Articolo374 (Pronuncia a sezioni unite). La Corte pronuncia a sezioni unite nei casi previsti nel n. 1 dell'articolo 360 e nell' articolo 362. Tuttavia, tranne che nei casi di impugnazione delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, il ricorso può essere assegnato alle sezioni semplici, se sulla questione di giurisdizione proposta si sono già pronunciate le sezioni unite.".

Inoltre il primo presidente può disporre che la Corte pronunci a sezioni unite sui ricorsi che presentano una questione di diritto già decisa in senso difforme dalle sezioni semplici, e su quelli che presentano una questione di massima di particolare importanza.

Il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite vincola le sezioni semplici. Se la sezione semplice ritiene di non condividere il principio, rimette alle sezioni unite, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso.

In tutti gli altri casi la Corte pronuncia a sezione semplice.".

 

Art. 9

(Modifiche all'articolo 375)

.All'articolo 375 del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modifiche:

 

a) i numeri 2), 3), 4) e 5) del primo comma sono sostituiti dai seguenti:

"2) ordinare l'integrazione del contraddittorio o disporre che sia eseguita la notificazione dell'impugnazione a norma dell'articolo 332 ovvero che sia rinnovata;

3) provvedere in ordine all'estinzione del processo in ogni caso diverso dalla rinuncia;

4) pronunciare sulle istanze di regolamento di competenza e di giurisdizione;

5) accogliere o rigettare il ricorso principale e l'eventuale ricorso incidentale per manifesta fondatezza o infondatezza, ovvero dichiararne l'inammissibilità per mancanza dei motivi previsti nell'articolo 360 o per difetto dei requisiti previsti dall'articolo 366 bis.".

b) i commi secondo, terzo e quarto sono abrogati.".

 

Art. 10

(Modifiche all'articolo 380)

1. L'articolo 380 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

 

"Articolo380 (Procedimento per la decisione in camera di consiglio). Il relatore nominato ai sensi dell'articolo 377, se, ricorrendo le ipotesi previste dall'articolo 375, primo comma, numeri 1), 2), 3) e 5), non ritiene che il ricorso sia deciso in udienza, deposita in cancelleria una relazione con la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e diritto in base ai quali ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio.

Il presidente fissa con decreto l'adunanza della Corte.

Almeno venti giorni prima della data stabilita per l'adunanza il decreto e la relazione sono comunicati al pubblico ministero e notificati agli avvocati delle parti, i quali hanno facoltà di presentare, il primo, conclusioni scritte, ed i secondi, memorie, non oltre cinque giorni prima e di chiedere di essere sentiti, se compaiono, nei casi previsti dall'articolo 375, primo comma, numeri 1), 3) e 5).

Nella seduta la Corte delibera sul ricorso con ordinanza.

Se ritiene che non ricorrono le ipotesi previste all'articolo 375 la Corte rinvia la causa alla pubblica udienza.

 

Art. 11

(Articolo 380-bis)

1. Dopo l'articolo 380 del codice di procedura civile è aggiunto il seguente:

 

"Articolo 380 bis. (Procedimento per la decisione sulle istanze di regolamento di giurisdizione e di competenza). Nei casi previsti dall'articolo 375, primo comma, numero 4), il presidente, se non provvede ai sensi dell'articolo 380, primo comma, richiede al pubblico ministero le sue conclusioni scritte.

Le conclusioni ed il decreto del presidente che fissa l'adunanza sono notificati, almeno venti giorni prima, agli avvocati delle parti, che hanno facoltà di presentare memorie non oltre cinque giorni prima e di chiedere di essere sentiti, se compaiono, limitatamente al regolamento di giurisdizione.

Non si applica la disposizione del sesto comma dell'articolo 380.".

 

Art. 12

(Modifiche all'articolo 384)

1. L'articolo 384 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

 

"Articolo 384. (Enunciazione del principio di diritto e decisione della causa nel merito). La Corte enuncia il principio di diritto quando decide il ricorso proposto a norma dell'articolo 360, primo comma, n.3, e in ogni altro caso in cui, decidendo su altri motivi del ricorso, risolve una questione di diritto di interesse generale.

La Corte, quando accoglie il ricorso, cassa la sentenza rinviando la causa ad altro giudice, il quale deve uniformarsi al principio di diritto e, comunque, a quanto statuito dalla Corte.

La Corte, quando accoglie il ricorso, decide la causa nel merito qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto.

Se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d'ufficio, la Corte assegna con ordinanza alle parti un termine per il deposito di osservazioni sulla medesima questione.

Non sono soggette a cassazione le sentenze erroneamente motivate in diritto, quando il dispositivo sia conforme al diritto; in tal caso la Corte si limita a correggere la motivazione.

 

Art. 13

(Modifiche all'articolo 385)

1. All'articolo 385 del codice di procedura civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:

 

"Quando pronuncia sulle spese, anche nelle ipotesi di cui all'articolo 375, la Corte, anche d'ufficio, condanna, altresì, la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma, equitativamente determinata, non superiore al doppio dei massimi tariffari, se ritiene che essa ha proposto il ricorso o vi ha resistito anche solo con colpa grave."

 

Art. 14

(Modifiche all'articolo 388)

1. L'articolo 388 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

 

"Articolo 388. (Trasmissione di copia del dispositivo al giudice di merito). Copia della sentenza è trasmessa dal cancelliere della Corte a quello del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, affinché ne sia presa nota in margine all'originale di quest'ultima. La trasmissione può avvenire anche in via telematica.

 

Art. 15

(Modifiche all'articolo 391)

1. I primi tre commi dell'articolo 391 del codice di procedura civile sono sostituiti dai seguenti:

 

"Sulla rinuncia la Corte provvede con sentenza quando deve decidere altri ricorsi contro lo stesso provvedimento, altrimenti provvede il presidente con decreto.

Il decreto o la sentenza che provvede sulla rinunzia può condannare il rinunciante alle spese.

Il decreto ha efficacia di titolo esecutivo se nessuna delle parti chiede la fissazione dell'udienza nel termine di dieci giorni dalla comunicazione.".

 

Art. 16

(Modifiche all'articolo 391-bis)

1. All'articolo 391 bis del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modifiche:

 

a) al primo comma, dopo le parole: "Se la sentenza" sono aggiunte le seguenti: "o l'ordinanza pronunciata ai sensi dell'articolo 375, primo comma, numeri 4) e 5),";

b) il secondo comma è sostituito dal seguente: "La Corte decide sul ricorso in camera di consiglio nell'osservanza delle disposizioni di cui all'articolo 380.".

c) dopo il secondo comma sono aggiunti i seguenti: "Sul ricorso per correzione dell'errore materiale pronuncia con ordinanza.

Sul ricorso per revocazione pronuncia con ordinanza se lo dichiara inammissibile, altrimenti rinvia alla pubblica udienza.".

 

Art. 17

(Modifiche all'articolo 391-ter)

1. Dopo l'articolo 391-bis del codice di procedura civile è inserito il seguente:

 

" Articolo 391-ter. (Altri casi di revocazione ed opposizione di terzo). Il provvedimento con il quale la Corte ha deciso la causa nel merito è, altresì, impugnabile per revocazione per i motivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell'articolo 395 e per opposizione di terzo. I relativi ricorsi si propongono alla stessa Corte e debbono contenere gli elementi, rispettivamente, degli articoli 398, commi secondo e terzo, e 405, comma secondo.

Quando pronuncia la revocazione o accoglie l'opposizione di terzo, la Corte decide la causa nel merito qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto; altrimenti, pronunciata la revocazione ovvero dichiarata ammissibile l'opposizione di terzo, rinvia la causa al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata.".

 

Art. 18

(Articolo 420-bis)

1. Dopo l'articolo 420 del codice di procedura civile è inserito il seguente:

 

"Articolo 420 bis. (Accertamento pregiudiziale sull'efficacia, validità ed interpretazione dei contratti e accordi collettivi.) Quando per la definizione di una controversia di cui all'articolo 409 è necessario risolvere in via pregiudiziale una questione concernente l'efficacia, la validità o l'interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale, il giudice decide con sentenza tale questione, impartendo distinti provvedimenti per l'ulteriore istruzione o, comunque, per la prosecuzione della causa fissando una successiva udienza in data non anteriore a novanta giorni.

La sentenza è impugnabile soltanto con ricorso immediato per cassazione da proporsi entro sessanta giorni dalla comunicazione dell'avviso di deposito della sentenza.

Copia del ricorso per cassazione deve, a pena di inammissibilità del ricorso, essere depositata presso la cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza impugnata entro venti giorni dalla notificazione del ricorso alle altre parti; il processo è sospeso dalla data del deposito.".

 

Art. 19

(Modifiche alle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile)

1. Al titolo III delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modifiche:

 

a) all'articolo 133 è aggiunto, in fine, il seguente comma:

"L'articolo 129 terzo comma si applica altresì se il processo si estingue dopo la pronuncia delle sentenze previste dall'articolo 360, terzo comma, del codice di procedura civile.";

b) dopo l'articolo 134 è inserito il seguente:

"Articolo 134-bis (Residenza o sede delle parti). All'atto del deposito di ricorso, controricorso o memoria, i difensori dichiarano il luogo di residenza o la sede della parte.".

c) l'articolo 138 è abrogato;

d) l'articolo 142 è sostituito dal seguente:

"Articolo 142 (Ricorso di competenza delle sezioni unite e delle sezioni semplici). Se nel ricorso sono contenuti motivi di competenza delle sezioni semplici insieme con motivi di competenza delle sezioni unite, queste, se non ritengono opportuno decidere l'intero ricorso, dopo aver deciso i motivi di propria competenza, rimettono, con ordinanza, alla sezione semplice la causa per la decisione, con separata sentenza, degli ulteriori motivi.

Le Sezioni unite possono disporre ai sensi del primo comma anche nel caso di rimessione ai sensi dell'articolo 374, terzo comma.";

e) dopo l'articolo 146 è aggiunto il seguente:

"Articolo 146-bis (Accertamento pregiudiziale sull'efficacia, validità ed interpretazione dei contratti e accordi collettivi). Nel caso di cui all'articolo 420 bis si applica, in quanto compatibile, l'articolo 64, commi 4, 6, 7 e 8, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165.";

f) il primo comma dell'articolo 151 è sostituito dal seguente:

"La riunione, ai sensi dell'articolo 274 del codice, dei procedimenti relativi a controversie in materia di lavoro e di previdenza e di assistenza e a controversie dinanzi al giudice di pace, connesse anche soltanto per identità delle questioni dalla cui risoluzione dipende, totalmente o parzialmente, la loro decisione, deve essere sempre disposta dal giudice, tranne nelle ipotesi che essa renda troppo gravoso o comunque ritardi eccessivamente il processo. In queste ipotesi la riunione, salvo gravi e motivate ragioni, è, comunque, disposta tra le controversie che si trovano nella stessa fase processuale. Analogamente si provvede nel giudizio di appello.".

 

Capo II - MODIFICAZIONI AL CODICE DI PROCEDURA CIVILE IN MATERIA DI ARBITRATO

Art. 20

(Modifiche al capo I, titolo VIII, libro IV)

1. Al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile il Capo I è sostituito dal seguente:

"CAPO I

DELLA CONVENZIONE D'ARBITRATO

806. (Controversie arbitrabili) Le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto di legge.

Le controversie di cui all'articolo 409 possono essere decise da arbitri solo se previsto dalla legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro.

 

807. (Compromesso) Il compromesso deve, a pena di nullità, essere fatto per iscritto e determinare l'oggetto della controversia.

La forma scritta s'intende rispettata anche quando la volontà delle parti è espressa per telegrafo, telescrivente, telefacsimile o messaggio telematico.

 

808. (Clausola compromissoria)

Le parti, nel contratto che stipulano o in un atto separato, possono stabilire che le controversie nascenti dal contratto medesimo siano decise da arbitri, purché si tratti di controversie che possono formare oggetto di convenzione d'arbitrato. La clausola compromissoria deve risultare da atto avente la forma richiesta per il compromesso dall'articolo 807.

La validità della clausola compromissoria deve essere valutata in modo autonomo rispetto al contratto al quale si riferisce; tuttavia, il potere di stipulare il contratto comprende il potere di convenire la clausola compromissoria.

La clausola compromissoria contenuta in condizioni generali di contratto oppure in moduli o formulari non è soggetta alla approvazione specifica prevista dagli articoli 1341 e 1342 del codice civile.

 

808-bis. (Convenzione di arbitrato in materia non contrattuale)

Le parti possono stabilire, con apposita convenzione, che siano decise da arbitri le controversie future relative a uno o più rapporti non contrattuali determinati. La convenzione deve risultare da atto avente la forma richiesta per il compromesso dall'articolo 807.

 

808-ter. (Arbitrato irrituale) Le parti possono, con disposizione espressa per iscritto, stabilire che, in deroga a quanto disposto dall'articolo 824 bis, la controversia sia definita dagli arbitri mediante determinazione contrattuale. Altrimenti si applicano le disposizioni del presente titolo.

Il lodo contrattuale è annullabile dal giudice competente secondo le disposizioni del libro I:

1) se la convenzione dell'arbitrato è invalida, o gli arbitri hanno pronunciato su conclusioni che esorbitano dai suoi limiti e la relativa eccezione è stata sollevata nel procedimento arbitrale;

2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi stabiliti dalla convenzione arbitrale;

3) se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell'articolo 812;

4) se gli arbitri non si sono attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo;

5) se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio.

Al lodo contrattuale non si applica l'articolo 825.

 

808-quater. (Interpretazione della convenzione d'arbitrato)

Nel dubbio, la convenzione d'arbitrato si interpreta nel senso che la competenza arbitrale si estende a tutte le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto cui la convenzione si riferisce.

 

808-quinquies. (Efficacia della convenzione d'arbitrato)

La conclusione del procedimento arbitrale senza pronuncia sul merito, non toglie efficacia alla convenzione d'arbitrato.".

 

Art. 21

(Modifiche al capo II, titolo VIII, libro IV)

 

1. Al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile il Capo II è sostituito dal seguente:

"CAPO II

DEGLI ARBITRI

809. (Numero degli arbitri)

Gli arbitri possono essere uno o più, purché in numero dispari.

La convenzione d'arbitrato deve contenere la nomina degli arbitri oppure stabilire il numero di essi e il modo di nominarli.

In caso d'indicazione di un numero pari di arbitri, un ulteriore arbitro, se le parti non hanno diversamente convenuto, è nominato dal presidente del tribunale nei modi previsti dall'articolo 810. Se manca l'indicazione del numero degli arbitri e le parti non si accordano al riguardo, gli arbitri sono tre e, in mancanza di nomina, se le parti non hanno diversamente convenuto, provvede il presidente del tribunale nei modi previsti dall'articolo 810.

 

810. (Nomina degli arbitri)

Quando a norma della convenzione d'arbitrato gli arbitri devono essere nominati dalle parti, ciascuna di esse, con atto notificato per iscritto, rende noto all'altra l'arbitro o gli arbitri che essa nomina, con invito a procedere alla designazione dei propri. La parte, alla quale è rivolto l'invito, deve notificare per iscritto, nei venti giorni successivi, le generalità dell'arbitro o degli arbitri da essa nominati.

In mancanza, la parte che ha fatto l'invito può chiedere, mediante ricorso, che la nomina sia fatta dal presidente del tribunale nel cui circondario è la sede dell'arbitrato. Se le parti non hanno ancora determinato la sede, il ricorso è presentato al presidente del tribunale del luogo in cui è stata stipulata la convenzione di arbitrato oppure, se tale luogo è all'estero, al presidente del tribunale di Roma.

Il presidente del tribunale competente provvede alla nomina richiestagli, se la convenzione d'arbitrato non è manifestamente inesistente o non prevede manifestamente un arbitrato estero.

Le stesse disposizioni si applicano se la nomina di uno o più arbitri è demandata dalla convenzione d'arbitrato all'autorità giudiziaria o se, essendo demandata a un terzo, questi non vi ha provveduto.

 

811. (Sostituzione di arbitri)

Quando per qualsiasi motivo vengono a mancare tutti o alcuni degli arbitri nominati, si provvede alla loro sostituzione secondo quanto è stabilito per la loro nomina nella convenzione d'arbitrato. Se la parte a cui spetta o il terzo non vi provvede, o se la convenzione d'arbitrato nulla dispone al riguardo, si applicano le disposizioni dell'articolo precedente.

 

812. (Incapacità di essere arbitro)

Non può essere arbitro chi è privo della piena capacità legale di agire.

 

813. (Accettazione degli arbitri) L'accettazione degli arbitri deve essere data per iscritto e può risultare dalla sottoscrizione del compromesso o del verbale della prima riunione.

Agli arbitri non compete la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio.

 

813-bis. (Decadenza degli arbitri)

Se le parti non hanno diversamente convenuto, l'arbitro che omette o ritarda di compiere un atto relativo alle sue funzioni, può essere sostituito d'accordo tra le parti o dal terzo a ciò incaricato dalla convenzione d'arbitrato. In mancanza, decorso il termine di quindici giorni da apposita diffida comunicata per mezzo di lettera raccomandata all'arbitro per ottenere l'atto, ciascuna delle parti può proporre ricorso al presidente del tribunale a norma dell'articolo 810, secondo comma. Il presidente, sentiti gli arbitri e le parti, provvede con ordinanza non impugnabile e, se accerta l'omissione o il ritardo, dichiara la decadenza dell'arbitro e provvede alla sua sostituzione.

 

813-ter. (Responsabilità degli arbitri). Risponde dei danni cagionati alle parti l'arbitro che:

1) con dolo o colpa grave ha omesso o ritardato atti dovuti ed è stato perciò dichiarato decaduto, ovvero ha rinunciato all'incarico senza giustificato motivo;

2) con dolo o colpa grave ha omesso o impedito la pronuncia del lodo entro il termine fissato a norma degli articoli 820 o 826.

Fuori dai precedenti casi, gli arbitri rispondono esclusivamente per dolo o colpa grave entro i limiti previsti dall'articolo 2 della legge 13 aprile 1988, n. 117, commi secondo e terzo.

L'azione di responsabilità può essere proposta in pendenza del giudizio arbitrale soltanto nel caso previsto dal primo comma, n. 1.

Se è stato pronunciato il lodo, l'azione di responsabilità può essere proposta soltanto dopo l'accoglimento dell'impugnazione con sentenza passata in giudicato e per i motivi per cui l'impugnazione è stata accolta.

Se la responsabilità non dipende da dolo dell'arbitro, la misura del risarcimento non può superare una somma pari al triplo del compenso convenuto o, in mancanza di determinazione convenzionale, pari al triplo del compenso previsto dalla tariffa applicabile.

Nei casi di responsabilità dell'arbitro il corrispettivo e il rimborso delle spese non gli sono dovuti o, nel caso di nullità parziale del lodo, sono soggetti a riduzione.

Ciascun arbitro risponde solo del fatto proprio.

 

814. (Diritti degli arbitri)

Gli arbitri hanno diritto al rimborso delle spese e all'onorario per l'opera prestata, se non vi hanno rinunciato al momento dell'accettazione o con atto scritto successivo. Le parti sono tenute solidalmente al pagamento, salvo rivalsa tra loro.

Quando gli arbitri provvedono direttamente alla liquidazione delle spese e dell'onorario, tale liquidazione non è vincolante per le parti se esse non l'accettano. In tal caso l'ammontare delle spese e dell'onorario è determinato con ordinanza dal presidente del tribunale indicato nell'articolo 810, secondo comma, su ricorso degli arbitri e sentite le parti.

L'ordinanza è titolo esecutivo contro le parti ed è soggetta a reclamo a norma dell'articolo 825, quarto comma. Si applica l'articolo 830, quarto comma.

 

815. (Ricusazione degli arbitri) Un arbitro può essere ricusato:

1) se non ha le qualifiche espressamente convenute dalle parti;

2) se egli stesso, o un ente, associazione o società di cui sia amministratore, ha interesse nella causa;

3) se egli stesso o il coniuge è parente fino al quarto grado o è convivente o commensale abituale di una delle parti, di un rappresentante legale di una delle parti, o di alcuno dei difensori;

4) se egli stesso o il coniuge ha causa pendente o grave inimicizia notoria con una delle parti, con un suo rappresentante legale, o con alcuno dei suoi difensori;

5) se è legato ad una delle parti, a una società da questa controllata, al soggetto che la controlla, o a società sottoposta a comune controllo, da un rapporto di lavoro subordinato o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale o associativa che ne compromettono l'indipendenza; inoltre, se è tutore o curatore di una delle parti;

6) se ha prestato consulenza, assistenza o difesa ad una delle parti in una precedente fase della vicenda o vi ha deposto come testimone.

Una parte non può ricusare l'arbitro che essa ha nominato o contribuito a nominare se non per motivi conosciuti dopo la nomina.

La ricusazione è proposta mediante ricorso al presidente del tribunale indicato nell'articolo 810, secondo comma, entro il termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione della nomina o dalla sopravvenuta conoscenza della causa di ricusazione. Il presidente pronuncia con ordinanza non impugnabile, sentito l'arbitro ricusato e le parti e assunte, quando occorre, sommarie informazioni.

Con ordinanza il presidente provvede sulle spese. Nel caso di manifesta inammissibilità o manifesta infondatezza dell'istanza di ricusazione condanna la parte che l'ha proposta al pagamento, in favore dell'altra parte, di una somma equitativamente determinata non superiore al triplo del massimo del compenso spettante all'arbitro singolo in base alla tariffa forense.

La proposizione dell'istanza di ricusazione non sospende il procedimento arbitrale, salvo diversa determinazione degli arbitri. Tuttavia, se l'istanza è accolta, l'attività compiuta dall'arbitro ricusato o con il suo concorso è inefficace.".

 

Art. 22

(Modifiche al capo III, titolo VIII, libro IV)

1. Al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile il Capo III è sostituito dal seguente:

 

"CAPO III
DEL PROCEDIMENTO

816. (Sede dell'arbitrato) Le parti determinano la sede dell'arbitrato nel territorio della Repubblica; altrimenti provvedono gli arbitri.

Se le parti e gli arbitri non hanno determinato la sede dell'arbitrato, questa è nel luogo in cui è stata stipulata la convenzione di arbitrato. Se tale luogo non si trova nel territorio nazionale, la sede è a Roma.

Se la convenzione d'arbitrato non dispone diversamente, gli arbitri possono tenere udienza, compiere atti istruttori, deliberare ed apporre le loro sottoscrizioni al lodo anche in luoghi diversi dalla sede dell'arbitrato ed anche all'estero.

 

816-bis. (Svolgimento del procedimento) Le parti possono stabilire nella convenzione d'arbitrato, o con atto scritto separato, purché anteriore all'inizio del giudizio arbitrale, le norme che gli arbitri debbono osservare nel procedimento e la lingua dell'arbitrato. In mancanza di tali norme gli arbitri hanno facoltà di regolare lo svolgimento del giudizio e determinare la lingua dell'arbitrato nel modo che ritengono più opportuno. Essi debbono in ogni caso attuare il principio del contraddittorio, concedendo alle parti ragionevoli ed equivalenti possibilità di difesa.

Le parti possono stare in arbitrato per mezzo di difensori. In mancanza di espressa limitazione, la procura al difensore si estende a qualsiasi atto processuale, ivi compresa la rinuncia agli atti e la determinazione o proroga del termine per la pronuncia del lodo. In ogni caso, il difensore può essere destinatario della comunicazione della notificazione del lodo e della notificazione della sua impugnazione.

Le parti o gli altri arbitri possono autorizzare il presidente del collegio arbitrale a deliberare le ordinanze circa lo svolgimento del procedimento.

Su tutte le questioni che si presentano nel corso del procedimento gli arbitri, se non ritengono di provvedere con lodo non definitivo, provvedono con ordinanza revocabile non soggetta a deposito.

 

816-ter. (Istruzione probatoria) L'istruttoria o singoli atti di istruzione possono essere delegati dagli arbitri ad uno di essi.

Gli arbitri possono assumere direttamente presso di sé la testimonianza, ovvero deliberare di assumere la deposizione del testimone, ove questi vi consenta, nella sua abitazione o nel suo ufficio. Possono altresì deliberare di assumere la deposizione richiedendo al testimone di fornire per iscritto risposte a quesiti nel termine che essi stessi stabiliscono.

Se un testimone rifiuta di comparire davanti agli arbitri, questi, quando lo ritengono opportuno secondo le circostanze, possono richiedere al Presidente del Tribunale della sede dell'arbitrato, che ne ordini la comparizione davanti a loro.

Nell'ipotesi prevista dal precedente comma il termine per la pronuncia del lodo è sospeso dalla data dell'ordinanza alla data dell'udienza fissata per l'assunzione della testimonianza.

Gli arbitri possono farsi assistere da uno o più consulenti tecnici. Possono essere nominati consulenti tecnici sia persone fisiche, sia enti.

Gli arbitri possono chiedere alla pubblica amministrazione le informazioni scritte relative ad atti e documenti dell'amministrazione stessa, che è necessario acquisire al giudizio.

 

816-quater. (Pluralità di parti) Qualora più di due parti siano vincolate dalla stessa convenzione d'arbitrato, ciascuna parte può convenire tutte o alcune delle altre nel medesimo procedimento arbitrale se la convenzione d'arbitrato devolve a un terzo la nomina degli arbitri, se gli arbitri sono nominati con l'accordo di tutte le parti, ovvero se le altre parti, dopo che la prima ha nominato l'arbitro o gli arbitri, nominano d'accordo un ugual numero di arbitri o ne affidano a un terzo la nomina.

Fuori dei casi previsti nel precedente comma il procedimento iniziato da una parte nei confronti di altre si scinde in tanti procedimenti quante sono queste ultime.

Se non si verifica l'ipotesi prevista nel primo comma e si versa in caso di litisconsorzio necessario, l'arbitrato è improcedibile.

 

816-quinquies. (Intervento di terzi e successione nel diritto controverso) L'intervento volontario o la chiamata in arbitrato di un terzo sono ammessi solo con l'accordo del terzo e delle parti e con il consenso degli arbitri.

Sono sempre ammessi l'intervento previsto dal secondo comma dell'articolo 105 e l'intervento del litisconsorte necessario.

Si applica l'articolo 111.

 

816-sexies. (Morte, estinzione o perdita di capacità della parte) Se la parte viene meno per morte o altra causa, ovvero perde la capacità legale, gli arbitri assumono le misure idonee a garantire l'applicazione del contraddittorio ai fini della prosecuzione del giudizio. Essi possono sospendere il procedimento.

Se nessuna delle parti ottempera alle disposizioni degli arbitri per la prosecuzione del giudizio, gli arbitri possono rinunciare all'incarico.

 

816-septies. (Anticipazione delle spese) Gli arbitri possono subordinare la prosecuzione del procedimento al versamento anticipato delle spese prevedibili. Salvo diverso accordo delle parti, gli arbitri determinano la misura dell'anticipazione a carico di ciascuna parte.

Se una delle parti non presta l'anticipazione richiestale, l'altra può anticipare la totalità delle spese. Se le parti non provvedono all'anticipazione, non sono più vincolate alla convenzione di arbitrato con riguardo alla controversia che ha dato origine al procedimento arbitrale.

 

817. (Eccezione d'incompetenza) Se la validità, il contenuto o l'ampiezza della convenzione d'arbitrato o la regolare costituzione degli arbitri sono contestate nel corso dell'arbitrato, gli arbitri decidono sulla propria competenza.

Questa disposizione si applica anche se i poteri degli arbitri sono contestati in qualsiasi sede per qualsiasi ragione sopravvenuta nel corso del procedimento.

La parte che non eccepisce nella prima difesa successiva all'accettazione degli arbitri l'incompetenza di questi per inesistenza, invalidità o inefficacia della convenzione d'arbitrato, non può per questo motivo impugnare il lodo, salvo il caso di controversia non arbitrabile.

La parte, che non eccepisce nel corso dell'arbitrato che le conclusioni delle altre parti esorbitano dai limiti della convenzione arbitrale, non può, per questo motivo, impugnare il lodo.

 

 

817-bis. (Compensazione) Gli arbitri sono competenti a conoscere dell'eccezione di compensazione, nei limiti del valore della domanda, anche se il controcredito non è compreso nell'ambito della convenzione di arbitrato.

 

818. (Provvedimenti cautelari) Gli arbitri non possono concedere sequestri, né altri provvedimenti cautelari, salva diversa disposizione di legge.

 

819. (Questioni pregiudiziali di merito) Gli arbitri risolvono senza autorità di giudicato tutte le questioni rilevanti per la decisione della controversia, anche se vertono su materie che non possono essere oggetto di convenzione di arbitrato, salvo che debbano essere decise con efficacia di giudicato per legge.

Su domanda di parte, le questioni pregiudiziali sono decise con efficacia di giudicato se vertono su materie che possono essere oggetto di convenzione di arbitrato. Se tali questioni non sono comprese nella convenzione di arbitrato, la decisione con efficacia di giudicato è subordinata alla richiesta di tutte le parti.

 

819-bis. (Sospensione del procedimento arbitrale) Ferma l'applicazione dell'articolo 816 sexies, gli arbitri sospendono il procedimento arbitrale con ordinanza motivata nei seguenti casi:

1) quando il processo dovrebbe essere sospeso a norma del comma terzo dell'articolo 75 del codice di procedura penale, se la controversia fosse pendente davanti all'autorità giudiziaria;

2) se sorge questione pregiudiziale su materia che non può essere oggetto di convenzione d'arbitrato e per legge deve essere decisa con autorità di giudicato.

3) quando rimettono alla Corte costituzionale una questione di legittimità costituzionale ai sensi dell'articolo 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

Se nel procedimento arbitrale è invocata l'autorità di una sentenza e questa è impugnata, si applica il secondo comma dell'articolo 337.

Una volta disposta la sospensione, il procedimento si estingue se nessuna parte deposita presso gli arbitri istanza di prosecuzione entro il termine fissato dagli arbitri stessi o, in difetto, entro un anno dalla cessazione della causa di sospensione.

Nel caso previsto dal primo comma, numero 2), il procedimento si estingue altresì se entro novanta giorni dall'ordinanza di sospensione nessuna parte deposita presso gli arbitri copia autentica dell'atto con il quale la controversia sulla questione pregiudiziale è proposta davanti all'autorità giudiziaria.

 

819-ter. (Rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria). La competenza degli arbitri non è esclusa dalla pendenza della stessa causa davanti al giudice, né dalla connessione tra la controversia ad essi deferita ed una causa pendente davanti al giudice.

La sentenza, con la quale il giudice afferma o nega la propria competenza in relazione a una convenzione d'arbitrato, è impugnabile a norma degli articoli 42 e 43.

L'eccezione di incompetenza del giudice in ragione della convenzione di arbitrato deve essere proposta, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta. La mancata proposizione dell'eccezione esclude la competenza arbitrale limitatamente alla controversia dedotta in giudizio.

Nei rapporti tra arbitrato e processo giudiziario non si applicano regole corrispondenti agli articoli 44, 45, 48, 50 e 295.

In pendenza del procedimento arbitrale non possono essere proposte domande giudiziali aventi ad oggetto l'invalidità o inefficacia della convenzione di arbitrato.".

 

Art. 23

(Modifiche al capo IV, titolo VIII, libro IV)

1. Al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile il Capo IV è sostituito dal seguente:

 

"CAPO IV

DEL LODO

820. (Termine per la decisione)Le parti possono, con la convenzione di arbitrato o con accordo anteriore all'accettazione degli arbitri, fissare un termine per la pronuncia del lodo.

Se non è stato fissato un termine per la pronuncia del lodo, gli arbitri debbono pronunciare il lodo nel termine di duecentoquaranta giorni dall'accettazione della nomina.

In ogni caso il termine può essere prorogato:

a) mediante dichiarazioni scritte di tutte le parti indirizzate agli arbitri;

b) dal presidente del tribunale indicato nell'articolo 810, secondo comma, su istanza motivata di una delle parti o degli arbitri; l'istanza può essere proposta fino alla scadenza del termine. In ogni caso il termine può essere prorogato solo prima della scadenza.

Se le parti non hanno disposto diversamente, il termine è prorogato di centottanta giorni nei casi seguenti e per non più di una volta nell'ambito di ciascuno di essi:

a) se debbono essere assunti mezzi di prova;

b) se è disposta consulenza tecnica d'ufficio;

c) se è pronunciato un lodo non definitivo o un lodo parziale;

d) se è modificata la composizione del collegio arbitrale o è sostituito l'arbitro unico.

Il termine per la pronuncia del lodo è sospeso durante la sospensione del procedimento. In ogni caso, dopo la ripresa del procedimento, il termine residuo, se inferiore, è esteso a novanta giorni.

 

821. (Rilevanza del decorso del termine) Il decorso del termine indicato nell'articolo precedente non può essere fatto valere come causa di nullità del lodo se la parte, prima della deliberazione del lodo risultante dal dispositivo sottoscritto dalla maggioranza degli arbitri, non abbia notificato alle altre parti e agli arbitri che intende far valere la loro decadenza.

Se la parte fa valere la decadenza degli arbitri, questi, verificato il decorso del termine, dichiarano estinto il procedimento.

 

822. (Norme per la deliberazione) Gli arbitri decidono secondo le norme di diritto, salvo che le parti abbiano disposto con qualsiasi espressione che gli arbitri pronunciano secondo equità.

 

823. (Deliberazione e requisiti del lodo) Il lodo è deliberato a maggioranza di voti con la partecipazione di tutti gli arbitri ed è quindi redatto per iscritto. Ciascun arbitro può chiedere che il lodo, o una parte di esso, sia deliberato dagli arbitri riuniti in conferenza personale.

Il lodo deve contenere:

1) il nome degli arbitri;

2) l'indicazione della sede dell'arbitrato;

3) l'indicazione delle parti;

4) l'indicazione della convenzione di arbitrato e delle conclusioni delle parti;

5) l'esposizione sommaria dei motivi;

6) il dispositivo;

7) la sottoscrizione degli arbitri. La sottoscrizione della maggioranza degli arbitri è sufficiente, se accompagnata dalla dichiarazione che esso è stato deliberato con la partecipazione di tutti e che gli altri non hanno voluto o non hanno potuto sottoscriverlo;

8) la data delle sottoscrizioni.

 

824. (Originali e copie del lodo) Gli arbitri redigono il lodo in uno o più originali.

Gli arbitri danno comunicazione del lodo a ciascuna parte mediante consegna di un originale, o di una copia attestata conforme dagli stessi arbitri, anche con spedizione in plico raccomandato, entro dieci giorni dalla sottoscrizione del lodo.

 

824-bis. (Efficacia del lodo)Salvo quanto disposto dall'articolo 825, il lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria.

 

825. (Deposito del lodo) La parte che intende fare eseguire il lodo nel territorio della Repubblica ne propone istanza depositando il lodo in originale, o in copia conforme, insieme con l'atto contenente la convenzione di arbitrato, in originale o in copia conforme, nella cancelleria del tribunale nel cui circondario è la sede dell'arbitrato.

Il tribunale, accertata la regolarità formale del lodo, lo dichiara esecutivo con decreto. Il lodo reso esecutivo è soggetto a trascrizione o annotazione, in tutti i casi nei quali sarebbe soggetta a trascrizione o annotazione la sentenza avente il medesimo contenuto.

Del deposito e del provvedimento del tribunale è data notizia dalla cancelleria alle parti nei modi stabiliti dell'articolo 133, secondo comma.

Contro il decreto che nega o concede l'esecutorietà del lodo, è ammesso reclamo mediante ricorso alla corte d'appello, entro trenta giorni dalla comunicazione; la corte, sentite le parti, provvede in camera di consiglio con ordinanza.

 

826. (Correzione del lodo) Ciascuna parte può chiedere agli arbitri entro un anno dalla comunicazione del lodo:

a) di correggere nel testo del lodo omissioni o errori materiali o di calcolo, anche se hanno determinato una divergenza fra i diversi originali del lodo pure se relativa alla sottoscrizione degli arbitri;

b) di integrare il lodo con uno degli elementi indicati nell'articolo 823, numeri 1), 2), 3), 4).

Gli arbitri, sentite le parti, provvedono entro il termine di sessanta giorni. Della correzione è data comunicazione alle parti a norma dell'articolo 824.

Se gli arbitri non provvedono, l'istanza di correzione è proposta al tribunale nel cui circondario ha sede l'arbitrato.

Se il lodo è stato depositato, la correzione è richiesta al tribunale del luogo in cui è stato depositato. Si applicano le disposizioni dell'articolo 288, in quanto compatibili.

Alla correzione può provvedere anche il giudice di fronte al quale il lodo è stato impugnato o fatto valere.".

 

Art. 24

(Modifiche al capo V, titolo VIII, libro IV)

1. Al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile il Capo V è sostituito dal seguente:

"CAPO V

DELLE IMPUGNAZIONI

827. (Mezzi di impugnazione) Il lodo è soggetto all'impugnazione per nullità, per revocazione e per opposizione di terzo.

I mezzi d'impugnazione possono essere proposti indipendentemente dal deposito del lodo.

Il lodo che decide parzialmente il merito della controversia è immediatamente impugnabile, ma il lodo che risolve alcune delle questioni insorte senza definire il giudizio arbitrale è impugnabile solo unitamente al lodo definitivo.

 

828. (Impugnazione per nullità) L'impugnazione per nullità si propone, nel termine di novanta giorni dalla notificazione del lodo, davanti alla Corte d'appello nel cui distretto è la sede dell'arbitrato.

L'impugnazione non è più proponibile decorso un anno dalla data dell'ultima sottoscrizione.

L'istanza per la correzione del lodo non sospende il termine per l'impugnazione; tuttavia il lodo può essere impugnato relativamente alle parti corrette nei termini ordinari, a decorrere dalla comunicazione dell'atto di correzione.

 

829. (Casi di nullità) L'impugnazione per nullità è ammessa, nonostante qualunque preventiva rinuncia, nei casi seguenti:

1) se la convenzione d'arbitrato è invalida, ferma la disposizione dell'articolo 817, terzo comma;

2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi prescritti nei capi II e VI del presente titolo, purché la nullità sia stata dedotta nel giudizio arbitrale;

3) se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell'articolo 812;

4) se il lodo ha pronunciato fuori dei limiti della convenzione d'arbitrato, ferma la disposizione dell'articolo 817, quarto comma, o ha deciso il merito della controversia in ogni altro caso in cui il merito non poteva essere deciso;

5) se il lodo non ha i requisiti indicati nei numeri 5), 6), 7) dell'articolo 823;

6) se il lodo è stato pronunciato dopo la scadenza del termine stabilito, salvo il disposto dell'articolo 821;

7) se nel procedimento non sono state osservate le forme prescritte dalle parti sotto espressa sanzione di nullità e la nullità non è stata sanata;

8) se il lodo è contrario ad altro precedente lodo non più impugnabile o a precedente sentenza passata in giudicato tra le parti purché tale lodo o tale sentenza sia stata prodotta nel procedimento;

9) se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio;

10) se il lodo conclude il procedimento senza decidere il merito della controversia e il merito della controversia doveva essere deciso dagli arbitri;

11) se il lodo contiene disposizioni contraddittorie;

12) se il lodo non ha pronunciato su alcuna delle domande ed eccezioni proposte dalle parti in conformità alla convenzione di arbitrato.

La parte che ha dato causa a un motivo di nullità, o vi ha rinunciato, o che non ha eccepito nella prima istanza o difesa successiva la violazione di una regola che disciplina lo svolgimento del procedimento arbitrale, non può per questo motivo impugnare il lodo.

L'impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge. E' ammessa in ogni caso l'impugnazione delle decisioni per contrarietà all'ordine pubblico.

L'impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è sempre ammessa:

1) nelle controversie previste dall'articolo 409;

2) se la violazione delle regole di diritto concerne la soluzione di questione pregiudiziale su materia che non può essere oggetto di convenzione di arbitrato.

Nelle controversie previste dall'articolo 409, il lodo è soggetto ad impugnazione anche per violazione dei contratti e accordi collettivi.

 

830. (Decisione sull'impugnazione per nullità) La corte d'appello decide sull'impugnazione per nullità e, se l'accoglie, dichiara con sentenza la nullità del lodo. Se il vizio incide su una parte del lodo che sia scindibile dalle altre, dichiara la nullità parziale del lodo.

Se il lodo è annullato per i motivi di cui all'articolo 829, commi primo, numeri 5), 6), 7), 8), 9), 11) o 12), terzo, quarto o quinto, la corte d'appello decide la controversia nel merito salvo che le parti non abbiano stabilito diversamente nella convenzione di arbitrato o con accordo successivo. Tuttavia, se una delle parti, alla data della sottoscrizione della convenzione di arbitrato, risiede o ha la propria sede effettiva all'estero, la corte d'appello decide la controversia nel merito solo se le parti hanno così stabilito nella convenzione di arbitrato o ne fanno concorde richiesta.

Quando la corte d'appello non decide nel merito, alla controversia si applica la convenzione di arbitrato, salvo che la nullità dipenda dalla sua invalidità o inefficacia.

Su istanza di parte anche successiva alla proposizione dell'impugnazione, la corte d'appello può sospendere con ordinanza l'efficacia del lodo, quando ricorrono gravi motivi.

 

831. (Revocazione ed opposizione di terzo) Il lodo, nonostante qualsiasi rinuncia, è soggetto a revocazione nei casi indicati nei numeri 1), 2), 3) e 6) dell'articolo 395, osservati i termini e le forme stabiliti nel libro secondo.

Se i casi di cui al primo comma si verificano durante il corso del processo di impugnazione per nullità, il termine per la proposizione della domanda di revocazione è sospeso fino alla comunicazione della sentenza che abbia pronunciato sulla nullità.

Il lodo è soggetto ad opposizione di terzo nei casi indicati nell'articolo 404.

Le impugnazioni per revocazione e per opposizione di terzo si propongono davanti alla corte d'appello nel cui distretto è la sede dell'arbitrato, osservati i termini e le forme stabiliti nel libro secondo.

La corte d'appello può riunire le impugnazioni per nullità, per revocazione e per opposizione di terzo nello stesso processo, se lo stato della causa preventivamente proposta consente l'esauriente trattazione e decisione delle altre cause.".

 

Art. 25

(Modifiche al capo VI, titolo VIII, libro IV)

1. Al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile il Capo VI è sostituito dal seguente:

"CAPO VI

DELL'ARBITRATO SECONDO REGOLAMENTI PRECOSTITUITI

832. (Rinvio a regolamenti arbitrali)La convenzione d'arbitrato può fare rinvio a un regolamento arbitrale precostituito.

Nel caso di contrasto tra quanto previsto nella convenzione di arbitrato e quanto previsto dal regolamento, prevale la convenzione di arbitrato.

Se le parti non hanno diversamente convenuto, si applica il regolamento in vigore al momento in cui il procedimento arbitrale ha inizio.

Le istituzioni di carattere associativo e quelle costituite per la rappresentanza degli interessi di categorie professionali non possono nominare arbitri nelle controversie che contrappongono i propri associati o appartenenti alla categoria professionale a terzi.

Il regolamento può prevedere ulteriori casi di sostituzione e ricusazione degli arbitri in aggiunta a quelli previsti dalla legge.

Se l'istituzione arbitrale rifiuta di amministrare l'arbitrato, la convenzione d'arbitrato mantiene efficacia e si applicano i precedenti capi di questo titolo.".

 

Capo III - DISPOSIZIONI FINALI

 

Art. 26

(Modifiche all'articolo 23 della legge 23 novembre 1981, n. 689)

1. All'articolo 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689 sono apportate le seguenti modifiche:

a) le parole: "ricorribile per cassazione" sono sostituite dalla seguente: "appellabile";

b) l'ultimo comma è abrogato.

 

Art. 27

(Disciplina transitoria)

1. Gli articoli 1 e 19, comma 1, lettera f), si applicano ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto. Tuttavia, ai provvedimenti del giudice di pace pubblicati entro la data di entrata in vigore del presente decreto si applica la disciplina previgente.

 

2. Le restanti disposizioni del Capo I si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto.

 

3. Le disposizioni dell'articolo 20 si applicano alle convenzioni di arbitrato stipulate dopo l'entrata in vigore del presente decreto.

 

4. Le disposizioni degli articoli 21, 22, 23, 24 e 25 si applicano ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente all'entrata in vigore del presente decreto.

 

5. Le disposizioni dell'articolo 26 si applicano alle ordinanze pronunciate ed alle sentenze pubblicate a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto.

 

Art. 28

(Abrogazioni)

1. Alla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogati gli articoli 833, 834, 835, 836, 837, 838 del codice di procedura civile.

 

Art. 29

(Copertura finanziaria)

1. Dall'attuazione del presente decreto non derivano nuovi o maggiori oneri a carico dello Stato.


 

 

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

­__________

 

La Corte Suprema di Cassazione,

riunitasi nell’aula magna in Assemblea generale il 21.7.2005, ai sensi dell’art. 93 dell’ordinamento giudiziario, con la partecipazione del Procuratore generale, adempiendo al compito assegnatole dall’art. 1, comma 2, della legge n. 80 del 2005 – ascoltati gli interventi dei presidenti titolari delle sezioni civili, nonché del presidente di sezione Salvatore Senese, del direttore del Massimario Stefano Maria Evangelista, e dei consiglieri Francesco Fioretti, Agnello Rossi, Camilla Di Iasi (presidente della sezione della Corte di cassazione dell’A.N.M.), Giuseppe Maria Berruti, Aniello Nappi, Gianfranco Gilardi, Guido Vidiri, Raffaele Botta e Alfonso Amatucci, del Procuratore generale aggiunto Mario Delli Priscoli e del Sostituto procuratore generale Antonio Martone – non può non esternare, preliminarmente, la propria preoccupazione per le possibili conseguenze negative che sull’efficienza del lavoro della Corte e sulla concreta realizzazione della sua funzione nomofilattica potranno avere alcune delle scelte operate nella legge delega.

In particolare: l’estensione del sindacato sull’interpretazione ed applicazione dei contratti collettivi nazionali, l’estensione del vizio di motivazione ai ricorsi straordinari ai sensi dell’art. 111 della Costituzione e la non necessaria rivitalizzazione dell’obsoleto ricorso nell’interesse della legge.

L’ Assemblea deve, peraltro, pronunciarsi non già sul contenuto della legge delega, sulla quale la Corte, purtroppo, non è stata chiamata ad esprimere il proprio parere – come pure sarebbe stato fortemente auspicabile – bensì soltanto sullo schema del decreto e, nell’assolvere tale compito, osserva innanzitutto che sul contenuto e sulla formulazione degli articoli 3, 7, 14, 17, 18 e 26 dello schema di decreto non ha rilievi da formulare.

 

 

L’impianto generale dell’articolato normativo, che appare coerente con i principi e con i criteri direttivi contenuti nella legge delega, merita apprezzamento per avere, tra l’altro, realizzato un giusto contemperamento tra l’intento di introdurre modalità deflattive per i ricorsi inammissibili o manifestamente infondati, ampliando l’applicabilità del rito in camera di consiglio, e la finalità di prevedere la rilevabilità anche di ufficio di questioni di diritto aventi interesse generale avverso provvedimenti non ricorribili per cassazione.

Riconosce che è stato dato un adeguato rilievo a profili solo apparentemente secondari, quali la rinuncia, l’estinzione, la condanna di ufficio per colpa grave, nonché al collegamento tra le innovazioni introdotte e le disposizioni processuali codicistiche, anche se di attuazione o contenute in norme speciali.

Ritiene che l’indirizzo contenuto nella legge delega, diretto a disciplinare il processo di cassazione in funzione nomofilattica, configura anche una direttiva ermeneutica che deve necessariamente presiedere all’interpretazione dell’intero tessuto normativo.

Passando all’esame più analitico dello schema di decreto, si propongono le seguenti modifiche per le ragioni esposte in relazione ai singoli articoli, seguendo la stessa numerazione dell’articolato dello schema di decreto trasmesso alla Corte di cassazione per il parere (si segnala che il grassetto è adottato per le parti che si propone di modificare ed il corsivo per i commenti):

***

 

 

Art. da aggiungere

(con conseguente scorrimento della numerazione degli articoli successivi che, tuttavia, vengono di seguito considerati coi numeri originari)

 (modifiche all’art. 49)

 

 

 

 

ARTICOLO 49 – Decisione sul regolamento di competenza.

Il regolamento è pronunciato con ordinanza in camera di consiglio entro i venti giorni successivi alla scadenza di cui all’articolo 47, ultimo comma.

Il secondo comma è abrogato.

Nota:

Rubrica e primo comma vanno modificati poiché il novellando articolo 375 prevede che la decisione sul regolamento sia adottata con ordinanza.

L’attuale secondo comma è trasfuso, con piccoli adattamenti, nell’articolo 382 (di cui appresso) per consentire che il processo possa proseguire, per la tutela della medesima situazione sostanziale, sulla base della domanda originaria, anche quando questa sia stata rivolta a giudice privo di giurisdizione.

 

Art.1

(modifiche all’art. 339)

 

ARTICOLO 339 – Appellabilità delle sentenze.

Si propone di sostituire il terzo comma col seguente:

Le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità a norma dell’articolo 113, secondo comma, sono appellabili. L’appello può essere proposto esclusivamente per nullità della sentenza o del procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie o derivanti da obblighi internazionali, ovvero dei principi informatori della materia.

Nota:

Si mira a rendere assolutamente chiaro, affermando che le sentenze in questione sono appellabili ed indicando solo dopo tale enunciazione quali sono i limiti dell’appello, che non residuano spazi per il ricorso per cassazione, ai sensi dell’articolo 111 Cost., per ipotetici casi ulteriori rispetto a quelli per i quali è appunto previsto l’appello.

E’ inoltre aggiunto il riferimento agli obblighi internazionali, che l’art. 117 Cost. pone sullo stesso piano dei vincoli comunitari.

In linea con l’intento di rafforzare i presupposti per l’esercizio della funzione nomofilattica della Corte, si propone di prevedere l’appellabilità delle ordinanze emesse  in materia  di  liquidazione di onorari e di diritti spettanti agli avvocati  nei confronti del proprio cliente (articoli 29 e 30 della legge 13 giugno 1942, n. 794), nonché in  materia di liquidazione dei compensi  spettanti ai periti e ai consulenti tecnici  (articolo 11 della legge 8 luglio 1980, n. 319).

 

Art. 2

(Modifiche all’articolo 360)

 

 

 

ARTICOLO 360 – Sentenze impugnabili e motivi di ricorso.

Al primo comma, n. 5), fra le parole “controverso” e “decisivo”, aggiungere la congiunzionee”. 

 

Art. 4

(modifiche all’art. 363 del codice di procedura civile)

 

ARTICOLO 363 – Principio di diritto nell’interesse della legge.

Si propone che, al secondo comma, le parole “di interesse generale” siano sostituite con le diverse “di particolare importanza”, come è del resto affermato nella relazione illustrativa a proposito della facoltà del primo presidente di disporre che la corte si pronunci a sezioni unite.

Si propone, inoltre, che al terzo comma, dopo la parola “inammissibile”, siano aggiunte le parole “per i motivi di cui al primo comma “, al fine di rendere chiaro che l’esercizio del potere facoltativo ed officioso della Corte di dichiarare il principio di diritto in caso di ricorsi inammissibili, ha riguardo al solo caso dell’inammissibilità contemplata dal primo comma (e non anche a quelle di cui all’art. 375).

 

Art. 5

(modifiche all’art. 366)

ARTICOLO 366 – Contenuto del ricorso.

Si propone, al primo comma,  la soppressione del n. 6 e la trasposizione del relativo contenuto, con l’eliminazione del riferimento all’art. 369, nell’art. 366 bis in quanto la mancata indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi attiene al c.d. principio di autosufficienza ed è collegata alla decisione del singolo motivo, piuttosto che all’ammissibilità del ricorso in sé.

Si propone, inoltre, il mantenimento dell’attuale testo dell’art. 366, terzo comma, in quanto la modificazione proposta nello schema induce dubbi di compatibilità con gli articoli 24 e 111 della Costituzione e di praticabilità concreta (in relazione, ad esempio, alla possibilità, che le parti possano rinunziare preventivamente, in relazione ad un determinato rapporto e alle controversie che eventualmente ne derivino, a far valere il difetto di giurisdizione o di competenza, ovvero la violazione delle norme processuali o i vizi di motivazione delle sentenze che giudichino tali controversie). L’innovazione appare porsi anche in contrasto con la linea portante dell’intervento legislativo in esame, che è nel senso di ridurre drasticamente, se non di eliminare del tutto, le ipotesi di sentenze non appellabili e quindi immediatamente ricorribili per cassazione.

 

 

 

 

Art. 6

(articolo 366 bis)

ARTICOLO 366 bis – Formulazione dei motivi.

Si propone di sostituire l’art. 366 bis  col seguente:

Ciascun motivo di ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità, la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi su cui si fonda, nonché della loro specifica collocazione negli atti processuali.

Nei casi previsti dall’art. 360, primo comma, numeri 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve inoltre concludere, a pena di inammissibilità,  con la formulazione di un quesito di diritto che consenta alla corte di enunciare un corrispondente principio di diritto.

Nel caso previsto dall’articolo 360, primo comma, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve anche contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa, contraddittoria o insufficiente e, in quest’ultima ipotesi, le ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende la motivazione obiettivamente inidonea a giustificare la decisione.

Nota:

Il primo comma (che corrisponde all’art. 366, primo comma, n. 6 dello schema di decreto) non contiene più la previsione che “l’indicazione è consentita solo per gli atti e per i documenti depositati con le modalità di cui all’art. 369, secondo comma, n. 4”, sembrando la previsione superflua in relazione alla improcedibilità già contemplata dalla disposizione citata.

Quanto al terzo comma (secondo nello schema) pare opportuno che la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione è censurata sia prevista come necessaria anche nel caso di dedotta insufficienza della motivazione stessa; e che, inoltre, la sua inidoneità  a sorreggere la decisione sia prospettata come obiettiva.

 

Art. da aggiungere

(modifiche all’art. 367)

Articolo 367 – Sospensione del processo di merito.

La realizzazione della translatio iudicii sembra imporre la sostituzione del secondo comma col seguente:

Le parti debbono riassumere il processo davanti al giudice ordinario o speciale di cui la corte dichiara la giurisdizione entro il termine perentorio di sei mesi dalla comunicazione dell’ordinanza.

 

Art. 8

(Modifiche all’art. 374)

Si propone di apportare le modifiche appresso evidenziate al primo comma e di sostituire il terzo comma.

 

 

ARTICOLO 374 –  Pronuncia a sezioni unite.

La corte pronuncia a sezioni unite nei casi previsti nel numero 1) dell’articolo 360 e nell’articolo 362. Tuttavia, tranne che nei casi di impugnazione delle decisioni del consiglio di stato e della corte dei conti, il primo presidente può disporre che il ricorso sia assegnato alle sezioni semplici se sulla questione di giurisdizione proposta si sono già pronunciate le sezioni unite.

Secondo comma: identico.

La sezione semplice rimette il ricorso alle sezioni unite con ordinanza motivata se ritiene di non condividere il principio di diritto da queste enunciato ai sensi dell’articolo 384.

Nota:

La modifica del primo comma è dettata da ragioni formali, mentre quella del terzo è volta, per un verso, ad eliminare la previsione espressa di un vincolo giuridico delle sezioni semplici ai principi enunciati dalle sezioni unite (vincoloche pone anche dubbi di compatibilità con il principio costituzionale della soggezione del giudice soltanto alla legge) e, per altro verso, a chiarire che il dovere di rimessione sussiste solo nei casi in cui il principio di diritto non condiviso sia stato formalmente enunciato dalle sezioni unite.

 

Art. 9

(modifiche all’articolo 375)

ARTICOLO 375 – Pronuncia in camera di consiglio.

Si propongono le modifiche seguenti:

 ….(identico) …;

1) dichiarare l’inammissibilità o l’improcedibilità del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto;

2) … dell’articolo 332, ovvero che sia rinnovata la notificazione del ricorso a norma dell’articolo 291;

3) provvedere all’estinzione del processo in ogni caso diverso da quelli previsti nell’articolo 391;

4) (identico);.

5) accogliere il ricorso principale e quello incidentale eventualmente proposto perché manifestamente fondati, ovvero rigettarli per mancanza dei motivi previsti nell’articolo 360, per la inammissibilità degli stessi a norma dell’articolo 366 bis o per la loro manifesta infondatezza.

Nota:

al n. 1) è espressamente previsto che la pronuncia in camera di consiglio concerne anche i casi di improcedibilità del ricorso;

il n. 3) è adattato alla proposta di  modifica dell’articolo 391 di cui appresso;

il n. 5) è riformulato nel senso che la mancanza dei motivi di cui all’art. 360 comporta il rigetto, anziché l’inammissibilità, del ricorso.

 

 

 

 

Art. 10

(modifiche all’articolo 380)

ARTICOLO 380 –  Procedimento per la decisione in camera di consiglio.

Si propone di sostituire l’art. 380 col seguente:

Il presidente nomina il relatore perché esamini il ricorso in vista dell’applicazione dell’articolo 375.

Il relatore,se non richiede che il ricorso sia deciso in udienza nelle ipotesi previste dall’art. 375, nn. 1), 2), 3) e 5), deposita nella cancelleria una relazione con la concisa esposizione dei motivi per i quali il ricorso può essere deciso in camera di consiglio.

Il presidente fissa con decreto l’adunanza della corte.

Almeno venti giorni prima della data stabilita per l’adunanza il decreto e la relazione sono comunicati al pubblico ministero e notificati agli avvocati delle parti, i quali hanno facoltà di presentare, il primo, conclusioni scritte, ed i secondi, memorie, non oltre cinque giorni prima e di chiedere di essere sentiti, se compaiono, nei casi previsti dall’art. 375, numeri 1), 3), 4) limitatamente al regolamento di giurisdizione, e 5).

Nella seduta la corte delibera sul ricorso con ordinanza.

Se ritiene che non ricorrono le ipotesi previste dall’articolo 375 rinvia la causa alla pubblica udienza.

Nota:

Al primo comma pare necessario sostituire il riferimento all’art. 377 con quello all’art. 375, giacché la nomina del relatore è qui indipendente dalla contemporanea fissazione dell’udienza o dell’adunanza, cui si riferisce l’art. 377.

La proposta modifica del secondo comma è volta ad eliminare l’esigenza della esposizione dello svolgimento del processo, considerato anche che la decisione è poi assunta con ordinanza.

La modifica del quarto comma mira a consentire ai difensori di chiedere di essere sentiti anche nei regolamenti di giurisdizione.

Quella del sesto comma è meramente lessicale.

 

Art. 11

(Articolo 380 bis)

ARTICOLO 380 bis – Procedimento per la decisione sulle istanze di regolamento di giurisdizione e di competenza.

Al primo comma, si propone di sopprimere le parole ”primo comma” dopo i riferimenti all’articolo 375 ed all’articolo 380.

Nota:

La prima soppressione è resa necessaria dal fatto che il nuovo articolo 375 si compone ora di un unico comma; la seconda è resa opportuna dal rilievo che

 

 

 

il nuovo procedimento è compiutamente disciplinato dall’intero articolo 380, e non solo dal suo primo comma.

 

 

Art. da aggiungere

(vigente articolo 380)

ARTICOLO 380 ter – Deliberazione della sentenza.

La sostituzione del vigente articolo 380 col nuovo, che ora concerne il “procedimento per la decisione in camera di consiglio,  impone che l’articolo 380 sia riprodotto con una nuova numerazione, ovvero che conservi quella originaria, con conseguente cambiamento della numerazione dei nuovi artt. 380 e 380 bis.

 

 

Art. da aggiungere

(modifiche all’articolo 382)

ARTICOLO 382 – Decisione delle questioni di giurisdizione e di competenza.

Si propone di sostituire il primo ed il secondo comma con il primo comma che segue (l’attuale terzo comma diventa il secondo):

La corte, se decide una questione di giurisdizione o di competenza, statuisce su queste, dà i provvedimenti necessari per la prosecuzione davanti ai giudici, ordinario o speciale, di cui dichiara la giurisdizione o la competenza e, se occorre, rimette le parti in termini affinché provvedano nei modi pertinenti alla loro difesa.

Se riconosce che il giudice del quale si impugna il provvedimento ed ogni altro giudice difettano di giurisdizione, cassa senza rinvio. Egualmente provvede in ogni altro caso in cui ritiene che la causa non poteva essere proposta o il processo proseguito.

 

Art. 12

(modifiche all’art. 384)

ARTICOLO 384 – Enunciazione del principio di diritto e decisione della causa nel merito.

Si propone di sostituire il quarto comma col seguente:

Se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, la corte riserva la decisione, assegnando con ordinanza al pubblico ministero ed alle parti un termine non inferiore a venti e non superiore a sessanta giorni dalla comunicazione per il deposito di osservazioni.

Nota:

Si mira a rendere inequivocamente chiaro che la decisione deve essere adottata dallo stesso collegio (a meno che sia oggettivamente impossibile,

 

 

 

come ad esempio, nei casi di trasferimento, pensionamento, etc.) senza una nuova discussione, e si fissano i limiti minimo e massimo del termine.

 

Art. 13

(modifiche all’art. 385)

Art. 385 – Provvedimenti sulle spese

     Si propone di aggiungere all’art. 385, in luogo del comma di cui allo schema di decreto legislativo, i due seguenti:

Se ritiene che  la parte soccombente ha proposto il ricorso o vi ha resistito con malafede o colpa grave, la condanna, su istanza dell’altra parte,  al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, in misura non inferiore alla somma liquidabile per  le spese di lite.

     Nel caso previsto dal comma precedente la corte condanna la parte soccombente, d’ufficio, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una pena pecuniaria determinata in misura non superiore al doppio dei massimi tariffari.

Nota:

Sanzionare in modo più efficace ogni forma di abuso del processo  rappresenta una misura di razionalizzazione indispensabile se si vuole mantenere l’attuale regime di sostanziale gratuità della giustizia senza determinare sprechi ingiustificati e insostenibili di  una risorsa inevitabilmente  scarsa, quale è quella del processo.  Da più parti è avvertita la necessità di superare l’attuale disciplina della responsabilità aggravata, resa sostanzialmente inoperante dalla difficoltà di dare la prova del danno patrimoniale conseguente all’abuso del processo. 

La  previsione normativa adottata dallo schema desta peraltro alcune perplessità. In primo luogo appare contrario ai principi prevedere una condanna in favore di una parte senza domanda di quest’ultima, anche se è vero che non è congruo affidare esclusivamente all’iniziativa di parte l’operatività dell’istituto. La previsione lascia poi scoperta l’ipotesi di non costituzione in giudizio dell’altra parte. Anche la mancanza di qualificazione giuridica di questa sorta di pena pecuniaria che viene irrogata in favore della parte determina un certo  disagio.

     Appare quindi preferibile prevedere, per queste ipotesi di lite temeraria, un risarcimento del danno anche non patrimoniale con minimo predeterminato ed aggiungere la previsione di una pena pecuniaria in favore della cassa delle ammende a  titolo di riparazione per il danno che il sistema di giustizia riceve dallo spreco delle sue risorse che il ricorso temerario determina,  contribuendo ad ingolfare il carico giudiziario e quindi a ritardare la definizione di tutti gli altri processi.

     La norma potrebbe essere quindi riformulata come sopra, senza l’inciso  “anche nelle ipotesi di cui all’art. 375”, che sembra superfluo.

 

 

 

Art. da aggiungere

(modifiche all’art. 390)

ARTICOLO 390 – Rinuncia.

Si propone di sostituire il primo comma dell’articolo 390 col seguente:

La parte può rinunciare al ricorso principale o incidentale finché non sia cominciata la relazione all’udienza o non siano notificate la relazione di cui al secondo comma dell’articolo 380 o le conclusioni del pubblico ministero di cui al secondo comma dell’articolo 380 bis.

Nota:

La sostituzione è imposta dalle modificazioni apportate agli artt. 375 e 380 e dal nuovo articolo 380 bis.

 

Art. 15

(modifiche all’art. 391)

ARTICOLO 391 – Pronuncia sulla rinuncia e sull’estinzione del processo.

Si propone di sostituire l’art. 391 col seguente:

Sulla rinuncia e nei casi di estinzione del processo disposta per legge, la corte provvede con sentenza quando deve decidere altri ricorsi contro lo stesso provvedimento, altrimenti provvede il presidente con decreto.

Il decreto o la sentenza che provvede sulla rinuncia può condannare il ricorrente alle spese.

Il decreto ha efficacia di titolo esecutivo se nessuna delle parti chiede la fissazione dell’udienza nel termine di dieci giorni dalla comunicazione.

La condanna non è pronunciata se alla rinuncia hanno aderito le altre parti personalmente o i loro avvocati autorizzati con mandato speciale.

Nota:

Si è pensato ai casi di estinzione per condono fiscale e alla omessa ottemperanza all’ordine di integrazione del contraddittorio.

La modifica del primo comma impone, nel secondo comma, il riferimento al ricorrente invece che al rinunciante.

 

Art. 16

(modifiche all’art. 391 bis)

ARTICOLO 391 bis – Correzione degli errori materiali e revocazione delle decisioni della corte di cassazione.

Si propone di sostituire il primo comma col seguente:

Se la sentenza o l’ordinanza pronunciata a norma dell’articolo 375, numeri 1), 4) e 5), è affetta da errore materiale o di calcolo ai sensi dell’articolo 287 ovvero da errore di fatto ai sensi dell’articolo 395, numero 4), la parte interessata può chiederne la correzione o la revocazione con ricorso ai sensi degli articoli 365 e seguenti da notificare, in caso di richiesta di revocazione, entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla

 

 

 

notificazione della sentenza ovvero di un anno dalla pubblicazione della sentenza stessa.

Nota:

Si mira ad estendere l’applicabiità della norma  alle decisioni di cui all’art. 375,  n. 1) (inammissibilità o improcedibilità del ricorso), che non paiono di poco momento e che pure possono risultare affette da errore revocatorio. La modificazione della rubrica (non più “sentenze”, ma “decisioni”) è consequenziale.

Si tiene conto, inoltre, della intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale (Corte Cost. 18 aprile 1996, n. 119) dell’articolo in questione “nella parte in cui prevede un termine per la proposizione dell’istanza di correzione degli errori materiali delle sentenze della Corte di cassazione”. 

 

 

Art. 19

(Modifiche alle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile)

Si propone di aggiungere il seguente articolo:

ARTICOLO 144 quater – Restituzione del fascicolo d’ufficio e dei fascicoli di parte.

Dopo la definizione del giudizio, il fascicolo d’ufficio trasmesso ai sensi dell’art. 369 del codice e gli atti ed i documenti depositati dalle parti e già prodotti nei precedenti gradi del processo sono restituiti alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata.

Nota:

Si disciplina la restituzione al giudice che ha emesso la sentenza impugnata del fascicolo d’ufficio (come già avviene) e dei fascicoli di parte dei giudizi di merito, che attualmente, se non ritirati dalle parti, restano depositati presso la corte di cassazione per tre anni (in relazione a quanto disposto dall’art. 2961 del codice civile) prima di essere avviati alla  macerazione.

Poiché i fascicoli di parte vengono ritirati quasi esclusivamente in caso di cassazione con rinvio, allo stato la corte provvede  alla custodia di un numero di fascicoli che oscilla tra i 140.000 ed i 160.000, con tutti gli inconvenienti che tale situazione ingenera in termini di sicurezza, di spazi dedicati e di personale impiegato per la custodia e la restituzione; e con sicuro svantaggio degli avvocati, per i quali sarebbe certamente più comodo provvedere al ritiro dei fascicoli di parte presso lo stesso ufficio giudiziario che ha emesso la sentenza impugnata, nell’ambito della cui area territoriale esercitano la professione.

 

ARTICOLO 146 bis disp. att. cod. proc. civ. – Accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti ed accordi collettivi.

 

 

Si propone di aggiungere il riferimento anche al quinto comma dell’articolo 64 del decreto legislativo n. 165 del 2001

 

 

Art. 28

(Abrogazioni)

 

Al fine di rendere reclamabili davanti alla Corte d'Appello e non direttamente ricorribili per cassazione i decreti in materia di espulsione degli stranieri, si propone – in linea con quanto previsto dal novellando art. 339 c.p.c. e dall’art. 26 dello schema di decreto legislativo in ordine all’abrogazione dell’art. 23 della legge n. 689 del 1981 –  di abrogare il comma 4  dell’articolo 13 bis  del “testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286, nel testo introdotto dall’articolo 4 del decreto legislativo 13 aprile 1999 n. 113, recante disposizioni correttive al suddetto testo unico.

 

L’Assemblea auspica l’accoglimento delle indicazioni sopra enunciate, dettate unicamente dall’intento di assicurare il concreto ed efficiente esercizio della funzione nomofilattica e fa rilevare che il successo dell’intera riforma non può non essere condizionato ad un indispensabile potenziamento delle attuali, inadeguate strutture amministrative e ad un incremento delle risorse finanziarie necessarie alla funzionalità di una Corte suprema.

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Il parere ha ottenuto l’approvazione di tutti i partecipanti ed un solo voto contrario.

Roma, 21 luglio 2005

 

 

 IL DIRIGENTE                                                       IL PRIMO PRESIDENTE

(Mario Rossini)                                                            (Nicola Marvulli)

 

 

 

 




[1]    Nelle controversie individuali di lavoro, l'arbitrato irrituale è ammesso soltanto nei casi previsti dalla legge ovvero dai contratti e accordi collettivi. In questo ultimo caso, ciò deve avvenire senza pregiudizio della facoltà delle parti di adire l'autorità giudiziaria (art. 5, legge 533/1973)

[2]    Il lodo è quindi soggetto a revocazione: 1) se è l'effetto del dolo di una delle parti in danno dell'altra; 2) se si è basato su prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la pronuncia oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della pronuncia; 3. se dopo il lodo sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario; 6. se il lodo è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato.

 

[3]    Legge 13 aprile 1988, n. 117, Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati.

[4]    Legge 24 novembre 1981, n. 689 “Modifiche al sistema penale”.