XIV Legislatura - Dossier di documentazione
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario - Lavori preparatori della Legge 25 luglio 2005, n. 150 - Iter alla Camera (AC 4636 e abb.)- Testo dei disegni di legge (Parte IV)
Serie: Progetti di legge    Numero: 535    Progressivo: 1
Data: 17/10/05
Descrittori:
GIUDICI E GIURISDIZIONE   MAGISTRATURA
ORDINAMENTO GIUDIZIARIO   RIFORME
Organi della Camera: II-Giustizia
Riferimenti:
L n.150 del 25/07/05   AC n.4636/14
AS n.1296/14     

Servizio studi

 

progetti di legge

Delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario

Lavori preparatori della
Legge 25 luglio 2005, n. 150

Iter alla Camera (AC 4636 e abb.)
Testo dei disegni di legge

n. 535/1

parte IV

xiv legislatura

17 ottobre 2005

 


Camera dei deputati


La documentazione predisposta in occasione dell'esame del disegno di legge recante la delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario (A.C. 4636) si articola nei seguenti volumi:

-          dossier n. 535:contiene la scheda di sintesi per l'istruttoria legislativa, le schede di lettura ed il disegno di legge A.C. 4636 (parte I); contiene la normativa di riferimento (parte II)

-          dossier n. 535/1: contiene i lavori parlamentari alla Camera e al Senato (suddiviso in tredici parti)

-          Prima lettura al Senato (A.S. 1296 e abb.)

-        Parte I: testo dei disegni di legge

-        Parte II: esame in Commissione

-        Parte III: esame in Assemblea

-          Prima lettura alla Camera (A.C. 4636 e abb.)

-     Parte IV: testo dei disegni di legge

-     Parte V: esame in Commissione e in Assemblea

-          Seconda lettura al Senato (A.S. 1296-B e abb.)

-     Parte VI: testo dei disegni di legge e esame in Commissione

-     Parte VII: esame in Assemblea: sedute dal 20 settembre al 2 novembre 2004

-     Parte VIII: esame in Assemblea: sedute dal 3 al 10 novembre 2004

-          Seconda lettura alla Camera (A.C. 4636-bis-B e abb.)

-     Parte IX: testo dei disegni di legge, esame in sede referente e consultiva, esame in Assemblea

-          Terza lettura al Senato (A.S. 1296-B-bis)

-     Parte X: messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica, testo del disegno di legge, esame in sede referente e consultiva

-     Parte XI: esame in Assemblea: sedute dal 26 gennaio al 15 giugno 2005

-     Parte XII: esame in Assemblea: sedute dal 22 al 28 giugno 2005

-          Terza lettura alla Camera (A.C. 4636-bis-D e abb.)

-     Parte XIII: Esame in Commissione e in Assemblea

-          dossier n. 535/2:contiene le schede di lettura, la normativa di riferimento e l’A.C. 4636-bis-B

-          dossier n. 535/3:contiene le schede di lettura e l’A.C. 4636-bis-D.

Dipartimento Giustizia

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File: GI0284ad.doc


 

INDICE

Parte IV

Iter alla Camera - prima lettura

Progetti di legge

§      A.C. 4636, (Governo), Delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della disciplina per l'accesso alle funzioni presso organi di giurisdizione superiore amministrativa, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché per l'emanazione di un testo unico  5

§      A.C. 160, (on. Burani Procaccini), Modifica dell'articolo 194 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, concernente i tramutamenti successivi dei magistrati7

§      A.C. 451, (on. Cento), Modifiche all'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, in materia di distinzione delle funzioni giudicante e requirente e di tramutamenti successivi dei magistrati7

§      A.C. 632, (on. Bonito ed altri), Istituzione di un Centro superiore di studi giuridici per la formazione professionale dei magistrati, denominato  7

§      A.C. 720, (on. Pisapia e Russo Spena), Modifica dell'articolo 190 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, in tema di distinzione delle funzioni requirenti e giudicanti e di  passaggio da una funzione all'altra  7

§      A.C. 984, (on. Pezzella e Nespoli), Delega al Governo per il potenziamento e la razionalizzazione dell'amministrazione giudiziaria  7

§      A.C. 1257, (on. Trantino), Norme concernenti la responsabilità disciplinare, le incompatibilità e la difesa della funzione e dell'immagine del magistrato  7

§      A.C. 1529, (on. Fragalà ed altri), Modifiche all'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, in materia di assegnazione degli affari giudiziari7

§      A.C. 1577, (on. Fragalà), Norme in materia di responsabilità disciplinare, di incompatibilità e di incarichi extragiudiziari dei magistrati7

§      A.C. 1630, (on. Fragalà), Modifiche all'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, in materia di tramutamenti successivi dei magistrati e di temporaneità delle funzioni e degli incarichi direttivi in magistratura  7

§      A.C. 1631, (on. Fragalà), Modifiche all'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, in materia di temporaneità degli uffici direttivi e dell'esercizio delle funzioni requirenti nella magistratura ordinaria  7

§      A.C. 1913, (on. Gazzara ed altri), Disposizioni per il conferimento di taluni incarichi giudiziari a tempo determinato  7

§      A.C. 1940, (on. Anedda ed altri), Norme in materia di responsabilità disciplinare, di incompatibilità e di incarichi estranei ai compiti di ufficio dei magistrati ordinari7

§      A.C. 2137, (on. Buemi ed altri), Disposizioni per la destinazione extragiudiziaria dei magistrati eletti in uno dei due rami del Parlamento al termine del mandato  7

§      A.C. 2152, (on. Buemi ed altri), Norme in materia di trattamento economico del personale di magistratura  7

§      A.C. 2153, (on. Buemi ed altri), Istituzione della Scuola nazionale della magistratura e norme in materia di reclutamento, formazione e valutazione della professionalità dei magistrati7

§      A.C. 2154, (on. Buemi ed altri), Norme in materia di stato giuridico dei magistrati e di separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e magistrati inquirenti7

§      A.C. 2183, (on. Anedda ed altri), Modifiche all'ordinamento giudiziario, approvato con regio  decreto 30 gennaio 1941, n. 12, in materia di requisiti per l'accesso al concorso in magistratura e di passaggio dalla funzione giudicante alla funzione requirente  7

§      A.C. 2257, (on. Malgieri), Norme in materia di dichiarazioni pubbliche dei magistrati della Repubblica  7

§      A.C. 2439, (on. Vitali), Delega al Governo per la disciplina della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri7

§      A.C. 2569, (on. Vitali ed altri),  Delega al Governo per la definizione delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri7

§      A.C. 2570, (on. Vitali e Arnoldi), Delega al Governo per il decentramento dei servizi dellagiustizia e per la riorganizzazione degli uffici giudiziari7

§      A.C. 2668, (on. Taormina ed altri), Disposizioni per la semplificazione del sistema giudiziario penale  7

§      A.C. 2883, (on. La Grua), Abolizione degli incarichi extragiudiziari dei magistrati7

§      A.C. 3014, (on. Fanfani e Fistarol), Delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario  7

§      A.C. 3662, (on. Landolfi), Istituzione degli uffici stampa presso le procure della Repubblica  7

§      A.C. 3718, (on. Fragalà), Delega al Governo per il trasferimento delle funzioni del pubblico ministero all'Avvocatura dello Stato  7

§      A.C. 3741, (on. Pisapia), Disciplina delle incompatibilità e degli incarichi extraistituzionali dei magistrati7

§      A.C. 4002,  (on. Oricchio), ,Abrogazione dell'articolo 211 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, in materia di divieto di riammissione in magistratura  7

§      A.C. 4029, (on. Cola ed altri), Modifiche al regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, concernente le guarentigie della magistratura  7

§      A.C. 4157, (on. Pisapia), Norme in materia di valutazione di professionalità dei magistrati7

§      A.C. 4158, (on. Pisapia), Norme in materia di responsabilità disciplinare dei magistrati ordinari7

§      A.C. 4291, (on. Pisapia), Introduzione dell'articolo 6-bis del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, recante l'istituzione del consiglio giudiziario presso la Corte suprema di cassazione  7

§      A.C. 4304, (on. Pisapia), Modifica all'articolo 6 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, in materia di composizione dei consigli giudiziari presso le corti di appello  7

§      A.C. 4433, (on. Oricchio ed altri), Disposizioni in materia di attribuzioni del pubblico  ministero in materia disciplinare  7

§      A.C. 4434, (on. Oricchio ed altri), Modifiche al regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, concernenti il trasferimento per incompatibilità dei magistrati7

§      A.C. 4435, (on. Pittelli ed altri), Modifiche all'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, concernenti limiti temporali all'esercizio delle funzioni di pubblico ministero  7

§      A.C. 4483, (on. Oricchio ed altri), Modifiche all'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, in materia di limiti temporali all'esercizio delle funzioni giurisdizionali presso la medesima sede o ufficio  7

§      A.C. 4688, (on. Pisapia), Modifiche all'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, in materia di relazioni per l'inaugurazione dell'anno giudiziario  7

§      A.C. 4745, (on. Buemi ed altri), Delega al Governo in materia di formazione e aggiornamento delle professioni giudiziarie e di definizione dei ruoli, delle funzioni e delle carriere di giudici e pubblici ministeri7

 

 


Iter alla Camera - prima lettura

 


Progetti di legge

 


N. 4636

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

¾¾¾¾¾¾¾¾

DISEGNO DI LEGGE

APPROVATO DAL SENATO DELLA REPUBBLICA

il 21 gennaio 2004 (v. stampato Senato n. 1296)

presentato dal ministro della giustizia

(CASTELLI)

di concerto con il ministro dell'economia e delle finanze

(TREMONTI)

 

 

Delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della disciplina per l'accesso alle funzioni presso organi digiurisdizione superiore amministrativa, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché per l'emanazione di un testo unico

 

¾¾¾¾¾¾¾¾

Trasmesso dal Presidente del Senato della Repubblica il 24 gennaio 2004

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DISEGNO DI LEGGE

 

Capo I

DELEGA AL GOVERNO PER LA

RIFORMA DELL'ORDINAMENTO

GIUDIZIARIO

 

Art. 1.

(Contenuto della delega).

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, con l'osservanza dei princìpi e dei criteri direttivi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 8, uno o più decreti legislativi diretti a:

a) modificare la disciplina per l'accesso in magistratura, nonché la disciplina della progressione economica e delle funzioni dei magistrati, e individuare le competenze dei dirigenti amministrativi degli uffici giudiziari;

b) istituire la Scuola superiore della magistratura, razionalizzare la normativa in tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, nonché in tema di aggiornamento professionale e formazione dei magistrati;

c) disciplinare la composizione, le competenze e la durata in carica dei consigli giudiziari, nonché istituire il Consiglio direttivo della Corte di cassazione;

d) riorganizzare l'ufficio del pubblico ministero;

e) modificare l'organico della Corte di cassazione e la disciplina relativa ai magistrati applicati presso la medesima;

f) individuare le fattispecie tipiche di illecito disciplinare dei magistrati, le relative sanzioni e la procedura per la loro applicazione, nonché modificare la disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento d'ufficio.

2. Il Governo è delegato ad adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo diretto a prevedere, in via sperimentale e per un periodo di quattro anni, l'istituzione dell'ufficio del giudice, introducendo la figura dell'ausiliario dello stesso, con l'osservanza dei princìpi e dei criteri direttivi di cui all'articolo 9.

3. Le disposizioni contenute nei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui al comma 1 divengono efficaci dal centottantesimo giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

4. Il Governo è delegato ad adottare, entro i centoventi giorni successivi alla scadenza del termine di cui al comma 1, le norme necessarie al coordinamento delle disposizioni dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui al medesimo comma con le altre leggi dello Stato e, con l'osservanza dei princìpi e dei criteri direttivi di cui all'articolo 10, la necessaria disciplina transitoria, prevedendo inoltre l'abrogazione delle disposizioni con essi incompatibili. Le disposizioni dei decreti previsti dal presente comma divengono efficaci a decorrere dalla data indicata nel comma 3.

5. Gli schemi dei decreti legislativi adottati nell'esercizio delle deleghe di cui ai commi 1 e 2 sono trasmessi al Senato della Repubblica ed alla Camera dei deputati, perché sia espresso dalle competenti Commissioni permanenti un parere entro il termine di sessanta giorni dalla data della trasmissione, decorso il quale i decreti sono emanati anche in mancanza del parere.

6. Le disposizioni previste dal comma 5 si applicano anche per l'esercizio della delega di cui al comma 4, ma in tal caso il termine per l'espressione del parere è ridotto alla metà.

7. Il Governo, con la procedura di cui al comma 5, entro due anni dalla data di acquisto di efficacia di ciascuno dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui al comma 1 ovvero dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 2, può emanare disposizioni correttive nel rispetto dei princìpi e dei criteri direttivi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9.

 

Art. 2.

(Concorsi per uditore giudiziario. Disciplina della progressione economica e delle funzioni dei magistrati.

Competenze dei dirigenti amministrativi degli uffici giudiziari).

1. Nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a), il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) prevedere per l'ingresso in magistratura:

1) che sia bandito un concorso per l'accesso a posti distinti nella magistratura giudicante e in quella requirente, precisando che il candidato, all'atto della domanda, dovrà scegliere a quale funzione intende accedere;

2) che il concorso sia articolato in distinte prove di esame, scritte ed orali, con materie in parte comuni e in parte diverse, in relazione alla specificità della funzione prescelta;

3) che le commissioni di concorso siano distinte, con unico presidente e un vice presidente per ciascuna di esse, disciplinandone la composizione e le modalità di nomina dei componenti e stabilendo, in particolare, a tale fine che esse siano nominate con un unico decreto del Ministro della giustizia previa delibera del Consiglio superiore della magistratura, che siano composte ciascuna da magistrati, aventi almeno cinque anni di esercizio delle funzioni di secondo grado, in un numero variabile fra un minimo di undici e un massimo di sedici, e da docenti universitari in materie giuridiche in un numero variabile fra un minimo di quattro e un massimo di sei, che la funzione di presidente e quelle di vicepresidente siano svolte da magistrati che esercitino da almeno tre anni le funzioni direttive di legittimità indicate dalla lettera h), che il numero dei componenti di ciascuna commissione sia determinato tenendo conto del presumibile numero dei candidati e dell'esigenza di rispettare le scadenze indicate nel numero 2) della lettera c), e, infine, che il numero dei componenti docenti universitari sia tendenzialmente proporzionato a quello dei componenti magistrati;

4) che i componenti magistrati della commissione di concorso per i posti nella magistratura giudicante siano in prevalenza magistrati che esercitano funzioni giudicanti e che i componenti magistrati della commissione di concorso per i posti nella magistratura requirente siano in prevalenza magistrati che esercitano funzioni requirenti;

b) prevedere che siano ammessi ai concorsi per magistrati giudicanti e ai concorsi per magistrati requirenti coloro che:

1) hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni ed hanno conseguito diploma presso le scuole di specializzazione nelle professioni legali previste dall'articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n.398, e successive modificazioni, stabilendo inoltre che il numero dei laureati da ammettere alle scuole di specializzazione per le professioni legali sia determinato, fermo quanto previsto nel comma 5 dell'articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n.398, in misura non superiore a dieci volte il maggior numero dei posti considerati negli ultimi tre bandi di concorso per uditore giudiziario;

2) hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni ed hanno conseguito il dottorato di ricerca in materie giuridiche;

3) hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni ed hanno conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense;

4) hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni ed hanno svolto, dopo il superamento del relativo concorso, funzioni direttive nelle pubbliche amministrazioni per almeno tre anni;

5) hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni ed hanno superato il concorso per la professione di notaio;

6) hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni ed hanno svolto le funzioni di magistrato onorario per almeno quattro anni senza demerito;

7) hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni ed hanno conseguito il diploma di specializzazione in una disciplina giuridica, al termine di un corso di studi della durata non inferiore a due anni presso le scuole di specializzazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n.162;

c) prevedere che:

1) le commissioni di cui al numero 3) della lettera a) abbiano facoltà di circoscrivere le prove scritte a due delle materie indicate dall'articolo 123-ter, comma 1, dell'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n.12, e successive modificazioni, mediante sorteggio effettuato nelle ventiquattro ore antecedenti l'inizio della prima prova, quando il numero dei candidati sia superiore a millecinquecento; prevedere che in tale caso particolare attenzione sia dedicata in sede di prova orale alla materia che il sorteggio ha escluso;

2) le prove scritte avvengano tendenzialmente a data fissa, e cioè nei giorni immediatamente prossimi al 15 settembre di ogni anno; che la correzione degli elaborati scritti e le prove orali si svolgano inderogabilmente in un tempo non superiore a nove mesi; che l'intera procedura concorsuale sia espletata in modo da consentire l'inizio del tirocinio il 15 settembre dell'anno successivo;

3) il concorso possa essere sostenuto per non più di tre volte con esito sfavorevole;

d) prevedere che, dopo il compimento del periodo di uditorato, le funzioni dei magistrati si distinguano in funzioni di merito e di legittimità e siano le seguenti:

1) funzioni giudicanti di primo grado;

2) funzioni requirenti di primo grado;

3) funzioni giudicanti di secondo grado;

4) funzioni requirenti di secondo grado;

5) funzioni semidirettive giudicanti di primo grado;

6) funzioni semidirettive giudicanti di secondo grado;

7) funzioni direttive di primo grado;

8) funzioni direttive di secondo grado;

9) funzioni giudicanti di legittimità;

10) funzioni requirenti di legittimità;

11) funzioni direttive di legittimità;

12) funzioni direttive superiori di legittimità;

e) prevedere:

1) che, fino al compimento dell'ottavo anno dall'ingresso in magistratura, possano essere svolte funzioni requirenti o giudicanti di primo grado; che, dopo gli otto anni, previo concorso per titoli ed esami, possano essere svolte funzioni giudicanti o requirenti di secondo grado; che, dopo i quindici anni, previo concorso per titoli ed esami, possano essere svolte funzioni di legittimità;

2) che il Consiglio superiore della magistratura attribuisca le funzioni di secondo grado e di legittimità previo concorso per titoli ed esami e attribuisca tutte quelle direttive, nonché le semidirettive, previo concorso per titoli;

3) le modalità del concorso per titoli ed esami, scritti ed orali, nonché i criteri di valutazione, stabilendo, in particolare, che le prove d'esame consistano nella redazione, anche con l'impiego di prospettazioni e di materiali forniti dalla commissione, di uno o più provvedimenti relativi alle funzioni richieste e in una discussione orale sui temi attinenti alle stesse, fatto salvo quanto diversamente previsto dalla lettera l) per il conferimento delle funzioni direttive e semidirettive;

4) che i magistrati che in precedenza abbiano subìto una sanzione disciplinare superiore all'ammonimento siano ammessi ai concorsi di cui ai numeri 1) e 2) dopo un maggiore numero di anni non inferiore a due e non superiore a quattro rispetto a quanto previsto dal numero 1) e dalle lettere g) ed h);

f) prevedere che:

1) decorsi almeno cinque anni nell'esercizio delle funzioni giudicanti, i magistrati possano partecipare a concorsi per titoli ed esami, banditi dal Consiglio superiore della magistratura, per l'assegnazione di posti vacanti nella funzione requirente, dopo aver frequentato con favorevole giudizio finale un apposito corso di formazione al riguardo presso la Scuola superiore della magistratura di cui all'articolo 3;

2) siano disciplinate le modalità e le prove, scritte ed orali, del concorso di cui al numero 1), stabilendo, in particolare, che le prove d'esame consistano nella redazione, anche con l'impiego di prospettazioni e materiali forniti dalla commissione, di uno o più provvedimenti relativi alle funzioni richieste e in una discussione orale sui temi attinenti alle stesse;

3) la commissione esaminatrice sia quella indicata alla lettera i), numero 6), e che tra le prove vi siano quelle inerenti la specifica funzione per cui si concorre;

4) decorsi almeno cinque anni nell'esercizio delle funzioni requirenti, i magistrati possano partecipare a concorsi per titoli ed esami, banditi dal Consiglio superiore della magistratura, per l'assegnazione di posti vacanti nella funzione giudicante, dopo aver frequentato con favorevole giudizio finale un apposito corso di formazione al riguardo presso la Scuola superiore della magistratura di cui all'articolo 3;

5) siano disciplinate le modalità e le prove, scritte ed orali, del concorso di cui al numero 4), stabilendo, in particolare, che le prove d'esame consistano nella redazione, anche con l'impiego di prospettazioni e materiali forniti dalla commissione, di uno o più provvedimenti relativi alle funzioni richieste e in una discussione orale sui temi attinenti alle stesse;

6) la commissione esaminatrice sia quella indicata dalla lettera i), numero 5), e che tra le prove vi siano quelle inerenti la specifica funzione per cui si concorre;

7) i corsi di cui ai numeri 1) e 4) debbano essere espletati esclusivamente in occasione del primo passaggio a funzioni diverse;

8) il mutamento delle funzioni nello stesso grado da giudicanti a requirenti, e viceversa, debba essere richiesto per posti disponibili in ufficio giudiziario avente sede in diverso distretto, con esclusione di quello competente ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale in caso di pendenza di procedimenti nei confronti dell'interessato;

g) prevedere che:

1) funzioni giudicanti di primo grado siano quelle di giudice di tribunale, di giudice del tribunale per i minorenni e di magistrato di sorveglianza;

2) funzioni requirenti di primo grado siano quelle di sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario e di sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni;

3) funzioni giudicanti di secondo grado siano quelle di consigliere di corte di appello;

4) funzioni requirenti di secondo grado siano quelle di sostituto procuratore generale presso la corte di appello nonché quelle di sostituto addetto alla Direzione nazionale antimafia;

5) funzioni giudicanti di legittimità siano quelle di consigliere della Corte di cassazione;

6) funzioni requirenti di legittimità siano quelle di sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione;

7) funzioni semidirettive giudicanti di primo grado siano quelle di presidente di sezione di tribunale, cui possono accedere, previo concorso per titoli, magistrati che abbiano superato almeno uno dei concorsi per il conferimento delle funzioni di secondo grado o di legittimità da non meno di tre anni e abbiano esercitato continuativamente funzioni giudicanti negli ultimi tre anni;

8) funzioni semidirettive giudicanti di secondo grado siano quelle di presidente di sezione di corte di appello, cui possono accedere, previo concorso per titoli, magistrati che abbiano superato almeno uno dei concorsi per il conferimento delle funzioni di secondo grado o di legittimità da non meno di otto anni e abbiano esercitato continuativamente funzioni giudicanti negli ultimi tre anni;

9) funzioni direttive giudicanti di primo grado siano quelle di presidente di tribunale, di presidente del tribunale di sorveglianza e di presidente del tribunale per i minorenni, cui possono accedere, previo concorso per titoli, magistrati che abbiano superato almeno uno dei concorsi per il conferimento delle funzioni di secondo grado o di legittimità da non meno di cinque anni e abbiano esercitato continuativamente funzioni giudicanti negli ultimi tre anni;

10) funzioni direttive requirenti di primo grado siano quelle di procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario e di procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, cui possono accedere, previo concorso per titoli, magistrati che abbiano superato almeno uno dei concorsi per il conferimento delle funzioni di secondo grado o di legittimità da non meno di cinque anni e abbiano esercitato continuativamente funzioni requirenti negli ultimi tre anni;

11) funzioni direttive giudicanti di secondo grado siano quelle di presidente di tribunale e di presidente della sezione per le indagini preliminari dei tribunali di cui alla tabella L) allegata all'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n.12, e successive modificazioni, di presidente dei tribunali di sorveglianza di cui alla tabella A) allegata alla legge 26 luglio 1975, n.354, e successive modificazioni, nonché quelle di presidente della corte di appello, cui possono accedere, previo concorso per titoli, magistrati che abbiano superato il concorso per le funzioni di legittimità da almeno dieci anni e abbiano esercitato continuativamente funzioni giudicanti negli ultimi tre anni;

12) funzioni requirenti direttive di secondo grado siano quelle di procuratore della Repubblica presso i tribunali di cui alla tabella L) allegata all'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n.12, e successive modificazioni, nonché quelle di procuratore generale presso la corte di appello e di procuratore nazionale antimafia, cui possono accedere, previo concorso per titoli, magistrati che abbiano superato il concorso per le funzioni di legittimità da almeno dieci anni e abbiano esercitato continuativamente funzioni requirenti negli ultimi tre anni;

h) prevedere che:

1) le funzioni direttive giudicanti di legittimità siano quelle di presidente di sezione della Corte di cassazione, cui possono accedere, previo concorso per titoli, magistrati che esercitino funzioni giudicanti di legittimità da almeno quattro anni;

2) le funzioni direttive requirenti di legittimità siano quelle di avvocato generale della Procura generale presso la Corte di cassazione, cui possono accedere, previo concorso per titoli, magistrati che esercitino funzioni requirenti di legittimità da almeno quattro anni;

3) le funzioni direttive superiori giudicanti di legittimità siano quelle di presidente aggiunto della Corte di cassazione e quella di presidente del Tribunale superiore delle acque pubbliche, cui possono accedere, previo concorso per titoli, magistrati che esercitino funzioni giudicanti di legittimità da almeno dieci anni;

4) le funzioni direttive superiori requirenti di legittimità siano quelle di Procuratore generale presso la Corte di cassazione, cui possono accedere, previo concorso per titoli, magistrati che esercitino funzioni requirenti di legittimità da almeno dieci anni;

5) le funzioni direttive superiori apicali di legittimità siano quelle di primo Presidente della Corte di cassazione, cui possono accedere, previo concorso per titoli, magistrati che esercitino funzioni giudicanti di legittimità da almeno dieci anni;

i) prevedere che:

1) annualmente il 75 per cento dei posti vacanti nella funzione giudicante di primo grado, a domanda, venga assegnato, previa valutazione del Consiglio superiore della magistratura acquisito il parere motivato del consiglio giudiziario, ai magistrati che esercitino da almeno tre anni le funzioni giudicanti;

2) per la copertura dei restanti posti vacanti nella funzione giudicante di primo grado venga bandito un concorso per titoli ed esami, scritti ed orali, cui abbiano accesso magistrati che esercitino da almeno cinque anni le funzioni requirenti;

3) annualmente il 75 per cento dei posti vacanti nella funzione requirente di primo grado, a domanda, venga assegnato, previa valutazione del Consiglio superiore della magistratura acquisito il parere motivato del consiglio giudiziario, ai magistrati che esercitino da almeno tre anni le funzioni requirenti;

4) per la copertura dei restanti posti vacanti nella funzione requirente di primo grado venga bandito un concorso per titoli ed esami, scritti ed orali, cui abbiano accesso magistrati che esercitino da almeno cinque anni le funzioni giudicanti;

5) ai fini di cui al numero 2), sia istituita una commissione di concorso per l'assegnazione alle funzioni giudicanti, costituita da tre magistrati giudicanti, che esercitino funzioni di secondo grado, e da due magistrati requirenti, che esercitino funzioni di secondo grado, nonché da tre professori universitari di prima fascia in materie giuridiche, nominati dal Consiglio superiore della magistratura;

6) ai fini di cui al numero 4), sia istituita una commissione di concorso per l'assegnazione alle funzioni requirenti, costituita da tre magistrati requirenti, che esercitino funzioni di secondo grado, e da due magistrati giudicanti, che esercitino funzioni di secondo grado, nonché da tre professori universitari di prima fascia in materie giuridiche, nominati dal Consiglio superiore della magistratura;

7) annualmente il 25 per cento dei posti vacanti nella funzione giudicante di secondo grado, a domanda, venga assegnato, previa valutazione del Consiglio superiore della magistratura acquisito il parere motivato del consiglio giudiziario, ai magistrati che esercitino da almeno tre anni le funzioni giudicanti di secondo grado;

8) per la copertura dei restanti posti vacanti nella funzione giudicante di secondo grado venga bandito un concorso per titoli ed esami, scritti ed orali, e che tali posti siano assegnati:

8.1) per il 25 per cento a magistrati che esercitino da almeno cinque anni le funzioni requirenti di secondo grado;

8.2) per il 75 per cento a magistrati con otto anni di anzianità, di cui gli ultimi tre nelle funzioni giudicanti, e che abbiano frequentato con favorevole giudizio finale l'apposito corso di formazione alle funzioni di appello presso la Scuola superiore della magistratura di cui all'articolo 3;

9) annualmente il 25 per cento dei posti vacanti nella funzione requirente di secondo grado, a domanda, venga assegnato, previa valutazione del Consiglio superiore della magistratura acquisito il parere motivato del consiglio giudiziario, ai magistrati che esercitino da almeno tre anni le funzioni requirenti di secondo grado;

10) per la copertura dei restanti posti vacanti nella funzione requirente di secondo grado venga bandito un concorso per titoli ed esami, scritti ed orali, e che tali posti siano assegnati:

10.1) per il 25 per cento a magistrati che esercitino da almeno cinque anni le funzioni giudicanti di secondo grado;

10.2) per il 75 per cento a magistrati con otto anni di anzianità, di cui gli ultimi tre nelle funzioni requirenti, e che abbiano frequentato con favorevole giudizio finale l'apposito corso di formazione alle funzioni di appello presso la Scuola superiore della magistratura di cui all'articolo 3;

11) ai fini di cui al numero 8), sia istituita una commissione, composta da due magistrati che esercitino le funzioni giudicanti di legittimità, da un magistrato che eserciti le funzioni requirenti di legittimità, da due magistrati che esercitino le funzioni giudicanti di secondo grado, da un magistrato che eserciti le funzioni requirenti di secondo grado, nonché da tre professori universitari di prima fascia in materie giuridiche, nominati dal Consiglio superiore della magistratura;

12) ai fini di cui al numero 10), sia istituita una commissione, composta da due magistrati che esercitino le funzioni requirenti di legittimità, da un magistrato che eserciti le funzioni giudicanti di legittimità, da due magistrati che esercitino le funzioni requirenti di secondo grado, da un magistrato che eserciti le funzioni giudicanti di secondo grado, nonché da tre professori universitari di prima fascia in materie giuridiche, nominati dal Consiglio superiore della magistratura;

13) annualmente per la copertura del 75 per cento dei posti vacanti nelle funzioni giudicanti e requirenti di legittimità venga bandito un concorso per titoli ed esami, scritti ed orali, cui abbiano accesso magistrati che esercitino da almeno sette anni le funzioni di secondo grado oppure con una anzianità di almeno quindici anni, e che abbiano frequentato con favorevole giudizio finale l'apposito corso di formazione alle funzioni di legittimità presso la Scuola superiore della magistratura di cui all'articolo 3;

14) annualmente i restanti posti vacanti nelle funzioni giudicanti e requirenti di legittimità, a domanda, vengano assegnati, previa valutazione del Consiglio superiore della magistratura su parere motivato del Consiglio direttivo della Corte di cassazione, a magistrati che esercitino da almeno cinque anni, diverse funzioni di legittimità. E' fatto salvo quanto previsto dalla legge 5 agosto 1998, n.303;

15) sia istituita una commissione di concorso alle funzioni di legittimità composta da tre magistrati che esercitino le funzioni giudicanti di legittimità, da due magistrati che esercitino le funzioni requirenti di legittimità, nonché da tre professori universitari di prima fascia in materie giuridiche, nominati dal Consiglio superiore della magistratura;

16) i posti di cui ai numeri precedenti, messi a concorso e non coperti, vengano riassegnati nella rispettiva quota dei posti da attribuire previa valutazione da parte del Consiglio superiore della magistratura; i posti da attribuire previa valutazione da parte del Consiglio superiore della magistratura di cui ai numeri precedenti, e non coperti, vengano riassegnati nella rispettiva quota destinata a concorso;

17) nella individuazione e valutazione dei titoli ai fini dei concorsi previsti dalla presente lettera si tenga conto prevalentemente dell'attività prestata dal magistrato nell'ambito delle sue funzioni, anche mediante esame a campione dei provvedimenti dallo stesso adottati, nonché delle risultanze statistiche relative all'entità del lavoro svolto e, in particolare, l'esame dei titoli sia incentrato, oltre che sulle eventuali pubblicazioni di carattere scientifico, su tutti i provvedimenti giudiziari depositati in cancelleria dal magistrato concorrente nel corso dei quattro trimestri dei precedenti cinque anni indicati dalla commissione a seguito di sorteggio;

l) prevedere che:

1) i concorsi per gli incarichi direttivi consistano nella valutazione, da parte della commissione di cui al numero 6), dei titoli, consistenti in lavori giudiziari e scientifici, della laboriosità del magistrato, nonché della sua capacità organizzativa; la commissione comunichi gli esiti del concorso al Consiglio superiore della magistratura che, acquisiti ulteriori elementi di valutazione rilevanti ai fini della verifica dell'attitudine allo svolgimento delle funzioni direttive con specifico riferimento alla pregressa esperienza del magistrato ed anche mediante il parere motivato dei consigli giudiziari, forma la graduatoria e propone le nomine al Ministro della giustizia per il concerto; sia effettuato il coordinamento della presente disposizione con quanto previsto dall'articolo 11 della legge 24 marzo 1958, n.195, e successive modificazioni;

2) i concorsi per gli incarichi semidirettivi consistano nella valutazione, da parte della commissione di cui al numero 6), dei titoli, consistenti in lavori giudiziari e scientifici, della laboriosità del magistrato, nonché della sua capacità organizzativa; la commissione comunichi l'esito delle valutazioni dei candidati al Consiglio superiore della magistratura che, acquisiti ulteriori elementi di valutazione rilevanti ai fini della verifica dell'attitudine allo svolgimento delle funzioni semidirettive con specifico riferimento alla pregressa esperienza del magistrato ed anche mediante il parere motivato dei consigli giudiziari, sceglie tra quelli valutati positivamente;

3) gli incarichi direttivi, ad esclusione di quelli indicati nella lettera h), abbiano carattere temporaneo e siano attribuiti per la durata di quattro anni, rinnovabili a domanda, previa valutazione positiva da parte del Consiglio superiore della magistratura, per un periodo ulteriore di due anni;

4) il magistrato, allo scadere del termine di cui al numero 3), possa concorrere per il conferimento di altri incarichi direttivi di uguale grado in sedi poste fuori dal circondario di provenienza e per incarichi direttivi di grado superiore per sedi poste fuori dal distretto di provenienza, con esclusione di quello competente ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale in caso di pendenza di procedimenti nei confronti dell'interessato;

5) alla scadenza del termine di cui al numero 3), il magistrato che abbia esercitato funzioni direttive, in assenza di domanda per il conferimento di altro ufficio, ovvero in ipotesi di reiezione della stessa, sia assegnato alla sede ed alle funzioni non direttive da ultimo esercitate, eventualmente in soprannumero, con riassorbimento del posto alle successive vacanze;

6) sia istituita una commissione di esame alle funzioni direttive e alle funzioni semidirettive, composta da tre magistrati che esercitino le funzioni giudicanti direttive di legittimità, da due magistrati che esercitino le funzioni requirenti direttive di legittimità, da tre magistrati che esercitino le funzioni giudicanti direttive di secondo grado e da due magistrati che esercitino le funzioni requirenti direttive di secondo grado, nonché da tre professori universitari di prima fascia in materie giuridiche, nominati dal Consiglio superiore della magistratura;

7) ai fini di cui ai numeri 1) e 2) i titoli vengano individuati con riferimento alla loro specifica rilevanza ai fini della verifica delle attitudini allo svolgimento di funzioni direttive o semidirettive;

m) prevedere che le disposizioni dei numeri 1), 3), 5) e 6) della lettera l) si applichino anche per il conferimento dell'incarico di Procuratore nazionale antimafia e che, alla scadenza del termine di cui al citato numero 3), il magistrato che abbia esercitato le funzioni di Procuratore nazionale antimafia possa concorrere per il conferimento di altri incarichi direttivi, in qualsiasi distretto, escluso quello competente ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale in caso di pendenza di procedimenti nei confronti dell'interessato;

n) prevedere che, ai fini dell'applicazione delle disposizioni della presente legge, il periodo trascorso dal magistrato fuori dal ruolo organico della magistratura sia equiparato all'esercizio delle ultime funzioni giurisdizionali svolte e il ricollocamento in ruolo avvenga nella medesima sede e nelle medesime funzioni, anche in soprannumero ovvero, nel caso di cessato esercizio di una funzione elettiva extragiudiziaria, in una sede diversa vacante. In ogni caso i magistrati collocati fuori dal ruolo organico in quanto componenti elettivi del Consiglio superiore della magistratura ovvero per mandato parlamentare non possono partecipare ai concorsi previsti dalla presente legge. Resta fermo quanto previsto dal secondo comma dell'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre 1958, n.916, e successive modificazioni;

o) prevedere che:

1) le commissioni di cui alle lettere i) e l) siano nominate per tre anni e siano automaticamente prorogate sino all'esaurimento delle procedure concorsuali in via di espletamento;

2) i componenti delle predette commissioni non siano immediatamente confermabili;

p) prevedere che:

1) la progressione economica dei magistrati si articoli automaticamente secondo le seguenti classi di anzianità, salvo quanto previsto dai numeri 2) e 3) e fermo restando il migliore trattamento economico eventualmente conseguito:

I. prima classe: dalla data del decreto di nomina a sei mesi;

II. seconda classe: da sei mesi a due anni;

III. terza classe: da due a cinque anni;

IV. quarta classe: da cinque a tredici anni;

V. quinta classe: da tredici a venti anni;

VI. sesta classe: da venti a ventotto anni;

VII. settima classe: da ventotto anni in poi;

2) i magistrati che conseguono le funzioni di secondo grado a seguito del concorso di cui alla lettera i), numeri 8.2) e 10.2), conseguano la quinta classe di anzianità;

3) i magistrati che conseguono le funzioni di legittimità a seguito del concorso di cui alla lettera i), numero 13), conseguano la sesta classe di anzianità;

q) prevedere che il magistrato possa rimanere in servizio presso lo stesso ufficio svolgendo il medesimo incarico per un periodo massimo di dieci anni, con facoltà di proroga del predetto termine per non oltre due anni, previa valutazione del Consiglio superiore della magistratura fondata su comprovate esigenze di funzionamento dell'ufficio e comunque con possibilità di condurre a conclusione eventuali processi di particolare complessità nei quali il magistrato sia impegnato alla scadenza del termine;

r) prevedere che:

1) siano attribuite al magistrato capo dell'ufficio giudiziario la titolarità e la rappresentanza dell'ufficio nel suo complesso, nei rapporti con enti istituzionali e con i rappresentanti degli altri uffici giudiziari, nonché competenza ad adottare i provvedimenti necessari per l'organizzazione dell'attività giudiziaria e, comunque, concernenti la gestione del personale di magistratura ed il suo stato giuridico;

2) siano indicati i criteri per l'assegnazione al dirigente dell'ufficio di cancelleria o di segreteria delle risorse finanziarie e strumentali necessarie per l'espletamento del suo mandato, riconoscendogli la competenza ad adottare atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, anche nel caso in cui comportino oneri di spesa, definendone i limiti;

3) sia assegnata al dirigente dell'ufficio di cancelleria o di segreteria la gestione delle risorse di personale amministrativo e gli sia attribuito l'esercizio dei poteri di cui all'articolo 55, comma 4, terzo periodo, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165;

4) entro trenta giorni dall'emanazione della direttiva del Ministro della giustizia di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, e comunque non oltre il 15 febbraio di ciascun anno, il magistrato capo dell'ufficio giudiziario ed il dirigente dell'ufficio di cancelleria o segreteria predispongano, tenendo conto delle risorse disponibili ed indicando le priorità, il programma delle attività da svolgersi nel corso dell'anno; il magistrato capo dell'ufficio giudiziario ed il dirigente dell'ufficio di cancelleria o segreteria possano apportare eventuali modifiche al programma nel corso dell'anno; nell'ipotesi di mancata predisposizione o esecuzione del programma, oppure di mancata adozione di modifiche divenute indispensabili per la funzionalità dell'ufficio giudiziario, siano attribuiti al Ministro della giustizia, specificandone condizioni e modalità di esercizio, poteri di intervento in conformità a quanto previsto dall'articolo 14 del decreto legislativo n.165 del 2001, nonché poteri decisionali circa le rispettive competenze.

 

Art. 3.

(Scuola superiore della magistratura. Tirocinio e

formazione degli uditori giudiziari ed aggiornamento professionale e formazione dei magistrati).

1. Nell'attuazione della delega di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) prevedere l'istituzione come ente autonomo della Scuola superiore della magistratura quale struttura didattica stabilmente preposta:

1) all'organizzazione e alla gestione del tirocinio e della formazione degli uditori giudiziari, curando che la stessa sia attuata sotto i profili tecnico, operativo e deontologico;

2) all'organizzazione dei corsi di aggiornamento professionale e di formazione dei magistrati, curando che la stessa sia attuata sotto i profili tecnico, operativo e deontologico;

3) alla promozione di iniziative e scambi culturali, incontri di studio e ricerca;

4) all'offerta di formazione di magistrati stranieri, o aspiranti tali, nel quadro degli accordi internazionali di cooperazione tecnica in materia giudiziaria;

b) prevedere che la Scuola superiore della magistratura sia fornita di autonomia contabile, giuridica, organizzativa e funzionale ed utilizzi personale dell'organico del Ministero della giustizia, ovvero comandato da altre amministrazioni, con risorse finanziarie a carico del bilancio dello stesso Ministero;

c) prevedere che la Scuola superiore della magistratura sia articolata in due sezioni, l'una destinata al tirocinio degli uditori giudiziari, l'altra all'aggiornamento professionale e alla formazione dei magistrati;

d) prevedere che il tirocinio abbia la durata di diciotto mesi e che sia articolato in sessioni tendenzialmente di uguale durata presso la Scuola superiore della magistratura e presso gli uffici giudiziari;

e) prevedere modalità differenti di svolgimento del tirocinio che tengano conto della diversità delle funzioni, giudicanti e requirenti, che gli uditori saranno chiamati a svolgere;

f) prevedere che nelle sessioni presso gli uffici giudiziari gli uditori possano effettuare adeguati periodi di formazione presso studi di avvocato, settori qualificati della pubblica amministrazione, istituti penitenziari, istituti bancari ed altre sedi formative, secondo quanto previsto dal regolamento per il tirocinio degli uditori giudiziari di cui al decreto del Presidente della Repubblica 17 luglio 1998, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.171 del 24 luglio 1998;

g) prevedere che nelle sessioni presso la Scuola superiore della magistratura gli uditori giudiziari ricevano insegnamento da docenti di elevata competenza e autorevolezza, scelti secondo princìpi di ampio pluralismo culturale, e siano seguiti assiduamente da tutori scelti tra i docenti della Scuola;

h) prevedere che per ogni sessione sia compilata una scheda valutativa dell'uditore giudiziario;

i) prevedere che, in esito al tirocinio, sia formulata da parte della Scuola, tenendo conto di tutti i giudizi espressi sull'uditore nel corso dello stesso, una valutazione di idoneità all'assunzione delle funzioni giudiziarie sulla cui base il Consiglio superiore della magistratura delibera in via finale;

l) prevedere che, in caso di valutazione finale negativa, l'uditore possa essere ammesso ad un ulteriore periodo di tirocinio, di durata non superiore a un anno, e che da un'ulteriore valutazione negativa derivi la cessazione del rapporto di impiego;

m) prevedere che la Scuola superiore della magistratura sia diretta da un comitato che dura in carica quattro anni, composto dal primo Presidente della Corte di cassazione o da un magistrato dallo stesso delegato, dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione o da un magistrato dallo stesso delegato, da due magistrati ordinari nominati dal Consiglio superiore della magistratura, da un avvocato con almeno quindici anni di esercizio della professione nominato dal Consiglio nazionale forense, da un componente professore universitario ordinario in materie giuridiche nominato dal Consiglio universitario nazionale e da un membro nominato dal Ministro della giustizia; prevedere che, nell'ambito del comitato, i componenti eleggano il presidente; prevedere che i componenti del comitato, diversi dal primo Presidente della Corte di cassazione, dal Procuratore generale presso la stessa e dai loro eventuali delegati, non siano immediatamente rinnovabili e non possano far parte delle commissioni di concorso per uditore giudiziario;

n) prevedere un comitato di gestione per ciascuna sezione, chiamato a dare attuazione alla programmazione annuale per il proprio ambito di competenza, a definire il contenuto analitico di ciascuna sessione e ad individuare i docenti, a fissare i criteri di ammissione alle sessioni di formazione, ad offrire ogni utile sussidio didattico e a sperimentare formule didattiche, a seguire lo svolgimento delle sessioni ed a presentare relazioni consuntive all'esito di ciascuna, a curare il tirocinio nelle fasi effettuate presso la Scuola selezionando i tutori nonché i docenti stabili e quelli occasionali; prevedere che, in ciascuna sezione, il comitato di gestione sia formato da un congruo numero di componenti, nominati dal comitato direttivo di cui alla lettera m);

o) prevedere che, nella programmazione dell'attività didattica, il comitato direttivo di cui alla lettera m) possa avvalersi delle proposte del Consiglio superiore della magistratura, del Ministro della giustizia, del Consiglio nazionale forense, dei consigli giudiziari, del Consiglio direttivo della Corte di cassazione, nonché delle proposte dei componenti del Consiglio universitario nazionale esperti in materie giuridiche;

p) prevedere il diritto del magistrato a partecipare, a sua richiesta e se non vi ostano comprovate e motivate esigenze organizzative e funzionali degli uffici giudiziari di appartenenza, ai corsi di aggiornamento professionale e a quelli di formazione con conseguente riconoscimento di un corrispondente periodo di congedo retribuito; in ogni caso assicurare il diritto del magistrato a partecipare ai corsi di formazione funzionali al passaggio a funzioni superiori con facoltà del capo dell'ufficio di rinviare soltanto la partecipazione al corso per un periodo non superiore a sei mesi;

q) stabilire che, al termine del corso di aggiornamento professionale, sia formulata una valutazione che contenga elementi di verifica attitudinale, modulata secondo la tipologia del corso, da inserire nel fascicolo personale del magistrato, al fine di costituire elemento per le valutazioni operate dal Consiglio superiore della magistratura;

r) prevedere che il magistrato, il quale abbia partecipato ai corsi di aggiornamento professionale organizzati dalla Scuola superiore della magistratura, possa nuovamente parteciparvi trascorso almeno un anno;

s) prevedere che la valutazione di cui alla lettera q) abbia validità per un periodo non superiore a sei anni;

t) prevedere che vengano istituite sino a tre sedi della Scuola superiore della magistratura a competenza interregionale;

u) prevedere che i magistrati, i quali non hanno sostenuto i concorsi per le funzioni di secondo grado o di legittimità, siano sottoposti da parte del Consiglio superiore della magistratura a valutazioni periodiche di professionalità, desunte dall'attività giudiziaria e scientifica, dalla produttività, dalla laboriosità, dalla capacità tecnica, dall'equilibrio, dalla disponibilità alle esigenze del servizio, dal tratto con tutti i soggetti processuali, dalla deontologia, nonché dalle valutazioni di cui alla lettera q); prevedere che le valutazioni di cui alla presente lettera debbano avvenire al compimento del tredicesimo, ventesimo e ventottesimo anno dall'ingresso in magistratura; prevedere che, in caso di esito negativo, la valutazione debba essere ripetuta per non più di due volte, con l'intervallo di un biennio tra una valutazione e l'altra; prevedere che, in caso di esito negativo di tre valutazioni consecutive, si applichi l'articolo 3 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n.511, come modificato ai sensi dell'articolo 7, comma 1, lettera o), della presente legge;

v) prevedere che, per i magistrati che hanno sostenuto i concorsi per il conferimento delle funzioni di secondo grado o di legittimità e non abbiano ottenuto i relativi posti, la commissione di concorso comunichi al Consiglio superiore della magistratura l'elenco di coloro i quali, per inidoneità, non devono essere esentati dalle valutazioni periodiche di professionalità.

 

Art. 4.

(Riforma dei consigli giudiziari ed istituzione del

Consiglio direttivo della Corte di cassazione).

1. Nell'attuazione della delega di cui all'articolo 1, comma 1, lettera c), il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) prevedere l'istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione, composto, oltre che dai membri di diritto di cui alla lettera c), per due terzi da magistrati con effettive funzioni di legittimità in servizio presso la medesima Corte e la relativa Procura generale, e per un terzo da componenti nominati tra i professori ordinari di università in materie giuridiche e tra gli avvocati dopo venti anni di esercizio della professione che siano iscritti da almeno cinque anni nell'albo speciale per le giurisdizioni superiori di cui all'articolo 33 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n.1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n.36;

b) prevedere che i componenti non togati del Consiglio direttivo della Corte di cassazione siano designati, rispettivamente, dal Consiglio universitario nazionale e dal Consiglio nazionale forense;

c) prevedere che membri di diritto del Consiglio direttivo della Corte di cassazione siano il primo Presidente ed il Procuratore generale della medesima Corte;

d) prevedere che il Consiglio direttivo della Corte di cassazione sia presieduto dal primo Presidente ed elegga a scrutinio segreto, al suo interno, un vice presidente scelto tra i componenti non togati, ed un segretario;

e) prevedere che al Consiglio direttivo della Corte di cassazione si applichino, in quanto compatibili, le disposizioni dettate alle lettere o), p), s), u) e z) per i consigli giudiziari presso le corti d'appello;

f) prevedere che i consigli giudiziari presso le corti d'appello nei distretti nei quali prestino servizio fino a trecentocinquanta magistrati ordinari siano composti, oltre che dai membri di diritto di cui alla lettera m), da tre magistrati in servizio presso gli uffici giudiziari del distretto, da quattro membri non togati, di cui uno nominato tra i professori universitari in materie giuridiche, uno tra gli avvocati che abbiano almeno quindici anni di effettivo esercizio della professione e due dal consiglio regionale della regione ove ha sede il distretto, o nella quale rientra la maggiore estensione del territorio su cui hanno competenza gli uffici del distretto, eletti con maggioranza qualificata tra persone estranee al consiglio medesimo, nonché da un rappresentante eletto dai giudici di pace del distretto nel loro ambito;

g) prevedere che nei distretti nei quali prestano servizio oltre trecentocinquanta magistrati ordinari, i consigli giudiziari siano composti, oltre che dai membri di diritto di cui alla lettera m), da cinque magistrati in servizio presso uffici giudiziari del distretto, da quattro membri non togati, dei quali uno nominato tra i professori universitari in materie giuridiche, uno nominato tra gli avvocati con almeno quindici anni di effettivo esercizio della professione e due nominati dal consiglio regionale della regione ove ha sede il distretto, o nella quale rientra la maggiore estensione del territorio su cui hanno competenza gli uffici del distretto, eletti con maggioranza qualificata tra persone estranee al medesimo consiglio, nonché da un rappresentante eletto dai giudici di pace del distretto nel loro ambito;

h) prevedere che i componenti supplenti del consiglio giudiziario siano cinque, due dei quali magistrati che esercitano, rispettivamente, funzioni requirenti e giudicanti nel distretto e tre componenti non togati nominati con lo stesso criterio di cui alle lettere f) e g), riservandosi un posto per ciascuna delle tre categorie non togate indicate nelle medesime lettere f) e g);

i) prevedere che i componenti avvocati e professori universitari siano nominati, rispettivamente, dal Consiglio nazionale forense ovvero dal Consiglio universitario nazionale, su indicazione dei consigli dell'ordine degli avvocati del distretto e dei presidi delle facoltà di giurisprudenza delle università della regione;

l) prevedere che i componenti nominati dal consiglio regionale non possano svolgere, o aver svolto nei cinque anni precedenti, la professione di avvocato nell'ambito del distretto;

m) prevedere che membri di diritto del consiglio giudiziario siano il presidente ed il procuratore generale della corte d'appello;

n) prevedere che il consiglio giudiziario sia presieduto dal presidente della corte d'appello ed elegga a scrutinio segreto, al suo interno, un vice presidente scelto tra i componenti non togati, ed un segretario;

o) prevedere che il consiglio giudiziario duri in carica quattro anni e che i componenti non possano essere immediatamente confermati;

p) prevedere che l'elezione dei componenti togati del consiglio giudiziario avvenga in un collegio unico distrettuale con il medesimo sistema vigente per l'elezione dei componenti togati del Consiglio superiore della magistratura, in quanto compatibile, così da attribuire due seggi a magistrati che esercitano funzioni giudicanti ed un seggio ad un magistrato che esercita funzioni requirenti nei distretti che comprendono fino a trecentocinquanta magistrati e tre seggi a magistrati che esercitano funzioni giudicanti e due a magistrati che esercitano funzioni requirenti nei distretti che comprendono oltre trecentocinquanta magistrati;

q) prevedere che dei componenti togati del consiglio giudiziario che esercitano funzioni giudicanti uno abbia maturato un'anzianità di carriera non inferiore a venti anni;

r) prevedere che la nomina dei componenti supplenti del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari presso le corti d'appello avvenga secondo i medesimi criteri indicati per la nomina dei titolari;

s) prevedere che al consiglio giudiziario vengano attribuite le seguenti competenze:

1) approvazione delle tabelle su proposta dei titolari degli uffici, nel rispetto dei criteri generali indicati dalla legge;

2) formulazione di pareri, anche su richiesta del Consiglio superiore della magistratura, sull'attività dei magistrati sotto il profilo della preparazione, della capacità tecnico-professionale, della laboriosità, della diligenza, dell'equilibrio nell'esercizio delle funzioni, e comunque nelle ipotesi previste dall'articolo 2 e nei periodi intermedi di permanenza nella qualifica;

3) vigilanza sul comportamento dei magistrati con obbligo di segnalare i fatti disciplinarmente rilevanti ai titolari dell'azione disciplinare;

4) vigilanza sull'andamento degli uffici giudiziari nel distretto, con segnalazione delle eventuali disfunzioni rilevate al Ministro della giustizia;

5) formulazione di pareri e proposte sull'organizzazione ed il funzionamento degli uffici del giudice di pace del distretto;

6) adozione di provvedimenti relativi allo stato dei magistrati, con particolare riferimento a quelli relativi ad aspettative e congedi, dipendenza di infermità da cause di servizio, equo indennizzo, pensioni privilegiate, concessione di sussidi;

7) formulazione di pareri, anche su richiesta del Consiglio superiore della magistratura, in ordine all'adozione da parte del medesimo Consiglio di provvedimenti inerenti collocamenti a riposo, dimissioni, decadenze dall'impiego, concessioni di titoli onorifici, riammissioni in magistratura;

t) coordinare con quanto previsto dalla presente legge le disposizioni vigenti che prevedono ulteriori competenze dei consigli giudiziari;

u) prevedere la reclamabilità innanzi al Consiglio superiore della magistratura delle delibere adottate dal consiglio giudiziario nelle materie di cui alla lettera s), numero 1);

v) prevedere che i componenti designati dal consiglio regionale prendano parte esclusivamente alle riunioni, alle discussioni ed alle deliberazioni inerenti le materie di cui alla lettera s), numeri 4) e 5);

z) prevedere che gli avvocati, i professori ed il rappresentante dei giudici di pace che compongono il consiglio giudiziario possano prendere parte solo alle discussioni e deliberazioni concernenti le materie di cui alla lettera s), numeri 1), 4) e 5). Il rappresentante dei giudici di pace, inoltre, partecipa alle discussioni e deliberazioni di cui agli articoli 7, comma 2-bis, e 9, comma 4, della legge 21 novembre 1991, n.374.

 

Art. 5.

(Riorganizzazione dell'ufficio

del pubblico ministero).

1. Nell'attuazione della delega di cui all'articolo 1, comma 1, lettera d), il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) prevedere che il procuratore della Repubblica sia il titolare esclusivo dell'azione penale e che la eserciti sotto la sua responsabilità nei modi e nei termini stabiliti dalla legge, assicurando il corretto ed uniforme esercizio della stessa e delle norme sul giusto processo;

b) prevedere che il procuratore della Repubblica possa delegare un magistrato del proprio ufficio alla funzione del vicario, nonché uno o più magistrati del proprio ufficio perché lo coaudiuvino nella gestione per il compimento di singoli atti, per la trattazione di uno o più procedimenti o nella gestione dell'attività di un settore di affari;

c) prevedere che il procuratore della Repubblica possa determinare i criteri cui i magistrati delegati ai sensi della lettera b) devono attenersi nell'adempimento della delega, con facoltà di revoca in caso di divergenza o di inosservanza dei criteri;

d) prevedere che gli atti di ufficio, che incidano o richiedano di incidere su diritti reali o sulla libertà personale, siano assunti previo assenso del procuratore della Repubblica ovvero di magistrato eventualmente delegato ai sensi della lettera b); prevedere tuttavia che le disposizioni della presente lettera non si applichino nelle ipotesi in cui la misura cautelare personale o reale è richiesta in sede di convalida del fermo o dell'arresto;

e) prevedere che il procuratore della Repubblica tenga personalmente, o tramite magistrato appositamente delegato, i rapporti con gli organi di informazione e che tutte le informazioni sulle attività dell'ufficio vengano attribuite impersonalmente allo stesso;

f) prevedere che il procuratore generale presso la corte di appello, al fine di verificare il corretto ed uniforme esercizio dell'azione penale, nonché il rispetto dell'adempimento degli obblighi di cui alla lettera a), acquisisca dalle procure del distretto dati e notizie, relazionando annualmente, oltre che quando lo ritenga necessario, al Procuratore generale presso la Corte di cassazione;

g) prevedere l'attribuzione al procuratore generale presso la corte di appello di poteri sostitutivi e di avocazione:

1) nei casi di accertata violazione dei termini di durata delle indagini preliminari, fermo altresì quanto previsto dagli articoli 412, comma 2, 413 e 421-bis del codice di procedura penale;

2) nei casi di accertata e grave violazione di norme processuali, anche non tutelate da sanzioni processuali;

3) nel caso di accertata e grave violazione delle disposizioni, delle procedure e dei provvedimenti in materia di coordinamento nell'ipotesi di indagini collegate o particolarmente complesse e che investano più circondari;

h) prevedere, relativamente ai procedimenti riguardanti i reati indicati nell'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, che sia fatto salvo quanto previsto dall'articolo 70-bis dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n.12, e successive modificazioni;

i) prevedere che, nei casi di avocazione, continuino ad applicarsi le disposizioni di cui ai commi 6 e 6-bis dell'articolo 70 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n.12, e successive modificazioni.

 

Art. 6.

(Modifiche all'organico della Corte di cassazione e alla disciplina relativa ai magistrati applicati presso la stessa).

1. Nell'attuazione della delega di cui all'articolo 1, comma 1, lettera e), il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) prevedere la soppressione di quindici posti di magistrato d'appello previsti in organico presso la Corte di cassazione nonché di tutti i posti di magistrato d'appello destinato alla Procura generale presso la Corte di cassazione e la loro sostituzione con altrettanti posti di magistrato di cassazione, presso i rispettivi uffici;

b) prevedere la soppressione di quindici posti di magistrato d'appello previsti in organico presso la Corte di cassazione e la loro sostituzione con altrettanti posti di magistrato di tribunale;

c) prevedere che della pianta organica della Corte di cassazione facciano parte trentasette magistrati con qualifica non inferiore a magistrato di tribunale con non meno di cinque anni di esercizio delle funzioni di merito destinati a prestare servizio presso l'ufficio del massimario e del ruolo;

d) prevedere che i magistrati di cui alla lettera c), dopo almeno otto anni di servizio presso l'ufficio del massimario e del ruolo, possano essere nominati a posti vacanti nelle funzioni giudicanti o requirenti di legittimità, in deroga a quanto previsto dall'articolo 2, comma 1, lettera i), numero 13), in seguito a valutazione favorevole del Consiglio superiore della magistratura espressa previa acquisizione del parere motivato del Consiglio direttivo della Corte di cassazione, e sempre che tali magistrati abbiano un'anzianità non inferiore a quindici anni;

e) prevedere l'abrogazione dell'articolo 116 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n.12, e successive modificazioni, e prevedere che all'articolo 117 e alla relativa rubrica del citato ordinamento giudiziario di cui al regio decreto n.12 del 1941 siano soppresse le parole: "di appello e".

 

Art. 7.

(Norme in materia disciplinare nonché in tema di

situazioni di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento d'ufficio).

1. Nell'attuazione della delega di cui all'articolo 1, comma 1, lettera f), il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) provvedere alla tipizzazione delle ipotesi di illecito disciplinare dei magistrati, sia inerenti l'esercizio della funzione sia estranee alla stessa, garantendo comunque la necessaria completezza della disciplina con adeguate norme di chiusura, nonché all'individuazione delle relative sanzioni;

b) prevedere:

1) che il magistrato debba esercitare le funzioni attribuitegli con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio;

2) che in ogni atto di esercizio delle funzioni il magistrato debba rispettare la dignità della persona;

3) che anche fuori dall'esercizio delle sue funzioni il magistrato non debba tenere comportamenti, ancorché legittimi, che compromettano la credibilità personale, il prestigio e il decoro del magistrato o il prestigio dell'istituzione;

4) che la violazione dei predetti doveri costituisca illecito disciplinare perseguibile nelle ipotesi previste dalle lettere c), d) ed e);

c) salvo quanto stabilito dal numero 10), prevedere che costituiscano illeciti disciplinari nell'esercizio delle funzioni:

1) i comportamenti che, violando i doveri di cui alla lettera b), arrecano illegittimo danno o vantaggio ad una delle parti; l'omissione della comunicazione al Consiglio superiore della magistratura della sussistenza di una delle situazioni di incompatibilità di cui agli articoli 18 e 19 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n.12, e successive modificazioni, come modificati ai sensi della lettera p); la consapevole inosservanza dell'obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge; ogni altra violazione del dovere di imparzialità;

2) i comportamenti abitualmente o gravemente scorretti nei confronti delle parti, dei loro difensori, dei testimoni o di chiunque abbia rapporti con l'ufficio giudiziario, ovvero nei confronti di altri magistrati o di collaboratori; l'ingiustificata interferenza nell'attività giudiziaria di altro magistrato, attuata mediante l'esercizio delle funzioni; ogni altra rilevante violazione del dovere di correttezza;

3) la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile; il travisamento dei fatti determinato da negligenza inescusabile; il perseguimento di fini diversi da quelli di giustizia; l'emissione di provvedimenti privi di motivazione, ovvero la cui motivazione consiste nella sola affermazione della sussistenza dei presupposti di legge senza indicazione degli elementi di fatto dai quali tale sussistenza risulti, quando la motivazione è richiesta dalla legge; l'adozione di provvedimenti non consentiti dalla legge che abbiano leso diritti personali o, in modo rilevante, diritti patrimoniali; la reiterata o grave inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio giudiziario adottate dagli organi competenti; l'indebito affidamento ad altri del proprio lavoro; l'inosservanza dell'obbligo di risiedere nel comune in cui ha sede l'ufficio, se manca l'autorizzazione prevista dalle norme vigenti e ne sia derivato concreto pregiudizio all'adempimento dei doveri di diligenza e laboriosità; ogni altra rilevante violazione del dovere di diligenza;

4) il reiterato, grave o ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni; il sottrarsi in modo abituale e ingiustificato al lavoro giudiziario, compresa l'assegnazione a se medesimo e la redazione dei provvedimenti, da parte del dirigente l'ufficio o del presidente di una sezione o del presidente di un collegio; l'inosservanza dell'obbligo di rendersi reperibile per esigenze di ufficio quando esso sia imposto dalla legge o da disposizione dell'organo competente; ogni altra rilevante violazione del dovere di laboriosità;

5) i comportamenti che determinano la divulgazione di atti del procedimento coperti dal segreto o di cui sia previsto il divieto di pubblicazione, nonché la violazione del dovere di riservatezza sugli affari in corso di trattazione, o sugli affari definiti, quando è idonea a ledere diritti altrui;

6) il tenere rapporti con gli organi di informazione al di fuori delle modalità previste dall'articolo 5, comma 1, lettera e);

7) l'adozione intenzionale di provvedimenti affetti da palese incompatibilità tra la parte dispositiva e la motivazione, tali da manifestare una precostituita e inequivocabile contraddizione sul piano logico, contenutistico o argomentativo;

8) l'omissione, da parte del dirigente l'ufficio o del presidente di una sezione o di un collegio, della comunicazione agli organi competenti di fatti che possono costituire illeciti disciplinari compiuti da magistrati dell'ufficio, della sezione o del collegio; l'omissione, da parte del dirigente l'ufficio ovvero da parte del magistrato cui compete il potere di sorveglianza, della comunicazione al Consiglio superiore della magistratura della sussistenza di una delle situazioni di incompatibilità previste dagli articoli 18 e 19 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n.12, e successive modificazioni, come modificati ai sensi della lettera p), ovvero delle situazioni che possono dare luogo all'adozione dei provvedimenti di cui agli articoli 2 e 3 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n.511, come modificati ai sensi delle lettere n) e o);

9) l'adozione di atti e provvedimenti il cui contenuto palesemente e inequivocabilmente sia contro la lettera e la volontà della legge o costituisca esercizio di una potestà riservata dalla legge ad organi legislativi o amministrativi ovvero riservata ad altri organi costituzionali;

10) fermo quanto previsto dai numeri 3), 7) e 9), non può dar luogo a responsabilità disciplinare l'attività di interpretazione di norme di diritto in conformità all'articolo 12 delle disposizioni sulla legge in generale né quella di valutazione del fatto e delle prove;

d) prevedere che costituiscano illeciti disciplinari al di fuori dell'esercizio delle funzioni:

1) l'uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti per sé o per altri;

2) il frequentare persona sottoposta a procedimento penale o di prevenzione comunque trattato dal magistrato, o persona che a questi consta essere stata dichiarata delinquente abituale, professionale o per tendenza o aver subìto condanna per delitti non colposi alla pena della reclusione superiore a tre anni o una misura di prevenzione, salvo che sia intervenuta la riabilitazione, ovvero l'intrattenere rapporti di affari con una di tali persone;

3) l'assunzione di incarichi extragiudiziari senza la prescritta autorizzazione dell'organo competente;

4) lo svolgimento di attività incompatibili con la funzione giudiziaria o tali da recare concreto pregiudizio all'assolvimento dei doveri indicati nella lettera b), numeri 1), 2) e 3);

5) la pubblica manifestazione di consenso o dissenso in ordine ad un procedimento in corso quando, per la posizione del magistrato o per le modalità con cui il giudizio è espresso, sia idonea a condizionare la libertà di decisione nell'esercizio delle funzioni giudiziarie;

6) la partecipazione ad associazioni segrete o i cui vincoli sono oggettivamente incompatibili con l'esercizio delle funzioni giudiziarie;

7) l'iscrizione, l'adesione o la partecipazione, sotto qualsiasi forma, a partiti o movimenti politici;

8) ogni altro comportamento tale da compromettere l'indipendenza, la terzietà e l'imparzialità del magistrato, anche sotto il profilo dell'apparenza;

9) l'uso strumentale della qualità che, per la posizione del magistrato o per le modalità di realizzazione, è idoneo a turbare l'esercizio di funzioni costituzionalmente previste;

e) prevedere che costituiscano illeciti disciplinari conseguenti al reato:

1) i fatti per i quali è intervenuta condanna irrevocabile o è stata pronunciata sentenza ai sensi dell'articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale, per delitto doloso o preterintenzionale, quando la legge stabilisce la pena detentiva sola o congiunta alla pena pecuniaria;

2) i fatti per i quali è intervenuta condanna irrevocabile o è stata pronunciata sentenza ai sensi dell'articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale, per delitto colposo, alla pena della reclusione, sempre che presentino, per modalità e conseguenze, carattere di particolare gravità;

3) i fatti per i quali è intervenuta condanna irrevocabile o è stata pronunciata sentenza ai sensi dell'articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale, alla pena dell'arresto, sempre che presentino, per le modalità di esecuzione, carattere di particolare gravità;

4) altri fatti costituenti reato idonei a compromettere la credibilità del magistrato, anche se il reato è estinto per qualsiasi causa o l'azione penale non può essere iniziata o proseguita;

f) prevedere come sanzioni disciplinari:

1) l'ammonimento;

2) la censura;

3) la perdita dell'anzianità;

4) l'incapacità temporanea ad esercitare un incarico direttivo o semidirettivo;

5) la sospensione dalle funzioni da tre mesi a due anni;

6) la rimozione;

g) stabilire che:

1) l'ammonimento consista nel richiamo, espresso nel dispositivo della decisione, all'osservanza da parte del magistrato dei suoi doveri, in rapporto all'illecito commesso;

2) la censura consista in un biasimo formale espresso nel dispositivo della decisione;

3) la sanzione della perdita dell'anzianità sia inflitta per un periodo compreso tra due mesi e due anni;

4) la sanzione della temporanea incapacità ad esercitare un incarico direttivo o semidirettivo sia inflitta per un periodo compreso tra sei mesi e due anni. Se il magistrato svolge funzioni direttive o semidirettive, debbono essergli conferite di ufficio altre funzioni non direttive o semidirettive, corrispondenti alla sua qualifica. Scontata la sanzione, il magistrato non può riprendere l'esercizio delle funzioni direttive o semidirettive presso l'ufficio dove le svolgeva anteriormente alla condanna;

5) la sospensione dalle funzioni comporti altresì la sospensione dallo stipendio ed il collocamento del magistrato fuori dal ruolo organico della magistratura. Al magistrato sospeso è corrisposto un assegno alimentare pari ai due terzi dello stipendio e delle altre competenze di carattere continuativo, se il magistrato sta percependo il trattamento economico riservato alla prima o seconda o terza classe stipendiale; alla metà, se alla quarta o quinta classe; ad un terzo, se alla sesta o settima classe;

6) la rimozione determini la cessazione del rapporto di servizio;

7) quando, per il concorso di più illeciti disciplinari, si dovrebbero irrogare più sanzioni meno gravi, si applichi altra sanzione di maggiore gravità, sola o congiunta con quella meno grave se compatibile;

8) la sanzione di cui al numero 6) sia eseguita mediante decreto del Presidente della Repubblica;

h) prevedere che siano puniti con la sanzione non inferiore alla censura:

1) i comportamenti che, violando i doveri di cui alla lettera b), arrecano illegittimo danno o vantaggio ad una delle parti;

2) la consapevole inosservanza dell'obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge;

3) l'omissione, da parte dell'interessato, della comunicazione al Consiglio superiore della magistratura della sussistenza di una delle cause di incompatibilità di cui agli articoli 18 e 19 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n.12, come modificati ai sensi della lettera p);

4) ogni altra violazione del dovere di imparzialità;

5) i comportamenti previsti dal numero 2), primo periodo, della lettera c);

6) il perseguimento di fini diversi da quelli di giustizia;

7) il reiterato o grave ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni;

8) la scarsa laboriosità, se abituale;

9) la grave o abituale violazione del dovere di riservatezza;

10) l'uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti, se abituale o grave;

11) i comportamenti previsti dal numero 2) della lettera d);

i) prevedere che siano puniti con una sanzione non inferiore alla perdita dell'anzianità:

1) i comportamenti che, violando i doveri di cui alla lettera b), arrecano illegittimo danno o vantaggio ad una delle parti, se gravi;

2) l'uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti, se abituale e grave;

l) stabilire che:

1) sia punita con la sanzione della incapacità ad esercitare un incarico direttivo o semidirettivo l'interferenza nell'attività di altro magistrato da parte del dirigente dell'ufficio o del presidente della sezione, se ripetuta o grave;

2) sia punita con una sanzione non inferiore alla sospensione dalle funzioni l'accettazione di incarichi ed uffici vietati dalla legge o non autorizzati;

3) sia rimosso il magistrato che incorre nella interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici in seguito a condanna penale o che incorre in una condanna a pena detentiva per delitto non colposo non inferiore ad un anno la cui esecuzione non sia stata sospesa ai sensi degli articoli 163 e 164 del codice penale o per la quale sia intervenuto provvedimento di revoca della sospensione ai sensi dell'articolo 168 dello stesso codice;

m) stabilire che, nell'infliggere una sanzione diversa dall'ammonimento e dalla rimozione, la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura possa disporre il trasferimento del magistrato ad altra sede o ad altro ufficio quando, per la condotta tenuta, la permanenza nella stessa sede o nello stesso ufficio appare in contrasto con il buon andamento dell'amministrazione della giustizia. Il trasferimento è sempre disposto quando ricorre una delle violazioni previste dal numero 1) della lettera c), ad eccezione dell'inosservanza dell'obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge e dell'inosservanza dell'obbligo della comunicazione al Consiglio superiore della magistratura, dal numero 1) della lettera d), ovvero se è inflitta la sanzione della sospensione dalle funzioni;

n) integrare il secondo comma dell'articolo 2 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n.511, stabilendo che il trasferimento ad altra sede, o la destinazione ad altre funzioni, ivi previsti, avvengano secondo le norme procedurali che regolano il procedimento disciplinare di cui agli articoli 28 e seguenti dello stesso regio decreto legislativo, in quanto compatibili; prevedere altresì che, in caso di particolare urgenza, il trasferimento possa essere disposto anche in via cautelare e provvisoria; prevedere infine che la causa, anche incolpevole, legittimante l'intervento sia tale da impedire al magistrato di svolgere le sue funzioni, nella sede occupata, con piena indipendenza e imparzialità;

o) prevedere la modifica dell'articolo 3 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n.511, consentendo anche di far transitare nella pubblica amministrazione, con funzioni amministrative, i magistrati dispensati dal servizio;

p) ridisciplinare le ipotesi di cui agli articoli 18 e 19 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n.12, e successive modificazioni, in maniera più puntuale e rigorosa prevedendo, salvo eccezioni specificatamente disciplinate con riferimento all'entità dell'organico nonché alla diversità di incarico, l'incompatibilità per il magistrato a svolgere l'attività presso il medesimo ufficio in cui parenti sino al secondo grado, affini in primo grado, il coniuge o il convivente esercitano la professione di magistrato o di avvocato.

 

Art. 8.

(Norme in materia di procedura per l'applicazione delle sanzioni disciplinari).

1. Nell'attuazione della delega di cui all'articolo 1, comma 1, lettera f), il Governo si attiene, per quel che riguarda la procedura per l'applicazione delle sanzioni disciplinari, ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) prevedere che le funzioni di pubblico ministero nel procedimento disciplinare siano esercitate dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione o da un suo sostituto, e che all'attività di indagine relativa al procedimento disciplinare proceda il pubblico ministero;

b) stabilire che:

1) l'azione disciplinare sia promossa entro un anno dalla notizia del fatto, acquisita a seguito di sommarie indagini preliminari o di denuncia circostanziata;

2) entro un anno dall'inizio del procedimento debba essere richiesta l'emissione del decreto che fissa la discussione orale davanti alla sezione disciplinare; entro un anno dalla richiesta debba pronunciarsi la sezione disciplinare. Se la sentenza è annullata in tutto o in parte a seguito del ricorso per cassazione, il termine per la pronuncia nel giudizio di rinvio è di sei mesi e decorre dalla data in cui vengono restituiti dalla Corte di cassazione gli atti del procedimento. Se i termini non sono osservati, il procedimento disciplinare si estingue, sempre che l'incolpato vi consenta;

3) il corso dei termini sia sospeso:

3.1) se per il medesimo fatto è iniziato il procedimento penale, riprendendo a decorrere dalla data in cui non è più soggetta ad impugnazione la sentenza di non luogo a procedere ovvero sono divenuti irrevocabili la sentenza o il decreto penale di condanna;

3.2) se durante il procedimento disciplinare viene sollevata questione di legittimità costituzionale, riprendendo a decorrere dal giorno in cui è pubblicata la decisione della Corte costituzionale;

3.3) se l'incolpato è sottoposto a perizia o ad accertamenti specialistici, e per tutto il tempo necessario;

3.4) se il procedimento disciplinare è rinviato a richiesta dell'incolpato o del suo difensore o per impedimento dell'incolpato o del suo difensore;

c) prevedere che:

1) il Ministro della giustizia abbia facoltà di promuovere l'azione disciplinare mediante richiesta di indagini al Procuratore generale presso la Corte di cassazione. Dell'iniziativa il Ministro dà comunicazione al Consiglio superiore della magistratura, con indicazione sommaria dei fatti per i quali si procede;

2) l'azione disciplinare possa essere promossa anche dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione il quale ne dà comunicazione al Ministro della giustizia e al Consiglio superiore della magistratura, con indicazione sommaria dei fatti per i quali si procede. Il Ministro della giustizia, se ritiene che l'azione disciplinare deve essere estesa ad altri fatti, ne fa richiesta al Procuratore generale, ed analoga richiesta può fare nel corso delle indagini;

3) il Consiglio superiore della magistratura, i consigli giudiziari e i dirigenti degli uffici debbano comunicare al Ministro della giustizia e al Procuratore generale presso la Corte di cassazione ogni fatto rilevante sotto il profilo disciplinare. I presidenti di sezione e i presidenti di collegio debbono comunicare ai dirigenti degli uffici i fatti concernenti l'attività dei magistrati della sezione o del collegio che siano rilevanti sotto il profilo disciplinare;

4) la richiesta di indagini rivolta dal Ministro della giustizia al Procuratore generale o la comunicazione da quest'ultimo data al Consiglio superiore della magistratura ai sensi del numero 2) determinino a tutti gli effetti l'inizio del procedimento;

5) il Procuratore generale presso la Corte di cassazione possa contestare fatti nuovi nel corso delle indagini, anche se l'azione è stata promossa dal Ministro della giustizia, salva la facoltà del Ministro di cui al numero 2), ultimo periodo;

d) stabilire che:

1) dell'inizio del procedimento debba essere data comunicazione entro trenta giorni all'incolpato con l'indicazione del fatto che gli viene addebitato; analoga comunicazione debba essere data per le ulteriori contestazioni di cui al numero 5) della lettera c). L'incolpato può farsi assistere da altro magistrato o da un avvocato, designati in qualunque momento dopo la comunicazione dell'addebito, nonché, se del caso, da un consulente tecnico;

2) gli atti di indagine non preceduti dalla comunicazione all'incolpato o dall'avviso al difensore, se già designato, siano nulli, ma la nullità non possa essere più rilevata quando non è dedotta con dichiarazione scritta e motivata nel termine di dieci giorni dalla data in cui l'interessato ha avuto conoscenza del contenuto di tali atti o, in mancanza, da quella della comunicazione del decreto che fissa la discussione orale davanti alla sezione disciplinare;

3) per l'attività di indagine si osservino, in quanto compatibili, le norme del codice di procedura penale, eccezione fatta per quelle che comportano l'esercizio di poteri coercitivi nei confronti dell'imputato, delle persone informate sui fatti, dei periti e degli interpreti. Alle persone informate sui fatti, ai periti e interpreti si applicano le disposizioni degli articoli 366, 371-bis, 371-ter, 373, 376, 377 e 384 del codice penale;

4) per gli atti da compiersi fuori dal suo ufficio, il pubblico ministero possa richiedere altro magistrato in servizio presso la procura generale della corte d'appello nel cui distretto l'atto deve essere compiuto;

5) al termine delle indagini, il Procuratore generale con le richieste conclusive di cui alla lettera e) invii alla sezione disciplinare il fascicolo del procedimento e ne dia comunicazione all'incolpato; il fascicolo sia depositato nella segreteria della sezione a disposizione dell'incolpato, con facoltà di prenderne visione e di estrarre copia degli atti;

e) prevedere che:

1) il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, al termine delle indagini, se non ritiene di dover chiedere la declaratoria di non luogo a procedere, formuli l'incolpazione e chieda al presidente della sezione disciplinare la fissazione dell'udienza di discussione orale. Della richiesta è data comunicazione al Ministro della giustizia, con invio di copia dell'atto;

2) il Ministro della giustizia, entro venti giorni dal ricevimento della comunicazione, possa chiedere l'integrazione e, nel caso di azione disciplinare da lui promossa, la modificazione della contestazione, cui provvede il Procuratore generale presso la Corte di cassazione;

3) il presidente della sezione disciplinare fissi, con suo decreto, il giorno della discussione orale, con avviso ai testimoni e ai periti;

4) il decreto di cui al numero 3) sia comunicato, almeno dieci giorni prima della data fissata per la discussione orale, al pubblico ministero e all'incolpato nonché al difensore di quest'ultimo se già designato;

5) nel caso in cui il Procuratore generale ritenga che si debba escludere l'addebito, faccia richiesta motivata alla sezione disciplinare per la declaratoria di non luogo a procedere. Della richiesta è data comunicazione al Ministro della giustizia, con invio di copia dell'atto;

6) il Ministro della giustizia, entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al numero 5), possa richiedere copia degli atti del procedimento e, nei venti giorni successivi alla ricezione degli stessi, possa richiedere al presidente della sezione disciplinare la fissazione dell'udienza di discussione orale, formulando l'incolpazione;

7) decorsi i termini di cui al numero 6), sulla richiesta di non luogo a procedere la sezione disciplinare decida in camera di consiglio. Se rigetta la richiesta, provvede nei modi previsti dai numeri 3) e 4). Sulla richiesta del Ministro della giustizia di fissazione della discussione orale, si provvede nei modi previsti nei numeri 3) e 4) e le funzioni di pubblico ministero, nella discussione orale, sono esercitate dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione o da un suo sostituto;

f) prevedere che:

1) nella discussione orale un componente della sezione disciplinare nominato dal presidente svolga la relazione;

2) l'udienza sia pubblica; tuttavia la sezione disciplinare, su richiesta di una delle parti, possa comunque disporre che la discussione non sia pubblica se ricorrono esigenze di tutela della credibilità della funzione giudiziaria, con riferimento ai fatti contestati ed all'ufficio che l'incolpato occupa, ovvero esigenze di tutela del diritto dei terzi;

3) la sezione disciplinare possa assumere anche d'ufficio tutte le prove che ritiene utili, possa disporre o consentire la lettura di rapporti dell'Ispettorato generale del Ministero della giustizia, dei consigli giudiziari e dei dirigenti degli uffici, la lettura di atti dei fascicoli personali nonché delle prove acquisite nel corso delle indagini; possa consentire l'esibizione di documenti da parte del pubblico ministero e dell'incolpato. Si osservano, in quanto compatibili, le norme del codice di procedura penale sul dibattimento, eccezione fatta per quelle che comportano l'esercizio di poteri coercitivi nei confronti dell'imputato, dei testimoni, dei periti e degli interpreti. Ai testimoni, periti e interpreti si applicano le disposizioni di cui agli articoli 366, 372, 373, 376, 377 e 384 del codice penale;

4) la sezione disciplinare deliberi immediatamente dopo l'assunzione delle prove, le conclusioni del pubblico ministero e la difesa dell'incolpato; questi debba essere sentito per ultimo. Il pubblico ministero non assiste alla deliberazione in camera di consiglio;

5) se non è raggiunta prova sufficiente dell'addebito, la sezione disciplinare ne dichiari esclusa la sussistenza;

6) i motivi della sentenza siano depositati nella segreteria della sezione disciplinare entro trenta giorni dalla deliberazione;

7) dei provvedimenti adottati dalla sezione disciplinare sia data comunicazione al Ministro della giustizia con invio di copia integrale, anche ai fini della decorrenza dei termini per la proposizione del ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione. Il Ministro può richiedere copia degli atti del procedimento;

g) stabilire che:

1) l'azione disciplinare sia promossa indipendentemente dall'azione civile di risarcimento del danno o dall'azione penale relativa allo stesso fatto, fermo restando quanto previsto dal numero 3) della lettera b);

2) abbiano autorità di cosa giudicata nel giudizio disciplinare la sentenza penale irrevocabile di condanna, quella prevista dall'articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale, che è equiparata alla sentenza di condanna, e quella irrevocabile di assoluzione pronunciata perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non lo ha commesso;

h) prevedere che:

1) a richiesta del Ministro della giustizia o del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, la sezione disciplinare sospenda dalle funzioni e dallo stipendio e collochi fuori dal ruolo organico della magistratura il magistrato, sottoposto a procedimento penale, nei cui confronti sia stata adottata una misura cautelare personale;

2) la sospensione permanga sino alla sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione o alla sentenza irrevocabile di proscioglimento; la sospensione debba essere revocata, anche d'ufficio, dalla sezione disciplinare, allorché la misura cautelare è revocata per carenza di gravi indizi di colpevolezza; la sospensione possa essere revocata, anche d'ufficio, negli altri casi di revoca o di cessazione degli effetti della misura cautelare;

3) al magistrato sospeso sia corrisposto un assegno alimentare nella misura indicata nel secondo periodo del numero 5) della lettera g) del comma 1 dell'articolo 7;

4) il magistrato riacquisti il diritto agli stipendi e alle altre competenze non percepiti, detratte le somme corrisposte per assegno alimentare, se è prosciolto con sentenza irrevocabile ai sensi dell'articolo 530 del codice di procedura penale. Tale disposizione si applica anche se è pronunciata nei suoi confronti sentenza di proscioglimento per ragioni diverse o sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione, qualora, essendo stato il magistrato sottoposto a procedimento disciplinare, lo stesso si sia concluso con la pronuncia indicata nel numero 3) della lettera m);

i) prevedere che:

1) quando il magistrato è sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo punibile, anche in via alternativa, con pena detentiva, o quando al medesimo possono essere ascritti fatti rilevanti sotto il profilo disciplinare che, per la loro gravità, siano incompatibili con l'esercizio delle funzioni, il Ministro della giustizia o il Procuratore generale presso la Corte di cassazione possano chiedere la sospensione cautelare dalle funzioni e dallo stipendio, e il collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura, anche prima dell'inizio del procedimento disciplinare;

2) la sezione disciplinare convochi il magistrato con un preavviso di almeno tre giorni e provveda dopo aver sentito l'interessato o dopo aver constatato la sua mancata presentazione. Il magistrato può farsi assistere da altro magistrato o da un avvocato anche nel corso del procedimento di sospensione cautelare;

3) la sospensione possa essere revocata dalla sezione disciplinare in qualsiasi momento, anche d'ufficio;

4) si applichino le disposizioni di cui alla lettera h), numeri 3) e 4).

l) prevedere che:

1) contro i provvedimenti in materia di sospensione di cui alle lettere h) ed i) e contro le sentenze della sezione disciplinare, l'incolpato, il Ministro della giustizia e il Procuratore generale presso la Corte di cassazione possano proporre ricorso per cassazione, nei termini e con le forme previsti dal codice di procedura penale. Nei confronti dei provvedimenti in materia di sospensione di cui alle lettere h) ed i) il ricorso non ha effetto sospensivo del provvedimento impugnato;

2) la Corte di cassazione decida a sezioni unite penali, entro sei mesi dalla data di proposizione del ricorso;

m) prevedere che:

1) il magistrato sottoposto a procedimento penale e cautelarmente sospeso abbia diritto ad essere reintegrato a tutti gli effetti nella situazione anteriore qualora sia prosciolto con sentenza irrevocabile ovvero sia pronunciata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione. Se il posto prima occupato non è vacante, ha diritto di scelta fra quelli disponibili, ed entro un anno può chiedere l'assegnazione ad ufficio analogo a quello originariamente ricoperto, con precedenza rispetto ad altri eventuali concorrenti;

2) la sospensione cautelare cessi di diritto quando diviene definitiva la pronuncia della sezione disciplinare che conclude il procedimento;

3) se è pronunciata sentenza di non luogo a procedere o se l'incolpato è assolto o condannato ad una sanzione diversa dalla rimozione o dalla sospensione dalle funzioni per un tempo pari o superiore alla durata della sospensione cautelare eventualmente disposta, siano corrisposti gli arretrati dello stipendio e delle altre competenze non percepiti, detratte le somme già riscosse per assegno alimentare;

n) prevedere che:

1) in ogni tempo sia ammessa la revisione delle sentenze divenute irrevocabili, con le quali è stata applicata una sanzione disciplinare, quando:

1.1) i fatti posti a fondamento della sentenza risultano incompatibili con quelli accertati in una sentenza penale irrevocabile ovvero in una sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione;

1.2) sono sopravvenuti o si scoprono, dopo la decisione, nuovi elementi di prova, che, soli o uniti a quelli già esaminati nel procedimento disciplinare, dimostrano l'insussistenza dell'illecito;

 

1.3) il giudizio di responsabilità e l'applicazione della relativa sanzione sono stati determinati da falsità ovvero da altro reato accertato con sentenza irrevocabile;

2) gli elementi in base ai quali si chiede la revisione debbano, a pena di inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare che, se accertati, debba essere escluso l'addebito o debba essere applicata una sanzione diversa da quella inflitta se trattasi della rimozione, ovvero se dalla sanzione applicata è conseguito il trasferimento d'ufficio;

3) la revisione possa essere chiesta dal magistrato al quale è stata applicata la sanzione disciplinare o, in caso di morte o di sopravvenuta incapacità di questi, da un suo prossimo congiunto che vi abbia interesse anche soltanto morale;

4) l'istanza di revisione sia proposta personalmente o per mezzo di procuratore speciale. Essa deve contenere, a pena di inammissibilità, l'indicazione specifica delle ragioni e dei mezzi di prova che la giustificano e deve essere presentata, unitamente ad eventuali atti e documenti, alla segreteria della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura;

5) nei casi previsti dai numeri 1.1) e 1.3), all'istanza debba essere unita copia autentica della sentenza penale;

6) la revisione possa essere chiesta anche dal Ministro della giustizia e dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione, alle condizioni di cui ai numeri 1) e 2) e con le modalità di cui ai numeri 4) e 5);

7) la sezione disciplinare acquisisca gli atti del procedimento disciplinare e, sentiti il Ministro della giustizia, il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, l'istante ed il suo difensore, dichiari inammissibile l'istanza di revisione se proposta fuori dai casi di cui al numero 2), o senza l'osservanza delle disposizioni di cui al numero 4) ovvero se risulta manifestamente infondata; altrimenti, disponga il procedersi al giudizio di revisione, al quale si applicano le norme stabilite per il procedimento disciplinare;

8) contro la decisione che dichiara inammissibile l'istanza di revisione sia ammesso ricorso alle sezioni unite penali della Corte di cassazione;

9) in caso di accoglimento dell'istanza di revisione la sezione disciplinare revochi la precedente decisione;

10) il magistrato assolto con decisione irrevocabile a seguito di giudizio di revisione abbia diritto alla integrale ricostruzione della carriera nonché a percepire gli arretrati dello stipendio e delle altre competenze non percepiti, detratte le somme corrisposte per assegno alimentare, rivalutati in base alla variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati;

o) prevedere che il Procuratore generale presso la Corte di cassazione debba promuovere l'azione disciplinare:

1) nei casi previsti dall'articolo 7, comma 1, lettera c), numero 1), ad esclusione dell'ultimo periodo, numero 2), ad esclusione dell'ultimo periodo, numero 3), ad esclusione dell'ultimo periodo, numero 4), ad esclusione dell'ultimo periodo, nonché numeri 5), 6), 7) e 8);

2) nei casi previsti dall'articolo 7, comma 1, lettera d), numero 3), e numero 6) limitatamente all'ipotesi della partecipazione ad associazioni segrete;

3) nei casi previsti dall'articolo 7, comma 1, lettera e), numero 1);

4) nei casi previsti dall'articolo 9 della legge 13 aprile 1988, n. 117, per quanto non stabilito nei precedenti numeri 1), 2) e 3).

 

Art. 9.

(Istituzione in via sperimentale

dell'ufficio del giudice).

1. Nell'attuazione della delega di cui all'articolo 1, comma 2, il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) prevedere che l'ausiliario del giudice, sotto la diretta responsabilità del magistrato cui è assegnato e in rapporto fiduciario con il medesimo:

1) svolga attività di ricerca della dottrina e dei precedenti giurisprudenziali, anche di merito;

2) presti assistenza al magistrato nell'organizzarne l'attività in vista dell'udienza e nel coordinamento degli adempimenti istruttori;

3) abbia la facoltà di presenziare all'udienza e di esaminare gli atti;

4) collabori all'espletamento degli adempimenti che incombono al giudice, successivi alla pronuncia della sentenza;

5) collabori con il giudice, svolgendo le attività da questi richieste, al fine di procurare, in via generale, che egli sia alleviato da tutti gli incombenti che non riguardino lo stretto esercizio della funzione giurisdizionale;

b) fermo restando quanto previsto alla lettera a), escludere che l'attività dell'ausiliario possa includere compiti che rientrino nelle attribuzioni di altri uffici;

c) prevedere che l'organico degli ausiliari del giudice sia stabilito in 2.250 unità;

d) prevedere che l'assegnazione degli ausiliari sia distribuita fra gli uffici giudiziari in proporzione all'organico dei magistrati di ciascun distretto di corte d'appello e che l'assegnazione dei medesimi fra i magistrati del distretto avvenga sulla base delle determinazioni del presidente della corte d'appello, sentito il consiglio giudiziario;

e) prevedere che l'ausiliario sia assegnato, a cura dei soggetti di cui alla lettera d), sulla base dei carichi di lavoro e delle altre oggettive esigenze dell'ufficio, ai soli magistrati che ne fanno espressa richiesta;

f) prevedere che l'incarico di ausiliario del giudice abbia durata biennale e sia rinnovabile per una sola volta;

g) prevedere che la stipulazione dei contratti per l'assunzione e la gestione amministrativa degli ausiliari del giudice sia svolta dai presidenti di corte d'appello di ciascun distretto; stabilire inoltre che i presidenti di corte d'appello possano, agli stessi effetti, delegare un altro magistrato componente del consiglio giudiziario;

h) prevedere che gli ausiliari del giudice siano scelti fra coloro che hanno conseguito, con una votazione non inferiore a 108/110, la laurea specialistica per la classe delle scienze giuridiche sulla base degli ordinamenti didattici adottati in esecuzione del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n.509;

i) prevedere che i presidenti delle corti d'appello provvedano, mediante affissione nell'albo pretorio ed ogni altra forma di pubblicità ritenuta idonea, anche avvalendosi della collaborazione delle facoltà di giurisprudenza delle università e delle altre strutture di formazione giuridica, a dare avviso agli interessati della possibilità di presentare domanda per l'assunzione come ausiliari del giudice; le domande devono pervenire entro sessanta giorni dalla pubblicazione dell'avviso; i presidenti delle corti d'appello deliberano quindi le assunzioni e stipulano i relativi contratti, valutando a tal fine come titoli preferenziali:

1) la votazione con cui è stata conseguita la laurea e la media dei voti ottenuti negli esami universitari;

2) il conseguimento di lauree in altre discipline;

3) le pubblicazioni prodotte dall'interessato al momento della presentazione della domanda;

4) la compiuta conoscenza di una o più lingue straniere;

5) la conoscenza delle tecnologie informatiche e delle modalità di funzionamento di strumenti informatici e telematici;

6) l'aver eventualmente svolto la pratica forense o conseguito diploma presso le scuole di specializzazione nelle professioni legali previste dall'articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n.398, e successive modificazioni;

7) l'aver conseguito il diploma di specializzazione in una disciplina giuridica, al termine di un corso di studi della durata non inferiore a due anni presso le scuole di specializzazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n.162;

l) prevedere che lo svolgimento delle funzioni di ausiliario del giudice sia equiparato, ad ogni effetto di legge, allo svolgimento della pratica forense e al conseguimento del diploma rilasciato dalle scuole di specializzazione di cui alla lettera i), numero 6), nonché costituisca titolo preferenziale per l'accesso alle funzioni giudiziarie onorarie;

m) prevedere le caratteristiche di atipicità dei contratti di cui alla lettera g), anche in relazione alla loro durata massima, alla loro non rinnovabilità oltre la prima volta, all'orario di lavoro, alla trasferibilità da un ufficio all'altro con attribuzione della relativa facoltà ai soggetti di cui alla medesima lettera g), al vincolo di segretezza in relazione agli atti conosciuti e alle notizie apprese nel corso dello svolgimento dell'attività, alle condizioni di risoluzione o di recesso dai contratti stessi;

n) prevedere, anche mediante attribuzione al Ministro della giustizia dell'obbligo di provvedervi con proprio decreto, che i criteri di valutazione dei titoli preferenziali, a parità dei quali vigerà il principio della priorità della domanda, siano definiti preventivamente in via generale;

o) prevedere che i contratti di cui alla lettera g) contemplino la previsione di una retribuzione annua articolata su tredici mensilità ciascuna di importo pari a euro 1.032, al netto delle imposte e degli oneri previdenziali, e che la stessa non sia soggetta a scatti in relazione all'anzianità per l'intera durata dei contratti stessi, ma solo a rivalutazione su base annua in misura pari alla variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati; prevedere che gli stessi contratti contemplino altresì la corresponsione di un trattamento di fine rapporto.

2. Agli oneri derivanti dal presente articolo si provvede mediante l'istituzione di una imposta pari al 3 per cento della massa attiva risultante dalle procedure concorsuali chiuse nell'anno.

3. La somma derivante dal gettito dell'imposta di cui al comma 2, versata all'entrata del bilancio dello Stato, è riassegnata con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze ad un apposito capitolo dello stato di previsione della spesa del Ministero della giustizia.

4. Le disposizioni dei commi 2 e 3 acquistano efficacia contestualmente al decreto legislativo di cui al comma 2 dell'articolo 1 e cessano di avere efficacia allo scadere del periodo sperimentale ivi previsto.

 

 

Art. 10.

(Disciplina transitoria).

1. Nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, comma 4, il Governo definisce la disciplina transitoria attenendosi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) prevedere che, ai concorsi di cui alla lettera a) del comma 1 dell'articolo 2 indetti fino al quinto anno successivo alla data di acquisto di efficacia dell'ultimo dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui al comma 1 dell'articolo 1, siano ammessi anche coloro che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, essendosi iscritti al relativo corso di laurea anteriormente all'anno accademico 1998/1999;

b) prevedere che il requisito della partecipazione al corso, previsto dalla lettera f) e dai numeri 8.2), 10.2) e 13) della lettera i) del comma 1 dell'articolo 2, possa essere richiesto solo dopo l'entrata in funzione della Scuola superiore della magistratura, di cui all'articolo 3;

c) prevedere che i magistrati, in servizio alla data di acquisto di efficacia dell'ultimo dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui al comma 1 dell'articolo 1, possano richiedere entro un anno dalla predetta data, nei limiti dei posti vacanti, il mutamento delle funzioni nello stesso grado da giudicanti a requirenti e viceversa, previa valutazione positiva da parte del Consiglio superiore della magistratura;

d) prevedere che i magistrati di cui alla lettera c) possano partecipare al concorso di cui ai numeri 2) e 4) della lettera i) del comma 1 dell'articolo 2, anche in assenza del requisito di esercizio per almeno cinque anni delle diverse funzioni;

e) prevedere che le norme di cui ai numeri 8.2) e 10.2) della lettera i) del comma 1 dell'articolo 2 non si applichino ai magistrati che, alla data di acquisto di efficacia dell'ultimo dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui al comma 1 dell'articolo 1, abbiano già compiuto, o compiano nei successivi ventiquattro mesi, tredici anni dalla data del decreto di nomina ad uditore giudiziario;

f) prevedere che le norme di cui al numero 13) della lettera i) del comma 1 dell'articolo 2 non si applichino ai magistrati che, alla data di acquisto di efficacia dell'ultimo dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui al comma 1 dell'articolo 1, abbiano già compiuto, o compiano nei successivi ventiquattro mesi, venti anni dalla data del decreto di nomina ad uditore giudiziario;

g) prevedere che ai magistrati di cui alle lettere e) e f) continuino ad applicarsi le norme in vigore anteriormente alla data di acquisto di efficacia delle disposizioni emanate in attuazione dell'articolo 2 per il conferimento delle funzioni di appello e di quelle di legittimità, nonché per il conferimento degli uffici semidirettivi e direttivi di cui all'articolo 2, comma 1, lettera g), numeri 7), 8), 9), 10), 11) e 12). Le assegnazioni sono disposte nell'ambito delle quote previste dall'articolo 2, comma 1, lettera i), numeri 7), 9) e 14). E' fatta salva la facoltà per i magistrati di partecipare ai concorsi;

h) prevedere che, anche in deroga a quanto previsto dall'articolo 2, comma 1, lettera i), numero 13), ai sostituti procuratori generali in servizio presso la Direzione nazionale antimafia alla data di acquisto di efficacia delle disposizioni emanate in attuazione dello stesso articolo 2, possano, a domanda, essere conferite le funzioni requirenti di legittimità secondo le modalità previste dal numero 14) della lettera i) del comma 1 del medesimo articolo;

i) prevedere, senza nuovi o maggiori oneri per lo Stato, che i magistrati che, alla data di acquisto di efficacia dell'ultimo dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui al comma 1 dell'articolo 1, esercitano funzioni direttive mantengano le loro funzioni sino al compimento del termine di cui all'articolo 2, comma 1, lettera l), numero 3), e, nel caso abbiano raggiunto il detto termine, per l'ulteriore periodo di due anni decorso il quale, senza che abbiano ottenuto l'assegnazione ad altro analogo incarico, cessano dalle funzioni restando assegnati allo stesso ufficio, anche in soprannumero;

l) prevedere, senza nuovi o maggiori oneri per lo Stato, che i magistrati che, alla data di acquisto di efficacia dell'ultimo dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui al comma 1 dell'articolo 1, esercitano funzioni semidirettive requirenti mantengano le loro funzioni per due anni dalla predetta data, decorsi i quali, senza che abbiano ottenuto l'assegnazione ad altro analogo incarico, cessano dalle funzioni restando assegnati allo stesso ufficio, anche in soprannumero;

m) prevedere che, in deroga a quanto previsto dall'articolo 2, comma 1, lettera q), i magistrati che, alla data di acquisto di efficacia dell'ultimo dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui al comma 1 dell'articolo 1, abbiano compiuto il periodo di dieci anni di permanenza nell'incarico nello stesso ufficio, possano permanervi per un ulteriore biennio; prevedere che coloro i quali, alla medesima data, non abbiano compiuto il periodo di dieci anni lo completino e possano permanere nell'incarico per un ulteriore biennio;

n) prevedere che ai posti soppressi ai sensi dell'articolo 6, comma 1, lettere a) e b), siano trattenuti i magistrati in servizio alla data di acquisto di efficacia delle disposizioni emanate in attuazione dell'articolo 6 e che ad essi possano essere conferite dal Consiglio superiore della magistratura le funzioni di legittimità nei limiti dei posti disponibili ed in ordine di anzianità di servizio se in possesso dei seguenti requisiti:

1) necessaria idoneità precedentemente conseguita;

2) svolgimento nei sei mesi antecedenti la predetta data delle funzioni di legittimità per aver concorso a formare i collegi nelle sezioni ovvero per aver svolto le funzioni di pubblico ministero in udienza;

o) prevedere che ai posti soppressi ai sensi dell'articolo 6, comma 1, lettera b), siano trattenuti, in via transitoria, i magistrati di appello in servizio alla data di acquisto di efficacia delle disposizioni emanate in attuazione dell'articolo 6 per i quali non sia stato possibile il conferimento delle funzioni di legittimità ai sensi della lettera n) del presente articolo.

 

Capo II

DELEGA AL GOVERNO PER IL DECENTRAMENTO DEL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA E PER ALCUNE MODIFICHE ALL'ORDINAMENTO DELLE MAGISTRATURE AMMINISTRATIVA E CONTABILE

 

Art. 11.

(Delega al Governo per il decentramento

del Ministero della giustizia).

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi diretti ad attuare su base regionale il decentramento del Ministero della giustizia.

2. Nell'attuazione della delega il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) istituzione di direzioni generali regionali o interregionali dell'organizzazione giudiziaria;

b) competenza delle direzioni regionali o interregionali per le aree funzionali riguardanti il personale e la formazione, i sistemi informativi automatizzati, le risorse materiali, i beni e i servizi, le statistiche;

c) riserva all'amministrazione centrale:

1) del servizio del casellario giudiziario centrale;

2) dell'emanazione di circolari generali e della risoluzione di quesiti in materia di servizi giudiziari;

3) della determinazione del contingente di personale amministrativo da destinare alle singole regioni, nel quadro delle dotazioni organiche esistenti;

4) dei bandi di concorso da espletarsi a livello nazionale;

5) dei provvedimenti di nomina e di prima assegnazione, salvo che per i concorsi regionali;

6) del trasferimento del personale amministrativo tra le diverse regioni e dei trasferimenti da e per altre amministrazioni;

7) dei passaggi di profili professionali, delle risoluzioni del rapporto di impiego e delle riammissioni;

8) dei provvedimenti in materia retributiva e pensionistica;

9) dei provvedimenti disciplinari superiori al rimprovero verbale e alla censura;

10) dei compiti di programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo degli uffici periferici.

3. Per gli oneri relativi alla locazione degli immobili, all'acquisizione in locazione finanziaria di attrezzature e impiantistica e alle spese di gestione, è autorizzata la spesa annua massima di 5.610.000 euro a decorrere dall'anno 2004 cui si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della giustizia.

4. Per gli oneri relativi al personale valutati in 7.387.452 euro annui a decorrere dall'anno 2004, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della giustizia. Il Ministro dell'economia e delle finanze provvede al monitoraggio dell'attuazione del presente comma, anche ai fini dell'applicazione dell'articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, e trasmette alle Camere, corredati da apposite relazioni, gli eventuali decreti emanati ai sensi dell'articolo 7, secondo comma, n. 2), della legge n. 468 del 1978.

5. Ai fini dell'esercizio della delega di cui al comma 1 si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui ai commi 3, 4, 5 e 7 dell'articolo 1.

 

Art. 12.

(Modifica della disciplina per l'accesso alle funzioni presso organi di giurisdizione superiore

amministrativa).

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo diretto a modificare i numeri 1) e 3) del primo comma dell'articolo 19 della legge 27 aprile 1982, n.186, stabilendo che i posti che si rendono vacanti nella qualifica di consigliere di Stato siano conferiti:

a) in ragione di un quarto, ai consiglieri di tribunale amministrativo regionale che ne facciano domanda e che abbiano almeno quattro anni di effettivo servizio nella qualifica. La nomina ha luogo previo giudizio favorevole espresso dal Consiglio di presidenza a maggioranza dei suoi componenti, fermo restando il disposto di cui all'articolo 12, primo comma, della citata legge n.186 del 1982, previo parere di una commissione presieduta dal presidente dello stesso Consiglio di presidenza e formata dai componenti di cui alla lettera d) del comma 1 dell'articolo 7 della medesima legge, nonché dai due presidenti di sezione del Consiglio di Stato e dai due presidenti di tribunale amministrativo regionale più anziani nelle rispettive qualifiche; il parere è reso in base alla valutazione dell'attività giurisdizionale svolta e dei titoli, anche di carattere scientifico, presentati, nonché dell'anzianità di servizio. I magistrati dichiarati idonei sono nominati consiglieri di Stato, conservando, agli effetti del quarto comma dell'articolo 21 della legge n.186 del 1982, l'anzianità maturata nella qualifica di consigliere di tribunale amministrativo regionale;

b) in ragione della metà, mediante concorso pubblico per titoli ed esami teorico-pratici, al quale possono partecipare i magistrati dei tribunali amministrativi regionali con almeno un anno di anzianità, i magistrati ordinari e militari con almeno quattro anni di anzianità, i magistrati della Corte dei conti, nonché gli avvocati dello Stato con almeno un anno di anzianità, i funzionari della carriera direttiva del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati con almeno quattro anni di anzianità, nonché i dirigenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, e successive modificazioni, appartenenti a carriere per l'accesso alle quali sia richiesta la laurea in giurisprudenza. Il concorso è indetto dal presidente del Consiglio di Stato nei primi quindici giorni del mese di gennaio. I vincitori conseguono la nomina con decorrenza dal 31 dicembre dell'anno precedente a quello in cui è indetto il concorso stesso. La metà dei posti disponibili annualmente messi a concorso è riservata ai magistrati dei tribunali amministrativi regionali con la qualifica di consigliere; in tale quota riservata non possono essere nominati altri candidati, salva l'applicazione dell'articolo 20 della citata legge n.186 del 1982 per i posti eventualmente rimasti vacanti.

2. Ai fini dell'esercizio della delega di cui al comma 1 si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui ai commi 3, 4, 5 e 7 dell'articolo 1.

 

Art. 13.

(Modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa).

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per la modifica della disciplina dell'articolo 10 della legge 13 aprile 1988, n.117, e dell'articolo 9 della legge 27 aprile 1982, n.186, con l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) prevedere che i componenti elettivi del Consiglio di presidenza della Corte dei conti durino in carica quattro anni;

b) prevedere che i componenti elettivi di cui alla lettera a) non siano eleggibili per i successivi otto anni;

c) prevedere che per l'elezione dei magistrati componenti elettivi del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa ciascun elettore abbia la facoltà di votare per un solo componente titolare e un solo componente supplente.

2. Ai fini dell'esercizio della delega di cui al comma 1 si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui ai commi 3, 4, 5 e 7 dell'articolo 1.

 

 

Capo III

DELEGA AL GOVERNO PER L'ADOZIONE DI UN TESTO UNICO ED ALTRE

DISPOSIZIONI

 

Art. 14.

(Testo unico).

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro quattro anni dalla data di acquisto di efficacia dell'ultimo dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui al comma 1 dell'articolo 1, un decreto legislativo contenente il testo unico delle disposizioni legislative in materia di ordinamento giudiziario nel quale riunire e coordinare fra loro le disposizioni della presente legge e quelle contenute nei predetti decreti legislativi con tutte le altre disposizioni legislative vigenti al riguardo, apportandovi esclusivamente le modifiche a tal fine necessarie.

2. Per l'emanazione del decreto legislativo di cui al comma 1 si applicano le disposizioni del comma 5 dell'articolo 1.

3. Il Governo provvede ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore del testo unico di cui al comma 1, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n.400, un testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento giudiziario.

 

Art. 15.

(Trasferimento a domanda).

1. Il trasferimento a domanda di cui all'articolo 17 della legge 28 luglio 1999, n.266, e successive modificazioni, e di cui al comma 5 dell'articolo 1 della legge 10 marzo 1987, n.100, e successive modificazioni, si applica anche ai magistrati ordinari con trasferimento degli stessi nella sede di servizio dell'appartenente alle categorie di cui al citato articolo 17 della legge 28 luglio 1999, n.266, o, in mancanza, nella sede più vicina e assegnazione a funzioni identiche a quelle da ultimo svolte nella sede di provenienza.

2. Le disposizioni di cui al comma 1 continuano ad applicarsi anche successivamente alla data di acquisto di efficacia delle disposizioni emanate in attuazione dell'articolo 2.

3. Dalle disposizioni di cui al presente articolo non possono derivare nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato.

 

 

Art. 16.

(Proroga in via transitoria dell'esercizio delle funzioni di Procuratore nazionale antimafia).

1. In deroga a quanto previsto dal comma 1, lettera i), dell'articolo 10 della presente legge e dal comma 3 dell'articolo 76-bis dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n.12, e successive modificazioni, il magistrato preposto alla Direzione nazionale antimafia, alla data di entrata in vigore della presente legge, è prorogato nell'esercizio delle funzioni ad esso attribuite per un ulteriore periodo di due anni dopo la scadenza del termine massimo indicato nel comma 3 del citato articolo 76-bis.

 

Art. 17.

(Copertura finanziaria).

1. Per le finalità di cui all'articolo 2, comma 1, lettera p), numeri 2) e 3), la spesa prevista è determinata in 2.462.899 euro a decorrere dall'anno 2004; per l'istituzione e il funzionamento delle commissioni di concorso di cui all'articolo 2, comma 1, lettera i), numeri 5), 6), 11), 12) e 15), nonché lettera l), numero 6), è autorizzata la spesa massima di 594.589 euro a decorrere dall'anno 2004.

2. Per l'istituzione e il funzionamento della Scuola superiore della magistratura, di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a), è autorizzata la spesa massima di 13.353.900 euro a decorrere dall'anno 2004, di cui 1.716.000 euro a decorrere dall'anno 2004 per i beni da acquisire in locazione finanziaria, 3.733.500 euro a decorrere dall'anno 2004 per le spese di funzionamento, 2.800.000 euro a decorrere dall'anno 2004 per il trattamento economico del personale docente, 4.860.000 euro a decorrere dall'anno 2004 per le spese dei partecipanti ai corsi di aggiornamento professionale, 112.400 euro a decorrere dall'anno 2004 per gli oneri connessi al funzionamento del comitato direttivo di cui all'articolo 3, comma 1, lettera m), e 132.000 euro a decorrere dall'anno 2004 per gli oneri connessi al funzionamento dei comitati di gestione di cui all'articolo 3, comma 1, lettera n).

3. Per le finalità di cui all'articolo 4, la spesa prevista è determinata in 489.700 euro a decorrere dall'anno 2004, di cui 17.044 euro a decorrere dall'anno 2004 per gli oneri connessi al comma 1, lettera a), e 472.656 euro a decorrere dall'anno 2004 per gli oneri connessi al comma 1, lettere f) e g).

4. Per le finalità di cui all'articolo 6, la spesa prevista è determinata in 1.404.141 euro a decorrere dall'anno 2004.

5. Agli oneri indicati nel presente articolo, pari a 18.305.229 euro a decorrere dall'anno 2004, si provvede:

a) quanto a 17.519.019 euro, a decorrere dall'anno 2004, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della giustizia;

b) quanto a 786.210 euro, a decorrere dall'anno 2004, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n.303, come rideterminata annualmente dalla tabella C allegata alla legge finanziaria.

6. Il Ministro dell'economia e delle finanze provvede al monitoraggio dell'attuazione dei predetti articoli 2, 3, 4 e 6, anche ai fini dell'applicazione dell'articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n.468, e successive modificazioni, e trasmette alle Camere, corredati da apposite relazioni, gli eventuali decreti emanati ai sensi dell'articolo 7, secondo comma, n.2), della legge n.468 del 1978.

7. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

 

 

 

 

 


N. 160

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato BURANI PROCACCINI

¾

 

Modifica dell'articolo 194 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, concernente i tramutamenti successivi dei magistrati

 

 

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Presentata il 30 maggio 2001

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge, modificando l'articolo 194 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, con il ripristino del termine di due anni per il trasferimento ad altra sede o ad altre funzioni del magistrato in luogo di quello più lungo di tre anni, stabilito dall'articolo 4 della legge 4 maggio 1998, n. 133, risponde a due distinte esigenze:

 

a) assicurare parità di trattamento tra categorie del pubblico impiego e tra diverse qualifiche nell'ambito della stessa categoria;

 

b) migliorare il funzionamento degli uffici giudiziari.

 

Sotto il primo profilo si deve infatti rilevare che, mentre per il magistrato di livello superiore ad uditore vige il divieto di trasferimento ad altra sede o ad altre funzioni prima di tre anni, per l'uditore, livello iniziale della magistratura, e per il personale delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie vige il termine di due anni, così come per le altre categorie del pubblico impiego, alcune delle quali sono poi esentate del tutto da tale disposizione. Ciò determina una inammissibile disparità di trattamento nell'ambito della stessa categoria di pubblici dipendenti (tra gli uditori giudiziari e gli altri magistrati), nell'ambito cioè di categorie che operano nello stesso settore della giustizia (tra i magistrati di livello superiore ad uditore e il personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie) e tra comparti diversi del pubblico impiego. Né la disposizione che si intende modificare è sostenuta da valide ragioni di utilità pubblica. Essa infatti, pur adottata nell'intento di assicurare meglio la copertura delle sedi disagiate e poco ambite, non ha sortito sul piano pratico alcun effetto apprezzabile, anche perché non accompagnata da analoghe misure per gli uditori, che pure, con la prima nomina, assicurano la copertura delle sedi vacanti disagiate, e per il personale di cancelleria e di segreteria, che è elemento essenziale per il funzionamento degli uffici.

Del resto il termine triennale doveva avere natura transitoria, in attesa di altri e più incisivi ed organici provvedimenti volti ad assicurare la copertura delle sedi vacanti, ma, a distanza di oltre tre anni dalla sua adozione, esso ha perduto il carattere di transitorietà ed appare una ingiustificata misura restrittiva a danno di una sola categoria di operatori della giustizia, che vengono così gravati, essi soli, delle conseguenze della inefficienza dei poteri preposti al corretto funzionamento della giustizia.

Sotto il secondo profilo occorre rilevare che il suddetto termine conduce oggi ad effetti opposti rispetto a quelli per i quali fu adottato. Esso infatti scoraggia e dissuade quanti, dichiarati idonei alle funzioni di appello o di cassazione, potrebbero chiedere il conferimento delle relative funzioni ed accettare, in conseguenza, il trasferimento ad altra sede o ad altre funzioni. E' infatti evidente che in siffatta ipotesi, la prospettiva di dover trascorrere tre anni, anziché due anni, nella sede richiesta, che può essere disagiata o causa di inconvenienti di varia natura, anche in relazione alla novità dell'ambiente di lavoro, induce molti a desistere dalla richiesta predetta. Così oggi la norma dell'articolo 194 dell'ordinamento giudiziario non agevola più la copertura delle sedi vacanti, ma ne prolunga invece la vacanza.

Infine, appare evidente come non sia utile all'amministrazione della giustizia creare eccessivo intralcio a chi intenda mutare sede, poiché spesso tale richiesta è motivata da disagio o insuccesso nell'inserimento nella nuova sede o nell'esercizio delle nuove funzioni, sia per ragioni personali, sia per ragioni ambientali.

In tale ipotesi, che può essere abbastanza frequente, il mantenimento del magistrato per oltre due anni nella sede e nelle funzioni che egli intende tramutare, determina spesso il prolungamento eccessivo di una situazione di scarsa e difettosa produttività, con conseguente danno per l'amministrazione della giustizia.

 

 



 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. L'articolo 194 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

 

"Art. 194. - (Tramutamenti successivi). - 1. Il magistrato destinato, per trasferimento o per conferimento di funzioni, ad una sede da lui richiesta od accettata, non può essere trasferito ad altra sede o assegnato ad altre funzioni prima di due anni dal giorno in cui ha assunto effettivo possesso dell'ufficio, salvo che ricorrano gravi motivi di salute ovvero gravi ragioni di servizio".

 

 

 

 


 

N. 451

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato CENTO

¾

 

Modifiche all'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, in materia di distinzione delle funzioni giudicante e requirente e di tramutamenti successivi dei magistrati

 

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Presentata il 4 giugno 2001

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Onorevoli Colleghi! - Alcune proposte riguardanti la magistratura possono essere accolte senza modificare gli equilibri costituzionali ed evitando ogni rischio di attentato all'indipendenza del pubblico ministero attraverso una più marcata differenziazione tra le funzioni giudicante e requirente. Per dettato costituzionale, infatti, "i giudici sono soggetti soltanto alla legge" e "si distinguono tra loro solo per diversità di funzioni". La presente proposta di legge riguarda appunto il tema della distinzione delle funzioni, che è cosa diversa dalla separazione delle carriere. Infatti, ritenendo irrinunciabile il principio dell'autonomia e dell'indipendenza tanto della funzione requirente quanto di quella giudicante, siamo convinti che ciò implichi che i pubblici ministeri debbano restare magistrati al pari dei giudici e che la magistratura, nel suo insieme, debba continuare a costituire un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. E ciò perché consideriamo maggiore garanzia del diritto del cittadino a un corretto esercizio della delicatissima funzione requirente il fatto che, anche attraverso l'innovazione introdotta con la presente proposta di legge, vi sia sempre maggiore sviluppo di una comune cultura della giurisdizione ispirata ai principi fondamentali dello Stato di diritto contenuti nella nostra Costituzione. Ciò non solo esclude, ma anzi postula che nell'ambito della magistratura vi sia una più chiara distinzione delle funzioni e, più esattamente, dei percorsi lavorativi, tale da non consentire una frequente intercambiabilità.

Le linee-guida di questo processo di differenziazione controllata possono essere rappresentate da una tendenziale stabilità delle funzioni, requirenti o giudicanti, prescelte dal magistrato fin dai primi anni della sua carriera; da un accurato vaglio attitudinale come premessa del tramutamento; e da alcuni vincoli specifici posti ai magistrati requirenti allorché richiedano trasferimenti o promozioni.

L 'attuale disciplina del tirocinio e della scelta della prima sede giudiziaria prescinde quasi del tutto dalla valutazione attitudinale del giovane magistrato: la graduatoria concorsuale costituisce titolo di preferenza nell'assegnazione della sede e la prossimità geografica o gli interessi personali dettano la scelta dell'uditore, a prescindere dalla corrispondenza delle funzioni con le proprie caratteristiche.

E' necessario, invece, che sia formulato un preciso giudizio di idoneità alle funzioni giudicanti o requirenti e che la sede sia assegnata tenendo conto dell'idoneità alle funzioni che ivi l'uditore dovrà svolgere.

Decorsi due anni di effettivo esercizio delle funzioni giudiziarie, il magistrato è chiamato dal Consiglio superiore della magistratura ad indicare in quale funzione vorrà esercitare la sua carriera. L'indicazione è produttiva di una tendenziale stabilità nelle funzioni prescelte, nel senso che il primo trasferimento dovrà essere coerente con la funzione prescelta, e quindi orientato non solo dagli interessi del richiedente, ma anche da quelli del servizio.

La stabilità nella funzione prescelta, e convalidata, non può però essere definitiva, poiché si ritiene patrimonio prezioso ed irrinunciabile la pluralità di esperienze professionali. Pertanto il mutamento delle funzioni sarà in seguito sottoposto a vaglio più rigoroso; e la possibilità di tramutamento di funzioni sarà subordinata ad una più lunga permanenza ed incontrerà determinate limitazioni di sede.

Si ritiene importante aggiungere che l'esigenza di un vaglio rigoroso non opera solamente nel passaggio dalle funzioni requirenti a quelle giudicanti o viceversa, ma anche ogni qual volta sia richiesto il trasferimento ad un ufficio che comporta funzioni specialistiche, ritenendo tali quelle per le quali la legge prevede appositi uffici o disciplina (magistratura di sorveglianza, minorile o del lavoro); ed altresì quando il magistrato chieda di passare ad un settore di attività tipicamente diverso da quella praticata.

 

 



 


proposta di legge

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Art. 1.

(Scelta delle funzioni).

 

1. Dopo l'articolo 130 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, è inserito il seguente:

 

"Art. 130-bis. - (Scelta delle funzioni) - 1. Decorsi due anni di effettivo esercizio delle funzioni giudiziarie, al magistrato è richiesto dal Consiglio superiore della magistratura di indicare se intenda esercitare in futuro funzioni giudicanti o requirenti.

2. L'indicazione è condizione di ammissibilità di ogni domanda di trasferimento e di promozione".

 

 

Art. 2.

(Passaggio dalle funzioni requirenti

alle funzioni giudicanti e viceversa).

 

1. Il comma 2 dell'articolo 190 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni è sostituito dai seguenti:

 

"2. Il passaggio dei magistrati dalle funzioni giudicanti alle funzioni requirenti e da queste a quelle può essere disposto, a domanda dell'interessato, solo quando il Consiglio superiore della magistratura, previo parere del consiglio giudiziario, abbia accertato la sussistenza di specifiche attitudini alla nuova funzione. L'immissione nelle nuove funzioni deve essere preceduta da appositi periodi di formazione, nei modi e nei termini stabiliti dal Consiglio superiore della magistratura.

2-bis. Il magistrato che chiede di essere assegnato da funzioni requirenti a funzioni giudicanti, o da queste a quelle, non può essere destinato, rispettivamente, a funzioni giudicanti o requirenti di primo grado nell'ambito dello stesso circondario, né a quelle di componente della corte d'appello o della procura generale del distretto".

 

 

Art. 3.

(Passaggio a funzioni diverse

da quelle esercitate).

 

1. Dopo l'articolo 190 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, è inserito il seguente:

 

"Art. 190-bis. - (Passaggio a funzioni diverse da quelle esercitate). - 1. Gli accertamenti e la qualificazione professionale di cui al comma 2 dell'articolo 190 sono disposti altresì quando il magistrato chiede di essere destinato, anche nell'ambito della stessa sede, a funzioni specializzate, quali quella della magistratura minorile, di sorveglianza e del lavoro, o comunque a settori diversi da quelli in cui opera".

 

 

Art. 4.

(Assegnazione delle sedi per promozione).

 

1. L'articolo 193 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

 

"Art. 193. - (Assegnazione delle sedi per promozione). - 1. Fermo restando quanto stabilito dalla legge 25 luglio 1966, n. 570, e dalla legge 20 dicembre 1973, n. 831, al magistrato può essere conferito un ufficio direttivo di merito solamente se ha svolto le funzioni cui l'ufficio si riferisce per un periodo di almeno cinque anni, che si sia concluso nell'ultimo decennio.

2. Per il conferimento di uffici direttivi costituisce titolo di preferenza l'aver esercitato funzioni sia giudicanti che requirenti".

 

Art. 5.

(Tramutamenti successivi).

 

1. L'articolo 194 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

 

"Art. 194. - (Tramutamenti successivi). - 1. Il magistrato destinato, per trasferimento o per conferimento di funzioni, ad una sede da lui chiesta, non può essere trasferito ad altre sedi prima di cinque anni dal giorno in cui ha assunto effettivo possesso dell'ufficio, salvo che ricorrano gravi motivi di salute, ovvero gravi esigenze di servizio.

2. Il termine di cui al comma 1 è ridotto a due anni per la prima assegnazione di sede degli uditori giudiziari.

3. Successivamente alla prima assegnazione il magistrato può essere destinato solamente a sedi in cui esercita la funzione prescelta, alla quale è stato dichiarato idoneo.

4. Ogni altra domanda di trasferimento che comporta il passaggio dalle funzioni giudicanti alle funzioni requirenti, o da queste a quelle, può essere presentata solamente previo decorso di almeno sei anni nell'esercizio delle funzioni in precedenza esercitate".

 

 

Art. 6.

(Incentivi alla mobilità).

 

1. Dopo l'articolo 194 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, è inserito il seguente:

 

"Art. 194-bis. - (Incentivi alla mobilità) - 1. Il Consiglio superiore della magistratura, nell'ambito delle sue attribuzioni, elabora criteri atti a valorizzare ed incentivare, in occasione di trasferimenti e promozioni, la pluralità delle esperienze professionali".

 

 

 


N. 632

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa dei deputati BONITO, FINOCCHIARO, LEONI, KESSLER, CARBONI, LUCIDI, GRILLINI

¾

 

Istituzione di un Centro superiore di studi giuridici per la formazione professionale dei magistrati, denominato "Scuola  nazionale della magistratura", e norme in materia di tirocinio e di distinzione delle funzioni giudicante e requirente

 

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Presentata il 7 giugno 2001

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Onorevoli Colleghi! - La sempre più diffusa richiesta di una più elevata professionalità dei magistrati, intesa nel suo senso più ampio, comprensivo non solo di un bagaglio di conoscenze tecniche ma anche di conoscenze della realtà sulla quale l'attività giudiziaria va ad incidere, induce ad affrontare il tema alla radice proponendo l'istituzione della cosiddetta "Scuola nazionale della magistratura", da sempre invocata.

Una tale soluzione, con il corollario dei più penetranti strumenti di preparazione e valutazione che essa comporta, consente altresì di realizzare un'oculata riforma ordinamentale, relativa alla distinzione tra le funzioni requirente e giudicante che riconosca il fondamento di istanze reali senza intaccare delicati equilibri costituzionali, come si dirà meglio nel prosieguo.

 

1. - L'importanza della formazione professionale. - La formazione professionale può essere definita come la comunicazione organizzata di conoscenze tecniche, pratiche e deontologiche, che si aggiungono a quelle fornite dal concreto operare professionale.

Se essa è importante in tutte le professioni, lo è in modo particolare per la magistratura. Per dettato costituzionale, infatti, "i giudici sono soggetti soltanto alla legge" e "si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni". Ciò significa che ai magistrati non possono essere suggeriti indirizzi od orientamenti circa l'interpretazione delle leggi, né da poteri esterni né dallo stesso ordine giudiziario: e quindi il giudice, più ancora di ogni altro funzionario dello Stato, ha bisogno di una formazione professionale di altissimo livello, dovendo egli da solo ricercare ed acquisire gli strumenti della sua attività.

Questa consapevolezza - e la conseguente necessità di addivenire all'istituzione di una Scuola della magistratura, o Accademia, o di un Centro superiore di studi giuridici - è ormai diffusa, e molteplici sono state in questi ultimi tempi le sollecitazioni in tal senso.

 

2. - Sollecitazioni ed esperienze similari. - L'invocazione di una scuola è presente nei lavori parlamentari che precedettero il varo della legge 12 aprile 1990, n.74, e nei lavori della Commissione parlamentare per le riforme istituzionali (seduta del 2 dicembre 1992), in cui ci si soffermò sulla differenziazione dell'ufficio del pubblico ministero rispetto alla magistratura giudicante, e sull'esigenza di abbandonare ogni automatismo nella progressione in carriera, per far luogo a reiterate verifiche della professionalità dei magistrati.

Il Consiglio superiore della magistratura, in più occasioni, ha rivolto pressanti sollecitazioni affinché sia istituita una Scuola della magistratura, che consenta la ristrutturazione della materia del tirocinio, la programmazione di una formazione permanente ed organica lungo il corso della carriera e l'occasione per innestare nella stessa dei momenti di rigorosa verifica della professionalità: una disamina accurata delle problematiche in questione si rinviene nella relazione al Parlamento sullo stato della giustizia del 1991, e soprattutto nella relazione del 1994, intitolata appunto al reclutamento ed alla formazione dei magistrati.

Anche il mondo accademico, l'Associazione nazionale magistrati e varie forze politiche si sono espressi a favore di una struttura del genere.

Lo stesso panorama legislativo vigente offre indicazioni nel senso che qui si propone. Già l'articolo 22 della legge 1^ aprile 1981, n.121, previde una struttura indirizzata all'alta formazione ed all'aggiornamento delle Forze di polizia. L'articolo 17 della legge 15 dicembre 1990, n.395, ha contemplato l'istituzione di una scuola nazionale per la formazione e la specializzazione dei quadri direttivi dell'Amministrazione penitenziaria. L'articolo 28 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n.29, ora ripreso dal corrispondente articolo del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ha ridisciplinato le attività della già esistente Scuola superiore della pubblica amministrazione. Ed è noto ed apprezzato il funzionamento della Scuola tributaria centrale della Guardia di finanza. Di modo che appare ormai indifferibile dotare di una struttura similare anche quella importante istituzione che è la magistratura.

Un'ulteriore sollecitazione in tal senso viene altresì dalla constatazione che l'Italia è sostanzialmente l'unico Paese europeo, fra quelli ad avanzata organizzazione, ad esserne privo. L'Ecole Nationale de la Magistrature francese (ENM) è stata creata nel 1958, ha ormai fama mondiale, e coinvolge ogni anno circa 4.000 dei 6.200 magistrati francesi. Il Centro de Estudios Judiciarios portoghese, istituito con ordinanza del 10 settembre 1979, svolge anch'esso opera altamente qualificata. In Germania la Deutsche Richterakademie, istituita a Bonn nel 1978, provvede alla formazione continua dei magistrati (sia giudicanti, sia del pubblico ministero) ed opera in parallelo con la Europaische Richterakademie per il settore specifico del diritto comunitario, e con una "Accademia federale degli avvocati". La Spagna è sede della più antica scuola europea per la formazione dei magistrati (istituita sin dal 1944), e con la Ley Organica del Poder Judicial del 1985 ha sancito la nascita del nuovo Centro de Estudios Judiciales, che si ispira in qualche misura al modello francese. Strutture similari, infine, operano in Olanda Stichting Studiecentrum Rechtspleging, Svizzera Fondation pour la formation continue des juges suisses e Norvegia. Anche le indicazioni comparatistiche depongono per un intervento nel senso qui proposto.

 

3. - Motivazioni specifiche. - La necessità di una Scuola della magistratura è resa evidente anche da una serie di considerazioni obiettive di contesto.

Il corso di laurea in giurisprudenza è, in Italia, più breve che nella maggior parte degli altri Paesi europei. Pertanto l'accesso alle professioni forensi, in generale, richiede un'acculturazione ulteriore rispetto a quella universitaria.

Il reclutamento dei magistrati avviene per concorso (articolo 106, primo comma, della Costituzione), ed esclude normalmente (salva l'eccezionale, e sinora mai praticata, ipotesi di cui al terzo comma dello stesso articolo 106) l'immissione "laterale" nella magistratura, cioè la possibilità di ricorso a soggetti già formati attraverso un'esperienza professionale similare.

La preparazione preliminare al concorso è lasciata all'iniziativa dell'aspirante ed a quella di svariate scuole private, il cui obiettivo non è tanto quello di impartire una preparazione di livello superiore, quanto quello di insegnare le tecniche migliori per superare le prove del concorso.

Il tirocinio dei magistrati è normalmente deficitario, perchè effettuato al fianco di magistrati gravati dal lavoro ordinario, e quindi impossibilitati - al di là di dedizioni personali - a fornire all'uditore giudiziario l'assistenza anche pedagogica, scientifica e deontologica necessaria per un buon apprendistato.

Di fronte a queste carenze normative sta la crescita oggettiva del ruolo della magistratura, chiamata a risolvere conflitti sociali di crescente complessità e delicatezza: il che impone l'acquisizione non solo di un soddisfacente bagaglio tecnico, ma anche di una consapevolezza del ruolo e degli effetti del proprio agire, tanto più in un momento nel quale la necessaria intensificazione del reclutamento ha immesso nell'ordine giudiziario una percentuale di giovanissimi magistrati mai registrata in precedenza.

 

4. - Modalità del reclutamento e della formazione. - Per definire l'ambito di attività della istituenda Scuola occorre ricordare che la formazione professionale della magistratura (ma il discorso può essere esteso alla generalità delle professioni di alto livello alle quali si acceda per concorso) si snoda concettualmente in tre stadi successivi.

Il primo costituisce l'integrazione degli studi universitari e la preparazione al concorso. Il secondo è rappresentato dal tirocinio che segue il superamento del concorso. Il terzo provvede all'aggiornamento ed al miglioramento dei magistrati che già esercitano le funzioni giudiziarie.

Si può quindi parlare di una "formazione preliminare", di una "formazione iniziale" e di una "formazione permanente". La formazione iniziale, a sua volta, postula una "formazione complementare", da considerare come obbligatoria, collocata nei primi anni della carriera, con connotati intermedi tra la formazione iniziale e quella permanente.

Se questo è l'assetto concettuale del fenomeno, assai variabile è l'interrelazione tra la formazione ed il momento selettivo, o concorso (e quindi, di riflesso, l'ambito della possibile azione della Scuola).

Il nostro ordinamento considera, come è noto, un unico momento selettivo (il concorso previsto dal citato articolo 106, primo comma, della Costituzione), superato il quale si entra stabilmente a far parte dell'ordine giudiziario, si effettua il tirocinio e quindi (salve eccezionali situazioni nelle quali il soggetto può ancora essere dichiarato non idoneo) si assumono le funzioni giudiziarie. Ciò comporta, di fatto, una ingentissima quantità di persone che accedono al concorso e ne rendono lunghissimi i tempi di espletamento; un tirocinio di limitata efficacia, anche perchè non accompagnato dalla previsione di un filtro finale; una selezione circoscritta ad un unico momento di valutazione tecnica, e perciò non pienamente affidabile.

Altri ordinamenti, invece, prevedono un'articolazione concorsuale più lunga e complessa, nel senso che il concorso ingloba sia le prove di ammissione ad una struttura-scuola nella quale si effettua il tirocinio, sia il tirocinio stesso, che si conclude con una ulteriore prova, oltre che con una valutazione del rendimento dell'aspirante durante l'intera fase.

In altri Paesi, ancora, l'ammissione all'esame è preceduta da un ulteriore momento selettivo, nel senso che sono previsti dei corsi preparatori, la cui frequenza è requisito per l'ammissione al concorso ed ai quali si accede solamente previo superamento di un esame.

In sostanza - e sempre con riferimento a quegli ordinamenti nei quali l'assunzione nella magistratura non avviene ricorrendo a soggetti provenienti da altre professioni forensi - si constata che l'istituto del concorso può avere diverse connotazioni ed estensioni, ma il dato costante è rappresentato dalla presenza di una struttura stabile che organizza e gestisce quanto meno il tirocinio, anche quando poi affida, inevitabilmente, una parte del medesimo agli uffici giudiziari od a sedi esterne.

La necessità di tale struttura è dunque evidente ed oggettiva, posto che gli uffici giudiziari e le altre istituzioni collaterali assolvono già a compiti propri e gravosi, e non possono dedicare al tirocinio se non attenzioni residue ed insufficienti. Anche sotto questo profilo, pertanto, le indicazioni comparatistiche convergono con la presente proposta di legge.

 

5. - Gli obiettivi della istituenda Scuola. - Da un punto di vista ideale una Scuola della magistratura dovrebbe occuparsi di tutti i momenti dei quali si è detto, e cioè della formazione preliminare, di quella iniziale e di quella complementare e permanente. Anzi, la formazione preliminare dovrebbe fornire una preparazione di base utile per accedere non solo alla magistratura, ma a tutte le professioni forensi, soprattutto a quella di avvocato, nel quadro di una comunione di cultura e di valori e di un interscambio giovevole a tutte le professioni.

Una oculata definizione degli obiettivi sconsiglia, però, di perseguire una struttura dimensionata su tutte queste funzioni. La preparazione post universitaria, tanto più se resa funzionale all'accesso a tutte le professioni forensi, coinvolge molte migliaia di giovani ogni anno; presuppone una collocazione diffusa sul territorio, essendo insostenibile un lungo soggiorno in una sede centrale unificante; esige strette integrazioni con molteplici università, ordini professionali ed enti territoriali, non gestibili da una struttura unitaria modellata sull'idea di scuola o di centro di alti studi giuridici. D'altra parte, nessuno degli ordinamenti stranieri presi in considerazione ha perseguito e realizzato una simile ipotesi.

Pertanto, l'obiettivo di una formazione post-universitaria comune deve essere senza dubbio perseguito, ma esso deve venir affidato ad una azione congiunta dei vari ministeri, delle università, degli ordini e degli enti territoriali competenti; e questo per l'intuitiva ragione che l'offerta di un servizio estremamente qualificato ed oneroso si giustifica in quanto sia rivolto all'innalzamento professionale di determinati rami della pubblica amministrazione (articolo 97, primo comma, della Costituzione), e non può avere come fruitori anche esponenti di libere professioni. Altro e distinto è il discorso della preparazione all'accesso alle varie professioni forensi, che rientra invece in un'ottica di istruzione, sia pure qualificata e mirata, di cittadini orientati ad una futura attività. Nel quadro definito della formazione professionale dei magistrati, l'anzidetta comunione delle culture potrà essere parzialmente attuata sin d'ora (come del resto sta già avvenendo) attraverso un tirocinio che registri anche l'esperienza forense, ed attraverso una formazione permanente che coinvolga anche le professioni contigue, sia come contributo di docenti da esse provenienti, sia come partecipazione congiunta (e sia pure minoritaria) alle varie sessioni.

Ne discende che la istituenda Scuola dovrà occuparsi essenzialmente del tirocinio e della formazione permanente (oltreché di altre funzioni "minori", quali la contribuzione alla formazione di magistrati stranieri nel quadro di accordi internazionali, ovvero la promozione di iniziative culturali e di studi giuridici); e che resta aperto - e da definirsi in distinta sede normativa - il problema delle modalità del concorso e del reclutamento dei magistrati, dalla cui disciplina potranno discendere nuovi campi e modi di azione della Scuola, senza che ne sia alterata la fisionomia.

Rimane, poi, altamente auspicabile un'azione meditata ed organica volta a realizzare la formazione post-universitaria concernente tutte le professioni forensi, della quale si è detto.

 

6. - La collocazione istituzionale della Scuola. - Problema centrale di una struttura come quella in esame è la sua corretta collocazione nel quadro costituzionale esistente.

La nostra Costituzione, infatti, non si limita ad enunciare il principio che la magistratura costituisce un ordine indipendente da ogni altro potere; ma, accanto all'indipendenza, intesa come libertà di giudizio da ogni influenza, assicura altresì alla magistratura l'autonomia, intesa come potestà di organizzarsi al di fuori di condizionamenti; ed affida la tutela di tali valori ad un organo apposito, il Consiglio superiore della magistratura.

Sì può osservare, - ed è stato, di fatto, rimarcato - da un lato, che le attribuzioni specifiche del Consiglio superiore della magistratura, elencate dall'articolo 105 della Costituzione, non ricomprendono la formazione professionale dei magistrati; e, dall'altro lato, che l'articolo 110 della Costituzione assegna al Ministro di grazia e giustizia l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, tra i quali deve essere inclusa una struttura del tipo che qui si ipotizza.

Ma è doveroso rilevare, in contraria direzione, che l'ordinamento "vivente" ha da tempo riconosciuto al Consiglio superiore della magistratura una competenza integrativa in materia di formazione professionale, essendo innegabile che essa può costituire un veicolo di potente orientamento della magistratura, e che pertanto deve essere gestita dal suo organo di autogoverno. Valgono, a titolo di esempio, l'articolo 5 del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n.448, sul processo penale a carico dei minorenni, approvato con decreto legislativo 28 luglio 1989, n.272, in tema di formazione dei magistrati addetti agli uffici giudiziari minorili; l'articolo 6 della legge 21 novembre 1991, n.374, in tema di corsi di specializzazione professionale per i giudici di pace; l'intero decreto del Presidente della Repubblica 11 gennaio 1988, n.116, in materia di tirocinio degli uditori giudiziari. E può essere altresì ricordata la convenzione stipulata in data 23 settembre 1993 tra il Ministro di grazia e giustizia ed il Consiglio superiore della magistratura (in seguito non registrata dalla Corte dei conti), che riconosceva al Consiglio superiore tale funzione.

D'altra parte, se il dettato costituzionale riconosce al Consiglio superiore della magistratura il compito di operare le assunzioni e le promozioni dei magistrati, diventa inevitabile collocare nell'orbita di tale organo anche la struttura che somministra le conoscenze necessarie sia per un valido tirocinio (culminante nella assunzione definitiva delle funzioni giudiziarie), sia per una valida qualificazione professionale (premessa necessaria delle promozioni).

Dunque, una corretta collocazione istituzionale della struttura-Scuola non può prescindere da un suo fondamentale raccordo con il Consiglio superiore della magistratura, così come deve farsi carico delle competenze e delle attribuzioni del Ministro in tema di organizzazione e di funzionamento di quello che deve essere qualificato un "servizio relativo alla giustizia".

Sotto il primo dei due profili, pertanto, la situazione italiana appare diversa da quella degli altri Paesi alla cui esperienza pure si deve guardare. Tralasciando gli Stati nei quali la formazione professionale si acquisisce essenzialmente attraverso il previo esercizio di altre professioni, forensi od amministrative (Gran Bretagna, Norvegia, Olanda per il 50 per cento dei reclutati), si constata che in taluni Paesi la "Scuola" è collocata alle dipendenze del Ministro della giustizia (Francia, Portogallo); che in altri (Spagna) essa opera bensì alle dipendenze del Ministro, ma in collaborazione con il Consejo General del Poder Judicial, avvicinabile al nostro Consiglio superiore della magistratura; in altri ancora, come la Germania, questa struttura è dislocata presso il Ministero della giustizia, ma è integrata dalla presenza di magistrati, avvocati, professori universitari e funzionari pubblici, che ne accrescono sensibilmente il tasso di autonomia.

In sintesi, si può dire che, nei Paesi considerati, la Scuola opera come emanazione del Ministero della giustizia, ma con sostanziale autonomia amministrativa e finanziaria, là dove non esiste un organo di autogoverno della magistratura; ovvero opera nel quadro di una collaborazione tra Ministero e Consiglio, là dove esso esiste. E si può aggiungere che il dato costante è costituito dall'autonomia della struttura sotto i profili lato sensu organizzativi; mentre la dipendenza dal Ministro (e, dove accade, anche dal Consiglio) concerne gli indirizzi culturali e didattici.

A questa stregua - dovendosi prospettare l'istituzione di una Scuola che tragga profitto dalle esperienze straniere, ma che sia in armonia con il nostro dettato costituzionale complessivo - si può concludere richiamando non solo i già ricordati articoli 105 e 110 della Costituzione (che scandiscono le rispettive attribuzioni e competenze del Consiglio superiore della magistratura e del Ministro), ma anche l'articolo 33 della Costituzione, il quale tutela la libertà della scienza e del suo insegnamento, assicurando ordinamenti autonomi alle istituzioni di alta cultura ed alle accademie, alle quali ben può ricondursi anche l'istituzione in esame.

Pertanto le indicazioni costituzionali muovono nel senso di raccordare la struttura con entrambi gli organismi costituzionali in questione, ma altresì nel senso di prevedere una struttura dotata di autonomia amministrativa, finanziaria, organizzativa e, in qualche misura, anche didattica, nei termini che saranno tra breve precisati, e che vogliono individuare una sostanziale equidistanza tra i due organismi costituzionali.

 

7. - Rapporti della Scuola con il Consiglio superiore della magistratura e con il Ministro della giustizia. - Sempre a proposito di questo tema nodale, è stata talora invocata una propensione più marcata verso l'uno o verso l'altro dei due organi, auspicandosi, da un lato, una collocazione della Scuola all'interno del Consiglio superiore della magistratura, alla stregua di una mera articolazione del medesimo, in nome del suo preminente interesse ad occuparsi della formazione professionale dei magistrati; e dall'altro lato, una più stretta connessione con il Ministero, in nome della sua responsabilità in ordine alla dotazione economica e di personale che alla Scuola deve essere destinata.

Tali indicazioni non paiono accoglibili. Quanto alla prima, sarebbe teoricamente possibile concepire la Scuola come un'articolazione interna del Consiglio superiore della magistratura, chiamato a gestirla attraverso un potenziamento delle sue risorse e del personale: ma in pratica ciò produrrebbe l'anomalo risultato di dare vita ad una parte assai più ampia del suo contenitore, e si scontrerebbe con l'inconveniente di far gestire una struttura altamente specializzata da un organismo non fornito della necessaria qualificazione, ed assorbito da una pienezza di altri impegni incompatibile con la dedizione richiesta da questo. D'altro canto, è sufficiente rilevare che, già oggi, talune funzioni riconducibili a quelle della Scuola (tipico il concorso di ammissione alla magistratura ed il tirocinio) non vengono gestite direttamente dal Consiglio superiore della magistratura, il quale si limita ad affidarle a commissioni di esame da esso nominate ed a magistrati collaboratori ed affidatari sottoposti alla sua approvazione.

Quanto poi ad una maggior attrazione della Scuola nell'orbita del Ministro, l'obiezione centrale risiede nella ricordata architettura voluta dalla Costituzione: che il Ministero si faccia carico degli aspetti organizzativi e della dotazione delle strutture della giustizia è un dato fisiologico che vale per tutti gli uffici, e che non lo abilita a rivendicare poteri di direzione, o sia pur solo di indirizzo, in ciò che attiene all'indipendenza ed all'autonomia della magistratura, nella quale sfera opera senza dubbio l'istituenda Scuola.

Pertanto, i necessari raccordi con il Consiglio superiore della magistratura possono e devono essere salvaguardati attribuendo al medesimo il compito di enunciare annualmente i programmi e gli indirizzi didattico-scientifici, di determinare i criteri secondo i quali i magistrati sono ammessi (e se del caso indotti) ad avvalersi della struttura e di stabilire se ed in quali modi questa fruizione può avere ripercussioni sullo status del magistrato. Così pure competerà al Consiglio superiore della magistratura di dettare le modalità di effettuazione del tirocinio, di essere destinatario delle relazioni consuntive e dei programmi attuativi dei propri indirizzi, al fine dell'approvazione, non meno che di essere adeguatamente rappresentato negli organismi nodali della struttura-Scuola.

Quanto al Ministero della giustizia, le sue competenze si esprimeranno nella predisposizione e nella organizzazione dei supporti materiali necessari al funzionamento della struttura; nella provvista del personale amministrativo ad essa necessario (impregiudicato il problema di un ruolo autonomo, che, allo stato, pare sconsigliato dalle modeste dimensioni della Scuola, almeno nel periodo iniziale); nella presenza - attraverso adeguato inserimento di suoi rappresentanti - nelle articolazioni della struttura, seppure in misura più contenuta per quel che riguarda gli organi aventi compiti didattico-scientifici; nell'essere destinatario dei rendiconti amministrativi, mentre in ordine ai programmi didattico-scientifici, la sua facoltà di proporre osservazioni nel momento delle decisioni consiliari è già assicurata dall'articolo 11 della legge 24 marzo 1958, n.195.

 

8. - Le due sezioni fondamentali della Scuola. - La struttura in esame, pur avendo e conservando carattere unitario, deve necessariamente suddividersi in due settori fondamentali: l'uno destinato al tirocinio (ed eventualmente all'esame di ingresso, qualora si addivenga in futuro anche a questa necessaria riforma), l'altro destinato alla formazione dei magistrati già in carriera (ed eventualmente anche di compiti addizionali, quali il contributo alla formazione di magistrati stranieri, nel quadro di accordi internazionali di cooperazione tecnica, e la promozione di momenti di alta cultura giuridica).

Dalla netta differenziazione dei compiti discende la previsione di due sedi distinte (a somiglianza, tra l'altro, di quanto accade, con risultati positivi, in Francia, in cui l'ENM si suddivide tra Bordeaux, base del tirocinio, e Parigi, dove ha luogo la "formation continue").

La sede destinata al tirocinio, infatti, deve avere caratteristiche sue proprie, ricevendo gli uditori giudiziari in numero più elevato e per periodi più lunghi di quanto avviene per la formazione permanente, e svolgendo attività continuativa con peculiarità didattiche che non trovano corrispondenza nell'altra funzione. E' essenziale, pertanto, che questa sede possa offrire un comfort abitativo accettabile anche per lunghi periodi di soggiorni; che abbia il sostegno di biblioteche, sale per proiezioni, strumenti informatici e, soprattutto, di numerosi locali adatti ai lavori di gruppo (il numero degli uditori giudiziari si aggira mediamente intorno ai 200 per ogni concorso, ed i gruppi devono avere dimensione non superiore alle 10-12 unità). Opportuna anche - sebbene non immediatamente disciplinabile per legge - la previsione di sia pur modeste strutture per il tempo libero, nonché per la simulazione di attività giudiziarie.

La sede destinata alla formazione permanente e complementare, invece, dovrà porre attenzione a momenti sia di presenza collettiva, sia di tipo seminariale; ad una partecipazione numericamente più contenuta (le sessioni attualmente organizzate dal Consiglio superiore della magistratura si rivolgono a 100 partecipanti, ma il numero dovrà essere ridotto per una migliore resa didattica); a collegamenti anche telematici con una pluralità di centri giudiziari e di ricerca; ad una sistemazione abitativa che sia direttamente collegata con il luogo della formazione.

Non è possibile, in questa sede ed in questo momento, individuare le sedi adatte alle due finalità. Lo strumento più adatto pare quello di affidare al Governo la scelta tra l'acquisto, la ristrutturazione o la locazione di uno o più immobili, eventualmente predisponendo una commissione congiunta che valuti le varie opportunità, e definendo quindi con regolamento l'ubicazione delle articolazioni della Scuola. Alla stessa stregua, la spesa necessaria per l'impianto dovrà essere definita alla luce delle scelte, e trovare allora idonea copertura.

 

9. - La nuova disciplina del tirocinio. - L'istituzione della Scuola e la sua articolazione ora detta devono essere occasione per una revisione dell'intera materia del reclutamento e della formazione dei magistrati, non solo sotto il profilo organizzativo e didattico, ma anche sotto quello ordinamentale. Un intervento legislativo che investisse congiuntamente anche questi due settori sarebbe auspicabile sotto il profilo sistematico; ma esso esigerebbe allora che l'intervento si allargasse anche alla tematica delle verifiche di professionalità e della progressione in carriera, e, in ultima analisi, all'intera riforma dell'ordinamento giudiziario, che dall'entrata in vigore della Costituzione attende invano di essere varata. Sembra quindi preferibile puntare ad un risultato intermedio più agevolmente ottenibile, nella consapevolezza che l'istituzione della Scuola non pregiudica alcuno dei punti ora elencati, ma anzi può fungere da elemento traente per giungere anche alla normativa collaterale.

Pur con questa limitazione di obiettivi, una circoscritta riforma appare tuttavia necessaria sin d'ora, ed è quella che investe le modalità di effettuazione del tirocinio. Sarebbe sforzo in larga parte frustrato quello di provvedere ad una Scuola che limitasse il suo campo d'intervento alla formazione permanente, e lasciasse il tirocinio, momento-base di tutta la successiva carriera, alla sua odierna insoddisfacente dimensione.

Attualmente la materia è regolata dal solo articolo 129 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n.12, il quale si limita a sancirne la durata in almeno due anni (salva anticipazione delle funzioni, che è diventata regola costante), mentre è affidata al Consiglio superiore della magistratura la disciplina analitica di tale periodo. Il Consiglio, a sua volta, ha regolato lo svolgimento del tirocinio con varie risoluzioni, l'ultima delle quali (a carattere generale) è stata tradotta nel decreto del Presidente della Repubblica 11 gennaio 1988, n.116.

La situazione concreta è reputata poco soddisfacente sotto almeno due profili. Il primo attiene alla durata dell'uditorato, che, sotto la pressione degli uffici giudiziari ad organico perennemente incompleto, finisce con l'essere sistematicamente abbreviata a circa un anno effettivo, se non meno.

Il secondo attiene alla qualità della didattica, che, essendo affidata quasi per l'intero a magistrati non sollevati neppure in parte dai loro compiti ordinari, vive ai margini dei medesimi, ed ha il livello che può assumere quando è somministrata da persone non specificamente preparate e gravate da altre pesanti incombenze. La dedizione di molti affidatari non può fronteggiare un deficit strutturale, ed ancor meno valgono a contrastarlo gli sporadici incontri centralizzati organizzati dal Consiglio superiore della magistratura, non sempre in armonia con i percorsi didattici a livello locale.

E' quindi indispensabile che, pur rinviando ad altra normativa le materie collegate, l'istituzione della Scuola si accompagni quanto meno, e sin d'ora, alla definizione di una durata del tirocinio che sia immodificabile, ad una precisa qualificazione dell'attività didattica, ed alla estensione dello spirito del tirocinio ai primi anni della carriera, quando l'apprendistato è ultimato ma la formazione non può certo dirsi completa.

Ciò si può conseguire stabilendo, per intanto, che la durata del tirocinio è di due anni, e non può essere abbreviata (per inciso, si può osservare che il costante accorciamento dell'uditorato mantiene invariata la distanza con l'entrata in servizio delle leve successive, senza quindi alcun beneficio per gli uffici giudiziari; mentre la stabilizzazione sui due anni ritarderebbe l'assunzione delle funzioni solamente la prima volta, e potrebbe, se del caso, essere compensata con un incremento di quel concorso, o con il momentaneo ritardo dei pensionamenti di quell'anno). In ogni caso va affermato con forza, a livello di princìpi, che la formazione dei magistrati è valore primario rispetto ad esigenze contingenti degli uffici.

Proprio per questa considerazione, si è ritenuto necessario stabilire con legge che il tirocinio non potrà più essere caratterizzato da un apprendimento meramente tecnico-giuridico, ma dovrà essere integrato da esperienze formative (organizzate appunto dalla Scuola) presso pubbliche amministrazioni, istituti di credito, imprese, organizzazioni sindacali ed altre consimili occasioni di diretta conoscenza delle realtà sulle quali il magistrato dovrà operare.

Correlativamente è necessario stabilire sin d'ora che il tirocinio ha cadenze temporali costanti, iniziando ogni anno alla ripresa dell'attività giudiziaria dopo la pausa estiva (15 settembre): la cadenza è resa necessaria dal fatto che, avendo il tirocinio una durata biennale, ed essendo annuali i concorsi, la Scuola si trova a dover gestire due levate concorsuali contemporaneamente, e quindi deve alternare la presenza degli uditori nella sede scolastica con la presenza negli uffici giudiziari, in un rigoroso contrappasso che richiede puntualità negli inizi e nella fine dei cicli.

Tale innovazione potrà avere, anche a questo riguardo, effetto traente nei confronti di un allineamento alla stessa data (15 settembre di ogni anno) di tutte le vicende che comportano un trasferimento od un mutamento di status dei magistrati, con benefici effetti in tema di programmazione e di gestione del personale. Inoltre - ed anche questo tema ricade nei compiti fondamentali della Scuola - una cadenza unica dei trasferimenti consentirà l'istituzione di corsi o di sessioni dedicati a quei magistrati che chiedono di accedere a funzioni giudiziarie non mai esercitate in precedenza, così colmando (a prescindere da più articolati interventi di riforma dell'ordinamento) una grave lacuna del medesimo, più volte lamentata. L'allineamento a data fissa dell'inizio del tirocinio comporta, per necessità, anche un intervento sulla disciplina del concorso e sulla determinazione dei tempi di espletamento del medesimo. Ma questa materia esula dai limiti imposti alla presente proposta di legge, e viene affidata ad altre iniziative.

 

10. - La distinzione delle funzioni. - Si è anticipato che la presente proposta di legge riguarda anche il tema della distinzione delle funzioni, che è cosa diversa dalla separazione delle carriere.

Del resto, alcune istanze sottese al discorso sulla separazione delle carriere - come quella di una maggiore professionalità e di un'autentica terzietà del giudice - possono essere raccolte, senza modificare gli equilibri costituzionali ed evitando ogni rischio di attentato all'indipendenza del pubblico ministero, attraverso una più marcata differenziazione tra le due funzioni.

Infatti, ritenendo i presentatori irrinunciabile, anche in sede di riforma costituzionale della giustizia, il principio dell'autonomia e indipendenza tanto della funzione requirente quanto di quella giudicante, essi sono convinti che ciò implichi che i pubblici ministeri devono restare magistrati al pari dei giudici e che la magistratura, nel suo insieme, deve continuare a costituire un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. E ciò perchè considerano maggiore garanzia del diritto del cittadino a un corretto esercizio della delicatissima funzione requirente il fatto che, anche attraverso la innovazione introdotta con la presente proposta di legge, vi sia sempre maggiore sviluppo di una comune cultura della giurisdizione ispirata ai princìpi fondamentali dello Stato di diritto contenuti nella nostra Costituzione. Ciò non solo non esclude, ma anzi postula che nell'ambito della magistratura vi sia una più chiara distinzione delle funzioni.

L'istituzione della Scuola è occasione per offrire, a chi realmente voglia tali obiettivi e non altri, una struttura atta a promuovere una migliore qualità della magistratura in generale, ed un connesso intervento ordinamentale - per via di legislazione ordinaria - che recepisca le istanze predette, in un quadro di invarianza costituzionale e di mantenimento dell'architettura ribadita, ancor di recente, nella formulazione dell'articolo 190, comma 1, dell'ordinamento giudiziario ("La magistratura, unificata nel concorso di ammissione, nel tirocinio e nel ruolo di anzianità, è distinta relativamente alle funzioni giudicanti e requirenti").

Le linee-guida di questo processo di differenziazione controllata possono essere rappresentate da una tendenziale stabilità nelle funzioni, requirenti o giudicanti, prescelte dal magistrato sin dai primi anni della sua carriera; da un accurato vaglio attitudinale come premessa del tramutamento; e da alcuni vincoli specifici posti ai magistrati requirenti allorchè richiedano trasferimenti o promozioni.

L'attuale disciplina del tirocinio e della scelta della prima sede giudiziaria prescinde quasi del tutto dalla valutazione attitudinale del giovane magistrato: la graduatoria concorsuale costituisce titolo di preferenza nell'assegnazione della sede, e la prossimità geografica o gli interessi personali dettano la scelta dell'uditore, a prescindere dalla corrispondenza delle funzioni con le proprie caratteristiche.

E' necessario invece, in coerenza con la diversa strutturazione e incisività del tirocinio (conseguente alla sua gestione da una parte della Scuola), che in esito al medesimo sia formulato un preciso giudizio di idoneità alle funzioni giudicanti o requirenti, e che la sede sia assegnata tenendo conto dell'idoneità alle funzioni che ivi l'uditore dovrà svolgere. A questo fine si prevede che, nella scelta delle sedi, ogni uditore indichi, eventualmente in via graduata di preferenza, almeno un ufficio relativo all'una ed all'altra funzione.

Decorsi due anni di effettivo esercizio delle funzioni giudiziarie, il magistrato è chiamato dal Consiglio superiore della magistratura ad indicare in quale funzione vorrà esercitare la sua carriera. L'indicazione è produttiva di una tendenziale stabilità nelle funzioni prescelte, nel senso che il primo trasferimento dovrà essere coerente con la funzione prescelta, e quindi orientato non solo dagli interessi del richiedente, ma anche da quelli del servizio. Beninteso, la scelta del magistrato non può essere in contrasto con una eventuale controindicazione formulata in esito al tirocinio.

La stabilità nella funzione prescelta, e convalidata, non può però essere definitiva, poichè si ritiene patrimonio prezioso ed irrinunciabile la pluralità di esperienze professionali. Pertanto il mutamento delle funzioni sarà in seguito sottoposto a vaglio più rigoroso; e la possibilità di tramutamento di funzioni sarà subordinata ad una più lunga previa permanenza, ed incontrerà determinate limitazioni di sede.

Si ritiene di collocare la scelta dopo il decorso di soli due anni perchè gli uditori maturano appunto dopo due anni la legittimazione al trasferimento, e, conseguita una nuova destinazione (in genere più gradita di quella iniziale) ivi si trattengono per un periodo normalmente abbastanza ampio. Consentire la scelta delle funzioni dopo che è stato conseguito il primo trasferimento rischierebbe di lasciare, di fatto, l'indicazione senza effetti, perchè il magistrato potrebbe rimanere per un cospicuo lasso di tempo in una funzione non confacente nè con le sue attitudini nè con la scelta manifestata.

La scelta del magistrato non può essere in contrasto con eventuali controindicazioni formulate all'esito del tirocinio. Ciò non significa, peraltro, che le valutazioni iniziali, eventualmente limitative, siano immodificabili e costringano ad un indefinito esercizio di talune soltanto delle funzioni, poichè, in occasione di successivi trasferimenti, il magistrato potrà sempre dimostrare una sua sopravvenuta idoneità, attraverso i corsi e le valutazioni affidati alla Scuola.

Oltre alla più lunga permanenza nelle funzioni indicate, il mutamento delle medesime è sottoposto ad un vaglio più rigoroso, i cui termini si compendiano in una sottolineatura del giudizio previsto dall'articolo 190 dell'ordinamento giudiziario ed in un periodo di obbligatoria "riconversione" professionale.

Sotto il primo profilo, si ritiene opportuno addivenire a quella formulazione ("... solo quando il Consiglio superiore della magistratura, previo parere del consiglio giudiziario, abbia accertato la sussistenza di specifiche attitudini alla nuova funzione") che era stata proposta dalla Commissione governativa per la riforma del codice di procedura penale, e che era stata privata dell'aggettivo "specifiche" su suggerimento della Commissione parlamentare.

Sotto il secondo profilo, è giocoforza riconoscere che poche indicazioni possono venire dall'esercizio delle funzioni pregresse in tema di attitudini a funzioni mai esercitate: e quindi, eccettuati i non molti casi in cui i precedenti offrano palesi controindicazioni, le migliori garanzie verranno non tanto dal giudizio, quanto da una effettiva e seria preparazione - tecnica, deontologica e pratica - che solo la Scuola può offrire. Naturalmente, accanto al parere del consiglio giudiziario, sarà necessario tener conto anche del giudizio formulato dalla istituenda Scuola.

Sarà compito del Consiglio superiore della magistratura organizzare nel modo più appropriato questi momenti di formazione; e sarà utile, anche sotto questo profilo, l'accennato allineamento a data fissa di tutte le vicende dinamiche della carriera del magistrato (ad esempio alla data del 15 settembre di ogni anno), poichè ciò permetterà di deliberare tutti i trasferimenti a data egualmente fissa (ad esempio, il 31 marzo di ogni anno), e di utilizzare il tempo intermedio per sessioni di riqualificazione interessanti tutti i magistrati mutanti funzione.

Si ritiene importante aggiungere - per evidenziare che l'intervento non ha carattere circoscritto ai magistrati del pubblico ministero - che l'esigenza di un vaglio rigoroso non opera solamente nel passaggio dalle funzioni requirenti a quelle giudicanti o viceversa, ma anche ogni qual volta sia richiesto il trasferimento ad un ufficio che comporta funzioni specialistiche, ritenendosi tali quelle per le quali la legge prevede appositi uffici o disciplina (magistratura di sorveglianza, minorile, del lavoro); ed altresì quando il magistrato chieda di passare ad un settore di attività tipicamente diverso da quella praticata.

Altro punto nodale, che si accompagna ad una oculata differenziazione delle funzioni, attiene ai vincoli che il tramutamento di funzioni incontra in sede di trasferimento o promozione.

Varie e giustificate istanze segnalano l'inopportunità che magistrati del pubblico ministero, eventualmente trattenutisi in tali funzioni per molti anni, passino a svolgere funzioni giudicanti nella stessa città. A prescindere dalla correttezza e dall'imparzialità della persona, non si può negare che questo mutamento di ruolo sia causa di sensibile disagio negli utenti della giustizia, e che - a somiglianza delle cause di incompatibilità, che hanno ragione oggettiva - esso vada prevenuto e rimosso. Si ritiene pertanto che il magistrato del pubblico ministero non possa accedere a funzioni giudicanti nell'ambito del circondario dove ha operato (in tal senso si è espressa anche la deliberazione del Consiglio superiore della magistratura in data 3 marzo 1993) ed altresì a funzioni giudicanti nella corte d'appello del distretto. Si ritiene, inoltre, per affinità di situazione, che analogo divieto debba valere per la situazione simmetrica.

A tale restrizione si ritiene peraltro opportuno sottrarre le funzioni di legittimità, sia per la loro intrinseca differenza rispetto alle funzioni di merito, sia perchè la permanenza nelle funzioni di cassazione è già prescritta dal Consiglio superiore della magistratura come requisito per accedere a funzioni direttive di legittimità.

Nella linea della ricerca di una maggiore professionalità si muove anche l'esigenza di contrastare il fenomeno in forza del quale frequentemente si accede ad uffici direttivi senza avere maturato una precedente esperienza nelle funzioni corrispondenti. Già il fatto di considerare anche l'ufficio direttivo come una delle funzioni specializzate comporterà l'onere di una adeguata acculturazione preventiva, nei corsi indetti dalla Scuola. Ma si ritiene comunque opportuno stabilire che non si può assegnare un ufficio direttivo senza il previo esercizio delle funzioni corrispondenti (di livello uguale o inferiore) per il periodo minimo di quattro anni.

Questo periodo è bene non sia troppo lontano nel tempo, e sotto questo profilo parrebbe utile collocarlo addirittura a ridosso della domanda. In direzione contraria, tuttavia, sta la considerazione che in tal modo si incoraggerebbe fortemente il magistrato a non abbandonare la funzione in atto esercitata, onde non precludersi la legittimazione ad accedere a funzioni direttive coerenti quando gli se ne presentasse l'opportunità. Tale dissuasione verrebbe ad operare sin da momenti molto anticipati nella carriera, e rafforzerebbe quel fenomeno di stanzialità della magistratura che viene giustamente lamentato e che occorre invece cercare di scoraggiare. Pertanto si ritiene opportuno stabilire che il periodo trascorso nelle funzioni omologhe si sia quanto meno concluso nel decennio anteriore alla domanda.

Poichè è opinione pressochè unanime che la pluralità e la diversità delle esperienze professionali costituiscono un patrimonio prezioso nella formazione del magistrato (di modo che l'obiettivo di una migliore qualificazione del pubblico ministero passa non attraverso la sua inibizione alle funzioni giudicanti, ma, al contrario, attraverso la pratica anche delle medesime), si ritiene opportuno aggiungere una disposizione. Questa assegna al Consiglio superiore della magistratura il compito di elaborare dei criteri che, in occasione di trasferimenti e promozioni, incoraggino e valorizzino la mobilità dei magistrati. Il Consiglio, nel quadro della sua riconosciuta potestà para-normativa, definisce e rivede usualmente i parametri in base ai quali esprime le sue valutazioni: e poichè la distinzione delle funzioni - nei termini qui regolati - rischia di produrre comunque, al di là delle intenzioni, un effetto di maggiore stabilità nei magistrati, appare quanto mai opportuno che il Consiglio individui un sistema di incentivi alla mobilità volontaria dei magistrati.

 

11. - Gli organismi della Scuola. - Le due articolazioni fondamentali delle quali si è detto - il tirocinio e la formazione permanente - ed i necessari raccordi tra la Scuola, il Consiglio superiore della magistratura ed il Ministero della giustizia portano naturalmente a definire le linee essenziali della struttura interna della Scuola stessa.

L'autonomia della struttura conduce ad individuare un organismo agile e numericamente ridotto che, in ciascuna delle due sezioni, realizzi gli indirizzi enunciati dal Consiglio superiore della magistratura nella quotidiana attività di organizzazione e di esecuzione.

D'altro canto, non pare sufficiente affidare al Consiglio superiore della magistratura la sola funzione di enunciare annualmente gli indirizzi e di controllarne a posteriori l'attuazione, essendo troppo ampio lo spazio che corre tra le due funzioni, e dovendo essergli riconosciuta anche una presenza attiva nella Scuola stessa. Allo stesso modo, appare necessaria la presenza di altre voci ed organismi (l'università, l'Avvocatura dello Stato, il Ministero della giustizia, eventuali altre personalità di rilievo nominabili dal Parlamento), e questa presenza non può essere assicurata né da un ristretto comitato esecutivo o di gestione, né dal solo Consiglio superiore della magistratura inteso come collettore dei vari indirizzi.

E' opportuno allora prevedere un organismo intermedio tra quello propriamente gestionale e gli organi o poteri esterni con i quali la Scuola deve raccordarsi. Questo organo, che può essere denominato consiglio scientifico, ha competenza unitaria per entrambe le sezioni della Scuola; rappresenta tutte le componenti di cui si è detto; elabora e concretizza gli indirizzi dettati dal Consiglio superiore della magistratura; li arricchisce con l'apporto delle altre componenti. Il Consiglio superiore della magistratura deve essere rappresentato in questo comitato con l'ampiezza che si conviene alla sua posizione istituzionale. Il comitato, d'altro canto, non è chiamato ad operare in modo continuativo, ma con cadenze periodiche, o comunque su impulso di una quota dei suoi componenti. Per questa ragione non è necessario prevedere il collocamento fuori ruolo dei soggetti che lo compongono.

Altro organo unitario deve essere il consiglio di amministrazione, con il compito di elaborare il bilancio, organizzare la contabilità e presentare il rendiconto. In questo organo devono essere adeguatamente rappresentati i Ministeri della giustizia e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.

Accanto a questi due organismi collegiali, anche la figura del direttore deve avere competenza unitaria sull'intera Scuola e compiti di rappresentanza esterna, di coordinamento, di impulso e di verifica della corretta esecuzione dei piani. Peraltro la netta distinzione delle due sezioni della Scuola (tirocinio e formazione permanente) suggerisce la previsione di due funzioni direttive, una per ciascun settore, dotate di relativa autonomia anche reciproca. Poichè non appare conveniente moltiplicare tali funzioni direttive, prevedendo un terzo organo di raccordo di livello superiore, si ritiene adeguato (sulla linea di quanto previsto dall'ENM francese) assegnare al direttore (in senso proprio) la responsabilità della sezione di formazione permanente, e contemplare altresì la presenza di un direttore del tirocinio, con funzioni di vicedirettore.

I criteri di nomina e le attribuzioni di ciascuno degli organi anzidetti sono meglio specificati nell'articolato.

 

12. - Il corpo docente. - Devono quindi essere previste le articolazioni di ciascuna delle due sezioni: e tra queste assume importanza fondamentale la disciplina del corpo docente della Scuola.

Le soluzioni teoricamente praticabili sono comprese tra la costituzione, da un lato, di un corpo docente stabile, sia per la funzione di tirocinio, sia per quella di formazione permanente; e dall'altro lato la totale esclusione di questa stabilizzazione, con ricorso ad insegnanti di volta in volta richiesti per le loro specifiche competenze. Fra questi due estremi si collocano ovviamente varie soluzioni intermedie.

L'esperienza sin qui effettuata (la formazione permanente è in qualche misura realizzata dal Consiglio superiore della magistratura da oltre vent'anni, ed offre un punto di riferimento utilizzabile) porta ad escludere il ricorso ad un corpo stabile di docenti per quel che concerne la formazione permanente. Lo sconsiglia la necessità di adattare tale settore alle reali e concrete esigenze di aggiornamento, che hanno spesso carattere di grande mutevolezza e tempestività; e lo sconsiglia, altresì, l'opportunità di una costante ricerca delle migliori competenze che vengono emergendo negli uffici e al di fuori di essi, stimolate dalla novità degli impegni giudiziari che la realtà propone; laddove un corpo stabilizzato di docenti, sia pur rinnovabile periodicamente, presenta il rischio di una certa qual ripetitività e burocratizzazione, e dà certezza di non poter offrire la necessaria polivalenza richiesta con urgenza dalla novità (si pensi allo sfasamento temporale tra l'emergere di una certa problematica - ad esempio talune tecniche di riciclaggio - e l'elaborazione sistematica che viene poi offerta dall'Accademia).

Diverso può essere il discorso per quanto attiene al tirocinio, poichè in esso il rapporto con il docente si caratterizza anche per una sua continuità ed assiduità, e poichè il tipo di insegnamento all'uditore non esige tanto un'altissima qualificazione e specializzazione, quanto una buona acculturazione di base in settori ciascuno padroneggiabile da uno o più docenti. Di tal che si ritiene che, a regime, si possa prevedere un corpo di "tutori" del tirocinio, accuratamente selezionati e destinati esclusivamente a detta funzione per un periodo di tempo definito. Nella fase iniziale, tuttavia, soprattutto a causa dell'attuale mancanza di una pregressa formazione di un valido nucleo di formatori, pare preferibile ricorrere anche per il tirocinio ad un corpo variabile di docenti, nell'attesa che la sezione di formazione permanente della Scuola metta a punto anche la preparazione specifica di questi "tutori".

D'altro canto il tirocinio, così come modificato dalla presente normativa comporta anche fasi di apprendimento presso gli uffici giudiziari, alternate a fasi presso la Scuola, secondo cicli che si possono ipotizzare trimestrali (comunque da definirsi dal Consiglio superiore della magistratura). In questa alternanza non è affatto escluso, anzi diventa raccomandabile, che le sessioni trascorse dall'uditore presso la Scuola siano caratterizzate non più da lezioni singole e non sempre coordinate, ma da veri e propri cicli su sottotemi specifici affidabili ad uno o più docenti impegnati in modo stabile per un certo tempo, e con formule didattiche che coinvolgano una pluralità di docenti.

L'eventuale mutamento dell'opzione, con ricorso a docenti stabili, sarà comunque sempre possibile, una volta entrata a regime la struttura-scuola, attraverso semplici interventi normativi che prevedano il collocamento fuori ruolo di questi docenti e ne definiscano lo status.

 

13. - Il comitato di gestione.- Ciò premesso, assume grande rilievo la regolamentazione degli ultimi due organismi interni alle sezioni della Scuola, e cioè il comitato di gestione ed il servizio di segreteria.

Il comitato di gestione, sfrondato di ogni compito di insegnamento diretto e collocato a valle del consiglio scientifico, assume in ciascuna sezione il ruolo di vero e proprio motore quotidiano della struttura. Esso deve dare concreta e definitiva attuazione alle direttive del Consiglio superiore della magistratura, già, a loro volta, specificate dal consiglio scientifico. Deve, cioè, articolare le varie sessioni di formazione nei sottotemi e nelle singole relazioni; individuare eventuali percorsi formativi, secondo i quali collegare più sessioni, e valutare l'opportunità di incoraggiare i magistrati a seguire l'intero percorso; deve provvedere alle ammissioni dei partecipanti, secondo criteri obiettivi e predeterminati; deve ricercare costantemente i docenti più qualificati, e reperire, altresì, il materiale giudiziario adatto a formare i dossier di studio e discussione dei casi; deve coordinare le attività dei docenti attraverso eventuali incontri preliminari; offrire ai partecipanti tutti i sussidi didattici necessari; seguire i corsi e valutare l'andamento delle lezioni, sia sotto il profilo del valore del docente, sia sotto quello dell'utilità della relazione e del suo efficace inserimento nel programma complessivo; deve raccogliere ogni indicazione utile a colorare il bisogno di formazione emergente nella magistratura, e sottoporla al comitato scientifico; deve proporre e sperimentare forme di comunicazione didattica, non meno che forme di partecipazione attiva degli ammessi alle sessioni, nel quadro di una loro possibile utilizzazione come strumento di verifica della professionalità dei magistrati; deve, insomma, essere il reale e costante interlocutore dei partecipanti, il concreto attuatore degli indirizzi programmatici, e la quotidiana cerniera tra il bisogno di formazione della magistratura e la sua attuazione.

Per un simile compito è necessario prevedere un corpo di magistrati interamente dediti a questo lavoro. Il loro numero non può essere inferiore ad otto per ciascuna sezione (salva estensione dopo un congruo periodo di sperimentazione), e gli stessi devono essere collocati fuori ruolo. La durata del loro incarico si può definire pari a quella del direttore (quattro anni), e deve essere previsto un sistema di avvicendamento graduale, che contemperi innovazione e continuità.

 

14. - Il servizio di segreteria. - Essenziale al funzionamento della Scuola è un efficace servizio di segreteria, al quale è preposto un segretario generale che - parallelamente a quanto previsto per il direttore - ha compiti di direzione e di coordinamento dell'intero servizio, e responsabilità diretta in merito alla sezione di formazione permanente.

Il servizio di segreteria assicura il disbrigo di tutti gli affari, compresi quelli relativi alla gestione finanziaria, patrimoniale e contabile, provvede alle comunicazioni ed informazioni, riceve ed ordina le domande di partecipazione alle sessioni, provvede ai compensi ed ai rimborsi, aggiorna l'archivio, custodisce le installazioni ed i beni della Scuola, gestisce la biblioteca e la pubblicazione degli atti secondo le direttive del consiglio scientifico e del direttore.

La dotazione del personale è assicurata dal Ministro della giustizia, secondo quanto disposto dall'articolo 18 della proposta di legge.

 

15. - Spese e bilancio. - Al fine di valutare l'esborso necessario per la realizzazione della Scuola conviene distinguere tra spesa richiesta per l'allestimento della medesima e spesa pretesa per il suo funzionamento ordinario.

La prima è correlata alla scelta della sede che si riterrà di compiere. Non potendo essere il Parlamento ad effettuare tale scelta, la stessa deve essere compiuta in conformità ai criteri di massima indicati nel paragrafo 8 della presente relazione, e l'esborso sarà apprezzato in conseguenza.

Quanto alla spesa di gestione, un ordine di grandezza è già ricavabile dall'osservazione di quanto viene annualmente realizzato dal Consiglio superiore della magistratura in tema di tirocinio e di formazione dei magistrati. Il Consiglio affronta annualmente un esborso oscillante intorno ai quattro miliardi di lire, per una formazione permanente costituita da circa quaranta sessioni, di tre giorni ciascuna (raramente di cinque), coinvolgenti all'incirca 3.000 presenze (il numero delle persone è di regola inferiore, essendo frequenti le partecipazioni a più di una sessione). Per gli uditori sono previste ulteriori sessioni di analoga durata.

L'obiettivo della Scuola, una volta a regime, dovrebbe essere quello di assicurare una sessione di formazione all'anno a ciascun magistrato, vale a dire un volume di prestazioni almeno doppio di quello attuale. Il tirocinio, poi, modellato secondo quanto previsto dal paragrafo 9, assumerebbe dimensioni e costi notevolmente più elevati, dovendosi svolgere per metà presso la struttura-Scuola, con indennità per gli uditori non residenti, e con costo addizionale per i docenti stabilmente dediti a questo compito.

A titolo meramente orientativo, si può ricordare che il bilancio dell'ENM francese è stato, nel 1995, di circa 150 milioni di franchi, pari ad oltre 40 miliardi di lire; e che detta Scuola ha seguito nella formazione iniziale circa 550 uditori (distribuiti su tre corsi), mentre nel settore della formazione permanente ha raggiunto oltre 1600 magistrati attraverso circa 90 momenti di formazione.

E' prevedibile che, quanto meno all'inizio, la spesa richiesta dalla istituenda Scuola sia sensibilmente inferiore. L'onere derivante dall'attuazione della legge viene valutato in lire dodici miliardi di lire annue.

In ogni caso, una volta istituite la struttura e le sue articolazioni nei termini sopra indicati, il Governo dovrà provvedere, anche su conforme parere del Consiglio superiore della magistratura, alla disciplina analitica integrativa, concernente lo status dei docenti e del personale, la dotazione del medesimo, le forme di gestione contabile ed amministrativa.

 


 

 


proposta di legge

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Capo I

NATURA E FUNZIONI DELLA SCUOLA

 

Art. 1.

(Denominazione e ubicazione).

 

1. E' istituita la Scuola nazionale della magistratura, di seguito denominata "Scuola".

2. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con regolamento emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n.400, il Governo individua le sedi della Scuola e la rispettiva articolazione, secondo le disposizioni della presente legge.

 

Art. 2.

(Autonomia della Scuola).

 

1. La Scuola è dotata di personalità giuridica e gode di autonomia amministrativa, finanziaria e contabile.

 

Art. 3.

(Compiti della Scuola).

 

1. Sono compiti primari della Scuola:

 

a) organizzare e gestire il tirocinio degli uditori giudiziari;

 

b) curare l'aggiornamento e la formazione professionale dei magistrati durante l'esercizio delle funzioni giudiziarie, anche mediante esperienze formative condotte, tra l'altro, presso pubbliche amministrazioni, istituti di credito, grandi imprese, confederazioni sindacali ed enti analoghi.

2. La Scuola può, altresì:

 

a) contribuire alla formazione di magistrati stranieri o aspiranti tali, nel quadro degli accordi internazionali di cooperazione tecnica in materia giudiziaria;

 

b) organizzare incontri di studio e ricerche, o comunque promuovere iniziative culturali su argomenti giuridici e sull'organizzazione di sistemi e di uffici giudiziari.

 

3. L'azione di formazione professionale della Scuola è esercitata nel quadro ed in conformità degli indirizzi stabiliti annualmente dal Consiglio superiore della magistratura.

 

Art. 4.

(Dotazioni e gestione della Scuola).

 

1. La Scuola provvede alla gestione delle spese per il proprio funzionamento, nei limiti del fondo stanziato a tale scopo nel bilancio dello Stato.

2. Lo stanziamento di cui al comma 1 è collocato nello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.

3. Costituiscono altresì entrate della Scuola:

 

a) eventuali dotazioni supplementari alla stessa assegnate nel bilancio dello Stato;

 

b) eventuali risorse ad essa destinate dal Consiglio superiore della magistratura o dal Ministero della giustizia per l'espletamento di compiti di interesse di tali istituzioni;

 

c) gli utili derivanti da pubblicazioni curate dalla Scuola o dalla prestazione di servizi;

 

d) contributi, donazioni o legati di enti pubblici o privati a suo favore.

 

4. Costituiscono uscite della Scuola:

 

a) le spese necessarie al suo funzionamento;

b) le remunerazioni, le borse di studio od i sussidi dovuti a docenti, ausiliari, partecipanti alle sessioni ed uditori giudiziari;

 

c) il rimborso di spese di viaggio e di trasferta inerenti le attività di formazione, incluse quelle del proprio personale per missioni strettamente attinenti i compiti di istituto;

 

d) le spese di pubblicazione di atti e di gestione dei servizi sussidiari.

 

5. La Scuola adotta, ai sensi del comma 1 dell'articolo 9, un proprio regolamento di amministrazione e contabilità.

6. Il rendiconto della gestione viene presentato alla Corte dei conti alla chiusura dell'anno finanziario.

 

Capo II

ORGANI

 

Art. 5.

(Sezioni della Scuola).

 

1. La Scuola è articolata in due sezioni.

2. La prima sezione della Scuola si occupa dei compiti di formazione permanente, di cui al comma 1, lettera b), e al comma 2 dell'articolo 3, nonché della formazione complementare degli uditori giudiziari ai sensi dell'articolo 19.

3. La seconda sezione della Scuola, avente sede in città diversa da quella della prima sezione, si occupa del tirocinio ai sensi della lettera a) del comma 1 dell'articolo 3.

 

Art. 6.

(Organi della Scuola).

 

1. Gli organi della Scuola sono:

 

a) il consiglio scientifico;

 

b) il consiglio di amministrazione;

c) il direttore;

 

d) i comitati di gestione di ciascuna sezione di cui all'articolo 5;

 

e) il segretario generale.

 

Art. 7.

(Competenze del consiglio scientifico).

 

1. Il consiglio scientifico:

 

a) elabora il piano annuale delle attività teorico-pratiche e ne orienta l'esecuzione, nel quadro degli indirizzi enunciati annualmente dal Consiglio superiore della magistratura e nel rispetto dei vincoli di bilancio;

 

b) redige ed approva il regolamento interno per l'organizzazione ed il funzionamento della Scuola e le eventuali modifiche;

 

c) approva la relazione annuale sulle attività della Scuola e la trasmette al Consiglio superiore della magistratura con le sue eventuali osservazioni;

 

d) delibera su ogni questione attinente il funzionamento della Scuola, che non sia di competenza di altri organismi o che sia ad essa sottoposta dal direttore o dal Consiglio superiore della magistratura.

 

Art. 8.

(Composizione del consiglio scientifico).

 

1. Il consiglio scientifico opera presso la prima sezione di formazione permanente di cui all'articolo 5, comma 2, ed è costituito da:

 

a) il direttore della Scuola, che lo presiede;

 

b) il vicedirettore;

 

c) tre componenti del Consiglio superiore della magistratura, di cui due togati;

 

d) tre magistrati ordinari, di cui uno dell'ufficio del pubblico ministero, ed almeno uno avente qualifica non inferiore a quella di magistrato di cassazione;

 

e) due professori universitari;

 

f) due avvocati;

 

g) un rappresentante del Ministero della giustizia.

 

2. I componenti del Consiglio superiore della magistratura sono designati dal Consiglio stesso e cessano dall'incarico con la scadenza del Consiglio da cui sono stati nominati.

3. I magistrati sono designati dal Consiglio superiore della magistratura, fra quelli in servizio ovvero in quiescenza da non più di due anni. Non possono essere designati i magistrati che nell'ultimo biennio hanno svolto incarichi continuativi di formazione professionale presso il Consiglio superiore della magistratura.

4. I professori sono designati, fra gli ordinari di materie giuridiche, da un apposito collegio formato da tutti i presidi delle facoltà di giurisprudenza delle università statali.

5. Gli avvocati sono designati dal Consiglio nazionale forense, fra gli abilitati al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori, con almeno dieci anni di esercizio dell'attività.

6. L'incarico dura quattro anni e non può essere rinnovato.

7. Il consiglio scientifico si riunisce almeno una volta ogni tre mesi, ed ogni volta che il direttore lo convoca, o ne fanno richiesta almeno cinque componenti.

8. Il consiglio scientifico delibera validamente con la presenza di almeno nove componenti. Le sue risoluzioni sono adottate a maggioranza dei presenti, ed in caso di parità di voti prevale quello espresso dal direttore.

 

Art. 9.

(Compiti del consiglio di amministrazione).

 

1. Il consiglio di amministrazione:

 

a) elabora ed approva il regolamento di amministrazione e contabilità di cui al comma 5 dell'articolo 4;

b) elabora il bilancio annuale di previsione;

 

c) presenta il rendiconto annuale;

 

d) organizza la contabilità e controlla la sua tenuta;

 

e) esercita le altre funzioni ad esso attribuite dalla legge o dai regolamenti.

 

Art. 10.

(Composizione del consiglio

di amministrazione).

 

1. Il consiglio di amministrazione opera presso la sezione di formazione permanente di cui all'articolo 5, comma 2, ed è costituito da:

 

a) il direttore della Scuola, che lo presiede;

 

b) il segretario generale della Scuola;

 

c) un rappresentante del Ministero della giustizia;

 

d) un rappresentante del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.

 

2. Il consiglio di amministrazione si riunisce ordinariamente una volta ogni tre mesi, ed in via straordinaria quando è convocato dal direttore ovvero ne fanno richiesta almeno due componenti.

3. Il consiglio di amministrazione delibera validamente con la presenza di almeno tre componenti. Le delibere sono adottate a maggioranza dei presenti e, in caso di parità di voti, prevale quello espresso dal direttore.

 

Art. 11.

(Compiti del direttore della Scuola).

 

1. Il direttore della Scuola:

 

a) rappresenta la Scuola all'esterno a tutti gli effetti;

b) dirige e coordina tutte le attività della Scuola, indirizzandole ai fini ad essa assegnati, e compie tutto quanto è necessario per il loro perseguimento;

 

c) sovrintende alla sezione di formazione permanente, di cui all'articolo 5, comma 2, e ne dirige il relativo comitato di gestione;

 

d) provvede all'esecuzione delle delibere del consiglio scientifico e del consiglio di amministrazione;

 

e) adotta le delibere d'urgenza, con riserva di ratifica se esse rientrano nella competenza di un altro organo;

 

f) redige la relazione annuale sull'attività della Scuola, con l'ausilio, ove lo ritenga, dei comitati di gestione;

 

g) esercita le competenze a lui eventualmente delegate dal consiglio scientifico o di amministrazione;

 

h) si avvale del personale addetto alla Scuola;

 

i) esercita ogni altra funzione conferitagli dalle leggi o dai regolamenti.

 

Art. 12.

(Designazione, durata e revoca del direttore).

 

1. Il direttore della Scuola è nominato dal Consiglio superiore della magistratura, sentito il Ministro della giustizia, fra i magistrati ordinari aventi qualifica non inferiore a magistrato di cassazione. Al direttore si applica l'incompatibilità di cui all'articolo 8, comma 3.

2. Il direttore è collocato fuori del ruolo organico della magistratura. Il periodo di svolgimento dell'incarico vale a tutti gli effetti come esercizio delle funzioni giudiziarie.

3. Il direttore dura in carica quattro anni.

4. L'incarico di direttore può essere rinnovato per una sola volta, e può essere revocato dal Consiglio superiore della magistratura, con provvedimento motivato, adottato previo ascolto dell'interessato, nel caso di grave inosservanza degli indirizzi enunciati dallo stesso Consiglio.

 

Art. 13.

(Direttore della sezione di tirocinio).

 

1. Il direttore della sezione di tirocinio opera presso la sezione stessa, di cui all'articolo 5, comma 3, ed ha funzione di vicedirettore della Scuola.

2. Il direttore della sezione di tirocinio opera nella sezione di sua competenza con lo stesso grado di autonomia del direttore della Scuola.

3. Al direttore della sezione di tirocinio nella qualità di vicedirettore della Scuola spettano le seguenti funzioni:

 

a) sostituire il direttore nel caso di sua assenza od impedimento;

 

b) dirigere la sezione preposta al tirocinio e compiere quanto occorra al perseguimento dei fini ad essa assegnati;

 

c) partecipare alle attività del consiglio scientifico;

 

d) svolgere i compiti corrispondenti a quelli assegnati al direttore della Scuola, in quanto applicabili alla sezione di sua competenza.

 

4. Al direttore della sezione di tirocinio si applicano le disposizioni di cui all'articolo 12.

 

Art. 14.

(Comitati di gestione).

 

1. Presso ciascuna delle due sezioni di cui all'articolo 5 è costituito un comitato di gestione.

2. Ciascun comitato di gestione, per quanto di rispettiva competenza, provvede a:

 

a) dare attuazione alle direttive didattico-scientifiche enunciate dal Consiglio superiore della magistratura e dal consiglio scientifico;

b) programmare le sessioni di formazione e le attività di tirocinio, sia presso la Scuola sia presso gli uffici giudiziari e le altre sedi;

 

c) definire il contenuto analitico di ciascuna sessione o fase di tirocinio, ed individuare i relativi docenti;

 

d) organizzare momenti di coordinamento fra i docenti, e reperire ogni materiale utile al miglior funzionamento delle attività di formazione;

 

e) fissare i criteri di ammissione alle sessioni di formazione, informare i magistrati, ammettere i richiedenti;

 

f) offrire ogni sussidio didattico che si riveli utile, e sperimentare formule didattiche, di intesa con il comitato scientifico;

 

g) seguire costantemente lo svolgimento delle sessioni e presentare relazioni consuntive sull'esito di ciascuna di esse;

 

h) curare il tirocinio nelle fasi effettuate presso la Scuola, e, con le adeguate modalità, nelle fasi svolte all'esterno della stessa;

 

i) adempiere ad ogni altro compito ad esso affidato dal Consiglio superiore della magistratura o dal consiglio scientifico della Scuola.

 

Art. 15.

(Composizione del comitato di gestione).

 

1. Il comitato di gestione, in ciascuna sezione di cui all'articolo 14, è composto da:

 

a) il direttore della rispettiva sezione, che lo presiede;

 

b) otto magistrati nominati dal Consiglio superiore della magistratura e collocati fuori ruolo.

2. In seguito alla prima nomina effettuata dopo la data di entrata in vigore della presente legge, i componenti di ciascun comitato di gestione, ad eccezione del direttore, cessano dall'incarico, rispettivamente, in numero di due dopo tre anni, di tre dopo quattro anni e di tre dopo cinque anni. L'individuazione del momento di cessazione di ciascuno dei componenti, ove non sia concordata fra gli stessi, è effettuata per sorteggio.

3. A decorrere dalla seconda nomina dei componenti di ciascun comitato, il loro incarico dura quattro anni e non può essere rinnovato.

 

Art. 16.

(Segretario generale).

 

1. Il segretario generale della Scuola svolge le funzioni di coordinamento e di direzione dell'intero servizio di segreteria della Scuola ed ha la responsabilità amministrativa della sezione di formazione permanente.

 

Art. 17.

(Servizio di segreteria della Scuola).

 

1. Presso la Scuola è istituito un servizio di segreteria che si articola nelle due sezioni di cui all'articolo 5.

2. Il servizio di cui al comma 1 provvede:

 

a) al disbrigo degli affari, di rispettiva competenza, relativi al consiglio scientifico, al consiglio di amministrazione, al direttore ed al comitato di gestione;

 

b) a dare esecuzione ad ogni delibera concernente l'attività della rispettiva sezione;

 

c) a gestire l'archivio, le installazioni, la biblioteca e le altre dotazioni di ciascuna sezione;

 

d) ad effettuare le ricerche ad esso demandate dal direttore della sezione;

 

e) ad assolvere ogni altro compito assegnatogli dalla legge o dai regolamenti.

 

Art. 18.

(Composizione del servizio di segreteria).

 

1. Il servizio di segreteria di cui all'articolo 17 è costituito da:

 

a) il segretario generale, con qualifica non inferiore a quella di dirigente di cancelleria;

 

b) un vice-segretario, con qualifica non inferiore a quella di direttore di cancelleria, e responsabile amministrativo della sezione di tirocinio;

 

c) due assistenti giudiziari per ciascuna sezione;

 

d) tre coadiutori di cancelleria per ciascuna sezione;

 

e) quattro operatori amministrativi per ciascuna sezione;

 

f) quattro commessi giudiziari per ciascuna sezione.

 

2. Il Ministro della giustizia provvede alla individuazione del personale di cui al comma 1, nelle forme e nei modi stabiliti dal regolamento di cui all'articolo26.

 

Capo III

TIROCINIO

 

Art. 19.

(Durata e disciplina del tirocinio).

 

1. L'articolo 129 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n.12, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

 

"Art. 129. - (Tirocinio giudiziario). - 1. Gli uditori debbono compiere un periodo di tirocinio della durata di due anni, da effettuare presso la Scuola nazionale della magistratura e presso tutti gli uffici giudiziari di primo grado, secondo le direttive stabilite dal Consiglio superiore della magistratura.

2. Il tirocinio inizia il 15 settembre di ogni anno e si articola in sessioni di pari durata, svolte alternativamente presso la Scuola e presso gli uffici giudiziari. Gli uditori giudiziari non possono assumere le funzioni prima del completamento positivo del periodo di tirocinio.

3. In esito al tirocinio, il Consiglio superiore della magistratura, sentito il consiglio giudiziario, e sulla base del giudizio pronunciato dalla Scuola, formula un giudizio di idoneità all'assunzione delle funzioni giudiziarie, il quale, se positivo, deve contenere uno specifico riferimento all'attitudine dell'uditore allo svolgimento delle funzioni giudicanti o requirenti.

4. Nell'assegnazione delle sedi si tiene conto, per quanto possibile, del giudizio di cui al comma 2, ed a tal fine ogni uditore deve formulare richiesta, eventualmente graduata, di uffici sia giudicanti che requirenti.

5. Nei primi cinque anni successivi all'assunzione delle funzioni giudiziarie i magistrati devono partecipare ad almeno una sessione di formazione professionale ogni anno, predisposta per le loro specifiche esigenze da parte della sezione di formazione permanente.

6. Il Consiglio superiore della magistratura emana ulteriori norme sul tirocinio".

 

Capo IV

DISTINZIONE DELLE FUNZIONI

 

Art. 20.

(Scelta delle funzioni).

 

1. Dopo l'articolo 130 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n.12, è inserito il seguente:

 

"Art. 130-bis.- (Scelta delle funzioni). - 1. Decorsi due anni di effettivo esercizio delle funzioni giudiziarie, al magistrato viene richiesto dal Consiglio superiore della magistratura di indicare se intenda esercitare in futuro funzioni giudicanti o requirenti. L'indicazione è condizione di ammissibilità di ogni domanda di trasferimento e di promozione".

 

Art. 21.

(Passaggio dalle funzioni requirenti

alle funzioni giudicanti e viceversa).

 

1. Il comma 2 dell'articolo 190 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n.12, e successive modificazioni è sostituito dai seguenti:

 

"2. Il passaggio dei magistrati dalle funzioni giudicanti alle requirenti e da queste a quelle può essere disposto, a domanda dell'interessato, solo quando il Consiglio superiore della magistratura, sulla base del giudizio pronunciato dalla Scuola nazionale della magistratura, previo parere del consiglio giudiziario, abbia accertato la sussistenza di specifiche attitudini alla nuova funzione. L'immissione nelle nuove funzioni deve essere preceduta da appositi periodi di formazione, nei modi e nei termini stabiliti dal Consiglio superiore della magistratura.

2-bis. Il magistrato che chiede di essere assegnato da funzioni requirenti a funzioni giudicanti, o da queste a quelle, non può essere destinato, rispettivamente, a funzioni giudicanti o requirenti di primo grado nell'ambito dello stesso circondario, nè a quelle di componente della corte d'appello o della procura generale del distretto".

 

Art. 22.

(Passaggio a funzioni diverse

da quelle esercitate).

 

1. Dopo l'articolo 190 dell'ordinamento giudiziario approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n.12, e successive modificazioni, è inserito il seguente:

 

"Art. 190-bis. - (Passaggio a funzioni diverse da quelle esercitate). - 1. Gli accertamenti e la qualificazione professionale di cui al comma 2 dell'articolo 190 sono disposti, altresì, quando il magistrato chiede di essere destinato, anche nell'ambito della stessa sede, a funzioni specializzate, quali quella della magistratura minorile, di sorveglianza e del lavoro, o comunque a settori diversi da quelli in cui opera".

 

Art. 23.

(Assegnazione delle sedi per promozione).

 

1. L'articolo 193 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n.12, è sostituito dal seguente:

 

"Art. 193.- (Assegnazione delle sedi per promozione). - 1. Fermo restando quanto stabilito dalla legge 25 luglio 1966, n.570, e dalla legge 20 dicembre 1973, n.831, al magistrato può essere conferito un ufficio direttivo di merito solamente se ha svolto le funzioni cui l'ufficio si riferisce per un periodo di almeno quattro anni, che si sia concluso nell'ultimo decennio.

2. Per il conferimento di uffici direttivi costituisce titolo di preferenza l'avere esercitato funzioni sia giudicanti sia requirenti".

 

Art. 24.

(Tramutamenti successivi).

 

1. L'articolo 194 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n.12, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

 

"Art. 194.- (Tramutamenti successivi). - 1. Il magistrato destinato, per trasferimento o per conferimento di funzioni, ad una sede da lui chiesta, non può essere trasferito ad altre sedi prima di quattro anni dal giorno in cui ha assunto effettivo possesso dell'ufficio, salvo che ricorrano gravi motivi di salute ovvero gravi esigenze di servizio.

2. Il termine di cui al comma 1 è ridotto a due anni per la prima assegnazione di sede degli uditori giudiziari.

3. Successivamente alla prima assegnazione, il magistrato può essere destinato solamente a sedi in cui eserciterà la funzione prescelta, alla quale sia stato dichiarato idoneo.

4. Ogni altra domanda di trasferimento che comporti il passaggio dalle funzioni giudicanti alle funzioni requirenti, o da queste a quelle, può essere presentata solamente decorsi almeno sei anni nell'esercizio delle funzioni in precedenza esercitate".

 

Art. 25.

(Incentivi alla mobilità).

 

1. Dopo l'articolo 194 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n.12, è inserito il seguente:

 

"Art. 194-bis. - (Incentivi alla mobilità). - 1. Spetta al Consiglio superiore della magistratura, nell'ambito delle sue attribuzioni, elaborare criteri atti a valorizzare ed incentivare, in occasione di trasferimenti e promozioni, la pluralità delle esperienze professionali".

 

Capo V

DISPOSIZIONI FINALI

 

Art. 26.

(Regolamenti di attuazione).

 

1. Il Governo adotta, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo parere del Consiglio superiore della magistratura, ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n.400, e successive modificazioni, i regolamenti attinenti lo stato giuridico di tutto il personale della Scuola, i procedimenti di designazione, le norme di attuazione ed ogni necessaria disposizione di coordinamento con le altre leggi in materia di ordinamento giudiziario.

 

Art. 27.

(Regime transitorio).

 

1. Costituita la Scuola, il Consiglio superiore della magistratura adotta le disposizioni transitorie per regolare il trasferimento alla Scuola delle competenze in materia di tirocinio e formazione permanente.

 

Art. 28.

(Copertura finanziaria).

 

1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, valutato in lire 6 miliardi per il 2001 e lire 12 miliardi per ciascuno degli anni 2002 e 2003, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2001-2003, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, per l'anno 2001, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della giustizia.

2. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

 

 


N. 720

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa dei deputati PISAPIA, RUSSO SPENA

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Modifica dell'articolo 190 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, in tema di distinzione delle funzioni requirenti e giudicanti e di  passaggio da una funzione all'altra

 

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Presentata il 12 giugno 2001

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Onorevoli Colleghi! - Il dibattito sulla separazione delle funzioni e delle carriere tra i magistrati del pubblico ministero e quelli giudicanti è sempre più attuale.

Già nel corso dei lavori dell'Assemblea costituente vi fu un serrato confronto sulla collocazione costituzionale del pubblico ministero.

Se in sede di Sottocommissione era prevalsa l'idea di dare al pubblico ministero la più completa indipendenza alla pari di quella riconosciuta per i giudici, in Assemblea emersero due differenti posizioni: la prima di chi intendeva equiparare il pubblico ministero al giudice e la seconda di coloro che volevano dichiararlo "organo del potere esecutivo".

La soluzione di compromesso formulata nell'emendamento Grassi ("Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite dall'ordinamento giudiziario") fu motivata, dall'onorevole Leone, con l'opportunità di "rimandare alla legge sull'ordinamento giudiziario lo stabilire quali saranno le garanzie del pubblico ministero, e poiché la legge sull'ordinamento giudiziario dovrà essere congegnata in perfetta armonia con la riforma del codice civile, con la riforma del processo penale (...) quella sarà la sede più opportuna perché, premessa la determinazione delle funzioni future del pubblico ministero, si possa stabilire se aumentare le garanzie, o abolirle o ricorrere ad un sistema intermedio".

Dopo aver proclamato che "la magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere" (articolo 104, primo comma) e che i magistrati si distinguono solo "per diversità di funzioni" (articolo 107, terzo comma), la Costituzione dichiara che "I giudici sono soggetti soltanto alla legge" (articolo 101, secondo comma).

Solo in due casi la Costituzione si riferisce in modo specifico alle funzioni del pubblico ministero: allorché dichiara che il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull'ordinamento giudiziario (articolo 107, quarto comma, e 108, secondo comma) e nell'articolo 112 che sanziona l'obbligatorietà dell'azione penale.

Proprio in questo momento storico, realizzatasi la riforma del processo penale, appare in tutta chiarezza la necessità di coordinare il nuovo ruolo assunto dal pubblico ministero con la struttura costituzionale delle garanzie e dei diritti.

Nel nuovo processo penale vi è una netta separazione tra il ruolo del pubblico ministero e quello del giudice.

Il giudice - a garanzia di una corretta amministrazione della giustizia e nell'interesse dell'intera collettività - non solo deve essere - come espressamente previsto dall'articolo 111 della Costituzione - "terzo ed imparziale", ma deve anche apparire il più possibile equidistante da tutte le parti processuali (pubblico ministero, imputato e parte offesa).

Ben diverso è, e deve essere, il ruolo del pubblico ministero che è una parte processuale e che quindi deve avere una specifica preparazione e professionalità.

Riconoscere la sostanziale differenza tra la funzione requirente e quella giudicante equivale - diversamente da quanto alcuni temono - a garantire meglio la magistratura, la sua indipendenza e a prevenire il pericolo che ne sia inficiata la credibilità.

Non si può altresì non sottolineare che una più netta separazione funzionale non lede in alcun modo il principio di indipendenza della magistratura inquirente, la quale non è, e non deve passare, alle dipendenze del potere esecutivo.

Illuminante è al riguardo quanto sostenuto da Giovanni Falcone, che nel 1989 riconosceva che "comincia a farsi strada faticosamente la consapevolezza che la regolamentazione delle funzioni e della stessa carriera dei magistrati del pubblico ministero non può più essere identica a quella dei magistrati giudicanti, diverse essendo le funzioni e, quindi, le attitudini, l'habitus mentale, le capacità professionali richieste per l'espletamento di compiti così diversi: investigatore a tutti gli effetti il pubblico ministero, arbitro della controversia il giudice. Su questa direttrice bisogna muoversi, abbandonando lo spauracchio della dipendenza del pubblico ministero dall'esecutivo e della discrezionalità dell'azione penale, che viene puntualmente sbandierato tutte le volte in cui si parla di differenziazione delle carriere. Disconoscere la specificità delle funzioni requirenti rispetto a quelle giudicanti, nell'antistorico tentativo di continuare a considerare la magistratura unitariamente, equivale, paradossalmente, a garantire meno la stessa magistratura, costituzionalmente garantita sia per gli organi requirenti che per gli organi giudicanti".

Non si può fare a meno di rilevare, peraltro, che la situazione italiana è del tutto anomala rispetto alla situazione della maggior parte degli altri Paesi europei, nonché da quella di altri Paesi extraeuropei, dove, seppure con forme diverse, è stata già operata, una netta distinzione tra le due funzioni. Il caso più interessante è sicuramente rappresentato dalla Francia dove la differenziazione di ruoli tra organi requirenti e giudicanti è talmente netta che nel 1993, con una legge di revisione costituzionale, è stata creata una sezione del Consiglio superiore della magistratura competente esclusivamente nei riguardi dei magistrati del pubblico ministero. In quasi tutti i Paesi europei (per esempio Inghilterra, Galles, Germania, Svezia ed Austria) ed in molti Paesi extracomunitari (valga per tutti l'esempio degli Stati Uniti d'America e del Brasile) la differenziazione delle funzioni o delle carriere è molto forte.

Anche in Italia è necessario e indifferibile un intervento legislativo teso a rafforzare la differenza di funzioni tra i magistrati, e non già in una logica di emergenza, ma in ottemperanza al dettato costituzionale. Giova ricordare, per evitare qualsiasi equivoco, che nel nostro ordinamento non vi è alcun rischio che una più netta separazione delle funzioni possa, in qualsiasi modo, determinare una dipendenza del pubblico ministero dall'esecutivo: lo impediscono (e sono questi argini insuperabili) l'articolo 112 della Costituzione, che prevede l'obbligatorietà dell'azione penale, l'articolo 104, primo comma ("La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere") e l'articolo 107, terzo comma ("I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni").

In questa ottica, la presente proposta di legge, con una serie di modifiche all'articolo 190 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, prevede che il passaggio dall'una all'altra funzione venga disciplinato ponendo delle limitazioni al passaggio fra i ruoli, a favore di una maggiore professionalità, nell'interesse della giustizia e dell'immagine di terzietà dei giudicanti.

La presente proposta di legge si propone il soddisfacimento di due esigenze essenziali: da un lato la necessità di accertare rigorosamente, in capo al magistrato che chiede il trasferimento di funzione, la sussistenza delle qualità personali e professionali adeguate allo svolgimento delle funzioni stesse; dall'altro, la previsione di una maggiore cautela nel passaggio da una funzione ad un'altra.

In particolare, la nuova formulazione dell'articolo 190 dell'ordinamento giudiziario, nel riaffermare la differenza tra la funzione requirente e quella giudicante, prevede che qualora un magistrato faccia richiesta di passare da una funzione ad un'altra, ciò possa avvenire solo su decisione del Consiglio superiore della magistratura, sentito il parere del consiglio giudiziario che deve tener conto delle attitudini per lo svolgimento della nuova funzione.

In caso di passaggio da una funzione all'altra, il magistrato deve essere destinato ad una sede di corte d'appello diversa da quella in cui ha esercitato le funzioni precedenti.

Il magistrato passato a svolgere funzione giudicante non potrà, per i primi due anni, essere destinato a svolgere le funzioni attribuite al giudice monocratico. E comunque la richiesta di un nuovo trasferimento da una funzione all'altra non potrà essere presentata prima che siano decorsi cinque anni di effettivo esercizio della funzione alla quale il magistrato era stato destinato.

 



 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. L'articolo 190 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni è sostituito dal seguente:

 

"Art. 190 - (Passaggio dalle funzioni requirenti alle funzioni giudicanti e viceversa) - 1. La magistratura, unificata nel concorso di ammissione, nel tirocinio e nel ruolo di anzianità, è distinta relativamente alle funzioni giudicanti e requirenti.

2. Il passaggio dei magistrati dalle funzioni giudicanti alle funzioni requirenti e da queste a quelle può essere disposto, a domanda dell'interessato, dal Consiglio superiore della magistratura, previo parere motivato del consiglio giudiziario, integrato ai sensi dell'articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 giugno 2000, n. 198, valutate le attitudini per lo svolgimento della nuova funzione.

3. In caso di rigetto della domanda, questa non può essere riproposta prima di tre anni.

4. Il magistrato per il quale è stato disposto il passaggio da una funzione all'altra è destinato ad una sede di distretto di corte d'appello diverso da quello nel quale ha esercitato le funzioni precedenti.

5. Il magistrato per il quale è stato disposto il passaggio dalla funzione requirente a quella giudicante non può, per i primi due anni, essere destinato a svolgere le funzioni attribuite al giudice monocratico.

6. Il magistrato che è passato dalla funzione requirente alla funzione giudicante e viceversa non può, salvo accertati gravi motivi di salute, essere destinato a diversa funzione, se non dopo cinque anni di effettivo esercizio nella funzione alla quale era stato destinato".

 

 

Art. 2.

 

1. Sono abrogate tutte le norme incompatibili con la presente legge.

 

 

 


N. 984

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa dei deputati PEZZELLA, NESPOLI

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Delega al Governo per il potenziamento e la razionalizzazione dell'amministrazione giudiziaria

 

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Presentata il 21 giugno 2001

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Onorevoli Colleghi! - L'amministrazione giudiziaria versa da anni in condizioni funzionali estremamente carenti e questo non solo per la complessità e il notevole invecchiamento, ma anche per una obiettiva insufficienza delle risorse umane e materiali a disposizione di questo settore fondamentale dell'attività statuale. Il risultato di questo stato di cose è sotto gli occhi di tutti e si sostanzia in un arretrato enorme sia nel settore civile sia in quello penale, nella defaticante lunghezza dei procedimenti.

Lo Stato italiano destina per la giustizia, che dovrebbe costituire una delle sue funzioni fondamentali, una quota del tutto insignificante della spesa annuale e viene meno così all'assolvimento di un suo dovere principale. Scopo della presente proposta di legge è di incidere rapidamente su questa situazione di fatto attraverso misure di vario tipo dirette tutte a migliorare la produttività del settore ed accelerare così i tempi dei procedimenti giudiziari nell'interesse preminente del cittadino.

Questa iniziativa, ferme le competenze in materia del Consiglio superiore della magistratura, ha lo scopo di eliminare, attraverso una razionale distribuzione sul territorio del personale della magistratura e dell'amministrazione giudiziaria in genere, le difficoltà funzionali presenti oggi nell'amministrazione giudiziaria ed evitare la paralisi dell'attività degli uffici giudiziari.

E' necessario, infatti, ristrutturare l'intera metodologia distributiva sul territorio del personale giudiziario, prendendo come riferimento criteri certi quali il carico di lavoro, il numero dei procedimenti penali e delle cause civili iniziate e definite nell'ultimo anno solare e procedere inoltre all'accorpamento ed alla soppressione di quegli uffici giudiziari che non abbiano un carico di lavoro tale da giustificare l'assegnazione di magistrati. A seguito della razionalizzazione saranno individuate le inadeguatezze degli organici e le vacanze e pertanto sarà aumentato il personale giudiziario presso le sedi giudiziarie dove effettivamente si riscontrano delle carenze. Con la razionale distribuzione dei posti e con il loro aumento in funzione delle accertate esigenze manifestate dai criteri sopra citati sarà accresciuta senz'altro la funzionalità degli stessi uffici e si imprimerà una decisiva accelerazione alla giustizia che consentirà di eliminare gli arretrati pendenti presso diverse sedi giudiziarie. E' inoltre da considerare che già nel 1995 una relazione del Consiglio superiore della magistratura evidenziava la situazione di carenza, rispetto alla popolazione residente, dell'organico in talune sedi quali Brescia, Bologna, Ancona e Venezia. Un altro criterio sempre tratto dalla citata relazione del Consiglio superiore della magistratura, quello dei procedimenti sopravvenuti, rilevava le divergenze in materia d'organico esistenti tra i diversi distretti.

I primi due articoli della proposta prevedono, all'articolo 1 una delega al Governo al fine di emanare in tempi brevi un decreto legislativo atto a razionalizzare la distribuzione del personale dell'amministrazione giudiziaria e all'articolo 2 la delega ad aumentare l'organico in relazione alle esigenze della ristrutturazione prevista dall'articolo 1. L'articolo 3 prevede che i magistrati che non svolgono funzioni giudiziarie, ma che esercitano altri incarichi, ad esclusione di quelli distaccati presso il Consiglio superiore della magistratura, la Corte costituzionale, il Ministero della giustizia, devono essere riassegnati alle funzioni giurisdizionali proprio per coprire le carenze dell'amministrazione giudiziaria.

Onorevoli colleghi, è necessario approvare al più presto questa proposta di legge per una migliore distribuzione del personale dell'amministrazione giudiziaria e per operare un aumento d'organico che consenta la definizione celere dei procedimenti e migliori l'amministrazione della giustizia


 


 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo parere del Consiglio superiore della magistratura per gli aspetti relativi ai magistrati, un decreto legislativo diretto a razionalizzare la distribuzione tra i vari distretti giudiziari dei magistrati, del personale di cancelleria e di tutta l'amministrazione giudiziaria.

2. Il decreto legislativo di cui al comma 1 è adottato con l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a) carichi di lavoro nelle varie sedi giudiziarie, determinati sulla base della popolazione residente e del flusso delle iscrizioni: notizie di reato e cause civili;

 

b) numero dei procedimenti penali e delle cause civili iniziate nell'ultimo anno solare in rapporto alle cause civili ed ai processi penali definiti;

 

c) soppressione o accorpamento delle sezioni distaccate dei tribunali che non abbiano un carico di lavoro tale da giustificare l'assegnazione in via esclusiva di un magistrato;

 

d) soppressione o accorpamento dei tribunali siti in comuni non capoluogo di provincia, che non abbiano un carico di lavoro tale da giustificare la presenza di almeno dieci magistrati oltre il presidente.

 

Art. 2.

 

1. Il Governo, entro tre mesi dall'adozione del decreto legislativo di cui all'articolo 1, è delegato ad adottare un ulteriore decreto legislativo per aumentare gli organici complessivi dei magistrati e del personale di cancelleria, in una percentuale massima del 20 per cento rispetto alla consistenza attuale.

2. Entro i tre mesi successivi all'adozione del decreto di cui al comma 1, debbono essere banditi i concorsi ordinari per la copertura dei posti comunque vacanti negli organici di cui al medesimo comma 1, nonché nei successivi sei mesi per la copertura di posti resisi disponibili con l'aumento degli organici di cui al presente articolo.

3. Per il 30 per cento dei posti di organico vacanti o in aumento del personale di cancelleria e con mansioni esecutive è possibile prevedere la copertura anche immediata con il ricorso alla mobilità.

 

Art. 3.

 

1. I magistrati in servizio distaccati presso qualsiasi amministrazione pubblica diversa dalla Corte costituzionale, dal Ministero della giustizia e dal Consiglio superiore della magistratura, per lo svolgimento di funzioni di carattere amministrativo sono riassegnati, previo parere vincolante del Consiglio superiore della magistratura, alle funzioni giurisdizionali a decorrere dal 1^ gennaio 2002.

2. Per le amministrazioni diverse da quelle di cui al comma 1, è possibile l'assegnazione di un numero massimo di dieci magistrati solo per i casi di eccezionale rilevanza, con deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della giustizia, previo parere vincolante del Consiglio superiore della magistratura.

3. I distacchi di cui al comma 2 non possono comunque essere di durata superiore ai quattro anni.

 

Art. 4.

 

1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, valutato in lire 150 miliardi a decorrere dall'anno 2002, si provvede per gli anni 2002 e 2003, mediante utilizzo delle proiezioni per gli stessi anni dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2001-2003, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l'anno 2001, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della giustizia.

2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

 

 


N. 1257

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato TRANTINO

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Norme concernenti la responsabilità disciplinare, le incompatibilità e la difesa della funzione e dell'immagine del magistrato

 

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Presentata il 10 luglio 2001

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Onorevoli Colleghi! - Qualunque gruppo parlamentare che si è finora occupato, con specifiche iniziative legislative, del cruciale problema della responsabilità disciplinare e delle incompatibilità del magistrato, ha considerato traccia obbligata il testo del disegno di legge presentato nella IX legislatura dall'allora Ministro di grazia e giustizia, Martinazzoli (atto Senato n. 251 della IX legislatura).

Pur ospitando tanta parte del meditato documento governativo, con la presente proposta di legge, già presentata nella XIII legislatura (atto Camera n. 1115), ci siamo impegnati a contributi nuovi e perciò originali, che possono così essere riassunti:

 

1) la centralità della libertà del cittadino (articolo 3);

 

2) sostanza e forma per vivificare l'equilibrio e la competenza del magistrato (articolo 3);

 

3) colpire ogni colpevole interferenza illecita (articolo 3);

 

4) colpevolizzare ogni atteggiamento tracotante o smodato del giudice contro altri giudici, il foro o le parti (articolo 3);

 

5) l'intolleranza per espressioni lesive del decoro altrui in provvedimenti del magistrato (articolo 4);

 

6) la difesa dell'immagine oltre che delle funzioni del magistrato per onorare il giudice e non per processarlo (articolo 4);

 

7) l'aumento del minimo della perdita di anzianità, quando necessaria (articolo 5);

8) l'obbligo di approfondita istruzione di ogni pratica disciplinare (articolo 6);

 

9) la valutazione dell'anzianità per funzioni e non per età in caso di parità di voti: la prevalenza cioè dell'esperienza, sintesi di saggezza professionale e umana (articolo 7);

 

10) la limitazione da sei a quattro mesi e da un anno a otto mesi del termine per la definizione degli adempimenti per il procedimento disciplinare, contro lo stillicidio di attese sfibranti (articolo 9);

 

11) la possibilità della conoscenza degli atti della sezione disciplinare da parte della Presidenza della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, per evitare antidemocratiche "saracinesche", che possono indebolire il corretto rapporto istituzionale (articolo 9);

 

12) il recupero della disciplina dell'articolo 163 del codice penale in tema sanzionatorio, in caso di rimozione (articolo 11);

 

13) il corretto uso dell'istituto della revisione non riferibile alla sanzione "minore", ma al proscioglimento dall'addebito (articolo 17);

 

14) la eliminazione di ogni deroga in caso di parentela o affinità per magistrati componenti lo stesso collegio, essendo inammissibile la previsione dell'intralcio "al regolare svolgimento della funzione giudiziaria" come causa d'incompatibilità: non si può legiferare delegando altri (articolo 18);

 

15) la rilevanza dei rapporti, anche e solo di abituale frequenza, del giudice con l'imputato: non essere solo imparziale ma anche apparirlo (articolo 18);

 

16) rigorosi accertamenti fiscali sulle condizioni del magistrato, impedito nel sereno e corretto svolgimento delle funzioni (articolo 19);

 

17) la presenza di avvocati del libero foro nella difesa di magistrati inquisiti avanti il Consiglio superiore della magistratura: che gli avvocati non giudichino, che i giudici non siano avvocati (articolo 20);

 

18) il termine di due mesi, infine, per l'entrata in vigore della legge, dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (articolo 22).

 

Onorevoli colleghi, credendo nello Stato di diritto, alziamo lo scanno del giudice sopra ogni rispettabile passione di parte. Ciò comporta trasparenza e credibilità.

Il giudice deve essere rispettato; ma egli deve tutto compiere perché ciò sia un dovere sentito e non una clausola di stile.

Da ciò il nostro modesto, appassionato, vigile contributo di uomini al servizio del diritto, ma anche e non meno della società.

Nel ripresentare la presente proposta di legge, già presentata nella X, nella XI, nella XII e nella XIII legislatura, ne chiediamo urgente, responsabile approvazione.

 


 


 


proposta di legge

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Capo I

PRINCI'PI GENERALI

 

Art. 1.

(Principio di legalità - Insindacabilità del contenuto

degli atti giudiziari).

 

1. I magistrati non possono essere sottoposti a sanzioni disciplinari né possono essere trasferiti ad altra sede o destinati ad altre funzioni senza il loro consenso, se non nei casi e nelle forme previsti dalla presente legge.

2. I magistrati non possono essere chiamati a rispondere in sede disciplinare per il contenuto degli atti giudiziari compiuti nell'esercizio delle loro funzioni, salvo che nelle ipotesi previste dalle lettere a), h) e i) del comma 1 dell'articolo 3.

 

Art. 2.

(Inamovibilità del magistrato).

 

1. Il magistrato, escluso l'uditore giudiziario senza funzioni, può essere trasferito ad altra sede o destinato ad altre funzioni senza il suo consenso soltanto nelle ipotesi previste dalla legge ovvero quando gli sia stata inflitta una sanzione disciplinare per fatti che rendano incompatibile la sua permanenza nella sede o nell'ufficio.

 

Capo II

PROCEDIMENTO DISCIPLINARE

 

Sezione I

Illeciti disciplinari

 

Art. 3.

(Illeciti disciplinari del magistrato

nell'esercizio delle sue funzioni).

 

1. Costituiscono illecito disciplinare del magistrato:

 

a) la privazione della libertà del cittadino per abuso di discrezionalità decisionale. Si intende che ricorre abuso di discrezionalità decisionale tutte le volte in cui è omessa o è distorta o non appare oggettivamente serena la valutazione o della personalità dell'inquisito o del pericolo di fuga o dell'inquinamento delle prove e degli elementi di prova o dell'allarme sociale correlato alla reale gravità del fatto per cui si procede;

 

b) la palese violazione del dovere di imparzialità nei confronti delle parti;

 

c) la manifesta violazione del dovere di correttezza nei confronti delle parti o dei loro difensori o consulenti, dei componenti l'ufficio, dei collaboratori o dei testimoni;

 

d) la violazione del segreto d'ufficio, ovvero la grave violazione del dovere di riservatezza relativamente agli affari trattati, quando quest'ultima sia idonea a ledere diritti altrui;

 

e) l'agevolazione anche colposa della diffusione del contenuto di atti coperti dal segreto istruttorio, quando sia idonea a pregiudicare lo svolgimento della attività processuale o a ledere diritti altrui;

 

f) l'inosservanza dell'obbligo di risiedere nel comune in cui ha sede l'ufficio, quando sia causa di disservizio;

 

g) la colpevole omissione di denunzia di una causa di incompatibilità o la colpe-vole inosservanza dell'obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge;

 

h) la violazione di legge per errore determinato da assoluta mancanza di diligenza o di perizia, o il perseguimento di fini diversi da quelli di giustizia, ovvero il deliberato proposito di disapplicare la legge;

 

i) l'adozione, sia in sede penale sia in sede civile, di provvedimenti cautelari abnormi, lesivi dei diritti individuali di libertà o di interessi patrimoniali delle persone, quando tali provvedimenti risultino determinati da assoluta mancanza di diligenza o di perizia e pertanto non sono e non appaiono conformi a equilibrio e competenza;

 

l) il reiterato o grave ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni giudiziarie, lo scarso rendimento nel lavoro, la ripetuta esenzione dal lavoro giudiziario, ivi compresa la redazione dei provvedimenti, da parte del capo dell'ufficio, del presidente di sezione o di collegio, che non siano giustificati da gravi motivi;

 

m) il ricorso a terzi per la redazione dei provvedimenti;

 

n) l'ingiustificata e grave interferenza nell'attività giurisdizionale di altro magistrato o di organi collegiali, volta a violare il dovere d'imparzialità;

 

o) la colpevole omissione di rapporto agli organi competenti da parte del capo dell'ufficio, del presidente o del dirigente di sezione, in ordine a comportamenti di magistrati addetti all'ufficio o alla sezione che possono configurare illecito disciplinare;

 

p) gli atteggiamenti tracotanti o smodati contrari all'etica del rapporto con altri giudici, con il foro e con le parti, quando per queste ultime la loro presenza è imposta dalla legge;

 

q) ogni altro atto che costituisca grave inadempimento dei doveri d'ufficio.

 

Art. 4.

(Illeciti disciplinari del magistrato al di fuori delle

sue funzioni).

 

1. Costituiscono altresì illecito disciplinare del magistrato:

 

a) il ripetuto o grave abuso della qualità di magistrato al fine di conseguire comunque vantaggi per sé o per altri;

 

b) i fatti per i quali sia intervenuta condanna irrevocabile per delitto non colposo perseguibile d'ufficio, ovvero, quando la legge stabilisca una pena non inferiore nel massimo a due anni di reclusione, per delitto colposo perseguibile d'ufficio o per delitto perseguibile a querela di parte;

 

c) i fatti per i quali sia intervenuta condanna irrevocabile alla pena dell'arresto;

 

d) la pubblica manifestazione di consenso o dissenso in ordine ad un procedimento in corso quando, per i tempi e i modi in cui è attuata, nonché per la posizione del magistrato, sia idonea ad esercitare una grave interferenza nell'attività giudiziaria;

 

e) lo svolgimento di attività o l'assunzione di incarichi incompatibili con la funzione giudiziaria;

 

f) l'assunzione di incarichi senza la prescritta autorizzazione dell'organo competente;

 

g) il ricorso, nella redazione di un provvedimento, ad espressioni gravemente lesive della dignità delle parti, dei difensori, dei testimoni o di terzi;

 

h) ogni altro atto o comportamento riprovevole che, anche per la sua notorietà, comprometta la fiducia nella imparzialità o nella correttezza e comunque nella immagine della funzione giudiziaria.

 

 

Art. 5.

(Sanzioni disciplinari).

 

1. Le sanzioni disciplinari sono:

 

a) la censura;

 

b) la perdita dell'anzianità;

 

c) la rimozione.

2. La censura consiste nel biasimo formale, espresso nel dispositivo della sentenza.

3. La perdita dell'anzianità può estendersi da sei mesi a due anni ed ha per effetto il ritardo, di durata corrispondente a quella della sanzione inflitta, nella ammissione ad esami, concorsi e scrutini, e nelle promozioni.

4. La rimozione determina la cessazione del rapporto di impiego ed è disposta mediante decreto del Ministro della giustizia.

5. La sezione disciplinare nell'infliggere una delle sanzioni previste dalle lettere a) e b) del comma 1 può stabilire, con provvedimento immediatamente esecutivo, che il magistrato sia trasferito d'ufficio qualora, in relazione ai fatti accertati ed alle modalità di compimento degli stessi, risulti incompatibile la sua ulteriore permanenza nell'ufficio o sede di servizio. Sussiste comunque tale incompatibilità quando la sanzione è comminata per uno dei fatti di cui all'articolo 4, comma 1, lettera a).

 

 

 

Art. 6.

(Esercizio dell'azione disciplinare).

 

1. L'azione disciplinare è promossa dal Ministro della giustizia o dal procuratore generale presso la Corte di Cassazione entro sei mesi dalla piena notizia del fatto ai sensi del comma 2.

2. Per piena notizia del fatto si intende la conoscenza acquisita a seguito di sommarie indagini preliminari o di denuncia circostanziata dei fatti per i quali si promuove l'azione, dopo opportuna istruzione.

3. Le funzioni di pubblico ministero nel procedimento disciplinare sono esercitate dal procuratore generale presso la Corte di Cassazione o da un suo sostituto.

 

Art. 7.

(Competenze e composizione della sezione

disciplinare).

 

1. La cognizione dei procedimenti disciplinari a carico di magistrati è attribuita ad una apposita sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, composta da nove componenti effettivi e da sei supplenti.

2. I componenti effettivi della sezione sono: il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, che presiede la sezione, due componenti eletti dal Parlamento, di cui uno presiede la sezione in sostituzione del vicepresidente, due magistrati di Corte di Cassazione, di cui uno dichiarato idoneo all'esercizio di funzioni direttive superiori, un magistrato di corte di appello, due magistrati di tribunale e un altro magistrato scelto tra le varie categorie.

3. I componenti supplenti della sezione sono: due magistrati di Corte di Cassazione, di cui uno dichiarato idoneo all'esercizio di funzioni direttive superiori, un magistrato di corte di appello, un magistrato di tribunale e due componenti del Consiglio superiore della magistratura eletti dal Parlamento.

4. Il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura è componente di diritto della sezione disciplinare; gli altri componenti, effettivi e supplenti, sono eletti dal Consiglio superiore della magistratura tra i propri membri. L'elezione ha luogo per scrutinio segreto, a maggioranza dei due terzi dei componenti il Consiglio stesso. In caso di parità di voti tra gli appartenenti alla stessa categoria, è eletto il più anziano per funzione.

5. Nell'elezione dei due componenti supplenti tra quelli eletti dal Parlamento è indicato, per ciascuno di essi, qual è il componente effettivo eletto dal Parlamento che è chiamato a sostituire. Nella ipotesi in cui il presidente del Consiglio superiore della magistratura si avvalga della facoltà di presiedere la sezione disciplinare, resta escluso il vicepresidente.

 

Art. 8.

(Sostituzioni dei componenti

della sezione disciplinare).

 

1. In caso di assenza, impedimento, astensione e ricusazione, il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura è sostituito, sempre che il presidente del Consiglio superiore non intenda avvalersi della facoltà di presiedere la sezione, dal componente effettivo eletto dal Parlamento che nell'elezione prevista dall'articolo 7 sia stato designato a tale funzione. Il componente che sostituisce il vicepresidente e gli altri componenti effettivi sono sostituiti dai supplenti della medesima categoria.

2. Ciascuno dei componenti effettivi della sezione disciplinare eletti dal Parlamento è sostituito da uno dei due componenti supplenti della stessa categoria a ciò designati nell'elezione prevista dall'articolo 7; se la sostituzione non è possibile, il componente effettivo è sostituito dall'altro componente supplente.

3. La disposizione del comma 2 si applica anche nel caso in cui il componente effettivo sostituisca il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura.

4. I componenti effettivi magistrati sono sostituiti dai supplenti della medesima categoria.

5. Sulla ricusazione di un componente della sezione disciplinare decide la stessa sezione, previa sostituzione del componente ricusato con il supplente corrispondente.

 

Art. 9.

(Svolgimento

del procedimento disciplinare).

 

1. La richiesta del Ministro della giustizia al procuratore generale presso la Corte di Cassazione ovvero la richiesta o la comunicazione del medesimo procuratore generale al Consiglio superiore della magistratura determina a tutti gli effetti l'inizio del procedimento.

2. Dell'inizio del procedimento deve essere data comunicazione all'incolpato con l'indicazione del fatto che gli viene addebitato. Gli atti istruttori non preceduti dalla comunicazione all'incolpato sono nulli ma la nullità non può essere più rilevata se non è dedotta con dichiarazione scritta e motivata nel termine di cinque giorni a decorrere da quello in cui l'interessato è stato portato a conoscenza della esistenza e del contenuto di detti atti o, comunque, da quello di avvenuta comunicazione del decreto che fissa la discussione orale davanti alla sezione disciplinare di cui all'articolo 7.

3. Entro quattro mesi dall'inizio del procedimento deve essere comunicato all'incolpato il decreto che fissa la discussione orale davanti alla sezione disciplinare. Entro gli otto mesi successivi dalla predetta comunicazione deve essere pronunciata la sentenza. Quando i termini non sono osservati, il procedimento disciplinare si estingue, sempre che l'incolpato vi consenta.

4. Degli atti compiuti dalla sezione disciplinare è trasmessa copia al Ministro della giustizia che, a richiesta, può inviarne copia alla Presidenza della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

5. Il decorso dei termini di cui al presente articolo è sospeso se per il medesimo fatto viene iniziata l'azione penale, ovvero se nel corso del procedimento viene sollevata questione di legittimità costituzionale, e riprende a decorrere rispettivamente dal giorno in cui è emesso il decreto di rinvio a giudizio, ovvero dal giorno in cui è pubblicata la decisione della Corte costituzionale.

6. Il decorso dei termini di cui al presente articolo è altresì sospeso durante il tempo in cui l'incolpato è sottoposto a perizia o ad accertamenti specialistici, ovvero durante il tempo in cui il procedimento è rinviato a richiesta dell'incolpato.

 

Art. 10.

(Archiviazione).

 

1. Se il Ministro della giustizia o il procuratore generale presso la Corte di Cassazione, a seguito della piena notizia del fatto di cui all'articolo 6, non ritiene sussistenti i presupposti per promuovere l'azione disciplinare, richiede l'archiviazione alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura di cui all'articolo 7 con provvedimento motivato. La sezione disciplinare, a maggioranza di due terzi dei suoi componenti, può disporre entro tre mesi l'inizio del procedimento disciplinare. In tale caso l'indagine istruttoria è compiuta da un componente della sezione disciplinare a ciò espressamente delegato dalla medesima a maggioranza semplice nella stessa seduta in cui si delibera la reiezione della richiesta di archiviazione.

2. Il procuratore generale al termine dell'istruttoria, se non ritiene di dover chiedere la fissazione dell'udienza di discussione davanti alla sezione disciplinare, chiede il proscioglimento con provvedimento motivato. La sezione disciplinare, a maggioranza di due terzi dei suoi componenti, può emettere, entro tre mesi, il decreto che fissa la discussione orale dinanzi a sé, rigettando in tale modo la richiesta di proscioglimento.

3. La mancata emissione da parte della sezione disciplinare dei provvedimenti indicati ai commi 1 e 2 entro il termine di tre mesi equivale ad accoglimento della richiesta di archiviazione o di proscioglimento.

4. Gli atti e i provvedimenti possono essere trasmessi, a richiesta, ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

 

Art. 11.

(Relazione tra il procedimento disciplinare

e il giudizio penale).

 

1. L'azione disciplinare è promossa indipendentemente dall'esercizio dell'azione penale relativa al medesimo fatto. Se, per gli stessi fatti, è iniziato il processo penale, il procedimento disciplinare è sospeso.

2. La sentenza penale irrevocabile di condanna o di proscioglimento ha autorità di cosa giudicata nel giudizio disciplinare quanto all'accertamento dei fatti materiali che sono stati oggetto del giudizio penale.

3. Il magistrato che incorre nell'interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici a seguito di condanna penale è rimosso di diritto.

4. La rimozione di diritto consegue altresì nel caso in cui al magistrato venga inflitta con sentenza definitiva una condanna per delitto non colposo a pena superiore a due anni di reclusione o una qualsiasi condanna a pena non inferiore ad un anno di reclusione la cui esecuzione non sia stata sospesa ai sensi degli articoli 163 e 164 del codice penale o per la quale sia intervenuto provvedimento di revoca della sospensione ai sensi dell'articolo 168 del medesimo codice.

 

 

Art. 12.

(Sospensione cautelare necessaria).

 

1. Il magistrato nei cui confronti sia stata promossa azione penale è sospeso dalle funzioni e dallo stipendio e collocato fuori del ruolo organico della magistratura dal giorno in cui è stato emesso nei suoi confronti mandato o ordine di cattura o, in caso di arresto in flagranza, dal giorno della convalida.

2. La sospensione può essere revocata anche d'ufficio dalla sezione disciplinare di cui all'articolo 7 se il provvedimento restrittivo della libertà personale ha comunque perso efficacia.

3. Al magistrato sospeso, la sezione disciplinare può attribuire un assegno alimentare non eccedente i due terzi dello stipendio e delle altre competenze di carattere continuativo.

 

Art. 13.

(Sospensione cautelare facoltativa).

 

1. Quando il magistrato è sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo, punibile, anche in via alternativa, con pena detentiva, o al medesimo sono ascrivibili fatti suscettibili di valutazione disciplinare, che, per la loro gravità, sono incompatibili con l'esercizio delle funzioni, il Ministro della giustizia o il procuratore generale presso la Corte di Cassazione, anche prima della richiesta del giudizio disciplinare, può chiedere la sospensione cautelare del magistrato dalle funzioni o dallo stipendio.

2. La sezione disciplinare di cui all'articolo 7 è tenuta a convocare il magistrato con un preavviso di almeno tre giorni. Essa provvede dopo aver sentito l'interessato o dopo aver constatato la sua mancata presentazione.

3. La sospensione può essere revocata anche d'ufficio dalla sezione disciplinare in qualsiasi momento.

4. Si applica il comma 3 dell'articolo 12.

 

Sezione II

Revisione

 

Art. 14.

(Revisione).

 

1. In ogni tempo è ammessa la revisione delle decisioni divenute irrevocabili, con le quali è stata applicata una sanzione disciplinare, qualora:

 

a) i fatti posti a fondamento della decisione risultino incompatibili con quelli accertati in una sentenza penale irrevocabile;

 

b) siano sopravvenuti o si scoprano, dopo la decisione, nuovi elementi di prova, che, soli o uniti a quelli già esaminati nel processo disciplinare, dimostrino l'insussistenza dell'illecito;

 

c) il giudizio di responsabilità e l'applicazione della relativa sanzione siano stati determinati da falsità ovvero da altro reato accertato con sentenza irrevocabile.

 

2. Gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono, a pena di inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare che possa essere dichiarato il proscioglimento dall'addebito.

 

Art. 15.

(Istanza di revisione).

 

1. La revisione può essere chiesta dal magistrato al quale è stata applicata una sanzione disciplinare o, in caso di morte o di sopravvenuta incapacità, da un prossimo congiunto che vi abbia interesse anche soltanto morale.

2. L'istanza di revisione può essere proposta personalmente o per mezzo di procuratore speciale; essa deve contenere, a pena di inammissibilità, l'indicazione specifica delle ragioni e dei mezzi di prova che la giustificano e deve essere presentata, unitamente ad eventuali atti e documenti, nella segreteria della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura di cui all'articolo 7.

3. Nel caso previsto dall'articolo 14, comma 1, lettera c), all'istanza deve essere unita copia autentica della sentenza penale irrevocabile.

4. La revisione può essere chiesta anche dal Ministro della giustizia e dal procuratore generale presso la Corte di Cassazione.

 

Art. 16.

(Provvedimenti

sull'istanza di revisione).

 

1. La sezione disciplinare di cui all'articolo 7 acquisisce gli atti del procedimento disciplinare e, sentiti il Ministro della giustizia, il procuratore generale presso la Corte di Cassazione, l'istante ed il suo difensore, dichiara inammissibile l'istanza di revisione se proposta senza l'osservanza delle disposizioni di cui alla presente sezione ovvero se risulta manifestamente infondata; altrimenti, dispone che si debba procedere al giudizio di revisione, al quale si applicano le norme stabilite per il processo disciplinare.

2. Contro la decisione che dichiara inammissibile l'istanza di revisione è ammesso ricorso alle sezioni unite della Corte di Cassazione.

 

Art. 17.

(Giudizio di revisione).

 

1. In caso di accoglimento dell'istanza di revisione la sezione disciplinare di cui all'articolo 7 revoca la precedente decisione.

2. La sezione disciplinare non può accogliere l'istanza di revisione che sia fondata unicamente su di una nuova valutazione delle prove assunte nel precedente giudizio, né per ragioni diverse da quelle indicate nell'istanza stessa.

3. Il magistrato assolto con decisione irrevocabile, a seguito di giudizio di revisione, ha diritto alla integrale ricostruzione della carriera nonché a percepire gli arretrati dello stipendio e degli altri assegni non percepiti, aumentati degli interessi nella misura legale e del maggiore danno eventualmente subìto per la diminuzione di valore.

 

Capo III

INCOMPATIBILITA' AMBIENTALE -

STATO DI MALATTIA

 

Art. 18.

(Incompatibilità derivante da vincoli

di parentela, coniugio o affinità).

 

1. I magistrati che siano tra loro legati da vincoli di coniugio, ovvero di parentela o di affinità fino al terzo grado non possono fare parte dello stesso ufficio giudiziario.

2. Il magistrato non può inoltre esercitare le funzioni:

 

a) nell'ufficio dinanzi al quale svolge abitualmente la professione forense un parente in linea retta all'infinito ovvero in linea collaterale sino al secondo grado, il coniuge o affine in linea retta, salvo che il Consiglio superiore della magistratura accerti, in relazione al numero dei componenti l'ufficio, che le rispettive attività sono assolutamente distinte;

 

b) nell'ufficio avente competenza circoscritta al territorio in cui un suo parente in linea retta all'infinito ovvero in linea collaterale fino al secondo grado, il coniuge o un affine in linea retta venga imputato di un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, ovvero venga sottoposto a procedimento per l'applicazione di una misura di prevenzione, sempreché vi siano rapporti, anche di abituale frequenza, con l'imputato. L'incompatibilità permane sino a quando i relativi procedimenti pendono dinanzi ad uno degli uffici giudiziari compresi nel distretto della stessa corte di appello in cui si trova l'ufficio al quale il magistrato appartiene. Quando il processo penale si conclude con sentenza di proscioglimento o di assoluzione o la proposta per l'applicazione della misura di prevenzione viene respinta, il magistrato che ne faccia domanda può essere destinato all'ufficio di provenienza o ad altro della stessa sede anche in soprannumero;

 

c) nella sede del suo ufficio quando il coniuge, un parente in linea retta all'infinito o in linea collaterale fino al secondo grado, ovvero altro parente o affine con lui convivente tenga una condotta che, per la natura riprovevole e la notorietà, comprometta gravemente la fiducia nella imparzialità o nella correttezza della funzione giudiziaria.

 

3. Agli effetti del presente articolo al rapporto di coniugio è parificata la convivenza di fatto.

 

Art. 19.

(Destinazione del magistrato

ad altre funzioni).

 

1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 3 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, il magistrato può essere destinato ad altre funzioni senza il suo consenso quando le sue condizioni di salute o altre situazioni oggettive pregiudichino gravemente lo svolgimento della specifica funzione giudiziaria di cui è investito, dopo accertamenti fiscali collegiali compiuti da specialisti designati dal Ministro della giustizia, esercenti la loro attività professionale fuori il distretto della corte di appello ove il magistrato esaminato svolge funzioni.

 

Art. 20.

(Norme procedimentali).

 

1. Qualora ricorra una delle situazioni di incompatibilità previste dagli articoli 18 e 19 della presente legge, il magistrato interessato o il capo dell'ufficio cui compete il potere di sorveglianza ai sensi degli articoli 14 e 16 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, e successive modificazioni, il quale abbia avuto comunque notizia di una delle predette situazioni, ha l'obbligo di denunciarla al Consiglio superiore della magistratura entro il termine di quindici giorni dalla data in cui ne è venuto a conoscenza.

2. La competente commissione del Consiglio superiore della magistratura, compiuti eventuali accertamenti preliminari, propone, con la massima sollecitudine, l'apertura della procedura di trasferimento d'ufficio o l'archiviazione degli atti. Il Consiglio, qualora deliberi l'apertura della procedura di trasferimento, incarica la commissione di procedere alla relativa istruttoria.

3. Dell'inizio dell'istruttoria viene dato immediato avviso all'interessato con avvertimento che potrà, a sua richiesta o anche d'ufficio, essere sentito con l'eventuale assistenza di altro magistrato o di avvocato del libero foro.

4. Esaurita l'istruttoria, gli atti della procedura sono depositati nella segreteria della commissione di cui al comma 2.

5. Dell'avvenuto deposito è dato immediato avviso all'interessato, che, nei venti giorni successivi alla ricezione dell'avviso, ha facoltà di prendere visione degli atti, di estrarne copia e di presentare controdeduzioni scritte.

6. Decorso il termine di cui al comma 5, la commissione di cui al comma 2, ove non debbano essere compiuti ulteriori accertamenti, propone al Consiglio superiore della magistratura, entro il mese successivo, il trasferimento d'ufficio del magistrato o l'archiviazione degli atti.

7. L'avvenuto deposito degli atti e la data della seduta fissata dal Consiglio superiore della magistratura, per la decisione, da adottare con delibera motivata, sono comunicati, con almeno venti giorni di preavviso, all'interessato che può, a sua richiesta o anche d'ufficio, essere sentito con l'eventuale assistenza di altro magistrato o di un avvocato del libero foro.

8. La procedura di trasferimento d'ufficio non può essere iniziata o proseguita nel caso in cui il magistrato sia stato, a domanda, trasferito ad altra sede o destinato ad altre funzioni o sia conseguentemente cessata la situazione di incompatibilità.

9. Le disposizioni del presente articolo si applicano, in quanto compatibili, alle ipotesi di dispensa dal servizio e di collocamento in aspettativa per debolezza di mente o infermità previste dall'articolo 3 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511.

 

Capo IV

DISPOSIZIONI FINALI

 

Art. 21.

(Norme abrogate).

 

1. Sono abrogati gli articoli 18 e 19, primo e secondo comma, dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12; gli articoli 2, primo e secondo comma, 4, 17, 18, 19, secondo e terzo comma, 20, 29, primo comma, 30 e 31 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511; gli articoli 57 e 58 del decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre 1958, n. 916.

 

Art. 22.

(Entrata in vigore).

 

1. La presente legge entra in vigore due mesi dopo la data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

 

 


N. 1529

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa dei deputati

FRAGALA', BAIAMONTE, CARLUCCI, COLLAVINI, DI TEODORO, GIUDICE, IANNUCCILLI, LIOTTA, LUCCHESE, FILIPPO MANCUSO, MILANESE, MISURACA, MARIO PEPE, SAVO, STAGNO D'ALCONTRES, TARANTINO, GIACOMO VENTURA, ALFREDO VITO

¾

 

Modifiche all'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, in materia di assegnazione degli affari giudiziari

 

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Presentata il 30 agosto 2001

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Onorevoli Colleghi! - All'interno dell'ampio dibattito sviluppatosi negli ultimi anni intorno al ruolo della magistratura nel nostro ordinamento giuridico e nella nostra società, assume un significato particolare il tema della precostituzione del giudice nel processo, ed a tale fine sembra opportuno fornire una breve sintesi dei punti salienti di tale dibattito.

Dalla natura dei criteri in base ai quali si individua il singolo giudice in relazione al caso concreto dipende, infatti, la possibilità di garantire o meno al cittadino l'esercizio imparziale della funzione giurisdizionale.

La Costituzione, nel disciplinare i rapporti civili, dispone, all'articolo 25, primo comma, che: "Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge".

Dalla disposizione sembra emergere nettamente la scelta per un criterio di individuazione del giudice che esclude ogni margine di discrezionalità e implica la predeterminazione mediante disposizione di legge.

La Corte costituzionale, tuttavia, nell'interpretare la disposizione citata, pure avendo inizialmente affermato l'assoluta incompatibilità fra criterio della precostituzione e criterio di discrezionalità nella scelta, era successivamente approdata ad un diverso orientamento, in base al quale aveva ammesso che si poteva, seppure eccezionalmente e con adeguate garanzie, derogare al principio e che si potevano ritenere legittimi margini di discrezionalità necessari per assicurare l'efficienza ed il buon funzionamento degli uffici giudiziari.

Alla base del ragionamento della Corte costituzionale vi era l'esigenza di evitare che una rigida applicazione del principio di precostituzione potesse determinare effetti negativi rispetto alla razionale distribuzione del lavoro giudiziario.

Questa interpretazione, in realtà, sembrava subordinare l'applicazione del principio costituzionale del giudice naturale al soddisfacimento di esigenze di buon funzionamento dell'amministrazione giudiziaria.

Ora, è ben vero che il buon andamento della pubblica amministrazione costituisce anch'esso principio costituzionale sancito a norma dell'articolo 97, primo comma, della Costituzione, ma appare sicuramente inadeguata una soluzione che, forzando il tenore letterale dell'articolo 25, primo comma, della Costituzione, ne disconosca il ruolo di incomprimibile garanzia per le parti del processo e per la magistratura al suo interno.

Occorre, invece, ragionare in termini di contemperamento fra i diversi princìpi, garantendo che il buon andamento dell'amministrazione giudiziaria sia realizzato nel pieno rispetto del principio di precostituzione legale del giudice.

Alcuni passi in avanti in ordine al problema dell'assegnazione degli affari giudiziari ai singoli giudici, sono stati compiuti in occasione della riforma del codice di procedura penale, ed, in particolare, con l'istituzione del giudice unico recata dal decreto legislativo n. 51 del 1998, e successive modificazioni. In particolare, l'articolo 7-ter dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, da ultimo modificato dal decreto legislativo n. 138 del 1999, è stato riformulato proprio al fine di dare attuazione al dettato costituzionale in materia di giudice naturale, prevedendo l'applicazione di criteri "automatici" sia per ciò che concerne l'assegnazione degli affari giudiziari, sia per ciò che riguarda la sostituzione del giudice astenuto, ricusato o impedito. La norma in vigore, necessita, però, di opportune e specifiche modifiche, necessarie per dare finalmente completa attuazione al precetto costituzionale. A tale fine, la proposta di legge prevede che i criteri automatici (articolo 1), che si applicano ai giudizi penali ed ai giudizi civili, siano determinati in modo tale da impedire la "prevedibilità" dell'assegnazione dei singoli affari giudiziari, ed a garanzia dell'osservanza del criterio automatico, è prevista la "nullità" degli atti compiuti in violazione del criterio medesimo.

L'articolo 2 della proposta di legge dispone, poi, l'applicazione di un criterio automatico anche in relazione all'assegnazione degli affari giudiziari al pubblico ministero. Nonostante la formulazione letterale dell'articolo 25, primo comma, della Costituzione, - che fa riferimento soltanto al "giudice" - sembra infatti corretto estendere l'applicazione del principio di precostituzione anche al pubblico ministero, al fine di garantire, fin dal principio del procedimento, la garanzia di predeterminazione obiettiva del magistrato competente.

A tale fine è sostituito il comma 3 dell'articolo 70 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto n. 12 del 1941, che attualmente disciplina la materia senza prevedere alcun criterio ai fini del rispetto del principio di precostituzione.

Nella nuova formulazione si prevede che, qualora il titolare dell'ufficio del pubblico ministero ritenga di non esercitare personalmente le funzioni attribuite dal codice di procedura penale al pubblico ministero, la designazione di altri magistrati addetti all'ufficio è effettuata secondo criteri automatici, stabiliti dal Consiglio superiore della magistratura. Anche in questo caso, la mancata osservanza del criterio automatico comporta la nullità degli atti compiuti.

Con l'approvazione delle modifiche proposte sarà possibile assicurare al cittadino la completa garanzia della legale precostituzione del giudice che dovrà pronunciarsi sul caso concreto, con esclusione di qualsiasi margine di discrezionalità nel criterio dell'assegnazione del singolo affare. Sarà, inoltre, garantito un razionale criterio di distribuzione degli affari all'interno degli uffici giudiziari, e sarà assicurata l'imparzialità della scelta del dirigente dell'ufficio rispetto ai singoli magistrati.

 



 


proposta di legge

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Art. 1.

(Criteri per l'assegnazione degli affari giudiziari e la sostituzione dei giudici impediti).

 

1. All'articolo 7-ter dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

 

a) al comma 1, dopo il primo periodo è inserito il seguente: "Le assegnazioni effettuate in violazione dei criteri stabiliti ai sensi del presente comma sono dichiarate nulle";

 

b) dopo il comma 2 è inserito il seguente:

 

"2-bis. I criteri di cui ai commi 1 e 2 sono individuati in modo tale da escludere la prevedibilità dell'assegnazione dei singoli affari".

 

 

Art. 2.

(Assegnazione degli affari giudiziari

al pubblico ministero).

 

1. Il comma 3 dell'articolo 70 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, è sostituito dal seguente:

 

"3. I titolari degli uffici del pubblico ministero dirigono l'ufficio cui sono preposti, ne organizzano l'attività ed esercitano personalmente le funzioni attribuite al pubblico ministero dal codice di procedura penale e dalle altre leggi, qualora non ritengano di designare altri magistrati addetti all'ufficio. In tale caso la designazione è effettuata dal titolare dell'ufficio ai singoli magistrati, nel rispetto, a pena di nullità, di criteri automatici stabiliti dal Consiglio superiore della magistratura. Tali criteri sono individuati in modo tale da escludere la prevedibilità dell'assegnazione dei singoli affari. Possono essere designati più magistrati in considerazione del numero degli imputati o della complessità delle indagini o del dibattimento".


N. 1577

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

¾¾¾¾¾¾¾¾

PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato FRAGALA'

¾

 

Norme in materia di responsabilità disciplinare, di incompatibilità e di incarichi extragiudiziari dei magistrati

 

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Presentata il 14 settembre 2001

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Onorevoli Colleghi! - Il tema della responsabilità disciplinare dei magistrati ordinari e delle cause di incompatibilità ad essi afferenti è da tempo oggetto del dibattito politico-istituzionale per le numerose e delicate implicazioni che ne derivano.

Da più parti sono state avanzate proposte di modifica dell'attuale sistema: gli allora Ministri di grazia e giustizia pro tempore nel corso dei precedenti Governi, il Consiglio superiore della magistratura, numerosissimi poi i progetti legislativi d'iniziativa parlamentare.

Si è voluto così rielaborare una proposta di legge che accoglie molte delle soluzioni avanzate e in parte discusse, e che riproduce il testo già presentato nella XIII legislatura (atto Camera n. 1073) al fine di risolvere una volta per tutte l'annosa e delicata questione.

Il testo è diviso in più capi: il capo I contiene i princìpi generali di legalità e di insindacabilità del contenuto degli atti giudiziari; il capo II contiene le disposizioni concernenti i doveri del magistrato, l'individuazione delle ipotesi di illecito, le sanzioni irrogabili, i capi III e IV indicano la composizione dell'organo di giudizio disciplinare, l'individuazione dell'organo di accusa, le cadenze cronologiche del procedimento, le norme procedimentali. Infine, il capo V disciplina la materia dell'incompatibilità e ineleggibilità dei magistrati, nonché le situazioni di sopravvenuta inattitudine per malattia o altre cause, mentre il capo VI tratta la materia degli incarichi extragiudiziari. Il capo VII contiene le disposizioni finali.

Con le norme contenute nel capo VI, in particolare, si è inteso salvaguardare i fondamentali princìpi costituzionali di autonomia e indipendenza dei giudici, limitando la possibilità di svolgere incarichi extragiudiziari. Esigenza, peraltro, in linea con l'orientamento del Consiglio superiore della magistratura che ha affermato che la prassi degli incarichi extragiudiziari è in grave contrasto con il principio della assoluta prevalenza dell'impegno del giudice all'assolvimento delle sue funzioni. Finalità del divieto è dunque quella di garantire che l'esercizio della funzione giurisdizionale avvenga nel rispetto dei princìpi di autonomia, di indipendenza e di imparzialità del magistrato, che male si conciliano con l'esercizio di attività extragiudiziarie che coinvolgono rilevanti interessi pubblici ed economici.

La presente proposta di legge si chiude poi con le consuete disposizioni finali.

Si auspica la sua pronta approvazione al fine, ormai improcrastinabile, di dare delle regole in una materia di così ampia portata e importanza, che peraltro non comporta oneri per l'erario dello Stato.

 

 



 


proposta di legge

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Capo I

PRINCI'PI GENERALI

 

Art. 1.

(Principio di legalità - Insindacabilità

del contenuto degli atti giudiziari).

 

1. Il magistrato non può essere sottoposto a sanzioni disciplinari se non nei casi e nelle forme previsti dalla presente legge.

2. Il magistrato non può essere chiamato a rispondere in sede disciplinare per il contenuto degli atti giudiziari compiuti nell'esercizio delle proprie funzioni, salvo che nelle ipotesi previste dall'articolo 4, comma 1, lettera c), numeri 1), 2), 3), 4), 5) e 6).

 

Art. 2.

(Inamovibilità del magistrato).

 

1. Il magistrato, escluso l'uditore giudiziario senza funzioni, può essere trasferito ad altra sede o destinato ad altre funzioni senza il suo consenso soltanto nelle ipotesi previste dalla legge, ovvero quando gli sia stata inflitta una sanzione disciplinare per fatti che rendono incompatibile la sua permanenza nella sede o nell'ufficio.

 

Capo II

DOVERI DEL MAGISTRATO

E SANZIONI DISCIPLINARI

 

Art. 3.

(Doveri del magistrato).

 

1. Il magistrato deve esercitare le proprie funzioni con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità e riserbo.

2. In ogni atto di esercizio delle proprie funzioni il magistrato è tenuto al rispetto della dignità della persona.

3. Anche fuori dall'esercizio delle proprie funzioni, il magistrato non deve tenere comportamenti che ne compromettano la credibilità ed il prestigio.

4. La violazione dei doveri stabiliti dal presente articolo costituisce illecito disciplinare perseguibile nelle ipotesi previste dagli articoli 4, 5 e 6.

 

Art. 4.

(Illeciti disciplinari

nell'esercizio delle funzioni).

 

1. Costituiscono illecito disciplinare:

 

a) ogni violazione del dovere di imparzialità e, in particolare:

 

1) il comportamento che, violando i doveri di cui all'articolo 3, arreca illegittimo danno o vantaggio ad una delle parti;

 

2) l'omissione della comunicazione al Consiglio superiore della magistratura della sussistenza di una delle incompatibilità di cui all'articolo 30;

 

3) l'inosservanza dell'obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge;

 

b) ogni rilevante violazione del dovere di correttezza, e, in particolare:

 

1) il comportamento abitualmente o gravemente scorretto nei confronti delle parti, dei loro difensori, dei testimoni o di chiunque ha rapporti con l'ufficio giudiziario, ovvero nei confronti di altri magistrati o di collaboratori;

 

2) l'ingiustificata interferenza nell'attività giudiziaria di altro magistrato, attuata mediante l'esercizio delle funzioni o, comunque, con iniziative tendenti ad influenzarla;

 

c) ogni rilevante violazione del dovere di diligenza e, in particolare:

 

1) la violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;

2) il travisamento dei fatti determinato da negligenza inescusabile;

 

3) il perseguimento di fini diversi da quelli di giustizia;

 

4) il deliberato proposito di disapplicare la legge;

 

5) l'emissione di provvedimenti privi di motivazione ovvero la cui motivazione consiste nella sola affermazione della sussistenza dei presupposti di legge senza indicazione degli elementi di fatto dai quali tale sussistenza risulta, quando la motivazione è richiesta dalla legge;

 

6) l'adozione di provvedimenti non consentiti dalla legge, lesivi della libertà personale o di altri diritti della persona ovvero di provvedimenti che hanno leso, in modo rilevante, diritti patrimoniali;

 

7) la reiterata o grave inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio giudiziario adottate dagli organi competenti;

 

8) l'inosservanza dell'obbligo di rendersi reperibile quando esso è imposto dalla legge o da disposizioni dell'organo competente;

 

9) l'inosservanza dell'obbligo di risiedere nel comune in cui ha sede l'ufficio;

 

d) ogni rilevante violazione del dovere di laboriosità e, in particolare:

 

1) il reiterato, grave o ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni;

 

2) l'abituale e ingiustificata esenzione dal lavoro giudiziario, compresa la redazione dei provvedimenti, da parte del dirigente d'ufficio o del presidente di una sezione o del presidente di un collegio;

 

3) l'affidamento ad altri del proprio lavoro;

 

e) ogni rilevante violazione del dovere di riserbo e, in particolare:

 

1) il comportamento che determina la divulgazione di atti del procedimento coperti dal segreto o di cui è previsto il divieto di pubblicazione;

 

2) la violazione del dovere di riservatezza sugli affari in corso di trattazione o, quando è idonea a ledere diritti altrui, sugli affari definiti;

 

f) l'omissione, da parte del dirigente dell'ufficio o del presidente di una sezione o di un collegio, della comunicazione agli organi competenti di fatti che possono costituire illeciti disciplinari compiuti da magistrati dell'ufficio, della sezione o del collegio; l'omissione, da parte del dirigente dell'ufficio ovvero da parte del magistrato cui compete il potere di sorveglianza, della comunicazione al Consiglio superiore della magistratura della sussistenza di una delle situazioni di incompatibilità previste dagli articoli 29 e 30 o di una delle fattispecie di cui agli articoli 32 e 33.

 

2. Fermo quanto previsto dalla lettera c) del comma 1, non può dare luogo a responsabilità disciplinare l'attività di interpretazione di norme di diritto, né quella di valutazione del fatto e delle prove.

 

Art. 5.

(Illeciti disciplinari al

di fuori delle funzioni).

 

1. Costituiscono illecito disciplinare:

 

a) l'uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti per sé o per gli altri;

 

b) il frequentare persona sottoposta ad indagine o imputata in un procedimento penale, o sottoposta a procedimento di prevenzione o a procedura fallimentare, quando si tratta di procedimento comunque trattato dal magistrato; il frequentare persona che al magistrato consta essere stata dichiarata delinquente abituale o aver subìto condanna per gravi delitti non colposi o una misura di prevenzione, ovvero il trattenere rapporti di affari con una di tali persone;

c) l'assunzione di incarichi extragiudiziari senza la prescritta autorizzazione dell'organo competente, lo svolgimento di attività incompatibili con la funzione giudiziaria o tali da recare concreto pregiudizio all'assolvimento del dovere di laboriosità o di imparzialità;

 

d) la pubblica manifestazione di consenso o dissenso in ordine ad un procedimento in corso quando, per la posizione del magistrato o per le modalità con cui il giudizio è espresso, risulta idonea ad influenzare la libertà di decisione nell'esercizio delle funzioni giudiziarie;

 

e) ogni altro comportamento tenuto in pubblico idoneo a compromettere in modo grave la credibilità e il prestigio della funzione giudiziaria.

 

Art. 6.

(Illeciti disciplinari conseguenti al reato).

 

1. Costituiscono illecito disciplinare:

 

a) i fatti per i quali è intervenuta condanna irrevocabile o è stata pronunciata sentenza ai sensi dell'articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale, per delitto doloso o preterintenzionale, quando la legge stabilisce la pena detentiva, sola o congiunta alla pena pecuniaria;

 

b) i fatti per i quali è intervenuta condanna irrevocabile o è stata pronunciata sentenza ai sensi dell'articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale, per delitto colposo, alla pena della reclusione, sempre che presentino, per modalità e conseguenze, carattere di particolare gravità;

 

c) i fatti per i quali è intervenuta condanna irrevocabile o è stata pronunciata sentenza ai sensi dell'articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale, alla pena dell'arresto, sempre che presentino, per le modalità di esecuzione, carattere di particolare gravità;

 

d) altri fatti costituenti reato idonei a compromettere la credibilità e il prestigio del magistrato, anche se il reato è estinto per qualsiasi causa o l'azione penale non può essere iniziata o proseguita.

 

Art. 7.

(Sanzioni disciplinari).

 

1. Le sanzioni disciplinari sono:

 

a) l'ammonimento;

 

b) la censura;

 

c) la perdita dell'anzianità;

 

d) l'incapacità perpetua o temporanea ad esercitare un incarico direttivo o di collaborazione direttiva;

 

e) la sospensione dalle funzioni da tre mesi a due anni;

 

f) la rimozione.

 

2. L'ammonimento consiste nel richiamo, espresso nel dispositivo della decisione, all'osservanza da parte del magistrato dei suoi doveri, in rapporto all'illecito commesso.

3. La censura consiste in un biasimo formale espresso nel dispositivo della decisione.

4. La sanzione della perdita dell'anzianità è inflitta per un periodo compreso tra due mesi e due anni; il conseguente spostamento in ruolo non può essere inferiore ad un quarantesimo né superiore ad un decimo dei posti in organico della relativa qualifica.

5. La sanzione della temporanea incapacità ad esercitare un incarico direttivo o di collaborazione direttiva è inflitta per un periodo compreso tra sei mesi e due anni. Se il magistrato svolge funzioni direttive, devono essergli conferite d'ufficio altre funzioni non direttive, corrispondenti alla sua qualifica. Scontata la sanzione, il magistrato non può riprendere l'esercizio delle funzioni direttive presso l'ufficio dove le svolgeva anteriormente all'irrogazione della misura disciplinare.

6. La sospensione dalle funzioni comporta, altresì, la sospensione dallo stipendio ed il collocamento del magistrato fuori dal ruolo organico della magistratura. Al magistrato sospeso è corrisposto un assegno alimentare non eccedente i due terzi dello stipendio e delle altre competenze di carattere continuativo.

7. La rimozione determina la cessazione del rapporto di servizio.

8. La sanzione di cui al comma 4 e la cessazione di cui al comma 7 sono disposte con decreto del Presidente della Repubblica.

 

Art. 8.

(Sanzioni per determinati

illeciti disciplinari).

 

1. Sono puniti con la sanzione non inferiore alla censura:

 

a) i comportamenti che, violando i doveri di cui all'articolo 3, arrecano illegittimo danno o vantaggio ad una delle parti;

 

b) l'inosservanza dell'obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge;

 

c) l'omissione, da parte dell'interessato, della comunicazione al Consiglio superiore della magistratura della sussistenza di una delle cause di incompatibilità di cui all'articolo 30;

 

d) ogni altra violazione del dovere di imparzialità;

 

e) i comportamenti previsti dall'articolo 4, comma 1, lettera b), numero 1);

 

f) il perseguimento di fini diversi da quelli di giustizia;

 

g) il reiterato o grave ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni;

 

h) la scarsa laboriosità, se abituale;

 

i) la grave o abituale violazione del dovere di riservatezza;

 

l) l'uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti;

 

m) i comportamenti previsti dall'articolo 5, comma 1, lettera b).

2. Sono puniti con una sanzione non inferiore alla perdita dell'anzianità:

 

a) i comportamenti che, violando i doveri di cui all'articolo 3, arrecano illegittimo danno o vantaggio ad una delle parti;

 

b) l'uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti, se abituale o grave.

 

3. E' punita con la sanzione della incapacità ad esercitare un incarico direttivo o di collaborazione direttiva l'interferenza nell'attività di altro magistrato da parte del dirigente dell'ufficio o del presidente della sezione, se abituale o grave.

4. Sono puniti con una sanzione non inferiore alla sospensione dalle funzioni l'esercizio di attività o l'assunzione di impieghi vietati ai sensi dell'articolo 29, nonché l'accettazione di incarichi ed uffici vietati dalla legge o non autorizzati.

5. E' rimosso il magistrato che incorre nella interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici in seguito a condanna penale o che incorre in una condanna a pena detentiva non inferiore ad un anno la cui esecuzione non è stata sospesa ai sensi degli articoli 163 e 164 del codice penale, o per la quale è intervenuto provvedimento di revoca della sospensione ai sensi dell'articolo 168 dello stesso codice.

 

Art. 9.

(Sanzione accessoria del trasferimento

ad altra sede o ad altro ufficio).

 

1. Nell'infliggere una sanzione diversa dall'ammonimento e dalla rimozione, la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura può disporre il trasferimento del magistrato ad altra sede o ad altro ufficio quando, per la condotta tenuta, la permanenza nella stessa sede o nello stesso ufficio appare in contrasto con il buon andamento dell'amministrazione della giustizia.

2. Il trasferimento è sempre disposto quando ricorre una delle violazioni previste dalla lettera a) del comma 1 dell'articolo 4, ad eccezione dell'inosservanza dell'obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge e dell'inosservanza dell'obbligo delle comunicazioni al Consiglio superiore della magistratura, dalla lettera a) del comma l dell'articolo 5, ovvero se è inflitta la sanzione della sospensione dalle funzioni.

 

Capo III

ORGANI DEL PROCEDIMENTO

DISCIPLINARE

 

Art. 10.

(Competenze e composizione della

sezione disciplinare del Consiglio

superiore della magistratura).

1. La cognizione dei giudizi disciplinari a carico dei magistrati è attribuita alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, composta da nove componenti effettivi e da sei supplenti.

2. Sono componenti effettivi della sezione disciplinare: il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, che la presiede, due componenti eletti dal Parlamento, un componente eletto quale magistrato di cassazione con effettivo esercizio di funzioni di legittimità e cinque componenti eletti quali magistrati con funzioni di merito.

3. Sono componenti supplenti della sezione disciplinare: due componenti eletti dal Parlamento, un componente eletto quale magistrato di cassazione con effettivo esercizio di funzioni di legittimità e tre componenti eletti quali magistrati con funzioni di merito.

4. Il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura è componente di diritto della sezione disciplinare; gli altri componenti, effettivi e supplenti, sono eletti dal Consiglio superiore della magistratura tra i propri membri. L'elezione ha luogo per scrutinio segreto, a maggioranza dei due terzi dei componenti il Consiglio. In caso di parità di voti tra gli appartenenti alla stessa categoria, è eletto il più anziano di età.

 

Art. 11.

(Sostituzione dei componenti

della sezione disciplinare).

1. In caso di assenza, impedimento, astensione o ricusazione il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura è sostituito nella presidenza della sezione disciplinare dal componente effettivo eletto dal Parlamento che nell'elezione prevista dal comma 4 dell'articolo 10 è stato designato a tale funzione.

2. Ciascuno dei componenti effettivi eletti dal Parlamento è sostituito dal componente supplente a ciò designato nell'elezione prevista dal comma 4 dell'articolo 10; se la sostituzione non è possibile, il componente effettivo è sostituito dall'altro componente supplente della medesima categoria.

3. I componenti effettivi magistrati sono sostituiti dai supplenti della medesima categoria.

4. Sulla ricusazione di un componente della sezione disciplinare decide la stessa sezione, previa sostituzione del componente ricusato con il supplente corrispondente.

 

Art. 12.

(Pubblico ministero ed attività di indagine).

 

1. Le funzioni di pubblico ministero nel procedimento disciplinare sono esercitate dal procuratore generale presso la Corte di cassazione o da un suo sostituto, salvo quanto previsto dall'articolo 16, comma 7.

2. All'attività di indagine relativa al procedimento disciplinare procede il pubblico ministero.

 

Capo IV

PROCEDIMENTO DISCIPLINARE

 

Art. 13.

(Termini).

1. L'azione disciplinare è promossa entro un anno dalla notizia del fatto, acquisita a seguito di sommarie indagini preliminari o di denuncia circostanziata.

2. Entro un anno dall'inizio del procedimento deve essere richiesta l'emissione del decreto che stabilisce la discussione orale davanti alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura. Entro un anno dalla data della predetta richiesta deve essere pronunciata la sentenza della sezione disciplinare. Se la sentenza è annullata in tutto o in parte a seguito del ricorso per Cassazione, il termine per la pronuncia della sentenza disciplinare nel giudizio di rinvio è di sei mesi e decorre dalla data in cui sono restituiti dalla Corte di cassazione gli atti del procedimento. Quando i termini non sono osservati, il procedimento disciplinare si estingue, a condizione che l'incolpato dia il suo consenso.

3. Il corso dei termini di cui al presente articolo è sospeso se per il medesimo fatto viene iniziata l'azione penale e riprende a decorrere dalla data in cui non è più soggetta ad impugnazione la sentenza di non luogo a procedere, ovvero sono divenuti irrevocabili la sentenza pronunciata in giudizio o il decreto penale di condanna. Il corso dei medesimi termini è altresì sospeso se durante il procedimento disciplinare viene sollevata questione di legittimità costituzionale e riprende, in tale caso, a decorrere dal giorno in cui è pubblicata la decisione della Corte costituzionale. Il corso dei termini è inoltre sospeso durante il tempo in cui l'incolpato è sottoposto a perizia o ad accertamenti specialistici, nonché durante il tempo in cui il procedimento disciplinare è rinviato su richiesta dell'incolpato medesimo.

 

Art. 14.

(Esercizio dell'azione disciplinare

e inizio del procedimento).

 

1. Il Ministro della giustizia promuove l'azione disciplinare mediante richiesta di indagini al procuratore generale presso la Corte di cassazione. Dell'iniziativa il Ministro dà comunicazione al Consiglio superiore della magistratura, con indicazione sommaria dei fatti per i quali si procede.

2. L'azione disciplinare può essere altresì promossa dal procuratore generale presso la Corte di cassazione, il quale ne dà comunicazione al Ministro della giustizia e al Consiglio superiore della magistratura, con indicazione sommaria dei fatti per i quali si procede. Il Ministro, se ritiene che l'azione disciplinare deve essere estesa ad altri fatti, ne fa richiesta al procuratore generale; analoga facoltà compete al Ministro nel corso delle indagini.

3. Il Consiglio superiore della magistratura, i consigli giudiziari e i dirigenti degli uffici devono comunicare al Ministro della giustizia e al procuratore generale presso la Corte di cassazione ogni fatto rilevante sotto il profilo disciplinare. I presidenti di sezione e i presidenti di collegio devono comunicare ai dirigenti degli uffici i fatti concernenti l'attività dei magistrati della sezione o del collegio che sono rilevanti sotto il profilo disciplinare.

4. La richiesta di indagini rivolta dal Ministro della giustizia al procuratore generale presso la Corte di cassazione, o la comunicazione da questi data al Consiglio superiore della magistratura ai sensi del comma 2, determinano a tutti gli effetti l'inizio del procedimento disciplinare.

5. Il procuratore generale presso la Corte di cassazione può contestare fatti nuovi nel corso delle indagini anche se l'azione è stata promossa dal Ministro della giustizia.

 

Art. 15.

(Comunicazioni all'incolpato

ed atti di indagine).

 

1. Dell'inizio del procedimento disciplinare deve essere data comunicazione all'incolpato con la indicazione del fatto che gli viene addebitato. L'incolpato può farsi assistere da altro magistrato o da un avvocato, designati in qualunque momento dopo la comunicazione dell'addebito, nonché, se del caso, da un consulente tecnico.

2. Gli atti di indagine non preceduti dalla comunicazione all'incolpato o dall'avviso al difensore, se già designato, ai sensi del comma 1, sono nulli. La nullità non può essere più rilevata quando non è dedotta con dichiarazione scritta e motivata nel termine di dieci giorni dalla data in cui l'interessato ha avuto conoscenza del contenuto di tali atti o, in mancanza, da quella della comunicazione del decreto che fissa la discussione orale davanti alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura.

3. Per l'attività di indagine si osservano, in quanto compatibili, le norme del codice di procedura penale, ad eccezione di quelle che comportano l'esercizio di poteri coercitivi nei confronti dell'imputato, dei testimoni, dei periti e degli interpreti. Ai testimoni, periti ed interpreti si applicano le disposizioni degli articoli 366, 372 e 373 del codice penale.

4. Per gli atti da compiere fuori dal suo ufficio, il pubblico ministero può richiedere altro magistrato in servizio presso la procura generale della corte d'appello nel cui distretto l'atto deve essere compiuto.

5. Al termine delle indagini, il procuratore generale presso la Corte di cassazione, unitamente alle richieste conclusive di cui all'articolo 14, invia alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura il fascicolo del procedimento che rimane depositato nella segreteria della sezione a disposizione dell'incolpato, con facoltà di prenderne visione e di estrarre copia degli atti.

 

Art. 16.

(Chiusura delle indagini).

 

1. Il procuratore generale presso la Corte di cassazione, al termine delle indagini, se non ritiene di dover chiedere la declaratoria di non luogo a procedere, formula l'incolpazione e chiede al presidente della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura la fissazione dell'udienza di discussione orale. Della richiesta è data comunicazione al Ministro della giustizia, con invio di copia dell'atto.

2. Il Ministro della giustizia, entro venti giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 1, può chiedere l'integrazione e, nel caso di azione disciplinare da lui promossa, la modificazione della contestazione, cui provvede il procuratore generale presso la Corte di cassazione.

3. Il presidente della sezione disciplinare fissa, con proprio decreto, il giorno della discussione orale, con avviso ai testimoni e ai periti.

4. Il decreto di cui al comma 3 è comunicato, almeno dieci giorni prima della data fissata per la discussione orale, al pubblico ministero e all'incolpato, nonché al difensore di quest'ultimo, se già designato.

5. Nel caso in cui il procuratore generale presso la Corte di cassazione ritenga che si debba escludere l'addebito presenta richiesta motivata alla sezione disciplinare per la declaratoria di non luogo a procedere. Della richiesta è data comunicazione al Ministro della giustizia, con invio di copia dell'atto.

6. Il Ministro della giustizia, entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 5, può richiedere copia degli atti del procedimento e, nei venti giorni successivi alla ricezione degli stessi, può richiedere al presidente della sezione disciplinare la fissazione dell'udienza di discussione orale, formulando l'incolpazione.

7. Decorsi i termini di cui al comma 6, sulla richiesta di non luogo a procedere la sezione disciplinare decide in camera di consiglio; se rigetta la richiesta, provvede nei modi previsti dai commi 3 e 4. Sulla richiesta del Ministro della giustizia di fissazione della discussione orale, si provvede nei modi previsti dai commi 3 e 4, e le funzioni di pubblico ministero, nella discussione orale, sono esercitate da un magistrato in servizio presso il Ministero della giustizia designato dal Ministro.

 

Art. 17.

(Discussione nel giudizio

disciplinare e decisione).

 

1. Nella discussione orale un componente della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura nominato dal presidente fa la relazione.

2. L'udienza non è pubblica, tranne diversa richiesta dell'incolpato; tuttavia, anche in tale ultimo caso, la sezione disciplinare, sentito il pubblico ministero, può disporre che la discussione non sia pubblica a tutela della credibilità della funzione giudiziaria, con riferimento ai fatti contestati ed all'ufficio che l'incolpato occupa.

3. La sezione disciplinare può assumere anche d'ufficio tutte le prove che ritiene utili, può disporre o consentire la lettura di rapporti dell'ispettorato generale del Ministero della giustizia, dei consigli giudiziari e dei dirigenti degli uffici, la lettura di atti dei fascicoli personali, nonché delle prove acquisite nel corso delle indagini; può consentire l'esibizione di documenti da parte del pubblico ministero e dell'incolpato. Si osservano, in quanto compatibili, le norme del codice di procedura penale sul dibattimento, ad eccezione di quelle che comportano l'esercizio di poteri coercitivi nei confronti dell'imputato, dei testimoni, dei periti e degli interpreti. Ai testimoni, periti ed interpreti si applicano le disposizioni di cui agli articoli 366, 372 e 373 del codice penale.

4. La sezione disciplinare delibera immediatamente dopo l'assunzione delle prove, le conclusioni del pubblico ministero e la difesa dell'incolpato; questi deve essere sentito per ultimo. Il pubblico ministero non assiste alla deliberazione in camera di consiglio.

5. Se non è raggiunta prova sufficiente dell'addebito, la sezione disciplinare ne dichiara esclusa la sussistenza.

6. I motivi della decisione sono depositati nella segreteria della sezione disciplinare entro un mese dalla deliberazione di cui al comma 4.

7. Dei provvedimenti adottati dalla sezione disciplinare è data comunicazione al Ministro della giustizia con invio di copia integrale, anche ai fini della decorrenza dei termini per la proposizione del ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione. Il Ministro può, altresì, richiedere copia degli atti del procedimento.

 

Art. 18.

(Rapporti con altri giudizi).

 

1. L'azione disciplinare è promossa indipendentemente dall'azione civile di risarcimento del danno o dall'azione penale relativa allo stesso fatto, fermo restando quanto previsto dall'articolo 13, comma 3.

2. Hanno autorità di cosa giudicata nel giudizio disciplinare soltanto la sentenza irrevocabile di condanna, nonché la sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione e quella irrevocabile di proscioglimento pronunciate perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non lo ha commesso.

 

Art. 19.

(Sospensione cautelare necessaria).

 

1. Su richiesta del Ministro della giustizia o del procuratore generale presso la Corte di cassazione, la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura sospende dalle funzioni e dallo stipendio e colloca fuori dal ruolo organico della magistratura il magistrato sottoposto a procedimento penale e nei cui confronti è stata adottata una misura cautelare personale.

2. La sospensione di cui al comma 1, ha effetto sino alla sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione o alla sentenza irrevocabile di proscioglimento; la sospensione deve essere revocata, anche d'ufficio, dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, quando la misura cautelare è revocata per carenza di gravi indizi di colpevolezza; la sospensione può essere revocata, anche d'ufficio, negli altri casi di revoca o di cessazione degli effetti della misura cautelare.

3. Al magistrato sospeso è corrisposto un assegno alimentare non eccedente i due terzi dello stipendio e delle altre competenze di carattere continuativo.

4. Il magistrato riacquista il diritto agli stipendi e alle altre competenze non percepiti, detratte le somme corrisposte per assegno alimentare, se è prosciolto con sentenza irrevocabile o se è pronunciata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione.

 

Art. 20.

(Sospensione cautelare facoltativa).

1. Quando il magistrato è sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo punibile, anche in via alternativa, con pena detentiva, o quando al medesimo possono essere ascritti fatti rilevanti sotto il profilo disciplinare che, per la loro gravità, sono incompatibili con l'esercizio delle funzioni, il Ministro della giustizia o il procuratore generale presso la Corte di cassazione possono chiedere la sospensione cautelare dalle funzioni e dallo stipendio anche prima dell'inizio del procedimento disciplinare.

2. La sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura convoca il magistrato con un preavviso di almeno tre giorni e provvede dopo aver sentito l'interessato o dopo aver constatato la sua mancata presentazione. Il magistrato può farsi assistere da altro magistrato o da un avvocato anche nel corso del procedimento di sospensione cautelare.

3. La sospensione può essere revocata dalla sezione disciplinare in qualsiasi momento, anche d'ufficio.

4. Ai fini di cui al presente articolo, si applicano le disposizioni di cui agli articoli 7, comma 6, e 19, commi 3 e 4.

 

Art. 21.

(Ricorso per Cassazione).

1. Contro i provvedimenti in materia di sospensione di cui agli articoli 19 e 20, e contro le decisioni della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura l'incolpato, il Ministro della giustizia e il procuratore generale presso la Corte di cassazione possono proporre ricorso per Cassazione, nei termini e con le forme previsti dal codice di procedura penale. Il ricorso ha effetto sospensivo del provvedimento impugnato.

2. La Corte di cassazione decide a sezioni unite, entro sei mesi dalla data di proposizione del ricorso.

 

Art. 22.

(Reintegrazione a seguito di sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento).

1. Il magistrato sottoposto a procedimento penale e cautelarmente sospeso ha diritto ad essere reintegrato a tutti gli effetti nella situazione anteriore, quando è prosciolto con sentenza irrevocabile, ovvero è pronunciata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione. Se il posto prima occupato non è vacante, ha diritto di scelta fra quelli disponibili, ed entro un anno può chiedere l'assegnazione ad ufficio analogo a quello originariamente ricoperto, con precedenza rispetto ad altri eventuali concorrenti.

 

Art. 23.

(Corresponsione degli arretrati

al magistrato sospeso).

 

1. La sospensione cautelare cessa di diritto quando diviene definitiva la pronuncia della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura che conclude il procedimento a carico del magistrato incolpato.

2. Se è pronunciata decisione di non luogo a procedere o se l'incolpato è assolto o condannato ad una sanzione diversa dalla rimozione o dalla sospensione dalle funzioni per un tempo pari o superiore alla durata della sospensione cautelare eventualmente disposta, al magistrato sono corrisposti gli arretrati dello stipendio e delle altre competenze non percepiti, detratte le somme già riscosse per assegno alimentare.

 

Art. 24.

(Revisione).

 

1. E' sempre ammessa la revisione delle decisioni divenute irrevocabili, con le quali è stata applicata una sanzione disciplinare, quando:

 

a) i fatti posti a fondamento della decisione risultano incompatibili con quelli accertati in una sentenza penale irrevocabile, ovvero in una sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione;

 

b) sono sopravvenuti o si scoprono, dopo la decisione, nuovi elementi di prova che, soli o uniti a quelli già esaminati nel procedimento disciplinare, dimostrano l'insussistenza dell'illecito;

 

c) il giudizio di responsabilità e l'applicazione della relativa sanzione sono stati determinati da falsità, ovvero da altro reato accertato con sentenza irrevocabile.

 

2. Gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono, a pena di inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare che, se accertati, debba essere escluso l'addebito o debba essere applicata una sanzione diversa da quella inflitta se trattasi della rimozione, ovvero se dalla sanzione applicata è conseguito il trasferimento d'ufficio.

 

Art. 25.

(Istanza di revisione).

 

1. La revisione può essere chiesta dal magistrato al quale è stata applicata la sanzione disciplinare o, in caso di morte o di sopravvenuta incapacità di questi, da un suo prossimo congiunto che vi abbia interesse anche soltanto morale.

2. L'istanza di revisione è proposta personalmente o per mezzo di procuratore speciale. Essa deve contenere, a pena di inammissibilità, l'indicazione specifica delle ragioni e dei mezzi di prova che la giustificano e deve essere presentata, unitamente ad eventuali atti e documenti, alla segreteria della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura.

3. Nei casi previsti dall'articolo 24, comma 1, lettere a) e c), all'istanza deve essere unita la copia autentica della sentenza penale.

4. La revisione può essere chiesta anche dal Ministro della giustizia e dal procuratore generale presso la Corte di cassazione, alle condizioni di cui all'articolo 24 e con le modalità di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo.

 

Art. 26.

(Provvedimenti sull'istanza di revisione).

 

1. La sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura acquisisce gli atti del procedimento disciplinare e, sentiti il Ministro della giustizia, il procuratore generale presso la Corte di cassazione, l'istante ed il suo difensore, dichiara inammissibile l'istanza di revisione se proposta fuori dai casi di cui al comma 2 dell'articolo 24, o senza l'osservanza delle disposizioni di cui al comma 2 dell'articolo 25, ovvero se risulta manifestamente infondata; in tutti gli altri casi, la sezione disciplinare dispone che si proceda al giudizio di revisione, al quale si applicano le norme stabilite per il procedimento disciplinare.

2. Contro la decisione che dichiara inammissibile l'istanza di revisione è ammesso ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione.

 

Art. 27.

(Giudizio di revisione).

 

1. In caso di accoglimento dell'istanza di revisione la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura revoca la precedente decisione.

2. Il magistrato assolto con decisione irrevocabile a seguito di giudizio di revisione ha diritto alla integrale ricostruzione della carriera, nonché a percepire gli arretrati dello stipendio e delle altre competenze non percepiti, detratte le somme corrisposte per assegno alimentare, rivalutati in base agli indici di svalutazione registrati dall'Istituto nazionale di statistica.

 

Art. 28.

(Riabilitazione).

 

1. Decorsi due anni dalla data del provvedimento con cui è stata inflitta la sanzione disciplinare, possono essere resi nulli gli effetti di essa, esclusa ogni efficacia retroattiva.

2. Il provvedimento di riabilitazione è adottato dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura.

 

Capo V

INCOMPATIBILITA' E INELEGGIBILITA'

DEI MAGISTRATI

 

Art. 29.

(Incompatibilità di funzioni e

ineleggibilità dei magistrati).

 

1. I magistrati non possono assumere impieghi pubblici o privati. Possono assumere l'ufficio di senatore, deputato, Ministro, sottosegretario di Stato, deputato al Parlamento europeo, consigliere regionale, provinciale, comunale, circoscrizionale, presidente della provincia, sindaco, componente della giunta regionale, provinciale o comunale, alle condizioni e con i limiti stabiliti dal presente articolo. I magistrati non possono esercitare libere professioni, anche se non ordinate in albi professionali, né attività industriali, commerciali o comunque imprenditoriali, fatta eccezione per le attività di insegnamento universitario e post-universitario, ove autorizzate dal Consiglio superiore della magistratura, e per la partecipazione gratuita ad organi ed enti con finalità culturali, scientifiche, sportive, di beneficienza e di volontariato.

2. I magistrati, esclusi quelli in servizio presso la Corte di cassazione, non possono essere eletti senatore, deputato, deputato al Parlamento europeo, consigliere regionale, provinciale, comunale, circoscrizionale, presidente della provincia o sindaco, nelle circoscrizioni elettorali sottoposte, in tutto o in parte, alla giurisdizione degli uffici ai quali si sono trovati assegnati o presso i quali hanno esercitato le loro funzioni in un periodo compreso nei due anni antecedenti la data di accettazione della candidatura. Non possono altresì essere eletti alle suddette cariche, né essere nominati componenti di una giunta regionale, provinciale o comunale, se all'atto dell'accettazione della candidatura o della nomina non si trovano in aspettativa.

3. Le disposizioni di cui al comma 2 si applicano anche in caso di scioglimento anticipato dell'assemblea elettiva.

4. I magistrati in servizio presso la Corte di cassazione possono essere eletti alle cariche di cui al comma 2 solo se in aspettativa almeno sei mesi prima della data di convocazione dei comizi elettorali e, nel caso di scioglimento anticipato dell'assemblea elettiva, entro sette giorni dalla data del decreto di scioglimento, purché non si tratti di una circoscrizione elettorale presso la quale hanno esercitato giurisdizione negli ultimi due anni. Non possono essere nominati componenti di una giunta regionale, provinciale o comunale se non si trovano in aspettativa all'atto della nomina.

5. Il primo comma dell'articolo 8 del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni, è abrogato.

 

Art. 30.

(Incompatibilità per vincoli di

parentela, coniugio o affinità).

 

1. Il magistrato non può essere assegnato o trasferito o comunque prestare servizio in un ufficio giudiziario nel quale esercita le funzioni di magistrato il coniuge, un parente o un affine sino al terzo grado. Il Consiglio superiore della magistratura può tuttavia derogare a tale divieto qualora, tenuto conto anche del numero delle sezioni che compongono l'ufficio, ritenga che non sussistono motivi di intralcio al corretto e regolare svolgimento della attività giudiziaria e che non è compromessa la credibilità della funzione giudiziaria.

2. Il magistrato non può esercitare le funzioni:

 

a) nell'ufficio dinanzi al quale svolge abitualmente la professione forense il coniuge, un parente in linea retta o un affine sino al terzo grado, salvo che il Consiglio superiore della magistratura accerti, anche in relazione al numero dei componenti l'ufficio, che le rispettive attività si svolgono in ambiti assolutamente distinti;

 

b) nel territorio del distretto ove è compreso l'ufficio innanzi al quale il coniuge o un parente in linea retta all'infinito o in linea collaterale sino al secondo grado ovvero un affine in linea retta è imputato di un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni o è sottoposto a procedimento per l'applicazione di una misura di prevenzione, a condizione che, avuto riguardo ai suoi rapporti con l'imputato, alla funzione da lui esercitata ed al numero dei componenti l'ufficio, risulti gravemente compromessa la fiducia nel regolare svolgimento della funzione giudiziaria. L'incompatibilità permane sino a quando il procedimento pende dinanzi ad uno degli uffici del distretto;

 

c) nella sede del proprio ufficio quando il coniuge o un parente in linea retta o collaterale sino al secondo grado, ovvero altro parente o affine con lui convivente tenga ivi una condotta che, per la natura riprovevole e la notorietà, anche in relazione alla dimensione territoriale dell'ufficio, compromette gravemente la fiducia nella imparzialità o nella correttezza della funzione giudiziaria.

3. Agli effetti del presente articolo al rapporto di coniugio è parificata la convivenza di fatto.

 

Art. 31.

(Destinazione ad altre funzioni o

trasferimento ad altra sede per

incompatibilità o per inettitudine).

 

1. Salvo quanto disposto dagli articoli 8 e 9, il magistrato, anche senza il suo consenso, è destinato ad altre funzioni o è trasferito ad altra sede quando si trova in uno dei casi di incompatibilità previsti dall'articolo 30 o quando, per qualsiasi causa, anche indipendentemente da sua colpa e prescindendo da ogni valutazione in ordine a provvedimenti emessi nell'espletamento dell'attività giurisdizionale, non può, nella sede o nell'ufficio che occupa, amministrare la giustizia nelle condizioni richieste per la credibilità della funzione.

2. Il magistrato dirigente dell'ufficio è destinato, anche senza il suo consenso, ad altre funzioni non direttive quando risulta oggettivamente inidoneo all'incarico ricoperto.

 

Art. 32.

(Norme procedimentali).

 

1. Nelle ipotesi previste dagli articoli 30 e 31, il magistrato interessato o il dirigente dell'ufficio, ovvero il magistrato cui compete il potere di sorveglianza che hanno avuto comunque notizia di una delle situazioni previste ai citati articoli, hanno l'obbligo di denunciarla al Consiglio superiore della magistratura entro il termine di quindici giorni dalla data in cui ne sono venuti a conoscenza. Il Consiglio superiore della magistratura può anche essere attivato su richiesta del Ministro della giustizia, ovvero d'ufficio.

2. La competente commissione del Consiglio superiore della magistratura, compiuti tempestivamente eventuali accertamenti preliminari, se non ritiene di proporre al Consiglio l'archiviazione, dispone l'apertura della procedura di trasferimento, dandone immediatamente avviso all'interessato ed avvertendolo che può essere sentito, anche a sua richiesta, con l'eventuale assistenza di altro magistrato o di un avvocato. Le indagini devono essere svolte entro il termine di tre mesi dalla comunicazione dell'avviso di cui al presente comma.

3. Esaurite le indagini, gli atti della procedura sono depositati nella segreteria della commissione di cui al comma 2, del deposito è dato immediato avviso all'interessato che, nei venti giorni successivi alla ricezione dell'avviso, ha facoltà di prendere visione degli atti, di estrarne copia e di presentare eventuali controdeduzioni scritte.

4. Decorso il termine di cui al comma 3, la commissione, ove non debbano essere compiuti ulteriori accertamenti, propone al Consiglio superiore della magistratura entro i successivi trenta giorni il trasferimento d'ufficio del magistrato o l'archiviazione degli atti.

5. La data della seduta fissata dal Consiglio superiore della magistratura per la decisione è comunicata almeno venti giorni prima all'interessato, che ha diritto di essere sentito personalmente con l'assistenza di altro magistrato o di un avvocato. Il Consiglio decide con provvedimento motivato entro tre mesi dalla scadenza del termine di cui al comma 4.

6. La procedura di trasferimento d'ufficio non può essere iniziata o proseguita se il magistrato è stato, a domanda, trasferito ad altra sede o destinato ad altre funzioni, ed è conseguentemente cessata la situazione di incompatibilità.

7. Nel caso previsto dalla lettera b) del comma 2 dell'articolo 30, il magistrato deve essere trasferito ad altro distretto. Quando il procedimento penale che ha determinato l'incompatibilità si conclude con sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento o quando la proposta per l'applicazione della misura di prevenzione viene rigettata, il magistrato che ne fa domanda è destinato all'ufficio di provenienza o ad altro ufficio della stessa sede, anche in soprannumero.

 

Art. 33.

(Dispensa dal servizio, collocamento

in aspettativa o destinazione ad

altre funzioni per infermità).

 

1. Il magistrato è dispensato dal servizio se per qualsiasi infermità permanente o per sopravvenuta inettitudine non può adempiere convenientemente ed efficacemente ai doveri del proprio ufficio.

2. Se l'infermità ha carattere temporaneo, il magistrato può essere collocato d'ufficio in aspettativa fino al termine massimo consentito dalle disposizioni vigenti. Decorso tale termine, il magistrato che ancora non si trova in condizioni di essere richiamato dall'aspettativa è dispensato dal servizio.

3. Il magistrato può essere destinato ad altre funzioni senza il suo consenso quando le sue condizioni di salute pregiudicano in modo grave lo svolgimento della specifica funzione giudiziaria di cui è investito.

4. Ai fini di cui al presente articolo si applicano le disposizioni dei commi da 1 a 5 dell'articolo 32. Nel corso della procedura il magistrato può farsi assistere anche da un perito di propria fiducia.

5. Nel caso previsto dal comma 3, la procedura non può essere iniziata o proseguita se il magistrato, a domanda, è stato destinato ad altre funzioni compatibili con il suo stato di salute.

6. La sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, ove pronunci non luogo a procedere per infermità di mente dell'incolpato, trasmette gli atti alla competente commissione referente affinché sia attivato immediatamente il procedimento di dispensa dal servizio.

 

Art. 34.

(Divieto di iscrizione ai partiti politici).

 

1. Ai magistrati è fatto divieto di iscrizione ai partiti politici.

2. La violazione della disposizione di cui al comma 1 è punita con una sanzione non superiore alla censura.

 

Art. 35.

(Incarichi conferiti dopo la

cessazione dalle funzioni).

 

1. I magistrati cessati dalle proprie funzioni per raggiunti limiti di età non possono rivestire nell'anno successivo incarichi conferiti discrezionalmente dal Governo, dalle regioni o da altre pubbliche amministrazioni. Il termine è elevato a due anni se la cessazione dalle funzioni avviene per altra causa.

 

Capo VI

INCARICHI EXTRAGIUDIZIARI

 

Art. 36.

(Incarichi consentiti).

 

1. I magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari non possono assumere incarichi extragiudiziari, sia compatibili che incompatibili con l'esercizio contemporaneo della funzione giudiziaria, se non nei seguenti casi:

 

a) addetto al Segretariato generale della Presidenza della Repubblica;

 

b) addetto agli uffici legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri e dei Ministeri;

 

c) addetto alla Corte costituzionale;

 

d) componente degli uffici del Consiglio superiore della magistratura e degli altri organi di autogoverno;

 

e) componente dell'ufficio di gabinetto e dell'ispettorato generale del Ministero della giustizia;

 

f) addetto ad organismi internazionali per lo svolgimento di attività connesse all'esercizio della giurisdizione o alle competenze del Ministero della giustizia;

g) addetto al Ministero della giustizia, nei limiti di cui al comma 2;

 

h) incarichi di insegnamento universitario e post-universitario e presso scuole ed istituti di formazione della pubblica amministrazione, nonché di studio e di ricerca, purché gli incarichi siano conferiti da un ente pubblico;

 

i) incarichi conferiti da enti o da associazioni con finalità religiose, sociali, scientifiche, culturali, di beneficienza e di volontariato, purché per essi non sia previsto alcun tipo di emolumento, neppure a titolo di rimborso spese.

 

2. Nell'ambito del Ministero della giustizia sono riservate ai magistrati ordinari le funzioni in tema di:

 

a) rapporti con il Consiglio superiore della magistratura;

 

b) attività in materia legislativa;

 

c) attività ispettiva;

 

d) attività di assistenza tecnico-giuridica ai consigli nazionali professionali;

 

e) organizzazione giudiziaria;

 

f) reclutamento e stato giuridico dei magistrati;

 

g) elezione del Consiglio superiore della magistratura e dei consigli giudiziari;

 

h) affari civili e delle libere professioni;

 

i) ordinamento e vigilanza sugli ordini e sui collegi professionali;

 

l) affari penali;

 

m) giustizia minorile.

 

3. Le funzioni di cui alle lettere a), b), c), e), f), g) e h) del comma 1 sono equiparate a tutti gli effetti a quelle giudiziarie e quelle esercitate dai magistrati addetti alla Corte costituzionale restano equiparate a quelle esercitate dai magistrati applicati all'ufficio del massimario e del ruolo presso la Corte di cassazione.

4. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 3 dell'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come sostituito dal comma 5 del presente articolo, i magistrati in servizio presso il Ministero della giustizia, non addetti agli uffici di cui al comma 2, sono ricollocati in ruolo con le normali procedure concorsuali o altrimenti destinati, anche in soprannumero, agli uffici cui essi erano assegnati prima del collocamento fuori ruolo.

5. Il comma 3 dell'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, è sostituito dal seguente:

 

"3. Ai fini previsti dal comma 2, con apposito regolamento, da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono emanate norme dirette a determinare gli incarichi consentiti e quelli vietati agli avvocati e procuratori dello Stato".

6. Il regolamento di cui al comma 3 dell'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come sostituito dal comma 5 del presente articolo, deve essere emanato entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge ed ai sensi delle disposizioni della stessa stabilite.

 

Art. 37.

(Disciplina degli incarichi consentiti).

 

1. Gli incarichi che è consentito al magistrato svolgere devono essere autorizzati, per i magistrati ordinari dal Consiglio superiore della magistratura e per i magistrati amministrativi, contabili e militari dai rispettivi organi di autogoverno.

2. Gli incarichi autorizzati ai sensi del comma 1 non possono comunque avere durata superiore a sette anni. Il Consiglio superiore della magistratura e gli altri organi di autogoverno possono tuttavia autorizzare una proroga per non più di tre anni, comunque non rinnovabile, tenuto conto di particolari e gravi esigenze connesse all'incarico espletato.

3. Un successivo incarico, comunque richiesto, può essere autorizzato solo se, dopo l'incarico già svolto, sono decorsi almeno cinque anni.

4. Nei casi previsti dal comma 1, lettere a), b), c), d), e), f), g) e h) del comma 1 dell'articolo 36, il magistrato è collocato fuori ruolo. Il periodo di collocamento fuori ruolo non può superare i sette anni. Per esigenze di servizio tale periodo può essere prolungato, per una sola volta, per ulteriori tre anni.

5. Le disposizioni di cui al comma 2 non si applicano con riferimento agli incarichi assunti prima della data di entrata in vigore della presente legge. Le disposizioni di cui al comma 4, secondo e terzo periodo, si applicano a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge.

6. Ai magistrati non si applica il comma 2, secondo periodo, limitatamente alla previsione della facoltà di rinnovo dell'incarico, dell'articolo 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

 

Art. 38.

(Pubblicità degli incarichi esterni).

 

1. Presso il Consiglio superiore della magistratura e gli altri organi di autogoverno sono tenuti elenchi, aggiornati sino al mese precedente, di tutti gli incarichi esterni rivestiti e dei compensi percepiti dai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari.

2. Gli elenchi di cui al comma 1 sono pubblici e ciascun cittadino può prenderne visione.

3. Il Consiglio superiore della magistratura e gli altri organi di autogoverno disciplinano le modalità di esercizio della facoltà di consultazione degli elenchi di cui al comma 1.

 

Art. 39.

(Divieto di partecipazione ad arbitrati

o a commissioni giudicatrici).

 

1. I magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari non possono fare parte di commissioni di collaudo di opere e lavori pubblici, né possono espletare incarichi di arbitrato, neppure nei casi in cui è parte l'amministrazione dello Stato, ovvero un'azienda o un ente pubblico, ivi compresi quelli previsti dal capitolato generale per le opere di competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

2. I magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari non possono fare parte di commissioni giudicatrici d'esame e di concorso, ad eccezione di quelle relative all'accesso e alla progressione nelle carriere di magistrato ordinario amministrativo, contabile e militare, nelle carriere di avvocato e procuratore dello Stato ed in quelle nell'amministrazione della giustizia e nelle professioni di avvocato, procuratore legale e di notaio.

 

Capo VII

DISPOSIZIONI FINALI

 

Art. 40.

(Norme abrogate).

 

1. Sono abrogate le seguenti disposizioni: articoli 12, secondo comma, 16, primo comma, 18 e 19, primo e secondo comma, dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12; articoli 2, secondo comma, 3, 4, 17, 18, 19, 20, 21 e da 28 a 37 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511; articoli 4, 6 e 17, terzo comma, della legge 24 marzo 1958, n. 195, e successive modificazioni; articoli 55, 57, 58, 59, 60, 61, 62 e 65 del decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre 1958, n. 916, e successive modificazioni.

2. I regolamenti di cui ai decreti del Presidente della Repubblica 6 ottobre 1993, n. 418, e 27 luglio 1995, n. 388, sono abrogati.

 

Art. 41.

(Entrata in vigore).

 

1. La presente legge entra in vigore il sessantesimo giorno dalla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

 

 


N. 1630

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

¾¾¾¾¾¾¾¾

PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato FRAGALA'

¾

 

Modifiche all'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, in materia di tramutamenti successivi dei magistrati e di temporaneità delle funzioni e degli incarichi direttivi in magistratura

 

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Presentata il 21 settembre 2001

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Onorevoli Colleghi! - Preso atto della grave crisi dell'amministrazione della giustizia nel corso degli ultimi anni, mentre continua il dibattito sui grandi temi delle riforme dell'ordinamento, appare opportuno prospettare la possibilità di modifiche specifiche che, senza esigere i tempi e le modalità di approfondimento e di discussione delle leggi quadro, abbiano una immediata incidenza concreta e contribuiscano ad avviare a soluzione taluni problemi, in attesa di interventi di respiro più ampio.

La proposta di legge (che riproduce il testo già presentato nella XIII legislatura, atto Camera n. 2043) prende in considerazione due distinte questioni, sulle quali sono state avanzate proposte nelle legislature precedenti, accomunate dal loro riferirsi all'ordinamento giudiziario, e dalla necessità - posta a base delle modifiche che si ipotizzano - di rendere più efficiente il lavoro dei magistrati; si tratta della fissazione di limiti temporali, nuovi rispetto a quelli già esistenti, per l'esercizio delle funzioni dei magistrati, e per la titolarità degli stessi uffici direttivi.

L'articolo 1 della proposta di legge affronta il problema della permanenza del magistrato nelle stesse funzioni e nel medesimo ufficio: si tratta di una presenza che, se continuativa, al pregio della esperienza specifica e della maggiore speditezza nella trattazione delle controversie o dei procedimenti, contrappone il rischio di una identificazione della persona con la funzione, e quindi - e al tempo stesso - di una certa sclerosi nell'adempimento delle funzioni, di un impoverimento del bagaglio culturale e professionale del magistrato, dipendente anche dalla diversificazione delle esperienze di lavoro, e - se pure in misura più ridotta, in dipendenza del tipo di funzioni svolte - della esposizione alla creazione di veri e propri centri di interesse e di potere.

Il Consiglio superiore della magistratura ha provveduto nel 1995 con propria circolare a fissare il termine massimo di permanenza in dieci anni: il periodo di tempo appare congruo per eliminare, o quanto meno per limitare, i pericoli e i rischi cui si è appena fatto cenno; può dunque essere mutuato in un testo legislativo che, per sua natura, inserendosi nel contesto dell'ordinamento giudiziario, è più adeguato a disciplinare la materia rispetto a una fonte normativa secondaria. Non è opportuno diversificare a seconda delle funzioni, fissando limiti differenti in relazione, per esempio, all'esercizio delle funzioni di pubblico ministero, o di giudice monocratico, o di giudice di un collegio: è veramente impossibile, pur essendo talune funzioni più delicate rispetto ad altre, prevedere norme sulla temporaneità che siano applicabili, all'interno degli uffici, ad alcune funzioni e non ad altre, tanto più che negli uffici piccoli e medi le funzioni diverse sono esercitate cumulativamente.

La norma prevede, altresì, che il Consiglio superiore della magistratura disponga il trasferimento d'ufficio del magistrato che non ha richiesto il trasferimento prima della scadenza del termine, ferma restando la facoltà di quest'ultimo di segnalare le proprie preferenze, che il Consiglio deve considerare nel proprio provvedimento.

L'articolo 2 pone un termine massimo alla permanenza negli uffici direttivi. Al riguardo, si fa presente che alcune correnti di pensiero propongono che tale limite sia fissato a quattro anni, al termine dei quali un qualsiasi incarico direttivo può essere conferito soltanto dopo quattro anni dalla cessazione del primo, con destinazione nel frattempo del magistrato ad altra sede disponibile.

Non si condivide tale impostazione, che - pur apprezzabile nell'intento di non far coincidere il conferimento di un incarico direttivo con l'ascesa a un "trono giudiziario" senza alcun limite - appare tuttavia penalizzante verso magistrati che si trovano in una fase avanzata della carriera e che certamente conoscerebbero più di una ragione di disagio nel retrocedere dalla direzione di un ufficio a una diversa funzione; con la conseguenza di aprire la strada a pensionamenti anticipati di persone la cui esperienza anche di dirigenti va tutelata e non dispersa. I quattro anni sembrano poi pochi per consentire l'adeguata direzione di un ufficio, che esige una fase iniziale di studio e di impostazione della realtà sulla quale si incide.

E' sembrato opportuno fissare il limite massimo in sette anni, senza porre ostacoli al successivo esercizio da parte dello stesso magistrato della direzione di un altro ufficio giudiziario. Si tratta peraltro di un limite congruo per consentire di individuare, all'approssimarsi del termine settennale, altre sedi giudiziarie disponibili, e quindi per presentare le relative domande.

Qualora non sia presentata la domanda, vale il medesimo meccanismo di trasferimento d'ufficio stabilito all'articolo 1.

 


 


 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. Dopo l'articolo 194 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n 12, è inserito il seguente:

 

"Art. 194-bis. - (Temporaneità delle funzioni). - 1. Salvo quanto previsto dall'articolo 195-bis, i magistrati non possono esercitare le stesse funzioni in uno stesso ufficio giudiziario per un periodo superiore a dieci anni.

2. Il Consiglio superiore della magistratura provvede al trasferimento d'ufficio del magistrato che non ha richiesto il trasferimento prima della scadenza del termine. In ogni caso il magistrato ha facoltà di segnalare le proprie preferenze, delle quali il Consiglio tiene conto nel provvedimento".

 

Art. 2.

 

1. Dopo l'articolo 195 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, è inserito il seguente:

 

"Art. 195-bis. - (Temporaneità degli incarichi direttivi). - 1. I magistrati che svolgono incarichi direttivi non possono esercitare le stesse funzioni in uno stesso ufficio giudiziario per un periodo superiore a sette anni.

2. Il Consiglio superiore della magistratura provvede al trasferimento d'ufficio del magistrato che non ha richiesto il trasferimento prima della scadenza del termine. In ogni caso il magistrato ha facoltà di segnalare le proprie preferenze, anche in ordine ad altri uffici direttivi, delle quali il Consiglio tiene conto nel provvedimento".

 

 


N. 1631

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

¾¾¾¾¾¾¾¾

PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato FRAGALA'

¾

 

Modifiche all'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, in materia di temporaneità degli uffici direttivi e dell'esercizio delle funzioni requirenti nella magistratura ordinaria

 

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Presentata il 21 settembre 2001

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge rielabora un testo già approvato dal Comitato ristretto della II Commissione (Giustizia) della Camera dei deputati nella XII legislatura e già presentato nella XIII legislatura (atto Camera n. 2227) in tema di temporaneità degli uffici direttivi nella magistratura ordinaria.

Le ragioni che impongono l'introduzione di tale principio nell'ordinamento giudiziario, accogliendo anche una istanza unanimemente avanzata dalla magistratura associata ormai da numerosi anni, sono talmente note che è superfluo richiamarle in questa sede. Ogni ulteriore differimento sarebbe ingiustificabile.

Al fine della concreta attuazione del citato principio, nella presente proposta di legge:

 

a) si è determinato in quattro anni il periodo di permanenza massima nella titolarità dell'ufficio direttivo e si è previsto il necessario rispetto di un intervallo di almeno quattro anni prima dell'eventuale conferimento al medesimo magistrato di un ufficio della stessa natura; tale soluzione appare idonea ad evitare che si possa realizzare una sorta di "carriera" in dette funzioni attraverso il passaggio da un ufficio direttivo all'altro senza dover adottare più rigide soluzioni auspicate dall'Associazione nazionale magistrati (due soli quadrienni nel corso dell'intera "carriera in magistratura");

 

b) si è previsto che alla scadenza del quadriennio il magistrato venga destinato d'ufficio, anche in soprannumero, presso altro ufficio della stessa sede, salva la possibilità per il medesimo di partecipare ai successivi concorsi per tramutamento o conferimento di diverse funzioni; solo in tal modo, infatti, sembra possibile assicurare la tempestiva cessazione dall'incarico e, al tempo stesso, assicurare parità di trattamento tra tutti i magistrati nei concorsi per la copertura dei posti vacanti.

Ragioni analoghe a quelle relative agli uffici direttivi e, in particolare, l'esigenza di evitare che si creino le condizioni per il consolidarsi di possibili "centri di potere" e, al tempo stesso, quella di assicurare la pari dignità di tutte le funzioni giurisdizionali, consigliano l'estensione del principio della temporaneità anche ad alcune funzioni monocratiche.

Le preannunciate iniziative legislative relative agli organi giudicanti consigliano, peraltro, di limitare, allo stato, l'introduzione di tale principio alle sole funzioni requirenti.

In questa prospettiva, tenendo anche conto del dibattito in corso sugli uffici di procura, si è ritenuto opportuno introdurre il limite temporale (sette anni, per evidenti esigenze di non incidere sulla funzionalità degli uffici) con riferimento alla permanenza presso gli uffici requirenti di un unico distretto.

Nell'articolo 3 si è poi disciplinata la fase di passaggio dalla precedente alla nuova disciplina tenendo conto, da un lato, dell'esigenza di assicurare la funzionalità degli uffici e, dall'altro, dei tempi necessari al Consiglio superiore della magistratura per assicurare la tempestiva copertura delle vacanze (altrimenti impossibile qualora la scadenza del periodo massimo di permanenza presso l'ufficio avvenga contestualmente a data fissa).

 

 


 


 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. Dopo l'articolo 195 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, è inserito il seguente:

 

"Art. 195-bis. - (Temporaneità degli uffici direttivi). - 1. Gli uffici direttivi sono conferiti per un periodo di quattro anni.

2. Alla scadenza del relativo incarico, i magistrati sono destinati d'ufficio, anche in soprannumero, presso altro ufficio giudiziario della stessa sede e possono, senza alcun obbligo di permanenza per un periodo minimo, presentare domanda per un successivo tramutamento o conferimento di funzioni presso un altro ufficio giudiziario, con la sola esclusione dell'attribuzione di un nuovo incarico direttivo prima che siano decorsi almeno quattro anni dalla cessazione del precedente.

3. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano agli uffici direttivi presso la Corte di cassazione".

 

Art. 2.

 

1. Dopo l'articolo 195-bis dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, introdotto dall'articolo 1 della presente legge, è inserito il seguente:

 

"Art. 195-ter. - (Temporaneità delle funzioni requirenti). - 1. I magistrati non possono esercitare funzioni requirenti presso gli uffici giudiziari del medesimo distretto per un periodo superiore a sette anni.

2. Alla scadenza del periodo di cui al comma 1, i magistrati sono destinati d'ufficio, anche in soprannumero, presso altro ufficio giudiziario della stessa sede e possono, senza alcun obbligo di permanenza per un periodo minimo, presentare domanda per il tramutamento o il conferimento di funzioni presso altro ufficio giudiziario con la sola esclusione, nei tre anni successivi, degli uffici requirenti dello stesso distretto.

3. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano agli uffici presso la Corte di cassazione".

 

Art. 3.

 

1. Per i magistrati che alla data di entrata in vigore della presente legge hanno già maturato il periodo di quattro o sette anni previsto dagli articoli 195-bis e 195-ter dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, introdotti dagli articoli 1 e 2 della presente legge, il Consiglio superiore della magistratura adotta il provvedimento di destinazione d'ufficio alla scadenza di un ulteriore anno di permanenza nell'ufficio direttivo o di esercizio delle funzioni requirenti.

2. Per i magistrati che alla data di entrata in vigore della presente legge sono già titolari di un ufficio direttivo o esercitano funzioni requirenti senza aver maturato il periodo massimo indicato al comma 1, tale periodo è aumentato, rispettivamente, a cinque e ad otto anni.

 

Art. 4.

 

1. La presente legge entra in vigore novanta giorni dopo la data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

2. Entro il termine di cui al comma 1, il Consiglio superiore della magistratura individua gli uffici che si renderanno vacanti nei sei mesi successivi a seguito dell'attuazione della presente legge e provvede alla immediata pubblicazione dei loro elenchi per la relativa copertura.

 

 

 


 

N. 1913

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

¾¾¾¾¾¾¾¾

PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa dei deputati

GAZZARA, TABORELLI, D'ALIA, ANGELINO ALFANO, AMATO, ARACU, BLASI, CALIGIURI, CAMINITI, CAPUANO, CROSETTO, DE GHISLANZONI CARDOLI, DI TEODORO, FRATTA PASINI, GERMANA', GIUDICE, LENNA, MAURO, ORSINI, PALUMBO, PATRIA, PERROTTA, SANTORI, SARO, SCALTRITTI, SPINA DIANA, TARDITI, VIALE

¾

 

Disposizioni per il conferimento di taluni incarichi giudiziari a tempo determinato

 

¾¾¾¾¾¾¾¾

Presentata il 7 novembre 2001

¾¾¾¾¾¾¾¾

 


Onorevoli Colleghi! - Le recenti, a volte disarticolate, riforme in materia di giustizia non hanno, per la verità, risolto i principali problemi di crisi di quel servizio che, per il ruolo fondamentale che riveste, si tramuta in crisi di tutta la società.

Le lungaggini dei processi rappresentano uno degli aspetti più importanti di tale crisi.

Infatti, a prescindere dalla bontà della procedura e, soprattutto, dalla decisione finale, la durata del giudizio è di per sé la più grave delle ingiustizie.

Non si è trovata una soluzione per tale patologia e, nonostante tutto, ad oggi non si è convinti che un importante positivo risultato si potrebbe ottenere con un adeguato aumento del numero dei giudici e degli addetti al settore.

Senza dire, comunque, che, al proposito, si pone pure un problema di costi che rendono difficile l'aumento consistente degli organici.

Ecco perché, da tempo, si fa ricorso ai giudici onorari che ricoprono funzioni delicate, svolgono compiti significativi, maturano esperienze rilevanti ma non perdono la "qualità" di precari, anche se di un certo livello, non maturano alcuna "anzianità" ai fini previdenziali, non hanno retribuzione adeguata, non hanno la compiuta dignità del ruolo potendo nel contempo esercitare la professione di avvocato, non hanno stimoli sufficienti nonostante l'esperienza a volte veramente pregevole maturata. Se oggi, di colpo, mancassero i giudici onorari le udienze si bloccherebbero.

A volte si è pensato ad un inquadramento diverso, idoneo all'utilizzo proficuo e positivo di tali risorse che spesso hanno consentito il mantenimento d'immagine alla "Giustizia" con la maiuscola in forza di un impegno costante, nascosto e lodevole.

La presente proposta di legge prevede la possibilità di conferire, anche in via straordinaria e al fine di smaltire la mole di lavoro accumulato, che poi diventa inevitabilmente "arretrato", l'incarico di assistente dei giudici dell'ufficio del tribunale ordinario nonché quello di vice procuratore addetto ai magistrati dell'ufficio del pubblico ministero, di durata quinquennale e rinnovabile, agli avvocati che abbiano maturato esperienza professionale.

Il numero complessivo degli incarichi è limitato nel massimo (non può superare la metà di quello dei magistrati di ruolo).

Lo stipendio ed il trattamento previdenziale ed assistenziale sono equiparati a quelli degli uditori giudiziari.

Sono regolamentate la modalità di presentazione della domanda, la procedura per la definizione della graduatoria, l'assegnazione delle sedi e le funzioni che gli incaricati dovranno svolgere.

Si prevedono la cancellazione dall'albo professionale di appartenenza, la possibilità di reiscrizione (con il computo, ai fini dell'anzianità, del periodo in cui sono state svolte le funzioni) e le incompatibilità operanti per i magistrati.

Si prevede una riserva di posti, pari ad un quinto, nei concorsi ordinari per la nomina a uditore giudiziario. Si stabilisce, infine, che il servizio prestato è valutato come titolo nei concorsi indetti dalla pubblica amministrazione.


 

 


 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. Il Ministro della giustizia, previa deliberazione del Consiglio superiore della magistratura, può conferire agli avvocati che esercitino la professione da almeno 10 anni, o che abbiano svolto le funzioni di giudici onorari di tribunale o di vice procuratori onorari per due trienni, incarichi a tempo determinato in qualità di assistente del giudice dell'ufficio del tribunale ordinario ovvero di vice procuratore addetto ai magistrati dell'ufficio del pubblico ministero. L'incarico ha durata di cinque anni e può essere rinnovato una sola volta.

2. Il Ministro della giustizia può sempre revocare gli incarichi di cui al comma 1 con provvedimento motivato, sentito il Consiglio superiore della magistratura. 3. Il numero degli assistenti dei giudici dell'ufficio del tribunale ordinario, nonché quello dei vice procuratori addetti ai magistrati dell'ufficio del pubblico ministero non potrà essere superiore alla metà di quello dei magistrati di ruolo previsti in organico per l'ufficio interessato.

4. Al personale di cui al presente articolo è corrisposto lo stipendio e il trattamento previdenziale ed assistenziale spettante agli uditori giudiziari con tutte le indennità previste a favore del personale dell'amministrazione giudiziaria e con tutti i successivi miglioramenti.

 

Art. 2.

 

1. Per il conferimento dell'incarico a tempo determinato gli interessati devono presentare, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, apposita domanda indirizzata al Ministro della giustizia, inoltrandola per il tramite della procura della Repubblica del luogo di residenza.

2. Ai fini del conferimento dell'incarico, costituiscono titoli di preferenza, nell'ordine:

 

a) l'anzianità di esercizio delle funzioni giudiziarie svolte ai sensi degli articoli 32, 34, 71 e 72, dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941 n. 12, e successive modificazioni, unitamente alle informazioni raccolte sulle attitudini allo svolgimento delle funzioni giudiziarie, sulle capacità e sulla condotta dell'aspirante durante l'esercizio delle funzioni di magistrato onorario;

 

b) la disponibilità a prestare servizio presso le sedi dei tribunali ordinari e delle procure della Repubblica definite disagiate o a rischio.

 

Art. 3.

 

1. Una apposita commissione, nominata dal Ministro della giustizia, entro un mese dalla scadenza del termine di presentazione delle domande di cui all'articolo 2, redige entro i successivi tre mesi, graduatorie nominative separate per gli assistenti dei giudici dell'ufficio del tribunale ordinario e per i vice procuratori addetti ai magistrati dell'ufficio del pubblico ministero. Tali graduatorie sono dal Ministro della giustizia trasmesse al Consiglio superiore della magistratura. Il Ministro, previa deliberazione del Consiglio superiore della magistratura, può procedere al conferimento dell'incarico.

2. L'assegnazione alle sedi avviene entro e non oltre un mese dalla nomina.

 

Art. 4.

 

1. Gli assistenti dei giudici dell'ufficio del tribunale ordinario coadiuvano i componenti del tribunale in composizione sia monocratica sia collegiale in tutte le funzioni ad essi attribuite dall'ordinamento giudiziario e dalle altre leggi; in caso di mancanza o impedimento del giudice monocratico nonché di qualcuno dei giudici necessari per costituire il collegio giudicante li sostituiscono con provvedimento emanato dal presidente del tribunale; svolgono il lavoro giudiziario a loro assegnato dal presidente del tribunale.

 

Art. 5.

 

1. I vice procuratori addetti ai magistrati dell'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale ordinario coadiuvano i medesimi nello svolgimento delle funzioni attribuite dall'ordinamento giudiziario nonché dal codice di procedura penale e dalle altre leggi.

2. I vice procuratori sono designati dal procuratore della Repubblica a svolgere le funzioni di pubblico ministero:

 

a) nelle indagini, nell'udienza preliminare nonché nell'udienza dibattimentale per i reati per i quali il tribunale giudica in composizione monocratica, sia per quelli per i quali procede con citazione diretta sia per quelli per i quali procede con udienza preliminare;

 

b) nell'udienza di convalida dell'arresto o del fermo e nel giudizio direttissimo;

 

c) nella richiesta di emissione di decreto penale di condanna ai sensi degli articoli 459, comma 1, e 565 del codice di procedura penale;

 

d) nei procedimenti in camera di consiglio di cui all'articolo 127 del codice di procedura penale, nei procedimenti di esecuzione ai fini dell'intervento di cui all'articolo 655, comma 2, del medesimo codice e nei procedimenti di opposizione al decreto del pubblico ministero di liquidazione del compenso ai periti, consulenti tecnici e traduttori ai sensi dell'articolo 11 della legge 8 luglio 1980, n. 319;

 

e) nei procedimenti civili.

 

3. Il vice procuratore designato svolge le funzioni di pubblico ministero con piena autonomia e può essere sostituito solo nei casi previsti dal codice di procedura penale.

 

Art. 6.

 

1. Gli avvocati devono essere cancellati dall'albo professionale di appartenenza all'atto del conferimento dell'incarico di cui all'articolo 1, alla cessazione del quale, a domanda e in presenza dei previsti requisiti, sono nuovamente iscritti computandosi, ai fini pensionistici, il periodo durante il quale hanno esercitato l'incarico.

 

Art. 7.

 

1. Agli assistenti dei giudici dell'ufficio di tribunale ordinario ed ai vice procuratori addetti all'ufficio del pubblico ministero si applicano le norme sulle incompatibilità previste per i magistrati ordinari dagli articoli 16, 17, 18 e 19 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni.

 

 

Art. 8.

 

1. Nei concorsi ordinari per la nomina a uditore giudiziario un quinto dei posti è riservato, senza alcun limite di età, agli assistenti dei giudici dell'ufficio del tribunale ordinario nonché ai vice procuratori addetti ai magistrati dell'ufficio del pubblico ministero. Tali soggetti sono esonerati dal sostenere la prova preliminare prevista dall'articolo 123-ter dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni.

 

Art. 9.

 

1. Il servizio prestato a norma dell'articolo 1, nonché quello svolto a norma degli articoli 32, 34, 71 e 72 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, è valutato come titolo nei concorsi indetti dalle pubbliche amministrazioni.

 

 

 


N. 1940

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa dei deputati ANEDDA, TRANTINO, COLA, CRISTALDI, GIULIO CONTI, LAMORTE, CANNELLA, AMORUSO, ROSITANI, GIRONDA VERALDI, ANGELA NAPOLI, ANTONIO PEPE, GAMBA, MIGLIORI, SAGLIA, LISI, LO PRESTI, CATANOSO, SCALIA

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Norme in materia di responsabilità disciplinare, di incompatibilità e di incarichi estranei ai compiti di ufficio dei magistrati ordinari

 

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Presentata il 13 novembre 2001

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge riprende le indicazioni del testo unificato elaborato nella XI legislatura in sede legislativa dalla Commissione giustizia della Camera dei deputati. E' il risultato di un articolato dibattito e nasce dalla consapevolezza che il problema della responsabilità disciplinare dei magistrati debba essere ricondotto ad un sistema di regole chiare e precise. Esso va iscritto in un più ampio disegno riformatore rivolto ad assicurare il cittadino che avrà come interlocutori un giudice ed un pubblico ministero indipendenti e qualificati sotto il profilo della diligenza, della preparazione, della moralità e dell'equilibrio. Un ampio disegno riformatore sui protagonisti della giurisdizione sarà affrontato con separata iniziativa legislativa. Le sanzioni disciplinari non valgono a migliorare e a rendere efficiente il servizio giustizia, ma la regolamentazione è necessaria per rafforzare il prestigio della stessa magistratura.

In altri Paesi con tradizione costituzionale analoga a quella italiana ci si è da tempo resi conto che alla crescita del potere della magistratura deve corrispondere una crescita della responsabilizzazione dei magistrati. La tipicizzazione delle violazioni disciplinari è perseguita come via d'intreccio con altre innovazioni: il miglioramento nella selezione dei magistrati, ai quali deve essere assicurato un continuo aggiornamento professionale; le misure dirette ad assicurare la massima trasparenza alle vicende processuali ed alle decisioni che riguardano i magistrati.

La presente proposta di legge si propone di andare oltre i confini della mera responsabilità disciplinare per stimolare non soltanto la diligenza, la laboriosità, la riservatezza, ma, altresì, le reali - e tali devono anche apparire - imparzialità ed indipendenza che sono al centro del disegno costituzionale.

La proposta di legge è suddivisa in tre capi che raggruppano i punti essenziali della materia e modificano e razionalizzano il tessuto normativo vigente sparso in varie leggi e privo di un filo conduttore unico.

Il capo I comprende le disposizioni generali concernenti i doveri dei magistrati, le fattispecie di illecito disciplinare, la individuazione dell'organo di accusa, le cadenze temporali del procedimento.

Il capo II definisce le norme procedimentali, dall'esercizio dell'azione alla chiusura dell'istruttoria, dalla discussione alle impugnative, dal rapporto con altri giudizi ai provvedimenti cautelari.

Il capo III disciplina le incompatibilità.

 


 

 


 


proposta di legge

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Capo I

DISPOSIZIONI GENERALI

 

Art. 1.

(Principio di legalità).

 

1. I magistrati non possono essere sottoposti a procedimento o a sanzione disciplinare, né essere trasferiti di ufficio, se non nei casi e nelle forme previste dalla legge.

 

Art. 2.

(Doveri dei magistrati).

 

1. Il magistrato deve esercitare le funzioni attribuitegli con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità e riserbo.

2. In ogni atto dell'esercizio delle sue funzioni il magistrato deve rispettare la dignità della persona.

3. Anche fuori dall'esercizio delle sue funzioni il magistrato non deve tenere comportamenti che ne compromettono la credibilità.

4. La violazione dei doveri costituisce illecito disciplinare perseguibile nelle ipotesi previste dagli articoli 3, 4 e 5.

 

Art. 3.

(Illeciti disciplinari

nell'esercizio delle funzioni).

 

1. Costituiscono illecito disciplinare:

 

a) i comportamenti che, violando i doveri di cui all'articolo 2, arrecano illegittimo danno o vantaggio ad una delle parti; l'omissione di denuncia di una causa di incompatibilità o l'inosservanza dell'obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge; ogni altra violazione del dovere di imparzialità;

 

b) i comportamenti gravemente scorretti nei confronti delle parti, dei loro difensori, dei testimoni o di chiunque abbia rapporti con l'ufficio giudiziario, ovvero nei confronti di altri magistrati o di collaboratori; l'ingiustificata interferenza nell'attività di altro magistrato, attuata mediante l'esercizio delle funzioni; ogni altra rilevante violazione del dovere di correttezza;

 

c) la grave violazione di legge determinata da negligenza; il travisamento dei fatti determinato da negligenza inescusabile; il perseguimento di fini diversi da quelli di giustizia; l'emissione di provvedimenti privi di motivazione, ovvero la cui motivazione consista nella sola affermazione della sussistenza dei presupposti di legge senza indicazione degli elementi di fatto dai quali tale sussistenza risulti, quando la motivazione è richiesta dalla legge; l'adozione di provvedimenti non consentiti dalla legge, che abbiano leso diritti personali o, in modo rilevante, diritti patrimoniali; la reiterata o grave inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio giudiziario adottate dagli organi competenti; l'affidamento ad altri del proprio lavoro; l'inosservanza dell'obbligo di risiedere nel comune in cui ha sede l'ufficio, se manca l'autorizzazione prevista dalle norme vigenti; ogni altro comportamento che violi in modo rilevante il dovere di diligenza;

 

d) il reiterato, grave ed ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni; l'abituale ed ingiustificata esenzione dal lavoro giudiziario, compresa la redazione dei provvedimenti, da parte del dirigente dell'ufficio o del presidente di un collegio; l'inosservanza dell'obbligo di rendersi reperibile quando esso sia imposto dalla legge o da disposizione dell'organo competente; ogni altro comportamento che violi in modo rilevante il dovere di laboriosità;

 

e) i comportamenti che determinano la divulgazione di atti del procedimento coperti dal segreto o di cui sia previsto il divieto di pubblicazione, nonché la violazione del dovere di riservatezza sugli affari in corso di trattazione o, se idonea a ledere diritti altrui, sugli affari definiti;

 

f) l'omissione, da parte del dirigente dell'ufficio o del presidente di una sezione o di un collegio, della comunicazione agli organi competenti di fatti che possono costituire illeciti disciplinari compiuti da magistrati dell'ufficio, della sezione o del collegio; l'omissione, da parte del dirigente dell'ufficio ovvero da parte del magistrato cui compete il potere di sorveglianza, della comunicazione al Consiglio superiore della magistratura della sussistenza di una delle situazioni di incompatibilità previste dagli articoli 29 e 30 o di una delle fattispecie di cui agli articoli 31, 32 e 35; l'omissione, da parte dell'interessato, della comunicazione al Consiglio superiore della magistratura della sussistenza di una delle situazioni di cui agli articoli 29 e 31, nonché della comunicazione di cui al comma 2 dell'articolo 32.

 

2. Fermo quanto previsto dalla lettera c) del comma 1, non può dar luogo a responsabilità disciplinare l'attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto o delle prove.

 

Art. 4.

(Illeciti disciplinari al di fuori

dell'esercizio delle funzioni).

 

1. Costituiscono illecito disciplinare:

 

a) l'uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi indebiti per sé o per altri;

 

b) il frequentare persona sottoposta a procedimento penale o di prevenzione comunque trattato dal magistrato o persona che a questi consta essere stata dichiarata delinquente abituale o aver subìto più condanne per gravi delitti non colposi o una misura di prevenzione ovvero trattenere rapporti di affari con una di tali persone;

c) l'assunzione di incarichi extragiudiziari non consentiti dalla legge o senza la prescritta autorizzazione dell'organo competente; lo svolgimento di attività incompatibili con la funzione giudiziaria o tali da recare pregiudizio all'assolvimento dei doveri di laboriosità;

 

d) la pubblica manifestazione di consenso o dissenso in ordine ad un procedimento in corso, quando, per la posizione del magistrato o per le modalità con cui il giudizio è espresso, essa sia idonea a turbare la libertà di decisione nell'esercizio delle funzioni giudiziarie;

 

e) la partecipazione ad associazioni i cui vincoli sono incompatibili con l'esercizio delle funzioni giudiziarie;

 

f) l'uso strumentale della qualità che, per la posizione del magistrato o per le modalità di realizzazione, sia idoneo a turbare l'esercizio di funzioni costituzionalmente previste;

 

g) ogni altro comportamento tenuto in pubblico tale da compromettere la credibilità della funzione giudiziaria.

 

Art. 5.

(Illeciti disciplinari conseguenti a reato).

 

1. Costituiscono illecito disciplinare:

 

a) i fatti per i quali è intervenuta condanna irrevocabile o è stata pronunciata sentenza ai sensi dell'articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale per delitto doloso o preterintenzionale, quando la legge stabilisce la pena detentiva sola o congiunta alla pena pecuniaria;

 

b) i fatti per i quali è intervenuta condanna irrevocabile o è stata pronunciata sentenza ai sensi dell'articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale, per delitto colposo, alla pena della reclusione, se presentino, per modalità e conseguenze, carattere di particolare gravità;

 

c) i fatti per i quali è intervenuta condanna irrevocabile o è stata pronunciata sentenza ai sensi dell'articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale, alla pena dell'arresto, se presentino, per le modalità di esecuzione, carattere di particolare gravità;

 

d) i fatti costituenti reato, punibili con pena detentiva, sola o congiunta a pena pecuniaria, idonei a compromettere la credibilità del magistrato, anche se il reato è estinto per qualsiasi causa o l'azione penale non può essere iniziata o proseguita.

 

Art. 6.

(Sanzioni disciplinari).

 

1. Le sanzioni disciplinari sono:

 

a) l'ammonimento;

 

b) la censura;

 

c) la perdita dell'anzianità;

 

d) l'incapacità temporanea ad esercitare un incarico direttivo o di collaborazione direttiva;

 

e) la sospensione dalle funzioni da tre mesi a due anni;

 

f) la rimozione.

 

2. L'ammonimento consiste nel richiamo, espresso nel dispositivo della decisione, all'osservanza da parte del magistrato dei suoi doveri, in rapporto all'illecito commesso.

3. La censura consiste in un biasimo formale espresso nel dispositivo della decisione.

4. La sanzione della perdita dell'anzianità è inflitta per un periodo compreso tra due mesi e tre anni; il conseguente spostamento in ruolo non può essere inferiore ad un quarantesimo né superiore a un decimo dei posti in organico della relativa qualifica.

5. La sanzione della incapacità temporanea ad esercitare un incarico direttivo o di collaborazione direttiva è inflitta per un periodo compreso tra sei mesi e tre anni. Se il magistrato svolge funzioni direttive o di collaborazione direttiva devono essergli conferite di ufficio altre funzioni, corrispondenti alla sua qualifica. Scontata la sanzione, il magistrato non può riprendere l'esercizio delle funzioni direttive o di collaborazione direttiva presso l'ufficio dove le svolgeva anteriormente alla condanna.

6. La sospensione dalle funzioni comporta altresì la sospensione dallo stipendio e la collocazione del magistrato fuori dal ruolo organico della magistratura. Al magistrato sospeso è corrisposto un assegno alimentare non eccedente i due terzi dello stipendio e delle altre competenze di carattere continuativo.

7. La rimozione determina la cessazione del rapporto di servizio.

8. Quando, per il concorso di più illeciti disciplinari oggetto di unica decisione, si dovrebbero irrogare più sanzioni meno gravi, si applica altra sanzione di maggiore gravità, sola o congiunta con quella meno grave, se compatibile.

9. Le sanzioni di cui ai commi 4 e 7 sono applicate con decreto del Presidente della Repubblica.

10. Degli atti compiuti e dei provvedimenti adottati dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura è trasmessa copia al Ministero della giustizia.

 

Art. 7.

(Sanzioni per determinati

illeciti disciplinari).

 

1. Sono puniti con una sanzione non inferiore alla perdita dell'anzianità:

 

a) i comportamenti che, violando i doveri di cui all'articolo 2, arrecano illegittimo danno o vantaggio ad una delle parti;

 

b) l'inosservanza dell'obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge;

 

c) l'omissione, da parte dell'interessato, della comunicazione al Consiglio superiore della magistratura della sussistenza di una delle cause di incompatibilità di cui all'articolo 29;

 

d) ogni altra violazione dei doveri di imparzialità;

 

e) i comportamenti previsti dall'articolo 3, comma 1, lettera b), prima parte;

 

f) il perseguimento di fini diversi da quelli di giustizia;

 

g) il reiterato e grave ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni;

 

h) la scarsa laboriosità, se abituale;

 

i) la grave o abituale violazione del dovere di riservatezza;

 

l) l'uso della qualità del magistrato al fine di conseguire vantaggi indebiti, se abituale o grave;

 

m) i comportamenti previsti dall'articolo 4, comma 1, lettera b);

 

n) i comportamenti previsti dall'articolo 4, comma 1, lettera d);

 

o) i comportamenti che, violando i doveri di cui all'articolo 2, arrecano illegittimo danno o vantaggio ad una delle parti, se gravi;

 

p) l'uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi indebiti, se abituale e grave.

 

2. E' punita con la sanzione della incapacità temporanea ad esercitare un incarico direttivo o di collaborazione direttiva l'interferenza nell'attività di un altro magistrato da parte del dirigente dell'ufficio o del presidente della sezione, se abituale o grave.

3. Sono puniti con una sanzione non inferiore alla sospensione dalle funzioni l'esercizio di attività o l'assunzione di impieghi vietati ai sensi dell'articolo 29, nonché l'accettazione di incarichi od uffici vietati dalla legge o non autorizzati.

4. E' rimosso il magistrato che incorre nella interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici in seguito a condanna penale o che incorre in una condanna non inferiore ad un anno, la cui esecuzione non sia stata sospesa ai sensi degli articoli 163 e 164 del codice penale o per la quale sia intervenuto provvedimento di revoca della sospensione ai sensi dell'articolo 168 dello stesso codice.

 

Art. 8.

(Sanzione accessoria del trasferimento

ad altra sede o ad altro ufficio).

 

1. Nell'infliggere una sanzione diversa dall'ammonimento e dalla rimozione la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura può disporre il trasferimento del magistrato ad altra sede o ad altro ufficio quando, per la condotta tenuta, la permanenza nella stessa sede o nello stesso ufficio appare in contrasto con il buon andamento dell'amministrazione della giustizia.

2. Il trasferimento è disposto quando ricorre una delle violazioni previste dalla lettera a) del comma 1 dell'articolo 3.

 

Capo II

PROCEDIMENTO DISCIPLINARE

 

Art. 9.

(Composizione della sezione disciplinare).

 

1. La cognizione dei procedimenti disciplinari a carico dei magistrati è attribuita ad una sezione disciplinare composta di nove componenti effettivi e di nove supplenti.

2 I componenti effettivi sono: il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, che presiede la sezione, due componenti eletti dal Parlamento, di cui uno presiede la sezione in sostituzione del vicepresidente, due magistrati di Corte di cassazione, di cui uno dichiarato idoneo all'esercizio di funzioni direttive superiori, un magistrato di corte d'appello, due magistrati di tribunale e un altro magistrato scelto tra le varie categorie.

3. I componenti supplenti sono: tre componenti eletti dal Parlamento, di cui uno destinato in supplenza del vicepresidente, due magistrati di Corte di cassazione, di cui uno dichiarato idoneo all'esercizio di funzioni direttive superiori, un magistrato di Corte d'appello, due magistrati di tribunale ed un altro magistrato scelto tra le varie categorie.

4. Il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura è componente di diritto; gli altri componenti effettivi e supplenti, sono eletti dal Consiglio superiore della magistratura tra i propri membri. L'elezione ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza dei due terzi dei componenti il Consiglio.

5. Nell'elezione dei componenti supplenti è indicato, per ciascuno di essi, quale è il componente effettivo che è chiamato a sostituire.

6. Nell'ipotesi in cui il presidente del Consiglio superiore della magistratura si avvalga della facoltà di presiedere la sezione disciplinare, resta escluso il vicepresidente.

7. Le funzioni di pubblico ministero presso la sezione disciplinare sono esercitate dal procuratore generale presso la Corte di cassazione o da un suo sostituto.

 

Art. 10.

(Astensione o ricusazione dei componenti).

 

1. Il componente della sezione disciplinare ha l'obbligo di astenersi:

 

a) se si trovi nella situazione di incompatibilità di cui al comma 1 dell'articolo 34 del codice di procedura penale od abbia concorso a pronunciare il provvedimento che, rigettando la richiesta di non luogo a procedere del pubblico ministero, ha disposto per la discussione orale;

 

b) se abbia dato consigli o manifestato il suo parere od espresso il suo voto sull'oggetto del procedimento fuori dell'esercizio della funzione disciplinare;

 

c) se si trovi in una delle altre situazioni previste dall'articolo 36 del codice di procedura penale.

 

2. Ricorrendo una delle circostanze di cui al comma 1, il componente della sezione che non si sia astenuto può essere ricusato con dichiarazione motivata da proporre prima che, compiute le formalità per l'inizio della discussione orale, il componente designato inizi la sua relazione. Sulla proposta ricusazione decide la stessa sezione disciplinare, previa sostituzione del componente ricusato.

 

Art. 11.

(Sostituzione di componenti assenti,

impediti, astenuti o ricusati).

 

1. In caso di assenza, impedimento, astensione o ricusazione ciascun componente effettivo è sostituito dal supplente che nell'elezione prevista dall'articolo 9 sia stato a ciò designato. Se tale sostituzione non è possibile, il componente effettivo è sostituito dall'altro componente supplente della medesima categoria.

 

Art. 12.

(Composizione della sezione disciplinare

per la cognizione del giudizio di rinvio).

 

1. Per la cognizione del giudizio di rinvio a seguito di annullamento da parte delle Sezioni unite della Corte di cassazione, la sezione disciplinare è composta dai nove componenti supplenti ovvero dai componenti supplenti e da quei componenti effettivi che, a causa di loro impedimento, siano stati eventualmente sostituiti da componenti supplenti nell'originario giudizio disciplinare.

 

Art. 13.

(Esercizio dell'azione disciplinare

e inizio del procedimento).

 

1. L'esercizio dell'azione disciplinare è obbligatorio. Il Ministro della giustizia promuove l'azione disciplinare mediante richiesta di indagini al procuratore generale presso la Corte di cassazione. Dell'iniziativa il Ministro della giustizia dà comunicazione al Consiglio superiore della magistratura, con indicazione sommaria dei fatti per i quali si procede.

2. L'azione disciplinare può essere promossa anche dal procuratore generale presso la Corte di cassazione, il quale ne dà comunicazione al Ministro della giustizia e al Consiglio superiore della magistratura, con indicazione sommaria dei fatti per i quali si procede. Il Ministro della giustizia, se ritiene che l'azione disciplinare deve essere estesa ad altri fatti, ne fa richiesta al procuratore generale, ed analoga richiesta può fare nel corso delle indagini.

3. Il Consiglio superiore della magistratura, i consigli giudiziari e i dirigenti degli uffici devono comunicare al Ministro della giustizia e al procuratore generale presso la Corte di cassazione ogni fatto rilevante sotto il profilo disciplinare. I presidenti di sezione e i presidenti di collegio debbono comunicare ai dirigenti degli uffici i fatti concernenti l'attività dei magistrati della sezione o del collegio che siano rilevanti sotto il profilo disciplinare.

4. La richiesta di indagini rivolta dal Ministro della giustizia al procuratore generale o la comunicazione da quest'ultimo data al Consiglio superiore della magistratura ai sensi del comma 2 determinano a tutti gli effetti l'inizio del procedimento.

5. Il procuratore generale presso la Corte di cassazione può contestare fatti nuovi nel corso delle indagini anche se l'azione è stata promossa dal Ministro della giustizia ai sensi del comma 2, ultimo periodo.

 

Art. 14.

(Termini).

 

1. L'azione disciplinare non può essere promossa dopo un anno dal giorno in cui il Ministro della giustizia o il procuratore generale presso la Corte di cassazione hanno avuto notizia del fatto, né dopo il compimento del quinto anno dalla commissione dell'illecito.

2. La richiesta del Ministro della giustizia al procuratore generale presso la Corte di cassazione ovvero la comunicazione del procuratore generale al Consiglio superiore della magistratura determina a tutti gli effetti l'inizio del procedimento.

3. Entro un anno dall'inizio del procedimento il procuratore generale presso la Corte di cassazione, in esito alle indagini, deve formulare le sue richieste conclusive, sulle quali la sezione disciplinare adotta gli opportuni provvedimenti. Entro due anni dalle dette richieste la sezione disciplinare deve pronunciare la sua sentenza. Se la sentenza è annullata in tutto od in parte con rinvio a seguito di ricorso per cassazione, il termine per la definizione del giudizio di rinvio è di un anno decorrente dalla data in cui sono restituiti dalla Corte di cassazione gli atti del procedimento. Se i termini non sono osservati, il procedimento disciplinare si estingue sempre che l'incolpato vi consenta.

4. Il corso dei termini di cui al presente articolo è sospeso se per il medesimo fatto viene iniziata l'azione penale e riprende a decorrere dalla data in cui non è più soggetta ad impugnazione la sentenza di non luogo a procedere ovvero sono divenuti irrevocabili la sentenza pronunciata in giudizio o il decreto penale di condanna. Il corso dei medesimi termini è altresì sospeso se durante il procedimento disciplinare viene sollevata questione di legittimità costituzionale e riprende in tal caso a decorrere dal giorno in cui è pubblicata la decisione della Corte costituzionale. Il corso dei termini è inoltre sospeso durante il tempo in cui l'incolpato è sottoposto a perizia o ad accertamenti specialistici, nonché durante il tempo in cui il procedimento disciplinare è rinviato a richiesta dell'incolpato medesimo.

 

Art. 15.

(Istanza di procedimento disciplinare

del Consiglio nazionale forense).

 

1. Il Consiglio nazionale forense può richiedere al procuratore generale presso la Corte di cassazione che venga promossa l'azione disciplinare.

2. La richiesta ha valore di notizia del fatto ai sensi dell'articolo 14, comma 1.

3. La richiesta della discussione orale di cui al comma 1 dell'articolo 17, la richiesta di non luogo a procedere di cui al comma 3 del medesimo articolo 17 e la chiusura delle indagini ai sensi del comma 5 dell'articolo 16 sono notificate al Consiglio nazionale forense.

 

Art. 16.

(Comunicazioni all'incolpato

ed atti di indagine).

 

1. Dell'inizio del procedimento deve essere data comunicazione entro trenta giorni all'incolpato con l'indicazione del fatto che gli viene addebitato; analoga comunicazione deve essere data per le ulteriori contestazioni di cui all'articolo 13, comma 5. L'incolpato può farsi assistere da altro magistrato o da un avvocato, designati in qualunque momento dopo la comunicazione dell'addebito, nonché, se del caso, da un consulente tecnico.

2. Gli atti di indagine non preceduti dalla comunicazione all'incolpato o dall'avviso al difensore, se già designato, sono nulli ma la nullità non può essere più rilevata quando non è dedotta con dichiarazione scritta e motivata nel termine di dieci giorni dalla data in cui l'interessato ha avuto conoscenza del contenuto di tali atti o, in mancanza, da quella della comunicazione del decreto che fissa la discussione orale davanti alla sezione disciplinare.

3. Per l'attività di indagine si osservano, in quanto compatibili, le norme del codice di procedura penale, eccezione fatta per quelle che comportano l'esercizio di poteri coercitivi nei confronti dell'imputato, dei testimoni, dei periti e degli interpreti. Ai testimoni, periti e interpreti si applicano le disposizioni degli articoli 366, 372 e 373 del codice penale.

4. Per gli atti da compiere fuori dal suo ufficio, il pubblico ministero può richiedere altro magistrato in servizio presso la procura generale della corte d'appello nel cui distretto l'atto deve essere compiuto. 5. Al termine delle indagini, il procuratore generale presso la Corte di cassazione con le richieste conclusive di cui all'articolo 16 invia alla sezione disciplinare il fascicolo del procedimento e ne dà comunicazione all'incolpato; il fascicolo è depositato nella segreteria della sezione a disposizione dell'incolpato, con facoltà di prendere visione e di estrarre copia degli atti. Delle richieste è data comunicazione al Ministro della giustizia, con invio di copia dell'atto.

 

Art. 17.

(Chiusura delle indagini).

 

1. Il procuratore generale presso la Corte di cassazione, al termine delle indagini, se non ritiene di dover chiedere declaratoria di non luogo a procedere, formula l'incolpazione e chiede al presidente della sezione disciplinare la fissazione dell'udienza di discussione orale.

2. Il presidente della sezione disciplinare fissa con suo decreto il giorno della discussione orale, con avviso ai testimoni ed ai periti. Il decreto è comunicato, almeno dieci giorni prima della data fissata per la discussione orale, al procuratore generale, all'incolpato ed al suo difensore, se già designato, ed al Ministro della giustizia.

3. Il procuratore generale presso la Corte di cassazione, al termine delle indagini, se non ritiene di dover chiedere la fissazione della udienza di discussione davanti alla sezione disciplinare, chiede con atto motivato che la sezione emetta declaratoria di non luogo a procedere. Il Ministro della giustizia nei quindici giorni successivi alla comunicazione di cui al comma 5 dell'articolo 15, può formulare le sue osservazioni e, nel caso in cui l'azione sia stata da lui promossa chiedere al presidente della sezione disciplinare la fissazione dell'udienza di discussione orale, formulando l'incolpazione.

4. Decorso il termine di cui al comma 3 senza che il Ministro della giustizia si sia avvalso della facoltà di chiedere la discussione orale, la sezione disciplinare decide sulla richiesta di non luogo a procedere in camera di consiglio. Se la richiesta è rigettata, il presidente della sezione disciplinare provvede nei modi previsti dai commi 1 e 2.

 

Art. 18.

(Discussione nel giudizio

disciplinare e decisione).

 

1. Nella discussione orale il Ministro della giustizia ha facoltà di intervenire rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato o delegando un magistrato di grado non inferiore a consigliere di Corte d'appello od equiparato.

2. Dinanzi alla sezione disciplinare il dibattito si svolge in pubblica udienza; se i fatti oggetto dell'incolpazione non riguardano l'esercizio della funzione giudiziaria ovvero se ricorrono esigenze di tutela del diritto dei terzi o esigenze di tutela della credibilità della funzione giudiziaria con riferimento ai fatti contestati e all'ufficio che l'incolpato occupa, la sezione disciplinare può disporre, con il consenso dello stesso incolpato, che il dibattito si svolga a porte chiuse.

3. Compiute le formalità di verifica della costituzione delle parti e data dal presidente della sezione disciplinare lettura della incolpazione, un componente della sezione disciplinare, designato dal medesimo presidente, riferisce in ordine ai fatti oggetto di essa ed allo stato del procedimento.

4. La sezione disciplinare può assumere anche d'ufficio tutte le prove che ritiene utili; può disporre o consentire la lettura di rapporti dell'Ispettorato generale del Ministero della giustizia, dei consigli giudiziari e dei dirigenti degli uffici, la lettura dei fascicoli personali nonché delle prove acquisite nel corso delle indagini; può consentire l'esibizione di documenti da parte del pubblico ministero e dell'incolpato. Si osservano, in quanto compatibili, le norme del codice di procedura penale sul dibattimento, eccezione fatta per quelle che comportano l'esercizio di poteri coercitivi nei confronti dell'imputato, dei testimoni, dei periti e degli interpreti. Ai testimoni, periti e interpreti si applicano le disposizioni di cui agli articoli 366, 372, 373 del codice penale.

5. La sezione disciplinare delibera immediatamente dopo l'assunzione delle prove, le eventuali richieste del rappresentante del Ministro della giustizia, le conclusioni del pubblico ministero e la difesa dell'incolpato; questo deve essere sentito per ultimo. La deliberazione è assunta in camera di consiglio. Il pubblico ministero e le parti non assistono alla deliberazione.

6. Se non è raggiunta prova sufficiente dell'addebito, la sezione disciplinare ne dichiara esclusa la sussistenza.

7. I motivi della decisione sono depositati nella segreteria della sezione disciplinare entro un mese dalla deliberazione.

8. Dei provvedimenti adottati dalla sezione disciplinare è data comunicazione al Ministro della giustizia con invio di copia integrale anche ai fini della decorrenza dei termini per la proposizione del ricorso alle Sezioni unite della Corte di cassazione. Il Ministro della giustizia può richiedere copia degli atti del procedimento.

 

Art. 19.

(Rapporti con altri giudizi).

 

1. L'azione disciplinare è promossa indipendentemente dall'azione civile di risarcimento del danno o dall'azione penale relativa allo stesso fatto, fermo restando quanto previsto dall'articolo 14, comma 4.

2. Hanno autorità di cosa giudicata nel giudizio disciplinare la sentenza irrevocabile di condanna, quella prevista dall'articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale, che è equiparata alla sentenza di condanna, la sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione e quella irrevocabile di proscioglimento pronunciate perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non lo ha commesso.

 

Art. 20.

(Sospensione cautelare necessaria).

 

1. Il magistrato sottoposto a procedimento penale è sospeso di diritto dalle funzioni e dallo stipendio ed è collocato fuori dal ruolo organico della magistratura dal giorno in cui è adottato contro di lui un provvedimento restrittivo della libertà personale. La sezione disciplinare provvede d'ufficio e può concedere al magistrato sospeso un assegno alimentare non eccedente i due terzi dello stipendio e delle altre competenze di carattere continuativo.

2. La sospensione permane sino alla sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione o alla sentenza irrevocabile di proscioglimento; la sospensione deve essere revocata, anche d'ufficio, dalla sezione disciplinare, allorché la misura cautelare è revocata per carenza di gravi indizi di colpevolezza; la sospensione può essere revocata, anche d'ufficio negli altri casi di revoca o di cessazione degli effetti della misura cautelare.

3. Il magistrato riacquista il diritto agli stipendi e alle altre competenze non percepiti, detratte le somme corrisposte per assegno alimentare, se è prosciolto con sentenza irrevocabile o se è pronunciata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione.

 

Art. 21.

(Sospensione cautelare facoltativa).

 

1. Quando il magistrato è sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo punibile, anche in via alternativa, con pena detentiva, esclusi i delitti di ingiuria e di percosse, o quando al medesimo sono ascritti fatti rilevanti sotto il profilo disciplinare che, per la loro gravità, siano incompatibili con l'esercizio delle funzioni, il Ministro della giustizia o il procuratore generale presso la Corte di cassazione possono chiedere la sospensione cautelare dalle funzioni e dallo stipendio, con collocamento fuori del ruolo organico, anche prima dell'inizio del procedimento disciplinare.

2. La sezione disciplinare convoca il magistrato con un preavviso di almeno tre giorni e provvede con ordinanza motivata dopo aver sentito il pubblico ministero, l'interessato e, se nominato, il suo difensore o dopo aver constatato la loro mancata presentazione. Al magistrato sospeso è corrisposto un assegno alimentare non eccedente la misura prevista all'articolo 20, comma 1. Si applica la disposizione di cui all'articolo 20, comma 3.

3. La sospensione può essere revocata dalla sezione disciplinare in qualsiasi momento, anche d'ufficio, con le stesse formalità; è, comunque, revocata se l'azione disciplinare non sia esercitata nei trenta giorni successivi.

 

Art. 22.

(Ricorso per cassazione).

 

1. Contro le decisioni della sezione disciplinare e contro i provvedimenti in materia di sospensione cautelare l'incolpato, il Ministro della giustizia ed il procuratore generale presso la Corte di cassazione possono proporre ricorso per cassazione nei termini e con le forme previsti dal codice di procedura penale. Il ricorso può tuttavia essere proposto anche per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio.

2. Il ricorso contro i provvedimenti in materia di sospensione cautelare non ha effetto sospensivo.

3. La Corte di cassazione decide a Sezioni unite penali entro sei mesi dalla data di proposizione del ricorso.

 

Art. 23.

(Reintegrazione a seguito di sentenza di non luogo a

procedere o di proscioglimento).

 

1. Il magistrato cautelarmente sospeso ha diritto ad essere reintegrato a tutti gli effetti nella situazione anteriore, qualora sia prosciolto con sentenza irrevocabile ovvero sia pronunciata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione. Se il posto prima occupato non è vacante, ha diritto di scelta fra quelli disponibili, ed entro un anno può chiedere l'assegnazione ad ulteriore ufficio analogo a quello originariamente ricoperto, con precedenza rispetto ad altri eventuali concorrenti.

 

Art. 24.

(Corresponsione degli arretrati

al magistrato sospeso).

 

1. Quando l'incolpato è, con decisione definitiva, assolto o condannato ad una sanzione diversa dalla incapacità temporanea ad esercitare un incarico direttivo o di collaborazione direttiva, dalla sospensione delle funzioni e dalla rimozione, cessa di diritto la sospensione cautelare eventualmente disposta e sono corrisposti gli arretrati dello stipendio e delle altre competenze non percepiti, detratte le somme già corrisposte per assegno alimentare, rivalutati in base agli indici di svalutazione dell'Istituto nazionale di statistica.

 

Art. 25.

(Revisione).

1. In ogni tempo è ammessa la revisione delle decisioni divenute irrevocabili, con le quali è stata applicata una sanzione disciplinare, quando:

 

a) i fatti posti a fondamento della decisione risultano incompatibili con quelli accertati in una sentenza penale irrevocabile ovvero in una sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione;

 

b) sono sopravvenuti o si scoprono, dopo la decisione, nuovi elementi di prova, che, soli o uniti a quelli già esaminati nel procedimento disciplinare, dimostrano l'insussistenza dell'illecito;

 

c) il giudizio di responsabilità e l'applicazione della relativa sanzione sono stati determinati da falsità ovvero da altro reato accertato con sentenza irrevocabile.

 

2. Gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono, a pena di inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare che sia applicabile una sanzione minore ovvero che possa essere dichiarato il proscioglimento dell'addebito.

 

Art. 26.

(Istanza di revisione).

1. La revisione può essere chiesta dal magistrato al quale è stata applicata la sanzione disciplinare o, in caso di morte o di sopravvenuta incapacità di questi, da un suo prossimo congiunto che vi abbia interesse anche soltanto morale.

2. L'istanza di revisione è proposta personalmente o per mezzo di procuratore speciale. Essa deve contenere, a pena di inammissibilità, l'indicazione specifica delle ragioni e dei mezzi di prova che la giustificano e deve essere presentata, unitamente ad eventuali atti e documenti, nella segreteria della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura.

3. Nei casi previsti dall'articolo 25, comma 1, lettere a) e c), all'istanza deve essere unita copia autentica della sentenza penale.

4. La revisione può essere chiesta anche dal Ministro della giustizia e dal procuratore generale presso la Corte di cassazione, alle condizioni e con le modalità di cui ai commi 2 e 3.

 

Art. 27.

(Provvedimenti sull'istanza di revisione).

1. La sezione disciplinare acquisisce gli atti del procedimento disciplinare, e, sentiti il Ministro della giustizia, il procuratore generale presso la Corte di cassazione, l'istante ed il suo difensore, dichiara inammissibile l'istanza di revisione se proposta senza l'osservanza delle disposizioni di cui al comma 2 dell'articolo 25 e al comma 2 dell'articolo 26 o se risulta manifestamente infondata; altrimenti, dispone procedersi al giudizio di revisione, al quale si applicano le norme stabilite per il procedimento disciplinare.

2. Contro la decisione che dichiara inammissibile l'istanza di revisione è ammesso ricorso alle Sezioni unite penali della Corte di cassazione.

Art. 28.

(Giudizio di revisione).

1. In caso di accoglimento dell'istanza di revisione la sezione disciplinare revoca la precedente decisione.

2. Il magistrato assolto con decisione irrevocabile a seguito di giudizio di revisione ha diritto alla integrale ricostruzione della carriera nonché a percepire gli arretrati dello stipendio e delle altre competenze non percepiti, detratte le somme corrisposte per assegno alimentare, rivalutati in base agli indici di svalutazione dell'Istituto nazionale di statistica.

 

Capo III

INCOMPATIBILITA'

 

Art. 29.

(Incompatibilità di funzioni e ineleggibilità per i

magistrati ordinari, amministrativi, contabili e

militari).

 

1. I magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari non possono assumere pubblici o privati impieghi; non possono esercitare libere professioni, anche se non ordinate in albi professionali, né attività industriali, commerciali o comunque imprenditoriali.

2. I magistrati di cui al comma 1 possono assumere l'ufficio di senatore, deputato, ministro, sottosegretario di Stato, deputato al Parlamento europeo, consigliere regionale, provinciale, comunale o circoscrizionale, presidente della giunta regionale, presidente della provincia, sindaco, componente della giunta regionale, provinciale o comunale, alle condizioni e con i limiti stabiliti nei successivi commi. Possono svolgere attività di insegnamento universitario e postuniversitario, previa autorizzazione del rispettivo organo di autogoverno, e possono fare parte gratuitamente e senza percepire rimborsi di spese di organi ed enti con finalità culturali, scientifiche, sportive, di beneficenza e di volontariato.

3. I magistrati, esclusi quelli in servizio presso le giurisdizioni superiori, non possono essere eletti senatore, deputato, deputato al Parlamento europeo, consigliere regionale, provinciale, comunale o circoscrizionale, presidente della giunta regionale o della provincia o sindaco, nelle circoscrizioni elettorali sottoposte, in tutto o in parte, alla giurisdizione degli uffici ai quali si sono trovati assegnati o presso i quali hanno esercitato le loro funzioni in un periodo compreso nei tre anni antecedenti la data di accettazione della candidatura. Non possono altresì essere eletti alle suddette cariche né essere nominati componenti di una giunta regionale o provinciale o comunale se all'atto dell'accettazione della candidatura o della nomina non si trovano in aspettativa da almeno tre mesi.

4. Le disposizioni di cui al comma 3 si applicano anche nel caso di scioglimento anticipato dell'assemblea elettiva.

5. I magistrati in servizio presso le giurisdizioni superiori possono essere eletti alle cariche di cui al comma 3 solo se in aspettativa almeno centottanta giorni prima della data di convocazione dei comizi elettorali e, nel caso di scioglimento anticipato dell'assemblea elettiva, entro sette giorni dalla data del decreto di scioglimento, sempre che non si tratti di circoscrizione elettorale presso la quale abbiano esercitato giurisdizione negli ultimi tre anni. Non possono essere nominati componenti di una giunta provinciale o comunale se non si trovano in aspettativa all'atto della nomina.

6. E' abrogato il primo comma dell'articolo 8 del testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni.

 

Art. 30.

(Incompatibilità di funzioni per i magistrati ordinari,

amministrativi, contabili e militari).

 

1. I magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari non possono far parte di commissioni di collaudo di opere e lavori pubblici, né possono espletare incarichi di arbitrato, neppure nei casi in cui è parte l'Amministrazione dello Stato ovvero un'azienda o un ente pubblico, ivi compresi quelli previsti dal capitolo generale per le opere di competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

2. I magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari non possono far parte di commissioni giudicatrici d'esame e di concorso, fatta eccezione di quelle relative all'accesso ed alla progressione nelle carriere di magistrato ordinario, militare, amministrativo e contabile, nelle carriere di avvocato e procuratore dello Stato ed in quelle nell'amministrazione della giustizia e nelle professioni di avvocato e di notaio.

 

Art. 31.

(Svolgimento di funzioni amministrative da parte dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili e

militari).

 

1. Ferme restando le funzioni di carattere amministrativo loro attribuite per la direzione degli uffici giudiziari, i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari non possono esercitare funzioni amministrative non espressamente consentite da norme di legge.

2. E' consentito l'esercizio di funzioni amministrative in qualità di:

 

a) addetto al segretariato generale della Presidenza della Repubblica;

 

b) addetto agli uffici legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri e dei Ministeri;

 

c) segretario generale o capo di gabinetto presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e dei Ministeri;

 

d) addetto alla Corte costituzionale;

 

e) componente degli uffici del Consiglio superiore della magistratura;

 

f) componente dell'ufficio di gabinetto e dell'ispettorato generale del Ministero della giustizia;

 

g) addetto ad organismi internazionali per lo svolgimento di attività connesse all'esercizio della giurisdizione o alle competenze del Ministero della giustizia;

 

h) addetto al Ministero della giustizia, nei limiti di cui al comma 5.

 

3. Nell'ambito del Ministero della giustizia sono riservate ai magistrati ordinari le funzioni dirigenziali nei settori amministrativi che incidono direttamente sullo stato giuridico dei magistrati o sull'esercizio della funzione giurisdizionale.

4. Le funzioni amministrative svolte dai magistrati ai sensi del presente articolo sono equiparate a tutti gli effetti a quelle giudiziarie e, in particolare, quelle esercitate dai magistrati addetti alla Corte costituzionale restano equiparate a quelle esercitate dai magistrati applicati all'ufficio del massimario e del ruolo presso la Corte di cassazione.

5. Nel termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Presidente della Repubblica, emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono individuati le funzioni e i posti che presso il Ministero della giustizia devono essere assegnati a magistrati ordinari. Resta salvo quanto disposto dall'articolo 30 della legge 15 dicembre 1990, n. 395, e successive modificazioni.

6. Nel termine di tre mesi dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 5 i magistrati in servizio presso il Ministero della giustizia, non addetti agli uffici di cui al comma 3, sono ricollocati in ruolo con le normali procedure concorsuali o altrimenti destinati, anche in soprannumero, agli uffici cui essi erano assegnati prima del collocamento fuori ruolo.

 

Art. 32.

(Comunicazione dell'appartenenza

ad associazioni ed organizzazioni).

 

1. Ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari è fatto divieto di iscriversi ai partiti politici.

2. I magistrati che si iscrivono o che comunque fanno parte di una associazione o organizzazione di qualsiasi natura devono darne comunicazione entro trenta giorni ai rispettivi organi di autogoverno.

3. Le comunicazioni di cui al comma 2 relative ai magistrati ordinari sono pubblicate nel Bollettino ufficiale del Ministero della giustizia. Quelle relative ai magistrati militari, amministrativi e contabili sono pubblicate nel Bollettino della Presidenza del Consiglio dei ministri.

4. La violazione della disposizione di cui al comma 1 è punita con la sanzione disciplinare non superiore alla perdita dell'anzianità.

5. Le disposizioni del presente articolo non si applicano con riferimento alle associazioni nelle quali si esplica un culto religioso.

 

Art. 33.

(Disciplina degli incarichi consentiti).

 

1. Fermi restando i divieti di cui all'articolo 29, gli incarichi che il magistrato può svolgere con autorizzazione dell'organo di autogoverno non possono avere durata superiore a cinque anni. L'organo di autogoverno può tuttavia autorizzare una o più proroghe non superiori complessivamente a due anni, tenuto conto di particolari esigenze connesse all'incarico espletato.

2. Per gli incarichi assunti prima della data di entrata in vigore della presente legge, ai fini dei limiti di cui al comma 1, la durata pregressa è computata per la metà.

3. Un successivo incarico, comunque richiesto, può essere autorizzato solo se, dopo l'incarico già svolto, sono decorsi almeno tre anni.

4. Nei casi previsti dal comma 3 dell'articolo 31 il magistrato è collocato fuori ruolo. Il periodo di collocamento fuori ruolo non può superare i cinque anni. Per esigenze di servizio tale periodo può essere prolungato per una sola volta per ulteriori due anni.

 

Art. 34.

(Pubblicità degli incarichi esterni).

 

1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, presso il Consiglio superiore della magistratura e gli altri organi di autogoverno sono tenuti elenchi aggiornati sino al mese precedente di tutti gli incarichi esterni rivestiti e dei compensi percepiti dai magistrati ordinari, militari, amministrativi e contabili.

2. Il Consiglio superiore della magistratura e gli altri organi di autogoverno provvedono alla pubblicità degli elenchi di cui al comma 1.

 

Art. 35.

(Incompatibilità per vincoli

di parentela, coniugio o affinità).

 

1. Il magistrato non può essere assegnato o trasferito o comunque prestare servizio in un ufficio giudiziario nel quale il coniuge, un parente o un affine fino al secondo grado esercita le funzioni di magistrato.

2. Il magistrato non può esercitare le funzioni:

a) nell'ufficio dinanzi al quale svolge abitualmente la professione forense il coniuge o un parente o affine in linea retta, o collaterale fino al secondo grado;

b) nel territorio del distretto ove è compreso l'ufficio innanzi al quale il coniuge o un parente in linea retta o in linea collaterale fino al secondo grado ovvero un affine in linea retta o in linea collaterale fino al secondo grado è imputato di un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni o è sottoposto a procedimento per l'applicazione di una misura di prevenzione, sempre che, avuto riguardo ai suoi rapporti con l'imputato, alla funzione da lui esercitata e al numero dei componenti l'ufficio, possa risultare gravemente compromessa la fiducia nel regolare svolgimento della funzione giudiziaria. L'incompatibilità permane sino a quando il procedimento pende dinanzi ad uno degli uffici del distretto;

c) nella sede del suo ufficio quando il coniuge o un parente in linea retta o collaterale fino al secondo grado ovvero altro parente o affine con lui convivente tenga ivi una condotta che, per la natura riprovevole e la notorietà, anche in relazione alla dimensione territoriale dell'ufficio, comprometta gravemente la fiducia nella imparzialità o nella correttezza della funzione giudiziaria.

 

3. Agli effetti del presente articolo al rapporto di coniugio è parificata la convivenza di fatto.

 

Art. 36.

(Norme procedimentali).

 

1. Quando ricorre una delle situazioni previste dall'articolo 35, il magistrato interessato, il dirigente dell'ufficio ovvero il magistrato cui compete il potere di sorveglianza ha l'obbligo di denunciarla all'organo di autogoverno nel termine di quindici giorni dalla data in cui ne è venuto a conoscenza. Il Consiglio superiore della magistratura, attivandosi anche d'ufficio, effettuati i necessari accertamenti, delibera il trasferimento del magistrato ad altra sede o ad altro ufficio giudiziario ovvero la archiviazione del procedimento.

2. La data della seduta fissata dal Consiglio superiore della magistratura per la deliberazione è comunicata almeno venti giorni prima all'interessato, che ha diritto di essere sentito personalmente con l'assistenza di altro magistrato o di avvocato e di produrre documenti. La seduta del Consiglio non è pubblica.

3. Nel caso previsto dalla lettera b) del comma 2 dell'articolo 35 il magistrato deve essere trasferito ad altro distretto. Quando il procedimento penale che ha determinato l'incompatibilità si conclude con sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento o quando la proposta per l'applicazione della misura di prevenzione viene rigettata, il magistrato che ne fa domanda è destinato all'ufficio di provenienza o ad altro della stessa sede anche in soprannumero.

Art. 37.

(Destinazione ad altre funzioni o trasferimento ad altra sede per incompatibilità ambientale o inettitudine).

 

1. Salvo quanto disposto dall'articolo 8, il magistrato, anche senza il suo consenso, è destinato ad altre funzioni od è trasferito ad altra sede quando, per qualsiasi causa indipendente da sua colpa e prescindendo da ogni valutazione in ordine a provvedimenti emessi nell'espletamento dell'attività giurisdizionale, non può, nella sede o nell'ufficio che occupa, amministrare giustizia nelle condizioni richieste per la credibilità della funzione.

2. Il magistrato dirigente dell'ufficio è destinato anche senza il suo consenso ad altre funzioni non direttive, quando risulti oggettivamente inidoneo all'incarico ricoperto.

 

Art. 38.

(Norme procedimentali)

 

1. Quando ricorre una delle situazioni previste dall'articolo 37, il magistrato interessato, il dirigente dell'ufficio ovvero il magistrato cui compete il potere di sorveglianza ha l'obbligo di denunciarla al Consiglio superiore della magistratura ed ai titolari dell'azione disciplinare nel termine di quindici giorni dalla data in cui ne è venuto a conoscenza.

2. Il procedimento amministrativo per il trasferimento di ufficio è attivato dal Consiglio superiore della magistratura su richiesta dell'interessato, del Ministro della giustizia o del procuratore generale presso la Corte di cassazione. Ciascun titolare dell'azione disciplinare, ove ritenga di richiedere il procedimento amministrativo, ne informa l'altro titolare, che nel termine perentorio dei venti giorni successivi può esercitare per gli stessi fatti l'azione disciplinare. La richiesta del procedimento amministrativo preclude al richiedente l'esercizio di azione disciplinare per gli stessi fatti. L'esercizio dell'azione disciplinare osta all'inizio od alla prosecuzione del procedimento amministrativo.

3. La competente commissione del Consiglio superiore della magistratura, compiuti gli eventuali accertamenti preliminari, se non ritiene di proporre al Consiglio superiore della magistratura l'archiviazione, dispone l'apertura della procedura di trasferimento, dandone comunicazione all'interessato ed avvertendolo che potrà essere sentito con la eventuale assistenza di difensore. Le indagini devono essere svolte entro il termine perentorio di tre mesi dalla comunicazione del suddetto avviso.

4. Trascorso il termine di cui al comma 3, la commissione, se non devono essere compiuti ulteriori accertamenti, propone al Consiglio superiore della magistratura, entro i successivi trenta giorni, il trasferimento d'ufficio del magistrato o l'archiviazione degli atti.

5. Gli atti della procedura sono depositati nella segreteria della commissione; del deposito è dato immediato avviso all'interessato che, nei venti giorni successivi alla ricezione dell'avviso, ha facoltà di prendere visione degli atti, di estrarne copia e di presentare controdeduzioni scritte.

6. La data della seduta fissata dal Consiglio superiore della magistratura per la decisione è comunicata almeno venti giorni prima all'interessato, che ha diritto di essere sentito personalmente con l'assistenza di altro magistrato o di un avvocato. Il Consiglio decide con provvedimento motivato entro tre mesi dalla scadenza del termine di cui al comma 4. La seduta del Consiglio non è pubblica.

7. La procedura di trasferimento d'ufficio non può essere iniziata o proseguita se il magistrato è stato, a domanda, trasferito ad altra sede o destinato ad altre funzioni, con cessazione della situazione di incompatibilità.

 

Art. 39.

(Dispensa dal servizio, collocamento in aspettativa o destinazione ad altre funzioni per infermità).

 

1. Il magistrato è dispensato dal servizio se per qualsiasi infermità permanente o per sopravvenuta inettitudine non può adempiere convenientemente ed efficacemente ai doveri del proprio ufficio.

2. Se l'infermità ha carattere temporaneo, il magistrato può essere collocato d'ufficio in aspettativa fino al termine massimo consentito dalle vigenti disposizioni. Decorso tale termine, il magistrato che ancora non si trova in condizione di essere richiamato dall'aspettativa è dispensato dal servizio.

3. Il magistrato può essere destinato ad altre funzioni senza il suo consenso quando le sue condizioni di salute pregiudicano in modo grave lo svolgimento della specifica funzione giudiziaria di cui è investito.

4. Il procedimento è attivato d'ufficio dal Consiglio superiore della magistratura. Nel corso della procedura il magistrato può farsi assistere anche da un perito di fiducia.

5. Nel caso previsto dal comma 3, la procedura non può essere iniziata o proseguita se il magistrato, a domanda, è stato destinato ad altre funzioni compatibili con il suo stato di salute.

6. La sezione disciplinare, ove pronunci non luogo a procedere per infermità di mente dell'incolpato, trasmette gli atti alla competente commissione referente perché venga attivato immediatamente il procedimento di dispensa dal servizio.

 

Art. 40.

(Incarichi conferiti dopo la cessazione dalle funzioni).

 

1. I magistrati, cessati dalle funzioni per qualsiasi causa, non possono rivestire nel triennio successivo incarichi conferiti discrezionalmente dal Governo o dalle regioni.

 


N. 2137

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa dei deputati

BUEMI, BOSELLI, INTINI, VILLETTI, ALBERTINI, CEREMIGNA, DI GIOIA, GROTTO, PAPPATERRA

¾

 

Disposizioni per la destinazione extragiudiziaria dei magistrati eletti in uno dei due rami del Parlamento al termine del mandato

 

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Presentata il 20 dicembre 2001

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Onorevoli Colleghi! - Il fenomeno dei magistrati eletti in uno dei due rami del Parlamento è diventata una costante ed è comune alle diverse forze politiche.

L'attività politica dei giudici ha fatto nascere, negli ultimi anni, perplessità in un numero crescente di cittadini sull'effettiva terzietà dei titolari della giurisdizione.

Il principio statuito dal primo comma dell'articolo 104 della Costituzione che recita: "La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere", è disatteso allorquando si verifica la commistione tra esercizio della funzione giurisdizionale ed attività politica. Il giudice che, seppure per un periodo limitato, rappresenta uno schieramento politico in un ramo del Parlamento, indubbiamente partecipa ad un impegno di parte facendone proprie idee e programmi.

Il cittadino imputato non si sente sufficientemente tutelato sapendo di dover essere giudicato da un magistrato che ha militato in un campo politico-ideologico, che ha, cioè, difeso idee e programmi anche confliggenti con altri. L'attività giurisdizionale esercitata da un giudice, già parlamentare, perde quella sacralità rappresentata dalla diffusa convinzione del popolo di essere tutelato da magistrati custodi della "giustizia giusta".

Prevedere l'impedimento per il magistrato, terminato il mandato parlamentare, di riprendere le funzioni giurisdizionali, significa affermare il principio della divisione dei poteri e rafforzare la fiducia che in democrazia i cittadini devono avere nell'amministrazione della giustizia.

 


 


 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. I magistrati eletti in uno dei due rami del Parlamento, terminato il mandato, non possono più esercitare le funzioni proprie della giurisdizione, e vengono destinati ad incarichi extragiudiziari.

 

 

 


N. 2152

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

¾¾¾¾¾¾¾¾

PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa dei deputati

BUEMI, BOSELLI, INTINI, VILLETTI, ALBERTINI, CEREMIGNA, DI GIOIA, GROTTO, PAPPATERRA

¾

 

Norme in materia di trattamento economico del personale di magistratura

 

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Presentata il10 gennaio 2002

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Onorevoli Colleghi! - Con la presente proposta di legge si affronta un tema importante all'interno di un più generale riassetto del sistema giustizia nel nostro Paese: la questione del trattamento economico del personale di magistratura. Mentre nel passato il trattamento economico del personale di magistratura era adeguato alla funzione ed ai compiti da esso svolto, nella fase attuale la disparità, ad esempio, con chi svolge incarichi direttivi nella pubblica amministrazione si è andata evidenziando. E' evidente che ad un migliore funzionamento del sistema giustizia nel nostro Paese deve corrispondere un riconoscimento, anche da un punto di vista economico, del lavoro delicato e fondamentale che dal personale di magistratura viene svolto.

Con la presente proposta di legge quello che si propone è l'adeguamento del trattamento economico, recuperando il ritardo sin qui registrato.


 

 


 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. All'articolo 1, commi 1 e 3, della legge 25 luglio 1966, n. 570, le parole: "undici anni" sono sostituite dalle seguenti: "otto anni".

 

Art. 2.

 

1. All'articolo 4, comma 1, della legge 20 dicembre 1973, n. 831, le parole: "sette anni" sono sostituite dalle seguenti: "otto anni".

 

Art. 3.

 

1. Alla tabella allegata alla legge 19 febbraio 1981, n. 27, relativa alla magistratura ordinaria, la voce: "magistrati di tribunale (dopo tre anni dalla nomina)" è soppressa e il relativo stipendio annuo lordo sostituisce quello attribuito alla voce: "magistrati di tribunale".

 

Art. 4.

 

1. All'articolo 5, comma 1, della legge 5 agosto 1998, n. 303, le parole: "venti anni" sono sostituite dalle seguenti: "diciotto anni".

 

Art. 5.

 

1. Le disposizioni di cui agli articoli 1, 2, 3 e 4 hanno effetto a decorrere dal 1^ gennaio 2003, senza diritto alla corresponsione degli arretrati.

 

Art. 6.

 

1. Gli effetti economici derivanti dall'applicazione degli articoli 1, 2, 3 e 4 operano previa riduzione di corrispondenti importi attribuiti a titolo di riallineamento stipendiale ai sensi delle norme soppresse dal decreto legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359.

2. Il medesimo criterio di cui al comma 1 si applica, altresì, con riferimento all'articolo 50, comma 4, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, per la parte relativa al personale di magistratura.

 

Art. 7.

 

1. Gli stipendi iniziali relativi alle varie qualifiche del personale di magistratura sono, in funzione perequativa, rideterminati come indicato nella tabella allegata alla presente legge.

2. Nei confronti del personale di magistratura, che cessa dal servizio con diritto a pensione nel periodo 1^ gennaio 2003-31 dicembre 2004, i miglioramenti previsti nella tabella di cui al comma 1 si applicano nella misura integrale, alle scadenze e negli importi indicati.

 

Art. 8.

 

1. Per il personale di magistratura che ha fruito del beneficio del riallineamento stipendiale, il miglioramento conseguente all'applicazione delle nuove misure degli stipendi iniziali di cui all'articolo 7, non produce effetti sulla parte di trattamento economico in godimento derivante dal medesimo beneficio, che rimane pertanto invariato negli importi.

 

Art. 9.

 

1. Sono fatti salvi il sistema di progressione economica di cui all'articolo 3 della legge 6 agosto 1984, n. 425, nonché quello di adeguamento triennale di cui agli articoli 11 e 12 della legge 2 aprile 1979, n. 97, e 24, comma 4, della legge 23 dicembre 1998, n. 448.

 

Art. 10.

 

1. L'adeguamento triennale di cui all'articolo 9, relativo agli esercizi finanziari 2003, 2004 e 2005, resta sospeso, concorrendo le conseguenti economie di bilancio alla copertura degli oneri derivanti dall'applicazione della presente legge.

 

Art. 11.

 

1. Gli organi di autogoverno delle magistrature, nell'ambito delle rispettive attribuzioni, danno attuazione ai criteri generali, stabiliti con legge, di valutazione periodica della professionalità del personale di magistratura finalizzati all'efficienza, efficacia ed economicità dell'amministrazione della giustizia.

 

Art. 12.

 

1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2002-2004, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2002, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della giustizia.

2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

 

 


 

 

TABELLA

(v. articolo 7)

 

Avvocatura dello Stato

Magistratura militare

Magistratura amministrativa

Magistratura contabile

Magistratura ordinaria

Stipendio base dal 1 gennaio 2002

Stipendio base dal 1 gennaio 2003

Stipendio base dal 1 gennaio 2004

 

uditore giudiziario

 

 

uditore giudiziario

40.960.943

50.775.395

60.589.846

procuratore I cl. stip

udit. giud. dopo 6 mesi

 

 

udit. giud. dopo 6 mesi

45.888.102

55.697.275

65.506.447

avvocato I cl. stip./

procuratore III cl. stip./

procuratore II cl. stip

magistrato di tribunale

referendario

referendario/sost. procuratore generale

magistrato di tribunale

78.811.909

87.375.618

95.939.326

avvocato II cl. stip.

procuratore IV cl. stip

magistrato di appello

primo referendario

primo referendario / sost. procuratore generale

magistrato di appello

92.517.904

104.973.846

117.429.788

avvocato III cl. stip.

magistrato di cassazione

consigliere

consigliere/vice procuratore generale

magistrato di cassazione

100.173.813

110.471.900

120.769.988

avvocato V cl. stip.

magistrato di cassazione nominato alle ff.dd.ss

presidente di sezione

presidente di sezione/procuratore generale

magistrato di cassazione nominato alle ff.dd.ss.

114.246.657

123.155.801

132.064.946

avvocato generale dello Stato

 

presidente del Consiglio di Stato

presidente della Corte dei conti

procuratore generale/primo presidente aggiunto/ presidente T.S.A.P.

121.779.601

127.845.682

133.911.763

 

 

 

 

primo presidente della Corte di Cassazione

141.828.598

159.297.002

176.765.406

.

 

 

 


N. 2153

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

¾¾¾¾¾¾¾¾

PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa dei deputati

BUEMI, BOSELLI, INTINI, VILLETTI, ALBERTINI, CEREMIGNA, DI GIOIA, GROTTO, PAPPATERRA, CRAXI

¾

 

Istituzione della Scuola nazionale della magistratura e norme in materia di reclutamento, formazione e valutazione della professionalità dei magistrati

 

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Presentata il 10 gennaio 2002

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        Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge concerne l'istituzione della Scuola nazionale della magistratura.

        Gli articoli da 1 a 4 definiscono natura e funzioni della Scuola, mentre gli articoli da 5 a 17 riguardano gli organi della stessa. Di particolare rilievo è la funzione del consiglio scientifico, che svolge anche la funzione di commissione di esame. Di esso fanno parte anche tre magistrati, di cui almeno uno con funzioni giudicanti e almeno uno con funzioni requirenti.

        L'articolo 18 riguarda il tirocinio e l'esame degli aspiranti uditori giudiziari. In virtù del principio della distinzione delle funzioni del magistrato, il candidato, due mesi prima della prova di esame, deve indicare espressamente se intende intraprendere la carriera di magistrato con funzioni giudicanti ovvero di magistrato con funzioni requirenti. Tale opzione deve essere confermata subito dopo lo svolgimento della prova di esame. La commissione, infatti, nel valutare l'idoneità del candidato dovrà tenere conto della rispondenza tra l'opzione espressa dallo stesso e le attitudini manifestate nel corso di studi e nella prova. La commissione, dunque, può eventualmente consigliare il candidato a optare per un ruolo diverso da quello indicato nella prima opzione. Il confronto tra il candidato e la commissione sull'opportunità dell'opzione espressa dal candidato costituisce a tutti gli effetti elemento di valutazione della prova di esame.

        Le modalità tecniche di esame e di valutazione sono stabilite con apposito regolamento del Ministro della giustizia (articolo 19). Gli articoli da 20 a 22 regolano i concorsi e il tirocinio sulla base della nuova normativa di formazione.


 


 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. E' istituita la Scuola nazionale della magistratura, quale Scuola superiore per la formazione dei magistrati, di seguito denominata "Scuola".

2. La Scuola è dotata di personalità giuridica e gode di autonomia amministrativa, finanziaria e contabile. Essa è soggetta alle regole di bilancio e di rendiconto previste dalla legislazione vigente in materia.

3. La dotazione economica annuale della Scuola è iscritta in una apposita unità previsionale di base dello stato di previsione del Ministero della giustizia.

4. L'azione di formazione professionale della Scuola è esercitata nel quadro ed in conformità degli indirizzi stabiliti annualmente dal Consiglio superiore della magistratura.

 

Art. 2.

 

1. Sono compiti primari della Scuola:

 

a) organizzare e gestire il tirocinio degli aspiranti uditori giudiziari;

 

b) curare l'aggiornamento e la formazione professionale dei magistrati durante l'esercizio delle funzioni giudiziarie;

 

c) contribuire alla formazione di magistrati stranieri o aspiranti tali, nel quadro degli accordi internazionali di cooperazione tecnica in materia giudiziaria;

 

d) organizzare incontri di studio e ricerche, o comunque promuovere iniziative culturali su argomenti giuridici e sull'organizzazione di sistemi e di uffici giudiziari.

 

Art. 3.

 

1. Costituiscono entrate della Scuola:

 

a) la dotazione annuale di cui all'articolo 1, comma 3, ed eventuali dotazioni supplementari alla stessa assegnate a carico del bilancio dello Stato;

 

b) le eventuali somme ad essa destinate dal Consiglio superiore della magistratura e dal Ministero della giustizia per l'espletamento di compiti di interesse dell'istituzione richiedente;

 

c) le donazioni o legati fatti a suo favore;

 

d) gli utili derivanti da pubblicazioni curate dalla Scuola o dalla prestazione di servizi;

 

e) ogni altra risorsa ad essa attribuita dalla legge o da atto avente forza di legge.

 

Art. 4.

 

1. Costituiscono uscite della Scuola:

 

a) le spese necessarie al suo funzionamento;

 

b) le remunerazioni, le borse di studio od i sussidi dovuti a docenti, ausiliari, partecipanti alle sessioni ed uditori giudiziari;

 

c) il rimborso delle spese di viaggio e di trasferta inerenti le attività di formazione, incluse quelle del proprio personale per missioni strettamente attinenti i compiti di istituto;

 

d) le spese di pubblicazione di atti e di gestione dei servizi sussidiari.

 

Art. 5.

 

1. La Scuola è articolata in due sezioni.

2. La prima sezione della Scuola si occupa dei compiti elencati alle lettere b), c) e d) del comma 1 dell'articolo 2, nonché della formazione complementare degli uditori giudiziari ai sensi dell'articolo 18, comma 8.

3. La seconda sezione della Scuola si occupa del tirocinio ai sensi della lettera a) del comma 1 dell'articolo 2.

 

Art. 6.

 

1. Gli organi della Scuola sono:

 

a) il consiglio scientifico;

 

b) il consiglio di amministrazione;

 

c) il direttore;

 

d) il direttore del tirocinio;

 

e) i comitati di gestione di ciascuna sezione di cui all'articolo 5;

 

f) il servizio di segreteria di ciascuna sezione.

 

Art. 7.

 

1. Il consiglio scientifico svolge le seguenti funzioni:

 

a) elabora il piano annuale delle attività teorico-pratiche e stabilisce le relative modalità di esecuzione, nel quadro degli indirizzi enunciati annualmente dal Consiglio superiore della magistratura e nel rispetto dei vincoli di bilancio;

 

b) redige il regolamento interno e approva le eventuali modifiche;

 

c) nomina i componenti dei comitati di gestione delle due sezioni della Scuola;

 

d) approva la relazione annuale sulle attività della Scuola e la trasmette al Consiglio superiore della magistratura con le sue eventuali osservazioni;

 

e) delibera su ogni questione attinente il funzionamento della Scuola, che non sia di competenza di altri organismi o che sia ad essa sottoposta dal direttore o dal Consiglio superiore della magistratura.

 

Art. 8.

 

1. Il consiglio scientifico opera presso la sezione di formazione permanente di cui all'articolo 5, comma 2, ed è costituito da:

 

a) il direttore della Scuola, che lo presiede;

 

b) il vicedirettore;

 

c) tre componenti del Consiglio superiore della magistratura, di cui due togati;

 

d) tre magistrati ordinari, di cui uno dell'ufficio del pubblico ministero, ed almeno uno avente qualifica non inferiore a quella di magistrato di Cassazione;

 

e) due professori ordinari di università in materie civilistiche;

 

f) due avvocati patrocinanti in Cassazione, con almeno dieci anni di esercizio;

 

g) un rappresentante del Ministero della giustizia.

 

2. I magistrati di cui al comma 1, lettere c) e d), sono designati dal Consiglio superiore della magistratura fra i magistrati in servizio od in quiescenza da non più di due anni.

3. I professori di cui al comma 1, lettera e), sono designati da un apposito collegio formato da tutti i prèsidi delle facoltà di giurisprudenza.

4. Gli avvocati di cui al comma 1, lettera f), sono designati dal Consiglio nazionale forense.

5. L'incarico di componenti del consiglio scientifico dura quattro anni e non può essere rinnovato.

6. I componenti del Consiglio superiore della magistratura cessano dall'incarico con la scadenza del Consiglio dal quale sono stati nominati.

7. Il consiglio scientifico si riunisce almeno una volta ogni tre mesi, ed ogni volta che il direttore della Scuola lo convochi ovvero ne facciano richiesta almeno cinque componenti.

8. Il consiglio scientifico delibera validamente con la presenza di almeno nove componenti. Le risoluzioni sono adottate a maggioranza dei presenti e, in caso di parità di voti, prevale quello espresso dal direttore della Scuola.

 

Art. 9.

 

1. Il consiglio di amministrazione:

 

a) redige il bilancio annuale di previsione;

 

b) presenta il rendiconto annuale;

 

c) organizza la contabilità e controlla la sua tenuta;

 

d) esercita le altre funzioni ad esso attribuite dalla legge o dai regolamenti.

 

Art. 10.

 

1. Il consiglio di amministrazione opera presso la sezione di formazione permanente di cui all'articolo 5, comma 2, ed è costituito da:

 

a) il direttore della Scuola, che lo presiede;

 

b) il segretario;

 

c) un rappresentante del Ministero della giustizia;

 

d) un rappresentante del Ministero dell'economia e delle finanze.

 

2. Il consiglio di amministrazione si riunisce ordinariamente una volta ogni tre mesi, ed in via straordinaria quando è convocato dal direttore della Scuola ovvero ne fanno richiesta almeno due componenti.

3. Il consiglio di amministrazione delibera validamente con la presenza di almeno tre componenti. Le delibere sono adottate a maggioranza dei presenti e, in caso di parità di voti, prevale quello espresso dal direttore della Scuola.

 

Art. 11.

 

1. Il direttore della Scuola:

 

a) rappresenta la Scuola all'esterno a tutti gli effetti;

 

b) dirige e coordina le attività della Scuola, indirizzandole ai fini ad essa assegnati, e compie tutto quanto è necessario per il loro perseguimento;

 

c) sovrintende alla sezione di formazione permanente di cui all'articolo 5, comma 2, e ne dirige il relativo comitato di gestione;

 

d) provvede all'esecuzione delle delibere del consiglio scientifico e del consiglio di amministrazione;

 

e) adotta le delibere d'urgenza, con riserva di ratifica se esse rientrano nella competenza di un altro organo;

 

f) redige la relazione annuale sull'attività della Scuola, con l'ausilio, ove lo ritenga, dei comitati di gestione;

 

g) esercita le competenze a lui eventualmente delegate dal consiglio scientifico o dal consiglio di amministrazione;

 

h) si avvale del personale addetto alla Scuola;

 

i) esercita ogni altra funzione conferitagli dalle leggi o dai regolamenti.

 

Art. 12.

 

1. Il direttore della Scuola è nominato dal Consiglio superiore della magistratura, sentito il Ministro della giustizia, fra i magistrati ordinari aventi qualifica non inferiore a magistrato di Cassazione.

2. Il direttore è collocato fuori del ruolo organico della magistratura e dura in carica quattro anni.

3. L'incarico di direttore può essere rinnovato per una sola volta, e può essere revocato dal Consiglio superiore della magistratura, con provvedimento motivato, nel caso di grave inosservanza degli indirizzi stabiliti dallo stesso Consiglio.

 

Art. 13.

 

1. Il direttore del tirocinio opera presso la sezione addetta al tirocinio di cui all'articolo 5, comma 3, ed ha funzione di vicedirettore della Scuola.

2. Il direttore del tirocinio opera nella sezione di sua competenza con lo stesso grado di autonomia del direttore della Scuola.

3. Al direttore del tirocinio nella qualità di vicedirettore della Scuola spettano le seguenti funzioni:

 

a) sostituire il direttore della Scuola nel caso di sua assenza od impedimento;

 

b) dirigere la sezione addetta al tirocinio e compiere quanto occorra al perseguimento dei fini ad essa assegnati;

 

c) partecipare alle attività del consiglio scientifico;

 

d) svolgere i compiti corrispondenti a quelli assegnati al direttore della Scuola, in quanto applicabili alla sezione di sua competenza.

 

4. Al direttore del tirocinio si applicano le disposizioni di cui all'articolo 12.

 

Art. 14.

 

1. Presso ciascuna delle due sezioni di cui all'articolo 5 è costituito un comitato di gestione.

2. Il comitato di gestione provvede a:

 

a) dare attuazione alle direttive didattico-scientifiche enunciate dal Consiglio superiore della magistratura e dal consiglio scientifico;

 

b) programmare, per quanto di rispettiva competenza, le sessioni di formazione e le attività di tirocinio, sia presso la Scuola sia presso gli uffici giudiziari e le altre sedi;

c) definire il contenuto analitico di ciascuna sessione o fase di tirocinio ed individuare i relativi docenti;

 

d) organizzare momenti di coordinamento fra i docenti e reperire ogni materiale utile al migliore funzionamento delle attività di formazione;

 

e) fissare i criteri di ammissione alle sessioni di formazione, informare i magistrati, ammettere i richiedenti;

 

f) offrire ogni sussidio didattico che si riveli utile e sperimentare formule didattiche, di intesa con il comitato scientifico;

 

g) seguire costantemente lo svolgimento delle sessioni e presentare relazioni consuntive sull'esito di ciascuna di esse; seguire direttamente il tirocinio nelle fasi effettuate presso la Scuola e, con le adeguate modalità, nelle fasi svolte all'esterno della stessa;

 

h) adempiere ogni altro compito ad esso affidato dal Consiglio superiore della magistratura o dal consiglio scientifico.

 

Art. 15.

 

1. Il comitato di gestione di cui all'articolo 14, è composto da:

 

a) il direttore della rispettiva sezione, che lo presiede;

 

b) cinque magistrati nominati dal Consiglio superiore della magistratura e collocati fuori ruolo.

 

2. In seguito alla prima nomina effettuata dopo la data di entrata in vigore della presente legge, i magistrati di cui al comma 1, lettera b), cessano dall'incarico uno dopo tre anni, due dopo quattro anni e due dopo cinque anni. L'individuazione del momento di cessazione di ciascun magistrato, nel caso non si raggiunga un accordo, è effettuata per sorteggio.

3. Dopo la prima nomina effettuata ai sensi del comma 2 l'incarico dura quattro anni. In nessun caso esso può essere rinnovato.

 

Art. 16.

 

1. Presso ogni sezione della Scuola di cui all'articolo 5, è costituito un servizio di segreteria.

2. Il servizio di segreteria provvede:

 

a) al disbrigo degli affari di rispettiva competenza, relativi al consiglio scientifico, al consiglio di amministrazione, al direttore della Scuola ed al comitato di gestione;

 

b) a dare esecuzione ad ogni delibera concernente l'attività della rispettiva sezione;

 

c) a gestire l'archivio, le installazioni, la biblioteca e le altre dotazioni della sezione;

 

d) ad effettuare le ricerche ad esso demandate dal direttore di sezione;

 

e) ad assolvere ad ogni altro compito ad esso demandato dalla legge o dai regolamenti.

 

Art. 17.

 

1. Il servizio di segreteria di cui all'articolo 16 è costituito da:

 

a) un segretario, con qualifica non inferiore a quella di dirigente di cancelleria, con funzione di coordinamento dell'intero servizio, e con responsabilità della sezione di formazione permanente;

 

b) un vicesegretario, con qualifica non inferiore a quella di direttore di cancelleria, responsabile della sezione addetta al tirocinio;

 

c) un assistente giudiziario per ciascuna sezione;

 

d) due coadiutori di cancelleria per ciascuna sezione;

e) quattro operatori amministrativi per ciascuna sezione;

 

f) quattro commessi giudiziari per ciascuna sezione.

 

2. Al reperimento del personale di cui al comma 1 si provvede con decreto del Ministro della giustizia, nelle forme e nei modi disciplinati dal regolamento di attuazione di cui all'articolo 19.

 

Art. 18.

 

1. A decorrere dalla data di istituzione della Scuola, il tirocinio degli aspiranti uditori giudiziari ha una durata di due anni.

2. Il tirocinio di cui al comma 1 inizia il 16 settembre di ogni anno e si articola in quattro sessioni semestrali, svolte alternativamente presso la Scuola e presso gli uffici giudiziari o le altre sedi individuate nel programma di tirocinio.

3. Il tirocinio si conclude con un esame sostenuto davanti al consiglio scientifico.

4. Le modalità di svolgimento dell'esame sono stabilite con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca.

5. Entro i due mesi precedenti alla data dell'esame, il candidato deve comunicare alla commissione di esame la propria opzione per il ruolo della magistratura giudicante ovvero per il ruolo della magistratura inquirente.

6. L'opzione di cui al comma 5, se confermata al momento in cui si sostiene l'esame, risulta vincolante per lo svolgimento della carriera di magistrato.

7. L'attestato di abilitazione è rilasciato dal consiglio scientifico, tenuto conto del tirocinio e dell'esito dell'esame e reca l'indicazione dell'opzione vincolante di cui al comma 6.

8. Nei primi cinque anni successivi all'assunzione delle funzioni giudiziarie i magistrati devono partecipare ad almeno una sessione all'anno di formazione professionale, per essi predisposta dalla sezione di formazione permanente della Scuola di cui all'articolo 5, comma 2.

9. Ulteriori disposizioni sul tirocinio di cui al presente articolo sono dettate dal Consiglio superiore della magistratura.

10. L'articolo 129 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, è abrogato.

 

Art. 19.

 

1. Il Ministro della giustizia adotta, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, e sentito il parere del Consiglio superiore della magistratura, il relativo regolamento di attuazione, recante, in particolare, le norme regolamentari attinenti lo stato giuridico di tutto il personale della Scuola, le procedure amministrative, la contabilità ed il bilancio.

 

Art. 20.

 

1. L'articolo 123 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

 

"Art. 123. - (Concorso per uditore giudiziario). - 1. La nomina ad uditore giudiziario si consegue mediante concorso per esame al quale sono ammessi, in numero triplo rispetto ai posti da coprire, i candidati che conseguono il maggiore punteggio sulla base del voto del diploma di laurea e del voto conseguito nell'esame di abilitazione sostenuto presso la Scuola nazionale della magistratura.

2. Al fine di procedere alla selezione per l'ammissione alle prove scritte il punteggio si calcola in proporzione al voto conseguito nel diploma di laurea e al voto conseguito nell'esame di abilitazione.

3. L'eventuale lode del diploma di laurea è valutata due punti. E', comunque, ammesso a sostenere le prove scritte un numero maggiore di candidati rispetto al triplo dei posti messi a concorso se si verificano situazioni di parità di punteggio con l'ultimo dei candidati utilmente collocato in graduatoria.

4. La valutazione è effettuata dal Ministero della giustizia. L'esame per gli ammessi consiste in tre prove scritte di contenuto teorico-pratico sulle seguenti materie:

 

a) diritto civile, diritto romano e procedura civile;

 

b) diritto penale e procedura penale;

 

c) diritto amministrativo.

 

5. La prova orale verte sulle materie previste per le prove scritte nonché sul diritto costituzionale, diritto internazionale, diritto ecclesiastico, diritto del lavoro, legislazione sociale e normativa comunitaria.

6. Sono ammessi alla prova orale i candidati che ottengono non meno di 12/20 dei punti in ciascuna prova scritta. Conseguono l'idoneità i candidati ammessi alla prova orale e che la superano con un punteggio non inferiore a 6/10; tali soggetti sono classificati e dichiarati vincitori sulla base del punteggio conseguito".

 

Art. 21.

 

1. L'articolo 124 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

 

"Art. 124 - (Requisiti per l'ammissione al concorso). - 1. Al concorso per uditore giudiziario sono ammessi i laureati in giurisprudenza in possesso dell'abilitazione rilasciata dalla Scuola nazionale della magistratura e che rispondono ai requisiti previsti dall'articolo 8 ed agli altri requisiti richiesti dalle leggi vigenti.

2. Non sono ammessi al concorso coloro che per le informazioni raccolte, non risultano, a giudizio insindacabile del Consiglio superiore della magistratura, di moralità incensurabile".

 

Art. 22.

 

1. Gli uditori giudiziari, dichiarati vincitori di concorso, devono compiere un periodo di tirocinio della durata di almeno due anni presso i tribunali e in tale periodo non possono essere destinati a svolgere funzioni giurisdizionali autonome.

2. Sono abrogate tutte le norme in contrasto con il presente articolo.

 

 


 

N. 2154

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d'iniziativa dei deputati

BUEMI, BOSELLI, INTINI, VILLETTI, ALBERTINI, CEREMIGNA, DI GIOIA, GROTTO, PAPPATERRA, CRAXI

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Norme in materia di stato giuridico dei magistrati e di separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e magistrati inquirenti

 

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Presentata il 10 gennaio 2002

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Onorevoli Colleghi! - Il principio di responsabilità è il cardine del moderno costituzionalismo. Esso però, in Italia, appare spesso disatteso nell'ambito dell'esercizio della funzione giudiziaria, il che contribuisce ad allontanare pericolosamente le istituzioni dai cittadini. In particolare si avverte l'esigenza di un sistema che, al fine di garantire un perfetto equilibrio processuale, eviti contaminazioni tra la funzione di chi giudica e la funzione di chi accusa. Strettamente connesse a questo problema si pongono altre due esigenze, quella di un'adeguata formazione dei magistrati e quella di una carriera non dettata solo da meccanismi burocratici ma regolata sui princìpi del merito e della professionalità.

Per quanto riguarda il primo punto, si propone l'istituzione di una scuola di formazione dei magistrati che avvii anche, in modo vincolante, all'esercizio del ruolo giudicante ovvero del ruolo requirente.

Per quanto riguarda il secondo punto, si propone una nuova disciplina per il reclutamento degli uditori giudiziari e una nuova normativa della carriera dei magistrati.

L'articolo 1 della proposta di legge distingue la magistratura in giudicante ed inquirente. La norma è dettata dalla necessità di soddisfare esigenze di ordine tecnico, essendo diversissime, fra di loro, le funzioni giudicanti ed inquirenti che rendono, pertanto, necessarie diverse specializzazioni.

Gli articoli 2 e 3 stabiliscono le modalità con cui avviene l'assegnazione ai ruoli ed i criteri con i quali risolvere le situazioni di esubero.

Gli articoli 4, 5 e 6 stabiliscono i tempi e le modalità di applicazione delle norme proposte.

L'articolo 7 stabilisce il divieto di mutamento delle funzioni, con il passaggio dall'uno all'altro ruolo.

L'articolo 8, che modifica l'articolo 188 dell'ordinamento giudiziario approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e l'articolo 9 eliminano la deleteria corsa agli incarichi direttivi in magistratura e le scelte del Consiglio superiore della magistratura, stabilendo che, nelle funzioni direttive, si avvicendino, per due anni, tutti i magistrati del medesimo ufficio, aventi grado di magistrato di corte di appello o grado superiore, nell'ordine di anzianità, ovvero, per gli uffici direttivi, di cui all'articolo 120 dell'ordinamento giudiziario, di magistrato di Corte di cassazione, con idoneità alle funzioni direttive superiori. La rotazione è rigorosamente limitata ai magistrati appartenenti al medesimo ufficio, onde escludere qualsiasi mutamento di sedi, che vanificherebbe, di fatto, il principio costituzionale dell'inamovibilità dei magistrati. L'articolo 10 modifica la legge n. 195 del 1958, nel senso di riconoscere, avverso le decisioni della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, il ricorso al tribunale amministrativo regionale ed, in seconda istanza, al Consiglio di Stato. La normativa vigente, in effetti, si risolve in una capitis diminutio per il magistrato rispetto agli impiegati civili dello Stato, cui sono garantiti due gradi di giudizio avverso i provvedimenti disciplinari: il ricorso al tribunale amministrativo regionale ed in seconda istanza al Consiglio di Stato.

L'articolo 11 stabilisce le incompatibilità della funzione di magistrato.

L'articolo 12 regola l'avanzamento della carriera sulla base dei posti disponibili e per quanto riguarda la promozione da magistrato di tribunale a magistrato di Corte di appello e da magistrato di Corte di appello a magistrato di Corte di cassazione, dei meriti acquisiti in appositi concorsi.

Infine all'articolo 13 si stabiliscono i doveri del magistrato in merito ai luoghi e ai tempi dello svolgimento della propria funzione ed al luogo della propria residenza.


 

 

 


 


proposta di legge

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Art. 1.

(Distinzione tra magistratura giudicante ed

inquirente).

 

1. La magistratura è distinta in due ruoli: magistratura giudicante e magistratura inquirente.

2. I magistrati di entrambi i ruoli si distinguono in: uditori giudiziari, magistrati di tribunale, magistrati di corte di appello, magistrati di Corte di cassazione.

 

 

Art. 2.

(Modalità di assegnazione dei magistrati nei ruoli).

 

1. L'assegnazione dei magistrati nei ruoli avviene, da parte del Consiglio superiore della magistratura, all'atto del conferimento delle funzioni di uditore giudiziario, sulla base dell'opzione vincolante per il ruolo della magistratura giudicante ovvero per il ruolo della magistratura inquirente e su domanda degli uditori stessi.

 

 

Art. 3.

(Criteri di collocazione nei ruoli in situazioni di

esubero).

 

1. I magistrati che già esercitano le funzioni, alla data di entrata in vigore della presente legge sono inquadrati nel ruolo corrispondente alle funzioni esercitate.

2. Per i magistrati che intendono essere collocati nel ruolo diverso da quello corrispondente alle funzioni esercitate è fatto salvo il diritto di farne domanda al Consiglio superiore della magistratura, entro il termine di trenta giorni, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge.

3. Qualora, attraverso tali domande si dovessero verificare situazioni di esubero nell'uno o nell'altro ruolo, il Consiglio superiore della magistratura procede alla collocazione nei ruoli, avuto riguardo esclusivamente ai seguenti criteri, considerati nell'ordine:

 

a) computo dell'anzianità nelle funzioni esercitate nel corso della carriera;

 

b) grado rivestito dal magistrato;

 

c) anzianità nel grado;

 

d) età del magistrato.

 

 

Art. 4.

(Termine di presentazione delle domande).

 

1. Entro tre mesi dalla scadenza del termine fissato per la presentazione delle domande, il Consiglio superiore della magistratura, nel rispetto dei requisiti di cui al comma 3 dell'articolo 3, provvede alla istruzione di tutte le domande presentate, alla formazione e alla pubblicazione dei ruoli, nonché alla pubblicazione dei posti vacanti in entrambi i ruoli.

 

 

Art. 5.

(Domande per l'assegnazione della sede).

 

1. Nel termine di quindici giorni dalla pubblicazione del bollettino delle sedi vacanti, i magistrati di cui al comma 2 dell'articolo 3 devono inoltrare domanda per l'assegnazione della sede.

2. Se più domande vengono presentate per il medesimo posto, ai concorrenti esclusi è fatto obbligo di presentare domanda per posti vacanti di sedi diverse dello stesso ruolo.

3. All'assegnazione delle sedi vacanti possono concorrere anche i magistrati di cui al comma 1 dell'articolo 3, nell'ambito del ruolo di appartenenza.

 

Art. 6.

(Tempi per la riproposizione delle domande non

accolte).

 

1. I magistrati di cui al comma 2 dell'articolo 3, la cui domanda non sia stata accolta, possono riproporla nel quinquennio successivo.

2. Per i magistrati di cui al comma 1 resta riservata una quota pari al cinquanta per cento dei posti che si rendano vacanti in entrambi i ruoli, nel corso del quinquennio successivo.

 

 

Art. 7.

(Divieto di mutamento delle funzioni).

 

1. L'assegnazione nei ruoli giudicante o inquirente, effettuata dal Consiglio superiore della magistratura ai sensi della presente legge, non è suscettibile di ulteriore tramutamento, con passaggio dall'uno all'altro ruolo.

 

Art. 8.

(Conferimento degli uffici direttivi).

 

1. L'articolo 188 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

 

"Art. 188. - (Conferimento degli uffici direttivi). - 1. Gli uffici direttivi di cui all'articolo 119 sono conferiti dal Consiglio superiore della magistratura, per anzianità, ai magistrati di corte di appello o grado superiore.

2. Gli uffici direttivi di cui all'articolo 120 sono conferiti dal Consiglio superiore della magistratura, per anzianità, ai magistrati di Corte di cassazione con idoneità alle funzioni direttive".

 

Art. 9.

(Tempi di esercizio delle funzioni direttive).

 

1. Le funzioni previste dall'articolo 188 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come sostituito dall'articolo 8 della presente legge, sono conferite, seguendo l'ordine di grado e di anzianità, a tutti i magistrati del medesimo ufficio in possesso dei requisiti richiesti dal medesimo articolo che ne facciano domanda.

2. Le funzioni di cui al comma 1 sono esercitate da ciascuno dei magistrati per un periodo non superiore a due anni alternandosi tra di loro nella direzione dell'ufficio.

 

Art. 10.

(Ricorsi su provvedimenti disciplinari).

 

1. Il terzo comma dell'articolo 17 della legge 24 marzo 1958, n. 195, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

 

"Contro i provvedimenti in materia disciplinare è ammesso il ricorso, in primo grado, al tribunale amministrativo regionale. Contro le decisioni di prima istanza è ammessa l'impugnazione al Consiglio di Stato. Il ricorso ha effetto sospensivo del provvedimento impugnato".

 

Art. 11.

(Incompatibilità della funzione di

magistrato).

 

1. La funzione di magistrato è incompatibile con qualsiasi incarico di natura pubblica o privata.

2. L'eventuale accettazione degli incarichi di cui al comma 1 comporta la decadenza dalla funzione giudiziaria.

3. Per i magistrati attualmente in servizio la rinunzia agli eventuali incarichi dovrà avere luogo entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.

 

Art. 12.

(Avanzamento di carriera).

 

1. Sono ripristinati i ruoli organici dei magistrati di tribunale, di corte di appello e di Corte di cassazione.

2. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo volto a determinare il numero dei posti di organico dei magistrati per ciascuna funzione e disciplinare il loro avanzamento in carriera in base ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a) mantenimento del tetto organico complessivo vigente;

 

b) promozione dalla funzione di magistrato di tribunale a magistrato di corte di appello e da magistrato di corte di appello a magistrato di Corte di cassazione tramite lo svolgimento di esami scritti ed orali entro il limite dei posti vacanti in organico.

 

3. I magistrati in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge conservano il loro stato giuridico ed economico anche in soprannumero rispetto agli organici che il Governo determina con il decreto legislativo di cui al comma 2.

 

Art. 13.

(Doveri del magistrato).

 

1. Il magistrato deve svolgere le funzioni attribuitegli nei locali della sede giudiziaria alla quale è stato assegnato osservando l'orario d'ufficio.

2. E' fatto obbligo al magistrato di risiedere stabilmente nello stesso comune dove ricade l'ufficio giudiziario al quale è assegnato.

 

 


N. 2183

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa dei deputati ANEDDA, AIRAGHI, ALBONI, BENEDETTI VALENTINI, BOCCHINO, BUTTI, CARRARA, COLA, GIORGIO CONTE, FOTI, FRAGALA', GIRONDA VERALDI, LO PRESTI, MIGLIORI, ONNIS, PAOLONE, PATARINO, PEZZELLA, PORCU, ROSITANI, TRANTINO

¾

 

Modifiche all'ordinamento giudiziario, approvato con regio  decreto 30 gennaio 1941, n. 12, in materia di requisiti per l'accesso al concorso in magistratura e di passaggio dalla funzione giudicante alla funzione requirente

 

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Presentata il 16 gennaio 2002

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge intende adeguare l'accesso alla magistratura e il successivo accesso alle funzioni requirenti alle esigenze di professionalità richieste ai magistrati dalla società moderna. A tale fine essa prevede che il candidato al concorso per l'accesso alla magistratura abbia svolto pratica forense presso un avvocato abilitato al patrocinio presso le giurisdizioni superiori. E' infatti necessario evitare che un giovane appena laureato e, quindi, privo di ogni esperienza, acceda, sulla base del solo esame teorico, alla magistratura. A tale fine non è sufficiente il tirocinio previsto per gli uditori giudiziari, oggi sostanzialmente ridotto a soli sei mesi. Pare invece necessaria la preventiva conoscenza di fatti giudiziari quale può essere quella acquisibile presso un affermato studio professionale.

La proposta modifica inoltre l'assegnazione alle funzioni requirenti. La struttura dell'attuale processo penale, la direzione delle indagini attribuita al pubblico ministero, la stessa dialettica processuale, richiedono una spiccata professionalità. A tale fine, oltre ad un più attento vaglio da parte del Consiglio superiore della magistratura, la proposta prevede che il magistrato compia all'inizio della carriera la scelta delle funzioni che intende svolgere e che tale scelta sia non più modificabile. Tale scelta richiede, proprio affinché il futuro pubblico ministero abbia acquisito il massimo dell'esperienza e dell'equilibrio, che il passaggio alle funzioni requirenti avvenga dopo una pluriennale esperienza nell'esercizio della funzione giudicante.

E' conseguente l'abrogazione della norma (articolo 191 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12) che oggi regola la valutazione dell'anzianità nel passaggio dalle funzioni requirenti alle funzioni giudicanti nonché l'introduzione di una norma transitoria riguardante i magistrati che oggi svolgano funzioni requirenti ai quali non può essere negato radicalmente e di colpo il passaggio alle altre funzioni.



 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. Il comma 3 dell'articolo 70 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

 

"3. I titolari degli uffici del pubblico ministero dirigono l'ufficio cui sono preposti, ne organizzano e disciplinano l'attività, vigilano sui sostituti addetti all'ufficio ed esercitano personalmente le funzioni attribuite al pubblico ministero dal codice di procedura penale e dalle altre leggi, quando non designino altri magistrati addetti all'ufficio. Il procuratore generale presso la corte d'appello vigila sull'attività degli uffici del pubblico ministero presso i tribunali del distretto. Negli uffici delle procure della Repubblica presso il tribunale capoluogo del distretto può essere istituito un posto di procuratore aggiunto per specifiche ragioni riguardanti lo svolgimento dei compiti della direzione distrettuale antimafia".

 

Art. 2.

 

1. Il primo comma dell'articolo 124 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

 

"Al concorso sono ammessi i laureati in giurisprudenza in possesso, relativamente agli iscritti al relativo corso di laurea a decorrere dall'anno accademico 1998-1999, del diploma di specializzazione rilasciato da una delle scuole di cui all'articolo 16, del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, e successive modificazioni, che, alla data di scadenza del termine per la presentazione della domanda, abbiano compiuto pratica forense per almeno tre anni presso un avvocato abilitato al patrocinio presso le giurisdizioni superiori, risultino di età non inferiore a ventitre anni e non superiore a quaranta, soddisfino alle condizioni previste dall'articolo 8 del presente ordinamento e abbiano gli altri requisiti richiesti dalla legge".

 

 

Art. 3.

 

1. L'articolo 190 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come sostituito dall'articolo 29 del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 449, è sostituito dal seguente:

 

"Art. 190 (Accesso alle funzioni requirenti e passaggio dalle funzioni giudicanti alle funzioni requirenti). - 1. La magistratura, unificata nel concorso di ammissione, nel tirocinio e nel ruolo di anzianità, è distinta relativamente alle funzioni giudicanti e requirenti.

2. Possono accedere alle funzioni requirenti i magistrati che abbiano esercitato per almeno tre anni, uno dei quali presso il tribunale in composizione collegiale, le funzioni giudicanti. La domanda per il passaggio di funzioni deve essere presentata entro cinque anni dalla nomina ad aggiunto giudiziario.

3. Non è consentito il passaggio dalle funzioni requirenti alle funzioni giudicanti.

4. Il passaggio di un magistrato dalle funzioni giudicanti alle funzioni requirenti può essere disposto, a domanda dell'interessato, solo quando il Consiglio superiore della magistratura, sentito il richiedente, previo parere del consiglio giudiziario e dei procuratori generali dei distretti nei quali l'interessato ha esercitato le funzioni, abbia accertato la sussistenza della idoneità e delle attitudini alla nuova funzione".

 

2. L'articolo 191 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, è abrogato.

 

Art. 4.

 

1. Per i magistrati che, alla data di entrata in vigore della presente legge, svolgono le funzioni requirenti si applicano per sei mesi, decorrenti dalla stessa data, le norme precedentemente in vigore.

 

 


N. 2257

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato MALGIERI

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Norme in materia di dichiarazioni pubbliche dei magistrati della Repubblica

 

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Presentata il 31 gennaio 2002

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Onorevoli Colleghi! - La propensione di molti magistrati a rilasciare interviste agli organi di informazione su vicende processuali in corso ha suscitato un ampio dibattito nel Paese, caratterizzato da polemiche a volte anche veementi.

Che il diritto all'informazione, del quale tutti i cittadini sono titolari, debba essere garantito nelle forme più adeguate e diffuse, è certamente un dato fuori discussione. Preoccupa invece - e non poco - il constatare come molti magistrati avvertano un corrispondente "dovere" a pronunciarsi pubblicamente nel merito di procedimenti giudiziari in itinere.

L'aspetto che la presente proposta di legge intende affrontare è non tanto il problema connesso alla violazione del segreto istruttorio (ipotesi già disciplinata dalla legislazione vigente) quanto, piuttosto, un problema di opportunità. In particolare, la questione consiste nello stabilire se dalle dichiarazioni pubbliche rilasciate da un magistrato agli organi di informazione possa derivare un nocumento all'andamento delle indagini ed un condizionamento della fase in cui si forma la sentenza. Sotto questo profilo, la disamina delle interviste rese in televisione o agli organi di stampa da magistrati impegnati nella conduzione di importanti processi mette in luce una variegata gamma di ipotesi, che vanno, passando per una serie infinita di gradi e livelli, dalla mera ostentazione di un inopportuno protagonismo alla facilmente riconoscibile volontà di introdurre dati ed elementi di chiarimento rispetto a vicende processuali che, per il solo fatto di aver avuto una vasta eco sugli organi di informazione, hanno dato vita alle interpretazioni e valutazioni più diverse.

Se è vero che rispetto alla prima ipotesi non sorge dubbio alcuno sulla necessità di arginare deleteri fenomeni di protagonismo fine a sè stesso (ancor più deleteri se riferiti specificamente agli atteggiamenti dei magistrati), non può non essere considerato come analoga esigenza venga in rilievo anche rispetto alla seconda fattispecie. Se da un lato può infatti essere considerata opportuna, ai fini del ristabilimento della verità, la dichiarazione di un magistrato il quale, come fonte autentica, chiarisca i termini oggettivi di una vicenda descritta dai mezzi di informazione in modo contraddittorio e non univoco, dall'altro va osservato che anche in presenza di dette condizioni l'intervento pubblico del magistrato appare comunque inopportuno, dal momento che non sono certo gli organi di informazione gli interlocutori istituzionali di quest'ultimo. Qualora dalle notizie diramate dai mezzi di comunicazione di massa il giudice traesse elementi per accertare l'esistenza di un reato, egli attiverà le iniziative più adeguate, ma, per ragioni di chiara opportunità, dovrà farlo nei palazzi di giustizia e non in televisione.

In definitiva, le interviste pubbliche rilasciate dai magistrati, prescindendo dal merito (non si è fatto volutamente cenno alle ipotesi, certamente più gravi, in cui i magistrati entrano specificamente nel merito di un procedimento giudiziario in corso, formulando giudizi ed esprimendo valutazioni che mai dovrebbero essere manifestate al di fuori dei tribunali), appaiono inopportune e, soprattutto, improduttive ai fini dell'affermazione di quella che, sempre più diffusamente, viene definita "giustizia giusta".


 

 


 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. Salvo quanto previsto all'articolo 326 del codice penale, i magistrati di ogni ordine e grado non possono rilasciare, in qualsiasi forma, dichiarazioni pubbliche attinenti a qualsiasi titolo a procedimenti giudiziari in corso.

 

 

Art. 2.

 

1. In caso di inosservanza del divieto di cui all'articolo 1, il Ministro della giustizia promuove l'azione disciplinare ai sensi dell'articolo 107 della Costituzione.

 

 

 

 


N. 2439

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato VITALI

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Delega al Governo per la disciplina della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri

 

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Presentata il 27 febbraio 2002

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Onorevoli Colleghi! - La piena indipendenza nell'esercizio dell'azione penale, ampiamente discrezionale, e la effettiva direzione della polizia per la conduzione delle indagini, hanno portato nella sostanza il pubblico ministero ad acquisire il ruolo di un vero e proprio poliziotto che opera in assoluta indipendenza; una figura atipica in un sistema democratico. Questa funzione anomala rende diversa la categoria del pubblico ministero italiano da quella degli altri ordinamenti europei e non solo europei.

I nostri pubblici ministeri appartengono alla stessa categoria dei giudici: reclutamento attraverso lo stesso concorso e possibilità di passare da una funzione all'altra, anche più volte, nel corso della loro carriera.

L'unico Paese dell'Unione europea che ha tali caratteristiche è la Francia ove però, a differenza dell'Italia, il pubblico ministero è sottoposto alla supervisione gerarchica del Ministro della giustizia.

In nessuno dei Paesi con sistema processuale accusatorio il pubblico ministero appartiene allo stesso corpo dei giudici.

Fino alla metà degli anni '60 i passaggi dalla funzione del pubblico ministero a quella del giudice e viceversa erano rari. A rendere difficile il passaggio contribuiva una precisa norma dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto n. 12 del 1941, e cioè l'articolo 190, quarto comma, il quale prevedeva che "durante la permanenza nel medesimo grado, il passaggio dalle funzioni requirenti alle funzioni giudicanti è consentito soltanto per ragioni di salute debitamente accertate o, in via eccezionale, per gravi e giustificati motivi; ed il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti è ammesso soltanto a favore di chi ha speciali attitudini alle funzioni di pubblico ministero".

Altro ostacolo era rappresentato dal sistema delle promozioni.

A partire dalla istituzione del Consiglio superiore della magistratura e, soprattutto, dalla metà degli anni '60, che videro la modifica del sistema delle promozioni con la eliminazione di fatto delle valutazioni della professionalità, l'articolo 190 dell'ordinamento giudiziario venne disapplicato. Nel 1977 il CSM decise formalmente che l'articolo 190 dell'ordinamento giudiziario doveva ritenersi abrogato in virtù della legge 24 maggio 1951, n. 392 (di ben 26 anni prima).

Le ragioni che esigono la separazione delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri anche nel nostro sistema giudiziario, sono molte.

Partono innanzitutto dalle direttive europee, dalle indicazioni del Trattato di Maastricht il quale impegna gli Stati membri a promuovere una convergenza dei loro assetti giudiziari.

Il Comitato dei Ministri dell'Unione europea ha approvato un documento che fissa in 37 punti i princìpi fondamentali ai quali tutti i pubblici ministeri d'Europa dovrebbero adeguarsi. "(..) i pubblici ministeri devono rendere conto, periodicamente e pubblicamente, dell'insieme della loro attività. Non devono interferire nelle competenze del potere legislativo e del potere esecutivo. Non possono criticare i giudici e devono astenersi da ogni discriminazione fondata su opinioni politiche o di altro tipo". Questa direttiva è del 1977 e per costruire lo spazio giuridico europeo ed una cooperazione valida al suo interno è necessario, sia pure con tanto ritardo, adeguarsi.

I nostri giudici e pubblici ministeri non solo vengono reclutati con lo stesso concorso e possono spostarsi da una funzione all'altra, ma svolgono anche le loro funzioni negli stessi palazzi; hanno una quotidiana dimistichezza di rapporti di lavoro e anche sociali; appartengono alla stessa associazione sindacale e alle stesse correnti associative; eleggono congiuntamente i loro rappresentanti al CSM. Innumerevoli sono le occasioni in cui giudici e pubblici ministeri si comunicano le reciproche difficoltà di lavoro e le reciproche aspettative anche riguardo a singoli casi che stanno trattando. In altri Paesi qualsiasi rapporto tra pubblico ministero e giudice sui casi di cui sono investiti, che avvenga in assenza del difensore, viene duramente sanzionato come grave vulnus ai diritti della difesa e del cittadino indagato.

Sulla necessità di tenere separato il reclutamento dei pubblici ministeri da quello dei giudici esistono poi altre ragioni di grande rilievo.

Una prima riguarda specificatamente il nostro Paese. In quarant'anni si è ribaltato il rapporto tra i magistrati che, al momento dell'assunzione, chiedono di fare il pubblico ministero e quelli che chiedono di fare il giudice civile a favore dei primi. E ciò, probabilmente, perché è proprio il magistrato con potere investigativo che diventa il più visibile modello del magistrato di successo; il punto di riferimento delle nuove generazioni di magistrati. I giovani sono dunque attratti da questa funzione ma la maggior parte di quelli che entrano in magistratura con quelle motivazioni devono poi essere destinati a svolgere funzioni di giudice e questo determina qualche problema in più! Questi giovani vengono destinati, cioè, a svolgere un ruolo che è invece per sua natura passivo, di terzo imparziale tra le parti, comunque non coinvolto o influenzato dalle passioni che agitano la società. Ciascuno porta nel proprio lavoro le motivazioni, i valori, gli orientamenti che lo caratterizzano e che poi in vario modo e misura orientano i suoi comportamenti e le sue azioni nel lavoro. La separazione del processo di selezione e socializzazione dei pubblici ministeri da quello dei giudici diviene quindi un elemento importante anche per assicurare, in prospettiva, che almeno i giudici abbiano sin dall'inizio e mantengano nel tempo quei valori di terzietà, passività e distacco che sono tipici della cultura della giurisdizione.

Una seconda ragione che consiglia di tenere separato il ruolo del pubblico ministero da quello del giudice riguarda l'evoluzione del ruolo del pubblico ministero avvenuta in tutti i Paesi democratici. Si tratta da un canto della evoluzione e della maggiore complessità dei fenomeni criminali e del loro accresciuto ambito di azione e dall'altro della evoluzione delle tecniche e tecnologie di indagine. Entrambi questi aspetti rendono sempre più essenziale una specifica preparazione professionale distinta da quella del giudice.

Queste ragioni, per la verità, sono state già a suo tempo mirabilmente rappresentate dal magistrato inquirente italiano più noto nel mondo e cioè Giovanni Falcone.

Su questa direttrice bisogna muoversi accantonando il timore della dipendenza del pubblico ministero dall'esecutivo e della discrezionalità dell'azione penale che viene puntualmente sbandierato tutte le volte in cui si parla di differenziazione delle carriere. Appare, pertanto, necessario prevedere che l'accesso alle due carriere di giudice e di pubblico ministero avvenga mediante concorsi separati.

 


 


 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e secondo i princìpi e criteri direttivi ivi stabiliti, uno o più decreti legislativi diretti a:

 

a) prevedere che l'accesso alle professioni di giudice e di pubblico ministero avvenga mediante concorso unico da espletare per tutte le attività legali in modo da garantire una selezione attitudinale e professionale in relazione alle specifiche esigenze delle funzioni da svolgere;

 

b) prevedere che il 90 per cento delle vacanze annuali nel ruolo dei giudici sia coperto con concorsi basati su prove scritte e orali riservati ai laureati in giurisprudenza in possesso del diploma di specializzazione di cui all'articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, e successive modificazioni;

 

c) prevedere che il 90 per cento delle vacanze annuali nel ruolo dei pubblici ministeri sia coperto con concorsi basati su prove scritte e orali riservati ai laureati in giurisprudenza in possesso del diploma di specializzazione di cui all'articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, e successive modificazioni;

 

d) prevedere che il 10 per cento delle vacanze annuali nel ruolo dei giudici sia coperto con concorsi riservati ad avvocati con almeno cinque anni di effettiva pratica forense. Tali concorsi devono essere basati su prove scritte e orali di carattere prevalentemente pratico. I posti eventualmente non coperti con tali concorsi sono coperti con gli idonei dei concorsi di cui alla lettera b);

 

e) prevedere che il 10 per cento delle vacanze annuali nel ruolo dei pubblici ministeri sia coperto con concorsi riservati ad avvocati con almeno cinque anni di effettiva pratica forense ed ai componenti dei vari corpi di polizia con almeno cinque anni di esperienza nelle funzioni di polizia giudiziaria. I posti eventualmente non coperti con tali concorsi sono coperti con gli idonei dei concorsi di cui alla lettera c);

 

f) prevedere che gli uditori giudiziari reclutati con i concorsi di cui alle lettere b) e c) svolgano un periodo di formazione professionale, prevalentemente pratica, organizzato dalla Scuola superiore delle professioni legali, della durata minima di due anni;

 

g) prevedere che le esperienze formative fatte nel periodo di formazione di cui alla lettera f) siano valutate anche con riferimento alle attitudini a svolgere le funzioni peculiari per le quali i candidati sono stati reclutati;

 

h) prevedere che al termine del periodo di formazione di cui alla lettera f) gli uditori giudiziari vengano scelti sia sulla base di prove scritte e di prove orali di tipo pratico sia tenendo conto delle valutazioni ottenute nel corso delle varie fasi del periodo di formazione;

 

i) prevedere che gli uditori giudiziari reclutati con i concorsi di cui alle lettere d) ed e) svolgano un periodo di formazione non inferiore a sei mesi e che al termine di esso siano valutati con modalità analoghe a quelle indicate alla lettera h);

 

l) prevedere che i pubblici ministeri, dopo cinque anni di effettivo esercizio delle funzioni e su loro richiesta, possano transitare al ruolo dei giudici previo superamento del concorso di cui alla lettera d);

 

m) prevedere che i giudici, dopo cinque anni di effettivo esercizio delle funzioni e su loro richiesta, possano transitare al ruolo dei pubblici ministeri previo superamento del concorso di cui alla lettera e).

 

 

 


N. 2569

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d'iniziativa dei deputati

VITALI, MARRAS, ARNOLDI

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Delega al Governo per la definizione delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri

 

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Presentata il 26 marzo 2002

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Onorevoli Colleghi! - Tra le magistrature a consolidata tradizione demo-liberale la magistratura italiana è quella che fornisce le minori garanzie sul piano delle qualificazioni professionali, e nella quale i magistrati svolgono con più frequenza attività extragiudiziaria, con conseguenze che tendono anche ad erodere la demarcazione tra classe politica e magistratura.

Come in altri Paesi dell'Europa continentale, anche in Italia il reclutamento dei magistrati di carriera viene effettuato tra i giovani laureati in giurisprudenza senza alcuna precedente esperienza lavorativa e sulla base di esami competitivi aventi ad oggetto la conoscenza di nozioni giuridiche.

Nel corso della sua carriera il magistrato è formalmente qualificato a coprire indistintamente ed in via esclusiva tutte le molteplici funzioni della giurisdizione civile, penale e minorile; tutte le funzioni che fanno capo al pubblico ministero, ivi inclusa la direzione delle indagini di polizia; tutte le molteplici funzioni direttive del Ministero della giustizia.

Tradizionalmente, e fino alla metà degli anni '60, dopo il reclutamento erano previsti sei diversi vagli di professionalità per i nostri magistrati ed i primi tre prevedevano anche la eventuale dispensa dal servizio. Due soli erano però altamente competitivi e selettivi, il terzo ed il quarto: quelli, cioè, per le promozioni a magistrato di appello e a magistrato di cassazione. La competenza professionale veniva accertata da commissioni esaminatrici composte esclusivamente da alti magistrati, sulla base dei lavori scritti dei candidati. Venivano anche prese in considerazione informazioni sulla adeguatezza dei comportamenti rispetto alle esigenze della funzione di magistrato. I pochi posti disponibili ai tre successivi livelli della carriera venivano assegnati, salvo pochissime eccezioni, sulla base dell'anzianità nel ruolo dei magistrati di cassazione.

Tra il 1963 ed il 1973 il Parlamento cambiò le leggi sulle promozioni dei magistrati fino ad allora vigenti. Anche le nuove leggi prevedevano serie valutazioni di professionalità nel corso della carriera. Tuttavia queste leggi, pur stabilendo che si dovessero effettuare vagli di professionalità ai fini delle promozioni, lasciavano al Consiglio superiore della magistratura (CSM) ampia discrezionalità nel decidere su come effettuarli.

Il risultato è che sin dalla seconda metà degli anni '60 il CSM ha interpretato le leggi sulle promozioni in maniera che va ben al di là del più spinto lassismo per divenire puro e semplice rifiuto di dare ad esse concreta attuazione.

Così, da ormai trent'anni, le valutazioni per le promozioni ai vari livelli non si basano più sulla valutazione dei lavori giudiziari scritti, né su esami; ma, invece, su valutazioni "globali" formulate dai consigli giudiziari e dal CSM in termini generici e laudativi.

A differenza degli altri Paesi europei (Francia, Spagna, Portogallo e Germania), che hanno mantenuto una carriera basata su ricorrenti ed effettive verifiche di professionalità, l'unica garanzia relativa alle qualificazioni professionali dei giudici e dei pubblici ministeri che il nostro sistema offre per tutto l'arto dei 40-45 anni della loro permanenza in servizio è solo quella del concorso iniziale.

Così stando le cose non possono certo destare meraviglia le ricorrenti carenze di professionalità personali e tecniche dei nostri magistrati. Con riferimento agli obbiettivi che il Costituente del 1948 si proponeva nel prevedere la creazione del CSM ci sembra quindi di poter dire che quest'organo non solo è venuto meno ad uno dei principali compiti che gli erano stati assegnati (garantire le qualificazioni professionali dei magistrati), ma con ciò stesso ha al contempo determinato una marcata attenuazione delle condizioni che favoriscono la stessa indipendenza della magistratura.

Ora, certi automatismi di carriera e la pretesa inconfessata di considerare il magistrato come idoneo a svolgere qualsiasi funzione, sono causa non secondaria della grave situazione in cui versa attualmente la magistratura.

A tutto ciò si aggiunga un'altra degenerazione: la lottizzazione correntizia delle posizioni più ambite ed il ruolo sempre più rilevante che le varie correnti della magistratura, rappresentate nel CSM, esercitano nel generare e gestire questo fenomeno. Ne consegue che al momento di scegliere chi tra i vari aspiranti abbia le caratteristiche più adatte per ricoprire i vari e molto diversificati ruoli giudiziari esistenti, vengono a mancare di fatto le informazioni rilevanti per decidere con cognizione di causa.

In materia di valutazioni di professionalità dei magistrati è opportuno ricordare anche un altro meccanismo di verifica previsto dal legislatore e rimasto inefficace. Le varie leggi sulle promozioni attribuiscono tutte, in maniera esplicita, al Ministro della giustizia la facoltà di far pervenire al CSM le sue osservazioni su ogni singola valutazione di professionalità che il CSM si appresta a compiere: dall'analisi dei verbali del CSM non risulta che il Ministro si sia avvalso di tale facoltà nel corso delle migliaia di valutazioni effettuate negli ultimi trentacinque anni.

Nell'immaginare le riforme ordinamentali più adatte a promuovere e a garantire le qualificazioni professionali dei giudici e dei pubblici ministeri è, comunque, opportuno, tenere presente:

 

a) che la Costituzione, assegnando esplicitamente al CSM il compito di effettuare le promozioni dei magistrati, non ha certo voluto attribuire a quel termine un significato diverso da quello che ha nella lingua italiana e cioè un'attività con cui si conferisce il passaggio ad un grado superiore a quello posseduto. Il CSM è venuto meno a questa funzione;

b) che l'Associazione nazionale magistrati (ANM) dopo che i suoi rappresentanti eletti al CSM hanno costantemente operato per vanificare qualsiasi forma effettiva di valutazione professionale dei magistrati, ha finalmente ammesso che questa sua politica è contraria agli interessi del cittadino;

 

c) che dopo queste solenni ammissioni i magistrati che rappresentavano le varie correnti dell'ANM nel CSM hanno di fatto continuato a vanificare qualsiasi forma effettiva di vaglio professionale;

 

d) che in nessuno dei Consigli delle magistrature degli altri Paesi europei i rappresentanti eletti dai magistrati sono presenti in proporzione tanto elevata come in Italia;

 

e) che in Italia il reclutamento dei magistrati di carriera è sempre avvenuto solo per il tramite di un concorso pubblico aperto ai giovani laureati in giurisprudenza. Negli altri Paesi un consistente numero di magistrati di carriera viene comunque arruolato su base professionale.

 

L'introduzione, poi, del principio di temporaneità delle funzioni direttive è opportuna per evitare che funzioni così delicate vengano espletate per molti anni e finiscano per risultare eccessivamente burocratizzate.

 



 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti norme per la definizione delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri sulla base dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a) prevedere che le promozioni non possono eccedere il numero delle vacanze che si determinano annualmente ai livelli della giurisdizione di appello e di cassazione;

 

b) prevedere che, oltre alle valutazioni, ai fini delle promozioni siano comunque effettuate ogni quattro anni verifiche sull'adeguatezza e sulla diligenza con cui i giudici e i pubblici ministeri svolgono le rispettive funzioni e che sia decisa la dispensa dal servizio nel caso tale verifica riveli la perdita della capacità di svolgere adeguatamente le funzioni giudiziarie;

 

c) prevedere che la progressione nel trattamento economico sia collegata alla verifica di cui alla lettera b);

 

d) prevedere la temporaneità degli uffici direttivi, stabilendo la loro durata in un massimo di tre anni, con la possibilità di rinnovo per altri due anni;

 

e) prevedere che il pubblico ministero o il giudice che ha esercitato le funzioni direttive possa concorrere per il conferimento di un incarico per un ufficio direttivo di un distretto diverso da quello di appartenenza;

 

f) prevedere reclutamenti laterali di avvocati a tutti i livelli della giurisdizione con forme di selezione basate sull'accertamento delle capacità professionali effettive, attuate mediante prove che accertino la capacità di esercitare le varie funzioni giudiziarie sia nella forma scritta che orale in condizioni per quanto possibile simili a quelle reali;

 

g) prevedere che la componente "togata" del Consiglio superiore della magistratura (CSM) veda una prevalenza di magistrati delle giurisdizioni superiori che abbiano superato effettivi vagli professionali;

 

h) prevedere che i componenti "laici" del CSM siano eletti dal Parlamento in seduta comune con la maggioranza di tre quinti nelle prime due votazioni e con la maggioranza assoluta a decorrere dalla terza votazione;

 

i) prevedere che il Ministro della giustizia costituisca all'interno del Ministero una unità composta in maggioranza da professori universitari di diritto che lo coadiuva al fine di svolgere con efficacia il compito affidatogli dalla legge di esprimere parere sulle promozioni effettuate dal CSM;

 

l) prevedere che alle seduta dell'assemblea plenaria del CSM il Ministro della giustizia possa farsi rappresentare da un sottosegretario di Stato allo scopo delegato.

 

 


N. 2570

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d'iniziativa dei deputati

VITALI, ARNOLDI

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Delega al Governo per il decentramento dei servizi dellagiustizia e per la riorganizzazione degli uffici giudiziari

 

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Presentata il 26 marzo 2002

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Onorevoli Colleghi! - Negli ultimi anni il nostro sistema giudiziario è stato caratterizzato da un serie di significative riforme che hanno interessato sia il settore penale che quello civile. A queste riforme sono seguiti anche considerevoli aumenti di organico e cospicui investimenti in tecnologie informatiche.

A fronte di queste innovazioni le prestazioni dell'amministrazione della giustizia italiana non sembrano migliorate, anzi, è noto come siano segnalate da più parti difficoltà sempre crescenti.

Il miglioramento delle prestazioni dell'amministrazione giudiziaria non può prescindere dal riconsiderare profondamente sia il ruolo del Ministero della giustizia sia le funzioni della dirigenza degli uffici. Inoltre i giudici ed i pubblici ministeri sono spesso distolti dalla loro attività giudiziaria sia a causa delle numerose incombenze amministrative che devono svolgere, sia perché una quantità considerevole del loro tempo viene destinata a compiti che potrebbero essere proficuamente assegnati ad altro personale.

La presente proposta di legge risponde a questi problemi attraverso il decentramento dei servizi della giustizia, la riorganizzazione degli uffici giudiziari e l'istituzione dell'assistente giuridico-legale.

Con il decentramento dei compiti affidati al Ministero della giustizia nonché delle relative strutture, attraverso gli uffici decentrati dell'amministrazione della giustizia (UDAG), si creano degli organi decisionali e gestionali distribuiti sul territorio.

Con la riorganizzazione degli uffici giudiziari si vuole contribuire significativamente a migliorare il loro funzionamento, liberando i giudici ed i pubblici ministeri da incombenze prettamente amministrative e valorizzando le potenzialità gestionali della dirigenza amministrativa.

Il delicato equilibrio tra la componente togata e quella amministrativa dell'ufficio finisce per generare alcune ineluttabili tensioni organizzative, che richiedono una particolare attenzione per non sfociare in disfunzionali conflitti. A questo fine la presente proposta di legge delega individua i criteri e i princìpi sulla base dei quali i successivi decreti legislativi dovranno prevedere da un lato una chiara separazione di funzioni e competenze fra il magistrato dirigente ed il dirigente amministrativo e, dall'altro, le indispensabili forme di coordinamento e di collaborazione nella gestione dell'ufficio e nella definizione degli obiettivi e dei programmi di attività.

L'articolo 1 contiene i princìpi ed i criteri in base ai quali il Governo dovrà adottare decreti legislativi per il decentramento dei servizi del Ministero della giustizia e per la riorganizzazione degli uffici giudiziari, e in particolare la riserva all'Amministrazione centrale di una pluralità di funzioni in via esclusiva; l'istituzione degli UDAG che avranno un'articolazione territoriale su uno o più distretti simile a quella attualmente in essere per i centri interdistrettuali per i sistemi informativi automatizzati (CISIA) di cui gli UDAG assorbiranno personale e funzioni; i requisiti per la dirigenza degli UDAG e le funzioni ad essi attribuite in materia di personale amministrativo, beni e attrezzature e servizi di cancelleria; le direttive in materia di controlli contabili e sostitutivi.

Gli uffici dovranno essere diretti da magistrati dirigenti e da dirigenti amministrativi.

Si stabiliscono, inoltre, i criteri sulla base dei quali i decreti legislativi dovranno:

 

definire le modalità per la formulazione e la valutazione degli obiettivi e del programma delle attività dell'ufficio;

 

individuare le misure necessarie per superare eventuali contrasti tra magistrato dirigente e dirigente amministrativo;

 

approntare gli strumenti per promuovere un rapporto di fiducia e di fattiva collaborazione fra i due dirigenti.

 

I decreti dovranno, inoltre, definire le rispettive responsabilità gestionali del dirigente magistrato e del dirigente amministrativo, anche ai fini della progressione in carriera e della retribuzione.

Infine, si prevede l'istituzione dell'assistente giuridico-legale del magistrato.

 


 

 


 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi diretti a realizzare il decentramento dei servizi del Ministero della giustizia e la riorganizzazione degli uffici giudiziari, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a) prevedere l'attribuzione delle funzioni di gestione del casellario giudiziale all'amministrazione centrale del Ministero della giustizia;

 

b) prevedere l'emanazione di circolari contenenti i criteri per la risoluzione di quesiti in materia di servizi giudiziari;

 

c) determinare il contingente di personale amministrativo da destinare ai singoli distretti, nel quadro delle dotazioni organiche esistenti;

 

d) prevedere l'emanazione di bandi di concorso da espletare a livello nazionale e distrettuale;

 

e) disciplinare le procedure relative ai provvedimenti di nomina e di prima assegnazione, salvo i concorsi distrettuali;

 

f) prevedere il trasferimento del personale amministrativo tra i diversi distretti e i trasferimenti da e per altre amministrazioni;

 

g) disciplinare i passaggi di profili professionali, le risoluzioni del rapporto di impiego e le riammissioni;

 

h) dettare la disciplina in materia retributiva e pensionistica, nel rispetto delle norme vigenti relative alla determinazione dei trattamenti retributivi e previdenziali;

i) prevedere le norme disciplinari relative alle sanzioni superiori al rimprovero verbale e alla censura;

 

l) prevedere l'istituzione dell'ufficio decentrato dell'amministrazione giudiziaria (UDAG) su base mono o pluridistrettuale, a cui sono attribuiti il personale e le funzioni svolte dai centri interdistrettuali per i sistemi informativi automatizzati (CISIA) e dalle corti di appello;

 

m) prevedere che l'UDAG dipenda dal capo del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi del Ministero della giustizia e che sia diretto da un dirigente amministrativo, ovvero da un soggetto estraneo all'amministrazione nominato dal Ministro della giustizia con contratto di lavoro di tipo privatistico;

 

n) prevedere che in materia di personale amministrativo l'UDAG predispone un progetto biennale relativo alle piante organiche in conformità alle direttive del Ministro della giustizia e approvato dal capo del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi del Ministero della giustizia;

 

o) prevedere che la distribuzione tra gli uffici del personale amministrativo assegnato al Ministero della giustizia, d'intesa con gli uffici giudiziari, tenga conto delle direttive del Ministro e degli obiettivi e del programma di cui alla lettera aa);

 

p) prevedere che i trasferimenti, le applicazioni, le supplenze e ogni altro provvedimento che trasferisca personale amministrativo nell'ambito degli uffici giudiziari di competenza, sia adottato in conformità delle direttive emanate annualmente dal Ministro della giustizia;

 

q) conferire in materia di beni e attrezzature all'UDAG, nell'ambito degli uffici giudiziari di competenza, le seguenti attribuzioni:

 

1) acquisto delle attrezzature e loro distribuzione tra gli uffici;

 

2) distribuzione, tra gli uffici dei fondi assegnati o accreditati dal Ministero della giustizia d'intesa con gli uffici medesimi in conformità alle direttive del Ministro e agli obiettivi e al programma di cui alla lettera aa);

 

3) partecipazione alle commissioni di manutenzione e approvazione del rendiconto per le spese sostenute dai comuni per la manutenzione ed il funzionamento dei locali destinati ad uffici giudiziari;

 

r) conferire in materia di servizi di cancelleria all'UDAG, nell'ambito degli uffici giudiziari di competenza, le seguenti attribuzioni:

 

1) armonizzazione dei servizi giudiziari;

 

2) progettazione e promozione di interventi tesi al miglioramento qualitativo dei servizi;

 

3) implementazione degli strumenti per la valutazione del funzionamento degli uffici e dei servizi offerti;

 

s) prevedere che l'attribuzione a ciascun ufficio giudiziario della competenza relativa agli atti di gestione del personale, salvo quelli riservati al Ministero della giustizia e all'UDAG, comporti l'obbligo di comunicare a tale ufficio gli atti di maggiore rilievo concernenti la gestione del personale;

 

t) attribuire i controlli contabili sulla gestione dell'UDAG, ove previsti, ai Dipartimenti provinciali del Ministero dell'economia e delle finanze;

 

u) prevedere l'istituzione di un controllo sostitutivo da parte del Ministro della giustizia nei casi di grave e persistente omissione degli organi decentrati o dei singoli uffici, secondo le rispettive competenze, specificandone condizioni e modalità;

 

v) prevedere che ai pubblici ministeri ed al giudice dirigente spettano esclusivamente le funzioni direttive relative al personale togato, come previste dall'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni;

z) prevedere che al dirigente amministrativo spettano le funzioni relative alla gestione amministrativa, tecnica e finanziaria, compresa l'adozione degli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno;

 

aa) definire le modalità di formulazione e di valutazione degli obiettivi e del programma delle attività dell'ufficio che ogni due anni deve essere predisposto congiuntamente dai pubblici ministeri, dal giudice dirigente e dal dirigente amministrativo. Il programma e gli obiettivi devono essere sottoposti ad una verifica annuale anche al fine di eventuali modifiche;

 

bb) individuare le procedure idonee al superamento di eventuali contrasti nella formulazione degli obiettivi e del programma di cui alla lettera aa);

 

cc) definire le modalità attraverso le quali i pubblici ministeri ed i giudici dirigenti dell'ufficio possono intervenire nel processo di nomina del dirigente amministrativo dell'ufficio nel caso in cui il posto sia vacante;

 

dd) definire le modalità attraverso le quali il dirigente amministrativo dell'ufficio può chiedere al Ministro della giustizia di essere destinato ad altro incarico;

 

ee) definire le modalità attraverso le quali i pubblici ministeri ed il giudice dirigente dell'ufficio possono chiedere al Ministro della giustizia di destinare il dirigente amministrativo ad altro incarico;

 

ff) disciplinare le ipotesi di responsabilità gestionale del magistrato dirigente;

 

gg) prevedere che al dirigente dell'ufficio di cancelleria o di segreteria spetti l'esercizio dei poteri di cui all'articolo 55, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nei confronti del personale dipendente;

 

hh) istituire la figura dell'assistente giuridico-legale del giudice e del pubblico ministero, definendone le competenze, le modalità e i requisiti di reclutamento e selezione, ed in particolare:

 

1) laurea in giurisprudenza;

 

2) età non superiore a 30 anni;

 

3) contratto di durata annuale rinnovabile una sola volta;

 

4) incompatibilità con lo svolgimento di ogni altra attività lavorativa;

 

5) utilizzabilità ai fini della pratica forense.

 

 

 


N. 2668

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d'iniziativa dei deputati 

 

 TAORMINA, ADORNATO, AIRAGHI, ALBONI, ANGELINO ALFANO, AMATO, ARMANI, ASCIERTO, BAIAMONTE, BALDI, BERRUTI, BERTOLINI, BERTUCCI, BIONDI, BLASI, BONDI, BRICOLO, BRUSCO, BUONTEMPO, BURANI PROCACCINI, CAMMARATA, CAMPA, CANNELLA, COLA, GIORGIO CONTE, GIULIO CONTI, CORONELLA, COSSIGA, CRISTALDI, CROSETTO, CUCCU, D'AGRO', DELMASTRO DELLE VEDOVE, DEODATO, DI LUCA, DI TEODORO, FALANGA, FALLICA, FALSITTA, FERRO, FIORI, FLORESTA, FRAGALA', FRANZ, FRATTA PASINI, GALVAGNO, GARAGNANI, GARNERO SANTANCHE', GASTALDI, GERACI, GERMANA', GHIGLIA, GIGLI, GIRONDA VERALDI, GIUDICE, LA STARZA, LAINATI, LAVAGNINI, LAZZARI, LECCISI, LENNA, ANNA MARIA LEONE, LICASTRO SCARDINO, LISI, SANTINO ADAMO LODDO, LORUSSO, LUPI, MACERATINI, GIANNI MANCUSO, MARRAS, LUIGI MARTINI, MASSIDDA, MEREU, MEROI, MICHELINI, MILANATO, MINOLI ROTA, MISURACA, MONDELLO, MORETTI, MORONI, MUSSOLINI, ANGELA NAPOLI, NUVOLI, ONNIS, ORSINI, PACINI, PALMIERI, PAOLETTI TANGHERONI, PAOLONE, PARODI, PAROLI, PATARINO, MARIO PEPE, PERROTTA, PINTO, PITTELLI, PORCU, PREVITI, RAISI, RAMPONI, RANIELI, RIVOLTA, RIZZI, ROMANI, ROMELE, ROMOLI, RONCHI, ROSITANI, ROTONDI, ANTONIO RUSSO, SAGLIA, SANTULLI, SANZA, SAPONARA, SARDELLI, SAVO, SCALTRITTI, SCHERINI, SCHMIDT, SELVA, STAGNO D'ALCONTRES, STERPA, STRADELLA, TAGLIALATELA, VERDINI, VERRO, VIALE, VILLANI MIGLIETTA, VITALI, ALFREDO VITO, ZACCHEO, ZAMA, ZANETTA, ZANETTIN, ZORZATO

 

Disposizioni per la semplificazione del sistema giudiziario penale

 

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Presentata il 18 aprile 2002

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge reca disposizioni per la semplificazione del sistema giudiziario penale, provvedendo ad apportare le modifiche ritenute necessarie alle disposizioni vigenti.

 

 

A) CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA

 

Le modifiche alla legge istitutiva del Consiglio superiore della magistratura ineriscono alla composizione della sezione disciplinare.

L'esperienza degli ultimi anni ha consentito di evidenziare che in relazione a questioni di estrema rilevanza e delicatezza, in taluni casi coinvolgenti persino il rapporto tra i diversi poteri dello Stato, la risposta fornita dal Consiglio, nonostante la gravità delle violazioni e la strumentalizzazione di provvedimenti giudiziari addirittura finalizzata al perseguimento di obiettivi politici, sia stata di stampo brutalmente corporativo e tale da determinare un alto tasso di sfiducia nei confronti delle intere istituzioni giudiziarie.

Si è ritenuto, pertanto, di individuare un criterio capace di coniugare al meglio l'indipendenza e l'autonomia della magistratura con l'effettiva funzionalità dell'organo, da cui deve essere eliminata qualsiasi inflessione idonea a garantire privilegi ingiustificati, retaggio di una concezione antiquata e antidemocratica del ruolo della magistratura.

Tra l'altro, l'ordinamento, come noto, ha ridotto le ipotesi di responsabilità, giacché la legge 13 aprile 1988, n. 117, limita l'esperibilità dell'azione civile ai soli casi di dolo e colpa grave e stabilisce, per di più, l'incomprensibile principio secondo cui l'iniziativa risarcitoria abbia come destinatario lo Stato e non l'autore dell'illecito.

L'invalsa pratica di una irresponsabilità almeno disciplinare determina, pertanto, un inammissibile pregiudizio per la credibilità dell'amministrazione della giustizia non ulteriormente tollerabile, nonostante la presenza di disposizioni ordinarie e costituzionali la cui applicazione avrebbe sicuramente evitato le discrasie verificatesi nell'ultimo decennio.

Ferma restando la competenza disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, in applicazione, del resto, della previsione dell'articolo 105 della Costituzione, si è ritenuto di eliminare dalla vigente normativa ordinaria l'attribuzione ai componenti togati del Consiglio superiore della magistratura del potere disciplinare sui magistrati, giacché in ciò è certo che risieda la ragione fondamentale della sistematica dismissione del potere disciplinare. Si è ritenuto, pertanto, di modificare la composizione della sezione disciplinare in modo che essa comprenda esclusivamente i componenti laici del Consiglio superiore, circondati, tra l'altro, dal prestigio riveniente dall'alta investitura elettiva dell'intero Parlamento.

 

 

B) ORDINAMENTO GIUDIZIARIO

 

1. Capacità e competenza del giudice

 

La riforma dell'ordinamento giudiziario segue due linee direttrici.

E' stata ripristinata nuovamente la ripartizione degli affari giudiziari tra i vari organi secondo le regole di competenza. In secondo luogo, si è data attuazione, ferma restando l'attuale cornice costituzionale, ad una separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici.

Il ritorno all'istituto della competenza è stato ritenuto conseguenza automatica del principio costituzionale della precostituzione del giudice, che reclama certezza normativa ed interventi sanzionatori adeguati.

L'attuale disciplina, come noto, configura la distribuzione del carico giudiziario, come mera articolazione interna all'unico ufficio giudiziario del tribunale. L'assegnazione del singolo processo al giudice collegiale o a quello monocratico non sposta, per questa ragione, la "competenza", dunque appartenente sempre al tribunale.

Basti considerare che tale disciplina determina la irrilevanza non solo della osservanza delle regole di competenza ma, addirittura, di quelle riguardanti la capacità del giudice ed il numero di giudici necessari per costituire un organo, potendosi così giungere alla possibilità non eliminabile che un giudice monocratico si appropri delle competenze di un giudice collegiale. Si tratta, come è facile comprendere, di una chiara elusione del disposto costituzionale, giacché esso presuppone non soltanto che il giudicabile conosca sin dall'inizio del procedimento quale sia il "suo" giudice, ma che possano essere operativi gli strumenti di repressione di ogni violazione.

Nel ridefinire la competenza degli organi giurisdizionali, si è preso lo spunto per introdurre nell'ordinamento giudiziario, oltre ad una puntualizzazione circa la necessità di predeterminazione del giudice fin dall'iscrizione della notizia di reato nell'apposito registro, anche la disciplina del giudice di pace, le cui attribuzioni, peraltro, sono state fortemente incrementate fino a recuperare la vecchia competenza pretorile, salvo che per alcuni gravi reati. Ciò, invero, oltre che per esigenze di razionalità, sembra costituire scelta obbligata derivante da una configurazione costituzionale dell'ordinamento giudiziario come un corpus normativo unico.

 

 

2. Separazione delle carriere. I risultati della "Commissione parlamentare per le riforme costituzionali"

 

Quanto alla conformazione dell'ordinamento giudiziario secondo la disciplina della separazione dei magistrati giudicanti dai pubblici ministeri, essa si appalesa sicuramente la più urgente per rafforzare le garanzie giurisdizionali, evitando le facili e possibili commistioni tra le due funzioni che si riflettono gravemente sulla ordinata amministrazione della giustizia.

Sono note le difficoltà che, a tale riguardo, incontra chi, senza mettere mano al dettato costituzionale, intenda modificare le attuali norme disciplinanti il pubblico ministero e integranti l'attuazione della riserva di legge prevista dall'articolo 107, quarto comma, della Costituzione.

Cade qui acconcio ricordare che un serio tentativo di riforma dell'intero settore dell'ordinamento giudiziario, è stato effettuato dalla Commissione parlamentare per le riforme itituzionali, istituita con la legge costituzionale n. 1 del 1997 per la revisione della parte seconda della Costituzione.

In effetti, attraverso il noto progetto di riforma costituzionale, si è cercato, nel quadro della affermazione delle garanzie di indipendenza ed autonomia del pubblico ministero, di scardinare una delle principali causali dell'indistinzione dei giudici dai pubblici ministeri, costituita dal regime di accesso alla magistratura. Sebbene, come è dato di leggere nella relazione al menzionato progetto di riforma costituzionale, le norme destinate a modificare tale regime abbiano costituito oggetto di ampio ed approfondito dibattito, il risultato a cui approdò la Commissione fu quello di confermarne l'unicità delle modalità di ingresso in magistratura e l'unicità delle carriere, con alcune limitazioni, quanto al passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle inquirenti, attraverso la introduzione del filtro di un concorso riservato e dell'impossibilità di poter svolgere le diverse funzioni nello stesso distretto.

Nel progetto di riforma si era previsto che i magistrati ordinari esercitassero inizialmente funzioni giudicanti per un periodo di tre anni, al termine del quale il Consiglio superiore della magistratura ne avrebbe effettuato l'assegnazione all'esercizio delle funzioni giudicanti ovvero inquirenti, a seguito di apposito periodo di formazione e di valutazione di idoneità, a garanzia "della unitarietà iniziale della cultura della legalità e della giurisdizione". Ferma restando tale innovazione, anche il progetto di riforma costituzionale ribadiva la garanzia della inamovibilità di funzione e di sede per tutti i magistrati.

 

 

3. I dati costituzionali ai quali coordinarsi

 

Se è vero che la separazione delle carriere potrebbe richiedere modifiche costituzionali, di essa sarebbe possibile persino dubitare, giacché nel quadro di una disciplina attuata con legge ordinaria, potrebbe rivelarsi addirittura come garanzia la permanenza della vigente normativa di ratio primaria. In particolare, la persistenza di un Consiglio superiore della magistratura come organo di vertice e di rilevanza costituzionale della magistratura, ben potrebbe stare ad attuare la garanzia di unitarietà ordinamentale in linea con il principio della divisione dei poteri fondamentali dello Stato, comune perciò a qualsiasi organo giudiziario.

Di fronte, peraltro, alla urgenza di mettere mano ad una riforma ormai improcrastinabile, a pena di un intollerabile sacrificio della efficienza del sistema processuale e, soprattutto, dell'attuazione delle garanzie processuali, si è ritenuto di proporre un modello di separazione a livello di legge ordinaria, senza cioè toccare il dato costituzionale, per il quale potrà esservi sempre tempo.

L'articolo 107, quarto comma, della Costituzione, in virtù del quale "Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull'ordinamento giudiziario" e l'articolo 108, secondo comma, per il quale "La legge assicura l'indipendenza (...) del pubblico ministero presso" le giurisdizioni speciali, rendono certi che al pubblico ministero devono essere assicurate garanzie le quali, però, possono non essere le medesime attribuite ai giudici.

In altri termini, rispetto alle norme generali sui magistrati, quelle sul pubblico ministero sono, in Costituzione, in rapporto di specialità, sicché l'applicazione di identiche garanzie è rimessa alle scelta del legislatore ordinario, con la particolarità, però, che quelle riguardanti i giudici hanno valenza costituzionale, mentre quelle relative a pubblici ministeri sono omologhe al rango di legge ordinaria e quindi normalmente modificabili.

L'articolo 107, quarto comma, della Costituzione, incide, invece sulla organizzazione e sulla struttura interna degli uffici del pubblico ministero, consentendo una disciplina dei rapporti esistenti tra i componenti dei diversi uffici in maniera differente, e quindi anche di tipo gerarchico, rispetto a quella costituzionalmente imposta per i giudici.

La presente proposta di legge, però, non si occupa della organizzazione interna del pubblico ministero, limitandosi ad intervenire su quelle norme che disciplinano i rapporti tra pubblico ministero e organi giurisdizionali.

 

 

4. La disciplina

 

Tenuto conto di quanto esposto, è possibile tentare di ricostruire un modello di "separazione forte" nell'ambito dell'attuale impostazione costituzionale agendo sulle norme dell'ordinamento giudiziario, il cui corpus è attualmente contenuto nel citato regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e nel regio decreto 31 maggio 1946, n. 511, recante le "Guarentigie della magistratura", più volte novellati.

Anzitutto, si sono eliminati dalle disposizioni contenute nella legge sull'ordinamento giudiziario, tutti i riferimenti al pubblico ministero, al fine di configurare il titolo III dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto n. 12 del 1941, come il luogo nel quale trovino autonoma ed esclusiva disciplina le norme relative al pubblico ministero.

Resta salvo il richiamo al pubblico ministero contenuto nell'articolo 4 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto n. 12 del 1941, che, intendendo definire l'ordine giudiziario, non può non comprendere, perché imposto dalla Costituzione, anche l'organo dell'accusa.

E' stato modificato, ovviamente, l'articolo 2 dell'ordinamento giudiziario, giacché la collocazione "presso" la Corte di cassazione, le corti di appello ed i tribunali ordinari e per i minorenni dell'ufficio del pubblico ministero, postula una intraneità dell'ufficio medesimo e di quello del giudice. Del resto, una norma riguardante la costituzione dell'ufficio del pubblico ministero è già presente nell'articolo 70, dall'angolo visuale, più adeguato, delle sue funzioni, donde l'inutilità di ogni altra considerazione.

La disposizione da ultimo richiamata è stata, peraltro, modificata allo scopo di consentire al titolare dell'ufficio, sulla base di provvedimento motivato da trasmettere al Consiglio superiore della magistratura, di sostituire il magistrato inizialmente designato, esercitando personalmente le funzioni del pubblico ministero.

Gli articoli 69-bis e seguenti, introdotti dalla proposta di legge, disciplinano, invece, le modalità di accesso alle funzioni di pubblico ministero. La logica a cui si ispirano le norme è quella di creare un regime di accesso alla carriera di pubblico ministero, diverso da quello riguardante i giudici. Il superamento degli esami consente di conseguire la nomina a magistrato. Fa seguito un biennio di esercizio delle funzioni da svolgere sotto la diretta vigilanza del procuratore della Repubblica.

Il trascorrere del biennio e la valutazione favorevole espressa dal Consiglio superiore della magistratura sulla base delle proposte del consiglio giudiziario determineranno l'attribuzione delle funzioni inquirenti nella loro interezza.

Si è dovuta ricostruire la carriera del pubblico ministero secondo il criterio dell'anzianità per il passaggio alle funzioni presso le giurisdizioni di appello e della Corte di cassazione.

Il concorso del pubblico ministero si differenzia da quello riguardante i giudici, oltreché per la diversità di composizione della commissione onde evitare la prevalenza di magistrati requirenti, per una maggiore specificità delle materie di esame, che sono dirette a saggiare la preparazione sotto il profilo prevalente delle discipline penalistiche.

Ovviamente, il fulcro della riforma è dato dalla abrogazione dell'articolo 190 il quale, al comma 1, nel ribadire che "La magistratura, unificata nel concorso di ammissione, nel tirocinio e nel ruolo di anzianità, è distinta relativamente alle funzioni giudicanti e requirenti" dispone, però, al comma 2, in omaggio alla scelta di fondo di introduzione di un "modello debole" di separazione, che "il passaggio dei magistrati dalle funzioni giudicanti alle requirenti e da queste a quelle può essere disposto, a domanda dell'interessato, solo quando il Consiglio superiore della magistratura, previo parere del consiglio giudiziario, abbia accertato la sussistenza di attitudini alla nuova funzione".

 

 

C) CODICE DI PROCEDURA PENALE.

 

SOGGETTI PROCESSUALI.

 

giudice.

 

1. Competenza.

 

Con riferimento alla regolamentazione della competenza, si è, anzitutto, dovuta dare attuazione alle modifiche apportate alle norme di ordinamento giudiziario che hanno ricondotto nell'ambito della competenza la distinzione tra giurisdizione monocratica e collegiale.

Conseguentemente, in luogo della suddivisione, in termini di distribuzione del carico giudiziario all'interno del medesimo ufficio, delle attribuzioni tra giudice collegiale e monocratico è stata ridelineata la competenza del tribunale, distinta (oltre che da quella della corte di assise) da quella del giudice monocratico e da quella del giudice di pace.

Con l'occasione, si è provveduto ad una redifinizione degli ambiti delle competenze a tal riguardo aumentando quella della corte di assise alla quale, tra l'altro, è stata assegnata la cognizione per i sequestri di persona a scopo di estorsione, per i reati sessuali e per quelli sulla pornografia, in considerazione dell'elevata rilevanza sociale dei beni tutelati dalle relative fattispecie.

Tale estensione della competenza della corte di assise risponde all'esigenza di dare maggiore attuazione a quella previsione costituzionale tendente a realizzare la partecipazione dei cittadini alla amministrazione della giustizia e soprattutto alla indubitabile maggiore attenzione che attualmente l'opinione pubblica ha manifestato di avere per determinati fenomeni delinquenziali, nonché per la amministrazione della giustizia.

Non va dimenticato, a tale riguardo, che fondamento della democrazia è che tanto l'esercizio del potere legislativo quanto di quello giurisdizionale siano il riflesso della sovranità popolare. Si è assistito invece in questi anni ad una sorta di estraniazione del potere giurisdizionale dal contesto sociale che viene visto agli occhi dell'opinione pubblica come un organismo rispetto al quale non sia possibile l'esercizio di alcun controllo.

Sebbene tutto ciò debba essere riaffermato, in linea di principio, in quanto indefettibile presupposto per la garanzia della indipendenza degli organi giurisdizionali, non v'è dubbio che parimenti tutto ciò non possa essere considerato di ostacolo all'esercizio della sovranità popolare nel momento di attuazione della legge.

Per questo motivo è apparso utile l'ampliamento della competenza della corte di assise in quanto sede principale nella quale detta partecipazione possa essere attuata.

Tornando alle regole di competenza, si sono disciplinate le materie attribuite alla cognizione del giudice monocratico, suddiviso tra il giudice e giudice di pace. Al primo, in particolare, è stata attribuita la cognizione dei reati puniti con pena detentiva inferiore nel massimo a cinque anni al secondo invece quella per i reati per i quali sia prevista una pena non superiore nel massimo a tre anni oltre che ad una serie di previsioni specificamente previste.

 

2. Procedimenti riguardanti avvocati.

 

Sempre in tema di competenza, si è ritenuto di dover estendere la disciplina del foro commissorio, riguardante fatti integrati da magistrati o rispetto ai quali questi siano persone offese o danneggiare, anche agli avvocati presso il consiglio dell'ordine che ha sede nel distretto dell'autorità procedente.

Tale previsione si giustifica con il fatto che si è potuto osservare, nel corso di questi ultimi anni, come le speciali esigenze che giustificano la deroga alla competenza territoriale ricorrano anche rispetto a procedimenti che coinvolgono avvocati.

Come noto quella di cui si tratta viene considerata una forma di rimessione obbligatoria che si giustifica con la circostanza per la quale si presume sospetto il giudice che sia chiamato a giudicare di un fatto dal quale scaturiscono conseguenze - negative o positive - su una persona che per tanti anni ha svolto la sua funzione o ha esercitato la sua funzione a suo stretto contatto.

Simili situazioni non giovano alla immagine di imparzialità che la giurisdizione deve sempre dare di sé. Come precisato, infatti, dalla Corte costituzionale, è compito dell'ordinamento assicurare che il giudice non solo sia imparziale ma che appaia anche tale, mentre situazioni caratterizzate da una vicinanza personale tra soggetti giudicanti e giudicabili, non realizzano certamente tale immagine.

Inoltre simili situazioni limitano di fatto la libertà della difesa, stante il condizionamento derivante dal dover esercitare il patrocinio dinanzi alla magistratura che ha in carico la trattazione di un processo riguardante un avvocato.

 

3. Connessione.

 

Anche i regimi della connessione, della riunione e della separazione dei processi sono stati opportunamente modificati dovendosi tenere conto del fatto che la competenza di primo grado è oggi sostanzialmente impostata su quattro organi giurisdizionali.

Si è anzitutto ritenuto di prevedere uno speciale regime di competenza per connessione nei reati di competenza del giudice di pace che per ragioni di semplificazione, è stato limitato ai soli casi di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell'articolo 11-ter del codice di procedura penale, con esclusione, cioè, dei casi di concorso e di continuazione di reati, attuando una linea direttrice già fatta propria dalla legge istitutiva del giudice di pace.

In secondo luogo si è dovuto provvedere al coordinamento tra le varie norme implicanti vis attractiva, statuendosi che la competenza del giudice di pace debba cedere a beneficio di quella degli organi superiori.

 

4. Incompetenza.

 

In tema di incompetenza si è atteso anche al necessario coordinamento, tenendo conto della introduzione nel codice di rito della giurisdizione di pace.

L'intera disciplina è stata adeguata alle decisioni della Corte costituzionale che, in questa materia, hanno imposto la trasmissione degli atti al pubblico ministero in tutti i casi di rilevazione del difetto di legittimazione del giudice procedente.

5. Conflitti.

 

Quanto alla materia dei conflitti la disciplina è sostanzialmente rimasta invariata. In particolare si è confermata la previsione della mancanza di alcuna efficacia sospensiva del processo come conseguenza della relativa denunzia.

Si è tuttavia dovuto recepire il monito della Corte costituzionale la quale, con riferimento alla disciplina dei conflitti, aveva affermato l'esigenza che il legislatore intervenisse per evitare il non trascurabile inconveniente che nelle more della risoluzione del conflitto l'imputato sia costretto a difendersi per lo stesso fatto dinanzi a più giudici (Corte costituzionale sentenza n. 59 del 1993).

Nel tentativo di rinvenire una disciplina che consenta di contemperare le differenti esigenze, si è dovuto altresì prendere atto delle indicazioni della stessa Corte costituzionale la quale aveva altresì precisato che, nell'attuare tale fondamentale principio, si sarebbe dovuto evitare che denunce di conflitti manifestamente inesistenti o pretestuosi si traducano in uno strumento per paralizzare temporaneamente le sorti del processo e possano incidere sui termini di custodia cautelare o di prescrizione.

Per evitare, pertanto, distorsioni del tipo di quelle che hanno caratterizzato la disciplina della rimessione, e che costituì l'occasione per l'intervento della Corte costituzionale che eliminò dall'ordinamento la speciale causa di sospensione del processo a seguito della presentazione della relativa istanza, si è previsto che su richiesta di parte la Corte di cassazione possa comunque disporre la sospensione del processo, con meccanismo analogo a quello della rimessione del processo.

 

6. Capacità del giudice.

 

Particolare attenzione è stata dedicata alla disciplina della capacità del giudice tenendosi conto, anzitutto, delle modifiche apportate alle norme di ordinamento giudiziario.

Il ritorno alle regole di competenza tra giudice monocratico e collegiale che la riforma del giudice unico aveva spazzato via in nome della medesima appartenenza di tutti gli organi giurisdizionali allo stesso ufficio giudiziario, nella spartizione degli affari penali, ha fatto sì che venissero abrogate tutte le norme che, invece, si erano prefigurate la trattazione delle cause da parte di ciascuna giurisdizione come conseguenza di una burocratica articolazione interna.

In secondo luogo, si è chiarito che non solo la competenza, ma anche le altre disposizioni che attengono alla cosiddetta "legittimazione concreta e specifica del giudice", appartengono al novero delle condizioni di capacità, così superandosi il pericoloso equivoco in cui era incorso il legislatore precedente il quale, facendo uscire dall'alveo della capacità situazioni incidenti su quegli aspetti dell'organizzazione dell'ufficio del giudice, funzionali a dare attuazione alla sua imparzialità e terzietà, aveva lasciato tali situazioni, assai pericolosamente, senza sanzione processuale.

Sicché, soprattutto in grandi tribunali, si è assistito ad autentiche acrobazie per deformare il meccanismo di assegnazione delle cause da un collegio ad un altro della medesima sezione o da una sezione ad un'altra dello stesso tribunale.

Benché il legislatore, attraverso l'articolo 7-ter dell'ordinamento giudiziario avesse imposto che l'assegnazione degli affari alle singole sezioni ed ai singoli collegi e giudici dovesse essere effettuata secondo criteri obiettivi e predeterminati, di fatto, in applicazione della norma generale sulla capacità del giudice, la violazione di tali criteri rimane senza sanzione. Il che non pare giustificabile solo se si consideri che tale materia costituisce diretta applicazione della previsione costituzionale della precostituzione del giudice e che la violazione di tali criteri non contribuisce a fornire quella immagine di imparzialità che la giurisdizione deve dare di sé verso l'esterno.

Coerentemente a tale impostazione, si è capovolta la regola oggi in vigore in tema di validità efficacia degli atti compiuti dallo judex suspectus. Ribaltando, infatti, la regola vigente si è stabilito che detti atti sono sempre inefficaci salvo convalide del nuovo giudice.

In tal modo, si è superata l'equivoca lettera della legge la quale, oggi, in materia di ricusazione e di rimessione, stabilendo che il giudice ad quem debba indicare se gli atti compiuti da quello sostituito, non chiarisce se detti atti debbano considerarsi viziati o meno.

Soprattutto, si è data attuazione al dettato dell'articolo 111 della Costituzione ove terzietà ed imparzialità sono assunte a rango di espressa previsione di cui il legislatore deve dare attuazione attraverso norme ordinarie che, pertanto, devono trovare nel processo la loro attuazione.

 

7. Astensione e ricusazione.

 

L'intera disciplina del judex suspectus è stata adeguata alle numerose decisioni della Corte costituzionale in tema di incompatibilità e di astensione.

Anzitutto, sono stati espressamente riformulati i casi in cui la attività precedentemente compiuta dal giudice dà luogo ad incompatibilità.

In secondo luogo si è tenuto conto della declaratoria di incostituzionalità relativa alla inefficacia sospensiva della istanza di ricusazione.

Innovativa è invece la previsione secondo la quale gli atti dei procedimenti di astensione e di ricusazione debbano essere trasmessi agli organi titolari dell'azione disciplinare nei confronti del magistrato, stante la generale rilevanza delle relative causali come fonte di possibile responsabilità.

 

8. Rimessione.

 

Anche per la rimessione del processo si è tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale che ha eliminato dall'ordinamento l'effetto parzialmente sospensivo della relativa istanza.

Come si è anticipato, il sistema, al fine di contemperare le esigenze di attuazione del giusto processo con quelle di speditezza e di efficienza, aveva inizialmente previsto che la richiesta di rimessione - pur non sospendendo il processo - impediva la pronunzia della sentenza. Detto meccanismo aveva prestato il fianco ad una serie di strumentalizzazioni in quanto, attraverso la reiterata presentazione di richieste l'una di seguito al rigetto dell'altra, si poteva impedire al processo di pervenire alla definizione del grado.

La Corte costituzionale, aveva eliminato tale meccanismo dichiarando la illegittimità della disposizione che prevedeva il citato limite alla emanazione della sentenza.

In considerazione di ciò, si è ritenuto adeguato prevedere che sia la Corte di cassazione, al pari di quanto accade per la materia dei conflitti, a stabilire se e quando il procedimento principale debba essere sospeso.

Sempre a proposito di questo istituto, si sono apportate una serie di modifiche tese a valorizzare la finalizzazione dell'istituto al soddisfacimento di esigenze endoprocessuali ed in particolare alla attuazione dei princìpi del giusto processo, pregiudicati dall'ambiente nel quale si celebra il processo.

Come noto, la giurisprudenza ha disposto con estrema parsimonia la rimessione dei processi, quasi sempre invocando l'asserita inderogabilità del principio del giudice naturale. Si tratta di una interpretazione immotivatamente restrittiva perché, secondo anche le opinioni della più recente dottrina, il principio costituzionale del giudice naturale, oggi ancor più rafforzato per effetto dell'articolo 111 della Costituzione, impone che in tutte le situazioni nelle quali la imparzialità del giudice risulti esposta al rischio di pregiudizi per situazioni ambientali, la traslazione del processo costituisce misura certamente necessitata.

Proprio per rendere più esplicita la strumentalità della rimessione alla tutela del giusto processo si sono introdotte alcune modificazioni che rendono vieppiù esplicite le cause che possono dare luogo a traslazione. A tale riguardo, e proprio in questa direzione, si è specificato che il pregiudizio può anche essere determinato da situazioni interne allo stesso ufficio giudiziario. Ciò non solo consente di superare alcune perplessità manifestate dalla giurisprudenza, ma rende altresì rilevanti tutti i comportamenti dei soggetti processuali che incidono sul corretto funzionamento della dialettica processuale.

 

 

pubblico ministero.

 

9. Direzioni distrettuali antimafia.

 

La disciplina del pubblico ministero, come organo dell'azione penale, è rimasta sostanzialmente invariata.

Le uniche modifiche riguardano la competenza per i reati di criminalità organizzata e la disciplina della sostituzione del magistrato del pubblico ministero.

Sul primo problema va richiamata l'attenzione sulla eliminazione delle attribuzioni spettanti al procuratore distrettuale del potere di indagine per tutti i reati di criminalità organizzata o con essi connessi, prevedendosi che la competenza rimanga affidata ai singoli procuratori dei tribunali il cui coordinamento, invece, è attuato dal procuratore presso il tribunale del capoluogo.

L'esigenza concreta, invero, ha dimostrato che la istituzione delle direzioni distrettuali antimafia divenuta strumento insostituibile per il coordinamento delle indagini, per la raccolta dei dati e per la unitarietà degli obiettivi investigativi, si è tradotta in una forte attenuazione del controllo giudiziario nel territorio, situazione, questa, da tenere nella massima considerazione, tenuto conto anche della intervenuta abolizione delle preture mandamentali con le quali era assicurata una capillare presenza delle istituzioni giudiziarie in tutto il territorio nazionale.

In tale direzione, si è ritenuto di dover restituire un potere di indagine alle procure circondariali al fine di rendere più concreta la presenza dello Stato sul territorio.

Sotto il secondo aspetto, si sono potenziati soltanto i meccanismi tesi a far rilevare le eventuali situazioni di "incompatibilità" del magistrato, imponendosi a quest'ultimo l'obbligo di astensione nel caso in cui ricorrano situazioni obiettivamente in grado di far venir meno quella imprescindibile serenità che, anche nella contrapposizione dialettica, deve comunque caratterizzare l'attività di tutti i soggetti processuali.

Anche in questo caso, la previsione della trasmissione degli atti del procedimento agli organi dell'iniziativa disciplinare si giustifica per la comune rilevanza dei fatti posti alla base dei due procedimenti.

 

 

imputato ed altre parti.

 

10. Difesa dei collaboratori di giustizia.

 

A parte l'esigenza di dare attuazione agli insegnamenti della Corte costituzionale in tema di termine a comparire per il responsabile civile, una disciplina particolare è, invece, stata prevista per quanto concerne il difensore del collaboratore di giustizia, la cui titolarità è stata affidata all'Avvocatura generale dello Stato.

 

 

LIBERTA' PERSONALE.

 

1. Collegialità delle decisioni.

 

Si è ritenuto necessario, allo scopo di finalmente ed effettivamente "attualizzare" il principio dell'eccezionalità della restrizione della libertà personale prima dell'emanazione della sentenza definitiva di condanna, rendere "collegiali" tutte le decisioni in tema di libertà personale, avendo riferimento sia alle misure cautelari che a quelle reali. Ciò nonostante e, anzi, proprio in costanza di una contestuale rilevata "monocratizzazione" delle funzioni giurisdizionali nel dibattimento di primo grado.

Al riguardo, si tenga infatti presente come, anzitutto, proprio in ragione della eccezionalità della restrizione ante condanna, consacrata nel principio sancito dall'articolo 27 della Costituzione, si impongono accorgimenti e cautele che si caratterizzano appunto come peculiari e correlabili alla estrema rilevanza del principio in esame, dovendosi perciò distinguere tra giudizio "cautelare" tendenzialmente caratterizzato da una assenza di contraddittorio e giudizio di merito che, soprattutto in costanza di vigenza dei princìpi del "giusto processo", si correla invece necessariamente al "pieno" intervento delle parti al fine della costruzione del materiale decisorio.

E' peraltro indubbio che, nel corso dei primi dieci anni di vigenza dell'attuale codice di procedura penale, uno dei problemi maggiormente avvertiti dagli operatori del diritto sia stato quello costituito dall'indebito "proliferare", ben al di là della loro astratta e auspicata eccezionalità, soprattutto nell'ambito delle indagini preliminari, delle misure cautelari, potendosi individuare la ragione di tale fenomeno nel costante "appiattimento" del giudice per le indagini preliminari rispetto alle richieste provenienti dal pubblico ministero.

Un fenomeno rispetto al quale, indubbiamente, appare costituire sufficiente correttivo la collegialità della decisione e ciò anche in considerazione della estraneità degli organi chiamati agli interventi in materia cautelare rispetto allo svilupparsi delle indagini, laddove, nel sistema finora vigente, proprio la contiguità funzionale tra pubblico ministero e giudice per le indagini preliminari aveva costituito, secondo molti, nella prassi, una delle ragioni principali del richiamato "appiattimento".

Deve peraltro sottolinearsi come la descritta innovazione si coniughi con gli interventi operati nel settore della conoscenza dell'esistenza del procedimento per la persona sottoposta alle indagini (si ha soprattutto riguardo alla previsione di immediato e obbligatorio invio dell'informazione di garanzia) e in quello dei poteri di indagine del difensore. Trattasi, infatti, di interventi che appaiono idonei a garantire che la decisione collegiale in tema di misure cautelari avvenga sulla base di materiale non esclusivamente di derivazione e di impostazione "accusatoria" ma, anche, su elementi acquisiti nell'interesse dell'indagato.

D'altro canto, sul terreno strettamente organizzativo e amministrativo, il "risparmio" di uomini conseguente a una rilevante "monocratizzazione" del dibattimento di primo grado, si "somma" a quello correlato alla sostanziale eliminazione del "riesame" e dell'appello de libertate.

In altri termini, assecondando la elaborazione dottrinale, che già configurava l'intervento del tribunale della libertà quale eventuale segmento finale della complessa fattispecie a formazione progressiva determinatasi a seguito dell'accoglimento della richiesta di applicazione della misura cautelare, la codificazione della necessità della collegialità della decisione ha fatto ritenere superfluo un successivo intervento collegiale di merito, considerandosi sufficientemente garantito l'imputato in ragione della possibilità, peraltro la sola costituzionalmente prevista, di una impugnazione di legittimità dinanzi alla Corte di cassazione.

Ciò, evidentemente, anche in ipotesi di richiesta di revoca o modifica del provvedimento cautelare, laddove, avverso i provvedimenti che decidono su tale richiesta, si è conseguentemente ritenuto sufficiente, trattandosi di provvedimenti appunto collegiali, il solo ricorso per cassazione.

Di qui, conseguentemente, l'abolizione degli istituti del riesame e dell'appello de libertate.

 

2. Arresto e fermo di polizia.

 

La "rivisitazione" della tematica applicativa in tema di libertà personale ha, peraltro, determinato la necessità di avere anche riguardo, per quanto di ragione, agli istituti della convalida dell'arresto in flagranza del reato e del fermo di indiziato di delitto, dovendosi prevedere un meccanismo che consentisse di conciliare la rapidità di intervento, il rispetto dei termini costituzionalmente imposti per l'interessamento della giurisdizione e, infine, appunto, la necessità di una applicazione collegiale del provvedimento eventualmente restrittivo della libertà personale. Di qui, la "segmentazione" del procedimento, attraverso la distinzione tra intervento monocratico ai soli fini di convalida e intervento collegiale per l'eventuale applicazione della misura.

Nella stessa prospettiva si è intervenuti con riferimento all'istituto del giudizio direttissimo, "correggendone" le disposizioni incompatibili con la ritenuta necessaria collegialità ai fini dell'applicazione delle misure cautelari e ciò, in alcune ipotesi, persino "a scapito" della "snellezza" delle forme (è il caso del giudizio direttissimo successivo all'avvenuta convalida dell'arresto).

Peraltro, accanto agli "accorgimenti" volti ad assicurare che, anche se con i tempi necessariamente "ristretti" correlati al peculiare rito "semplificato", non si deroghi comunque alla regola della collegialità in tema di applicazione di provvedimento cautelare, si è ritenuto anche opportuno escludere dal novero dei casi di giudizio direttissimo, quello relativo all'ipotesi in cui alla mancata convalida dell'arresto si accompagni anche la rimessione in libertà dell'arrestato.

In tema di interventi cautelari "provvisori" si è ritenuta, peraltro, opportuna l'eliminazione dell'innaturale e finora vigente istituto del "fermo del pubblico ministero", conservando esclusivamente quello ad opera della polizia giudiziaria.

Ed invero, recependo alcune sollecitazioni dottrinarie sul punto, si è ritenuto di condividere la assurdità di un provvedimento provvisorio attribuito a chi, non potendosi certamente annoverare tra gli appartenenti alla polizia, appariva porsi al di fuori della previsione costituzionale dell'articolo 13 che, invece, legittima esclusivamente tali appartenenti agli interventi urgenti in tema di restrizione della libertà personale.

Le medesime esigenze di garanzia sopra evidenziate hanno determinato, anche in assenza della richiamata "copertura" costituzionale, le modifiche intervenute in tema di applicazione (necessariamente collegiale) e di impugnazione di provvedimenti cautelari reali, la cui disciplina si atteggia pertanto, dal punto di vista del contenuto, parallelamente a quella prevista per i provvedimenti restrittivi della libertà personale.

Anche in questo settore, si è quindi previso l'intervento collegiale applicativo, conseguente al venir meno degli istituti del riesame e dell'appello, considerandosi a maggior ragione sufficiente, proprio in considerazione della diversa natura dei beni tutelati, la sola diretta ricorribilità per cassazione dei provvedimenti in tema di misure cautelari reali.

 

 

PROVE.

 

1. Prove nei processi di mafia.

 

In materia di prove occorre, anzitutto, intervenire per modificare l'articolo 190-bis del codice di procedura penale, in quanto tale disposizione normativa nel prevedere, per i procedimenti per taluno dei delitti indicati dall'articolo 51, comma 3-bis, che "l'esame è ammesso solo (...) se il giudice o taluna delle parti lo ritengano assolutamente necessario", desta particolari perplessità in merito alla rispondenza alla norma costituzionale della disciplina che regolamenta la trasmigrazione dei verbali di prova tra i diversi procedimenti, venendo ad incidere direttamente sulla potenzialità di acquisizione del dichiarante e, quindi, sull'essenza stessa del processo accusatorio, che è la formazione della prova in contraddittorio giurisdizionale tra le parti.

Si è ripetutamente verificato nella applicazione della normativa in parola che si sia data lettura dei verbali di prova formati da altro giudice, senza che i soggetti interessati dalle dichiarazioni abbiano potuto in alcun modo misurarsi con la fonte di provenienza delle medesime, per il solo fatto di essere state assunte nel contraddittorio giurisdizionale e nessun rilievo assumendo sotto tale profilo la mancata partecipazione del soggetto interessato, che si vede negata definitivamente la possibilità di assumere la prova nel processo che lo riguarda.

Ed infatti, lasciare sostanzialmente al discrezionale giudizio di assoluta necessarietà, formulato dal giudice, l'acquisizione diretta del mezzo di prova, in presenza di documenti che contengano già verbalizzate le relative dichiarazioni, costituisce una situazione chiaramente lesiva del diritto alla prova, inteso anche come diritto all'esame ritualmente richiesto dalla parte interessata. Non può negarsi che ritagliare un ruolo della giurisdizione che, in tema di diritto alla prova, superi l'argine ordinario della valutazione limitata alla esclusione della ammissione delle prove vietate dalla legge e di quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti, significa aprire il sistema processuale all'incunearsi della iniziativa probatoria della giurisdizione, con buona pace della vocazione accusatoria perseguita dal legislatore delegante e di quelle terzietà ed imparzialità cui pure fa riferimento la novellata norma dell'articolo 111 della Costituzione (legge costituzionale n. 2 del 1999).

Non può negarsi che la prevista permeabilità del materiale oggetto della decisione, con attività probatoria svolta in altra sede processuale, non consente di sottrarre la "prova documentale", costituita dai verbali di prova di altro procedimento, al regime di ammissione ordinario e, quindi, non può far ritenere che i poteri spettanti alla giurisdizione siano di più ampia portata di quelli previsti dall'articolo 190 del codice di procedura penale, per l'ammissione della prova dichiarativa. Tale avversata conclusione non potrebbe trovare giustificazione neppure nella circostanza per la quale l'articolo 238, comma 5, del medesimo codice, prevede il diritto delle parti di ottenere l'esame nel processo ad quem delle persone le cui dichiarazioni sono state ivi acquisite, in quanto il richiamo operato da tale ultima disposizione all'articolo 190 deve essere inteso quale riconducibilità dell'esame diretto del dichiarante, nel procedimento in cui devono essere utilizzati i verbali che raccolgono le precedenti asseverazioni, all'esercizio del diritto alla prova, che incontra soltanto i limiti ordinariamente fissati dal legislatore codicistico nelle disposizioni generali in materia di prova.

Ne deriva, pertanto, che a fronte di una previsione di carattere generale che ripete, anche in materia di "circolazione probatoria", la garanzia della attuazione di uno sviluppo del procedimento probatorio riguardante ogni singolo mezzo di prova, la regola della formazione della prova in contestualità di contraddittorio dibattimentale non può essere sicuramente scalfita dalla diversità del titolo di reato oggetto dell'accertamento giurisdizionale. Il dato assume un rilievo preponderante, perché capace di evidenziare la irragionevolezza della disciplina contenuta nell'articolo 190-bis, ancorché si abbia riguardo alle diverse situazioni oggetto di regolamentazione ad opera della medesima disposizione normativa, dovendo certamente la differente incidenza che assume la partecipazione del soggetto interessato al momento formativo del materiale probatorio guidare nella formulazione di tale giudizio. L'articolo 190-bis, infatti, disciplina in maniera assolutamente identica due situazioni completamente differenti, non potendo essere dimenticato che la prima ipotesi, pure prevista dal medesimo articolo, ha riguardo all'esame di un testimone o di una delle persone indicate nell'articolo 210 che abbia già reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio, evidentemente nel medesimo procedimento, sicché almeno nel momento anticipato è stato reso possibile il formarsi di un contraddittorio tra la persona interessata dalle dichiarazioni ed il soggetto dichiarante. La precostituzione del giudizio sulla base delle prove già acquisite appare nella sua massima estrinsecazione, in quanto valutare come non assolutamente necessaria l'assunzione dell'esame significa aver già raggiunto un determinato convincimento in ordine alla valenza rappresentativa della prova acquisita aliunde. In questo caso, quindi, la mancata compiuta realizzazione del diritto alla prova, inteso come diritto all'esame del dichiarante, con le forme del contraddittorio contestuale in sede giurisdizionale, non dipende dal consueto bilanciamento degli interessi processuali in conflitto, che pure giustifica quelle ipotesi espressamente e tassativamente previste di deroga alla immediatezza del contraddittorio dibattimentale e che si atteggia sempre nell'ambito di un rapporto di reciprocità tra le parti, ma da una valutazione discrezionale dell'organo giurisdizionale, che prescinde dai caratteri della doverosità, che impregnano l'intero fenomeno della ammissione della prova, e travalica i criteri dettati dalla legge per esercitare quel ruolo di controllo della legalità spettante in materia probatoria all'organo medesimo sin dal momento della ammissione delle richieste formulate dalle parti, in evidente violazione di quei princìpi di imparzialità e terzietà fissati dall'articolo 111 della Costituzione.

D'altro canto, l'aver svincolato la assoluta necessità di ammissione dell'esame da un qualsivoglia parametro di riferimento, sta ad indicare la volontà del legislatore di dotare il giudice della discrezionalità più ampia in ordine alla ammissione dell'espletamento della prova in sede dibattimentale, conferendo allo stesso organo giurisdizionale un vero e proprio potere di iniziativa probatoria, in quanto potrà decidere se i dati acquisiti in altra sede processuale e transitati al fascicolo per il dibattimento possano o meno essere integrati dai risultati dell'esame richiesto dalle parti, ed al cui svolgimento, in mancanza di diversa determinazione dei soggetti interessati, è ordinariamente condizionata l'utilizzabilità dibattimentale dei verbali di altro procedimento.

Ne consegue che l'articolo 190-bis, proprio perché si pone in incontrovertibile contrasto con la norma costituzionale deve essere abrogato. Allo stesso modo, siffatta novazione normativa deve essere raccordata con la disposizione del comma 5 dell'articolo 238, che reca l'inciso "Salvo quanto previsto dall'articolo 190-bis".

Occorre modificare, pertanto, il citato comma 5, eventualmente sopprimendo il richiamato inciso nel caso in cui non si vogliano mantenere limitazioni al potere delle parti di richiedere un nuovo esame del dichiarante di cui si siano acquisiti i verbali di altro procedimento.

 

2. Chiamata in correità.

 

In punto di valutazione della prova occorre, poi, intervenire sulla regola già fissata dall'articolo 192 del codice di procedura penale, modificando la disciplina della valutazione della chiamata di correo, e limitando, anzitutto, l'operatività della stessa esclusivamente ai fatti oggetto di diretta conoscenza da parte del dichiarante, per essere stati autonomamente "vissuti" dallo stesso. Potranno, pertanto, formare oggetto delle dichiarazioni rese dal chiamante in correità esclusivamente circostanze e fatti inerenti agli elementi costitutivi del reato contestato, evitando in tal modo che possano pervenire a conoscenza del giudice e concorrere alla formazione del suo convincimento, valutazioni effettuate dallo stesso chiamante in correità che, lungi dal fondarsi su conoscenze dirette ed autonome dei fatti riferiti, trovino scaturigine in elementi di fatto asseritamente appresi da terzi soggetti, in guisa che la provenienza e la genuinità di formazione della conoscenza sono spesso non verificabili ad opera dell'organo della decisione.

Occorre, poi, al fine di evitare il ricorso alla regola di valutazione in materia di chiamata di correo elaborata dalla giurisprudenza, escludere la possibilità di procedere alla cosiddetta "convergenza del molteplice", in base alla quale due dichiarazioni rese da tali soggetti processuali possono da sole, e senza la ricorrenza di ulteriori elementi di conferma di carattere oggettivo, costituire prova dei fatti affermati. Allo scopo è necessario limitare il riscontro alla chiamata in correità, formulata secondo i criteri delineati in precedenza, solo agli elementi di prova di natura diversa dalle altre dichiarazioni rese dagli imputati nello stesso reato.

Sicché, l'articolo 192 andrebbe modificato con la introduzione della limitazione della "chiamata in correità" ai soli fatti e circostanze inerenti agli elementi costitutivi del reato, conosciuti direttamente ed autonomamente dal dichiarante, mentre il riscontro esterno alle dichiarazioni accusatorie deve essere rinvenuto in elementi di diversa natura, onde fissare legislativamente il principio in base al quale gli elementi esterni di conferma alla chiamata in correità devono essere individuati in elementi che riscontrino oggettivamente le asseverazioni rese dai soggetti accusatori.

Al di fuori di tali ipotesi, in cui appunto la conoscenza dei fatti non sia frutto di diretta percezione da parte del dichiarante ovvero le dichiarazioni siano rese da persone imputate di reati connessi o collegati a quelli per cui si procede, le dichiarazioni medesime sono valutate secondo i criteri fissati dal comma 3 del medesimo articolo 192, e, quindi, come indizi che devono essere dotati della gravità, precisione e concordanza, rispetto evidentemente ad altri elementi di natura diversa dalle dichiarazioni rese da diversi imputati di reato connesso o collegato o che abbiano, comunque, avuto conoscenza indiretta dei fatti oggetto di esame.

 

3. Intercettazioni telefoniche.

 

In omaggio al principio accusatorio ed in applicazione dell'articolo 15 della Costituzione che non consente, a differenza di quanto dispone l'articolo 13, provvedimenti urgenti adottabili da autorità non giurisdizionale e salvo convalida di quest'ultima, si è eliminato il potere di intercettazione di urgenza da parte del pubblico ministero.

 

 

INDAGINI PRELIMINARI.

 

1. Organizzazione del pubblico ministero.

 

La disciplina delle indagini preliminari ha anzitutto dovuto tenere conto di alcuni adeguamenti derivanti dalle modifiche apportate alla disciplina del pubblico ministero.

Essendosi eliminata la competenza del procuratore distrettuale per la cognizione dei reati di criminalità organizzata, che è stata restituita ai procuratori dei singoli tribunali, si è dovuta eliminare anche la previsione della competenza del giudice per le indagini preliminari distrettuale.

 

2. Nuovi poteri della polizia giudiziaria.

 

Si sono apportate alcune modifiche ai poteri della polizia giudiziaria e del pubblico ministero al fine di chiarire come al primo siano affidati compiti, da esercitare in via autonoma, di raccolta della notizia di reato e di gestione dell'attività investigativa, mentre al secondo siano attribuiti i poteri di indagine diretti esclusivamente alla trasformazione della notizia di reato in accusa.

Nel laborioso meccanismo della comunicazione della notizia di reato dalla polizia giudiziaria al pubblico ministero ed in quello della formulazione delle deleghe e delle direttive di indagine, va ravvisata, in primo luogo, la ragione delle maggiori inefficienze registrate nell'attività di polizia.

Vasti settori della polizia non hanno visto di buon grado la intromissione del pubblico ministero in attività che, da sempre, sono state considerate corredo tipico dei poteri di polizia.

Tale netta distinzione, dovrebbe restituire agli organi di polizia quella autonomia decisionale che, restituendo responsabilità, dovrebbe realizzare l'efficienza.

Per mantenere, comunque, l'opportuno coordinamento tra le attività investigative, si è previsto che la polizia giudiziaria dia immediata notizia, attraverso una relazione preliminare, al pubblico ministro della notizia di reato, senza tuttavia con ciò perdere alcun potere di iniziativa che eserciterà pienamente.

Nella normalità dei casi, il raccordo con l'organo dell'azione penale avverrà solo al termine delle indagini, momento che sarà contrassegnato dalla trasmissione della relazione definitiva corredata da tutti gli atti compiuti.

Solo laddove il pubblico ministero intenda assumere personalmente la direzione delle indagini, la polizia giudiziaria svolgerà gli atti ad essa specificamente delegati.

In tale contesto, ovviamente, non ha più alcuna ragione di essere previsto un potere di fermo, tipico provvedimento precautelare di polizia, in capo al pubblico ministero.

Ciò posto, occorre, procedere alla modifica della previsione già dettata dall'articolo 347, comma 1, del codice di procedura penale, che disciplina le modalità di svolgimento delle indagini ad opera della polizia giudiziaria, funzionali al compimento della attività di propria iniziativa. Ed infatti, onde svincolare il pubblico ministero dallo svolgimento di attività propria della polizia giudiziaria, deve prevedersi che quest'ultima possa compiere ogni attività formale di indagine, consistente nell'assicurare le fonti di prova e nel raccogliere ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole, sulla scorta della disciplina predisposta dallo schema di decreto legislativo "in materia di competenza penale del giudice di pace".

Allo scopo, quindi, l'articolo 347, comma 1, deve essere modificato inserendo la previsione per la quale, acquisita la notizia di reato, la polizia giudiziaria può compiere di propria iniziativa tutti gli atti di indagine necessari per la ricostruzione del fatto e per la individuazione del colpevole, e deve essere previsto che la polizia giudiziaria riferisca senza ritardo delle risultanze delle indagini svolte al pubblico ministero.

 

3. Poteri del pubblico ministero.

 

Altra modifica ha riguardato la previsione che il pubblico ministero possa svolgere accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta ad indagini.

Secondo molte opinioni, la previsione del codice è in contrasto con la logica accusatoria alla quale il legislatore si sarebbe dovuto ispirare. In un vero processo di parti, infatti, ciascuna di esse dovrebbe essere titolare del potere di ricercare le prove a sostegno del proprio assunto senza possibilità di confusioni di ruoli.

Il sistema ibrido a cui si era ispirato il legislatore, sembra rispondere alla esigenza di colmare il vuoto costituito dalla mancata previsione di un serio apparato normativo teso a disciplinare le indagini difensive.

La previsione di cui si tratta, dunque, aveva una valenza suppletiva per sopperire alla carenza di potere investigativo della difesa. I risultati applicativi, e non potrebbe essere diversamente, sono modestissimi. Non solo l'esperienza ha dimostrato come l'esercizio di poteri investigativi a favore della persona sottoposta ad indagini sia statisticamente trascurabile, ma come addirittura nel caso in cui a tanto il pubblico ministero fosse stato sollecitato dall'interessato, non sarebbe vincolato alla richiesta.

Di fatto, dunque, una norma che, in una logica accusatoria, avrebbe dovuto avere una valenza suppletiva, non ha realizzato neppure tale limitato obiettivo.

Introdotta la previsione relativa alle investigazioni difensive, le attività investigative a favore della persona sottoposta ad indagini svolte dall'organo dell'accusa non hanno più alcuna ragione d'essere.

Il tutto, ovviamente, deve essere coordinato al fine di rendere efficace il meccanismo delle indagini difensive.

Allo scopo di consentire la massima estrinsecazione del diritto di difesa, pertanto, è stato necessario prevedere che anche la difesa possa esercitare, con congruo anticipo rispetto all'inizio del processo, tutte le potenzialità connesse all'attività difensiva rimuovendo l'ostacolo oggi esistente.

 

4. Informazione di garanzia.

 

In questa direzione è apparso necessario anzitutto modificare la disciplina dell'informazione di garanzia la cui trasmissione è oggi prevista come necessaria per il compimento di atti ai quali deve partecipare il difensore, ma che finisce per essere del tutto inutile.

Da un lato, perché il pubblico ministero potrebbe "gestire" i mezzi di ricerca delle fonti di prova al fine di ritardare l'invio della informazione di cui si tratta e, con essa, anche il compiuto esercizio dei diritti difensivi.

Dall'altro lato, perché la previsione di cui si tratta finisce per essere vuota e sterile se si considera che il contenuto della informazione di garanzia è esattamente quello che caratterizza tutti gli atti la cui formazione dovrebbe essere preceduta dalla sua trasmissione, sicché, di fatto, come la pressoché unanime giurisprudenza ha affermato, questi ultimi possono essere formati anche senza la precedente trasmissione della informazione di garanzia in quanto ritenuti a questa equipollenti.

Ovviamente un sistema che punta a realizzare la parità dell'accusa e della difesa sin dall'inizio delle indagini preliminari non potrebbe non valorizzare tale importantissimo strumento di garanzia attraverso la previsione che la trasmissione dell'informazione della pendenza delle indagini all'interessato deve necessariamente essere anticipata al momento successivo a quello della chiusura delle indagini della polizia.

 

5. Avocazione.

 

Un altro aspetto della disciplina codicistica che appare meritevole di modifica, proprio a cagione del notevole ed ingiustificato ridimensionamento dato dal codice all'istituto, è quello della avocazione delle indagini da parte del procuratore generale che, nel sistema del codice di procedura penale del '30, era riconosciuto in maniera piuttosto ampia e generica, suscitando polemiche proprio per l'uso sconsiderato che dell'istituto stesso era stato fatto.

Il potere di avocazione delle indagini da parte del procuratore generale è, nel sistema processuale vigente, legato a precise esigenze di funzionalità dell'apparato giudiziario, che possono essere condotte al comune denominatore costituito dalla inerzia del pubblico ministero procedente. Si è voluto prevedere che, al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, riconducibili a situazioni di inerzia nella conduzione delle indagini, le quali sono oggettivamente verificabili dal procuratore generale sulla base della trasmissione dell'elenco delle notizie di reato inviatogli ai sensi dell'articolo 127 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale approvate con decreto legislativo n. 271 del 1989, si potesse sostituire il pubblico ministero inquirente, riconoscendo al medesimo una libertà di autodeterminazione nella permanenza o meno nella titolarità delle indagini.

L'applicazione del sistema processuale vigente ha, comunque, dato prova della non correttezza delle previsioni in parola, soprattutto ove si consideri che molteplici sono stati i casi in cui le indagini sono state condotte da magistrati del pubblico ministero in palese situazione di inadeguatezza al compimento delle attività istituzionali, anche a cagione dei comportamenti assunti che, se non riconducibili a quei casi di sostituzione espressamente previsti dal codice, avrebbero certamente legittimato la sostituzione del magistrato procedente con altro collocantesi al di fuori del suo ufficio. Una situazione di "incompatibilità" con lo svolgimento delle indagini, che molto spesso si estende all'intero ufficio giudiziario, e che avrebbe legittimato l'intervento del procuratore generale al fine di procedere alla sostituzione del titolare delle indagini con altro magistrato della procura generale.

Allo scopo è necessaria la introduzione di una modifica alla disciplina normativa della avocazione, che preveda una estensione dei casi in cui possa darsi luogo a sostituzione del pubblico ministero procedente, ricomprendendovi anche quelli in cui ricorrano gravi ragioni di convenienza. Deve, poi, necessariamente allargarsi il campo di operatività della avocazione, facendo in modo che possa darsi luogo a sostituzione anche indipendentemente dalla inerzia del capo dell'ufficio rispetto alla sostituzione del pubblico ministero "incompatibile", in guisa che il procuratore generale possa procedere direttamente alla avocazione in tali casi, senza che il suo intervento dipenda dalla instaurazione della procedura della sostituzione.

Si rende, pertanto, necessaria la previsione di un meccanismo di informazione del procuratore generale sulla pendenza dei procedimenti e sulla ricorrenza delle situazioni che legittimano l'avocazione, che potrà essere realizzato mediante un allargamento generalizzato delle ipotesi di informazione sulla esistenza delle notizie di reato, alle quali potrà far seguito, anche a richiesta di parte, un'iniziativa del medesimo organismo diretta a prendere visione degli incartamenti processuali ed a conoscere della esistenza delle gravi ragioni di convenienza che ne legittimano l'intervento.

 

6. Le indagini difensive.

 

Una attenzione del tutto nuova deve essere prestata dalla riforma alla disciplina delle indagini difensive, totalmente negletta nella sua originaria regolamentazione dal codice di procedura penale, ed attuata nella normazione successiva, nonostante la stretta correlazione esistente tra la attività in parola e l'esercizio del diritto alla prova riconosciuto alle parti da un processo improntato al modello accusatorio. Certamente, non può essere trascurato che l'effettività del diritto alla prova deve essere garantita in maniera tale da tener conto della necessità di garantire alle persone sottoposte alle indagini la conoscibilità della pendenza di un procedimento penale, non potendo certamente sfuggire la inutilità della previsione di un potere di indagine delle parti private, quando in concreto le stesse potranno non avere cognizione della pendenza medesima, se non alla conclusione delle indagini, con l'avviso notificato all'indagato ai sensi dell'articolo 415-bis del codice di procedura penale, ovvero, per la persona offesa dal reato, con la notificazione del decreto di fissazione dell'udienza preliminare.

Non va dimenticato, infatti, che l'intera regolamentazione della attività di indagine preliminare, soprattutto con riferimento alla conoscibilità della pendenza della stessa, ha rappresentato una problematica che ha suscitato particolare attenzione da parte della dottrina, giungendosi ad affermare la necessità di una previsione che avesse una tipica valenza difensiva oltre che informativa, giacché alla persona sottoposta alle indagini dovrebbe essere resa nota la pendenza di un procedimento, prima ancora che siano stati raccolti nel segreto tutti gli elementi a carico, senza eccezioni, essendo ormai le indagini preliminari terminate. Si pensi che prima della introduzione della novazione normativa apportata dall'articolo 2, comma 2, della legge 16 luglio 1997, n. 234, all'articolo 416 del codice di procedura penale, l'interrogatorio ex articolo 421 del medesimo codice, avrebbe potuto costituire il primo atto con il quale all'imputato sarebbe stato reso possibile instaurare un "contraddittorio" sulla impostazione accusatoria, posto che la richiesta di rinvio a giudizio poteva essere stata formulata inaudita altera parte, quindi senza alcun interrogatorio della persona sottoposta alle indagini, ed addirittura, stante la mancata previsione di strumenti diretti ad avvisare l'indagato della pendenza di un procedimento, senza che si conoscesse l'esistenza di indagini a proprio carico.

Ne deriva, pertanto, che se la richiesta di essere sottoposto ad interrogatorio si pone come strumento di contrasto all'assunto accusatorio, e se non può sorgere dubbio che, anche a seguito delle innovazioni normative intervenute, al momento "informativo" si è sostituita la finalità di attivazione della difesa materiale e tecnica, chiaramente individuabile nella prevista necessità di rendere notizia della pendenza di un procedimento, è indubbio che l'avviso all'indagato della conclusione delle indagini preliminari, di cui all'articolo 415-bis, non può certamente assolvere a quella funzione di realizzazione dell'effettività del diritto di difesa nel corso delle indagini preliminari, anche in funzione del diritto alla prova, al cui perseguimento deve tendere la compiuta estrinsecazione dei poteri di indagine difensiva. D'altro canto, la collocazione topografica dell'interrogatorio previsto dall'articolo 415-bis, riesce a dare contezza della potenziale superfluità della introduzione normativa stessa, in quanto la instaurazione di una contestazione degli elementi di accusa all'esito delle indagini preliminari, sempre che non sia intervenuto in un momento antecedente l'interrogatorio della persona sottoposta alle indagini, non consente la creazione di un contraddittorio effettivo tra il pubblico ministero e l'indagato, per la sostanziale superfluità della contestazione medesima, anche a cagione del ristretto ambito temporale - trenta giorni - entro il quale il pubblico ministero può disporre di nuove indagini sulla base delle indicazioni provenienti dalla persona sottoposta alle indagini. A ben vedere, la stessa disposizione dell'articolo 415-bis riesce a dare contezza di quanto sia distante la disciplina codicistica dalla previsione di una parità tra accusa e difesa sin dalle indagini preliminari, anche a cagione della necessità di farsi portatrici nella fase dibattimentale del rispettivo interesse probatorio, non solo per la limitatezza dell'intervento difensivo, ma soprattutto per l'aver rimesso sostanzialmente alla disponibilità del pubblico ministero, notoriamente titolare di interessi contrapposti, lo svolgimento di quelle indagini che si prefigurano necessarie per la posizione della persona sottoposta alle indagini. Ne deriva che anche la previsione di una apposita disciplina diretta a regolamentare le indagini difensive, ove non esattamente raccordata ad una rideterminazione della informazione dell'indagato di una pendenza di procedimento nei propri confronti, si palesa assolutamente superflua, perché in concreto priva di valenza pratica, non essendo certamente esercitabile alcuna attività defensionale rispetto alla mancata conoscenza della esistenza del procedimento medesimo. Non si riesce, infatti, a comprendere come possa trovare estrinsecazione il potere di indagine del difensore senza la mancata predisposizione di uno strumento di notiziazione all'indagato della pendenza di un procedimento nei suoi confronti, che potrebbe rendere in concreto inutiliter data la introduzione di una tale disciplina, anche in virtù della assoluta ininfluenza, sotto tale profilo, della introduzione dell'avviso all'indagato della conclusione delle indagini preliminari che, in quanto deve precedere la richiesta di rinvio a giudizio, potrebbe intervenire ad indagini preliminari sostanzialmente scadute e rispetto ad una impostazione accusatoria non facilmente contrastabile nei ristretti termini necessari per la materiale predisposizione della richiesta medesima. Non a caso la dottrina ha da tempo sostenuto la necessità di una informazione tempestiva all'interessato dello svolgimento di attività di indagine nei suoi confronti, in quanto ciò rappresenta l'unico strumento di sostanziale possibilità di esercizio di difesa nelle situazioni iniziali dell'investigazione, nelle quali, non infrequentemente, possono verificarsi situazioni irreversibili di pregiudizio per la persona che deve apprestare una difesa effettiva.

 

7. Nuova disciplina dell'iscrizione di notizie di reato in funzione delle indagini difensive.

 

Al fine di rendere effettiva la possibilità delle parti processuali di prendere cognizione della pendenza di un procedimento, occorre, pertanto, procedere alla modifica dell'articolo 335, comma 3, del codice di procedura penale, inserendo uno strumento diretto a garantire la effettività del potere di investigazione difensiva e dare una risposta concreta agli interrogativi che si sono sottolineati in precedenza, in guisa che si renda possibile la creazione di un parallelismo difensivo alle indagini compiute dal pubblico ministero. Per altro verso, residua, invece, la necessità di garantire quelle esigenze di tutela della genuinità e effettività delle indagini del pubblico ministero rispetto a procedimenti che abbiano ad oggetto fattispecie di reato di particolare rilievo sotto il profilo della pericolosità sociale, palesandosi la necessità di mantenere viva una disposizione normativa, quale è quella prevista dall'articolo 335, comma 3, che escluda dalle situazione di comunicabilità della pendenza di procedimento quelle relative ai "casi in cui si procede per uno dei delitti di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a)", proprio a cagione della peculiarità dei reati oggetto di accertamento.

Una differenza di disciplina che, se non sfocia nella previsione di una procedura differenziata per i reati di criminalità organizzata, può trovare compiuta ragione nella evidente diversità delle fattispecie regolate dalla normativa, senza che emergano situazioni di disparità di trattamento additabili come violazione dell'articolo 3 della costituzione. Allo stesso modo, non può certamente essere revocata in dubbio la necessita di una previsione di segretazione delle iscrizioni quando, per la sussistenza di specifiche esigenze attinenti alle indagini, la conoscenza della pendenza di un procedimento potrebbe compromettere in maniera irrimediabile il compimento di atti urgenti. In tale caso, la decisione in ordine alla incomunicabilità della iscrizione della notizia di reato, incidendo in maniera immediata e diretta sul concreto esercizio del diritto di difesa, non può essere lasciata alla esclusiva valutazione del pubblico ministero, ma necessita di una valutazione della sussistenza dei suoi presupposti ad opera di un organismo giurisdizionale, in funzione di controllo della richiesta avanzata dal pubblico ministero.

 

8. Indagini difensive e mezzi di ricerca delle prove.

 

In tale ottica, ad una più organica operazione di riforma deve essere sottoposta l'intera disciplina normativa che il legislatore intende dare alla peculiare materia delle indagini difensive, dovendosi segnalare come, nonostante la previsione di diverse forme di intervento da parte del difensore in quelle attività di indagine fino ad ora di esclusiva pertinenza del pubblico ministero, la distanza che ancora contraddistingue le due posizioni processuali è tale per cui non possa, certamente, darsi una situazione di assimilabilità delle diverse parti interessate al procedimento.

Ci si intende riferire alla necessità di configurare una regolamentazione della attività di indagine del difensore che ricalchi, quanto a previsioni di strumenti normativi, quella del pubblico ministero, mediante il ricorso anche a mezzi di ricerca delle prove, attuabili mediante il compimento di atti a sorpresa autorizzati dalla autorità giurisdizionale e non bisognevoli del consenso della persona titolare del diritto sul quale viene ad incidere l'attività medesima. Ne deriva che al fine di dare effettività alla previsione dell'espletamento della attività investigativa del difensore occorre incidere, snellendole per contenuti, su tutte quelle formalità autorizzative che condizionano il concreto svolgimento della attività difensiva.

Allo scopo deve prevedersi che il giudice che procede debba provvedere de plano ad autorizzare il richiesto espletamento del mezzo di ricerca della prova, senza che sia consentito alle altre parti interloquire e, soprattutto, senza che l'indagato debba rivolgersi al pubblico ministero per il compimento di atti urgenti nel suo interesse.

 

9. Generalizzazione dell'incidente probatorio.

 

La necessità di restringere esclusivamente nell'ambito delle ipotesi eccezionali previste dalla impossibilità oggettiva di ripetere l'atto e della provata condotta illecita i casi di utilizzabilità dibattimentale delle dichiarazioni assunte nel corso delle indagini preliminari, comporta che occorre incidere sul procedimento anticipativo di formazione della prova, al fine di consentire che le dichiarazioni vengano assunte nel contraddittorio delle parti e, quindi, di evitare che le stesse possano andare incontro a fenomeni di dispersione.

Si indicheranno in seguito le ragioni che legittimano una modifica del regime delle letture e delle contestazioni, rispetto alle quali deve affermarsi una totale chiusura alla infiltrazione del materiale probatorio con le risultanze delle indagini preliminari, in quanto il materiale oggetto della decisione deve essere costituito esclusivamente dalle prove formate nel contraddittorio giurisdizionale. A tal fine occorre intervenire sul regime dell'incidente probatorio, in guisa che possa procedersi sempre alla assunzione anticipata della prova testimoniale, al pari di quanto accade per l'acquisizione delle dichiarazioni rese dall'imputato di reato connesso o collegato ovvero dall'imputato nello stesso procedimento che debba rendere dichiarazioni sulla responsabilità di terzi.

Sicché, onde evitare situazioni di dispersione della prova e garantire sempre la formazione del contraddittorio giurisdizionale, occorre che il ricorso al momento anticipativo della prova sia svincolato dalla presenza di motivi di possibile dispersione o inquinamento della prova dichiarativa, e sia reso generalizzato all'incidente probatorio. Quest'ultimo istituto deve costituire lo strumento ordinario di formazione della prova nelle indagini preliminari, anche a costo di creare una soluzione di continuità tra procedimento probatorio ed elaborazione della decisione, onde evitare che per converso le situazioni di dispersione o di contrasto tra dichiarazioni rendano utilizzabili ai fini della decisione gli elementi assunti dal pubblico ministero, in mancanza di qualsivoglia contraddittorio con la persona accusata.

D'altro canto, l'articolo 111 della Costituzione garantisce esclusivamente che la persona accusata di un reato "abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico", affermando che "La colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore". La norma costituzionale mira a rendere necessaria la integrazione del contraddittorio giurisdizionale nella formazione della prova, situazione che, certamente, deve ritenersi ricorrere nella ipotesi di prova assunta con incidente probatorio.

 

 

GIUDIZIO.

 

GIUDICE MONOCRATICO.

 

1. Dalle indagini preliminari al processo.

 

Il momento di transito dalle indagini al processo costituisce in un processo accusatorio il momento più delicato. Da un lato, perché è in questo momento che si dovrebbero inserire i procedimenti alternativi; dall'altro, perché occorre evitare che un complesso di attività impegnative finisca per risolversi in un inutile dispendio di energie.

L'attuale disciplina delle attività ricomprese tra la chiusura delle indagini e dell'udienza preliminare, ivi compresa l'alternativa del giudizio abbreviato, è stata sottoposta a profonde e radicali modifiche che, in parte, si ispirano, in una logica "deflazionistica", a potenziare l'udienza preliminare e a coordinare il sistema con la istituzione del giudice unico di primo grado.

Il quadro normativo che ne è scaturito, però, presenta notevoli profili di perplessità.

Anzitutto, attraverso la generalizzazione della giurisdizione monocratica si è verificata una caduta di garanzie.

Accade così, oggi, che il meccanismo attraverso il quale può essere investito il giudice monocratico del dibattimento, oltre alla citazione diretta a giudizio (riproduttiva sostanzialmente dell'abrogato procedimento dinanzi al pretore), sia quello della richiesta di rinvio a giudizio transitante per l'udienza preliminare. In questo caso, come è evidente, la fase dell'udienza preliminare risulta superflua soprattutto in considerazione del fatto che in essa trovano applicazione tutte le regole di giudizio di cui all'articolo 530 del codice di procedura penale ai fini della emissione della sentenza di non luogo a procedere.

Anche nella nuova configurazione, l'udienza preliminare, quale "filtro" tra le indagini preliminari ed il dibattimento, dovrebbe costituire la sede per la verifica degli elementi di prova prodotti dalla difesa e dotati di una valenza impeditiva della prospettazione accusatoria.

Il sistema, però, non prevede una disciplina delle attività investigative della difesa la quale, non essendo dotata di poteri certificativi ed autoritativi in relazione alla ricerca ed alla acquisizione di mezzi di prova, dovrebbe trovare nell'udienza preliminare la sede per l'esercizio dei diritti relativi.

Ed invero, secondo la disciplina in vigore, il difensore è dotato di poteri coattivi per raccogliere dichiarazioni. Esse, poi non hanno alcun valore documentale e non possono essere utilizzate. E, infine, è del tutto irrilevante la falsità delle dichiarazioni.

Per far fronte a tale carenza è stato riformulato l'articolo 422 del codice di procedura penale, pur se in un quadro di tipo inquisitorio.

Per quanto ampliati possano apparire i presupposti per lo svolgimento delle attività di integrazione probatoria, essi appaiono imperniati su di una notevole discrezionalità del giudice. Tali attività possono essere esperite solo in casi di indispensabilità per la pronunzia della sentenza di improcedibilità. A differenza di ciò che avviene per il procedimento di formazione della prova in dibattimento, il modulo utilizzato nell'udienza preliminare non prevede una fase dedicata alla ammissione della prova. Sicché la relativa assunzione, anche in questa sede, costituisce un "innesto" sul normale iter procedimentale con il carattere della eccezionalità.

Alla stessa logica appare oggi ispirato il meccanismo di cui all'articolo 415-bis del codice di procedura penale. L'idea sottostante alla previsione di una fase prodromica a quella dell'udienza preliminare, che deve obbligatoriamente essere attivata nel caso in cui il pubblico ministero non debba richiedere l'archiviazione, è quella di provocare una sorta "contraddittorio" tra difesa e pubblico ministero sulla consistenza degli elementi di prova rispettivamente raccolti sino a quel momento. Ed infatti, non solo il pubblico ministero presenta i suoi atti alla difesa (la discovery è anticipata), ma la stessa difesa può depositare memorie e le risultanze di eventuali atti di investigazione. Inoltre, il meccanismo dell'avviso di procedimento ha anche la funzione di sollecitare l'accusa al compimento di atti di indagine nell'interesse della difesa.

Si tratta di una logica certamente inquisitoria perché la difesa in questa fase deve cercare di far mutare una decisione già assunta dal pubblico ministero. Per giungere a questo risultato e per poter acquisire le prove necessarie, la difesa è costretta alla interlocuzione con quel pubblico ministero che non solo ha già reputato sufficienti gli elementi in suo possesso per sostenere l'accusa in giudizio, ma non è neppure obbligato a dare seguito alle richieste della difesa. L'unico atto obbligatorio è l'interrogatorio su richiesta dell'indagato.

Anche in questo caso, però, al di là delle apparenze, la previsione è del tutto inutile.

Il legislatore ha certamente inteso superare alcune difficoltà derivate dalla modifica dell'articolo 416 del codice di procedura penale ad opera della legge 16 luglio 1997, n. 234, che aveva reso obbligatorio l'interrogatorio prima della richiesta di rinvio a giudizio. Ancorché da esperirsi in maniera generalizzata e persino in carenza di interesse dell'indagato, è indubbio che nella generalità dei casi, dovendosi procedere all'interrogatorio, prima delle determinazioni del pubblico ministero in ordine agli elementi acquisiti, esso avrebbe potuto fornire comunque indicazioni utili anche in vista dell'applicazione dell'articolo 358 del codice di procedura penale. Un interrogatorio, invece, posto alla fine delle indagini, o quando già sia intervenuta la decisione del pubblico ministero di non archiviare, ha, invece, una utilità statisticamente trascurabile. E non è un caso che esso sia un istituto poco praticato.

Se a ciò si aggiunge la irragionevole accelerazione impressa al procedimento, pena la inutilizzabilità degli atti, si comprende come l'intera impalcatura risulti fortemente squilibrata e rischi di tradursi in una vanificazione di questo passaggio che dovrebbe colmare il vuoto normativo in punto di indagini difensive.

 

2. Ruolo attuale del giudizio abbreviato.

 

Più consistenti sono stati invece, gli interventi sul giudizio abbreviato. Quest'ultimo ha certamente perso, dopo le modifiche apportate, la caratteristica di procedimento a cui dovrebbero ricorrere le parti che ritengono verosimile l'affermazione della propria responsabilità.

Se questa era la logica che ispirava l'istituto prima della riforma - e per questo poco praticato nelle aule giudiziarie - indubbiamente, oggi, esso ha perso siffatta connotazione. La celebrazione del procedimento, infatti, non dipende più dal formarsi di un consenso tra imputato e pubblico ministero, sicché l'imputato nell'avanzare la richiesta non rischia più di compiere una mossa azzardata. Tutto si traduce in una scelta strategica, di per sé neutra.

Se tutto ciò, da un lato, è apprezzabile, non può non essere osservato come si sia eccessivamente caricata la giurisdizione di iniziative probatorie che rendono troppo incerti, nel momento in cui la richiesta viene formulata, i presupposti sulla base dei quali quest'ultima viene effettuata.

Il giudizio abbreviato, infatti, solo apparentemente è un giudizio allo stato degli atti.

La scelta dell'imputato, anziché vincolare il giudice a decidere sulla base degli atti compiuti dal pubblico ministero, ciò che dovrebbe comportare, al limite, il proscioglimento, laddove, applicando le regole di giudizio di cui all'articolo 530 del codice di procedura penale, gli atti non consentano di sostenere la colpevolezza dell'accusato, abilita lo stesso ad integrare gli elementi probatori.

Già da tale osservazione si può agevolmente comprendere come il sistema, anziché responsabilizzare il pubblico ministero a svolgere indagini complete, consenta di recuperare le sue inerzie, anche in sede di giudizio abbreviato, da parte del giudice, con un'evidentissima commistione di ruoli.

Del resto, formule come "assoluta necessità ai fini della decisione" ovvero "non poter decidere allo stato degli atti" oggi previste quali regole di ammissibilità della integrazione probatoria in sede di giudizio abbreviato, sono troppo elastiche per pensare che rischi paventati siano statisticamente trascurabili. Di fatto, l'imputato potrebbe determinarsi ad un giudizio abbreviato confidando su certi presupposti probatori che potrebbero non esistere più al momento della decisione.

Appare peraltro evidente che anche la previsione che consente di subordinare alla eventuale integrazione probatoria la richiesta di giudizio abbreviato, riflette una distorta logica inquisitoria.

Se il giudizio abbreviato deve costituire una strategia dell'imputato e se esso si configura come un giudizio allo stato degli atti, per le ragioni che si sono viste, non si può ritenere giustificabile che l'interessato non possa, comunque, essere libero di scegliere la strategia più conforme ai propri interessi senza subire condizionamenti e limitazioni per eventuali lacune investigative indipendenti dalla sua volontà.

Tanto più che l'imputato potrebbe anche aver offerto al pubblico ministero la possibilità di ricerca ed acquisizione delle prove indicate dalla difesa in applicazione dell'articolo 415-bis del codice di procedura penale.

Ed allora non si comprende perché l'imputato che abbia tentato invano l'esercizio del diritto alla prova in sede di deposito degli atti ex articolo 415-bis, una volta accettato comunque il giudizio allo stato degli atti, debba poi subire ulteriori pregiudizi con riferimento al momento in cui debba decidere come definire il procedimento.

 

3. Il nuovo procedimento semplificato.

 

La riforma si propone di superare queste discrasie e di riequilibrare il sistema seguendo due direttrici principali.

La prima si basa sulla completa ristrutturazione della fase prodromica all'esercizio dell'azione penale come sede nella quale effettivamente la parte possa pretendere l'acquisizione delle prove a discarico attraverso una richiesta che abbia efficacia vincolante. La seconda postula la disciplina della udienza preliminare come sede deputata normalmente alla definizione del procedimento, rispetto a tutti i casi di competenza del giudice monocratico, in modo da evitare che, come avviene oggi, si risolva in un passaggio superfluo (quantomeno rispetto a quei reati per i quali la competenza sia del giudice monocratico).

Per attuare tali direttive, si è previsto, anzitutto, che con l'avviso di chiusura delle indagini inizi una vera e propria fase riservata alla acquisizione delle prove della difesa.

Tale acquisizione, ovviamente, è funzionale sia alle decisioni da adottare nell'udienza davanti al giudice monocratico (decreto che dispone il giudizio o sentenza di non luogo a procedere) sia ai fini della definizione anticipata del procedimento ed è pertanto inserita in una fase comune a tutti i procedimenti (indipendentemente, cioè, che siano di competenza del giudice monocratico o del giudice collegiale), la quale si deve svolgere prima dell'esercizio dell'azione penale.

In assoluta coerenza con la logica accusatoria, la richiesta delle prove proveniente dalla difesa deve essere rivolta al giudice, il quale dovrà procedere alla relativa acquisizione, secondo il modello dell'incidente probatorio, dopo aver espletato, nel pieno del contraddittorio delle parti, la valutazione sulla ammissibilità e rilevanza delle prove richieste, a norma dell'articolo 190 del codice di procedura penale ed in piena conformità a quanto è previsto per la fase dibattimentale.

Questa fase consente all'imputato, pertanto, diversamente da quanto previsto oggi, di avere la certezza dell'acquisizione, da un organo terzo, di quegli stessi mezzi di prova che avrebbe diritto a vedersi ammettere in dibattimento.

Al termine di tale fase, gli atti vengono trasmessi al pubblico ministero il quale dovrà adottare le sue determinazioni in ordine all'esercizio dell'azione penale ed è in questo momento che la procedura, sino ad ora comune per tutti i reati, si differenzia a seconda della competenza a conoscere dei reati e delle strategie della difesa.

Il pubblico ministero, se non decide per l'archiviazione, fa notificare all'imputato la richiesta di citazione per il giudizio con l'avviso che ha la possibilità di avanzare la richiesta di definizione anticipata dinanzi al giudice monocratico, attraverso la quale consente al giudice di definire il processo attraverso la integrale utilizzazione di tutti gli atti presenti nel fascicolo acquisiti sino a quel momento e di beneficiare, in caso di condanna, della riduzione di un terzo della pena.

A questo punto del procedimento, infatti, tutti gli elementi utili per il giudizio sono stati acquisiti, la difesa ha potuto avere ampia facoltà di acquisire tutti i mezzi di prova che ritiene utili ed il procedimento può effettivamente essere definito allo stato degli atti, solo che l'imputato lo richieda. Un transito al dibattimento, infatti, una volta che il diritto alla prova si è potuto effettivamente e pienamente esercitare, non dovrebbe avere più senso soprattutto se raffrontato ai benefìci sanzionatori che possono essere conseguiti.

A questo punto, i successivi sviluppi dell'iter processuale sono stabiliti dal giudice sulla base delle scelte dell'imputato e della competenza dei reati.

Una volta che l'imputato abbia optato per la definizione anticipata del procedimento, a seconda che i reati siano di competenza del giudice collegiale o del giudice monocratico, quest'ultimo emetterà l'avviso di comparizione davanti a sé o davanti al giudice collegiale.

Si è ritenuto, infatti, che nel caso di reati di competenza del giudice collegiale, anche in presenza di richiesta di definizione del procedimento, la garanzia offerta dalla collegialità dell'organo debba essere comunque mantenuta, in tal modo chiarendosi che il beneficio sanzionatorio previsto per la definizione anticipata dei procedimento trova giustificazione nella accettazione dell'imputato di assegnare "rilevanza" probatoria ad atti compiuti dal pubblico ministero e, dunque, premiando la sua rinunzia al contraddittorio nella formazione della prova. Laddove, invece, l'imputato non abbia esercitato alcuna opzione, il giudice monocratico, al quale la richiesta di citazione con il fascicolo relativo sarà presentata dal pubblico ministero, emetterà il decreto di citazione a giudizio, nel caso di reati di sua competenza, ovvero farà notificare l'avviso di comparizione davanti a sé per la celebrazione dell'udienza predibattimentale.

E' evidente che, stante la unicità dell'organo monocratico, i casi nei quali il processo non trovi una definizione anticipata saranno statisticamente trascurabili.

 

4. L'udienza preliminare.

 

L'udienza preliminare, che è una fase prevista per i reati di competenza del giudice collegiale, benché riproduca la udienza preliminare in vigore, risulta essere particolarmente snella. In particolare, essendo stati tutti gli elementi conoscitivi acquisiti dal giudice, non vi dovrebbe essere necessità di alcuna integrazione probatoria ai fini della decisione, la quale può certamente essere adottata allo stato degli atti.

Non avendo l'imputato dato il consenso ad una utilizzazione degli atti sino a quel momento compiuti, e dunque non avendo inteso rinunziare al diritto al contraddittorio in tutte le fasi del procedimento probatorio, che dovrà dunque essere realizzato nella sua pienezza, la udienza predibattimentale si concluderà o con una sentenza di improcedibilità ovvero con una citazione a giudizio davanti al giudice collegiale.

In tale disciplina ovviamente restano assorbite la disciplina del giudizio abbreviato e del giudizio immediato (che non ha più ragione di esistere), mentre gli unici procedimenti speciali applicabili potranno essere l'applicazione della pena su richiesta (che potrà essere avanzata solo dinanzi al giudice monocratico nella fase dell'udienza predibattimentale), il procedimento direttissimo ed il procedimento per decreto.

 

 

PROCEDIMENTI SPECIALI.

 

1. Generalizzazione del patteggiamento.

 

Come si è rilevato, non è più necessario prevedere una disciplina autonoma del giudizio abbreviato, essendo stato lo schema del rito premiale ricompreso nell'ambito dell'udienza predibattimentale quale sede esclusiva di tutte le forme della giurisdizione monocratica.

Anche il giudizio immediato è stato eliminato non essendo più compatibile con la dinamica procedimentale caratterizzante la fase successiva a quella della chiusura delle indagini.

Per quanto riguarda l'istituto dell'applicazione di pena a richiesta, le esigenze di riservare lo strumento dibattimentale al minor numero possibile dei procedimenti, ha anche suggerito di eliminare la limitazione editoriale contenuta originariamente nella disciplina della applicazione di pena su richiesta delle parti.

Tale limitazione che appariva, in effetti, in precedenza correlabile solo alle ipotesi di sospendibilità della pena, finiva di fatto per grandemente limitare la praticabilità del procedimento, a meno di non correre il rischio di quantificazioni palesemente incongrue, in un numero troppo eccessivo di ipotesi, così da rendere di fatto sostanzialmente ininfluente sul piano percentuale il ricorso a tale peculiare procedimento speciale.

Del resto, l'ampliamento delle ipotesi di "patteggiamento", si correla dal punto di vista tecnico-giuridico al parallelo incremento dei casi di giudizio abbreviato (e ciò vale anche per quanto concerne la individuazione della sede ultima di celebrazione, in entrambi i casi individuata nell'udienza preliminare), così in definitiva rimettendo alla scelta delle parti (in maniera peraltro diversa quanto alla necessità di una valutazione concorde), l'accesso a un rito a carattere inquisitorio ove costituiscono tendenziale ed esclusiva fonte di decisione le risultanze delle attività di investigazione sviluppate dal pubblico ministero.

E ciò è realizzato in assoluta aderenza alle modifiche normative introdotte con la legge 16 dicembre 1999, n. 479, attraverso l'introduzione di disposizioni che consentono, sempre nella prospettiva di una totale disponibilità in capo alle parti della scelta del rito, l'acquisizione, appunto previo consenso delle parti, al fascicolo per il dibattimento di singoli atti di indagine, ovvero, in ipotesi, dell'intero fascicolo del pubblico ministero.

Tenendo del resto presente che, anche e soprattutto in ragione dei numerosi interventi della Corte costituzionale, che hanno avuto significativamente riferimento ai poteri di valutazione del giudice in tema di qualificazione del fatto e di congruità della pena, imponendo l'esercizio dei medesimi, sembra poter essere più che adeguatamente garantita l'esclusione di un concreto pericolo di elusione delle previsioni edittali, laddove, evidentemente, tali poteri del giudice ben potranno e dovranno essere esercitati, anche e soprattutto in relazione all'ampliamento delle ipotesi conseguenti alla modifica normativa di cui si discute.

 

2. Nuova disciplina del giudizio direttissimo.

 

Per quanto riguarda il giudizio direttissimo, si sono previste una serie di modifiche tese a rendere lo stesso compatibile con quelle apportate in tema di libertà personale e, soprattutto, aventi lo scopo di consentire anche nei casi di misura cautelare applicata all'esito di un avvenuto arresto in flagranza, che la medesima abbia luogo, successivamente al giudizio di convalida, quando questo sia operato dal giudice monocratico, sempre da parte del giudice collegiale.

 

 

TRIBUNALI E CORTI D'ASSISE

 

1. Contenuto reale del giusto processo.

 

La novella recata dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, che ha modificato l'articolo 111 della Costituzione, impone una riconsiderazione della disciplina di tutti gli istituti codicistici che consentono la utilizzazione probatoria del materiale acquisito al di fuori del contraddittorio giurisdizionale e senza il consenso dell'imputato interessato. L'introduzione, infatti, dei principi sottesi all'affermazione del "giusto processo", rende necessario che il processo penale realizzi sempre il contraddittorio nella formazione della prova, in guisa che al legislatore ordinario è rimesso esclusivamente di regolare "i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio, per consenso dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita (articolo 111, quinto comma).

L'aspetto di maggior rilievo della affermata necessità di consentire sempre la integrazione del contraddittorio può, certamente, individuarsi nella garanzia che il diritto dell'imputato e del suo difensore di interrogare o far interrogare la persona che ha reso dichiarazioni a suo carico trovi concreta estrinsecazione nella disciplina codicistica, non potendo contestarsi che prevedere la possibilità di utilizzare a fini probatori le dichiarazioni rese nei momenti extra-dibattimentali costituisca disposizione normativa assolutamente contraria alla previsione costituzionale, per la quale la colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio medesimo.

Ma, sicuramente, non potrà essere trascurato che l'attuazione dei princìpi costituzionali dovrà passare per la predisposizione di una disciplina codicistica che ponga un concreto limite al regime delle contestazioni, ed a ciò si è già data formale esecuzione con l'approvazione della legge sul "giusto processo", essendo incontrovertibile che il realizzarsi del contraddittorio giurisdizionale trovi rilevanti limitazioni nella lettura delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari, la quale non solo non garantisce il contraddittorio dibattimentale nel momento della formazione della prova ma, addirittura, è capace di produrre una generalizzata "trasmigrazione" delle attività compiute dal pubblico ministero, in carenza di contraddittorio con le altre parti, nel fascicolo per il dibattimento e la loro utilizzabilità ai fini della decisione.

D'altro canto, la necessità di porre un definitivo sbarramento al recupero in chiave probatoria della attività svolta dal pubblico ministero, consiglia un intervento di riforma della disciplina codicistica che si produca in una visione organica della intera materia delle prove, anche in considerazione del fatto che il legislatore della riforma costituzionale non ha sicuramente adottato una terminologia sempre appropriata, foriera, invece, ove interpretata in senso letterale, di provocare ingiustificabili restringimenti della operatività del diritto di difesa, che verrebbero addirittura a privare di reale contenuto le stesse disposizioni introdotte con la modifica costituzionale.

Un primo intervento che dovrebbe essere tenuto in massima considerazione è quello relativo alla predisposizione di una puntuale disciplina della "informazione" della persona accusata di un reato, nel più breve tempo possibile, della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico, in quanto ove si volesse interpretare in senso letterale la normativa costituzionale, comporterebbe uno spostamento della garanzia della conoscenza della pendenza di un procedimento al momento in cui, come previsto dalla predetta disposizione costituzionale, l'accusa sia stata elevata. E' noto a tutti che il momento procedimentale di elevazione dell'accusa è quello della formulazione dell'imputazione, al termine delle indagini preliminari, sicché anche la introduzione dell'articolo 415-bis del codice di procedura penale, che regolamenta la comunicazione alla persona sottoposta alle indagini della pendenza di un procedimento nei suoi confronti, pur con tutti i limiti che non si è mancato di evidenziare, mediante la notificazione di un avviso della conclusione delle indagini preliminari, può ritenersi addirittura priva di copertura costituzionale.

In altri termini, ciò significa, a ben vedere, privare di contenuto, o quanto meno di un dato interpretativo di livello costituzionale, l'intera normativa sulle indagini difensive, in quanto la previsione della conoscenza, della pendenza di un procedimento a proprio carico, spostata al momento dell'elevazione dell'accusa, comporta l'impossibilità di esercitare compiutamente i poteri di intervento della difesa nel corso delle indagini preliminari, fin dal momento in cui tale necessità abbia effettivamente a verificarsi, e cioè all'inizio del procedimento. Il dato riveste un'importanza fondamentale in quanto è addirittura essenziale per rendere effettivo l'esercizio del diritto la prova, non solo mediante l'individuazione e la predisposizione delle richieste di ammissione delle prove nel momento propriamente processuale, ma anche per evitare che il materiale probatorio vada disperso o, addirittura, l'attività di indagine preliminare assuma efficacia probatoria in senso stretto. La previsione delle investigazioni difensive nel corso delle indagini preliminari non può essere trascurata e la introduzione della normativa che la disciplina, con modalità analoghe a quelle riconosciute per l'organo dell'accusa, è di importanza dirimente per dare compiuta realizzazione a quelle condizioni di parità tra le parti in cui deve svolgersi il processo. Tutto ciò, anche in considerazione delle altre disposizioni contenute nella medesima previsione costituzionale, giacché disporre del tempo e delle condizioni necessari per preparare la difesa, significa appunto rendere possibile il realizzarsi di tutte quelle situazioni che rendono effettivo un intervento della difesa nelle indagini preliminari.

D'altro canto, la stessa lettera dell'articolo 111 della Costituzione, prevede la facoltà della persona accusata di interrogare o far interrogare, ovvero ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa, alle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; questa disposizione è stata mutuata dall'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva con legge n. 848 del 1955, e non può ritenersi limitata alla sola fase processuale in senso stretto, costituendo la stessa soltanto uno dei modi del concreto atteggiarsi del diritto al contraddittorio, il cui rispetto è stato più volte indicato dall'articolo 111 della Costituzione, come necessario nella formazione della prova. Limitare tali facoltà al solo momento processuale in senso stretto significherebbe evitare che le condizioni di parità abbiano ad effettivamente realizzarsi, ad esempio, nel momento anticipativo della prova che è l'incidente probatorio. Senza, poi, omettere di considerare, come già si è avuto modo di osservare, che la nuova disciplina del "giudice unico" introduce una serie di strumenti di rivalutazione della attività di indagine posta in essere dalle parti che non può, certamente, soffrire condizionamenti di così rilevante portata, come la mancata conoscenza della pendenza di un procedimento penale a proprio carico. Quale può essere, infatti, la portata pratica della previsione normativa dettata dall'articolo 431, comma 2, del codice di procedura penale, in base alla quale "Le parti possono concordare l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, nonché della documentazione relativa alla attività di investigazione difensiva", se il legislatore che ha apprestato una regolamentazione non sempre lineare alle indagini difensive - si pensi per tutte alla previsione della lettera d) dell'articolo 391-bis- e la norma costituzionale, che dovrebbe fissare i paletti intorno ai quali costruire la disciplina legislativa di un "giusto processo", non si fanno carico di riaffermare un diritto della difesa a sviluppare fin dall'inizio del procedimento penale attività predispositiva del concreto esercizio del diritto alla prova? Può essere da tutti facilmente comprensibile, che il materiale acquisibile con il consenso delle parti, tenendo presente che è la stessa normativa costituzionale a prevedere la possibilità che la legge regoli i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio con il consenso dell'imputato, anche a fronte della intervenuta modificazione della disciplina sulle indagini difensive verrà ad essere costituito nella normalità dei casi dalle risultanze delle indagini del pubblico ministero.

Allo stesso modo, le risultanze dei verbali formati nel corso delle indagini preliminari che potranno formare oggetto di contestazione saranno in massima parte costituite dalle dichiarazioni rese al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria con la ecletticità di una disciplina delle indagini difensive che prevede, al comma 10 dell'articolo 391-bis, l'intervento del pubblico ministero per assumere le informazioni richieste dal difensore. E', invece, di evidente importanza che le "condizioni di parità" si realizzino durante tutto l'arco del procedimento penale, in quanto le stesse devono essere garantire, a maggior ragione, anche in quelle ipotesi, non più eccezionali, in cui la formazione della prova si svolga nel corso delle indagini preliminari, dovendo la difesa essere posta nelle stesse condizioni dell'accusa. Primo momento di cedimento della logica inquisitoria a vantaggio di quella accusatoria, deve essere la previsione della possibilità per la difesa di assumere tutti gli elementi di indagine necessari ai fini dell'esercizio del diritto alla prova, giacché la effettiva parità con l'accusa potrà realizzarsi solo a fronte della predisposizione dei medesimi strumenti per tutte le parti processuali e non, certamente, riconoscendo al pubblico ministero il potere di compiere gli atti di investigazione difensiva.

Ed infatti, conoscere per tempo la esistenza di una fonte di prova consentirebbe anche alla difesa di richiedere l'assunzione del mezzo di prova in incidente probatorio, anche perché dalla stessa norma costituzionale, non potendosi ricavare alcuna conseguenza in ordine alla mancata predisposizione dall'acquisizione anticipata, sembrerebbe essere escluso che la prevedibilità della impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita di formazione della prova in contraddittorio possa comportare la inutilizzabilità degli elementi acquisiti nella attività di parte compiuta dal pubblico ministero. Tale interpretazione si rende necessaria anche in considerazione del fatto che, come si dirà in seguito, l'esigenza di non dispersione della prova, la quale indubbiamente deve realizzarsi anche in un modello processuale di tipo accusatorio, potrebbe ritenersi realizzata mediante la predisposizione di una disciplina dell'incidente probatorio svincolata dal probabile verificarsi di situazioni di inquinamento o di dispersione delle prova di cui si richiede l'acquisizione anticipata.

 

2. Presupposti e limiti della tutela dalla dispersione delle prove.

 

Siffatta soluzione non trova ostacoli nella previsione dell'articolo 111 della Costituzione, del divieto di provare la colpevolezza dell'imputato "sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore", giacché è notorio che il procedimento di assunzione della prova nell'incidente probatorio ripete le modalità di formazione proprie del contraddittorio dibattimentale. Al di fuori di tali ipotesi, deve tassativamente escludersi l'utilizzazione a fini probatori di quelle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da soggetti che non hanno consentito in sede dibattimentale, per propria scelta, l'integrazione del contradditorio, dovendo, quindi, ritenersi inapplicabile la disciplina sulla lettura-acquisizione a quelle situazioni in cui l'esame dibattimentale non abbia luogo per impossibilità "soggettiva" di ripetere l'atto, sempre che la stessa non sia determinata da "provata condotta illecita". Nel predisporre la disciplina che deve dare attuazione alla previsione costituzionale del diritto al contraddittorio giurisdizionale, il legislatore deve svincolarsi da schemi concettuali assolutamente incompatibili con il regime accusatorio, in quanto a fronte di un dichiarante che si sottrae all'interrogatorio dell'imputato, correttamente deve ritenersi operare il divieto di utilizzabilità delle dichiarazioni in precedenza rese, anche se lo stesso rifiuta o omette soltanto in parte di rispondere. E' necessario passare da una scelta per la utilizzazione totale delle dichiarazioni rese dal soggetto esaminato che rifiuti la integrazione del contraddittorio, alla esclusione della valutazione delle dichiarazioni rese dallo stesso quando non abbia consentito all'imputato o al suo difensore di sottoporlo ad interrogatorio, evitando accuratamente anche la acquisizione al fascicolo per il dibattimento delle dichiarazioni utilizzate per le contestazioni o per provocare la risposta dell'esaminato. Sotto tale profilo è anche necessario predisporre una disciplina del regime delle contestazioni che vieti l'allegazione al fascicolo per il dibattimento delle dichiarazioni rese in precedenza ed utilizzate per le contestazioni, fissando un limite alla valutazione delle stesse nel saggio di credibilità dell'esaminato, senza poter ricondurre a tale previsione le ipotesi in cui vi sia stata instaurazione del contradditorio ai soli punti toccati dalle risposte date dal dichiarante, rispetto ai quali la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese in precedenza deve essere totale, non potendo trattarsi neppure di limitazione al saggio di credibilità del dichiarante. Sicché, se si escludono le ipotesi in cui la mancata integrazione del contradditorio sia la conseguenza di "provata condotta illecita" o di "impossibilità di natura oggettiva" di ripetere l'atto, la formazione della prova deve sempre avvenire nel pieno rispetto, del contradditorio tra le parti. La disciplina codicistica di tali istituti abbisogna di una necessaria integrazione con la previsione della regolamentazione del possibile recupero a fini probatori delle dichiarazioni assunte dal pubblico ministero nel segreto del suo ufficio e rese da soggetto che evidentemente già si sapeva assoggettabile a minaccia o prezzolamento, solo nelle ipotesi in cui non fossero prevedibili situazioni di dispersione o inquinamento della prova. Il contradditorio probatorio, richiesto dal processo di parte, rappresenta l'unica fonte di cognizione della giurisdizione e deve essere attuato secondo modalità tali da garantire la partecipazione su base paritaria ad entrambe le parti processuali, la sola capace di generare una posizione di equidistanza della giurisdizione dalle stesse parti e, quindi, la imparzialità del giudizio.

 

3. Esame testimoniale e contestazioni.

 

La normativa che disciplina il regime delle contestazioni nel corso dell'esame testimoniale deve essere radicalmente modificata, in quanto la stessa non solo non garantisce il contraddittorio dibattimentale nel momento della formazione della prova ma, addirittura, è capace di produrre una generalizzata "trasmigrazione" delle attività compiute dal pubblico ministero, in carenza di contradditorio con le altre parti, nel fascicolo per il dibattimento e la loro utilizzabilità ai fini della decisione. Su tale linea si era collocata la previsione del legislatore che doveva dare attuazione alla regola del "giusto processo", laddove nel disegno di legge approvato dal Senato della Repubblica l'11 novembre 1999, aveva proceduto alla sostanziale abrogazione della regola di valutazione già fissata dall'allora vigente articolo 500, comma 3, del codice di procedura penale, lasciando infierire che il transito al fascicolo per il dibattimento delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone ed utilizzate per le contestazioni determinassero l'utilizzabilità in senso pieno delle dichiarazioni medesime e non una valutazione delle stesse limitata a stabilire esclusivamente la credibilità della persona esaminata.

Allo stesso modo si è ritenuto di intervenire, escludendola, sulla possibilità di effettuare le contestazioni nelle ipotesi in cui il dichiarante rifiuti in tutto o in parte di rispondere, in quanto se si prescinde dalle situazioni generate dalla provata condotta illecita, che sono sostanzialmente da ricondurre alla ipotesi della impossibilità sopravvenuta di assumere l'atto con la genuinità che dovrebbe caratterizzare le risultanze dell'esame dibattimentale, non deve essere consentita una utilizzabilità probatoria in senso stretto delle dichiarazioni rese in precedenza, anche se usate per provocare risposte dall'esaminando. Proprio al fine di stigmatizzare la impossibilità di qualsivoglia utilizzazione occorre vietare la loro allegazione nel fascicolo per il dibattimento.

Si deve, pertanto procedere, proprio al fine di evitare una utilizzazione a fini contestativi delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari, alla abrogazione di quelle ipotesi previste dalla previgente formulazione dell'articolo 500, commi 4, 5 e 6, che rendevano possibile una utilizzabilità delle dichiarazioni contestate al fine di accertare la responsabilità dell'imputato, nonché alla modifica della previsione che limitava una valutazione delle dichiarazioni medesime al solo fine di stabilire la credibilità della persona esaminata, escludendo che delle stesse possa darsi una qualsivoglia utilizzazione. Tutto ciò, al fine di evitare che anche la previsione della utilizzabilità limitata alla credibilità del soggetto esaminato, delle dichiarazioni rese in precedenza ed utilizzate per le contestazioni, costituisca un escamotage per l'introduzione tra il materiale della decisione di dati spuri, formati al di fuori di qualsivoglia contraddittorio, e suscettibili di provocare interpretazioni capaci di privare di valenza probatoria dichiarazioni legittimamente acquisite, con l'integrazione piena del contraddittorio giurisdizionale.

Le considerazioni in precedenza svolte non possono ritenersi superate neppure dalla disciplina apprestata dalla legge che ha dato attuazione ai princìpi del "giusto processo" la quale ripropone diversi problemi interpretativi creati dalla non chiara formulazione di alcuni degli articoli che riguardano, in particolare, la materia della formazione della prova.

Nello specifico deve rilevarsi come particolarmente complessa è la interpretazione dell'articolo 500, laddove alla previsione dettata dal comma 2, in base alla quale le dichiarazioni lette per le contestazioni possono essere utilizzate solo per il vaglio di credibilità del dichiarante, non segue una regola espressa di esclusione probatoria delle dichiarazioni rese in precedenza, in guisa che una utilizzabilità ai fini della decisione potrà comunque trarsi dall'inserimento delle dichiarazioni usate a fini contestativi nel verbale di udienza mediante la lettura delle stesse.

Tutto ciò, a maggior ragione, ove si consideri che la medesima disposizione normativa non prevede espressamente i criteri in base ai quali il giudice debba svolgere siffatta operazione di verifica, con la logica conseguenza che lo stesso potrà affermare la maggiore attendibilità della dichiarazione resa nelle indagini preliminari rispetto a quella resa nel dibattimento e considerare in tal modo credibile il teste solo per quelle dichiarazioni che ha reso in precedenza. A fronte di tale situazione, è da tutti facilmente comprensibile quali possano essere i pericoli insiti nella affermazione della credibilità di una dichiarazione resa nel corso delle indagini preliminari, essendo più che fondata la possibilità che la stessa contribuisca a formare il convincimento del giudice, anche perché della valutazione operata dovrà certamente darsi conto nella motivazione onde esternare le ragioni in base alle quali si intende privare di fondamento il risultato dell'esame testimoniale reso in contraddittorio. La presenza di tali dati spuri nel corpo motivazionale della sentenza, con l'affermata attendibilità della dichiarazione resa nel corso delle indagini preliminari, a discapito di quella dibattimentale, è certamente tale da consentire un allargamento del materiale della decisione con la contemplazione degli elementi acquisti dal pubblico ministero in rapporto isolato e segreto con il dichiarante, e non ripetuti in dibattimento nel contraddittorio delle parti.

A fronte di siffatta previsione, non è facilmente intuibile quale possa essere la interpretazione praticabile del regime delle contestazioni, anche se non può non darsi contezza del fatto che la stessa lettera dell'articolo 500, al comma 6, prevede che le dichiarazioni assunte dal giudice a norma dell'articolo 422 sono acquisite, a richiesta delle parti, al fascicolo per il dibattimento e sono valutate ai fini di prova, se utilizzate per le contestazioni, lasciando chiaramente inferire che lo strumento attraverso il quale le dichiarazioni rese in precedenza possono assumere valenza probatoria in senso stretto deve essere quello dell'acquisizione al fascicolo per il dibattimento, attività quest'ultima strettamente correlata con la partecipazione difensiva all'assunzione dell'atto predibattimentale. D'altro canto, che la integrazione del contraddittorio nella formazione dell'atto da utilizzare per le contestazioni costituisca presupposto indefettibile per la valutazione delle dichiarazioni rese in precedenza, emerge chiaramente dalla stessa lettura del comma 6 dell'articolo 500, laddove è previsto che le dichiarazioni stesse sono utilizzabili esclusivamente nei confronti delle parti che hanno partecipato alla loro assunzione, ferma restando la regola suppletiva del consenso delle stesse all'acquisizione.

Per concludere la disamina dell'articolo 500, occorre rilevare che la previsione introdotta nel comma 3 del medesimo articolo, se da un lato costituisce norma di chiusura in ordine alla utilizzabilità delle dichiarazioni rese in precedenza rispetto alle quali non sia stato integrato il principio costituzionale del contraddittorio nella formazione della prova, essendo previsto che le dichiarazioni rese al dibattimento, nonché le eventuali contestazioni, non possono essere utilizzate se il testimone rifiuta di rispondere ad una delle parti, non manca di destare fondate perplessità ove si consideri che anche a seguito della novella normativa che ha interessato il regime delle contestazioni, permane la mancata previsione di una utilizzabilità limitata alla effettiva integrazione del contraddittorio nelle ipotesi in cui il dichiarante si rifiuti di rendere l'esame su gran parte delle circostanze che hanno formato oggetto delle dichiarazioni rese in precedenza e magari lo renda esclusivamente su momenti assolutamente accidentali e non rilevanti del fatto in contestazione. In tale modo si viene a sottrarre al contraddittorio molta parte delle dichiarazioni rese dal testimone nel corso delle indagini preliminari, che mediante le contestazioni confluiranno a verbale e potranno formare oggetto di valutazione.

 

4. Esame delle parti e contestazioni.

 

Ad analoghi risultati deve pervenirsi, poi, ove si abbia riguardo alla disciplina dettata per regolamentare le contestazioni nell'esame delle parti private, dove conseguentemente deve essere inserita una netta differenziazione, quanto alla utilizzabilità dibattimentale delle dichiarazioni utilizzate per le contestazioni, tra la posizione del soggetto dichiarante e quella relativa ai coimputati che dalle dichiarazioni medesime siano chiamati in causa. E' di tutta evidenza come la logica che vorrebbe una utilizzabilità a fini probatori delle dichiarazioni usate per le contestazioni non possa essere estesa anche alla posizione dei soggetti che siffatte dichiarazioni non hanno reso, non potendo gli stessi esercitare il proprio diritto al contraddittorio rispetto ad atti assunti dal pubblico ministero in un rapporto isolato e segreto con il soggetto dichiarante. Valgono, anche per tale norma, le considerazioni già svolte con riferimento alla necessità di evitare che una utilizzazione generalizzata delle dichiarazioni rese nelle indagini preliminari produca una sostanziale elusione della normativa diretta a garantire il contraddittorio probatorio nel momento anticipativo della prova, che è appunto l'incidente probatorio, essendo anche in tale caso prevista la possibilità di assumere l'esame dell'indagato su fatti riguardanti la responsabilità degli altri soggetti pure interessati dal medesimo procedimento penale. La possibilità che l'utilizzabilità a fini probatori delle dichiarazioni usate per le contestazioni derivi dal consenso della persona interessata dalle dichiarazioni medesime discende dalla natura accusatoria del processo e dal principio di disponibilità della prova.

Sicché, alla regolamentazione codicistica prevista dall'articolo 503 del regime di utilizzabilità delle dichiarazioni rese dall'imputato, occorre aggiungere un ulteriore comma, il quale, nella logica di limitare soggettivamente la efficacia processuale delle dichiarazioni rese dal coimputato nel corso delle indagini preliminari, deve prevedere che: "le dichiarazioni acquisite nel fascicolo del dibattimento, se sono utilizzate per le contestazioni, possono essere valutate dal giudice nei confronti degli altri imputati, senza il loro consenso, solo al fine di stabilire la credibilità della persona esaminata", non essendo sufficiente a far comprendere il regime di utilizzabilità delle dichiarazioni contra alios il reintrodotto richiamo (nel testo vigente dell'articolo 503, come modificato dalla legge n. 63 del 2001) al comma 2 dell'articolo 500 ad opera della legge che ha ridefinito il regime di utilizzabilità delle dichiarazioni assunte nel corso delle indagini preliminari, in attuazione dei princìpi introdotti nell'articolo 111 della Costituzione.

Anche rispetto a tale previsione, infatti, le modifiche apportate dalla legge da ultimo approvata non possono considerarsi esenti da censure, in quanto la disciplina apprestata per regolamentare il regime delle contestazioni nel corso dell'esame delle parti non distingue in alcun modo la utilizzabilità dibattimentale delle dichiarazioni rese in precedenza rispetto ai soggetti che non abbiano partecipato, con il loro difensore, allo svolgimento dell'atto istruttorio in cui sono state formate le dichiarazioni medesime. La sostanziale diversità di disciplina di tale previsione rispetto a quella prevista dal comma 7 dell'articolo 500, non può trovare giustificazione alcuna, in quanto rispetto ai soggetti diversi dal dichiarante, la presenza del difensore dell'indagato che ha reso le dichiarazioni utilizzate per le contestazioni non può ritenersi integrare il presupposto costituzionale della presenza difensiva al momento di formazione dell'atto.

Non può, infatti, tacersi, anche rispetto alla modifica proposta, la necessità di procedere all'introduzione di una modifica diretta alla predisposizione di una disciplina analoga a quella prevista dal comma 7 dell'articolo 500, in guisa che possa darsi utilizzazione contra alios ai fini della decisione esclusivamente delle dichiarazioni rese dall'imputato nel corso dell'udienza preliminare cui abbiano partecipato anche i difensori dei coimputati interessati dalle dichiarazioni medesime.

 

5. L'irripetibilità sopravvenuta.

 

Sarebbe necessaria una integrazione delle ipotesi di impossibilità sopravvenuta di ripetere l'atto, introducendo tra le stesse la previsione che si pervenga alla lettura delle dichiarazioni rese in precedenza, quando la causa che ha determinato il teste a sottrarsi all'esame o a rendere dichiarazioni parziali o non veritiere possa individuarsi nella "provata condotta illecita". Tale previsione, inserita dalla novella costituzionale, costituisce un presupposto autonomo di acquisizione delle dichiarazioni precedentemente rese e contenute nel fascicolo del pubblico ministero, dovendosi prevedere che "se sussistono fondati elementi per ritenere che la persona esaminata è stata sottoposta a violenza(...) il giudice (...) dispone che le dichiarazioni precedentemente rese dalla medesima e contenute nel fascicolo del pubblico ministero, siano acquisite nel fascicolo per il dibattimento", in quanto in tali ipotesi si è verificata una situazione per la quale, unitamente alla oggettiva impossibilità di ripetere l'atto, la stessa norma costituzionale prevede che possa derogarsi al principio dei contraddittorio nella formazione della prova.

E' di tutta evidenza che l'omettere o rifiutare di rispondere configura una impossibilità sopravvenuta di "carattere soggettivo" di formazione della prova in dibattimento, la cui regolamentazione, proprio perché frutto di "provata condotta illecita", situazione prevista già a livello di normativa costituzionale, unitamente a quella "di accertata impossibilità di natura oggettiva", come causa di legittima deroga alla formazione della prova in contraddittorio, deve trovare regolamentazione proprio in tale sede, perché trattasi di strumento che nulla ha a che spartire con l'istituto delle contestazioni.

D'altro canto, se il recupero di attività predibattimentali discende dal fatto che il nostro ordinamento non può rimanere insensibile all'esigenza di garantire il processo dalla dispersione delle prove, perché ciò ne vanificherebbe la funzione, non deve essere dimenticato che la dispersione della prova è evitabile mediante l'istituto dell'incidente probatorio, la cui applicazione significa, come più volte si è avuto modo di rilevare, osservanza del principio del contraddittorio giurisdizionale; principio che si pone per sua natura in indissolubile contrasto con la scelta, certamente inquisitoria, di provocare la trasformazione degli atti del pubblico ministero in prove. Sotto tale profilo, non può certamente trascurarsi che la previsione dell'articolo 392 del codice di procedura penale vale ad evitare tutte quelle situazioni di inquinamento o di dispersione comunque prevedibili nel corso delle indagini preliminari, sicché oltre alla necessità di stabilire che le situazioni che avrebbero dato luogo ad inquinamento o dispersione della prova devono essere accertate sulla base di elementi concreti, verificati in contraddittorio, in guisa che possa darsi lettura solo nelle ipotesi in cui la dispersione o l'inquinamento siano stati effettivamente provati - rispondendo siffatta previsione al principio costituzionale in base al quale è rimesso al legislatore di regolare i casi in cui "la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per accertata impossibilità di natura oggettiva o per provata condotta illecita" - oggetto del medesimo grado di accertamento deve formare la prevedibilità del verificarsi di condizioni ostative alla formazione dibattimentale della prova, alla quale nessun riferimento viene fatto dalla normativa costituzionale. Sicché, tra i presupposti capaci di legittimare la utilizzabilità a fini probatori delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari, deve essere dettata la "imprevedibilità" di quei comportamenti che incidono sulla libera determinazione del testimone a rendere l'esame dibattimentale ovvero a riferire in maniera genuina le circostanze ed i fatti di cui è a conoscenza. Tale previsione si rende necessaria al fine di evitare che la possibilità di ricorrere in maniera generalizzata alle letture dibattimentali, anche in considerazione della utilizzabilità a fini probatori delle dichiarazioni confluite per tale tramite al fascicolo per il dibattimento, funzioni da stimolo, per la parte interessata alla acquisizione delle dichiarazioni, a non richiedere la formazione anticipata della prova con l'istituto dell'incidente probatorio.

Sicché, alla disciplina della impossibilità sopravvenuta occorre aggiungere una locuzione che tenga conto del fatto che il giudice dispone la lettura delle dichiarazioni assunte in precedenza, e contenute nel fascicolo del pubblico ministero, quando sussistono fondati elementi per ritenere che la persona esaminata è stata sottoposta a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità, affinché non deponga o deponga il falso; in guisa che solo in tali ipotesi il giudice dispone che le dichiarazioni precedentemente rese dalla medesima persona e contenute nel fascicolo dei pubblico ministero siano acquisite nel fascicolo per il dibattimento.

 

 

6. II silenzio di dichiaranti non testimoni.

 

Occorre, poi, procedere, anche a fronte dell'attuale ridimensionamento dell'ambito di applicabilità della disciplina dettata da tale articolo ai soli concorrenti nel reato, ad una riformulazione della disciplina già dettata dall'articolo 513 del codice di procedura penale, in guisa che riportandosi la previsione, contenuta nella stessa previsione, alla categoria della irripetibilità speciale, non sia possibile procedere ad una interpretazione estensiva della categoria medesima, e non si ritenga che il diritto all'autodifesa dell'imputato, che si atteggia anche attraverso l'assenza dal processo, possa rendere suscettibile di trasposizione acritica nel fascicolo per il dibattimento le dichiarazioni dallo stesso precedentemente rese, anche nei confronti di altri soggetti da esse interessati. Deve, quindi, affermarsi la scindibilità sostanziale dei contenuto delle dichiarazioni rese dal coimputato nell'unico giudizio, a seconda che esse riguardino se stesso o gli altri imputati, dovendo evidentemente distinguersi nel simultaneus processus, ai fini della utilizzazione dibattimentale, tra le dichiarazioni rese quelle che risultano a carico di altri. Una lettura-acquisizione che costituisca il tramite per l'attribuzione di valore probatorio alle dichiarazioni rese nei confronti di tutti i coimputati, si rivelerebbe contraria alle altre regole del codice che limitano soggettivamente l'utilizzazione dibattimentale di atti delle indagini preliminari. Una disciplina codicistica che preveda un regime di utilizzabilità contra se delle dichiarazioni rese dall'imputato in precedenza, che al dibattimento si avvalga della facoltà di non rispondere, non si pone in immediato contrasto con il disposto costituzionale, il quale prevede comunque la garanzia del diritto al contraddittorio giurisdizionale nella formazione della prova, rimarcando ulteriormente, ove ve ne fosse bisogno, la necessità di realizzare una stretta correlazione tra previsione di garanzie difensive ed utilizzazione delle dichiarazioni ai fini della decisione.

Allo stesso modo, per garantire la realizzazione del principio della indefettibilità della presenza del difensore al procedimento probatorio, deve essere dettata la previsione della possibilità per il giudice di attivare tutti gli strumenti previsti dalla legge al fine di provocare la presenza del dichiarante nel dibattimento in cui deve rendere l'esame. Ciò al fine di garantire i princìpi di oralità ed immediatezza nel dibattimento, intesi quali fondamentali dalla normativa costituzionale che riconosce il diritto al contraddittorio nella formazione della prova, sicché deve essere prevista la possibilità per il giudice di disporre, a richiesta di parte, "secondo i casi, l'accompagnamento coattivo del dichiarante l'esame a domicilio o la rogatoria internazionale ovvero l'esame in altro modo previsto dalla legge con la garanzia dei contraddittorio" (comma 2 dell'articolo 513), dell'imputato di reato connesso, e, solo nel caso in cui sia impossibile ottenere direttamente od indirettamente la presenza del dichiarante, se l'impossibilità dipenda da fatti o circostanze imprevedibili, consentire la lettura delle dichiarazioni precedentemente rese. Sicché, siffatta utilizzabilità per il tramite della lettura potrà aversi, per irripetibilità sopravvenuta, oltre che nel caso di morte o di inabilità all'esame, naturalmente se imprevedibili, solo nei casi disciplinati espressamente quali ipotesi eccezionali, che devono richiamare espressamente l'applicabilità della disciplina dettata per l'impossibilità sopravvenuta. E' di tutta evidenza che il rifiuto di sottoporsi ad esame dei coimputati ovvero dell'imputato di reato connesso a norma del comma 1 dell'articolo 12 del codice di procedura penale, come vuole la nuova disposizione normativa, non può ritenersi integrare un'ipotesi di impossibilità sopravvenuta di ripetizione dell'atto, essendo la categoria della irripetibilità invocabile esclusivamente per la casistica contenuta nel secondo articolo, solo nelle ipotesi in cui la mancata assunzione dell'esame non dipenda dalla esclusiva volontà del dichiarante, dovendo ricorrere una condizione di impossibilità oggettiva di assumere l'atto o la mancata assunzione deve essere l'effetto di una provata condotta illecita.

Identica previsione deve essere poi dettata per l'ipotesi in cui la provata condotta illecita abbia determinato il dichiarante a non rendere l'esame, fermo restando che non potrà darsi alcuna utilizzazione delle dichiarazioni rese in precedenza qualora il dichiarante, al di fuori del caso in precedenza indicato, o di consenso espresso dalle altre parti alla acquisizione, si avvalga in tutto o in parte della facoltà di non rispondere.

La disciplina che regolamenta la lettura delle dichiarazioni rese in precedenza dall'imputato deve, pertanto, essere modificata in maniera tale che risulti che il giudice, se l'imputato è contumace o assente ovvero rifiuta di sottoporsi all'esame, dispone, a richiesta di parte, che sia data lettura dei verbali delle dichiarazioni rese dall'imputato al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero o al giudice nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare, ma, in ottemperanza alla regola soggettiva di utilizzabilità delle dichiarazioni rese in precedenza con la presenza dei difensore, tali dichiarazioni non possono essere utilizzate, senza il loro consenso, nei confronti di altri imputati, i cui difensori non hanno partecipato alla assunzione dell'interrogatorio, salvo che risulti provato che il dichiarante è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità, affinché non deponga, come dettato dalla stessa previsione costituzionale.

Analoghe modifiche devono, poi, riguardare l'ipotesi in cui le dichiarazioni siano state rese dagli imputati di reato connesso o collegato, il giudice, a richiesta di parte, dispone, secondo i casi, l'accompagnamento coattivo del dichiarante o l'esame a domicilio o la rogatoria internazionale ovvero l'esame in altro modo previsto dalla legge con la garanzia del contraddittorio. Se non è possibile ottenere la presenza del dichiarante, ovvero procedere all'esame in uno dei modi suddetti, il giudice dà lettura delle dichiarazioni in precedenza rese, qualora la impossibilità dipenda da fatti o circostanze imprevedibili al momento delle dichiarazioni, correlandosi in tal modo siffatta previsione normativa con la regolamentazione della impossibilità sopravvenuta per l'esame testimoniale.

Diversa è, invece, l'ipotesi in cui l'imputato di reato connesso rifiuta od omette, in tutto o in parte, di rispondere, in quanto in tale ipotesi le dichiarazioni rese in precedenza non possono essere acquisite nel fascicolo per il dibattimento, salvo che le parti vi consentano ovvero risulti provata la condotta illecita, posta in essere nei confronti della persona esaminata.

Resta fermo che se tali dichiarazioni sono state assunte in sede di incidente probatorio, le stesse potranno formare oggetto di lettura, giacché nel momento acquisitivo delle stesse si è già integrato il contraddittorio e, quindi, potrà procedersi alla relativa acquisizione come prova, mediante lettura.

Anche su tale punto, di dubbia chiarezza deve ritenersi, altresì, la predisposizione della disciplina dettata dalla citata legge n. 63 del 2001 che ha dato attuazione ai princìpi del "giusto processo" per modificare l'articolo 513, in quanto la introduzione del comma 3 dell'articolo 26 della legge stessa, in base al quale, qualora il dichiarante non risponda, si applicano le disposizioni di cui al previgente articolo 500, commi 3, 4, 5 e 6, non trova giustificazione alcuna nella parte in cui consente la contestazione a norma dell'articolo 500, comma 2.

Deve subito sottolinearsi che l'applicazione del previgente articolo 500, commi 3, 4, 5, 6, 7 e 8 potrebbe trovare giustificazione nel verificarsi di una ipotesi di provata condotta illecita, alla quale non può ritenersi estraneo lo stesso imputato interessato dalle dichiarazioni medesime, in guisa che troverebbe piena realizzazione il principio costituzionale in base al quale il contraddittorio nella formazione della prova può essere eccezionalmente derogato nelle ipotesi di provata condotta illecita o di oggettiva impossibilità di assumere l'atto. Allo stesso modo non può, certamente, omettersi di sottolineare come le dichiarazioni rese in precedenza dall'imputato nel medesimo processo o da una delle persone indicate nell'articolo 210, comma 1, che si avvalgano della facoltà di non rispondere, ai soli fini delle contestazioni per saggiarne la credibilità, costituisca previsione assolutamente destituita di fondamento, non solo perché inutile nella impossibilità di valutare la credibilità di un soggetto che non ha reso dichiarazioni in dibattimento, ma soprattutto perché foriera di possibili interpretazioni che consentano di superare la prospettata limitata utilizzabilità e di far confluire tale materiale fra quello oggetto di possibile valutazione ai fini della decisione.

D'altro canto, anche in tale ipotesi vanno ripetute le censure già formulate con riferimento alla non ineccepibile disciplina dettata dall'articolo 500, laddove prevede la utilizzabilità al fine di stabilire la credibilità della persona esaminata delle dichiarazioni rese in precedenza ed utilizzate per le contestazioni.

Tutto ciò, senza considerare che tale previsione si pone, peraltro, ancora prima della sua emanazione definitiva, con l'affermazione contenuta nella sentenza n. 440, emessa dalla Corte costituzionale in data 12 ottobre 2000, la quale ha previsto che, nell'ipotesi in cui il prossimo congiunto dell'imputato si avvalga della facoltà legittima di non deporre, le dichiarazioni rese in precedenza non possono essere utilizzate per le contestazioni, in quanto la regola di esclusione probatoria fissata nella norma costituzionale impedisce ogni forma di acquisizione della dichiarazioni di colui il quale si sia volontariamente sottratto al contraddittorio.

Per concludere non può omettersi di sottolineare come la ripetizione a livello di normativa codicistica della previsione costituzionale in base alla quale la colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre sottratto alla integrazione dei contraddittorio, trovi evidenti limitazioni operative nel descritto regime delle contestazioni, che in mancanza della predisposizione di criteri ai quali il giudice deve ispirarsi per valutare la credibilità della persona esaminata e della possibilità che di tale valutazione venga dato atto in motivazione, non solo rende acquisibile ai fini della credibilità le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari, ma soprattutto non distingue tra integrazione del contraddittorio e silenzio parziale dei dichiarante, legittimando una interpretazione della disposizione costituzionale che consenta la acquisizione delle dichiarazioni di coloro i quali abbiano reso l'esame solo limitatamente ad alcune delle circostanze che hanno formato oggetto di contestazione, perdendo, quindi, anche sotto tale profilo, l'efficacia di norma di chiusura che alla stessa si è voluto riconoscere.

 

7. Eliminazione dei poteri probatori dei giudice.

 

Volendo, poi, fare pratica applicazione della previsione a livello costituzionale della garanzia di un giudice terzo ed imparziale, non può negarsi che il momento di massima qualificazione della terzietà ed imparzialità della giurisdizione è quello che segna la estraneità della stessa al fenomeno probatorio, nel senso che la introduzione della prova deve rimanere nella esclusiva disponibilità delle parti ed il giudice deve assumere esclusivamente una funzione di garanzia.

Ed infatti, nel momento in cui si incide sull'iniziativa della parte nel procedimento probatorio e si apre la strada a soluzioni interpretative che legittimano il giudice all'esercizio di poteri di intervento nella formazione della prova, viene meno la funzione di garanzia della giurisdizione che è la risultante della posizione di equivalenza delle ipotesi di accusa e di difesa, verificandosi una identificazione della giurisdizione con la posizione unilaterale delle parti processuali.

Orbene, a fronte della previsione di tali princìpi, dai quali emerge con immediatezza che il giudice non dovrebbe mai interferire nel procedimento probatorio con la iniziativa di parte, non può essere certamente negato che il legislatore, con l'introduzione della disposizione che prevede un intervento giurisdizionale nella introduzione della prova, ha operato un capovolgimento della logica accusatoria, basata sulla esclusività della iniziativa delle parti nella scelta del mezzo e del tema di prova, in quanto ha attribuito al giudice stesso un vero e proprio potere di iniziativa. L'ulteriore ed indefettibile conseguenza dello spostamento della gestione della prova dalle parti alla giurisdizione è, certamente, per quest'ultima, la perdita della posizione di equidistanza dalle parti e, quindi, della imparzialità.

Si tratta di una disposizione che desta particolare preoccupazione per la concreta attuazione del principio costituzionale, perché portatrice non solo di un principio assolutamente opposto ed inconciliabile con la logica accusatoria, ma, soprattutto foriera di soluzioni ermeneutiche capaci di generare insuperabili fenomeni di distorsione del sistema processuale conformato al modello accusatorio, e di rendere inutile la stessa previsione costituzionale dell'articolo 111. Non può essere, certamente, revocato in dubbio che una applicazione rigorosa del modulo dialettico imporrebbe una totale estraneità del giudice nella ricerca ed indicazione della prova, perché la ratio del principio di disponibilità è quella di garantire l'imparzialità dell'organo giudicante.

Ebbene, non può essere trascurato come a fronte di siffatta previsione costituzionale la disciplina del potere probatorio di ufficio, proprio perché incidente in un momento qualificante della complessiva disciplina della prova, incide sull'intero sistema processuale, non potendo essere negato che siffatto meccanismo di formazione del materiale oggetto della decisione deve essere valutato in termini di ragionevolezza della relativa disciplina.

Ne deriva che una ricostruzione sistematica della disciplina della prova operata sulla base della previsione di un potere probatorio di ufficio, non tiene in alcun conto quel modulo processuale che, presupponendo la distribuzione tra le parti del potere di impulso probatorio, esalta la posizione di garanzia della giurisdizione, per un corretto esercizio della funzione decisoria che prescinde dalla parzialità degli interessi in conflitto.

A tale proposito è, quindi, necessario procedere all'abrogazione di siffatta previsione, onde evitare che il giudice, perdendo quei caratteri propri della imparzialità dell'organo giudicante fissati in Costituzione, si determini alla assunzione di prove ex officio anche a fronte delle decadenze in cui dovessero essere incorse le parti processuali, o delle scelte probatorie effettuate dalle stesse a misura del proprio interesse.

 

 

GIUDICE DI PACE

 

1. Linee direttrici.

 

Si è ritenuto di inserire la disciplina speciale relativa alle indagini preliminari ed al dibattimento del giudice di pace recependo le attuali disposizioni normative secondo i dettami della legge delega n. 254 del 1997.

Le uniche modificazioni apportate riguardano gli opportuni coordinamenti con la disciplina del codice di procedura penale nonché la estensione della garanzia della collegialità per le impugnazioni riguardanti i provvedimenti emessi dal giudice di pace.

La estensione della competenza del giudice di pace sino a tre anni, infatti, sembra rendere opportuna la affermazione della garanzia in questione in sede di appello.

 

IMPUGNAZIONI

 

1. Ampliamento delle deliberazioni in camera di consiglio non partecipata.

 

Il sistema delle impugnazioni penali risente di due gravi e contrapposti problemi. Da un lato l'eccessivo e spesso strumentale proliferare delle stesse, dall'altro una normativa idonea a determinare equivoci in ordine alla modalità ed alla effettività del controllo della decisione. In particolare, appare anzitutto necessario operare eliminando la forma del contraddittorio orale in tutti quei casi in cui non solo appare superflua, in ragione dell'oggetto dei giudizio, la garanzia della pubblicità ma anche eccessivo l'intervento orale.

Del resto, la legge 19 gennaio l999, n. 14, ha inteso ampliare le ipotesi di procedimento camerale, cosicché, in questa ottica, ulteriormente estendendo la procedura semplificata anche ai casi di appello aventi ad oggetto l'applicabilità di circostanze, è parso anche opportuno prevedere un mero contraddittorio scritto, particolarmente garantito quanto a tempi e possibilità di intervento.

Si è poi ritenuto opportuno modificare la disciplina in tema di appellabilità delle sentenza di condanna a pena pecuniaria in ipotesi di delitti, ritenendo ammissibile questa forma di impugnazione anche per tali casi, laddove la sanzione pecuniaria costituisca espressione di una scelta del giudicante rispetto a una previsione edittale a carattere alternativo, escludendo quindi l'appello per i soli delitti nei quali la pena pecuniaria costituisce l'unica previsione sanzionatoria. Trattasi, peraltro, di una modificazione particolarmente rilevante nel settore delle diffamazioni a mezzo stampa, laddove l'esigenza di bilanciamento, da un lato della personalità dell'individuo e, dall'altro, della libertà di stampa, appare effettivamente perseguita solo nell'ambito di un sistema che preveda la possibilità di un successivo grado di giurisdizione di merito, sia nell'ipotesi in cui sia stata esclusa in primo grado, attraverso la condanna del giornalista (sia pure alla sola pena pecuniaria), la ricorrenza della discriminante dell'esercizio del diritto di cronaca, sia in quella in cui, attraverso la assoluzione, la medesima sia stata affermata.

Le preoccupazioni prima richiamate si manifestano ancor più pregnanti nel settore del ricorso per cassazione, laddove gli inconvenienti prima evidenziati hanno assunto dimensioni ancora più rilevanti.

Avendo, pertanto, riferimento alla necessità di preservare la "qualità" del giudizio di cassazione, si impone anche qui una semplificazione del rito attraverso la estensione della procedura camerale "scritta" a tutti quei casi in cui l'intervento orale non appare ineludibile rispetto all'oggetto del giudizio medesimo. E' il caso delle decisioni in tema di risoluzione dei conflitti di competenza nonché delle pronuncie sui ricorsi in materia di ricusazione. Tutto ciò, tenendo presente che in alcune delle materie rispetto alle quali si è previsto il già evidenziato procedimento camerale, appare forse addirittura più consona al tecnicismo che le caratterizza l'utilizzazione dello strumento scritto. Strumento che si rivela peraltro ancor più congeniale, così come evidenziato, in relazione ai giudizi aventi in ultima analisi ad oggetto il trattamento sanzionatorio.

Peraltro, ancora una volta il legislatore, con la citata legge 19 gennaio 1999, n. 14, si è già parzialmente espresso sul punto, prevedendo l'udienza camerale nell'ipotesi in cui le parti concordino sull'accoglimento di uno o più motivi di ricorso, previa rinuncia agli altri, con conseguente rideterminazione della pena.

La soluzione adottata attraverso la proposta di riforma in parola, ampliando le ipotesi di udienza camerale con contraddittorio scritto, in ragione della specificità dei meccanismi e delle scansioni temporali che la caratterizzano del resto, non solo costituisce risposta adeguata rispetto alla "paralisi" della cassazione ma si pone anche come giusto "contraltare" rispetto a proposte certamente più eversive che, anche attraverso la modifica della norma costituzionale, puntano ad una generale riduzione delle ipotesi di ricorso per cassazione.

 

2. Il travisamento del fatto in cassazione.

 

Sempre in tema di impugnazioni si è inteso modificare l'approccio al problema, costituito, nell'ambito del ricorso per cassazione, del cosiddetto "vizio del travisamento del fatto" (ossia dell'ipotesi in cui il giudice di merito abbia ritenuto insussistenti fatti che emergono in maniera evidente dagli atti processuali, ovvero una situazione esclusa dagli atti medesimi).

Problema che, ha indubbiamente costituito uno dei più impegnati "banchi di prova" della interpretazione giurisprudenziale succedutasi nel decennio successivo all'entrata in vigore del vigente codice di procedura penale.

La questione ora evidenziata deve peraltro collocarsi in un'ottica in cui davvero necessario si appalesa, ad opera di tutti i tecnici interpreti del diritto, la necessità di uno sforzo diretto ad individuare l'esatto confine tra formulazione di un giudizio (esame del merito) e controllo ex post sul modo in cui tale giudizio è stato formulato (attività quest'ultima riconducibile alla verifica di legittimità), con la necessità di distinguere, così come è stato acutamente osservato, tra "automaticità di risultato" e "responsabilità di una scelta".

Orbene, a fronte di un, per la verità, superficiale orientamento fondante sulla lettera e) del comma 1 dell'articolo 606 del codice di procedura penale, la dottrina si è anzitutto interrogata sulla riconducibilità del citato vizio alla previsione di cui alla lettera c) del medesimo comma 1.

Ed ancora, in una analoga prospettiva, sia la dottrina che la giurisprudenza hanno riflettuto sulla possibilità di far leva sulla previsione della lettera c), del più volte citato comma 1 dell'articolo 606, ritenendo che la difformità del provvedimento concreto rispetto all'archetipo normativo individuato negli articoli 125 e 546 del codice di procedura penale, determini comunque nullità, sanzionabile appunto attraverso il richiamo della menzionata previsione normativa.

Tutte le soluzioni sin qui sinteticamente rammentate incontrano però l'inconveniente di una disciplina codicistica che in ragione della applicazione dei princìpi generali, quale quello di specialità, ovvero di regole ermeneutiche necessariamente ancorate a tassatività e determinatezza, non consente di individuare rimedi di carattere sistematico.

Proprio per questa ragione, si è addirittura paventato da alcuni autori, a fronte dell'apparente vuoto normativo, l'incostituzionalità della norma disciplinante i casi di ricorso, lamentandosi di volta in volta la violazione dell'articolo 111 o quella dell'articolo 24, secondo comma, ovvero quella del principio di uguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione.

E', peraltro, evidente come il tema in questione non possa ritenersi strettamente correlato a quello addirittura caratterizzante l'attuale ordinamento processuale e costituito dal diritto alla prova, la cui effettività e garanzia di realizzazione esigono, soprattutto, l'esistenza di un congegno normativo che assicuri l'aderenza della valutazione giurisdizionale alla effettività del materiale probatorio raccolto. Tutto ciò, a maggior ragione, nelle ipotesi di intervento ex officio del giudice in materia probatoria, richiedendo queste una sorta di surplus di motivazione derivante da una seria, pur parziale, violazione del contraddittorio che deve essere di necessità sanata rafforzando la garanzia della valutazione. Con la conseguenza che si è assistito alla reazione di quella giurisprudenza, sia pur minoritaria, che ha ritenuto comunque deducibile il travisamento del fatto nel giudizio di legittimità, sul presupposto che altrimenti verrebbe ad essere inammissibilmente legittimato l'arbitrio del giudice di merito. Un pericolo che si è avvertito con maggiore evidenza, a fronte di "palliativi", quale quello costituito dalla possibilità di considerare unitariamente la sentenza di primo grado e quella emessa dal giudice di appello, qualora si versi nell'ipotesi in cui, alla sentenza di assoluzione di primo grado, se ne sovrapponga una di condanna in appello, magari a seguito di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale.

Alla stregua dei rilievi svolti, la soluzione in questa sede suggerita, attraverso la espressa previsione tra le ipotesi di ricorso per cassazione del travisamento del fatto, purchè il presupposto dello stesso abbia trovato spazio negli atti di parte, si pone peraltro sulla scia di un recente indirizzo giurisprudenziale che, nel recepire, "normativizzandolo", quest'ultimo, si caratterizza, ancora una volta, quale soluzione di equilibrio tra le opposte esigenze che vengono a dover essere prese in considerazione nell'alveo di un giudizio di legittimità.

 

 

ESECUZIONE ED ORDINAMENTO

PENITENZIARIO

 

1. Pene brevi e controlli preventivi della personalità ai fini della eseguibilità.

 

La tematica dell'esecuzione della pena detentiva è apparsa meritevole, anche in ragione dei dibattiti che agitano sul piano tecnico-scientifico i diversi settori, di una profonda rivisitazione in ordine alla necessaria automaticità della espiazione della pena nei casi di condanna non superiore ai cinque anni.

Da un lato, è infatti apparso opportuno attribuire al giudice dell'esecuzione (che in precedenza ha dovuto verificare, al fine dell'individuazione della sanzione più appropriata, la personalità dell'imputato per come desumibile dai criteri di cui all'articolo 133 del codice penale), la legittimazione alla verifica, in relazione a condanne la cui entità rende possibile astrattamente presumere una non assoluta pericolosità, l'effettuazione di una nuova valutazione di tale personalità onde stabilire la effettiva indispensabilità di una carcerazione che, in quanto costituzionalmente tendente alla rieducazione del condannato, potrebbe essere "superata" dalle sopravvenienze positive eventualmente determinatesi nel periodo successivo alla commissione del fatto reato, tale da consentire la sospensione dell'esecuzione della pena per un periodo identico a quello della pena da scontare, e da demandare la valutazione finale su tale indispensabilità alla verifica del comportamento serbato durante la sospensione.

Ciò, evidentemente, nell'ottica di un concreto ed effettivo sforzo per la risoluzione del problema dell'eccessivo "affollamento" degli istituti carcerari, se è vero che la soluzione proposta appare idonea ad affrontare in via istituzionale e ordinaria, rispetto ad interventi emergenziali ed emozionali (amnistia e indulto), una questione che è, anzitutto, indubbiamente correlata ai fenomeni della cosiddetta "microcriminalità".

La attribuzione di tale legittimazione al giudice dell'esecuzione fonda peraltro sulla opportunità di una distinzione rispetto alla magistratura di sorveglianza, invece competente a decidere, alla stregua dell'osservazione carceraria successiva all'esecuzione, sull'applicabilità delle diverse misure alternative alla detenzione, di cui pure, peraltro, proprio in questa prospettiva, appare opportuno procedere ad una complessiva "rivisitazione".

In altri termini, mentre la peculiare specializzazione correlata alla composizione del tribunale di sorveglianza (che si caratterizza per la presenza di soggetti estranei all'amministrazione della giustizia dotati di peculiare competenza professionale, quali medici, psicologi, assistenti sociali, eccetera), si giustifica per il rilievo attribuibile alla avvenuta espiazione della pena detentiva, prima di tale momento e al fine di verificare la effettiva necessità della espiazione medesima, nulla impedisce che una valutazione di analogo genere di quella che ha portato all'irrogazione della condanna venga effettuata dallo stesso giudice che ha affermato la penale responsabilità del soggetto e, conseguentemente, valutato, al fine della irrogazione della condanna, tra gli altri elementi, la sua personalità, le modalità dei fatto, nonché, significativamente, il comportamento serbato successivamente alla sua commissione.

Il tutto in una prospettiva nella quale, evidentemente, alla luce del semplice buon senso, deve dirsi molto più semplice e "produttivo" addivenire al recupero sociale dei condannato, evitando una esecuzione della pena che in molti casi, in relazione a determinati soggetti, si appalesa "inutile" e "dannosa" in tale prospettiva, piuttosto che tentare il recupero all'esito appunto del determinarsi dei "danni" derivanti da tale ingiustificata esecuzione.

Nè sempre, nella medesima prospettiva, vale obiettare che tale risultato sia sufficientemente garantito dalla riforma introdotta di recente alla stregua dell'entrata in vigore della cosiddetta "legge Simeone" (legge n. 165 del 1998), in ragione della necessaria sospensione dell'esecuzione delle pene detentive non superiori a tre anni, onde stabilire l'ammissibilità del condannato alla pena alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale, se è vero che trattasi, all'evidenza, dell'adozione di una scelta di segno affatto opposto a quella operata in questa sede.

Ed infatti, il sistema adottato con la riforma di cui si discute muove dall'idea di evitare ogni modalità di esecuzione della pena nei casi in cui ciò si appalesi, all'esito di un attento vaglio giurisdizionale svoltosi con le garanzie dei contraddittorio, inutile e, anzi, producente risultato opposto a quello costituzionalmente preso in considerazione come ottimale dall'articolo 27 della Costituzione.

E ciò, evidentemente, con positive intuibili "ricadute" in termini di "risparmio" nell'utilizzazione della molteplicità delle strutture pubbliche che sono invece interessate alla procedura di affidamento.

Si consideri, infatti, che trattandosi di procedimento giurisdizionale sviluppantesi in contraddittorio tra le parti, il condannato avrà l'onere di dimostrare l'insussistenza degli elementi idonei ad escludere la necessità di dar corso all'esecuzione della pena detentiva, fornendo al decidente gli opportuni elementi di valutazione.

Ciò posto, e facendosi doverosamente carico delle possibili obiezioni che una riforma del genere di quella operata potrebbe incontrare, occorre rilevare come, al di là di preconcetti e suggestioni "aprioristici", la semplice lettura della norma consenta di rilevare come le esigenze di tutela delle collettività evocabili in riferimento alla non immediata esecutività delle sentenze definitive appaiano peraltro soddisfacentemente garantite dal fatto per il quale, mentre per i condannati che si trovano in stato di libertà le valutazioni in ordine alla loro pericolosità sono evidentemente quelle sottese al giudizio formulato in ordine alla non necessità di una misura cautelare coercitiva, per quelli in situazione di detenzione tale status di protrae comunque fino all'udienza dinanzi al giudice dell'esecuzione, escludendo evidentemente la concreta ricorrenza di ogni pericolo del genere di quello poc'anzi richiamato.

 

2. Affidamento in prova al servizio sociale.

 

La modifica proposta mira a rendere più snella la procedura per l'affidamento in prova nei casi di condanna a pena detentiva fino a tre anni e ad innalzare il limite massimo di pena per poter essere ammessi al beneficio dell'affidamento in prova al servizio sociale.

Quest'ultimo, in particolare, viene elevato a cinque anni ed interessa le condanne da espiare.

Il regime applicativo in questi casi è lo stesso di quello attualmente in vigore: il beneficio in particolare viene emesso sulla base di un provvedimento largamente discrezionale del tribunale di sorveglianza, il quale è chiamato a stabilire se il condannato possa perseguire le finalità rieducative della pena anche al di fuori dell'ambiente carcerario senza pericolo per la collettività.

Laddove, tuttavia, la condanna inflitta sia inferiore a tre anni, sembra opportuno prevedere un regime che sia sostanzialmente a metà tra la sospensione condizionale della pena e detto regime discrezionale.

In particolare, in questo caso la pena non è mai eseguita. Il condannato però deve essere sottoposto all'osservazione del servizio sociale degli adulti il quale deve controllare sia l'inserimento del condannato nella vita sociale sia il mantenimento di una condotta di vita, lavorativa e familiare, che lasci prevedere che lo stesso si sia allontanato dal passato deviante.

Laddove, poi, il condannato nel periodo in questione commetta altri reati, il beneficio deve essere necessariamente revocato.

 

 

 

EFFETTI DELLE SENTENZE PENALI NEI CONFRONTI DEI PUBBLICI

UFFICIALI E DEGLI INCARICATI DI PUBBLICO SERVIZIO

 

L'abrogazione delle previsioni introdotte dall'articolo 4 della legge 27 marzo 2001, n. 97, mira ad evitare l'automatismo della sospensione del rapporto di pubblico impiego conseguente alla pronunzia di determinate sentenze di condanna. Si rende necessario, infatti, reintrodurre il sistema previgente che appare certamente maggiormente equilibrato in quanto impedisce di anticipare effetti pregiudizievoli di accertamenti che, non essendo dotati del carattere di definitività, non possono porre nel nulla anche singoli profili della presunzione di non colpevolezza, che deve assistere il cittadino in tutte le manifestazioni della sua personalità. D'altro canto, l'esperienza pratica ha mostrato come in molti casi decisioni di condanna in primo grado siano state ribaltate in grado di appello, spesso a distanza di lunghi anni, con la logica conseguenza che la sospensione dal pubblico servizio è in grado di provocare effetti pregiudizievoli irreparabili.

 

 

D) CODICE PENALE

 

1. Interpretazione autentica delle disposizioni in tema di reati associativi.

 

L'evoluzione giurisprudenziale che ha interessato la configurabilità del concorso esterno in associazione a delinquere rende necessario un intervento normativo diretto ad escludere la ipotizzabilità della figura giuridica del concorso diretta a punire tali condotte che alla stessa si sono volute ricondurre.

La necessità di tipizzare la riferibilità di tali condotte nell'ambito del concorso di associazione a delinquere, deriva oltre che dalla riserva di legge espressamente prevista dalla Costituzione in materia penale, dalla esigenza di evitare che la mancanza di una disciplina codicistica della fattispecie incriminatrice in parola lasci un ambito di discrezionalità eccessivamente ampio alla giurisidizione penale, sicché il giudicante continuerebbe a trovarsi quotidianamente dinanzi al dilemma della definizione della soglia della compartecipazione punibile a titolo di concorso, con la conseguente, ed ineludibile, possibilità di strumentalizzazioni dell'istituto a fini diversi da quelli della prevenzione dei fatti di criminalità organizzata e della punizione degli effettivi responsabili. Ebbene, le intenzioni di dare certezza ad una figura giuridica suscettibile, e già in concreto più volte oggetto di particolari e gravi strumentalizzazioni, devono trovare compiuta attuazione nel divieto di procedere ad interpretazioni quali quelle praticate fino ad ora. Ed infatti la necessità dell'intervento normativo in parola deve rinvenirsi nella esigenza di evitare che lasciare la soluzione di questa problematica alla magistratura ed alla stessa Corte di cassazione comporti un eccesso indebito di responsabilizzazione dei giudici, che vengono, in tal modo, a trovarsi inevitabilmente sovraesposti al rischio di strumentalizzazione e di delegittimazione politica del loro operato. Occorre evitare che la attuale portata delle disposizioni in oggetto consenta ancora di lasciare un margine così ampio della stessa previsione normativa, che produrrebbe, in concreto l'opposto effetto di legittimare siffatte deprecabili strumentalizzazioni. Sicché se si vuole evitare che la responsabilità della politica criminale passi dal Parlamento alla magistratura, compete al legislatore di fissare i criteri di demarcazione fra la figura dell'associato a delinquere e quella di colui il quale integra differenti condotte criminali. E' importante che la figura giuridica oggetto di interpretazione autentica vada incontro alla massima tipizzazione possibile, riservando alla interpretazione giurisprudenziale ristretti margini esegetici, compatibili con il principio di "divisione dei poteri" che deve improntare l'operato di ogni moderna democrazia. Si suggerisce, pertanto, una interpretazione autentica degli articoli 416, 416-bis e 416-ter del codice penale, in guisa che tale articoli devono essere interpretati nel senso che in essi non sono ricomprese le condotte di cui all'articolo 110 del medesimo codice.

In effetti, a fronte del carattere episodico del contributo causale della condotta posta in essere dall'agente alla realizzazione delle finalità associative, deve evitarsi che possano ritenersi configurabili situazioni di concorso esterno all'associazione rispetto alle quali saranno da escludere quei comportamenti di oggettiva agevolazione di determinati sodalizi criminali da parte di soggetti inconsapevoli della caratura delinquenziale dei propri contraddittori o che, addirittura, vengano in contatto con siffatta realtà associativa una tantum, anche in virtù della loro attività professionale, sia essa di carattere imprenditoriale o meno, dovendo evidentemente tali condotte ritenersi sussumibili nelle altre eventuali fattispecie di parte speciale e non nel concorso esterno in associazione a delinquere.

 

2. Delitti contro la pubblica amministrazione.

 

Si è inteso procedere a una complessiva rivalutazione, nell'ambito dei delitti posti in essere dai pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, dei rapporti sussistenti tra figure di reato indubbiamente omogenee.

In particolare, con riferimento al delitto di concussione, è apparso opportuno chiarire come essenziale peculiarità del medesimo non possa non essere considerata quella correlata alla "costrizione" che, per effetto di violenza o minaccia posta in essere dal pubblico ufficiale, determina l'agire del privato.

Ciò, anche e soprattutto, alla stregua delle indubbie difficoltà, sia dottrinarie che giurisprudenziali, di individuare una nozione di "induzione" che, in contrapposizione alla costrizione, sia comunque correlata all'abuso della qualità o delle funzioni.

Difficoltà che, quindi, per quanto relativa alla concussione per induzione, determinava spesso, ripiegandosi sull'equazione induzione-inganno, una inammissibile sovrapposizione rispetto a figure di reato affatto distinte (è il caso, soprattutto, della truffa aggravata dall'abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione).

Contestualmente, è apparso opportuno rilevare normativamente che, ponendosi quale elemento essenziale del delitto di corruzione il mercimonio che accompagna (e, in molti casi, addirittura, ne costituisce addirittura movente) l'agire del pubblico ufficiale, niente sembra poter escludere la legittimità di una riconduzione alla corruzione della peculiare ipotesi in cui il pubblico ufficiale si determini alla violazione di legge o ad altro contegno abusivo per realizzare in suo favore un ingiusto vantaggio patrimoniale.

Proprio nella prospettiva indicata e in relazione alla necessità di distinguere le diverse fattispecie, "ridisegnandole", si è anche inteso diversamente considerare dal punto di vista sanzionatorio, qualificandole espressamente quali ipotesi aggravate, tutte quelle nelle quali, invece, si determini accordo tra privato e pubblico ufficiale, atteggiando diversamente e più gravemente la pena a seconda del tipo di funzione presa in considerazione.

Peraltro, in ragione del bene giuridico tutelato dal reato di corruzione e, soprattutto della diversità di "posizione di partenza" caratterizzante da un lato il pubblico ufficiale e, dall'altro, il privato, è apparso altresì opportuno, anche alla stregua della sicura individuazione dottrinaria e giurisprudenziale, nell'ambito dell'accordo corruttivo, dell'agire del privato quale ipotesi autonoma di reato, distinguere anche a livello sanzionatorio il tipo di intervento afflittivo, non apparendo conforme a logica e a giustizia punire in eguale misura i due diversi soggetti. Di qui, sempre rispetto al fatto del privato, anche una peculiare gradualità di sanzioni che, diversificando tra le varie ipotesi, prevede evidentemente quale fattispecie meno grave quella in cui l'accordo si realizza per l'opera induttiva del pubblico ufficiale cosicché, pur non determinandosi un venir meno della libertà di determinazione del privato, quest'ultimo deve ritenersi comunque, in qualche modo, meno "responsabile" nella lesione del bene giuridico protetto dalla norma.

 

3. Ingiuria e diffamazione.

 

In tema di reati di ingiuria e diffamazione, accedendo a istanze pressanti provenienti dai diversi settori degli operatori di giustizia che hanno evidenziato, a fronte della assai scarsa rilevanza sociale del fatto, l'incredibile incidenza quantitativa di tali ipotesi, si è anzitutto inteso procedere alla depenalizzazione delle ipotesi di reato non aggravato.

Nella medesima prospettiva, in relazione alle ipotesi aggravate, si è ritenuto opportuno prevedere la sola pena pecuniaria della multa.

Con particolare riferimento al reato di diffamazione aggravato dall'uso del mezzo della stampa, le peculiari tematiche correlate all'esercizio, ovvero all'abuso dell'esercizio del diritto di cronaca, nel contrasto tra le opposte esigenze della libertà di stampa e quella di tutela dei diritti di personalità, hanno determinato, pur riconoscendosi la necessità di conservare il carattere penale della violazione, la ritenuta opportunità di configurare, da un lato, a ristoro della dignità di chi sia riconosciuto danneggiato dal reato, l'obbligo per il giudice penale di liquidare il danno in favore della costituita parte civile e, dall'altro, a fronte della generalizzata sospensione della pena, una peculiare ipotesi di sospensione condizionata all'effettivo avvenuto ristoro dei pregiudizio civile.

Risarcimento da eseguire nel termine massimo di due mesi dal passaggio in giudicato della sentenza, per conseguire l'estinzione del reato.

 


 

 


 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. L'articolo 4 della legge 24 marzo 1958, n. 195, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

 

"Art. 4 - (Composizione della sezione disciplinare). - 1. La cognizione dei procedimenti disciplinari a carico dei magistrati è attribuita ad una sezione disciplinare, composta da cinque componenti effettivi e da tre supplenti tra i componenti eletti dal Parlamento e presieduta dal vicepresidente.

2. Nell'ipotesi in cui il Presidente della Repubblica assuma la presidenza della sezione disciplinare, resta escluso il vicepresidente.

3. Le funzioni di pubblico ministero presso la sezione disciplinare sono esercitate dal procuratore generale presso la Corte di cassazione".

 

 

Art. 2.

 

1. I titoli I e II dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, sono sostituiti dai seguenti:

 

 

"TITOLO I

DISPOSIZIONI GENERALI

 

 

Capo I

DEGLI ORGANI GIUDIZIARI

 

Art. 1. (Dei giudici).- 1. La giustizia, nelle materie civile e penale, è amministrata:

 

a) dal giudice di pace;

 

b) dal giudice;

c) dal tribunale;

 

d) dalla corte di appello;

 

e) dalla corte di cassazione;

 

f) dal giudice collegiale per i minorenni;

 

g) dal magistrato di sorveglianza;

 

h) dal giudice collegiale di sorveglianza.

 

2. Sono regolate da leggi speciali le giurisdizioni amministrative ed ogni altra giurisdizione speciale nonché le giurisdizioni per i reati militari.

 

Art. 2. (Del pubblico ministero). - 1. Presso la Corte di cassazione, le corti di appello, i tribunali, i giudici monocratici, ed i giudici collegiali per i minorenni è costituito l'ufficio del pubblico ministero.

 

Art. 3. (Cancellerie e segreterie giudiziarie. Ufficiali ed uscieri giudiziari). - 1. Ogni corte, tribunale ed ufficio del giudice di pace ha una cancelleria ed ogni ufficio del pubblico ministero ha una segreteria. L'ufficio di cancelleria o di segreteria può essere costituito anche presso le sezioni distaccate di cui alla tabella B annessa al presente ordinamento.

2. Alle corti, ai tribunali ed ai giudici sono addetti ufficiali giudiziari, aiutanti ufficiali giudiziari e coadiutori degli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti. Tale personale può essere addetto anche alle sezioni distaccate di cui alla tabella B annessa al presente ordinamento. Negli uffici del giudice di pace le funzioni di ufficiale giudiziario sono esercitate dai messi di conciliazione, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo luogotenenziale 1^ febbraio 1946, n. 122, e successive modificazioni.

3. Il personale e gli uffici delle cancellerie e segreterie giudiziarie, gli ufficiali giudiziari e gli uscieri giudiziari sono regolati da leggi particolari.

Art. 4. (Ordine giudiziario). 1. L'ordine giudiziario è costituito dagli uditori, dai giudici degli organi collegiali o monocratici e delle corti e dai pubblici ministeri.

2. Appartengono all'ordine giudiziario come magistrati onorari i giudici di pace, i giudici onorari, i vice procuratori, gli esperti del giudice collegiale e della sezione di corte di appello per i minorenni ed, inoltre, i giudici popolari della corte di assise nell'esercizio delle loro funzioni giudiziarie.

3. Il personale delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie fa parte dell'ordine giudiziario.

4. Gli ufficiali giudiziari sono ausiliari dell'ordine giudiziario.

 

Art. 5. (Organici e sedi giudiziarie). - 1. Il numero, le sedi, le circoscrizioni territoriali degli uffici giudiziari indicati nel comma 1 dell'articolo 1 ed il ruolo organico della magistratura sono determinati dalle tabelle allegate al presente ordinamento, fatta eccezione per i giudici di pace.

 

Art. 6. (Provvedimenti del pubblico ministero). - 1. Qualsiasi provvedimento di attuazione delle disposizioni di cui al presente ordinamento, relative alla costituzione di sezioni ed alla ripartizione dei giudici e dei pubblici ministeri tra i diversi uffici della stessa sede, nonché i provvedimenti relativi alle applicazioni, alle sostituzioni ed alle supplenze di giudici e pubblici ministeri, sono emanati con decreto del Ministro della giustizia, salvo che non sia diversamente stabilito.

 

Art. 7. (Tabelle degli uffici giudicanti). - 1. La ripartizione degli uffici giudiziari di cui all'articolo 1 in sezioni, la destinazione dei singoli magistrati alle sezioni e alle corti di assise, l'assegnazione alle sezioni dei presidenti, la designazione dei magistrati che hanno la direzione di sezioni a norma dell'articolo 36, comma 2, l'attribuzione degli incarichi di cui agli articoli 37 e 39, comma 2, il conferimento delle specifiche attribuzioni processuali individuate dalla legge e la formazione dei collegi giudicanti sono stabiliti ogni biennio con decreto del Ministro della giustizia in conformità delle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura assunte sulle proposte dei presidenti delle corti di appello, sentiti i consigli giudiziari. Decorso il biennio, l'efficacia del decreto è prorogata fino a che non sopravvenga un altro decreto.

2. Le deliberazioni di cui al comma 1 sono adottate dal Consiglio superiore della magistratura, valutate le eventuali osservazioni formulate dal Ministro della giustizia ai sensi dell'articolo 11, comma 2, della legge 24 marzo 1958, n. 195, e possono essere variate nel corso del biennio per sopravvenute esigenze degli uffici giudiziari, sulle proposte dei presidenti delle corti di appello, sentiti i consigli giudiziari. I provvedimenti in via di urgenza, concernenti le tabelle, adottati dai dirigenti degli uffici sulla assegnazione dei magistrati, sono immediatamente esecutivi, salva la deliberazione del Consiglio superiore della magistratura per la relativa variazione tabellare.

3. Per quanto riguarda la Corte suprema di cassazione il Consiglio superiore della magistratura delibera sulla proposta del primo presidente della stessa Corte. Al fine di assicurare un più adeguato funzionamento degli uffici giudiziari sono istituite le tabelle infradistrettuali degli uffici requirenti e giudicanti che ricomprendono tutti i magistrati, ad eccezione dei capi degli uffici.

4. Il Consiglio superiore della magistratura individua gli uffici giudiziari che rientrano nella medesima tabella infradistrettuale e ne dà immediata comunicazione al Ministro della giustizia per l'emanazione del relativo decreto.

5. L'individuazione delle sedi da ricomprendere nella medesima tabella infradistrettuale è operata sulla base dei seguenti criteri:

 

a) l'organico complessivo degli uffici ricompresi non deve essere inferiore alle quindici unità per gli uffici giudicanti;

b) le tabelle infradistrettuali dovranno essere formate privilegiando l'accorpamento tra loro degli uffici con organico fino ad otto unità se giudicanti e fino a quattro unità se requirenti;

 

c) nelle esigenze di funzionalità degli uffici si deve tener conto delle cause di incompatibilità funzionali dei magistrati;

 

d) si deve tener conto delle caratteristiche geomorfologiche dei luoghi e dei collegamenti viari, in modo da determinare il minor onere per l'erario.

 

6. I giudici e i pubblici ministeri possono essere assegnati anche a più uffici aventi la medesima attribuzione o competenza, ma la sede di servizio principale, ad ogni effetto giuridico ed economico, è l'ufficio del cui organico gli stessi fanno parte. La supplenza infradistrettuale non opera per le assenze o impedimenti di durata inferiore a sette giorni.

7. Per la formazione ed approvazione delle tabelle di cui al comma 4, si osservano le procedure previste dal comma 2.

 

Art. 8. (Criteri per l'assegnazione degli affari e la sostituzione dei giudici impediti). - 1. L'assegnazione degli affari alle singole sezioni ed ai singoli collegi e giudici è effettuata secondo criteri obiettivi e predeterminati che consentono di stabilire sin dal momento della iscrizione della notizia di reato nell'apposito registro, quali saranno i giudici assegnatari del fascicolo nel corso del procedimento. Tali criteri sono indicati in via generale dal Consiglio superiore della magistratura ed approvati contestualmente alle tabelle degli uffici e con la medesima procedura. Nel determinare i criteri per l'assegnazione degli affari penali al giudice per le indagini preliminari, il Consiglio superiore della magistratura stabilisce la concentrazione, ove possibile, in capo allo stesso giudice dei provvedimenti relativi al medesimo procedimento e la designazione di un giudice diverso per lo svolgimento delle funzioni di giudice dell'udienza preliminare. Qualora il dirigente dell'ufficio o il presidente della sezione revochino la precedente assegnazione ad una sezione o ad un collegio o ad un giudice, copia del relativo provvedimento motivato viene comunicata al presidente della sezione e al magistrato interessato.

2. Il Consiglio superiore della magistratura stabilisce altresì i criteri per la sostituzione del giudice astenuto, ricusato o impedito.

3. Il Consiglio superiore della magistratura determina i criteri generali per l'organizzazione degli uffici del pubblico ministero e per l'eventuale ripartizione di essi in gruppi di lavoro.

 

Art. 9. (Potestà di polizia dei giudici). - 1. Ogni giudice, nell'esercizio delle sue funzioni, può richiedere, quando occorre, l'intervento della forza pubblica e può prescrivere tutto ciò che è necessario per il sicuro e ordinato compimento degli atti ai quali procede.

 

Art. 10. (Potestà dei pubblici ministeri di richiedere la forza pubblica). - 1. I pubblici ministeri hanno, nell'esercizio delle loro funzioni, il diritto di richiedere direttamente l'intervento della forza pubblica.

 

 

Capo II

DELLE INCOMPATIBILITA'

 

Art. 11. (Incompatibilità di funzioni). - 1. I giudici e i pubblici ministeri non possono assumere impieghi od uffici pubblici o privati, ad eccezione di quelli di amministratore gratuito di istituzioni pubbliche di beneficenza. Non possono esercitare industrie o commerci, né qualsiasi libera professione.

2. Salvo quanto disposto dal primo comma dell'articolo 61 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, non possono, inoltre, accettare incarichi di qualsiasi specie né possono assumere le funzioni di arbitro.

Art. 12. (Incompatibilità speciali per i primi presidenti, i presidenti aggiunti della corte di cassazione, i presidenti delle corti di appello e i procuratori generali della Repubblica). - 1. I primi presidenti, i presidenti aggiunti della corte di cassazione, i presidenti delle corti di appello ed i procuratori generali della Repubblica non possono assumere alcun incarico fuori della residenza, tranne quelli ad essi attribuiti da leggi e regolamenti o quelli conferiti con decreto del Presidente della Repubblica.

 

Art. 13. (Incompatibilità di sede per parentela o affinità con professionisti). - 1. I giudici e i pubblici ministeri delle corti di appello dei giudici monocratici e dei giudici collegiali non possono appartenere ad uffici giudiziari nelle sedi nelle quali i loro parenti fino al secondo grado, o gli affini in primo grado, sono iscritti negli albi professionali di avvocato, né, comunque, ad uffici giudiziari avanti i quali i loro parenti od affini nei gradi indicati esercitano abitualmente la professione di avvocato.

 

Art. 14. (Incompatibilità per vincoli di parentela o di affinità tra magistrati della stessa sede). - 1. I giudici che hanno tra loro vincoli di parentela o di affinità fino al terzo grado non possono far parte della stessa corte o dello stesso tribunale o dello stesso ufficio. I pubblici ministeri che si trovano nelle medesime condizioni non possono far parte della stessa procura della Repubblica.

2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica quando, per il numero dei componenti il collegio o l'ufficio giudiziario, sia da escludere qualsiasi intralcio al regolare andamento del servizio.

3. Non possono far parte come giudici dello stesso collegio giudicante nelle corti e negli organi collegiali i parenti e gli affini sino al quarto grado incluso.

 

 

Capo III

DEL GIUDICE DI PACE

 

Art. 15. (Istituzione e funzioni del giudice di pace). - 1. E' istituito il giudice di pace, il quale esercita la giurisdizione in materia civile e penale e la funzione conciliativa in materia civile secondo le norme del presente ordinamento.

2. L'ufficio del giudice di pace è ricoperto da un magistrato onorario appartenente all'ordine giudiziario.

 

Art. 16. (Sede degli uffici del giudice di pace). - 1. Gli uffici del giudice di pace hanno sede in tutti i capoluoghi dei mandamenti esistenti alla data di entrata in vigore della legge 1^ febbraio 1989, n. 30.

2. Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro della giustizia, sentiti il consiglio giudiziario e i comuni interessati, possono essere istituite sedi distaccate dell'ufficio del giudice di pace in uno o più comuni del mandamento, ovvero in una o più circoscrizioni in cui siano ripartiti i comuni.

3. Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro della giustizia, sentiti il consiglio giudiziario e i comuni interessati, due o più uffici contigui del giudice di pace possono essere costituiti in un unico ufficio con il limite che la popolazione complessiva risultante dall'accorpamento non superi i cinquantamila abitanti. Nel decreto è designato il comune in cui ha sede l'ufficio del giudice di pace.

 

Art. 17. (Ruolo organico e pianta organica degli uffici del giudice di pace). - 1. Il ruolo organico dei magistrati onorari addetti agli uffici del giudice di pace è fissato in 4.700 posti; entro tale limite, è determinata, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro della giustizia, sentito il Consiglio superiore della magistratura, la pianta organica degli uffici del giudice di pace.

2. In caso di vacanza dell'ufficio del giudice di pace o di impedimento temporaneo del magistrato che ne esercita le funzioni, il presidente del tribunale può affidare temporaneamente la reggenza dell'ufficio al giudice di pace di un ufficio contiguo.

3. Se la vacanza o l'impedimento si protrae per oltre sei mesi, si provvede a nuova nomina ai sensi dell'articolo 18.

 

Art. 18. (Nomina dell'ufficio). - 1. I magistrati onorari chiamati a ricoprire l'ufficio del giudice di pace sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio superiore della magistratura, su proposta formulata dal consiglio giudiziario territorialmente competente, integrato da cinque rappresentanti designati, d'intesa tra loro, dai consigli dell'ordine degli avvocati del distretto di corte d'appello.

2. Ai fini previsti dal comma 1, il presidente della corte d'appello, almeno sei mesi prima che si verifichino vacanze nella pianta organica degli uffici del giudice di pace ovvero al verificarsi della vacanza, richiede ai sindaci dei comuni interessati di dare notizia delle vacanze medesime mediante affissione nell'albo pretorio ed ogni altra forma di pubblicità ritenuta idonea, con invito alla presentazione, entro due mesi, di una domanda, corredata dei documenti occorrenti per provare il possesso dei requisiti necessari per la nomina, dei titoli di preferenza e di una dichiarazione dell'insussistenza delle cause di incompatibilità previste dalla legge.

3. Il presidente della corte d'appello, ricevute le domande degli interessati corredate dei relativi documenti, le trasmette al consiglio giudiziario. Il consiglio giudiziario formula le motivate proposte sulla base delle domande ricevute e degli elementi acquisiti, indicando, se possibile, in via prioritaria una terna di nomi scelti fra coloro che sono in possesso dei titoli di preferenza di cui ai commi 4 e 5 dell'articolo 19.

4. Le domande degli interessati, i relativi documenti e le proposte del consiglio giudiziario sono trasmessi dal presidente della corte d'appello al Consiglio superiore della magistratura.

5. Il magistrato onorario chiamato a ricoprire le funzioni di giudice di pace assume possesso dell'ufficio entro due mesi dalla nomina.

6. In sede di prima applicazione il magistrato onorario chiamato a ricoprire le funzioni di giudice di pace assume possesso dell'ufficio nel termine stabilito dal Ministro della giustizia.

7. In sede di prima applicazione il Consiglio superiore della magistratura adotta la deliberazione di cui al comma 1 entro otto mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.

 

Art. 19. (Requisiti per la nomina e titoli preferenziali). - 1. Per la nomina a giudice di pace sono richiesti i seguenti requisiti:

 

a) essere cittadino italiano;

 

b) avere l'esercizio dei diritti civili e politici;

 

c) non avere riportato condanne per delitti non colposi o a pena detentiva per contravvenzione, e non essere stato sottoposto a misure di prevenzione o di sicurezza;

 

d) avere idoneità fisica e psichica;

 

e) avere età non inferiore a trenta anni e non superiore a settanta anni, ovvero non superiore a settanta anni senza alcun limite minimo di età se notai;

 

f) avere la residenza in un comune della circoscrizione del tribunale dove ha sede l'ufficio del giudice di pace;

 

g) avere il possesso della laurea in giurisprudenza;

 

h) avere cessato, o impegnarsi a cessare prima dell'assunzione delle funzioni di giudice di pace, l'esercizio di qualsiasi attività lavorativa dipendente pubblica o privata.

 

2. Il requisito di cui alla lettera f) del comma 1 non è richiesto nei confronti di coloro che esercitano la professione forense o le funzioni notarili.

3. Accertati i requisiti di cui al comma 1, la nomina deve cadere su persone capaci di assolvere degnamente, per indipendenza e prestigio acquisito e per esperienza giuridica e culturale maturata, le funzioni di magistrato onorario.

4. Costituiscono titoli di preferenza per la nomina l'esercizio, anche pregresso:

 

a) delle funzioni giudiziarie, anche onorarie;

 

b) della professione forense ovvero delle funzioni notarili;

 

c) dell'insegnamento di materie giuridiche nelle università;

 

d) delle funzioni di ufficiale di polizia giudiziaria.

 

5. A parità di possesso dei requisiti e dei titoli di cui ai commi 1, 3 e 4, sono prioritariamente nominati coloro che hanno esercitato le funzioni di giudice conciliatore o di vice conciliatore.

6. In caso di nomina condizionata alla cessazione dell'attività, questa deve avvenire, a pena di decadenza, anche in deroga ai termini di preavviso previsti dalle leggi relative ai singoli impieghi, entro due mesi dalla nomina.

 

Art. 20. (Corsi per i giudici di pace). - 1. Il consiglio giudiziario può organizzare, secondo le esigenze degli uffici esistenti nel distretto, corsi di aggiornamento professionale per giudici di pace, avvalendosi della collaborazione di magistrati e di personale delle qualifiche dirigenziali delle cancellerie e segreterie giudiziarie del distretto medesimo, di avvocati e di docenti universitari. I corsi sono organizzati a livello di circondario di tribunale, hanno cadenza annuale e non possono avere durata superiore a venti giorni anche non consecutivi.

2. Il presidente della corte d'appello può organizzare analoghi corsi per il personale di cancelleria e ausiliario.

3. Il personale docente, fissato in tre unità per i corsi di aggiornamento professionale del giudice di pace e in due unità per quelli del personale di cancelleria e ausiliario, è di regola prescelto fra persone che prestano servizio o svolgono la loro attività nel circondario del tribunale.

4. A ciascuna unità del personale docente di cui al comma 3 è corrisposto un gettone di presenza giornaliera nella misura di 15,50 euro.

5. Il consiglio giudiziario e il presidente della corte d'appello, nell'ambito delle rispettive competenze, predispongono altresì mezzi per l'informazione e l'aggiornamento dei giudici di pace e del personale di cancelleria e ausiliario.

 

Art. 21. (Ammissione anticipata ai corsi). - 1. Intervenuta la delibera di nomina del Consiglio superiore della magistratura, i giudici di pace possono essere ammessi ai corsi anche prima dell'assunzione delle funzioni.

 

Art. 22. (Corsi di specializzazione professionale). - 1. Il Ministro della giustizia e il Consiglio superiore della magistratura organizzano corsi di specializzazione professionale, di durata non inferiore a tre mesi, per i giudici di pace nominati in sede di prima applicazione, nei limiti di disponibilità del bilancio.

 

Art. 23. (Durata dell'ufficio. Conferma. Ulteriore nomina). - 1. Il magistrato onorario che esercita le funzioni di giudice di pace dura in carica cinque anni e, al termine, può essere confermato una sola volta per uguale periodo.

2. Per la conferma non è richiesto il requisito del limite massimo di età previsto dall'articolo 19, comma 1, lettera e). Tuttavia l'esercizio delle funzioni non può essere protratto oltre il settantacinquesimo anno di età.

3. Una ulteriore nomina non è consentita se non siano decorsi quattro anni dalla cessazione del precedente incarico.

 

Art. 24. (Incompatibilità). - 1. Non possono essere giudici di pace:

 

a) i membri del Parlamento, i consiglieri regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, i componenti dei comitati di controllo sugli atti degli enti locali e delle loro sezioni;

 

b) gli ecclesiastici e i ministri di qualunque confessione religiosa;

 

c) coloro che ricoprono o hanno ricoperto nell'anno precedente alla nomina incarichi direttivi o esecutivi nei partiti politici.

 

Art. 25. (Limiti all'esercizio della professione forense). - 1. Gli avvocati che svolgono le funzioni di giudice di pace non possono esercitare la professione forense dinanzi all'ufficio del giudice di pace al quale appartengono e non possono rappresentare, assistere o difendere le parti di procedimenti svolti dinanzi al medesimo ufficio, nei successivi gradi di giudizio.

 

Art. 26. (Decadenza e dispensa). - 1. I magistrati onorari che esercitano le funzioni di giudice di pace decadono dall'ufficio quando viene meno taluno dei requisiti necessari per essere ammessi alle funzioni giudiziarie o per dimissioni volontarie o quando sopravviene una causa di incompatibilità.

2. I magistrati onorari che esercitano le funzioni di giudice di pace sono dispensati dall'ufficio per infermità che impedisca in modo definitivo l'esercizio delle funzioni o per ogni impedimento che si protragga oltre sei mesi.

3. I provvedimenti di cui ai commi 1 e 2 sono adottati con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio superiore della magistratura.

 

Art. 27. (Doveri e controlli disciplinari). - 1. Il magistrato onorario che esercita le funzioni di giudice di pace è tenuto alla osservanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari. Ha inoltre l'obbligo di astenersi, oltre che nei casi di cui all'articolo 51 del codice di procedura civile, in ogni caso in cui abbia avuto o abbia rapporti di lavoro autonomo ovvero di collaborazione con una delle parti.

2. Si applicano le disposizioni in tema di responsabilità disciplinare dei magistrati ordinari, in quanto compatibili.

 

 

 

TITOLO II

DEI GIUDICI

 

 

Capo I

DEL GIUDICE MONOCRATICO

Sezione I

Del giudice monocratico circondariale

 

Art. 28. (Sede del giudice monocratico). - 1. Il giudice monocratico ha sede nei luoghi in cui è istituito il tribunale.

Art. 29. (Composizione dell'ufficio). - 1. L'ufficio del giudice monocratico è diretto dal giudice titolare e ad esso sono addetti più magistrati.

2. L'ufficio può essere suddiviso in sezioni, a dirigere ciascuna delle quali è nominato un presidente.

3. All'ufficio possono essere addetti giudici onorari.

 

Art. 30. (Nomina dei giudici onorari. Incompatibilità). - 1. I giudici onorari sono nominati con decreto del Ministro della giustizia, in conformità alla deliberazione del Consiglio superiore alla magistratura, su proposta del consiglio giudiziario competente per territorio, integrato, a tale fine, da cinque rappresentanti designati, d'intesa tra loro, dai consigli dell'ordine degli avvocati del distretto di corte d'appello.

2. Si applicano le disposizioni degli articoli 19 e 24.

3. Il giudice onorario non può assumere l'incarico di consulente, perito o interprete nei procedimenti che si svolgono dinanzi agli uffici giudiziari compresi nel circondario presso il quale esercita le funzioni giudiziarie.

 

Art. 31. (Durata dell'ufficio). - 1. La nomina a giudice onorario ha la durata di cinque anni. Il titolare può essere confermato.

2. Alla scadenza del quinquennio, il consiglio giudiziario, nella composizione integrata prevista dall'articolo 30, comma 1, esprime un giudizio di idoneità alla continuazione dell'esercizio delle funzioni sulla base di ogni elemento utile, compreso l'esame a campione dei provvedimenti. Il giudizio di idoneità costituisce requisito necessario per la conferma.

 

Art. 32. (Cessazione, decadenza e revoca dell'ufficio). - 1. Il giudice onorario cessa dall'ufficio:

 

a) per compimento del settantaduesimo anno di età;

 

b) per scadenza del termine di durata della nomina o della conferma;

c) per dimissioni, a decorrere dalla data di comunicazione del provvedimento di accettazione.

 

2. Il giudice onorario decade dall'ufficio:

 

a) se non assume le sue funzioni entro due mesi dalla comunicazione del provvedimento di nomina o nel termine più breve eventualmente fissato dal Ministro della giustizia ai sensi dell'articolo 18;

 

b) se non esercita volontariamente le funzioni inerenti all'ufficio;

 

c) se viene meno uno dei requisiti necessari per la nomina o sopravviene una causa di incompatibilità.

 

3. Il giudice onorario è revocato dall'ufficio in caso di inosservanza dei doveri inerenti al medesimo.

4. La cessazione, la decadenza o la revoca dall'ufficio sono dichiarate o disposte con le stesse modalità previste per la nomina.

 

Art. 33. (Doveri e diritti del giudice onorario). - 1. Il giudice onorario è tenuto all'osservanza dei doveri previsti per i giudici ordinari, in quanto compatibili.

2. Al giudice onorario competono esclusivamente le indennità e gli altri diritti espressamente attribuiti dalla legge con specifico riferimento al rapporto di servizio onorario.

 

Art. 34. (Funzione e competenza del giudice monocratico). - 1. Il giudice monocratico:

 

a) esercita la giurisdizione in primo grado in materia civile;

 

b) esercita la giurisdizione in primo grado in materia penale;

 

c) esercita nei modi stabiliti dalla legge le altre funzioni ad esso deferite.

 

Art. 35. (Funzioni dei giudici ordinari ed onorari addetti al giudice monocratico). - 1. I giudici ordinari ed onorari svolgono presso l'organo monocratico il lavoro giudiziario loro assegnato dal presidente o, se l'ufficio è costituito in sezioni, dal presidente o altro magistrato che dirige la sezione. I giudici onorari non possono tenere udienza se non nei casi di impedimento o di mancanza dei giudici ordinari.

2. Nell'assegnazione prevista dal comma 1, è seguito il criterio di non affidare ai giudici onorari:

 

a) nella materia civile, la trattazione di procedimenti cautelari e possessori, fatta eccezione per le domande proposte nel corso della causa di merito o del giudizio petitorio;

 

b) nella materia penale, le funzioni di giudice per le indagini preliminari e di giudice dell'udienza preliminare, nonché la trattazione di procedimenti relativi a reati per i quali la legge stabilisce una pena detentiva superiore a tre anni di reclusione, determinata a norma dell'articolo 4 del codice di procedura penale.

 

Art. 36. (Costituzione delle sezioni). - 1. Il giudice monocratico può essere costituito in più sezioni. Negli organi monocratici costituiti in sezioni sono biennalmente designate le sezioni alle quali sono devoluti, promiscuamente o separatamente, gli affari civili, gli affari penali nonché, separatamente, le controversie in materia di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie. In ogni ufficio monocratico costituito in sezioni è istituita una sezione dei giudici incaricati dei provvedimenti previsti dal codice di procedura penale per la fase delle indagini preliminari e per l'udienza preliminare.

2. A ciascuna sezione, nella formazione delle tabelle ai sensi dell'articolo 7, sono destinati giudici nel numero richiesto dalle esigenze di servizio, tenuto conto del numero dei processi pendenti e dell'urgenza della definizione delle controversie.

3. I giudici destinati a ciascuna sezione non possono essere comunque in numero inferiore a cinque. Tale limite non opera per la sezione dei giudici incaricati dei provvedimenti previsti dal codice di procedura penale per la fase delle indagini preliminari e per l'udienza preliminare.

 

Art. 37. (Attribuzioni del presidente). - 1. Il presidente dirige l'ufficio e, in quelli costituiti in sezioni, distribuisce il lavoro tra sezioni, salvi i compiti del presidente di sezione.

 

Art. 38. (Direzione delle sezioni). - 1. Negli uffici costituiti in sezioni e nei quali sono istituiti posti di presidente di sezione, la direzione delle sezioni è attribuita ad un presidente di sezione.

2. Negli uffici nei quali non sono istituiti posti di presidente di sezione, dell'organizzazione del lavoro della sezione è incaricato il magistrato designato nelle tabelle formate ai sensi dell'articolo 7.

 

Art. 39. (Istituzione dei posti di presidente di sezione). - 1. Salvo quanto previsto dal comma 2, negli uffici costituiti in sezioni ai quali sono addetti più di dieci giudici ordinari possono essere istituiti posti di presidente di sezione, in numero non superiore a quello determinato dalla proporzione di uno a dieci.

2. Il posto di presidente di sezione può essere comunque istituito, senza l'osservanza dei limiti previsti dal comma 1, per la direzione delle seguenti sezioni, tenuto conto della loro consistenza numerica e delle specifiche esigenze organizzative:

 

a) sezioni incaricate della trattazione delle controversie in materia di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie;

 

b) sezioni dei giudici incaricati dei provvedimenti previsti dal codice di procedura penale per la fase delle indagini preliminari e per l'udienza preliminare.

 

Art. 40. (Attribuzioni del presidente di sezione). - 1. Il presidente di sezione, oltre a svolgere il lavoro giudiziario, dirige la sezione cui è assegnato e, in particolare, sorveglia l'andamento dei servizi di cancelleria ed ausiliari, distribuisce il lavoro tra i giudici e vigila sulla loro attività, curando anche lo scambio di informazioni della sezione. Collabora, altresì, con il presidente dell'ufficio nell'attività di direzione. Con le tabelle formate ai sensi dell'articolo 7, al presidente di sezione può essere attribuito l'incarico di dirigere più sezioni che trattano materie omogenee, ovvero di coordinare uno o più settori di attività dell'ufficio.

 

 

Sezione II

Delle sezioni distaccate

del giudice monocratico.

 

Art. 41. (Sezioni distaccate del giudice monocratico). - 1. Nei comuni indicati nella tabella B annessa al presente ordinamento sono istituite sezioni distaccate del giudice monocratico con la circoscrizione stabilita per ciascuna di esse.

 

Art. 42. (Istituzione, soppressione e modifica della circoscrizione delle sezioni distaccate). - 1. All'istituzione, alla soppressione ed alla modifica della circoscrizione delle sezioni distaccate si provvede con decreto motivato del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previo parere del Consiglio superiore della magistratura. Il decreto è adottato sulla base di criteri oggettivi ed omogenei, che tengono conto dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei sistemi di mobilità, dell'indice di contenzioso in materia civile e penale degli ultimi due anni, della complessità e dell'articolazione delle attività economiche e sociali che si svolgono nel territorio. L'avvio del procedimento è comunicato agli enti locali interessati, ai consigli giudiziari e ai consigli degli ordini degli avvocati. Si osservano le disposizioni degli articoli 7, 8 e 9 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Il parere del Consiglio superiore della magistratura è comunicato al Ministro della giustizia entro quarantacinque giorni dal ricevimento della richiesta. Decorso tale termine, il decreto è emanato anche in mancanza del parere.

Art. 43. (Affari trattati nelle sezioni distaccate). - 1. Le controversie in materia di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie sono trattate esclusivamente nella sede principale del giudice monocratico.

2. Nella sede di cui al comma 1 sono altresì svolte, in via esclusiva, le funzioni del giudice per le indagini preliminari e del giudice dell'udienza preliminare.

3. In deroga a quanto previsto dal comma 2, con decreto del Ministro della giustizia, in conformità alla deliberazione del Consiglio superiore della magistratura assunta su proposta del presidente dell'ufficio del giudice monocratico, sentito il consiglio dell'ordine degli avvocati, può essere disposto che nelle sezioni distaccate aventi sede in isole, eccettuate la Sicilia e la Sardegna, siano trattate anche le cause concernenti controversie di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie.

4. La deroga di cui al comma 3 può essere prevista anche per un tempo determinato in relazione a particolari circostanze.

 

Art. 44. (Udienze relative a procedimenti da trattare nella sede principale e nelle sezioni distaccate). - 1. In considerazione di particolari esigenze, il presidente dell'ufficio, sentite le parti, può disporre che una o più udienze relative a procedimenti civili o penali da trattare nella sede principale siano tenute in una sezione distaccata, o che una o più udienze relative a procedimenti da trattare in una sezione distaccata siano tenute nella sede principale o in altra sezione distaccata. Sentiti il consiglio giudiziario ed il consiglio dell'ordine degli avvocati, il provvedimento può essere adottato anche in relazione a gruppi omogenei di procedimenti.

 

Art. 45. (Magistrati assegnati alle sezioni distaccate). - 1. I magistrati assegnati alle sezioni distaccate possono svolgere funzioni anche presso la sede principale o presso altre sezioni distaccate, secondo criteri determinati con le tabelle previste dall'articolo 7. Nelle sezioni distaccate non sono istituiti posti di presidente di sezione.

 

Capo II

DEI TRIBUNALI

Sezione I

Del tribunale ordinario.

 

Art. 46. (Sede del tribunale). - 1. Il tribunale ha sede in ogni capoluogo determinato dalla tabella A annessa al presente ordinamento.

 

Art. 47. (Composizione del tribunale). - 1. Il tribunale è diretto dal presidente e ad esso sono addetti più giudici. Al tribunale possono essere addetti uno o più presidenti di sezione.

2. Al tribunale possono essere addetti giudici onorari.

3. La nomina dei giudici onorari è regolata dagli articoli da 17 a 23.

 

Art. 48. (Funzioni ed attribuzioni del tribunale). - 1. Il tribunale:

 

a) esercita la giurisdizione in primo grado e in appello, contro le sentenze pronunciate dal giudice di pace, in materia civile;

 

b) esercita la giurisdizione in primo grado in materia penale;

 

c) esercita le funzioni di giudice tutelare;

 

d) giudica sulla applicazione delle misure di prevenzione personali e patrimoniali;

 

e) esercita nei modi stabiliti dalla legge le altre funzioni ad esso deferite.

 

Art. 49. (Funzioni del tribunale). - 1. I singoli collegi svolgono il lavoro giudiziario loro assegnato dal presidente o, se l'ufficio è costituito in sezioni, dal presidente o altro magistrato che dirige la sezione.

2. I giudici onorari non possono comporre l'organo collegiale se non nei casi di impedimento o di mancanza dei giudici ordinari.

3. Nell'assegnazione prevista dal comma 1 del presente articolo, qualora giudici onorari compongano il collegio, si applica l'articolo 23, comma 3.

Art. 50. (Costituzione delle sezioni). - 1. Il tribunale può essere costituito in più sezioni.

2. Negli organi collegiali costituiti in sezioni si applicano le disposizioni di cui agli articoli da 24 a 29, in quanto compatibili.

 

Art. 51. (Altri criteri per l'istituzione dei posti presidente di sezione). - 1. Il posto di presidente di sezione può essere comunque istituito, senza l'osservanza dei limiti previsti dalle norme di cui all'articolo 37, comma 1:

 

a) per la direzione della corte di assise e delle singole sezioni della medesima, quando il numero delle udienze da esse tenute lo richiede;

 

b) per la direzione delle seguenti sezioni, tenuto conto della loro consistenza numerica e delle specifiche esigenze organizzative:

 

1) per le sezioni incaricate della trattazione delle controversie in materia di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie;

 

2) per le sezioni incaricate degli affari inerenti alle procedure concorsuali.

 

Art. 52. (Presidenza dei collegi). - 1. La presidenza del collegio è assunta dal presidente dell'ufficio o da un presidente di sezione o dal magistrato più elevato in qualifica o dal più anziano dei magistrati di pari qualifica componenti il collegio.

 

 

Sezione II

Del tribunale per i minorenni.

 

Art. 53. (Costituzione e giurisdizione del tribunale per i minorenni). - 1. In ogni sede di appello o di sezione distaccata di corte di appello è costituito un tribunale per i minorenni.

2. Il tribunale per i minorenni ha giurisdizione su tutto il territorio della corte di appello o della sezione di corte di appello, nei limiti di competenza determinati dalla legge.

 

Art. 54. (Composizione del tribunale per i minorenni).- 1. Il tribunale per i minorenni è composto da un magistrato di corte di appello, che lo presiede, da un magistrato del giudice collegiale e da due esperti, un uomo e una donna, aventi i requisiti richiesti dalla legge, ai quali è conferito il titolo di giudice onorario del tribunale per i minorenni. Possono anche essere nominati due o più supplenti.

2. Gli esperti del tribunale per i minorenni sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro della giustizia, per un triennio, e possono essere confermati.

 

Art. 55. (Giudice monocratico).- 1. In ogni tribunale per i minorenni uno o più magistrati sono incaricati come giudici singoli dei procedimenti previsti dal codice di procedura penale per la fase delle indagini preliminari. L'organizzazione del lavoro dei predetti giudici è attribuita al più anziano.

2. Nell'udienza predibattimentale, il tribunale per i minorenni giudica composto da un magistrato e da due giudici onorari, un uomo e una donna, dello stesso ufficio.

 

Art. 56. (Magistrato di sorveglianza presso il tribunale per i minorenni).- 1. Le funzioni di magistrato di sorveglianza sono esercitate dal giudice addetto al tribunale per i minorenni.

2. Il presidente del tribunale ordinario, sentito il procuratore della Repubblica, può, con proprio decreto, destinare anche altro giudice, con le stesse funzioni, al tribunale per i minorenni".

 

2. L'articolo 69 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, è sostituito dai seguenti:

 

"Art. 69. (Funzioni del pubblico ministero).- 1. Il pubblico ministero esercita le funzioni che la legge gli attribuisce.

Art. 69-bis. (Concorso per l'ammissione nei ruoli di procuratore della Repubblica).- 1. La nomina a pubblico ministero si consegue mediante concorso per esame.

2. L'esame consiste:

 

a) in una prova scritta su ciascuna delle seguenti materie:

 

1) diritto civile;

 

2) diritto penale;

 

3) diritto processuale penale;

 

b) in una prova orale su ciascuna delle seguenti materie:

 

1) diritto civile;

 

2) diritto processuale civile;

 

3) diritto penale;

 

4) diritto processuale penale;

 

5) diritto amministrativo e costituzionale;

 

6) criminologia.

 

3. Le norme sulle modalità esecutive del concorso e sulla nomina delle commissioni sono quelle stabilite per il concorso di uditore giudiziario.

4. La commissione di esame è nominata dal Consiglio superiore della magistratura ed è composta da un presidente titolare di sezione della Corte di cassazione, che la presiede, da tra magistrati del pubblico ministero di categoria non inferiore a magistrato di corte di appello, da tre giudici in servizio presso la Corte di cassazione, nonchè da sei professori ordinari di materie giuridiche del settore di disciplina relativo alle materie penalistiche. Sono nominati componenti supplenti nello stesso numero.

 

Art. 69-ter. (Conseguimento della idoneità a procuratore della Repubblica).- 1. I concorrenti che partecipano al concorso di cui all'articolo 69-bis sono classificati secondo il numero totale dei punti riportati.

2. Sono dichiarati idonei allo svolgimento delle funzioni di procuratore della Repubblica, con decreto del Ministro della giustizia, i primi classificati entro il limite dei posti messi a concorso, non derogabile per alcun motivo.

3. I concorrenti dichiarati idonei sono destinati agli uffici della procura della Repubblica presso il tribunale o presso i giudici monocratici a cui sono assegnati, ove devono compiere un periodo di tirocinio della durata di almeno due anni sotto la sorveglianza del capo dell'ufficio.

4. Il capo dell'ufficio può designare uno o più sostituti per lo svolgimento delle funzioni di cui al comma 3.

5. Al termine del periodo di tirocinio gli idonei sono nominati sostituti procuratori della Repubblica con deliberazione del Consiglio superiore della magistratura, su parere del consiglio giudiziario al quale il capo dell'ufficio riferisce sull'esito del tirocinio.

 

Art. 69-quater. (Avanzamenti di carriera dei pubblici ministeri).- 1. L'anzianità di servizio dei pubblici ministeri è computata dalla data del decreto di nomina ed è uno dei requisiti per i passaggi della funzione requirente dinanzi alla corte di appello ed alla Corte di cassazione".

 

3. L'articolo 70 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

 

"Art. 70. (Costituzione del pubblico ministero).- 1. Le funzioni del pubblico ministero sono esercitate dal procuratore generale presso la Corte di cassazione, dai procuratori generali della Repubblica presso le corti di appello, dai procuratori della Repubblica presso i tribunali per i minorenni e dai procuratori della Repubblica presso i tribunali ordinari.

2. Presso le sezioni distaccate di corte di appello le funzioni del procuratore generale sono esercitate dall'avvocato generale dello Stato.

3. I titolari degli uffici del pubblico ministero dirigono l'ufficio cui sono preposti, ne organizzano l'attività ed esercitano personalmente le funzioni attribuite al pubblico ministero dal codice di procedura penale e dalle altre leggi, quando non designano altri magistrati addetti all'ufficio. Possono essere designati più magistrati in considerazione del numero degli imputati o della complessità delle indagini o del dibattimento.

4. Il magistrato designato svolge le funzioni del pubblico ministero con piena autonomia. Il titolare dell'ufficio può sostituirlo esercitando personalmente le funzioni del pubblico ministero, trasmettendo al Consiglio superiore della magistratura copia del provvedimento che ha disposto la sostituzione del magistrato.

5. Ogni magistrato addetto ad una procura della Repubblica che, fuori dell'esercizio delle sue funzioni, viene comunque a conoscenza di fatti che possono determinare l'inizio dell'azione penale o di indagini preliminari, può segnalarli per iscritto al titolare dell'ufficio. Questi, quando non sussistono i presupposti per la richiesta di archiviazione e non intende procedere personalmente, provvede a designare per la trattazione uno o più magistrati dell'ufficio.

6. Quando il procuratore nazionale antimafia o il procuratore generale presso la corte di appello dispone l'avocazione delle indagini preliminari nei casi previsti dalla legge, trasmette copia del relativo decreto motivato al Consiglio superiore della magistratura e ai procuratori della Repubblica interessati.

7. Entro dieci giorni dalla ricezione del provvedimento di avocazione, il procuratore della Repubblica interessato può proporre reclamo al procuratore generale presso la Corte di cassazione. Questi, se accoglie il reclamo, revoca il decreto di avocazione, disponendo la restituzione degli atti".

 

4. Dopo l'articolo 72 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, è inserito il seguente:

 

"Art. 72-bis. (Delegati dal procuratore della Repubblica nel procedimento penale davanti al giudice di pace).- 1. Nei procedimenti penali davanti al giudice di pace, le funzioni di pubblico ministero possono essere svolte, su delega del procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario:

 

a) nell'udienza dibattimentale, da auditori giudiziari, da vice procuratori onorari addetti all'ufficio, da ufficiali di polizia giudiziari diversi da coloro che hanno preso parte alle indagini preliminari o da laureati in giurisprudenza che frequentano il secondo anno della scuola biennale di specializzazione per le professioni legali di cui all'articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, e successive modificazioni;

 

b) per gli atti del pubblico ministero previsti dall'articolo 577 del codice di procedura penale, da vice procuratori onorari addetti all'ufficio;

 

c) nei procedimenti in camera di consiglio di cui all'articolo 137 del codice di procedura penale, nei procedimenti di esecuzione ai fini dell'intervento di cui all'articolo 675, comma 2, del medesimo codice, e nei procedimenti di opposizione al decreto del pubblico ministero di liquidazione del compenso ai periti, consulenti tecnici e traduttori ai sensi dell'articolo 11 della legge 8 luglio 1980, n. 139, da vice procuratori onorari addetti all'ufficio.

 

2. Nei casi indicati nel comma 1, la delega è conferita in relazione ad una determinata udienza o a un singolo procedimento.

3. La delega è revocabile nei soli casi in cui il codice di procedura penale prevede la sostituzione del pubblico ministero.

4. Si osservano le disposizioni di cui all'articolo 162, commi 1, 3 e 4, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271".

 

5. L'articolo 190 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, è abrogato.

6. Gli articoli da 1 a 10 della legge 21 novembre 1991, n. 374, e successive modificazioni, sono abrogati.

 

Art. 3.

 

1. L'articolo 5 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

 

"Art. 5. (Competenza della corte di assise).- 1. La corte di assise è competente:

 

a) per i delitti di cui alla legge 22 dicembre 1975, n. 685, e successive modificazioni, per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a ventiquattro anni;

 

b) per i delitti consumati previsti dagli articoli 579, 580, 584, 600, 601, 602, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-sexies, 609-octies e 609-nonies del codice penale;

 

c) per ogni delitto doloso se dal fatto è derivata la morte di una o più persone;

 

d) per i delitti previsti dalle leggi di attuazione della XII disposizione finale della Costituzione, dalla legge 9 ottobre 1967, n. 962, dal decreto legislativo 14 febbraio 1948, n. 43, dal decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, e dal titolo I del libro II del codice penale, sempre che per tali delitti sia stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dieci anni".

 

2. L'articolo 6 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 6. (Competenza del tribunale).- 1. Il tribunale è competente per tutti i reati che non appartengono alla competenza della corte di assise, del giudice monocratico o del giudice di pace.

2. Il tribunale è altresì competente per i reati contro la pubblica amministrazione e contro l'amministrazione della giustizia perseguibili d'ufficio".

 

3. L'articolo 7 del codice di procedura penale è sostituito dai seguenti:

 

"Art. 7. (Competenza del giudice monocratico).- 1. Il giudice monocratico è competente per tutti i reati puniti con la pena detentiva inferiore nel massimo a cinque anni e che non sono attribuiti alla competenza del giudice di pace.

2. Il giudice monocratico è altresì competente per i reati di cui all'articolo 648 del codice penale, e all'articolo 73, comma 5, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.

 

Art. 7-bis. (Competenza del giudice di pace). - 1. Il giudice di pace è competente per tutti i reati puniti con pena detentiva non superiore nel massimo a tre anni.

2. Il giudice di pace è altresì competente:

 

a) per i delitti consumati o tentai previsti dagli articoli 581, 582, limitatamente alle fattispecie di cui al secondo comma perseguibili a querela di parte, 590, limitatamente alle fattispecie perseguibili a querela di parte e ad esclusione delle fattispecie connesse alla colpa professionale e dei fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale quando, nei casi citati, derivi una malattia di durata superiore a venti giorni, 593, commi primo e secondo, 594, 595, commi primo e secondo, 612, primo comma, 626, 627, 631, salvo che ricorra l'ipotesi di cui all'articolo 639-bis, 632, salvo che ricorra l'ipotesi di cui all'articolo 639-bis, 633, primo comma, salvo che ricorra l'ipotesi di cui all'articolo 639-bis, 635, primo comma, 636, salvo che ricorra l'ipotesi di cui all'articolo 639-bis, 637, 638, primo comma, 639 e 647 del codice penale;

 

b) per le contravvenzioni previste dagli articoli 689, 690, 691, 726 e 731 del codice penale;

 

c) per i delitti, consumati o tentati, e per le contravvenzioni previsti dall'articolo 1094 del codice della navigazione.

 

2. La competenza per i reati di cui al comma 1 del presente articolo e per i reati già attribuiti alla competenza del giudice di pace ai sensi del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, e successive modificazioni, è tuttavia del tribunale se ricorre una o più delle circostanze previste dagli articoli 1 del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 1980, n. 15, 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e 3 del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205.

3. Rimane ferma la competenza del tribunale per i minorenni.

4. Il procedimento dinanzi al giudice di pace è regolato dalle disposizioni speciali e per tutto quanto da queste non previste dalle norme del presente codice".

 

4. All'articolo 11 del codice di procedura penale, dopo il comma 3 è aggiunto il seguente:

 

"3-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche nei procedimenti nei quali l'avvocato iscritto all'albo del consiglio dell'ordine che ha sede nel distretto dell'autorità giudiziaria procedente, assume la qualità di imputato o di persona offesa dal reato".

 

5. Dopo l'articolo 11-bis del codice di procedura penale è inserito il seguente:

 

"Art. 11-ter. (Casi di connessione davanti al giudice di pace) - 1. Davanti al giudice di pace si ha connessione di procedimenti:

 

a) se il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro;

 

b) se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione".

 

6. Dopo l'articolo 15 del codice di procedura penale è inserito il seguente:

 

"Art. 15-bis. (Competenza per materia determinata dalla connessione per i reati del giudice di pace) - 1. Tra procedimenti di competenza del giudice di pace e procedimenti di competenza di altro giudice, si ha connessione solo nel caso di persona imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione.

2. Se alcuni dei procedimenti connessi appartengono alla competenza del giudice di pace e altri a quella della corte di assise o del tribunale, è competente per tutti il giudice superiore.

3. La connessione non opera se non è possibile la riunione dei processi, né tra procedimenti di competenza del giudice di pace e procedimenti di competenza di un giudice speciale".

 

7. Dopo l'articolo 16 del codice di procedura penale è inserito il seguente:

 

"Art. 16-bis. (Competenza per territorio determinata dalla connessione per i reati del giudice di pace) - 1. Nei casi previsti dall'articolo 15-bis, se i reati sono stati commessi in luoghi diversi, la competenza per territorio appartiene per tutti al giudice di pace del luogo in cui è stato commesso il primo reato. Se non è possibile determinare in tal modo la competenza, questa appartiene al giudice di pace del luogo in cui è iniziato il primo dei procedimenti connessi".

 

8. Dopo l'articolo 18 del codice di procedura penale è inserito il seguente:

 

"Art. 18-bis. (Riunione e separazione dei processi pendenti dinanzi al giudice di pace) - 1. Nei casi previsti dall'articolo 19, prima di procedere all'udienza di comparizione, il giudice di pace può ordinare la riunione dei processi, quando questa non pregiudica la rapida definizione degli stessi.

2. Anche fuori dei casi previsti dall'articolo 19, il giudice di pace può ordinare la riunione dei processi quando i reati sono commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre o quando più persone con condotte indipendenti hanno determinato l'evento o quando una persona è imputata di più reati commessi con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, ovvero ogni volta in cui ciò giovi alla celerità e alla completezza dell'accertamento.

3. Prima di procedere all'udienza di comparizione e, comunque, non oltre la dichiarazione di apertura del dibattimento, il giudice di pace ordina la separazione dei processi, qualora ritenga che la riunione possa pregiudicare il tentativo di conciliazione, ovvero la rapida definizione di alcuni fra i processi riuniti".

 

9. L'articolo 21 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 21. (Incompetenza) - 1. L'incompetenza per materia è rilevata, anche di ufficio, in ogni stato e grado del processo, salvo quanto previsto dal comma 2 del presente articolo e dall'articolo 23, comma 2.

2. L'incompetenza per territorio e per connessione è rilevata entro il termine previsto dall'articolo 491, comma 1".

 

10. L'articolo 22 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 22. (Incompetenza dichiarata dal giudice per le indagini preliminari) - 1. Nel corso delle indagini preliminari il giudice, quando rileva la propria incompetenza per qualsiasi causa, pronuncia ordinanza e dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero.

2. Dopo la chiusura delle indagini preliminari il giudice, quando rileva la propria incompetenza per qualsiasi causa, la dichiara con sentenza e ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice competente".

 

11. L'articolo 23 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 23. (Incompetenza dichiarata nel dibattimento di primo grado) - 1. Se nel dibattimento di primo grado il giudice rileva che il processo appartiene alla competenza di altro giudice, dichiara con sentenza la propria incompetenza per qualsiasi causa e ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero.

2. Se il reato appartiene alla cognizione di un giudice di competenza inferiore, l'incompetenza è rilevata o eccepita, a pena di decadenza, entro il termine stabilito dall'articolo 491, comma 1. Il giudice, se ritiene la propria incompetenza, provvede a norma del comma 1".

 

12. Dopo l'articolo 23 del codice di procedura penale è inserito il seguente:

 

"Art. 23-bis.(Competenza del giudice di pace dichiarata da altro giudice) - 1. In ogni stato e grado del processo, se il giudice ritiene che il reato appartiene alla competenza del giudice di pace, lo dichiara con sentenza e ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero. Le prove acquisite dal giudice incompetente sono utilizzabili nel processo davanti al giudice di pace".

 

13. L'articolo 24 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 24. (Decisioni del giudice di appello sulla competenza) - 1. Il giudice di appello pronuncia sentenza di annullamento e ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero quando riconosce che il giudice dl primo grado era incompetente per materia a norma dell'articolo 23, comma 1, ovvero per territorio o per connessione".

 

14. L'articolo 27 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 27. (Misure cautelari disposte dal giudice incompetente) - 1. Le misure cautelari disposte dal giudice che, contestualmente o successivamente, si dichiara incompetente per qualsiasi causa cessano di avere effetto. In ogni altro caso, la misura perde l'efficacia se, entro venti giorni dalla declaratoria di incompetenza, il giudice al quale sono trasmessi gli atti non provvede a norma degli articoli 292, 317 e 321.

2. Il giudice diverso da quello che ha disposto le misure cautelari, nel declinare la propria competenza, dichiara l'inefficacia della misura".

 

15. All'articolo 30 del codice di procedura penale, il comma 3 è sostituito dal seguente:

 

"3. L'ordinanza e la denuncia previste dai commi 1 e 2 non hanno effetto sospensivo sui procedimenti in corso, salvo che la Corte di cassazione, su richiesta dalle parti, disponga diversamente".

 

16. L'articolo 33 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 33. (Capacità del giudice) - 1. Le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi sono stabiliti dalle leggi di ordinamento giudiziario.

2. Attengono alla capacità del giudice le disposizioni sulla destinazione del giudice agli uffici giudiziari e alle sezioni, sulla formazione dei collegi e sulla assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici".

 

17. L'articolo 34 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 34. (Incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento) - 1. Il giudice che ha pronunciato o ha concorso a pronunciare sentenza in un grado del procedimento non può esercitare funzioni di giudice negli altri gradi, né partecipare al giudizio di rinvio dopo l'annullamento o al giudizio per revisione.

2. Non può partecipare al giudizio il giudice che ha emesso il provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare o ha disposto il giudizio immediato o ha emesso decreto penale di condanna o ha deciso sull'impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedere.

3. E' altresì dichiarata l'incompatibilità:

 

a) a partecipare al giudizio del giudice che ha emesso il provvedimento con il quale ha ordinato al pubblico ministero di formulare l'imputazione;

 

b) a partecipare al giudizio del giudice che ha rigettato la richiesta di decreto di condanna;

 

c) a partecipare all'udienza dibattimentale del giudice che ha respinto la richiesta di applicazione di pena concordata per la ritenuta non concedibilità di circostanze attenuanti;

d) a partecipare all'udienza del giudice che ha rigettato la richiesta di applicazione di pena concordata di cui all'articolo 459;

 

e) a partecipare all'udienza del giudice il quale, per la ritenuta diversità del fatto, sulla base di una valutazione del complesso delle indagini preliminari, ha rigettato la domanda di obiezione;

 

f) a partecipare all'udienza del giudice che, all'esito di precedente dibattimento riguardante il medesimo fatto storico a carico dello stesso imputato, ha ordinato la trasmissione degli atti al pubblico ministero a norma dell'articolo 521, comma 2;

 

g) a partecipare all'udienza del giudice per le indagini preliminari che ha applicato una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato;

 

h) a partecipare all'udienza del giudice che, come componente del tribunale di cui all'articolo 309, si è pronunciato sull'ordinanza che dispone una misura cautelare nei confronti dell'indagato o dell'imputato;

 

i) a partecipare alla definizione anticipata del giudizio e a disporre l'applicazione della pena su richiesta delle parti del giudice per le indagini preliminari che ha disposto una misura cautelare gestionale nonché la modifica, la sostituzione o la revoca di una misura cautelare personale ovvero che ha rigettato una richiesta di applicazione, modifica, sostituzione o revoca di una misura cautelare personale;

 

l) a partecipare al giudizio dibattimentale del giudice che ha disposto la modifica, la sostituzione o la revoca di una misura cautelare personale ovvero che ha rigettato una richiesta di applicazione, modifica, sostituzione o revoca di una misura cautelare personale;

 

m) a disporre l'applicazione della pena su richiesta delle parti del giudice che, come componente del tribunale di cui all'articolo 309, si è pronunciato sull'ordinanza che dispone una misura cautelare personale nei confronti dell'indagato o dell'imputato;

 

n) a partecipare al giudizio nei confronti di un imputato del giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilità penale sia già stata comunque valutata.

 

4. Chi ha esercitato funzioni di pubblico ministero o ha svolto atti di polizia giudiziaria o ha prestato ufficio di difensore, di procuratore speciale, di curatore di una parte ovvero di testimone, perito o consulente tecnico o ha proposto denuncia, querela, istanza o richiesta o ha deliberato o ha concorso a deliberare l'autorizzazione a procedere non può esercitare nel medesimo procedimento l'ufficio di giudice".

 

18. L'articolo 36 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 36. (Astensione) - 1. Il giudice ha l'obbligo di astenersi:

 

a) se ha interesse nel procedimento o se alcuna delle parti private o un difensore è debitore o creditore di lui, del coniuge o dei figli;

 

b) se è tutore, curatore, procuratore o datore di lavoro di una delle parti private ovvero se il difensore, procuratore o curatore di una di dette parti è prossimo congiunto di lui o del coniuge;

 

c) se ha dato consigli o manifestato il suo parere sull'oggetto del procedimento fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie;

 

d) se vi è inimicizia grave fra lui o un suo prossimo congiunto e una delle parti private;

 

e) se alcuno dei prossimi congiunti di lui o del coniuge è offeso o danneggiato dal reato o parte privata;

f) se un prossimo congiunto di lui o del coniuge svolge o ha svolto funzioni di pubblico ministero;

 

g) se si trova in taluna delle situazioni di incompatibilità stabilite dagli articoli 41 e 42 e dalle leggi di ordinamento giudiziario;

 

h) se esistono altre gravi ragioni di convenienza.

 

2. I motivi di astensione indicati nel comma 1, lettera b), seconda ipotesi, e lettera e), o derivanti da incompatibilità per ragioni di coniugio o affinità, sussistono anche dopo l'annullamento, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

3. La dichiarazione di astensione è presentata al presidente della corte o del tribunale, che decide con decreto senza formalità di procedura.

4. Sulla dichiarazione di astensione del giudice, anche di pace, decide il presidente del tribunale; su quella del presidente del tribunale decide il presidente della corte di appello; su quella del presidente della corte di appello decide il presidente della Corte di cassazione".

 

19. L'articolo 37 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 37. (Ricusazione) - 1. Il giudice può essere accusato dalle parti:

 

a) nei casi previsti dall'articolo 36, comma 1, lettere a), b), c), d), e), f) e g);

 

b) se nell'esercizio delle funzioni e prima che sia pronunciata sentenza, egli ha manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione.

 

2. Il giudice ricusato non può pronunciare né concorrere a pronunciare sentenza fino a che non sia intervenuta l'ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione, salvo che la dichiarazione riproposta sia fondata sui medesimi motivi".

20. Il comma 2 dell'articolo 38 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"2. Qualora la causa di ricusazione sia sorta o sia divenuta nota dopo la scadenza dei termini previsti dal comma 1, la dichiarazione può essere proposta entro tre giorni".

 

21. L'articolo 40 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 40. (Competenza a decidere sulla ricusazione) - 1. Sulla ricusazione del giudice di pace decide il tribunale; su quella di un giudice del tribunale o della corte di assise o della corte di assise di appello decide la corte di appello; su quella di un giudice della corte di appello decide una sezione della corte stessa, diversa da quella a cui appartiene il giudice ricusato.

2. Sulla ricusazione di un giudice della Corte di cassazione decide una sezione della Corte, diversa da quella a cui appartiene il giudice ricusato.

3. Non è ammessa la ricusazione dei giudici chiamati a decidere sulla ricusazione".

 

22. L'articolo 41 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 41. (Decisione sulla dichiarazione di ricusazione) - 1. Sul merito della ricusazione la corte decide a norma dell'articolo 127. Contro l'ordinanza è proponibile ricorso per cassazione e la corte decide in camera di consiglio a norma dell'articolo 611, dopo aver assunto, se necessario, le opportune informazioni.

2. La corte o il tribunale può disporre, con ordinanza, che il giudice sospenda temporaneamente ogni attività processuale o si limiti al compimento degli atti urgenti.

3. L'ordinanza pronunciata a norma dei commi 1 e 2 è comunicata al giudice ricusato e al pubblico ministero ed è notificata alle parti private".

 

23. L'articolo 42 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 42. (Provvedimenti in caso di accoglimento della dichiarazione di astensione o ricusazione) - 1. Se la dichiarazione di astensione o di ricusazione è accolta, il giudice non può compiere alcun atto del procedimento e quelli compiuti sono inefficaci. Tuttavia, con il provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione, il giudice dichiara se e in quale parte gli atti compiuti precedentemente dal giudice astenutosi o ricusato conservano efficacia".

 

24. L'articolo 43 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 43. (Sostituzione del giudice astenuto o ricusato) - 1. Il giudice astenuto o ricusato è sostituito con altro magistrato dello stesso ufficio designato secondo le leggi di ordinamento giudiziario.

2. Qualora non sia possibile la sostituzione prevista dal comma 1, la corte o il tribunale rimette il procedimento al giudice ugualmente competente per materia determinato a norma dell'articolo 11.

3. Gli atti del procedimento di ricusazione sono trasmessi al Ministro della giustizia, al procuratore generale della Corte di cassazione e al Consiglio superiore della magistratura".

 

25. L'articolo 45 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 45. (Casi di rimessione) - 1. In ogni stato e grado del procedimento, quando la sicurezza o l'incolumità pubblica ovvero la libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo, nonché il pieno esercizio del diritto di difesa e le altre garanzie del giusto processo sono pregiudicati da gravi situazioni locali, anche interne all'ufficio giudiziario competente, tali da turbarne lo svolgimento e non altrimenti eliminabili, la Corte di cassazione, su richiesta motivata del procuratore generale presso la corte di appello, del pubblico ministero presso il giudice che procede, della persona offesa dal reato, della parte civile o dell'imputato, rimette il processo ad altro giudice, designato a norma dell'articolo 11".

26. Il comma 3 dell'articolo 48 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"3. Ferma restando la inutilizzabilità di tutti gli atti compiuti successivamente alla presentazione dell'istanza di rimessione, il giudice designato dalla Corte dl cassazione dichiara, con ordinanza, se e in quale parte gli atti già compiuti siano inutilizzabili. Nel processo davanti a tale giudice le parti esercitano gli stessi diritti e facoltà che sarebbero loro spettati davanti al giudice originariamente competente".

 

 

Art. 4.

 

1. L'articolo 51 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 51 - (Uffici del pubblico ministero. Attribuzioni del procuratore della Repubblica distrettuale) - 1. Le funzioni di pubblico ministero sono esercitate:

 

a) nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado dai magistrati della procura della Repubblica istituiti presso ogni sede del tribunale;

 

b) nei giudizi di impugnazione dai magistrati della procura generale presso la corte di appello o presso la Corte di cassazione.

 

2. Nei casi di avocazione, le funzioni previste dal comma 1, lettera a), sono esercitate dai magistrati della procura generale presso la corte di appello.

3. Le funzioni previste dal comma 1 sono attribuite all'ufficio del pubblico ministero presso il giudice competente a norma del capo II del titolo I.

4. Quando si tratta di procedimenti per i delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 416-bis e 630 del codice penale, per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal citato articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché per i delitti previsti dall'articolo 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, le funzioni indicate nel comma 1, lettera a), sono attribuite alle procure presso tribunali del distretto e sono coordinate dall'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente".

 

 

Art. 5.

 

1. All'articolo 83 del codice di procedura penale, dopo il comma 3 è inserito il seguente:

 

"3-bis. Tra la data di notificazione della citazione e la data della udienza di comparizione devono intercorrere gli stessi termini previsti per la citazione dell'imputato".

 

 

Art. 6.

 

1. L'articolo 275 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 275. (Criteri di scelta delle misure) - 1. Nel disporre le misure, il giudice tiene conto della specifica idoneità di ciascuna in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto.

2. Ogni misura deve essere proporzionata all'entità del fatto e alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata.

3. Non può essere disposta la misura della custodia cautelare se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena.

4. La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata. Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all'articolo 416-bis del codice penale o ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari.

5. Non può essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, quando imputati siano donna incinta o madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, ovvero persona che ha superato l'età di settanta anni.

6. Non può essere disposta né mantenuta la custodia cautelare in carcere quando l'imputato è persona affetta da AIDS conclamato o da grave deficienza immunitaria accertata ai sensi dell'articolo 268-bis, comma 2, ovvero da altra malattia particolarmente grave per effetto della quale le sue condizione di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione e comunque tali da non consentire cure adeguate in caso di detenzione in carcere.

7. Nell'ipotesi di cui al comma 5, se sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza e la custodia cautelare presso idonee strutture sanitarie e penitenziarie non è possibile senza pregiudizio per la salute dell'imputato o di quella degli altri detenuti, il giudice dispone la misura degli arresti domiciliari presso un luogo di cura o di assistenza o di accoglienza. Se l'imputato è affetto da AIDS conclamato o da grave deficienza immunitaria, gli arresti domiciliari possono essere disposti presso le unità operative di malattie infettive ospedaliere ed universitarie o altre unità operative prevalentemente impegnate secondo i piani regionali dell'assistenza ai malati di AIDS, ovvero presso una residenza collettiva o casa alloggio di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 5 giugno 1990, n. 135.

8. Il giudice può comunque disporre la custodia cautelare in carcere qualora il soggetto risulti imputato o se sia stato sottoposto ad altra misura cautelare per uno dei delitti previsti dall'articolo 380, relativamente a fatti commessi dopo l'applicazione delle misure disposte ai sensi dei commi 5 e 6. In tal caso il giudice dispone che l'imputato venga condotto in un istituto dotato di reparto attrezzato per la cura e l'assistenza necessarie.

9. La custodia cautelare in carcere non può comunque essere disposta o mantenuta quando la malattia si trova in una fase così avanzata da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative".

 

2. L'articolo 624-bis del codice di procedura penale è abrogato.

3. L'articolo 279 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 279.(Giudice competente) - 1. Sull'applicazione e sulla revoca delle misure nonché sulle modifiche delle loro modalità esecutive, provvede il giudice che procede. Nel corso delle indagini preliminari e dell'udienza preliminare, nonché nel corso del giudizio quando si tratti di reati per cui procede il giudice monocratico, la richiesta è presentata al tribunale competente per territorio".

 

4. L'articolo 291 del codice di procedura penale e sostituito dal seguente:

 

"Art. 291. (Procedimento applicativo) - 1. Le misure sono disposte su richiesta del pubblico ministero che presenta al giudice individuato a norma dell'articolo 292 gli elementi su cui la richiesta si fonda nonché tutti gli elementi a favore dell'imputato e le eventuali deduzioni e memorie difensive.

2. Se riconosce la propria incompetenza territoriale, il giudice, quando ne ricorrono le condizioni e sussiste l'esigenza di soddisfare taluna delle esigenze cautelari previste dall'articolo 274, dichiara la propria incompetenza. Si applicano in tal caso le disposizioni dell'articolo 27".

 

5. L'articolo 292 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 292. (Ordinanza del giudice) - 1. Sulla richiesta del pubblico ministero il tribunale di cui all'articolo 309, comma 7, provvede con ordinanza.

2. L'ordinanza che dispone le misure cautelari contiene, a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio:

 

a) le generalità dell'imputato o quanto altro valga a identificarlo;

 

b) la descrizione sommaria del fatto con l'indicazione delle norme di legge che si assumono violate;

 

c) l'esposizione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l'indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato;

 

d) l'esposizione dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa, nonché, in caso di applicazione della misura della custodia cautelare, in carcere, l'esposizione delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze di cui all'articolo 274 non possono essere soddisfatte con altre misure;

 

e) la fissazione della data di scadenza della misura, in relazione alle indagini da compiere, allorché questa è disposta al fine di garantire l'esigenza cautelare di cui alla lettera a) del comma 1 dell'articolo 274;

 

f) la data e la sottoscrizione del giudice.

 

3. L'ordinanza contiene altresì la sottoscrizione dell'ausiliario che assiste il giudice, il sigillo dell'ufficio e, se possibile, l'indicazione del luogo in cui probabilmente si trova l'imputato.

4. L'ordinanza è nulla se non contiene la valutazione degli elementi a carico ed a favore dell'imputato, di cui all'articolo 327-bis.

5. L'incertezza circa il giudice che ha emesso il provvedimento ovvero circa la persona nei cui confronti la misura è disposta esime gli ufficiali e gli agenti incaricati dal darvi esecuzione.

6. L'ordinanza è inefficace se non è preceduta dall'esercizio dell'azione penale nelle forme e nei termini di cui all'articolo 426, salvo i casi in cui sussistano inderogabili, concrete e specifiche esigenze cautelari, di cui il giudice deve dare espressa contezza nel provvedimento applicativo, che impediscono di attendere agli adempimenti di cui all'articolo 427 e seguenti.

7. L'ordinanza è nulla quando non siano esposte nel provvedimento inderogabili, concrete e specifiche esigenze, di cui al comma 6, ovvero quando il provvedimento medesimo si determini sul punto come illogico".

 

6. L'articolo 294 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 294. (Interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare personale) - 1. Fino alla trasmissione degli atti al giudice del dibattimento, il tribunale di cui all'articolo 292, se non vi ha provveduto nel corso dell'udienza di convalida dell'arresto o del fermo di indiziato di delitto, procede all'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare immediatamente e comunque non oltre cinque giorni dall'inizio dell'esecuzione della custodia, salvo il caso in cui essa sia assolutamente impedita.

2. Se la persona è sottoposta ad altra misura cautelare, sia coercitiva che interdittiva, l'interrogatorio deve avvenire non oltre dieci giorni dalla esecuzione del provvedimento o dalla sua notificazione.

3. L'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare deve avvenire entro il termine di quarantotto ore se il pubblico ministero ne fa istanza nella richiesta di custodia cautelare.

4. Nel caso di assoluto impedimento, il giudice ne dà atto con decreto motivato e il termine per l'interrogatorio decorre nuovamente dalla data in cui il giudice riceve comunicazione della cessazione dell'impedimento o comunque accerta la cessazione dello stesso.

5. Mediante l'interrogatorio il giudice valuta se permangono le condizioni di applicabilità e le esigenze cautelari previste dagli articoli 273, 274 e 275. Quando ne ricorrono le condizioni, provvede, a norma dell'articolo 312, alla revoca o alla sostituzione della misura disposta.

6. Ai fini di quanto previsto dal comma 3, l'interrogatorio è condotto dal giudice con le modalità indicate negli articoli 63 e 64. Al pubblico ministero e al difensore, che hanno facoltà di intervenire, è dato tempestivo avviso del compimento dell'atto.

7. Per gli interrogatori da assumere nella circoscrizione di altro tribunale, il giudice, qualora non ritenga di procedere personalmente, richiede il giudice per le indagini preliminari del luogo.

8. L'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare da parte del pubblico ministero non può precedere l'interrogatorio del giudice".

 

7. L'articolo 311 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 311. (Ricorso per cassazione) - 1. Il pubblico ministero che ha chiesto l'applicazione della misura, l'imputato e il suo difensore possono, avverso il provvedimento emesso dal tribunale, proporre ricorso per cassazione entro dieci giorni dalla comunicazione o dalla notificazione dell'avviso di deposito del provvedimento. Il ricorso può essere proposto anche dal pubblico ministero presso il tribunale indicato nell'articolo 309, comma 7.

2. Il ricorso è presentato nella cancelleria del giudice che ha emesso la decisione. Il giudice cura che sia dato immediato avviso all'autorità giudiziaria procedente che, entro il giorno successivo, trasmette gli atti alla Corte di cassazione.

3. I motivi devono essere enunciati contestualmente al ricorso, ma il ricorrente ha facoltà di enunciare nuovi motivi davanti alla Corte di cassazione, prima dell'inizio delta discussione.

4. La Corte di cassazione decide entro trenta giorni dalla ricezione degli atti osservando le forme previste dall'articolo 127".

 

Art. 7.

 

1. L'articolo 190 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 190. (Diritto alla prova) - 1. Le prove sono ammesse a richiesta di parte. Il giudice provvede senza ritardo con ordinanza escludendo le prove vietate dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti".

 

2. L'articolo 190-bis del codice di procedura penale è abrogato.

3. L'articolo 192 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 192 (Valutazione della prova) - 1. Il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati.

2. L'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti.

3. Le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato sono valutate, unitamente ad ulteriori elementi di prova che ne confermino l'attendibilità, quando riguardano circostanze e fatti inerenti agli elementi costitutivi del reato direttamente conosciuti ed autonomamente riferiti.

4. La disposizione del comma 3 non si applica alle dichiarazioni basate su conoscenze altrui ed a quelle rese da persona imputata di un reato connesso o collegato. In tal caso si applicano le disposizioni di cui al comma 2".

 

4. L'articolo 267 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 267. (Presupposti e forme del provvedimento) - 1. Il pubblico ministero richiede al giudice per le indagini preliminari l'autorizzazione a disporre le operazioni previste dall'articolo 266. L'autorizzazione è data con decreto motivato quando vi sono gravi indizi di reato e l'intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini. Gli indizi e le ragioni dell'indispensabilità devono essere indicati espressamente nel provvedimento. Le stesse disposizioni si applicano per l'acquisizione di documenti non riguardanti il flusso dei controlli tra utenti telefonici o di altri mezzi di comunicazione.

2. Il pubblico ministero procede alle operazioni personalmente ovvero avvalendosi di un ufficiale di polizia giudiziaria.

3. In apposito registro riservato tenuto nell'ufficio del pubblico ministero sono annotati, secondo un ordine cronologico, i decreti che dispongono, autorizzano, convalidano o prorogano le intercettazioni e, per ciascuna intercettazione, l'inizio e il termine delle operazioni".

 

 

Art. 8.

 

1. L'articolo 328 del codice di procedura penale è sostituto dal seguente:

 

"Art. 328. (Giudice per le indagini preliminari) - 1. Nei casi previsti dalla legge, sulle richieste del pubblico ministero, delle parti private e della persona offesa dal reato, provvede il giudice per le indagini preliminari".

 

2. L'articolo 330 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 330. (Acquisizione delle notizie di reato) - 1. La polizia giudiziaria prende notizia dei reati di propria iniziativa e riceve le notizie di reato presentate o trasmesse a norma degli articoli seguenti.

2. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche al pubblico ministero".

 

3. L'articolo 335 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 335 (Registro delle notizie di reato) - 1. Il pubblico ministero iscrive immediatamente, nell'apposito registro custodito presso l'ufficio, ogni notizia di reato che gli perviene o che ha acquisito di propria iniziativa nonché, contestualmente o dal momento in cui risulta, il nome della persona alla quale il reato stesso è attribuito.

2. Se nel corso delle indagini preliminari muta la qualificazione giuridica del fatto ovvero questo risulta diversamente circostanziato, il pubblico ministero cura l'aggiornamento delle iscrizioni previste dal comma 1 senza procedere a nuove iscrizioni.

3. Ad esclusione dei casi in cui si procede per uno dei delitti di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), le iscrizioni previste dai commi 1 e 2 sono comunicate alla persona alla quale il reato è attribuito, alla persona offesa e ai rispettivi difensori.

4. Se sussistono specifiche esigenze attinenti all'attività di indagine, il giudice per le indagini preliminari, su richiesta del pubblico ministero, può disporre, con decreto motivato, il segreto sulle iscrizioni per un periodo non superiore a tre mesi e non rinnovabile".

 

4. L'articolo 347 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 347. (Obbligo di riferire la notizia del reato) - 1. La polizia giudiziaria dà immediata e preliminare comunicazione al pubblico ministero del giorno e dell'ora in cui ha acquisito la notizia di reato indicando gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi sino ad allora raccolti e, quando è possibile, le generalità, il domicilio e quanto altro valga alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti.

2. La polizia giudiziaria, terminate le indagini, ne riferisce, senza ritardo, al pubblico ministero allegando la documentazione relativa a tutti gli atti compiuti".

 

5. L'articolo 348 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 348. (Assicurazione delle fonti di prova) - 1. Anche successivamente alla comunicazione della notizia di reato, la polizia giudiziaria continua a svolgere le funzioni indicate nell'articolo 55 raccogliendo in specie ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole.

2. Al fine indicato nel comma 1, la polizia giudiziaria procede, fra l'altro:

 

a) alla ricerca delle cose e delle tracce pertinenti al reato nonché alla conservazione di esse e dello stato dei luoghi;

 

b) alla ricerca delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti;

 

c) al compimento degli atti indicati negli articoli seguenti.

 

3. Quando il pubblico ministero assume personalmente la direzione delle indagini la polizia giudiziaria compie gli atti ad essa specificamente delegati a norma dell'articolo 370 e tutte le attività d'indagine che, anche nell'ambito delle direttive impartite, sono necessarie per accertare i reati, ovvero sono richieste da elementi successivamente emersi. In tal caso assicura le nuove fonti di prova delle quali viene a conoscenza, informando prontamente il pubblico ministero.

4. La polizia giudiziaria, quando, di propria iniziativa o a seguito di delega del pubblico ministero, compie atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, può avvalersi di persone idonee le quali non possono rifiutare la propria opera".

 

6. L'articolo 369 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 369. (Informazione di garanzia) - 1. Dopo il compimento delle attività di polizia giudiziaria, quando ritenga di svolgere atti d'indagine, il pubblico ministero invia per posta, in piego chiuso raccomandato con ricevuta di ritorno, alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, una informazione di garanzia con indicazione delle norme di legge che si assumono violate, della data e del luogo del fatto e con invito a esercitare la facoltà di nominare un difensore di fiducia.

2. Qualora ne ravvisi la necessità ovvero l'ufficio postale restituisca il piego per irreperibilità del destinatario, il pubblico ministero può disporre che l'informazione di garanzia sia notificata a norma dell'articolo 151".

 

7. L'articolo 370 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 370. (Atti diretti e atti delegati) - 1. Dopo l'informativa di cui al comma 2 dell'articolo 348, il pubblico ministero compie personalmente ogni attività di indagine. Può avvalersi della polizia giudiziaria per il compimento di attività di indagine e di atti specificamente delegati, ivi compresi gli interrogatori ed i confronti cui partecipi la persona sottoposta alle indagini che si trovi in stato di libertà, con l'assistenza necessaria del difensore.

2. Quando procede a norma del comma 1, la polizia giudiziaria osserva le disposizioni degli articoli 364, 365 e 366.

3. Per singoli atti da assumere nella circoscrizione di altro tribunale il pubblico ministero, qualora non ritenga di procedere personalmente, può delegare, secondo la rispettiva competenza per materia, il pubblico ministero presso il tribunale del luogo.

4. Quando ricorrono ragioni di urgenza o altri gravi motivi, il pubblico ministero delegato a norma del comma 3 ha facoltà di procedere di propria iniziativa anche agli atti che a seguito dello svolgimento di quelli specificamente delegati appaiono necessari ai fini delle indagini".

 

8. L'articolo 372 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 372. (Avocazione delle indagini) - 1. Il procuratore generale presso la corte di appello dispone, con decreto motivato, e assunte, quando occorre, le necessarie informazioni, l'avocazione delle indagini preliminari quando:

 

a) in conseguenza dell'astensione o della incompatibilità del magistrato designato, non è possibile provvedere alla sua tempestiva sostituzione;

 

b) il capo dell'ufficio del pubblico ministero ha omesso di provvedere alla tempestiva sostituzione del magistrato designato per le indagini nei casi previsti dall'articolo 36, comma 1, lettere a), b), d) ed e), e quando sussistano gravi ragioni di convenienza.

 

2. Il procuratore generale presso la corte di appello, assunte le necessarie informazioni, dispone altresì, con decreto motivato, l'avocazione delle indagini preliminari relative a taluno dei delitti previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), nonché dei delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, quando, trattandosi di indagini collegate, non risulta effettivo il coordinamento delle indagini previste dall'articolo 371, comma 1, e non hanno dato esito le riunioni per il coordinamento disposte o promosse dal procuratore generale anche d'intesa con altri procuratori generali interessati.

3. In ogni caso, il procuratore generate presso la corte di appello, assunte le necessarie informazioni, dispone, con decreto motivato, l'avocazione delle indagini preliminari nei casi in cui il magistrato designato per le indagini versi in una delle situazioni previste dall'articolo 36, comma 1, lettere a), b), d) ed e) ovvero sussistano gravi ragioni di convenienza.

4. Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 406 e 407. Nel caso in cui i termini previsti da tali articoli siano scaduti, il procuratore generale deve procedere al compimento delle indagini nel termine di sei mesi".

 

9. L'articolo 384 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 384. (Fermo di indiziato di delitto) - 1. Anche fuori dei casi di flagranza, quando sussistono specifici elementi che fanno ritenere fondato il pericolo di fuga, la polizia giudiziaria dispone il fermo della persona gravemente indiziata di un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a due anni e superiore nel massimo a sei anni ovvero di un delitto concernente le armi da guerra e gli esplosivi".

10. L'articolo 390 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 390. (Richiesta di convalida dell'arresto o del fermo) - 1. Entro quarantotto ore dall'arresto o dal fermo il pubblico ministero, qualora non debba ordinare la immediata liberazione dell'arrestato o del fermato, richiede la convalida al giudice indicato dall'articolo 279.

2. Il giudice fissa l'udienza di convalida al più presto e comunque entro le quarantotto ore successive dandone avviso, senza ritardo, al pubblico ministero e al difensore.

3. L'arresto o il fermo diviene inefficace se il pubblico ministero non osserva le prescrizioni del comma 1.

4. Se non ritiene di comparire, il pubblico ministero trasmette al giudice, per l'udienza di convalida, le richieste in ordine alla libertà personale con gli elementi su cui le stesse si fondano".

 

11. Il titolo VI-bis del libro V del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

 

"TITOLO VI-bis

INDAGINI DIFENSIVE

 

Art. 391-bis. (Casi e forme delle ispezioni) - 1. Se è necessario procedere ad ispezioni il difensore ne fa richiesta al giudice per le indagini preliminari che, in presenza dei presupposti previsti degli articoli 247 e seguenti, lo autorizza con decreto motivato, indicando l'autorità di polizia giudiziaria che ne cura l'esecuzione.

2. Per quanto non espressamente previsto dal presente articolo si applicano le disposizioni del capo I del titolo III del libro III.

 

Art. 391-ter (Casi e forme delle perquisizioni) - 1. Se è necessario procedere a perquisizione il difensore ne fa richiesta al giudice per le indagini preliminari che, in presenza dei presupposti previsti dall'articolo 247, comma 1, primo periodo, o quando vi è fondato motivo di ritenere che le cose ivi indicate si trovino in un determinato luogo, lo autorizza con decreto motivato, indicando l'autorità di polizia giudiziaria che ne cura l'esecuzione.

2. Per quanto non espressamente previsto dal presente articolo, si applicano le disposizioni del capo II, titolo III del libro III.

 

Art. 391-quater. (Oggetto e formalità del sequestro)- 1. Se è necessario procedere a sequestro ai sensi dell'articolo 252 e segg., il difensore ne fa richiesta al giudicò per le indagini preliminari che, in presenza dei presupposti previsti dal presente codice, lo autorizza con decreto motivato, indicando l'autorità di polizia giudiziaria che ne cura l'esecuzione.

2. Per quanto non espressamente previsto dal presente articolo, si applicano le disposizioni del capo III, del titolo III del libro III.

 

Art. 391-quinquies. (Richiesta di documentazione alla pubblica amministrazione) - 1. Ai fini delle indagini difensive, il difensore può chiedere i documenti in possesso della pubblica amministrazione ed estrarne copia a sue spese.

2. L'istanza deve essere rivolta alla pubblica amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente.

3. Il rifiuto da parte della pubblica amministrazione deve essere motivato. Il giudice, a richiesta di parte, previa esecuzione degli accertamenti necessari, ordina l'esibizione dei documenti non coperti da segreto professionale o da segreto di ufficio ovvero da segreto di Stato.

 

Art. 391-sexies. (Accesso di luoghi e documentazione)- 1. Quando effettuano un accesso per prendere visione dello stato dei luoghi e delle cose ovvero per procedere alla loro descrizione o per eseguire rilievi tecnici, grafici, planimetrici, fotografici o audivisivi, il difensore, il sostituto, gli investitori privati autorizzati o i consulenti tecnici, possono redigere un verbale nel quale sono riportati:

 

a) la data ed il luogo dell'accesso;

b) le proprie generalità e quelle delle persone intervenute;

 

c) la descrizione dello stato dei luoghi e delle cose;

 

d) l'indicazione degli eventuali rilievi tecnici, grafici, planimetrici, fotografici o audiovisivi eseguiti, che fanno parte integrante dell'atto e sono allegati al medesimo. Il verbale è sottoscritto dalle persone intervenute.

 

Art. 391-septies. (Accesso ai luoghi privati o non aperti al pubblico)- 1. Se è necessario accedere ai luoghi privati o non aperti al pubblico e non vi è il consenso di chi ne ha l'attuale disponibilità, l'accesso, su richiesta del difensore, è autorizzato dal giudice per le indagini preliminari con decreto motivato che ne specifica le concrete modalità.

2. Nel caso di cui al comma 1, la persona presente è avvertita della facoltà di farsi assistere da persona di fiducia, purché questa sia prontamente reperibile ed idonea a norma dell'articolo 97.

3. Non è consentito l'accesso ai luoghi di abitazione e loro appartenenze, salvo che sia necessario accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato.

 

Art. 391-octies. (Intercettazioni di comunicazioni) - 1. Se è necessario procedere ad intercettazione telefonica o ambientale ovvero acquisire dati trasmessi per via telematica, il difensore ne fa richiesta al giudice per le indagini preliminari che, in presenza dei presupposti previsti agli articoli 266 e seguenti, lo autorizza con decreto motivato, indicando l'autorità di polizia giudiziaria che ne cura l'esecuzione presso gli impianti della procura o altrove.

2. Per quanto non espressamente previsto dal presente articolo, si applicano le disposizioni del capo IV, del titolo III, del libro III.

 

Art. 391-nonies. (Assunzione di informazioni nell'attività investigativa del difensore) - 1. Salve le incompatibilità previste dall'articolo 197, comma 1, lettere c) e d), per assumere informazioni il difensore, il sostituto, gli investigatori privati autorizzati o i consulenti tecnici possono conferire con le persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell'attività investigativa.

 

Art. 391-decies. (Documentazione delle attività investigative del difensore) - 1. Il difensore o il sostituto può sottoporre ad esame le persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell'attività investigativa ovvero chiedere loro una dichiarazione scritta, previo avviso alle medesime:

 

a) della propria qualità e dello scopo del colloquio;

 

b) della facoltà di non rispondere o di non rilasciare la dichiarazione, con avvertimento che in tal caso può essere disposta dal giudice l'audizione prevista dal comma 7;

 

c) dell'obbligo di dichiarare se sono sottoposte ad indagini o sono imputate nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato, e della conseguente facoltà di non rispondere;

 

d) del divieto di rivelare le domande eventualmente formulate dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero e le risposte date;

 

e) delle responsabilità penali conseguenti alla falsa o reticente dichiarazione.

 

2. Per conferire con una persona sottoposta ad indagini o imputata nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato, deve essere dato avviso, almeno ventiquattro ore prima, al suo difensore.

3. Alle persone già sentite dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dal difensore o, dal sostituto non possono essere chieste informazioni sulle domande formulate e sulle risposte date o comunque sull'attività investigativa svolta.

4. Le informazioni assunte in violazione di una delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 non possono essere utilizzate. La violazione di tali disposizioni costituisce illecito disciplinare ed è comunicata dal giudice che procede all'organo titolare del potere disciplinare.

5. Per assumere informazioni da persona detenuta, il difensore deve munirsi di specifica autorizzazione del giudice che procede nei confronti della stessa, sentiti il suo difensore ed il pubblico ministero. Prima dell'esercizio dell'azione penale l'autorizzazione è data dal giudice per le indagini preliminari. Durante l'esecuzione della pena provvede il magistrato di sorveglianza.

6. All'assunzione di informazioni non possono assistere la persona sottoposta alle indagini, la persona offesa e le altri parti private.

7. Quando la persona in grado di riferire circostanze utili ai fini dell'attività investigativa abbia esercitato la facoltà di cui alla lettera b) del comma 1, il giudice, su richiesta del difensore, ne dispone l'audizione, fatta eccezione per le persone sottoposte ad indagini o imputate nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato.

8. Il difensore o il sostituto, nel corso dell'attività investigativa, interrompe l'esame della persona non imputata ovvero della persona non sottoposta alle indagini, qualora essa renda dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo carico. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese. Se la persona doveva essere sentita sin dall'inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate.

9. La dichiarazione è autenticata dal difensore o dal sostituto, che redige una relazione nella quale sono riportati:

 

a) la data in cui ha ricevuto la dichiarazione;

 

b) le proprie generalità e quelle della persona che ha rilasciato la dichiarazione;

 

c) l'attestazione di aver rivolto gli avvertimenti previsti dal comma 1;

d) i fatti sui quali verte la dichiarazione.

 

10. La dichiarazione è allegata alla relazione.

11. Le dichiarazioni delle persone che forniscono informazioni possono essere documentate anche mediante trascrizione, verbalizzazione, registrazione con mezzi meccanici, fonografici o audiovisivi.

 

Art. 391-undecies. (Audizione delle persone sentite dalle parti) - 1. Ai fini della decisione da adottare, il giudice può disporre, anche di ufficio, l'audizione delle persone che hanno rilasciato dichiarazioni prodotte dalle parti, ordinandone la citazione e dandone avviso.

2. Alle dichiarazioni assunte a norma del comma 1 e dell'articolo 391-decies, comma 7, si applicano le disposizioni relative alle dichiarazioni previste dall'articolo 415-bis.

 

Art. 391-duodecies. (Potere di segretazione del pubblico ministero) - 1. Se sussistono specifiche esigenze attinenti all'attività di indagine, il pubblico ministero può disporre, con decreto motivato, l'obbligo del segreto sulle dichiarazioni rese a sé o alla polizia giudiziaria e vietare alle persone sentite di comunicare i fatti e le circostanze oggetto dell'indagine di cui hanno conoscenza. L'obbligo del segreto non può avere una durata superiore ad un mese.

2. Il pubblico ministero, nel comunicare l'obbligo del segreto alle persone che hanno rilasciato le dichiarazioni, le avverte delle responsabilità penali conseguenti all'indebita rivelazione delle notizie.

 

Art. 391-terdecies. (Fascicolo del difensore) - 1. Nel corso delle indagini preliminari e nell'udienza preliminare, quando il giudice deve adottare una decisione con l'intervento della parte privata, il difensore può presentargli direttamente gli elementi di prova a favore del proprio assistito.

2. Nel corso delle indagini preliminari il difensore che abbia conoscenza di un procedimento penale può presentare gli elementi difensivi di cui al comma 1 direttamente al giudice, perché ne tenga conto anche nel caso in cui debba adottare una decisione per la quale non è previsto l'intervento della parte assistita.

3. La documentazione, in copia, è inserita nel fascicolo del difensore, che è formato e conservato presso l'ufficio del giudice per le indagini preliminari. Della documentazione il pubblico ministero può prendere visione ed estrarre copia prima che venga adottata una decisione su richiesta delle altre parti o con il loro intervento. Dopo la chiusura delle indagini preliminari il fascicolo del difensore è conservato presso l'ufficio del pubblico ministero, unitamente al fascicolo degli atti di indagine.

4. Il difensore può, in ogni caso, presentare al pubblico ministero gli elementi di prova a favore del proprio assistito".

 

12. L'articolo 398 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 398. (Provvedimenti sulla richiesta di incidente probatorio) - 1. Entro due giorni dal deposito della prova della notifica e comunque dopo la scadenza del termine previsto dall'articolo 396, comma 1, il giudice pronuncia ordinanza con la quale accoglie, dichiara inammissibile o rigetta la richiesta di incidente probatorio. L'ordinanza di inammissibilità o di rigetto è immediatamente comunicata al pubblico ministero e notificata alle persone interessate.

2. Con l'ordinanza che accoglie la richiesta il giudice stabilisce:

 

a) l'oggetto della prova nei limiti della richiesta e delle deduzioni;

 

b) le persone interessate all'assunzione della prova individuate sulla base della richiesta e delle deduzioni;

 

c) la data dell'udienza con avviso agli interessati di depositare, non più tardi di cinque giorni prima, della data stessa, gli atti d'indagine in loro possesso e che 41 tale deposito è condizione per la loro utilizzabilità nell'ulteriore corso del procedimento. Tra il provvedimento e la data dell'udienza non può intercorrere un termine superiore a dieci giorni.

3. Il giudice fa notificare alla persona sottoposta alle indagini, alla persona offesa e ai difensori avviso del giorno, dell'ora e del luogo in cui si deve procedere all'incidente probatorio almeno due giorni prima della data fissata con l'avvertimento che nei due giorni precedenti l'udienza possono prendere cognizione ed estrarre copia delle dichiarazioni già rese dalla persona da esaminare. Nello stesso termine l'avviso è comunicato al pubblico ministero.

4. La persona sottoposta alle indagini ed i difensori delle parti hanno diritto di ottenere copia degli atti depositati ai sensi dell'articolo 393, comma 2-bis.

5. Se si deve procedere a più incidenti probatori, essi sono assegnati alla medesima udienza, sempreché non ne derivi ritardo.

6. Quando ricorrono ragioni di urgenza e l'incidente probatorio non può essere svolto nella circoscrizione del giudice competente, quest'ultimo può delegare il giudice per le indagini preliminari del luogo dove la prova deve essere assunta.

7. Nel caso di indagini che riguardano ipotesi di reato previste dagli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-octies del codice penale, il giudice, ove fra le persone interessate all'assunzione della prova vi siano minori di anni sedici, con l'ordinanza di cui al comma 2, stabilisce il luogo, il tempo e le modalità particolari attraverso cui procedere all'incidente probatorio, quando le esigenze del minore lo rendono necessario od opportuno. A tal fine l'udienza può svolgersi anche in luogo diverso dal tribunale, avvalendosi il giudice, ove esistano, di strutture specializzate di assistenza o, in mancanza, presso l'abitazione dello stesso minore. Le dichiarazioni testimoniali devono essere documentate integralmente con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva. Quando si verifica una indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico, si provvede con le forme della perizia ovvero della consulenza tecnica. Dell'interrogatorio è anche redatto verbale in forma riassuntiva. La trascrizione della riproduzione è disposta solo se richiesta dalle parti".

 

 

Art. 9.

 

1. L'articolo 415-bis del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 415-bis. (Avviso all'indagato della chiusura delle indagini).- 1. Prima della scadenza del termine previsto dal comma 2 dell'articolo 405, anche se prorogato, il pubblico ministero, se non deve formulare richiesta di archiviazione ai sensi degli articoli 408 e 411, fa notificare all'indagato ed alla persona offesa dal reato l'avviso di chiusura delle indagini.

2. L'avviso contiene:

 

a) le generalità dell'indagato o le altre indicazioni che valgano a identificarlo nonché le generalità della persona offesa dal reato qualora ne sia possibile l'identificazione;

 

b) l'enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge;

 

c) l'indicazione analitica delle fonti di prova acquisite;

 

d) la data e la sottoscrizione.

 

3. L'avviso contiene altresì:

 

a) l'avvertimento che la documentazione relativa alle indagini espletate è depositata presso la segreteria del pubblico ministero e che l'indagato ed il suo difensore hanno facoltà di prenderne visione ed estrarne copia;

 

b) l'avvertimento che l'indagato ha facoltà, entro il termine di sessanta giorni, di presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni difensive;

 

c) l'avviso che l'indagato e il suo difensore hanno facoltà, entro lo stesso termine di cui alla lettera b), di presentare al giudice per le indagini preliminari la richiesta di acquisizione di tutti i mezzi di prova previsti dal libro III che ritengono necessari;

 

d) l'avviso che, decorso il termine di cui alla lettera b), il pubblico ministero presenterà al giudice la richiesta di citazione ai sensi dell'articolo 415-quater.

 

4. L'indagato deve presentare la richiesta di cui al comma 3 nella segreteria del pubblico ministero".

 

2. Dopo l'articolo 415-bis del codice di procedura penale sono inseriti i seguenti:

 

"Art. 415-ter. (Acquisizione delle prove richieste dalla difesa).- 1. Qualora l'indagato si sia avvalso della facoltà di cui all'articolo 415-bis, comma 3, il pubblico ministero deposita nella cancelleria del giudice il fascicolo contenente la notizia di reato e la documentazione relativa a tutte le indagini espletate.

2. Entro dieci giorni dal deposito del fascicolo, il giudice fissa con decreto il giorno, l'ora e il luogo dell'udienza in camera di consiglio, provvedendo a norma dell'articolo 97 quando l'indagato è privo del difensore di fiducia.

3. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 392 e seguenti.

4. Il giudice provvede con ordinanza all'ammissione delle prove richieste a norma del comma 1, e di quelle di cui ritiene indispensabile l'acquisizione. L'ammissione di prove già contenute nel fascicolo depositato a norma del comma 1, è disposta solo quando risulti necessario.

5. Con l'ordinanza che ammette le prove, il giudice, se non è possibile procedere immediatamente all'assunzione delle stesse, fissa la data della nuova udienza dando le disposizioni necessarie per la citazione dei testimoni, delle persone indicate nell'articolo 210 e dei periti ovvero per l'espletamento di confronti e di ricognizioni.

6. L'audizione e l'interrogatorio delle persone di cui sia stata disposta l'ammissione, sono condotti direttamente dalle parti con le forme previste dagli articoli 498 e 499.

 

Art. 415-quater. (Richiesta di citazione a giudizio).- 1. Esaurita l'acquisizione delle prove richieste il giudice dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero il quale, entro trenta giorni, se non deve formulare richiesta di archiviazione ai sensi degli articoli 408 e 409, notifica all'imputato la richiesta di citazione a giudizio.

2. La richiesta contiene:

 

a) le generalità dell'imputato o le altre indicazioni che valgano a identificarlo nonché le generalità della persona offesa dal reato qualora ne sia possibile l'identificazione;

 

b) l'enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge;

 

c) l'avviso che l'imputato ha facoltà di richiedere, entro cinque giorni dalla notificazione della richiesta, con atto depositato nella segreteria del pubblico ministero, la definizione anticipata del processo avvertendolo che saranno utilizzati ai fini del giudizio gli atti acquisiti nel corso delle indagini preliminari e quelli assunti dal giudice dopo l'avviso di chiusura delle stesse e che in caso di condanna la pena irrogata, tenuto conto di tutte le circostanze, sarà diminuita di un terzo e che alla pena dell'ergastolo sarà sostituita la pena di trent'anni di reclusione;

 

d) l'avviso che qualora ne ricorrano i presupposti l'imputato può chiedere l'applicazione della pena con atto depositato nella segreteria del pubblico ministero secondo le forme di cui alla lettera c);

 

e) l'avviso che qualora l'imputato non si avvalga di alcuna delle facoltà previste dalle lettere c) e d), il pubblico ministero presenterà il fascicolo al giudice monocratico;

 

f) la data e la sottoscrizione.

3. Il pubblico ministero emette richiesta di citazione a giudizio nel caso in cui l'imputato non si sia avvalso della facoltà di cui all'articolo 415-bis, comma 3, lettera c)".

 

3. Il titolo IX del libro V del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

 

"TITOLO IX

GIURISDIZIONE MONOCRATICA

 

 

Capo I

COSTITUZIONE DELLE PARTI

 

Art. 416. (Presentazione della richiesta di citazione).- 1. Decorso il termine di cui all'articolo 415-quater, comma 1, il pubblico ministero deposita nella cancelleria del giudice, unitamente alla prova della notifica della richiesta, il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate ed ai verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari. Il corpo del reato e le cose pertinenti al reato sono allegati al fascicolo qualora non debbano essere custoditi altrove.

2. Qualora l'imputato di reati di competenza del giudice abbia esercitato le facoltà di cui all'articolo 415-quater, comma 2, lettere c) e d), il giudice, entro cinque giorni, emette l'avviso di comparizione. Qualora l'imputato non abbia esercitato tali facoltà l'avviso contiene gli avvertimenti di cui all'articolo 451.

3. Qualora l'imputato, al quale siano stati contestati reati di competenza del tribunale, abbia esercitato le facoltà di cui all'articolo 415-quater, il giudice emette il decreto che dispone il giudizio osservando il disposto di cui all'articolo 451.

4. Qualora l'imputato di reati di competenza del tribunale non si sia avvalso delle facoltà di cui all'articolo 415-quater, comma 2, lettere c) e d), il giudice emette l'avviso di comparizione per l'udienza predibattimentale.

Art. 417. (Avviso di comparazione).- 1. l'avviso di comparizione contiene:

 

a) le generalità dell'imputato e le altre indicazioni personali che valgono ad identificarlo nonché le generalità delle altre parti private con l'indicazione dei difensori;

 

b) l'indicazione del giudice competente per il giudizio;

 

c) l'indicazione del luogo, del giorno e dell'ora della comparizione;

 

d) la data e la sottoscrizione del giudice e del suo ausiliario.

 

2. Il giudice fa notificare all'imputato e alla persona offesa, della quale risultino l'identità e il domicilio, l'avviso del giorno, dell'ora e del luogo dell'udienza.

3. L'avviso è altresì comunicato al pubblico ministero e notificato al difensore dell'imputato.

4. Gli avvisi sono notificati almeno dieci giorni prima della data dell'udienza. Entro lo stesso termine è notificata la citazione del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria.

5. Le disposizioni dei commi 2, 3 e 4 sono previste a pena di nullità.

 

Art. 418. (Disciplina dell'udienza).- 1. L'udienza si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del pubblico ministero e del difensore dell'imputato.

2. Il giudice procede agli accertamenti relativi alla costituzione delle parti ordinando la rinnovazione degli avvisi, delle citazioni, delle comunicazioni e delle comunicazioni di cui dichiara la nullità.

 

Art. 419. (Rinnovazione dell'avviso).- 1. Il giudice dispone, anche d'ufficio, che sia rinnovato l'avviso di comparizione a norma dell'articolo 417, comma 1, quando è provato o appare probabile che l'imputato non ne abbia avuto effettiva conoscenza, sempre che il fatto non sia dovuto a sua colpa e fuori dei casi di notificazione mediante consegna al difensore a norma degli articoli 159, 161, comma 4, e 169.

2. La probabilità che l'imputato non abbia avuto conoscenza dell'avviso è liberamente valutata dal giudice. Tale valutazione non può formare oggetto di discussione successiva né motivo di impugnazione.

 

 

Capo II.

DISCUSSIONE

 

Art. 420. (Svolgimento della discussione).- 1. Il pubblico ministero e successivamente i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell'imputato illustrano le rispettive conclusioni.

2. Se l'imputato ha chiesto la definizione anticipata del processo, nell'udienza il pubblico ministero, ove ritenga provata la responsabilità dell'imputato, indica la pena alla quale lo stesso deve essere condannato. La parte civile presenta le sue conclusioni scritte.

3. Nel caso in cui l'imputato non abbia chiesto la definizione del processo nell'udienza, il pubblico ministero sollecita i provvedimenti di cui all'articolo 423 ovvero di cui all'articolo 429.

4. Il pubblico ministero e i difensori possono replicare una sola volta.

 

 

Capo III.

DECISIONI

 

 

Sezione I

Deliberazione

 

Art. 421. (Provvedimenti del giudice ).- 1. Esaurita la discussione, il giudice procede alla deliberazione pronunciando, secondo i casi, sentenza di non luogo a procedere, sentenza di condanna o di assoluzione o il decreto che dispone il giudizio.

2. Il giudice dà immediata lettura del provvedimento. La lettura equivale a notificazione per le parti presenti.

3. Il provvedimento è immediatamente depositato in cancelleria. Le parti hanno diritto di ottenerne copia.

4. Tutti i provvedimenti adottati nell'udienza sono notificati all'imputato non presente.

 

 

 

Sezione II

Sentenze

 

Art. 422. (Sentenze di proscioglimento).- 1. Se sussiste una causa che estingue il reato o per la quale l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita, se il fatto non è previsto dalla legge come reato ovvero quando risulta che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o che si tratta di persona non punibile per qualsiasi causa, il giudice pronunzia sentenza di non luogo a procedere, indicandone la causa nel dispositivo.

2. Ai fini della pronunzia della sentenza di cui al comma 1, il giudice tiene conto delle circostanze attenuanti. Si applicano le disposizioni dell'articolo 79 del codice penale.

3. Si applicano in ogni caso gli articoli 529, 530, 531 e 532.

4. Si applicano le disposizioni dell'articolo 537.

 

Art. 423. (Sentenza di condanna).- 1. Nel caso in cui l'imputato abbia chiesto la definizione del processo in udienza e risulti colpevole del reato contestatogli, il giudice pronunzia sentenza di condanna applicando la pena e l'eventuale misura di sicurezza.

2. La pena applicata, tenuto conto di tutte le circostanze, è diminuita di un terzo. Alla pena dell'ergastolo è sostituita quella massima temporanea.

3. Si applicano l'articolo 533, commi 2 e 3, e gli articoli da 534 a 537.

4. Il giudice decide sulle domande relative alla restituzione ed al risarcimento del danno osservando le disposizioni di cui agli articoli 538 e 543.

 

Art. 424. (Requisiti della sentenza).- 1. La sentenza contiene:

 

a) l'intestazione in nome del popolo italiano e l'indicazione dell'autorità che l'ha pronunziata;

 

b) le generalità dell'imputato o le altre indicazioni personali che valgono ad identificarlo nonché le generalità delle altre parti private;

 

c) l'imputazione;

 

d) l'indicazione delle conclusioni delle parti e delle facoltà esercitate ai sensi dell'articolo 415-quater;

 

e) l'esposizione sommaria dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, con l'indicazione delle prove poste a base della decisione stessa e l'enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie;

 

f) il dispositivo, con l'indicazione dei relativi articoli di legge applicati;

 

g) la data e la sottoscrizione del giudice.

 

2. In caso di impedimento del giudice la sentenza è sottoscritta dal presidente del tribunale previa menzione della causa della sostituzione.

 

3. Oltre che nel caso previsto dall'articolo 125, comma 3, la sentenza è nulla se manca o e incompleto nei suoi elementi essenziali il dispositivo ovvero se manca la sottoscrizione del giudice.

4. Qualora non sia possibile procedere alla redazione immediata dei motivi della sentenza di non luogo a procedere, il giudice provvede non oltre il trentesimo giorno da quello della pronunzia.

 

Art. 425. - (Condanna del querelante alle spese e ai danni).- 1. Quando si tratta di reato per il quale si procede a querela della persona offesa, con la sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso, il giudice condanna il querelante al pagamento delle spese del procedimento anticipate dallo Stato.

2. Nei casi previsti dal comma 1, il giudice, quando ne è fatta domanda, condanna inoltre il querelante alla rifusione delle spese sostenute dall'imputato e, se il querelante si è costituito parte civile, anche di quelle sostenute dal responsabile civile citato o intervenuto. Quando ricorrono giusti motivi, le spese possono essere compensate in tutto o in parte.

3. Se vi è colpa grave, il giudice può condannare il querelante a risarcire i danni all'imputato e al responsabile civile che ne hanno fatto domanda.

4. Contro il capo della sentenza di non luogo a procedere che decide sulle spese e sui danni possono proporre impugnazione, a norma dell'articolo 421, il querelante, l'imputato e il responsabile civile.

5. Se il reato è estinto per remissione della querela, si applica la disposizione dell'articolo 340, comma 4.

 

 

Sezione III

Impugnazioni

 

Art. 426. (Impugnazione delle sentenze). - 1. Per l'impugnazione delle sentenze emesse nell'udienza preliminare si applicano le disposizioni del libro IX.

 

Art. 427. (Citazione a giudizio). - 1. Qualora l'imputato non si sia avvalso delle facoltà previste dall'articolo 415-quater e non sia possibile pronunziare sentenza di non luogo a procedere, il giudice emette decreto che dispone il giudizio dinanzi al tribunale in composizione collegiale.

2. Il decreto che dispone il giudizio contiene:

 

a) le generalità dell'imputato e le altre indicazioni personali che valgono ad identificarlo nonché le generalità delle altre parti private con l'indicazione dei difensori;

b) l'indicazione della persona offesa dal reato qualora identificata;

 

c) l'enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza con l'indicazione dei relativi articoli di legge;

 

d) l'indicazione sommaria delle fonti di prova e dei fatti cui esse si riferiscono;

 

e) il dispositivo, con l'indicazione del giudice competente per il giudizio;

 

f) l'indicazione del luogo, del giorno e dell'ora della comparizione, con l'avvertimento all'imputato che non comparendo sarà giudicato in contumacia;

 

g) la data e la sottoscrizione del giudice e dell'ausiliario che lo assiste.

 

3. Il decreto è nullo se l'imputato non è identificato in modo certo ovvero se manca o è insufficiente l'indicazione di uno dei requisiti previsti dal comma 1, lettere c) e f).

4. Tra la data del decreto e la data fissata per il giudizio deve intercorrere un termine non inferiore a venti giorni.

 

Art. 428. (Fascicolo per il dibattimento) - 1. Immediatamente dopo l'emissione del decreto che dispone il giudizio, il giudice provvede nel contraddittorio delle parti alla formazione del fascicolo per il dibattimento. Se una delle parti ne fa richiesta il giudice fissa una nuova udienza, non oltre il termine di quindici giorni, per la formazione del fascicolo. Nel fascicolo del dibattimento sono raccolti:

 

a) gli atti relativi alla procedibilità dell'azione penale e all'esercizio dell'azione civile;

 

b) i verbali degli atti non ripetibili compiuti dalla polizia giudiziaria;

 

c) i verbali degli atti non ripetibili compiuti dai pubblico ministero;

 

d) i documenti acquisiti all'estero mediante rogatoria internazionale ed i verbali degli atti non ripetibili assunti con le stesse modalità;

 

e) i verbali degli atti assunti nell'incidente probatorio;

 

f) i verbali degli atti diversi da quelli previsti dalla lettera d) assunti all'estero a seguito di rogatoria internazionale al quali i difensori siano stati posti in grado di assistere e di esercitare le facoltà loro consentite dalla legge italiana;

 

g) il certificato generale del casellario giudiziale e gli altri documenti indicati nell'articolo 236;

 

h) il corpo del reato e le cose pertinenti al reato, qualora non debbano essere custoditi altrove.

 

2. Le parti possono concordare l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero nonché della documentazione relativa all'attività di investigazione difensiva.

 

Art. 429. (Trasmissione e custodia del fascicolo per il dibattimento). - 1. Il decreto che dispone il giudizio è trasmesso senza ritardo, con il fascicolo previsto dall'articolo 428 e con l'eventuale provvedimento che abbia disposto misure cautelari in corso di esecuzione, alla cancelleria del giudice competente per il giudizio.

 

Art. 430. (Fascicolo del pubblico ministero). - 1. Gli atti diversi da quelli previsti dall'articolo 428 sono trasmessi al pubblico ministero con gli atti acquisiti all'udienza preliminare unitamente al verbale dell'udienza.

2. I difensori hanno facoltà di prendere visione ed estrarre copia, nella segreteria del pubblico ministero, degli atti raccolti nel fascicolo formato a norma del comma 1.

3. Nel fascicolo del pubblico ministero è altresì inserita la documentazione dell'attività prevista dell'articolo 427 quando di essa le parti si sono servite per la formulazione di richieste al giudice del dibattimento e quest'ultimo le ha accolte".

4.Gli articoli da 438 a 443 del codice di procedura penale sono abrogati.

 

 

Art. 10.

 

1. L'articolo 444 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 444. (Applicazione della pena su richiesta) - 1. L'imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice l'applicazione, nella specie e nella misura indicate, di una pena detentiva, di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo.

2. Se vi è il consenso anche della parte che non ha formulato la richiesta e non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell'articolo 129, il giudice, sulla base degli atti, se ritiene che la qualificazione giuridica del fatto, l'applicazione e la comparazione delle circostanze prospettate dalle parti siano corrette e la pena sia congrua, dispone con sentenza l'applicazione delle pena indicata, enunciando nel dispositivo che vi è stata la richiesta delle parti. Se vi è costituzione di parte civile, il giudice non decide sulla relativa domanda; non si applica la disposizione dell'articolo 75, comma 3. In caso di accoglimento della richiesta il giudice condanna l'imputato al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile salvo che ritenga di disporne, per giusti motivi, la compensazione totale o parziale.

3. La parte, nel formulare la richiesta, può subordinarne l'efficacia alla concessione della sospensione condizionale della pena. In questo caso il giudice, se ritiene che la sospensione condizionale non può essere concessa, rigetta la richiesta".

 

2. L'articolo 449 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 444. (Casi e modi del giudizio direttissimo) - 1. Quando una persona è stata arrestata in flagranza di un reato, il pubblico ministero, se ritiene di dover procedere, può presentare direttamente l'imputato in stato di arresto davanti al giudice indicato nell'articolo 279, per la convalida. Si applicano al giudizio di convalida le disposizioni di cui all'articolo 391, in quanto compatibili.

2. Se l'arresto è convalidato, il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero affinché, entro le quarantotto ore successive, presenti l'imputato in stato di custodia cautelare dinanzi al giudice del dibattimento. Entro il termine di quindici giorni l'imputato liberato successivamente all'avvenuto giudizio di convalida, è citato a comparire dinanzi al giudice dibattimentale.

3. Se l'arresto non è convalidato, il pubblico ministero può procedere ugualmente al giudizio direttissimo con le forme previste dal comma 2, nel termine di quarantotto ore dallo svolgimento del giudizio di convalida, purché l'imputato esprima consenso all'esito dell'udienza di convalida.

4. Il pubblico ministero può, inoltre, procedere al giudizio direttissimo nei confronti della persona che nel corso dell'interrogatorio ha reso confessione. L'imputato libero è citato a comparire a una udienza non successiva al quindicesimo giorno dall'iscrizione nel registro delle notizie di reato. L'imputato in stato di custodia cautelare per il fatto per cui si procede è presentato all'udienza entro il medesimo termine.

5. Quando il reato per cui è richiesto il giudizio direttissimo risulta connesso con altri reati per i quali mancano le condizioni che giustificano la scelta di tale rito, si procede separatamente per gli altri reati e nei confronti degli altri imputati, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini. Se la riunione risulta indispensabile, prevale in ogni caso il rito ordinario".

 

3. L'articolo 450 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 450. (Instaurazione del giudizio direttissimo). - 1. Se ritiene di procedere a giudizio direttissimo, il pubblico ministero, successivamente all'avvenuta convalida, fa condurre all'udienza l'imputato in stato di custodia cautelare, nei termini di cui ai commi 2 e 3 dell'articolo 449.

2. Se l'imputato è libero, il pubblico ministero lo cita a comparire all'udienza per il giudizio direttissimo. Il termine per comparire non può essere inferiore a tre giorni.

3. La citazione contiene i requisiti previsti dall'articolo 427, comma 2, lettere a), b), c) e f), con l'indicazione del giudice competente per il giudizio nonché la data e la sottoscrizione. Si applica inoltre la disposizione dell'articolo 427, comma 3.

4. Il decreto, unitamente al fascicolo previsto dall'articolo 428, formato dal pubblico ministero, è trasmesso alla cancelleria del giudice competente per il giudizio.

5. Al difensore è notificato senza ritardo a cura del pubblico ministero l'avviso della data fissata per il giudizio.

6. Il difensore ha facoltà di prendere visione e di estrarre copia, nella segreteria del pubblico ministero, della documentazione relativa alle indagini espletate".

 

 

Art. 11.

 

1. Al comma 1 dell'articolo 465 ed al comma 1 dell'articolo 467 del codice di procedura penale, dopo le parole: "o della corte di assise," sono inserite le seguenti: "ovvero il giudice o il giudice di pace,".

 

2. All'articolo 468 del codice di procedura penale, al comma 2, dopo le parole: "o della corte di assise" e dopo le parole: "il presidente" sono inserite le seguenti: "o il giudice ovvero il giudice di pace"; al comma 4-bis, dopo le parole: "dal presidente" sono inserite le seguenti: "o dal giudice ovvero dal giudice di pace"; al comma 5, dopo le parole: "Il presidente" sono inserite le seguenti: "o il giudice ovvero il giudice di pace".

 

3. Ai commi 1 e 2 dell'articolo 484 ed al comma 1 dell'articolo 494 del codice di procedura penale dopo la parola: "presidente" sono inserite le seguenti: "o il giudice ovvero il giudice di pace".

 

4. L'articolo 500 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

"Art. 500. (Contestazioni nell'esame testimoniale). - 1. Fermi i divieti di lettura e di allegazione, le parti, per contestare in tutto o in parte il contenuto della deposizione, possono servirsi delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo del pubblico ministero.

2. La facoltà di cui al comma 1 può essere esercitata solo se sui fatti e sulle circostanze da contestare il testimone abbia già deposto.

3. Le parti possono procedere alla contestazione anche quando il teste rifiuta o comunque omette, in tutto o in parte, di rispondere sulle circostanze riferite nelle precedenti dichiarazioni".

 

5. L'articolo 503 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 503. (Esame delle parti private) - 1. Il presidente dispone l'esame delle parti che ne abbiano fatto richiesta o che vi abbiano consentito, secondo il seguente ordine: parte civile, responsabile civile, persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e imputato.

2. L'esame si svolge nei modi previsti dagli articoli 498 e 499. Ha inizio con le domande del difensore o del pubblico ministero che l'ha chiesto e prosegue con le domande, secondo i casi, del pubblico ministero che dei difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, del coimputato e dell'imputato. Quindi, chi ha iniziato l'esame può rivolgere nuove domande.

3. Fermi i divieti di lettura e di allegazione, il pubblico ministero e i difensori, per contestare in tutto o in parte il contenuto della deposizione, possono servirsi delle dichiarazioni precedentemente rese dalla parte esaminata e contenute nel fascicolo del pubblico ministero. Tale facoltà può essere esercitata solo se sui fatti e sulle circostanze da contestare la parte abbia già deposto.

4. Si applica la disposizione dell'articolo 500, comma 3.

5. Le dichiarazioni alle quali il difensore aveva diritto di assistere assunte dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero sono acquisite nel fascicolo per il dibattimento, se sono state utilizzate per le contestazioni previste dal comma 3.

6. La disposizione prevista dal comma 5 si applica anche per le dichiarazioni rese a norma degli articoli 294, 299, comma 3-ter, 391 e 415-ter.

7. Le dichiarazioni acquisite nel fascicolo del dibattimento, se sono utilizzate per le contestazioni, possono essere valutate dal giudice nei confronti degli altri imputati, senza il loro consenso, solo al fine di stabilire la credibilità della persona esaminata".

 

6. L'articolo 507 del codice di procedura penale è abrogato.

7. L'articolo 513 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 513 - (Lettura delle dichiarazioni rese dall'imputato nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare) - 1. Il giudice, se l'imputato è contumace o assente ovvero rifiuta di sottoporsi all'esame, dispone, a richiesta di parte, che sia data lettura dei verbali delle dichiarazioni rese dall'imputato al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero o al giudice nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare, ma tali dichiarazioni non possono essere utilizzate, senza il loro consenso, nei confronti di altri imputati, salvo che risulti provato che il dichiarante è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità, affinché non deponga.

2. Se le dichiarazioni sono state rese dalle persone indicate nell'articolo 210, il giudice, a richiesta di parte, dispone, secondo i casi, l'accompagnamento coattivo del dichiarante o l'esame a domicilio o la rogatoria internazionale ovvero l'esame in altro modo previsto dalla legge con la garanzia del contraddittorio. Se non è possibile ottenere la presenza del dichiarante, ovvero procedere all'esame in uno dei modi suddetti, il giudice dà lettura delle dichiarazioni in precedenza rese, qualora la impossibilità dipenda da fatti o circostanze oggettive ed imprevedibili al momento delle dichiarazioni di cui si fornisca la prova e che impediscono comunque la svolgimento dell'esame.

3. Quando la persona esaminata ai sensi del comma 2, rifiuta od omette, in tutto o in parte, di rispondere, le dichiarazioni rese in precedenza non possono essere acquisite nel fascicolo per il dibattimento, salvo che le parti vi consentano ovvero risulti provata la condotta illecita indicata al comma 1 posta in essere nei confronti della persona esaminata.

4. Se le dichiarazioni di cui ai commi 1, 2 e 3 sono state assunte ai sensi dell'articolo 392, si applicano le disposizioni dell'articolo 511".

 

 

Art. 12.

 

1. Il libro VIII del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

 

"LIBRO VIII

DEL GIUDICE DI PACE

 

 

TITOLO I

DISPOSIZIONI GENERALI

 

Art. 549. (Princìpi generali del procedimento davanti al giudice di pace). - 1. Nel procedimento davanti al giudice di pace, per tutto ciò che non è previsto dal presente libro, si osservano, in quanto applicabili, le norme contenute nel presente codice e nei titoli I e II delle relative norme di attuazione approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, ad eccezione delle disposizioni relative:

 

a) all'incidente probatorio;

 

b) all'arresto in flagranza e al fermo di indiziato di delitto;

 

c) alle misure cautelari personali;

 

d) alla proroga del termine per le indagini;

e) all'udienza predibattimentale;

 

f) all'applicazione della pena su richiesta;

 

g) al giudizio direttissimo;

 

h) al decreto penale di condanna.

 

2. Nel corso del procedimento, il giudice di pace deve favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra le parti.

 

Art. 550. (Assunzione della qualità di imputato). - 1. Nel procedimento davanti al giudice di pace, assume la qualità di imputato la persona alla quale il reato è attribuito nella citazione a giudizio disposta dalla polizia giudiziaria o nel decreto di convocazione delle parti emesso dal giudice di pace.

 

Art. 551. (Funzione del giudice per le indagini preliminari). - 1. Per gli atti da compiere nella fase delle indagini preliminari provvede il giudice di pace del luogo ove ha sede il tribunale del circondario in cui è compreso il giudice territorialmente competente.

 

 

TITOLO II

INDAGINI PRELIMINARI

 

Art. 552 (Attività di indagine). - 1. Acquisita la notizia di reato, la polizia giudiziaria compie di propria iniziativa tutti gli atti di indagine necessari per la ricostruzione del fatto e per l'individuazione del colpevole e ne riferisce al pubblico ministero, con relazione scritta, entro il termine di quattro mesi.

2. Se la notizia di reato risulta fondata, la polizia giudiziaria enuncia nella relazione il fatto in forma chiara e precisa, con l'indicazione degli articoli di legge che si assumono violati, e richiede l'autorizzazione a disporre la comparizione della persona sottoposta ad indagini davanti al giudice di pace.

3. Con la relazione, la polizia giudiziaria indica il giorno e l'ora in cui ha acquisito la notizia.

Art. 553. (Notizie di reato ricevute dal pubblico ministero).- 1. Sa1vo che ritenga di richiedere l'archiviazione, il pubblico ministero se prende direttamente notizia di un reato di competenza del giudice di pace ovvero la riceve da privati o da pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio, la trasmette alla polizia giudiziaria, perché proceda ai sensi dell'articolo 552, impartendo, se necessario, le opportune direttive. Il pubblico ministero, se non ritiene necessari atti di indagine, formula l'imputazione e autorizza la polizia giudiziaria alla citazione a giudizio dell'imputato.

 

Art. 554. (Autorizzazione del pubblico ministero al compimento di atti).- 1. La polizia giudiziaria può richiedere al pubblico ministero l'autorizzazione al compimento di accertamenti tecnici irripetibili ovvero di interrogatori o di confronti cui partecipi la persona sottoposta alle indagini. Il pubblico ministero, se non ritiene di svolgere personalmente le indagini o singoli atti, può autorizzare la polizia giudiziaria al compimento degli atti richiesti. Allo stesso modo provvede se viene richiesta l'autorizzazione al compimento di perquisizioni e di sequestri nei casi in cui la polizia giudiziaria non può procedervi di propria iniziativa.

 

Art. 555. (Iscrizione della notizia di reato).- 1. Il pubblico ministero provvede all'iscrizione della notizia di reato a seguito della trasmissione della relazione di cui all'articolo 552 ovvero anche prima di aver ricevuto la relazione fin dal primo atto di indagine svolto personalmente.

 

Art. 556. (Chiusura delle indagini preliminari).- 1. Ricevuta la relazione di cui all'articolo 552 il pubblico ministero, se non richiede l'archiviazione, esercita l'azione penale, formulando l'imputazione e autorizzando la citazione dell'imputato.

2. Se ritiene necessarie ulteriori indagini, il pubblico ministero vi provvede personalmente ovvero si avvale della polizia giudiziaria, impartendo direttive o delegando il compimento di specifici atti.

 

Art. 557 (Durata delle indagini preliminari).- 1. Il termine per la chiusura delle indagini preliminari è di quattro mesi dall'iscrizione della notizia di reato.

2. Nei casi di particolare complessità, il pubblico ministero dispone, con provvedimento motivato, la prosecuzione delle indagini preliminari per un periodo di tempo non superiore a due mesi. Il provvedimento è immediatamente comunicato al giudice di pace di cui all'articolo 7-bis, che se non ritiene sussistenti, in tutto o in parte, le ragioni rappresentate dal pubblico ministero, entro cinque giorni dalla comunicazione dichiara la chiusura delle indagini ovvero riduce il termine indicato.

3. Gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza dei termini indicati nei commi 1 e 2 non possono essere utilizzati.

 

Art. 558 - (Archiviazione).- 1. Il pubblico ministero presenta al giudice di pace richiesta di archiviazione quando la notizia di reato è infondata, nonché nei casi previsti dagli articoli 411 del presente codice e 125 delle norme di attuazione, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271. Con la richiesta è trasmesso il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali compiuti davanti al giudice.

2. Copia della richiesta è notificata alla persona offesa che nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione abbia dichiarato di voler essere informata circa l'eventuale archiviazione. Nella richiesta è altresì precisato che nel termine di dieci giorni la persona offesa può prendere visione degli atti e presentare richiesta motivata di prosecuzione delle indagini preliminari. Con l'opposizione alla richiesta di archiviazione la persona offesa indica, a pena di inammissibilità, gli elementi di prova che giustificano il rigetto della richiesta o le ulteriori indagini necessarie.

3. Il pubblico ministero provvede sempre a norma del comma 2 nei casi in cui la richiesta di archiviazione è successiva alla trasmissione del ricorso ai sensi dell'articolo 567-ter, comma 2.

4. Il giudice, se accoglie la richiesta, dispone con decreto l'archiviazione, altrimenti restituisce, con ordinanza, gli atti al pubblico ministero indicando le ulteriori indagini necessarie e fissando il termine indispensabile per il loro compimento ovvero disponendo che entro dieci giorni il pubblico ministero formuli l'imputazione.

5. Quando è ignoto l'autore del reato si osservano le disposizioni di cui all'articolo 415.

 

Art. 559 - (Assunzione di prove non rinviabili).- 1. Fino all'udienza di comparizione, il giudice di pace dispone, a richiesta di parte, l'assunzione delle prove non rinviabili, osservando le forme previste per il dibattimento. Si applicano le disposizioni previste dall'articolo 467, commi 2 e 3.

 

Art. 560 - (Provvedimenti del giudice nel corso delle indagini).- 1. Nel corso delle indagini e fino al deposito dell'atto di citazione a norma dell'articolo 567-sexies, comma 1, competente a disporre il sequestro preventivo e conservativo è il giudice di pace indicato nell'articolo 7-bis.

2. Il giudice di cui al comma 1 decide anche sulla richiesta di archiviazione, sull'opposizione di cui all'articolo 263, comma 5, sulla richiesta di sequestro di cui all'articolo 368, nonché sulla richiesta di riapertura delle indagini. Lo stesso giudice è altresì competente a decidere sulla richiesta di autorizzazione a disporre le operazioni di intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche, di comunicazioni informatiche o telematiche ovvero di altre forme di telecomunicazione, nonché per i successivi provvedimenti riguardanti l'esecuzione delle operazioni e la conservazione della documentazione.

 

 

TITOLO III

CITAZIONE A GIUDIZIO

 

Art. 561 - (Citazione a giudizio disposta dalla polizia giudiziaria).- 1. La polizia giudiziaria, sulla base dell'imputazione formulata dal pubblico ministero, cita l'imputato dinanzi al giudice di pace.

2. La citazione contiene:

 

a) le generalità dell'imputato e le altre indicazioni personali che valgono ad identificarlo;

 

b) l'indicazione della persona offesa, qualora risulti identificata;

 

c) l'imputazione formulata dal pubblico ministero e l'indicazione delle fonti di prova di cui si chiede l'ammissione. Se viene chiesto l'esame di testimoni o di consulenti tecnici, nell'atto devono essere indicate, a pena di inammissibilità, le circostanze su cui deve vertere l'esame;

 

d) l'indicazione del giudice competente per il giudizio, nonché del luogo, del giorno e dell'ora della comparizione, con l'avvertimento all'imputato che non comparendo sarà giudicato in contumacia;

 

e) l'avviso che l'imputato ha facoltà di nominare un difensore di fiducia e che, in mancanza, sarà assistito da un difensore di ufficio;

 

f) l'avviso che il fascicolo relativo alle indagini preliminari è depositato presso la segreteria del pubblico ministero e che le parti e i loro difensori hanno facoltà di prenderne visione e di estrarne copia.

 

3. La citazione è notificata, a cura della polizia giudiziaria, all'imputato, al suo difensore e alla parte offesa almeno trenta giorni prima dell'udienza.

4. La citazione deve essere sottoscritta, a pena di nullità, da un ufficiale di polizia giudiziaria.

5. La citazione a giudizio è depositata nella segreteria del pubblico ministero unitamente al fascicolo contenente la documentazione relativa alle indagini espletate, il corpo del reato e le cose pertinenti al reato, qualora non debbano essere custoditi altrove.

6. La citazione è nulla se l'imputato non è identificato in modo certo ovvero se manca o è insufficiente l'indicazione di uno dei requisiti previsti dal comma 2, lettere c), d) ed e).

 

Art. 562. (Emissione della citazione a giudizio disposta dalla polizia giudiziaria).- 1. Ai fini dell'emissione della citazione a giudizio di cui all'articolo 570, il pubblico ministero richiede al giudice di pace di indicare il giorno e l'ora della comparizione.

2. La richiesta del pubblico ministero e l'indicazione del giudice di pace sono comunicate anche con mezzi telematici.

 

Art. 563. (Delegati del procuratore della Repubblica nel procedimento penale davanti al giudice di pace).- 1. Nei procedimenti penali davanti al giudice di pace, le funzioni del pubblico ministero possono essere svolte, per delega del procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario:

 

a) nell'udienza dibattimentale, da uditori giudiziari, da vice procuratori onorari addetti all'ufficio, da ufficiali di polizia giudiziaria diversi da coloro che hanno preso parte alle indagini preliminari, o da laureati in giurisprudenza che frequentano il secondo anno della scuola biennale di specializzazione per le professioni legali di cui all'articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, e successive modificazioni;

 

b) per gli atti del pubblico ministero previsti dagli articoli 564 e 567-bis, da vice procuratori onorari addetti all'ufficio;

 

c) nei procedimenti in camera di consiglio di cui all'articolo 127 nei procedimenti di esecuzione ai fini dell'intervento di cui all'articolo 655, comma 2, e nei procedimenti di opposizione al decreto del pubblico ministero di liquidazione del compenso a periti, consulenti tecnici e traduttori ai sensi dell'articolo 11 della legge 8 luglio 1980, n, 319, da vice procuratori onorari addetti all'ufficio.

 

2. Nei casi indicati nel comma 1, la delega è conferita in relazione ad una determinata udienza o a un singolo procedimento.

3. La delega è revocabile nei soli casi in cui il presente codice prevede la sostituzione del pubblico ministero.

4. Si osservano le disposizioni di cui all'articolo 162, commi 1, 3 e 4, delle norme di attuazione, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.

 

Art. 564.(Ricorso immediato a giudice).- 1. Per i reati procedibili a querela è ammessa la citazione a giudizio dinanzi al giudice di pace della persona alla quale il reato è attribuito su ricorso della persona offesa.

2. Il ricorso deve contenere:

 

a) l'indicazione del giudice;

 

b) le generalità del ricorrente e, se si tratta di persona giuridica o di associazione non riconosciuta, la denominazione dell'ente, con l'indicazione del legale rappresentante;

 

c) l'indicazione del difensore del ricorrente e la relativa nomina;

 

d) l'indicazione delle altre persone offese dal medesimo reato delle quali il ricorrente conosca l'identità;

 

e) le generalità della persona citata a giudizio;

 

f) la descrizione, in forma chiara e precisa, del fatto che si addebita alla persona citata a giudizio, con l'indicazione degli articoli di legge che si assumono violati;

 

g) i documenti di cui si chiede l'acquisizione;

 

h) l'indicazione delle fonti di prova a sostegno della richiesta, nonché delle circostanze su cui deve vertere l'esame dei testimoni e dei consulenti tecnici;

 

i) la richiesta di fissazione dell'udienza per procedere nei confronti delle persone citate a giudizio.

 

3. Il ricorso deve essere sottoscritto dalla persona offesa o dal suo legale rappresentante e dal difensore. La sottoscrizione della persona offesa è autenticata dal difensore.

4. Nei casi previsti dagli articoli 120, secondo e terzo comma, e 121 del codice penale, il ricorso è sottoscritto, a seconda dei casi, dal genitore, dal tutore o dal curatore ovvero dal curatore speciale. Si osservano le disposizioni di cui all'articolo 338 del presente codice.

5. La presentazione del ricorso produce gli stessi effetti della presentazione della querela.

 

Art. 565. (Presentazione del ricorso).- 1. Il ricorso, previamente comunicato al pubblico ministero mediante deposito di copia presso la sua segreteria, è presentato, a cura del ricorrente, con la prova dell'avvenuta comunicazione, nella cancelleria del giudice di pace competente per territorio nel termine di tre mesi dalla notizia del fatto che costituisce reato.

2. Se per il medesimo fatto la persona offesa ha già presentato querela, deve farne menzione nel ricorso, allegandone copia e depositando altra copia presso la segreteria del pubblico ministero.

3. Nel caso previsto dal comma 2, il giudice di pace dispone l'acquisizione della querela in originale.

4. Quando si procede in seguito a ricorso sono inapplicabili le diverse disposizioni che regolano la procedura ordinaria.

 

Art. 566. (Costituzione di parte civile).- 1. La costituzione di parte civile deve avvenire, a pena di decadenza, con la presentazione del ricorso. La richiesta motivata di restituzione o di risarcimento del danno contenuta nel ricorso è equiparata a tutti gli effetti alla costituzione di parte civile.

 

Art. 567 (Inammissibilità del ricorso).- 1. Il ricorso è inammissibile:

 

a) se è presentato oltre il termine indicato dall'articolo 565, comma 1;

 

b) se risulta presentato fuori dei casi previsti;

 

c) se non contiene i requisiti indicati nell'articolo 564, comma 2, ovvero non risulta sottoscritto a norma dei commi 3 e 4 del medesimo articolo;

 

d) se è insufficiente la descrizione del fatto o l'indicazione delle fonti di prova;

 

e) se manca la prova dell'avvenuta comunicazione al pubblico ministero.

Art. 567-bis. (Richieste del pubblico ministero).- 1. Entro dieci giorni dalla comunicazione del ricorso, il pubblico ministero presenta le sue richieste nella cancelleria del giudice di pace.

2. Se ritiene il ricorso inammissibile o manifestamente infondato, ovvero presentato dinanzi ad un giudice di pace incompetente per territorio, il pubblico ministero esprime parere contrario alla citazione altrimenti formula l'imputazione confermando o modificando l'addebito contenuto nel ricorso.

 

Art. 567-ter. (Provvedimenti del giudice di pace).- 1. Decorso il termine indicato nell'articolo 567-bis, comma 1, il giudice di pace, anche se il pubblico ministero non ha presentato richieste, provvede a norma del presente articolo.

2. Se ritiene il ricorso inammissibile o manifestamente infondato, il giudice di pace ne dispone la trasmissione al pubblico ministero per l'ulteriore corso del procedimento.

3. Se il ricorso risulta presentato per un reato che appartiene alla competenza di altro giudice, il giudice di pace ne dispone, con ordinanza, la trasmissione al pubblico ministero.

4. Se riconosce la propria incompetenza per territorio, il giudice di pace la dichiara con ordinanza e restituisce gli atti al ricorrente che, nel termine di venti giorni, ha facoltà di reiterare il ricorso davanti al giudice competente. L'inosservanza del termine è causa di inammissibilità del ricorso.

 

Art. 567-quater (Decreto di convocazione delle parti).- 1. Se non deve provvedere ai sensi dell'articolo 567-ter il giudice di pace, entro venti giorni dal deposito del ricorso, convoca le parti in udienza con decreto.

2. Tra il giorno del deposito del ricorso e l'udienza non devono intercorrere più di novanta giorni.

3. Il decreto contiene:

 

a) l'indicazione del giudice che procede, nonché del luogo, del giorno e dell'ora della comparizione;

b) le generalità della persona nei cui confronti è stato presentato il ricorso, con l'invito a comparire e l'avvertimento che non comparendo sarà giudicato in contumacia;

 

c) l'avviso che la persona di cui alla lettera b) ha facoltà di nominare un difensore di fiducia e che, in mancanza, sarà assistito dal difensore di ufficio nominato nel decreto;

 

d) la trascrizione dell'imputazione formulata dal pubblico ministero;

 

e) la data e la sottoscrizione del giudice e dell'ausiliario che l'assiste.

 

4. Il decreto, unitamente al ricorso, è notificato, a cura del ricorrente, al pubblico ministero, alla persona citata in giudizio e al suo difensore almeno venti giorni prima dell'udienza. Entro lo stesso termine il ricorrente notifica il decreto alle altre persone offese di cui conosca l'identità.

5. La convocazione è nulla se l'imputato non è identificato in modo certo ovvero se manca o è insufficiente l'indicazione di uno dei requisiti previsti dal comma 3, lettere a), b), c) e d).

 

Art. 567-quinquies(Pluralità di persone offese).- 1. Il ricorso presentato da una fra più persone offese non impedisce alle altre di intervenire nel processo, con l'assistenza di un difensore e con gli stessi diritti che spettano al ricorrente principale.

2. Le persone offese intervenute possono costituirsi parte civile prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.

3. La mancata comparizione delle persone offese, alle quali il decreto sia stato regolarmente notificato ai sensi dell'articolo 567-quater, comma 4, equivale a rinuncia al diritto di querela ovvero alla remissione della querela, qualora sia stata già presentata.

 

TITOLO IV

GIUDIZIO

 

Art. 567-sexies (Udienza di comparazione) - 1. Almeno sette giorni prima della data fissata per l'udienza di comparizione, il pubblico ministero o la persona offesa nel caso previsto dall'articolo 564, depositano nella cancelleria del giudice di pace l'atto di citazione a giudizio con le relative notifiche.

2. Fuori dei casi previsti dagli articoli 561 e 564, le parti che intendono chiedere l'esame dei testimoni, periti o consulenti tecnici nonché delle persone indicate nell'articolo 210 devono, a pena di inammissibilità, almeno sette giorni prima della data fissata per l'udienza di comparizione, depositare in cancelleria le liste con l'indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame.

3. Nei casi in cui occorre rinnovare la convocazione o la citazione a giudizio ovvero le relative notificazioni, vi provvede il giudice di pace, anche d'ufficio.

4. Il giudice, quando il reato è perseguibile a querela, promuove la conciliazione tra le parti. In tal caso, qualora sia utile per favorire la conciliazione, il giudice può rinviare l'udienza per un periodo non superiore a due mesi e, ove occorra, può avvalersi anche dell'attività di mediazione di centri e di strutture pubbliche o private presenti sul territorio. In ogni caso, le dichiarazioni rese dalle parti nel corso dell'attività di conciliazione non possono essere in alcun modo utilizzate ai fini della deliberazione.

5. In caso di conciliazione è redatto processo verbale attestante la remissione di querela o la rinuncia al ricorso di cui all'articolo 564 e la relativa accettazione. La rinuncia al ricorso produce gli stessi effetti della remissione della querela.

6. Prima della dichiarazione di apertura del dibattimento l'imputato può presentare domanda di oblazione.

7. Dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento, se può procedersi immediatamente al giudizio, il giudice ammette le prove richieste escludendo quelle vietate dalla legge, superflue o irrilevanti e invita le parti ad indicare gli atti da inserire nel fascicolo per il dibattimento, provvedendo a norma dell'articolo 453. Le parti possono concordare l'acquisizione al fascicolo del dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, della documentazione relativa all'attività di investigazione difensiva, nonché della documentazione allegata al ricorso di cui all'articolo 564.

8. Se occorre fissare altra udienza per il giudizio, il giudice autorizza ciascuna parte alla citazione dei propri testimoni o consulenti tecnici, escludendo le testimonianze vietate dalla legge e quelle manifestamente sovrabbondanti. La parte che omette la citazione decade dalla prova.

 

Art. 567-septies - (Udienza di comparizione a seguito di ricorso al giudice da parte della persona offesa) - 1. La mancata comparizione all'udienza del ricorrente o del suo procuratore speciale non dovuta ad impossibilità a comparire per caso fortuito o forza maggiore determina l'improcedibilità del ricorso, salvo che l'imputato o la persona offesa intervenuta e che abbia presentato querela chieda che si proceda al giudizio.

2. Con l'ordinanza con cui dichiara l'improcedibilità del ricorso ai sensi del comma 1, il giudice di pace condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali, nonché al risarcimento dei danni in favore della persona citata in giudizio che ne abbia fatto domanda.

3. Se il reato contestato nell'imputazione non rientra tra quelli per cui è ammessa la citazione a giudizio su istanza della persona offesa, il giudice di pace trasmette gli atti al pubblico ministero, salvo che l'imputato chieda che si proceda ugualmente al giudizio.

 

Art. 567-octies. (Fissazione di nuova udienza a seguito di impossibilità a comparire) - 1. In caso di dichiarazione di improcedibitità ai sensi dell'articolo 567-septies, comma 1, il ricorrente può presentare istanza di fissazione di nuova udienza se prova che la mancata comparizione è stata dovuta a caso fortuito o a forza maggiore.

2. L'istanza è presentata al giudice di pace entro dieci giorni dalla cessazione del fatto costituente caso fortuito o forza maggiore. Il termine è stabilito a pena di decadenza.

3. Se accoglie l'istanza, il giudice di pace convoca le parti per una nuova udienza ai sensi dell'articolo 567-quater, invitando il ricorrente a provvedere alle notifiche a norma del comma 4 dello stesso articolo.

4. Contro il decreto motivato che respinge la richiesta di fissazione di nuova udienza può essere proposto ricorso al tribunale in composizione monocratica, che decide con ordinanza inoppugnabile.

 

Art. 567-nonies. (Dibattimento) - 1. Su accordo delle parti, l'esame dei testimoni, del periti, dei consulenti tecnici e dalle parti private può essere condotto dal giudice sulla base delle domande e delle contestazioni proposte dal pubblico ministero e dai difensori.

2. Terminata l'acquisizione delle prove, il giudice, se risulta assolutamente necessario, può disporre anche d'ufficio l'assunzione di nuovi mezzi di prova, compresi quelli relativi agli atti acquisiti a norma dell'articolo 567-sexies, comma 7.

3. Il verbale di udienza, di regola, è redatto solo in forma riassuntiva.

4. La motivazione della sentenza è redatta dal giudice in forma abbreviata e depositata nel termine di quindici giorni dalla lettura del dispositivo. Il giudice può dettare la motivazione direttamente a verbale.

5. In caso di impedimento del giudice la sentenza è sottoscritta dal presidente del tribunale, previa menzione della causa di sostituzione".

 

 

Art. 13.

 

1. Dopo l'articolo 574 del codice di procedura penale è inserito il seguente:

 

"Art. 574-bis. (Impugnazione del ricorrente che ha chiesto la citazione a giudizio dell'imputato) - 1. Il ricorrente che ha chiesto la citazione a giudizio dell'imputato a norma dell'articolo 573 può proporre impugnazione, anche agli effetti penali, contro la sentenza di proscioglimento del giudice di pace negli stessi casi in cui è ammessa l'impugnazione da parte del pubblico ministero.

2. Con il provvedimento che rigetta o dichiara inammissibile l'impugnazione, il ricorrente è condannato alla rifusione delle spese processuali sostenute dall'imputato e dal responsabile civile. Se vi è colpa grave, il ricorrente può essere condannato al risarcimento dei danni causati all'imputato e al responsabile civile".

 

2. L'articolo 585 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 585. (Termini per l'impugnazione) - 1. Il termine per proporre impugnazione, per ciascuna delle parti è:

 

a) di quindici giorni, per i provvedimenti emessi in seguito a procedimento in camera di consiglio e nel caso previsto dall'articolo 544, comma 1;

 

b) di quarantacinque giorni, negli altri casi.

 

2. I termini previsti dal comma 1 decorrono:

 

a) dalla notificazione o comunicazione dell'avviso di deposito del provvedimento;

 

b) dalla lettura del provvedimento in udienza, quando è redatta anche la motivazione, per tutte le parti che sono state o che devono considerarsi presenti nel giudizio, anche se non sono presenti alla lettura;

 

c) dal giorno in cui è stata eseguita la notificazione o la comunicazione dell'avviso di deposito con l'estratto del provvedimento, per l'imputato contumace e per il procuratore generale presso la corte di appello rispetto ai provvedimenti emessi in udienza da qualsiasi giudice della sua circoscrizione diverso dalla corte di appello.

3. Quando la decorrenza è diversa per l'imputato e per il suo difensore, opera per entrambi il termine che scade per ultimo.

4. Fino a quindici giorni prima dell'udienza possono essere presentati nella cancelleria del giudice della impugnazione motivi nuovi nel numero di copie necessarie per tutte le parti. L'inammissibilità dell'impugnazione si estende ai motivi nuovi.

5. I termini previsti dal presente articolo sono stabiliti a pena di decadenza".

 

3. L'articolo 594 del codice di procedura penale è sostituito dai seguenti:

 

"Art. 594. (Impugnazione del pubblico ministero delle sentenze del giudice di pace) - 1. Il pubblico ministero può proporre appello contro le sentenze di condanna del giudice di pace che applicano una pena diversa da quella pecuniaria e contro le sentenze di proscioglimento per reati puniti con pena alternativa.

2. Il pubblico ministero può proporre ricorso per cassazione contro le sentenze del giudice di pace.

 

Art. 594-bis. (Impugnazione dell'imputato delle sentenze del giudice di pace) - 1. L'imputato può proporre appello contro le sentenze di condanna del giudice di pace che applicano una pena diversa da quella pecuniaria; può altresì proporre appello contro le sentenze che applicano la pena pecuniaria se impugna il capo relativo alla condanna, anche generica, al risarcimento del danno.

2. L'imputato può proporre ricorso per cassazione contro le sentenze di condanna del giudice di pace che applicano la sola pena pecuniaria e contro le sentenze di proscioglimento".

 

4. Il comma 1 dell'articolo 599 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"1. Quando l'appello ha esclusivamente per oggetto la specie o la misura della pena, anche con riferimento al giudizio di comparazione tra circostanze, o l'applicabilità di circostanze, di sanzioni sostitutive, della sospensione condizionale della pena o della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, la corte, in deroga a quanto previsto dall'articolo 127, giudica sui motivi, sulla richiesta del procuratore generale e sulle memorie delle altre parti senza l'intervento dei difensori. Fino a quindici giorni prima dell'udienza tutte le parti possono presentare motivi nuovi e memorie e, fino a cinque giorni prima, possono presentare memorie di repliche. In tali i casi la corte fissa l'udienza entro sessanta giorni dalla ricezione degli atti".

 

5. Il comma 2 dell'articolo 601 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"2. Quando si procede in camera di consiglio a norma dell'articolo 599, l'avviso di fissazione dell'udienza è notificato alle parti e ai difensori almeno venti giorni prima".

 

6. L'articolo 606 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 606. (Casi di ricorso) - 1. Il ricorso per cassazione può essere proposto per i seguenti motivi:

 

a) esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge a organi legislativi o amministrativi ovvero non consentita ai pubblici poteri;

 

b) inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale;

 

c) inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza;

 

d) mancata assunzione di una prova decisiva, quando la parte ne ha fatto richiesta a norma dell'articolo 495, comma 2;

 

e) mancanza, contraddittorietà o illogicità della motivazione;

f) omesso esame di questioni decisive quando si è proceduto a norma dell'articolo 599.

 

2. Il ricorso, oltre che nei casi e con gli effetti determinati da particolari disposizioni, può essere proposto contro le sentenze pronunciate in grado di appello o inappellabili.

3. Il ricorso è inammissibile se è proposto per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge o manifestamente infondati ovvero, fuori dei casi previsti dagli articoli 569 e 609, comma 2, per violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello".

 

7. L'articolo 610 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 610. (Atti preliminari) - 1. Il presidente della Corte di cassazione provvede all'assegnazione dei ricorsi alle singole sezioni secondo i criteri stabiliti dalle leggi di ordinamento giudiziario.

2. Il presidente, su richiesta del procuratore generale, dei difensori delle parti o anche di ufficio, assegna il ricorso alle sezioni unite quando le questioni proposte sono di speciale importanza o quando occorre dirimere contrasti insorti tra le decisioni delle singole sezioni.

3. Il presidente della Corte, se si tratta delle sezioni unite, ovvero il presidente della sezione fissa la data per la trattazione del ricorso in udienza pubblica o in camera di consiglio e designa il relatore. Il presidente dispone altresì la riunione dei giudizi nei casi previsti dall'articolo 17 e la separazione dei medesimi quando giovi alla speditezza della decisione.

4. La cancelleria dà immediata comunicazione al procuratore generale del deposito degli atti per la richiesta della dichiarazione di inammissibilità del ricorso sulla quale la corte decide con le forme dell'articolo 611, comma 1.

5. Almeno trenta giorni prima della data dell'udienza, la cancelleria ne dà avviso al procuratore generale ed ai difensori, indicando se il ricorso sarà deciso a seguito di udienza pubblica ovvero in camera di consiglio. In quest'ultimo caso, l'avviso deve inoltre precisare se vi è la richiesta di dichiarazione di inammissibilità, enunciando la causa dedotta".

 

8. L'articolo 169-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, è abrogato.

9. Il comma 1 dell'articolo 611 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"1. Oltre che nei casi particolarmente previsti dalla legge, la Corte procede in camera di consiglio quando deve decidere sui ricorsi diretti a censurare l'entità della pena, l'applicabilità di circostanze del reato, la comparazione tra più circostanze, l'applicabilità di sanzioni sostitutive, della sospensione condizionale della pena ovvero della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziario. La Corte provvede altresì in camera di consiglio quando deve decidere su ogni ricorso contro provvedimenti non emessi nel dibattimento".

 

 

Art. 14.

 

1. Dopo l'articolo 656 del codice di procedura penale sono inseriti i seguenti:

 

"Art. 656-bis. (Esecuzione della pena, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità) - 1. La sentenza penale irrevocabile è trasmessa per estratto a cura della cancelleria al pubblico ministero del circondario ove ha sede l'ufficio del giudice individuato ai sensi dell'articolo 665-bis.

2. Il pubblico ministero, emesso l'ordine di esecuzione, lo trasmette immediatamente, unitamente all'estratto della sentenza di condanna contenente le modalità di esecuzione della pena, all'ufficio di pubblica sicurezza del comune in cui il condannato risiede o, in mancanza di questo, al comando dell'arma dei carabinieri territorialmente competente.

3. Appena ricevuto il provvedimento di cui al comma 2, l'organo di polizia ne consegna copia al condannato ingiungendogli di attenersi alla prescrizioni in esso contenute. Qualora il condannato sia detenuto o internato, copia dell'ordine di esecuzione è notificata altresì al direttore dell'istituto o della sezione, il quale informa anticipatamente l'organo di polizia della dimissione del condannato. In tal caso la pena comincia a decorrere dal primo giorno di detenzione domiciliare o di lavoro sostitutivo successivo a quello della dimissione.

 

Art. 656-ter. (Modifica delle modalità di esecuzione della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità) - 1. Le modalità di esecuzione della permanenza domiciliare e del divieto di accesso eventualmente imposto nonché del lavoro di pubblica utilità stabilite nella sentenza emessa dal giudice possono essere modificate per motivi di assoluta necessità dal giudice osservando le disposizioni dell'articolo 666.

2. La richiesta di modifica non sospende l'esecuzione delle pene; in caso di assoluta urgenza, le modifiche possono essere adottate con provvedimento provvisorio revocabile nelle fasi successive del procedimento".

 

2. Dopo l'articolo 665 del capo I del titolo III del libro X del codice di procedura penale, è inserito il seguente capo:

 

"CAPO I-bis

DISPOSIZIONI SULL'ESECUZIONE

 

Art. 665-bis. (Sospensione di pene detentive). - 1. Quando deve essere eseguita pena detentiva in concreto non superiore a cinque anni, il pubblico ministero chiede al giudice dell'esecuzione di valutare se, avendo riguardo al reato commesso, alle circostanze di fatto che lo hanno accompagnato, al tempo trascorso, al comportamento successivamente serbato dal condannato e al pericolo che egli commetta altri reati, la pena debba essere in concreto e eseguita.

2. Il giudice dell'esecuzione, quando sulla base dei criteri indicati al comma 1, ritenga sussisterne i presupposti, dispone che l'esecuzione della pena resti sospesa per un periodo equivalente a quello della pena inflitta.

3. La sospensione è immediatamente revocata quando il giudice dell'esecuzione accerti comportamenti incompatibili con la risocializzazione del condannato.

4. Decorso il periodo di sospensione, il giudice dell'esecuzione, qualora verifichi che il condannato abbia effettivamente mantenuto un comportamento tale da rendere pronosticabile che si asterrà dal commettere ulteriori reati e che intende definitivamente reinserirsi nel contesto sociale, dichiara estinta la pena e ogni altro effetto penale.

5. Nel periodo che decorre tra il passaggio in giudicato della sentenza e la decisione assunta dal giudice dell'esecuzione ai fini del provvedimento di eventuale sospensione dell'esecuzione della pena, il condannato che sia in stato di libertà mantiene tale status. Per i condannati in stato di custodia cautelare in carcere, l'esecuzione della pena ha corso almeno fino alla decisione del giudice dell'esecuzione.

 

Art. 665-ter. (Giudice dell'esecuzione nel procedimento davanti al giudice di pace) - 1. Salvo diversa disposizione di legge, competente a conoscere dell'esecuzione di un provvedimento è il giudice di pace che l'ha emesso.

2. Se l'esecuzione concerne più provvedimenti emessi da diversi giudici di pace, è competente il giudice che ha emesso il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo.

3. Se i provvedimenti sono stati emessi dal giudice di pace e da altro giudice ordinario, è competente in ogni caso quest'ultimo.

4. Se i provvedimenti sono stati emessi dal giudice di pace e da un giudice speciale, è competente per l'esecuzione il tribunale nel cui circondario ha sede il giudice di pace.

5. I giudici indicati nel presente articolo sono competenti anche se il provvedimento da eseguire è stato comunque riformato".

 

3. Dopo l'articolo 666 del codice di procedura penale sono inseriti i seguenti:

 

"Art. 666-bis (Procedimento di esecuzione davanti al giudice di pace) - 1. Salvo quanto previsto nel comma 2, nel procedimento di esecuzione davanti al giudice di pace si osservano le disposizioni di cui all'articolo 666.

2. Contro il decreto del giudice di pace che dichiara inammissibile la richiesta formulata nel procedimento di esecuzione e contro l'ordinanza che decide sulla richiesta, l'interessato può proporre, entro quindici giorni dalla notifica del provvedimento, ricorso per motivi di legittimità al tribunale in composizione monocratica nel cui circondario ha sede il giudice di pace.

3. Il tribunale decide con ordinanza non impugnabile. Si osservano le disposizioni di cui all'articolo 127.

 

Art. 666-ter. (Esecuzione delle pene pecuniarie). - 1. Le condanne a pena pecuniaria si eseguono a norma dell'articolo 660, ma l'accertamento della effettiva insolvibilità del condannato è svolto dal giudice di pace competente per l'esecuzione che adotta, altresì, i provvedimenti in ordine alla rateizzazione ovvero alla conversione della pena pecuniaria".

 

4. L'articolo 47 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

 

"Art. 47. (Affidamento in prova al servizio sociale). - 1. Se la pena detentiva inflitta non supera tre anni, il condannato è affidato al servizio sociale fuori dell'istituto per un periodo uguale a quella della pena da scontare.

2. Quando la pena da espiare sia superiore a tre anni ma inferiore a cinque, il provvedimento è adottato sulla base dei risultati della osservazione della personalità, condotta collegialmente per almeno un mese in istituto, nei casi in cui si può ritenere che il provvedimento stesso, anche attraverso le prescrizioni di cui al comma 5, contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati.

3. Negli stessi casi di cui al comma 2 l'affidamento in prova al servizio sociale può essere disposto senza procedere all'osservazione in istituto quando il condannato, dopo la commissione del reato, ha serbato comportamento tale da consentire il giudizio di cui al medesimo comma 2.

4. Se l'istanza di affidamento in prova al servizio sociale è proposta dopo che ha avuto inizio l'esecuzione della pena, il magistrato di sorveglianza competente in relazione al luogo dell'esecuzione, cui l'istanza deve essere rivolta, può sospendere l'esecuzione della pena e ordinare la liberazione del condannato, quando sono offerte concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per l'ammissione all'affidamento in prova e al grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione e non vi sia pericolo di fuga. La sospensione dell'esecuzione della pena opera sino alla decisione del tribunale di sorveglianza, cui il magistrato di sorveglianza trasmette immediatamente gli atti e che decide entro quarantacinque giorni. Se l'istanza non è accolta, riprende l'esecuzione della pena, e non può essere accordata altra sospensione quale che sia l'istanza successivamente proposta.

5. All'atto dell'affidamento è redatto verbale in cui sono dettate le prescrizioni che il soggetto dovrà seguire in ordine ai suoi rapporti con il servizio sociale, alla dimora, alla libertà di locomozione, al divieto di frequentare determinati locali ed al lavoro.

6. Con lo stesso provvedimento può essere disposto che durante tutto o parte del periodo di affidamento in prova il condannato non soggiorni in uno o più comuni, o soggiorni in un comune determinato; in particolare sono stabilite prescrizioni che impediscano al soggetto di svolgere attività o di avere rapporti personali che possono portare al compimento di altri reati.

7. Nel verbale deve anche stabilirsi che l'affidato si adoperi in quanto possibile in favore della vittima del suo reato ed adempia puntualmente agli obblighi di assistenza familiare.

8. Nel corso dell'affidamento le prescrizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza.

9. Il servizio sociale controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita.

10. Il servizio sociale riferisce periodicamente al magistrato di sorveglianza sul comportamento del soggetto.

11. L'affidamento è revocato qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova.

12. Le disposizioni di cui ai commi da 4 a 10 non si applicano nel caso previsto del comma 1. Nella medesima ipotesi il servizio sociale competente controlla la condotta del condannato e riferisce periodicamente al magistrato di sorveglianza sulle condizioni di vita, familiari, sociali e lavorative del condannato. Il beneficio è immediatamente revocato se il condannato impedisce al servizio sociale lo svolgimento delle attività di controllo ovvero commette un delitto non colposo per cui viene inflitta la pena della reclusione.

13. L'esito positivo del periodo di prova estingue la pena e ogni altro effetto penale".

 

 

Art. 15.

 1. Il comma 1-bis dell'articolo 133 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, è abrogato.

2. L'articolo 4 della legge 27 marzo 2001, n. 97, è abrogato.

 

Art. 16.

 

1. Gli articoli 416, 416-bis e 416-ter del codice penale devono essere interpretati nel senso che non sono in essi ricomprese le condotte di cui all'articolo 110 del medesimo codice.

 

 

Art. 17.

 

1. L'articolo 317 del codice penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 317. (Concussione) Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, con violenza o minaccia, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente a lui o ad un terzo, denaro o altra utilità, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni".

 

2. All'articolo 318 del codice penale è aggiunto, infine, il seguente comma:

 

"La pena è ridotta di un terzo nelle ipotesi in cui il pubblico ufficiale solleciti inutilmente una dazione o promessa di denaro o di altra utilità per le finalità indicate nel secondo comma".

 

3. L'articolo 319 del codice penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 319. (Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio) Il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé un ingiusto vantaggio patrimoniale è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

La pena è aumentata nel minimo a due anni e nel massimo a cinque se il pubblico ufficiale, in esecuzione di un accordo con il privato, riceve denaro o altra utilità, ovvero ne accetta la promessa per omettere o ritardare o per avere omesso o per avere ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio.

La pena è aumentata nel minimo a tre anni e nel massimo a sette se l'accordo ha per oggetto il conferimento di pubblici impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l'amministrazione alla quale il pubblico ufficiale appartiene.

La pena è aumentata nel massimo a otto anni se, a fronte della ricezione di denaro o altra utilità, ovvero dell'accettazione della promessa, l'abuso è commesso per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo.

Nell'ipotesi in cui il pubblico ufficiale solleciti inutilmente una dazione o promessa di denaro o di altra utilità per le finalità indicate nel secondo comma è punito con la pena della reclusione da due a quattro anni".

 

4. L'articolo 319-bis del codice penale è abrogato.

5. L'articolo 320 del codice penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 320. (Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio). - Le disposizioni dell'articolo 319, commi secondo e quinto, si applicano anche all'incaricato di un pubblico servizio; quelle dell'articolo 318 si applicano anche alla persona incaricata di un pubblico servizio, qualora rivesta la qualità di pubblico impiegato.

In ogni caso, le pene sono ridotte in misura non superiore ad un terzo".

 

6. L'articolo 321 del codice penale è abrogato.

7. L'articolo 322 del codice penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 322. (Istigazione alla corruzione da parte di privato). - Il privato che istiga il pubblico ufficiale, l'incaricato di pubblico servizio, ovvero la persona incaricata di un pubblico servizio, qualora rivesta la qualità di pubblico impiegato, offrendogli o promettendogli denaro o altra utilità non dovuti, a porre in essere un atto del suo ufficio ovvero un abuso del suo ufficio è punito, qualora l'istigazione non sia accolta, con la pena della reclusione fino a un anno.

Qualora l'istigazione sia accolta, si applica la pena della reclusione da uno a due anni.

Se l'istigazione attraverso promessa od offerta è fatta per indurre un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio a omettere o a ritardare un atto del suo ufficio, ovvero a fare un atto contrario ai suoi doveri, il colpevole soggiace, qualora l'istigazione non sia accolta, alla pena della reclusione da uno a tre anni.

Qualora l'istigazione sia accolta, si applica la pena della reclusione da due a quattro anni.

Nei casi in cui l'accordo corruttivo tra privato e pubblico ufficiale, ovvero incaricato di un pubblico servizio anche quando rivesta la qualità di pubblico impiegato, sia il risultato di una azione induttiva posta in essere da questo ultimo, il privato soggiace alle pene stabilite dai commi secondo e quarto, diminuite di un terzo".

 

8. L'articolo 594 del codice penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 594. (Ingiuria). - Chiunque offende l'onore e il decoro di una persona, anche mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni rivolti alla persona offesa, se tale offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato è punito con la multa fino a 1.033 euro.

La pena è aumentata qualora l'offesa sia commessa in presenza di più persone".

 

 

Art. 18.

 

1. L'articolo 595 del codice penale è sostituito dal seguente:

 

"Art. 595. (Diffamazione). - Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo 594, comunicando con più persone offende la altrui reputazione, è punito, se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, con la multa fino a 2.066 euro.

Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o a una sua rappresentanza, o a una Autorità, costituita in collegio, le pene sono aumentate".

 

2. Il comma 2 dell'articolo 538 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

 

"2. Se pronuncia condanna dell'imputato al risarcimento, il giudice provvede altresì alla liquidazione, salvo che sia prevista la competenza di altro giudice. Il giudice provvede comunque alla liquidazione nell'ipotesi in cui pronunci condanna per i reati di ingiuria o diffamazione".

 

3. Dopo l'articolo 595 del codice penale è inserito il seguente:

 

"Art. 595-bis. (Sospensione condizionata della pena per i reati di ingiuria o diffamazione) - Nell'ipotesi di condanna per i reati di ingiuria o diffamazione la pena è condizionalmente sospesa.

Nell'ipotesi in cui è pronunciata condanna al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, la condanna è condizionalmente sospesa per i due mesi successivi al passaggio in giudicato della sentenza. Se entro tale termine il condannato provvede al risarcimento dei danni, il reato è estinto".

 

4. L'articolo 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 è sostituito dal seguente:

 

"Art. 13. (Pene per la diffamazione) - 1. Nel caso di diffamazione commessa con il mezzo della stampa, consistente nell'attribuzione di un fatto determinato, si applica la pena della multa non inferiore a 516 euro".

 

5. Il primo comma dell'articolo 32 della legge 24 novembre 1981, n. 689, è sostituito dal seguente:

 

"Non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell'ammenda, salvo quanto disposto, per le violazioni finanziarie, dall'articolo 39. Non costituiscono altresì reato i fatti previsti dagli articoli 594 e 595 del codice penale quando l'offesa all'onore e al decoro non consista nell'attribuzione di un fatto determinato".

 

 

 


N. 2883

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato LA GRUA

¾

 

Abolizione degli incarichi extragiudiziari dei magistrati

 

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Presentata il 19 giugno 2002

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Onorevoli Colleghi! - Il tema del regime delle incompatibilià dei magistrati e degli incarichi extragiudiziari costituisce uno degli argomenti di maggiore rilevanza nel quadro dell'affermazione dei valori Costituzionali di autonomia ed indipendenza della magistratura sanciti nell'articolo 104 della Costituzione.

Di particolare delicatezza, in tale ambito, è il tema delle incompatibilità di funzioni dei magistrati. L'attuale secondo comma dell'articolo 16 dell'ordinamento giudiziario approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, stabilisce, per i magistrati ordinari, oltre al divieto di assumere "pubblici o privati impieghi od uffici", ad eccezione di cariche parlamentari e di amministratore (non remunerato) di istituzioni pubbliche di beneficenza, e di "esercitare industrie o commerci" nonché "qualsiasi libera professione", anche il divieto di accettare incarichi di qualsiasi specie e di assumere le funzioni di arbitro, senza l'autorizzazione del Consiglio superiore della magistratura. In tal caso, ai sensi del terzo comma, possono assumere le funzioni di arbitro unico o di presidente del collegio arbitrale ed esclusivamente negli arbitrati nei quali è parte l'Amministrazione dello Stato ovvero aziende od enti pubblici.

Si tratta di una normativa incompleta e frammentaria, alla quale ha fatto seguito una legislazione speciale che ha consentito sempre più frequentemente l'assunzione di incarichi extragiudiziari da parte di magistrati ordinari e, ancor di più, da parte di magistrati amministrativi e contabili. Il numero e la tipologia di incarichi sono tanto ampi e diversificati da rendere problematica una ricognizione certa delle norme che ne prevedono la realizzazione. Oltre a questo va considerato il caso di incarichi non previsti da norme di legge, ma autorizzati dagli organi di autogoverno delle magistrature.

Per modificare la disciplina degli incarichi il legislatore era intervenuto già in passato con la legge n. 97 del 1979, che, esprimendo un evidente sfavore verso le attività arbitrali dei magistrati, aveva previsto che le somme dovute ai magistrati a titolo di compenso per le funzioni di arbitro dovessero essere versate da coloro che sono tenuti ad erogarle direttamente in conto entrate del Tesoro, nella misura dell'80 per cento. Tale disposizione è stata però dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 116 del 1985.

Successivamente, con l'articolo 24 della legge 30 dicembre 1991, n. 412, il legislatore ha previsto l'istituzione di un'anagrafe nominativa delle prestazioni presso il Dipartimento della funzione pubblica, in cui vanno indicati, con i relativi compensi, tutti gli incarichi pubblici e privati, non compresi nei compiti e doveri d'ufficio, resi da tutto il personale delle Amministrazioni pubbliche, ivi compresi i magistrati e il personale della Banca d'Italia. Tale normativa è rimasta largamente inattuata.

Nell'XI legislatura è intervenuta sul tema una normativa fortemente criticabile nel merito in quanto, sostanzialmente, ha mantenuto il regime vigente che consente ai magistrati ampie possibilità di svolgere incarichi extragiudiziari, a scapito dello svolgimento di funzioni giurisdizionali.

L'articolo 58 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, (ora articolo 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001) recante disposizioni per la razionalizzazione e la revisione dell'organizzazione delle pubbliche amministrazione e del pubblico impiego, infatti, emanato in attuazione della delega contenuta nell'articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, recante "Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale", aveva previsto, pur in assenza di una espressa indicazione da parte del legislatore delegante, l'emanazione di regolamenti delegificativi, da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, ai quali era affidato il compito di individuazione degli incarichi consentiti ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, nonché agli avvocati e procuratori dello Stato. In attuazione di tale norma sono sinora stati emanati il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 ottobre 1993, n. 418, recante norme sugli incarichi dei magistrati amministrativi e il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1993, n, 584, recante norme sugli incarichi consentiti o vietati agli avvocati e procuratori dello Stato. Non sono stati ancora emanati, invece, i regolamenti relativi agli incarichi per la magistratura ordinaria e per quella contabile.

Tale normativa, oltre ad operare una inopportuna delegificazione in una materia di rilevanza costituzionale, consegnando al regolamento la disciplina di aspetti dello status dei magistrati che secondo la stessa legge n. 421 del 1992 sono riservati alla legge, mostra il fianco a rilevanti critiche attinenti al merito del provvedimento. I due regolamenti sinora emanati, infatti, hanno escluso soltanto lo svolgimento di collaudi di opere pubbliche, consentendo invece lo svolgimento degli arbitrati e di tutti gli altri innumerevoli incarichi extragiudiziari previsti dalla normativa vigente, ponendo delle limitazioni meramente simboliche e non effettive.

La presente proposta di legge si propone pertanto di innovare profondamente la materia, attribuendo innanzitutto alla legge e al Parlamento il compito di disciplinare lo status dei magistrati.

Fine essenziale della proposta è quello di salvaguardare i fondamentali princìpi costituzionali dell'autonomia e dell'indipendenza dei giudici, limitando la possibilità di svolgere incarichi extragiudiziari.

Tale esigenza del resto è in linea con quanto a più riprese affermato dal Consiglio superiore della magistratura che, particolarmente nelle circolari del 20 maggio 1977, n. 2464, 8 ottobre 1986, n. 9060, nella delibera del 10 aprile 1991, nella risoluzione del 28 novembre 1990 e nelle risoluzioni del 10 febbraio 1994 e del 16 novembre 1994, ha, a più riprese, sollecitato l'esigenza di riformare gli incarichi extragiudiziari e di non compromettere l'esercizio delle funzioni giurisdizionali. In particolare, per quanto concerne lo svolgimento degli arbitrati il Consiglio superiore della magistratura ha affermato che tale prassi è in grave contrasto con il principio dell'assoluta prevalenza dell'impegno del giudice per l'assolvimento delle funzioni di istituto e ha invitato il Governo ad assumere le opportune iniziative legislative per la soppressione dell'obbligo della partecipazione a collegi arbitrali da parte di magistrati ordinari.

Pertanto l'articolo 1 afferma il principio generale del divieto per i magistrati di assumere incarichi extragiudiziari. Finalità del divieto è quella di garantire che l'esercizio della funzione giurisdizionale avvenga nel rispetto dei princìpi di autonomia ed indipendenza del magistrato: l'esercizio di attività extragiudiziarie, in quanto coinvolgono rilevanti interessi pubblici ed economici, e in quanto mal si conciliano con il principio di separazione dei poteri dello Stato ai quali è informato lo stato di diritto nelle democrazie classiche, sono suscettibili di distogliere il magistrato dall'esercizio delle funzioni di istituto e sono tali da limitare i caratteri dell'autonomia, dell'indipendenza e dell'imparzialità che presiedono alla funzione giurisdizionale. L'introduzione di tale divieto vuole rappresentare pertanto un adeguato strumento di tutela dell'indipendenza della magistratura, e di rispondenza al dettato costituzionale.

L'inciso del comma 2 dell'articolo 1 rinvia all'adozione di una organica disciplina in materia di incompatibilità funzionale dei magistrati da includere in una organica riscrittura dell'ordinamento giudiziario, nella quale, oltre alla disciplina degli incarichi extragiudiziari, debbono rientrare anche la disciplina delle attività che i magistrati possono svolgere al di fuori delle funzioni giurisdizionali (partecipazioni ad associazioni, iscrizione a partiti politici, attività di studio, eccetera). Tali profili, in quanto investono lo status complessivo del magistrato, esulano dall'ambito della presente proposta.

L'elencazione contenuta nelle lettere da a) a d) del comma 2 vuole avere carattere di onnicomprensività, anche se non ha natura tassativa e tipizza le diverse modalità di incarico ai quali attualmente attendono i magistrati.

Altro punto qualificante dell'articolo 1 è rappresentato dall'equiparazione, per questo profilo, dei magistrati ordinari ai magistrati militari, amministrativi e contabili. Infatti, anche se diverso è l'assetto ordinamentale della magistratura ordinaria e delle magistrature speciali, tuttavia l'esercizio della funzione giurisdizionale non può in alcun modo prescindere dal riconoscimento unitario delle prerogative di indipendenza della magistratura. In attesa di una redifinizione dell'ordinamento complessivo delle magistrature è importante affermare il principio dell'unicità della funzione giurisdizionale e dell'unitarietà delle garanzie di indipendenza ed autonomia dei magistrati.

L'articolo 2 affronta il tema dello svolgimento di funzioni amministrative da parte dei magistrati. Confermando lo svolgimento di funzioni amministrative di direzione degli uffici giudiziari, la norma tipizza le funzioni amministrative estranee alla direzione degli uffici giudiziari che i magistrati, sia ordinari che speciali, possono svolgere all'interno delle istituzioni statali. Il criterio adoperato è quello di consentire lo svolgimento delle sole funzioni amministrative a carattere istituzionale connotate da caratteristiche di tecnicità giuridica, quali gli incarichi di addetti agli uffici legislativi dei Ministeri o di componente di organismi internazionali e comunitari, o relative al Funzionamento di istituzioni di garanzia o super partes, quali la Presidenza della Repubblica, la Corte costituzionale, il Consiglio superiore della magistratura, le autorità amministrative indipendenti (Autorità antitrust, Garante per l'editoria, eccetera), con esclusione di quelle, quali le funzioni di capo di gabinetto dei Ministeri, che investono connotazioni più marcatamente politiche. La scelta di consentire lo svolgimento di tali funzioni tiene conto della tradizione amministrativa italiana, che da sempre attinge al personale di magistratura come ad un serbatoio di elevata professionalità e tecnicità per l'affidamento di compiti istituzionali di grande rilevanza per lo Stato. L'elencazione di funzioni ha carattere di tassatività.

L'articolo 3 disciplina il procedimento che consente ai magistrati di assumere le funzioni amministrative di cui al precedente articolo 2, secondo il principio di consentire tale possibilità entro limiti di ragionevolezza e di compatibilità con le esigenze di esercizio di funzioni giurisdizionali da parte della magistratura. Di grande rilevanza è il limite temporale allo svolgimento di tali funzioni, stabilito in cinque anni, salva proroga di ulteriori due anni per lo svolgimento di funzioni cui siano connesse particolari o gravi esigenze. In ogni caso, per concedere l'autorizzazione i rispettivi organi di autogoverno delle magistrature devono valutare il numero complessivo di magistrati che già sono stati collocati fuori ruolo, lasciando ai predetti organi la discrezionalità di ritenere o meno compatibile il collocamento fuori ruolo di un numero ulteriore di magistrati con lo svolgimento delle funzioni giurisdizionali da parte dell'ordine giudiziario. Importante, ai fini della trasparenza amministrativa, è la disposizione di cui al comma 6, che impone agli organi di autogoverno di pubblicare l'elenco nominativo dei magistrati che svolgono le funzioni amministrative.

L'articolo 4 detta un'altra norma di garanzia dei magistrati, con riferimento al problema di evitare che il godimento di retribuzioni connesse allo svolgimento delle funzioni amministrative possa determinare un vulnus all'immagine della magistratura e implicare delicati problemi di compressione delle prerogative di indipendenza dei magistrati. A tal fine si prevede che i compensi che eccedano il quinto dello stipendio annuo in godimento nell'ambito della carriera giurisdizionale, siano versati, con un meccanismo di prelievo automatico, in un conto acceso presso il Tesoro e destinato a finanziare importanti iniziative di valore sociale e solidaristico, quali quelle per il sostegno dell'occupazione.

L'articolo 5 affronta il tema degli incarichi dirigenziali all'interno del Ministero della giustizia. Come è noto, per antica tradizione le funzioni dirigenziali amministrative all'interno del Dicastero sono svolte da magistrati collocati fuori ruolo, e in tal modo sottratti allo svolgimento di funzioni giurisdizionali. Stante l'elevato numero di magistrati destinati a svolgere tali funzioni, si è ritenuto di sollevare i magistrati dall'esercizio di tali funzioni amministrative, pur garantendo una certa elasticità temporale nell'attribuzione di tali incarichi a personale del ruolo dirigenziale dello Stato.

Gli articoli 6 e 7 affrontano i temi di alcuni incarichi specifici: la partecipazione a commissioni di concorso e gli incarichi di componenti delle magistrature sportiva o tributaria. Le soluzioni proposte sono estremamente equilibrate. In considerazione della tecnicità degli incarichi e della lontananza degli stessi da funzioni di amministrazione attiva, si ritiene che tali incarichi possano essere svolti, seppure nell'ambito di precise limitazioni: per i concorsi è previsto che i magistrati possano far parte soltanto delle commissioni dei concorsi "forensi"; per gli incarichi di giudici sportivi o tributari è prevista la possibilità di svolgere un solo incarico e per non più di 5 anni.

L'articolo 8 detta una importante disciplina transitoria, onde consentire una necessaria gradualità per l'introduzione di una riforma di notevole impatto sull'attuale situazione, ed evitare il prodursi di disfunzioni o impossibilità di funzionamento degli organismi amministrativi nei quali gli incarichi sono svolti. A tal fine si prevede che il nuovo regime degli incarichi non si applichi agli incarichi attualmente autorizzati, ma che i magistrati decadano dagli incarichi attualmente ricoperti entro due anni a far data dall'entrata in vigore della legge. Il meccanismo ipotizzato sembra ragionevolmente equo nel consentire un regime transitorio di uscita dalla situazione attuale che conosce un così ampio sviluppo degli incarichi.

L'articolo 9, infine, dispone l'abrogazione delle norme dell'ordinamento giudiziario che consentono gli incarichi, nonché dei due regolamenti delegificativi sopracitati. Stante l'impossibilità pratica di individuare tutte le norme che dispongono la partecipazione di magistrati, i commi 2 e 3 dispongono l'abrogazione di tutte le disposizioni di legge che prevedono la partecipazione di magistrati a commissioni di concorso o allo svolgimento di funzioni non consentite a norma dell'articolo 2 della presente proposta di legge, limitatamente alla previsione della partecipazione dei magistrati. In via transitoria, e sino all'approvazione di una legge che disciplini organicamente la materia dell'attività di consulenza, vigilanza e ausilio dello Stato nell'espletamento di funzioni amministrative, onde evitare la paralisi degli organismi per i quali la legge prevede la partecipazione di magistrati, si prevede che i magistrati, decaduti dalla titolarità degli incarichi dopo due anni dalla data di entrata in vigore della legge, siano sostituiti negli organismi che attualmente ne prevedono la partecipazione da dirigenti della pubblica amministrazione. In tale veste i dirigenti opereranno nell'ambito delle funzioni istituzionali e quindi senza onere finanziario aggiuntivo per lo Stato.

 


 


 


proposta di legge

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Art. 1.

(Divieto di incarichi extragiudiziari).

 

1. Al fine di attuare i princìpi di autonomia e di indipendenza della magistratura di cui all'articolo 104 della Costituzione, e di consentire l'effettività dell'esercizio delle funzioni giurisdizionali, è fatto divieto ai magistrati ordinari, militari, amministrativi e contabili di assumere incarichi di qualsiasi natura.

2. I magistrati, in particolare, fatta salva la disciplina in materia di incompatibilità funzionale, non possono:

a) essere componenti di commissioni di collaudo di opere e lavori pubblici;

b) espletare incarichi di arbitrato, anche nei casi in cui è parte l'amministrazione dello Stato, un'azienda o un ente pubblico, ovvero una società partecipata da un ente pubblico, ivi compresi quelli previsti dal capitolato generale per le opere di competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;

c) assumere incarichi, anche se previsti dalla legge o da regolamenti, o autorizzati dal Consiglio superiore della magistratura o dagli organi di autogoverno delle magistrature speciali;

d) di partecipare a commissioni, comitati, uffici od organismi della pubblica amministrazione comunque denominati aventi funzioni consultive, amministrative, contenziose, di vigilanza sull'esecuzione di programmi, interventi o finanziamenti o di altra natura.

 

 

Art. 2.

(Svolgimento di funzioni amministrative).

 

1. Ferme restando le funzioni di carattere ammininstrativo loro attribuite per la direzione degli uffici giudiziari, i magistrati ordinari, militari, amministrativi e contabili non possono esercitare funzioni amministrative, salvo quanto disposto dal presente articolo.

2. E consentito l'esercizio di funzioni amministrative in qualità di:

 

a) addetto al segretariato generale della Presidenza della Repubblica;

 

b) addetto agli uffici legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri e dei Ministeri;

 

c) addetto alla Corte costituzionale;

 

d) addetto agli uffici delle autorità amministrative indipendenti;

 

e) componente di organismi internazionali o comunitari;

 

f) componente degli uffici del Consiglio superiore della magistratura;

 

g) addetto ad organismi internazionali per lo svolgimento di attività connesse all'esercizio della giurisdizione o alle competenze del Ministero della giustizia;

 

h) componente di organismi di controllo sugli atti amministrativi delle regioni e degli enti locali.

 

 

3. L'elenco delle funzioni di cui al comma 2 ha carattere di tassatività.

 

 

Art. 3.

(Autorizzazione allo svolgimento di funzioni

amministrative).

 

1. Nelle ipotesi di cui all'articolo 2 lo svolgimento delle funzioni amministrative è consentito previa autorizzazione del Consiglio superiore della magistratura e degli altri organi di autogoverno delle rispettive magistrature di appartenenza, per una sola volta e per un periodo non superiore a cinque anni.

2. I magistrati autorizzati sono collocati fuori ruolo.

3. Ai fini della progressione di carriera le funzioni amministrative svolte ai sensi dell'articolo 2 sono equiparate a tutti gli effetti alle funzioni svolte presso gli uffici giudiziari.

4. L'autorizzazione può essere prorogata per un periodo non superiore a due anni, tenuto conto di particolari e gravi esigenze connesse alle funzioni svolte.

5. Nell'autorizzare lo svolgimento di funzioni amministrative gli organi di autogoverno delle magistrature devono valutare il numero complessivo di magistrati collocati fuori ruolo e la compatibilità con le esigenze connesse allo svolgimento delle funzioni giurisdizionali del collocamento fuori ruolo di ulteriori magistrati.

6. Il Consiglio superiore della magistratura e gli organi di autogoverno delle magistrature pubblicano l'elenco nominativo dei magistrati collocati fuori ruolo e destinati allo svolgimento di funzioni amministrative.

 

 

Art. 4.

(Destinazione dei trattamenti economici

derivanti dallo svolgimento di funzioni

amministrative).

 

1. Qualora le somme spettanti ai magistrati a titolo di retribuzione o compenso o indennità per lo svolgimento di funzioni amministrative superino il quinto dello stipendio annuo in godimento, gli enti eroganti sono tenuti a versare tali somme in un apposito conto entrate costituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze, dandone contestualmente comunicazione all'interessato.

2. Il Ministero dell'economia e delle finanze, versa al magistrato, effettuate le ritenute di legge, la parte non eccedente il quinto dello stipendio in godimento; il residuo è versato in un fondo, da istituire con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, destinato ad interventi di sostegno dell'occupazione.

 

 

Art. 5.

(Svolgimento di funzioni amministrative presso il

Ministero della giustizia).

 

1. Salvo quanto disposto dall'articolo 2, i magistrati non possono svolgere funzioni amministrative nell'ambito del Ministero della giustizia.

2. I posti vacanti sono ricoperti facendo ricorso alle procedure di mobilità previste dalla vigente normativa in materia di pubblico impiego, con preferenza per il personale del ruolo dirigenziale del Ministero della giustizia.

3. Nel termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, i magistrati in servizio presso il Ministero della giustizia, non addetti agli uffici di cui all'articolo 2, sono ricollocati nel ruolo di provenienza e destinati, anche in soprannumero, agli uffici cui essi erano assegnati prima del collocamento fuori ruolo.

 

 

Art. 6.

(Partecipazione a commissioni di concorso).

 

1. I magistrati ordinari, militari, amministrativi e contabili non possono far parte di commissioni giudicatrici d'esame e di concorso.

2. In deroga a quanto previsto dal comma 1 è consentita la partecipazione alle commissioni di concorso per il reclutamento e la progressione di carriera delle seguenti categorie:

 

a) magistratura ordinaria, militare, amministrativa e contabile;

 

b) avvocati e procuratori dello Stato;

 

c) personale del Corpo di polizia penitenziaria;

 

d) avvocati;

 

e) notai.

 

 

Art. 7.

(Giustizia sportiva e tributaria).

 

1. I magistrati ordinari, militari, amministrativi e contabili possono far parte degli organi della giustizia sportiva e della giustizia tributaria per una sola volta e per una durata complessiva non superiore a cinque anni.

 

Art. 8.

(Disciplina transitoria).

1. Le disposizioni di cui. alla presente legge non si applicano agli incarichi autorizzati anteriormente alla data de1la sua entrata in vigore.

2. In ogni caso, i magistrati decadono dagli incarichi ricoperti alla data di entrata in vigore della presente legge entro due anni da tale data.

 

 

Art. 9.

(Abrogazione di norme e norme finali).

 

1. Sono abrogati: gli articoli 196, 197, 198, 199 e 210 dell'ordinamento giudiziario approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni; l'articolo 15 della legge 24 marzo 1958, n. 195; l'articolo 53, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165; a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge cessano altresì di avere applicazione il regolamento recante norme sugli incarichi dei magistrati amministrativi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 ottobre 1993, n. 418; il regolamento recante norme sugli incarichi consentiti o vietati agli avvocati e procuratori dello Stato, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1993. n. 584.

2. Sono abrogate tutte le disposizioni di legge che prevedono la partecipazione dei magistrati a commissioni di concorso, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 6, comma 2.

3. Sono abrogate, con riferimento alla sola partecipazione dei magistrati, tutte le disposizioni di legge o regolamentari che prevedono la partecipazione di magistrati ordinari, militari, amministrativi o contabili allo svolgimento di funzioni che non siano quelle consentite a norma dell'articolo 2.

4. Sino all'approvazione di una legge che disciplini organicamente la materia dell'attività di consulenza, vigilanza e ausilio dello Stato nell'espletamento delle funzioni amministrative i magistrati sono sostituiti, negli organismi previsti da leggi vigenti, da dirigenti delle pubbliche amministrazioni, che operano nell'esercizio delle funzioni istituzionali e senza alcun onere aggiuntivo per lo Stato.

5. Agli effetti della presente legge i magistrati del Consiglio di Stato sono considerati magistrati amministrativi e i magistrati della Corte dei conti sono considerati magistrati contabili.

 

 

 

 


N. 3014

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d'iniziativa dei deputati

FANFANI, FISTAROL

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Delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario

 

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Presentata l'11 luglio 2002

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Onorevoli Colleghi! - Mediante la presente proposta di legge, si intende intervenire sulla qualità della giurisdizione, attraverso la modifica, ancorché parziale, della normativa sull'ordinamento giudiziario.

E' necessario premettere che la presente proposta di legge non ha la pretesa di un intervento riformatore di carattere generale, essendo al contrario limitata, oltre ad alcuni specifici aspetti, a quella parte dell'ordinamento giudiziario oggetto di analogo intervento da parte del Governo, onde essere strumento legislativo utile anche ad un immediato confronto nella sede parlamentare.

Nel merito, la proposta di legge parte dalla constatazione della oggettiva sofferenza dell'intero sistema giustizia, che coinvolge tutti gli operatori del settore e che, in ultima analisi, penalizza i cittadini attraverso un servizio reso male e con tempi lunghissimi, sentito lontano e, talvolta, ostile.

Parte altresì dalla esigenza di intervenire su quelle parti dell'ordinamento giudiziario che oggi sono oggetto di dibattito, mantenendo fermo il principio della autonomia ed indipendenza della magistratura, offrendo una soluzione ad alcuni problemi in discussione, e tenendo infine presente la necessità di evitare il pericolo che la magistratura sia ricondotta sotto il controllo dell'esecutivo, secondo una propensione evidente nella proposta del Governo.

La proposta di legge disciplina gli aspetti di seguito illustrati.

L'accesso alle funzioni di legittimità, anche ad avvocati con anzianità professionale di almeno venti anni, attraverso un procedimento che prevede sia l'intervento della sezione territoriale del consiglio giudiziario, sia una valutazione da parte di una commissione mista nominata dal Consiglio superiore della magistratura. In tal modo si intende favorire un iniziale processo di integrazione sinergica, che diviene maggiormente apprezzabile nella disciplina data alla magistratura onoraria.

La formazione permanente dei magistrati attraverso una Scuola superiore della magistratura, struttura didattica stabilmente preposta alla organizzazione della attività di tirocinio, alla formazione di uditori giudiziari ed all'aggiornamento periodico dei magistrati. La Scuola è organizzata autonomamente dal Consiglio superiore della magistratura, avvalendosi anche di professionalità esterne.

La riforma dei consigli giudiziari e la istituzione di sezioni territoriali presso ogni tribunale, composte da magistrati e, con funzioni consultive, anche da avvocati e da cittadini di chiara fama. A dette sezioni sono attribuite, tra l'altro, sia funzioni di controllo, sia il compito di formulare pareri e segnalazioni al consiglio giudiziario distrettuale, nonché al Consiglio superiore della magistratura per la nomina dei magistrati requirenti e dei magistrati onorari.

La nomina dei magistrati onorari attraverso un procedimento fondato sulla collaborazione tra magistratura e avvocatura, che prevede l'affidamento dell'esercizio delle funzioni ad avvocati iscritti all'albo della provincia, dichiaratisi disponibili, con anzianità di almeno dieci anni, i quali, nell'esercizio della professione, abbiano dimostrato preparazione, capacità, onestà ed equilibrio. Tale sistema tende a garantire la qualità della funzione, la efficienza e la velocità del servizio in relazione al carico giudiziario degli uffici, atteso che gran parte della cosiddetta "giustizia minore", viene oggi affidata a magistrati onorari.

La distinzione delle funzioni requirenti e giudicanti, attuata attraverso le seguenti previsioni:

 

1) che i vincitori di concorso per uditore giudiziario, destinati alle funzioni penali, debbano per i primi dieci anni esercitare le funzioni giudicanti, sia in composizione monocratica che in composizione collegiale;

 

2) che il passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente sia consentito a quei magistrati che si siano distinti per equilibrio nel giudizio, per capacità professionale e per qualità personali e morali;

 

3) che per il passaggio tra una funzione ed un'altra funzione, il Consiglio superiore della magistratura debba acquisire le note professionali di cui all'articolo 3, comma 1 lettera e), nonché il parere dei consigli giudiziari territoriali di cui all'articolo 4, comma 1, lettera l), numero 1;

 

4) che il passaggio tra funzioni giudicanti e requirenti sia consentito dopo un periodo minimo di cinque anni di esercizio effettivo delle funzioni, e presso un diverso circondario;

 

5) che il passaggio tra funzioni giudicanti o requirenti penali, e funzioni giudicanti civili, sia consentito all'interno dello stesso circondario, fermo restando il periodo minimo di permanenza nelle funzioni di cui al numero 4).

 

La temporaneità degli uffici direttivi per una durata non superiore a quattro anni.

La organizzazione tecnica e la gestione di tutti i servizi aventi carattere non giurisdizionale, affidata ad un manager o direttore tecnico, nominato dal Ministro della giustizia, il quale abbia la funzione di razionalizzare ed organizzare l'utilizzo delle risorse esistenti, programmare la necessità di nuove strutture tecniche e logistiche e provvedere al loro costante aggiornamento, nonché pianificare il loro utilizzo in relazione al carico giudiziario esistente, alla prevedibile evoluzione di esso, ed alle esigenze di carattere sociale e territoriale nel rapporto tra i cittadini e la giustizia.

La tipizzazione delle ipotesi di illecito disciplinare dei magistrati, prevedendo anche autonome ipotesi per la funzione giudicante e quella requirente, e prevedendo la istituzione all'interno della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, di sottosezioni - istruttoria e giudicante - autonome tra di loro per composizione.

La revisione delle circoscrizioni territoriali degli uffici giudiziari, finalizzata ad un'equa distribuzione del carico di lavoro e ad una adeguata efficienza del servizio in relazione alle esigenze del territorio.

 


 


proposta di legge

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Art. 1.

(Contenuto della delega).

 

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, con l'osservanza dei princìpi e criteri direttivi dalla medesima legge stabiliti, uno o più decreti legislativi diretti a:

 

a) modificare la disciplina per l'accesso alla carriera in magistratura ordinaria e stabilire l'accesso alle funzioni di legittimità presso la Corte di cassazione anche mediante concorso con una quota di posti riservata ad avvocati;

 

b) razionalizzare la normativa in tema di formazione dei magistrati ed istituire la Scuola superiore della magistratura;

 

c) disciplinare la composizione, le competenze e la durata in carica dei consigli giudiziari, nonché istituire le sezioni territoriali del consigli giudiziari stessi;

 

d) disciplinare il sistema di nomina di magistrati onorari presso ogni sede di tribunale;

 

e) disciplinare il passaggio dall'esercizio delle funzioni giudicanti a quello delle funzioni requirenti e viceversa;

 

f) stabilire la temporaneità degli incarichi direttivi;

 

g) disciplinare l'organizzazione tecnica delle strutture giudiziarie, attraverso la istituzione di un direttore tecnico presso ogni sede di tribunale;

 

h) individuare le fattispecie tipiche di illecito disciplinare dei magistrati e le relative sanzioni, nonché istituire distinte sezioni, istruttoria e giudicante, per i procedimenti di competenza del Consiglio superiore della magistratura;

 

i) rideterminare le circoscrizioni territoriali degli uffici giudiziari.

 

2. Le disposizioni contenute nei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui al comma 1 divengono efficaci a decorrere dal centoventesimo giorno successivo alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dei medesimi decreti.

3. Il Governo è delegato ad adottare, entro i tre mesi successivi alla scadenza del termine di cui al comma 1, uno o più decreti legislativi recanti le norme necessarie al coordinamento delle disposizioni dei decreti legislativi adottati nell'esercizio della delega di cui al citato comma 1 con le disposizioni vigenti in materia e la necessaria disciplina transitoria, diretta anche a regolare il trasferimento degli affari ai nuovi uffici, fissando i termini massimi per l'attuazione delle norme stesse.

4. Gli schemi dei decreti legislativi adottati nell'esercizio della delega di cui ai commi 1 e 3 sono trasmessi al Senato della Repubblica ed alla Camera dei deputati, affinché sia espresso dai competenti organi parlamentari un motivato parere entro il termine di quarantacinque giorni dalla data della trasmissione, decorso il quale i decreti sono adottati anche in mancanza del parere.

 

Art. 2.

(Concorsi per uditore giudiziario e concorso riservato ad

avvocati per le funzioni di legittimità).

 

1. Nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a) prevedere che a sostenere le prove del concorso per uditore giudiziario siano ammessi coloro i quali hanno conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense ovvero l'idoneità in qualsiasi concorso bandito dalla pubblica amministrazione per il quale è necessario il possesso della laurea in giurisprudenza ovvero hanno conseguito il dottorato di ricerca in materie giuridiche, ovvero hanno frequentato con profitto le scuole di specializzazione forense presso le università;

 

b) prevedere che annualmente, per un quarto dei posti resisi disponibili, sia bandito un concorso per titoli ed esami di accesso alle funzioni di legittimità, riservato ad avvocati con anzianità professionale di almeno venti anni, i quali hanno ottenuto il giudizio di idoneità da parte della sezione territoriale del consiglio giudiziario di cui all'articolo 4;

 

c) prevedere e disciplinare le modalità del concorso, prevedendo in particolare che la commissione giudicatrice sia nominata dal Consiglio superiore della magistratura per due terzi tra magistrati ordinari con almeno venti anni di anzianità nell'esercizio delle funzioni e per un terzo tra professori universitari di materie giuridiche e avvocati di chiara fama con almeno venti anni di anzianità. Prevedere la incompatibilità dell'esercizio delle funzioni di giudice di legittimità con l'attività forense. La presidenza della commissione giudicatrice è assunta da un magistrato designato dal Consiglio superiore della magistratura;

 

d) prevedere l'espressa abrogazione delle norme incompatibili con il decreto legislativo adottato ai sensi dell'articolo 1.

 

Art. 3.

(Formazione dei magistrati ed istituzione della Scuola

superiore della magistratura).

 

1. Nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a) prevedere l'istituzione presso il Consiglio superiore della magistratura di una Scuola superiore della magistratura, struttura didattica stabilmente preposta alla organizzazione delle attività di tirocinio, alla formazione degli uditori giudiziari ed all'aggiornamento professionale periodico dei magistrati;

 

b) prevedere che l'aggiornamento professionale dei magistrati presso la Scuola superiore della magistratura sia obbligatorio per tutti i magistrati, secondo la programmazione definita dal Consiglio superiore della magistratura, anche ai fini della progressione in carriera;

 

c) prevedere che la Scuola superiore della magistratura sia organizzata autonomamente dal Consiglio superiore della magistratura, come struttura permanente destinata a soddisfare le finalità di cui alle lettere a) e b), di intesa con il Ministro della giustizia e con risorse finanziarie a carico del Ministero della giustizia;

 

d) prevedere che nella programmazione dell'attività didattica, il Consiglio superiore della magistratura possa avvalersi delle proposte del Ministro della giustizia, del Consiglio nazionale forense, dei consigli giudiziari, e di quelle dei componenti del Consiglio universitario nazionale esperti in materie giuridiche;

 

e) stabilire che la Scuola superiore della magistratura, in relazione all'esito della attività di formazione ed aggiornamento, rilasci al Consiglio superiore della magistratura pareri riservati contenenti elementi di verifica attitudinale da inserire nel fascicolo personale del magistrato, al fine di costituire elemento per le valutazioni operate dal Consiglio superiore della magistratura stesso, concernenti la progressione in carriera ovvero i conferimenti di incarichi direttivi e semi-direttivi;

 

f) prevedere l'espressa abrogazione delle norme incompatibili con il decreto legislativo adottato ai sensi dell'articolo 1.

 

Art. 4.

(Riforma dei consigli giudiziari e istituzione delle

sezioni territoriali dei consigli giudiziari).

 

1. Nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a) prevedere che i consigli giudiziari presso le corti di appello siano composti:

 

1) dal presidente della corte di appello che lo presiede, dal procuratore generale presso la corte di appello e da sette magistrati in servizio presso gli uffici giudiziari del distretto, con anzianità di servizio non inferiore a quindici anni, cinque scelti tra coloro che esercitano funzioni giudicanti e due tra coloro che esercitano funzioni requirenti;

 

2) da membri supplenti in numero pari a quello dei membri titolari di cui al numero 1);

 

3) da tre membri che partecipano con funzioni consultive, designati dal Consiglio nazionale forense tra gli avvocati con almeno quindici anni di anzianità i quali esercitano le rispettive professioni all'interno del distretto della corte di appello;

 

4) da membri supplenti in quote pari e designati con le stesse modalità stabilite al numero 3);

 

b) prevedere che il consiglio giudiziario elegga a scrutinio segreto, al suo interno, un vice presidente e un segretario;

 

c) prevedere che i membri del consiglio giudiziario durino in carica tre anni e non siano immediatamente rieleggibili;

 

d) prevedere che l'elezione dei componenti togati, ordinari e supplenti del consiglio giudiziario avvenga in un collegio unico distrettuale con il medesimo sistema vigente per la nomina dei componenti togati del Consiglio superiore della magistratura, in quanto compatibile;

 

e) prevedere che al consiglio giudiziario distrettuale siano attribuite, oltre quelle già previste, le seguenti competenze:

 

1) formulare pareri, su richiesta del Consiglio superiore della magistratura, e previa audizione delle sezioni territoriali di cui alla lettera g), sull'attività dei magistrati sotto il profilo della preparazione, della capacità tecnico-professionale, della produttività, dell'equilibrio di giudizio nell'esercizio delle funzioni, in occasione della progressione in carriera e nei periodi intermedi di permanenza nella qualifica, nonché in occasione del conferimento di incarichi direttivi;

 

2) vigilare sul comportamento dei magistrati con obbligo di segnalare i fatti disciplinarmente rilevanti ai titolari dell'azione disciplinare;

 

3) vigilare sull'andamento degli uffici giudiziari del distretto, con segnalazione delle eventuali disfunzioni rilevate al Consiglio superiore della magistratura e al Ministro della giustizia, secondo le rispettive competenze;

 

4) formulare pareri e proposte sull'organizzazione e il funzionamento degli uffici giudiziari, e degli uffici del giudice di pace del distretto;

 

5) adottare provvedimenti relativi allo stato dei magistrati, con particolare riferimento a quelli relativi alle aspettative e congedi, alla dipendenza di infermità da cause di servizio, all'equo indennizzo, alle pensioni privilegiate e alla concessione di sussidi;

 

6) formulare pareri, anche su richiesta del Consiglio superiore della magistratura, in ordine all'adozione da parte del medesimo Consiglio di provvedimenti inerenti collocamenti a riposo, dimissioni, decadenze dall'impiego, concessioni di titoli onorifici, riammissioni in magistratura;

 

f) prevedere la reclamabilità innanzi al Consiglio superiore della magistratura delle delibere adottate dal consiglio giudiziario nelle materie di cui alla lettera e), numeri 1), 2), 5) e 6);

 

g) prevedere che presso ogni tribunale sia costituita una sezione territoriale dei consigli giudiziari, composta:

 

1) dal presidente del tribunale che lo presiede, dal procuratore della Repubblica presso il tribunale e da tre magistrati in servizio presso gli uffici giudiziari del circondario, di cui due scelti tra coloro che esercitano funzioni giudicanti ed uno tra coloro che esercitano funzioni requirenti;

2) da altrettanti membri supplenti in numero pari a quello dei membri titolari di cui al numero 1);

 

3) da tre membri che partecipano con funzioni consultive, designati dal consiglio dell'Ordine degli avvocati, tra avvocati con almeno dieci anni di anzianità;

 

4) da membri supplenti in numero pari e designati con le stesse modalità stabilite al numero 3);

 

5) da ulteriori due membri che partecipano con funzioni consultive, scelti dai componenti della sezione territoriale stessa, tra cittadini di chiara fama, residenti nel territorio del circondario e che si sono particolarmente distinti per qualità professionali, civili e morali;

 

h) prevedere che il consiglio giudiziario elegga a scrutinio segreto, al suo interno, un vice-presidente ed un segretario;

 

i) prevedere che l'elezione dei componenti togati, ordinari e supplenti, del consiglio giudiziario avvenga in un collegio unico circondariale presso il tribunale con il medesimo sistema vigente per la nomina dei componenti togati del Consiglio superiore della magistratura, in quanto compatibile;

 

l) prevedere che al consiglio giudiziario territoriale siano attribuite le seguenti competenze:

 

1) formulare pareri e segnalazioni al consiglio giudiziario distrettuale competente, per l'adozione dei provvedimenti di cui ai numeri 1), 2), 3), 4), 5) e 6) della lettera e), e per la nomina da parte del Consiglio superiore della magistratura dei magistrati requirenti;

 

2) attuare sul territorio le connesse attività di vigilanza;

 

3) formulare al Consiglio superiore della magistratura le proposte e i pareri previsti dall'articolo 5, per la nomina dei magistrati onorari;

m) prevedere l'espressa abrogazione delle norme incompatibili con il decreto legislativo adottato ai sensi dell'articolo 1.

 

Art. 5.

(Nuovi criteri di nomina dei magistrati onorari).

 

1. Nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a) prevedere che i consigli giudiziari territoriali, in collaborazione con i relativi consigli dell'Ordine degli avvocati, individuino, senza limitazione di numero, i soggetti ritenuti idonei allo svolgimento delle funzioni di magistrato onorario, tra gli avvocati iscritti all'albo della provincia dichiaratisi disponibili, con anzianità di almeno dieci anni, i quali, nell'esercizio della professione, hanno dimostrato preparazione, capacità, onestà ed equilibrio;

 

b) prevedere che il numero dei soggetti giudicati idonei allo svolgimento delle funzioni di magistrato onorario sia tale da garantire la qualità della funzione, la efficienza e la velocità del servizio, in relazione al carico giudiziario degli uffici;

 

c) prevedere che il Consiglio superiore della magistratura provveda alla nomina di magistrati onorari tra i soggetti individuati con il procedimento di cui alla lettera a), in numero tale da soddisfare le esigenze del servizio dei singoli tribunali;

 

d) prevedere che il presidente del tribunale, scegliendo nella rosa dei soggetti ritenuti idonei allo svolgimento delle funzioni e nominati dal Consiglio superiore della magistratura, assegni a ciascun magistrato onorario le cause da trattare, in modo che siano garantite la qualità, la efficienza e la velocità del servizio;

 

e) prevedere sistemi di retribuzione in relazione all'attività in concreto espletata;

f) prevedere l'espressa abrogazione delle norme incompatibili con il decreto legislativo adottato ai sensi dell'articolo 1.

 

Art. 6.

(Passaggio dall'esercizio delle funzioni giudicanti a

quello delle funzioni requirenti e viceversa).

 

1. Nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a) prevedere che i vincitori di concorso per uditore giudiziario, destinati alle funzioni penali, debbano per i primi dieci anni esercitare le funzioni giudicanti, sia in composizione monocratica che in composizione collegiale;

 

b) prevedere che il passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente sia consentito ai magistrati che si sono distinti per equilibrio nel giudizio, per capacità professionale e per qualità personali e morali;

 

c) prevedere che per il passaggio da una funzione ad un'altra funzione il Consiglio superiore della magistratura debba acquisire le note professionali di cui all'articolo 3, comma 1, lettera e), nonché il parere dei consigli giudiziari territoriali di cui all'articolo 4), comma 1, lettera l), numero 1);

 

d) prevedere che il passaggio tra funzioni giudicanti e requirenti sia consentito dopo un periodo minimo di cinque anni nell'esercizio effettivo delle funzioni e sia svolto presso un diverso circondario;

 

e) prevedere che il passaggio tra funzioni giudicanti o requirenti penali e funzioni giudicanti civili, sia consentito all'interno dello stesso circondario, fermo restando il periodo minimo di permanenza nelle funzioni di cui alla lettera d).

 

f) prevedere l'espressa abrogazione delle norme incompatibili con il decreto legislativo adottato ai sensi dell'articolo 1.

 

Art. 7.

(Temporaneità degli incarichi direttivi).

 

1. Nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a) prevedere la temporaneità degli uffici direttivi per una durata non superiore a quattro anni, con possibilità di rinnovo dell'incarico per ulteriori due anni e con esclusione degli incarichi direttivi svolti presso la Corte di cassazione, la procura generale presso la stessa Corte, nonché presso il Tribunale superiore delle acque pubbliche;

 

b) prevedere che alla scadenza del termine di cui alla lettera a) il magistrato che ha esercitato funzioni direttive possa concorrere per il conferimento di un ufficio direttivo presso un diverso circondario;

 

c) prevedere l'espressa abrogazione delle norme incompatibili con il decreto legislativo adottato ai sensi dell'articolo 1.

 

Art. 8.

(Organizzazione tecnica delle strutture

giudiziarie).

 

1. Nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a) prevedere che l'organizzazione tecnica e la gestione dei servizi non aventi carattere giurisdizionale, siano affidate a un direttore tecnico, nominato dal Ministro della giustizia, al quale sono attribuiti i compiti di razionalizzare ed organizzare l'utilizzo delle risorse esistenti, di programmare la necessità di nuove strutture tecniche e logistiche e di provvedere al loro costante aggiornamento, nonchè di pianificare il loro utilizzo in relazione al carico giudiziario esistente, alla prevedibile evoluzione di esso e alle esigenze di carattere sociale nel rapporto tra i cittadini e la giustizia;

b) prevedere che le funzioni di cui alla lettera a) siano svolte dal direttore tecnico, di intesa con il presidente del tribunale e con il procuratore della Repubblica, nonché con i sindaci dei comuni ricompresi nel circondario del tribunale, disciplinando le modalità di adozione delle scelte tecnico-organizzative.

 

Art. 9.

(Norme in materia disciplinare).

 

1. Nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a) provvedere alla tipizzazione delle ipotesi di illecito disciplinare dei magistrati, prevedendo anche autonome ipotesi per le funzioni giudicante e requirente, sia inerenti l'esercizio della funzione sia esterne alla stessa, garantendo comunque la necessaria completezza della disciplina con adeguate norme di chiusura, nonché all'individuazione delle relative sanzioni;

 

b) prevedere l'istituzione, all'interno della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, di una sezione istruttoria e di una sezione giudicante, autonome tra di loro per composizione, disciplinandone il funzionamento;

 

c) prevedere l'espressa abrogazione delle norme incompatibili con il decreto legislativo adottato ai sensi dell'articolo 1.

 

Art. 10.

(Revisione delle circoscrizioni territoriali degli uffici

giudiziari).

 

1. Nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, il Governo, al fine di razionalizzare la distribuzione degli uffici giudiziari sul territorio dello Stato, si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a) ridefinire, previa acquisizione del parere del Consiglio superiore della magistratura, e in accordo con esso, i confini dei distretti delle corti di appello, dei circondari dei tribunali e delle circoscrizioni territoriali degli uffici del giudice di pace;

 

b) istituire, ove necessario, nuove corti di appello, nuovi tribunali ovvero nuovi uffici del giudice di pace, attraverso la fusione totale o parziale del territorio ricompreso negli attuali distretti, circondari o circoscrizioni territoriali e dei relativi uffici, ovvero la sottrazione di parte del territorio di due o più distretti, circondari o circoscrizioni territoriali limitrofi, ovvero mediante l'accorpamento di una o più corti di appello, e l'accorpamento o la soppressione di tribunali o di uffici del giudice di pace già esistenti;

 

c) tenere conto, ai fini indicati alla lettera b), dell'estensione e della conformazione del territorio, del numero degli abitanti, delle caratteristiche dei collegamenti esistenti tra le varie zone e la sede dell'ufficio, nonché del carico di lavoro atteso, in materia civile e penale;

 

d) finalizzare gli interventi di cui alle lettere a) e b) alla realizzazione di un'equa distribuzione del carico di lavoro e di una adeguata funzionalità degli uffici giudiziari;

 

e) prevedere, anche in deroga alle disposizioni della legge 24 aprile 1941, n. 392, e successive modificazioni, e delle altre norme vigenti in materia di edilizia giudiziaria, la possibilità, con decreto del Ministro della giustizia, di dislocare immobili dell'ufficio giudiziario al di fuori del distretto, del circondario ovvero della circoscrizione territoriale;

 

f) prevedere, limitatamente ai tribunali il cui circondario è stato oggetto di revisione ai sensi del decreto legislativo 3 dicembre 1999, n. 491, la possibilità di istituire, nel medesimo comune, più uffici di tribunale, ciascuno con esclusiva competenza per una parte del territorio.

 

 


N. 3662

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato LANDOLFI

¾

 

Istituzione degli uffici stampa presso le procure della Repubblica

 

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Presentata il 7 febbraio 2003

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Onorevoli Colleghi! - E' ormai generalmente avvertita l'esigenza di porre un limite alle fughe di notizie inerenti ad indagini in corso. La diffusione di informazioni relative a procedimenti giudiziari è all'ordine del giorno ed ha assunto una ricorrenza tale da aver perso il carattere dell'eccezionalità.

Ciò viola, oltre al naturale diritto alla riservatezza di chi sino a sentenza definitiva è da considerarsi innocente, anche i princìpi di efficacia e di regolare svolgimento dell'azione giudiziaria.

D'altro canto, le soluzioni che vengono prospettate da più parti ad un problema reale e grave come questo sono certamente peggiori del male, perché chiaramente ispirate da propositi di "normalizzazione giornalistica".

L'intento, infatti, di chi suggerisce di punire con pene anche severe i giornalisti che divulgano atti processuali, è sicuramente quello di mettere il silenziatore alla stampa penalizzandone il diritto-dovere di informazione.

Non è, comunque, più tollerabile una situazione di mancanza di regole nella quale i protagonisti di un ipotetico triangolo (la magistratura, l'indagato con il suo difensore e la stampa) si muovono travalicando i rispettivi ruoli e perseguendo fini impropri, a volte addirittura di natura politica, attraverso lo stillicidio delle notizie e delle dichiarazioni. Anche perché, in questo contesto, il soggetto più debole e danneggiato è certamente il cittadino indagato che vede dipendere la propria dignità e la propria reputazione dalla eventuale correttezza degli operatori della giustizia.

La finalità che si prefigge la presente proposta di legge, è quella di consentire un'informazione sulle vicende giudiziarie che abbia una sicura fonte e che sia corretta e rispettosa, oltre che dei diritti del cittadino, anche del necessario riserbo del magistrato.

Attualmente, gli organi di stampa attingono notizie da fonti interne ai palazzi di giustizia (magistrati, avvocati, personale di cancelleria).

Questa situazione favorisce i giornalisti che hanno rapporti personali e segreti con gli ambienti giudiziari e gli operatori del settore che vogliono diffondere notizie riservate per puro protagonismo personale (vedi i magistrati che ambiscono a comparire sui giornali), oppure per provocare reazioni funzionali all'indagine che stanno svolgendo o ancora, cosa più grave, per perseguire finalità politiche.

L'articolo 1, comma 1, della presente proposta di legge, proprio al fine di ovviare a quanto sopra, consente l'istituzione di uffici stampa presso tutte le procure della Repubblica posti sotto la direzione e la responsabilità dei procuratori. Il comma 2 dello stesso articolo, vieta, comunque, la diffusione di informazioni relative ad atti coperti dal segreto istruttorio o la cui divulgazione possa recare pregiudizio al cittadino ed al normale ed efficace svolgimento di indagini in corso.

L'articolo 2, comma 1, prevede che ogni notizia che riguardi l'attività giudiziaria della singola procura possa essere diffusa solo per il tramite dell'ufficio stampa e solo dopo espressa autorizzazione del pubblico ministero titolare dell'indagine. Il comma 2 stabilisce, inoltre, che i magistrati in servizio ed i dipendenti dell'amministrazione della giustizia non possono direttamente divulgare informazioni di alcun genere o rilasciare dichiarazioni in merito all'attività giudiziaria penale.

L'articolo 3, comma 1, detta le modalità di reclutamento dei componenti gli uffici stampa, prevedendo che le assunzioni avvengano per il tramite di pubblici concorsi per titoli ed esami, riservati ai giornalisti professionisti. Il comma 2 prevede che gli uffici stampa abbiano un solo addetto per le procure presso i tribunali aventi un circondario con meno di un milione di abitanti e non più di due per tutte le altre.

L'articolo 4 sancisce che lo svolgimento dei concorsi per l'assunzione degli addetti sia curato dagli ordini regionali dei giornalisti competenti per territorio. Di ogni singola commissione esaminatrice, inoltre, in base allo stesso disposto deve far parte anche un magistrato.

L'articolo 5 prevede l'emanazione, con decreto del Presidente della Repubblica, del regolamento di attuazione della legge.

L'articolo 6, infine, reca la copertura finanziaria.


 

 


 


proposta di legge

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Art. 1.

(Istituzione degli uffici stampa).

 

1. Presso le procure della Repubblica possono essere istituiti uffici stampa, per la divulgazione delle notizie inerenti l'attività svolta, posti sotto la direzione e la responsabilità dei procuratori della Repubblica.

2. E' vietata, comunque, la diffusione di informazioni relative ad atti coperti dal segreto istruttorio o la cui propalazione possa recare pregiudizio al normale ed efficace svolgimento di indagini in corso.

 

Art. 2.

(Attribuzione degli uffici stampa).

 

1. Ogni notizia che riguarda l'attività giudiziaria della singola procura della Repubblica può essere divulgata solo per il tramite dell'ufficio stampa di cui all'articolo 1 e solo dopo espressa autorizzazione del pubblico ministero titolare dell'indagine.

2. I magistrati in servizio e i dipendenti dell'amministrazione della giustizia non possono divulgare informazioni di alcun genere o rilasciare dichiarazioni in merito all'attività giudiziaria.

 

Art. 3.

(Composizione degli uffici stampa e

modalità di assunzione dei giornalisti).

 

1. Gli addetti stampa di cui all'articolo 1 sono assunti a seguito di concorso pubblico per titoli ed esami riservato ai giornalisti professionisti iscritti all'albo di cui alla legge 3 febbraio 1963, n. 69, e successive modificazioni, cui si applicano le norme del contratto collettivo nazionale di lavoro per i giornalisti.

2. Gli uffici stampa sono composti da un solo addetto nelle procure presso i tribunali aventi un circondario con meno di un milione di abitanti e da non più di due in tutte le altre procure.

 

 

Art. 4.

(Svolgimento dei concorsi).

 

1. Lo svolgimento dei concorsi di cui all'articolo 3, è curato dall'ordine dei giornalisti competente per territorio.

2. Di ogni commissione esaminatrice deve far parte anche un magistrato designato dal procuratore della Repubblica competente.

 

Art. 5.

(Regolamento di attuazione).

 

1. Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro della giustizia, è emanato il regolamento di attuazione della presente legge, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni.

 

Art. 6.

(Copertura finanziaria).

 

1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, valutato in 15,5 milioni di euro annui, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2003-2005, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della giustizia.

2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 


N. 3718

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato FRAGALA'

¾

 

Delega al Governo per il trasferimento delle funzioni del pubblico ministero all'Avvocatura dello Stato

 

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Presentata il 25 febbraio 2003  

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Onorevoli Colleghi! - La proposta di legge in esame è diretta a trasferire dalla magistratura all'Avvocatura dello Stato le funzioni che la legge attribuisce al pubblico ministero. Il principio costituzionale del contraddittorio, che rappresenta uno dei corollari del principio del giusto processo sancito dall'articolo 111 della Costituzione, impone al legislatore di riformare il codice di procedura penale abbandonando tutte quelle remore culturali che hanno di fatto ostacolato la riforma del 1988, la quale si sarebbe dovuta ispirare al modello accusatorio. A distanza di circa quindici anni non si può che constatare il fallimento di quella riforma, il cui risultato è un rito ibrido nel quale disordinatamente si intrecciano elementi inquisitori ed accusatori a discapito delle esigenze di garanzia delle parti e di celerità del processo.

Considerato che la separazione netta tra la fase della accusa e quella del giudizio è fisiologica al modello accusatorio, il cui presupposto è la parità tra l'accusa della parte pubblica e la difesa della parte privata, la proposta in esame mira ad assicurare non solo la separazione, ma anche la più assoluta indipendenza di chi deve sostenere l'accusa rispetto a chi deve giudicare.

Il trasferimento all'Avvocatura dello Stato delle funzioni di pubblico ministero garantisce infatti la massima autonomia al pubblico ministero, il quale viene collocato fuori da ogni contesto amministrativo e giudiziario, in condizione di assoluta autonomia nell'ordinamento, esaltando il ruolo della pubblica accusa. Naturalmente, l'Avvocatura dello Stato, considerata la sua natura di parte pubblica, eserciterebbe le funzioni di pubblico ministero tenendo conto anche delle esigenze della difesa, come d'altronde avviene nel modello americano dove gli uffici dell'Attorney general sono distinti in due branche: una per le attività di difesa e una per la pubblica accusa. Alla obiezione che questo tipo di riforma sottoporrebbe il pubblico ministero al potere esecutivo, si può obiettare che l'Avvocatura - che persegue per definizione l'interesse generale - nell'esercizio delle sue funzioni non ha alcun legame con l'esecutivo.

Per quanto riguarda il contenuto della proposta, si è ritenuto opportuno ricorrere allo strumento della delega legislativa, in quanto la complessità propria di un intervento normativo volto a trasferire alla Avvocatura dello Stato le funzioni di pubblico ministero è tale da rendere opportuno che il Parlamento si limiti ad individuare i principi della riforma, demandando al Governo il compito di formulare la normativa di dettaglio. A tale proposito, è opportuno precisare che la Costituzione non impone assolutamente la giurisdizionalizzazione del pubblico ministero, per cui non è necessaria una norma costituzionale per modificare il modello vigente. Se si analizzano le disposizioni della Costituzione che riguardano il pubblico ministero si può agevolmente rilevare che nessuna di queste verrebbe violata nel caso di attribuzione delle funzioni di pubblico ministero all'Avvocatura o addirittura in caso di creazione di una Authority indipendente del pubblico ministero. Dall'articolo 107, ad esempio, si evince che la Costituzione non ha inteso parificare i pubblici ministeri ai giudici, in quanto altrimenti non vi sarebbe stato alcun motivo di richiamare per i primi le garanzie dell'ordinamento giudiziario. Pertanto, tali garanzie continuerebbero ad applicarsi anche se i magistrati del pubblico ministero dovessero confluire nell'Avvocatura dello Stato o in altra e distinta istituzione pubblica indipendente. Lo stesso può dirsi per l'articolo 112. E' chiaro, infatti, che l'obbligo di esercitare l'azione penale continuerebbe ad incombere al pubblico ministero anche se la sua collocazione nell'ordinamento della magistratura dovesse cambiare. Non rappresenta un problema l'articolo 104 che prevede che faccia parte del Consiglio superiore della magistratura anche il procuratore generale della Corte di cassazione, in quanto quest'ultimo, a seguito di una modifica della legge ordinaria, poterebbe svolgere anche funzioni diverse da quelle di pubblico ministero.

A sostegno della possibilità di operare attraverso la modifica della legge ordinaria si può anche richiamare la giurisprudenza costituzionale in tema di separazione delle carriere giudiziarie. Il 7 febbraio del 2000, la Corte costituzionale con la sentenza n. 37, nel dichiarare ammissibile il referendum sulla separazione delle carriere scrisse che "La Costituzione, infatti, pur considerando la magistratura come un unico "ordine", soggetto ai poteri dell'unico Consiglio superiore (articolo 104), non contiene alcun principio che imponga o al contrario precluda la configurazione di una carriera unica o di carriere separate fra i magistrati addetti rispettivamente alle funzioni giudicanti e a quelle requirenti, o che impedisca di limitare o di condizionare più o meno severamente il passaggio dello stesso magistrato, nel corso della sua carriera, dalle une alle altre funzioni". Questo significa che non occorrono riforme costituzionali né per separare le carriere né per attribuire le funzioni di pubblico ministero ad un organo diverso da quello giudiziario.

Per quanto riguarda il contenuto della proposta di legge, come si è detto, questo ha per oggetto una delega diretta a trasferire le funzioni del pubblico ministero, che la legge assegna al procuratore generale presso la Corte di cassazione, ai procuratori generali della Repubblica presso le corti di appello ed ai procuratori della Repubblica presso i tribunali ordinari, rispettivamente al procuratore generale presso l'Avvocatura generale dello Stato, ai procuratori generali presso le avvocature distrettuali dello Stato e ai procuratori della Stato presso le avvocature circondariali dello Stato. Pertanto, si prevede la costituzione dell'Ufficio del pubblico ministero oltre che presso l'Avvocatura generale dello Stato e l'avvocatura distrettuale dello Stato anche presso un nuovo organo da costituire, quale l'avvocatura circondariale dello Stato con sede in ogni capoluogo di circondario individuato ai sensi della tabella A annessa all'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12.

Naturalmente l'accesso alla professione di pubblico ministero dovrà avvenire mediante concorso da riservare a laureati in giurisprudenza e da espletare in modo da garantire una selezione attitudinale e professionale in relazione alle specifiche esigenze delle funzioni da svolgere. Si prevede comunque che, per i primi due anni di applicazione del decreto legislativo di esercizio della presente delega, i posti di pubblico ministero istituiti presso l'Avvocatura generale dello Stato, presso l'avvocatura distrettuale dello Stato e presso l'avvocatura circondariale dello Stato sono riservati ai giudici che ne facciano richiesta e che abbiano svolto le funzioni di pubblico ministero per almeno sei mesi nei due anni precedenti alla data di entrata in vigore della legge. I posti non coperti sono coperti con i concorsi.

 


 


 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge e secondo i principi e criteri direttivi ivi stabiliti, uno o più decreti legislativi diretti a:

 

a) prevedere la costituzione dell'Ufficio del pubblico ministero presso l'Avvocatura generale dello Stato, presso l'avvocatura distrettuale dello Stato e presso l'avvocatura circondariale dello Stato;

 

b) prevedere l'istituzione della avvocatura circondariale dello Stato con sede in ogni capoluogo di circondario individuato ai sensi della tabella A annessa all'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12;

 

c) prevedere che le funzioni del pubblico ministero, che la legge attribuisce al procuratore generale presso la Corte di cassazione, ai procuratori generali della Repubblica presso le corti di appello e ai procuratori della Repubblica presso i tribunali ordinari, siano trasferite rispettivamente al procuratore generale presso l'Avvocatura generale dello Stato, ai procuratori generali presso le avvocature distrettuali dello Stato ed ai procuratori dello Stato presso le avvocature circondariali dello Stato. Le funzioni del pubblico ministero che la legge attribuisce ai procuratori della Repubblica presso i tribunali per i minorenni sono trasferite ai procuratori dello Stato presso le avvocature circondariali dello Stato;

 

d) prevedere che alle avvocature circondariali dello Stato possono essere addetti procuratori onorari in qualità di vice procuratori per l'espletamento delle funzioni indicate nell'articolo 72 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e delle altre ad essi specificamente attribuite dalla legge;

 

e) prevedere che:

 

1) negli uffici delle avvocature circondariali dello Stato possano essere istituiti posti di procuratore aggiunto in numero non superiore a quello risultante dalla proporzione di un procuratore aggiunto per ogni dieci sostituti addetti all'ufficio. Negli uffici delle avvocature circondariali dello Stato con sede ove si trova il tribunale del capoluogo del distretto può essere comunque istituito un posto di procuratore aggiunto per specifiche ragioni riguardanti lo svolgimento dei compiti della direzione distrettuale antimafia;

 

2) i titolari degli uffici del pubblico ministero dirigano l'ufficio cui sono preposti, ne organizzino l'attività ed esercitino personalmente le funzioni attribuite al pubblico ministero dal codice di procedura penale e dalle altre leggi, quando non designino altri magistrati addetti all'ufficio;

 

f) prevedere i casi in cui le funzioni del pubblico ministero possano essere delegate nominativamente dal procuratore dello Stato presso le avvocature circondariali dello Stato ai soggetti di cui all'articolo 72 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12;

 

g) prevedere che l'accesso alla professione di pubblico ministero avvenga mediante concorso riservato a laureati in giurisprudenza da espletare in modo da garantire una selezione attitudinale e professionale in relazione alle specifiche esigenze delle funzioni da svolgere;

 

h) prevedere, per i primi due anni di applicazione dei decreti legislativi di cui al presente articolo, che i posti di pubblico ministero istituiti presso l'Avvocatura generale dello Stato, presso l'avvocatura distrettuale dello Stato e presso l'avvocatura circondariale dello Stato siano riservati ai giudici che ne facciano richiesta e che abbiano svolto le funzioni di pubblico ministero per almeno sei mesi nei due anni precedenti alla data di entrata in vigore della presente legge. I posti non coperti sono coperti con i concorsi di cui alla lettera g).

 

Art. 2.

 

1. Gli schemi dei decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono trasmessi al Parlamento, affinché sia espresso il parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari entro il termine di sessanta giorni dalla data della trasmissione; decorso tale termine i decreti sono emanati, anche in mancanza del parere. Qualora tale termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine previsto dall'articolo 1, comma 1, o successivamente, la scadenza di quest'ultimo è prorogata di novanta giorni.

2. Entro un anno dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui all'articolo 1, il Governo può emanare disposizioni correttive e integrative nel rispetto dei princìpi e dei criteri direttivi di cui alla presente legge e con la procedura di cui al comma 1 del presente articolo.

 

 

 


N. 3741

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato PISAPIA

¾

 

Disciplina delle incompatibilità e degli incarichi extraistituzionali dei magistrati

 

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Presentata il 3 marzo 2003

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Onorevoli Colleghi! - "E' da tempo che l'opinione pubblica si mostra particolarmente sensibile ai profili della produttività dell'apparato giudiziario e del suo massimo impegno nella resa della giustizia. Si esprime, cioè, l'esigenza, condivisa da un ampio schieramento di forze politiche, che i componenti dell'ordine giudiziario non assumano incarichi suscettibili di incidere negativamente sulle esigenze del servizio. Si aggiunga che l'assunzione di incarichi extragiudiziali può anche compromettere i valori della indipendenza e della imparzialità del giudice".

Con queste parole, ormai nel lontano giugno 1988, il Ministro di grazia e giustizia dell'epoca, onorevole Vassalli, iniziava la relazione al disegno di legge (atto Camera n. 2912) sulla nuova disciplina degli incarichi extragiudiziari conferiti ai magistrati ordinari, focalizzando così le due precipue esigenze che il progetto normativo intendeva soddisfare.

Da allora entrambe le esigenze sono indubbiamente divenute più pressanti: da una parte, alla luce degli innumerevoli episodi, qualche volta anche di rilievo penale, denunciati dalla stampa nazionale a proposito di collaudi, arbitrati ed altri incarichi di vario genere affidati a magistrati e della inopportunità - a dir poco - del loro conferimento (sugli effetti negativi dell'affidamento di siffatti incarichi ai magistrati si tratta ampiamente nella relazione della Commissione Scalfaro sui finanziamenti per la ricostruzione nelle zone terremotate); dall'altra, per l'aggravarsi dell'arretrato in tutti i settori di competenza delle varie magistrature (si pensi in particolare ai tempi medi del giudizio civile, di quello sul pubblico impiego e di quello pensionistico). Per contro il Parlamento non è riuscito ad approvare definitivamente una precisa disciplina in tema di incarichi dei magistrati che aveva già trovato un ampio consenso dei gruppi parlamentari.

Un testo unificato (dei disegni di legge governativi n. 1996 e n. 2912 e di altri progetti di legge di iniziativa parlamentare), che aveva ad oggetto anche la responsabilità disciplinare dei magistrati, era stato approvato dalla Commissione giustizia della Camera dei deputati nel marzo 1991 ed era in esame presso la Commissione giustizia del Senato della Repubblica (n. 2714) al momento dello scioglimento delle Camere.

Nel corso delle due successive legislature sono stati presentati molti disegni e proposte di legge sulla falsariga del testo unificato senza peraltro approdare all'auspicato risultato di una nuova e completa regolamentazione della delicata materia. Alla fine della XI legislatura, al testo approvato in Commissione giustizia della Camera dei deputati in sede legislativa è mancata solo la votazione finale.

Nella XIII legislatura, un analogo disegno di legge governativo era stato approvato al Senato della Repubblica, ma, pur essendo stato esaminato in sede referente dalla Commissione giustizia della Camera dei deputati, non è stato approvato in via definitiva.

Con la presente iniziativa, ci si propone di portare a compimento il lavoro parlamentare intrapreso nella X e proseguito nella XI, XII e XIII legislatura, e di dare finalmente una compiuta disciplina degli incarichi extraistituzionali e della connessa materia delle incompatibilità dei magistrati.

Anche al fine di favorire un iter parlamentare in tempi brevi, la presente proposta di legge riproduce in larga parte proprio il testo sul quale si era già ottenuto un vasto accordo tra i gruppi parlamentari nella XIII legislatura.

Tra le scelte di rilievo vi è la previsione di un unico regime delle incompatibilità di funzioni per tutte le magistrature; si ripropone così la soluzione adottata originariamente con il testo unificato e ribadita nel testo esaminato dalla Camera dei deputati nella XI legislatura. Una disciplina unitaria si impone per più di un motivo: per coerenza e armonia del disegno normativo; per evitare sperequazioni tra categorie di magistrati (sul punto l'Associazione nazionale magistrati aveva già avanzato le sue rimostranze) con il rischio altresì della proposizione di questioni di legittimità costituzionale; infine, per allontanare ogni sospetto di inquinamento del controllo di legalità nell'assolvimento delle funzioni giurisdizionali e di controllo da parte dei magistrati amministrativi e contabili, con troppa frequenza attualmente designati a lucrosi incarichi di ogni tipo.

Si è voluto poi predisporre una più rigorosa disciplina dell'ineleggibilità, avuto anche riguardo alle perplessità e alle polemiche insorte rispetto sia alla candidatura dei magistrati sia alla loro successiva reimmissione in ruolo e alla conseguente ripresa dell'esercizio delle funzioni giudiziarie.

La proposta di legge reca in dettaglio le seguenti disposizioni. L'articolo 1 individua le situazioni di incompatibilità con la funzione di magistrato, allargandone il ventaglio rispetto alla previsione dell'articolo 16 dell'ordinamento giudiziario. Vengono così sanciti l'incompatibilità con l'esercizio di libere professioni o di attività imprenditoriali e il divieto di assunzione di qualsiasi ufficio o impiego. Altre incompatibilità colpiscono la partecipazione a commissioni di collaudo e l'assunzione di incarichi di arbitrato. Si tratta di un punto decisivo del provvedimento. Infatti proprio l'affidamento di tali incarichi ha suscitato i più grandi problemi, sia interni che esterni alla magistratura, con grave perdita di immagine e con effetti spesso di scandalo nell'opinione pubblica, e qualche volta di vero e proprio allarme sociale.

L'articolo 2 regola l'ineleggibilità, ed estende la nuova e più rigorosa disciplina anche all'ipotesi dello scioglimento anticipato delle Camere, per cui, invece, era in passato ritenuto applicabile un regime più favorevole.

L'articolo 3 disciplina il rientro in servizio dei magistrati sia nel caso in cui non siano stati eletti, sia nel caso di scadenza del mandato parlamentare. Tale disposizione prevede non solo delle incompatibilità di sede, ma anche l'esercizio per un certo tempo di funzioni di minore impatto sociale al fine di evitare che la posizione di terzietà del magistrato sia negativamente ipotecata, sia pure in termini di apparenza, dall'attività espletata e dai rapporti stabiliti nello svolgimento dell'impegno elettorale e politico.

Con l'articolo 4 è inibito ai magistrati l'esercizio di funzioni amministrative, con alcune eccezioni espressamente previste. I commi 4, 5 e 6 dell'articolo 4 recano norme relative all'equiparazione delle funzioni dei magistrati, all'emanazione di un regolamento attuativo delle disposizioni sui limiti al servizio ministeriale e al ricollocamento in ruolo dei magistrati già in servizio presso il Ministero della giustizia.

L'articolo 5 introduce il divieto di iscrizione ai partiti politici e l'obbligo della comunicazione agli organi di autogoverno circa l'appartenenza ad associazioni o organizzazioni di qualsiasi natura, con conseguente pubblicazione nei bollettini ufficiali. Si prevede infine l'irrogazione della sanzione disciplinare per le violazioni delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 del medesimo articolo. Tali disposizioni cercano di contemperare il principio costituzionale della libertà di associazione, che vale anche per il magistrato, con la sua attenuazione prevista dall'articolo 98 della Costituzione, con la duplice esigenza della salvaguardia dell'immagine di imparzialità e della conoscibilità esterna della posizione del magistrato.

L'articolo 6 disciplina gli incarichi consentiti, disponendone in ogni caso il conferimento, o almeno l'autorizzazione, da parte degli organi di autogoverno. Sono dettate poi norme sulla loro durata (al massimo sette anni, con una proroga per particolari e gravi esigenze per non più di tre anni), sul limite temporale (cinque anni) per l'assunzione di un ulteriore incarico (così tra l'altro si eviterà il deprecabile fenomeno del cumulo degli incarichi, frequentemente denunciato dagli organi di informazione, con casi limite di oltre dieci incarichi) e sul collocamento fuori ruolo.

Una disposizione transitoria fa salve le situazioni pregresse.

L'articolo 7 prevede la formazione di elenchi pubblici e liberamente consultabili di tutti gli incarichi rivestiti e dei compensi per essi percepiti dai magistrati. Anche questa disposizione risponde all'esigenza della conoscibilità esterna della posizione del magistrato e perciò di una piena trasparenza come garanzia per il cittadino utente del servizio "giustizia".

L'articolo 8 introduce un divieto temporaneo di conferimento di incarichi da parte del Governo e delle amministrazioni pubbliche, ai magistrati dopo la cessazione dalle loro funzioni.

L'articolo 9 infine abroga l'articolo 16 dell'ordinamento giudiziario e altre disposizioni incompatibili o superate.

 

 


 


 


proposta di legge

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Art. 1.

(Incompatibilità di funzioni per i magistrati

amministrativi, contabili, militari e ordinari).

 

1. I magistrati non possono esercitare libere professioni, anche se non ordinate in albi professionali, né svolgere attività industriali, commerciali o comunque imprenditoriali né assumere uffici o impieghi privati o pubblici, fatta eccezione per le cariche pubbliche indicate all'articolo 2.

2. I magistrati non possono far parte di commissioni di collaudo di opere e lavori pubblici, né possono espletare incarichi di arbitrato, neppure nei casi in cui è parte l'Amministrazione dello Stato ovvero una azienda o un ente pubblico, ivi compresi quelli previsti dal capitolato generale per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici.

3. I magistrati non possono far parte di commissioni giudicatrici di esami e di concorso, fatta eccezione per quelle relative all'accesso e alla progressione nelle carriere di magistrato e di avvocato dello Stato e nelle professioni di avvocato e di notaio, nonché nelle altre carriere dell'amministrazione della giustizia ordinaria, amministrativa, contabile e militare.

 

Art. 2.

(Ineleggibilità per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari).

 

1. I magistrati possono assumere l'ufficio di senatore, deputato, Ministro, Sottosegretario di Stato, deputato al Parlamento europeo, consigliere regionale, provinciale, comunale, circoscrizionale, presidente della provincia, sindaco, componente della giunta provinciale o comunale, alle condizioni e con i limiti stabiliti dal presente articolo.

2. I magistrati, esclusi quelli in servizio presso le giurisdizioni superiori, non possono essere eletti senatore, deputato, deputato al Parlamento europeo, consigliere regionale, provinciale, comunale, circoscrizionale, presidente della provincia, sindaco, nelle circoscrizioni elettorali sottoposte, in tutto o in parte, alla giurisdizione degli uffici ai quali si sono trovati assegnati o presso i quali hanno esercitato le loro funzioni in un periodo compreso nei due anni precedenti la data di accettazione della candidatura. Non possono altresì essere eletti alle suddette cariche né essere nominati Ministri o Sottosegretari di Stato o componenti di una giunta provinciale o comunale se all'atto di accettazione della candidatura o della nomina non si trovano in aspettativa.

3. Le disposizioni di cui al comma 2 si applicano anche nel caso di scioglimento anticipato dell'assemblea elettiva.

4. I magistrati in servizio presso le giurisdizioni superiori possono essere eletti alle cariche di cui al comma 2 solo se in aspettativa da almeno sei mesi prima della data di convocazione dei comizi elettorali e, nel caso di scioglimento anticipato dell'assemblea elettiva, entro sette giorni dalla data di pubblicazione del decreto di scioglimento, sempreché non si tratti di circoscrizione elettorale presso la quale abbiano esercitato giurisdizione negli ultimi due anni. Non possono essere nominati Ministri o Sottosegretari di Stato o componenti di una giunta provinciale o comunale se non si trovano in aspettativa all'atto della nomina.

 

Art. 3.

(Esercizio delle funzioni giudiziarie in caso di mancata elezione o dopo la reimmissione in ruolo).

 

1. I magistrati che sono stati candidati alle cariche elettive di cui all'articolo 2 e non sono stati eletti non possono esercitare le loro funzioni per un periodo di cinque anni successivo alla data delle elezioni nella circoscrizione in cui si sono svolte le elezioni stesse.

2. I magistrati che hanno svolto uno degli uffici elettivi di cui all'articolo 2 non possono esercitare le loro funzioni per un periodo di sette anni successivo alla data delle elezioni nella circoscrizione elettorale in cui sono stati candidati ed eletti.

3. I magistrati che hanno svolto l'ufficio di componente della giunta provinciale o comunale non possono esercitare le loro funzioni per un periodo di sette anni successivo alla data in cui hanno cessato di svolgere tale ufficio presso gli uffici nel cui ambito territoriale ricadono in tutto o in parte la provincia o il comune interessati.

4. I magistrati che hanno svolto l'ufficio di Ministro o di Sottosegretario di Stato e i magistrati indicati nei commi 2 e 3, che riprendendo servizio rientrano nel ruolo, devono esercitare per sette anni la funzione quali componenti di organi collegiali.

 

Art. 4.

(Incarichi e funzioni).

 

1. Ferme restando le funzioni di carattere amministrativo loro attribuite per la direzione degli uffici, i magistrati non possono esercitare funzioni amministrative, né assumere incarichi extragiudiziari, se non nei casi espressamente consentiti dalla legge.

2. E' consentito l'esercizio delle seguenti funzioni e incarichi:

 

a) addetto al segretariato generale della Presidenza della Repubblica;

 

b) addetto agli uffici legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri e dei Ministeri;

 

c) addetto alla Corte costituzionale;

 

d) componente degli uffici del Consiglio superiore della magistratura e degli altri organi di autogoverno;

 

e) componente dell'ufficio di Gabinetto e dell'ispettorato generale del Ministero della giustizia, nonché dell'Ufficio di Gabinetto della Presidenza del Consiglio dei ministri;

 

f) addetto a organismi internazionali per lo svolgimento di attività connesse all'esercizio della giurisdizione o alle competenze del Ministero della giustizia;

 

g) addetto al Ministero della giustizia, nei limiti di cui al comma 3;

 

h) insegnamento universitario e post-universitario nelle università pubbliche.

 

3. Nell'ambito del Ministero della giustizia sono riservate ai magistrati ordinari le funzioni che incidono direttamente sullo stato giuridico dei magistrati o sull'esercizio della funzione giurisdizionale.

4. Le funzioni di cui alle lettere a), b), d), e), f), e g) del comma 2 sono equiparate a tutti gli effetti a quelle giudiziarie e quelle esercitate dai magistrati addetti alla Corte costituzionale restano equiparate a quelle esercitate dai magistrati applicati all'ufficio del massimario e del ruolo presso la Corte di cassazione.

5. Nel termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Presidente della Repubblica, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera b), della legge 23 agosto 1988, n. 400, è emanato, un regolamento inteso ad individuare le funzioni e i posti che presso il Ministero della giustizia devono essere assegnati a magistrati ordinari. Resta salvo quanto disposto dall'articolo 30 della legge 15 dicembre 1990, n. 395, e successive modificazioni.

6. Nel termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 5, i magistrati in servizio presso il Ministero della giustizia, non addetti agli uffici di cui al comma 3, sono ricollocati in ruolo con le normali procedure concorsuali o altrimenti destinati, anche in soprannumero, agli uffici cui essi erano assegnati al momento del collocamento.

 

Art. 5.

(Comunicazione dell'appartenenza ad associazioni od organizzazioni).

 

1. Ai magistrati è fatto divieto di iscriversi ai partiti politici.

2. I magistrati che si iscrivono o che comunque fanno parte di una associazione di qualsiasi natura, devono darne comunicazione entro trenta giorni ai rispettivi organi di autogoverno.

3. Le comunicazioni di cui al comma 2 relative ai magistrati ordinari sono pubblicate nel Bollettino Ufficiale del Ministero della giustizia, quelle relative ai magistrati amministrativi, contabili e militari sono pubblicate nel Bollettino della Presidenza del Consiglio dei ministri.

4. La violazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 è punita con sanzione non superiore alla censura.

 

Art. 6.

(Disciplina degli incarichi consentiti).

 

1. Gli incarichi che è consentito al magistrato svolgere devono essere conferiti o autorizzati, per i magistrati ordinari dal Consiglio superiore della magistratura, e per i magistrati amministrativi, contabili e militari dai rispettivi organi di autogoverno.

2. Gli incarichi non possono comunque avere durata superiore a sette anni. Il Consiglio superiore della magistratura e gli altri organi di autogoverno possono tuttavia autorizzare una proroga per non più di tre anni, comunque non rinnovabile, tenuto conto di particolari e gravi esigenze connesse all'incarico espletato.

3. Un successivo incarico può essere conferito o autorizzato solo se, dopo l'incarico già svolto, sono decorsi almeno cinque anni.

4. Nei casi previsti dal comma 2, lettere a), b), c), d), e), f) e g), dell'articolo 4, il magistrato è collocato fuori ruolo. Il periodo di collocamento fuori ruolo per incarichi non può complessivamente superare i dieci anni.

5. Le disposizioni di cui al comma 2 non si applicano con riferimento agli incarichi assunti prima della data di entrata in vigore della presente legge. La disposizione di cui al comma 4, secondo periodo, si applica a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge.

 

Art. 7.

(Pubblicità degli incarichi).

 

1. Presso il Consiglio superiore della magistratura e gli altri organi di autogoverno sono tenuti elenchi, aggiornati sino al mese precedente, di tutti gli incarichi rivestiti e dei compensi percepiti dai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari.

2. Gli elenchi sono pubblici e ciascun cittadino può prenderne visione.

3. Il Consiglio superiore della magistratura e gli altri organi di autogoverno disciplinano le modalità di esercizio della facoltà di consultazione degli elenchi di cui al comma 1.

 

Art. 8.

(Incarichi conferiti dopo la cessazione delle

funzioni)

 

1. I magistrati cessati dalle funzioni per raggiunti limiti di età non possono rivestire nell'anno successivo incarichi conferiti discrezionalmente dal Governo, dalle regioni o da altre pubbliche amministrazioni. Il termine è elevato a due anni se la cessazione dalle funzioni avviene per altra causa.

 

Art. 9.

(Abrogazioni).

 

1. Il comma 3 dell'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e i regolamenti di cui ai decreti del Presidente della Repubblica 6 ottobre 1993, n. 418, e 27 luglio 1995, n. 388, sono abrogati.

2. L'articolo 16 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, l'articolo 8 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni, e il numero 6) del comma 1 dell'articolo 2 della legge 23 aprile 1981, n. 154, sono abrogati.

 

 

 


N. 4002

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato ORICCHIO

¾

 

Abrogazione dell'articolo 211 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, in materia di divieto di riammissione in magistratura

 

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Presentata il 22 maggio 2003

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Onorevoli Colleghi! - L'intervento del legislatore si impone al fine di stabilire la persistenza o meno della vigenza dell'articolo 211 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, che ha dato adito a non poche controversie questioni.

Ci si riferisce alla necessità o meno della sopravvivenza del divieto assoluto di riammissione in magistratura del magistrato che abbia cessato di far parte dell'ordine giudiziario "in seguito a sua domanda, da qualsiasi motivo determinata, anche se ha assunto altri uffici dello Stato" (articolo 211, primo comma, dell'ordinamento giudiziario).

Peraltro la "rilettura" della odierna validità di quel divieto (per molti ritenuta anacronistica e superata dai tempi) va contestualizzata anche in considerazione delle notorie difficoltà di copertura dei posti in organico della magistratura ordinaria e del ricorso, quindi, a vari provvedimenti fra i quali , ad esempio, il reiterato innalzamento a settantadue e, più di recente, a settantacinque anni del limite massimo di anzianità anagrafica di servizio raggiungibile da un appartenente all'ordine giudiziario prima del collocamento a riposo.

Anche per tale ordine di motivi si è indotti a riconsiderare la non sopita questione della persistente validità o meno del citato articolo 211 dell'ordinamento giudiziario.

Tale norma ha dato vita a molteplici fattispecie di contenzioso e alla formulazione di questioni di legittimità costituzionale (si vedano, ad esempio, le sentenze del tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione I, 18 aprile 1979, n. 392; 10 giugno 1988, n. 881; 29 aprile 1994, n. 651; e del Consiglio di Stato, sezione IV, 23 gennaio 1988, n. 21), che, pur se dichiarate manifestamente infondate allo stato della legislazione, hanno comunque indotto gli organi giurisdizionali investiti delle questioni a evidenziare e ribadire che, in sostanza, spetta al legislatore la scelta di prevedere o meno "particolari condizioni o limiti per l'accesso o la riammissione a particolari attività o professioni" comunque non in contrasto con il dettato di cui agli articoli 3 e 4 della Costituzione.

Tale norma appare, inoltre, oggi del tutto anacronistica così come la logica che a suo tempo ebbe a giustificarla "(...) in ragione della particolare dignità inerente alle funzioni svolte e della configurazione dell'ingresso nell'ordine giudiziario come una vera e propria scelta di vita tendenzialmente definitiva ed irreversibile".

Per di più, il perdurare della vigenza della norma stessa ha provocato e comporta, ancora, tutta una serie di vicende e questioni che pure andrebbero, una volta per tutte, regolate e prevenute per sempre con una puntuale pronuncia dell'unico soggetto abilitato a dirimere la vexata quaestio, ovvero il legislatore.

Sono, infatti, noti i contrasti, a seguito di istanze di riammissione, avvenuti in epoche anche recenti fra gli allora Ministri di grazia e giustizia e del tesoro, da una parte, e il Consiglio superiore della magistratura, dall'altra, il quale ultimo ebbe addirittura a deliberare (in data 10 marzo 1999) una riammissione in servizio, ritenendo l'abrogazione della norma de qua.

In altra fattispecie, poi, lo stesso Consiglio superiore della magistratura, attraverso un parere appositamente reso dal proprio ufficio studi il 23 dicembre l999 (n. 501 del 1999) ebbe a segnalare la necessità di "un complessivo e chiarificatore intervento legislativo ovvero di considerare di "proporre al Ministro di grazia e giustizia o segnalare al Parlamento apposito intervento in materia al fine di adeguare, con riferimento a tutti i profili innanzi esaminati, le norme che disciplinano la riammissione in magistratura".

E' poi del tutto ingiustificata la palese difformità di trattamento fra il magistrato che si dimette ai sensi dell'articolo 211 dell'ordinamento giudiziario e quello che, ricorrendo alla più agevole, ma ipocrita decadenza ai sensi dell'articolo 210 del medesimo ordinamento giudiziario, conserva la possibilità della riammissione in carriera.

E', infine, non più sostenibile (anche nella prospettiva dell'unificazione delle magistrature) la disparità di trattamento che la sopravvivenza del citato articolo 210 comporterebbe rispetto alla possibilità di riammissione in servizio riconosciuta invece ex lege ai magistrati volontariamente dimessisi dalla magistratura amministrativa (si vedano il regolamento di cui al regio decreto 12 ottobre 1933, n. 1364, e il regolamento di cui al regio decreto 21 aprile 1942, n. 444).

Il superamento del divieto di riammissione in magistratura farebbe venir meno la necessità di ogni previsione derogatoria per chi rientra in magistratura ordinaria dopo essere transitato nelle magistrature speciali (articolo 211, secondo comma, dell'ordinamento giudiziario).

Per tutta l'esposta serie di motivi, anche nel contesto di un fervore di iniziative tendenti, proprio nel corso di questa legislatura, alla riforma dell'ordinamento giudiziario, appare necessario il proposto e chiarificatore intervento legislativo comportante l'abrogazione dell'articolo 211 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto n. 12 del 1941 e, con esso, il venire definitivamente meno del relativo e ormai anacronistico divieto di riammissione.



 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. L'articolo 211 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, è abrogato

 

 


N. 4029

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d'iniziativa dei deputati COLA, MAZZONI, VITALI

¾

 

Modifiche al regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, concernente le guarentigie della magistratura

 

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Presentata il 3 giugno 2003

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Onorevoli Colleghi! - L'articolo 2, secondo comma, della cosiddetta "legge sulle guarentigie" della magistratura (regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511) prevede la possibilità del trasferimento d'ufficio, anche senza il consenso dell'interessato, del magistrato di grado non inferiore a giudice e sostituto procuratore della Repubblica. Tale trasferimento è possibile quando il magistrato si trovi in uno dei casi di incompatibilità previsti dagli articoli 16, 18 e 19 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, o quando, per qualsiasi causa anche indipendente da colpa dello stesso non può, nella sede che occupa, amministrare giustizia nelle condizioni richieste dal prestigio dell'ordine giudiziario.

Il trasferimento è possibile previo parere del Consiglio superiore della magistratura (CSM).

L'articolo 4 del citato regio decreto legislativo n. 511 del 1946 precisa che, quando viene richiesto il parere del CSM ai sensi del citato articolo 2, della richiesta e dei motivi è data comunicazione all'interessato, il quale ha diritto di prendere visione e copia degli atti trasmessi al CSM o al Consiglio giudiziario e può presentare deduzioni e chiedere di essere sentito personalmente. Al secondo comma del citato articolo 4, si precisa che il CSM e il Consiglio giudiziario non possono provvedere se non sono decorsi trenta giorni dalla data della comunicazione.

Nulla più è disciplinato sul cosiddetto "procedimento per incompatibilità ambientale" dei magistrati, che può avere come conseguenza la dichiarazione di incompetenza ambientale o funzionale con successivo trasferimento dell'interessato ad altra sede e ad altro incarico giudiziario.

La dichiarazione di incompetenza ambientale presuppone l'impossibilità per il magistrato di continuare ad esercitare la propria funzione nella sede attuale e comporta il trasferimento ad altra sede con mantenimento della propria funzione e del proprio incarico.

Si segnala che la dichiarazione di incompetenza funzionale comporta il trasferimento ad altra sede con perdita della propria funzione e dell'incarico rivestito.

Le dichiarazioni di incompetenza ambientale e funzionale sono assunte nei confronti dei magistrati previa decisione del CSM "per qualsiasi causa anche indipendente da loro colpa".

In effetti una decisione gravissima per un giudice, quella della perdita della funzione, che viene assunta dal CSM senza un "normale" procedimento, senza una disciplina processuale regolarmente prevista, costituisce oggi un esempio di "inciviltà" giuridica, dopo la modifica costituzionale dell'articolo 111, della Costituzione, laddove si disciplina il "giusto processo" e si prevede la "terzietà" del giudice.

Nella fattispecie regolamentata dal secondo comma dell'articolo 2 del citato regio decreto legislativo n. 511 del 1946, nel testo vigente, non sono previste né una "giustizia" processuale, né la "terzietà" del giudicante, atteso che l'organo che "attiva" il procedimento è il medesimo organo che "decide e chiude" quel procedimento, ovvero il CSM.

Se si considera che tale procedimento è attivato anche "senza colpa" del magistrato, per uno stato oggettivo di fatti, accaduto o provocato da altri soggetti, ci si rende conto della estrema gravità della situazione e della larghissima possibilità di condizionamento dei magistrati da parte del CSM, nonché dell'Associazione nazionale magistrati, che nelle sue correnti è rappresentata nel CSM.

Un simile tipo di procedimento può prestarsi ad essere usato come una "spada di Damocle" per il singolo magistrato, che non ha alcuna possibilità di difendersi in forme costituzionalmente garantite.

Diversamente accade nell'ipotesi di procedimento disciplinare, cui la citata "legge sulle guarentigie" dedica una sezione autonoma, la sezione IV del titolo II, articoli 27-38, con previsione di opportune e idonee formalità processuali.

Paradossalmente il procedimento disciplinare è previsto per l'imposizione di sanzioni disciplinari, espressamente tipizzate nell'articolo 19 del citato regio decreto legislativo n. 511 del 1946, che vanno dall'"ammonimento" alla "destituzione", quindi di rilevanza anche di gran lunga più modesta rispetto alla "incompetenza funzionale", cui si può pervenire attraverso il procedimento di cui al secondo comma dell'articolo 2.

Per questo è necessaria, attraverso l'abrogazione del secondo comma dell'articolo 2, la soppressione del procedimento autonomo per incompatibilità ambientale e la riconduzione, della medesima fattispecie alla sezione II "Della disciplina dei magistrati", cui segue il procedimento disciplinare ai sensi degli articoli 27 e seguenti del regio decreto legislativo n. 511 del 1946.



 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. Il secondo comma dell'articolo 2 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, è abrogato.

 

Art. 2.

 

1. L'articolo 4 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, è sostituito dal seguente:

 

"Art. 4. (Formalità per il parere del Consiglio superiore della magistratura e dei Consigli giudiziari). 1. Quando viene richiesto il parere del Consiglio superiore della magistratura o del Consiglio giudiziario ai sensi degli articoli 2 e 3, della richiesta e dei motivi è data comunicazione all'interessato, il quale ha diritto di prendere visione e copia degli atti trasmessi al Consiglio superiore della magistratura o al Consiglio giudiziario e può presentare deduzioni e chiedere di essere sentito personalmente.

2. Il Consiglio superiore della magistratura e il Consiglio giudiziario non possono provvedere se non sono decorsi trenta giorni dalla data della comunicazione di cui al comma 1".

 

Art. 3.

 

1. Le disposizioni del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, come da ultimo modificato dalla presente legge, si applicano anche ai procedimenti in corso non ancora conclusi con pronunzia definitiva instaurati ai sensi dell'articolo 2, secondo comma, del citato regio decreto legislativo n. 511 del 1946, nel testo previgente alla data di entrata in vigore della presente legge.

 


N. 4157

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato PISAPIA

¾

 

Norme in materia di valutazione di professionalità dei magistrati

 

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Presentata il 14 luglio 2003

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Onorevoli Colleghi! - L'esigenza di una costante verifica della professionalità del magistrato è sempre più presente nella società in considerazione dell'importanza e della delicatezza del servizio che la giurisdizione, nel suo complesso, garantisce alla collettività. Attualmente, la professionalità del magistrato viene sottoposta a verifica - una volta concluso il tirocinio come uditore giudiziario - nei momenti di passaggio di qualifica (magistrato di tribunale, magistrato di appello, magistrato dichiarato idoneo, eccetera), nei casi di mutamento di funzioni da giudicanti a requirenti e viceversa, nei casi di conferimento di funzioni direttive.

Il Consiglio superiore della magistratura ha poi introdotto momenti di valutazione, circoscritti alla laboriosità ed alla diligenza, nei casi di tramutamento a domanda e di richiesta di autorizzazione alla assunzione di incarichi extragiudiziari. Il sistema, quindi, prevede solo quattro valutazioni nel corso della intera carriera del magistrato, mentre tutte le altre ipotesi in cui il Consiglio superiore ha la possibilità di valutare la professionalità del magistrato sono conseguenza della scelta del magistrato che intende o cambiare funzioni ed ufficio giudiziario, o accedere ad incarichi direttivi o, infine, essere autorizzato a svolgere attività extra-giudiziaria. Peraltro, il capo dell'ufficio o il consiglio giudiziario intervengono solo in caso di mutamento delle funzioni, sempreché la stessa mansione non sia già stata svolta in precedenza, o nel caso che sia il magistrato a chiedere un parere al consiglio giudiziario in vista della produzione del parere stesso al Consiglio superiore. L'insufficienza dell'attuale sistema a dare indicazioni concrete sulla professionalità del magistrato è stata più volte riaffermata dal Consiglio superiore della magistratura che, facendo uso dei suoi poteri, ha emanato circolari dirette, da un lato, a disciplinare la trasmissione di informazioni da parte degli uffici giudiziari e, dall'altro, a consentire ad ogni singolo magistrato la possibilità di introdurre direttamente gli elementi ritenuti importanti per una corretta valutazione, attraverso la cosiddetta "autorelazione". Appare, quindi, importante rendere non più episodico l'accertamento della professionalità del giudice, introducendo un sistema di valutazione periodica che prenda in considerazione tutti gli elementi necessari per il giudizio secondo criteri oggettivi ed uniformi. La presente proposta di legge - che riprende, in gran parte, il testo presentato dal Guardasigilli, Giovanni Maria Flick, nella scorsa legislatura - introduce un sistema di valutazione quadriennale della professionalità dei magistrati, al fine di garantire una maggiore omogeneità di tutti i momenti in cui si articola il procedimento di valutazione assicurando, al contempo, che l'indipendenza e l'autonomia del magistrato oggetto della valutazione non siano in alcun modo messe in discussione: si è previsto che il Consiglio superiore della magistratura, con propri atti, identifichi gli elementi in base ai quali le valutazioni devono essere operate, la modalità di raccolta delle informazioni e i contenuti concreti dei criteri da utilizzare.

Passando all'esame delle singole disposizioni, l'articolo 1 prevede i criteri per operare la valutazione periodica di professionalità individuandoli in capacità, laboriosità, diligenza e impegno. L'ulteriore criterio della attitudine alla dirigenza deve essere oggetto di valutazione solo qualora sussistano in concreto specifici elementi.

Al fine di assicurare la omogeneità dei pareri o delle valutazioni espressi dai consigli giudiziari, si prevede che il Consiglio superiore della magistratura individui gli elementi in base ai quali devono essere operate le valutazioni, nonché i parametri per rendere raffrontabili i giudizi espressi da ciascun consiglio giudiziario anche attraverso controlli da esperire sulle modalità di concreto esercizio della attività da parte dei consigli giudiziari.

Gli articoli da 2 a 6 sono dedicati alla definizione dei singoli criteri di valutazione. In particolare, l'articolo 2 prevede che la valutazione della capacità, oltre che della preparazione giuridica e del relativo grado di aggiornamento, sia riferita, secondo le funzioni esercitate, alle metodologie di analisi delle questioni da risolvere e al possesso delle tecniche di argomentazione e di valutazione delle prove, alla conoscenza e alla padronanza delle tecniche d'indagine ovvero alla conduzione dell'udienza da parte di chi la dirige o la presiede, alla idoneità ad avvalersi, dirigere, controllare e utilizzare l'apporto dei collaboratori e degli ausiliari. Tale ultimo aspetto si distingue dalla valutazione della attitudine alla dirigenza in quanto la idoneità ad avvalersi di collaboratori viene presa in considerazione nell'ambito del complesso della attività prettamente giurisdizionale svolta dal magistrato e non quale criterio di valutazione delle capacità di organizzare le risorse a disposizione in vista della produzione di servizi.

L'articolo 3 è dedicato alla laboriosità intesa come numero e qualità degli affari trattati secondo rapporti di reciproca coerenza adeguati al tipo di ufficio e alla sua condizione organizzativa e strutturale, nonché ai tempi di smaltimento del lavoro. Tale disposizione è particolarmente rilevante in quanto diretta a coniugare i due parametri classici della produttività del magistrato, il numero di affari espletati nell'unità di tempo e la qualità degli stessi, con la condizione, strutturale ed organizzativa, dell'ufficio o della propria specifica articolazione, individuando criteri idonei a consentire la valutazione coerente della produttività del singolo magistrato pur in presenza di differenti realtà giurisdizionali.

L'articolo 4 si occupa della diligenza, intesa quale assiduità e puntualità di presenza in ufficio, nelle udienze e nei giorni stabiliti o comunque necessari per l'adeguato espletamento del servizio, nonché del rispetto dei termini per l'emissione, la redazione, il deposito di provvedimenti o comunque per il compimento di attività giudiziarie.

Si tratta di un indicatore destinato a introdurre nella valutazione della professionalità del magistrato l'attenzione da lui posta nel coordinare il proprio lavoro con l'attività svolta dall'ufficio (si pensi ad esempio all'ordinato andamento delle udienze) o con l'interesse dell'utenza.

L'articolo 5 è dedicato all'impegno inteso come partecipazione al buon andamento dell'ufficio nonché come disponibilità per sostituzioni, applicazioni e supplenze necessarie al funzionamento dell'ufficio.

L'articolo 6 si occupa dell'attitudine alla dirigenza intesa quale idoneità organizzativa, capacità di programmazione e gestione in rapporto al tipo e alla condizione strutturale dell'ufficio e alle relative dotazioni di mezzi e di personale.

Nell'individuazione degli elementi importanti in questo contesto la norma prevede che debbano essere altresì evidenziate, qualora sussistano, la capacità di valorizzare le attitudini di magistrati e di funzionari, nel rispetto delle individualità e delle autonomie istituzionali, nonché la capacità di controllo amministrativo sull'andamento generale dell'ufficio e la capacità di programmare e realizzare, con tempestività, gli adattamenti organizzativi e gestionali avvalendosi dell'apporto di magistrati, del personale amministrativo e di quello addetto all'ufficio. La norma, inoltre, indica che la valutazione dell'attitudine alla dirigenza deve tenere conto delle esperienze direttive anteriori e dei risultati conseguiti; dello svolgimento di una pluralità di funzioni giudiziarie; degli incarichi svolti; della frequenza di corsi di formazione per la dirigenza e di ogni altra esperienza che possa essere ritenuta utile. La disposizione è destinata, quindi, ad acquisire informazioni in ordine alle esperienze pregresse - ivi compreso lo svolgimento di specifici percorsi formativi - ed a valutare le esperienze direttive o semidirettive in corso, consentendo in questo modo di ancorare la valutazione a parametri certi ed oggettivi.

Gli articoli 7 e 8 sono dedicati alla definizione del procedimento da seguire per operare la valutazione di professionalità. In particolare l'articolo 7 prevede quali siano gli elementi che il consiglio giudiziario deve acquisire per procedere alla valutazione della professionalità, nonché un termine sollecitatorio per la effettuazione della propria attività. Entro il mese successivo alla scadenza del periodo di valutazione il consiglio giudiziario deve, infatti, acquisire:

 

a) la relazione del magistrato sul lavoro svolto nel periodo da valutare unitamente a quant'altro egli ritenga utile, ivi compresa la indicazione di atti e di provvedimenti da esaminare;

 

b) le statistiche del lavoro svolto e la comparazione con quelle degli altri magistrati del medesimo ufficio, secondo i criteri stabiliti dal provvedimento di cui all'articolo 14;

 

c) gli atti e i provvedimenti redatti dal magistrato e i verbali delle udienze alle quali il magistrato ha partecipato, scelti a campione sulla base di criteri oggettivi stabiliti dal provvedimento di cui all'articolo 14;

 

d) l'indicazione degli incarichi extragiudiziari svolti dal magistrato nel periodo oggetto di valutazione;

 

e) il rapporto e le segnalazioni provenienti dai dirigenti degli uffici, anche in relazione alle situazioni rappresentate da terzi, nonché le segnalazioni eventualmente pervenute dal consiglio dell'ordine degli avvocati e procuratori ai dirigenti o al consiglio giudiziario, sempre che si riferiscano a fatti incidenti in modo negativo sulla professionalità, con particolare riguardo alle situazioni concrete e specifiche di esercizio non indipendente della funzione ed ai comportamenti sintomatici di mancanza di equilibrio. Il rapporto del capo dell'ufficio è trasmesso al consiglio giudiziario dal presidente della corte di appello o dal procuratore generale, titolari del potere-dovere di sorveglianza, con le proprie eventuali osservazioni.

 

E', inoltre, previsto che il consiglio giudiziario possa assumere informazioni su fatti segnalati da suoi componenti o dai dirigenti gli uffici o dai consigli dell'ordine degli avvocati e procuratori, dando tempestiva comunicazione dell'esito all'interessato, e possa procedere all'audizione del magistrato. L'audizione, però, deve sempre essere disposta se il magistrato ne fa richiesta. L'articolo 8 prevede che la valutazione sia fatta dal Consiglio superiore della magistratura e la possibilità per il medesimo organo di delegare la attività ai consigli giudiziari nei casi di valutazioni diverse da quelle necessarie per poter conseguire funzioni differenti da quelle possedute.

L'articolo 9 istituisce il consiglio giudiziario presso la Corte suprema di cassazione, e potenzia la composizione dei consigli giudiziari, introducendo anche nuovi parametri di rappresentatività.

E' indispensabile, infatti, che anche diversi soggetti, quali gli avvocati e i giudici di pace - che quotidianamente, seppur con compiti e ruoli diversi, si occupano di giustizia e conoscono la realtà giudiziaria delle singole circoscrizioni di corte d'appello ove svolgono le loro delicate funzioni - partecipino alle valutazioni e decisioni, sempre più importanti per un corretto funzionamento della giustizia, che la legge demanda ai consigli giudiziari.

Il consiglio giudiziario è costituito anche presso la Corte suprema di cassazione, dove in precedenza non esisteva, ed è presieduto dal presidente aggiunto e composto dall'avvocato generale più anziano della procura generale della Repubblica presso la Corte medesima nonché da nove magistrati, di cui due supplenti, eletti ogni quattro anni da tutti i magistrati, anche applicati, in servizio presso la Corte di cassazione, la procura generale della Repubblica e il Tribunale superiore delle acque pubbliche, con voto personale e segreto nelle seguenti proporzioni: un componente effettivo con l'ufficio direttivo superiore di presidente di sezione o di avvocato generale; quattro componenti effettivi e uno supplente eletto tra i magistrati con funzioni di consigliere di cassazione o di sostituto procuratore generale; due componenti effettivi, e uno supplente, eletti tra i magistrati applicati, che non hanno funzioni di consigliere di cassazione. Del consiglio giudiziario fanno parte anche due avvocati patrocinanti innanzi alla Corte suprema di cassazione, e uno supplente, indicati dal Consiglio nazionale forense.

L'articolo 10 prevede, poi, la valutazione di professionalità ad opera del Consiglio superiore della magistratura e le conseguenze della valutazione stessa.

In particolare si prevede che il Consiglio superiore della magistratura proceda alla valutazione di professionalità del singolo magistrato sulla base del parere espresso dal consiglio giudiziario e della relativa documentazione nonché sulla base dei risultati delle ispezioni ordinarie, acquisendo, ove sussista la opportunità, anche ulteriori elementi di conoscenza.

La valutazione di professionalità consiste in un giudizio espresso dal Consiglio superiore della magistratura con provvedimento motivato, che è inserito nel fascicolo personale del magistrato, e che viene trasmesso al Ministro della giustizia per l'adozione del relativo provvedimento, ai sensi dell'articolo 10 della legge 24 marzo 1958, n. 195, entro un mese dalla ricezione della relativa delibera.

Al fine di consentire sia al consiglio giudiziario che al Consiglio superiore della magistratura di poter definire i relativi procedimenti con ogni possibile sollecitudine, la norma prevede che i predetti organi possono avvalersi di sistemi informatizzati per raccogliere i dati concernenti le valutazioni di professionalità secondo sistemi e modelli uniformi.

Viene, inoltre, previsto che del giudizio di professionalità si tenga conto ai fini dei tramutamenti, del conferimento di funzioni, comprese quelle di legittimità, del conferimento di incarichi direttivi e ai fini di qualunque altro atto, provvedimento o autorizzazione per incarico extragiudiziario connesso direttamente o indirettamente alla professionalità.

La norma prevede, poi, le possibili conclusioni del giudizio di professionalità che può essere:

 

a) "positivo" quando ricorrono in modo sufficiente tutti i parametri di valutazione;

b) "non positivo" quando risultano mancanti o insufficienti alcuni parametri di valutazione;

 

c) "negativo" quando risultano carenze gravi in uno o più dei requisiti di valutazione.

 

La valutazione di professionalità non esclude che i fatti eventualmente accertati possano avere anche una valenza disciplinare quando ricorrano le condizioni previste dall'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto n. 12 del 1941.

Gli articoli 11 e 12 prevedono le conseguenze dei giudizi di professionalità.

In particolare l'articolo 11 prevede che in caso di giudizio non positivo il magistrato venga sottoposto a nuova valutazione dopo sei mesi, sempre sulla base del nuovo parere che deve essere espresso dal consiglio giudiziario. All'esito del semestre il giudizio non può essere di nuovo non positivo, ma unicamente positivo o negativo.

Qualora il nuovo giudizio sia positivo, la nuova valutazione di professionalità decorrerà dalla scadenza del sesto mese e questo ritardo di sei mesi produrrà effetti anche economici in quanto detto periodo non è utile ai fini della maturazione del nuovo trattamento economico e dell'aumento periodico per anzianità che, invece, decorreranno solo dalla scadenza del semestre. Qualora il giudizio sia negativo si produrranno gli effetti dell'articolo 12.

L'articolo 12 prevede gli effetti del giudizio negativo. Quando il giudizio è negativo, il magistrato è sottoposto a nuova valutazione di professionalità dopo un biennio. Il Consiglio superiore della magistratura può disporre che il magistrato partecipi ad uno o più corsi di riqualificazione professionale, indicando le specifiche carenze di professionalità riscontrate; può anche assegnare il magistrato, previa sua audizione, ad una diversa funzione nella medesima sede o escluderlo, fino alla successiva valutazione, dalla possibilità di accedere a incarichi direttivi o semidirettivi o a funzioni specifiche.

La valutazione negativa comporta la perdita del diritto all'aumento periodico di stipendio. Se il Consiglio superiore, dopo aver proceduto alla audizione del magistrato, esprime un secondo giudizio negativo, il magistrato è dispensato dal servizio.

L'articolo 13 prevede che i parametri di valutazione di cui agli articoli da 2 a 6 siano omogenei per tutti i magistrati trovando applicazione anche in tutte le ipotesi di collocamento fuori del ruolo organico; si stabilisce perciò che per i magistrati collocati fuori del ruolo organico perché addetti al Ministero della giustizia, il parere venga reso dal consiglio di amministrazione composto dai soli direttori generali o capi dei servizi ai quali appartengono i magistrati, mentre per tutti gli altri magistrati si prevede che venga trasmessa una relazione da parte della autorità presso la quale gli interessati prestano servizio, che illustra la attività svolta, al consiglio giudiziario presso la corte di appello di Roma.

L'articolo 14 prevede l'emanazione, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge, della disciplina attuativa delle modalità di raccolta della documentazione, e della individuazione a campione dei provvedimenti e dei verbali di udienza di cui all'articolo 7, nonché delle modalità per la redazione dei pareri da parte dei consigli giudiziari secondo i modelli standard e per la gestione informatizzata di cui all'articolo 10, comma 4. Ciò serve ad assicurare la omogeneità delle procedure di raccolta dei dati da parte dei singoli consigli giudiziari e di elaborazione degli stessi, anche mediante la costituzione o la utilizzazione di banche dati nelle quali affluiscano le informazioni relative alla attività di ciascun magistrato, nonché ad assicurare la corretta tenuta delle banche dati stesse in relazione da un lato alle finalità per le quali le banche dati sono costituite e dall'altro alla riservatezza dei dati in esse contenuti. Nel medesimo termine, il Ministro della giustizia, con uno o più decreti, disciplina le modalità per la raccolta e la conservazione dei dati stabiliti ai fini dell'articolo 7.


 

 


 


proposta di legge

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Art. 1.

(Valutazione di professionalità).

 

1. I magistrati sono sottoposti a valutazione di professionalità ogni quadriennio dalla nomina, salvo la prima valutazione che è effettuata dopo il compimento di un quinquennio e la quarta che è effettuata dopo un triennio dalla precedente.

2. Continuano a trovare applicazione gli articoli 1 e 5 della legge 2 aprile 1979, n. 97, per quanto attiene alla valutazione cui deve essere sottoposto l'uditore giudiziario dopo il primo anno di svolgimento delle funzioni giurisdizionali.

3. La valutazione di professionalità deve riguardare la capacità, la laboriosità, la diligenza, l'impegno.

4. La valutazione di professionalità riguarda altresì l'attitudine alla dirigenza, ove ricorrano specifici elementi.

5. Con i provvedimenti di cui all'articolo 14 sono specificati gli elementi in base ai quali devono essere espresse le valutazioni da parte dei consigli giudiziari nonché i parametri per consentire la omogeneità delle valutazioni.

 

Art. 2.

(Capacità).

 

1. La capacità, oltre che alla preparazione giuridica e al relativo grado di aggiornamento è riferita, secondo le funzioni esercitate, alle metodologie di analisi delle questioni da risolvere e al possesso delle tecniche di argomentazione e di valutazione delle prove, alla conoscenza e alla padronanza delle tecniche d'indagine ovvero alla conduzione dell'udienza da parte di chi la dirige o la presiede, nonché alla idoneità ad avvalersi, dirigere, controllare e utilizzare l'apporto dei collaboratori e degli ausiliari.

 

Art. 3.

(Laboriosità).

1. La laboriosità è riferita al numero e alla qualità degli affari trattati secondo rapporti di reciproca coerenza adeguati al tipo di ufficio e alla sua condizione organizzativa e strutturale, nonché ai tempi di smaltimento del lavoro.

 

Art. 4.

(Diligenza).

 

1. La diligenza è riferita all'assiduità e alla puntualità di presenza in ufficio, nelle udienze e nei giorni stabiliti o comunque necessari per l'adeguato espletamento del servizio, al rispetto dei termini per l'emissione, la redazione, il deposito di provvedimenti o comunque per il compimento di attività giudiziarie.

 

Art. 5.

(Impegno).

1. L'impegno è riferito alla partecipazione ed al buon andamento dell'ufficio, nonché alla disponibilità per sostituzioni, applicazioni e supplenze necessarie al funzionamento dell'ufficio.

 

Art. 6.

(Attitudine alla dirigenza).

1. L'attitudine alla dirigenza è riferita alla idoneità organizzativa, di programmazione e di gestione in rapporto al tipo e alla condizione strutturale dell'ufficio e alle relative dotazioni di mezzi e di personale; è riferita altresì alla capacità di valorizzare le attitudini di magistrati e di funzionari, nel rispetto delle individualità e delle autonomie istituzionali, nonché alla capacità di controllo amministrativo sull'andamento generale dell'ufficio e alla capacità di programmare e realizzare, con tempestività, gli adattamenti organizzativi e gestionali avvalendosi dell'apporto di magistrati, del personale amministrativo e di quello addetto all'ufficio.

2. La valutazione della attitudine alla dirigenza deve tenere conto delle esperienze direttive anteriori e dei risultati conseguiti, dello svolgimento di una pluralità di funzioni giudiziarie, degli incarichi svolti, della frequenza di corsi di formazione per la dirigenza e di ogni altra esperienza che possa essere ritenuta utile.

 

Art. 7.

(Procedimento per la valutazione

di professionalità).

1. Entro il mese successivo alla scadenza del periodo di valutazione il consiglio giudiziario acquisisce:

 

a) la relazione del magistrato sul lavoro svolto nel quadriennio unitamente a quant'altro egli ritenga utile, ivi compresa la indicazione di atti e di provvedimenti da esaminare;

 

b) le statistiche del lavoro svolto e la comparazione con quelle degli altri magistrati del medesimo ufficio secondo i criteri stabiliti dal provvedimento di cui all'articolo 14;

 

c) gli atti e i provvedimenti redatti dal magistrato e i verbali delle udienze alle quali il magistrato ha partecipato, scelti a campione sulla base di criteri oggettivi stabiliti dal provvedimento di cui all'articolo 14;

 

d) l'indicazione degli incarichi extragiudiziari svolti dal magistrato nel periodo valutato;

 

e) il rapporto e le segnalazioni provenienti dai capi degli uffici, che tengano anche conto delle situazioni rappresentate da terzi, nonché le segnalazioni eventualmente pervenute dal consiglio dell'ordine degli avvocati e procuratori ai dirigenti o al consiglio giudiziario, sempre che si riferiscano a fatti incidenti in modo negativo sulla professionalità, con particolare riguardo alle situazioni concrete e specifiche di esercizio non indipendente della funzione e ai comportamenti sintomatici di mancanza di equilibrio. Il rapporto del capo dell'ufficio è trasmesso al consiglio giudiziario dal presidente della corte di appello o dal procuratore generale della Repubblica, titolari del potere-dovere di sorveglianza, con le proprie, eventuali considerazioni.

 

2. Il consiglio giudiziario può assumere informazioni su fatti segnalati da suoi componenti o dai dirigenti gli uffici o dai consigli dell'ordine degli avvocati e procuratori, dando tempestiva comunicazione dell'esito all'interessato, e può procedere all'audizione del magistrato.

3. L'audizione è comunque disposta se il magistrato ne fa richiesta.

 

Art. 8.

(Parere del consiglio giudiziario).

1. Sulla base delle acquisizioni di cui all'articolo 7 il consiglio giudiziario formula un parere motivato, se si tratta delle valutazioni relative al terzo, al quinto e al settimo quadriennio, che trasmette al Consiglio superiore della magistratura unitamente alla documentazione e ai verbali delle audizioni.

2. Copia del parere di cui al comma 1 deve essere notificata all'interessato e al Ministro della giustizia per le osservazioni di cui all'articolo 11 della legge 24 marzo 1958, n. 195, e successive modificazioni.

3. Il magistrato entro dieci giorni dalla notifica del parere può fare pervenire al Consiglio superiore della magistratura le proprie osservazioni e chiedere di essere ascoltato personalmente.

4. Per le restanti valutazioni di professionalità, fatta eccezione per i magistrati della Corte suprema di cassazione, della procura generale della Repubblica presso la Corte suprema di cassazione e del Tribunale superiore delle acque pubbliche, il consiglio giudiziario può essere delegato dal Consiglio superiore della magistratura ad effettuare, sulla base degli specifici criteri indicati dal Consiglio superiore stesso ogni quattro anni all'atto dell'insediamento, le valutazioni di professionalità in relazione ai periodi diversi dal terzo, dal quinto e dal settimo. In tale caso il consiglio giudiziario se ritiene di dover esprimere un giudizio favorevole adotta la relativa delibera.

5. La delibera di cui al comma 4 deve essere notificata al magistrato interessato che può proporre, entro trenta giorni, ricorso al Consiglio superiore della magistratura, e ha facoltà di essere sentito ove ne faccia richiesta.

6. Il Consiglio superiore della magistratura, acquisite le osservazioni del consiglio giudiziario, definisce il ricorso entro sei mesi integrando o sostituendo il parere del consiglio giudiziario in caso di accoglimento. In tale ipotesi il parere del consiglio giudiziario deve essere espunto dal fascicolo personale del magistrato.

7. Il Consiglio superiore della magistratura, con i provvedimenti di cui all'articolo 14, indica i criteri per le valutazioni da parte del consiglio giudiziario e per le verifiche ed i controlli sull'operato dei consigli giudiziari.

8. Copia del provvedimento viene trasmessa al Consiglio superiore della magistratura e al Ministero della giustizia per i successivi adempimenti.

9. Qualora il giudizio da esprimere sia non positivo o negativo, il consiglio giudiziario trasmette il proprio parere al Consiglio superiore della magistratura per la decisione.

 

Art. 9.

(Consigli giudiziari).

 

1. L'articolo 6, primo comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, come sostituito dall'articolo 1 della legge 12 ottobre 1966, n. 825, è sostituito dai seguenti:

 

"Presso ogni corte di appello è costituito un consiglio giudiziario.

Il consiglio giudiziario è presieduto dal presidente della corte di appello e composto dal procuratore generale della Repubblica nonché:

 

a) se l'organico dei magistrati del distretto è inferiore a duecento unità, da:

 

1) otto magistrati, di cui tre supplenti, eletti ogni quattro anni da tutti i magistrati degli uffici giudiziari del distretto con voto personale e segreto nelle seguenti proporzioni: un componente effettivo ed uno supplente, tra i magistrati che hanno conseguito la quinta valutazione di professionalità; due componenti effettivi ed uno supplente, tra i magistrati che hanno conseguito la terza valutazione di professionalità; due componenti effettivi ed uno supplente, tra i magistrati che hanno completato il tirocinio;

 

2) due avvocati indicati dai consigli dell'ordine del distretto della corte di appello;

 

3) due giudici di pace eletti da tutti i giudici di pace degli uffici giudiziari del distretto con voto personale e segreto;

 

b) se l'organico dei magistrati è compreso tra duecento e quattrocento unità, da:

 

1) tredici magistrati, di cui cinque supplenti, eletti ogni quattro anni da tutti i magistrati degli uffici giudiziari del distretto con voto personale e segreto nelle seguenti proporzioni: due componenti effettivi ed uno supplente, tra i magistrati che hanno conseguito la quinta valutazione di professionalità; tre componenti effettivi e due supplenti, tra i magistrati che hanno conseguito la terza valutazione di professionalità; tre componenti effettivi e due supplenti, tra i magistrati che hanno completato il tirocinio;

 

2) due avvocati indicati dai consigli dell'ordine del distretto della corte di appello;

 

3) due giudici di pace eletti da tutti i giudici di pace degli uffici giudiziari del distretto con voto personale e segreto;

 

c) se l'organico dei magistrati è superiore a quattrocento unità, da:

 

1) sedici magistrati, di cui cinque supplenti, eletti ogni quattro anni da tutti i magistrati degli uffici giudiziari del distretto con voto personale e segreto nelle seguenti proporzioni: tre componenti effettivi ed uno supplente, tra i magistrati che hanno conseguito la quinta valutazione di professionalità; quattro componenti effettivi e due supplenti, tra i magistrati che hanno conseguito la terza valutazione di professionalità; quattro componenti effettivi e due supplenti, tra i magistrati che hanno completato il tirocinio;

 

2) tre avvocati indicati dai consigli dell'ordine del distretto della corte di appello;

 

3) tre giudici di pace eletti da tutti i giudici di pace degli uffici giudiziari del distretto con voto personale e segreto.

 

Nei distretti nei quali non è possibile eleggere i magistrati alla quinta valutazione di professionalità, i posti sono attribuiti ai magistrati che hanno conseguito la terza valutazione di professionalità.

La istruttoria dei pareri e delle valutazioni viene distribuita tra tutti i componenti, anche supplenti, del consiglio giudiziario. A tale fine i componenti possono avvalersi degli uffici amministrativi della corte di appello.

Presso la Corte suprema di cassazione è costituito il consiglio giudiziario presieduto dal presidente aggiunto e composto dall'avvocato generale più anziano della procura generale della Repubblica presso la Corte medesima nonché da nove magistrati, di cui due supplenti, eletti ogni quattro anni da tutti i magistrati, anche applicati, in servizio presso la Corte suprema di cassazione, la procura generale della Repubblica presso la Corte suprema di cassazione e il Tribunale superiore delle acque pubbliche, con voto personale e segreto nelle seguenti proporzioni:

 

a) un componente effettivo con l'ufficio direttivo superiore di presidente di sezione o di avvocato generale;

 

b) quattro magistrati, e uno supplente, eletti tra i magistrati con funzioni di consigliere di cassazione o di sostituto procuratore generale;

c) due componenti effettivi, e uno supplente, eletti tra i magistrati applicati, che non hanno funzioni di consigliere di cassazione.

 

Del consiglio giudiziario presso la Corte suprema di cassazione fanno parte altresì due avvocati patrocinanti innanzi alla Corte di cassazione, e uno supplente, indicati dal consiglio nazionale forense.

Il consiglio giudiziario presso la corte di appello di Roma è competente anche per i magistrati della Direzione nazionale antimafia".

 

Art. 10.

(Giudizio del Consiglio superiore della magistratura e

rilevanza della valutazione di professionalità).

 

1. Il Consiglio superiore della magistratura procede alla valutazione di professionalità sulla base del parere espresso dal consiglio giudiziario e della relativa documentazione nonché sulla base dei risultati delle ispezioni ordinarie; può anche assumere ulteriori elementi di conoscenza.

2. La valutazione di professionalità consiste in un giudizio espresso con provvedimento motivato, che è inserito nel fascicolo personale del magistrato.

3. Il Ministro della giustizia adotta il relativo provvedimento, ai sensi dell'articolo 10 della legge 24 marzo 1958, n. 195, entro un mese dalla ricezione della delibera del Consiglio superiore della magistratura.

4. Il consiglio giudiziario e il Consiglio superiore della magistratura possono avvalersi di sistemi informatizzati per raccogliere i dati concernenti le valutazioni di professionalità secondo sistemi e modelli uniformi.

5. Del giudizio di professionalità si tiene conto ai fini dei tramutamenti, del conferimento di funzioni, comprese quelle di legittimità, del conferimento di incarichi direttivi e ai fini di qualunque altro atto, provvedimento o autorizzazione per incarico extragiudiziario connesso direttamente o indirettamente alla professionalità.

6. Il giudizio di professionalità è "positivo" quando ricorrono in modo sufficiente tutti i parametri di valutazione.

7. Il giudizio di professionalità è "non positivo" quando risultano mancanti o insufficienti alcuni parametri di valutazione.

8. Il giudizio di professionalità è "negativo" quando risultano carenze gravi in uno o più dei requisiti di valutazione.

9. Rimane fermo quanto previsto dall'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, per i fatti costituenti illecito disciplinare.

 

Art. 11.

(Giudizio "non positivo").

 

1. Se il giudizio è "non positivo" il Consiglio superiore della magistratura procede a nuova valutazione di professionalità dopo sei mesi, previo parere del consiglio giudiziario.

2. Qualora il successivo giudizio sia "positivo", il nuovo trattamento economico o l'aumento periodico di anzianità sono dovuti solo a decorrere dalla scadenza del sesto mese.

 

Art. 12.

(Giudizio "negativo").

1. Se il giudizio è "negativo", il magistrato è sottoposto a nuova valutazione di professionalità dopo un biennio. Il Consiglio superiore della magistratura può disporre che il magistrato partecipi ad uno o più corsi di riqualificazione professionale, indicando le specifiche carenze di professionalità riscontrate; può anche assegnare il magistrato, previa sua audizione, ad una diversa funzione nella medesima sede o escluderlo, fino alla successiva valutazione, dalla possibilità di accedere a incarichi direttivi o semidirettivi o a funzioni specifiche.

2. La valutazione negativa comporta la perdita del diritto all'aumento periodico di stipendio.

3. Se il Consiglio superiore della magistratura, previa audizione del magistrato, esprime un secondo giudizio "negativo", questi è dispensato dal servizio.

 

Art. 13.

(Valutazione di professionalità

per i magistrati fuori ruolo).

1. I parametri contenuti negli articoli da 2 a 6 si applicano anche per la valutazione di professionalità concernente i magistrati fuori ruolo. Il giudizio è espresso dal Consiglio superiore della magistratura nella composizione prevista per i magistrati in servizio presso il Ministero della giustizia o acquisito il parere del consiglio giudiziario presso la corte di appello di Roma per tutti gli altri magistrati in posizione di fuori ruolo, ivi compresi quelli in servizio all'estero, da esprimere sulla base della relazione della autorità presso cui gli stessi svolgono servizio, illustrativa della attività svolta, e di ogni altra documentazione che l'interessato ritiene utile produrre, purché attinente alla professionalità.

 

Art. 14.

(Provvedimenti del Consiglio superiore della

magistratura).

 

1. Il Consiglio superiore della magistratura, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, disciplina i modi di raccolta della documentazione e di individuazione a campione dei provvedimenti e dei verbali di udienza di cui all'articolo 7, determina le modalità per la redazione dei pareri dei consigli giudiziari secondo i modelli standard e per la gestione informatizzata di cui all'articolo 10, comma 4.

2. Con uno o più decreti, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro della giustizia disciplina le modalità per la raccolta dei dati stabiliti ai fini dell'articolo 7.

 

 

 


N. 4158

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato PISAPIA

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Norme in materia di responsabilità disciplinare dei magistrati ordinari

 

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Presentata il 14 luglio 2003

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Onorevoli Colleghi! - Il proponente ritiene opportuno porre all'attenzione del Parlamento la presente proposta di legge al fine di sollecitare il confronto sul tema della responsabilità disciplinare dei magistrati ordinari, nella ferma convinzione che ormai sia ineludibile la necessità di razionalizzare l'intera materia. Si tratta di tematiche che da tempo sono oggetto del dibattito politico-istituzionale, e sulle quali sono stati presentati - anche nelle scorse legislature - disegni di legge da parte del Ministro della giustizia nonché di parlamentari; sulla materia, inoltre, numerosi sono stati i pareri del Consiglio superiore della magistratura, gli orientamenti espressi dagli organismi rappresentativi dei magistrati, ed i suggerimenti della letteratura specialistica. La presente proposta di legge riprende, per buona parte, il testo presentato dal Guardasigilli nella scorsa legislatura.

Oltre ad introdurre profonde innovazioni nella materia della responsabilità disciplinare dei magistrati, si eliminano discrasie dovute alla disseminazione dell'attuale disciplina in fonti diacroniche. E' sembrato opportuno sottolineare con una norma di apertura i doveri del magistrato, identificandoli (articolo 1, comma 1) nell'imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità e riserbo, cioè nei cinque valori fondamentali che devono caratterizzare l'esercizio delle funzioni. L'enunciazione non ha soltanto un significato deontologico, ma una ben precisa dimensione sistematica, in quanto gli illeciti disciplinari vengono tipicizzati e aggregati intorno ai valori menzionati; essi rappresentano ad un tempo i beni protetti dalla tutela disciplinare e i limiti di intervento del controllo in sede disciplinare (articolo 1, comma 4). Inoltre, la presente proposta di legge dispone (articolo 1, comma 3) che, anche al di fuori dell'esercizio dell'attività giudiziaria, il magistrato non deve tenere comportamenti tali da compromettere la credibilità della funzione, sostituendo il dato oggettivo della credibilità alle precedenti formule concernenti il prestigio dell'ordine nei suoi valori esteriori e formali. Ha un forte significato simbolico il richiamo al rispetto della dignità della persona in qualunque atto di esercizio delle funzioni (articolo 1, comma 2), con un riferimento a valori costituzionali (articoli 2 e 3 della Costituzione) e una dimensione pragmatica che si collega al dovere di correttezza (benché la regola abbia una portata molto più estesa). Rispetto alla tipicizzazione, si è abbandonata la formula eccessivamente generica dell'articolo 18 del decreto luogotenenziale 31 maggio 1946, n. 511, che ha finito per sovraccaricare il titolare dell'azione e l'organo giudicante dell'attività di assoluti intermediari rispetto alla legge per l'elaborazione della regola disciplinare. Il diverso orientamento della presente proposta di legge conferisce assoluta terzietà alla sezione disciplinare, recepisce in buona sostanza il principio di legalità, offre garanzie al magistrato ed elimina "vuoti" o "incertezze sui fini" del sistema disciplinare. Come si è detto, gli illeciti riferiti all'esercizio delle funzioni sono stati raggruppati intorno ai valori cui si riferisce la tutela. All'articolo 2, la lettera a) del comma 1 considera quei fatti che contrastano con il dovere di imparzialità, e cioè i comportamenti "tenuti allo scopo di arrecare illegittimo danno o vantaggio ad una delle parti" (formula preferibile all'altra della "palese violazione del dovere di imparzialità", usata in precedenti progetti di legge, perché troppo vaga e sostanzialmente tautologica) e l'inosservanza dell'obbligo di astensione. La lettera b) considera i fatti di scorrettezza realizzati in danno delle parti, dei difensori, dei testimoni o di chiunque abbia rapporti con l'ufficio giudiziario (l'espressione comprende gli organi ausiliari e ogni utente del servizio giudiziario), nonché in danno di altri magistrati o di collaboratori: trattasi di comportamenti incompatibili con la dignità della funzione e con il rispetto della persona, perché contrastano con quello standard di civile condotta che deve costituire un requisito fondamentale dell'attività giudiziaria del magistrato. Rientra in questo gruppo anche l'ingiustificata interferenza, attuata avvalendosi delle proprie funzioni, nell'attività di altro magistrato, giacché tale interferenza può pregiudicarne l'autonomia di giudizio; la formula adottata è tale da comprendere anche il comportamento del magistrato comunque investito di poteri di direzione o di vigilanza che eserciti pressioni o compia interferenze nei confronti dei colleghi in relazione alla trattazione di affari loro affidati. In ogni caso il comportamento deve essere "ingiustificato", escludendosi così quelle forme di intervento che sono legittimate dal rapporto di gerarchia funzionale o previste da specifiche norme. La lettera c) raggruppa i comportamenti lesivi del dovere di diligenza professionale. Si tratta, in primo luogo, dei fatti che, pur inerendo all'esercizio dell'attività giudiziaria, rendono possibile il sindacato disciplinare: viene in considerazione anzitutto la grave violazione di legge, realizzata attraverso un atto o un provvedimento o un comportamento processuale, per assoluta mancanza di diligenza. Il grado di consistenza negativa che il fatto deve avere, anche in riferimento alle conseguenze che ne derivano, si collega al carattere "assoluto" della negligenza come causa della violazione. La seconda ipotesi riguarda il travisamento dei fatti dovuto al difetto assoluto di diligenza nell'esame delle risultanze processuali. Queste prime due ipotesi ricomprendono le fattispecie previste dall'articolo 2, comma 3, lettere a), b) e c), della legge 13 aprile 1988, n. 117, sulla riparazione dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati, ove si prevedono, come colpa grave: "la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile" (lettera a); "l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento" (lettera b) e "la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento" (lettera c). Nella presente proposta di legge, la seconda e terza fattispecie di colpa grave sono state unificate nella formula onnicomprensiva di "travisamento dei fatti". Un'altra ipotesi attiene al perseguimento di fini diversi da quelli di giustizia, e ricomprende condotte che hanno finalità estranee agli obiettivi istituzionali della giurisdizione. La stessa lettera c) del comma 1 dell'articolo 2 della proposta di legge contiene la previsione dell'assenza di motivazione, allorché sia richiesta dalla legge, che costituisce senza dubbio un caso di violazione della legge, ma non è connotata dalle condizioni che rendono rilevabili la fattispecie generale. Si è voluto, in realtà, sottolineare come sia importante che il magistrato dia conto e ragione di ciò che compie nell'esercizio delle funzioni, e quindi tale specifica previsione non è circoscritta ai provvedimenti cautelari. All'ipotesi della assoluta assenza di motivazione è stata equiparata, inoltre, quella della cosiddetta "motivazione apparente", in quanto altrettanto costitutiva di una violazione di legge.

Allo stesso tipo di illecito disciplinare per violazione del dovere di diligenza si è ricondotta l'adozione di provvedimenti non consentiti dalla legge che abbiano leso diritti personali o, in modo rilevante, diritti patrimoniali. In tali previsioni risulta compresa anche la lettera d) del comma 3 dell'articolo 2 della legge 13 aprile 1988, n. 117: per un verso ("provvedimento concernente la libertà della persona fuori dai casi consentiti dalla legge"), nell'ipotesi di provvedimenti non consentiti dalla legge che abbiano leso diritti personali; per altro verso ("provvedimento concernente la libertà della persona <...> senza motivazione"), nell'ipotesi di provvedimenti privi di motivazione o con motivazione apparente.

L'inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni di servizio costituisce illecito disciplinare se cagiona un apprezzabile pregiudizio per l'attività dell'ufficio (altrimenti sarebbe oggetto di sanzione - ad esempio - anche un occasionale e modesto ritardo nell'inizio dell'udienza), e cioè nel caso in cui l'inosservanza sia "reiterata" o "grave". Costituisce violazione del dovere di diligenza professionale l'"affidamento ad altri del proprio lavoro": si è preferita tale formula (piuttosto che quella di "affidamento a terzi della redazione dei provvedimenti") per ricomprendervi sia le ipotesi in cui è gravato un altro magistrato, sia quelle in cui ci si disimpegna ingiustificatamente da attività diverse dalla redazione di un provvedimento. Quanto all'inosservanza dell'obbligo di residenza, occorre partire dalla constatazione che oggi, per lo sviluppo e la rapidità dei mezzi di comunicazione e per problemi e difficoltà ambientali, il dovere di risiedere nello stesso comune sede dell'ufficio non ha quel rigore che giustamente aveva in altri tempi, pur conservando la sua validità precettiva. Si è ritenuto, quindi, di considerare illecito disciplinare l'inosservanza dell'obbligo di residenza nel duplice presupposto che manchi la cosiddetta "autorizzazione a risiedere fuori circoscrizione" e ne sia derivato in concreto un pregiudizio all'adempimento dei doveri di diligenza.

La lettera d) comprende gli illeciti che derivano da violazioni del dovere di laboriosità. Rientra in questo gruppo il reiterato ritardo nel compimento di atti, sempre che sia "grave" o, se non grave, sia "ingiustificato"; si noti che non occorre l'abitualità ad integrare l'illecito, bastando ripetute violazioni anche prive del carattere dell'abitualità. Vi rientra la scarsa laboriosità rapportata al carico dell'ufficio (quindi valutata con criterio relativo); vi rientra infine l'abituale esenzione dal lavoro giudiziario (compresa la redazione dei provvedimenti) da parte del dirigente l'ufficio o del presidente di sezione o di collegio, volendosi con ciò recidere certe prassi secondo cui chi dirige o presiede si autoesclude dall'esercizio di altre funzioni e, soprattutto, dal redigere provvedimenti. Il fatto deve, comunque, essere privo di giustificazione: si è considerato, in sostanza, che, principalmente negli uffici di grandi dimensioni, l'attività di direzione è connotata da aspetti amministrativi ed organizzativi spesso del tutto assorbenti: in questi casi, l'esenzione dal lavoro giudiziario può trovare adeguata giustificazione.

Un'ulteriore ipotesi di illecito riconducibile al difetto di laboriosità è stata ravvisata nell'inosservanza dell'obbligo di rendersi reperibile per esigenze dell'ufficio, nei casi in cui questo è imposto dalla legge o da disposizione di organo competente.

La violazione del segreto d'ufficio o la rivelazione del contenuto di atti coperti dal segreto istruttorio configurano specifiche ipotesi di reato e rientrano, quindi, nella previsione di cui all'articolo 4. Si è ritenuto, però, di ipotizzare, nella lettera e) del comma 1 del citato articolo 2, comportamenti che, restando al di fuori della sfera penale, determinano la divulgazione di atti del procedimento coperti dal segreto o di cui sia previsto il divieto di pubblicazione. Si tratta di comportamenti che possono risalire a difetto di diligenza, ovvero a scarsa ponderazione, e che pregiudicano il corretto svolgersi dell'attività giurisdizionale. Nella stessa lettera e) si è ritenuto di prevedere come illecito disciplinare anche la violazione del dovere di riservatezza: per gli affari in corso essa è rilevante sempre, perché contrasta con la deontologia il riferire o divulgare fatti propri della "vicenda processuale" che il magistrato sta trattando, mentre per gli affari definiti la rilevanza disciplinare si ha solo quando la violazione della riservatezza possa arrecare pregiudizio a diritti altrui.

La lettera f) del medesimo comma 1 comprende le omissioni imputabili al dirigente l'ufficio o al presidente di sezione o di collegio e concernenti il non aver comunicato fatti compiuti dai magistrati dell'ufficio, della sezione o del collegio che possono costituire illecito disciplinare. Trattasi di illeciti complementari a specifiche figure previste in altre lettere, o a ciascuna delle ipotesi di illecito previste in tali lettere.

Per ciascun gruppo di illeciti (tranne quelli di cui alle lettere e) e f), che esauriscono con la tipicizzazione le ipotesi possibili), è stata usata la formula: "ogni altra violazione del dovere", in modo da consentire la punibilità di comportamenti "non nominati" lesivi degli interessi protetti. Si evita così il ricorso ad una clausola di chiusura unica che, nella sua generalità e genericità, finirebbe per attenuare - se non addirittura per elidere - lo scopo della tipicizzazione; infatti, il collegamento sistematico tra i valori espressi nell'articolo 1, la previsione di illeciti raggruppati secondo tali valori nell'articolo 2 e la clausola per ciascun gruppo offrono ai titolari dell'azione e alla stessa sezione disciplinare criteri ben precisi per l'individuazione di "illeciti non nominati". Da notare, infine, che la formula usata a chiusura della lettera a) non reca l'aggettivo "rilevante", a differenza di quella relativa agli altri gruppi, in quanto si è ritenuto che qualunque violazione del dovere di imparzialità costituisce illecito disciplinare, stante l'importanza del valore tutelato. Nel comma 2 si è ritenuto di dover ribadire il principio della insindacabilità dell'attività giurisdizionale, per il valore assoluto che le è proprio - salve le limitate e specifiche eccezioni, compatibili con l'affermazione del principio - e per una sorta di simmetria normativa con la disciplina della responsabilità civile del magistrato. La disposizione che si propone riproduce, in sostanza, quella contenuta nell'articolo 2, comma 2, della citata legge n. 117 del 1988, poiché è sembrato opportuno chiarire che anche il sindacato disciplinare - alla stregua di quanto è stato previsto per quello del giudice civile - non può riguardare l'attività di interpretazione della legge o di valutazione dei fatti e delle prove.

L'articolo 3 tipicizza gli illeciti compiuti al di fuori dell'esercizio delle funzioni. La lettera a) del comma 1 considera gli episodi di malcostume, talvolta spicciolo ma pur sempre riprovevole, che sono sempre meno tollerati dalla coscienza sociale. La lettera b) si riferisce a condotte riprovevoli in rapporto alla qualità stessa del magistrato perché possono incidere sulla credibilità della funzione. La lettera c) indica sia l'assunzione di incarichi senza autorizzazione quando questa sia prescritta da disposizioni di legge o da norme regolamentari adottate dall'organo competente, sia lo svolgimento di attività che, pur non essendo oggetto di autorizzazione, risulti (per la natura dell'attività stessa, per l'impegno che comporta, per il soggetto che la conferisce o a cui l'attività è diretta) oggettivamente incompatibile con la funzione giudiziaria, o comunque tale da pregiudicare la laboriosità. A maggior ragione rientra in questa ipotesi l'assunzione di attività priva di autorizzazione semplicemente perché "non autorizzabile".

La lettera d) attiene ad uno dei temi più spinosi e difficili, in quanto pone l'obbligo di un giusto equilibrio tra l'interesse costituzionalmente protetto della libertà di manifestazione del pensiero, che compete al magistrato come ad ogni cittadino, con l'interesse, avente pari importanza, alla dignità del singolo magistrato e dell'intero ordine giudiziario. La necessità di tale equilibrio è stata sottolineata dalla Corte costituzionale (sentenza n. 100 dell'8 giugno 1981), secondo cui il bilanciamento degli interessi tutelati non comprime il diritto alla libertà di manifestare le proprie opinioni, ma ne vieta soltanto l'esercizio anomalo o l'abuso, che viene ad esistenza ove risultino lesi gli altri valori sopra menzionati.

In questa prospettiva non v'è dubbio che una siffatta delicata operazione di bilanciamento non potrebbe attuarsi salvaguardando integralmente ed in ogni caso la libertà di cui all'articolo 21 della Costituzione; così come, per converso, l'equilibrio sarebbe pregiudicato se si pretendesse di salvare sempre ed in ogni caso la dignità dell'ordine giudiziario: nell'uno e nell'altro caso non di bilanciamento si tratterebbe ma, piuttosto, di annullamento di uno dei due interessi tutelati. Tuttavia si è ritenuto che la pubblica manifestazione di consenso o di dissenso in ordine ad un procedimento in corso acquisti rilevanza sul piano disciplinare soltanto quando concorrano particolari elementi oggettivi e soggettivi. Si è dato rilievo, così, oltre che alla posizione del magistrato (che può conferire maggiore caratura alla manifestazione e perciò cagionare un più intenso pericolo alla libertà del giudice naturale del processo in corso), anche alle modalità della manifestazione, di modo che posizione del magistrato e modalità di manifestazioni conferiscano all'espressione del consenso o del dissenso idoneità a condizionare la libertà del collega. Anche la lettera e) si riferisce ad un tema spinoso che, in tempi recenti e meno recenti, ha interessato per vari aspetti l'ordine giudiziario, come la partecipazione di magistrati ad associazioni segrete o "riservate" ovvero a logge massoniche. Resta ferma anche per i magistrati la libertà associativa; ma non può consentirsi la partecipazione ad associazioni che comportino doveri o vincoli incompatibili con l'esercizio delle funzioni giudiziarie perché incidono sulla autonomia, imparzialità di giudizio, indipendenza morale e psicologica che rappresentano le precondizioni dello svolgimento dell'attività giudiziaria in piena libertà e in sottoposizione soltanto alla legge.

Seguendo un'indicazione espressa dal Consiglio superiore della magistratura, l'articolo 4 contiene la separata previsione di illeciti disciplinari conseguenti a reati per i quali sia intervenuta condanna irrevocabile o applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale, quando si tratti: di delitti non colposi per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione, sola o congiunta alla pena pecuniaria (lettera a), ovvero di delitti colposi (lettera b) o di contravvenzioni (lettera c), se sia stata rispettivamente applicata la pena detentiva della reclusione o dell'arresto, ma, in entrambi i casi, sempre che, per le modalità di esecuzione o per le conseguenze che ne sono derivate, il fatto abbia carattere di particolare gravità. L'articolo 4 si chiude con un'ultima previsione (lettera d) relativa ad altre ipotesi in cui il fatto costituente reato sia idoneo a compromettere la credibilità del magistrato ed anche se l'azione penale - per qualsiasi causa - non può essere iniziata o proseguita.

L'articolo 5 indica le sanzioni disciplinari e ne puntualizza la consistenza e i modi di esecuzione. Non si è ritenuto di abolire la sanzione dell'ammonimento per due motivi: in primo luogo, si possono verificare illeciti di modesta entità per i quali il giudice disciplinare, operando la valutazione complessiva della personalità dell'incolpato, può comminare una sanzione minima che abbia anche, nella sostanza, una finalità dissuasiva; in secondo luogo, può insorgere il timore che il giudice disciplinare, pur di non irrogare la censura per fatti modesti ma pur sempre apprezzabili, finisca per indulgere all'assoluzione.

Le novità rispetto all'attuale regime consistono nella introduzione della "incapacità ad esercitare un incarico direttivo o semidirettivo", nell'abolizione della destituzione e nel collegamento fra il tipo di illecito, o l'ipotesi aggravata di esso, e il tipo minimo di sanzione da irrogare. L'incapacità all'incarico direttivo o di collaborazione direttiva, che può durare per l'intera vita professionale del magistrato o per un periodo limitato, assume un significato pregnante per alcuni tipi di illecito e ha comunque un valore dissuasivo di notevole efficacia. Quanto alla destituzione, si è ritenuto superfluo mantenerla, giacché, dopo l'intervento della Corte costituzionale circa il trattamento di quiescenza, essa per nulla differisce rispetto alla rimozione. Si è anche cercato di dare una soluzione (comma 8) al problema del concorso di illeciti e, quindi, al concorso di sanzioni.

Nell'articolo 6 è fissato il collegamento tra sanzione minima applicabile e tipo di illecito, realizzando, così, un sistema sanzionatorio che, seppure organizzato in termini di maggiore rigidità, consente ancora ampi spazi alla discrezionalità dell'organo disciplinare. La sanzione da applicare è determinata dalla legge in maniera specifica nel solo caso di condanna penale a pena detentiva non condizionalmente sospesa o che determina l'interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici.

Nell'articolo 7 è prevista l'applicazione della sanzione accessoria del trasferimento ad altra sede o ad altro ufficio. Al riguardo, in considerazione della gravità degli effetti che conseguono a tale misura sanzionatoria, che si concreta nell'allontanamento del magistrato dall'ufficio, sono stati fissati non solo criteri rigidi di collegamento con determinate categorie di illeciti disciplinari o di sanzioni principali inflitte, ma si è condizionata l'applicazione della sanzione stessa, nell'ipotesi di applicazione facoltativa, all'accertamento che la permanenza del magistrato in quella sede o in quell'ufficio si porrebbe in insanabile contrasto con il buon andamento dell'amministrazione della giustizia.



 


proposta di legge

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Art. 1.

(Doveri del magistrato).

 

1. Il magistrato deve esercitare le funzioni attribuitegli con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo.

2. In ogni atto di esercizio delle funzioni il magistrato deve rispettare la dignità della persona.

3. Anche fuori dall'esercizio delle sue funzioni il magistrato non deve tenere comportamenti che ne compromettano la credibilità.

4. La violazione dei doveri costituisce illecito disciplinare perseguibile nelle ipotesi previste dagli articoli 2, 3 e 4.

 

Art. 2.

(Illeciti disciplinari nell'esercizio delle funzioni).

 

1. Costituiscono illecito disciplinare:

 

a) i comportamenti che, violando i doveri di cui all'articolo 1, arrecano illegittimo danno o vantaggio ad una delle parti; l'inosservanza dell'obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge; ogni altra violazione del dovere di imparzialità;

 

b) i comportamenti abitualmente o gravemente scorretti nei confronti delle parti, dei loro difensori, dei testimoni o di chiunque abbia rapporti con l'ufficio giudiziario, ovvero nei confronti di altri magistrati o di collaboratori; l'ingiustificata interferenza nell'attività giudiziaria di altro magistrato, attuata mediante l'esercizio delle funzioni; ogni altra rilevante violazione del dovere di correttezza;

 

c) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile; il travisamento dei fatti determinato da negligenza inescusabile; il perseguimento di fini diversi da quelli di giustizia; l'emissione di provvedimenti privi di motivazione, ovvero la cui motivazione consiste nella sola affermazione della sussistenza dei presupposti di legge senza indicazione degli elementi di fatto dai quali tale sussistenza risulti, quando la motivazione è richiesta dalla legge; l'adozione di provvedimenti non consentiti dalla legge che abbiano leso diritti personali o, in modo rilevante, diritti patrimoniali; la reiterata o grave inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio giudiziario adottate dagli organi competenti; l'affidamento ad altri del proprio lavoro; l'inosservanza dell'obbligo di risiedere nel comune in cui ha sede l'ufficio, se manca l'autorizzazione prevista dalle norme vigenti, e sempre che ne sia derivato concreto pregiudizio all'adempimento dei doveri di diligenza e laboriosità; ogni altra rilevante violazione del dovere di diligenza;

 

d) il reiterato, grave o ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni; l'abituale e ingiustificata esenzione dal lavoro giudiziario, compresa la redazione dei provvedimenti, da parte del dirigente l'ufficio o del presidente di una sezione o del presidente di un collegio; l'inosservanza dell'obbligo di rendersi reperibile per esigenze di ufficio quando esso sia imposto dalla legge o da disposizione dell'organo competente; ogni altra rilevante violazione del dovere di laboriosità;

 

e) i comportamenti che determinano la divulgazione di atti del procedimento coperti dal segreto o di cui sia previsto il divieto di pubblicazione, nonché la violazione del dovere di riservatezza sugli affari in corso di trattazione, o sugli affari definiti, quando è idonea a ledere diritti altrui;

 

f) l'omissione, da parte del dirigente l'ufficio o del presidente di una sezione o del presidente di un collegio, della comunicazione agli organi competenti di fatti che possono costituire illeciti disciplinari compiuti da magistrati dell'ufficio, della sezione o del collegio.

 

2. Fermo quanto previsto dalla lettera c) del comma 1, non può dar luogo a responsabilità disciplinare l'attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove.

 

Art. 3.

(Illeciti disciplinari al di fuori dell'esercizio delle

funzioni).

 

1. Costituiscono illecito disciplinare:

 

a) l'uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti per sé o per altri;

 

b) il frequentare persona sottoposta a procedimento penale o di prevenzione comunque trattato dal magistrato, o il trattenere rapporti di affari con persona che a questi risulti essere stata dichiarata delinquente abituale o avere subìto condanna per gravi delitti non colposi;

 

c) l'assunzione di incarichi extragiudiziari senza la prescritta autorizzazione dell'organo competente; lo svolgimento di attività incompatibili con la funzione giudiziaria o tali da recare concreto pregiudizio all'assolvimento del dovere di laboriosità;

 

d) la pubblica manifestazione di consenso o dissenso in ordine ad un procedimento in corso quando, per la posizione del magistrato o per le modalità con cui il giudizio è espresso, sia idonea a condizionare la libertà di decisione nell'esercizio delle funzioni giudiziarie;

 

e) la partecipazione ad associazioni segrete i cui vincoli sono oggettivamente incompatibili con l'esercizio delle funzioni giudiziarie.

 

Art. 4.

(Illeciti disciplinari conseguenti al reato).

 

1. Costituiscono illecito disciplinare:

 

a) i fatti per i quali è intervenuta condanna irrevocabile o è stata pronunciata sentenza ai sensi dell'articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale, per delitto doloso o preterintenzionale, quando la legge stabilisce la pena detentiva, sola o congiunta alla pena pecuniaria;

 

b) i fatti per i quali è intervenuta condanna irrevocabile o è stata pronunciata sentenza ai sensi dell'articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale, per delitto colposo, alla pena della reclusione, sempre che presentino, per modalità e conseguenze, carattere di particolare gravità;

 

c) i fatti per i quali è intervenuta condanna irrevocabile o è stata pronunciata sentenza ai sensi dell'articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale, alla pena dell'arresto, sempre che presentino, per le modalità di esecuzione, carattere di particolare gravità;

 

d) altri fatti costituenti reato idonei a compromettere la credibilità del magistrato, anche se il reato è estinto per qualsiasi causa o l'azione penale non può essere iniziata o proseguita.

 

Art. 5.

(Sanzioni disciplinari).

 

1. Le sanzioni disciplinari sono:

 

a) l'ammonimento;

 

b) la censura;

 

c) la perdita dell'anzianità;

 

d) l'incapacità perpetua o temporanea ad esercitare un incarico direttivo o di collaborazione direttiva;

 

e) la sospensione dalle funzioni da tre mesi a due anni;

 

f) la rimozione.

 

2. L'ammonimento consiste nel richiamo, espresso nel dispositivo della decisione, all'osservanza da parte del magistrato dei suoi doveri, in rapporto all'illecito commesso.

3. La censura consiste in un biasimo formale espresso nel dispositivo della decisione.

4. La sanzione della perdita dell'anzianità è inflitta per un periodo compreso tra due mesi e due anni; il conseguente spostamento in ruolo non può essere inferiore ad un quarantesimo né superiore a un decimo dei posti in organico della relativa qualifica.

5. La sanzione della temporanea incapacità ad esercitare un incarico direttivo o di collaborazione direttiva è inflitta per un periodo compreso tra sei mesi e due anni. Se il magistrato svolge funzioni direttive, devono essergli conferite di ufficio altre funzioni non direttive, corrispondenti alla sua qualifica. Scontata la sanzione, il magistrato non può riprendere l'esercizio delle funzioni direttive presso l'ufficio dove le svolgeva anteriormente alla condanna.

6. La sospensione dalle funzioni comporta altresì la sospensione dallo stipendio ed il collocamento del magistrato fuori dal ruolo organico della magistratura. Al magistrato sospeso è corrisposto un assegno alimentare non eccedente i due terzi dello stipendio e delle altre competenze di carattere continuativo.

7. La rimozione determina la cessazione del rapporto di servizio.

8. Quando, per il concorso di più illeciti disciplinari, si dovrebbero irrogare più sanzioni meno gravi, si applica altra sanzione di maggiore gravità, sola o congiunta con quella meno grave se compatibile.

9. Le sanzioni di cui ai commi 4 e 7 sono eseguite mediante decreto del Presidente della Repubblica.

 

Art. 6.

(Sanzioni per determinati illeciti disciplinari).

 

1. Sono puniti con la sanzione non inferiore alla censura:

 

a) i comportamenti che, violando i doveri di cui all'articolo 1, arrecano illegittimo danno o vantaggio ad una delle parti;

b) l'inosservanza dell'obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge;

 

c) ogni altra violazione del dovere di imparzialità;

 

d) i comportamenti previsti dall'articolo 2, comma 1, lettera b), prima parte;

 

e) il perseguimento di fini diversi da quelli di giustizia;

 

f) il reiterato o grave ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni;

 

g) la scarsa laboriosità, se abituale;

 

h) la grave o abituale violazione del dovere di riservatezza;

 

i) l'uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti, se abituale o grave;

 

l) i comportamenti previsti dall'articolo 3, comma 1, lettera b).

 

2. Sono puniti con una sanzione non inferiore alla perdita dell'anzianità:

 

a) i comportamenti che, violando i doveri di cui all'articolo 1, arrecano illegittimo danno o vantaggio ad una delle parti, se gravi;

 

b) l'uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti, se abituale e grave.

 

3. E' punita con la sanzione della incapacità ad esercitare un incarico direttivo o di collaborazione direttiva l'interferenza nell'attività di altro magistrato da parte del dirigente dell'ufficio o del presidente della sezione, se abituale o grave.

4. Sono puniti con una sanzione non inferiore alla sospensione dalle funzioni l'esercizio di attività, nonché l'accettazione di incarichi ed uffici, vietati dalla legge o non autorizzati.

5. E' rimosso il magistrato che incorre nella interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici in seguito a condanna penale o che incorre in una condanna a pena detentiva non inferiore ad un anno la cui esecuzione non è stata sospesa ai sensi degli articoli 163 e 164 del codice penale o per la quale è intervenuto provvedimento di revoca della sospensione ai sensi dell'articolo 168 dello stesso codice.

 

Art. 7.

(Sanzione accessoria del trasferimento ad altra sede o ad altro ufficio).

 

1. Nell'infliggere una sanzione diversa dall'ammonimento e dalla rimozione, la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura può disporre il trasferimento del magistrato ad altra sede o ad altro ufficio quando, per la condotta tenuta, la permanenza nella stessa sede o nello stesso ufficio appare in contrasto con il buon andamento dell'amministrazione della giustizia.

2. Il trasferimento è sempre disposto quando ricorre una delle violazioni previste dalla lettera a) del comma 1 dell'articolo 2, ad eccezione dell'inosservanza dell'obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge, nonché dalla lettera a) del comma 1 dell'articolo 3, ovvero se è inflitta la sanzione della sospensione dalle funzioni.

 

 

 


N. 4291

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato PISAPIA

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Introduzione dell'articolo 6-bis del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, recante l'istituzione del consiglio giudiziario presso la Corte suprema di cassazione

 

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Presentata il 18 settembre 2003

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge è finalizzata ad istituire il consiglio giudiziario presso la Corte suprema di cassazione e, contemporaneamente - in analogia ad altra proposta di legge già depositata (articolo 9 dell'atto Camera n. 4157) - a prevedere che il consiglio giudiziario sia integrato con rappresentanti dell'avvocatura.

L'istituzione del consiglio giudiziario presso la Corte suprema di cassazione tende a colmare una lacuna dell'ordinamento giudiziario (che, allo stato attuale, prevede tale organismo esclusivamente presso i distretti delle singole corti d'appello) anche al fine di rispondere ad una esigenza di necessaria dialettica all'interno della Suprema corte, sia rispetto ai poteri di valutazione attribuiti oggi dalla legge ai capi degli uffici, sia rispetto alle decisioni del Consiglio superiore della magistratura.

Nella presente proposta di legge si prevede, come detto, la presenza, nel consiglio giudiziario, anche di rappresentanti dell'avvocatura, indicati dal Consiglio nazionale forense tra avvocati patrocinanti innanzi alla Corte suprema di cassazione, in quanto si ritiene indispensabile che, nell'ambito delle valutazioni e delle decisioni che spettano a tale organo (sia di carattere organizzativo, sia di carattere valutativo), vi sia una partecipazione anche di chi, come l'avvocatura, esercita il proprio ruolo di parte necessaria nell'attività giurisdizionale.

 



 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. Dopo l'articolo 6 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, come sostituito dall'articolo 1 della legge 12 ottobre 1966, n. 825, è inserito il seguente:

 

"Art. 6-bis.- (Istituzione del consiglio giudiziario presso la Corte suprema di cassazione). - 1. Presso la Corte suprema di cassazione è costituito il consiglio giudiziario.

2. Il consiglio giudiziario presso la Corte suprema di cassazione è presieduto dal presidente aggiunto e composto dall'avvocato generale più anziano della procura generale della Repubblica presso la Corte medesima, nonché da nove magistrati, di cui due supplenti, eletti ogni quattro anni da tutti i magistrati, anche applicati, in servizio presso la Corte suprema di cassazione, la procura generale e il Tribunale superiore delle acque pubbliche, con voto personale e segreto nelle seguenti proporzioni:

 

a) un componente effettivo con l'ufficio direttivo superiore di presidente di sezione o di avvocato generale;

 

b) quattro magistrati, e uno supplente, eletti tra i magistrati con funzioni di consigliere di cassazione o di sostituto procuratore generale;

 

c) due componenti effettivi, e uno supplente, eletti tra i magistrati applicati, che non hanno funzioni di consigliere di cassazione.

 

3. Del consiglio giudiziario fanno parte due avvocati patrocinanti innanzi alla Corte suprema di cassazione, e uno supplente, indicati dal Consiglio nazionale forense".

 

 


 

N. 4304

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato PISAPIA

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Modifica all'articolo 6 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, in materia di composizione dei consigli giudiziari presso le corti di appello

 

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Presentata il 24 settembre 2003

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Onorevoli Colleghi! - La VII disposizione transitoria e finale della Carta costituzionale prevede che "fino a quando non sia emanata la nuova legge sull'ordinamento giudiziario in conformità con la Costituzione, continuano ad osservarsi le norme dell'ordinamento vigente".

Tale norma imponeva, e impone, al legislatore l'emanazione di una nuova legge sull'ordinamento giudiziario in conformità alla Costituzione. Sono passati oltre 55 anni dalla promulgazione della Costituzione della Repubblica italiana - pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 298, edizione straordinaria, del 27 dicembre 1947 e nella Gazzetta Ufficiale n. 2 del 3 gennaio 1948 - e tale norma costituzionale non ha trovato ancora attuazione, in quanto non si è provveduto ad una nuova legge sull'ordinamento giudiziario.

E' pur vero che vi sono stati numerosi interventi legislativi e della Consulta che hanno adeguato l'ordinamento giudiziario ai princìpi costituzionali, ma non vi è dubbio che, per molteplici motivi (basti pensare all'introduzione di un codice di procedura penale che si ispira a un processo tendenzialmente accusatorio, alla modifica dell'articolo 111 della Costituzione, all'introduzione del giudice di pace, e quindi al ruolo sempre maggiore della magistratura onoraria) è ormai urgente una complessiva, organica e moderna legislazione relativa all'ordinamento giudiziario che tenga conto sia delle modifiche costituzionali che di quelle ordinarie.

Il proponente ha affrontato il tema in varie proposte di legge, prevedendo alcune modifiche di singole norme dell'attuale ordinamento giudiziario, non più procrastinabili, nella convinzione che la rivisitazione di tutto l'assetto legislativo della materia - considerato il ruolo fondamentale, per la democrazia, dell'attività giurisdizionale - debba necessariamente derivare da un confronto costruttivo con spirito unitario tra il legislatore e i diversi operatori del diritto.

Tra le modifiche che si ritiene opportuno porre all'esame del Parlamento, vi è senza dubbio quella relativa all'articolo 6 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 (come sostituito dall'articolo 1 della legge n. 825 del 1966), che concerne la composizione dei consigli giudiziari, già in parte trattata in altre proposte di legge (in particolare, Atto Camera n. 4157, che riguarda alcuni specifici aspetti della materia).

La presente proposta di legge, determinata dalla necessità di provvedere ad una rinnovata composizione dei consigli giudiziari, tende ad introdurre nuovi parametri di rappresentatività e, in particolare, ad integrare la composizione degli stessi con rappresentanti dell'avvocatura e dei giudici di pace.

E' indispensabile, infatti, che anche diversi soggetti, quali gli avvocati e i giudici di pace - che quotidianamente, seppure con compiti e ruoli diversi, frequentano le aule dei tribunali, si occupano di giustizia e conoscono la realtà giudiziaria delle singole circoscrizioni di corte d'appello ove svolgono le loro delicate funzioni - partecipino alle valutazioni e alle decisioni, sempre più importanti e delicate per un corretto funzionamento della giustizia, che la legge demanda ai consigli giudiziari.

Si ritiene dunque fondamentale coinvolgere nell'attività di tale organo anche membri dell'avvocatura, parte necessaria nell'ambito dei processi penali e civili, nonché i giudici di pace che, in considerazione della competenza acquisita non solo in materia civile, ma anche in materia penale, hanno assunto ormai un ruolo incisivo e determinante sul fronte della giustizia e, in particolare, del suo funzionamento.



 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. L'articolo 6, primo comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, come sostituito dall'articolo 1 della legge 12 ottobre 1966, n. 825, è sostituito dai seguenti:

 

"Presso ogni corte di appello è costituito un consiglio giudiziario.

 

Il consiglio giudiziario è presieduto dal presidente della corte di appello e composto dal procuratore generale della Repubblica, nonché:

 

a) se l'organico dei magistrati del distretto è inferiore a duecento unità, da:

 

1) otto magistrati, di cui tre supplenti, eletti ogni quattro anni da tutti i magistrati degli uffici giudiziari del distretto con voto personale e segreto nelle seguenti proporzioni: un componente effettivo ed uno supplente, tra i magistrati che hanno conseguito la quinta valutazione di professionalità; due componenti effettivi ed uno supplente, tra i magistrati che hanno conseguito la terza valutazione di professionalità; due componenti effettivi ed uno supplente, tra i magistrati che hanno completato il tirocinio;

 

2) due avvocati indicati dai consigli dell'ordine del distretto della corte di appello;

 

3) due giudici di pace eletti da tutti i giudici di pace degli uffici giudiziari del distretto con voto personale e segreto;

 

b) se l'organico dei magistrati è compreso tra duecento e quattrocento unità, da:

 

1) tredici magistrati, di cui cinque supplenti, eletti ogni quattro anni da tutti i magistrati degli uffici giudiziari del distretto con voto personale e segreto nelle seguenti proporzioni: due componenti effettivi ed uno supplente, tra i magistrati che hanno conseguito la quinta valutazione di professionalità; tre componenti effettivi e due supplenti, tra i magistrati che hanno conseguito la terza valutazione di professionalità; tre componenti effettivi e due supplenti, tra i magistrati che hanno completato il tirocinio;

 

2) due avvocati indicati dai consigli dell'ordine del distretto della corte di appello;

 

3) due giudici di pace eletti da tutti i giudici di pace degli uffici giudiziari del distretto con voto personale e segreto;

 

c) se l'organico dei magistrati è superiore a quattrocento unità, da:

 

1) sedici magistrati, di cui cinque supplenti, eletti ogni quattro anni da tutti i magistrati degli uffici giudiziari del distretto con voto personale e segreto nelle seguenti proporzioni: tre componenti effettivi ed uno supplente, tra i magistrati che hanno conseguito la quinta valutazione di professionalità; quattro componenti effettivi e due supplenti, tra i magistrati che hanno conseguito la terza valutazione di professionalità; quattro componenti effettivi e due supplenti, tra i magistrati che hanno completato il tirocinio;

 

2) tre avvocati indicati dai consigli dell'ordine del distretto della corte di appello;

 

3) tre giudici di pace eletti da tutti i giudici di pace degli uffici giudiziari del distretto con voto personale e segreto.

 

Nei distretti nei quali non è possibile eleggere i magistrati alla quinta valutazione di professionalità, i posti sono attribuiti ai magistrati che hanno conseguito la terza valutazione di professionalità.

Il consiglio giudiziario presso la corte di appello di Roma è competente anche per i magistrati della Direzione nazionale antimafia".

 

 


N. 4433

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d'iniziativa dei deputati

ORICCHIO, PITTELLI, D'ALIA, PISICCHIO, PALMA, PERLINI, SAPONARA, ZANETTIN

¾

 

Disposizioni in materia di attribuzioni del pubblico  ministero in materia disciplinare

 

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Presentata il 29 ottobre 2003

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Onorevoli Colleghi! - L'autonomia e l'indipendenza della magistratura costituiscono valori irrinunciabili del nostro ordinamento. La difesa di tali valori è difesa del sistema di garanzie dello stato democratico.

Proprio in tale contesto assume valenza decisiva il ripensamento di talune norme concernenti il procedimento disciplinare, la cui funzionalità e la cui rigorosità costituiscono esse stesse ragione e presidio, per il singolo magistrato e per l'ordine giudiziario nel suo insieme, di quelle autonomia e indipendenza che non possono essere solo meramente enunciate.

"Massime guarentigie, massima disciplina" così, agli inizi del secolo scorso, un grande statista del nostro Paese soleva, in modo chiaro e deciso, sintetizzare la problematica della indipendenza della magistratura.

Rileggere tale problematica e quell'affermazione oggi non può non comportare una revisione di talune norme in materia disciplinare, che - seppur nella datata aspirazione e nella auspicabile prospettiva di una complessiva riforma dell'ordinamento giudiziario - necessitano di un immediato intervento legislativo.

Specie nel contesto ordinamentale di assenza di un illecito disciplinare tipizzato, la serietà e la rigorosità del procedimento disciplinare, nella sua fase di promozione, nel suo divenire e, quindi, nell'aspetto delle garanzie del singolo magistrato incolpato, è condizione indispensabile e banco di verifica degli stessi valori dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura.

Non deve sfuggire il fatto che quest'ultima è e deve apparire ispirata e tutelata da quegli stessi valori solo nel concreto atteggiarsi delle condotte individuali e, quindi, anche attraverso la corretta sanzione di comportamenti che squalificano la stessa magistratura facendola sembrare immeritevole di quelle garanzie ad essa accordate dall'ordinamento nell'interesse generale, fino al punto da ingenerare per converso e per reazione talune ipotesi di riforma ordinamentali di certo opinabili.

Rileggere e, quindi, riscrivere oggi talune norme in tema di competenze del pubblico ministero in materia disciplinare è, in definitiva, un modo proprio per concretizzare e rendere ancor più credibili quei valori irrinunciabili dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura.

D'altra parte, una volta superato il vecchio assetto dei tribunali disciplinari e della corte disciplinare, un tempo previsti dall'ordinamento, l'odierna realtà del procedimento disciplinare innnanzi all'attuale sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura si è evoluta in modo notevole; tanto da poter tranquillamente consentire di affermare che oggi il procedimento disciplinare è un vero e proprio processo. Prova ne sia, a tal proposito, l'intervenuta serie di decisioni, anche recenti, della Corte costituzionale (ad esempio, sentenze 25 maggio-8 giugno 1994, n. 220, e 13/16 novembre 2000, n. 497, entrambe in ordine all'articolo 34 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, riguardo alla nomina d'ufficio del magistrato difensore e all'assistenza del magistrato sottoposto a procedimento disciplinare da parte di un avvocato), le quali - sotto vari profili - hanno ribadito ed esaltato la funzione e la natura di vero e proprio processo del procedimento disciplinare.

In tale ottica appare necessario, anche per l'odierna realtà e per la complessità assunta dal giudizio disciplinare, che presso la Procura generale della Cassazione siano individuati dei magistrati addetti all'istruttoria e a seguire il dibattimento dei procedimenti disciplinari; e che all'individuazione di tali magistrati (che curano procedimenti promossi dal Procuratore generale o dal Ministro della giustizia) presieda una scelta concordata e, quindi, un'intesa fra le due autorità istituzionalmente deputate alla promozione dell'azione disciplinare.

Ove ciò non fosse (come attualmente non è) sarebbe palese il vulnus subìto dalla credibilità dell'ordinamento e il difetto di un sistema che attribuisce una specifica competenza di pari livello a due centri di imputazione e responsabilità istituzionale in materia, escludendo, tuttavia, uno dei due dalla concertazione dell'ufficio e delle persone concretamente deputate alla prosecuzione ed al puntuale perseguimento dei fini della procedura disciplinare.

Quante soluzioni estreme pure oggi proposte e riproposte per "contenere l'eccessivo (sospetto) potere della magistratura" verrebbero così meno! Quante polemiche, anche istituzionali, si coprirebbero con una maggiore rigorosità e garanzia nei procedimenti disciplinari per singoli comportamenti deviati, per colpe individuali, senza più ingiusti e delegittimanti processi generalizzati alla magistratura nel suo complesso!

Sempre nella suesposta ottica, per un più proficuo esercizio dell'azione disciplinare e una velocizzazione dei tempi delle istruttorie e degli accertamenti, resi oggi sempre più complessi, deve essere prevista la possibilità che la Procura generale della Cassazione e, per essa, l'ufficio appositamente preposto ai procedimenti disciplinari possa avvalersi della collaborazione dei magistrati dell'Ispettorato generale del Ministero della giustizia.



 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. All'articolo 81 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

 

"A tale fine, nell'ambito della Procura generale presso la Corte suprema di cassazione, è prevista la designazione di un congruo numero di magistrati della medesima Procura addetti alla trattazione dei procedimenti disciplinari.

Alla designazione dei magistrati di cui al terzo comma provvede il Procuratore generale presso la Corte suprema di cassazione, previa intesa con il Ministro della giustizia, ai sensi dell'articolo 11, terzo comma, della legge 24 marzo 1958, n. 195, in quanto applicabile".

 

 

Art. 2.

 

1. I magistrati della Procura generale presso la Corte di cassazione addetti alla trattazione dei procedimenti disciplinari di cui all'articolo 1, oltre a potere esercitare la facoltà prevista dall'articolo 32, quarto comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, possono altresì avvalersi della collaborazione, ai fini istruttori, dei magistrati dell'Ispettorato generale del Ministero della giustizia.

 

 

 


N. 4434

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d'iniziativa dei deputati

ORICCHIO, PITTELLI, D'ALIA, PISICCHIO, PALMA, PANIZ, PERLINI, SAPONARA, ZANETTIN

¾

 

Modifiche al regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, concernenti il trasferimento per incompatibilità dei magistrati

 

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Presentata il 29 ottobre 2003

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Onorevoli Colleghi! - L'articolo 2, secondo comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, prevede il trasferimento d'ufficio ad altra sede o la destinazione ad altre funzioni dei magistrati che, anche incolpevolmente, non possono amministrare giustizia nella sede o nell'ufficio che occupano per il venire meno delle condizioni richieste dal prestigio dell'ordine giudiziario.

La misura del trasferimento d'ufficio, vuoi per la sua funzione, vuoi per la sua peculiare natura e prassi attuativa consolidatasi nel tempo, ha assunto - specie negli ultimi decenni - un carattere fortemente incisivo nei riguardi del singolo magistrato e nei confronti della razionalità dell'intero sistema sanzionatorio della magistratura posto a tutela e preordinato alla garanzia dell'indipendenza e dell'autonomia dell'ordine giudiziario.

Non a caso si è andato elaborando il concetto di sanzione "paradisciplinare", con la creazione di una apposita "paranormativa" procedurale nell'ambito della prassi instauratasi nel tempo anche e soprattutto per difetto di un intervento legislativo.

E non a caso l'ordine del giorno n. 1, presentato in esito alla discussione del disegno di legge atto Camera n. 2356 (atto Senato n. 891) nella seduta del 21 marzo 2002 intendeva impegnare il Governo "a valutare, nell'ambito della preannunciata riforma dell'ordinamento giudiziario, l'opportunità di prevedere l'abrogazione dell'articolo 2, secondo comma, primo periodo, ultima parte, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, e di disciplinare normativamente il trasferimento d'ufficio nell'ambito delle sanzioni disciplinari".

A quell'ordine del giorno (e nel perdurare dell'assenza di un apposito intervento legislativo) si vogliono oggi dare, almeno in sede parlamentare, un riscontro e un concreto sbocco con la presente proposta di legge.

La misura del trasferimento d'ufficio appare invero, per un verso, di gran lunga meno grave della sanzione disciplinare dell'ammonimento e, per altro verso, è assolutamente identica a quella del trasferimento in caso di irrogazione di una sanzione disciplinare più grave dell'ammonimento, come previsto dall'articolo 21, sesto comma, del citato regio decreto legislativo n. 511 del 1946.

Va evidenziato, poi, che risultano aperte, anche in ragione dell'elevata discrezionalità in materia, numerose procedure di trasferimento d'ufficio che sono pendenti da tempo irragionevole, circostanza questa che, oltre a denunciare un non corretto funzionamento dell'organo di autogoverno, è comunque destinata a incidere sine die sulla carriera del magistrato sottoposto alla procedura.

Inoltre, e nonostante quanto esposto, la procedura per il trasferimento d'ufficio ai sensi dell'articolo 2, secondo comma, primo periodo, ultima parte, del citato regio decreto legislativo n. 511 del 1946 non risulta giurisdizionalizzata.

Per di più, l'organo decidente (il plenum del Consiglio superiore della magistratura) risulta formato anche dai componenti dell'organo proponente (la prima Commissione del Consiglio superiore della magistratura).

Va rilevato anche che, allo stato, non è prevista alcuna causa di incompatibilità tra i componenti del Consiglio superiore della magistratura che hanno partecipato alla decisione sulla proposta di trasferimento d'ufficio e i componenti della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura che si trovano a dover giudicare sugli addebiti disciplinari relativi agli stessi fatti.

S'impone, pertanto, l'intervento del legislatore, che - con normativa di rango primario - provveda a ridisciplinare il trasferimento d'ufficio collocandolo nel più consono ambito delle sanzioni (con le connesse garanzie procedurali) disciplinari.



 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. Il secondo comma dell'articolo 2 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, è sostituito dal seguente:

 

"Essi tuttavia possono, anche senza il loro consenso, essere trasferiti ad altra sede o destinati ad altre funzioni dal Consiglio superiore della magistratura quando si trovino in uno dei casi di incompatibilità previsti dagli articoli 16, 18 e 19 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni".

 

Art. 2.

 

1. Dopo l'articolo 2 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, come modificato dall'articolo 1 della presente legge, è inserito il seguente:

 

"Art 2-bis. (Trasferimento d'ufficio o destinazione ad altre funzioni) - 1. I magistrati possono, anche senza il loro consenso, essere trasferiti ad altra sede o destinati ad altre funzioni quando, per qualsiasi causa anche indipendente da loro colpa, non possono, nella sede o nell'ufficio che occupano, amministrare la giustizia nelle condizioni richieste dal prestigio dell'ordine giudiziario.

2. La richiesta di trasferimento d'ufficio o di destinazione ad altre funzioni è promossa dal Ministro della giustizia o dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione.

3. Spetta alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura la competenza a decidere, secondo le proprie disposizioni procedurali, sulla richiesta di trasferimento d'ufficio o di destinazione ad altre funzioni".

 

 

 


N. 4435

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d'iniziativa dei deputati

PITTELLI, ORICCHIO, D'ALIA, PISICCHIO, PALMA, PERLINI,

SAPONARA, ZANETTIN

¾

 

Modifiche all'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, concernenti limiti temporali all'esercizio delle funzioni di pubblico ministero

 

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Presentata il 29 ottobre 2003

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Onorevoli Colleghi! - "Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dall'ordinamento giudiziario": così statuiva, all'articolo 107, settimo comma, della Costituzione, il legislatore costituente.

L'aver voluto riservare alla legge ordinaria il regime delle garanzie del pubblico ministero (fra cui quella dell'inamnovibilità della sede) stava e sta a significare la possibilità, con il mutare dei tempi, di una nuova disciplina in materia dettata dall'esigenza di rafforzare trasparenza, efficienza e indipendenza da qualsiasi condizionamento degli uffici del pubblico ministero.

Una legge che prevede la temnporaneità dell'esercizio delle funzioni di pubblico ministero eviterebbe invero l'anomala situazione - per la verità comune anche all'esercizio delle funzioni giudicanti - del magistrato che rimane radicato nella sede di prima nomina o comunque in una medesima sede e con le stesse funzioni sino al termine della carriera oppure per un lasso di tempo eccessivo, con i conseguenti effetti negativi della personalizzazione dell'ufficio e del condizionamento ambientale.

Desta infatti preoccupazione, nelle situazioni di mancanza assoluta di avvicendamento per lunghi o lunghissimi tratti di tempo, che la garanzia della inamovibilità possa favorire, anche senza un'intenzionalità colpevole, un sistema di giudizio privo delle indispensabili condizioni di obiettività, di distacco e di imparzialità.

Tali timori sono ancora più giustificati in caso di esercizio delle funzioni di pubblico ministero, avuto riguardo alla peculiarità e alla particolare delicatezza delle relative attribuzioni.

In attesa che il nuovo ordinamento giudiziario provveda ad un organico riassetto della materia, appare doveroso e indifferibile correggere questa grave distonia sistematica che può vulnerare l'effettiva indipendenza del pubblico ministero.

Il cosiddetto "principio della inamovibilità", essendo strumento di garanzia dell'imparzialità della funzione giudiziaria, rappresenta, prima di ogni altra cosa, una guarentigia per il cittadino. Attraverso un'oculata applicazione del principio in parola, si realizza, infatti, l'interesse generale alla "imparzialità della funzione giudiziaria", perché le "influenze pericolose" potrebbero essere determinate proprio dalla inamovibilità di alcuni magistrati dell'ufficio, anche diversi dal dirigente.

In ogni caso, non potrebbe eccepirsi il mancato rispetto del principio della inamovibilità, pur se diversamente "interpretato", e ciò per la semplice ragione che la disciplina dell'istituto in discorso compete di sicuro, quanto al pubblico ministero, all'ordinamento giudiziario, a titolo di riserva della legge ordinaria.

Poste tali premesse, si ritiene pertanto opportuno fissare un limite massimo di permanenza dei pubblici ministeri negli uffici di procura onde evitare sia la creazione di veri e propri centri di potere sia un'eccessiva, pericolosa, personalizzazione di funzioni così delicate.

La soluzione più conveniente e in grado di coniugare le predette esigenze con l'interesse alla conservazione di professionalità acquisite "sul campo", sembra quella di prevedere che i pubblici ministeri non possano esercitare le funzioni per periodi di tempo superiori a quelli indicati nella presente proposta di legge nell'ambito dello stesso ufficio di procura. Scaduti questi termini, il magistrato dovrà scegliere: se vorrà rimanere nella propria sede dovrà cambiare funzioni; se, al contrario, intende proseguire l'esercizio delle medesime funzioni, dovrà cambiare circondario o distretto di corte d'appello laddove abbia esercitato le funzioni di pubblico ministero presso i tribunali per i minorenni.

Sempre nell'ottica di contemperare esigenze difficilmente conciliabili, sembra opportuno prevedere anche che, se non sorgeranno "questioni di incompatibilità", il magistrato potrà nuovamente esercitare le funzioni di pubblico ministero presso lo stesso ufficio di procura, per altri cinque anni, come limite massimo, dopo il periodo legislativamente previsto di esercizio delle medesime funzioni requirenti in altra sede giudiziaria o di esercizio di diverse funzioni.



 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. Dopo l'articolo 70-bis dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, è inserito il seguente:

 

"Art. 70-ter - (Limiti temporali all'esercizio delle funzioni di pubblico ministero). - 1. Le funzioni di pubblico ministero presso i tribunali per i minorenni non possono essere esercitate per più di otto anni consecutivi nell'ambito dello stesso distretto. E' possibile l'esercizio di dette funzioni presso lo stesso tribunale per i minorenni per altri cinque anni, come limite massimo, solo dopo l'assegnazione, per un periodo di otto anni, a funzioni diverse o ad altra sede giudiziaria.

2. Le funzioni di pubblico ministero presso i tribunali non possono essere esercitate per più di otto anni consecutivi nell'ambito dello stesso circondario. E' possibile l'esercizio di dette funzioni presso lo stesso tribunale per altri cinque anni, come limite massimo, solo dopo l'assegnazione, per un periodo di otto anni, a funzioni diverse o ad altra sede giudiziaria.

3. Per i magistrati designati a far parte della direzione distrettuale antimafia o delegati dal procuratore distrettuale, la permanenza continuativa presso lo stesso ufficio di procura non può essere superiore complessivamente a otto anni".

 

Art. 2.

 

1. Al primo periodo del comma 1 dell'articolo 70-bis dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, sono aggiunte le seguenti parole: "e comunque non superiore a otto anni".

 

Art. 3.

1. I magistrati addetti alla Direzione nazionale antimafia non possono esercitare funzioni presso il medesimo ufficio per un periodo superiore a sei anni ovvero riassumere le stesse funzioni se non dopo essere stati assegnati a funzioni diverse per un periodo di otto anni.

 


N. 4483

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d'iniziativa dei deputati

ORICCHIO, PITTELLI, D'ALIA, PISICCHIO, PALMA, PANIZ, PERLINI, SAPONARA, ZANETTIN

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Modifiche all'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, in materia di limiti temporali all'esercizio delle funzioni giurisdizionali presso la medesima sede o ufficio

 

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Presentata il 12 novembre 2003

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Onorevoli Colleghi! - Una magistratura, specie quella giudicante (sia ordinaria che amministrativa), scevra da ogni forma anche incolpevole di condizionamento ambientale costituisce aspirazione diffusa e comune sentire di quanti tengono e tendono al miglioramento di funzionalità, credibilità ed efficienza della giustizia del nostro Paese.

L'introduzione nel nostro ordinamento dell'articolo 111 della Costituzione e la nota problematica del principio del giusto processo hanno ulteriormente rafforzato la necessità di un adeguato intervento legislativo costituzionale ed ordinario tendente ad una rilettura aggiornata della guarentigia dell'inamovibilità di cui all'articolo 107, primo comma, della Costituzione, al conseguente adeguamento delle disposizioni ordinamentali con una nuova disciplina sui limiti dell'esercizio per periodi eccessivamente prolungati delle funzioni giurisdizionali nel medesimo ufficio o nella stessa sede.

Proprio in tale prospettiva di adeguamento legislativo, innanzitutto di ordine costituzionale (vedi atto Camera n. 4432), si inserisce e si giustifica, come connessa conseguenza, la presente proposta di legge. Suo scopo specifico è quello di dettare, in armonia con una rinnovata previsione del principio di inamovibilità di cui all'articolo 107 della Costituzione, un sistema di norme che consenta di evitare per periodi di tempo eccessivamente prolungati l'esercizio delle medesime funzioni giudiziarie presso lo stesso ufficio o la medesima sede. E questo da parte di qualsiasi magistrato giudicante ordinario o amministrativo oppure requirente.

La temporaneità e la conseguente reversibità delle funzioni giudiziarie (di tutte le funzioni e non solo di quelle direttive o semidirettive) per un verso non attentano, se previste in termini generali, alla guarentigia della inamovibilità, esaltandone anzi la sua peculiare natura di garanzia a tutela dell'ordine giudiziario e non solo del singolo magistrato.

Per altro verso, consentono un approccio più dinamico all'esercizio della professione di magistrato più sensibile alle esigenze di servizio e più adeguato all'innegabile necessità di prevenire l'indubbio affievolimento di immagine e il pericolo di perdita di indipendenza e di credibile terzietà conseguenti ad eccessive permanenze in una stessa sede o nel medesimo ufficio con le stesse funzioni.

Sotto altro profilo l'istituzionalizzazione di un periodo massimo di esercizio delle funzioni giurisdizionali presso un'unica sede o ufficio gioverebbe a prevenire anche la possibilità di inconvenienti altrimenti non ovviabili.

Si ponga mente, a tale proposito, alla negatività in sé del mancato avvicendamento per eccessivi lassi di tempo, al possibile affievolimento dell'essere e dell'apparire imparziale, alla creazione, di fatto e specie nei centri giudiziari di provincia, di prassi spesso percepite come giurisdizioni domestiche, all'atrofizzazione di conoscenze, alla sedimentazione di stimoli professionali.

Trattasi tutti di inconvenienti (peraltro già riconosciuti, specie per talune funzioni giudiziarie, anche dagli organismi rappresentativi della magistratura), per i quali difetta l'intervento risolutivo di una apposita normativa primaria.

E' esemplificativo di tale lacuna che, con legge, si sia intervenuti più volte per determinare, al fine di evitare periodi estremamente brevi di svolgimento delle funzioni giurisdizionali, il limite minimo di permanenza in un ufficio o in una sede giudiziaria, oggi di tre anni, necessario per legittimare il trasferimento del magistrato (articolo 194 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come sostituito e modificato, in ordine, dall'articolo 2 della legge l6 ottobre 1991, n. 321, dall'articolo 2 della legge 8 novembre 1991, n. 356, e dall'articolo 4 della legge 4 maggio 1998, n. 133).

Ma mai, per converso, si è provveduto con norma primaria di portata generale a definire un limite massimo di esercizio delle funzioni giurisdizionali presso un'unica sede o un medesimo ufficio con le stesse funzioni.

Questa situazione appare ora necessitare di un apposito intervento del legislatore, per di più proprio in un'epoca come l'attuale segnata dal mutare di tempi e di esigenze. Per effetto di tale mutamento avanza forte la tendenza ad un approccio professionale che, pur nella salvaguardia delle acquisite competenze specifiche e senza la dispersione delle stesse, sia più dinamico e versatile, ma soprattutto rispondente alla salvaguardia dell'essere e anche dell'apparire in tutto e per tutto imparziale e, quindi, indipendente da ogni e da qualunque condizionamento.

Non si tratta di depauperare il bagaglio tecnico del singolo magistrato, ma di sottrarlo preventivamente agli innegabili condizionamenti di ambiente, di materie, di esperti, di stampa di settore e così via che, anche del tutto incolpevolmente e inconsapevolmente da parte del singolo, offuscano e ledono la credibilità dell'esercizio libero, imparziale e indipendente da ogni e da qualunque condizionamento della funzione giurisdizionale.

Si tratta, quindi, di tutelare - in uno all'immagine del singolo - la stessa credibilità del sistema. Deve, infine, considerarsi che, sotto altro profilo, l'avvicendamento di funzioni e di sedi e, con esso, la perseguita maggiore reversibilità, funzionalità ed efficienza esaltano e arricchiscono l'esperienza del singolo e, rinvigorendo essa, finiscono per rinvigorire la credibilità e la funzionalità dell'intero ordinamento e del sistema.



 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. All'articolo 194 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

 

"Ogni magistrato non può permanere nella sede da lui chiesta per un periodo superiore ad otto anni, salva diversa previsione di legge".

 

Art. 2.

 

1. I magistrati assegnati ad altre funzioni possono continuare ad esercitare le funzioni presso la medesima sede da loro chiesta per una sola volta per un periodo massimo di otto anni.

2. I magistrati che esercitano le funzioni giudicanti presso il tribunale per i minorenni e quelli addetti al tribunale di sorveglianza non possono esercitare continuativamente tali funzioni presso la sede da loro chiesta per più di otto anni. Gli stessi possono esercitare le medesime funzioni presso gli stessi tribunali per altri cinque anni, come limite massimo, solo dopo l'assegnazione per un periodo di otto anni a funzioni diverse, escluse per i giudici presso il tribunale per i minorenni quelle di pubblico ministero presso lo stesso tribunale nella medesima sede, o ad altra sede giudiziaria.

 

Art. 3.

 

1. Il comma 2-ter dell'articolo 7-bis dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, è sostituito dal seguente:

 

"2-ter. Ogni magistrato non può esercitare continuativamente, anche in modo promiscuo con altre, le medesime funzioni presso lo stesso ufficio cui è tabellarmente assegnato per un periodo superiore ad otto anni. Il giudice incaricato dei provvedimenti previsti per la fase delle indagini preliminari nonché il giudice dell'udienza preliminare non possono esercitare tali funzioni per più di sei anni consecutivi. Qualora alla scadenza del termine essi abbiano in corso il compimento di un atto del quale sono stati richiesti, l'esercizio delle funzioni è prorogato, limitatamente al relativo procedimento, sino al compimento dell'attività medesima".

 

Art. 4.

 

1. Ai fini della presente legge, le funzioni giurisidizionali sono suddivise nelle seguenti:

 

a) funzioni giudicanti penali;

 

b) funzioni giudicanti penali di giudice per le indagini preliminari e dell'udienza preliminare;

 

c) funzioni giudicanti civili in materia di famiglia e diritti della persona;

 

d) funzioni giudicanti civili in materia fallimentare e di esecuzioni;

 

e) funzioni giudicanti civili in materia di lavoro e previdenziale;

 

f) funzioni giudicanti civili nelle materie non comprese nel presente comma.

 

Art. 5.

 

1. Dopo il quarto comma dell'articolo 192 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, è inserito il seguente:

 

"Costituisce titolo di preferenza assoluta la necessità di tramutamento ai sensi dell'articolo 194, secondo comma".

 

Art. 6.

 

1. Costituisce titolo di preferenza assoluta, in sede di assegnazione tabellare di funzioni presso lo stesso ufficio cui presta servizio il magistrato, la necessità di esercizio di differenti funzioni.

 

Art. 7.

 

1. Il comma 3 dell'articolo 7-bis dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, è sostituito dal seguente:

 

"3. Per quanto riguarda la Corte suprema di cassazione il Consiglio superiore della magistratura delibera sulla proposta del primo presidente della stessa Corte. La proposta del primo presidente della cassazione assicura che sia mutato almeno un quarto dei magistrati addetti alla trattazione degli affari delle singole sezioni cui gli stessi già erano stati assegnati".

 

Art. 8.

 

1. Dopo l'articolo 70-bis dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, è inserito il seguente:

 

"Art. 70-ter - (Limiti temporali all'esercizio delle funzioni di pubblico ministero). - 1. Le funzioni di pubblico ministero presso i tribunali non possono essere esercitate per più di otto anni consecutivi nell'ambito dello stesso circondario. E' possibile l'esercizio di tali funzioni presso lo stesso tribunale per altri cinque anni, come limite massimo, solo dopo l'assegnazione, per un periodo di otto anni, a funzioni diverse o ad altra sede giudiziaria.

2. Le funzioni di pubblico ministero presso le corti di appello non possono essere esercitate per più di otto anni consecutivi nell'ambito dello stesso distretto.

3. Le funzioni di pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni non possono essere esercitate per più di otto anni consecutivi nell'ambito dello stesso distretto. E' possibile l'esercizio di tali funzioni presso lo stesso tribunale per i minorenni per altri cinque anni, come limite massimo, solo dopo l'assegnazione, per un periodo di otto anni, a funzioni diverse, escluse quelle di giudice minorile presso il medesimo tribunale, o ad altra sede giudiziaria.

4. Le funzioni di pubblico ministero presso i tribunali non possono essere esercitate per più di otto anni consecutivi nell'ambito dello stesso circondario. E' possibile l'esercizio di tali funzioni presso lo stesso tribunale per altri cinque anni, come limite massimo, solo dopo l'assegnazione, per un periodo di otto anni, a funzioni diverse o ad altra sede giudiziaria.

5. Per i magistrati designati a fare parte della direzione distrettuale antimafia o delegati dal procuratore distrettuale, la permanenza continuativa presso lo stesso ufficio di procura non può essere superiore complessivamente a otto anni".

 

Art. 9.

 

1. Al primo periodo del comma 1 dell'articolo 70-bis dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, sono aggiunte le parole: "e comunque non superiore a otto anni".

 

Art. 10.

 

1. I magistrati addetti alla Procura nazionale antimafia non possono esercitare funzioni presso il medesimo ufficio per un periodo superiore a sei anni, ovvero riassumere le stesse funzioni se non dopo essere stati assegnati a funzioni diverse per un periodo di otto anni.

 

Art. 11.

 

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro della giustizia, un decreto legislativo recante disposizioni relative alle magistrature amministrativa e contabile e concernenti, per gli organi delle stesse non aventi giurisdizione su tutto il territorio nazionale, la determinazione di limiti massimi di esercizio delle funzioni giurisdizionali presso la medesima sede secondo i princìpi e criteri direttivi stabiliti dalla presente legge.

 

 

 


N. 4688

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato PISAPIA

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Modifiche all'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, in materia di relazioni per l'inaugurazione dell'anno giudiziario

 

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Presentata il 10 febbraio 2004

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Onorevoli Colleghi! - La cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario continua, ancora oggi, ad essere incentrata sulla figura della più alta carica dell'ufficio requirente, sia presso la Suprema Corte di Cassazione sia presso le singole corti d'appello: è del tutto evidente che il Procuratore Generale, soggetto che rappresenta la potestà punitiva dello Stato, non può non offrire, nel riferire sull'amministrazione della giustizia, il particolare punto di vista di chi, da un lato, è preposto ad esercitare, peraltro obbligatoriamente, l'azione penale (attività di parte, seppure pubblica) e, dall'altro, a salvaguardare la pretesa punitiva dello Stato.

La cerimonia, così impostata, oltre a risultare poco incisiva ai fini di una corretta rappresentazione dello stato generale e locale dell'amministrazione della giustizia, rischia quindi anche di risultare, al di là delle intenzioni dei singoli e della oggettività dei dati statistici, imperniata su una relazione che, sul tema, riflette la particolare visuale di chi rappresenta la pubblica accusa e non, invece, del massimo organo giudicante, necessariamente al di sopra delle parti; e ciò sia a livello nazionale che a livello di circoscrizione della singola corte d'appello.

È certo anacronistico il fatto che, ancora oggi, la cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario debba vedere espresse, nelle parole del rappresentante dell'accusa, le «ragioni della giustizia»; un retaggio di un rito inquisitorio che non faceva distinzioni tra pubblico ministero e giudice, e nel quale il pubblico ministero era il rappresentante del potere esecutivo presso l'autorità giudiziaria.

L'occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario dovrebbe, invece, costituire un importante momento di riflessione sui temi della giustizia e, in particolare, dovrebbe consentire un confronto approfondito al fine di programmare l'attività giudiziaria per il nuovo anno; un confronto che dovrebbe vedere, quale principale «protagonista», un soggetto al di sopra delle parti processuali (e, quindi, un giudice) e non un rappresentante della pubblica accusa, al quale - indubitabilmente - dovrebbero seguire le considerazioni sullo stato della giustizia, e le eventuali proposte per un suo miglioramento, da parte degli altri soggetti processuali e di altri operatori del diritto, nonché di chi si occupa, anche a livello organizzativo, del funzionamento dell'amministrazione della giustizia.

Una revisione in tale senso dei soggetti attualmente autorizzati a riferire nelle assemblee della Corte di Cassazione e delle corti d'appello sull'amministrazione della giustizia, consentirebbe un bilancio più «imparziale» rispetto anche all'effettiva attuazione e all'efficacia delle riforme ordinamentali e processuali entrate in vigore nel corso dell'anno.

La presente proposta di legge è tesa, quindi, a sostituire l'articolo 88 (e, conseguentemente, anche l'articolo 86) e a modificare l'articolo 89 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e, in particolare, a modificare la previsione riguardante chi debba fare la relazione principale all'inizio del nuovo anno giudiziario e chi debba intervenire, con il proprio contributo, in merito alla situazione della giustizia, all'analisi delle riforme approvate e di quelle necessarie per rendere l'amministrazione della stessa più efficiente sotto ogni profilo (celerità, garanzie, efficienza).

Con la presente proposta di legge si prevede che, presso la Corte di Cassazione, la relazione venga tenuta dal Primo Presidente della Corte di Cassazione, con il successivo intervento del Procuratore Generale, del presidente del Consiglio nazionale forense, del Ministro della giustizia o di un suo rappresentante, e di un componente del Consiglio superiore della magistratura.

Rispetto alle assemblee generali per l'inaugurazione dell'anno giudiziario delle corti d'appello, si prevede invece che sia chiamato a riferire il presidente della corte d'appello; seguiranno poi gli interventi del procuratore generale, del presidente del locale consiglio dell'Ordine degli avvocati, di un rappresentante del Ministro della giustizia, di un esponente del Consiglio superiore della magistratura e di un rappresentante dei dipendenti dell'amministrazione della giustizia. Il presidente della corte d'appello può inoltre autorizzare l'intervento di altri operatori della giustizia, allorché lo ritenga utile e opportuno, ma non di rappresentanti di partiti politici: ciò soprattutto al fine di evitare che un'analisi della situazione, nazionale e locale, della giustizia, si trasformi in un dibattito o in un confronto tra forze politiche, le quali, in quella sede, dovrebbero, invece, limitarsi ad ascoltare le analisi degli operatori della giustizia per avere l'esatto quadro della situazione nazionale e locale per poi intervenire, con proposte di legge o altre iniziative, nelle sedi loro proprie.

 



 


proposta di legge

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Art. 1

 

1. L'articolo 86 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, è sostituito dal seguente:

«Art. 86 (Relazione del Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione e dei presidenti delle corti di appello per l'inaugurazione dell'anno giudiziario) - 1. Il Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione comunica al Ministro, per ogni anno giudiziario, una relazione generale sull'amministrazione della giustizia. I presidenti delle corti di appello comunicano al Ministro analoga relazione per i singoli distretti».

 

Art. 2.

 

1. L'articolo 88 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, è sostituito dal seguente:

«Art. 88 (Relazione per l'inaugurazione dell'anno giudiziario) - l. Nell'assemblea generale presso la Corte Suprema di Cassazione, per la cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario, riferisce sull'amministrazione della giustizia il Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione, con il successivo intervento del Procuratore Generale, del presidente del Consiglio nazionale forense, del Ministro della giustizia o di un suo rappresentante, e di un componente del Consiglio superiore della magistratura.

2. Nell'assemblea generale di tutte le corti di appello, per la cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario, riferisce sull'amministrazione della giustizia il presidente della corte di appello, con il successivo intervento del procuratore generale, del presidente del locale consiglio  dell'Ordine degli avvocati, di un rappresentante del Ministro della giustizia, di un esponente del Consiglio superiore della magistratura, nonché di un rappresentante dei dipendenti dell'amministrazione della giustizia.

3. Il presidente della corte di appello, nell'assemblea generale di cui al comma 2, può autorizzare anche l'intervento di altri operatori della giustizia, ad esclusione di rappresentanti di partiti politici».

 

Art. 3.

 

1. Il secondo comma dell'articolo 89 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, è sostituito dal seguente:

«L'assemblea generale si riunisce in forma pubblica e solenne per ascoltare la relazione del presidente, nonché gli interventi degli altri soggetti indicati all'articolo

 

 

 


N. 4745

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CAMERA DEI DEPUTATI

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proposta DI LEGGE

 

d'iniziativa dei deputati

BUEMI, BOSELLI, INTINI, ALBERTINI, CEREMIGNA, DI GIOIA, GROTTO, PAPPATERRA, VILLETTI

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Delega al Governo in materia di formazione e aggiornamento delle professioni giudiziarie e di definizione dei ruoli, delle funzioni e delle carriere di giudici e pubblici ministeri

 

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Presentata il 25 febbraio 2004

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge affronta un tema delicato ma essenziale per lo sviluppo del nostro «sistema giustizia» e, di conseguenza, vitale per l'avanzamento del nostro sistema democratico. Come è noto su queste tematiche si è svolto un dibattito, spesso teso poiché influenzato dallo scontro politico attualmente esistente tra maggioranza ed opposizione, che ha investito sia i comuni cittadini che tutte le categorie interessate. È utile ribadire, sperando che l'appello non cada nel vuoto, che sarebbe essenziale, come in tutte le riforme che interessano l'intero Paese e non una sola parte di esso, che su questi temi si arrivasse ad un confronto il più ampio e sereno possibile, come avviene in tutte le liberaldemocrazie del mondo.

Di conseguenza, pur sapendo che sulla riforma dell'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e su altri temi ad esso collegati, vi è attualmente in discussione, alla Camera dei deputati, un disegno di legge approvato dal Senato della Repubblica, riteniamo indispensabile presentare la presente proposta di legge che, raccogliendo in parte il contributo importante della Giunta delle Camere penali, cerca, al di là del clima rovente che sta avvelenando il dibattito su queste materie, di arrivare a soluzioni che rendano il nostro «sistema giustizia» più avanzato e più vicino ai cittadini.

È incontestabile che l'attuale livello di fiducia sulla corretta amministrazione della giustizia sia praticamente inesistente, tali e tante sono le inefficienze ed i ritardi con i quali si deve scontrare ogni persona che, come imputato o parte lesa, ha a che fare con «la giustizia».

In questa situazione, nella quale pesano in modo determinante la mancanza di organici e l'inadeguatezza nella quale vengono lasciati i nostri uffici giudiziari, la strumentalizzazione della giustizia per fini politici sicuramente non favorisce la possibilità di arrivare alla riforma necessaria.

È necessario, quindi, ribadire che una magistratura forte, indipendente e autonoma è indispensabile per arrivare ad una giustizia forte, indipendente e autonoma. Va ristabilita la fiducia dei cittadini in una giustizia efficiente, con un giudice che non solo è ma anche appare imparziale, equidistante sia dal pubblico ministero che dall'avvocato.

Per questo con la presente proposta di legge, all'articolo 2, si propone l'istituzione di una Scuola superiore delle professioni giudiziarie che offra la possibilità, a tutti i laureati in giurisprudenza, di partecipare ad una seria formazione post universitaria, con un primo anno comune e un secondo mirato all'approfondimento di materie idonee a garantire un corretto esercizio delle professioni di giudice, di pubblico ministero e di avvocato.

In questo modo si consentirebbe a tutti i neolaureati di raggiungere una più elevata professionalità, partendo da una formazione comune per arrivare ad approfondire, nel secondo anno, le regole che disciplinano le rispettive professioni.

Nell'articolo 3 si prevede che l'accesso alle carriere di giudice e di pubblico ministero avvenga mediante concorsi separati e che la partecipazione ai relativi concorsi possa avvenire solo se si è in possesso della laurea in giurisprudenza e dell'attestato di idoneità conseguito presso la Scuola superiore delle professioni giudiziarie. Si prevedono, inoltre, i meccanismi attraverso i quali sia gli avvocati che i magistrati, già nell'esercizio delle loro funzioni, possano partecipare a concorsi banditi per l'accesso alla magistratura giudicante.

In questo modo si raggiungerebbe quanto previsto dal secondo comma dell'articolo 111 della Costituzione: «Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale». La Costituzione prevede un giudice indipendente da ogni altro potere e cioè soggetto soltanto alla legge come detta l'articolo 101, imparziale, cioè indifferente rispetto all'esito del processo e terzo, cioè del tutto distinto ed equidistante dalle parti, pubblico ministero e avvocati, con le quali non deve avere nulla in comune. Il principio della terzietà del giudice rispetto alle parti non va quindi confuso con il principio dell'imparzialità, requisito implicito e connaturato alla funzione giurisdizionale, ma ne esprime un aspetto ulteriore. Soltanto attraverso l'attuazione del principio della separazione delle carriere, tra pubblico ministero e giudice, il magistrato giudicante di ogni processo apparirà alle parti in causa, così come al cittadino, effettivamente al di sopra delle parti.

Non va dimenticato, tra l'altro, il pronunciamento di circa dieci milioni di cittadini che nel corso del referendum, promosso dai radicali, svoltosi nel luglio del l999, si espressero in maniera netta a favore della separazione delle carriere.

Nell'articolo 4 si delineano i cambiamenti che, all'interno del Consiglio superiore della magistratura (CSM), risultano necessari e in un ottica di adeguamento alla separazione delle carriere. Di qui l'articolazione in due sezioni, rispettivamente relative alla magistratura giudicante e a quella requirente, i cui membri vengono eletti sulla base di un sistema elettorale differenziato. Sulla previsione della divisione in due sezioni del CSM, merita di essere ricordata la sentenza della Cassazione civile sezioni unite n. 2203 del 31 luglio 1964, che ha affermato che non sussiste nella lettera e nello spirito delle disposizioni costituzionali una prescrizione secondo cui il CSM debba necessariamente espletare le sue funzioni nella sua integrale composizione e non possa, quindi, ripartirsi in sezioni con le garanzie stabilite con legge ordinaria.

Con gli stessi criteri che informano complessivamente questa proposta di legge si prevede, all'articolo 5, che presso ogni corte di appello siano istituiti due distinti consigli giudiziari rispettivamente esercitanti la funzione giudicante e quella requirente. Membri di diritto, nonché presidenti dei su menzionati consigli, sono il procuratore generale della corte di appello, per ciò che concerne il consiglio requirente, e il primo presidente della corte di appello, per quanto riguarda il

consiglio giudicante.

All'articolo 6 si prevedono norme atte a tutelare e garantire l'indipendenza e l'autonomia del pubblico ministero, nel contesto dei rapporti gerarchici interni alla procura.

Infine, l'articolo 7, disciplina il regime transitorio prevedendo la possibilità per i magistrati in servizio di optare fra la carriera giudicante e quella requirente.

La presente proposta di legge nasce dall'esigenza, ormai di schiacciante attualità, di riformare l'ordinamento giudiziario rendendolo finalmente coerente ai connotati essenziali di un moderno Stato di diritto, quale è quello ormai chiaramente delineato dalla nostra Carta costituzionale.

 



 


proposta di legge

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Art. 1.

(Delega al Governo).

 

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, con l'osservanza dei princìpi e criteri direttivi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 6 e 7, uno o più decreti legislativi diretti a:

a) istituire la Scuola superiore delle professioni giudiziarie (SSPG) preposta all'attività di formazione, di tirocinio e di aggiornamento professionale di uditori giudiziari, giudici, pubblici ministeri ed avvocati;

b) modificare i criteri di accesso alle carriere di giudice e di pubblico ministero;

c) modificare i criteri di nomina e le competenze del Consiglio superiore della magistratura (CSM);

d) disciplinare la composizione, le competenze e la durata in carica del consiglio giudiziario giudicante e del consiglio giudiziario requirente;

e) stabilire le norme per il rispetto dei princìpi di indipendenza e di autonomia del pubblico ministero.

2. Le disposizioni contenute nei decreti legislativi adottati nell'esercizio della delega di cui al comma 1 divengono efficaci dal centottantesimo giorno successivo a quello della loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

3. Il Governo è delegato ad adottare, entro i centoventi giorni successivi alla scadenza del termine di cui al comma 1, le norme necessarie al coordinamento delle disposizioni dei decreti legislativi adottati nell'esercizio della delega di cui al medesimo comma 1 con la normativa vigente in materia e la necessaria disciplina transitoria, prevedendo inoltre l'abrogazione delle disposizioni con esse incompatibili. Le disposizioni dei decreti legislativi previsti dal presente comma divengono efficaci a decorrere dalla data indicata al comma 2.

4. Gli schemi dei decreti legislativi adottati nell'esercizio della delega di cui al comma 1 sono trasmessi al Senato della Repubblica e alla Camera dei deputati, affinché sia espresso dalle competenti Commissioni parlamentari permanenti un parere entro il termine di due mesi dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti sono emanati anche in mancanza del parere.

5. Le disposizioni previste dal comma 4 si applicano anche per l'esercizio della delega di cui al comma 3, ma in tale caso il termine per l'espressione dei pareri stabilito dal medesimo comma 4 è ridotto alla metà.

6. Il Governo, con la procedura di cui al comma 4, entro due anni dalla data di acquisto di efficacia di ciascuno dei decreti legislativi adottati nell'esercizio della delega di cui al comma 1, può emanare disposizioni correttive nel rispetto dei princìpi e dei criteri direttivi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5 e 6.

 

Art. 2.

(Scuola superiore delle professioni giudiziarie).

 

1. Nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a), il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) prevedere che la SSPG sia una struttura didattica stabilmente organizzata dal CSM e dal consiglio nazionale forense (CNF), preposta all'attività di formazione, di tirocinio e di aggiornamento professionale di uditori giudiziari, giudici, pubblici ministeri e avvocati;

b) prevedere che la SSPG sia diretta da un comitato, della durata di quattro anni, composto da un giudice e da un pubblico ministero che esercitano funzioni di legittimità nominati dal CSM, da due avvocati con almeno quindici anni di esercizio della professione nominati dal CNF e da tre professori universitari ordinari in materie giuridiche nominati dal Consiglio universitario nazionale;

c) prevedere che nell'ambito del comitato di cui alla lettera b) i membri nominano il presidente;

d) prevedere che i membri del comitato non siano immediatamente rinnovabili e non possano far parte della commissione di esame per l'ammissione alla SSPG;

e) prevedere che siano istituite almeno tre sedi della SSPG a competenza interregionale;

f) prevedere che a decorrere dalla data di entrata in funzione della SSPG annualmente siano svolte selezioni per la partecipazione ad un corso biennale di preparazione ai concorsi per l'ammissione alle carriere di giudice e di pubblico ministero nonché all'esame di idoneità alla professione di avvocato;

g) prevedere che il primo anno del corso di cui alla lettera f) sia comune e che il secondo anno sia mirato all'approfondimento delle materie che caratterizzano le singole professioni giudiziarie nonché alla formazione specifica degli aspiranti giudici, pubblici ministeri e avvocati;

h) prevedere che alla fine del primo anno del corso di cui alla lettera f) sia formulato un giudizio di idoneità e di ammissione al secondo anno;

i) prevedere che chi non supera la valutazione di idoneità al secondo anno possa ripetere, per non più di una volta, il primo anno di corso;

l) prevedere che alla fine del secondo anno di corso si consegua l'idoneità a partecipare ai concorsi di ammissione alle carriere di giudice o di pubblico ministero, nonché all'esame di abilitazione alla professione di avvocato;

m) prevedere la possibilità di ripetere per una sola volta il secondo anno di corso nel caso di valutazione finale negativa.

 

Art. 3.

(Disciplina dei concorsi per l'accesso alle carriere di giudice e di pubblico ministero).

 

1. Nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) prevedere che l'accesso alle carriere di giudice e di pubblico ministero avvenga mediante concorsi separati;

b) prevedere che siano ammessi ai concorsi per l'accesso alle carriere di giudice e di pubblico ministero coloro che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni e che hanno conseguito il relativo attestato di idoneità presso la SSPG;

c) prevedere che ai concorsi banditi per l'accesso alla magistratura giudicante e a quella requirente possano partecipare magistrati già nell'esercizio delle loro funzioni da almeno cinque anni e avvocati con almeno cinque anni di professione, previa frequentazione del corso di specializzazione relativo al secondo anno della SSPG e il conseguimento del diploma di idoneità;

d) disciplinare la composizione delle commissioni esaminatrici e le modalità di nomina dei componenti;

e) prevedere che il concorso possa essere sostenuto per non più di tre volte;

f) prevedere che nel caso in cui i pubblici ministeri dopo cinque anni di effettivo esercizio professionale vogliano passare alla carriera dei giudici possano farlo mediante il concorso di cui alla lettera a), con l'obbligo di esercitare le relative funzioni nell'ambito di un distretto di corte di appello diverso da quello in cui hanno svolto le funzioni di pubblico ministero, e che comunque non può coincidere con quello individuato ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale;

g) prevedere che nel caso in cui i giudici dopo cinque anni di effettivo esercizio professionale vogliano passare alla carriera dei pubblici ministeri possano farlo mediante il concorso di cui alla lettera a), con l'obbligo di esercitare le relative funzioni nell'ambito di un distretto di corte di appello diverso da quello in cui hanno svolto le funzioni di giudice, e che comunque non può coincidere con quello individuato ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale.

 

Art. 4.

(Criteri di nomina e competenze del CSM).

 

1. Nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, comma 1, lettera c), il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) prevedere che la componente di magistrati ordinari di cui al quarto comma dell'articolo 104 della Costituzione sia eletta attraverso un sistema elettorale differenziato sulla base della distinzione delle carriere di giudice e di pubblico ministero;

b) prevedere che la quota di seggi spettante ai rappresentanti dei giudici e dei pubblici ministeri sia calcolata proporzionalmente sulla base della composizione numerica dei rispettivi ruoli;

c) prevedere che il CSM, al suo interno, sia articolato in due sezioni: la sezione giudicante e la sezione requirente. Delle due sezioni fanno parte, rispettivamente, i giudici e i pubblici ministeri eletti nonché i membri eletti dal Parlamento;

d) prevedere che le due sezioni di cui alla lettera c), siano, rispettivamente, competenti ad esprimere il parere di cui alla lettera g) in materia di assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, promozioni dei giudici e dei pubblici ministeri;

e) prevedere che la sezione giudicante sia presieduta dal primo Presidente della Corte di cassazione e la sezione requirente sia presieduta dal Procuratore generale presso la medesima Corte;

f) prevedere che il Vice Presidente del CSM coordini e sovrintenda ai lavori delle due sezioni, vigilando sul rispetto delle norme dell'ordinamento giudiziario cui è tenuta l'attività delle sezioni;

g) prevedere che la decisione dei provvedimenti nelle materie di cui alla lettera d) spetti al plenum del CSM sulla base del parere obbligatorio espresso da ciascuna delle due sezioni.

 

Art. 5.

(Consiglio giudiziario giudicante e consiglio giudiziario requirente).

 

1. Nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, comma 1, lettera d), il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) prevedere che presso ogni corte di appello, ferme restando le competenze per materia già disciplinate dalla legislazione vigente in materia, siano istituiti il consiglio giudiziario giudicante e il consiglio giudiziario requirente;

b) prevedere che del consiglio giudiziario giudicante facciano parte il primo presidente della corte di appello, tre giudici in servizio presso il distretto di corte di appello e quattro componenti non togati, di cui due professori universitari ordinari in materie giuridiche e due avvocati con almeno quindici anni di effettivo esercizio della professione;

c) prevedere che del consiglio giudiziario requirente facciano parte il procuratore generale della corte di appello, tre pubblici ministeri in servizio presso il distretto di corte di appello, due professori universitari ordinari in materie giuridiche e due avvocati con almeno quindici anni di effettivo esercizio della professione;

d) prevedere che il presidente e il procuratore generale della corte di appello siano membri di diritto dei rispettivi consigli e ne rivestano la funzione di presidente;

e) prevedere che all'interno di ciascun consiglio i membri eleggano a scrutinio segreto, al loro interno, un vicepresidente scelto tra i componenti non togati e un segretario;

f) prevedere che l'elezione dei componenti togati avvenga con le stesse modalità di elezione previste per il CSM;

g) prevedere che i componenti avvocati e professori universitari siano nominati, rispettivamente, dal CNF ovvero dal Consiglio universitario nazionale, su indicazione dei consigli dell'ordine degli avvocati e dei presidi delle facoltà di giurisprudenza delle università del distretto di corte di appello o della regione;

h) prevedere che i due consigli di cui al presente articolo durino in carica quattro anni.

 

Art. 6.

(Indipendenza e autonomia del pubblico ministero).

 

1. Nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, comma 1, lettera e), il Governo si attiene al seguente principio e criterio direttivo: prevedere che le norme dell'ordinamento giudiziario assicurino, anche all'interno del rapporto gerarchico tra capi degli uffici e magistrati del pubblico ministero che svolgono la funzione di sostituto procuratore della Repubblica, il rispetto dei princìpi di indipendenza e di autonomia del pubblico ministero.

 

Art. 7.

(Norma transitoria).

 

1. I magistrati in servizio alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi adottati in attuazione della delega di cui  all'articolo 1, comma 1, hanno facoltà di optare, entro sei mesi dalla medesima data, per una funzione giudiziaria diversa da quella svolta, con l'obbligo di cambiare distretto, che comunque non può coincidere con quello individuato ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale.