XIV Legislatura - Dossier di documentazione | |||
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento giustizia | ||
Titolo: | Investigazioni difensive - A.C. 5458 | ||
Serie: | Progetti di legge Numero: 704 | ||
Data: | 08/02/05 | ||
Abstract: | Scheda di sintesi; schede di lettura; progetto di legge; normativa di riferimento; giurisprudenza. | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | II-Giustizia | ||
Riferimenti: |
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Servizio studi |
progetti di legge |
Investigazioni difensive A.C. 5458
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n. 704
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xiv legislatura 8 febbraio 2005 |
Camera dei deputati
DipartimentoGiustizia
SIWEB
I dossier del Servizio studi sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
File: GI0514.doc
INDICE
Scheda di sintesi per l’istruttoria legislativa
Elementi per l’istruttoria legislativa
§ Necessità dell’intervento con legge
§ Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite
§ La disciplina delle indagini difensive
§ Il contenuto della proposta di legge
Riferimenti normativi
§ Codice penale (artt. 357, 371-bis, 371-ter e 479)
§ Codice di procedura penale (artt. 327-bis, 334-bis, 391-bis-391-decies)
Giurisprudenza
§ TRIBUNALE TORINO Sentenza 26 febbraio – 19 maggio-2003 (Gip De Marchi)
Numero del progetto di legge |
5458 |
Titolo |
Introduzione dell'articolo 391-undecies del codice di procedura penale, in materia di investigazioni difensive |
Iniziativa |
Parlamentare |
Settore d’intervento |
Diritto processuale penale |
Iter al Senato |
No |
Numero di articoli |
1 |
Date |
|
§ presentazione |
25 novembre 2004 |
§ annuncio |
1° dicembre 2004 |
§ assegnazione |
9 dicembre 2004 |
Commissione competente |
2ª Commissione (Giustizia) |
Sede |
Referente |
Pareri previsti |
1ª Commissione (Affari costituzionali) |
La proposta di legge AC 5458 è diretta ad introdurre un nuovo articolo, il 391-undecies, nell’ambito del codice di procedura penale.
Il primo comma della norma in esame è diretta ad esplicitare la facoltà, spettante ai soggetti di cui all’articolo 391-bis c.p.p. che svolgono investigazioni difensive(il difensore, il sostituto, gli investigatori privati autorizzati, i consulenti tecnici) nell’ambito dello stesso procedimento, ovvero in procedimenti connessi o in indagini collegate, di informarsi reciprocamente e di rendere nota al proprio assistito ogni attività svolta, anche in relazione allo stato delle indagini preliminari.
Il secondo comma, invece, provvede a specificare che i medesimi soggetti di cui all’articolo 391-bis c.p.p., nell’espletamento delle attività investigative disciplinate al Titolo VI-bis del Libro V del codice di procedura penale, non possono considerarsi pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio.
Trattandosi di proposta di legge di iniziativa parlamentare è corredata della sola relazione illustrativa.
La proposta in esame è diretta ad introdurre un nuovo articolo, il 391-undecies, nell’ambito del codice di procedura penale: si giustifica, pertanto, l’intervento con legge.
Il progetto di legge contiene disposizioni concernenti le attività del difensore nell’ambito del procedimento penale: in tale materia, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera l) (Giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa), della Costituzione, lo Stato ha legislazione esclusiva.
Con la legge 7 dicembre 2000, n. 397 sono entrate stabilmente a far parte del nuovo codice di procedura penale una serie di disposizioni (sinora ad allora previste dagli articoli 38 e 222 delle norme di coordinamento e transitorie dello stesso codice di procedura penale), che dettano una disciplina organica delle c.d. indagini difensive e che costituiscono la soluzione ad un problema emerso fin dall’entrata in vigore del nuovo codice di rito penale, dal momento che le investigazioni compiute dal difensore necessitavano, per poter avere un’utilizzazione processuale, di una disciplina attuativa che ne regolasse le modalità di espletamento e gli effetti.
Lo schema codicistico originario all’interno del quale le nuove norme sono state inserite si fondava su due presupposti:
1) la presunzione di “completezza” delle indagini preliminari sancito dall’art. 358 c.p.p. che, nel disporre a carico del pubblico ministero anche l’onere delle investigazioni a favore dell’imputato, sanciva un regime di monopolio in materia di attività investigative;
2) la previsione del “diritto alla prova”, di cui all’art. 190 c.p.p., in una proiezione tendenzialmente esclusivamente dibattimentale.
I suddetti principi del monopolio investigativo e del diritto alla prova come prima illustrato, trovavano una loro coerente collocazione nell’ambito di un codice fondato su di una netta cesura tra la fase investigativa e quella dibattimentale.
Le innovazioni introdotte nel codice di rito nel 1988 e, soprattutto, la modifica dell’articolo 111 della Costituzione, hanno imposto una complessiva rivisitazione dei poteri delle parti private nella fase procedimentale, al fine di riequilibrarli a quelli del pubblico ministero e della polizia giudiziaria: scopo della disciplina introdotta è stato, pertanto, quello di assicurare al difensore, sul modello accusatorio di tipo americano, una posizione paritaria rispetto all’accusa e di garantirgli concreti strumenti volti a rendere effettivo e pienamente operante il diritto alla prova di cui all’art. 190 c.p.p.
Si ricorda che già prima dell’approvazione della legge n. 397/2000, in forza di un sistema penale ispirato quantomeno tendenzialmente al modello accusatorio, le disposizioni di attuazione e coordinamento del codice di procedura penale contenevano norme sulle indagini difensive.
L'articolo 38 prevedeva che i difensori, al fine di esercitare il diritto alla prova, avessero facoltà di svolgere, anche a mezzo di sostituti e consulenti tecnici, investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito e di conferire con le persone che potessero dare informazioni; tale attività poteva essere svolta, su incarico del difensore, da investigatori privati autorizzati. Il difensore della persona sottoposta alle indagini o della persona offesa poteva presentare direttamente al giudice elementi che egli reputava rilevanti ai fini della decisione da adottare e la documentazione presentata al giudice era inserita nel fascicolo relativo agli atti di indagine. L'articolo 222, tuttora vigente ma novellato dalla legge n.397/2000, stabiliva che, fino all'approvazione della nuova disciplina sugli investigatori privati, l'autorizzazione a svolgere le attività indicate all'articolo 38 sopra citato fosse rilasciata dal prefetto agli investigatori che avessero maturato una specifica esperienza professionale che garantisse il corretto esercizio dell'attività[1]. L’investigatore autorizzato era equiparato al consulente tecnico ai fini delle norme sul segreto professionale.
La nuova disciplina costituisce il superamento di quanto era disposto all’ articolo 38 disp. att. c.p.p. (ora espressamente abrogato), che relegava l’attività difensiva di raccolta di elementi probatori nella sola fase delle indagini preliminari ed esclusivamente in vista di una “decisione da adottare” da parte del Gip. La legge n.397, infatti, stabilisce che il difensore possa svolgere attività investigative, oltre che nella fase “tipica” delle indagini preliminari, anche nella fase pre-procedimentale, nell’eventualità che si instauri un procedimento penale (ex art. 391-nonies c.p.p), nonché successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, ovvero in fase esecutiva o per promuovere il giudizio di revisione (come prevede l’art. 327-bis c.p.p.).
La legge n.397/2000, inoltre:
▪ ha introdotto il principio per cui gli avvocati (ma anche i sostituti, i detective privati o i consulenti tecnici) possono svolgere investigazioni per ricercare e individuare elementi di prova a favore del proprio assistito;
▪ ha concesso ai difensori la possibilità di raccogliere dichiarazioni scritte di persone che possono riferire circostanze o fatti utili all’inchiesta;
▪ ha stabilito che le informazioni assunte dai difensori, che confluiscono nel fascicolo della difesa conservato dal giudice per le indagini preliminari, hanno la stessa dignità e lo stesso peso di quelle dell’accusa.
In particolare la legge n.397 introduce nell’ambito del codice di rito Il nuovo art. 327-bis. che attribuisce al difensore (e su suo incarico al sostituto, al consulente tecnico e all’investigatore privato autorizzato), fin dal momento di assegnazione dell’incarico con atto scritto, la facoltà di svolgere tutte le attività di ricerca ed individuazione di elementi di prova in favore del suo assistito.
Il nucleo della riforma è costituito, tuttavia, dal Titolo VI-bis. c.p.p., specificamente dedicato alle investigazioni difensive ed ispirato al principio della pari dignità rispetto a quelle del pubblico ministero, di cui si dà sinteticamente conto.
Ai sensi del nuovo art. 391-bis c.p.p. (Colloquio, ricezione di dichiarazioni e assunzione di informazioni da parte del difensore) sono tre i modi attraverso cui può avvenire il contatto tra il difensore e le persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’attività investigativa: a) un colloquio non documentato; b) la richiesta di una dichiarazione scritta; c) la richiesta di informazioni da documentare secondo precise modalità[2].
Il difensore, il sostituto, gli investigatori privati o i consulenti tecnici sono tenuti ad avvertire[3] le persone informate sui fatti:
§ della propria qualità e dello scopo del colloquio;
§ della loro intenzione di conferire ovvero di ricevere dichiarazioni o di assumere informazioni indicando, in tal caso, le modalità e la forma di documentazione;
§ dell’obbligo di dichiarare se sono sottoposte ad indagini o imputate nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato (al fine di assicurare la presenza del difensore);
§ della facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione;
§ del divieto di rivelare le domande eventualmente formulate dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero, nonché le risposte ad esse date.
L’art. 391-bis consente, quindi, di “intervistare” sia le persone informate sui fatti, che le persone sottoposte ad indagini o imputate nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato; consente, inoltre, di assumere informazioni anche da soggetti già sentiti dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero, nonché da persone detenute, previa autorizzazione del giudice procedente.
Alcune formalità sono previste in via generale, indipendentemente dal tipo di “intervistando”, altre sono modellate sul tipo di interlocutore ed in relazione alla tipologia di atto da assumere (colloquio informale, assunzione di dichiarazione scritta, intervista).
Quando la persona informata sui fatti abbia esercitato la facoltà di non rispondere o di non rendere dichiarazioni, il PM, su richiesta del difensore, ne dispone l’audizione che fissa entro sette giorni dalla richiesta medesima. Tale disposizione non si applica nei confronti delle persone indagate o imputate nello stesso procedimento o in un procedimento connesso e per un reato collegato. L’audizione si svolge alla presenza del difensore, che per primo formula le domande; in forza del rinvio all’art. 362 c.p.p. (come modificato dalla stessa L. n.397), non si possono chiedere informazioni sulle domande formulate e sulle risposte date al P.M. e alla polizia giudiziaria. Il difensore in alternativa all’audizione può chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza o all’esame della persona che abbia esercitato la facoltà (di non rispondere) anche al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 392, comma 1.
Per quel che riguarda la documentazione delle dichiarazioni e delle informazioni (art. 391-ter)è sancita una totale equiparazione tra la documentazione dell’attività del difensore e quella del pubblico ministero e della polizia giudiziaria (cfr artt. 373 e 357 c.p.p.). Lo stesso dicasi per la disciplina cui è sottoposto l’assistente, figura speculare all’ausiliario collaboratore dell’autorità giudiziaria.
Si prevede, infatti, che se la persona in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’attività investigativa rilascia una dichiarazione scritta, quest’ultima è autenticata dal difensore o da un suo sostituto che redige anche una relazione nella quale sono riportati – oltre i fatti sui quali verte la dichiarazione - la data di ricevimento dell’atto, le proprie generalità e quelle della persona che ha rilasciato la dichiarazione, nonché l’attestazione di avere rivolto gli avvertimenti previsti dall’articolo 391-bis.
L’art. 391-quater, costituendo una rilevante novità rispetto alla disciplina previgente che equiparava il difensore in un processo penale al libero cittadino ai fini del diritto di accesso ai documenti in possesso della PA, stabilisceche il difensore possa chiedere i documenti in possesso della pubblica amministrazione ed estrarne copia a sue spese.
In caso di rifiuto dell’amministrazione trovano applicazione gli artt. 367-368 c.p.p.: è così interposto un filtro da parte del PM alla richiesta dell’avvocato di sequestrare il documento presso la P.A. . La disciplina ha come conseguenza che l’avvocato è costretto a far conoscere al PM il documento amministrativo di cui intende prendere conoscenza a fini investigativi, con possibile lesione del diritto di difesa ed, in generale, della parità delle armi di cui all’art. 111 Cost.
L’art. 391-quinquesprevede, in capo al pubblico ministero, un potere di segretazione. Infatti, in caso di specifiche esigenze attinenti all’attività di indagine, il PM può disporre, con decreto motivato e per una durata non superiore a 2 mesi, l’obbligo del segreto sulle dichiarazioni rese a sé o alla polizia giudiziaria e vietare alle persone sentite di comunicare i fatti e le circostanze oggetto dell’indagine di cui hanno conoscenza.
Il successivo art. 391-sexies disciplina l’ accesso del difensore (oltre che del sostituto e dei suoi ausiliari) ai luoghi e la documentazione relativa a tale attività. Esso permette di avere contezza dello scenario in cui si è svolta l’azione. La documentazione del verbale nel quale sono riportati analiticamente la data ed il luogo dell’accesso, le generalità di tutti gli intervenuti, la descrizione dello stato dei luoghi e delle cose, l’indicazione degli eventuali rilievi tecnici, grafici, planimetrici, fotografici o audiovisivi eseguiti, è possibile ma non è obbligatoria.
L’articolo 391-septies, invece, concerne l’accesso ai luoghi privati o non aperti al pubblico: esso, su richiesta del difensore, è autorizzato dal giudice per le indagini preliminari con decreto motivato in cui sono indicate le concrete modalità. La norma si preoccupa, inoltre, di garantire chi ha la disponibilità materiale del luogo, assicurando che egli può «farsi assistere da persona di fiducia prontamente reperibile e idonea (come testimone) ai sensi dell’art. 120». A tutela della riservatezza l’accesso ai luoghi di abitazione e alle loro pertinenze è vietato, a meno che non sia necessario accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato.
Viene, inoltre, previsto un fascicolo del difensore in cui è inserita la documentazione utilizzabile per le contestazioni nell’esame testimoniale e le letture (art. 391-octies). Invero, nel corso delle indagini preliminari e nell’udienza preliminare, quando il giudice deve adottare una decisione con l’intervento della parte privata, il difensore può presentare direttamente gli elementi di prova a favore del proprio assistito.
Il fascicolo del difensore è conservato presso l’ufficio del GIP al fine di dare certezza all’attività difensiva, con l’ulteriore conseguenza che la relativa documentazione non può essere ritirata o sostituita e di essa il pubblico ministero può prendere visione ed estrarre copia soltanto prima che venga adottata una decisione su richiesta delle altre parti o con il loro intervento. Dopo la chiusura delle indagini preliminari il fascicolo del difensore è inserito in quello del pubblico ministero.
In base all’art. 391-decies, delle dichiarazioni inserite nel fascicolo del difensore le parti possono servirsi a norma degli articoli 500, 512 e 513 c.p.p: l’utilizzabilità delle citate dichiarazioni è dunque completa[4]. Inoltre, la documentazione di atti non ripetibili compiuti in occasione dell’accesso ai luoghi, prodotta nel corso delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare, è inserita nel fascicolo per il dibattimento. Qualora si tratti di accertamenti tecnici non ripetibili, il difensore deve darne avviso, senza ritardo, al pubblico ministero per l’esercizio delle facoltà previste dall’articolo 360.
Come in precedenza accennato, sono possibile anche indagini difensive di natura preventiva, che anticipano cioè lo svolgimento di indagini preliminari da parte della magistratura. Tale eventualità è presa in considerazione all’art. 391-nonies in cui si prevede che l’attività di indagine, con esclusione degli atti richiedenti l’autorizzazione o l’intervento dell’autorità giudiziaria, possa essere svolta dal difensore che ha ricevuto apposito mandato, rilasciato con sottoscrizione autenticata e contenente la dichiarazione di nomina e l’indicazione dei fatti ai quali si riferisce, “per l’eventualità che si instauri un procedimento penale”, quindi in tutti i casi in cui esso non penda ancora, ma vi siano motivi per ritenere che possa essere avviato.
Meritano, infine, di essere menzionate le tre nuove fattispecie di reato introdotte nel codice penale dalla legge n.397/2000. Si tratta:
§ dell’art. 371-bis (False informazioni al pubblico ministero): prima dell’entrata in vigore della legge n.397, il codice penale sanzionava soltanto coloro che – pur non essendo testimoni – violavano l’obbligo di riferire ciò che sapevano al pubblico ministero che da loro assumeva informazioni a norma dell’articolo 362 c.p.p. Ora si prevede l’applicabilità della sanzione anche nei confronti di coloro i quali, convocati in audizione dal pubblico ministero su richiesta del difensore, si siano avvalsi della facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione scritta, pur essendo in grado di riferire circostanze utili ai fini della attività investigativa.
§ dell’art. 371-ter(False dichiarazioni al difensore): l disposizione prevede la reclusione fino a quattro anni a carico delle persone che - disposte a riferire al difensore (o gli altri soggetti da lui incaricati) circostanze utili alle indagini - dichiarino il falso. Inoltre, in analogia con quanto disposto dall’art. 371-bis, comma 2, c.p.p., la norma dispone la sospensione del procedimento penale in attesa che si concluda (con sentenza di primo grado, archiviazione o sentenza di non luogo a procedere) quello nel corso del quale sono state assunte le false dichiarazioni.
§ dell’379-bis(Rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale): è sanzionata con la reclusione fino a un anno – salvo che il fatto costituisca più grave reato - la condotta di chiunque, dopo aver partecipato o assistito ad un atto di un procedimento penale, riveli indebitamente notizie segrete ad esso inerenti. Alla stessa pena soggiace chi, dopo aver rilasciato dichiarazioni nel corso delle indagini preliminari, viola l’obbligo del segreto imposto dal PM ai sensi dell’art. 391-quinques del codice di procedura penale.
La proposta di legge AC 5458 è diretta ad introdurre un nuovo articolo, il 391-undecies, nell’ambito del codice di procedura penale.
Il primo comma della norma in esame si propone lo scopo di esplicitare la facoltà, spettante ai soggetti di cui all’articolo 391-bis c.p.p. che svolgono investigazioni difensive(il difensore, il sostituto, gli investigatori privati autorizzati, i consulenti tecnici) nell’ambito dello stesso procedimento, ovvero in procedimenti connessi o in indagini collegate, di informarsi reciprocamente e di rendere nota al proprio assistito ogni attività espletata, anche in relazione allo stato delle indagini preliminari: la disposizione, oltre a garantire la possibilità di un reciproco collegamento tra tutti coloro che svolgono attività di indagine, è volta, come si legge nella relazione di cui il progetto è corredato, a tutelare anche e soprattutto la persona offesa e l’imputato: “si pensi ad esempio al caso del difensore che assumendo una testimonianza ai sensi di legge sia notiziato dal teste stesso di essere già stato sentito dall'autorità giudiziaria in ordine alla responsabilità penale proprio dell'assistito. È evidente che, fermo restando il divieto di porre domande su quanto narrato dal teste all'autorità giudiziaria, il difensore non può esimersi dal fornire tale notizia al diretto interessato”.
Il secondo comma, invece, provvede a specificare che i medesimi soggetti di cui all’articolo 391-bis c.p.p., nell’espletamento delle attività investigative disciplinate al Titolo VI-bis del Libro V del codice di procedura penale, non possono considerarsi pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio.
L’introduzione di tale ultima disposizione di interpretazione autentica è sembrata opportuna soprattutto in seguito alle recenti pronunce giurisprudenziali di merito (si fa riferimento, in particolare, alla sentenza del Tribunale di Torino n.510 del 2003) che, invece, hanno attribuito al difensore la suddetta qualifica, al fine di rendere applicabile la fattispecie di cui all’articolo 479 c.p. (falso ideologico) nella ipotesi in cui il difensore stesso, nel verbalizzare le dichiarazioni di persone informate sui fatti, ometta le circostanze sfavorevoli al proprio assistito.
In particolare, si afferma nella pronuncia precedentemente citata, esiste un obbligo di verbalizzazione integrale delle dichiarazioni rese dalla persona informata sui fatti al difensore, da cui discende che tale verbalizzazione debba essere necessariamente completa e fedele, anche in considerazione dell’utilizzo processuale che di essa è previsto e del valore probatorio che ad essa è attribuito. Ne consegue, secondo il Tribunale di Torino, che “il verbale delle informazioni documentate è un atto pubblico al pari degli altri atti del processo e che, limitatamente al momento in cui egli riceve le informazioni e le verbalizza, il difensore è pubblico ufficiale”.
In altri termini, la attività di assunzione di informazioni, sia perché concernente un atto avente valore processuale, sia perché coinvolgente un terzo (il dichiarante), sia, infine, perché può essere posta dal giudice a fondamento della propria decisione, presenta tutte le caratteristiche della “pubblica funzione giudiziaria”, da cui deriva, ai sensi del nuovo articolo 357 del codice penale, la qualifica di pubblico ufficiale per coloro che la esercitano.
A fronte di tale ricostruzione è stato rilevato che la particolare disciplina delle attività investigative del difensore non sembrerebbe tale da consentire l’applicazione dell’art. 357 del codice penale, continuando a sembrare più corretto il tradizionale inserimento del difensore stesso nell’ambito dei soggetti che svolgono un servizio di pubblica necessità; sarebbe pertanto ancora attuale la affermazione in base alla quale “il difensore allorché esercita il proprio ministero nel processo penale, non riveste la qualifica di pubblico ufficiale né quella di incaricato di pubblico servizio bensì quella di esercente un servizio di pubblica necessità, atteso che il suo ruolo nel procedimento, nonostante i rilevanti aspetti pubblicistici che lo circondano, attiene essenzialmente alla cura e alla tutela degli interessi processuali dell’imputato o di altra parte privata” (Cass. VI, 7 ottobre 1972). Infatti:
§ l’articolo 327-bis c.p.p. individua la attività di indagine del difensore come diretta esclusivamente a ricercare elementi favorevoli all’assistito, a differenza di quanto previsto in relazione al pubblico ministero, pubblico ufficiale, che ricerca sia gli elementi a carico che quelli a discarico dell’indagato;
§ nel raccogliere le informazioni il difensore non è tenuto, tra l’altro, a chiedere all’interrogato quanto a sua conoscenza, in generale, sui fatti di indagine, ma ben può rivolgere solo specifiche domande, disinteressandosi degli aspetti che possano condurre a risultati sfavorevoli: in proposito è stato rilevato come non sia casuale la circostanza per cui il legislatore nell’ambito dell’art.371-terc.p. (false dichiarazioni al difensore) non preveda, differentemente da quanto accade per l’art.371-bis(false dichiarazioni al pubblico ministero), la punibilità della reticenza. Tale scelta legislativa andrebbe collegata al fatto che, dovendo il difensore svolgere attività di indagine solo a favore del proprio assistito, si è ipotizzata come frequente la circostanza che la persona informata sui fatti taccia almeno in parte ciò che sa, non essendole state scientemente rivolte dal legale domande che potrebbero far emergere circostanze sfavorevoli al suo assistito;
§ mentre il pubblico accusatore ha l’obbligo di trasmettere al giudice indistintamente tutto il materiale documentale raccolto nel corso del procedimento penale, il difensore ha una mera facoltà di produrre tali elementi, da cui discenderebbe persino la possibilità di distruzione degli atti non prodotti perché considerati non rilevanti o in contrasto con l’interesse processuale dell’assistito;
§ il difensore, proprio in ragione della peculiarità della posizione “privatistica” riconosciutagli, non ha l’obbligo di denuncia riguardo ad eventuali reati di cui sia venuto a conoscenza nel corso della sua attività investigativa (art.334-bisc.p.p.).
Quanto al problema specifico della natura dell’atto nel quale sono raccolte le dichiarazioni della persona informata sui fatti è stato osservato che:
§ l’articolo 391-ter c.p.p. al terzo comma , prevede in proposito l’osservanza delle disposizioni di cui al Titolo III del Libro II del codice, ma solo “in quanto applicabili”;
§ il difensore può avvalersi per la redazione del verbale di persona di sua fiducia, cui sicuramente non può attribuirsi la qualifica di pubblico ufficiale;
§ la circostanza che il verbale potrebbe essere legittimamente occultato o distrutto appare incompatibile con la qualificazione di atto pubblico.
Fermi restando, quindi, gli obblighi del difensore concernenti la completezza, integrità e fedeltà della verbalizzazione delle dichiarazioni rese ai sensi dell’articolo 391-bis c.p.p., si è concluso che la loro violazione possa costituire illecito disciplinare (si vedano le Direttive deontologiche dell’Unione delle Camere Penali italiane del 30 marzo 1996, nonché le Regole di comportamento del penalista nelle investigazioni difensive del 19 aprile 2001) ed integrare, qualora sussistano gli altri presupposti richiesti, la fattispecie di cui all’articolo 481 del codice penale (falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità).
N. 5458
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CAMERA DEI DEPUTATI ¾¾¾¾¾¾¾¾ |
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PROPOSTA DI LEGGE |
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d’iniziativa dei deputati GHEDINI, PECORELLA, BIONDI, COLA, FANFANI, FRAGALÀ, LUSSANA, MAZZONI, PISAPIA, TAORMINA, VITALI ¾ |
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Introduzione
dell'articolo 391-undecies del codice di procedura |
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Presentata il 25 dicembre 2004
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Onorevoli Colleghi! - Alcune decisioni giurisprudenziali completamente contrarie al contenuto e allo spirito della normativa sulle investigazioni difensive impongono al legislatore una interpretazione autentica della materia al fine di evitare un vulnus costituzionale che si riverbera in modo diretto e immediato non già sui soggetti abilitati a tali investigazioni ma sul cittadino, persona offesa o imputato. È quindi necessario esplicitare che da parte di coloro che svolgono investigazioni vi è non solo la possibilità di un continuo collegamento tra loro ma anche, ovviamente, la facoltà di poter notiziare il proprio assistito riguardo all'attività in corso.
Tale possibilità deve essere ribadita specialmente in relazione allo stato delle indagini in corso dell'autorità giudiziaria. Si pensi ad esempio al caso del difensore che assumendo una testimonianza ai sensi di legge sia notiziato dal teste stesso di essere già stato sentito dall'autorità giudiziaria in ordine alla responsabilità penale proprio dell'assistito. È evidente che, fermo restando il divieto di porre domande su quanto narrato dal teste all'autorità giudiziaria, il difensore non può esimersi dal fornire tale notizia al diretto interessato. Si osservi altresì che una giurisprudenza minoritaria ma non per questo meno erronea ha ritenuto che i soggetti che svolgono attività investigative siano qualificabili quali pubblici ufficiali. L'erroneità è manifesta per le ovvie ragioni sistematiche da chiunque percepibili ma per le altrettanto ovvie conseguenze che possono derivare da una siffatta distorsione è opportuno che il legislatore ribadisca espressamente che tali soggetti non possono essere considerati né pubblici ufficiali né incaricati di pubblico servizio.
proposta di legge ¾¾¾
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Art. 1. 1. Dopo l'articolo 391-decies del codice di procedura penale è inserito il seguente: «Art. 391-undecies. (Soggetti
che espletano investigazioni difensive). - 1. I soggetti di cui
all'articolo 391-bis che hanno espletato
investigazioni difensive, nello stesso procedimento ovvero in procedimenti
connessi o in indagini collegate, sono legittimati ad informarsi
reciprocamente nonché a notiziare il proprio
assistito di ogni attività espletata, anche in relazione allo stato delle
indagini dell'autorità giudiziaria.
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[1] L’investigatore era iscritto in uno speciale registro, in cui venivano annotate le generalità e l'indirizzo del difensore committente, la specie degli atti investigativi richiesti e la durata delle indagini, determinata al momento del conferimento dell'incarico.
[2] Se la persona è detenuta, il difensore per conferire, ricevere dichiarazioni o assumere informazioni deve munirsi di specifica autorizzazione del giudice che procede nei confronti della stessa, ovvero del giudice delle indagini preliminari prima dell’esercizio dell’azione penale, o del magistrato di sorveglianza durante l’esecuzione della pena.
[3] Per garantire la correttezza della condotta del difensore la norma prevede che la violazione di una delle citate disposizioni, oltre a costituire illecito disciplinare, comporti l’inutilizzabilità delle informazioni assunte.
[4] Il rinvio all’articolo 500 sta a significare che il giudice, a seguito delle contestazioni, può valutare l’attendibilità del testimone ed assegnare valenza probatoria ai ragguagli resi al difensore nella fase pre-dibattimentale. Anche il richiamo agli articoli 512 («Lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione») e 513 («Lettura delle dichiarzioni rese dall’imputato nel corso delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare») si muove nell’alveo della filosofia che è alla base dell’intero disegno di legge, volto ad equiparare l’attività difensiva a quella del pubblico ministero.