XIV Legislatura - Dossier di documentazione
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario - Lavori preparatori della Legge 25 luglio 2005, n. 150- Iter al Senato (AS 1296 e abb.) - Testo dei disegni di legge (Parte I)
Serie: Progetti di legge    Numero: 535    Progressivo: 1
Data: 17/10/05
Descrittori:
GIUDICI E GIURISDIZIONE   MAGISTRATURA
ORDINAMENTO GIUDIZIARIO   RIFORME
Organi della Camera: II-Giustizia
Riferimenti:
L n.150 del 25/07/05   AS n.1296/14
AC n.4636/14     

Servizio studi

 

progetti di legge

Delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario

Lavori preparatori della
Legge 25 luglio 2005, n. 150

Iter al Senato (AS 1296 e abb.):
Testo dei disegni di legge

n. 535/1

Parte I

 

xiv legislatura

17 ottobre 2005

 

 

 


Camera dei deputati

 


La documentazione predisposta in occasione dell'esame del disegno di legge recante la delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario (A.C. 4636) si articola nei seguenti volumi:

-          dossier n. 535:contiene la scheda di sintesi per l'istruttoria legislativa, le schede di lettura ed il disegno di legge A.C. 4636 (parte I); contiene la normativa di riferimento (parte II)

-          dossier n. 535/1: contiene i lavori parlamentari alla Camera e al Senato (suddiviso in tredici parti)

-          Prima lettura al Senato (A.S. 1296 e abb.)

-        Parte I: testo dei disegni di legge

-        Parte II: esame in Commissione

-        Parte III: esame in Assemblea

-          Prima lettura alla Camera (A.C. 4636 e abb.)

-     Parte IV: testo dei disegni di legge

-     Parte V: esame in Commissione e in Assemblea

-          Seconda lettura al Senato (A.S. 1296-B e abb.)

-     Parte VI: testo dei disegni di legge e esame in Commissione

-     Parte VII: esame in Assemblea: sedute dal 20 settembre al 2 novembre 2004

-     Parte VIII: esame in Assemblea: sedute dal 3 al 10 novembre 2004

-          Seconda lettura alla Camera (A.C. 4636-bis-B e abb.)

-     Parte IX: testo dei disegni di legge, esame in sede referente e consultiva, esame in Assemblea

-          Terza lettura al Senato (A.S. 1296-B-bis)

-     Parte X: messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica, testo del disegno di legge, esame in sede referente e consultiva

-     Parte XI: esame in Assemblea: sedute dal 26 gennaio al 15 giugno 2005

-     Parte XII: esame in Assemblea: sedute dal 22 al 28 giugno 2005

-          Terza lettura alla Camera (A.C. 4636-bis-D e abb.)

-     Parte XIII: Esame in Commissione e in Assemblea

-          dossier n. 535/2:contiene le schede di lettura, la normativa di riferimento e l’A.C. 4636-bis-B

-          dossier n. 535/3:contiene le schede di lettura e l’A.C. 4636-bis-D.

Dipartimento Giustizia

SIWEB

 

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File: GI0284aa.doc


INDICE

Parte prima

Legge del 25 luglio 2005, n. 150

§         Delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario di cui al R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza, della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché per l'emanazione di un testo unico  3

Iter al Senato - prima lettura

Disegni di legge

§         A.S. 104, (sen. Marino ed altri), Modifica alle circoscrizioni territoriali degli uffici giudiziari della corte d’appello di Genova e della corte d’appello di Firenze  55

§         A.S. 279, (sen. Pedrizzi ed altri), Istituzione in Latina di una sezione distaccata  della corte di appello di Roma  59

§         A.S. 280, (sen. Pedrizzi). Istituzione del tribunale di Gaeta)65

§         A.S. 344, (sen. Battafarano ed altri), Istituzioni delle corti d’appello di Sassari, Taranto e Bolzano  75

§         A.S. 347, (sen. Marini), Istituzione in Cosenza di una sezione distaccata della corte di appello di Catanzaro, di una sezione in funzione di corte d’assise di appello e di una sezione distaccata del tribunale amministrativo regionale della Calabria  83

§         A.S. 382, (sen. Valditara), Istituzione di nuovo tribunale in Legnano  89

§         A.S. 385, (sen. Semeraro ed altri), Istituzione della corte d’appello di Taranto  97

§         A.S. 454, (sen. Giuliano), Istituzione del tribunale di Aversa  103

§         A.S. 456, (sen. Giuliano), Istituzione in Caserta degli uffici giudiziari della corte di appello, della corte di assise di appello e del tribunale per i minorenni113

§         A.S. 502, (sen. Viviani), Istituzione di una sede di corte d’appello, di una sede di corte di assise d’appello e di un tribunale dei minori a Verona  117

§         A.S. 578, (sen. Fasolino), Delega al Governo per l’istituzione del Tribunale di Mercato San Severino  121

§         A.S. 740, (sen. Calderoli), Istituzione della corte d’appello di Lucca  125

§         A.S. 752, (sen. Viserta Costantini), Istituzione in Pescara di una sezione distaccata della corte d’appello di L’Aquila  129

§         A.S. 771, (sen. Pastore ed altri), Istituzione in Pescara di una sezione distaccata della corte d’appello de L’Aquila  137

§         A.S. 955, (sen. Marini ed altri), Delega al Governo in materia di diversificazione dei ruoli nella magistratura  147

§         A.S. 970, (sen. Filippelli), Istituzione della corte di assise presso il tribunale di Crotone  151

§         A.S. 1050, (sen. Marini ed altri), Norme in materia di reclutamento e formazione dei magistrati e valutazione della professionalità  155

§         A.S. 1051, (sen. Federici ed altri), Istituzione della corte d’appello di Sassari171

§         A.S. 1226, (sen. Fassone ed altri), Distinzione delle funzioni giudicanti e requirenti177

§         A.S. 1258, (sen. Cossiga), Delega al Governo in materia di giudici e pubblici ministeri: ruoli, funzioni, carriere  189

§         A.S. 1259, (sen. Cossiga), Delega al Governo per la istituzione della Scuola superiore delle professioni legali201

§         A.S. 1260, (sen. Cossiga), Delega al Governo in materia di carriere dei giudici e dei pubblici ministeri, qualificazioni professionali dei magistrati, temporaneità degli uffici giudiziari direttivi nonchè di composizione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura  209

§         A.S. 1261, (sen. Cossiga), Delega al Governo in materia di adozione di un codice etico dei giudici e dei pubblici ministeri e relativa disciplina e incompatibilità  223

§         A.S. 1279, (sen. Iervolino ed altri), Accorpamento delle città di Lauro, Domicella, Taurano, Marzano di Nola, Moschiano e Pago del Vallo di Lauro, nel circondario del Tribunale di Nola  235

§         A.S. 1296, (Governo), Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e disposizioni in materia di organico della Corte di cassazione e di conferimento delle funzioni di legittimità  239

§         A.S. 1300, (sen. Ciccanti), Modifica alla tabella A allegata alla legge 26 luglio 1975, n. 354, con riferimento alla sede dell’ufficio di sorveglianza per adulti di Macerata  285

§         A.S. 1367, (sen. Fassone ed altri), Norme in materia di funzioni dei magistrati e valutazioni di professionalità  289

§         A.S. 1411, (sen. Fassone), Delega al Governo per la revisione e la razionalizzazione delle sedi e degli uffici giudiziari309

§         A.S. 1426, (sen. Calvi ed altri), Norme in materia di istituzione di un centro superiore di studi giuridici per la formazione professionale dei magistrati, in materia di tirocinio, di distinzione delle funzioni giudicanti e requirenti, di funzioni dei magistrati e valutazioni di professionalità e norme in materia di responsabilità disciplinare dei magistrati ordinari, di incompatibilità e di incarichi estranei ai compiti di ufficio e di temporaneità degli incarichi direttivi325

§         A.S. 1468, (sen. Cirami ed altri), Istituzione in Agrigento di una sezione distaccata della corte d’appello e della corte d’assise d’appello di Palermo  429

§         A.S. 1493, (sen. CARUSO Antonino e PELLICINI), Delega al Governo per l’istituzione della corte d’appello di Busto Arsizio e del tribunale di Legnano e per la revisione dei distretti delle corti d’appello di Milano e Torino  433

§         A.S. 1519, (sen. Callegaro), Accorpamento dei comuni di Aiello del Friuli, Aquileia, Campolongo al Torre, Cervignano del Friuli, Chiopris-Viscone, Fiumicello, Ruda, San Vito al Torre, Tapogliano, Terzo d’Aquileia, Villa Vicentina e Visco, nel circondario del tribunale di Gorizia  443

§         A.S 1536, (sen. Alberti Casellati ed altri), Separazione delle carriere dei magistrati447

§         A.S. 1555, (sen. Calderoli), Istituzione della Corte di appello di Novara  451

§         A.S. 1632, (sen. Ciccanti), Modifica della Tabella A, allegata al decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, con riferimento ai tribunali di Ascoli Piceno e di Fermo  455

§         A.S. 1668, (sen. Curto), Istituzione in Brindisi di una sezione distaccata della corte di appello e della corte di assise di appello di Lecce  461

§         A.S. 1710, (sen. Guasti), Istituzione in Parma di una sezione distaccata della Corte d’appello di Bologna  465

§         A.S. 1731, (sen. Cavallaro), Istituzione del tribunale di Caserta  471

§         A.S. 1765, (sen. Cutrufo e Tofani), Istituzione in Frosinone di una sezione distaccata della Corte di appello di Roma e della Corte di assise d’appello di Roma  477

§         A.S. 1843, (sen. Montagnino ed altri), Ampliamento del distretto della Corte d’appello di Caltanissetta  483

§         A.S. 2172, (sen. Dettori), Istituzione della corte d’appello di Sassari487


Legge del 25 luglio 2005, n. 150

 


Legge 25 luglio 2005, n. 150.

Delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario di cui al R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza, della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché per l'emanazione di un testo unico

 

 

(1)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 29 luglio 2005, n. 175, S.O.

 

 

Art. 1

Contenuto della delega.

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, con l'osservanza dei princìpi e dei criteri direttivi di cui all'articolo 2, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 8, uno o più decreti legislativi diretti a:

 

a) modificare la disciplina per l'accesso in magistratura, nonché la disciplina della progressione economica e delle funzioni dei magistrati, e individuare le competenze dei dirigenti amministrativi degli uffici giudiziari;

 

b) istituire la Scuola superiore della magistratura, razionalizzare la normativa in tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, nonché in tema di aggiornamento professionale e formazione dei magistrati;.

 

c) disciplinare la composizione, le competenze e la durata in carica dei Consigli giudiziari, nonché istituire il Consiglio direttivo della Corte di cassazione;

 

d) riorganizzare l'ufficio del pubblico ministero;

 

e) modificare l'organico della Corte di cassazione e la disciplina relativa ai magistrati applicati presso la medesima;

 

f) individuare le fattispecie tipiche di illecito disciplinare dei magistrati, le relative sanzioni e la procedura per la loro applicazione, nonché modificare la disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento d'ufficio;

 

g) prevedere forme di pubblicità degli incarichi extragiudiziari conferiti ai magistrati di ogni ordine e grado.

 

2. Le disposizioni contenute nei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui al comma 1 divengono efficaci dal novantesimo giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, fermo restando quanto previsto dall'articolo 2.

 

3. Il Governo è delegato ad adottare, entro i novanta giorni successivi alla scadenza del termine di cui al comma 1, uno o più decreti legislativi recanti le norme necessarie al coordinamento delle disposizioni dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui al medesimo comma con le altre leggi dello Stato e, con l'osservanza dei princìpi e dei criteri direttivi di cui all'articolo 2, comma 9, la necessaria disciplina transitoria, prevedendo inoltre l'abrogazione delle disposizioni con essi incompatibili. Le disposizioni dei decreti legislativi previsti dal presente comma divengono efficaci a decorrere dalla data indicata nel comma 2.

 

4. Gli schemi dei decreti legislativi adottati nell'esercizio della delega di cui al comma 1 sono trasmessi al Senato della Repubblica ed alla Camera dei deputati, ai fini dell'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario, che sono resi entro il termine di sessanta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti sono emanati anche in mancanza dei pareri. Entro i trenta giorni successivi all'espressione dei pareri, il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni ivi eventualmente formulate, esclusivamente con riferimento all'esigenza di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dai necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni competenti, che sono espressi entro trenta giorni dalla data di trasmissione.

 

5. Le disposizioni previste dal comma 4 si applicano anche per l'esercizio della delega di cui al comma 3, ma in tal caso il termine per l'espressione dei pareri è ridotto alla metà.

 

6. Il Governo, con la procedura di cui al comma 4, entro due anni dalla data di acquisto di efficacia di ciascuno dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui al comma 1, può emanare disposizioni correttive nel rispetto dei princìpi e dei criteri direttivi di cui all'articolo 2, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 8.

 

 

 

Art. 2

Principi e criteri direttivi, nonché disposizioni ulteriori.

1. Nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a), il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a) prevedere per l'ingresso in magistratura:

 

1) che sia bandito annualmente un concorso per l'accesso in magistratura e che i candidati debbano indicare nella domanda, a pena di inammissibilità, se intendano accedere ai posti nella funzione giudicante ovvero a quelli nella funzione requirente;

 

2) che il concorso sia articolato in prove scritte ed orali nelle materie indicate dall'articolo 123-ter, commi 1 e 2, dell'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, nonché nelle materie attinenti al diritto dell'economia;

 

3) che la commissione di concorso sia unica e che sia nominata dal Ministro della giustizia, previa delibera del Consiglio superiore della magistratura, e che sia composta da magistrati, aventi almeno cinque anni di esercizio nelle funzioni di secondo grado, in numero variabile fra un minimo di dodici e un massimo di sedici e da professori universitari di prima fascia nelle materie oggetto di esame da un minimo di quattro a un massimo di otto, e che la funzione di presidente sia svolta da un magistrato che eserciti da almeno tre anni le funzioni direttive giudicanti di legittimità ovvero le funzioni direttive giudicanti di secondo grado e quella di vicepresidente da un magistrato che eserciti funzioni di legittimità; che il numero dei componenti sia determinato tenendo conto del presumibile numero dei candidati e dell'esigenza di rispettare le scadenze indicate al numero 1) della lettera d); che il numero dei componenti professori universitari sia tendenzialmente proporzionato a quello dei componenti magistrati;

 

4) che, al momento dell'attribuzione delle funzioni, l'indicazione di cui al numero 1) costituisca titolo preferenziale per la scelta della sede di prima destinazione e che tale scelta, nei limiti delle disponibilità dei posti, debba avvenire nell'ambito della funzione prescelta;

 

b) prevedere che siano ammessi al concorso per l'accesso in magistratura nelle funzioni giudicanti e nelle funzioni requirenti coloro che:

 

1) hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di corso universitario di durata non inferiore, a quattro anni ed hanno conseguito diploma presso le scuole di specializzazione nelle professioni legali previste dall'articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, e successive modificazioni, stabilendo inoltre che il numero dei laureati da ammettere alle scuole di specializzazione per le professioni legali sia determinato, fermo quanto previsto nel comma 5 dell'articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, in misura non superiore a dieci volte il maggior numero dei posti considerati negli ultimi tre bandi di concorso per uditore giudiziario;

 

2) hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni ed hanno conseguito il dottorato di ricerca in materie giuridiche;

 

3) hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni ed hanno conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense;

 

4) hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni ed hanno svolto, dopo il superamento del relativo concorso, funzioni direttive nelle pubbliche amministrazioni per almeno tre anni;

 

5) hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni ed hanno svolto le funzioni di magistrato onorario per almeno quattro anni senza demerito e senza essere stati revocati o disciplinamente sanzionati;

 

6) hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni ed hanno conseguito il diploma di specializzazione in una disciplina giuridica; al termine di un corso di studi della durata non inferiore a due anni presso le scuole di specializzazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162;

 

c) prevedere che, nell'ambito delle prove orali di cui alla lettera a), numero 2), il candidato debba sostenere un colloquio di idoneità psico-attitudinale all'esercizio della professione di magistrato, anche in relazione alle specifiche funzioni indicate nella domanda di ammissione;

 

d) prevedere che:

 

1) le prove scritte avvengano tendenzialmente a data fissa, e cioè nei giorni immediatamente prossimi al 15 settembre di ogni anno; che la correzione degli elaborati scritti e le prove orali si svolgano inderogabilmente in un tempo non superiore a nove mesi; che l'intera procedura concorsuale sia espletata in modo da consentire l'inizio del tirocinio il 15 settembre dell'anno successivo;

 

2) non possano essere ammessi al concorso coloro che sono stati già dichiarati non idonei per tre volte;

 

e) prevedere che, dopo il compimento del periodo di uditorato, le funzioni dei magistrati si distinguano in funzioni di merito e di legittimità e siano le seguenti:

 

1) funzioni giudicanti di primo grado;

 

2) funzioni requirenti di primo grado;

 

3) funzioni giudicanti di secondo grado;

 

4) funzioni requirenti di secondo grado;

 

5) funzioni semidirettive giudicanti di primo grado;

 

6) funzioni semidirettive requirenti di primo grado;

 

7) funzioni semidirettive giudicanti di secondo grado;

 

8) funzioni semidirettive requirenti di secondo grado;

 

9) funzioni direttive giudicanti o requirenti di primo grado e di primo grado elevato;

 

10) funzioni direttive giudicanti o requirenti di secondo grado;

 

11) funzioni giudicanti di legittimità;

 

12) funzioni requirenti di legittimità;

 

13) funzioni direttive giudicanti o requirenti di legittimità;

 

14) funzioni direttive superiori giudicanti o requirenti di legittimità;

 

15) funzioni direttive superiori apicali di legittimità;

 

f) prevedere:

 

1) che, fatta eccezione per i magistrati in aspettativa per mandato parlamentare o collocati fuori dal ruolo organico in quanto componenti elettivi del Consiglio superiore della magistratura, fino al compimento dell'ottavo anno dall'ingresso in magistratura debbano essere svolte effettivamente le funzioni requirenti o giudicanti di primo grado;

 

2) che, dopo otto anni dall'ingresso in magistratura, previo concorso per titoli ed esami, scritti e orali, ovvero dopo tredici anni dall'ingresso in magistratura, previo concorso per titoli, possano essere svolte funzioni giudicanti o requirenti di secondo grado;

 

3) che, dopo tre anni di esercizio delle funzioni di secondo grado, previo concorso per titoli, ovvero dopo diciotto anni dall'ingresso in magistratura, previo concorso per titoli ed esami, scritti e orali, possano essere svolte funzioni di legittimità; che al concorso per titoli ed esami, scritti e orali, per le funzioni di legittimità possano partecipare anche i magistrati che non hanno svolto diciotto anni di servizio e che hanno esercitato per tre anni le funzioni di secondo grado;

 

4) che il Consiglio superiore della magistratura attribuisca le funzioni di secondo grado e di legittimità all'esito dei concorsi di cui ai numeri 2) e 3) e le funzioni semidirettive o direttive previo concorso per titoli;

 

5) le modalità dei concorsi per titoli e di quelli per esami, scritti e orali, previsti dalla presente legge, nonché i criteri di valutazione, stabilendo, in particolare, che le prove scritte consistano nella risoluzione di uno o più casi pratici, aventi carattere di complessità e implicanti alternativamente o congiuntamente la risoluzione di rilevanti questioni probatorie, istruttorie e cautelari, relative alle funzioni richieste e stabilendo, altresì, che le prove orali consistano nella discussione del caso o dei casi pratici oggetto della prova scritta;

 

6) che i magistrati che in precedenza abbiano subìto una sanzione disciplinare superiore all'ammonimento siano ammessi ai concorsi di cui ai numeri 2), 3) e 4) dopo il maggior numero di anni specificatamente indicato nella sentenza disciplinare definitiva, comunque non inferiore a due e non superiore a quattro rispetto a quanto previsto dai numeri l), 2) e 3) e dalle lettere h) e i);

 

g) prevedere che:

 

1) entro il terzo anno di esercizio delle funzioni giudicanti assunte subito dopo l'espletamento del periodo di tirocinio, i magistrati possano partecipare a concorsi per titoli, banditi dal Consiglio superiore della magistratura, per l'assegnazione di posti vacanti nella funzione requirente, dopo aver frequentato un apposito corso di formazione presso la Scuola superiore della magistratura di cui al comma 2 il cui giudizio finale è valutato dal Consiglio superiore della magistratura;

 

2) la commissione esaminatrice sia quella indicata alla lettera l), numero 6);

 

3) entro il terzo anno di esercizio delle funzioni requirenti assunte subito dopo l'espletamento del periodo di tirocinio, i magistrati possano partecipare a concorsi per titoli, banditi dal Consiglio superiore della magistratura, per l'assegnazione di posti vacanti nella funzione giudicante, dopo aver frequentato un apposito corso di formazione presso la Scuola superiore della magistratura di cui al comma 2 il cui giudizio finale è valutato dal Consiglio superiore della magistratura;

 

4) la commissione esaminatrice sia quella indicata dalla lettera l), numero 5);

 

5) il Consiglio superiore della magistratura individui, con priorità assoluta, i posti vacanti al fine di consentire il passaggio di funzione nei casi indicati ai numeri 1) e 3);

 

6) fuori dai casi indicati ai numeri 1) e 3), e, in via transitoria, dal comma 9, lettera c), non sia consentito il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa;

 

7) il mutamento delle funzioni da giudicanti a requirenti e viceversa debba avvenire per posti disponibili in ufficio giudiziario avente sede in diverso distretto, con esclusione di quello competente ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale;

 

h) prevedere che:

 

1) funzioni giudicanti di primo grado siano quelle di giudice di tribunale, di giudice del tribunale per i minorenni e di magistrato di sorveglianza;

 

2) funzioni requirenti di primo grado siano quelle di sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario e di sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni;

 

3) funzioni giudicanti di secondo grado siano quelle di consigliere di corte di appello;

 

4) funzioni requirenti di secondo grado siano quelle di sostituto procuratore generale presso la corte di appello nonché quelle di sostituto addetto alla Direzione nazionale antimafia;

 

5) funzioni giudicanti di legittimità siano quelle di consigliere della Corte di cassazione;

 

6) funzioni requirenti di legittimità siano quelle di sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione;

 

7) funzioni semidirettive giudicanti di primo grado siano quelle di presidente di sezione di tribunale, cui possono accedere, previo concorso per titoli, magistrati che abbiano superato il concorso per il conferimento delle funzioni di secondo grado da non meno di tre anni;

 

8) funzioni semidirettive requirenti di primo grado siano quelle di procuratore della Repubblica aggiunto, cui possono accedere, previo concorso per titoli, magistrati che abbiano superato il concorso per il conferimento delle funzioni di secondo grado da non meno di tre anni;

 

9) funzioni semidirettive giudicanti di secondo grado siano quelle di presidente di sezione di corte di appello, cui possono accedere, previo concorso per titoli, magistrati che abbiano superato il concorso per il conferimento delle funzioni di seconde grado da non meno di sei anni;

 

10) funzioni semidirettive requirenti di secondo grado siano quelle di avvocato generale della procura generale presso la corte di appello, cui possono accedere, previo concorso per titoli, magistrati che abbiano superato il concorso per il conferimento delle funzioni di secondo grado da non meno di sei anni;

 

11) funzioni direttive giudicanti di primo grado siano quelle di presidente di tribunale e di presidente del tribunale per i minorenni, cui possono accedere, previo concorso per titoli, magistrati che abbiano superato il concorso per il conferimento delle funzioni di secondo grado da non meno di cinque anni;

 

12) funzioni direttive requirenti di primo grado siano quelle di procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario e di procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, cui possono accedere, previo concorso per titoli, magistrati che abbiano superato il concorso per il conferimento delle funzioni di secondo grado da non meno di cinque anni;

 

13) funzioni direttive giudicanti di primo grado elevato siano quelle di presidente di tribunale e di presidente della sezione per le indagini preliminari dei tribunali di cui alla tabella L allegata all'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, di presidente dei tribunali di sorveglianza di cui alla tabella A allegata alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, cui possono accedere, previo concorso per titoli, magistrati che abbiano superato il concorso per le funzioni di secondo grado da almeno otto anni;

 

14) funzioni direttive requirenti di primo grado elevato siano quelle di procuratore della Repubblica presso i tribunali di cui alla tabella L allegata all'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, cui possono accedere, previo concorso per titoli, magistrati che abbiano superato il concorso per le funzioni di secondo grado da almeno otto anni;

 

15) funzioni direttive giudicanti di secondo grado siano quelle di presidente della corte di appello, cui possono accedere, previo concorso per titoli, magistrati che abbiano superato il concorso per le funzioni di legittimità da almeno cinque anni;

 

16) funzioni direttive requirenti di secondo grado siano quelle di procuratore generale presso la corte di appello e di procuratore nazionale antimafia, cui possono accedere, previo concorso per titoli, magistrati che abbiano superato il concorso per le funzioni di legittimità da almeno cinque anni;

 

17) le funzioni indicate ai numeri 11), 12), 13), 14), 15) e 16) possano essere conferite esclusivamente ai magistrati che, in possesso dei requisiti richiesti, abbiano ancora quattro anni di servizio prima della data di ordinario collocamento a riposo, prevista dall'articolo 5 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, abbiano frequentato l'apposito corso di formazione alle funzioni direttive presso la Scuola superiore della magistratura di cui al comma 2, il cui giudizio finale è valutato dal Consiglio superiore della magistratura, e siano stati positivamente valutati nel concorso per titoli previsto alla lettera f), numero 4), ultima parte;

 

18) i magistrati che abbiano superato il concorso per le funzioni di legittimità possano partecipare ai concorsi per le funzioni semidirettive e difettive indicate ai numeri 7), 8), 9), 10), 11), 12), 13) e 14); che l'avere esercitato funzioni di legittimità giudicanti o requirenti costituisca, a parità di graduatoria, titolo preferenziale per il conferimento degli incarichi direttivi indicati rispettivamente al numero 13) e al numero 14);

 

i) prevedere che:

 

1) le funzioni direttive giudicanti di legittimità siano quelle di presidente di sezione della Corte di cassazione, cui possono accedere, previo concorso per titoli, magistrati che esercitino funzioni giudicanti di legittimità da almeno quattro anni;

 

2) le funzioni direttive requirenti di legittimità siano quelle di avvocato generale della procura generale presso la Corte di cassazione, cui possono accedere, previo concorso per titoli, magistrati che esercitino funzioni requirenti di legittimità da almeno quattro anni;

 

3) le funzioni direttive superiori giudicanti di legittimità siano quelle di presidente aggiunto della Corte di cassazione e quella di presidente del Tribunale superiore delle acque pubbliche, cui possono accedere, previo concorso per titoli, magistrati che esercitino funzioni direttive giudicanti di legittimità;

 

4) le funzioni direttive superiori requirenti di legittimità siano quelle di Procuratore generale presso la Corte di cassazione e di Procuratore generale aggiunto presso la Corte di cassazione, cui possono accedere, previo concorso per titoli, magistrati che esercitino funzioni direttive requirenti di legittimità;

 

5) le funzioni direttive superiori apicali di legittimità siano quelle di primo Presidente della Corte di cassazione, cui possono accedere, previo concorso per titoli, magistrati che esercitino funzioni direttive giudicanti di legittimità;

 

6) le funzioni indicate ai numeri 1) e 2) possano essere conferite esclusivamente ai magistrati che, in possesso dei requisiti richiesti, abbiano frequentato un apposito corso di formazione alle funzioni direttive presso la Scuola superiore della magistratura di cui al comma 2 il cui giudizio finale è valutato dal Consiglio superiore della magistratura, siano stati positivamente valutati nel concorso per titoli previsto alla lettera f), numero 4), ultima parte, ed abbiano ancora due anni di servizio prima della data di ordinario collocamento a riposo, prevista dall'articolo 5 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511; le funzioni indicate ai numeri 3), 4) e 5) possano essere conferite esclusivamente ai magistrati che, in possesso dei requisiti richiesti, siano stati positivamente valutati nel concorso per titoli previsto alla lettera f), numero 4), ultima parte;

 

l) prevedere che:

 

1) annualmente i posti vacanti nella funzione giudicante di primo grado, individuati quanto al numero nel rispetto dell'esigenza di assicurare il passaggio di funzioni di cui alla lettera g), numero 1), e quanto alle sedi giudiziarie, ove possibile, all'esito delle determinazioni adottate dal Consiglio superiore della magistratura, previa acquisizione del parere motivato del consiglio giudiziario, sulle domande di tramutamento presentate dai magistrati che esercitino da almeno tre anni le funzioni giudicanti di primo grado, vengano assegnati, secondo l'anzianità di servizio, ai magistrati che ne facciano richiesta ai sensi della lettera g), numero 3), e, per la parte residua, vengano posti a concorso per l'accesso in magistratura;

 

2) annualmente i posti vacanti nella funzione requirente di primo grado, individuati quanto al numero nel rispetto dell'esigenza di assicurare il passaggio di funzioni di cui alla lettera g), numero l), e quanto alle sedi giudiziarie, ove possibile, all'esito delle determinazioni adottate dal Consiglio superiore della magistratura, previa acquisizione del parere motivato del consiglio giudiziario, sulle domande di tramutamento presentate dai magistrati che esercitino da almeno tre anni le funzioni requirenti di primo grado, vengano assegnati, secondo l'anzianità di servizio, ai magistrati che ne facciano richiesta ai sensi della lettera g), numero l), e, per la parte residua, vengano posti a concorso per l'accesso in magistratura;

 

3) annualmente tutti i posti vacanti residuati nella funzione giudicante di secondo grado, individuati quanto alle sedi giudiziarie all'esito delle determinazioni adottate dal Consiglio superiore della magistratura, previa acquisizione del parere motivato del consiglio giudiziario, sulle domande di tramutamento presentate dai magistrati che esercitino da almeno tre anni le funzioni giudicanti di secondo grado, vengano assegnati dal Consiglio superiore della magistratura con le seguenti modalità:

 

3.1) per il 30 per cento, i posti siano assegnati ai magistrati giudicanti che abbiano conseguito l'idoneità nel concorso per titoli ed esami, scritti ed orali, previsto dalla lettera f), numero 2), prima parte, tenuto conto del giudizio finale formulato al termine dell'apposito corso di formazione alle funzioni di secondo grado presso la Scuola superiore della magistratura di cui al comma 2 e del giudizio di idoneità formulato all'esito del concorso;

 

3.2) per il 70 per cento, i posti siano assegnati ai magistrati giudicanti che abbiano conseguito l'idoneità nel concorso per soli titoli previsto dalla lettera f), numero 2), seconda parte, tenuto conto del giudizio finale formulato al termine dell'apposito corso di formazione alle funzioni di secondo grado presso la Scuola superiore della magistratura di cui al comma 2 e del giudizio di idoneità formulato all'esito del concorso;

 

3.3) i posti di cui al numero 3.1), messi a concorso e non coperti, siano assegnati, ove possibile, ai magistrati valutati positivamente nel concorso per soli titoli indicato al numero 3.2) ed espletato nello stesso anno;

 

3.4) i posti di cui al numero 3.2), messi a concorso e non coperti, siano assegnati, ove possibile, ai magistrati dichiarati idonei nel concorso per titoli ed esami, scritti e orali, indicato al numero 3.1) ed espletato nello stesso anno;

 

3.5) il Consiglio superiore della magistratura, acquisito il parere motivato dei consigli giudiziari e gli ulteriori elementi di valutazione rilevanti ai fini del conferimento delle funzioni giudicanti di secondo grado, assegni i posti di cui ai numeri 3.1), 3.2), 3.3) e 3.4) ai candidati risultati idonei nei relativi concorsi per titoli ed esami, scritti ed orali, o per soli titoli;

 

3.6) i magistrati che abbiano assunto le funzioni giudicanti di secondo grado; ai sensi di quanto previsto al numero 3.5) possano presentare domanda di tramutamento dopo che sia decorso il termine di due anni;

 

3.7) i magistrati che abbiano assunto le funzioni giudicanti di secondo grado ai sensi di quanto previsto al numero 3.5) presso una sede indicata come disagiata e che abbiano presentato domanda di tramutamento dopo che sia decorso il termine di tre anni abbiano diritto a che la loro domanda venga valutata con preferenza assoluta rispetto alle altre;

 

3.8) il Consiglio superiore della magistratura valuti specificatamente la laboriosità con riguardo alle domande di tramutamento presentate ai sensi dei numeri 3.6) e 3.7);

 

4) annualmente tutti i posti vacanti residuati nella funzione requirente di secondo grado, individuati quanto alle sedi giudiziarie all'esito delle determinazioni adottate dal Consiglio superiore della magistratura, previa acquisizione del parere motivato del consiglio giudiziario, sulle domande di tramutamento presentate dai magistrati che esercitino da almeno tre anni le funzioni requirenti di secondo grado, vengano assegnati dal Consiglio superiore della magistratura con le seguenti modalità:

 

4.1) per il 30 per cento, i posti siano assegnati ai magistrati requirenti che abbiano conseguito l'idoneità nel concorso per titoli ed esami, scritti ed orali, previsto dalla lettera f), numero 2), prima parte, tenuto conto del giudizio finale formulato al termine dell'apposito corso di formazione alle funzioni di secondo grado presso la Scuola superiore della magistratura di cui al comma 2 e del giudizio di idoneità formulato all'esito del concorso;

 

4.2) per il 70 per cento, i posti siano assegnati ai magistrati requirenti che abbiano conseguito l'idoneità nel concorso per soli titoli previsto dalla lettera f), numero 2), seconda parte, tenuto conto del giudizio finale formulato al termine dell'apposito corso di formazione alle funzioni di secondo grado presso la Scuola superiore della magistratura di cui al comma 2 e del giudizio di idoneità formulato all'esito del concorso;

 

4.3) i posti di cui al numero 4.1), messi a concorso e non coperti, siano assegnati, ove possibile, ai magistrati dichiarati idonei nel concorso per soli titoli indicato al numero 4.2) ed espletato nello stesso anno;

 

4.4) i posti di cui al numero 4.2), messi a concorso e non coperti, siano assegnati, ove possibile, ai magistrati dichiarati idonei nel concorso per titoli ed esami, scritti ed orali, indicato al numero 4.1) ed espletato nello stesso anno;

 

4.5) il Consiglio superiore della magistratura, acquisito il parere motivato dei consigli giudiziari e gli ulteriori elementi di valutazione rilevanti ai fini del conferimento delle funzioni requirenti di secondo grado, assegni i posti di cui ai numeri 4.1), 4.2), 4.3) e 4.4) ai candidati risultati idonei nei relativi concorsi per titoli ed esami, scritti ed orali, o per soli titoli;

 

4.6) i magistrati che abbiano assunto le funzioni requirenti di secondo grado ai sensi di quanto previsto al numero 4.5) possano presentare domanda di tramutamento dopo che sia decorso il termine di due anni;

 

4.7) i magistrati che abbiano assunto le funzioni requirenti di secondo grado ai sensi di quanto previsto al numero 4.5) presso una sede indicata come disagiata e che abbiano presentato domanda di tramutamento dopo che sia decorso il termine di tre anni abbiano diritto a che la loro domanda venga valutata con preferenza assoluta rispetto alle altre;

 

4.8) il Consiglio superiore della magistratura valuti specificatamente la laboriosità con riguardo alle domande di tramutamento presentate ai sensi dei numeri 4.6) e 4.7);

 

5) ai fini di cui al numero 3), sia istituita una commissione composta da un magistrato che eserciti le funzioni direttive giudicanti di legittimità ovvero le funzioni direttive giudicanti di secondo grado, da un magistrato che eserciti le funzioni giudicanti di legittimità, da tre magistrati che esercitino le funzioni giudicanti di secondo grado da almeno tre anni e da tre professori universitari di prima fascia in materie giuridiche, nominati dal Consiglio superiore della magistratura;

 

6) ai fini di cui al numero 4), sia istituita una commissione composta da un magistrato che eserciti le funzioni direttive requirenti di legittimità ovvero le funzioni direttive requirenti di secondo grado, da un magistrato che eserciti le funzioni requirenti di legittimità, da tre magistrati che esercitino le funzioni requirenti di secondo grado da almeno tre anni e da tre professori universitari di prima fascia in materie giuridiche, nominati dal Consiglio superiore della magistratura;

 

7) annualmente i posti vacanti residuati nelle funzioni giudicanti di legittimità, come individuati all'esito delle determinazioni adottate dal Consiglio superiore della magistratura, previa acquisizione del parere motivato del consiglio giudiziario e del Consiglio direttivo della Corte di cassazione, sulle domande di riassegnazione alle funzioni di legittimità di provenienza presentate dai magistrati che esercitino funzioni direttive o semidirettive giudicanti ovvero sulla loro riassegnazione conseguente alla scadenza temporale dell'incarico rivestito, vengano assegnati dal Consiglio superiore della magistratura con le seguenti modalità:

 

7.1) per il 70 per cento, i posti siano assegnati ai magistrati che esercitino da almeno tre anni funzioni giudicanti di secondo grado e che abbiano conseguito, l'idoneità nel concorso per soli titoli previsto dalla lettera f), numero 3), prima parte, tenuto conto del giudizio finale formulato al termine dell'apposito corso di formazione alle funzioni giudicanti di legittimità presso la Scuola superiore della magistratura di cui al comma 2 e del giudizio di idoneità formulato all'esito del concorso;

 

7.2) per il 30 per cento, i posti siano assegnati ai magistrati con funzioni giudicanti che abbiano svolto diciotto anni di servizio in magistratura ovvero ai magistrati che, pur non avendo svolto diciotto anni di servizio, abbiano esercitato per tre anni le funzioni giudicanti di secondo grado, e che abbiano conseguito l'idoneità nel concorso per titoli ed esami, scritti ed orali, previsto dalla lettera f), numero 3), seconda parte, tenuto conto del giudizio finale formulato al termine dell'apposito corso di formazione alle funzioni giudicanti di legittimità presso la Scuola superiore della magistratura di cui al comma 2 e del giudizio di idoneità formulato all'esito del concorso;

 

7.3) i posti di cui al numero 7.1), messi a concorso e non coperti, siano assegnati, ove possibile, ai magistrati dichiarati idonei nel concorso per titoli ed esami, scritti ed orali, indicato al numero 7.2) ed espletato nello stesso anno;

 

7.4) i posti di cui al numero 7.2), messi a concorso e non coperti, siano assegnati, ove possibile, ai magistrati dichiarati idonei nel concorso per soli titoli indicato al numero 7.1) ed espletato nello stesso anno;

 

7.5) il Consiglio superiore della magistratura, acquisito il parere motivato dei consigli giudiziari e gli ulteriori elementi di valutazione rilevanti ai fini del conferimento delle funzioni giudicanti di legittimità, assegni i posti di cui ai numeri 7.1), 7.2), 7.3) e 7.4) ai candidati risultati idonei nei relativi concorsi per soli titoli o per titoli ed esami, scritti ed orali;

 

8) ai fini di cui al numero 7), sia istituita una commissione composta da un magistrato che eserciti le funzioni direttive giudicanti di legittimità, da tre magistrati che esercitino le funzioni giudicanti di legittimità da almeno tre anni e da tre professori universitari di prima fascia in materie giuridiche, nominati dal Consiglio superiore della magistratura;

 

9) annualmente i posti vacanti residuati nelle funzioni requirenti di legittimità, come individuati all'esito delle determinazioni adottate dal Consiglio superiore della magistratura, previa acquisizione del parere motivato del consiglio giudiziario e del Consiglio direttivo della Corte di cassazione, sulle domande di riassegnazione alle funzioni di legittimità di provenienza presentate dai magistrati che esercitino funzioni direttive o semidirettive requirenti ovvero sulla loro riassegnazione conseguente alla scadenza temporale dell'incarico rivestito, vengano assegnati dal Consiglio superiore della magistratura con le seguenti modalità:

 

9.1) per il 70 per cento i posti siano assegnati ai magistrati che esercitino da almeno tre anni funzioni requirenti di secondo grado e che abbiano conseguito l'idoneità nel concorso per soli titoli previsto dalla lettera f), numero 3), prima parte, tenuto conto del giudizio finale formulato al termine dell'apposito corso di formazione alle funzioni requirenti di legittimità presso la Scuola superiore della magistratura di cui al comma 2 e del giudizio di idoneità formulato all'esito del concorso;

 

9.2) per il 30 per cento, i posti siano assegnati ai magistrati con funzioni requirenti che abbiano svolto diciotto anni di servizio in magistratura ovvero ai magistrati che, pur non avendo svolto diciotto anni di servizio, abbiano esercitato per tre anni le funzioni requirenti di secondo grado e che abbiano conseguito l'idoneità nel concorso per titoli ed esami, scritti ed orali, previsto dalla lettera f), numero 3), seconda parte, tenuto conto del giudizio finale formulato al termine dell'apposito corso di formazione alle funzioni requirenti di legittimità presso la Scuola superiore della magistratura di cui al comma 2 e del giudizio di idoneità formulato all'esito del concorso;

 

9.3) i posti di cui al numero 9.1), messi a concorso e non coperti, siano assegnati, ove possibile, ai magistrati dichiarati idonei nel concorso per titoli ed esami scritti ed orali, indicato al numero 9.2) ed espletato nello stesso anno;

 

9.4) i posti di cui al numero 9.2), messi a concorso e non coperti, siano assegnati, ove possibile, ai magistrati dichiarati idonei nel concorso per soli titoli indicato al numero 9.1) ed espletato nello stesso anno;

 

9.5) il Consiglio superiore della magistratura, acquisito il parere motivato dei consigli giudiziari egli ulteriori elementi di valutazione rilevati ai fini del conferimento delle funzioni requirenti di legittimità, assegni i posti di cui ai numeri 9.1), 9.2), 9.3) e 9.4) ai candidati risultati idonei nei relativi concorsi per soli titoli o per titoli ed esami, scritti ed orali;

 

10) ai fini di cui al numero 9), sia istituita una commissione composta da un magistrato che eserciti le funzioni direttive requirenti di legittimità da tre magistrati che esercitino le funzioni requirenti di legittimità da almeno tre anni e da tre professori universitari di prima fascia in materie giuridiche, nominati dal Consiglio superiore della magistratura;

 

11) nella individuazione e valutazione dei titoli ai fini dei concorsi previsti dalla presente lettera, sulla base di criteri oggettivi e predeterminati, si tenga conto prevalentemente, sotto il profilo sia quantitativo che qualitativo, dell'attività prestata dal magistrato nell'ambito delle sue funzioni giudiziarie, desunta da specifici e rilevanti elementi e da verificare anche mediante esame a campione, effettuato tramite sorteggio, dei provvedimenti dallo stesso adottati nonché dell'eventuale autorelazione e, in particolare, della complessità dei procedimenti trattati, degli esiti dei provvedimenti adottati, delle risultanze statistiche relative all'entità del lavoro svolto, tenuto specificamente conto della sede e dell'ufficio presso cui risulta assegnato il magistrato, con loro proiezione comparativa rispetto a quelle delle medie nazionali e dei magistrati in servizio presso lo stesso ufficio i titoli vengano valutati in modo tale che, ove possibile, i componenti della commissione esaminatrice non conoscano il nominativo del candidato; nei concorsi per titoli ed esami si proceda alla valutazione dei titoli solo in caso di esito positivo della prova di esame e la valutazione dei titoli incida in misura non inferiore al 50 per cento sulla formazione della votazione finale sulla cui base viene redatto l'ordine di graduatoria; nella valutazione dei titoli ai fini dell'assegnazione delle funzioni di sostituto procuratore presso la Direzione nazionale antimafia resta fermo quanto previsto in via preferenziale dall'articolo 76-bis, comma 4, dell'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12;

 

12) l'esito dei corsi di formazione alle funzioni di secondo grado e alle funzioni di legittimità abbia una validità di sette anni, salva la facoltà per il magistrato di partecipare in detto periodo ad un nuovo corso;

 

m) prevedere che:

 

1) i concorsi per gli incarichi direttivi consistano in una dichiarazione di idoneità allo svolgimento delle relative funzioni previa valutazione, da parte delle commissioni di cui ai numeri 9) e 10), dei titoli, della laboriosità del magistrato, nonché della sua capacità organizzativa; il Consiglio superiore della magistratura, acquisiti ulteriori elementi di valutazione ed il parere motivato dei consigli giudiziari e del Consiglio direttivo della Corte di cassazione qualora si tratti di funzioni direttive di secondo grado, proponga al Ministro della giustizia per il concerto le nomine nell'ambito dei candidati dichiarati idonei dalla commissione di concorso, tenuto conto del giudizio di idoneità espresso al termine del medesimo; sia effettuato il coordinamento della presente disposizione con quanto previsto dall'articolo 11 della legge 24 marzo 1958, n. 195, e successive modificazioni; il Ministro della giustizia, fuori dai casi di ricorso per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato in relazione a quanto previsto dall'articolo Il della predetta legge, possa ricorrere in sede di giustizia amministrativa contro le delibere concernenti il conferimento o la proroga di incarichi direttivi;

 

2) i concorsi per gli incarichi semidirettivi consistano in una dichiarazione di idoneità allo svolgimento delle relative funzioni previa valutazione, da parte delle commissioni di cui ai numeri 9) e 10), dei titoli, della laboriosità del magistrato, nonché della sua capacità organizzativa; il Consiglio superiore della magistratura, acquisiti ulteriori elementi di valutazione ed il parere motivato dei consigli giudiziari, assegni l'incarico semidirettivo nell'ambito dei candidati dichiarati idonei dalla commissione di concorso, tenuto conto del giudizio di idoneità espresso al termine del medesimo;

 

3) gli incarichi direttivi, ad esclusione di quelli indicati nella lettera i), abbiano carattere temporaneo e siano attribuiti per la durata di quattro anni, rinnovabili a domanda, acquisito il parere del Ministro della giustizia, previa valutazione positiva da parte del Consiglio superiore della magistratura, per un periodo ulteriore di due anni;

 

4) il magistrato, allo scadere del termine di cui al numero 3), possa concorrere per il conferimento di altri incarichi, direttivi di uguale grado in sedi poste fuori dal circondario di provenienza e per incarichi direttivi di grado superiore per sedi poste fuori dal distretto di provenienza, con esclusione di quello competente ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale; ai fini di quanto disposto dal presente numero si considerano di pari grado le funzioni direttive di primo grado e quelle di primo grado elevato;

 

5) alla scadenza del termine di cui al numero 3), il magistrato che abbia esercitato funzioni direttive, in assenza di domanda per il conferimento di altro ufficio, ovvero in ipotesi di reiezione della stessa, sia assegnato alle funzioni non direttive da ultimo esercitate nella sede di originaria provenienza, se vacante, ovvero in altra sede, senza maggiori oneri per il bilancio dello Stato;

 

6) gli incarichi semidirettivi requirenti di primo e di secondo grado abbiano carattere temporaneo e siano attribuiti per la durata di sei anni;

 

7) il magistrato che esercita funzioni semidirettive requirenti, allo scadere del termine di cui al numero 6), possa concorre per il conferimento di altri incarichi semidirettivi o di incarichi direttivi di primo grado e di primo grado elevato in sedi poste fuori dal circondario di provenienza nonché di incarichi direttivi di secondo grado in sedi poste fuori dal distretto di provenienza, con esclusione di quello competente ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale;

 

8) alla scadenza del termine di cui al numero 6), il magistrato che abbia esercitato funzioni semidirettive requirenti, in assenza di domanda per il conferimento di altro ufficio, ovvero in ipotesi di reiezione della stessa, sia assegnato alle funzioni non direttive da ultimo esercitate nella sede di originaria provenienza, se vacante, ovvero in altra sede, senza maggiori oneri per il bilancio dello Stato;

 

9) sia istituita una commissione di esame alle funzioni direttive giudicanti e alle funzioni semidirettive giudicanti, composta da un magistrato che eserciti le funzioni direttive giudicanti di legittimità, da tre a cinque magistrati che esercitino le funzioni giudicanti di legittimità e da due magistrati che esercitino le funzioni giudicanti di secondo grado, nonché da tre professori universitari di prima fascia in materie giuridiche, nominati dal Consiglio superiore della magistratura;

 

10) sia istituita una commissione di esame alle funzioni direttive requirenti e alle funzioni semidirettive requirenti, composta da un magistrato che eserciti le funzioni direttive requirenti di legittimità, da tre a cinque magistrati che esercitino le funzioni requirenti di legittimità e da due magistrati che esercitino le funzioni requirenti di secondo grado, nonché da tre professori universitari di prima fascia in materie giuridiche, nominati dal Consiglio superiore della magistratura;

 

11) ai fini di cui ai numeri 1) e 2) i titoli vengano individuati con riferimento alla loro specifica rilevanza ai fini della verifica delle attitudini allo svolgimento di funzioni direttive o semidirettive; fermo restando il possesso dei requisiti indicati dalle lettere h) ed i) per il conferimento delle funzioni direttive o semidirettive, il pregresso esercizio di funzioni direttive o semidirettive costituisce titolo preferenziale; in ogni caso si applichino le disposizioni di cui alla lettera l), numero 11); per le funzioni semidirettive giudicanti si tenga adeguatamente conto della pregressa esperienza maturata dal magistrato nello specifico settore oggetto dei procedimenti trattati dalla sezione di tribunale o di corte di appello la cui presidenza è messa a concorso; nella valutazione dei titoli ai fini dell'assegnazione delle funzioni direttive di Procuratore nazionale antimafia resta fermo quanto previsto in via preferenziale dall'articolo 76-bis, comma 2, primo periodo, dell'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12;

 

n) prevedere che le disposizioni dei numeri 1), 3), 5) e 10) della lettera m) si applichino anche per il conferimento dell'incarico di Procuratore nazionale antimafia e che, alla scadenza del termine di cui al citato numero 3) il magistrato che abbia esercitato le funzioni di Procuratore nazionale antimafia possa concorrere per il conferimento di altri incarichi direttivi requirenti ubicati in distretto diverso da quello competente ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale;

 

 

o) prevedere che, ai fini dell'applicazione delle disposizioni della presente legge, il periodo trascorso dal magistrato fuori dal ruolo organico della magistratura sia equiparata all'esercizio delle ultime funzioni giurisdizionali svolte e il ricollocamento in ruolo, senza maggiori oneri per il bilancio dello Stato, avvenga nella medesima sede, se vacante, o in altri sede, e nelle medesime funzioni, ovvero, nel caso di cessato esercizio di una funzione elettiva extragiudiziaria, salvo che il magistrato svolgesse le sue funzioni presso la Corte di cassazione o la Procura generale presso la Corte di cassazione o la Direzione nazionale antimafia, in una sede diversa vacante, appartenente ad un distretto sito in una regione diversa da quella in cui è ubicato il distretto presso cui è posta la sede di provenienza nonché in una regione diversa da quella in cui, in tutto o in parte, è ubicato il territorio della circoscrizione nella quale il magistrato è stato eletto; prevedere che, fatta eccezione per i magistrati in aspettativa per mandato parlamentare e per i magistrati eletti al Consiglio superiore della magistratura, il collocamento fuori ruolo non possa superare il periodo massimo complessivo di dieci anni. In ogni caso i magistrati collocati fuori dal ruolo organico in quanto componenti elettivi del Consiglio superiore della magistratura ovvero per mandato parlamentare non possono partecipare ai concorsi previsti dalla presente legge. Resta fermo quanto previsto dal secondo comma dell'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre 1958, n. 916, e successive modificazioni;

 

 

p) prevedere che:

 

1) le commissioni di cui alle lettere l) e m) siano nominate per due anni e siano automaticamente prorogate sino all'esaurimento delle procedure concorsuali in via di espletamento;

 

2) i componenti delle predette commissioni, ad eccezione dei magistrati che esercitino funzioni direttive requirenti di legittimità, non siano immediatamente confermabili e non possano essere nuovamente nominati prima che siano decorsi tre anni dalla cessazione dell'incarico;

 

q) prevedere che:

 

1) la progressione economica dei magistrati si articoli automaticamente secondo le seguenti classi di anzianità, salvo quanto previsto dai numeri 2) e 3) e fermo restando il migliore trattamento economico eventualmente conseguito:

 

1.1) prima classe: dalla data del decreto di nomina a sei mesi;

 

1.2) seconda classe: da sei mesi a due anni;

 

1.3) terza classe: da due a cinque anni;

 

1.4) quarta classe: da cinque a tredici anni;

 

1.5) quinta classe: da tredici a venti anni;

 

1.6) sesta classe: da venti a ventotto anni;

 

1.7) settima classe: da ventotto anni in poi;

 

2) i magistrati che conseguono le funzioni di secondo grado a seguito del concorso per titoli ed esami, scritti ed orali, di cui alla lettera f), numero 2), prima parte, conseguano la quinta classe di anzianità;

 

3) i magistrati che conseguono le funzioni di legittimità a seguito dei concorsi di cui alla lettera f), numero 3), conseguano la sesta classe di anzianità;

 

r) prevedere che il magistrato possa rimanere in servizio presso lo stesso ufficio svolgendo il medesimo incarico per un periodo massimo di dieci anni, con facoltà di proroga del predetto termine per non oltre due anni, previa valutazione del Consiglio superiore della magistratura fondata su comprovate esigenze di funzionamento dell'ufficio e comunque con possibilità di condurre a conclusione eventuali processi di particolare complessità nei quali il magistrato sia impegnato alla scadenza del termine; prevedere che non possano essere assegnati ai magistrati per i quali è in scadenza il termine di permanenza di cui sopra procedimenti la cui definizione non appare probabile entro il termine di scadenza; prevedere che la presente disposizione non si applichi ai magistrati che esercitano funzioni di legittimità;

 

 

s) prevedere che:

 

1) siano attribuite al magistrato capo dell'ufficio giudiziario la titolarità e la rappresentanza dell'ufficio nel suo complesso, nei rapporti con enti istituzionali e con i rappresentanti degli altri uffici giudiziari, nonché la competenza ad adottare i provvedimenti necessari per l'organizzazione dell'attività giudiziaria e, comunque, concernenti la gestione del personale di magistratura ed il suo stato giuridico;

 

2) siano indicati i criteri per l'assegnazione al dirigente dell'ufficio di cancelleria o di segreteria delle risorse finanziarie e strumentali necessarie per l'espletamento del suo mandato, riconoscendogli la competenza ad adottare atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, anche nel caso in cui comportino oneri di spesa, definendone i limiti;

 

3) sia assegnata al dirigente dell'ufficio di cancelleria o di segreteria la gestione delle risorse di personale amministrativo in coerenza con gli indirizzi del magistrato capo dell'ufficio e con il programma annuale delle attività e gli sia attribuito l'esercizio dei poteri di cui all'articolo 55, comma 4, terzo periodo, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165;

 

4) entro trenta giorni dall'emanazione della direttiva del Ministro della giustizia di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e comunque non oltre il 15 febbraio di ciascun anno, il magistrato capo dell'ufficio giudiziario ed il dirigente dell'ufficio di cancelleria o segreteria predispongano, tenendo conto delle risorse disponibili ed indicando le priorità, il programma delle attività da svolgersi nel corso dell'anno; il magistrato capo dell'ufficio giudiziario ed il dirigente dell'ufficio di cancelleria o segreteria possano apportare eventuali modifiche al programma nel corso dell'anno; nell'ipotesi di mancata predisposizione o esecuzione del programma, oppure di mancata adozione di modifiche divenute indispensabili per la funzionalità dell'ufficio giudiziario, siano attribuiti al Ministro della giustizia, specificandone condizioni e modalità di esercizio, poteri di intervento in conformità a quanto previsto dall'articolo 14 del decreto legislativo n. 165 del 2001, nonché poteri decisionali circa le rispettive competenze;

 

t) prevedere che:

 

1) presso le corti di appello di Roma, Milano, Napoli e Palermo, l'organizzazione tecnica e la gestione dei servizi non aventi carattere giurisdizionale siano affidate a un direttore tecnico, avente la qualifica di dirigente generale, nominato dal Ministro della giustizia, al quale sono attribuiti i compiti di gestione e controllo delle risorse umane, finanziarie e strumentali relative ai servizi tecnico-amministrativi degli uffici giudicanti e requirenti del distretto, di razionalizzazione ed organizzazione del loro utilizzo, nonché i compiti di programmare la necessità di nuove strutture tecniche e logistiche e di provvedere al loro costante aggiornamento, nonché di pianificare il loro utilizzo in relazione al carico giudiziario esistente, alla prevedibile evoluzione di esso e alle esigenze di carattere sociale nel rapporto tra i cittadini e la giustizia;

 

2) per ciascuna corte di appello di cui al numero 1):

 

2.1) sia istituita una struttura tecnico-amministrativa di supporto all'attività del direttore tecnico, composta da 11 unità, di cui 2 appartenenti alla posizione economica C2, 3 alla posizione economica C1, 3 alla posizione economica B3 e 3 alla posizione economica B2 e che, nell'ambito di dette posizioni economiche, in sede di prima applicazione, sia possibile avvalersi di personale tecnico estraneo all'Amministrazione;

 

2.2) le strutture di cui al numero 2.1) siano allestite attraverso il ricorso allo strumento della locazione finanziaria.

 

2. Nell'attuazione della delega, di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:

 

a) prevedere l'istituzione come ente autonomo della Scuola superiore della magistratura quale struttura didattica stabilmente preposta:

 

1) all'organizzazione e alla gestione del tirocinio e della formazione degli uditori giudiziari, curando che la stessa sia attuata sotto i profili tecnico, operativo e deontologico;

 

2) all'organizzazione dei corsi di aggiornamento professionale e di formazione dei magistrati, curando che la stessa sia attuata sotto i profili tecnico, operativo e deontologico;

 

3) ,alla promozione di iniziative e scambi culturali, incontri di studio e ricerca;

 

4) all'offerta di formazione di magistrati stranieri, nel quadro degli accordi internazionali di cooperazione tecnica in materia giudiziaria;

 

b) prevedere che la Scuola superiore della magistratura sia fornita di autonomia contabile, giuridica, organizzativa e funzionale ed utilizzi personale dell'organico del Ministero della giustizia, ovvero comandato da altre amministrazioni, in numero non superiore a cinquanta unità, con risorse finanziarie a carico del bilancio dello stesso Ministero;

 

c) prevedere che la Scuola superiore della magistratura sia articolata in due sezioni, l'una destinata al tirocinio degli uditori giudiziari, l'altra all'aggiornamento professionale e alla formazione dei magistrati;

 

d) prevedere che il tirocinio abbia la durata di ventiquattro mesi e che sia articolato in sessioni della durata di sei mesi quella presso la Scuola superiore della magistratura e di diciotto mesi quella presso gli uffici giudiziari, dei quali sette mesi in un collegio giudicante, tre mesi in un ufficio requirente di primo grado e otto mesi in un ufficio corrispondente a quello di prima destinazione;

 

e) prevedere modalità differenti di svolgimento del tirocinio che tengano conto della diversità delle funzioni, giudicanti e requirenti, che gli uditori saranno chiamati a svolgere;

 

f) prevedere che nelle sessioni presso la Scuola superiore della magistratura gli uditori giudiziari ricevano insegnamento da docenti di elevata competenza e autorevolezza, scelti secondo princìpi di ampio pluralismo culturale, e siano seguiti assiduamente da tutori scelti tra i docenti della Scuola;

 

 

g) prevedere che per ogni sessione sia compilata una scheda valutativa dell'uditore giudiziario;

 

h) prevedere che, in esito al tirocinio, sia formulata da parte della Scuola, tenendo conto di tutti i giudizi espressi sull'uditore nel corso dello stesso, una valutazione di idoneità all'assunzione delle funzioni giudiziarie sulla cui base il Consiglio superiore della magistratura delibera in via finale;

 

i) prevedere che, in caso di deliberazione finale negativa, l'uditore possa essere ammesso ad un ulteriore periodo di tirocinio, di durata non superiore a un anno, e che da un'ulteriore deliberazione negativa derivi la cessazione del rapporto di impiego;

 

l) prevedere che la Scuola superiore della magistratura sia diretta da un comitato che dura in carica quattro anni, composto dal primo Presidente della Corte di cassazione o da un magistrato dallo stesso delegato, dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione o da un magistrato dallo stesso delegato, da due magistrati ordinari nominati dal Consiglio superiore della magistratura, da un avvocato con almeno quindici anni di esercizio della professione nominato dal Consiglio nazionale forense, da un componente professore universitario ordinario in materie giuridiche nominato dal Consiglio universitario nazionale e da un membro nominato dal Ministro della giustizia; prevedere che nell'ambito del comitato, i componenti eleggano il presidente; prevedere che i componenti del comitato, diversi dal primo Presidente della Corte di cassazione, dal Procuratore generale presso la stessa e dai loro eventuali delegati, non siano immediatamente rinnovabili e non possano far parte delle commissioni di concorso per uditore giudiziario;

 

m) prevedere un comitato di gestione per ciascuna sezione, chiamato a dare attuazione alla programmazione annuale per il proprio ambito di competenza, a definire il contenuto analitico di ciascuna sessione e ad individuare i docenti, a fissare i criteri di ammissione alle sessioni di formazione, ad offrire ogni utile sussidio didattico e a sperimentare formule didattiche, a seguire lo svolgimento delle sessioni ed a presentare relazioni consuntive all'esito di ciascuna, a curare il tirocinio nelle fasi effettuate presso la Scuola selezionando i tutori nonché i docenti stabili e quelli occasionali; prevedere che, in ciascuna sezione, il comitato di gestione sia formato da un congruo numero di componenti, comunque non superiore a cinque, nominati dal comitato direttivo di cui alla lettera l);

 

n) prevedere che, nella programmazione dell'attività didattica, il comitato direttivo di cui alla lettera l) possa avvalersi delle proposte del Consiglio superiore della magistratura, del Ministro della giustizia, del Consiglio nazionale forense, dei consigli giudiziari, del Consiglio direttivo della Corte di cassazione, nonché delle proposte dei componenti del Consiglio universitario nazionale esperti in materie giuridiche;

 

o) prevedere l'obbligo del magistrato a partecipare ogni cinque anni, se non vi ostano comprovate e motivate esigenze organizzative e funzionali degli uffici giudiziari di appartenenza, ai corsi di aggiornamento professionale e a quelli di formazione conseguente riconoscimento di un corrispondente periodo di congedo retribuito; in ogni caso assicurare il diritto del magistrato a partecipare ai corsi di formazione funzionali al passaggio a funzioni superiori il cui esito abbia la validità prevista dal comma 1, lettera l), numero 12), con facoltà del capo dell'ufficio di rinviare la partecipazione al corso per un periodo non superiore a sei mesi;

 

p) stabilire che, al termine del corso di aggiornamento professionale, sia formulata una valutazione che contenga elementi di verifica attitudinale e di proficua partecipazione del magistrato al corso, modulata secondo la tipologia del corso, da inserire nel fascicolo personale del magistrato, al fine di costituire elemento per le valutazioni operate dal Consiglio superiore della magistratura;

 

q) prevedere che il magistrato, il quale abbia partecipato ai corsi di aggiornamento professionale organizzati dalla Scuola superiore della magistratura, possa nuovamente parteciparvi trascorso almeno un anno;

 

r) prevedere che vengano istituite sino a tre sedi della Scuola superiore della magistratura a competenza interregionale;

 

s) prevedere che, al settimo anno dall'ingresso in magistratura, i magistrati che non abbiano effettuato il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti o viceversa, previsto dal comma 1, lettera g), numeri 1) e 3), debbano frequentare presso la Scuola superiore della magistratura il corso di aggiornamento e formazione alle funzioni da loro svolte e, all'esito, siano sottoposti dal Consiglio superiore della magistratura, secondo i criteri indicati alla lettera t), a giudizio di idoneità per l'esercizio in via definitiva delle funzioni medesime; che, in caso di esito negativo, il giudizio di idoneità debba essere ripetuto per non più di due volte, con l'intervallo di un biennio tra un giudizio e l'altro; che, in caso di esito negativo di tre giudizi consecutivi, si applichi l'articolo 3 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, come modificato ai sensi del comma 6, lettera o), del presente articolo;

 

t) prevedere che i magistrati, i quali non hanno sostenuto i concorsi per le funzioni di secondo grado o di legittimità, dopo aver frequentato l'apposito corso di aggiornamento e formazione presso la Scuola superiore della magistratura, il cui esito è valutato dal Consiglio superiore della magistratura, siano sottoposti da parte di quest'ultimo a valutazioni periodiche di professionalità, desunte dall'attività giudiziaria e scientifica, dalla produttività, dalla laboriosità, dalla capacità tecnica, dall'equilibrio, dalla disponibilità alle esigenze del servizio, dal tratto con tutti i soggetti processuali, dalla deontologia, nonché dalle valutazioni di cui alla lettera p); prevedere che le valutazioni di cui alla presente lettera debbano avvenire al compimento del tredicesimo, ventesimo e ventottesimo anno dall'ingresso in magistratura e che il passaggio rispettivamente alla quinta, alla sesta ed alla settima classe stipendiale, possa essere disposto solo in caso di valutazione positiva, prevedere che, in caso di esito negativo, la valutazione debba essere ripetuta per non più di due volte, con l'intervallo, di un biennio tra una valutazione e l'altra; prevedere che, in caso di esito negativo, di tre valutazioni consecutive, si applichi l'articolo 3 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, come modificato ai sensi del comma 6, lettera o), del presente articolo;

 

u) prevedere che, per i magistrati che hanno sostenuto i concorsi per il conferimento delle funzioni di secondo grado o di legittimità e non abbiano ottenuto i relativi posti, la commissione di concorso comunichi al Consiglio superiore della magistratura l'elenco di coloro i quali, per inidoneità, non devono essere esentati dalle valutazioni periodiche di professionalità.

 

3. Nell'attuazione della delega di cui all'articolo 1, comma 1, lettera c) il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a) prevedere l'istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione, composto, oltre che dai membri di diritto di cui alla lettera c), da un magistrato che eserciti funzioni direttive giudicanti di legittimità, da un magistrato che eserciti funzioni direttive requirenti di legittimità, da due magistrati che esercitino effettive funzioni giudicanti di legittimità in servizio presso la Corte di cassazione, da un magistrato che eserciti effettive funzioni requirenti di legittimità in servizio presso la Procura generale della Corte di cassazione, da un professore ordinario di università in materie giuridiche e da un avvocato con venti anni di esercizio della professione che sia iscritto da almeno cinque anni nell'albo speciale per le giurisdizioni superiori di cui all'articolo 33 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36;

 

b) prevedere che i componenti non togati del Consiglio direttivo della Corte di cassazione siano designati, rispettivamente, dal Consiglio universitario nazionale e dal Consiglio nazionale forense;

 

c) prevedere che membri di diritto del Consiglio direttivo della Corte di cassazione siano il primo Presidente, il Procuratore generale della medesima Corte e il Presidente del Consiglio nazionale forense;

 

d) prevedere che il Consiglio direttivo della Corte di cassazione sia presieduto dal primo Presidente ed elegga a scrutinio segreto, al suo interno, un vice presidente scelto tra i componenti non togati, ed un segretario;

 

e) prevedere che al Consiglio direttivo della Corte di cassazione si applichino, in quanto compatibili, le disposizioni dettate alle lettere n), o), r) e v) per i consigli giudiziari presso le corti d'appello;

 

f) prevedere che i consigli giudiziari presso le corti d'appello nei distretti nei quali prestino servizio fino a trecentocinquanta magistrati ordinari siano composti, oltre che dai membri di diritto di cui alla lettera l), da cinque magistrati in servizio presso gli uffici giudiziari del distretto, da quattro membri non togati, di cui uno nominato tra i professori universitari in materie giuridiche, uno tra gli avvocati che abbiano almeno quindici anni di effettivo esercizio della professione e due dal consiglio regionale della regione ove ha sede il distretto, o nella quale rientra la maggiore estensione del territorio su cui hanno competenza gli uffici del distretto, eletti con maggioranza qualificata tra persone estranee al consiglio medesimo, nonché da un rappresentante eletto dai giudici di pace del distretto nel loro ambito;

 

g) prevedere che nei distretti nei quali prestino servizio oltre trecentocinquanta magistrati ordinari, i consigli giudiziari siano composti, oltre che dai membri di diritto di cui alla lettera l), da sette magistrati in servizio presso uffici giudiziari del distretto, da quattro membri non togati, dei quali uno nominato tra i professori universitari in materie giuridiche, uno nominato tra gli avvocati con almeno quindici anni di effettivo esercizio della professione e due nominati dal consiglio regionale della regione ove ha sede il distretto, o nella quale rientra la maggiore estensione del territorio su cui hanno competenza gli uffici del distretto, eletti con maggioranza qualificata tra persone estranee al medesimo consiglio, nonché da un rappresentante eletto dai giudici di pace del distretto nel loro ambito;

 

h) prevedere che i componenti supplenti del consiglio giudiziario siano cinque, due dei quali magistrati che esercitano, rispettivamente, funzioni requirenti e giudicanti nel distretto e tre componenti non togati nominati con lo stesso criterio di cui alle lettere f) e g), riservandosi un posto per ciascuna delle tre categorie non togate indicate nelle medesime lettere f) e g);

 

i) prevedere che i componenti avvocati e professori universitari siano nominati, rispettivamente, dal Consiglio nazionale forense ovvero dal Consiglio universitario nazionale, su indicazione dei consigli dell'ordine degli avvocati del distretto e dei presidi delle facoltà di giurisprudenza delle università della regione;

 

l) prevedere che membri di diritto del consiglio giudiziario siano il presidente, il procuratore generale della corte d'appello ed il presidente del consiglio dell'ordine degli avvocati avente sede nel capoluogo del distretto;

 

m) prevedere che il consiglio giudiziario sia presieduto dal presidente della corte d'appello ed elegga a scrutinio segreto, al suo interno, un vice presidente scelto tra i componenti non legati, ed un segretario;

 

n) prevedere che il consiglio giudiziario duri in carica quattro anni e che i componenti non possano essere immediatamente confermati;

 

o) prevedere che l'elezione dei componenti togati del consiglio giudiziario avvenga in un collegio unico distrettuale con il medesimo sistema vigente per l'elezione dei componenti togati del Consiglio superiore della magistratura, in quanto compatibile, così da attribuire tre seggi a magistrati che esercitano funzioni giudicanti e due seggi a magistrati che esercitano funzioni requirenti nei distretti che comprendo fino a trecentocinquanta magistrati, quattro seggi a magistrati che esercitano funzioni giudicanti e tre seggi a magistrati che esercitano funzioni requirenti nei distretti che comprendono oltre trecentocinquanta magistrati;

p) prevedere che dei componenti togati del consiglio giudiziario che esercitano funzioni giudicanti uno abbia maturato un'anzianità di servizio non inferiore a venti anni;

 

q) prevedere che la nomina dei componenti supplenti del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari presso le corti d'appello avvenga secondo i medesimi criteri indicati per la nomina dei titolari;

 

r) prevedere che al consiglio giudiziario vengano attribuite le seguenti competenze:

 

1) parere sulle tabelle proposte dai titolari degli uffici, nel rispetto dei criteri generali indicati dalla legge;

 

2) formulazione di pareri, anche su richiesta del Consiglio superiore della magistratura, sull'attività dei magistrati sotto il profilo della preparazione, della capacità tecnico-professionale, della laboriosità, della diligenza, dell'equilibrio nell'esercizio delle funzioni, e comunque nelle ipotesi previste dal comma 1 e nei periodi intermedi di permanenza nella qualifica. Ai fini sopra indicati, il consiglio giudiziario dovrà acquisire le motivate e dettagliate valutazioni del consiglio dell'ordine degli avvocati avente sede nel luogo ove il magistrato esercita le sue funzioni e, se non coincidente, anche del consiglio dell'ordine degli avvocati avente sede nel capoluogo del distretto;

 

3) vigilanza sul comportamento dei magistrati con obbligo di segnalare i fatti disciplinarmente rilevanti ai titolari dell'azione disciplinare;

 

4) vigilanza sull'andamento degli uffici giudiziari nel distretto, con segnalazione delle eventuali disfunzioni rilevate al Ministro della giustizia;

 

5) formulazione di pareri e proposte sull'organizzazione ed il funzionamento degli uffici del giudice di pace del distretto;

 

6) adozione di provvedimenti relativi allo stato dei magistrati, con particolare riferimento a quelli relativi ad aspettative e congedi, dipendenza di infermità da cause di servizio, equo indennizzo, pensioni privilegiate, concessione di sussidi;

 

7) formulazione di pareri, anche su richiesta del Consiglio superiore della magistratura, in ordine all'adozione da parte del medesimo Consiglio di provvedimenti inerenti collocamenti a riposo, dimissioni, decadenze dall'impiego, concessioni di titoli onorifici, riammissioni in magistratura;

 

s) prevedere che i consigli giudiziari formulino pareri, anche su richiesta del Consiglio superiore della magistratura, su materie attinenti ad ulteriori competenze ad essi attribuite;

 

t) coordinare con quanto previsto dalla presente legge le disposizioni vigenti che prevedono ulteriori competenze dei consigli giudiziari;

 

u) prevedere che i componenti designati dal consiglio regionale prendano parte esclusivamente alle riunioni, alle discussioni ed alle deliberazioni inerenti le materie di cui alla lettera r), numeri 1), 4) e 5);

 

v) prevedere che gli avvocati, i professori ed il rappresentante dei giudici di pace che compongono il consiglio giudiziario possano prendere parte solo alle discussioni e deliberazioni concernenti le materie di cui alla lettera r), numeri 1), 4) e 5). Il rappresentante dei giudici di pace, inoltre, partecipa alle discussioni e deliberazioni di cui agli articoli 4, 4-bis, 7, comma 2-bis, e 9, comma 4, della legge 21 novembre 1991, n. 374.

 

4. Nell'attuazione della delega di cui all'articolo l, comma l, lettera d), il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a) prevedere che il procuratore della Repubblica, quale preposto all'ufficio del pubblico ministero, sia il titolare esclusivo dell'azione penale e che la eserciti sotto la sua responsabilità nei modi e nei termini stabiliti dalla legge, assicurando il corretto ed uniforme esercizio della stessa e delle norme sul giusto processo;

 

b) prevedere che il procuratore della Repubblica possa delegare un procuratore aggiunto alla funzione del vicario, nonché uno o più procuratori aggiunti ovvero uno o più magistrati del proprio ufficio perché lo coadiuvino nella gestione per il compimento di singoli atti, per la trattazione di uno o più procedimenti o nella gestione dell'attività di un settore di affari;

 

c) prevedere che il procuratore della Repubblica determini i criteri per l'organizzazione dell'ufficio e quelli ai quali si uniformerà nell'assegnazione della trattazione dei procedimenti ai procuratori aggiunti o ai magistrati del proprio ufficio, precisando per quali tipologie di reato riterrà di adottare meccanismi di natura automatica; di tali criteri il procuratore della Repubblica deve dare comunicazione al Consiglio superiore della magistratura; prevedere che il procuratore della Repubblica possa determinare i criteri cui i procuratori aggiunti o i magistrati delegati ai sensi della lettera b) devono attenersi nell'adempimento della delega, con facoltà di revoca in caso di divergenza o di inosservanza dei criteri; prevedere che il procuratore della Repubblica trasmetta al Procuratore generale presso la Corte di cassazione il provvedimento di revoca della delega alla trattazione di un procedimento e le eventuali osservazioni formulate dal magistrato o dal procuratore aggiunto cui è stata revocata la delega; che il provvedimento di revoca e le osservazioni vengano acquisiti nei relativi fascicoli personali; prevedere che il procuratore della Repubblica possa determinare i criteri generali cui i magistrati addetti all'ufficio devono attenersi nell'impiego della polizia giudiziaria, nell'utilizzo delle risorse finanziarie e tecnologiche dell'ufficio e nella impostazione delle indagini;

 

d) prevedere che alla data di acquisto di efficacia del primo dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, comma l, lettera d), sia abrogato l'articolo 7-ter, comma 3, dell'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, introdotto dall'articolo 6 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51;

 

e) prevedere che gli atti di ufficio, che incidano o richiedano di incidere su diritti reali o sulla libertà personale, siano assunti previo assenso del procuratore della Repubblica ovvero del procuratore aggiunto o del magistrato eventualmente delegato ai sensi della lettera b); prevedere tuttavia che le disposizioni della presente lettera non si applichino nelle ipotesi in cui la misura cautelare personale o reale è richiesta in sede di convalida del fermo o dell'arresto o del sequestro ovvero, limitatamente alle misure cautelari reali, nelle ipotesi che il procuratore della Repubblica, in ragione del valore del bene o della rilevanza del fatto per cui si procede, riterrà di dovere indicare con apposita direttiva;

 

f) prevedere che il procuratore della Repubblica tenga personalmente, o tramite magistrato appositamente delegato, i rapporti con gli organi di informazione e che tutte le informazioni sulle attività dell'ufficio vengano attribuite impersonalmente allo stesso; prevedere che il procuratore della Repubblica segnali obbligatoriamente al consiglio giudiziario, ai fini di quanto previsto al comma 3, lettera r), numero 3), i comportamenti dei magistrati del proprio ufficio che siano in contrasto con la disposizione di cui sopra;

 

g) prevedere che il procuratore generale presso la corte di appello, al fine di verificare il corretto ed uniforme esercizio dell'azione penale, nonché il rispetto dell'adempimento degli obblighi di cui alla lettera a), acquisisca dalle procure del distretto dati e notizie, relazionando annualmente, oltre che quando lo ritenga necessario, al Procuratore generale presso la Corte di cassazione;

 

h) prevedere, relativamente ai procedimenti riguardanti i reati indicati nell'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, che sia fatto salvo quanto previsto dall'articolo 70-bis dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni.

 

5. Nell'attuazione della delega di cui all'articolo 1, comma 1, lettera e), il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:

 

a) prevedere la soppressione di quindici posti di magistrato d'appello previsti in organico presso la Corte di cassazione nonché di tutti i posti di magistrato d'appello destinato alla Procura generale presso la Corte di cassazione e la loro sostituzione con altrettanti posti di magistrato di cassazione, presso i rispettivi uffici;

 

b) prevedere la soppressione di quindici posti di magistrato d'appello previsti in organico presso la Corte di cassazione la loro sostituzione con altrettanti posti di magistrato di tribunale;

 

c) prevedere che della pianta organica della Corte di cassazione facciano parte trentasette magistrati con qualifica non inferiore a magistrato di tribunale con non meno di cinque anni di esercizio delle funzioni di merito destinati a prestare servizio presso l'ufficio del massimario e del ruolo;

 

d) prevedere che il servizio prestato per almeno otto anni presso l'ufficio del massimario e del ruolo della Corte di cassazione costituisca, a parità di graduatoria, titolo preferenziale nell'attribuzione delle funzioni giudicanti di legittimità;

 

e) prevedere l'abrogazione dell'articolo 116 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, e prevedere che all'articolo 117 e alla relativa rubrica del citato ordinamento giudiziario di cui al regio decreto n. 12 del 1941 siano soppresse le parole: «di appello e».

 

6. Nell'attuazione della delega di cui all'articolo 1, comma 1, lettera f), il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:

 

a) provvedere alla tipizzazione delle ipotesi di illecito disciplinare dei magistrati, sia inerenti l'esercizio della funzione sia estranee alla stessa, garantendo comunque la necessaria completezza della disciplina con adeguate norme di chiusura, nonché all'individuazione delle relative sanzioni;

 

b) prevedere:

 

1) che il magistrato debba esercitare le funzioni attribuitegli, con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo ed equilibrio;

 

2) che in ogni atto di esercizio delle funzioni il magistrato debba rispettare la dignità della persona;

 

3) che anche fuori dall'esercizio delle sue funzioni il magistrato non debba tenere comportamenti, ancorché legittimi, che compromettano la credibilità personale, il prestigio e il decoro del magistrato o il prestigio dell'istituzione;

 

4) che la violazione dei predetti doveri costituisca illecito disciplinare perseguibile nelle ipotesi previste dalle lettere c), d) ed e);

 

c) salvo quanto stabilito dal numero 11), prevedere che costituiscano illeciti disciplinari nell'esercizio delle funzioni:

 

1) i comportamenti che, violando i doveri di cui alla lettera b), arrecano ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti; l'omissione della comunicazione al Consiglio superiore della magistratura della sussistenza di una delle situazioni di incompatibilità di cui agli articoli 18 e 19 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, come modificati ai sensi della lettera p); la consapevole inosservanza dell'obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge;

 

2) i comportamenti abitualmente o gravemente scorretti nei confronti delle parti, dei loro difensori, dei testimoni o di chiunque abbia rapporti con il magistrato nell'ambito dell'ufficio giudiziario, ovvero nei confronti di altri magistrati o di collaboratori; l'ingiustificata interferenza nell'attività giudiziaria di altro magistrato; l'omessa comunicazione al capo dell'ufficio delle avvenute interferenze da parte del magistrato destinatario delle medesime;

 

3) la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile; il travisamento dei fatti determinato da negligenza inescusabile; il perseguimento di fini diversi da quelli di giustizia; l'emissione di provvedimenti privi di motivazione, ovvero la cui motivazione consiste nella sola affermazione della sussistenza dei presupposti di legge senza indicazione degli elementi di fatto dai quali tale sussistenza risulti, quando la motivazione è richiesta dalla legge; l'adozione di provvedimenti non consentiti dalla legge che abbiano leso diritti personali o, in modo rilevante, diritti patrimoniali; la reiterata o grave inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio giudiziario adottate dagli organi competenti; l'indebito affidamento ad altri del proprio lavoro; l'inosservanza dell'obbligo di risiedere nel comune in cui ha sede l'ufficio, se manca l'autorizzazione prevista dalle norme vigenti e ne sia derivato concreto pregiudizio all'adempimento dei doveri di diligenza e laboriosità;

 

4) il reiterato, grave o ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni; il sottrarsi in modo abituale e ingiustificato al lavoro giudiziario; per il dirigente dell'ufficio o il presidente di una sezione o il presidente di un collegio l'omettere di assegnarsi affari e di redigere i relativi provvedimenti; l'inosservanza dell'obbligo di rendersi reperibile per esigenze di ufficio quando esso sia imposto dalla legge o da disposizione legittima dell'organo competente;

 

5) i comportamenti che determinano la divulgazione di atti del procedimento coperti dal segreto o di cui sia previsto il divieto di pubblicazione, nonché la violazione del dovere di riservatezza sugli affari in corso di trattazione, o sugli affari definiti, quando è idonea a ledere diritti altrui; pubbliche dichiarazioni o interviste che, sotto qualsiasi profilo, riguardino i soggetti a qualsivoglia titolo coinvolti negli affari in corso di trattazione e che non siano stati definiti con sentenza passata in giudicato;

 

6) il tenere rapporti in relazione all'attività del proprio ufficio con gli organi di informazione al di fuori delle modalità previste al comma 4, lettera f); il sollecitare la pubblicità di notizie attinenti alla propria attività di ufficio ovvero il costituire e l'utilizzare canali informativi personali riservati o privilegiati; il rilasciare dichiarazioni e interviste in violazione dei criteri di equilibrio e di misura;

 

7) l'adozione intenzionale di provvedimenti affetti da palese incompatibilità tra la parte dispositiva e la motivazione, tali da manifestare una precostituita e inequivocabile contraddizione sul piano logico, contenutistico o argomentativo;

 

8) l'omissione, da parte del dirigente l'ufficio o del presidente di una sezione o di un collegio, della comunicazione agli organi competenti di fatti che possono costituire illeciti disciplinari compiuti da magistrati dell'ufficio, della sezione o del collegio; l'omissione, da parte del dirigente l'ufficio ovvero da parte del magistrato cui competere il potere di sorveglianza della comunicazione al Consiglio superiore della magistratura della sussistenza di una delle situazioni di incompatibilità previste dagli articoli 18 e 19 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 e successive modificazioni, come modificati ai sensi della lettera p), ovvero delle situazioni che possono dare luogo all'adozione dei provvedimenti di cui agli articoli 2 e 3 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, come modificati ai sensi delle lettere n) e o);

 

9) l'adozione di provvedimenti abnormi ovvero di atti e provvedimenti che costituiscano esercizio di una potestà riservata dalla legge ad organi legislativi o amministrativi ovvero ad altri organi costituzionali;

 

10) l'emissione di un provvedimento restrittivo della libertà personale fuori dei casi consentiti dalla legge, determinata da negligenza grave ed inescusabile;

 

11) fermo quanto previsto dai numeri 3), 7) e 9), non può dar luogo a responsabilità disciplinare l'attività di interpretazione di norme di diritto in conformità all'articolo 12 delle disposizioni sulla legge in generale;

 

d) prevedere che costituiscano illeciti disciplinari di fuori dell'esercizio delle funzioni:

 

1) l'uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti per sé o per altri;

 

2) il frequentare persona sottoposta a procedimento penale o di prevenzione comunque trattato dal magistrato, o persona che a questi consta essere stata dichiarata delinquente abituale, professionale o per tendenza o aver subìto condanna per delitti non colposi alla pena della reclusione superiore a tre anni o una misura di prevenzione, salvo che sia intervenuta la riabilitazione, ovvero l'intrattenere rapporti consapevoli di affari con una di tali persone;

 

3) l'assunzione di incarichi extragiudiziari senza la prescritta autorizzazione dell'organo competente;

 

4) lo svolgimento di attività incompatibili con la funzione giudiziaria o tali da recare concreto pregiudizio all'assolvimento dei doveri indicati nella lettera b), numeri 1), 2), e 3);

 

5) l'ottenere, direttamente o indirettamente, prestiti o agevolazioni da soggetti che, il magistrato sa essere indagati, parti offese, testimoni o comunque coinvolti in procedimenti penali o civili pendenti presso l'ufficio giudiziario di appartenenza o presso altro ufficio che si trovi nel distretto di corte d'appello nel quale esercita le funzioni giudiziarie, ovvero dai difensori di costoro;

 

6) la pubblica manifestazione di consenso o dissenso in ordine ad un procedimento in corso quando, per la posizione del magistrato o per le modalità, con cui il giudizio è espresso, sia idonea a condizionare la libertà di decisione nel procedimento medesimo;

 

7) la partecipazione ad associazioni segrete o i cui vincoli sono oggettivamente incompatibili con l'esercizio delle funzioni giudiziarie;

 

8) l'iscrizione o la partecipazione a partiti politici ovvero il coinvolgimento nelle attività di centri politici o affaristici che possano condizionare l'esercizio delle funzioni o comunque appannare l'immagine del magistrato;

 

9) ogni altro comportamento tale dà compromettere l'indipendenza, la terzietà e l'imparzialità del magistrato, anche sotto il profilo dell'apparenza;

 

10) l'uso strumentale della qualità che, per la posizione del magistrato o per le modalità di realizzazione, è idoneo a turbare l'esercizio di funzioni costituzionalmente previste;

 

e) prevedere che costituiscano illeciti disciplinari conseguenti al reato:

 

1) i fatti per i quali è intervenuta condanna irrevocabile o è stata pronunciata sentenza ai sensi dell'articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale, per delitto doloso o preterintenzionale, quando la legge stabilisce la pena detentiva sola o congiunta alla pena pecuniaria;

 

2) i fatti per i quali è intervenuta condanna irrevocabile o è stata pronunciata sentenza ai sensi dell'articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale, per delitto colposo, alla pena della reclusione, sempre che presentino, per modalità e conseguenze, carattere di particolare gravità;

 

3) i fatti per i quali è intervenuta condanna irrevocabile è stata pronunciata sentenza ai sensi dell'articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale, alla pena dell'arresto, sempre che presentino, per le modalità di esecuzione, carattere di particolare gravità;

 

4) altri fatti costituenti reato idonei a compromettere la credibilità del magistrato, anche se il reato è estinto per qualsiasi causa o l'azione penale non può essere iniziata o proseguita;

 

f) prevedere come sanzioni disciplinari:

 

1) l'ammonimento;

 

2) la censura;

 

3) la perdita dell'anzianità;

 

4) l'incapacità temporanea ad esercitare un incarico direttivo o semidirettivo;

 

5) la sospensione dalle funzioni da tre mesi a due anni;

 

6) la rimozione;

 

g) stabilire che:

 

1) l'ammonimento consista nel richiamo, espresso nel dispositivo della decisione, all'osservanza da parte del magistrato dei suoi doveri, in rapporto all'illecito commesso;

 

2) la censura consista in un biasimo formale espresso nel dispositivo della decisione;

 

3) la sanzione della perdita dell'anzianità sia inflitta per un periodo compreso tra due mesi e due anni;

 

4) la sanzione della temporanea incapacità ad esercitare un incarico direttivo o semidirettivo sia inflitta per un periodo compreso tra sei mesi e due anni. Se il magistrato svolge funzioni direttive o semidirettive, debbono essergli conferite di ufficio altre funzioni non direttive o semidirettive, corrispondenti alla sua qualifica. Scontata la sanzione, il magistrato non può riprendere l'esercizio delle funzioni direttive o semidirettive presso l'ufficio dove le svolgeva anteriormente alla condanna;

 

5) la sospensione dalle funzioni comporti altresì la sospensione dallo stipendio ed il collocamento del magistrato fuori dal ruolo organico della magistratura. Al magistrato sospeso è corrisposto un assegno alimentare pari ai due terzi dello stipendio e delle altre competenze di carattere continuativo, se il magistrato sta percependo il trattamento economico riservato alla prima o seconda o terza classe stipendiale; alla metà se alla quarta o quinta classe; ad un terzo, se alla sesta o settima classe;

 

6) la rimozione determini la cessazione del rapporto di servizio;

 

7) quando per il concorso di più illeciti disciplinari, si dovrebbero irrogare più sanzioni meno gravi, si applichi altra sanzione di maggiore gravità, sola o congiunta con quella meno grave se compatibile;

 

8) la sanzione di cui al numero 6) sia eseguita mediante decreto del Presidente della Repubblica;

 

h) prevedere che siano puniti con la sanzione non inferiore alla censura:

 

1) i comportamenti che, violando i doveri di cui alla lettera b), arrecano ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti;

 

2) la consapevole inosservanza dell'obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge;

 

3) l'omissione, da parte dell'interessato, della comunicazione del Consiglio superiore della magistratura della sussistenza di una delle cause di incompatibilità di cui agli articoli 18 e 19 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 come modificati ai sensi della lettera p);

 

4) il tenere comportamenti che, a causa dei rapporti comunque esistenti con i soggetti coinvolti nel procedimento ovvero a causa di avvenute interferenze, costituiscano violazione del dovere di imparzialità;

 

5) i comportamenti previsti dal numero 2) della lettera c);

 

6) il perseguimento di fini diversi da quelli di giustizia;

 

7) il reiterato o grave ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni;

 

8) la scarsa laboriosità, se abituale;

 

9) la grave o abituale violazione del dovere di riservatezza;

 

10) l'uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti;

 

11) lo svolgimento di incarichi extragiudiziari senza avere richiesto o ottenuto la prescritta autorizzazione dal Consiglio superiore della magistratura, qualora per l'entità e la natura dell'incarico il fatto non si appalesi di particolare gravità;

 

i) prevedere che siano puniti con una sanzione non inferiore alla perdita dell'anzianità:

 

1) i comportamenti che, violando i doveri di cui alla lettera b), arrecano grave ed ingiusto danno a indebito vantaggio ad una delle parti;

 

2) l'uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti, se abituale e grave;

 

3) i comportamenti previsti dal numero 2) della lettera d);

 

l) stabilire che:

 

1) sia punita con la sanzione della incapacità ad esercitare un incarica difettivo o semidirettivo l'interferenza nell'attività di altro magistrato da parte del dirigente dell'ufficio a del presidente della sezione, se ripetuta o grave;

 

2) sia punita con una sanzione non inferiore alla sospensione dalle funzioni l'accettazione e lo svolgimento di incarichi ed uffici vietati dalla legge ovvero l'accettazione e lo svolgimento di incarichi per i quali non è stata richiesta o ottenuta la prescritta autorizzazione, qualora per l'entità e la natura dell'incarico il fatto si appalesi di particolare gravità;

 

3) sia rimosso il magistrato che sia stato condannato in sede disciplinare per i fatti previsti dalla lettera d), numero 5), che incorre nella interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici in seguito a condanna penale o che incorre in una condanna a pena detentiva per delitto non colposo non inferiore ad un anno la cui esecuzione non sia stata sospesa ai sensi degli articoli 163 e 164 del codice penale o per la quale sia intervenuto provvedimento di revoca della sospensione ai sensi dell'articolo 168 dello stesso codice;

 

m) stabilire che, nell'infliggere una sanzione diversa dall'ammonimento e dalla rimozione, la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura possa disporre il trasferimento del magistrato ad altra sede o ad altro ufficio quando, per la condotta tenuta, la permanenza nella stessa sede o nello stesso ufficio appare in contrasto con il buon andamento dell'amministrazione della giustizia. Il trasferimento è sempre disposto quando ricorre una delle violazioni previste dal numero 1) della lettera c), ad eccezione dell'inosservanza dell'obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge e dell'inosservanza dell'obbligo della comunicazione al Consiglio superiore della magistratura, dal numero l) della lettera d), ovvero se è inflitta la sanzione della sospensione dalle funzioni;

 

n) prevedere che, nei casi di procedimento disciplinare per addebiti punibili con una sanzione diversa dall'ammonimento, su richiesta del Ministro della giustizia o del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, ove sussistano gravi elementi di fondatezza dell'azione disciplinare e ricorrano motivi di particolare urgenza, possa essere disposto dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, in via cautelare e provvisoria, il trasferimento ad altra sede o la destinazione ad altre funzioni; modificare il secondo comma dell'articolo 2 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, stabilendo che, fermo quanto previsto dalla lettera m) e dalla prima parte della presente lettera in sede di procedimento disciplinare, il trasferimento ad altra sede o la destinazione ad altre funzioni possano essere disposti con procedimento amministrativo dal Consiglio superiore della magistratura solo per una causa incolpevole tale da impedire al magistrato di svolgere le sue funzioni, nella sede occupata, con piena indipendenza e imparzialità; prevedere che alla data di entrata in vigore del primo dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui all'articolo l, comma l, lettera f), i procedimenti amministrativi di trasferimento di ufficio ai sensi dell'articolo 2, secondo comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, pendenti presso il Consiglio superiore della magistratura, per fatti astrattamente riconducibili alle fattispecie disciplinari previste dal presente comma siano trasmessi al Procuratore generale presso la Corte di cassazione per le sue determinazioni in ordine all'azione disciplinare;

 

o) prevedere la modifica dell'articolo 3 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, consentendo anche di far transitare nella pubblica amministrazione, con funzioni amministrative, i magistrati dispensati dal servizio;

 

p) ridisciplinare le ipotesi di cui agli articoli 18 e 19 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, in maniera più puntuale e rigorosa prevedendo, salvo eccezioni specificatamente disciplinate con riferimento all'entità dell'organico nonché alla diversità di incarico, l'incompatibilità per il magistrato a svolgere l'attività presso il medesimo ufficio in cui parenti sino al secondo grado, affini in primo grado, il coniuge o il convivente esercitano la professione di magistrato o di avvocato o di ufficiale o agente di polizia giudiziaria;

 

q) equiparare gli effetti della decadenza a quelli delle dimissioni.

 

7. Nell'attuazione della delega di cui all'articolo 1, comma 1, lettera f), il Governo si attiene, per quel che riguarda la procedura per l'applicazione delle sanzioni disciplinari, ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a) prevedere che le funzioni di pubblico ministero nel procedimento disciplinare siano esercitate dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione o da un suo sostituto, e che all'attività di indagine relativa al procedimento disciplinare proceda il pubblico ministero;

 

b) stabilire che:

 

1) l'azione disciplinare sia promossa entro un anno dalla notizia del fatto, acquisita a seguito di sommarie indagini preliminari o di denuncia circostanziata o di segnalazione del Ministro della giustizia;

 

2) entro un anno dall'inizio del procedimento debba essere richiesta l'emissione del decreto che fissa la discussione orale davanti alla sezione disciplinare, entro un anno dalla richiesta debba pronunciarsi la sezione disciplinare. Se la sentenza è annullata in tutto o in parte a seguito del ricorso per cassazione, il termine per la pronuncia nel giudizio di rinvio è di un anno e decorre dalla data in cui vengono restituiti dalla Corte di cassazione gli atti del procedimento. Se i termini non sono osservati, il procedimento disciplinare si estingue, sempre che l'incolpato vi consenta;

 

3) il corso dei termini sia sospeso:

 

3.1) se per il medesimo fatto è iniziato il procedimento penale, riprendendo a decorrere dalla data in cui non è più soggetta ad impugnazione la sentenza di non luogo a procedere ovvero sono divenuti irrevocabili la sentenza o il decreto penale di condanna;

 

3.2) se durante il procedimento disciplinare viene sollevata questione di legittimità costituzionale; riprendendo a decorrere dal giorno in cui è pubblicata la decisione della Corte costituzionale;

 

3.3) se l'incolpato è sottoposto a perizia o ad accertamenti specialistici, e per tutto il tempo necessario;

 

3.4) se il procedimento disciplinare è rinviato a richiesta dell'incolpato o del suo difensore o per impedimento dell'incolpato o del suo difensore;

 

c) prevedere che:

 

1) il Ministro della giustizia abbia facoltà di promuovere l'azione disciplinare mediante richiesta di indagini al Procuratore generale presso la Corte di cassazione. Dell'iniziativa il Ministro dà comunicazione al Consiglio superiore della magistratura, con indicazione sommaria dei fatti per i quali si procede;

 

2) il Procuratore generale presso la Corte di cassazione abbia l'obbligo di esercitare l'azione disciplinare dandone comunicazione al Ministro della giustizia e al Consiglio superiore della magistratura, con indicazione sommaria dei fatti per i quali si procede. Il Ministro della giustizia, se ritiene che l'azione disciplinare deve essere estesa ad altri fatti, ne fa richiesta al Procuratore generale, ed analoga richiesta può fare nel corso delle indagini;

 

3) il Consiglio superiore della magistratura, i consigli giudiziari e i dirigenti degli uffici debbano comunicare al Ministro della giustizia e al Procuratore generale presso la Corte di cassazione ogni fatto rilevante sotto il profilo disciplinare. I presidenti di sezione e i presidenti di collegio debbono comunicare ai dirigenti degli uffici i fatti concernenti l'attività dei magistrati della sezione o del collegio che siano rilevanti sotto il profilo disciplinare;

 

4) la richiesta di indagini rivolta dal Ministro della giustizia al Procuratore generale o la comunicazione da quest'ultimo data al Consiglio superiore della magistratura ai sensi del numero 2) determinino a tutti gli effetti l'inizio del procedimento;

 

5) il Procuratore generale presso la Corte di cassazione possa contestare fatti nuovi nel corso delle indagini, anche se l'azione è stata promossa dal Ministro della giustizia, salva la facoltà del Ministro di cui al numero 2), ultimo periodo;

 

d) stabilire che:

 

1) dell'inizio del procedimento debba essere data comunicazione entro trenta giorni all'incolpato con l'indicazione del fatto che gli viene addebitato; analoga comunicazione debba essere data per le ulteriori contestazioni di cui al numero 5) della lettera c).

 

L'incolpato può farsi assistere da altro magistrato o da un avvocato, designati in qualunque momento dopo la comunicazione dell'addebito, nonché, se del caso, da un consulente tecnico;

 

2) gli atti di indagine non preceduti dalla comunicazione all'incolpato o dall'avviso al difensore, se già designato, siano nulli, ma la nullità non possa essere più rilevata quando non è dedotta con dichiarazione scritta e motivata nel termine di dieci giorni dalla data in cui l'interessato ha avuto conoscenza del contenuto di tali atti o, in mancanza, da quella della comunicazione del decreto che fissa la discussione orale davanti alla sezione disciplinare;

 

3) per l'attività di indagine si osservino, in quanto compatibili, le norme del codice di procedura penale, eccezione fatta per quelle che comportano l'esercizio di poteri coercitivi nei confronti dell'imputato, delle persone informate sui fatti, dei periti e degli interpreti; si applica comunque quanto previsto dall'articolo 133 del codice di procedura penale. Alle persone informate sui fatti, ai periti e interpreti si applicano le disposizioni degli articoli 366, 371-bis, 371-ter, 372, 373, 376, 377 e 384 del codice penale; prevedere che il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, se lo ritenga necessario ai fini delle sue determinazioni sull'azione disciplinare, possa acquisire atti coperti da segreto investigativo senza che detto segreto possa essergli opposto; prevedere altresì che nel caso in cui il Procuratore generale acquisisca atti coperti da segreto investigativo ed il procuratore della Repubblica comunichi motivatamente che dalla loro pubblicizzazione possa derivare grave pregiudizio alle indagini, il Procuratore generale disponga con decreto che i detti atti rimangano segreti per un periodo non superiore a dodici mesi e sospenda il procedimento disciplinare per un analogo periodo;

 

4) per gli atti da compiersi fuori dal suo ufficio, il pubblico ministero possa richiedere altro magistrato in servizio presso la procura generale della corte d'appello nel cui distretto l'atto deve essere compiuto;

 

5) al termine delle indagini, il Procuratore generale con le richieste conclusive di cui alla lettera e) invii alla sezione disciplinare il fascicolo del procedimento e ne dia comunicazione all'incolpato; il fascicolo sia depositato nella segreteria della sezione a disposizione dell'incolpato, con facoltà di prenderne visione e di estrarre copia degli atti;

 

e) prevedere che:

 

1) il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, al termine delle indagini, se non ritiene di dover chiedere la declaratoria di non luogo a procedere, formuli l'incolpazione e chieda al presidente della sezione disciplinare la fissazione dell'udienza di discussione orale; il Procuratore generale presso la Corte di cassazione dà comunicazione al Ministro della giustizia delle sue determinazioni ed invia copia dell'atto;

 

2) il Ministro della giustizia, nell'ipotesi in cui abbia promosso l'azione disciplinare, ovvero abbia chiesto l'integrazione della contestazione, in caso di richiesta di declaratoria di non luogo a procedere, abbia facoltà di proporre opposizione entro dieci giorni, presentando memoria. Il Consiglio superiore della magistratura decide in camera di consiglio, sentite le parti;

 

3) il Ministro della giustizia, entro venti giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al numero 1), possa chiedere l'integrazione e, nel caso di azione disciplinare da lui promossa, la modificazione della contestazione, cui provvede il Procuratore generale presso la Corte di cassazione;

 

4) il presidente della sezione disciplinare fissi, con suo decreto, il giorno della discussione orale, con avviso ai testimoni e ai periti;

 

5) il decreto di cui al numero 4) sia comunicato, almeno dieci giorni prima della data fissata per la discussione orale, al pubblico ministero e all'incolpato nonché al difensore di quest'ultimo se già designato e al Ministro della giustizia;

 

6) nel caso in cui il Procuratore generale ritenga che si debba escludere l'addebito, faccia richiesta motivata alla sezione disciplinare per la declaratoria di non luogo a procedere. Della richiesta è data comunicazione al Ministro della giustizia, nell'ipotesi in cui egli abbia promosso l'azione disciplinare, ovvero richiesto l'integrazione della contestazione, con invio di copia dell'atto;

 

7) il Ministro della giustizia, entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al numero 6), possa richiedere copia degli atti del procedimento nell'ipotesi in cui egli abbia promosso l'azione disciplinare, ovvero richiesto l'integrazione della contestazione, e, nei venti giorni successivi alla ricezione degli stessi, possa richiedere al presidente della sezione disciplinare la fissazione dell'udienza di discussione orale, formulando l'incolpazione;

 

8) decorsi i termini di cui al numero 7), sulla richiesta di non luogo a procedere la sezione disciplinare decida in camera di consiglio. Se rigetta la richiesta, provvede nei modi previsti dai numeri 4) e 5). Sulla richiesta del Ministro della giustizia di fissazione della discussione orale, si provvede nei modi previsti nei numeri 4) e 5) e le funzioni di pubblico ministero, nella discussione orale, sono esercitate dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione o da un suo sostituto;

 

9) della data fissata per la discussione orale sia dato avviso al Ministro della giustizia, nell'ipotesi in cui egli abbia promosso l'azione disciplinare, ovvero richiesto l'integrazione della contestazione, il quale può esercitare la facoltà di partecipare all'udienza delegando un magistrato dell'Ispettorato generale;

 

10) il delegato del Ministro della giustizia possa presentare memorie, esaminare testi, consulenti e periti e interrogare l'incolpato;

 

f) prevedere che:

 

1) nella discussione orale un componente della sezione disciplinare nominato dal presidente svolga la relazione;

 

2) l'udienza sia pubblica; tuttavia la sezione disciplinare, su richiesta di una delle parti, possa comunque disporre che la discussione non sia pubblica se ricorrono esigenze di tutela della credibilità della funzione giudiziaria, con riferimento ai fatti contestati ed all'ufficio che l'incolpato occupa, ovvero esigenze di tutela del diritto dei terzi;

 

3) la sezione disciplinare possa assumere anche d'ufficio tutte le prove che ritiene utili, possa disporre o consentire la lettura di rapporti dell'Ispettorato generale del Ministero della giustizia, dei consigli giudiziari e dei dirigenti degli uffici, la lettura di atti dei fascicoli personali nonché delle prove acquisite nel corso delle indagini; possa consentire l'esibizione di documenti da parte del pubblico ministero, dell'incolpato e del delegato del Ministro della giustizia. Si osservano, in quanto compatibili, le norme del codice di procedura penale sul dibattimento, eccezione fatta per quelle che comportano l'esercizio di poteri coercitivi nei confronti dell'imputato, dei testimoni, dei periti e degli interpreti; resta fermo quanto previsto dall'articolo 133 del codice di procedura penale. Ai testimoni, periti e interpreti si applicano le disposizioni di cui agli articoli 366, 372, 373, 376, 377 e 384 del codice penale;

 

4) la sezione disciplinare deliberi immediatamente dopo l'assunzione delle prove, le conclusioni del pubblico ministero, del delegato del Ministro della giustizia e della difesa dell'incolpato; questi debba essere sentito per ultimo. Il pubblico ministero non assiste alla deliberazione in camera di consiglio;

 

5) se non è raggiunta la prova sufficiente dell'addebito, la sezione disciplinare ne dichiari esclusa la sussistenza;

 

6) i motivi della sentenza siano depositati nella segreteria della sezione disciplinare entro trenta giorni dalla deliberazione;

 

7) dei provvedimenti adottati dalla sezione disciplinare sia data comunicazione al Ministro della giustizia, nell'ipotesi in cui egli abbia promosso l'azione disciplinare, ovvero richiesto l'integrazione della contestazione, con invio di copia integrale, anche ai fini della decorrenza dei termini per la proposizione del ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione. Il Ministro può richiedere copia degli atti del procedimento;

 

g) stabilire che:

 

1) l'azione disciplinare sia promossa indipendentemente dall'azione civile di risarcimento del danno o dall'azione penale relativa allo stesso fatto, fermo restando quanto previsto dal numero 3) della lettera b);

 

2) abbiano autorità di cosa giudicata nel giudizio disciplinare la sentenza penale irrevocabile di condanna, quella prevista dall'articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale, che è equiparata alla sentenza di condanna, e quella irrevocabile di assoluzione pronunciata perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non lo ha commesso;

 

h) prevedere che:

 

1) a richiesta del Ministro della giustizia o del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, la sezione disciplinare sospenda dalle funzioni e dallo stipendio e collochi fuori dal ruolo organico della magistratura il magistrato, sottoposto a procedimento penale, nei cui confronti sia stata adottata una misura cautelare personale;

 

2) la sospensione permanga sino alla sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione o alla sentenza irrevocabile di proscioglimento; la sospensione debba essere revocata, anche d'ufficio, dalla sezione disciplinare, allorché la misura cautelare è revocata per carenza di gravi indizi di colpevolezza; la sospensione possa essere revocata, anche d'ufficio, negli altri casi di revoca o di cessazione degli effetti della misura cautelare;

 

3) al magistrato sospeso sia corrisposto un assegno alimentare nella misura indicata nel secondo periodo del numero 5) della lettera g) del comma 6;

 

4) il magistrato riacquisti il diritto agli stipendi e alle altre competenze non percepiti, detratte le somme corrisposte per assegno alimentare, se è prosciolto con sentenza irrevocabile ai sensi dell'articolo 530 del codice di procedura penale. Tale disposizione si applica anche se è pronunciata nei suoi confronti sentenza di proscioglimento per ragioni diverse o sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione, qualora, essendo stato il magistrato sottoposto a procedimento disciplinare, lo stesso si sia concluso con la pronuncia indicata nel numero 3) della lettera m);

 

i) prevedere che:

 

1) quando il magistrato è sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo punibile, anche in via alternativa, con pena detentiva, o quando al medesimo possono essere ascritti fatti rilevanti sotto il profilo disciplinare che, per la loro gravità, siano incompatibili con l'esercizio delle funzioni, il Ministro della giustizia o il Procuratore generale presso la Corte di cassazione possano chiedere la sospensione cautelare dalle funzioni e dallo stipendio, e il collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura, anche prima dell'inizio del procedimento disciplinare;

 

2) la sezione disciplinare convochi il magistrato con un preavviso di almeno tre giorni e provveda dopo aver sentito l'interessato o dopo aver constatato la sua mancata presentazione. Il magistrato può farsi assistere da altro magistrato o da un avvocato anche nel corso del procedimento di sospensione cautelare;

 

3) la sospensione possa essere revocata dalla sezione disciplinare in qualsiasi momento, anche d'ufficio;

 

4) si applichino le disposizioni di cui alla lettera h), numeri 3) e 4);

 

l) prevedere che:

 

1) contro i provvedimenti in materia di sospensione di cui alle lettere h) ed i) e contro le sentenze della sezione disciplinare, l'incolpato, il Ministro della giustizia e il Procuratore generale presso la Corte di cassazione possano proporre un ricorso per cassazione, nei termini e con le forme previsti dal codice di procedura penale. Nei confronti dei provvedimenti in materia di sospensione di cui alle lettere h) ed i) il ricorso non ha effetto sospensivo del provvedimento impugnato;

 

2) la Corte di cassazione decida a sezioni unite penali, entro sei mesi dalla data di proposizione del ricorso;

 

m) prevedere che:

 

1) il magistrato sottoposto a procedimento penale e cautelarmente sospeso abbia diritto ad essere reintegrato a tutti gli effetti nella situazione anteriore qualora sia prosciolto con sentenza irrevocabile ovvero sia pronunciata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione. Se il posto prima occupato non è vacante ha diritto di scelta fra quelli disponibili, ed entro un anno può chiedere l'assegnazione ad ufficio analogo a quello originariamente ricoperto, con precedenza rispetto ad altri eventuali concorrenti;

 

2) la sospensione cautelare cessi di diritto quando diviene definitiva la pronuncia della sezione disciplinare che conclude il procedimento;

 

3) se è pronunciata sentenza di non luogo a procedere o se l'incolpato è assolto o condannato ad una sanzione diversa dalla rimozione o dalla sospensione dalle funzioni per un tempo pari o superiore alla durata della sospensione cautelare eventualmente disposta, siano corrisposti gli arretrati dello stipendio e delle altre competenze non percepiti, detratte le somme già riscosse per assegno alimentare;

 

n) prevedere che:

 

1) in ogni tempo sia ammessa la revisione delle sentenze divenute irrevocabili, con le quali è stata applicata una sanzione disciplinare, quando:

 

1.1) i fatti posti a fondamento della sentenza risultano incompatibili con quelli accertati in una sentenza penale irrevocabile ovvero in una sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione;

 

1.2) sono sopravvenuti o si scoprono, dopo la decisione, nuovi elementi di prova, che, soli o uniti a quelli già esaminati nel procedimento disciplinare, dimostrano l'insussistenza dell'illecito;

 

1.3) il giudizio di responsabilità e l'applicazione della relativa sanzione sono stati determinati da falsità ovvero da altro reato accertato con sentenza irrevocabile;

 

2) gli elementi in base ai quali si chiede la revisione debbano, a pena di inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare che, se accertati, debba essere escluso l'addebito o debba essere applicata una sanzione diversa da quella inflitta se trattasi della rimozione, ovvero se dalla sanzione applicata è conseguito il trasferimento d'ufficio;

 

3) la revisione possa essere chiesta dal magistrato al quale è stata applicata la sanzione disciplinare o, in caso di morte o di sopravvenuta incapacità di questi, da un suo prossimo congiunto che vi abbia interesse anche soltanto morale;

 

4) l'istanza di revisione sia proposta personalmente o per mezzo di procuratore speciale. Essa deve contenere, a pena di inammissibilità, l'indicazione specifica delle ragioni e dei mezzi di prova che la giustificano e deve essere presentata, unitamente ad eventuali atti e documenti, alla segreteria della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura;

 

5) nei casi previsti dai numeri 1.1) e 1.3), all'istanza debba essere unita copia autentica della sentenza penale;

 

6) la revisione possa essere chiesta anche dal Ministro della giustizia e dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione, alle condizioni di cui ai numeri 1) e 2) e con le modalità di cui ai numeri 4) e 5);

 

7) la sezione disciplinare acquisisca gli atti del procedimento disciplinare e, sentiti il Ministro della giustizia, il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, l'istante ed il suo difensore, dichiari inammissibile l'istanza di revisione se proposta fuori dai casi di cui al numero 2), o senza l'osservanza delle disposizioni di cui al numero 4) ovvero se risulta manifestamente infondata; altrimenti, disponga il procedersi al giudizio di revisione, al quale si applicano le norme stabilite per il procedimento disciplinare;

 

8) contro la decisione che dichiara inammissibile l'istanza di revisione sia ammesso ricorso alle sezioni unite penali della Corte di cassazione;

 

9) in caso di accoglimento dell'istanza di revisione la sezione disciplinare revochi la precedente decisione;

 

10) il magistrato assolto con decisione irrevocabile a seguito di giudizio di revisione abbia diritto alla integrale ricostruzione della carriera nonché a percepire gli arretrati dello stipendio e delle altre competenze non percepiti, detratte le somme corrisposte per assegno alimentate, rivalutati in base alla variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati.

 

8. Nell'attuazione della delega di cui all'articolo 1, comma 1, lettera g), il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a) prevedere che semestralmente, a cura del Consiglio superiore della magistratura, sia reso noto l'elenco degli incarichi extra giudiziari il cui svolgimento è stato autorizzato dal Consiglio stesso, indicando l'ente conferente, l'eventuale compenso percepito, la natura e la durata dell'incarico e il numero degli incarichi precedentemente assolti dal magistrato nell'ultimo triennio;

 

b) prevedere che analoga pubblicità semestrale sia data, per i magistrati di rispettiva competenza, dal Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, dal Consiglio di presidenza della Corte dei conti, dal Consiglio della magistratura militare e dal Ministero della giustizia relativamente agli avvocati e procuratori dello Stato;

 

c) prevedere che la pubblicità di cui alle lettere a) e b) sia realizzata mediante pubblicazione nei bollettini periodici dei rispettivi Consigli e Ministero.

 

9. Nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, comma 3, il Governo definisce la disciplina transitoria attenendosi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a) prevedere che, ai concorsi di cui alla lettera a) del comma 1 indetti fino al quinto anno successivo alla data di acquisto di efficacia del primo dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, comma 1 lettera a), siano ammessi anche coloro che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, essendosi iscritti al relativo corso di laurea anteriormente all'anno accademico 1998-1999;

 

b) prevedere che il requisito della partecipazione al corso, previsto dalla lettera g), numeri 1) e 3), dalla lettera h), numero 17), dalla lettera i), numero 6), e dalla lettera l), numeri 3.1), 3.2), 4.1), 4.2), 7.1), 7.2), 9.1) e 9.2) del comma 1, possa essere richiesto solo dopo l'entrata in funzione della Scuola superiore della magistratura, di cui al comma 2;

 

c) prevedere che i magistrati in servizio alla data di acquisto di efficacia del primo dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, comma l, lettera a), entro il termine di tre mesi dalla predetta data, possano richiedere il mutamento delle funzioni nello stesso grado da giudicanti a requirenti e viceversa; l'effettivo mutamento di funzioni, previa valutazione positiva da parte del Consiglio superiore della magistratura, si realizzerà nel limite dei posti vacanti individuati annualmente nei cinque anni successivi; che, ai fini del mutamento di funzioni, il Consiglio superiore della magistratura formerà la graduatoria dei magistrati richiedenti sulla base dell'eventuale anzianità di servizio nelle funzioni verso le quali si chiede il mutamento e, a parità o in assenza di anzianità sulla base dell'anzianità di servizio; che la scelta nell'ambito dei posti vacanti avvenga secondo l'ordine di graduatoria e debba comunque riguardare un ufficio avente sede in un diverso o circondario nell'ipotesi di esercizio di funzioni di primo grado e un ufficio avente sede in un diverso distretto, con esclusione di quello competente ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale, nell'ipotesi di esercizio di funzioni di secondo grado; che il rifiuto del magistrato richiedente ad operare la scelta secondo l'ordine di graduatoria comporti la rinuncia alla richiesta di mutamento nelle funzioni;

 

 

d) prevedere che le norme di cui ai numeri 3.1), 3.2), 4.1) e 4.2) della lettera l) del comma l non si applichino ai magistrati che, alla data di acquisto di efficacia del primo dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, comma l, lettera a), abbiano già compiuto, o compiano nei successivi ventiquattro mesi, tredici anni dalla data del decreto di nomina ad uditore giudiziario;

 

e) prevedere che le norme di cui ai numeri 7.1), 7.2), 9.1) e 9.2) della lettera l) del comma 1 non si applichino ai magistrati che, alla data di acquisto di efficacia del primo dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a) abbiano già compiuto, o compiano nei successivi ventiquattro mesi, venti anni dalla data del decreto di nomina ad uditore giudiziario;

 

f) prevedere che ai magistrati di cui alle lettere d) ed e), per un periodo di tempo non superiore a tre anni a decorrere dalla data di acquisto di efficacia del primo dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui all'articolo l, comma l, lettera a), e fatta salva la facoltà di partecipare ai concorsi, le assegnazioni per l'effettivo conferimento rispettivamente delle funzioni di appello giudicanti o requirenti e di quelle giudicanti o requirenti di legittimità siano disposte nell'ambito dei posti vacanti da attribuire a domanda previsti dal comma l, lettera l), numeri 3), 4), 7) e 9), e sul 40 per cento dei posti che dovessero rendersi vacanti a seguito dell'accoglimento delle domande di tramutamento presentate dai magistrati che già esercitano funzioni giudicanti o requirenti di secondo grado; che, decorso tale periodo, ai magistrati di cui alla lettera e), fatta salva la facoltà di partecipare ai concorsi per titoli ed esami, le assegnazioni per l'effettivo conferimento delle funzioni giudicanti o requirenti di legittimità siano disposte, previo concorso per titoli ed a condizione che abbiano frequentato l'apposito corso di formazione alle funzioni giudicanti o requirenti di legittimità presso la Scuola superiore della magistratura di cui al comma 2, il cui giudizio finale è valutato dal Consiglio superiore della magistratura, nell'ambito dei posti vacanti di cui al comma 1, lettera l), numeri 7.1) e 9.1); prevedere che, ai fini del conferimento degli uffici semidirettivi e direttivi di cui al comma 1, lettera h), numeri 7), 8), 9), 10), 11), 12), 13) e 14), fermo restando quanto previsto dal comma l, lettera f), numero 4), ultima parte, per i magistrati di cui alle lettere d) ed e) il compimento di tredici anni di servizio dalla data del decreto di nomina ad uditore giudiziario equivalga al superamento del concorso per le funzioni di secondo grado; prevedere che, ai fini del conferimento degli uffici direttivi di cui al comma 1, lettera h), numeri 15) e 16), fermo restando quanto previsto al comma 1, lettera f), numero 4), ultima parte, per i magistrati di cui alla lettera e) il compimento di venti anni di servizio dalla data del decreto di nomina ad uditore giudiziario equivalga al superamento del concorso per le funzioni di legittimità; prevedere che i magistrati di cui alla lettera e) per un periodo di tempo non superiore a cinque anni e fermo restando quanto previsto al comma 1, lettera f), numero 4), ultima parte, possano ottenere il conferimento degli incarichi direttivi di cui al comma 1, lettera i), numeri 1), 2), 3), 4) e 5), anche in assenza dei requisiti di esercizio delle funzioni giudicanti o requirenti di legittimità o delle funzioni direttive giudicanti o requirenti di legittimità o delle funzioni direttive superiori giudicanti di legittimità rispettivamente previsti nei predetti numeri;

 

g) prevedere, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato, che i magistrati che, alla data di acquisto di efficacia del primo dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a), esercitano funzioni direttive ovvero semidirettive requirenti mantengano le loro funzioni per un periodo massimo di quattro anni, decorso il quale, senza che abbiano ottenuto l'assegnazione ad altro incarico o ad altre funzioni, ne decadano restando assegnati con funzioni non direttive nello stesso ufficio, eventualmente anche in soprannumero da riassorbire alle successive vacanze, senza variazione dell'organico complessivo della magistratura;

 

 

h) prevedere che, in deroga a quanto previsto dal comma 1, lettera r), i magistrati che, alla data di acquisto di efficacia del primo dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a), abbiano compiuto il periodo di dieci anni di permanenza all'incarico nello stesso ufficio, possano permanervi, nei limiti stabiliti dalla normativa vigente e dai commi 27 e 28, fermo restando che, una volta ottenuto il passaggio ad altro incarico,o il tramutamento eventualmente richiesto, si applicano le norme di cui al citato comma 1, lettera r);

 

i) prevedere che ai posti soppressi ai sensi del comma 5, lettere a) e h), siano trattenuti i magistrati in servizio alla data di acquisto di efficacia delle disposizioni emanate in attuazione del comma 5 e che ad essi possano essere conferite dal Consiglio superiore della magistratura le funzioni di legittimità nei limiti dei posti disponibili ed in ordine di anzianità di servizio se in possesso dei seguenti requisiti:

 

1) necessaria idoneità precedentemente conseguita;

 

2) svolgimento nei sei mesi antecedenti la predetta data delle funzioni di legittimità per aver concorso a formare i collegi nelle sezioni ovvero per aver svolto le funzioni di pubblico ministero in udienza;

 

l) prevedere che ai posti soppressi ai sensi del comma 5, lettera b), siano trattenuti, in via transitoria, i magistrati di appello in servizio alla data di acquisto di efficacia del primo dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui all'articolo l, comma 1, lettera e), per i quali non sia stato possibile il conferimento delle funzioni di legittimità ai sensi della lettera i) del presente comma;

 

m) prevedere per il ricollocamento in ruolo dei magistrati che risultino fuori ruolo alla data di acquisto di efficacia del primo dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a):

 

1) che i magistrati in aspettativa per mandato elettorale vengano ricollocati in ruolo secondo quanto previsto dal comma 1 lettera o);

 

2) che i magistrati fuori ruolo che, all'atto del ricollocamento in ruolo, non abbiano compiuto tre anni di permanenza fuori ruolo vengano ricollocati in ruolo secondo quanto previsto dal comma 1, lettera o), senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato;

 

3) che i magistrati fuori ruolo che, all'atto del ricollocamento in ruolo, abbiano compiuto più di tre anni di permanenza fuori ruolo vengano ricollocati in ruolo secondo la disciplina in vigore alla data di entrata in vigore della presente legge, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato;

 

4) che resta fermo per il ricollocamento in ruolo dei magistrati fuori ruolo in quanto componenti elettivi del Consiglio superiore della magistratura quanto previsto dal secondo comma dell'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre 1958, n. 916, e successive modificazioni;

 

n) prevedere che alla data di acquisto di efficacia del primo dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, comma l, lettera a):

 

l) ad eccezione di quanto previsto dal comma 1, lettera m), numeri 5) e 8), e lettera o) e in via transitoria dalla lettera m) del presente comma, numeri l), 2) e 3), non sia consentito il tramutamento di sede per concorso virtuale;

 

2) che la disposizione di cui al numero 1) non si applichi in caso di gravi e comprovate ragioni di salute o di sicurezza;

 

3) che nel caso in cui venga disposto il tramutamento per le ragioni indicate al numero 2) non sia consentito il successivo tramutamento alla sede di provenienza prima che siano decorsi cinque anni.

 

10. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo volto a disciplinare il conferimento degli incarichi direttivi giudicanti e requirenti di legittimità nonché degli incarichi direttivi giudicanti e requirenti di primo e di secondo grado nel periodo antecedente all'entrata in vigore delle norme di cui alla lettera h), numero 17), alla lettera i), numero 6) del comma l, con l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) prevedere che gli incarichi direttivi giudicanti e requirenti di legittimità non possano essere conferiti a magistrati che abbiano meno di due anni di servizio prima della data di ordinario collocamento a riposo, prevista all'articolo 5 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, e che, gli incarichi direttivi giudicanti e requirenti di primo grado e di secondo grado non possano essere conferiti a magistrati che abbiano meno di quattro anni di servizio prima della data di ordinario collocamento a riposo prevista all'articolo 5 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511;

 

b) prevedere che detta disciplina sia adottata sulla base delle ordinarie vacanze di organico dei medesimi uffici direttivi e, comunque, entro il limite di spesa di euro 9.750.000 per l'anno 2005 e di euro 8.000.000 a decorrere dall'anno 2006.

 

11. Ai fini dell'esercizio della delega di cui al comma 10 si applica la disposizione di cui al comma 4 dell'articolo 1.

 

12. Il Governo è delegato ad adottare entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi diretti ad attuare, su base regionale il decentramento del Ministero della giustizia.

 

Nell'attuazione della delega il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri difettivi:

 

a) istituzione di direzioni generali regionali o interregionali dell'organizzazione giudiziaria;

 

b) competenza delle direzioni regionali o interregionali per le aree funzionali riguardanti il personale e la formazione, i sistemi informativi automatizzati, le risorse materiali, i beni e i servizi, le statistiche;

 

c) riserva all'amministrazione centrale:

 

1) del servizio del casellario giudiziario centrale;

 

2) dell'emanazione di circolari generali e della risoluzione di quesiti in materia di servizi giudiziari;

 

3) della determinazione del contingente di personale amministrativo da destinare alle singole regioni, nel quadro delle dotazioni organiche esistenti;

 

4) dei bandi di concorso da espletarsi a livello nazionale;

 

5) dei provvedimenti di nomina e di prima assegnazione, salvo che per concorsi regionali;

 

6) del trasferimento del personale amministrativo tra le diverse regioni e dei trasferimenti da e per altre amministrazioni;

 

7) dei passaggi di profili professionali, delle risoluzioni del rapporto di impiego e delle riammissioni;

 

8) dei provvedimenti in materia retributiva e pensionistica;

 

9) dei provvedimenti disciplinari superiori all'ammonimento e alla censura;

 

10) dei compiti di programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo degli uffici periferici.

 

13. Per gli oneri di cui al comma 12 relativi alla locazione degli immobili, all'acquisizione in locazione finanziaria di attrezzature e impiantistica e alle spese di gestione, è autorizzata la spesa massima di euro 2.640.000 per l'anno 2005 e di euro 5.280.000 a decorrere dall'anno 2006, cui si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2005-2007, nell'ambito dell'unità, previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2005, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della giustizia.

 

14. Per gli oneri di cui al comma 12 relativi al personale, valutati in euro 3.556.928 per l'anno 2005 e in euro 7.113.856 a decorrere dall'anno 2006, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2005-2007, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2005, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della giustizia. Il Ministro dell'economia e delle finanze provvede al monitoraggio dell'attuazione del presente comma, anche ai fini dell'applicazione dell'articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, e trasmette alle Camere, corredati da apposite relazioni, gli eventuali decreti emanati ai sensi dell'articolo 7, secondo comma n. 2), della legge n. 468 del 1978.

 

15. In ogni caso, le disposizioni attuative della delega di cui al comma 12 non possono avere efficacia prima della data del l° luglio 2005.

 

16. Ai fini dell'esercizio della delega di cui al comma 12 si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui ai commi 2, 3, 4 e 6 dell'articolo 1.

 

17. Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per la modifica della disciplina dell'articolo 10 della legge 13 aprile 1988, n. 117, e dell'articolo 9 della legge 27 aprile 1982, n. 186, con l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a) prevedere che i componenti elettivi del Consiglio di presidenza della Corte dei conti durino in carica quattro anni;

 

b) prevedere che i componenti elettivi di cui alla lettera a) non siano eleggibili per i successivi otto anni;

 

c) prevedere che per l'elezione dei magistrati componenti elettivi del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa ciascun elettore abbia la facoltà di votare per un solo componente titolare e un solo componente supplente.

 

18. Ai fini dell'esercizio della delega di cui al comma 17 si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui ai commi 2, 3, 4 e 6 dell'articolo 1.

 

19. Il Governo è delegato ad adottare, entro quattro anni dalla data di acquisto di efficacia dell'ultimo dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui al comma 1 dell'articolo 1, un decreto legislativo contenente il testo unico delle disposizioni legislative in materia di ordinamento giudiziario nel quale riunire e coordinare fra loro le disposizioni della presente legge e quelle contenute nei predetti decreti legislativi con tutte le altre disposizioni legislative vigenti al riguardo, apportandovi esclusivamente le modifiche a tal fine necessarie.

 

20. Per l'emanazione del decreto legislativo di cui al comma 19 si applicano le disposizioni del comma 4 dell'articolo 1.

 

21. Il Governo provvede ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore del testo unico di cui al comma 19, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento giudiziario.

 

22. Il trasferimento a domanda di cui all'articolo 17 della legge 28 luglio 1999, n. 266, e successive modificazioni, e di cui al comma 5 dell'articolo 1 della legge 10 marzo 1987, n. 100, e successive modificazioni, si applica anche ai magistrati ordinari compatibilmente con quanto previsto dal comma 6, lettera p), con trasferimento degli stessi nella sede di servizio dell'appartenente alle categorie di cui al citato articolo 17 della legge 28 luglio 1999, n. 266, o, in mancanza, nella sede più vicina e assegnazione a funzioni identiche a quelle da ultimo svolte nella sede di provenienza.

 

23. Le disposizioni di cui al comma 22 continuano ad applicarsi anche successivamente alla data di acquisto di efficacia delle disposizioni emanate in attuazione del comma 1.

 

24. Le disposizioni di cui al comma 22 si applicano anche se, alla data della loro entrata in vigore ovvero successivamente alla data del matrimonio, il magistrato, esclusivamente in ragione dell'obbligo di residenza nella sede di servizio non è residente nello stesso luogo del coniuge ovvero non è con il medesimo stabilmente convivente.

 

25. Il trasferimento effettuato ai sensi dei commi 22 e 24 non dà luogo alla corresponsione di indennità di trasferimento.

 

26. Dalle disposizioni di cui ai commi 22 e 24 non devono derivare nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato.

 

27. All'articolo 7-bis, comma 2-ter, primo periodo, dell'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, introdotto dall'articolo 57, comma l, della legge 16 dicembre 1999, n. 479, le parole:

 

«sei anni» sono sostituite dalle seguenti: «dieci anni».

 

28. All'articolo 57, comma 3, della legge 16 dicembre 1999, n. 479, e successive modificazioni, le parole: «sei anni» sono sostituite dalle seguenti: «dieci anni».

 

29. All'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, sono apportate le seguenti modificazioni:

 

a) l'articolo 86 è sostituito dal seguente:

 

«Art. 86. (Relazioni sull'amministrazione della giustizia). - 1. Entro il ventesimo giorno dalla data di inizio di ciascun anno giudiziario, il Ministro della giustizia rende comunicazioni alle Camere sull'amministrazione della giustizia nel precedente anno nonché sugli interventi da adottare ai sensi dell'articolo 110 della Costituzione e sugli orientamenti e i programmi legislativi del Governo in materia di giustizia per l'anno in corso. Entro i successivi dieci giorni, sono convocate le assemblee generali della Corte di cassazione e delle corti di appello, che si riuniscono, in forma pubblica e solenne, con la partecipazione del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, dei procuratori generali presso le corti di appello e dei rappresentanti dell'avvocatura, per ascoltare la relazione sull'amministrazione della giustizia da parte del primo Presidente della Corte di cassazione e dei presidenti di corte di appello. Possono intervenire i rappresentanti degli organi istituzionali, il Procuratore generale e i rappresentanti dell'avvocatura»;

 

b) l'articolo 89 è abrogato;

 

c) il comma 2 dell'articolo 76-ter è abrogato.

 

30. Nella provincia autonoma di Bolzano restano ferme le disposizioni dello statuto speciale e delle relative norme di attuazione, in particolare il titolo III del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1976, n. 752.

 

31. Ai magistrati in servizio presso gli uffici aventi sede nella provincia autonoma di Balzano, assunti in esito a concorsi speciali ai sensi degli articoli 33 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1976, n. 752, e successive modificazioni, si applicano le disposizioni contenenti le previsioni sulla temporaneità degli incarichi direttivi e semidirettivi, nonché sulla durata massima dello svolgimento di un identico incarico presso il medesimo ufficio, in quanto compatibili con le finalità dello statuto di autonomia e delle relative norme di attuazione, anche tenendo conto delle esigenze di funzionamento degli uffici giudiziari di Balzano. I predetti magistrati possono comunque concorrere per il conferimento di altri incarichi direttivi e semidirettivi, di uguale o superiore grado, nonché mutare dalla funzione giudicante e requirente, e viceversa, in sedi e uffici giudiziari posti nel circondario di Balzano alle condizioni previste dal comma 1, lettera g), numeri da l) a 6).

 

32. Alle funzioni, giudicanti e requirenti, di secondo grado, presso la sezione distaccata di Bolzano della corte d'appello di Trento, nonché alle funzioni direttive e semidirettive, di primo e secondo grado, giudicanti e requirenti, presso gli uffici giudiziari della provincia autonoma di Bolzano, si accede mediante apposito concorso riservato ai magistrati provenienti dal concorso speciale di cui all'articolo 35 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1976, n. 752.

 

33. Nella tabella A allegata al decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, alla voce relativa alla corte di appello di Trento - sezione distaccata di Bolzano/Bozen - tribunale di Bolzano/Bozen:

 

a) nel paragrafo relativo al tribunale di Bolzano, le parole: «Lauregno/Laurein», e «Proves/Proveis» sono soppresse;

 

b) nel paragrafo relativo alla sezione di Merano, sono inserite le parole: «Lauregno/Laurein» e «Proves/Proveis».

 

34. Dopo l'articolo l del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 133, è inserito il seguente:

 

«Art. 1-bis. - 1. È istituita in Bolzano una sezione distaccata della corte d'assise di appello di Trento, con giurisdizione sul territorio compreso nella circoscrizione del tribunale di Bolzano».

 

35. Per le finalità di cui al comma l, lettera q), numeri 2) e 3), la spesa prevista è determinata in euro 1.231.449 per l'anno 2005 ed euro 2.462.899 a decorrere dall'anno 2006; per l'istituzione e il funzionamento delle commissioni di concorso di cui al comma l, lettera l), numeri 5), 6), 8) e 10), nonché lettera m), numeri 9) e 10), è autorizzata la spesa massima di euro 323.475 per l'anno 2005 ed euro 646.950 a decorrere dall'anno 2006.

 

36. Per le finalità di cui al comma l, lettera t), e autorizzata la spesa massima di euro 1.500.794 per l'anno 2005 e di euro 2.001.058 a decorrere dall'anno 2006, di cui euro 1.452.794 per l'anno 2005 ed euro 1.937.058 a decorrere dall'anno 2006 per il trattamento economico del personale di cui al comma 1, lettera t), numero 2.1), nonché euro 48.000 per l'anno 2005 ed euro 64.000 a decorrere dall'anno 2006 per gli oneri connessi alle spese di allestimento delle strutture di cui al comma 1, lettera t), numero 2.2). Agli oneri derivanti dal presente comma si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2005-2007, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2005, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della giustizia.

 

37. Per l'istituzione e il funzionamento della Scuola superiore della magistratura, di cui al comma 2, lettera a), è autorizzata la spesa massima di euro 6.946.950 per l'anno 2005 ed euro 13.893.900 a decorrere dall'anno 2006, di cui euro 858.000 per l'anno 2005 ed euro 1.716.000 a decorrere dall'anno 2006 per i beni da acquisire in locazione finanziaria, euro 1.866.750 per l'anno 2005 ed euro 3.733.500 a decorrere dall'anno 2006 per le spese di funzionamento, euro 1.400.000 per l'anno 2005 ed e euro 2.800.000 a decorrere dall'anno 2006 per il trattamento economico del personale docente, euro 2.700.000 per l'anno 2005 ed euro 5.400.000 a decorrere dall'anno 2006 per le spese dei partecipanti ai corsi di aggiornamento professionale, euro 56.200 per l'anno 2005 ed euro 112.400 a decorrere dall'anno 2006 per gli oneri connessi al funzionamento del comitato direttivo di cui al comma 2, lettera l), euro 66.000 per l'anno 2005 ed euro 132.000 a decorrere dall'anno 2006 per gli oneri connessi al funzionamento dei comitati di gestione di cui al comma 2, lettera m).

 

38. Per le finalità di cui al comma 3, la spesa prevista è determinata in euro 303.931 per l'anno 2005 ed euro 607.862 a decorrere dall'anno 2006, di cui euro 8.522 per l'anno 2005 ed euro 17.044 a decorrere dall'anno 2006 per gli oneri connessi al comma 3, lettera a), ed euro 295.409 per l'anno 2005 ed euro 590.818 a decorrere dall'anno 2006 per gli oneri connessi al comma 3, lettere f) e g).

 

39. Per le finalità di cui al comma 5, la spesa prevista è determinata in euro 629.000 per l'anno 2005 ed euro 1.258.000 a decorrere dall'anno 2006.

 

40. Per le finalità di cui al comma 10 è autorizzata la spesa di .euro 9.750.000 per l'anno 2005 e di euro 8.000.000 a decorrere dall'anno 2006. Agli oneri derivanti dal presente comma si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2005-2007, nell'ambito dell'unità previsionale di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2005, allo scopo parzialmente utilizzando, quanto a euro 9.750.000 per l'anno 2005, l'accantonamento relativo al Ministero della giustizia, e quanto a euro 8.000.000 a decorrere dall'anno 2006, l'accantonamento relativo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

 

41. Agli oneri indicati nei commi 35, 37, 38 e 39, pari a euro 9.434.805 per l'anno 2005 ed euro 18.869.611 a decorrere dall'anno 2006, si provvede:

 

a) quanto a euro 9.041.700 per l'anno 2005 ed euro 18.083.401 a decorrere dall'anno 2006, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2005-2007, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2005, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della giustizia;

 

b) quanto a euro 393.105 per l'anno 2005 ed euro 786.210 a decorrere dall'anno 2006, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, come rideterminata dalla tabella C allegata alla legge 30 dicembre 2004, n. 311.

 

42. Il Ministro dell'economia e delle finanze provvede al monitoraggio dell'attuazione dei commi 1, 2, 3 e 5, anche ai fini dell'applicazione dell'articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, e trasmette alle Camere, corredati da apposite relazioni, gli eventuali decreti emanati ai sensi dell'articolo 7, secondo comma, n. 2), della legge n. 468 del 1978.

 

43. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

44. In ogni caso, le disposizioni attuative dei princìpi e dei criteri direttivi di cui ai commi 1, lettere l), m) e q), 2, 3 e 5 non possono avere efficacia prima della data del 1° luglio 2005.

 

45. Nelle more dell'attuazione della delega prevista dal comma 10, non possono essere conferiti incarichi direttivi giudicanti e requirenti di legittimità a magistrati che abbiano meno di due anni di servizio prima della data di ordinario collocamento a riposo prevista dall'articolo 5 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, e non possono essere conferiti incarichi direttivi giudicanti e requirenti di primo grado e di secondo grado a magistrati che abbiano meno di quattro anni di servizio prima della data di ordinario collocamento a riposo prevista dal citato articolo 5 del regio decreto legislativo n. 511 del 1946. Tale disposizione si applica anche alle procedure per il conferimento degli incarichi direttivi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge.

 

46. Nelle more dell'attuazione della delega prevista al comma 17, per l'elezione dei componenti del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa ciascun elettore può votare per un solo componente titolare e per un solo componente supplente; i voti eventualmente espressi oltre tale numero sono nulli.

 

47. Il Governo trasmette alle Camere una relazione annuale che prospetta analiticamente gli effetti derivanti dai contratti di locazione finanziaria stipulati in attuazione della presente legge.

 

48. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.


Iter al Senato - prima lettura

 


Disegni di legge

 


 

SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 104

 

DISEGNO DI LEGGE

 

d’iniziativa dei senatori MARINO, MUZIO e PAGLIARULO

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA 6 GIUGNO 2001

 

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Modifica alle circoscrizioni territoriali degli uffici giudiziari della corte d’appello di Genova e della corte d’appello di Firenze

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Onorevoli Senatori. – Il problema della modificazione delle circoscrizioni territoriali degli uffici giudiziari della corte d’appello di Genova e della corte d’appello di Firenze deve essere risolto per superare una situazione assolutamente anomala.

    Allo scopo la regione Toscana presentò già negli anni ’70 due proposte di legge alle Camere.

    All’epoca si richiedeva anche una nuova delimitazione dell’ambito territoriale del tribunale di Massa Carrara, aggregando ad esso le preture di Aulla, Fivizzano e Pontremoli e ripristinando così la situazione precedente al decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1963, n. 2105, nonchè il trasferimento della competenza per il territorio del comune di Fosdinovo dalla pretura di Sarzana alla pretura di Carrara, cioè da una pretura rientrante nel territorio della regione Liguria ad una pretura rientrante nel territorio della regione Toscana.

    Successivamente, con la legge 15 febbraio 1989, n. 52, si è provveduto al trasferimento delle preture di Fivizzano, Aulla e Pontremoli nell’ambito del tribunale di Massa Carrara ed è stato anche assegnato il territorio fosdinovese alla pretura di Carrara (ora sezione distaccata della pretura circondariale di Massa).

    Resta, invece, insoluto il problema dell’inserimento del tribunale di Massa Carrara nel distretto della corte d’appello di Firenze.

    Siamo in presenza di un’anomalia assoluta che deve essere rimossa: il tribunale di Massa Carrara è l’unico in Italia a dipendere da una corte d’appello di una regione diversa da quella nella quale insiste il territorio del tribunale. Non si possono giustificare rinvii ulteriori sostenendo che anche questo problema potrà trovare soluzione quando si procederà ad una revisione complessiva della geografia giudiziaria italiana.

    È di tutta evidenza che anche l’articolazione degli uffici giudiziari non può essere avulsa dal tessuto istituzionale nel quale lo Stato si articola ed è innegabile l’interesse dei cittadini ad avere un riferimento nel capoluogo della regione anche per le questioni giudiziarie come per quelle amministrative, comprese quelle connesse alla giurisdizione amministrativa già assegnate ovviamente al tribunale amministrativo regionale della Toscana, e come per le questioni di competenza delle sezioni regionali della Corte dei conti che sono state istituite con il decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19.

    Anche l’istituzione della Direzione distrettuale antimafia rende ulteriormente urgente l’approvazione della modificazione proposta, poichè l’attuale situazione determina uno «scollamento investigativo» assurdo, denunciato a suo tempo anche dal procuratore capo di Firenze dottor Pier Luigi Vigna.

    La stessa Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari ha potuto constatare nel corso delle sue audizioni toscane e liguri che si tratta di una situazione alla quale è necessario porre rimedio.


 


 


DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

 

    1. Il tribunale di Massa cessa di appartenere alla circoscrizione della corte d’appello di Genova ed è aggregato alla circoscrizione della corte d’appello di Firenze.

 

Art. 2.

    1. Il Ministro della giustizia è autorizzato ad apportare le necessarie variazioni alle tabelle A e B annesse all’ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come da ultimo sostituite dalle tabelle A e B allegate al decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51.

 

Art. 3.

    1. Il Ministro della giustizia, sentito il Consiglio superiore della magistratura, provvede, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, all’aumento degli organici della corte d’appello di Firenze, che si renderà necessario a seguito della modificazione alle circoscrizioni giudiziarie di cui all’articolo 1, ed alla corrispondente riduzione dell’organico della corte d’appello di Genova.

 

Art. 4.

    1. La presente legge entra in vigore novanta giorni dopo la data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 279

 

DISEGNO DI LEGGE

 

 

d’iniziativa dei senatori PEDRIZZI, BATTAGLIA Antonio, BUCCIERO e CARUSO Antonino

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA 21 GIUGNO 2001

 

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Istituzione in Latina di una sezione distaccata  della corte di appello di Roma

 

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Onorevoli Senatori. – La necessità di istituire, a Latina, una sezione distaccata della corte di appello di Roma si fa sempre più pressante e oramai improrogabile. L’argomento, dibattuto già da tempo e da noi fortemente sostenuto, è stato affrontato a tutti i livelli. Autorità, istituzioni, sindaci e amministrazioni interessate, nonchè gli ordini professionali e le categorie socio-economiche che rappresentano il tessuto connettivo della provincia di Latina concordano sulla necessità e urgenza non solo di una mera razionalizzazione delle risorse, ma di un potenziamento e ammodernamento degli uffici giudiziari in guisa che essi possano far fronte alla crescente domanda di un’amministrazione e gestione della giustizia più snella ed efficiente.

 

    La grande distanza del sud della provincia da Roma, presso cui l’utenza è costretta a recarsi per poter accedere agli organi della giustizia civile e penale di secondo grado, rende insopportabile, lontano e inaccessibile il «servizio giustizia», essendosi peraltro la capitale dimostrata incapace di porsi, anche per problemi esogeni (traffico, collocazione geografica degli uffici della corte d’appello, difficoltà nei collegamenti, eccetera), quale efficiente polo giudiziario di secondo grado dell’intera regione.

    La disfunzione dell’amministrazione della giustizia, che già nel quadro generale presenta profili di oggettiva preoccupazione, si è trasformata – nel territorio pontino – in vera e propria emergenza, ove si consideri che l’ordine pubblico, in questa zona, ha assunto dimensioni paragonabili a quelle della sempre più vicina Campania. Infatti, le infiltrazioni camorristiche, che da circa quindici anni hanno fatto la loro apparizione, rappresentano oggi una vera e propria costante nel tessuto economico e sociale della provincia di Latina, della quale si ha conferma attraverso il riscontro di investimenti immobiliari compiuti da alcune famiglie camorristiche, le quali si sono abilmente confuse nei movimenti di grandi masse turistiche affluenti nella provincia di Latina durante i mesi estivi.

    Nel territorio pontino non si registra comunque solamente un aumento della popolazione limitatamente al periodo estivo, in quanto, per effetto del fenomeno di immigrazione dal sud della Campania, la popolazione attualmente residente nella provincia ha superato le 500.000 unità, valore che tende ad aumentare e al cui confronto diventano, quindi, assolutamente e gravemente insufficienti le strutture giudiziarie attualmente presenti.

    A ciò aggiungasi che la città di Latina, a differenza di numerosi altri capoluoghi di provincia, anche della regione Lazio, è uno dei pochi capoluoghi a trend demografico crescente, come le recenti statistiche ampiamente dimostrano.

    Si considerino ancora la forma allungata della provincia, l’insufficienza di una adeguata rete viaria di congiunzione alla capitale, la nota inadeguatezza e, quindi, la pericolosità della strada statale n. 148 Pontina, che rendono ancor più difficile e arduo l’accesso agli uffici giudiziari romani.

    La provincia di Latina ricomprende nel suo territorio, oltre al tribunale e alla procura della Repubblica, la pretura e la procura circondariale e le sedi distaccate di pretura di Terracina, Priverno, Fondi, Gaeta, Minturno e relativi uffici del giudice di pace. Il tribunale di Latina costituisce fra i tribunali della regione, sia per numero che per importanza di affari, via via in aumento, il tribunale più frequentato e importante dopo quello di Roma.

    Alla data del 31 dicembre 1996 vi risultavano pendenti circa 35.000 affari civili (oltre 19.000 presso il tribunale e oltre 15.000 presso la pretura) e oltre 54.000 procedimenti penali (556 presso il tribunale; 1967 presso il giudice per le indagini preliminari – GIP – del tribunale; 1362 presso la pretura; 49.497 presso il GIP della pretura).

    Gli avvocati iscritti all’ordine alla stessa data del 31 dicembre 1996 erano in numero di 750 circa e i praticanti avvocati in numero di 750 circa, per un complessivo ammontare di circa 1.500 unità.

    Tanto avvertita è l’esigenza di un sostanziale potenziamento delle strutture giudiziarie che, com’è a tutti noto, da molti anni si sostiene – a ragione – la necessità di dotare Gaeta di un secondo tribunale della provincia di Latina, che possa rappresentare anche un efficace sbarramento alla invasiva criminalità organizzata proveniente dalla Campania e allo stesso tempo un sollievo alle popolazioni del sud della provincia, da decenni costrette a percorrere molti chilometri e strade altamente pericolose come la Flacca e l’Appia per accedere agli uffici giudiziari pontini.

    L’avvertita esigenza di assicurare una maggior presenza delle strutture giudiziarie, e cioè un polo giudiziario di secondo grado – si ricordi che per il riesame delle misure cautelari personali è oggi competente il tribunale della libertà di Roma, e non più quello di Latina – più vicino e raggiungibile in tempi più ridotti e con minori pericoli per gli utenti, scaturisce anche dalla necessità di una maggiore e più incisiva azione di controllo e di repressione della criminalità economica (in relazione, ad esempio, al preoccupante fenomeno del riciclaggio).

    Sotto altro profilo, alla riforma del codice di procedura civile non ha poi corrisposto una migliore e più razionale distribuzione degli uffici giudiziari nel territorio, con la conseguenza che l’effettiva applicazione di nuovi istituti quale, ad esempio, la comparizione personale delle parti è resa più difficile al cittadino del sud pontino, costretto a ricorrere a un giudice troppo distante. Così come la non conoscenza da parte del giudice di luoghi e ambienti troppo lontani dalla sua sede di lavoro non gli consente di avere una adeguata percezione dei fatti e delle circostanze sulle quali dovrà pronunciarsi.

    La stessa istituzione in Latina della sezione staccata del tribunale amministrativo regionale del Lazio è del resto connotata da un bilancio ventennale di incondizionata positività, in quanto numerosi giudizi, i quali avrebbero subìto i biblici ritardi della sede centrale di Roma, sono stati invece definiti in archi di tempo sempre contenuti, non di rado oggettivamente brevi.

    Tale sezione si è dunque posta quale efficiente e insostituibile sede giudiziaria non solo per la provincia di Latina, ma anche per quella di Frosinone, frutto della lungimiranza e della obiettività del legislatore del tempo.

    In conclusione, la provincia di Latina che, come giova ribadire, rappresenta con la sua città capoluogo uno dei pochi esempi di centri a trend demografico crescente, sta da lungo tempo patendo anche le conseguenze di una irrazionale politica giudiziaria, che la penalizza ingiustamente senza considerare le potenzialità economiche e le capacità di espansione di cui il territorio gode naturalmente, grazie alla sua collocazione geografica, vero e proprio (oltre che unico) punto intermedio fra le aree metropolitane di Roma e di Napoli.


 


 


DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

    1. È istituita in Latina una sezione distaccata della corte di appello di Roma, con giurisdizione sui circondari dei tribunali di Latina, Frosinone, Cassino e Velletri.

 

Art. 2.

    1. È istituita in Latina una sezione della corte di appello di Roma in funzione di corte di assise di appello, nella cui circoscrizione sono compresi i circoli delle corti di assise di Latina, Frosinone e Cassino.

 

Art. 3.

    1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro della giustizia provvede, con proprio decreto, a rivedere le piante organiche degli uffici esistenti, determinando la consistenza di personale necessario al funzionamento delle sezioni istituite ai sensi della presente legge.

 

    2. Nel medesimo decreto ed entro lo stesso termine il Ministro della giustizia provvede altresì a stabilire la data di inizio del funzionamento degli uffici giudiziari istituiti ai sensi della presente legge.

 

Art. 4.

    1. Alla data di inizio del funzionamento degli uffici giudiziari di cui alla presente legge, gli affari civili e penali pendenti davanti alla corte di appello, alla corte di assise d’appello di Roma rientranti, ai sensi della presente legge, nella competenza per territorio, rispettivamente della sezione distaccata della corte di appello di Roma con sede in Latina, della sezione della corte di appello di Roma con sede in Latina in funzione di corte di assise di appello sono devoluti alla cognizione di questi uffici.

 

    2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano alle cause civili rimesse al collegio ai sensi dell’articolo 352 del codice di procedura civile, ai procedimenti penali, nei quali il decreto di citazione è stato notificato a tutte le parti, nonchè agli affari di volontaria giurisdizione già in corso alla data di inizio del funzionamento della sezione distaccata, fissata ai sensi dell’articolo 3, comma 2.

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 280

 

DISEGNO DI LEGGE

 

 

d’iniziativa del senatore PEDRIZZI

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA 21 GIUGNO 2001

 

 

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Istituzione del tribunale di Gaeta

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Onorevoli Senatori. – La proposta di istituire un tribunale in Gaeta fu per la prima volta formulata in data 4 gennaio 1984 dall’allora deputato Guido Bernardi e da altri dodici parlamentari appartenenti a diversi partiti politici (atto Camera n. 1102 della IX legislatura), venendo incontro alle aspettative di un largo movimento di opinione pubblica, culminato nelle deliberazioni di tredici consigli comunali dell’area sud-pontina e in quella della stessa amministrazione provinciale, attivati e sensibilizzati dalla mozione (in data 27 marzo 1982) della classe giuridico-forense degli allora mandamenti di Gaeta, Fondi e Minturno, e con il consenso, largamente riportato dalla stampa, delle forze economiche e sociali della zona. Lo scioglimento anticipato della legislatura e la mancanza di un deciso appoggio governativo (il Ministro di grazia e giustizia all’epoca in carica, da più parti interpellato, aveva rinviato l’esame della questione al momento in cui sarebbe stato rivisto l’intero assetto territoriale dell’apparato giudiziario) non consentirono alla proposta, che pure aveva registrato i pareri favorevoli dei capi degli uffici giudiziari e del consiglio dell’ordine degli avvocati e procuratori di Latina, di pervenire a buon esito.

 

    L’iniziativa, tuttavia, dopo le rinnovate e vieppiù pressanti istanze delle menzionate componenti giudiziarie, forensi, amministrative ed economico-sociali, è stata ripetuta nella X legislatura con la presentazione, prima al Senato della Repubblica (atto Senato n. 1767, presentato il 19 maggio 1989 dai senatori Bernardi ed altri) e poi alla Camera dei deputati (atto Camera n. 4793, presentato il 27 aprile 1990 dagli onorevoli Carelli ed altri), di due proposte che sia nell’articolato, sia nella relazione, ricalcavano pressochè integralmente quella originaria del 1984. Ulteriori proposte vennero presentate alla Camera dei deputati il 17 gennaio 1991, d’iniziativa degli onorevoli Mastrantuono, Santarelli e Piermartini (atto Camera n. 5385), nonchè il 20 febbraio 1991, d’iniziativa dei deputati Maceratini, Rauti, Fini, Caradonna e Trantino (atto Camera n. 5468).

    Successivamente, motu proprio, la regione Lazio, con deliberazione del 16 giugno 1991, approvava una «Proposta regionale di legge nazionale concernente: istituzione del Tribunale di Gaeta», che veniva presentata al Senato della Repubblica (atto Senato n. 2907 della X legislatura). Ancora una volta, tuttavia, lo scioglimento anticipato della legislatura non consentì il completamento dell’iter. Nella XI legislatura un progetto analogo fu ripresentato a firma dei deputati Carta ed altri (atto Camera n. 1336), ma le note vicende parlamentari, ancora una volta, non ne consentirono l’esame.

    Orbene, pur condividendosi tutte le motivazioni di politica, socio-economiche, geografiche e storiche, esposte nei progetti precedenti e alle quali si rimanda, anche per quanto riguarda le tappe salienti dell’iter percorso nelle varie sedi dall’iniziativa, si è ritenuto tuttavia di dover redigere un nuovo articolato, più aderente, sotto il profilo tecnico-giuridico, alle intervenute recenti modificazioni dell’ordinamento giudiziario e del codice di procedura penale.

    Superato il concetto territoriale di «mandamento» e sostituito lo stesso da quello di «circondario» (coincidente, quindi, con il territorio del tribunale) si rende necessaria l’istituzione di una pretura circondariale e di un ufficio di procura della Repubblica presso la pretura circondariale; le preesistenti preture periferiche di Fondi e Minturno, oggi sezioni distaccate di quella di Latina, diventano sezioni distaccate della pretura di Gaeta.

    Altre modifiche tecniche non si reputano necessarie, condividendosi, in particolare, la precedente formulazione delle disposizioni transitorie, che assumono quali momenti determinativi del trapasso di competenza territoriale, in civile, l’assunzione delle cause in decisione all’esito dell’udienza di discussione, in penale, l’apertura del dibattimento (vedi articoli 484 e seguenti del nuovo codice di procedura penale) e, nel rito del lavoro, la celebrazione dell’udienza di cui all’articolo 420 del codice di procedura civile: eventi processuali salienti e caratterizzanti l’iter delle cause, oltre i quali la rimessione delle stesse ad altro giudice determinerebbe notevoli inconvenienti e vanificherebbe gran parte dell’attività in precedenza svolta.

    È opportuno a tal proposito ricordare che in Formia vi sono già sedi periferiche autonome dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) cui sono state decentrate le competenze amministrative di zona. Ciò per chiarire che non vi sarebbero complicazioni amministrative per la trattazione dei procedimenti previdenziali di cui all’articolo 444 del codice di procedura civile.

 

*  *  *

 

    Esaminata l’illustrazione degli aspetti tecnici della proposta, il proponente ritiene di dover ribadire l’oramai ineludibile esigenza di un rapido coronamento legislativo della stessa, avendo l’emergenza giudiziaria da tempo superato, nel sud Pontino, il livello di guardia, al punto che, pur nel generale quadro nazionale di disfunzione della giustizia, la situazione dell’ordine pubblico nelle zone in questione è, per molti versi, paragonabile a quella della vicina Campania.

 

    Le infiltrazioni camorristiche, di cui era fatta menzione già nella relazione alla proposta del 1984, come è stato recentemente riconosciuta dallo stesso Ministero dell’interno, hanno dato luogo, ormai, a una vera e propria invasione.

    Il sud della provincia di Latina (e segnatamente la zona compresa fra il Garigliano e Formia) è stato negli ultimi anni teatro di vari ed eclatanti fatti criminosi: omicidi di stampo camorristico di autori in gran parte rimasti ignoti o, quando scoperti, provenienti dalla suddetta regione confinante; attentati dinamitardi ed estorsioni ai danni di operatori economici e dilagante diffusione di droga. Notori, e largamente riportati dalla stampa, sono i cospicui investimenti immobiliari di «famiglie» camorristiche, vari esponenti delle quali, rifugiati nel sud Pontino e «mimetizzati» nell’enorme massa umana che vi affluisce durante la stagione estiva, sono incappati, spesso casualmente, nelle maglie delle Forze di polizia.

    Il tutto in un contesto ambientale in costante evoluzione, che registra da una parte un cospicuo aumento (soprattutto per effetto delle immigrazioni dal sud campano) della popolazione residente (attualmente di circa 150.000 abitanti), con tasso tendenziale in forte aumento, e dall’altra, nonostante gli appelli si moltiplichino (tra gli altri va segnalato anche l’accorato grido di allarme della curia vescovile), una sempre più labile presenza sul territorio dell’autorità giudiziaria.

    La perdita di autonomia delle tre preture ex mandamentali, facenti ormai capo a quella di Latina, e l’assenza in loco di un ufficio del pubblico ministero (essendo stati i pretori privati del potere inquirente e questo accentrato nella lontana procura circondariale) si traducono, in considerazione della grande distanza da Latina delle zone in questione (dai 60 agli oltre 100 chilometri), in intollerabile intralcio e lentezza nelle prime indagini (quelle fondamentali e quasi sempre decisive) che la polizia giudiziaria dovrebbe svolgere sotto la costante e assidua direzione del magistrato di turno, i quali però non di rado (specialmente nel periodo estivo quando più numerosi si registrano i gravi delitti e le strade sono perennemente intasate dal traffico turistico) impiegano diverse ore per giungere sul posto!

    Le medesime distanze rendono quasi impossibile l’opera di verifica e controllo sulle attività economiche istituzionalmente demandata alla sezione commerciale del tribunale. Tale opera è particolarmente utile nella prevenzione e repressione della criminalità economica, in specie del fenomeno del riciclaggio, che ha fatto del sud Pontino terra di conquista delle famiglie camorriste e adesso anche di quelle mafiose, per le quali il porto commerciale di Gaeta, l’area del nucleo industriale Formia-Gaeta-Fondi, le strutture turistiche della costa da Scauri a Sperlonga, il mercato ortofrutticolo di Fondi e il polo commerciale di Formia costituiscono un boccone anche troppo appetibile, per non parlare delle aree agricole della piana di Fondi e del bacino Garigliano-Ausente (Minturno-Castelforte-Santi Cosma e Damiano-Spigno Saturnia) già oggetto di una massiccia campagna acquisti.

    Tutte queste considerazioni sono state pienamente recepite qualche anno fa nella relazione resa dal senatore Calvi, quale vice-presidente della Commissione parlamentare antimafia, ove si raccomandava con forza e urgenza l’istituzione del tribunale nel sud Pontino.

    I carichi civili e penali, intanto, aumentano: alla fine del 1989 presso il tribunale di Latina pendevano 13.911 cause civili e 4.157 processi penali a giudizio, di cui rispettivamente (in base a stima «per campione») il 35 per cento e il 45 per cento circa riferibili al territorio dei 14 comuni meridionali. Al 31 dicembre 1993 le pendenze civili in cognizione erano giunte a 17.409, oltre a 3.568 procedimenti esecutivi. Nonostante la falcidia dell’amnistia e l’effetto deflattivo delle modifiche processuali sul contenzioso devoluto al tribunale, quelle penali assommavano già a 1.702, di cui 971 presso il giudice per le indagini preliminari e 731 in dibattimento.

    Nè migliore è la situazione nelle sedi distaccate di pretura: al 31 dicembre 1989 pendevano a Gaeta 1.901 procedimenti civili, al 31 marzo 1994 ben 2.397, di cui 1.761 procedimenti cognitivi e 636 esecutivi. A Fondi e Minturno pendevano al 30 giugno 1990 rispettivamente 978 e 745 procedimenti civili; al 31 marzo 1994 Fondi raggiunge i 1.019, di cui 565 cognitivi e 454 esecutivi; Minturno gli 852, di cui 659 cognitivi e 193 esecutivi. Impossibile è risultato ai fini statistici il rilievo delle pendenze penali riferibili a dette zone, considerato che la maggior parte dei procedimenti sono ancora in attesa di inizio (se non, addirittura, della semplice iscrizione!) presso la procura circondariale pretorile di Latina, sommersa da un’immane mole di lavoro. Peraltro essi non sono classificati territorialmente, pertanto più significativo è sembrato indicare il numero dei procedimenti pervenuti alle sezioni distaccate per il dibattimento nel 1993. Essi assommano a 478 per Gaeta, 398 per Fondi, 247 per Minturno.

    Nè va sottaciuto che lo stato preagonico della giustizia civile nel tribunale di Latina (nel quale i tempi dei giudizi ordinari sono addirittura considerevolmente superiori a quelli di una sede «critica» com’è quella di Roma), in sinergia con la grande distanza dal sud della provincia e i conseguenti disagi, sta aprendo alla camorra un’altra nicchia di mercato, quella del cittadino comune che ricorre alla protezione del camorrista per soddisfare istanze in sè legittime, ma delle quali la semiparesi dell’ufficio giudiziario rende inutile per l’istante il riconoscimento per via giurisdizionale.

    Tale fenomeno è tra i più insidiosi, perchè promuove la delinquenza a ordinamento alternativo, facendola diventare parte integrante del tessuto sociale. Così è accaduto in quelle zone ove camorra, mafia e n’drangheta sono poi diventate endemiche; l’omertà non è semplicemente il frutto della paura fisica, ma soprattutto il risultato di un complesso intreccio di complicità labili e sfumate, in cui anche i non affiliati all’organizzazione criminale devono in qualche modo avere a che fare e convivere con essa.

    Di qui la necessità, per gli abitanti del sud Pontino, di un polo giudiziario più vicino e più celere, per evitare che altri cittadini siano tentati a ricorrere all’antistato.

    Sotto questo profilo v’è da dire che, purtroppo, la recente riforma del codice di procedura civile, in difetto di una migliore distribuzione degli uffici giudiziari sul territorio, non farebbe che accelerare il citato fenomeno. Infatti, istituti quali la comparizione personale obbligatoria delle parti o il rigido regime di decadenze e preclusioni (che impone al giudice di primo grado di conoscere dettagliatamente la causa sin dalle prime battute), rendono più difficile per il cittadino del sud Pontino il ricorso a un giudice troppo distante e più problematica per quel giudice la cognizione di una causa di cui ignora luoghi e ambienti, troppo lontani. Si avrebbe così non una giustizia sommaria, ma una spinta in più verso l’antistato.

    Tale situazione di emergenza nell’ordine pubblico e di gravissima disfunzione giudiziaria locale è inesorabilmente destinata ad aggravarsi, per quanto testè detto, producendo i ben noti guasti sociali: incremento della piccola e grande criminalità, fiduciosa nell’impunità di fatto, ripresa dell’abusivismo edilizio, riciclaggio di denaro di illecita provenienza da parte di recenti immigrati con investimenti soprattutto nel mercato immobiliare, traffico di stupefacenti, eccetera.

    In siffatto contesto, unanime è il convincimento dell’opinione pubblica, della stampa, delle amministrazioni locali, delle forze sindacali ed economiche, che l’istituzione nel basso Lazio di presìdi giudiziari verrebbe a costituire un efficace baluardo all’ulteriore avanzata camorristica e anzi un efficace mezzo di bonifica delle posizioni già conquistate dalla malavita organizzata.

    La classe forense locale, dopo mesi di astensione e proteste, ha più volte esposto il proprio drammatico e insostenibile disagio. Già nel 1990, nel corso di una assemblea tenutasi in Gaeta e cui hanno partecipato vari magistrati, esponenti politici (parlamentari, amministratori locali, rappresentanti dei partiti), sindacalisti, giornalisti, operatori economici e semplici cittadini, è sorto un comitato permanente per l’istituzione dell’auspicato tribunale.

    Il sud Pontino non chiede troppo, se si considera che una situazione socio-ambientale analoga (sol che si sostituisca alla parola «mafia» quella «camorra»), in Sicilia, ha portato recentemente (con la legge 1º marzo 1990, n. 42) alla istituzione in tempi insolitamente brevi (le varie proposte risalivano, al massimo, ad un anno e mezzo prima) del nuovo tribunale (con gli annessi uffici di procura e pretura) di Gela, la cui giurisdizione, peraltro, comprende solo tre comuni con una popolazione complessiva (130 mila abitanti) e pendenze giudiziarie (i dati sono ricavabili dalle relazioni annesse alle proposte legislative) nettamente inferiori a quelle riferibili ai quattordici comuni sud-pontini.

    Del resto analoghe considerazioni sono valse per l’istituzione, in Campania, dei tribunali di Nola e Torre Annunziata (leggi 11 febbraio 1992, n. 125 e n. 126). Sul punto non sarà inutile ricordare, a conferma dell’omogeneità della situazione, che Gaeta, come Nola e Torre Annunziata, era stata inclusa nella proposta di legge d’iniziativa dei deputati Fumagalli Carulli ed altri, per l’istituzione delle cosiddette «preture circondariali equiparate» (atto Camera n. 1090 della XI legislatura).

    Nè sarà rilevante lo sforzo economico e organizzativo che dovrà affrontare lo Stato, essendo in corso di costruzione un grande e moderno edificio, già destinato alla pretura di Gaeta, che, con opportune varianti e non rilevanti ampliamenti consentiti dalla superficie circostante, ben si presta a ospitare le sedi dei nuovi uffici giudiziari, e potendo l’ex penitenziario militare essere adibito a casa circondariale o comunque, sino a quando questa non sarà pronta, essere temporaneamente utilizzata per la bisogna la casa circondariale di Latina o quella di Cassino.

    I magistrati richiesti, tenuto conto di quelli già operanti nelle tre sezioni distaccate di pretura (quattro) e di quelli prelevabili da Latina (le cui esigenze verranno, ovviamente, a ridursi), non dovrebbero essere più di una dozzina; analogo discorso vale per il personale di cancelleria che, allo stato, è addirittura esuberante per effetto della riorganizzazione che ha tolto alle sedi distaccate la funzione requirente penale.

    Per tutte le suesposte considerazioni si ritiene sacrosanto e ormai improcrastinabile il diritto delle civilissime e indifese popolazioni del basso Lazio di ottenere dal legislatore nazionale considerazione quantomeno pari a quella ottenuta dai cittadini di altre zone d’Italia le cui analoghe e non più gravi esigenze di giustizia sono state rapidamente soddisfatte!


 

 


 


DISEGNO DI LEGGE

 

Art. 1.

    1. Nel distretto della Corte d’appello di Roma sono istituiti i seguenti uffici giudiziari:

 

        a)  il tribunale civile e penale di Gaeta;

 

        b)  la procura della Repubblica presso il tribunale di Gaeta;

        c)  la pretura circondariale di Gaeta;

        d)  la procura della Repubblica presso la pretura circondariale di Gaeta.

 

    2. Gli uffici di cui al comma 1 hanno giurisdizione nel territorio dei seguenti comuni: Campodimele, Castelforte, Fondi, Formia, Gaeta, Itri, Lenola, Minturno, Monte San Biagio, Ponza, Santi Cosma e Damiano, Sperlonga, Spigno Saturnia e Ventotene.

 

    3. Fanno parte della pretura circondariale di Gaeta le sezioni distaccate di Fondi e Minturno, già rientranti nel circondario pretorile di Latina, con i relativi territori.

    4. Il Ministro della giustizia apporta le necessarie variazioni alle tabelle annesse all’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni.

 

Art. 2.

    1. Gli affari civili e penali pendenti presso gli uffici giudiziari di Latina alla data di inizio del funzionamento degli uffici istituiti ai sensi dell’articolo 1, e relativi al territorio dei comuni di cui al comma 2 del medesimo articolo, sono devoluti di ufficio alla competenza degli uffici giudiziari di Gaeta.

 

    2. Rimangono tuttavia di competenza del tribunale e della pretura circondariale di Latina le cause civili già passate in decisione e quelle penali per le quali il dibattimento sia già stato dichiarato aperto.

    3. Le controversie in materia di lavoro e previdenza e assistenza obbligatoria provenienti dal territorio di cui all’articolo 1, comma 2, e pendenti, alla data di cui al comma 1 del presente articolo, presso la pretura di Latina, sono devolute di ufficio al pretore di Gaeta in funzione di giudice del lavoro, fatta eccezione per quelle per le quali sia già stata tenuta l’udienza di cui all’articolo 420 del codice di procedura civile, che continuano a essere trattate nella precedente sede.

    4. Le società e gli altri enti commerciali aventi sede nel territorio dei comuni di cui all’articolo 1, comma 2, già iscritti nel registro delle società presso la cancelleria commerciale del tribunale di Latina, sono cancellati da questo e iscritti d’ufficio nel registro delle società istituito presso il tribunale di Gaeta.

    5. Presso il tribunale di Gaeta è istituito l’ordine degli avvocati di Gaeta. Gli avvocati residenti nei comuni compresi nel circondario del predetto tribunale, già iscritti presso l’ordine degli avvocati di Latina, sono cancellati da questo e iscritti d’ufficio in quello di Gaeta. Parimenti i praticanti avvocati residenti nei comuni compresi nel circondario suddetto, già iscritti nel registro dei praticanti presso l’ordine degli avvocati di Latina, sono cancellati da questo e iscritti d’ufficio nel registro dei praticanti istituito presso l’ordine degli avvocati di Gaeta.

 

Art. 3.

    1. Il Ministro della giustizia determina con proprio decreto, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l’organico degli uffici istitutiti ai sensi dell’articolo 1, rivedendo le piante organiche dei corrispondenti uffici di Latina e, se necessario, di altri uffici giudiziari del distretto della Corte d’appello di Roma, e stabilisce la data di inizio del loro funzionamento.

 

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 344

 

DISEGNO DI LEGGE

 

 

d’iniziativa dei senatori BATTAFARANO, ANGIUS, MURINEDDU, DETTORI, CADDEO, NIEDDU e PETERLINI

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA 27 GIUGNO 2001

 

 

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Istituzioni delle corti d’appello di Sassari, Taranto e Bolzano

 

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Onorevoli Senatori. – L’azione svolta dal Parlamento e dal Governo, durante tutto il corso della precedente legislatura, per il sistema della giustizia è stata improntata alla volontà di accrescerne l’efficienza e la funzionalità; in tal senso sono state approvate e sono in fase di attuazione significative tappe.

 

    1. La sempre maggiore efficienza delle sezioni stralcio dell’arretrato civile, con la recente quasi integrale copertura dell’organico dei giudici onorari aggregati (GOA); la devoluzione agli stessi GOA e al giudice di pace di gran parte dell’arretrato delle cause civili delle preture; l’applicazione delle tabelle infradistrettuali; l’avvio della riforma del giudice unico; la depenalizzazione di alcuni reati minori realizzata dal decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507, attuativo della legge di delega 25 giugno 1999, n. 205; l’attribuzione di competenze penali al giudice di pace, attuata dalla legge 24 novembre 1999, n.  468; l’attuazione della legge delega sui tribunali metropolitani, realizzata attraverso il decreto legislativo 3 dicembre 1999, n.  491; l’approvazione, da parte del Consiglio dei ministri, lo scorso 22 marzo, del disegno di legge sull’aumento di organico della magistratura (atto Senato n.  4563 della XIII legislatura), all’esame dell’Aula del Senato, sono tutte misure volte a rendere più razionale e funzionale il sistema giudiziario, e la cui piena realizzazione rende ragionevole attendersi una prossima inversione di tendenza nella resa del servizio giustizia.

    Il presente disegno di legge, già presentato nella XIII legislatura, intende porsi come completamento di tale complessiva attività di razionalizzazione e ottimizzazione delle risorse nel settore giudiziario, portando alle necessarie conclusioni l’opera iniziata con l’istituzione delle sezioni distaccate di corte d’appello di Sassari, Taranto e Bolzano. Difatti, la domanda di giustizia in campo civile e l’esigenza di rapida risposta giudiziaria in campo penale, che sottostavano alla creazione dei suddetti uffici, piuttosto che diminuite, possono indubbiamente considerarsi aumentate.

    2. Venendo al merito dell’intervento normativo proposto, si fa notare come lo stesso trovi le sue uniche e fondate ragioni giustificatrici nell’obiettiva situazione di sofferenza del sistema giudiziario delle tre aree geografiche interessate.

    Per quanto attiene alla Puglia, la regione è unanimemente ritenuta territorio di frontiera per quanto riguarda le correnti di criminalità che l’attraversano con i traffici di stupefacenti, armi, generi di contrabbando e altro, con l’immigrazione clandestina, con i collegamenti internazionali tra le organizzazioni mafiose. In particolare, l’area ionica, di cui Taranto, terza città dell’Italia meridionale peninsulare, costituisce l’epicentro, è interessata da gravissimi episodi di criminalità organizzata a iniziativa di gruppi mafiosi locali, affiancati da quello della Sacra Corona Unita e della ’ndrangheta calabrese, con conseguente celebrazione di numerosi maxi-processi.

    È in questa grave situazione che possono trovarsi le ragioni dell’intervento proposto, che mira non solo a garantire e potenziare l’azione dello Stato per la sicurezza di tali popolazioni ma al tempo stesso, ponendo un saldo presidio giudiziario in una zona di frontiera, consente di migliorare la tutela dell’intero Paese. Le descritte peculiarità della situazione tarantina legittimano pienamente uno specifico e puntuale intervento per l’istituzione della relativa corte d’appello, che supererebbe peraltro i problemi connessi all’assenza di una direzione distrettuale antimafia.

    Simili presupposti sussistono anche nel territorio di Sassari e Bolzano, entrambe zone di confine nel senso anzidetto ed entrambe interessate, anche se in misura diversa, da fenomeni di delinquenza.

    Per quanto riguarda la Sardegna, giova ricordare che Sassari e le altre sedi di tribunale del nord della Sardegna (La Maddalena, Olbia, Tempio) distano da Cagliari da 200 a 300 chilometri e sono penalizzate da insufficienti vie e mezzi di comunicazione.

    La dipendenza da Cagliari sul piano organizzativo è fonte di notevoli disagi che incidono sulla funzionalità a cominciare dall’applicazione del personale (di competenza del presidente della corte) per finire alle disfunzioni di carattere amministrativo e contabile. Fanno capo a Sassari il tribunale di Nuoro, i relativi uffici di sorveglianza nonché le maggiori strutture carcerarie dell’isola.

    Il territorio del nord della Sardegna, ivi compreso Nuoro, è interessato da gravissimi episodi di criminalità connessi alla presenza dei maggiori porti dell’isola e dei due aeroporti di Alghero e Olbia, alla vicinanza con la Corsica e allo sviluppo turistico di richiamo internazionale (Costa Smeralda).

    Sussistono quindi le motivazioni, dopo dieci anni dalla istituzione della sede distaccata, per istituire definitivamente a Sassari la seconda sede di corte d’appello della Sardegna.

    Per il territorio della provincia di Bolzano si deve tenere presente che in tale territorio, in forza di apposita normativa di attuazione dello Statuto di autonomia, vige il principio per il quale i processi sono da celebrare nella madrelingua – tedesca o italiana – dell’imputato. Nel processo civile le parti possono scegliere liberamente la lingua del processo – tedesca o italiana – come possono anche scegliere che il processo si svolga in entrambe le dette lingue contemporaneamente. Non per ultime, le problematiche connesse con tale sistema processuale, dipendenti dall’insediamento delle minoranze linguistiche sul detto territorio, rendono opportuno istituire una corte d’appello anche per la provincia di Bolzano. Va inoltre rammentato che circa due terzi dei procedimenti che vengono svolti davanti alla corte d’appello di Trento si svolgono in realtà davanti alla sezione distaccata di Bolzano. Sono questi certamente motivi sufficienti per istituire la corte d’appello di Bolzano.

    Per concludere, preme sottolineare che la predetta opera di razionalizzazione non presenta alcun costo aggiuntivo, trattandosi di mera trasformazione in uffici giuridici autonomi di sezioni distaccate già esistenti e che, dunque, continuerebbero a giovarsi delle medesime strutture e del medesimo personale.

    Venendo poi all’analisi puntuale delle singole disposizioni, si osserva che gli articoli 1 e 2 attengono all’istituzione dei tre nuovi uffici giudiziari e alla conseguente modifica delle tabelle A e B allegate all’ordinamento giudiziario; gli articoli 3 e 4, invece, si preoccupano di stabilire modalità e tempi per la determinazione e copertura dei relativi organici. Infine, l’articolo 5 detta disposizioni relative ai procedimenti pendenti, atte a impedire la dispendiosa e negativa movimentazione di fascicoli e carte processuali.



 


DISEGNO DI LEGGE

Capo I

ISTITUZIONE DELLE CORTI
D’APPELLO E DELLE PROCURE
DELLA REPUBBLICA DI SASSARI,
TARANTO E BOLZANO

Art. 1.

(Istituzione delle corti d’appello e delle procure generali della Repubblica di Sassari, Taranto e Bolzano)

    1. Sono istituite la corte d’appello di Sassari, con giurisdizione sul territorio del circondario dei tribunali di Nuoro, Sassari e Tempio Pausania, e la procura generale della Repubblica presso la corte d’appello di Sassari.

    2. Sono istituite la corte d’appello di Taranto, con giurisdizione sul territorio del circondario del tribunale di Taranto, e la procura generale della Repubblica presso la corte d’appello di Taranto.

    3. Sono istituite la corte d’appello di Bolzano, con giurisdizione sul territorio del circondario del tribunale di Bolzano, e la procura generale della Repubblica presso la corte d’appello di Bolzano.

    4. La sezione distaccata di Sassari della corte d’appello di Cagliari, la sezione distaccata di Taranto della corte d’appello di Lecce e la sezione distaccata di Bolzano della corte d’appello di Trento sono soppresse dalla data di inizio del funzionamento dei nuovi uffici, ai sensi del comma 3 dell’articolo 3.

Art. 2.

(Variazioni alle tabelle A e B allegate all’ordinamento giudiziario)

    1. Il Ministro della giustizia è autorizzato ad apportare le necessarie variazioni alle tabelle A e B allegate all’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n.  12, e successive modificazioni.

 

Capo II

DISPOSIZIONI RELATIVE AL PERSONALE

Art. 3.

(Determinazione degli organici degli uffici giudiziari e nomina dei capi e dei dirigenti delle corti d’appello e delle procure generali della Repubblica di Sassari, Taranto e Bolzano)

 

    1. Con decreto del Ministro della giustizia, sentito il Consiglio superiore della magistratura, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, è determinato l’organico dei magistrati delle corti d’appello di Sassari, Taranto e Bolzano e delle procure generali della Repubblica presso le medesime corti d’appello.

 

    2. Il Consiglio superiore della magistratura provvede, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, alla nomina dei presidenti delle corti d’appello di Sassari, Taranto e Bolzano e dei procuratori generali della Repubblica presso le medesime corti d’appello.

    3. Con decreto del Ministro della giustizia, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, è determinato l’organico del personale amministrativo e sono nominati i dirigenti delle corti d’appello di Sassari, Taranto e Bolzano e delle procure generali della Repubblica presso le medesime corti d’appello; con il medesimo decreto, il Ministro della giustizia fissa la data di inizio del funzionamento dei predetti uffici giudiziari.

Art. 4.

(Copertura dell’organico

delle corti d’appello e delle procure

generali della Repubblica di Sassari,

Taranto e Bolzano)

    1. Alla copertura dell’organico dei magistrati delle corti d’appello di Sassari, Taranto e Bolzano e delle procure generali della Repubblica presso le medesime corti d’appello, si provvede mediante assegnazione del personale in servizio nelle sezioni di corte d’appello comprese nei rispettivi circondari alla data di cui al comma 3 dell’articolo 3, che ne abbia fatto richiesta; quanto ai posti residui, si provvede mediante le ordinarie procedure di trasferimento.

 

    2. Alla copertura dell’organico del personale amministrativo delle corti d’appello di Sassari, Taranto e Bolzano e delle procure generali della Repubblica presso le medesime corti d’appello, si provvede mediante assegnazione del personale in servizio nelle sezioni di corte d’appello comprese nei rispettivi circondari alla data di cui al comma 3 dell’articolo 3, che ne abbia fatto richiesta; quanto ai posti residui, si provvede mediante le ordinarie procedure di trasferimento.

 

Capo III

DISPOSIZIONI TRANSITORIE

Art. 5.

(Procedimenti pendenti)

    1. I procedimenti pendenti, alla data di cui al comma 3 dell’articolo 3, presso la sezione distaccata di Sassari della corte d’appello di Cagliari, presso la sezione distaccata di Taranto della corte d’appello di Lecce e presso la sezione distaccata di Bolzano della corte d’appello di Trento sono definiti dalle corti d’appello di Sassari, Taranto e Bolzano.

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 347

 

DISEGNO DI LEGGE

 

d’iniziativa del senatore MARINI

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 28 GIUGNO 2001

 

 

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Istituzione in Cosenza di una sezione distaccata della corte di appello di Catanzaro, di una sezione in funzione di corte d’assise di appello e di una sezione distaccata del tribunale amministrativo regionale della Calabria

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Onorevoli Senatori. – L’istituzione in Cosenza di una sezione distaccata della corte d’appello di Catanzaro, di una sezione distaccata del tribunale amministrativo regionale della Calabria, oltre che di una sezione distaccata di corte d’appello in funzione di corte d’assise di appello, costituisce un’esigenza – anzi una necessità – fortemente avvertita non solo dai fori della provincia, ma dall’intera sua popolazione.

 

    Essa, infatti, non si configura in alcun modo come iniziativa localistica o di campanile, ma è volta a soddisfare – nel quadro generale di un più razionale assetto sul territorio degli uffici giudiziari, tale da rendere la giurisdizione più efficiente e maggiormente accessibile ai cittadini – bisogni reali e obiettivi concretamente e storicamente avvertiti.

    La provincia di Cosenza (estesa dal Tirreno allo Ionio, dalla Sila al Pollino) è per territorio una delle più vaste d’Italia: essa comprende ben 155 comuni con una popolazione di circa 750.000 abitanti, si sviluppa su una superficie di 6.650 chilometri quadrati e presenta varietà morfologiche e orografiche molto accentuate. Molti comuni distano da Catanzaro – sede della corte d’appello e del tribunale amministrativo regionale – oltre duecento chilometri, sicchè intuibili risultano i disagi e le difficoltà per i cittadini in essi residenti di raggiungerla, anche in ragione di una rete viaria insufficiente e di un sistema di trasporti non adeguato.

    Ancora più significativo, peraltro, è rilevare che attualmente confluiscono presso la corte d’appello di Catanzaro gli affari giudiziari provenienti da ben otto tribunali (Cosenza, Rossano, Paola, Castrovillari, Lamezia Terme, Crotone, Vibo Valentia e Catanzaro) ricadenti nel territorio di ben quattro province (oltre quella di Catanzaro: Crotone, Vibo Valentia e Cosenza). Si tratta di un carico di lavoro non indifferente che la corte d’appello di Catanzaro oggettivamente non riesce a gestire adeguatamente, con gravi ripercussioni rappresentate dalla durata inaccettabilmente lunga dei giudizi e, sempre più frequentemente, dall’impossibilità di decidere molti processi penali prima che maturi la prescrizione dei reati. Si consideri, per un utile raffronto, che le corti di appello di Potenza, di Salerno, di Messina e di Perugia hanno giurisdizione, ciascuna, su quattro tribunali; quelle di Trento, di Campobasso e di Reggio Calabria su tre tribunali; quella di Lecce su due tribunali.

    A ciò si aggiunga che quasi il 50 per cento dei procedimenti civili e penali trattati dalla corte d’appello di Catanzaro proviene dagli uffici giudiziari della provincia di Cosenza.

    Si comprende, allora, come l’istituzione in Cosenza (non di una corte d’appello autonoma, di cui pure esisterebbero validi presupposti) di una sezione distaccata della corte d’appello di Catanzaro, avente giurisdizione sul territorio attualmente compreso nei circondari dei tribunali di Paola, Castrovillari, Rossano e Cosenza (che già oggi, ai sensi della legge 10 aprile 1951, n. 287, è sede di circolo di corte di assise comprendente i suddetti tribunali, articolato su due sezioni, la seconda delle quali istituita con decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1996 «considerata l’urgente necessità, al fine di fronteggiare le accresciute esigenze di servizio») avrebbe l’effetto di eliminare i disagi e le disfunzioni sopra evidenziate, restituendo al contempo funzionalità ed efficienza a un sistema di giustizia inadeguato a soddisfare i bisogni e ad assicurare tutela ai diritti dei cittadini calabresi interessati.

    Vale la pena evidenziare, poi, che con l’istituzione del giudice unico di primo grado (legge 16 luglio 1997, n. 254) il campo di azione delle corti d’appello è destinato ad ampliarsi notevolmente per la devoluzione a esse sia dell’appello civile avverso le decisioni già del pretore, sia dell’appello nelle controversie in materia di lavoro e di previdenza (comprese quelle – numericamente assai rilevanti – di pubblico impiego, trasferite, in base al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, alla cognizione del giudice ordinario).

    E’, ovvio, inoltre, che la riforma del giudice unico, implicando, nel settore penale, che il giudice di primo grado deciderà prevalentemente in via monocratica (anzichè collegiale), comporterà, a regime, una maggiore produttività e, quindi, un prevedibile maggiore afflusso ai processi di appello. Tutto ciò senza considerare – in una prospettiva piú avanzata, ma comunque concreta perchè di imminente realizzazione – che la prevista competenza anche penale del giudice di pace potrà implicare che le relative pronunce saranno prevedibilmente conosciute, in sede di gravame, dalle corti d’appello e che, nel quadro dell’incipiente riforma della Costituzione, la prospettata riduzione del ricorso per cassazione comporterà l’espansione compensativa dell’appello.

    Appare, quindi, evidente che – ferme le ragioni che già in passato (nella IV, nella X e nella XII legislatura, rispettivamente per iniziativa del senatore Gullo, dei senatori Covello e Perugini, dell’onorevole Falvo) hanno motivato la presentazione di disegni di legge analoghi e non approvati non per motivi di merito, ma per la prematura fine delle rispettive legislature – è proprio il nuovo quadro legislativo, delineato dalle riforme citate, che induce a ritenere ancor più attuale, urgente e ineludibile l’istituzione in Cosenza di sezioni distaccate di corte d’appello e di corte d’assise di appello.

    Egualmente indilazionabile è istituire una sezione staccata del tribunale amministrativo regionale (TAR), con circoscrizione comprendente la provincia di Cosenza. Valgono, al riguardo, le considerazioni già fatte circa le difficoltà di raggiungere l’attuale sede per un gran numero di cittadini. E, piú ancora, la constatazione che il carico di lavoro del TAR della Calabria – tale da avere creato un arretrato impressionante (alla data del 30 novembre 1998 risultano pendenti 30.138 ricorsi, gran parte dei quali in attesa di essere discussi da oltre un lustro) – proviene all’incirca per metà dalla provincia di Cosenza.

    Milita a favore della presente iniziativa legislativa la considerazione che se la realizzazione di un sistema di giustizia efficiente e razionale, rispondente ai bisogni e alle necessità degli utenti, è obiettivo generale, parimenti è dovere dello Stato riservare attenzione e interesse maggiori a quelle aree territoriali «disagiate» quali la Calabria, in cui sia la presenza di una forte e radicata criminalità, con la quale sovente anche l’azione della pubblica amministrazione deve nei fatti confrontarsi, che le condizioni socio-economiche di particolare degrado rendono il bisogno di giustizia (civile, penale e amministrativa) ancor più intenso.


 


 


DISEGNO DI LEGGE

 

Art. 1.

    1. È istituita in Cosenza una sezione staccata di corte d’appello, dipendente dalla corte d’appello di Catanzaro, con giurisdizione sul territorio attualmente compreso nei circondari dei tribunali di Cosenza, Castrovillari, Paola e Rossano.

 

Art. 2.

    1. È istituita in Cosenza una sezione della corte d’appello di Catanzaro, in funzione di corte d’assise di appello, nella cui circoscrizione è compreso il circolo della corte d’assise di Cosenza quale risultante dal decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 250 del 24 ottobre 1996.

 

Art. 3.

    1. È istituita in Cosenza una sezione staccata del tribunale amministrativo regionale della Calabria con giurisdizione comprendente la provincia di Cosenza.

 

Art. 4.

    1. Il Governo, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, è autorizzato a stabilire, con apposito decreto, la data d’inizio del funzionamento degli uffici giudiziari di cui agli articoli 1 e 2, nonchè a determinare l’organico e le strutture necessarie al loro funzionamento, rivedendo le piante organiche degli altri uffici, nell’ambito delle attuali dotazioni dei ruoli del Ministero della giustizia.

 

    2. Entro lo stesso termine di cui al comma 1, è fissata, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Consiglio dei ministri, la data di inizio di funzionamento della sezione staccata del tribunale amministrativo regionale di cui all’articolo 3, e sono determinati l’organico e le strutture necessarie al suo funzionamento, rivedendo le piante organiche delle altre sedi.

 

Art. 5.

    1. Dalla data di inizio del funzionamento delle sezioni previste agli articoli 1, 2 e 3, gli affari civili e penali pendenti davanti alla corte d’appello e alla corte d’assise di appello di Catanzaro nonchè i giudizi amministrativi pendenti davanti al tribunale amministrativo regionale della Calabria e appartenenti, ai sensi della presente legge, alla competenza per territorio delle sezioni istituite con quest’ultima, sono devoluti alla cognizione di dette sezioni.

 

    2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica alle cause civili di «vecchio rito» che, alla data suddetta, siano state già rimesse al collegio ai sensi dell’articolo 353 del codice di procedura civile e a quelle di «nuovo rito» dopo la precisazione delle conclusioni, ai procedimenti penali per i quali sia stato già notificato il decreto di citazione, alle richieste di riesame e agli appelli di cui agli articoli 309 e 310 del codice di procedura penale già in corso, ai procedimenti di volontaria giurisdizione in corso alla medesima data, nonchè ai giudizi amministrativi per i quali sia stato notificato alle parti il decreto di fissazione dell’udienza per la discussione del ricorso.

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 382

 

DISEGNO DI LEGGE

 

 

d’iniziativa del senatore VALDITARA

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 3 LUGLIO 2001

 

 

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Istituzione di nuovo tribunale in Legnano

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Onorevoli Senatori. – Da anni il territorio del Legnanese attende l’istituzione del nuovo tribunale. In sintesi, occorre infatti:

fronteggiare in maniera adeguata le esigenze della popolazione locale per quanto riguarda l’ordinaria domanda di giustizia (domanda caratterizzata da una naturale consistenza, anche in rapporto alla elevata densità imprenditoriale del territorio, con elevato volume di scambi e di traffici);

 

non gravare ulteriormente sull’attuale e congestionato assetto delle competenze territoriali;

rapportare l’offerta di giustizia alle dinamiche in atto, con un tempestivo adeguamento alla crescita del territorio (si pensi, in particolare, agli effetti indotti dal potenziamento dello scalo aeroportuale);

tener conto anche delle dinamiche negative, che cominciano a registrare l’incremento di preoccupanti fenomeni di criminalità (da fronteggiare con una strategia complessa, che peraltro non può non includere il rafforzamento locale dello strumento inquisitorio e di quello giudiziario).

 

La passata legislatura ha già registrato iniziative parlamentari in tal senso. Esse tuttavia non hanno trovato esito poiché bloccate sostanzialmente dalla inerzia del Governo, che si era orientato in termini prioritari verso le seconde sedi dei tribunali di Napoli e di Roma.

 

Con l’inizio della presente legislatura il problema permane dunque in tutta la sua evidenza, e la sua soluzione si impone con forza ancora maggiore a causa dello stridente contrasto con un decentramento amministrativo che si va attuando, per contro, con tempestiva adeguatezza. Ci si limita qui a richiamare la recente iniziativa della provincia di Milano, che ha istituito appunto in Legnano (oltre che nella vicina Monza) propri uffici decentrati per un adeguato fronteggiamento delle locali esigenze amministrative di competenza.

È ben noto, comunque, il consueto argomento circa le difficoltà finanziarie, usualmente richiamate dinanzi a iniziative come quella in esame: iniziative che inevitabilmente vanno ad assommarsi con altre analoghe che trovano espressione in Parlamento, nell’ambito della doverosa espressione della rappresentanza politica connessa al territorio.

Nel merito, pertanto, occorre sottolineare in primo luogo che la proposta, che ora si avanza con il presente disegno di legge, prevede una sostanziale insussistenza di nuovi oneri per il bilancio dello Stato, dal momento che essa si indirizza alla riutilizzazione di strutture esistenti e già funzionanti, bisognevoli dunque, al più, di aggiustamenti e di dotazioni di primo impianto.

La proposta, in altre parole, si muove nella direzione della semplice razionalizzazione delle risorse e dell’ottimizzazione dell’impiego delle stesse.

Vi è tuttavia da aggiungere che, in termini del tutto prudenziali, è in ogni caso prevista l’autorizzazione di una spesa certamente sufficiente per la copertura di eventuali oneri di nuovo impianto, oltre che – anche in tal caso solo prudenzialmente – una spesa annua di funzionamento.

Ma, come detto, si tratta di uffici che già ora funzionano e le cui nuove attribuzioni aggiuntive saranno destinate a compensarsi con la corrispondente sottrazione delle stesse dagli uffici di Milano e Busto Arsizio.

Si tratta dunque, davvero, di una «riforma a costo zero» o pressoché tale.

I benefici che l’istituzione di una nuova sede di tribunale nella città di Legnano determinerà sono quelli derivanti dalla sottrazione dalla competenza del tribunale di Milano di tutti gli affari civili e penali, già facenti capo alle preture della stessa Legnano, oltre che di Rho e di Abbiategrasso.

Si tratta di un rilevante volume di lavoro giudiziario, che non solo non potrà alleviare significativamente il tribunale di Milano (con conseguenti diretti benefici in termini di ritrovata, maggiore efficienza dello stesso), ma che senz’altro sarà gratificato da ben più pronta risposta, con riferimento alle attese di un rilevante numero di cittadini ad alta vocazione imprenditoriale e di produzione.

I benefici sono tuttavia anche altri, direttamente connessi alla proposta di integrazione – nell’ambito del nuovo tribunale – pure dell’area territoriale che fa capo alla sezione distaccata di Saronno del tribunale di Busto Arsizio.

È oggi concretamente avviato l’insediamento aeroportuale di Malpensa. La prospettiva che discende da tale evento è quella della presenza di oltre quindici milioni di persone in più, all’anno, nel territorio ricadente sotto la giurisdizione del tribunale di Busto Arsizio.

Si tratta anche di numerose migliaia di lavoratori (basti solo pensare agli addetti della società SEA, cui si aggiungono quelli delle compagnie aeree e dei vari fornitori di servizi connessi) che hanno trasferito la propria sede di lavoro nell’ambito di cui sopra.

Si tratta, inoltre, del pacificamente e immaginabile (rectius programmabile) sviluppo di persone residenti, oltre che di attività, di imprese, di servizi, che già stanno sorgendo e che inevitabilmente si concentreranno in ambito più o meno largo del territorio aeroportuale.

Tutto ciò è destinato a generare nuovi impegni da parte degli uffici, anche giudiziari, di Busto Arsizio, con conseguente necessità che già da ora corra l’obbligo di pianificare il relativo potenziamento.

È banale dire che le nuove esigenze e le nuove domande devono trovare prudente risposta preventiva, ma l’esperienza passata ci dice che si tratta di una banalità sistematicamente ignorata, con effetti – anche di palese malcontento e di sfiducia da parte dei cittadini – che sono sotto gli occhi di tutti e che non sono revocabili in dubbio.

Il potenziamento delle strutture e delle risorse, umane e materiali, da asservire al tribunale di Busto Arsizio sarà un passaggio obbligato cui – è lecito sperare – l’azione amministrativa del Ministero della giustizia saprà dare prudente e tempestiva risposta, ma la soluzione oggi proposta (che è quella del potenziamento delle risorse, attraverso la depressione delle necessità) non può che generare – di per sé – un benefico e immediato effetto, senza alcun costo e senza alcun significativo disagio per gli utenti.

La città di Saronno è infatti a distanza minore da Legnano a Busto Arsizio, e non presenta significative maggiori difficoltà di collegamento.

Ultimo argomento è, per altro, proprio quello della generalizzata condivisione che l’ipotesi del nuovo tribunale legnanese registra in tutta l’area a esso interessata.

Il disegno di legge impiega il percorso amministrativo della delega al Governo, che appare – nel caso in questione – lo strumento più idoneo, anche per ragioni di uniformità e omogeneità rispetto ad altre iniziative.

Il disegno di legge, composto da tre articoli, uno dei quali mirante a stabilire l’immediata entrata in vigore della legge, non ha particolare necessità di illustrazione, giacché è semplicemente teso a una puntuale identificazione dei princìpi e criteri direttivi, cui il Governo dovrà uniformarsi nell’esercizio della delega, pur garantendo allo stesso una giusta ed equilibrata ampiezza della gamma delle possibili opzioni e soluzioni adottabili.



 


DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

    1. Il Governo è delegato a emanare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi finalizzati a decongestionare il tribunale di Milano.

 

    2. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

        a) istituire un nuovo tribunale nella città di Legnano, con sezioni distaccate nelle città di Saronno e Rho;

 

        b) definire il relativo circondario, ricomprendendo nello stesso tutti i comuni già rientranti nella giurisdizione delle sezioni distaccate del tribunale di Milano aventi sede nelle città di Legnano e di Rho, e della sezione distaccata del tribunale di Busto Arsizio, con sede nella città di Saronno;

        c) ridefinire, conseguentemente, i confini del circondario del tribunale di Busto Arsizio;

        d) ridefinire, se necessario, i confini dei circondari del tribunale di Milano e del tribunale di Monza, anche a prescindere da quanto previsto nella lettera b), al fine di conseguire gli obiettivi previsti nella lettera e);

        e) nella delimitazione territoriale del circondario dell’istituendo tribunale di Legnano, tenere conto, anche in deroga a quanto previsto nella lettera b) e con il fine di conseguire l’omogeneità territoriale e di carico di lavoro fra i circondari dei tribunali di Busto Arsizio, di Monza e di Legnano, dell’estensione del territorio, del numero degli abitanti, delle caratteristiche dei collegamenti esistenti fra la città di Legnano e i comuni da ricomprendere nel relativo circondario ai sensi della lettera b), dei carichi di lavoro riconducibili, in materia civile e penale, ai predetti comuni, nonché del carico di lavoro atteso;

        f) escludere che la ridefinizione dei confini dei circondari di cui alle lettere c) e d) possa comportare oneri finanziari aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato;

        g) prevedere che le disposizioni emanate in forza della presente delega abbiano efficacia con medesima decorrenza delle disposizioni del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n.  51, e successive modificazioni.

 

    3. Il Governo è delegato a emanare, entro lo stesso termine di cui al comma 1, norme di coordinamento delle disposizioni dei decreti legislativi ivi previsti con le altre leggi dello Stato, nonché a introdurre una disciplina transitoria diretta a regolare il trasferimento degli affari ai nuovi uffici, fissando le fasi del procedimento oltre le quali detto trasferimento non avviene.

 

    4. Gli schemi dei decreti legislativi sono trasmessi al Senato della Repubblica e alla Camera di deputati, perché sia espresso un motivato parere entro il termine di quaranta giorni dalla data della trasmissione, decorso il quale i decreti sono emanati anche in mancanza del parere.

 

Art. 2.

    1. All’attuazione di quanto previsto nell’articolo 1, comma 2, lettera a), si provvede avvalendosi delle strutture, dei beni immobili e mobili e delle dotazioni attualmente utilizzate per il funzionamento degli uffici giudiziari di Rho, Saronno e Legnano, e con l’impiego del relativo personale addetto.

 

    2. È autorizzata per l’anno 2001 la spesa nel limite di lire 2.000 milioni per le opere di primo impianto, di riorganizzazione dell’immobile già destinato agli uffici della pretura di Legnano, attualmente sezione staccata del tribunale di Milano, e per le maggiori dotazioni dell’immobile e degli uffici stessi.

    3. All’onere di cui al comma 2 si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2001-2003, nell’ambito dell’unità previsionale di base di conto capitale «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l’anno 2001, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della giustizia.

    4. All’onere derivante dalla spesa di funzionamento degli uffici dell’istituendo tribunale di Legnano, nel limite di lire 500 milioni annue a decorrere dal 2001, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2001-2003, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l’anno 2001, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della giustizia.

    5. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

Art. 3.

    1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 385

 

DISEGNO DI LEGGE

 

 

d’iniziativa dei senatori SEMERARO, CURTO, SPECCHIA, BUCCIERO e NESSA

 

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 4 LUGLIO 2001

 

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Istituzione della corte d’appello di Taranto

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Onorevoli Senatori. – Un giudizio unanimamente condiviso definisce la Puglia regione di frontiera per quanto riguarda le correnti di criminalità che l’attraversano con i traffici di stupefacenti, armi, generi di contrabbando e altro, con l’immigrazione clandestina, con i collegamenti internazionali tra le organizzazioni mafiose.

 

    L’operazione «Primavera» che attualmente vede in Puglia le diverse Forze di polizia potenziate per contrastare efficacemente il tentativo di occupazione del territorio in atto da parte di trafficanti che operano senza scrupoli, con dovizia di mezzi e sprezzo della legalità, costituisce la dimostrazione della impellente esigenza per lo Stato di superare la fase di contenimento del fenomeno e di adottare la decisiva necessaria azione tesa a determinarne l’eliminazione.

    Il potenziamento delle Forze di polizia, sia pure attuato nella forma d’immediati interventi provvisori, ha prodotto notevoli successi.

    Le organizzazioni criminali hanno, peraltro, potenzialità economiche, strumenti di impiego, manovalanze operative tali da contrapporre la loro dura resistenza, nonché capacità espansive di adeguamento secondo diversificate linee e direttive di attacco.

    Recentissimi episodi provano che, ridotta la frequentazione dell’area adriatica, attualmente divenuta molto rischiosa per la gestione delle attività delinquenziali, il programma delle varie mafie e dei gestori dell’immigrazione clandestina viene ora orientata verso le coste del mar Ionio in misura notevolmente crescente rispetto al passato.

    La Puglia, più che mai, in tutta l’estensione del territorio e l’esposizione delle coste è la regione che soffre ed è destinata maggiormente a soffrire la centralità della sua collocazione geografica per gli attraversamenti verso l’Italia e l’Europa da parte delle organizzazioni criminali e delle correnti migratorie dall’Est, dal Sud-Est e dal Sud dell’intera area mediterranea.

    Di fronte alla vastità del fenomeno e all’indiscussa sua crescente pericolosità l’efficacia della reazione di rigetto – al livello della stessa Unione europea – deve connotarsi per incisività e urgenza.

    Vale, innanzitutto, osservare, per quanto concerne lo Stato italiano, che non può ritenersi sufficiente il potenziamento, pure se reso opportunamente definitivo, delle Forze di polizia impiegate in Puglia, qualora non sia sorretto dal pari potenziamento delle istituzioni giudiziarie, presso le quali si sviluppa e si corona la difesa processuale della legalità.

    Con la legge 26 luglio 1991, n. 235, il Parlamento italiano, posto di fronte ai gravissimi episodi di criminalità organizzata verificatisi nell’area ionica a iniziativa di gruppi mafiosi di estrazione locale (ai quali si affiancavano quelli della Sacra Corona Unita e della ’ndrangheta calabrese) non esitò a istituire in Taranto la sezione distaccata della corte d’appello di Lecce, nella quale furono compresi – oltre il tribunale ordinario e la pretura circondariale – il tribunale per i minorenni, il tribunale di sorveglianza, due circoli di corte d’assise.

    Evidentemente Taranto meritava questa attenzione e questo intervento del legislatore non soltanto per la tutela delle popolazioni del suo circondario, bensì nell’interesse generale della Puglia e del Paese.

    Nella vasta area ionica che occupa l’intera fascia costiera del Nord, del Nord-Ovest e dell’Ovest del golfo omonimo, Taranto, che, con oltre 220.000 abitanti, è la terza città, dopo Napoli e Bari, dell’Italia meridionale peninsulare, possiede un grande porto la cui importanza nazionale è collegata alla storia della Marina militare e allo sviluppo di elevatissimi interessi mercantili (nel maggio 1999 movimento di navi per 1.993.349 tonnellate di stazza lorda, movimento di merci per 3.015.391 tonnellate).

    Qui il colosso societario «Evergreen» che gestisce la più grande impresa internazionale di trasporto di container ha realizzato la stazione di concentramento delle sue navi dirette dall’oriente asiatico all’occidente americano.

    L’economia della città si connota per le notevoli potenzialità che trae dalla produttività di numerose imprese industriali (tra le quali il più grande stabilimento siderurgico in Europa), dalla intensità delle attività commerciali, dalle possibilità naturali delle coste offerte al turismo.

    L’entroterra provinciale presenta lo sviluppo di una agricoltura fiorente nelle più varie forme di coltivazione e di un artigianato resosi ben noto, come – ad esempio – quello delle ceramiche grottagliesi e quello dell’abbigliamento di Martina Franca.

    Ciò nonostante l’area ionica soffre tuttora un altissimo tasso di disoccupazione (90.000 unità circa nelle liste di collocamento 2001 per l’intera provincia).

    In questo quadro le prospettive criminali di sfruttamento parassitario delle risorse, la reclutabilità al crimine di soggetti traibili dalle sacche di miseria, la facilità d’inserimento nei loschi traffici correnti attraverso il territorio dall’Est all’Ovest e viceversa, non potevano conseguire altro deleterio effetto che stimolare le mafie locali a organizzarsi e tentare di imporsi.

    Il tentativo è stato compiuto ed è stato possibile contrastarlo per l’impegno profuso dalle Forze dell’ordine e per la maggiore incisività dell’azione giudiziaria attuata con il decongestionamento della corte d’appello di Lecce e l’istituzione della sezione distaccata della stessa corte in Taranto.

    Ma con l’aggravarsi della situazione attuale che in Puglia eleva al massimo il tasso di pericolosità delle mafie internazionali, la quale investe ora particolarmente e più gravemente l’area ionica, la predetta soluzione legislativa manifesta la sua palese insufficienza.

    Costituisce già pesante intralcio alla necessaria speditezza dell’amministrazione della giustizia il permanere della burocratica duplicazione – tra corte e sezione distaccata – delle incombenze dovute alla reciprocità dei rapporti: una duplicazione che si complica per effetto della loro comune relazione con il Consiglio superiore della magistratura e con il Ministero della giustizia.

    Ancora più notevole è il pregiudizio per le disfunzioni in materia di competenze processuali, di cui si riporta un esempio particolarmente significativo. L’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale stabilisce che per i gravissimi delitti ivi previsti (tra i quali l’associazione di tipo mafioso ex articolo 416 del codice penale) l’esercizio dell’azione penale nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado è attribuito all’ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello nel cui ambito ha sede il giudice competente. Ne consegue che i procedimenti per tali delitti, pure se commessi nella circoscrizione della sezione distaccata di Taranto, vanno trasferiti alla procura della Repubblica presso il tribunale di Lecce, città capoluogo del distretto della corte per essere attribuiti ai magistrati che in quell’ufficio sono destinati a comporre la Direzione distrettuale antimafia.

    Peraltro, l’oggettiva impossibilità per questi magistrati di sostenere l’ulteriore carico dei numerosi e complessi procedimenti provenienti dall’area ionica, oltre quelli già gravosissimi dell’area salentina, induce la Direzione distrettuale antimafia a sollecitare l’adozione di provvedimenti di applicazione di magistrati della procura della Repubblica presso il tribunale di Taranto all’assolvimento delle funzioni di propria competenza.

    Appare superfluo sottolineare quante e quali complicazioni ciò comporti, dovendosi trattare nella città di Lecce le vicende processuali connesse alle indagini preliminari (particolarmente quelle riguardanti le misure cautelari) presso gli uffici del pubblico ministero, dei giudici per le indagini preliminari, dei giudici del riesame, del giudice dell’udienza preliminare, e poi restituirsi i procedimenti, appesantiti da ponderosi incartamenti, ai giudici di Taranto competenti per i dibattimenti. I costi del sistema, per la complessità di ciascuna fase processuale, per i tempi inesorabilmente lunghi, per le spese a carico dell’Erario, sono tuttora molto pesanti.

    Le prospettive future, stante l’indiscussa prevedibilità di una rilevante accentuazione della diffusione della criminalità in Puglia e particolarmente, nell’area ionica, richiedono un intervento ulteriore del legislatore.

    Rendere autonoma corte di appello la sezione distaccata di Taranto, costituisce condizione essenziale dell’indispensabile potenziamento dell’istituzione giudiziaria nella regione pugliese.

    Non appaiono ravvisabili valutazioni di contrario avviso, atteso che:

 

        a) non occorre determinare ex novo i limiti territoriali di una circoscrizione che viene a corrispondere a quella attuale della sezione distaccata;

 

        b) l’organico dei magistrati (oltre cento) distribuiti in tutti gli uffici giudiziari della sezione distaccata e il carico complessivo degli affari civili e penali trattati e definiti dalla sua istituzione consentono di considerare l’istituenda corte di appello del tutto in linea con le dimensioni (né macro, né micro) che gli studi più recenti sulla organizzazione dell’amministrazione della giustizia ritengono generalmente adeguate;

        c) non è necessario apprestare strutture edilizie, poiché gli attuali uffici della sezione distaccata (pienamente disponibili per quello dell’istituenda corte d’appello) e due aule-bunker, ampie e modernamente dotate degli impianti di sicurezza, sono siti in spaziosi edifici destinati all’amministrazione della giustizia dalla provincia di Taranto in una vasta area (curata a verde) che è delimitata da idonea recinzione perimetrale (munita di numerose telecamere di controllo) e confortata da ampi parcheggi interni (per gli addetti) ed esterni per gli utenti;

        d) il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, nella riunione del 10 marzo ultimo scorso, si è espresso, all’unanimità, nel senso di far presente al Ministero dell’interno e al Ministero della giustizia, la necessità della istituzione della corte d’appello, ai fini della più sollecita istruzione e quindi della pronta trattazione, in primo grado e in appello, dei numerosi processi pendenti, commessi in gran parte da organizzazioni mafiose;

        e) le esigenze di decentramento, maggiore efficienza, semplificazione delle procedure, che motivano la istituzione dei tribunali metropolitani, concorrono, per quanto riguarda l’istituenda corte d’appello in Taranto, con quella propriamente specifica di una potenziata difesa della sicurezza del territorio, da attuarsi con urgenza nella regione pugliese.


 

 


 


DISEGNO DI LEGGE

 

Art. 1.

    1. Sono istituite la corte d’appello di Taranto e la procura generale della Repubblica della corte d’appello di Taranto con giurisdizione sul territorio compreso nella circoscrizione della sezione distaccata di Taranto della corte d’appello di Lecce.

 

Art. 2.

    1. Il Ministero della giustizia è autorizzato a determinare, entro sei mesi dalla data di entrara in vigore della presente legge, il personale necessario al funzionamento della corte d’appello di Taranto e della procura generale della Repubblica della corte d’appello di Taranto, mediante assegnazione del personale già in servizio nella sezione distaccata della corte d’appello di Lecce operante che ne faccia richiesta e, per quanto riguarda i posti residui, utilizzando le ordinarie procedure di trasferimento.

 

Art. 3.

    1. Sono istituiti i posti di presidente della corte d’appello di Taranto e di procuratore generale della Repubblica della corte d’appello di Taranto presso la corte medesima. Entro sessanta giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della presente legge si provvede, con decreto del Presidente della Repubblica alla variazione della tabella B di cui alla legge 5 marzo 1991, n. 71, e successive modificazioni, e della tabella A allegata al decreto del Presidente della Repubblica 4 febbraio 1989, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.  84 dell’11 aprile 1989, e successive modificazioni.

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 454

 

DISEGNO DI LEGGE

 

d’iniziativa del senatore GIULIANO

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA L’11 LUGLIO 2001

 

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Istituzione del tribunale di Aversa

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Onorevoli Senatori. – L’attuale assetto delle circoscrizioni giudiziarie, risalente ormai a più di cinquanta anni or sono, è da sempre indicato come una delle cause che concorrono a determinare la grave crisi della giustizia. Un assetto che, tranne interventi sporadici, non si è adeguato alle numerose e incisive trasformazioni sociali, economiche, demografiche e di costume che si sono in maniera quasi incessante verificate in Italia. Eppure da tempo sono stati riconosciuti e valorizzati gli stretti legami che intercorrono tra «servizio giustizia» e territorio. Se è vero, così come si sostiene secondo una concezione propensa a configurare la giustizia più come servizio che come potere, che al dovere di rendere giustizia corrisponde il diritto dei cittadini a pretenderla, appare necessario rendere tale diritto effettivo e consentire, pertanto, che possa essere «esercitato» con la certezza di ricevere una risposta in tempi ragionevoli e con modalità agevoli. In caso contrario, si rischia di perpetuare una giustizia meramente apparente, si rafforza la sfiducia verso l’istituzione e si favorisce una «fuga» dei cittadini verso la ricerca di sostitutivi. I quali, specie in alcune zone, accrescono in maniera visibile e sostanziale il potere di una malavita sempre pronta a insinuarsi negli «spazi» lasciati vuoti o trascurati dallo Stato. Da qui nasce l’esigenza di creare una rete giudiziaria che, tenendo conto del numero degli abitanti, delle condizioni socio-economiche, del flusso dei procedimenti e del tasso di criminalità comune e organizzata, possa garantire uffici giudiziari dimensionati rispetto alla effettiva domanda di giustizia della comunità. Un ufficio «ideale», insomma, che pur non potendo prescindere dai suddetti molteplici elementi, che, peraltro, tra essi interagiscono in misura variabile, non può non essere in concreto disegnato che tenendo conto delle peculiarità o della straordinarietà locali. Una dimensione, quindi, non astratta e aprioristica ma effettiva e adeguata alle singole specificità.

 

    Sorge, così, la necessità di frazionamento dei grandi uffici in modelli che, comunque, devono rispettare una soglia dimensionale minima e soprattutto garantire quel processo «giusto» e insieme «di durata ragionevole» cui la nostra Costituzione con la riforma dell’articolo 111 fa esplicito e solenne riferimento.

    Del resto, il Consiglio superiore della magistratura, nella relazione al Parlamento sullo stato della giustizia del 1996, nel raccomandare l’abbandono del modulo organizzativo dello svolgimento delle funzioni giurisdizionali civili e penali per dar luogo a una formula che prevede l’esclusività dell’incarico di ogni magistrato, ipotizzava «un deciso intervento sulla consistenza degli organici negli uffici giudiziari, da dimensionare almeno sul livello di dieci unità». Nella stessa relazione, nel fornire un quadro sommario ma indicativo dell’attuale disomogenea situazione, l’organo di autogoverno evidenziava come «dei centosessantaquattro tribunali, solamente ottantacinque raggiungono la soglia di dieci unità di magistrati in organico e che tra quelli che non pervengono a questa dimensione minimale vi sono tribunali di due città capoluogo di distretto, e cioè L’Aquila e Campobasso, e quelli di altri ventinove capoluoghi di provincia».

    Peraltro, la stessa relazione ministeriale allo schema di decreto legislativo, attuativo della delega prevista dall’articolo 1, comma 1, lettere i) e l), della legge 16 luglio 1997, n. 254, concernente l’istituzione delle sezioni distaccate di tribunale e dei tribunali delle aree metropolitane, approvato dal Consiglio dei ministri in data 19 dicembre 1997, testualmente afferma che: «L’esperienza di questi anni ed il più recente impatto delle sentenze della Corte costituzionale in tema di incompatibilità del giudice penale dimostrano che un tribunale efficiente non dovrebbe avere un numero di giudici inferiore a quindici». Sempre il Consiglio superiore della magistratura, inoltre, nel parere espresso su tale schema di decreto, nel sottolineare l’assoluta e urgente necessità della revisione delle circoscrizioni giudiziarie, rappresenta l’esigenza di «puntare su tribunali medi, che possono assicurare una migliore produttività».

    Se si tiene conto di quanto sinora rappresentato, appare in tutta la sua evidenza l’anomalia che si riscontra nel circondario di S. Maria Capua Vetere.

    Tale tribunale, il solo ad avere giurisdizione su quasi tutta la provincia di Caserta, città, questa, che è l’unico capoluogo di provincia a non essere sede di tribunale, ha una popolazione reale di non molto inferiore al milione di abitanti, distribuita in novantanove comuni su 2.639 chilometri quadrati di territorio. Quasi tutto il territorio del circondario si caratterizza, oltre che per la particolare densità abitativa, per la presenza di una consistente criminalità comune e di una agguerrita criminalità di natura associativa e di stampo camorristico.

    Le rilevazioni statistiche, in più occasioni, hanno indicato la zona dell’«agro aversano» come quella che lamenta uno dei più alti tassi di criminalità di tutta l’Europa. La stessa Commissione del Consiglio superiore della magistratura, chiamata a occuparsi della situazione della criminalità organizzata nel Casertano, nella seduta del 5 giugno 1996, nel dare atto della «eccezionale vastità» di tale fenomeno, ebbe a rilevare che gli accertamenti eseguiti e le audizioni da essa effettuate avevano «consentito di ricostruire uno scenario allarmante della diffusione e virulenza della camorra in tale territorio» e avevano delineato «un quadro di problematiche di complessa risoluzione derivante dalla complessità del fenomeno, specie per la operatività degli uffici giudiziari e più in generale di tutte le amministrazioni preposte all’accertamento ed alla repressione dei fatti di criminalità». A conferma di queste affermazioni, la Commissione, tra l’altro, evidenziava che «i casertani furono tra i primi gruppi criminali a porre in essere un accordo trilaterale fra camorra, impresa e politici» e che il condizionamento del voto da parte di tali organizzazioni criminali non si era limitato alle elezioni comunali e provinciali, ma si era esteso a quelle regionali e a quelle politiche. «Del resto», concludeva la Commissione, «l’infiltrazione camorristica nelle amministrazioni comunali casertane risulta documentata anche dai decreti presidenziali di scioglimento adottati, nel solo periodo settembre 1991-dicembre 1993, nei confronti di ben tredici consigli comunali della provincia di Caserta».

    La presenza di una criminalità tra le più agguerrite, temibili e sanguinarie, rappresenta, come è da tutti riconosciuto, una delle principali ragioni di un generale degrado e del mancato sviluppo. La provincia di Caserta è, purtroppo, ai primi posti per disoccupazione, sottoccupazione, dispersione scolastica, micro e macrocriminalità, numero dei consigli comunali sciolti per infiltrazione camorristica; è agli ultimi posti per tenore di vita, reddito pro capite e vivibilità.

    In questo contesto, il tribunale di S. Maria Capua Vetere, come si è detto, l’unico della provincia di Caserta, è ormai da anni, per una macroscopica, inspiegabile e inspiegata carenza di organico e di mezzi, ridotto a un avamposto abbandonato da tutti, un ufficio dove l’emergenza è diventata ordinarietà.

    Questo tribunale, che per importanza viene indicato come il sesto in Italia, con un organico di appena ottanta magistrati deve far fronte alle esigenze della sede principale e di ben cinque sezioni distaccate, tra le quali quelle di Caserta, Aversa, Marcianise e Carinola, tutte caratterizzate da onerosissimi carichi di lavoro e altissimi indici di litigiosità e criminosità.

    Tale organico è palesemente insufficiente ad amministrare la giustizia in un circondario vasto, popoloso, che ha uno dei più alti indici di criminalità d’Europa e che vede un’allarmante concentrazione di pericolose e tristemente note famiglie camorristiche, dedite per lo più al traffico di sostanze stupefacenti, alle estorsioni, al commercio di armi e al controllo della prostituzione.

    L’organico, già di per sé macroscopicamente sottodimensionato, soffre di frequenti vacanze, in quanto, tra l’altro, al tribunale, già dichiarato dal Consiglio superiore della magistratura, sede disagiata, sono spesso assegnati uditori che, completato il biennio, ottengono il trasferimento presso altra sede dove non sono richiesti ritmi di lavoro di così rilevante impegno come a S. Maria Capua Vetere.

    Tale situazione ha creato un’allarmante pendenza dei procedimenti, la quale, tra i vari e gravissimi inconvenienti, porta, ad esempio, nel settore penale, a celebrare quasi solo i processi contro detenuti e costringe, nelle cause civili, a rinvii che ordinariamente vanno oltre il 2002, alimentando così una pericolosa sfiducia nella «istituzione giustizia» e la grande tentazione da parte di non pochi cittadini di ricorrere, per la risoluzione delle loro controversie, a forme alternative di «giustizia» gestite dalla criminalità organizzata, «capace» di assicurare «decisioni» rapide, «inappellabili» e meno costose. Nel recupero dei crediti, in particolare, «l’amministrazione» del settore avviene sempre più spesso per mano di ambienti legati alla criminalità, che assicurano con l’uso dell’intimidazione l’immediata soddisfazione delle pretese da parte dei debitori, i quali, a loro volta, sono spesso costretti a ricorrere a prestiti a interessi elevati, finendo così per alimentare un altro illecito e lucroso settore, quale quello dell’usura.

    Il tribunale di S. Maria Capua Vetere ha attualmente un organico pressochè pari ai due terzi di quello di Palermo, ufficio che, per densità di popolazione, consistenza di fenomeni criminali e litigiosità, appare raffrontabile all’ufficio sammaritano. Anzi, quello palermitano ha nel settore penale carichi di lavoro minori rispetto a quelli di S. Maria Capua Vetere (11.688 processi a fronte di 13.346) e di poco superiori nel settore civile (21.370 rispetto a 18.142). In applicazione degli stessi indici, il rapporto degli organici del tribunale di Napoli e di quello di S. Maria Capua Vetere dovrebbe essere di due a uno, mentre attualmente è di ben cinque a uno. Quanto al numero di abitanti per ogni magistrato in servizio, va ancora sottolineato che per il tribunale di Napoli esso è pari a 4.645 e che per S. Maria Capua Vetere è di ben 10.654 (più del doppio).

    A tutto il 1999 sono state registrate, malgrado l’impegno dei magistrati e del personale di cancelleria, pendenze che non possono non creare grande sconcerto, destinato a esacerbarsi o a svilire in una pericolosa rassegnazione qualora non si adottino immediati e definitivi rimedi: 83.942 procedimenti civili contenziosi; 6.395 procedimenti presso la sezione fallimentare; circa 60.000 presso la sezione controversie di lavoro e previdenza e assistenza obbligatorie (una pendenza che regge addirittura il confronto con un intero distretto di corte di appello: il distretto di Roma ne aveva, nel 1998, 64.152; quello di Palermo «appena» 16.956); circa 4.300 procedimenti penali in fase dibattimentale, tra competenza collegiale e monocratica (nel 2000 sono state celebrate oltre 700 udienze; ciascun magistrato ha un carico medio di 190 processi a competenza collegiale e di 60 processi a competenza monocratica); oltre 27.000 procedimenti contro noti davanti alla sezione del giudice delle indagini preliminari; 58 processi davanti alle due sezioni di corte di assise, le quali nell’anno 2000 hanno celebrato ben 251 udienze.

    Se si tengono presenti tutti questi elementi nella loro reale e drammatica consistenza, appare più che giustificato proporre in provincia di Caserta l’istituzione di altro tribunale: quello di Aversa.

    In provincia di Caserta, in tal modo, si potrà, finalmente, avere una distribuzione omogenea della popolazione su due uffici medi a favore dei quali si può ragionevolmente ipotizzare l’assegnazione di complessivi novanta-novantacinque giudici togati divisi equamente per ogni tribunale. Si verrà così, in ciascuno dei due circondari, a realizzare in concreto, per numero di magistrati, possibilità di specializzazioni professionali, numero degli abitanti, complessità e articolazione delle attività economiche e sociali che si svolgono sul territorio, domanda di giustizia e quant’altro, un tribunale dalle dimensioni ottimali che verrebbe ad assicurare la migliore funzionalità: quell’ideale di tribunale efficiente cui lo stesso Consiglio superiore della magistratura e lo stesso Ministero della giustizia hanno in più occasioni fatto riferimento.

    La scelta della città per la sede del secondo tribunale ha una sua innegabile logica nel rilievo che Aversa è, da sempre, per popolazione (54.000 abitanti secondo l’ultimo censimento, ma di fatto vi risiedono 60-65.000 abitanti), posizione geografica, tradizioni socio-economiche e culturali, «il capoluogo» di quell’agro aversano che, come si è più volte ricordato, registra una delle più alte concentrazioni, in Italia e in Europa, di fenomeni di criminalità comune e organizzata. L’istituzione del tribunale in questa città avrebbe anche un significato emblematico, oltre a rappresentare il segno tangibile della particolare attenzione che lo Stato deve riservare a un territorio che da troppo tempo lotta quotidianamente per assicurarsi il bene fondamentale della convivenza civile.

    Va segnalato, poi, che la popolazione di ciascuno dei due circondari è maggiore rispetto a quella di tanti altri tribunali per i quali non si è mai posto il problema di una loro soppressione. Tanto per fare raffronti con regioni vicine alla Campania, va ricordato, ad esempio, che il tribunale di Cassino ha una popolazione di 210.000 abitanti, quello di Frosinone di 266.000, quello di Civitavecchia di 131.000, quello di Rieti di 188.000, quello di Viterbo di 256.000.

    In particolare, per quanto riguarda il proposto tribunale di Aversa e quello di S. Maria Capua Vetere (così come questo risulterà disegnato a seguito dell’istituzione dell’altro ufficio giudiziario), va ricordato che in tali circondari la popolazione effettiva è significativamente maggiore rispetto a quella legale, poiché, tra l’altro, nella maggior parte dei comuni di tali circondari si sono formati da oltre un decennio consistenti insediamenti di cittadini extracomunitari che, per di più, sono anche quelli che incrementano la presenza di una criminalità dedita, generalmente, allo sfruttamento della prostituzione, al commercio e spaccio di sostanze stupefacenti e al contrabbando.

    Anche il numero dei comuni rientranti in alcuni dei tribunali della regione confinante che sono stati portati ad esempio è mediamente inferiore a quello dei comuni che rientreranno in ciascuno dei due tribunali della provincia di Caserta: il circondario di Velletri e quello di Civitavecchia comprendono, infatti, rispettivamente ventuno ed otto comuni.

    È appena poi il caso di rilevare, che la ubicazione di due tribunali in una sola provincia non costituirebbe, ovviamente, una eccezione; anzi, la provincia di Caserta, con la istituzione del nuovo tribunale rimarrebbe pur sempre quella con un numero minore di uffici giudiziari, dato che nella nostra geografia giudiziaria, in province che per vari parametri potremmo definire omologhe, se ne contano di più. Ad esempio, se ne trovano quattro in provincia di Messina (Barcellona Pozzo di Gotto, Messina, Mistretta e Patti), quattro a Salerno (Nocera Inferiore, Sala Consilina, Salerno e Vallo della Lucania), quattro a Cuneo (Alba, Cuneo, Mondovì e Saluzzo), quattro ad Alessandria (Alessandria, Casale Monferrato, Tortona e Acqui Terme), tre a Chieti (Chieti, Lanciano e Vasto), tre a L’Aquila (L’Aquila, Avezzano e Sulmona), tre ad Avellino (Avellino, Ariano Irpino, Sant’Angelo dei Lombardi).

    Per ultimo, ma non certo per ordine di importanza, va segnalato che con la risoluzione del Consiglio superiore della magistratura del 25 maggio 1994 furono ritenuti insopprimibili alcuni tribunali in quanto collocati in zone ad alto tasso di criminalità organizzata. Tra le sedi interprovinciali furono individuati i tribunali di Locri, Palmi, Lamezia Terme, Marsala, Gela, Nola, Torre Annunziata, Nocera Inferiore e Barcellona Pozzo di Gotto. Se tale conclusione è ancora valida, e non può non esserlo, non può non convenirsi sulla improrogabile necessità di istituire il secondo tribunale, posto che lo stesso, quanto a popolazione e, in particolare, a tasso di criminalità, non ha, purtroppo, nulla da «invidiare» ai suddetti uffici.

    L’istituzione del tribunale di Aversa non dovrebbe comportare particolari oneri aggiuntivi a carico dell’amministrazione dato, innanzitutto, che esso «assorbirebbe» l’ufficio della sezione distaccata che attualmente è ubicato in tale città.

    Quanto al personale, va poi tenuto presente che, se in provincia di Caserta si vuole dare una «risposta» di giustizia «stabile» e degna di uno Stato di diritto, sarà indispensabile portare il numero dei magistrati del tribunale di S. Maria Capua Vetere a quello ritenuto complessivamente necessario per le due sedi. In tal caso, però, per tutto quanto osservato, la gestione in un’unica sede centrale sarà oltremodo complessa e problematica e sicuramente non si avrà l’inestimabile beneficio di ricevere quei «risultati» di rapidità, efficienza e qualità del «servizio» che invece può assicurare l’equilibrata e ormai necessaria distribuzione degli affari civili e penali in due uffici.

    Quanto all’edificio che dovrebbe ospitare l’istituendo ufficio giudiziario, va evidenziato che Aversa ha la fortuna di avere prestigiosi e vasti complessi monumentali e che, pertanto, uno di essi, opportunamente ristrutturato, potrebbe, per ampiezza e ricettività, essere destinato a sede del tribunale.

    Ad ogni modo, va sottolineato che da tempo l’amministrazione comunale ha individuato come edificio per il nuovo tribunale – per la cui ristrutturazione ha già deliberato una spesa di più di 10 miliardi- il complesso monumentale di S. Domenico che, per valenza architettonica, per spazi a disposizione e per ubicazione, è una sede di assoluto prestigio e sicuramente idonea a soddisfare tutte le esigenze degli operatori di giustizia e dell’utenza.

    L’articolo 1 della presente proposta prevede l’istituzione del tribunale di Aversa e della relativa procura e determina la competenza territoriale del circondario elencando i comuni in esso ricompresi.

    L’articolo 2 autorizza il Ministro della giustizia a fissare gli organici e a procedere alle necessarie variazioni tabellari.

    L’articolo 3 detta la disciplina transitoria degli affari pendenti al momento dell’entrata in funzione del nuovo ufficio giudiziario.

    L’articolo 4 provvede in ordine alla copertura finanziaria.

    L’articolo 5 prevede la data di entrata in vigore della legge il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.



 


DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

    1. Nel distretto della corte d’appello di Napoli sono istituiti il tribunale di Aversa e la procura della Repubblica presso il tribunale di Aversa.

 

    2. Il tribunale di Aversa ha giurisdizione sul territorio dei seguenti comuni: Aversa, Carinaro, Casal di Principe, Casaluce, Casapesenna, Castel Volturno, Cesa, Frignano, Gricignano di Aversa, Lusciano, Orta di Atella, Parete, San Cipriano d’Aversa, San Marcellino, Sant’Arpino, Succivo, Teverola, Trentola Ducenta, Villa di Briano, Villa Literno.

 

Art. 2.

    1. Il Ministro della giustizia è autorizzato a determinare, con propri decreti, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, nell’ambito dei ruoli organici del Ministero, l’organico del tribunale di Aversa, avuto riguardo ai carichi di lavoro verificatisi nel triennio precedente nei territori compresi nel circondario di cui all’articolo 1, e a fissare la data di inizio del funzionamento del predetto ufficio giudiziario.

 

    2. Il Ministro della giustizia è autorizzato ad apportare le necessarie variazioni alle tabelle annesse all’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni.

 

Art. 3.

    1. Alla data di inizio del funzionamento dell’ufficio giudiziario previsto all’articolo 1, gli affari civili e penali pendenti davanti al tribunale ordinario di S. Maria Capua Vetere ed appartenenti, ai sensi della presente legge, alla competenza per territorio del tribunale di Aversa, sono devoluti alla cognizione di quest’ultimo ufficio fatta eccezione per le cause civili già assegnate in decisione e per i procedimenti penali per i quali è stato già dichiarato aperto il dibattimento.

 

Art. 4.

    1. Agli oneri derivanti dall’attuazione della presente legge, valutati in lire 2500 milioni per l’anno 2001, si provvede, quanto a lire 1.000 milioni, mediante riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2001-2003, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l’anno 2001, parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della giustizia, e, quanto a lire 1.500 milioni, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2001-2003, nell’ambito dell’unità previsionale di base di conto capitale «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l’anno 2001, parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero medesimo.

 

    2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le necessarie variazioni di bilancio.

 

Art. 5.

    1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 456

 

DISEGNO DI LEGGE

 

d’iniziativa del senatore GIULIANO

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA L’11 LUGLIO 2001

 

 

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Istituzione in Caserta degli uffici giudiziari della corte di appello, della corte di assise di appello e del tribunale per i minorenni

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Onorevoli Senatori. – L’attuale assetto delle circoscrizioni giudiziarie, risalente ormai a più di cinquanta anni or sono, è da sempre giustamente indicato come una delle cause che concorrono a determinare la grave crisi della giustizia. Un assetto che, tranne interventi sporadici, non si è adeguato alle numerose e incisive trasformazioni sociali, economiche, demografiche e di costume che si sono in maniera quasi incessante verificate in Italia. Eppure da tempo sono stati riconosciuti e valorizzati gli stretti legami che intercorrono tra «servizio giustizia» e territorio. Se è vero, così come si sostiene secondo una concezione propensa a configurare la giustizia più come servizio che come potere, che al dovere di rendere giustizia corrisponde il diritto dei cittadini a pretenderla, appare necessario rendere tale diritto effettivo e consentire, pertanto, che possa essere «esercitato» con la certezza di ricevere una risposta in tempi ragionevoli e con modalità agevoli. In caso contrario, si rischia di perpetuare una giustizia meramente apparente, si rafforza la sfiducia verso l’istituzione e si favorisce una «fuga» dei cittadini verso la ricerca di sostitutivi, i quali, specie in alcune zone, accrescono il potere di una malavita sempre pronta a insinuarsi negli «spazi» lasciati vuoti o trascurati dallo Stato. Da qui nasce l’esigenza di creare una rete giudiziaria che, tenendo conto del numero degli abitanti, delle condizioni socio-economiche, del flusso dei procedimenti e del tasso di criminalità comune e organizzata, possa garantire uffici giudiziari dimensionati rispetto alla effettiva domanda di giustizia della comunità. Un ufficio «ideale», insomma, che pur non potendo prescindere dai suddetti molteplici elementi che, peraltro, tra essi interagiscono in misura variabile, non può non essere in concreto disegnato che tenendo conto delle peculiarità o della straordinarietà locali. Una dimensione, quindi, non astratta e aprioristica ma effettiva e adeguata alle singole specificità.

 

    Sorge, così, la necessità di frazionamento dei grandi uffici in modelli che, comunque, devono rispettare una soglia dimensionale minima e soprattutto garantire quel processo «giusto» e insieme «di durata ragionevole» cui la nostra Costituzione con la riforma dell’articolo 111 ha fatto esplicito e solenne riferimento.

    Se si tiene conto delle esigenze suddette, si deve necessariamente convenire, quanto agli attuali distretti giudiziari, che la Campania, nonostante la presenza a Napoli e Salerno di due autonomi distretti, vive una situazione di particolare disagio.

    L’esigenza di fornire risposte tempestive alle pressanti richieste da troppi anni non viene infatti convenientemente soddisfatta, di guisa che la fiducia nel basilare principio di certezza del diritto è oramai vacillante. La lentezza delle procedure e le difficoltà strutturali e organizzative correlate alla continua crescita dei carichi di lavoro provocano l’accumulo di arretrati indegni di un Paese civile.

    Mentre la corte di appello di Salerno mantiene grandezza accettabile e buona governabilità, l’omologa struttura partenopea – che ha giurisdizione sulle province di Napoli, Caserta, Benevento e Avellino – ha assunto dimensioni mastodontiche, di gran lunga superiori all’optimum generalmente indicato, anche a livello istituzionale, dagli esperti di organizzazione.

    Si rende, pertanto, necessario e urgente alleggerire il carico di lavoro degli uffici giudiziari napoletani al fine di fornire agli utenti, con la riduzione dei tempi processuali, un servizio più agile e meno gravoso di quello attuale.

    Per ottenere un siffatto risultato appare necessaria l’istituzione in Caserta (unico capoluogo di provincia dove non ha sede il tribunale) di una corte di appello, di una corte di assise di appello e di un tribunale per i minorenni; il che comporta ovviamente l’istituzione dei corrispondenti uffici del pubblico ministero (procura generale, direzione distrettuale antimafia, tribunale per i minorenni e procura minorile) che, in virtù delle vigenti disposizioni di ordine generale, sono in funzione nel capoluogo di ciascun distretto.

    La nuova corte accorperà le circoscrizioni dei tribunali di S. Maria Capua Vetere, Benevento e Ariano Irpino, raggiungendo in tal modo dimensioni ottimali, dato che i tre circondari hanno una popolazione complessiva di circa 1.250.000 abitanti che rappresenta per l’istituendo distretto quella dimensione ideale cui prima si faceva riferimento.

    L’approvazione del presente disegno di legge è molto attesa dalle popolazioni interessate, dagli operatori del settore e dalla stessa città di Caserta che vedrebbe così, con l’istituzione di questo importante ufficio giudiziario, riparato quel singolare «torto» che la vede tuttora l’unico capoluogo di provincia a non essere sede di tribunale.



 


DISEGNO DI LEGGE

 

Art. 1.

    1. È istituita in Caserta una corte di appello, con giurisdizione sul territorio compreso nelle circoscrizioni dei tribunali di Santa Maria Capua Vetere, Benevento e Ariano Irpino.

    2. È istituita in Caserta una corte di assise di appello, nella cui circoscrizione sono comprese le corti di assise di Santa Maria Capua Vetere, Benevento e Ariano Irpino.

    3. È istituito in Caserta il tribunale per i minorenni, con giurisdizione nel distretto di cui ai commi 1 e 2.

Art. 2.

    1. Il Ministro della giustizia determina, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, la data di inizio del funzionamento degli uffici giudiziari di cui all’articolo 1.

    2. Entro il termine di cui al comma 1, il Ministro della giustizia determina il personale necessario al funzionamento degli uffici giudiziari istituiti ai sensi della presente legge rivedendo le piante organiche di altri uffici.

Art. 3.

    1. Alla data di inizio del funzionamento degli uffici istituiti con la presente legge, gli affari civili e penali pendenti e rientranti nella competenza dei medesimi uffici sono devoluti agli stessi.

    2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano alle cause civili già assegnate in decisione, nonché ai procedimenti penali nei quali è intervenuta per la prima volta la dichiarazione di apertura del dibattimento.

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 502

DISEGNO DI LEGGE

 

 

d’iniziativa del senatore VIVIANI

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 19 LUGLIO 2001

 

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Istituzione di una sede di corte d’appello, di una sede di corte di assise d’appello e di un tribunale dei minori a Verona

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Onorevoli Senatori. – Il presente disegno di legge vuole istituire a Verona una sede di corte di appello, una sede di corte di assise di appello e un tribunale per i minori.

 

    La proposta si inserisce in un programma per la ridefinizione delle sedi giudiziarie, per la quale debbono essere abolite le sedi inutili e potenziate le sedi rimanenti.

    Il problema è stato ripetutamente discusso anche nel corso della XIII legislatura ma, alla fine, è mancato il tempo per affrontarlo nei termini corretti di una ridefinizione organica e coerente delle sedi di corte di appello nell’intero territorio nazionale.

    Il Veneto è una delle quattro grandi regioni con un’unica sede di corte di appello e un contenzioso giudiziario rilevantissimo. Cosí si determina un sovraccarico che impedisce una celere ed efficiente amministrazione della giustizia. Basti pensare che una causa civile resta pendente per oltre cinque anni prima di essere decisa.

    Lo stesso provvedimento di istituzione del giudice unico di prima istanza, per il quale la corte è competente a giudicare su tutti gli appelli civili e penali, comporta un ulteriore gravissimo appesantimento del già gravoso lavoro dell’unica corte veneta.

    Il collasso definitivo è certamente vicino.

    In questo quadro occorre ricordare che, secondo le statistiche giudiziarie dell’ultimo anno, i procedimenti civili e penali pendenti presso la corte di appello di Venezia e provenienti dai tribunali di Verona, Vicenza, Bassano del Grappa e Rovigo costituiscono il 50 per cento del contenzioso pendente.

    Lo sdoppiamento delle sedi di amministrazione della giustizia d’appello costituisce dunque una razionale ripartizione del territorio, oggi particolarmente sbilanciata dal fatto che la corte veneta ha sede in una splendida, ma scomoda isola del tutto decentrata rispetto al territorio amministrato.

    Sulla proposta di istituzione di un nuovo distretto di corte di appello a Verona concordano i parlamentari di tutti i gruppi politici, le istituzioni locali, i rappresentanti degli avvocati interessati e i magistrati responsabili degli stessi tribunali.

    Deve essere poi ricordato che a Verona sono disponibili i «palazzi giudiziari», sede un tempo di tribunale e pretura e oggi parzialmente ristrutturati allo scopo di destinarli all’amministrazione della giustizia.

    Da quanto si è detto, risulta evidente che il disegno di legge non vuole accontentare domande campanilistiche o antieconomiche, ma si propone una razionalizzata distribuzione territoriale degli uffici giudiziari, in un’ottica non solo regionale.

 



 


 

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

    1. Sono istituiti in Verona una corte d’appello, una corte di assise d’appello e un tribunale dei minorenni, con giurisdizione sul territorio compreso nelle circoscrizioni dei tribunali di Bassano del Grappa, Rovigo, Verona e Vicenza.

 

    2. Il Ministro della giustizia è autorizzato, con proprio decreto, ad apportare le necessarie modificazioni alle tabelle A e B annesse all’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni.

 

Art. 2.

    1. Il Ministro della giustizia è autorizzato, con proprio decreto, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, a stabilire la pianta organica degli uffici, determinando il personale necessario al funzionamento delle sedi giudiziarie di cui all’articolo 1, ridefinendo le dotazioni organiche degli altri uffici, e a stabilire la data di inizio del funzionamento delle sedi medesime, che sono comunque attivate entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge.

 

Art. 3.

    1. Alla data di inizio del funzionamento delle sedi di cui all’articolo 1, gli affari civili e penali pendenti davanti alla corte d’appello, alla corte di assise d’appello e al tribunale dei minori di Venezia, rientranti, in forza della presente legge, nella competenza per territorio della corte d’appello, della corte di assise d’appello e del tribunale dei minori di Verona sono devoluti alla cognizione di questi uffici.

 

    2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica alle cause civili rimesse al collegio ai sensi dell’articolo 352 del codice di procedura civile, ai procedimenti penali nei quali è stato notificato il decreto di citazione a tutte le parti, nonché agli affari di volontaria giurisdizione già in corso alla data di inizio del funzionamento delle sedi giudiziarie istituite dalla presente legge.

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 578

 

DISEGNO DI LEGGE

 

d’iniziativa del senatore FASOLINO

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 1º AGOSTO 2001

 

 

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Delega al Governo per l’istituzione del Tribunale di Mercato San Severino

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Onorevoli Senatori. – L’assetto attuale delle circoscrizioni giudiziarie è una delle cause che concorrono a determinare la crisi della giustizia, data l’inadeguatezza di tale assetto rispetto alle trasformazioni sociali, economiche, demografiche avvenute in Italia.

 

    La legge 16 luglio 1997, n. 254, recante «Delega al Governo per l’istituzione del giudice unico di primo grado», ha avviato un processo di revisione e distribuzione delle competenze degli uffici giudiziari, che doveva perfezionarsi con l’approvazione del decreto legislativo, recante «Istituzione delle sezioni distaccate di tribunale e dei tribunali delle aree metropolitane». Tale schema di decreto, come evidenziato anche dal Consiglio superiore della magistratura, carente in molte sue parti, non avrebbe consentito la risoluzione di problemi quali la decongestione dei tribunali delle grandi città d’Italia, anche perché la legge delega prevede che l’istituzione di nuovi tribunali debba necessariamente rispettare assetti territoriali precostituiti, ovvero, in sostituzione delle sezioni distaccate già esistenti. Per questi motivi si rende necessario presentare un disegno di legge che si inserisce nell’ambito di quella specifica produzione normativa tesa a soddisfare la crescente esigenza di realizzare nuove strutture giudiziarie divenute, in diverse realtà territoriali, assolutamente insufficienti, alleggerendo il carico di lavoro del tribunale capoluogo e garantendo ai cittadini una giustizia sempre più vicina.

    La istituzione del tribunale di Mercato San Severino, già sezione staccata del tribunale di Salerno, potrebbe essere una valida risposta a quanto sopra detto.

    La città, ubicata al centro della Valle dell’Irno e dell’Alto Sarno (area abitata da oltre 250.000 abitanti), ha l’esigenza di dover realizzare un palazzo di giustizia idoneo ad ospitare gli uffici giudiziari del tribunale civile e penale, della cancelleria e del giudice di pace.

    L’amministrazione comunale ha già individuato un’area urbanisticamente idonea alla realizzazione del complesso, centrale, ben servita dai mezzi pubblici, completamente urbanizzata e dotata di ampi parcheggi, un’area privata che nel piano regolatore generale è stata destinata ad accogliere uffici pubblici e privati in modo da costituire un vero e proprio polo di servizi.

    Il progetto di massima prevede una riqualificazione dell’intera area che accoglierà, oltre al nuovo tribunale, un complesso di servizi pubblici (archivio storico, biblioteca, centro studi e ricerca giuridica collegato all’università di Salerno). Il costo previsto per la realizzazione di tale progetto ammonta a lire dieci miliardi, e potrebbe essere finanziato dalla legge 30 marzo 1981, n. 119, sull’edilizia giudiziaria, finanziata con l’articolo 50, comma 1, lettera f), della legge 23 dicembre 1998 n. 448.



 


 

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

    1. Il Governo è delegato ad emanare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo finalizzato a decongestionare il tribunale di Salerno mediante l’istituzione del Tribunale di Mercato San Severino, già sezione staccata del suddetto tribunale.

 

Art. 2.

    1. Per la costruzione del tribunale di Mercato San Severino è autorizzato il limite di impegno decennale di lire 1.000 milioni annue a decorrere dall’anno 2002.

    2. All’onere derivante dal comma 1, pari a lire 1.000 milioni per gli anni 2002 e 2003, si provvede mediante utilizzo delle proiezioni, per i predetti anni, dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2001-2003, nell’ambito dell’unità previsionale di base di conto capitale «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l’anno 2001, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero.

    3. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 740

DISEGNO DI LEGGE

 

 

d’iniziativa del senatore CALDEROLI

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COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 12 OTTOBRE 2001

 

 

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Istituzione della corte d’appello di Lucca

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Onorevoli Senatori. – L’iniziativa legislativa volta a creare una seconda corte d’appello per la Toscana con sede in Lucca deriva dal fatto che attualmente il numero di procedimenti penali e civili pendenti presso l’unica corte presente nella regione è così elevato da non consentire una definizione dei medesimi in un tempo ragionevole, determinando in taluni casi l’estinzione del reato sub iudice per prescrizione.

 

    La medesima esigenza è inoltre rappresentata dall’aggravio nel numero dei procedimenti appellati, derivante dalle recenti riforme dell’ordinamento giudiziario (giudice unico) che appesantiranno il lavoro delle sezioni civili e penali esistenti.

    La situazione viene evidenziata nelle relazioni annuali illustrate in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario: non manca certo l’impegno da parte dei magistrati, del personale di cancelleria e degli altri ausiliari, ma le situazioni giuridiche diventano sempre più complesse, con la conseguente doverosa esigenza di studiare in profondità i fatti oggetto dei processi.

    La Toscana è caratterizzata da un costante sviluppo nel settore agricolo, le cui controversie sono di competenza delle sezioni specializzate agrarie costituite presso le corti d’appello.

    La regione, con quasi quattro milioni di abitanti, è in una situazione anomala sotto il profilo dell’organizzazione giudiziaria: la provincia di Massa-Carrara è assegnata al distretto di corte d’appello di Genova, il che rappresenta un caso unico di «sconfinamento» territoriale nell’ambito dell’ordinamento giudiziario ordinario.

    Inoltre la Toscana è una regione che ha una sola sede di corte d’appello, alle cui dipendenze vi sono ben undici tribunali e tredici sezioni distaccate dei medesimi.

    D’altronde le istanze provenienti dal territorio delle province della vasta area della costa toscana da tempo sollecitano l’istituzione di una seconda corte d’appello.

    Lo stesso Consiglio regionale con la mozione del 13 dicembre 2000 ha invitato la giunta regionale ad attivarsi al fine di sensibilizzare le forze politiche per la presentazione di una proposta volta ad istituire una seconda corte d’appello per la Toscana.

    I motivi indicati paiono sufficienti per la formulazione della presente richiesta, come delineata nel seguente disegno di legge.


 

 


 


DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

    1. È istituita la corte d’appello di Lucca, avente giurisdizione sul territorio compreso nelle circoscrizioni dei tribunali di Pisa, Livorno, Lucca e Massa-Carrara.

Art. 2.

    1. Il Ministro della giustizia è autorizzato a determinare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il personale necessario al funzionamento della nuova corte d’appello di cui all’articolo 1, rivedendo le piante organiche di altri uffici, nell’ambito delle attuali dotazioni dei ruoli del Ministero della giustizia.

Art. 3.

    1. Il Ministro della giustizia è autorizzato a stabilire, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, la data di inizio del funzionamento della corte d’appello di cui all’articolo 1.

Art. 4.

    1. Alla data di inizio del funzionamento della corte d’appello di Lucca gli affari pendenti davanti alla corte d’appello di Firenze ed alla corte d’appello di Genova appartenenti, ai sensi della presente legge, alla competenza della corte d’appello di Lucca sono devoluti d’ufficio alla cognizione di tale corte.

    2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica alle cause civili rimesse al collegio ai sensi dell’articolo 352 del codice di procedura civile, ai procedimenti penali per i quali sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio e agli affari di volontaria giurisdizione in corso alla data di cui all’articolo 3.

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 752

DISEGNO DI LEGGE

 

 

d’iniziativa del senatore VISERTA COSTANTINI

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 18 OTTOBRE 2001

 

 

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Istituzione in Pescara di una sezione distaccata della corte d’appello di L’Aquila

¾¾¾¾¾¾¾¾

 



Onorevoli Senatori. – Il distretto della corte d’appello con sede a L’Aquila si estende sull’intero territorio della regione abruzzese, vasto 10.794 chilometri quadrati, con una popolazione di 1.281.283 abitanti e comprendente i circondari di otto tribunali: Pescara, Chieti, Lanciano, Vasto, L’Aquila, Sulmona, Avezzano, Teramo.

 

    Nel corso degli ultimi decenni la fascia costiera della regione è stata interessata da radicali mutamenti di natura sociale ed economica. In primo luogo, si è verificata una forte crescita demografica, a causa di un flusso migratorio proveniente soprattutto dalle zone interne: un fenomeno che ha particolarmente interessato la città di Pescara e i comuni limitrofi (Francavilla al Mare, San Giovanni Teatino, Spoltore, Moltesilvano, Città Sant’Angelo), comprendenti attualmente 218.304 abitanti. Parallelamente si è avuto un continuo insediamento di attività imprenditoriali.

    Una delle conseguenze di questa situazione è che si sta determinando un costante aumento delle controversie civili e dei procedimenti penali; in ambedue i casi viene assai spesso adita quale giudice di secondo grado la corte d’appello di L’Aquila.

    Questa città, posta a 721 metri sopra il livello del mare, durante il periodo invernale, non è facilmente raggiungibile a causa delle avverse condizioni atmosferiche. Inoltre notevoli sono le distanze stradali dalle sedi di alcuni tribunali:

 

        1. da Chieti a L’Aquila 107 chilometri circa;

        2. da Pescara a L’Aquila 120 chilometri circa;

        3. da Lanciano a L’Aquila 150 chilometri circa;

        4. da Vasto a L’Aquila 200 chilometri circa.

    Come si può constatare, la maggior parte dei cittadini e degli operatori del diritto abruzzesi si trovano in una condizione assai disagevole, soprattutto quando siano disposti mezzi istruttori in sede civile o rinnovazioni di dibattimento in sede penale, con conseguenti convocazioni di parti, testimoni, periti oltre che dei difensori.

 

    In tal modo si verificano nel corso dell’anno migliaia di spostamenti di persone ed innumerevoli spedizioni di carte e di fascicoli, con dispendio di tempo, energie e denaro per tutti i soggetti interessati.

    Del resto le caratteristiche della regione Abruzzo, sia dal punto di visto socio-economico sia per la sua configurazione geografica, hanno determinato una ripartizione degli assessorati e degli uffici regionali tra L’Aquila e Pescara. Anche per quanto riguarda l’amministrazione della giustizia, a Pescara vi è la sede di una sezione del tribunale amministrativo regionale con competenza sulle province di Pescara e Chieti e a breve scadenza saranno rese operanti due sezioni della commissione tributaria regionale aventi la medesima competenza territoriale. Inoltre nel quadro dell’ordinamento penitenziario, a Pescara e a L’Aquila sono stati istituiti due uffici di sorveglianza; il primo con giurisdizione sui circondari dei tribunali di Pescara, Chieti, Lanciano, Vasto e Teramo; il secondo sui circondari dei tribunali di L’Aquila, Sulmona ed Avezzano.

    In base a quanto suesposto, si ritiene che ragioni ancor più fondate e valide sussistano per decentrare le funzioni della corte d’appello, della quale si chiede con il presente disegno di legge l’istituzione a Pescara di una sezione distaccata con giurisdizione sui circondari dei tribunali di Pescara, Chieti, Lanciano, Vasto e Sulmona.

    I suddetti circondari comprendono complessivamente 187 comuni e 756.322 abitanti; con Pescara vi sono collegamenti autostradali diretti ed un sistema di trasporti pubblici più rapido ed efficiente. Le distanze stradali sono le seguenti:

 

1. da Chieti a Pescara 13 chilometri circa;

2. da Lanciano a Pescara 50 chilometri circa;

3. da Vasto a Pescara 80 chilometri circa;

4. da Sulmona a Pescara 64 chilometri circa.

 

    La scelta di Pescara quale sede dell’istituenda sezione è altresì giustificata dall’attività del proprio tribunale posta a raffronto con quelli degli altri tribunali della regione, in base ai dati tratti dalla relazione tenuta dal procuratore generale della Repubblica il 13 gennaio 2001 in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario.

 

    Iniziando ad esaminare il settore della giustizia civile, nel periodo 2 giugno 1999 – 30 giugno 2000, le nuove cause promosse con il rito ordinario davanti ai tribunali della regione e le sentenze emesse da questi ultimi (a collegiale e a monocratica) sono state le seguenti:

 

                                         Cause            Sentenze

                                         Promosse     emesse

Tribunale L’Aquila                      1.148     662

Tribunale Avezzano1.767           433

Tribunale Chieti     1.047            113

Tribunale Lanciano                     645        374

Tribunale Pescara   2.645            752

Tribunale Sulmona510               385

Tribunale Teramo  1.779            255

Tribunale Vasto     1.173            dati non pervenuti

 

    Tra i riti diversi da quello ordinario, meritano di essere segnalati, sempre per lo stesso periodo, i dati relativi alle controversie in materia di lavoro:

                                         Cause            sentenze

                                         Promosse     emesse

 

Tribunale L’Aquila347               118

Tribunale Avezzano216              75

Tribunale Chieti     570               62

Tribunale Lanciano                     156        26

Tribunale Pescara   1.437            472

Tribunale Sulmona229               203

Tribunale Teramo  479               286

Tribunale Vasto     dati non pervenuti

 

    Vi sono poi i dati per le controversie in materia di assistenza e di previdenza:

 

Tribunale L’Aquila      649             507

Tribunale Avezzano    574             1.069

Tribunale Chieti          782             473

Tribunale Lanciano     520             1.630

Tribunale Pescara       1.987          1.638

Tribunale Sulmona      260             367

Tribunale Teramo       708             1.253

Tribunale Vasto          125             dati non pervenuti 

 

    Passando alla situazione della giustizia penale, si riportano i dati riguardanti i procedimenti penali pendenti alla data del 31 dicembre 1999 davanti alle procure presso i tribunali e alle rispettive procure circondariali (quest’ultime soppresse con decorrenza dal 1º gennaio 2000):

 

                                      Proc.    Proc.

                                      Circon.     trib.

 

Tribunale L’Aquila             2.219     169

Tribunale Avezzano           6.835    878

Tribunale Chieti                 2.696     637

Tribunale Lanciano            2.130     246

Tribunale Pescara              25.3392.780

Tribunale Sulmona             4.292   411

Tribunale Teramo              10.2741.094

Tribunale Vasto                 3.115   565

Inoltre al 31 dicembre 1999 i procedimenti pendenti davanti agli uffici del giudice delle indagini preliminari presso i tribunali erano i seguenti:

 

Ufficio GIP tribunale L’Aquila    38

Ufficio GIP tribunale Avezzano  201

Ufficio GIP tribunale Chieti        204

Ufficio GIP tribunale Lanciano   21

Ufficio GIP tribunale Pescara      3.494

Ufficio GIP tribunale Sulmona    192

Ufficio GIP tribunale Teramo     369

Ufficio GIP tribunale Vasto        263

 

    Infine, si possono citare i processi penali con rito monocratico pendenti davanti ai tribunali alla data del 1º gennaio 2000:

 

Tribunale L’Aquila                      443

Tribunale Avezzano                    2.084

Tribunale Chieti                          766

Tribunale Lanciano                     328

Tribunale Pescara                        1.370

Tribunale Sulmona                      50

Tribunale Teramo                        1.248

Tribunale Vasto                           382

 

    Sono dati che si commentano da soli e che dimostrano l’assoluta irragionevolezza dell’attuale dislocazione della corte; pertanto si chiede di dare attuazione ad un elementare principio di buona amministrazione, in base al quale gli uffici giudiziari devono essere territorialmente allocati là dove è più consistente ed, anzi, preponderante il numero degli affari giudiziari da trattare.

 

    D’altra parte Pescara è anche sede di importanti istituzioni di cultura giuridica: l’Istituto di studi giuridici della facoltà di economia, al quale è annesso un centro di documentazione europea, tra i più attivi ed attrezzati in Italia, che organizza un affermato corso di perfezionamento in cultura, diritto, economia e politica della Comunità europea; il Centro di ricerche giuridiche per la pesca e la navigazione da diporto istituito dalla locale camera di commercio, con un master in diritto ed economia del mare; la rivista di giurisprudenza abruzzese «PQM» edita dal consiglio dell’ordine degli avvocati di Pescara, la scuola di formazione forense approvata dal Consiglio nazionale forense.

    È evidente che esistono tutti i presupposti per l’accoglimento del presente disegno di legge, nè si può obiettare che sarebbe opportuno attendere un organico disegno di revisione delle circoscrizioni giudiziarie su tutto il territorio nazionale, come più volte annunciato dai Ministri di grazia e giustizia succedutisi negli ultimi anni.

    Durante i dibattiti parlamentari che precedettero l’approvazione della legge 30 luglio 1990, n. 219, recante «Istituzione in Sassari di una sezione distaccata della corte d’appello di Cagliari e di una sezione di corte d’assise d’appello», della legge 26 luglio 1991, n. 235, recante «Istituzione in Taranto di una sezione distaccata della corte d’appello di Lecce e di una sezione di corte d’assise d’appello», e della legge 17 ottobre 1991, n. 335, recante «Istituzione in Bolzano di una sezione distaccata della corte di appello di Trento», una tale obiezione fu avanzata, per essere poi superata poichè si ritennero sussistenti peculiari motivi di urgenza e particolari esigenze connesse all’amministrazione della giustizia: in definitiva, si affermò che l’istituzione delle citate sezioni altro non era che una parziale anticipazione di quel disegno organico di revisione a livello nazionale, ripetutamente annunciato ma mai attuato.

    Tra l’altro, si tenga presente che, a parte il caso di Bolzano (per la cui istituzione sono risultate prevalenti le ragioni concernenti la particolare situazione dell’Alto Adige), le competenze territoriali delle sezioni distaccate di Sassari (circondari dei tribunali di Sassari, Nuoro e Tempio Pausania) e di Taranto (circondario del tribunale di Taranto) sono senz’altro minori di quella che si intende attribuire all’istituenda sezione di Pescara.

    Infine va evidenziato che, ai sensi dell’articolo 49 dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, con la sezione distaccata della corte d’appello si avrebbe anche l’istituzione del tribunale dei minorenni con la stessa competenza territoriale: anche per esso (attualmente con sede a L’Aquila) è sentita l’esigenza di un decentramento, poichè assai numerosi sono i procedimenti trattati che provengono dalla provincia di Pescara.

    Invece rimarrebbe invariata la dislocazione delle corti di assise, le cui sedi sono attualmente a Chieti (il cui circolo comprende i circondari dei tribunali di Chieti e Pescara), Lanciano (circondari dei tribunali di Lanciano e Vasto), L’Aquila (circondari dei tribunali di L’Aquila, Sulmona ed Avezzano) e Teramo (circondario del tribunale di Teramo), con esclusione pertanto di Pescara.

    Passando all’esame dei singoli articoli del presente disegno di legge, con l’articolo 1 si istituisce a Pescara la sezione distaccata della corte di Appello di L’Aquila e si determina l’ambito territoriale della sua giurisdizione.

    L’articolo 2 prevede che il Ministro della giustizia venga autorizzato a determinare con proprio decreto l’organico del personale necessario al funzionamento della sezione, rimanendo nell’ambito dell’attuale dotazione dei ruoli del Ministero stesso. Parimenti, i necessari oneri finanziari dovranno essere contenuti nei limiti degli stanziamenti di bilancio del medesimo Ministero.

    L’articolo 3 autorizza il Ministero della giustizia a stabilire la data di inizio del funzionamento della sezione.

    L’articolo 4 stabilisce le modalità di ripartizione di tutto il contenzioso giudiziario all’atto dell’entrata in funzione della sezione. Di conseguenza l’istituzione della suddetta sezione non comporta nessun ampliamento di organico e nessuna maggiore spesa; la sezione a Pescara potrà essere ospitata in uno degli edifici pubblici attualmente disponibili, in attesa dell’imminente realizzazione del nuovo palazzo di giustizia.

    In conclusione, si tratta di un disegno di legge che viene incontro ad un’aspirazione assai sentita dalle popolazioni e dagli operatori interessati e, al tempo stesso, persegue il superiore obiettivo di una più spedita e funzionale amministrazione della giustizia.



 


 

DISEGNO DI LEGGE

 

Art. 1.

    1. È istituita in Pescara una sezione distaccata della corte d’appello di L’Aquila, con giurisdizione sul territorio attualmente ricompreso nelle circoscrizioni dei tribunali di Pescara, Chieti, Lanciano, Vasto e Sulmona.

 

Art. 2.

    1. Il Ministro della giustizia è autorizzato a determinare con apposito decreto, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l’organico del personale necessario al funzionamento della sezione distaccata di cui all’articolo 1, rivedendo le piante organiche degli altri uffici, nell’ambito delle attuali dotazioni dei ruoli del Ministero della giustizia. Gli oneri correnti connessi alla prima attivazione della citata sezione sono comunque contenuti nei limiti degli stanziamenti di bilancio del predetto Ministero.

 

Art. 3.

    1. Il Ministro della giustizia è autorizzato a stabilire, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, la data di inizio del funzionamento della sezione distaccata di cui all’articolo 1.

 

Art. 4.

    1. Alla data di inizio del funzionamento della sezione di cui all’articolo 1, gli affari civili e penali pendenti davanti alla corte di appello di L’Aquila e al tribunale dei minorenni di L’Aquila rientranti, ai sensi della presente legge, nella competenza per territorio, rispettivamente, della sezione distaccata dalla corte di appello di L’Aquila con sede in Pescara e del tribunale dei minorenni di Pescara, sono devoluti alla cognizione di questi uffici.

 

    2. La disposizione di cui al comma 1 del presente articolo non si applica alle cause civili rimesse al collegio ai sensi dell’articolo 352 del codice di procedura civile, ai procedimenti penali nei quali il decreto di citazione è stato notificato a tutte le parti, nonchè agli affari di volontaria giurisdizione già in corso alla data di inizio del funzionamento della sezione distaccata, fissata ai sensi dell’articolo 3.

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 771

DISEGNO DI LEGGE

 

 

d’iniziativa dei senatori PASTORE, AGOGLIATI, BOSCETTO, CONTESTABILE, MALAN, PIANETTA, SALINI, TRAVAGLIA e VALDITARA

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 24 OTTOBRE 2001

 

 

¾¾¾¾¾¾¾¾

Istituzione in Pescara di una sezione distaccata

della corte d’appello de L’Aquila

¾¾¾¾¾¾¾¾

 



Onorevoli Senatori. – Il distretto della corte di appello con sede a L’Aquila si estende sull’intero territorio della regione abruzzese, vasto 10.794 chilometri quadrati, con una popolazione di 1.281.283 abitanti e comprendente i circondari di otto tribunali: Pescara, Chieti, Lanciano, Vasto, L’Aquila, Sulmona, Avezzano, Teramo.

 

    Nel corso degli ultimi decenni la fascia costiera della regione è stata interessata da radicali mutamenti di natura sociale ed economica. In primo luogo, si è verificata una forte crescita demografica, a causa di un flusso migratorio proveniente soprattutto dalle zone interne: un fenomeno che ha particolarmente interessato la città di Pescara e i comuni limitrofi (Francavilla al Mare, San Giovanni Teatino, Spoltore, Montesilvano, Marina di Città Sant’Angelo), comprendenti attualmente 218.304 abitanti. Parallelamente si è avuto un continuo insediamento di attività imprenditoriali: volendo fare un paragone, al 31 marzo 2001 la provincia de L’Aquila con 303.514 abitanti aveva 28.679 ditte iscritte al registro tenuto dalla camera di commercio, mentre le ditte iscritte nella provincia di Pescara erano 31.594 a fronte di 295.138 abitanti.

    Infine è da sottolineare l’accresciuta importanza di Pescara in quanto sede regionale o interregionale di importanti strutture pubbliche, quali la Rai – Radiotelevisione italiana, l’Istituto nazionale per il commercio estero, l’Istituto nazionale di statistica, la Direzione regionale Abruzzo e Molise delle Poste italiane S.p.A., la Circoscrizione doganale, la Sovrintendenza archivistica, il Centro di servizi delle imposte dirette, la Circoscrizione aeroportuale, eccetera.

    Una delle conseguenze di questa situazione è che si sta determinando un costante aumento delle controversie civili e dei procedimenti penali; in ambedue i casi viene assai spesso adita quale giudice di secondo grado la corte di appello di L’Aquila.

    Questa città, posta a 721 metri sopra il livello del mare, non ha un collegamento immediato nè autostradale nè ferroviario con gran parte della regione e, durante il periodo invernale, non è facilmente raggiungibile a causa delle avverse condizioni atmosferiche. Inoltre notevoli sono le distanze stradali dalle sedi di alcuni tribunali:

 

        1)  da Chieti a L’Aquila 107 chilometri circa;

        2)  da Pescara a L’Aquila 120 chilometri circa;

        3)  da Lanciano a L’Aquila 150 chilometri circa;

        4) da Vasto a L’Aquila 200 chilometri circa.

 

    Come si può constatare, la maggior parte dei cittadini e degli operatori del diritto abruzzesi si trovano in una condizione assai disagevole, soprattutto quando siano disposti mezzi istruttori in sede civile o rinnovazioni di dibattimento in sede penale, con conseguenti convocazioni di parti, testimoni, periti oltre che dei difensori.

 

    In tal modo si verificano nel corso dell’anno migliaia di spostamenti di persone ed innumerevoli spedizioni di carte e di fascicoli, con dispendio di tempo, energie e denaro per tutti i soggetti interessati.

    Del resto le caratteristiche della regione Abruzzo, sia dal punto di vista socio-economico sia per la sua configurazione geografica, hanno determinato una ripartizione degli assessorati e degli uffici regionali tra L’Aquila e Pescara. Anche per quanto riguarda l’amministrazione della giustizia, a Pescara vi è la sede di una sezione del tribunale amministrativo regionale con competenza sulle provincie di Pescara e Chieti e, a breve scadenza, saranno rese operanti due sezioni della commissione tributaria regionale aventi la medesima competenza territoriale. Inoltre nel quadro dell’ordinamento penitenziario, a Pescara e a L’Aquila sono stati istituiti due uffici di sorveglianza: il primo con giurisdizione sui circondari dei tribunali di Pescara, Chieti, Lanciano, Vasto e Teramo, il secondo sui circondari dei tribunali de L’Aquila, Sulmona ed Avezzano.

    In base a quanto suesposto, si ritiene che ragioni ancor più fondate e valide sussistano per decentrare le funzioni della corte di appello, della quale si chiede con il presente disegno di legge l’istituzione a Pescara di una sezione distaccata con giurisdizione sui circondari dei tribunali di Pescara, Chieti, Lanciano, Vasto e Sulmona.

    I suddetti circondari comprendono complessivamente 187 comuni e 756.322 abitanti; con Pescara vi sono collegamenti autostradali diretti ed un sistema di trasporti pubblici più rapido ed efficiente. Le distanze stradali sono le seguenti:

 

        1)  da Chieti a Pescara 13 chilometri circa;

        2)  da Lanciano a Pescara 50 chilometri circa;

        3)  da Vasto a Pescara 80 chilometri circa;

        4) da Sulmona a Pescara 64 chilometri circa.

 

    La scelta di Pescara quale sede della istituenda sezione è altresì giustificata dall’attività del proprio tribunale, posta a raffronto con quella degli altri tribunali della regione, in base ai dati tratti dalla relazione tenuta dal procuratore generale della Repubblica il 13 gennaio 2001 in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario.

 

    Iniziando ad esaminare il settore della giustizia civile, nel periodo 2 giugno 1999-30 giugno 2000 le nuove cause promosse con il rito ordinario davanti ai tribunali della regione e le sentenze emesse da questi ultimi (a collegiale e a monocratica) sono state le seguenti:

 

                                         Cause            sentenze

                                         Promosse     emesse

Tribunale L’Aquila      1.148        662

Tribunale Avezzano    1.767        433

Tribunale Chieti          1.047        113

Tribunale Lanciano     645           374

Tribunale Pescara       2.645        752

Tribunale Sulmona      510           385

Tribunale Teramo       1.779        255

Tribunale Vasto          1.173        dati non pervenuti

 

    Tra i riti diversi da quello ordinario, meritano di essere segnalati, sempre per lo stesso periodo, i dati relativi alle controversie in materia di lavoro:

 

                                         Cause            sentenze

                                         Promosse     emesse

Tribunale L’Aquila      347           118

Tribunale Avezzano    216           75

Tribunale Chieti          570           62

Tribunale Lanciano     156           26

Tribunale Pescara       1.437        472

Tribunale Sulmona      229           203

Tribunale Teramo       479           286

Tribunale Vasto          dati          non pervenuti

 

    Vi sono poi i dati per le controversie in materia di assistenza e di previdenza:

 

Tribunale L’Aquila      649          507

Tribunale Avezzano    574           1.069

Tribunale Chieti          782           473

Tribunale Lanciano     520           1.630

Tribunale Pescara       1.987        1.638

Tribunale Sulmona      260           367

Tribunale Teramo       708           1.253

Tribunale Vasto          125           dati non pervenuti 

 

    Passando alla situazione della giustizia penale, si riportano i dati riguardanti i procedimenti penali pendenti alla data del 31 dicembre 1999 davanti alle procure presso i tribunali e alle rispettive procure circondariali (queste ultime soppresse con decorrenza dal 1º gennaio 2000):

 

                                         Proc.              Proc.

                                         Circond.        trib.

 

Procura L’Aquila   2.219            169     

Procura Avezzano 6.835            878     

Procura Chieti      2.696            637     

Procura Lanciano 2.130            246     

Procura Pescara  25.339         2.780     

Procura Sulmona  4.292            411     

Procura Teramo 10.274         1.094     

Procura Vasto      3.115            565     

 

    Inoltre al 31 dicembre 1999 i procedimenti pendenti davanti agli uffici del giudice delle indagini preliminari presso i tribunali erano i seguenti:

 

Ufficio GIP tribunale L’Aquila     38   

Ufficio GIP tribunale Avezzano  201   

Ufficio GIP tribunale Chieti       204   

Ufficio GIP tribunale Lanciano  121   

Ufficio GIP tribunale Pescara   3.494   

Ufficio GIP tribunale Sulmona   192   

Ufficio GIP tribunale Teramo    369   

Ufficio GIP tribunale Vasto       263   

 

    Sono dati che si commentano da soli e che dimostrano l’assoluta irragionevolezza dell’attuale dislocazione della corte; pertanto si chiede di dare attuazione ad un elementare principio di buona amministrazione, in base al quale gli uffici giudiziari devono essere territorialmente allocati là dove è più consistente ed anzi preponderante il numero degli affari giudiziari da trattare.

 

    D’altra parte Pescara è anche sede di importanti istituzioni di cultura giuridica: l’Istituto di studi giuridici della facoltà di economia, al quale è annesso un centro di documentazione europea, tra i più attivi ed attrezzati in Italia, che organizza un affermato corso di perfezionamento in cultura, diritto, economia e politica della Comunità europea; il centro di ricerche giuridiche per la pesca e la navigazione da diporto istituito dalla locale camera di commercio, con un master in diritto ed economia del mare; la rivista di giurisprudenza abruzzese «PQM» edita dal consiglio dell’ordine degli avvocati di Pescara; la scuola di formazione forense approvata dal Consiglio nazionale forense.

    Un ulteriore elemento di cui occorre tener conto consiste nella mancanza di qualsiasi onere per la finanza pubblica conseguente alla istituzione della sezione, in considerazione, non solo della espressa previsione di cui all’articolo 2 del disegno di legge, ma della imminente inaugurazione del nuovo palazzo di giustizia a Pescara, dotato di spazi più che sufficienti per ospitare i nuovi uffici.

    È evidente che esistono tutti i presupposti per l’approvazione del presente disegno di legge, nè si può obiettare che sarebbe opportuno attendere un organico disegno di revisione delle circoscrizioni giudiziarie su tutto il territorio nazionale, come più volte annunciato dai Ministri della giustizia succedutisi negli ultimi anni.

    Durante i dibattiti parlamentari che precedettero l’approvazione della legge 30 luglio 1990, n. 219, recante «Istituzione in Sassari di una sezione distaccata della corte di appello di Cagliari e di una sezione di corte d’assise di appello», della legge 26 luglio 1991, n. 235, recante « Istituzione in Taranto di una sezione distaccata della corte di appello di Lecce e di una sezione di corte d’assise di appello», e della legge 17 ottobre 1991, n. 335, recante «Istituzione in Bolzano di una sezione distaccata della corte di appello di Trento», una tale obiezione fu avanzata, per essere poi superata poichè si ritennero sussistenti peculiari motivi di urgenza e particolari esigenze connesse all’amministrazione della giustizia; in definitiva, si affermò che l’istituzione delle citate sezioni altro non era che una parziale anticipazione di quel disegno organico di revisione a livello nazionale, ripetutamente annunciato ma mai attuato.

    Tra l’altro, si tenga presente che, a parte il caso di Bolzano (per la cui istituzione sono risultate prevalenti le ragioni concernenti la particolare situazione dell’Alto Adige), le competenze territoriali delle sezioni distaccate di Sassari (circondari dei tribunali di Sassari, Nuoro e Tempio Pausania) e di Taranto (circondario del tribunale di Taranto) sono senz’altro minori di quella che si intende attribuire all’istituenda sezione di Pescara.

    Infine va evidenziato che, ai sensi dell’articolo 49 dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941 n. 12, con la sezione distaccata della corte di appello si avrebbe anche l’istituzione del tribunale dei minorenni con la stessa competenza territoriale: anche per esso (attualmente con sede a L’Aquila) è sentita l’esigenza di un decentramento, poichè assai numerosi sono i procedimenti trattati che provengono dalla provincia di Pescara.

    Invece rimarrebbe invariata la dislocazione delle corti di assise, le cui sedi sono attualmente a Chieti (il cui circolo comprende i circondari dei tribunali di Chieti e Pescara), Lanciano (circondari dei tribunali di Lanciano e Vasto), L’Aquila (circondari dei tribunali de L’Aquila, Sulmona ed Avezzano) e Teramo (circondario del tribunale di Teramo), con esclusione pertanto di Pescara.

    In passato diverse furono le iniziative parlamentari sull’argomento: la più antica è il disegno di legge n. 1522 risalente alla IV legislatura, presentato il 18 novembre 1966 dal compianto senatore avvocato Nicola Tommaso Pace, eletto nel collegio senatoriale Lanciano-Vasto. Seguirono, fra le altre, le seguenti proposte di legge presentate alla Camera dei deputati: nella V legislatura, la n. 2799 presentata il 27 ottobre 1970 dai deputati Papa e Biondi e la n. 2848 presentata il 20 novembre 1970 dai deputati Di Primio e Mancini Antonio; successivamente nella VII legislatura la n. 97 presentata il 15 luglio 1976 dai deputati Bozzi e Costa, nella XI legislatura la n. 2895 presentata il 7 luglio 1993 dai deputati Melilla, Polidoro, Rapagnà, Scarfagna e Sospiri, nella XII legislatura la n. 2653 presentata il 12 giugno 1995 dal deputato Sospiri ed, infine, nella XIII legislatura la n. 3250 presentata da 27 deputati tra i quali Sospiri, Saia e Dell’Elce. Al Senato sono stati presentati (oltre a quello già citato del senatore Pace) i seguenti disegni di legge: nella XI legislatura il n. 1352 dai senatori Torlontano e Franchi e nella XIII legislatura il n. 1172 dai senatori Pastore, Polidoro, Staniscia e Greco.

    In conclusione, si tratta di un disegno di legge che viene incontro ad un’aspirazione assai sentita dalle popolazioni e dagli operatori interessati e, al tempo stesso, persegue il superiore obiettivo di una più spedita e funzionale amministrazione della giustizia.

    Passando all’esame dei singoli articoli del presente disegno di legge, con l’articolo 1 si istituisce a Pescara la sezione distaccata della corte di appello de L’Aquila e si determina l’ambito territoriale della sua giurisdizione.

    L’articolo 2 prevede che il Ministro della giustizia venga autorizzato a determinare con proprio decreto l’organico del personale necessario al funzionamento della sezione, rimanendo nell’ambito dell’attuale dotazione dei ruoli del Ministero stesso. Parimenti, i necessari oneri finanziari dovranno essere contenuti nei limiti degli stanziamenti di bilancio del medesimo Ministero.

    L’articolo 3 autorizza il Ministro della giustizia a stabilire la data di inizio del funzionamento della sezione.

    L’articolo 4 stabilisce le modalità di ripartizione di tutto il contenzioso giudiziario all’atto dell’entrata in funzione della sezione.



 


 

DISEGNO DI LEGGE

 

Art. 1.

    1. È istituita in Pescara una sezione distaccata della corte di appello de L’Aquila, con giurisdizione sul territorio attualmente ricompreso nelle circoscrizioni dei tribunali di Pescara, Chieti, Lanciano, Vasto e Sulmona.

 

Art. 2.

    1. Il Ministro della giustizia è autorizzato a determinare con apposito decreto, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l’organico del personale necessario al funzionamento della sezione distaccata di cui all’articolo 1, rivedendo le piante organiche degli altri uffici, nell’ambito delle attuali dotazioni dei ruoli del Ministero della giustizia. Gli oneri correnti connessi alla prima attivazione della citata sezione sono comunque contenuti nei limiti degli stanziamenti di bilancio del predetto Ministero.

 

Art. 3.

    1. Il Ministro della giustizia è autorizzato a stabilire, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, la data di inizio del funzionamento della sezione distaccata di cui all’articolo 1.

 

Art. 4.

    1. Alla data di inizio del funzionamento della sezione di cui all’articolo 1, gli affari civili e penali pendenti davanti alla corte di appello de L’Aquila e al tribunale dei minorenni de L’Aquila rientranti, ai sensi della presente legge, nella competenza per territorio, rispettivamente, della sezione distaccata dalla corte di appello de L’Aquila con sede in Pescara e del tribunale dei minorenni di Pescara, sono devoluti alla cognizione di questi uffici.

 

    2. La disposizione di cui al comma 1 del presente articolo non si applica alle cause civili rimesse al collegio ai sensi dell’articolo 352 del codice di procedura civile, ai procedimenti penali nei quali il decreto di citazione è stato notificato a tutte le parti, nonchè agli affari di volontaria giurisdizione già in corso alla data di inizio del funzionamento della sezione distaccata, fissata ai sensi dell’articolo 3.

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 955

DISEGNO DI LEGGE

 

 

d’iniziativa dei senatori MARINI, CASILLO, CREMA,

LABELLARTE e MANIERI

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA L’11 DICEMBRE 2001

 

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Delega al Governo in materia di diversificazione dei ruoli nella magistratura

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Onorevoli Senatori. – Tra i princìpi del giusto processo, riconosciuti in tutti i paesi democratici del mondo occidentale, il più importante è quello dell’imparzialità del giudice, al quale corrisponde il diritto del cittadino ad un giudice terzo. Nel nostro ordinamento questo principio è costantemente vulnerato a causa della commistione tra le funzioni giudicanti e requirenti, che si è manifestata sia per la frequente trasmigrazione dei pubblici ministeri nell’ambito della magistratura giudicante o viceversa, sia per i poteri decidenti che sono stati impropriamente riconosciuti al pubblico ministero con la possibilità di incidere sulla libertà personale e di condizionare il giudice nell’adozione dei provvedimenti cautelari e nella pronuncia delle sentenze. Questo ha portato alla politicizzazione dei pubblici ministeri ed al loro prevalere, anche in termini di rappresentanza all’interno del Consiglio superiore della magistratura, rispetto alla magistratura giudicante, sempre più negletta e umiliata dallo strapotere dei pubblici ministeri. La politicizzazione della giustizia è avvenuta attraverso un uso della custodia cautelare al fine di ottenere la «collaborazione giudiziale», il tramutamento del «silenzio» dell’indagato in presunzione di colpevolezza, con l’inversione dell’onere della prova, l’uso indiscriminato e massiccio delle intercettazioni telefoniche ed ambientali e il fenomeno delle polizie speciali parallele, largamente irresponsabili. Lentamente si è formata una cultura della giurisdizione, non sempre rispettosa delle regole dello stato di diritto, che ha consentito ad alcuni di parlare di via giudiziaria della politica. Il problema riguarda una parte minoritaria, ma assai potente e priva di ogni controllo, della magistratura requirente. Si rende quindi necessaria l’adozione di un provvedimento legislativo che, pur rispettoso dei princìpi aventi dignità costituzionale, a garanzia dell’imparziale espletamento della funzione giurisdizionale, assicuri l’effettività della distinzione funzionale tra magistrato del pubblico ministero e giudice. Il presente provvedimento facilita l’adeguamento delle norme ordinamentali interne ai princìpi del giusto processo, consacrati anche a livello sovranazionale dall’articolo 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici e dall’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Resta ferma l’inderogabilità dei princìpi di autonomia ed indipendenza della magistratura requirente, della obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale e di sottoposizione del giudice soltanto alla legge.


 

 


 


 

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

    1. Il Governo è delegato ad emanare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi, al fine di introdurre la separazione dei ruoli giudicante ed inquirente degli appartenenti all’ordine giudiziario e di disciplinare le modalità del passaggio dall’uno all’altro ruolo.

 

Art. 2.

    1. Nell’attuazione della delega di cui all’articolo 1, il Governo si atterrà ai seguenti princìpi:

 

        a) la separazione dei ruoli non deve intaccare il principio per il quale la magistratura inquirente e quella giudicante fanno parte di un organo autonomo ed indipendente da ogni altro potere, in conformità con l’articolo 104, primo comma, della Costituzione;

 

        b) il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario;

        c) il pubblico ministero fa parte dell’ordine giudiziario al pari degli appartenenti alla magistratura giudicante;

        d) il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale, in conformità con l’articolo 112 della Costituzione;

        e) i magistrati del pubblico ministero devono avere sedi proprie, separate da quelle della magistratura giudicante;

        f) l’accesso alla magistratura giudicante ed inquirente avviene con concorsi separati;

        g) è precluso all’uditore giudizario che abbia effettuata la scelta per una delle due funzioni, requirente o giudicante, il passaggio all’altra funzione;

        h) l’elezione dei membri togati del Consiglio superiore della magistratura deve garantire la presenza dei magistrati del pubblico ministero e giudicanti secondo le rispettive consistenze numeriche.

 

Art. 3.

(Disposizioni transitorie)

    1. Il Governo, entro un anno dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla presente legge, emana i relativi regolamenti di attuazione.

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 970

DISEGNO DI LEGGE

 

 

d’iniziativa del senatore FILIPPELLI

 

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 13 DICEMBRE 2001

 

 

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Istituzione della corte di assise presso il tribunale di Crotone

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Onorevoli Senatori. – Il 16 aprile 1995 è stata istituita la provincia di Crotone. L’elevazione a provincia è giunta a coronamento di un processo di decentramento politico e amministrativo avviato da tempo. Nel luglio del 1947, infatti, erano stati istituiti il tribunale ordinario di Crotone e la procura della Repubblica presso il citato tribunale, mentre la pretura era stata istituita sin dal secolo scorso. Con la ultra cinquantenaria storia il tribunale di Crotone rappresenta un presidio di estrema importanza per la struttura giudiziaria calabrese, tanto da vedersi di recente potenziata, con l’istituzione di un presidente di sezione, la pianta organica, unitamente alla procura presso il tribunale e alla pretura circondariale.

 

    Crotone e il suo comprensorio con oltre 187.000 abitanti sono la quarta provincia calabrese. Una provincia che si estende per una superficie di oltre 1.700 chilometri quadrati. Crotone rappresenta, con le sue attività economiche e produttive, la capitale industriale della Calabria. Il settore industriale, seppur interessato dalla crisi ormai sempre più diffusa, costituisce comunque fonte di occupazione per oltre 4.000 unità lavorative, tenuto conto altresì dell’indotto.

    Sono presenti sul territorio crotonese importanti società di interesse nazionale: Enichem Pertusola Sud, Cellulosa Calabra, Agip Petroli, Snam, Italgas, Montedipe, Monteshell, Valtur.

    La città di Crotone è sede della capitaneria di porto e del più importante porto mercantile e turistico calabrese, dove attraccano grosse navi e si registra un significativo movimento di merci. La ripresa di attività criminose e la recrudescenza di un lungo e sanguinoso scontro tra gruppi mafiosi hanno fatto registrare sul territorio della provincia centinaia di omicidi dal 1990, per molti dei quali sono in corso processi davanti la corte di assise di Catanzaro, mentre per reati associativi di natura mafiosa sono pendenti i relativi procedimenti penali davanti il tribunale penale di Crotone.

    La città è dotata di una moderna casa circondariale oltre che di un funzionale palazzo di giustizia, ampliato da pochi anni. Nella provincia di Crotone è situato l’aeroporto di Sant’Anna di Isola di Capo Rizzuto, la cui riattivazione contribuisce sempre di più alla ripresa delle condizioni economiche delle popolazioni crotonesi.

    La provincia di Crotone con i suoi circa 100 chilometri di costa rappresenta un’area di particolare interesse turistico nel Mezzogiorno d’Italia. L’istituzione della corte d’assise che si propone rappresenterebbe il necessario completamento delle strutture giudiziarie già esistenti in una realtà sociale ed economica che esprime il cuore pulsante dell’economia calabrese e, altresì, determinerebbe la piena autonomia anche sul piano della amministrazione della giustizia.

    La proposta di istituzione, peraltro, consentirebbe di sollevare la corte di assise di Catanzaro dei delitti commessi nel circondario di Crotone, essendo già gravata da quelli commessi nei circondari di Catanzaro, di Lamezia Terme e di Vibo Valentia.

    Il disegno di legge che dispone l’istituzione in Crotone di una sezione distaccata di corte d’assise, risponde a un’indifferibile esigenza percepita come tale non da un’ottica miope, bensì in una prospettiva che abbraccia l’intero orizzonte della giurisdizione italiana. La necessità è quella di disegnare adeguatamente sul territorio nuove piante organiche volte a porre rimedio alla inefficienza che la giurisdizione mostra nel garantire ai cittadini alcuni diritti costituzionalmente sanciti (confronta da ultimo, i princìpi del giusto processo introdotti dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2), ed affermati oltretutto, a livello di convenzioni internazionali (articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848): proprio per la violazione dei suddetti diritti l’Italia è stata e continua ad essere, più volte, condannata ad opera di un organismo giurisdizionale internazionale quale la Corte europea dei diritti dell’uomo. L’inefficienza, cui si accennava, si concretizza nell’ingolfamento dei lavori con dirette conseguenze quali la lunga durata dei giudizi – che va ben oltre la «ragionevolezza» –, l’estinzione di reati per decorrenza dei termini, nonchè le difficoltà eminentemente logistiche di accessibilità per l’utenza dei cittadini agli uffici giudiziari. I suddetti problemi sono facilmente riscontrabili in territori popolosi, vasti, con scarse ed inefficienti infrastrutture, afflitti da fenomeni di criminalità organizzata con conseguente elevato numero di affari penali e civili (in rapporto alla media del distretto ed alla consistenza degli organici), tanto che ai sensi della legge 4 maggio 1998, n. 133, le sedi che rispondono a talune delle caratteristiche suddette sono ritenute «disagiate» e, proprio tra queste, delibere del Consiglio superiore della magistratura hanno individuato Catanzaro, Castrovillari, Cosenza, Crotone, Paola e Rossano. Già alla luce di tale sintetico quadro esplicativo si mostrano evidenti le ragioni per le quali all’attenzione e allo studio degli onorevoli colleghi è riproposto un disegno di legge che riprende analoghi progetti di legge presentati nella precedenti legislature.

    Prendendo atto di una palpabile esigenza di giustizia da parte dei cittadini e di un’inadeguata risposta dello Stato, il miglioramento può e deve avvenire, e il presente disegno di legge costituisce uno degli strumenti affinchè tale obiettivo possa essere di fatto realizzato


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DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

    1. Nel distretto della corte di appello di Catanzaro è istituita la corte di assise presso il tribunale di Crotone, con sede in Crotone.

 

Art. 2.

    1. La giurisdizione territoriale della corte di assise di cui alla presente legge è corrispondente alla circoscrizione del tribunale di Crotone.

 

Art. 3.

    1. Il Ministro della giustizia determina, con proprio decreto da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l’organico della corte di assise di Crotone, la data di inizio del suo funzionamento, nonchè il numero dei giudici popolari assegnati alla medesima.

 

Art. 4.

    1. Sono di competenza della corte di assise di Crotone i delitti per i quali sia stato disposto il rinvio a giudizio degli imputati in data successiva a quella di entrata in vigore della presente legge.

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 1050

DISEGNO DI LEGGE

 

 

d’iniziativa dei senatori MARINI, CREMA, DEL TURCO, MANIERI, LABELLARTE e CASILLO

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 24 GENNAIO 2002

 

 

 

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Norme in materia di reclutamento e formazione dei magistrati e valutazione della professionalità

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Onorevoli Senatori. – Il presente disegno di legge concerne l’istituzione della «Scuola nazionale della magistratura».

 

    Gli articoli da 1 a 4 definiscono natura e funzioni della Scuola, mentre gli articoli da 5 a 17 riguardano gli organi della stessa. Di particolare rilievo è la funzione del consiglio scientifico che svolge anche la funzione di commissione d’esame. Di esso fanno parte, fra gli altri, tre magistrati, di cui almeno uno con funzioni giudicanti e almeno uno con funzioni requirenti.

    L’articolo 18 riguarda il tirocinio e l’esame degli aspiranti uditori giudiziari. In virtù del principio delle distinzioni delle funzioni del magistrato, il candidato, due mesi prima della prova d’esame, deve indicare espressamente se intende intraprendere la carriera di magistrato con funzioni giudicanti ovvero di magistrato con funzioni requirenti. Tale opzione deve essere confermata subito dopo lo svolgimento della prova d’esame. La commissione, infatti, nel valutare l’idoneità del candidato, dovrà tener conto della rispondenza tra l’opzione espressa dallo stesso e le attitudini manifestate nel corso di studi e nella prova. La commissione, dunque, può eventualmente consigliare il candidato a optare per un ruolo diverso da quello indicato nella prima opzione. Il confronto tra il candidato e la commissione sull’opportunità dell’opzione espressa dal candidato costituisce a tutti gli effetti elemento di valutazione della prova d’esame.

    Le modalità tecniche di esame e di valutazione vengono stabilite con regolamento adottato dal Ministro della giustizia (articolo 19). Gli articoli da 20 a 22 regolano i concorsi e il tirocinio sulla base della nuova normativa di formazione.

 


 


 

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

    1. È istituita la Scuola nazionale della magistratura, quale Scuola superiore per la formazione dei magistrati, di seguito denominata «Scuola».

 

    2. La Scuola è dotata di personalità giuridica e gode di autonomia amministrativa, finanziaria e contabile. Essa è soggetta alle regole di bilancio e di rendiconto previste dalla legislazione vigente.

    3. La dotazione economica annuale della Scuola è iscritta in apposita unità previsionale di base dello stato di previsione del Ministero della giustizia.

    4. L’attività di formazione professionale della Scuola è esercitata nel quadro ed in conformità degli indirizzi definiti annualmente dal Consiglio superiore della magistratura.

 

Art. 2.

    1. Sono compiti primari della Scuola:

 

        a) organizzare e gestire il tirocinio degli aspiranti uditori giudiziari;

 

        b) curare l’aggiornamento e la formazione professionale dei magistrati durante l’esercizio delle funzioni giudiziarie;

        c) contribuire alla formazione di magistrati stranieri o aspiranti tali, nel quadro degli accordi internazionali di cooperazione tecnica in materia giudiziaria;

        d) organizzare incontri di studio e ricerche, o comunque promuovere iniziative culturali su argomenti giuridici e sull’organizzazione di sistemi e di uffici giudiziari.

 

Art. 3.

    1. Costituiscono entrate della Scuola:

 

        a) la dotazione annuale di cui all’articolo 1, comma 3, ed eventuali dotazioni supplementari alla stessa assegnate a carico del bilancio dello Stato;

 

        b) eventuali somme ad essa destinate dal Consiglio superiore della magistratura e dal Ministero della giustizia per l’espletamento di compiti di interesse dell’istituzione richiedente;

        c) donazioni o legati fatti a suo favore;

        d) gli utili derivanti da pubblicazioni curate dalla Scuola o dalla prestazione di servizi;

        e) ogni altra risorsa ad essa attribuita dalla legge o da atto avente forza di legge.

 

Art. 4.

    1. Costituiscono uscite della Scuola:

 

        a) le spese necessarie al suo funzionamento;

 

        b) le remunerazioni, le borse di studio od i sussidi dovuti a docenti, ausiliari, partecipanti alle sessioni ed uditori giudiziari;

        c) il rimborso di spese di viaggio e di trasferta inerenti le attività di formazione, incluse quelle del proprio personale per missioni strettamente attinenti i compiti di istituto;

        d) le spese di pubblicazione di atti e di gestione dei servizi sussidiari.

 

Art. 5.

    1. La Scuola è articolata in due sezioni.

    2. La prima sezione della Scuola si occupa dei compiti elencati alle lettere b), c) e d) del comma 1 dell’articolo 2, nonchè della formazione complementare degli uditori giudiziari ai sensi dell’articolo 18, comma 8.

    3. La seconda sezione della Scuola si occupa del tirocinio ai sensi della lettera a) del comma 1 dell’articolo 2.

 

Art. 6.

    1. Sono organi della Scuola:

 

        a) il consiglio scientifico;

 

        b) il consiglio di amministrazione;

        c) il direttore;

        d) il direttore del tirocinio;

        e) i comitati di gestione di ciascuna sezione di cui all’articolo 5;

        f) il servizio di segreteria di ciascuna sezione.

 

Art. 7.

    1. Il consiglio scientifico svolge le seguenti funzioni:

 

        a) predispone il piano annuale delle attività teorico-pratiche e le relative modalità di esecuzione, nel quadro degli indirizzi enunciati annualmente dal Consiglio superiore della magistratura e nel rispetto dei vincoli di bilancio;

 

        b) redige il regolamento interno e approva le eventuali modifiche;

        c) nomina i componenti dei comitati di gestione delle due sezioni della Scuola;

        d) approva la relazione annuale sulle attività della Scuola e la trasmette al Consiglio superiore della magistratura con le sue eventuali osservazioni;

        e) delibera su ogni questione attinente il funzionamento della Scuola, che non sia di competenza di altri organismi o che sia ad essa sottoposta dal direttore o dal Consiglio superiore della magistratura.

 

Art. 8.

    1. Il consiglio scientifico opera presso la sezione di formazione permanente di cui all’articolo 5, comma 2, ed è costituito da:

        a) il direttore della Scuola, che lo presiede;

        b) il vicedirettore;

        c) tre componenti del Consiglio superiore della magistratura, di cui due togati;

        d) tre magistrati ordinari, di cui uno dell’ufficio del pubblico ministero, ed almeno uno avente qualifica non inferiore a quella di magistrato di Cassazione;

        e) due professori ordinari di università in materie civilistiche;

        f) due avvocati patrocinanti in Cassazione, con almeno dieci anni di esercizio;

        g) un rappresentante del Ministero della giustizia.

 

    2. I componenti di cui al comma 1, lettere c) e d), sono designati dal Consiglio superiore della magistratura, fra i magistrati in servizio od in quiescenza da non più di due anni.

 

    3. I professori di cui al comma 1, lettera e), sono designati da un apposito collegio formato da tutti i presidi delle facoltà di giurisprudenza.

    4. Gli avvocati di cui al comma 1, lettera f), sono designati dal Consiglio nazionale forense.

    5. L’incarico di componente del consiglio scientifico dura quattro anni e non può essere rinnovato.

    6. I componenti del Consiglio superiore della magistratura, di cui al comma 1, lettera c), cessano dall’incarico con la scadenza del Consiglio dal quale sono stati nominati.

    7. Il consiglio scientifico si riunisce almeno una volta ogni tre mesi, ed ogni volta che il direttore della Scuola lo convochi ovvero ne facciano richiesta almeno cinque componenti.

    8. Il consiglio scientifico delibera validamente con la presenza di almeno nove componenti. Le risoluzioni sono adottate a maggioranza dei presenti e, in caso di parità di voti, prevale quello espresso dal direttore della Scuola.

 

 

Art. 9.

    1. Il consiglio di amministrazione:

 

        a) redige il bilancio annuale di previsione;

 

        b) presenta il rendiconto annuale;

        c) organizza la contabilità e controlla la sua tenuta;

        d) esercita le altre funzioni ad esso attribuite dalla legge o dai regolamenti.

 

Art. 10.

    1. Il consiglio di amministrazione opera presso la sezione di formazione permanente di cui all’articolo 5, comma 2, ed è costituito da:

 

        a) il direttore della Scuola, che lo presiede;

 

        b) il segretario;

        c) un rappresentante del Ministero della giustizia;

        d) un rappresentante del Ministero dell’economia e delle finanze.

 

    2. Il consiglio di amministrazione si riunisce ordinariamente una volta ogni tre mesi, ed in via straordinaria quando è convocato dal direttore della Scuola ovvero ne fanno richiesta almeno due componenti.

 

    3. Il consiglio di amministrazione delibera validamente con la presenza di almeno tre componenti. Le delibere sono adottate a maggioranza dei presenti e, in caso di parità di voti, prevale quello espresso dal direttore della Scuola.

 

Art. 11.

    1. Il direttore della Scuola:

 

        a) rappresenta la Scuola all’esterno a tutti gli effetti;

 

        b) dirige e coordina le attività della Scuola, indirizzandole ai fini ad essa assegnati, e compie tutto quanto è necessario per il loro perseguimento;

        c) sovrintende alla sezione di formazione permanente, di cui all’articolo 5, comma 2, e ne dirige il relativo comitato di gestione;

        d) provvede all’esecuzione delle delibere del consiglio scientifico e del consiglio di amministrazione;

        e) adotta le delibere d’urgenza, con riserva di ratifica se esse rientrano nella competenza di un altro organo;

        f) redige la relazione annuale sull’attività della Scuola, con l’ausilio, ove lo ritenga, dei comitati di gestione;

        g) esercita le competenze a lui eventualmente delegate dal consiglio scientifico o di amministrazione;

        h) si avvale del personale addetto alla scuola;

        i) esercita ogni altra funzione conferitagli dalle leggi o dai regolamenti.

 

Art. 12.

    1. Il direttore della Scuola è nominato dal Consiglio superiore della magistratura, sentito il Ministro della giustizia, fra i magistrati ordinari aventi qualifica non inferiore a magistrato di Cassazione.

 

    2. Il direttore è collocato fuori del ruolo organico della magistratura e dura in carica quattro anni.

    3. L’incarico di direttore può essere rinnovato per una sola volta e può essere revocato dal Consiglio superiore della magistratura, con provvedimento motivato, nel caso di grave inosservanza degli indirizzi definiti dallo stesso Consiglio ai sensi dell’articolo 1, comma 4.

 

Art. 13.

    1. Il direttore del tirocinio opera presso la sezione addetta al tirocinio, di cui all’articolo  5, comma 3, ed ha funzione di vice direttore della Scuola.

 

    2. Il direttore del tirocinio opera nella sezione di sua competenza con lo stesso grado di autonomia del direttore della Scuola.

    3. Il direttore del tirocinio, nella qualità di vice direttore della Scuola, esercita le seguenti funzioni:

 

        a) sostituisce il direttore nel caso di sua assenza od impedimento;

 

        b) dirige la sezione preposta al tirocinio e compie quanto occorra al perseguimento dei fini ad essa assegnati;

        c) partecipa alle attività del consiglio scientifico;

        d) svolge i compiti corrispondenti a quelli assegnati al direttore della Scuola, in quanto applicabili alla sezione di sua competenza.

 

    4. Al direttore del tirocinio si applicano le disposizioni di cui all’articolo 12.

 

Art. 14.

    1. Presso ciascuna delle due sezioni di cui all’articolo 5 è costituito un comitato di gestione.

 

    2. I comitati di gestione, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, provvedono a:

 

        a) dare attuazione alle direttive didattico-scientifiche enunciate dal Consiglio superiore della magistratura e dal consiglio scientifico;

 

        b) programmare, per quanto di rispettiva competenza, le sessioni di formazione e le attività di tirocinio, sia presso la Scuola sia presso gli uffici giudiziari e le altre sedi;

        c) definire il contenuto analitico di ciascuna sessione o fase di tirocinio ed individuare i relativi docenti;

        d) organizzare momenti di coordinamento fra i docenti e reperire ogni materiale utile al miglior funzionamento delle attività di formazione;

        e) fissare i criteri di ammissione alle sessioni di formazione, informare i magistrati, ammettere i richiedenti;

        f) offrire ogni sussidio didattico che si riveli utile e sperimentare formule didattiche, di intesa con il consiglio scientifico;

        g) seguire costantemente lo svolgimento delle sessioni e presentare relazioni consuntive sull’esito di ciascuna di esse; seguire direttamente il tirocinio nelle fasi effettuate presso la Scuola, e, con le adeguate modalità, nelle fasi svolte all’esterno della stessa;

        h) adempiere ogni altro compito ad essi affidato dal Consiglio superiore della magistratura o dal consiglio scientifico.

 

Art. 15.

    1. Il comitato di gestione è composto da:

 

        a) il direttore della rispettiva sezione, che lo presiede;

 

        b) cinque magistrati nominati dal Consiglio superiore della magistratura e collocati fuori ruolo.

 

    2. In seguito alla prima nomina effettuata dopo la data di entrata in vigore della presente legge, i magistrati di cui al comma 1, lettera b), cessano dall’incarico uno dopo tre anni, due dopo quattro anni e due dopo cinque anni. L’individuazione del momento di cessazione di ciascuno dei magistrati, in caso di mancato accordo, è effettuata per sorteggio.

 

    3. Dopo la prima nomina effettuata ai sensi del comma 2 l’incarico dura quattro anni. In nessun caso esso può essere rinnovato.

 

Art. 16.

    1. Presso ogni sezione della Scuola, di cui all’articolo 5, è costituito un servizio di segreteria.

 

    2. Il servizio di segreteria provvede:

 

        a) al disbrigo degli affari, di rispettiva competenza, relativi al consiglio scientifico, al consiglio di amministrazione, al direttore ed al comitato di gestione;

 

        b) a dare esecuzione ad ogni delibera concernente l’attività della rispettiva sezione;

        c) a gestire l’archivio, le installazioni, la biblioteca e le altre dotazioni della sezione;

        d) ad effettuare le ricerche ad esso demandate dal direttore di sezione;

        e) ad assolvere ad ogni altro compito ad esso demandato dalla legge o dai regolamenti.

 

Art. 17.

    1. Il servizio di segreteria è composto da:

 

        a) un segretario, con qualifica non inferiore a quella di dirigente di cancelleria, con funzione di coordinamento dell’intero servizio, e con responsabilità della sezione di formazione permanente;

        b) un vicesegretario, con qualifica non inferiore a quella di direttore di cancelleria, responsabile della sezione addetta al tirocinio;

        c) un assistente giudiziario per ciascuna sezione;

        d) due coadiutori di cancelleria per ciascuna sezione;

        e) quattro operatori amministrativi per ciascuna sezione;

        f) quattro commessi giudiziari per ciascuna sezione.

 

    2. Al reperimento del personale di cui al comma 1 si provvede con decreto del Ministro della giustizia, nelle forme e nei modi disciplinati dal regolamento di attuazione di cui all’articolo 19.

 

Art. 18.

    1. Il tirocinio degli aspiranti uditori giudiziari effettuato ai sensi della presente legge ha una durata di due anni.

 

    2. Il tirocinio di cui al comma 1 inizia il 16 settembre di ogni anno e si articola in quattro sessioni semestrali, svolte alternativamente presso la Scuola e presso gli uffici giudiziari od altre sedi individuate nel programma di tirocinio.

    3. Il tirocinio si conclude con un esame sostenuto davanti al consiglio scientifico.

    4. Le modalità di svolgimento dell’esame sono stabilite nel regolamento di attuazione, di cui all’articolo 19.

    5. Entro il termine di due mesi dalla data dell’esame, il candidato deve comunicare alla commissione d’esame la propria opzione per il ruolo della magistratura giudicante ovvero per il ruolo della magistratura inquirente.

    6. L’opzione di cui al comma 5, se confermata al momento in cui si sostiene l’esame, risulta vincolante per lo svolgimento della carriera di magistrato.

    7. L’attestato di abilitazione è rilasciato dal consiglio scientifico, tenendo conto del tirocinio e dell’esito dell’esame, e reca l’indicazione dell’opzione vincolante di cui al comma 6.

    8. Nei primi cinque anni successivi all’assunzione delle funzioni giudiziarie i magistrati devono partecipare ad almeno una sessione all’anno di formazione professionale, per essi predisposta dalla sezione di formazione permanente della Scuola, di cui all’articolo 5, comma 2.

    9. Ulteriori disposizioni sul tirocinio di cui al presente articolo sono dettate dal Consiglio superiore della magistratura.

    10. L’articolo 129 dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, è abrogato.

 

Art. 19.

    1. Il Ministro della giustizia adotta, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentito il parere del Consiglio superiore della magistratura, il relativo regolamento di attuazione che prevede, in particolare, le norme regolamentari attinenti lo stato giuridico del personale della scuola, le procedure amministrative, la contabilità ed il bilancio.

 

Art. 20.

    1. L’articolo 123 dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 123. - (Concorso per uditore giudiziario). – 1. La nomina ad uditore giudiziario si consegue mediante concorso per esame al quale sono ammessi, in numero triplo rispetto ai posti da coprire, i candidati che conseguano il maggiore punteggio sulla base del voto del diploma di laurea e del voto conseguito nell’esame di abilitazione sostenuto presso la Scuola nazionale della magistratura.

 

    2. Al fine di procedere alla selezione per l’ammissione alle prove scritte il punteggio si calcola in proporzione al voto conseguito nel diploma di laurea e al voto conseguito nell’esame di abilitazione.

    3. L’eventuale lode del diploma di laurea è valutata due punti. È, comunque, ammesso a sostenere le prove scritte un numero maggiore di candidati rispetto al triplo dei posti messi a concorso se si verificano situazioni di parità di punteggio con l’ultimo dei candidati utilmente collocato in graduatoria.

    4. La valutazione è effettuata dal Ministero della giustizia. L’esame per gli ammessi consiste in tre prove scritte di contenuto teorico-pratico sulle seguenti materie:

 

        a) diritto civile, diritto romano e procedura civile;

 

        b) diritto penale e procedura penale;

        c) diritto amministrativo.

 

    5. La prova orale verte sulle materie previste per le prove scritte nonchè sul diritto costituzionale, diritto internazionale, diritto ecclesiastico, diritto del lavoro, legislazione sociale e normativa comunitaria.

 

    6. Sono ammessi alla prova orale i candidati che ottengono non meno di 12/20 dei punti in ciascuna prova scritta. Conseguono l’idoneità i candidati ammessi alla prova orale e che la superino con un punteggio non inferiore a 6/10; i candidati sono classificati e dichiarati vincitori sulla base del punteggio ottenuto».

 

Art. 21.

    1. L’articolo 124 dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 124. - (Requisiti per l’ammissione al concorso). – 1. Al concorso per uditore giudiziario sono ammessi i laureati in giurisprudenza che abbiano conseguito l’abilitazione rilasciata dalla Scuola nazionale della magistratura e che siano in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 8 e dalle altre leggi vigenti.

 

    2. Non sono ammessi al concorso coloro che, per le informazioni raccolte, non risultano, a giudizio insindacabile del Consiglio superiore della magistratura, di moralità incensurabile».

 

Art. 22.

    1. Gli uditori giudiziari, dichiarati vincitori di concorso, devono compiere un periodo di tirocinio della durata di almeno due anni presso i tribunali; in tale periodo, essi non possono essere destinati a svolgere funzioni giurisdizionali autonome.

 

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 1051

DISEGNO DI LEGGE

 

 

d’iniziativa dei senatori FEDERICI, MANUNZA, TUNIS e MULAS

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 24 GENNAIO 2002

 

 

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Istituzione della corte d’appello di Sassari

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Onorevoli Senatori. – L’azione svolta dal Parlamento e dal Governo, durante tutto il corso della precedente legislatura, per il sistema della giustizia, è stata improntata alla volontà di accrescerne l’efficienza e la funzionalità.

Il presente disegno di legge, già presentato nella XIII legislatura, intende porsi come completamento di un’attività di razionalizzazione ed ottimizzazione delle risorse nel settore giudiziario, portando alle necessarie conclusioni l’opera iniziata con l’istituzione della sezione distaccata di corte d’appello di Sassari. Difatti, la domanda di giustizia in campo civile e l’esigenza di rapida risposta giudiziaria in campo penale, che sottostavano alla creazione del suddetto ufficio, piuttosto che diminuite, possono indubbiamente considerarsi aumentate.

    Venendo al merito dell’intervento normativo proposto, si fa notare come lo stesso trovi le sue uniche e fondate ragioni giustificatrici nell’obiettiva situazione di sofferenza del sistema giudiziario dell’area geografica interessata: giova ricordare che Sassari e le altre sedi di tribunale del nord della Sardegna (La Maddalena, Olbia, Tempio Pausania) distano da Cagliari da 200 a 300 chilometri e sono penalizzate da insufficienti vie e mezzi di comunicazione.

    La dipendenza da Cagliari sul piano organizzativo è fonte di notevoli disagi che incidono sulla funzionalità, a cominciare dall’applicazione del personale (di competenza del presidente della corte), per finire alle disfunzioni di carattere amministrativo e contabile. Fanno capo a Sassari il tribunale di Nuoro, i relativi uffici di sorveglianza, nonché le maggiori strutture carcerarie dell’isola.

    Il territorio della Sardegna, ivi compresa Nuoro, è interessato da gravissimi episodi di criminalità connessi alla presenza dei maggiori porti dell’isola e dei due aeroporti di Alghero ed Olbia, alla vicinanza con la Corsica ed allo sviluppo turistico di richiamo internazionale (Costa Smeralda).

    Sussistono quindi le motivazioni, dopo dieci anni dall’istituzione della sede distaccata, per istituire definitivamente a Sassari la seconda sede di corte d’appello della Sardegna.

    Per concludere, preme sottolineare che la predetta opera di razionalizzazione non presenta alcun costo aggiuntivo, trattandosi di mera trasformazione in ufficio giuridico autonomo di una sezione distaccata già esistente e che, dunque, continuerebbe a giovarsi della medesima struttura e del medesimo personale.

    Venendo all’analisi puntuale delle singole disposizioni, si osserva che gli articoli 1 e 2 attengono all’istituzione del nuovo ufficio giudiziario ed alla conseguente modifica delle tabelle A e B allegate all’ordinamento giudiziario; gli articoli 3 e 4, invece, si preoccupano di stabilire modalità e tempi per la determinazione e copertura del relativo organico. Infine, l’articolo 5 detta disposizioni relative ai procedimenti pendenti, atte ad impedire la dispendiosa e negativa movimentazione di fascicoli e carte processuali.



 


DISEGNO DI LEGGE

Capo I

ISTITUZIONE DELLA CORTE D’APPELLO E DELLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI SASSARI

Art. 1.

(Istituzione della corte d’appello e della procura generale della Repubblica di Sassari)

    1. È istituita la corte d’appello di Sassari, con giurisdizione sul territorio del circondario dei tribunali di Nuoro, Sassari e Tempio Pausania, e la procura generale della Repubblica presso la corte d’appello di Sassari.

 

    2. La sezione distaccata di Sassari della corte d’appello di Cagliari è soppressa dalla data d’inizio del funzionamento del nuovo ufficio, ai sensi del comma 3 dell’articolo 3.

Art. 2.

(Variazioni alle tabelle A e B allegateall’ordinamento giudiziario)

    1. Il Ministro della giustizia è autorizzato ad apportare le necessarie variazioni alle tabelle A e B allegate all’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni.

Capo II
DISPOSIZIONI RELATIVE
AL PERSONALE

Art. 3.

(Determinazione dell’organico dell’ufficio giudiziario e nomina del capo e del dirigente della corte d’appello e della procura generale della Repubblica di Sassari)

    1. Con decreto del Ministro della giustizia, sentito il Consiglio superiore della magistratura, da emanare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, è determinato l’organico dei magistrati della corte d’appello di Sassari e della procura generale della Repubblica presso la medesima corte d’appello.

 

    2. Il Consiglio superiore della magistratura provvede, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, alla nomina del presidente della corte d’appello di Sassari e del procuratore generale della Repubblica presso la medesima corte d’appello.

    3. Con decreto del Ministro della giustizia, da emanare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, è determinato l’organico del personale amministrativo e sono nominati i dirigenti della corte d’appello di Sassari e della procura generale della Repubblica presso la medesima corte d’appello; con il medesimo decreto, il Ministro della giustizia fissa la data d’inizio del funzionamento del predetto ufficio giudiziario.

Art. 4.

(Copertura dell’organico della corte d’appello e della procura generale della Repubblica di Sassari)

    1. Alla copertura dell’organico dei magistrati della corte d’appello di Sassari e della procura generale della Repubblica presso la medesima corte d’appello, si provvede mediante assegnazione del personale in servizio nella sezione di corte d’appello compresa nel circondario alla data di cui al comma 3 dell’articolo 3, che ne abbia fatto richiesta; quanto ai posti residui, si provvede mediante le ordinarie procedure di trasferimento.

 

    2. Alla copertura dell’organico del personale amministrativo della corte di appello di Sassari e della procura generale della Repubblica presso la medesima corte d’appello, si provvede mediante assegnazione del personale in servizio nella sezione di corte d’appello compresa nel circondario alla data di cui al comma 3 dell’articolo 3, che ne abbia fatto richiesta; quanto ai posti residui, si provvede mediante le ordinarie procedure di trasferimento.

Capo III
DISPOSIZIONI TRANSITORIE

Art. 5.

(Procedimenti pendenti)

    1. I procedimenti pendenti, alla data di cui al comma 3 dell’articolo 3, presso la sezione distaccata di Sassari della corte d’appello di Cagliari, sono definiti dalla corte d’appello di Sassari.

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 1226

DISEGNO DI LEGGE

 

 

d’iniziativa dei senatori FASSONE, CALVI, AYALA e MARITATI

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 13 MARZO 2002

 

 

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Distinzione delle funzioni giudicanti e requirenti

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Onorevoli Senatori. – 1. Il tema della separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti (o, con diversa espressione, della distinzione delle funzioni), occupa da tempo l’agenda politica. Con il nuovo codice di procedura penale, e ancor più con le leggi approvate in materia nel corso della XIII legislatura, le due funzioni si sono venute nettamente differenziando, per cui oggi è innegabilmente opportuna una riflessione che si faccia carico del fenomeno.

 

    Tuttavia è indispensabile avere chiare le motivazioni e l’obiettivo di ogni eventuale intervento, e sganciare il medesimo da ogni secondo fine di natura politica.

    Sul piano rigorosamente istituzionale la distinzione delle funzioni può essere funzionale a tre diversi tipi di risultati. Il primo è quello di realizzare una qualche forma di collegamento tra il pubblico ministero e la funzione di governo, e si legittima con la considerazione che l’esercizio della potestà punitiva costituisce, appunto, un capitolo dell’attività di governo. Di qui l’asserita necessità che la funzione requirente sia anch’essa soggetta a responsabilità politica; e, trattandosi di una funzione non elettiva, tale responsabilità deve tradursi in un nesso con una funzione democraticamente eletta.

    Il secondo possibile obiettivo è quello di realizzare, attraverso la distinzione tra le due funzioni, un quadro di migliori garanzie per l’accusato: poichè il pubblico ministero – si osserva – è una parte processuale, egli non può essere assimilato al giudice, ma piuttosto alla parte antagonista, e cioè al difensore, cosicchè ne esca rafforzata l’immagine di un giudice perfettamente «terzo» ed imparziale. Di qui l’esigenza di una forte sottolineatura della diversità dei due ruoli.

    Il terzo obiettivo è quello di realizzare, attraverso la separazione delle funzioni, una maggiore professionalità del pubblico ministero, che è chiamato a compiti e competenze in parte diversi da quelli del giudice, e quindi richiede una più specifica preparazione ed efficienza (per un approfondimento dei temi si rinvia, fra gli altri, a GUARNERI, Pubblico ministero e sistema politico, 1984; DOMINIONI, Per un collegamento fra ministro della giustizia e pubblico ministero, 1079; DI FEDERICO, Obbligatorietà dell’azione penale, coordinamento delle attività del pubblico ministero e loro rispondenza alle aspettative della comunità, in Giust.pen., 1991, c. 164; GUARNERl-PEDERZOLI, La democrazia giudiziaria, 1997; e da ultimo, con ampia panoramica, D’ORAZI, Un referendum inammissibile, in Critica penale, 1999, fasc. I-II).

 

    2. Secondo i presentatori del disegno di legge deve, per intanto, essere rifiutato il primo obiettivo, ed il relativo corredo di giustificazioni, come argomento per introdurre una separazione delle carriere. Si può affrontare il discorso della necessità di un legame tra politica e giurisdizione, si può essere d’accordo o meno con la soggezione del pubblico ministero all’esecutivo, si può anche mettere sul tappeto il tema dell’obbligatorietà dell’azione penale; ma questi problemi non hanno alcun nesso necessario con la separazione delle carriere o delle funzioni, poichè qualsiasi risposta si intenda dare ai dilemmi ora detti, alla stessa è indifferente l’assetto reciproco delle due funzioni.

 

    Infatti un pur sommario esame comparatistico rivela che, ad esempio, in Francia sussiste uno stretto legame tra potere politico e pubblico ministero e tuttavia giudici e pubblico ministero fanno parte dello stesso corpo; che in Portogallo accade il contrario; che nel Regno Unito l’esercizio dell’azione penale è attribuito ad un servizio organicamente dipendente dal Governo, ma praticato in un quadro di grande autonomia; che in Germania la forte unitarietà di tutte le professioni giuridiche rende pressochè irrilevante un sistema formalmente separatista, e via esemplificando.

    Nel presente momento non si può non rilevare che la tradizione culturale italiana e la peculiarità del nostro attuale sistema, caratterizzato da una forte tensione tra il mondo politico ed il mondo giudiziario, rendono decisamente sconsigliabile qualsiasi soluzione che porti ad un tendenziale assoggettamento del pubblico ministero al potere politico. In ogni caso, qualora il problema fosse affrontato direttamente, di esso si dovrebbe discutere in via principale, e poi, solamente a scelta effettuata, si potrebbe valutare quali conseguenze ordinamentali ne deriverebbero in tema di distinzione delle funzioni.

    Ciò che invece non può essere condiviso è il muovere dal punto di arrivo – l’eventuale separazione delle carriere – per giungere suo tramite al punto di partenza: poichè la separazione delle carriere, una volta realizzata, sarebbe una forte premessa per puntare all’assoggettamento politico del pubblico ministero, essendo assai difficile sostenere la totale indipendenza di un corpo autonomo, numericamente ristretto, altamente professionalizzato, munito di poteri amplissimi quale il controllo sulla polizia giudiziaria, e per di più ormai sganciato dal self restraint suggerito dalla cultura della giurisdizione.

 

    3. Così pure, il terzo degli argomenti addotti a sostegno di una separazione delle carriere (la necessità di una specifica preparazione professionale) è certamente valido, ma pecca per eccesso se si pretende che esso conduca alla separazione delle funzioni. A realizzare l’obiettivo sono sufficienti più rigorosi accertamenti di idoneità nel passaggio da una funzione all’altra, un’accurata preparazione specifica, un’attenzione particolare nell’organizzazione degli uffici, un potenziamento dell’attività formativa da parte del Consiglio superiore della magistratura (CSM) o dell’auspicata Scuola della magistratura: tutte cose che non pretendono affatto interventi ordinamentali incidenti sullo statuto delle due funzioni, ma che, se mai, debbono essere affrontate a più largo raggio, e cioè considerando anche le altre numerose funzioni ad alta specializzazione presenti nella magistratura (giudici minorili, di sorveglianza, del lavoro, del fallimento e simili).

 

    In questa prospettiva, inoltre, è bene ricordare che la professionalità (del pubblico ministero in particolare, ma di qualsiasi magistrato in generale) si arricchisce non solo attraverso una preparazione specifica ed accurata, ma anche attraverso la pluralità delle esperienze professionali, che, nel caso del pubblico ministero, significa appunto l’esercizio anche della funzione giudicante. La cosa è talmente evidente (sino a che si vuole che il pubblico ministero non sia l’avvocato della polizia, ma un organo della giurisdizione) che nel progetto di raccomandazione sul «ruolo del pubblico ministero nel sistema di giustizia penale», predisposto dalla Commissione del Consiglio d’Europa il 30 giugno 2000, si prevede che «gli Stati, ove il loro ordinamento giudiziario lo consenta, adotteranno misure per consentire alla stessa persona di svolgere successivamente le funzioni di pubblico ministero e quindi di giudice, e viceversa», poichè tale possibilità «rappresenta un’ulteriore garanzia per il pubblico ministero» (Si veda Rec [2000] 19 del Comitato dei Ministri del 6 ottobre 2000).

 

    4. Sfoltite le motivazioni, la vera ragione che può giustificare un intervento sulla materia è unicamente l’esigenza garantista, cioè la necessità di sottolineare la terzietà del giudice non solo nella sostanza, ma anche nel modo con cui essa viene percepita dai cittadini.

 

    Anche a questo riguardo, tuttavia, è necessario sgomberare il campo da equivoci. Se quella che si persegue è la sottrazione del giudice ad una pretesa sudditanza psicologica nei confronti di un pubblico ministero che è anche un collega, la semplice separazione dei ruoli, per quanto drastica e tendenzialmente definitiva, sarebbe inefficace, posto che l’organo dell’accusa continuerebbe a provenire dallo stesso concorso, dalla stessa matrice culturale, dalla stessa comunanza di valori e di stili di vita. Solo un pubblico ministero autenticamente «parte», cioè estraneo alla giurisdizione, potrebbe fugare questi sospetti e produrre una completa assimilazione alla parte-difensore. Per realizzare una piena specularità tra pubblico ministero e difensore, il primo dovrebbe collocarsi del tutto fuori dell’ordine giudiziario, a guisa di avvocato della polizia. Ma questo, a quanto consta, non è perseguito da nessuno, e ben a ragione.

    Altre, in realtà, sono le motivazioni reali che possono talora condurre il giudice ad un diverso atteggiamento mentale nei confronti degli altri due soggetti processuali: il fatto che il pubblico ministero sia «parte pubblica», e quindi proponga le sue domande senza alcun interesse nei confronti dell’accusato (il che non verrebbe meno neppure in un regime di marcata separazione); il fatto che il pubblico ministero, oltre ad un’omogeneità di cultura giuridica, abbia un naturale impulso ad autoconformare le sue richieste al probabile orientamento del giudice, onde evitare spiacevoli sconfessioni; il fatto che l’alto numero degli avvocati (ormai sproporzionato e fuori controllo, e contro il quale nessuno accenna a introdurre rimedi efficaci) ne abbia ridotto, a tacere del livello deontologico, l’influenza culturale sul giudice.

    Chi voglia davvero recuperare una «parità delle armi», anche psicologica, delle parti processuali davanti al giudice, è a questi dati di fatto che deve porre mano, piuttosto che ad artificiose distinzioni, alla fine destinate ad essere assai poco producenti.

    Rimosse le considerazioni tendenziose o fragili, residuano dunque quelle condivisibili: l’esigenza di rafforzare l’imparzialità e la terzietà del giudice anche sotto il profilo dell’apparenza; e l’esigenza di rafforzare la cultura, la competenza e la professionalità del magistrato che aspira ad esercitare funzioni inquirenti. Ad esse, pertanto, deve mirare l’intervento riformatore.

 

    5. Per potenziare l’immagine di imparzialità del giudice, cioè il modo con cui il giudice viene percepito dall’opinione pubblica, e in specie dall’accusato, lo strumento più idoneo appare il ricorso a forme penetranti di incompatibilità, secondo quel modello concettuale che la Corte costituzionale ha particolarmente elaborato nell’ultimo decennio, e che consiste essenzialmente nell’allontanare il giudice chiamato a decidere da tutto ciò che ha a che fare con un suo precedente contatto con la causa da decidere.

 

    I modelli teorici atti a realizzare il distacco delle due funzioni, e di riflesso la massima «terzietà» del giudice, possono raggrupparsi intorno ai seguenti poli, impregiudicata la possibilità di ulteriori articolazioni all’interno di ciascuno di essi:

 

        a) la definizione di una serie di incompatibilità all’esercizio di una funzione negli uffici nei quali si sia esercitata l’altra;

        b) un sistema a concorso unico, ma con opzione ad inizio carriera e successiva separazione di ruoli, tendenzialmente definitiva (salve limitate e rigorose ipotesi di passaggio);

        c) un sistema di separazione radicale, attraverso concorsi separati e ruoli organici distinti.

 

    6. A giudizio dei proponenti le opzioni sub b) e sub c) devono essere escluse sia perchè manifestamente eccessive rispetto allo scopo, sia perchè produttive di risultati molto negativi per il servizio. La separazione dei ruoli (sia pure dopo l’espletamento di un concorso unico; ma a maggior ragione se il concorso fosse distinto), con sostanziale irreversibilità della scelta una volta compiuta agli inizi della carriera (salve laboriose «passerelle» dopo un congruo numero di anni), avrebbe come prevedibili risultati, da un lato, quello di orientare la grandissima parte dei neomagistrati verso le funzioni giudicanti, per la molteplicità dei «mestieri» che queste offrono, a fronte dell’unico tipo di lavoro insito nella funzione requirente (preclusione che il giovane difficilmente accetta per tutto il proprio futuro professionale); dall’altro lato quello di consolidare forzatamente nella funzione prescelta la stragrande maggioranza dei magistrati, compresi coloro che, dopo qualche anno di esercizio, si scoprissero poco adatti alla stessa, o comunque poco desiderosi di continuare a restarvi per tutta la carriera. Si produrrebbe quindi un elevato numero di magistrati (soprattutto inquirenti) inadatti al ruolo, demotivati e scontenti, con scadimento della qualità del servizio, e con danno per il cittadino «utente»

 

    7. Conclusivamente, al fine di offrire un’immagine di piena terzietà del giudice, appare preferibile e sufficiente la prima delle opzioni sopra elencate, e cioè una tecnica di distinzione delle funzioni attuata attraverso l’impiego della nozione di incompatibilità.

 

    A questo fine si può stabilire (confronta l’articolo 3):

 

        a) il divieto di esercitare le funzioni diverse nell’ambito dello stesso Ufficio giudiziario;

 

        b) il divieto di esercitare funzioni diverse in grado di appello nell’ambito dello stesso distretto;

        c) il divieto di tornare ad esercitare le funzioni nell’ufficio di provenienza prima di un determinato periodo;

        d) l’obbligo di rimanere nella funzione prescelta (salvi i trasferimenti all’interno della medesima) per un tempo superiore a quello richiesto dall’ordinamento giudiziario per i trasferimenti ordinari.

 

    All’interno di questa opzione, taluni preferiscono estendere l’incompatibilità all’intera area del distretto: ma la tesi appare inutilmente punitiva (e quindi dannosa ai fini della ricerca di una pluralità di esperienze professionali in capo al magistrato: cfr. il par. 3), e disarmonica rispetto ad altre situazioni. Infatti, da un lato, la pretesa di mettere una maggiore distanza geografica tra il luogo delle precedenti e il luogo delle attuali funzioni è poco significativa, ed anzi è frustrata quando si tratti di circondari confinanti, facenti parte di distretti diversi (il pubblico ministero di La Spezia potrebbe essere assegnato come giudice alla vicina Massa, ma non alla lontana Imperia).

 

    Dall’altro lato, la distinzione delle funzioni ha già avuto una sua disciplina in capo alla figura del giudice di pace, che non è meno appartenente all’ordine giudiziario di quanto lo siano i magistrati, e che, anzi, assommando di regola nella stessa persona fisica la qualità di avvocato e di giudice, rende ancora più evidente la necessità della scansione tra i due ruoli. Orbene, in forza del decreto legislativo 28 agosto 2000 n. 274, l’incompatibilità tra l’esercizio della professione forense e quello della giurisdizione onoraria è limitata al circondario, nel senso che l’avvocato-giudice di pace non può esercitare questa seconda funzione nel circondario del tribunale in cui risulta iscritto all’albo (oltre che davanti all’ufficio del giudice di pace di appartenenza), e quindi può, nell’ambito dello stesso distretto, e addirittura nell’ambito della stessa sede, svolgere le funzioni di giudice e di avvocato-parte, senza che ciò abbia suscitato riprovazione alcuna.

    Appare pertanto legittima, e coerente con il sistema quanto a dimensione territoriale dell’incompatibilità, la soluzione sopra proposta.

 

    8. Ai fini dell’altro obiettivo ritenuto valido, e cioè quello di un innalzamento della professionalità dei pubblici ministeri, è opportuno, per intanto, regolare l’iniziale accesso alle funzioni non solo in base al desiderio del neo-magistrato (la cui indicazione, allorchè è chiamato a scegliere la sede delle prime funzioni, è spesso orientata da aspirazioni di natura familiare, o da altre finalità che poco hanno a vedere con le esigenze del servizio), ma anche in base alle sue attitudini, prudentemente vagliate. Di qui la previsione di un giudizio attitudinale in esito al tirocinio, da cui discenda l’inammissibilità alla funzione prescelta, se di marcata inidoneità, e che si combini con la graduatoria conseguita in caso contrario (confronta l’articolo 5).

 

    Oltre a ciò, è indispensabile rendere più accurato il vaglio di professionalità che deve precedere il mutamento delle funzioni, da attuarsi non solo attraverso un giudizio rigoroso ed informato, sulla scia di quanto già previsto dall’articolo 190 dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, ma anche attraverso il previo assoggettamento del richiedente a congrui periodi di formazione (confronta l’articolo 1). E poichè non solo il passaggio dalle funzioni giudicanti alle requirenti, o viceversa, richiede la dimostrazione di attitudini e di preparazione, ma anche molti altri mutamenti di «lavoro» hanno le medesime esigenze, e talora anche maggiori (v. gli esempi addotti nel paragrafo 3), è del tutto ragionevole prospettare un vaglio di professionalità altrettanto accurato quando il passaggio investe queste funzioni aventi forti connotati di specializzazione, e sempre che il richiedente non le abbia esercitate in precedenza in tempi non troppo lontani (confronta l’articolo  2).

    9. Infine, per conseguire anche il terzo degli obiettivi meritevoli (la pluralità delle esperienze professionali), occorre considerare che un sistema il quale renda molto impegnativo, o che comunque disincentivi il passaggio dall’una all’altra funzione, finisce con il produrre una negativa immobilità nei vari «mestieri» della giurisdizione. La magistratura italiana è già ora piuttosto «stanziale», ad eccezione dei primi anni di carriera nei quali si insegue la sede più prossima agli interessi familiari: un’ulteriore dissuasione dalla mobilità condurrebbe ad un abbassamento della qualità dei magistrati, soprattutto dei pubblici ministeri, con perdita di dinamismo, di invenzione, di motivazione al ruolo.

    Queste considerazioni, da un lato, ribadiscono la già illustrata scelta di escludere una radicale distinzione dei ruoli organici, così come una qualsiasi disciplina del passaggio che faccia perdere al magistrato mutante funzione l’anzianità già maturata nel ruolo a quo, poichè, in caso contrario, il transito sarebbe del tutto teorico, e si comprometterebbe completamente l’obiettivo.

    Dall’altro lato suggeriscono di stabilire per legge (sia pure lasciando al CSM l’elaborazione concreta degli strumenti adatti) che la pluralità delle esperienze professionali è un elemento positivo, che deve essere incoraggiato in occasione di trasferimenti e promozioni (confronta l’articolo 4).



 


 

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

    1. Il comma 2 dell’articolo 190 dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, di seguito denominato «ordinamento giudiziario», e successive modificazioni, è sostituito dai seguenti:

 

    «2. Il passaggio dei magistrati dalle funzioni giudicanti alle requirenti e viceversa può essere disposto, a domanda dell’interessato, solo quando il Consiglio superiore della magistratura abbia accertato la sussistenza di specifiche attitudini alla nuova funzione. Il giudizio è formulato su parere del Consiglio giudiziario, il quale può acquisire le valutazioni del presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati.

 

    2-bis. L’immissione nelle nuove funzioni, anche se conseguente a promozione, deve essere preceduta da appositi periodi di formazione, nei modi e nei termini stabiliti dal Consiglio superiore della magistratura. La partecipazione a tali periodi di formazione non è richiesta se l’interessato ha svolto, negli ultimi otto anni, funzioni corrispondenti a quelle richieste».

Art. 2.

    1. Dopo l’articolo 190 dell’ordinamento giudiziario, è inserito il seguente:

 

    «Art. 190-bis. - (Passaggio a funzioni diverse da quelle esercitate) – 1. Gli accertamenti e la partecipazione a periodi di formazione, previsti dal comma 2-bis dell’articolo 190, sono disposti altresì quando il magistrato chiede di essere destinato, anche nell’ambito della stessa sede, a funzioni specializzate, quali la magistratura minorile, di sorveglianza, del lavoro, ed eventuali altre, definite tali dal Consiglio superiore della magistratura.»

Art. 3.

    1. Dopo il sesto comma dell’articolo 192 dell’ordinamento giudiziario sono inseriti i seguenti:

 

    «Il magistrato che chiede di essere assegnato da funzioni requirenti a funzioni giudicanti, o viceversa, non può essere destinato, rispettivamente, a funzioni giudicanti o requirenti di primo grado nell’ambito dello stesso circondario, nè a quelle di componente della corte d’appello o della procura generale del distretto. Egli non può tornare a svolgere le nuove funzioni nell’ambito del circondario di provenienza prima che siano decorsi cinque anni.

 

    Ogni domanda di trasferimento che comporti il passaggio dalle funzioni giudicanti alle funzioni requirenti, o da queste a quelle, può essere presentata solamente previo decorso di almeno cinque anni nelle funzioni in precedenza esercitate».

Art. 4.

    1. Dopo l’articolo 194 dell’ordinamento giudiziario è inserito il seguente:

 

    «Art. 194-bis. - (Incentivi alla mobilità) – 1. Il Consiglio superiore della magistratura definisce ed applica criteri atti ad incentivare la pluralità delle esperienze professionali ed a valorizzarla in occasione di trasferimenti e di promozioni».

Art. 5.

    1. All’articolo 121 dell’ordinamento giudiziario, e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente periodo:

 

    «Nel corso del tirocinio, e anteriormente alla scelta della sede di esercizio delle prime funzioni, il Consiglio superiore della magistratura, sentito il Consiglio giudiziario, dichiara l’idoneità dell’uditore all’esercizio della funzione giudicante o requirente o di entrambe. L’eventuale giudizio di inidoneità ad una funzione rende inammissibile la domanda all’esercizio della medesima».

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 1258

DISEGNO DI LEGGE

 

 

d’iniziativa del senatore COSSIGA

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 19 MARZO 2002

 

 

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Delega al Governo in materia di giudici e pubblici ministeri: ruoli, funzioni, carriere

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Onorevoli Senatori. – Presento, a mio nome e sotto la mia responsabilità, uno dei disegni di legge già elaborati da apposita commissione del partito di Forza Italia e poi non presentati dalla Casa delle Libertà.

 

    La piena indipendenza nell’esercizio dell’azione penale, ampiamente discrezionale, e la effettiva direzione della polizia per la conduzione delle indagini, hanno portato nella sostanza il pubblico ministero ad acquisire il ruolo di un vero e proprio poliziotto che opera in assoluta indipendenza, una figura atipica in un sistema democratico.

    Questa funzione anomala rende diversa la caratteristica del pubblico ministero italiano da quella degli altri ordinamenti europei e non solo europei.

    I nostri pubblici ministeri appartengono alla stessa categoria dei giudici: entrambi vengono infatti reclutati con lo stesso concorso e possono passare da una funzione all’altra, anche più volte, nel corso dei quaranta-quarantacinque anni della loro carriera.

    L’unico paese dell’Unione europea che ha tali caratteristiche è la Francia ove però, a differenza dell’Italia, il pubblico ministero è sottoposto alla supervisione gerarchica del Ministro della giustizia.

    In nessuno dei paesi con sistema processuale accusatorio il pubblico ministero appartiene allo stesso corpo dei giudici. Nei paesi di common law l’appartenenza di pubblico ministero e giudici allo stesso corpo verrebbe considerata come una violazione del principio della divisione dei poteri.

    Prima di procedere ad individuare le disfunzioni che derivano, nel nostro sistema giudiziario, dall’appartenenza di giudici e pubblici ministeri allo stesso corpo è opportuno ricordare alcuni degli aspetti dell’evoluzione dello status del pubblico ministero anche al di là di quelli derivanti dalla abolizione della figura del giudice istruttore ed alla adozione di un sistema «tendenzialmente» accusatorio.

    Fino alla prima metà degli anni ’60 i passaggi dalla funzione del pubblico ministero a quella del giudice e viceversa erano rari (fino alla attribuzione delle funzioni di magistrato di cassazione – poichè a questo livello della carriera la percentuale delle funzioni attribuibili ai pubblici ministeri si riduceva – ed i pubblici ministeri promossi in eccedenza dei posti disponibili venivano destinati alle sezioni penali della Corte di cassazione).

    A rendere difficile il passaggio dalle funzioni requirenti a quelle giudicanti e viceversa contribuiva una precisa norma dell’ordinamento giudiziario e cioè l’articolo 190, quarto comma, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, il quale prevedeva che «durante la permanenza nel medesimo grado, il passaggio dalle funzioni requirenti alle funzioni giudicanti è consentito soltanto per ragioni di salute debitamente accertate o, in via eccezionale, per gravi e giustificati motivi; ed il passaggio dalle funzioni giudicanti alle requirenti è ammesso soltanto a favore di chi ha speciali attitudini alle funzioni di pubblico ministero».

    Il passaggio da una funzione all’altra era inoltre reso poco conveniente dal sistema delle promozioni.

    Le decisioni sulle promozioni per la carriera, basate sulla valutazione dei titoli, finivano per privilegiare i giudici autori di sentenze civili complesse da cui emergesse la capacità di ragionare in termini «di puro diritto» (Di Federico, La carriera dei magistrati prima delle così dette leggi Breganze e Breganzone: contesto organizzativo e modalità di selezione, 1987).

    Poiché i pubblici ministeri raramente potevano produrre titoli di questo genere, di fatto le commissioni riservavano ai magistrati che da anni svolgevano funzioni di pubblico ministero un certo numero di promozioni, onde non penalizzare l’esercizio delle funzioni inquirenti. Dopo il periodo iniziale della carriera era quindi ben poco conveniente per un pubblico ministero chiedere il trasferimento alla giudicante.

    A partire dalla istituzione del CSM, e soprattutto dalla metà degli anni ’60, che videro la modifica del sistema delle promozioni con la eliminazione di fatto delle valutazioni della professionalità, l’articolo 190 dell’ordinamento giudiziario venne disapplicato, anche per soddisfare le aspettative dei magistrati di trasferirsi in sedi più gradite prescindendo dalle funzioni di origine.

    Nel 1977 il CSM, seguendo anche il suo più generale orientamento a eliminare ogni possibile differenziazione tra lo status del giudice e quello del pubblico ministero, decise infine che le limitazioni previste dall’articolo 190 dell’ordinamento giudiziario per il passaggio dalle funzioni giudicanti alle requirenti e viceversa dovessero ritenersi comunque abrogate in virtù di una legge di ben ventisei anni prima, e cioè la legge 24 maggio 1951, n. 392.

    La nuova formulazione dell’articolo 190 disposta dall’articolo 29 del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 449, non ha di fatto introdotto nessun effettivo ostacolo al passaggio da una funzione all’altra.

    Le ragioni che esigono la separazione delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri anche nel nostro sistema giudiziario sono molteplici.

    Partono innanzitutto dalle direttive europee, dalle indicazioni del terzo pilastro del Trattato di Maastricht il quale impegna gli Stati dell’Unione europea a promuovere una convergenza dei loro assetti giudiziari.

    In un momento di aspre polemiche che si riferiscono proprio ai modelli ed alle direttive europee che noi tutti abbiamo naturalmente in grande considerazione, non si può non tenere conto di quello che dall’Europa ci viene detto.

    Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha approvato un documento che fissa in 37 punti i princìpi fondamentali ai quali tutti i pubblici ministeri d’Europa dovrebbero adeguarsi.

    «L’indipendenza della Giustizia – recita il documento al punto 58 dal titolo: ll diritto davanti alla giustizia – è uno dei pilastri dello Stato di diritto ed il fondamento stesso di una protezione efficace dei diritti e delle libertà fondamentali di tutti ed in particolare delle persone che devono comparire in giudizio... quella indipendenza che deve garantire egualmente l’imparzialità del giudice, separando la carriera del giudice dell’indagine da quella del magistrato... al fine di preservare l’equità del processo.

    I pubblici ministeri – continua la direttiva – devono rendere conto, periodicamente e pubblicamente, dell’insieme della loro attività. Non devono interferire nelle competenze del potere legislativo e del potere esecutivo. Non possono criticare i giudici e devono astenersi da ogni discriminazione fondata su opinioni politiche o di altro tipo».

    Questa direttiva è del 1997 e per costruire lo spazio giuridico europeo ed una cooperazione valida al suo interno è necessario, sia pure con tanto ritardo, adeguarsi. In tal modo potremo con più facilità trovare accordi con gli altri Stati europei che hanno ordinamenti giudiziari in linea con quel principio! Se da una parte, infatti, ai pubblici ministeri viene salvaguardata l’autonomia, dall’altra si impedisce che compiano invasioni di campo.

    È opportuno riportare alcune acute osservazioni fatte dal professore Giuseppe Di Federico, che giustamente rileva: «Tra i paesi di civil law con un sistema democratico consolidato, l’Italia è senza dubbio quello in cui l’indipendenza della magistratura ha ricevuto i più elevati riconoscimenti, sia con riferimento alla molteplicità delle norme formalmente intese a tutelarla, sia per il modo in cui tali norme sono state interpretate. Ma il caso italiano – aggiunge Di Federico – mostra che il valore dell’indipendenza della magistratura viene perseguito come fine a se stesso mentre sono trascurati tanti altri importanti valori quali la responsabilità e le garanzie di competenza professionale che incidono sul funzionamento dell’apparato giudiziario. Questo risulta dannoso per la stessa indipendenza dei magistrati».

    L’Italia è dunque l’unico paese a consolidata democrazia dove i pubblici ministeri godono delle stesse garanzie di indipendenza dei giudici. Il ruolo del Ministro della giustizia di conseguenza è molto più debole di quello dei suoi colleghi di altri paesi dell’Europa continentale ed occidentale.

    L’esigenza più forte che l’Italia ha è quella di garantire l’immagine di imparzialità del giudice, immagine di imparzialità che nei sistemi democratici costituisce un elemento fondamentale della legittimazione del suo ruolo.

    Se consideriamo gli organi più direttamente investiti del compito di assicurare un’efficace repressione dei fenomeni criminali – e cioè polizia, pubblico ministero e giudice – e analizziamo la natura delle attività da loro svolte, possiamo infatti vedere che l’unica linea di demarcazione netta tra esse è quella che intercorre tra le attività della polizia e del pubblico ministero da una parte e quelle del giudice dall’altra. Nella fase delle indagini le attività della polizia giudiziaria e del pubblico ministero non sono facilmente distinguibili, soprattutto in un sistema come il nostro, che pone la polizia alle dipendenze del pubblico ministero e consente al pubblico ministero un ampio potere di iniziativa nella ricerca stessa dei reati. Si tratta in entrambi i casi di ruoli attivi e la linea di confine tra cosa fa l’uno e cosa fa l’altro non può essere tracciata a priori, ma solo descritta a posteriori ricostruendo lo svolgersi dei fatti processuali.

    Entrambi i ruoli, quello del pubblico ministero e quello della polizia giudiziaria, sono comunque ruoli attivi.

    Quello del giudice è, e deve essere caratterizzato in un sistema democratico, come ruolo passivo cui le parti in conflitto si rivolgono perché, non essendo direttamente coinvolto nelle vicende della controversia, giudichi imparzialmente. Tenere il ruolo del giudice penale visibilmente separato dal pubblico ministero, che svolge attività di indagine e dirige la polizia giudiziaria, serve a sottolineare agli occhi del cittadino l’imparzialità del giudice, a renderla pienamente credibile, e quindi, in ultima analisi, ad accrescere la legittimazione del suo ruolo.

    Una più sostanziale conseguenza negativa dell’appartenenza di giudici e pubblici ministeri allo stesso corpo riguarda l’efficacia dei pesi e contrappesi processuali che formalmente sono previsti a garanzia della libertà e dignità del cittadino nell’ambito processuale. I nostri giudici e pubblici ministeri non solo vengono reclutati con lo stesso concorso e possono spostarsi da una funzione all’altra, ma svolgono anche le loro funzioni negli stessi palazzi, hanno una quotidiana dimestichezza di rapporti di lavoro e anche sociali, appartengono alla stessa associazione sindacale e alle stesse correnti associative, eleggono congiuntamente, per il tramite di organizzate campagne elettorali, i loro rappresentanti al CSM.

    Tutto ciò non poteva non creare diffuse solidarietà di corpo, innumerevoli, quotidiane occasioni in cui pubblici ministeri e giudici si comunicano le reciproche difficoltà di lavoro e le reciproche aspettative anche riguardo ai singoli casi che stanno trattando.

    È un fenomeno diffuso che è particolarmente evidente nei rapporti tra pubblico ministero e giudice per le indagini preliminari.

    Della esistenza di tali reciproche aspettative e del peso che esse assumono sul piano processuale, delle improprie «collaborazioni» tra pubblico ministero ed il suo collega giudice delle indagini preliminari si trovano a volte tracce ed indicazioni inquietanti persino nei fascicoli processuali.

    In altri paesi, è appena il caso di rilevarlo, qualsiasi rapporto tra pubblico ministero e giudici sui casi di cui sono investiti, che avvenga in assenza dell’avvocato difensore, viene duramente sanzionato come un grave vulnus ai diritti della difesa e del cittadino indagato. In Italia di fatto vengono persino tollerati i casi in cui un pubblico ministero, dopo un’udienza, «aggredisca verbalmente» il collega giudice che non ha accolto le sue richieste di detenzione preventiva e finisca di fatto anche per ottenere che quel giudice non giudichi più sulle sue richieste in casi simili (A. Viviani, La degenerazione del processo penale in Italia, 1988, pagg. 78-80).

    In una rilevazione effettuata alcuni anni fa su un campione di mille avvocati penalisti ben il 65 per cento di loro ha affermato di aver constatato, nel corso della propria esperienza professionale, il frequente verificarsi di rapporti informali tra pubblici ministeri e giudici delle indagini preliminari (o dell’udienza preliminare) con riferimento a casi di cui erano entrambi investiti (G. Di Federico Codice di procedura penale e diritti della difesa, 1996, pagg. 87-88, p. 185).

    Difficile dire se questa possa considerarsi una realistica rappresentazione della dimensione del fenomeno o se invece la sua frequenza sia inferiore a quella, elevatissima, indicata dagli avvocati.

    Trattandosi di questioni relative alla effettiva protezione di valori quali la libertà e la dignità del cittadino, la necessità o meno di rimuovere le condizioni ordinamentali che favoriscono quei fenomeni non può certo essere collegata alle dimensioni più o meno ampie del fenomeno.

    È sufficiente rilevare che lo favoriscono.

    Una recente indagine su un campione di mille avvocati penalisti, condotta congiuntamente dall’Istituto di ricerca sui sistemi giudiziari del CNR e dal Centro studi e ricerche sull’ordinamento giudiziario dell’Università di Bologna, rivela come la stragrande maggioranza di loro ritenga che senza la divisione delle carriere non vi possa essere parità tra accusa e difesa, che non vi possa essere una effettiva terzietà del giudice, che non vi possa quindi essere una adeguata tutela dei diritti e della dignità del cittadino nell’ambito processuale penale. Si tratta di una valutazione che, come si è detto, viene sostenuta autorevolmente dal Parlamento europeo che, in una delibera relativa al rispetto dei diritti umani nell’Unione europea, afferma, tra l’altro, che «è anche necessario garantire l’imparzialità dei giudici distinguendo tra la carriera dei magistrati che svolgono attività di indagine (examining magistrates) e quella del giudice al fine di assicurare un processo giusto (fair trial)» (A4 - 0112/1997).

    La tesi secondo cui nell’attuale ordinamento il pubblico ministero sarebbe, come il giudice, un operatore imparziale, partecipe della cultura della giurisdizione, è inconsistente e non plausibile in linea di principio, per il tipo stesso, si ribadisce, di processo che si celebra, ma non è corroborata da alcuna indicazione che la renda credibile.

    Nessuno è in grado di spiegarsi perché l’appartenenza allo stesso corpo dei giudici e dei pubblici ministeri porterebbe assiomaticamente questi ultimi, che dirigono attività di polizia, ad assumere sui singoli casi orientamenti di imparzialità del tutto simili a quelli dei giudici; in verità dovrebbe invece prevalere ed essere credibile, come prevale ed è credibile, la tendenza opposta, che cioè i giudici, privilegiando le tesi accusatorie dei loro colleghi pubblici ministeri, finiscano per condividere con essi orientamenti di tipo colpevolista e poliziesco.

    La previsione normativa del codice di procedura penale che più direttamente era intesa a garantire un orientamento non accusatorio del nostro pubblico ministero, e cioè quella in cui si prevede che egli debba ricercare anche le prove a discolpa dell’imputato, è del tutto inefficace sul piano operativo. Nella pratica, cioè, avviene solo molto raramente che il pubblico ministero si impegni in quella ricerca.

    Ma c’è di più e di più consistente ed è che nel nostro sistema non viene sanzionato neppure disciplinarmente il pubblico ministero che nasconda al giudice le prove a discarico di un imputato in detenzione preventiva che poi verrà scarcerato solo otto mesi dopo. Un comportamento del genere verrebbe invece severamente punito, e non solo disciplinarmente, proprio in quei paesi ove il pubblico ministero non solo fa parte di un corpo a sé stante, ma ha anche sotto il profilo formale un ruolo marcatamente accusatorio.

    Sulla necessità di tenere separato il reclutamento dei pubblici ministeri da quello dei giudici esistono poi altre ragioni di grande rilievo. È utile segnalarne le più significative, che derivano dalla evoluzione che si è verificata nel ruolo del pubblico ministero negli ultimi decenni.

    Una prima riguarda specificamente il nostro paese. Ancora quaranta anni fa la stragrande maggioranza dei nostri magistrati aspirava a svolgere le funzioni del giudice civile. Le ricerche sulle motivazioni dei magistrati appena reclutati mostrano come col passare degli anni si siano venute accentuando fortemente le preferenze per lo svolgimento delle funzioni del pubblico ministero, cioè di un ruolo attivo volto alla individuazione dei reati e dei rei.

    Nell’ultima rilevazione effettuata, su 381 uditori assunti nel periodo 1992-93 è risultato che una consistente maggioranza esprimeva la preferenza per la giurisdizione penale e che tra essi ben il 51,6 per cento degli uditori e il 32,5 per cento delle uditrici desiderava svolgere le funzioni di pubblico ministero (Di Federico, ll pubblico ministero: indipendenza, responsabilità, carriera «separata», 1995, pagg. 430-35).

    Non può meravigliare dunque che proprio i magistrati con poteri investigativi divenissero il più visibile modello del magistrato di successo, il punto di riferimento delle nuove generazioni di magistrati. Proprio per la loro attività di promozione, direzione, conduzione delle indagini di polizia, numerosi magistrati inquirenti hanno, negli ultimi trenta anni, acquisito fama nazionale diventando simboli positivi ed acclamati della lotta al terrorismo, della lotta alla criminalità organizzata della lotta alla corruzione politica e amministrativa. Sono divenuti, ed a ragione, visibili e determinati agenti del radicale cambiamento degli assetti partitici ed istituzionali, come è avvenuto nella prima metà degli anni ’90.

    La funzione del magistrato che lotta nella società diventa più gratificante perché acquista un significato politico; più gratificante, ma fortemente anomalo e pericoloso. Il pubblico ministero Gherardo Colombo già nel lontano 1983 riconosceva che «quando si parla di opposizione politica svolta dalla magistratura, ci si riferisce esclusivamente all’attività di controllo politico perchè altre forme di controllo politico sono carenti e perché attraverso l’imposizione di attività di supplenza il controllo giurisdizionale si è trasformato anche in controllo politico».

    Essendo l’analisi di Colombo puntuale ed esatta perché questo fenomeno si è verificato e si è confermato in questi anni, è necessario un intervento organico e radicale per evitare queste deviazioni che incrinano l’equilibrio democratico ed il corretto rapporto tra i poteri dello Stato.

    La sfrenata indipendenza che rende il pubblico ministero irresponsabile delle sue azioni e della sua funzione comunque svolta è un privilegio personale comodo che gli interessati vogliono disperatamente difendere, ma non è funzionale agli interessi dei cittadini ed alle tutele della sua libertà e dei suoi diritti.

    I giovani sono dunque attratti da questa funzione ma la maggior parte di quelli che entrano in magistratura con quelle motivazioni debbono poi essere di necessità destinati a svolgere le funzioni di giudice (la percentuale di posti per le funzioni di pubblico ministero non supera il 20 per cento del totale), e questo determina qualche problema in più! Questi giovani vengono destinati, cioè, a svolgere un ruolo che è invece per sua natura passivo, di terzo imparziale tra le parti, comunque non coinvolto o influenzato dalle passioni che agitano la società.

    Ciascuno porta nel proprio lavoro le motivazioni, i valori, gli orientamenti che lo caratterizzano e che poi in vario modo e misura orientano i suoi comportamenti e le sue azioni nel lavoro.

    Le ricerche sui processi di selezione mostrano come sia buona regola per il reclutamento di qualsiasi corpo, soprattutto di quelli cui si richiedono comportamenti professionali ispirati non solo a «scienza» ma anche a «coscienza», che gestiscono spazi discrezionali di grande rilievo per il cittadino, cercare di attrarre ed acquisire, con adeguati strumenti di selezione, persone che abbiano motivazioni congruenti con le caratteristiche del ruolo lavorativo da svolgere.

    La separazione del processo di selezione e socializzazione professionale dei pubblici ministeri da quello dei giudici diviene quindi un elemento importante anche per assicurare, in prospettiva, che almeno i giudici abbiano sin dell’inizio e mantengano nel tempo quei valori di terzietà, passività e distacco che sono tipici della «cultura della giurisdizione».

    Una seconda ragione che consiglia di tenere separato il ruolo del pubblico ministero da quello del giudice riguarda l’evoluzione del ruolo del pubblico ministero avvenuta in tutti i paesi democratici, soprattutto in quelli in cui il pubblico ministero ha un ruolo, più o meno pregnante, nella direzione delle indagini. Si tratta da un canto della evoluzione e della maggiore complessità dei fenomeni criminali e del loro accresciuto ambito di azione (terrorismo, criminalità organizzata e riciclaggio di denaro sporco, reati finanziari, reati informatici, ecc.) e dall’altro della evoluzione delle tecniche e tecnologie di indagine.

    Entrambi questi aspetti della evoluzione del ruolo del pubblico ministero rendono sempre più essenziale una specifica preparazione professionale distinta da quella del giudice.

    Ci sembra significativo ricordare come tutte le diverse ragioni fin qui fornite per illustrare l’esigenza di separare la carriera dei pubblici ministeri siano finalizzate a proteggere più fortemente i diritti civili dei cittadini nell’ambito processuale e a dare maggiore funzionalità ed efficacia al ruolo del pubblico ministero.

    Queste ragioni sono state rappresentate in mirabile sintesi dal magistrato inquirente italiano più noto nel mondo per la sua elevata professionalità e cioè Giovanni Falcone che tredici anni fa ebbe a scrivere: «Comincia a farsi strada faticosamente la consapevolezza che la regolamentazione delle funzioni e della stessa carriera dei magistrati del pubblico ministero non può essere identica a quella dei magistrati giudicanti, diverse essendo le funzioni e, quindi, le attitudini, l’habitus mentale, le capacità professionali richieste per l’espletamento di compiti così diversi: investigatore a tutti gli effetti il pubblico ministero, arbitro della controversia il giudice.

    Su questa direttrice bisogna muoversi, accantonando lo spauracchio della dipendenza del pubblico ministero dall’esecutivo e della discrezionalità dell’azione penale che viene puntualmente sbandierato tutte le volte in cui si parla di differenziazione delle carriere.

    Disconoscere la specificità delle funzioni requirenti rispetto a quelle giudicanti, nell’anacronistico tentativo di continuare a considerare la magistratura unitariamente, equivale paradossalmente a garantire meno la stessa indipendenza ed autonomia della magistratura» (G. Falcone, Interviste e proposte, p. 179).

    Per ovviare alle disfunzioni sin qui indicate, per garantire al contempo una maggiore protezione dei diritti civili nel processo ed una maggiore efficienza del pubblico ministero, appare necessario prevedere che l’accesso alle due carriere di giudice e pubblico ministero avvenga mediante concorsi separati.

    Questa modifica può tuttavia essere organica, coerente ed efficace solo se adottata in connessione con quelle che riguardano la definizione delle priorità nell’esercizio dell’azione penale.

    Alcuni attribuiscono infatti alla divisione del ruolo e delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri un’efficacia che di per sè non può avere se non viene accompagnata da innovazioni volte a responsabilizzare e rendere trasparenti le attività del pubblico ministero, vincolandole a precisi criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale e nell’uso dei mezzi d’indagine. Deve essere molto chiaro che senza queste modifiche la divisione delle carriere ha effetto poco più che simbolico. In questi anni un superficiale ed approssimativo approccio a questo problema ha portato a ritenere che una divisione del ruolo tra il giudice ed il pubblico ministero, indicata nella formula magica «divisione delle carriere», potesse di per sè risolvere il problema della funzionalità della giustizia.

    Naturalmente non è così. E sono necessari un disegno ed una strategia organica per determinare una nuova e moderna funzionalità della magistratura.

    Se si procedesse solo a queste riforme i pubblici ministeri potrebbero continuare ad operare con tutte le libertà e discrezionalità di un poliziotto; pubblici ministeri e giudici seguiterebbero, comunque, ad eleggere lo stesso CSM, ad operare congiuntamente nelle stesse associazioni e correnti sindacali, a svolgere le loro attività negli stessi palazzi.

    Si può realisticamente immaginare infatti che i circa 7 mila magistrati che attualmente esercitano funzioni giudicanti non percepirebbero più come colleghi meritevoli di particolare considerazione i circa 2 mila pubblici ministeri che rimarrebbero a svolgere funzioni requirenti solo perché a partire da un certo momento i pubblici ministeri sarebbero reclutati diversamente e non potrebbero più passare da una funzione all’altra?

    Per quanto elevato possa essere il valore simbolico della divisione delle carriere, dunque, sul piano operativo non potrebbe produrre rilevanti innovazioni sul piano dei comportamenti e degli effettivi pesi e contrappesi processuali.

    Per queste precise ragioni, bisogna chiarire una volta per sempre che la riforma in questione è presupposto e conseguenza di altre riforme capaci di configurare una convincente strategia.

    Ciò premesso e tenendo anche conto dell’esigenza di consentire l’accesso alle funzioni giudiziarie di professionalità formatesi anche all’esterno dell’ordine giudiziario, nel presente disegno di legge delega si indicano i criteri da seguire per ottenere una reale ed efficace diversificazione di ruoli e funzioni.

 

 


 

 


 


DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

    1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi in materia di ruoli, funzioni e carriere dei giudici e dei pubblici ministeri, nel rispetto dei seguenti principi e interi direttivi:

        a) prevedere che l’accesso alle professioni di giudice e pubblico ministero avvenga mediante concorsi separati, da esplicarsi in modo da garantire una selezione attitudinale e professionale in relazione alle specifiche esigenze delle funzioni da svolgere;

        b) prevedere che il 90 per cento delle vacanze annuali nel ruolo dei giudici sia coperto con concorsi basati su prove scritte ed orali riservate ai laureati in giurisprudenza in possesso del diploma di specializzazione di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398;

        c) prevedere che il 90 per cento delle vacanze annuali nel ruolo dei pubblici ministeri sia coperto con concorsi basati su prove scritte ed orali riservate ai laureati in giurisprudenza in possesso del diploma di specializazione di cui alla lettera b);

        d) prevedere che il 10 per cento delle vacanze annuali nel ruolo dei giudici sia coperto con concorsi riservati ad avvocati con almeno cinque anni di effettiva pratica forense. Tali concorsi dovranno basarsi su prove scritte ed orali di carattere prevalentemente pratico. I posti che eventualmente non dovessero coprirsi con questi concorsi verranno coperti con gli idonei in eccedenza dei concorsi di cui alla lettera b);

        e) prevedere che il 10 per cento delle vacanze annuali nel ruolo dei pubblici ministeri sia coperto con concorsi riservati ad avvocati con almeno cinque anni di effettiva pratica forense ed ai componenti della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di finanza con almeno cinque anni di esperienza nelle funzioni di polizia giudiziaria. I posti che eventualmente non dovessero coprirsi con questi concorsi verranno coperti con gli idonei in eccedenza dei concorsi di cui alla lettera c);

        f) prevedere che gli uditori reclutati con i concorsi di cui alle lettere b) e c) svolgano un periodo di formazione professionale, prevalentemente pratica, organizzato dalla Scuola superiore delle professioni legali, della durata minima di due anni;

        g) prevedere che le varie esperienze formative seguite nel corso del periodo di formazione vengano valutate anche con riferimento alle attitudini a svolgere le funzioni peculiari per le quali i candidati sono stati reclutati;

        h) prevedere che al termine del periodo di formazione iniziale gli uditori vengano scelti sia sulla base di esami scritti ed orali di tipo pratico sia tenendo conto delle valutazioni ottenute nel corso delle varie fasi del periodo di formazione;

        i) prevedere che gli uditori reclutati con i concorsi di cui alle lettere d) ed e) svolgano un periodo di formazione non inferiore ai sei mesi e che al termine vengano valutati con modalità simili a quelle indicate alla lettera  h);

        l) prevedere che nel caso i pubblici ministeri dopo cinque anni di effettivo esercizio professionale vogliano passare al ruolo di giudici possano farlo con il concorso previsto alla lettera d);

        m) prevedere che nel caso i giudici dopo cinque anni di effettivo servizio vogliano passare al ruolo di pubblici ministeri possano farlo partecipando al concorso di cui alla lettera e).

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 1259

DISEGNO DI LEGGE

 

d’iniziativa del senatore COSSIGA

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 19 MARZO 2002

 

 

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Delega al Governo per la istituzione della Scuola superiore delle professioni legali

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Onorevoli Senatori. – Presento, a mio nome e sotto la mia responsabilità, uno dei disegni di legge già elaborati da apposita commissione del partito di Forza Italia e poi non presentati dalla Casa delle Libertà.

 

    Negli ultimi anni molti Governi hanno provveduto a creare, in vario modo ed in varie forme, una o più istituzioni didattiche ad hoc per la formazioni iniziale e continua del personale della giustizia (giudici, pubblici ministeri, personale amministrativo e tecnico degli uffici giudiziari e del Ministero della giustizia).

    È una esigenza che deriva da una serie di fattori, quali la crescente complessità del lavoro delle professioni legali, gli ampliamenti e le continue modifiche degli apparati normativi, l’esigenza di promuovere una maggiore efficienza dell’apparato giudiziario e di diffondere conoscenze sull’uso di moderne tecnologie.

    Nei paesi ove il reclutamento del personale della giustizia è prevalentemente o esclusivamente di tipo burocratico e nel corso della carriera si può essere destinati di volta in volta a svolgere funzioni tra loro diverse, queste scuole servono anche ad assicurare la riconversione, a volte consistente, delle conoscenze professionali (si pensi ad un giudice di sorveglianza che viene destinato a svolgere funzioni di giudice delle esecuzioni civili, o di un giudice che per anni si è occupato di fallimenti e che viene destinato a svolgere funzioni di giudice minorile).

    Strutture permanenti in grado di svolgere con continuità le funzioni di formazione iniziale e continua del personale della giustizia esistono da anni in molti paesi dell’Europa (come Francia, Germania, Spagna, Portogallo) e nei paesi di tradizione anglosassone (il più conosciuto è il Federal Judicial Center negli USA).

    Numerose sono state le iniziative che in Italia sono state prese, a partire dalla fine degli anni Sessanta, per la istituzione di una scuola della magistratura. Nessuna ha avuto successo. Attualmente le funzioni di formazione iniziale e continua del personale della giustizia vengono, in assenza di strutture didattiche ad hoc, svolte di volta in volta per iniziativa e sotto la diretta responsabilità del Consiglio superiore della magistratura per quanto riguarda giudici e pubblici ministeri, per iniziativa e sotto la responsabilità del Ministero della giustizia per quanto riguarda il personale non giudiziario.

    Molte sono le manchevolezze e disfunzioni generate dall’assenza di un organismo in grado di progettare e gestire su base permanente quelle attività di formazione che l’evoluzione dei sistemi giudiziari hanno reso essenziali e che l’evoluzione delle tecnologie didattiche (ad esempio quelle che consentono di gestire la formazione a distanza ed in forma interattiva) hanno reso complesse anche sotto il profilo tecnico.

    Tra le disfunzioni da tener maggiormente presenti nella prospettiva della creazione, anche in Italia, di strutture didattiche per la formazione iniziale e continua del personale della giustizia, vi sono state certamente:

 

        a) la mancanza di una gestione unitaria dei percorsi formativi, poiché da un canto il CSM e dall’altro il Ministro della giustizia provvedono separatamente alle esigenze formative di personale (giudici, pubblici ministeri, personale amministrativo e tecnico) che congiuntamente lavora negli stessi uffici.

 

    Mentre una consistente parte della formazione può vedere programmi differenziati per diversi tipi di funzione (programmi riservati ai giudici oppure anche a gruppi di giudici che debbono svolgere particolari funzioni giudiziarie, programmi riservati ai pubblici ministeri, programmi separati per amministrativi o tecnici), vi sono certamente aspetti della formazione che interessano congiuntamente personale togato, amministrativo e tecnico, come, ad esempio, quelli relativi ai problemi gestionali e organizzativi, all’uso delle tecnologie;

 

        b) la scarsa capacità progettuale e gestionale dei processi formativi.

 

    I programmi formativi vengono attualmente decisi di volta in volta con poca organicità e coordinamento tra di loro. La loro efficacia rispetto agli obiettivi formativi di volta in volta voluti non è sottoposta ad alcuna reale verifica;

 

        c) limitato sviluppo delle moderne tecniche formative.

 

    Le attività formative si svolgono prevalentemente con tecniche tradizionali di limitata efficacia (lezioni tradizionali a classi in genere molto numerose). Quasi del tutto assente l’uso delle moderne tecnologie a scopi formativi, che in altri paesi sono ampiamente ed efficacemente utilizzate con grande efficacia (programmi di autoformazione interattivi, simulazione e analisi di processi videoregistrati, programmi interattivi a distanza;

 

        d) le scarse garanzie di un proficuo pluralismo culturale nei programmi formativi.

 

    Se si analizzano le iniziative di formazione iniziale e continua dei magistrati promosse dal CSM a partire dagli anni Settanta si può constatare come esse abbiano subìto sempre forti condizionamenti da parte delle varie correnti della magistratura rappresentate nel CSM stesso.

    Soprattutto fino agli anni Novanta la formazione iniziale degli uditori era considerata come una occasione di proselitismo da parte delle varie correnti associative e spesso gli stessi componenti del CSM si improvvisavano docenti onde svolgere quella attività con maggiore efficacia.

    A partire dagli anni Novanta questo fenomeno si è venuto attenuando, ma è tutt’altro che scomparso. Ancor oggi la scelta dei docenti dei vari corsi di formazione viene effettuata dal CSM con una rigorosa lottizzazione degli incarichi di docenza tra le varie correnti della magistratura. Non solo. Soprattutto in materia ordinamentale, vengono rigorosamente esclusi dai programmi docenti che non condividono gli orientamenti della magistratura organizzata.

    Particolarmente preoccupanti possono poi essere le iniziative formative nel settore penale in cui giudici e pubblici ministeri sono chiamati a discutere e riflettere in comune, come avvenuto anche di recente a Milano, su innovazioni normative controverse o addirittura avversate dalla magistratura organizzata, senza neppure la precauzione di assicurare la presenza di docenti ed avvocati che potrebbero stimolare una riflessione interpretativa più ampia e meno vincolata ad orientamenti corporativi;

 

        e) l’assenza di coordinamento tra gestione dei concorsi e programmi di formazione iniziale. Se si analizza la gestione dei concorsi per il reclutamento dei magistrati e dell’altro personale della giustizia nel nostro paese si osservano due disfunzioni di grande rilevo: la prima è che ad una funzione permanente e di fondamentale rilievo quale quella del reclutamento corrispondono strutture di selezione che, essendo nominate ad hoc per ogni concorso, sono di volta in volta completamente diverse tra loro.

 

    Di conseguenza non si possono sviluppare ed affinare standard valutativi uniformi, come risulta chiaramente sia dalle ricerche che hanno evidenziato la scarsa attendibilità selettiva dei concorsi in magistratura, sia anche dalle forti variazioni che si verificano nelle valutazioni dei candidati da concorso a concorso e nelle variazioni delle percentuali degli idonei (trattandosi di valutazioni che riguardano ogni volta varie migliaia di candidati, la probabilità che sui grandi numeri queste variazioni possano dipendere da forti variazioni nella preparazione dei candidati è davvero molto bassa).

    La seconda è che i tempi di svolgimento dei concorsi variano notevolmente da concorso a concorso a seconda dei ritmi di lavoro delle commissioni.

    Una delle disfunzioni che si collega a questo fenomeno è la difficoltà di programmare e gestire razionalmente le attività di formazione iniziale, che spesso finiscono per accavallarsi.

    Nel definire quali siano le innovazioni necessarie a sanare queste disfunzioni occorre tener presente anche che:

 

        a) la creazione e la gestione di strutture didattiche in grado di progettare e attuare una pluralità coordinata di programmi di formazione, di affinarli sulla base del monitoraggio della loro efficacia operativa, di attivare modalità di formazione tecnologicamente avanzate, hanno costi molto elevati. Alle esigenze funzionali che suggeriscono di creare una unica struttura di formazione per tutto il personale della giustizia ordinaria di cui si è detto dinanzi alla lettera a) si aggiunge pertanto anche l’esigenza di non sprecare risorse creando strutture differenziate a seconda del personale da addestrare;

 

        b) le attuali leggi prevedono che per sostenere l’esame di ingresso nella magistratura sia necessario aver acquisito, oltre alla laurea in giurisprudenza, anche il diploma di specializzazione delle scuole forensi che sono attualmente in fase di avvio presso le università.

 

    Queste scuole vengono quindi a costituire parte integrante del processo di formazione iniziale dei magistrati. È quindi necessario che siano comuni non solo le etichette delle materie di insegnamento ma anche i contenuti e l’efficacia dei programmi formativi, sia sotto il profilo teorico sia sotto quello applicativo.

 

    La creazione di una Scuola per le professioni legali deve essere estesa appunto a tutte le professioni legali, e quindi agli avvocati ed ai notai, oltre che ai giudici ed ai pubblici e ministeri, e deve quindi avere tra i suoi compiti anche quelli di stimolare la convergenza dei programmi formativi delle varie scuole di specializzazione forense e notarile e di sollecitare con continuità la verifica della loro efficacia didattica.

    Si debbono dunque considerare gli obiettivi del reclutamento iniziale, prevedendo forme di selezione differenziate per funzioni ed attività aventi caratteristiche professionali diverse, e cioè per la magistratura giudicante, per la magistratura inquirente, per gli avvocati ed i notai.

    Nel pieno rispetto dell’attuale assetto costituzionale tutti i problemi che ne derivano debbono essere affrontati, come avviene in altri paesi, ponendosi l’obiettivo di migliorare la qualità del processo e delle attività legali in genere anche attraverso una migliore qualificazione professionale dei suoi principali protagonisti.

    Tra l’altro, ed è questione di grande rilevanza, una comune formazione professionale ed una comune specializzazione culturale di coloro che eserciteranno attività legali potrebbero anche ridurre, come mostra l’esperienza di altri paesi, quei sospetti, quelle incomprensioni, quelle vere e proprie animosità che oggi sono tanto diffuse tra le diverse categorie; non solo, ma potrebbero anche facilitare il formarsi tra loro di un comune impegno per il buon funzionamento delle istituzioni giudiziarie.

    L’organizzazione di questa Scuola è finalizzata alla formazione delle professioni legali e quindi alla funzione di aggiornamento che questa può anche svolgere.

    Per quanto si debba riconoscere all’avvocatura e al notariato una ampia autonomia sui processi di formazione, tuttavia la loro adeguata formazione è anche un interesse pubblico: quello di garantire al cittadino le qualificazioni professionali degli avvocati e dei notai cui si rivolge al fine di proteggere i suoi diritti.

    La Scuola superiore delle professioni legali dovrà quindi avere tra i suoi compiti anche quello di rendere disponibili le proprie risorse e competenze per la progettazione ed esecuzione di programmi formativi per gli avvocati e i notai nei casi in cui i rispettivi ordini lo richiedano.

    In base a quanto detto si propone il seguente disegno di legge delega, recante i criteri ai quali il legislatore delegato deve attenersi.

 


 


 


 

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

    1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi, aventi ad oggetto l’istituzione della Scuola superiore delle professioni legali, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

 

        a) prevedere la costituzione di una Scuola superiore delle professioni legali, di seguito denominata «Scuola», per gli avvocati, i giudici, i notai, i pubblici ministeri, con sede a Roma;

 

        b) prevedere che la Scuola abbia un direttore nominato dal Ministro della giustizia di concerto col Consiglio superiore della magistratura;

        c) prevedere che la Scuola abbia un consiglio scientifico composto da sedici membri, di cui quattro magistrati nominati dal Consiglio superiore della magistratura, tre professori od esperti di processi formativi nominati dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, tre funzionari amministrativi o tecnici dell’amministrazione giudiziaria nominati dal Ministro della giustizia, tre avvocati nominati dall’Ordine degli avvocati e tre notai nominati dal Consiglio dell’Ordine dei notai;

        d) prevedere che il consiglio scientifico della Scuola abbia la responsabilità di programmare l’attività formativa della Scuola e di verificarne l’efficacia;

        e) prevedere che il consiglio scientifico della Scuola predisponga annualmente per il Ministro della giustizia un rendiconto delle attività svolte;

        f) prevedere strutture interne della Scuola che siano in grado di progettare ed attuare gli interventi formativi di livello nazionale e locale, di predisporre il materiale didattico necessario per le singole iniziative, di sviluppare e gestire programmi di autoformazione e di formazione interattiva a distanza basati sull’uso delle moderne tecnologie telematiche;

        g) prevedere che annualmente la Scuola organizzi incontri dei direttori delle Scuole di specializzazione forense e notarile al fine di stimolare la uniformità di programmi e di assicurare l’effettuazione di verifiche sulla efficacia dei programmi in atto;

        h) creare all’interno della Scuola strutture in grado di garantire che le operazioni di reclutamento del personale della magistratura, amministrativo e tecnico vengano effettuate entro termini temporali predeterminati da commissioni aventi un mandato pluriennale e che il rinnovo di tali commissioni venga effettuato progressivamente per quote dei loro componenti.

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 1260

 

DISEGNO DI LEGGE

 

d’iniziativa del senatore COSSIGA

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 19 MARZO 2002

 

 

 

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Delega al Governo in materia di carriere dei giudici e dei pubblici ministeri, qualificazioni professionali dei magistrati, temporaneità degli uffici giudiziari direttivi nonchè di composizione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura

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Onorevoli Senatori. – Presento, a mio nome e sotto la mia responsabilità, uno dei disegni di legge già elaborati da apposita commissione del partito di Forza Italia e poi non presentati dalla Casa delle Libertà.

 

    Tra le magistrature di tipo burocratico dei paesi dell’Europa continentale a consolidata tradizione demo-liberale, la magistratura italiana è quella che fornisce le minori garanzie sul piano delle qualificazioni professionali e della efficacia del suo sistema di disciplina. Il sistema italiano è anche quello dove i magistrati svolgono con più frequenza attività extragiudiziarie con conseguenze che tendono anche ad erodere la demarcazione tra classe politica e magistratura. Per rappresentare le cause di queste gravi disfunzioni e suggerire innovazioni ordinamentali (e costituzionali) atte a rimuoverle è necessario ricordare brevemente struttura e funzioni del nostro Consiglio superiore della magistratura e alcune delle principali caratteristiche del nostro corpo giudiziario.

    Come è noto, per dare adeguata protezione all’indipendenza della magistratura il nostro costituente del 1948 ha stabilito che tutte le decisioni riguardanti i magistrati (giudici e pubblici ministeri) a partire dal reclutamento fino all’andata in pensione fossero prese in piena autonomia da un Consiglio superiore della magistratura, di durata quadriennale e composto in stragrande maggioranza da magistrati eletti dai propri colleghi. In particolare ha stabilito che due terzi dei membri debbano essere magistrati e che un terzo sia eletto dal Parlamento tra i professori ordinari di materie giuridiche e avvocati con quindici anni di esperienza professionale.

    La presidenza del CSM è attribuita al Capo dello Stato, ma si tratta di una presidenza che, col passare del tempo, è divenuta più simbolica che reale.

    Attribuendo al CSM in via esclusiva tutte le decisioni relative alla gestione del personale della magistratura (reclutamento, promozioni, assegnazioni alle specifiche funzioni giudiziarie ed agli incarichi direttivi, disciplina, eccetera) il costituente gli ha assegnato molto chiaramente ed in via esclusiva due obiettivi primari: quello di tutelare l’indipendenza dei magistrati su tutte le questioni relative al loro status e quello di garantire, al contempo, un elevato livello di qualificazione professionale dei magistrati, sotto il profilo sia tecnico che comportamentale.

    Dal momento della sua entrata in funzione, nel 1959, il CSM ha di fatto fortemente ampliato i suoi compiti ben al di là di quelli formalmente previsti dalla Costituzione. Sarebbe troppo lungo analizzare questo aspetto, le ragioni che hanno determinato questa evoluzione e le tensioni istituzionali che ne sono derivate. Basti qui segnalare solo l’evoluzione del sistema per l’elezione dei magistrati al CSM, cioè quella che più ha influito sulle modalità con cui il Consiglio ha poi di fatto assolto i compiti assegnatigli dalla Costituzione.

    Ai nostri fini è sufficiente ricordare che dal 1959 fino al 1968 i magistrati di grado più elevato erano fortemente sovra-rappresentati rispetto al loro esiguo numero ed erano eletti solo dai loro pari grado: dei 14 membri togati elettivi di allora, 4 erano magistrati di tribunale, 4 magistrati d’appello e 6 magistrati di cassazione. I 4 magistrati di tribunale venivano eletti dai colleghi dei primi gradi della carriera, che costituivano di gran lunga l’elettorato più numeroso (circa il 68 per cento dell’intero corpo dei magistrati); i magistrati d’appello, che costituivano meno del 25 per cento del corpo elettorale, eleggevano anch’essi 4 rappresentanti; i magistrati di cassazione, che rappresentavano poco più del 6 per cento dell’elettorato, eleggevano ben 6 rappresentanti.

    La nuova legge elettorale, utilizzata per le elezioni del CSM del 1968 così come quelle utilizzate per la elezione di tutti i CSM successivi, ha reso di fatto impossibile che un magistrato delle giurisdizioni superiori possa essere eletto senza ottenere l’appoggio elettorale dei ben più numerosi magistrati delle giurisdizioni inferiori collocati ai primi livelli della carriera.

    Nessun altro Consiglio superiore dei Paesi dell’Europa continentale e occidentale (come quelli di Francia, Spagna e Portogallo) ha una prevalenza di componenti eletti dai magistrati tanto elevata, né una legge elettorale che rende i componenti tanto proni all’influenza e alle aspettative corporative dei magistrati dei livelli più bassi della carriera giudiziaria. Prima di vedere quali sono gli effetti che un tale assetto del CSM ha sulle garanzie relative alla professionalità dei magistrati, sulla loro disciplina e sulle attività extragiudiziarie, è opportuno ricordare molto sommariamente alcune particolari caratteristiche relative al reclutamento e alla carriera nelle magistrature di tipo burocratico dell’Europa continentale e di quella italiana in particolare.

    Come in altri Paesi dell’Europa continentale, anche in Italia il reclutamento dei magistrati di carriera viene effettuato tra i giovani laureati in giurisprudenza senza alcuna precedente esperienza lavorativa e sulla base di esami competitivi aventi per oggetto la conoscenza di nozioni giuridiche. Il modello di reclutamento cioè è essenzialmente lo stesso di quello adottato per l’ingresso ai livelli medio-alti delle burocrazie ministeriali. In Italia il CSM decide sull’ammissione dei candidati al concorso e nomina la commissione esaminatrice, composta in maggioranza da alti magistrati.

    Mentre in altri Paesi dell’Europa continentale, come Francia e Spagna, il reclutamento tra i giovani laureati viene integrato in una certa misura con assunzioni di persone che hanno già una esperienza professionale nel campo giuridico (in Francia è reclutato così circa il 20 per cento dei magistrati di carriera), da noi la Associazione nazionale dei magistrati (ANM) si è sempre opposta con successo a qualsiasi forma di reclutamento collaterale di avvocati.

    Vero è che una recente legge (legge 13 febbraio 2001, n. 48, artt. 13-16) prevede per il futuro un reclutamento per concorso di avvocati e magistrati onorari con 5 anni di esperienza professionale al primo livello della giurisdizione. Non viene comunque fissata l’esatta dimensione di questo reclutamento «laterale». Si dice solo che non deve essere superiore al 10 per cento dei posti di volta in volta messi a concorso.

    Il modello di reclutamento burocratico, in Italia come altrove in Europa, si basa sul presupposto che i giovani magistrati così reclutati sviluppino le loro competenze e capacità professionali all’interno delle strutture giudiziarie ove ci si aspetta che rimangano – come in effetti poi in genere avviene – per la loro intera vita lavorativa, seguendo una carriera i cui passi sono basati su ricorrenti valutazioni che in vario modo combinano anzianità e merito.

    Le ricorrenti valutazioni professionali nel corso della permanenza in carriera sono un elemento inscindibilmente legato al sistema di reclutamento burocratico di giovani laureati privi di concreta esperienza professionale e che poi rimangono in servizio per 40/45 anni. Le ricorrenti valutazioni assolvono, infatti, ad una pluralità di irrinunciabili esigenze funzionali:

 

        a) servono a verificare che i giovani magistrati, inizialmente in possesso di conoscenze solo teoriche, maturino effettive capacità professionali;

 

        b) successivamente servono a scegliere coloro che sono più qualificati per coprire le vacanze ai livelli più alti della giurisdizione;

        c) servono per verificare, cosa non meno importante, che i magistrati conservino le loro capacità lungo tutto il corso dei 40/45 anni di permanenza in servizio e fino all’età del pensionamento (da noi fissata a 72 anni);

        d) servono infine a fornire informazioni utili per destinare i magistrati alle funzioni più consone alle loro caratteristiche e conoscenze personali.

 

    Infatti, a differenza dei sistemi dove il reclutamento avviene tra avvocati esperti al fine di coprire uno specifico posto in una specifica corte, nel sistema a reclutamento burocratico i giovani laureati in giurisprudenza vengono assunti per soddisfare indistintamente tutte le esigenze funzionali dell’intero sistema degli uffici giudiziari di primo grado. Si richiede loro, cioè, a seconda del posto dove vengono assegnati, di esercitare indifferentemente una grande varietà di funzioni giudiziarie che richiedono qualificazioni professionali e personali tra loro molto differenti.

 

    Quando essi vengono promossi sono poi destinati a coprire le vacanze, anch’esse molto differenziate per capacità e conoscenze richieste, che si sono venute creando ai livelli superiori della giurisdizione.

    In alcuni dei sistemi continentali il ventaglio delle diverse funzioni cui si può essere destinati è più ampio e diversificato di altri. In Italia e Francia riguarda non solo le molteplici attività del giudice ma anche quelle del pubblico ministero e in Italia anche tutte le posizioni direttive del Ministero della giustizia.

    Nel corso della sua carriera, cioè, il nostro magistrato è formalmente qualificato a coprire indistintamente ed in via esclusiva tutte le molteplici funzioni della giurisdizione civile, penale e minorile, tutte le funzioni che fanno capo al pubblico ministero, ivi inclusa la direzione delle indagini di polizia, tutte le molteplici funzioni direttive del Ministero della giustizia, ivi incluse anche quelle relative alla innovazione tecnologica degli uffici giudiziari e alla direzione dell’intero sistema carcerario.

    Tradizionalmente, e fino alla metà degli anni ’60, dopo il reclutamento erano previsti sei diversi vagli di professionalità per i nostri magistrati ed i primi tre prevedevano anche la eventuale dispensa dal servizio. Due soli erano però altamente competitivi e selettivi: il terzo ed il quarto, quelli, cioè, per le promozioni a magistrato di appello e a magistrato di cassazione. La competenza professionale veniva accertata da commissioni esaminatrici composte esclusivamente da alti magistrati, sulla base dei lavori scritti dai candidati (sentenze, requisitorie, eccetera). Venivano anche prese in considerazione informazioni sulla adeguatezza dei comportamenti rispetto alle esigenze della funzione di magistrato. I pochi posti disponibili ai tre successivi livelli della carriera, che ha al vertice il primo presidente della Corte di cassazione (nel loro insieme solo 1’1,18 per cento dei posti in organico), venivano assegnati, salvo pochissime eccezioni, sulla base dell’anzianità nel ruolo dei magistrati di cassazione.

    Tra il 1963 ed il 1973 il Parlamento cambiò le leggi sulle promozioni dei magistrati fino ad allora vigenti. Anche le nuove leggi prevedono serie valutazioni di professionalità nel corso della carriera, e non avrebbe potuto essere altrimenti salvo ad affermare esplicitamente che dopo un reclutamento di tipo burocratico si potesse rimanere in servizio per 40/45 anni senza nessuna verifica di capacità professionale.

    Tuttavia queste leggi, pur stabilendo si dovessero effettuare vagli di professionalità ai fini delle promozioni, lasciavano al CSM ampia discrezionalità nel decidere su come effettuarli.

    Nel frattempo il sistema per la elezione dei magistrati al CSM era già stato cambiato nel modo che, come abbiamo già visto, ha reso la stragrande maggioranza del CSM, costituita da magistrati eletti, estremamente sensibile alle aspettative di carriera dei colleghi che li eleggono.

    Il risultato è che sin dalla seconda metà degli anni ’60 il CSM ha interpretato le leggi sulle promozioni in maniera che va ben al di là del più spinto lassismo per divenire puro e semplice rifiuto di dare ad esse concreta attuazione. Ha ricorrentemente e sistematicamente promosso «per meriti giudiziari» persino magistrati che da moltissimi anni non esercitavano funzioni giudiziarie e avevano invece svolto la loro opera presso il Parlamento, il Ministero della giustizia o altre branche dell’esecutivo.

    Così, da ormai 30 anni le valutazioni per le promozioni ai vari livelli non si basano più né sulla valutazione dei lavori giudiziari scritti, né su esami, ma invece su valutazioni «globali» formulate dai consigli giudiziari e dal CSM in termini generici e laudativi.

    Tutti i magistrati che maturano la minima anzianità richiesta per i vari livelli della carriera vengono promossi, salvo i casi in cui esistano a loro carico gravi procedimenti disciplinari o penali. Coloro che vengono promossi in eccesso dei posti vacanti ai livelli superiori della giurisdizione acquisiscono tutti vantaggi, economici e non, del nuovo rango ma rimangono pro tempore a svolgere le funzioni giudiziarie esercitate sino ad allora.

    Tutti i giovani laureati in giurisprudenza che superano l’esame di concorso sulla base di prove scritte ed orali intese a verificare le loro conoscenze teoriche di varie branche del diritto possono quindi essere sicuri che col mero passare del tempo raggiungeranno tutti, entro 28 anni e senza ulteriori verifiche di professionalità, il vertice della carriera, cioè il grado che fino a metà degli anni ’60 era riservato a poco più dell’1 per cento dei magistrati (erano circa 100 a quell’epoca, ora sono più di 2000).

    A differenza degli altri Paesi europei (come Francia, Spagna, Germania, Portogallo) che hanno mantenuto una carriera basata su ricorrenti, effettive verifiche di professionalità, l’unica garanzia relativa alle qualificazioni professionali dei giudici e pubblici ministeri che il nostro sistema offre ai cittadini per tutto l’arco dei 40/45 anni della loro permanenza in servizio è solo quella del concorso iniziale che, per giunta, è caratterizzato da scarsa attendibilità selettiva.

    A riguardo è appena il caso di ricordare la verifica che è stata effettuata su 479 casi in cui i vincitori di un concorso per uditore giudiziario avevano sostenuto le prove scritte del concorso successivo senza sapere i risultati delle prove scritte del concorso precedente in cui sarebbero poi risultati vincitori. È risultato che circa il 60 per cento (59,9 per cento) di coloro che avevano superato gli esami scritti del primo concorso (divenendo quindi magistrati dopo aver superato anche gli esami orali) non sono poi stati in grado di superare le prove scritte del concorso successivo.

    Salvo che non si voglia credere che il nostro concorso per entrare in magistratura abbia l’assoluta efficacia di un rito divinatorio, ben si comprende come, in assenza di effettive garanzie istituzionali, il possesso o meno delle necessarie qualificazioni e lo stesso impegno lavorativo finiscano per dipendere quasi esclusivamente dagli orientamenti individuali dei singoli magistrati, dalle loro capacità di autodidassi ed autodisciplina, nonché dalla fortunata circostanza che quelle doti non si vengano a deteriorare col passare degli anni e fino all’età del pensionamento.

 

     Così stando le cose, non possono certo destar meraviglia le ricorrenti carenze di professionalità personali e tecniche dei nostri magistrati; piuttosto debbono destare sorpresa ed ammirazione le manifestazioni, pur presenti ed in misura notevole, di alta professionalità. Ed a riguardo va subito aggiunto che gli alti livelli di preparazione professionale, creando una forte identificazione col ruolo svolto e divenendo parte integrante dell’identità sociale e dell’autostima dei singoli (si veda in proposito: A. Mestitz, Selezione e formazione professionale dei magistrati e degli avvocati in Francia, 1990, pag. 35 e segg.), non sono solo una condizione essenziale per l’esercizio pienamente competente della funzione giudiziaria ma sono anche, per i singoli magistrati, il miglior antidoto contro indebite influenze esterne.

 

    Sotto questo profilo si può anche dire che il radicale abbassamento delle tradizionali garanzie di professionalità determinato dalla eliminazione di qualsiasi forma sostantiva di valutazione delle prestazioni professionali nel corso dei 40/45 anni di permanenza in servizio ha portato con sé anche un sostanziale abbassamento di una delle principali garanzie di indipendenza.

    Con riferimento agli obiettivi che il costituente del 1948 si proponeva nel prevedere la creazione del CSM, ci sembra quindi di poter dire che quest’organo non solo è venuto meno ad uno dei principali compiti che gli erano stati assegnati, quello di garantire ai cittadini le qualificazioni professionali dei magistrati, ma con ciò stesso ha al contempo determinato una marcata attenuazione delle condizioni che favoriscono la stessa indipendenza.

    Al riguardo piace ricordare ancora una volta le parole di Giovanni Falcone che, nel corso di una conferenza tenuta il 5 novembre 1988, ebbe a dire: «Occorre rendersi conto, infatti, che l’indipendenza e l’autonomia della magistratura rischiano di essere gravemente compromesse se l’azione dei giudici non è assicurata da una robusta e responsabile professionalità al servizio del cittadino. Ora, certi automatismi di carriera e la pretesa inconfessata di considerare il magistrato – solo perché ha vinto un concorso di ammissione in carriera – come idoneo a svolgere qualsiasi funzione (una specie di superuomo infallibile ed incensurabile) sono causa non secondaria della grave situazione in cui versa attualmente la magistratura. La inefficienza dei controlli sulla professionalità, cui dovrebbero provvedere il CSM ed i consigli giudiziari, ha prodotto un livellamento dei magistrati verso il basso».

    A causa di queste affermazioni fu chiesta nei confronti di Giovanni Falcone una mozione di censura nel corso di una riunione del Comitato direttivo centrale dell’ANM (La Magistratura, n. 4, ottobre-dicembre 1988).

    Di regola, allorquando si introducono variazioni di rilievo in una delle principali funzioni di una organizzazione, nella loro scia si producono altri cambiamenti, spesso non previsti e non voluti. Le organizzazioni giudiziarie non fanno eccezione. Il venir meno di uno degli elementi portanti del sistema magistratuale ad assetto burocratico, quello delle valutazioni di professionalità ai fini della carriera, ha infatti generato una serie di altre conseguenze negative sul piano funzionale. Tra le più immediatamente evidenti vi è quello della lottizzazione correntizia delle posizioni più ambite ed il ruolo sempre più rilevante che le varie correnti della magistratura, rappresentate nel CSM, esercitano nel generare e gestire questo fenomeno. Le ricorrenti valutazioni per la carriera, pur prive di reali contenuti valutativi e tutte altamente positive, sono comunque inserite nei fascicoli personali ed utilizzate per una serie di altre decisioni che il CSM assume sullo status dei magistrati. Ne consegue che, al momento di scegliere chi tra vari aspiranti abbia le caratteristiche più adatte per ricoprire i vari e molto diversificati ruoli giudiziari esistenti, vengono a mancare di fatto le informazioni rilevanti per decidere con cognizione di causa.

    Le ricerche condotte sui comportamenti decisori del CSM in materia mostrano come, in assenza di informazioni affidabili e da tutti riconoscibili come tali, emergano due tendenze decisorie, entrambe disfunzionali ma quasi obbligate: da un canto quella di basarsi sull’unico elemento certo rimasto, e cioè l’anzianità di servizio, dall’altro, soprattutto quando si tratta di posizioni molto ambite e di grande rilievo anche politico (come ad esempio la direzione dei grandi uffici giudiziari, ed in particolare dei grandi uffici di procura), quello di addivenire a forme di lottizzazione che vedono come protagonisti sopra tutto i rappresentanti in Consiglio delle varie correnti dei magistrati che agiscono «a protezione» della loro visione giudiziaria o, più spesso, nell’interesse dei propri colleghi di corrente.

    Il vincolo che così si crea tra le varie correnti della magistratura ed i propri affiliati, l’esigenza per i magistrati di crearsi protezioni in Consiglio per questa ed altre decisioni discrezionali di loro interesse, favoriscono poi lo svilupparsi di conformismi correntizi non sempre funzionali all’indipendenza dei singoli (C. Bonini, F. Misiani, La toga rossa, 1998, pagg. 21-131).

    Fino a non molti anni fa chi segnalava, sulla base di analitici dati di ricerca, le conseguenze disfunzionali della eliminazione, ad opera del CSM, di sostantive valutazioni di professionalità, veniva invariabilmente sospettato o accusato di tramare contro l’indipendenza della magistratura.

    Nel contempo i pochi magistrati non conformisti che pubblicamente condividevano quelle analisi si vedevano negare da parte del CSM incarichi giudiziari per i quali erano altamente qualificati, come certamente capitò a Giovanni Falcone per le sue ripetute esternazioni ed iniziative non conformi ai desiderata dell’ANM.

    Di recente, gli orientamenti della magistratura associata sembrano, soprattutto a partire dal Congresso dell’ANM del 1996, aver compreso che ormai l’assenza di garanzie sulla professionalità di giudici e pubblici ministeri diviene indifendibile.

    In quell’occasione alcuni tra i più noti rappresentanti dell’ANM, compresi quelli che erano stati, o che sarebbero successivamente diventati, componenti del CSM, si affannarono a sostenere l’esigenza di reintrodurre seri vagli di professionalità, giacché l’elevata professionalità dei magistrati era essa stessa garanzia di indipendenza. Tanto che nella mozione finale si afferma che le «periodiche e serie verifiche dell’operosità e delle capacità tecniche dei singoli magistrati» debbono essere considerate «un presupposto per la piena accettazione e difesa da parte della collettività dell’indipendenza del giudice e un contributo per invertire la caduta di credibilità della giurisdizione» (La Magistratura, n. 1-2, gennaio-marzo/aprile-giugno 1996).

    Nonostante queste rigorose prese di posizione, nei 4 anni e mezzo che sono trascorsi da allora nulla è cambiato nelle decisioni che il CSM assume in materia di valutazioni di professionalità, tanto che la carriera seguita ad essere «automatica», cioè di regola determinata sulla sola base dell’anzianità di servizio.

    Ci sembra che questo dimostri come non bastino i buoni propositi e la comprensione delle disfunzioni, neppure se provengono proprio da coloro che erano allora e sarebbero stati nel futuro protagonisti delle decisioni in materia di professionalità quali rappresentanti delle varie correnti associative in seno al CSM. Non bastano perché non sono sufficienti a cambiare i condizionamenti che gravano su un Consiglio che è composto in assoluta maggioranza di magistrati eletti dai colleghi con una legge elettorale che sembra studiata apposta per rendere cogenti le aspettative corporative di carriera di tutti i magistrati ed il loro rifiuto a subire valutazioni di professionalità che abbiano una qualsiasi successiva incidenza sulle decisioni relative al loro status (promozioni, destinazioni, incarichi direttivi, eccetera).

    In materia di valutazioni di professionalità dei magistrati è opportuno ricordare anche un altro meccanismo di verifica previsto dal legislatore rimasto inefficace. Le varie leggi sulle promozioni attribuiscono tutte, in maniera esplicita, al Ministro della giustizia la facoltà di far pervenire al CSM le sue osservazioni su ogni singola valutazione di professionalità che il CSM stesso si appresta a compiere.

    È una previsione normativa volta a responsabilizzare il CSM per le decisioni che assume in questo delicato settore. Dall’analisi dei verbali del CSM non risulta che il Ministro si sia avvalso di tale facoltà nel corso delle varie decine di migliaia di valutazioni effettuate negli ultimi 35 anni. Se qualche volta fosse avvenuto e non risultasse dai verbali, si tratterebbe comunque di casi tanto rari da essere assolutamente irrilevanti rispetto agli obiettivi di responsabilizzazione voluti da quelle norme.

    A discolpa dei vari Ministri della giustizia che si sono succeduti nel tempo può forse valere la pena di ricordare che per esercitare quella loro facoltà si sarebbero dovuti servire dei dirigenti del loro Ministero che sono tutti magistrati e che quindi hanno essi stessi un personale interesse ad ottenere promozioni «automatiche».

    Nell’immaginare le riforme ordinamentali (e costituzionali) più adatte a promuovere e garantire le qualificazioni professionali dei giudici e pubblici ministeri è comunque opportuno tener presente:

 

        a) che l’attuale Costituzione, assegnando esplicitamente al CSM il compito di effettuare le «promozioni» dei magistrati, non ha certo voluto attribuire a quel termine, come alcuni hanno sostenuto, un significato diverso da quello che ha nella lingua italiana, e cioè una attività «con cui si conferisce il passaggio ad un grado, a una qualifica, a una dignità superiore a quella che uno ha». Nella sostanza il CSM si è rifiutato di svolgere questo compito assegnatogli dalla Costituzione, e con ciò stesso anche quello di garantire ai cittadini le qualificazioni professionali dei suoi giudici e dei suoi pubblici ministeri;

        b) che l’ANM, dopo aver per trenta anni perseguito e difeso il sistema delle promozioni generalizzate, dopo che i suoi rappresentanti eletti al CSM hanno costantemente operato per vanificare qualsiasi forma effettiva di valutazione professionale dei magistrati per l’intero arco dei 40/45 della loro attività giudiziaria, ha finalmente ammesso in un suo congresso che questa sua politica è contraria agli interessi della giustizia, è contraria agli interessi del cittadino, menoma l’indipendenza, finisce per essere contraria agli stessi interessi della magistratura;

 

        c) che dopo queste solenni ammissioni i magistrati che rappresentano le varie correnti dell’ANM nel CSM hanno di fatto continuato, negli anni successivi, a vanificare qualsiasi forma effettiva di vaglio professionale nell’effettuare le promozioni;

        d) che in nessuno dei Consigli della magistratura degli altri Paesi europei i rappresentanti eletti dai magistrati sono presenti in proporzione tanto elevata come da noi: non nella sezione del Consiglio francese che si occupa dei giudici (6 su 12); non nella sezione del Consiglio francese che si occupa dei pubblici ministeri (6 su 12), non nel Consiglio portoghese che si occupa dei giudici (7 su 17), non nel consiglio portoghese che si occupa dei pubblici ministeri (7 su 17), non nel Consiglio spagnolo che si occupa dei giudici (dei 21 componenti 12 sono giudici eletti, tuttavia è il Parlamento ad eleggerli e non i loro colleghi). Una recente commissione di riforma nominata dal Presidente della Repubblica francese (la c.d. Commissione Truche) ha, tra l’altro, raccomandato che la rappresentanza elettiva dei magistrati al CSM non debba essere comunque maggioritaria, proprio per evitare le conseguenze disfunzionali delle tendenze corporative che hanno prevalso nelle decisioni del CSM italiano. È una proposta che è stata fatta propria anche dal Governo Jospin;

 

        e) che in Italia il reclutamento dei magistrati di carriera è da sempre avvenuto solo per il tramite del concorso burocratico aperto ai giovani laureati in giurisprudenza (la nomina di avvocati e professori a consiglieri di cassazione «per meriti insigni» prevista dalla Costituzione del 1948 è stata solo di recente resa operativa e sarà comunque di dimensioni organizzativamente assolutamente irrilevanti). Negli altri Paesi europei che adottano un reclutamento burocratico, un consistente numero di magistrati di carriera viene comunque reclutato su base professionale ai vari livelli della giurisdizione. Le finalità che per questa via si perseguono sono sia quella di meglio garantire le qualificazioni della magistratura acquisendo anche professionalità formatesi al suo esterno, sia anche quella di attenuare gli orientamenti corporativi che si sviluppano nelle magistrature burocratiche.

    L’introduzione poi del principio di temporaneità delle funzioni direttive e delle funzioni monocratiche è opportuno per evitare che funzioni così delicate vengano espletate per molti anni e finiscano per risultare eccessivamente burocratizzate; si sottolinea, cioè, che la funzione direttiva non è una funzione che il magistrato assume in permanenza, ma si esplica in un incarico temporaneo. Si è fissato quindi un ulteriore periodo di tre anni che può essere rinnovato per altri due.


 


 


 

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

    1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi diretti a riformare la normativa vigente in materia di carriere dei giudici e dei pubblici ministeri, qualificazioni professionali dei magistrati, temporaneità degli uffici giudiziari direttivi nonché di composizione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

        a) prevedere che le promozioni non possano eccedere il numero delle vacanze che si determinano annualmente ai livelli superiori della giurisdizione (appello e cassazione);

 

        b) prevedere che, oltre alle valutazioni ai fini delle promozioni, vengano comunque effettuate ogni quattro anni verifiche sulla adeguatezza e diligenza con cui giudici e pubblici ministeri svolgono le loro funzioni e che venga decisa la dispensa dal servizio nel caso questa valutazione riveli la perdita della capacità di svolgere adeguatamente le funzioni giudiziarie. La dispensa dal servizio dovrebbe comunque avvenire a seguito di due valutazioni negative consecutive;

        c) prevedere che la progressione nel trattamento economico sia collegata alle valutazioni di cui alla lettera b);

        d) prevedere la temporaneità nella titolarità degli uffici direttivi per una durata non superiore a tre anni, con possibilità di rinnovo dell’incarico per altri due anni;

        e) prevedere che il pubblico ministero o il giudice che ha esercitato le funzioni direttive possa concorrere per il conferimento di incarico per ufficio direttivo di un distretto diverso;

        f) prevedere forme di reclutamento per posti di magistrato a tutti i livelli della giurisdizione riservate ad avvocati, mediante selezione basata sull’accertamento delle capacità professionali effettive, con prove che accertino la capacità di esercitare le varie funzioni giudiziarie sia nella forma scritta che orale in condizioni per quanto possibile simili a quelle reali;

        g) prevedere una composizione del Consiglio superiore della magistratura con prevalenza di magistrati delle giurisdizioni superiori che abbiano superato effettivi vagli professionali e che siano eletti solo dai loro pari grado;

        h) prevedere che i componenti laici del Consiglio superiore della magistratura vengano eletti dal Parlamento in seduta comune con la maggioranza di tre quinti nelle prime due votazioni e con la maggioranza assoluta a partire dalla terza votazione;

        i) prevedere che il Ministro della giustizia costituisca all’interno del Ministero una unità composta in maggioranza da professori universitari di diritto per svolgere con efficacia il compito affidatogli dalla legge di esprimere con competenza il suo avviso al Consiglio superiore della magistratura nelle promozioni dei magistrati;

        l) prevedere che alle sedute del plenum del Consiglio superiore della magistratura il Ministro possa farsi rappresentare da un Sottosegretario.

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 1261

 

DISEGNO DI LEGGE

 

d’iniziativa del senatore COSSIGA

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 19 MARZO 2002

 

 

 

 

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Delega al Governo in materia di adozione di un codice etico dei giudici e dei pubblici ministeri e relativa disciplina e incompatibilità

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Onorevoli Senatori. – Presento, a mio nome e sotto la mia responsabilità, uno dei disegni di legge già elaborati da apposita commissione del partito di Forza Italia e poi non presentati dalla Casa delle Libertà.

 

    Le decisioni in materia disciplinare nei confronti di magistrati sono di competenza del Consiglio superiore della magistratura e sono adottate da una sua sezione, la sezione disciplinare, composta da 9 membri (6 magistrati e tre laici) eletti dal plenum del CSM stesso nel proprio seno. Contro le decisioni della sezione disciplinare è ammesso il ricorso alle sezioni unite civili della Corte di cassazione.

    La Costituzione attribuisce l’iniziativa disciplinare al Ministro della giustizia, ma la legge ordinaria la assegna anche al Procuratore generale presso la Corte di cassazione che, comunque ed in ogni caso esercita, direttamente o per il tramite di un suo sostituto, la funzione requirente dinanzi alla sezione disciplinare del CSM. L’analisi dei procedimenti disciplinari nel corso degli ultimi quaranta anni mostra che è assolutamente prevalente l’iniziativa del Procuratore generale.

    Si può certo dire in generale che i vari Ministri della giustizia hanno spesso trovato conveniente lasciare l’iniziativa e le indagini al Procuratore generale (anche per evitare di essere accusati in sede politica di voler per quella via intimidire i pubblici ministeri ed i giudici). In tal modo si è di fatto venuta ad attenuare una responsabilità che la Costituzione aveva voluto affidare al Ministro e con ciò stesso si è anche alterato un aspetto non secondario del sistema di pesi e contrappesi istituzionali nel settore della giustizia.

    La Corte costituzionale ha stabilito che il procedimento disciplinare dei magistrati è di natura giurisdizionale (sentenza 29 gennaio 1971, n. 12), anche se almeno due aspetti di questo procedimento presentano caratteristiche diverse da quelle giudiziarie:

 

        a) perché il Presidente del CSM (e della Repubblica) può scegliere di volta in volta, ed in contrasto con il principio del giudice naturale, in quali procedimenti esercitare le funzioni di presidente del collegio giudicante (anche se di fatto il Presidente non ha mai sinora esercitato questa facoltà);

 

        b) perché capita con una certa frequenza che i componenti della sezione disciplinare conoscano già, in tutto o in parte, il merito dei singoli casi, sui quali, per giunta, hanno a volte già espresso valutazioni di merito nel corso delle attività di natura amministrativa del Consiglio. Ciò capita soprattutto con riferimento ai trasferimenti di ufficio ex articolo 2 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511.

 

    Poiché i comportamenti che vengono considerati e valutati in questi procedimenti (che non a caso vengono definiti «para-disciplinari») sono gli stessi che a volte vengono successivamente di nuovo considerati e valutati in sede disciplinare, avviene che in quei casi i componenti del plenum del CSM che sono anche componenti della sezione disciplinare svolgono la funzione di giudice avendo già valutato gli stessi fatti e comportamenti nel plenum del CSM nel corso del procedimento per trasferimento di ufficio.

 

    Le modifiche necessarie per ovviare a questi due problemi non possono essere adottate senza modificare la Costituzione, ma ignorarli, come è avvenuto sinora, implica il venir meno di garanzie processuali costituzionalmente rilevanti.

    La strada maestra per il riformatore sarebbe quindi quella, già prospettata nel corso dei lavori della Commissione bicamerale per le riforme costituzionali, di creare un organismo disciplinare staccato e diverso dal CSM.

    In attesa della riforma costituzionale che prevederà la creazione e definirà la composizione di un nuovo organismo disciplinare, è necessario ed urgente limitarsi ad introdurre riforme compatibili con l’attuale testo costituzionale. È comunque opportuno ricordare sinteticamente alcuni aspetti del funzionamento dell’attuale procedimento disciplinare per evidenziarne la scarsa efficacia e la limitata attendibilità sanzionatoria.

    Viene spesso ricordato che in Italia i procedimenti disciplinari sono molto più numerosi che in altri paesi ad assetto giudiziario simile al nostro e che, inoltre, sono anche molto più numerosi di quanto non fossero da noi trenta anni fa.

    È senz’altro vero. Non se ne può dedurre però, come a volte viene detto, che questo indichi un maggiore rigore disciplinare rispetto ad altri paesi o nei confronti del nostro stesso passato. Di fatto anche la spiegazione di queste differenze può in gran parte essere fatta risalire al venir meno, in Italia, del sistema di valutazioni professionali tipico dei sistemi a reclutamento burocratico.

    Nel tradizionale funzionamento delle magistrature burocratiche dell’Europa continentale, infatti, buona parte delle regole di comportamento, che in altri sistemi sono articolate in analitici codici di etica giudiziaria, vengono, invece, informalmente definite e sanzionate nel corso delle valutazioni di professionalità ricorrentemente effettuate nel corso della carriera.

    In questi paesi, così come avveniva da noi sino a metà degli anni ’60, solo una ristretta minoranza dei magistrati raggiunge il livello delle giurisdizioni superiori prima della pensione.

    Le ricerche condotte sulle valutazioni dei magistrati italiani ai fini delle promozioni a magistrato di appello e cassazione mostrano che nei passaggi a quei livelli della carriera venivano prese in considerazione non solo le capacità tecniche, ma anche informazioni concernenti i comportamenti dei magistrati (giudici e pubblici ministeri) sia in ufficio sia nella vita privata (ad esempio i comportamenti intemperanti, arroganti, poco equilibrati nel trattare con gli avvocati o le parti, la scarsa puntualità e diligenza nello svolgimento delle attività di ufficio, i comportamenti faziosi, partigiani o sregolati nella vita privata).

    Le stesse ricerche mostrano, inoltre, come le valutazioni negative di questo tipo erano spesso determinanti nell’interrompere definitivamente o nel ritardare gravemente la carriera, perché avevano conseguenze di gran lunga più gravi di quelle che derivano ora da tutte le sanzioni disciplinari che non implicano la dispensa dal servizio.

    Le ricerche mostrano, dunque, che le valutazioni sui comportamenti in ufficio e nella vita privata, anche se non venivano disciplinate esplicitamente, erano tuttavia conosciute dai magistrati che, di conseguenza, nei loro comportamenti quotidiani tendevano comunque ad uniformarsi alle consolidate aspettative delle commissioni giudicatrici composte da magistrati ai vertici della carriera.

    Guardando ad altri paesi dell’Unione europea, ed in particolare alla Francia che ha il sistema giudiziario più simile al nostro, si può constatare come ancor oggi vengano presi in considerazione i comportamenti nella vita di ufficio e privata non conformi alla dignità delle funzioni giudiziarie ed alla sua immagine di imparzialità e correttezza ai fini delle promozioni ai vari livelli della carriera.

    Si può anche constatare che i criteri che presiedono alle valutazioni professionali ai fini della carriera sono ampiamente conosciuti dai magistrati.

    L’alto numero di procedimenti disciplinari in Italia (ben 1.517 nel periodo 1981-1998) non sta quindi ad indicare un particolare rigore disciplinare, ma deriva principalmente da due cause. La prima: è venuta meno la funzione preventiva che in un sistema di ricorrenti ed effettive valutazioni professionali rendeva chiari, seppur informalmente, quali fossero i comportamenti che sarebbero stati valutati negativamente in sede di promozione. La seconda: in un corpo giudiziario come il nostro, che comunque mantiene le caratteristiche di una magistratura burocratica, quei comportamenti che tradizionalmente venivano valutati e sanzionati in sede di promozione finiscono per cercare correttivi in sede disciplinare.

    Prima di formulare proposte di riforma al riguardo è ora opportuno considerare quelle caratteristiche dei numerosissimi procedimenti disciplinari degli ultimi venti anni che consentono di esprimere valutazioni sulla loro reale efficacia.

    Dei 1.517 procedimenti decisi dalla sezione disciplinare del CSM tra il 1981 ed il 1998, ben 1.077 (71 per cento) non hanno dato luogo ad alcuna sanzione, mentre solo in 415 casi è stata irrogata una condanna disciplinare (28 per cento del totale). Sul totale di 415 condanne la stragrande maggioranza (81 per cento) riguarda sanzioni lievi come l’ammonimento (197 casi) o la censura (149 casi). Tranne i pochissimi casi di dispensa dal servizio rispetto all’alto numero dei procedimenti (20 in tutto, contando tra questi quelli riguardanti i magistrati con condanne penali), da noi le sanzioni disciplinari non producono rilevanti conseguenze negative per i magistrati che le ricevono.

    Fino alla metà degli anni sessanta l’irrogazione di sanzioni anche lievi o intermedie, come l’ammonimento o la censura, produceva conseguenze irreparabili sulle prospettive di carriera dei magistrati che le ricevevano, e così è ancora in varia misura nei paesi ad assetto giudiziario simile al nostro.

    Non è più così da noi, invece, anche perché nel CSM ha a lungo prevalso la tesi, alquanto singolare, secondo cui dalle sentenze disciplinari non possono discendere conseguenze sul piano delle promozioni perché altrimenti lo stesso comportamento verrebbe sanzionato due volte!

    Anche nei casi in cui si sono avute delle conseguenze sul piano delle promozioni, i magistrati di cui si trattava hanno poi immancabilmente conseguito le promozioni entro pochissimi anni, raggiungendo comunque, anche loro, il vertice della carriera.

    Chiunque analizzi i contenuti delle sentenze disciplinari non può che giungere a due conclusioni.

    La prima è che molte delle sentenze, sia quelle di assoluzione che quelle di condanna, sono frutto di un orientamento condiscendente (Di Federico, Limiti ed inefficacia degli strumenti di selezione negativa dei magistrati, 1976), come sembra essere certamente nel caso, ad esempio, del procedimento disciplinare in cui un magistrato è stato assolto nonostante avesse tenute nascoste al giudice del riesame le prove a discarico riguardanti un detenuto in custodia cautelare.

    La seconda è che nel generale lassismo si hanno a volte casi trattati con maggior rigore di quanto avvenga in altri casi del tutto simili. Il fenomeno viene spiegato con riferimento alla maggiore protezione che i magistrati componenti della sezione disciplinare (6 su 9) accordano agli incolpati che appartengono alla loro corrente associativa.

    Sono interpretazioni di difficile riscontro, ma che vale la pena di ricordare perché le differenze di trattamento da caso a caso sono a volte evidenti.

    Si sono già indicate le ragioni che rendono opportuna la creazione di un organismo disciplinare distinto dal CSM. Le indicazioni ora fornite sulla sostanziale inefficacia dell’attuale sistema disciplinare portano a condividere anche una seconda proposta emersa nella «Commissione bicamerale» e cioè che i componenti di tale nuovo organismo disciplinare siano almeno per la metà eletti dal Parlamento.

    Tra le cause della scarsa efficacia e coerenza dei giudizi disciplinari vi è certamente la genericità delle norme disciplinari. Va infatti ricordato che la quasi totalità dei procedimenti disciplinari si basa su una norma molto generica che così recita: «Il magistrato che manchi ai suoi doveri, o tenga in ufficio o fuori una condotta tale che lo renda immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere, o che comprometta il prestigio dell’ordine giudiziario, è soggetto a sanzioni disciplinari».

    Quali siano le condotte del magistrato che fanno venir meno la fiducia e considerazione di cui deve godere o che compromettono il prestigio dell’ordine giudiziario non viene detto. Specificare con apposita legge quali siano i comportamenti disciplinarmente rilevanti in un apposito codice deontologico è invece importante per almeno due ragioni:

 

        a) perchè la conoscenza di quali siano i comportamenti disciplinarmente sanzionabili svolge una funzione di prevenzione, che nell’esperienza di altri paesi risulta essere tanto più efficace allorquando il codice deontologico venga utilizzato anche come materia di insegnamento e riflessione nell’ambito del periodo di formazione iniziale dei magistrati;

 

        b) perché riducendo drasticamente la discrezionalità nei giudici disciplinari, un analitico codice di deontologia giudiziaria diviene anche uno strumento di garanzia per il magistrato e per la sua indipendenza.

 

    Un articolato codice di deontologia giudiziaria ha anche la funzione di garantire il cittadino e di rassicurarlo sulla correttezza dei comportamenti dei suoi giudici e pubblici ministeri.

 

    Questa funzione del codice è tanto più efficace se si predispongano canali che da un canto consentano al cittadino di far pervenire in sede disciplinare le sue doglianze e dall’altro gli consentano di sapere gli esiti delle sue doglianze (se e perché le sue lamentele non sono giustificate, se ed in che misura esse sono state accolte). Sotto entrambi questi profili il nostro sistema è certamente carente.

    Un capitolo particolare dei codici di etica giudiziaria riguarda la indicazione delle attività che sono incompatibili con l’esercizio delle funzioni giudiziarie. È un aspetto che assume particolare rilievo nel nostro paese, ove la crescita delle attività extragiudiziarie dei magistrati è venuta assumendo negli ultimi 35 anni una dimensione che non trova riscontri in altri paesi democratici. Le ricerche condotte sulla natura ed estensione degli incarichi extragiudiziari dei magistrati, infatti, hanno già da tempo evidenziato come essi siano pregiudizievoli sia per l’indipendenza e l’immagine di indipendenza della magistratura, e per un efficace e corretto funzionamento della divisione dei poteri, sia per la stessa efficienza dell’apparato giudiziario.

    Sotto il profilo del vulnus che tali incarichi creano per l’indipendenza della magistratura e per la sua immagine di imparzialità, le ricerche di cui si è accennato hanno mostrato come molti dei numerosissimi incarichi che i nostri magistrati hanno svolto (diverse decine di migliaia negli ultimi 30 anni) non solo provengono da fonti esterne, ma vengono spesso concessi o favoriti, direttamente o indirettamente, da partiti politici o da loro esponenti.

    Quelle ricerche hanno anche evidenziato come la crescente presenza di magistrati che svolgono la loro attività in Parlamento e la numerosa presenza di magistrati nelle varie branche dell’esecutivo (complessivamente 248 nel marzo 2000), ed in particolare nel Ministero della giustizia (ancor oggi più di 100), alterino di fatto l’efficace funzionamento dei pesi e contrappesi legati alla divisione dei poteri su tutte le questioni che riguardano la giustizia e lo status dei magistrati.

    Tra gli aspetti disfunzionali di questo fenomeno occorre qui sottolinearne uno che più di altri appare inconciliabile con le caratteristiche tipiche di uno stato di tipo demo-liberale. Si tratta dell’alto livello di commistione che si è venuto sviluppando in Italia tra magistratura e classe politica, una commistione che non ha eguali in nessun altro paese democratico.

    L’aspetto più visibile è costituito dalla crescente presenza di magistrati in attività che li portano ad operare a tempo pieno, direttamente e visibilmente, nell’area della politica partigiana. Fino agli anni settanta tale fenomeno era molto limitato: in buona sostanza si riduceva alla presenza di due o tre magistrati in Parlamento.

    Da allora il fenomeno è cresciuto costantemente, principalmente per due ragioni:

 

        a) perché, ad avviso del CSM, per valutare la professionalità dei magistrati non è più necessario prendere in considerazione la loro produzione giudiziaria, il che consente di promuovere anche magistrati che da tempo non svolgono funzioni giudiziarie;

 

        b) perché all’inizio degli anni settanta il CSM, cambiando il suo precedente orientamento, e nella frenesia di promuovere tutti, decise che il divieto di promuovere i pubblici dipendenti eletti in Parlamento, previsto dall’articolo 98 della Costituzione, non si dovesse applicare ai magistrati perché questi non sono pubblici dipendenti.

 

    Gli è stato così subito possibile promuovere retroattivamente, «per meriti giudiziari», fino ai vertici della carriera magistrati parlamentari che non esercitavano le funzioni giudiziarie da oltre ventitre anni e che, per ciò stesso, fino ad allora erano rimasti ai livelli più bassi della carriera.

 

    Con ciò stesso il CSM rese evidente a tutti i magistrati non solo che la carriera politica non impediva più, in nessun modo, il contemporaneo svolgimento della loro carriera giudiziaria, ma rese evidenti anche i vantaggi economici che ne potevano derivare ai magistrati che volessero intraprendere anche una carriera politica perché, fino al 1993, era consentito il cumulo tra lo stipendio di magistrato e quello di parlamentare; ancor oggi è consentito il cumulo della liquidazione e della pensione.

    Nelle elezioni generali del 1976 divennero così dodici i magistrati ad essere eletti in Parlamento, prevalentemente nelle liste dei due maggiori partiti, il Partito comunista e la Democrazia Cristiana. Nelle elezioni tenutesi tre anni dopo divennero ventidue e un notissimo magistrato, che è stato anche presidente dell’ANMI, Adolfo Beria d’Argentine, così commentò questo fenomeno su «Il Corriere della Sera» del 28 aprile del 1979: «La spiegazione più vera... sta nel fatto che i partiti hanno la sensazione più o meno giusta che ormai la magistratura sia una sede di potere reale e di potere pesante, spesso di potere brutale... e che quindi convenga avere con essa canali di comunicazione personalizzati».

    Nelle elezioni nazionali del 1996, ben 50 magistrati hanno partecipato alla competizione elettorale quali rappresentanti di vari partiti: 27 di loro sono stati eletti (10 senatori e 17 deputati) ed in maggioranza sono stati destinati a servire nelle Commissioni giustizia di Camera e Senato. Altri due sono di recente stati eletti al Parlamento europeo. Nelle ultime elezioni nazionali sono stati eletti in Parlamento quattordici magistrati ordinari. Negli ultimi dieci anni due magistrati sono stati eletti presidenti di regione (ed un altro è stato sconfitto per quella stessa posizione nelle ultime elezioni regionali).

    Nello stesso periodo si sono avuti diversi magistrati ministri, magistrati sottosegretari di Stato, sindaci di grandi e piccole città, magistrati eletti nelle assemblee regionali e comunali, assessori di varie branche dei governi locali. Vi sono poi magistrati capi di gabinetto, capi di segreterie particolari di Ministri e sottosegretari di Stato, consulenti di commissioni parlamentari e di organizzazioni europee o internazionali, magistrati responsabili delle politiche giudiziarie di vari partiti. All’inizio degli anni novanta un magistrato è stato persino eletto segretario nazionale di un partito politico (il Partito socialista democratico) ed a tutt’oggi non si è dimesso dalla magistratura.

    Va subito aggiunto che la commistione che si è creata tra magistratura e classe politica è solo in minima parte resa evidente dal numero pur rilevante di magistrati che in via diretta e ufficiale sono divenuti rappresentanti di vari partiti nelle assemblee rappresentative nazionali o locali o anche quali componenti di organi dell’esecutivo ai vari livelli.

    In primo luogo perché il numero di magistrati che stabiliscono relazioni con i vari partiti politici per ottenere quelle posizioni è molto maggiore di quello di coloro che riescono ad ottenerle.

    In secondo luogo perché molte delle attività extragiudiziarie di minore rilevanza e svolte a tempo parziale sono ottenute con il patrocinio più o meno diretto di partiti o uomini politici e divengono – o comunque sono ricercate e percepite dai magistrati – come passi intermedi per acquisire la credibilità politica e l’appoggio partitico necessari per ottenere le posizioni di rappresentanza politica più gratificanti.

    Ma come si fa a dire che le modalità con cui vengono esercitate funzioni giudiziarie ampiamente discrezionali, soprattutto quelle requirenti, sono del tutto estranee al crearsi di quei collegamenti che poi conducono i magistrati alla politica attiva? Per comprendere la complessità delle conseguenze negative che la commistione tra magistratura e politica crea nel nostro Paese è anche opportuno ricordare che quando i magistrati terminano il loro impegno politico nella politica attiva, tornano a svolgere funzioni giudiziarie.

    È possibile o credibile che il magistrato ex-parlamentare o ex-membro di governo non porti con sé nulla degli orientamenti di parte che ha praticato per anni?

    È possibile immaginare che il cittadino creda alla sua imparzialità? Nel nostro Paese, affetto da formalismo, la risposta ufficiale che si dà a questi quesiti è nella sostanza affermativa, tanto che si ritiene pienamente legittimo persino che un giudice ex parlamentare giudichi e condanni un parlamentare di un partito avverso a quello che lui ha rappresentato per anni.

    Un caso emblematico di questo tipo è capitato di recente, nel novembre 1999, quando un giudice della Corte di cassazione, che in precedenza era stato per molti anni deputato al Parlamento eletto nelle liste del Partito comunista italiano, ha scritto una sentenza nella quale viene condannato un parlamentare di orientamento decisamente anticomunista. Non solo, ma in quella stessa sentenza quel giudice di cassazione, ignorando del tutto una specifica richiesta avanzata dagli avvocati difensori, stabilì anche che il deputato in questione doveva essere rimosso dai suoi seggi di parlamentare italiano ed europeo.

    Comunque ciò che importa sottolineare è che la notizia non ha scandalizzato più di tanto. In quell’occasione non è stata messa in discussione la legittimazione di quel magistrato ex parlamentare a svolgere le funzioni di giudice, né ci si è posti, più in generale, il problema se l’immagine di indipendenza ed imparzialità, che è primaria fonte della legittimazione del ruolo giudiziario nelle democrazie liberali, non meriti una più adeguata protezione.

    Non si ignorano le obiezioni che sono state avanzate contro l’ipotesi di escludere i magistrati dall’elettorato passivo per le elezioni nazionali locali ed europee, né quelle che riguardano la loro esclusione da incarichi di governo ai vari livelli.

    A riguardo vanno ricordati ancora una volta i lavori della commissione ministeriale per la riforma dell’ordinamento giudiziario nominata con decreto del ministro Conso e presieduta dall’ex presidente della Corte costituzionale Ettore Gallo. Con ampia motivazione quella commissione, composta in maggioranza da magistrati, pervenne alla conclusione che non solo fosse opportuno evitare che i magistrati potessero ricoprire incarichi di chiara matrice politica, quali quelli di deputato, senatore, consigliere regionale, consigliere provinciale o comunale, o rivestire incarichi di governo ai vari livelli, ma anche che fosse pienamente legittimo prevedere con legge ordinaria la incompatibilità tra quegli incarichi e la permanenza nell’ordine giudiziario (Documenti Giustizia, 1994, n. 5, pagg. 1106-1111).


 


 


 

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

    1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi, aventi ad oggetto il codice etico dei giudici e dei pubblici ministeri, la disciplina e le incompatibilità, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

 

        a) prevedere un codice di etica giudiziaria che disciplini i comportamenti dei giudici e dei pubblici ministeri in ufficio e fuori ufficio in modo da assicurare che essi non ledano la dignità della funzione esercitata e ispirino nei cittadini piena fiducia nella imparzialità del giudice e nella correttezza dei comportamenti dei magistrati;

 

        b) prevedere che le attività non giudiziarie rispondano a criteri che tutelino l’immagine di indipendenza del giudice e della correttezza dei comportamenti dei magistrati;

        c) prevedere che la deontologia giudiziaria costituisca materia di insegnamento e discussione nel periodo della formazione iniziale dei giudici e dei pubblici ministeri;

        d) prevedere che l’azione disciplinare sia esercitata dal Ministro della giustizia e che le attività inquirenti e requirenti ad essa collegate siano esercitate sotto la sua diretta responsabilità;

        e) prevedere che nella relazione annuale al Parlamento sull’amministrazione della giustizia il Ministro riferisca anche sulla attività della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura;

        f) prevedere efficaci strumenti a mezzo dei quali il Ministro venga informato delle violazioni del codice di etica giudiziaria;

        g) prevedere l’autorizzazione per lo svolgimento di attività intellettuali e scientifiche da parte dei magistrati, la individuazione delle attività stesse, nonchè l’indicazione delle attività, come la titolarità di interi corsi universitari o l’alta frequenza di partecipazione a convegni nazionali ed internazionali, che non sono compatibili con il rendimento nel lavoro giudiziario.

 

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 1279

 

DISEGNO DI LEGGE

 

d’iniziativa dei senatori IERVOLINO, GIULIANO, CONSOLO, COMPAGNA, CALLEGARO, BOBBIO Luigi, EUFEMI, BOREA e MANCINO

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 21 MARZO 2002

 

 

 

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Accorpamento delle città di Lauro, Domicella, Taurano, Marzano di Nola, Moschiano e Pago del Vallo di Lauro, nel circondario del Tribunale di Nola

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Onorevoli Senatori. – La legge delega 16 luglio 1997, n. 254 in virtù della quale è stato istituito il giudice unico di primo grado con la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, ha comportato la soppressione dell’ex mandamento della pretura di Lauro di Nola composta dai comuni di Lauro, Domicella, Taurano, Marzano di Nola, Moschiano e Paco del Vallo di Lauro che sono stati inseriti nella competenza territoriale del tribunale di Avellino.

 

    I comuni di cui sopra, pur facenti parte della provincia di Avellino, per ragioni storiche, geografiche, culturali ed economico – sociali hanno sempre gravitato nell’area nolana.

    La soppressione di detto Ufficio giudiziario crea difficoltà serie ai cittadini, alle istituzioni e agli avvocati per la mancanza di collegamenti con Avellino, per la distanza da quella città, non senza aggiungere che la mancanza di uffici giudiziari nella zona potrebbe rinfocolare la criminalità organizzata già particolarmente attiva.

    Per questi motivi sia il consiglio provinciale di Avellino che i consigli comunali di Taurano, Domicella, Quindici, Marzano di Nola, Pago del Vallo di Nola, Lauro e Moschiano con delibera consiliare hanno sollecitato l’accorpamento dell’ex mandamento della prestura di Lauro di Nola al tribunale di Nola.

    Il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Nola, per parte sua, ha avallato e rafforzato tale richiesta con delibera del 23 novembre 1998 assunta all’unanimità.

    Per le ragioni di cui innanzi il presente disegno di legge vuol regolare in via normativa le legittime aspirazioni degli enti locali, dei professionisti, dei cittadini e delle altre istituzioni.

 




 


 

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

    1. I comuni di Lauro, Domicella, Taurano, Marzano di Nola, Moschiano e Pago del Vallo di Lauro, già compresi nel circondario del tribunale di Avellino, passano alla competenza territoriale del tribunale di Nola.

 

    2. Il Ministro della giustizia è autorizzato a provvedere con proprio decreto, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, nell’ambito della dotazione dei ruoli del Ministero, all’adeguamento degli organici e del personale occorrenti per il funzionamento degli uffici giudiziari di cui al comma 1. Il Ministro dell’economia e delle finanze, con proprio decreto, provvede a destinare i finanziamenti necessari per l’attuazione della presente legge e ad apportare le conseguenti variazioni di bilancio.

    3. Il Ministro della giustizia è autorizzato ad apportare le necessarie variazioni alle tabelle A e B allegate all’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni.

 

Art. 2.

    1. Gli affari civili e penali pendenti dinanzi al tribunale di Avellino ed appartenenti, ai sensi della presente legge, alla competenza per territorio del tribunale di Nola sono devoluti a tale ufficio fatta eccezione per le cause civili già passate in decisione e per i procedimenti penali nei quali è già stato dichiarato aperto il dibattimento.

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 1296

DISEGNO DI LEGGE

 

presentato dal Ministro della giustizia
(CASTELLI)

di concerto col Ministro dell’economia e delle finanze
(TREMONTI)

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 29 MARZO 2002

 

 

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Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e disposizioni in materia di organico della Corte di cassazione e di conferimento delle funzioni di legittimità

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Onorevoli Senatori. – Attraverso il presente disegno di legge-delega si indicano i princìpi ed i criteri direttivi cui dovrà attenersi il legislatore delegato nel porre in essere una significativa riforma dell’ordinamento giudiziario, che la dimostrata inadeguatezza del «servizio giustizia» a soddisfare le esigenze dei cittadini – come attualmente disciplinato – induce a ritenere improcrastinabile.

 

    Si intende, pertanto, assicurare una risposta ad esigenze largamente avvertite nell’opinione pubblica, di cui il Governo si è fatto portatore fin dal momento delle proprie dichiarazioni programmatiche, ed in ordine all’opportunità delle quali è possibile riscontrare un ampio consenso anche in larga parte dell’opposizione parlamentare.

    Innanzitutto, si ritiene necessario provvedere a dettare una nuova disciplina in relazione al concorso per l’accesso alla Magistratura, che consenta di assicurare la migliore qualificazione dei partecipanti riducendosi pure, in conseguenza, il numero dei concorrenti ed i tempi di espletamento delle prove.

    La riforma introduce quindi – con la finalità di garantire che siano chiamati a svolgere le funzioni di legittimità anche magistrati i quali non potrebbero accedervi in base alla normativa vigente, ma siano in grado di dar prova di meritare di esercitarle – il concorso per il conferimento delle funzioni di magistrato di Cassazione nella misura della metà dei posti disponibili. Si prevede in tal modo, anche per la magistratura ordinaria, un sistema di doppio canale di ammissione all’esercizio delle funzioni di legittimità che già sortisce positivi risultati per l’ accesso al Consiglio di Stato, massima magistratura amministrativa.

    Risulta inoltre opportuno ridisciplinare la normativa in tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, al fine di assicurare che tali momenti, essenziali per consentire il conseguimento della piena maturità professionale del magistrato, permettano anche di verificare il progressivo adeguamento della professionalità degli uditori al delicato ruolo che saranno in breve tempo chiamati a svolgere.

    Appare poi indispensabile provvedere a dettare la disciplina dell’aggiornamento professionale dei magistrati, prevedendo che lo stesso debba compiersi lungo il corso dell’intera carriera.

    Abbandonata l’attuale occasionalità e frammentarietà dell’offerta formativa, quest’ultima viene ad essere strutturata secondo princìpi di necessità e continuità, prevedendosi specifici incentivi che inducano tutti i magistrati ad avvalersi della stessa.

    Una particolare attenzione è quindi dedicata ai consigli giudiziari, dei quali si vogliono valorizzare le funzioni e le attribuzioni. In tal senso, si intende innanzitutto porre rimedio presso la Corte di cassazione all’anomalia oggi costituita dall’assenza di un organismo analogo al Consiglio giudiziario. Inoltre, deve evidenziarsi che i Consigli giudiziari hanno la possibilità di conoscere sia le esigenze degli uffici giudiziari in sede locale sia i singoli magistrati, prima e meglio dello stesso Consiglio superiore della magistratura. Per questo motivo, si ritiene opportuno devolvere a tali organi decentrati anche compiti di sicura delicatezza, come l’approvazione delle tabelle degli uffici giudiziari.

    Da organismi prevalentemente consultivi del Consiglio superiore della magistratura, i Consigli giudiziari devono divenire organismi che assumono compiti e responsabilità deliberative. L’incremento delle loro attribuzioni, nonchè esigenze di simmetria con la composizione consiliare e di verifica dell’esercizio dei rilevanti poteri loro attribuiti, inducono poi a reputare necessaria la revisione della composizione dei Consigli giudiziari, prevedendosene l’integrazione con soggetti esperti del diritto e dell’amministrazione della giustizia estranei all’ordine giudiziario, come avvocati e professori universitari, nonchè con componenti designati dalle regioni.

    Non più differibile risulta poi la previsione di una specifica regolamentazione delle condizioni che devono essere rispettate perchè possa consentirsi il passaggio del magistrato dalle funzioni requirenti a quelle giudicanti, e viceversa. Pertanto, si considera necessario superare l’attuale possibilità di passaggio dall’una all’altra funzione in maniera pressochè indiscriminata, a volte all’interno del medesimo ufficio giudiziario. Si tratta di un fenomeno che ha comportato non poco nocumento all’immagine della magistratura ed alla fiducia riposta dalla cittadinanza nell’imparzialità, indipendenza ed autonomia dei giudici.

    È apparso ancora urgente intervenire con una normativa non frammentaria, ma specifica, chiara ed inderogabile, per disciplinare la temporaneità degli incarichi direttivi, anche nella logica di incentivare la mobilità dei capi degli uffici. La scelta risponde, del resto, ad un’esigenza chiaramente avvertita nell’opinione pubblica, cui ha ripetutamente cercato di dare risposta l’organo di autogoverno della magistratura con propri atti. La permanenza di un magistrato investito di funzioni direttive per un periodo illimitato di tempo nel medesimo ufficio, infatti, può comportare la possibilità della formazione di un centro di potere che, indipendentemente dal concreto atteggiamento del magistrato, può indurre sospetti di parzialità nella cittadinanza, destinataria del «servizio giustizia».

    Altro profilo dell’ordinamento giudiziario in relazione al quale la previsione di specifiche norme costituisce un’esigenza non differibile, è quello relativo all’illecito disciplinare. L’attuale situazione di incertezza in ordine ai comportamenti suscettibili di valutazione disciplinare deve essere superata, provvedendosi ad una specifica tipizzazione degli stessi.

    Il quadro della prima parte della riforma è integrato dal conferimento della delega perchè si intervenga su di un settore nevralgico dell’organizzazione del «servizio giustizia», provvedendosi alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie.

    Si intende quindi porre mano con decisione ad un generale riordino dell’attuale mappa della distribuzione territoriale degli uffici giudiziari. Si tratta di un’esigenza che assume ormai carattere di urgenza. Gli ambiti territoriali dei tribunali e delle corti d’appello, con limitate eccezioni, risultano ancor oggi individuati sulla base di quella che era la realtà del paese molti decenni or sono, e non tiene perciò conto dell’evoluzione verificatasi, in primo luogo, nella distribuzione della popolazione sul territorio nazionale. Gli uffici del giudice di pace, d’altro canto, esaurito il termine per una sufficiente valutazione delle reali esigenze della cittadinanza in ordine alla loro dislocazione territoriale, appaiono troppo numerosi, e comportano per lo Stato oneri molto elevati e talora ingiustificati. Occorre pertanto procedere a razionalizzare la distribuzione degli uffici giudiziari sul territorio, tenendo anche conto dei diversi carichi di lavoro che gravano su ciascuno di essi. Potrà in conseguenza procedersi pure alla migliore distribuzione dei magistrati nei diversi uffici, evitando il perpetuarsi dell’attuale situazione che vede alcuni uffici eccessivamente gravati di lavoro, ed altri in cui la capacità lavorativa dei magistrati non è completamente utilizzata.

    La prima parte del provvedimento, strutturato nella forma della legge-delega, è completato dall’assegnazione al Governo dell’ulteriore delega all’emanazione delle norme di coordinamento e transitorie, nonchè dalla disciplina dell’iter parlamentare cui gli schemi di decreto legislativo verranno sottoposti.

    L’estrema delicatezza delle materie su cui il presente disegno di legge-delega è chiamato ad incidere impone di prevedere un termine adeguato, che si ritiene possa essere quantificato in due anni a decorrere dalla data di efficacia di ciascun decreto legislativo, perchè il Governo possa adottare atti normativi con funzione correttiva delle norme introdotte in attuazione della presente legge. I provvedimenti correttivi, naturalmente, dovranno pur sempre rispettare i criteri e le direttive indicati nella medesima delega.

    Il secondo capo del disegno di legge detta poi nuove norme per la disciplina dell’accesso alle funzioni di legittimità, ed apporta modifiche all’organico della Corte di cassazione ed in tema di trattamento economico dei magistrati che vi prestano servizio. La Suprema Corte, infatti, deve essere restituita al suo compito connaturale di vertice della magistratura ordinaria, ed occorre perciò assicurare che alla stessa abbiano accesso solo i magistrati più meritevoli e motivati.

    Completa l’articolato il capo terzo, che contiene la norma relativa alla copertura finanziaria.

    Venendo all’esame del disegno di legge, si osserva che lo stesso risulta composto di quattordici articoli.

    Con riferimento all’articolo 1, concernente in generale l’oggetto della delega relativa al capo primo e le modalità di esercizio della medesima, vale quanto detto in premessa.

    L’articolo 2 detta innanzitutto i princìpi e le direttive cui occorrerà attenersi per assicurare una nuova disciplina in materia di accesso alla magistratura. Occorre in tal senso riuscire a contemperare due esigenze altrettanto rilevanti. In primo luogo si deve assicurare che i concorrenti al concorso per uditore giudiziario siano soggetti estremamente qualificati in base al possesso di requisiti di certa riscontrabilità, e che soltanto tra loro sia possibile selezionare i più capaci e meritevoli, tenuto conto del ruolo di essenziale rilievo che i magistrati sono chiamati a svolgere nella società civile. In secondo luogo si deve anche assicurare una risposta all’esigenza che le pur rigorose prove di selezione non richiedano, per il loro completamento, tempi eccessivamente lunghi.

    Si dispone pertanto che alle prove del concorso per uditore giudiziario possano partecipare coloro che abbiano già conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato, oppure abbiano conseguito l’idoneità in un concorso bandito dalla pubblica amministrazione per il quale sia necessario il possesso della laurea in giurisprudenza. Infine, si prevede che possano accedere al concorso coloro che abbiano conseguito il dottorato di ricerca in materie giuridiche. Sarà in tal modo possibile assicurare che partecipino al concorso soltanto candidati di elevata qualificazione, e si conseguirà pure il risultato di ridurre il numero dei partecipanti e pertanto i tempi di espletamento delle prove. Si intende in tal modo superare il criterio di selezione dei partecipanti attualmente vigente, e fondato su una prova di pre-selezione mediante i cosiddetti quiz, che non ha assicurato i risultati attesi in termini di deflazione del lavoro delle commissioni esaminatrici, ed ha pure suscitato un elevato contenzioso.

    Inoltre, nell’intento di promuovere una tendenziale omogeneità nei modi di accesso alle funzioni di grado apicale delle diverse giurisdizioni, e con la finalità di garantire che siano chiamati a svolgere le funzioni di legittimità anche magistrati che non potrebbero accedervi in base alla normativa vigente, ma siano in grado di dar prova di meritare di esercitarle, si prevede che ogni anno la metà dei posti divenuti vacanti presso la Corte di cassazione sia assegnato ai vincitori di un apposito concorso per titoli ed esami, introducendosi un sistema di doppio canale di ammissione all’esercizio delle funzioni superiori che già sortisce positivi risultati per l’accesso al Consiglio di Stato, massima magistratura amministrativa.

    Si reputa comunque opportuno prevedere che possano accedere al concorso i magistrati che abbiano maturato un’anzianità di carriera non inferiore a dieci anni. Tanto si dispone anche al fine di non distogliere i magistrati con minore anzianità di servizio dall’ esercizio delle funzioni di merito per un adeguato periodo di tempo, in quanto ciò consente loro di maturare un’esperienza che risulterà comunque preziosa quando saranno chiamati ad esercitare funzioni di legittimità.

    Il Governo dovrà inoltre dettare le norme per la disciplina del concorso e la composizione delle commissioni esaminatrici, che dovranno essere composte per due terzi da magistrati ordinari con almeno venti anni di esercizio delle funzioni e per un terzo da professori ordinari di università, avvocati che abbiano esercitato la professione forense per non meno di venti anni, ovvero un Presidente di sezione del Consiglio di Stato. La Presidenza della commissione sarà assunta del Primo Presidente della Corte di cassazione o da un Presidente di Sezione da lui delegato, ovvero da un avvocato generale dello Stato presso la stessa Corte di legittimità.

    L’articolo 3 indica innanzitutto i criteri cui il Governo dovrà attenersi nel disciplinare il tirocinio e la formazione degli uditori giudiziari e l’aggiornamento professionale dei magistrati. In tal senso, in luogo dell’attuale frammentaria attività formativa, si è inteso prevedere l’istituzione presso la Corte suprema di cassazione di una scuola della magistratura, struttura didattica stabile dotata di autonomia organizzativa, specificamente preposta a curare l’attività di formazione degli uditori giudiziari e di aggiornamento professionale dei magistrati, anche ai fini della loro progressione in carriera. Gli oneri relativi all’istituzione della scuola saranno a carico del Ministero della giustizia. Al fine di valorizzare il patrimonio di conoscenze acquisite dagli uffici che già operano presso la Corte di legittimità, si è previsto espressamente che la scuola possa avvalersi delle esperienze e delle professionalità degli uffici del massimario e del ruolo della Suprema Corte.

    Membri del Comitato direttivo della Scuola, che dureranno in carica quattro anni, saranno due magistrati designati dal Primo Presidente della Corte di cassazione, sentito il Procuratore Generale. Nel rispetto delle competenze costituzionalmente attribuite al Consiglio superiore della magistratura, si è inteso prevedere che gli ulteriori tre componenti del Comitato direttivo siano nominati dal Consiglio superiore della magistratura di concerto con il Ministro della giustizia, e siano scelti tra magistrati ed avvocati con non meno di venti anni di servizio o di esercizio della professione. Possono formulare proposte relative alla programmazione e gestione dell’attività didattica, inoltre, soggetti specificamente qualificati, individuati nel Consiglio superiore della magistratura, nel Ministro della giustizia, nel Consiglio nazionale forense, nel Consiglio direttivo della Corte di cassazione di cui all’articolo 4, nei Consigli giudiziari e nei componenti del Consiglio universitario nazionale esperti in materia giuridica, così da assicurare un’offerta formativa di ampio respiro, ed in grado di avvalersi del contributo propositivo e di esperienza di cultori ed operatori del diritto anche estranei all’ordine giudiziario. Si incrementerà in tal modo la conoscenza, la collaborazione e lo scambio di idee tra i diversi operatori del diritto, allo scopo di assicurare la massima possibile efficacia del servizio giustizia.

    L’adeguata formazione professionale del magistrato è un valore essenziale e la stessa non può essere impartita e valutata soltanto nel momento in cui l’uditore viene chiamato ad assumere le funzioni giudiziarie. Occorre perciò valorizzare il rilievo che deve attribuirsi ai corsi di aggiornamento professionale, prevedendosi che la Scuola della magistratura esprima all’esito dei corsi un parere su ciascun partecipante destinato ad essere inserito nel fascicolo personale. Il parere conterrà elementi di verifica attitudinale e costituirà elemento di valutazione per il Consiglio superiore per la progressione in carriera dei magistrati, nonchè per il conferimento di incarichi direttivi e semi-direttivi e per i tramutamenti.

    La corretta organizzazione della Scuola impone di prevedere che tutti i magistrati possano accedere ai corsi di aggiornamento professionale. Non potendosi consentire, d’altro canto, la paralisi dell’amministrazione della giustizia che potrebbe conseguire alla contemporanea partecipazione di un numero troppo elevato di magistrati ai corsi di aggiornamento, occorre prevedere criteri per disciplinare la precedenza nell’accesso ai corsi assolutamente trasparenti, e fondati su elementi oggettivi e predeterminati. Alla medesima esigenza di non ostacolare la funzionalità degli uffici giudiziari risponde la previsione che il magistrato non possa accedere ad un nuovo corso di aggiornamento organizzato dalla scuola, prima che siano trascorsi tre anni dalla precedente partecipazione. D’altro canto la necessità di incentivare la partecipazione dei magistrati ai corsi di aggiornamento professionale lungo l’intero arco della carriera, impone la previsione che il parere espresso dalla Scuola al termine dei corsi conservi validità per un periodo di tempo non superiore a sei anni.

    Inoltre, la necessità di facilitare la partecipazione dei magistrati ai corsi organizzati dalla scuola importa la previsione che gli ammessi ai corsi, i quali non potranno avere durata superiore ai due mesi, compatibilmente con le comprovate e motivate esigenze funzionali degli uffici giudiziari ed a richiesta dell’interessato, possano godere di un periodo di congedo retribuito pari alla durata del corso.

    L’articolo 4 detta i princìpi della delega in materia di riforma dei Consigli giudiziari.

    In primo luogo, si prevede l’istituzione del Consiglio direttivo della Suprema Corte di cassazione, strutturato nel rispetto dei medesimi princìpi valevoli pure per la composizione ed il funzionamento degli altri Consigli giudiziari.

    In conformità con le indicazioni programmatiche espresse dal Governo, viene poi previsto l’allargamento della composizione dei Consigli giudiziari (che attualmente si avvalgono dell’operato di sette membri effettivi e tre supplenti, tutti magistrati) in considerazione del previsto cospicuo incremento delle attribuzioni dei medesimi, ed anche al fine di consentire, secondo un equilibrato rispetto del principio di proporzionalità, la partecipazione ad essi di esperti di diritto e di componenti designati dalle regioni. Viene, pertanto, previsto che dei Consigli giudiziari siano chiamati a far parte, oltre a cinque magistrati – tra i quali il Presidente della Corte d’appello ed il Procuratore generale, componenti di diritto – anche quattro esponenti, di cui uno nominato tra i professori ordinari di università in materie giuridiche, uno tra gli avvocati che abbiano maturato almeno quindici anni di esercizio della professione e pertanto esperti nella conoscenza del «servizio giustizia», e due eletti a maggioranza qualificata dal Consiglio della regione in cui ha sede il distretto di Corte d’appello interessato. Si reputa, comunque, opportuno prevedere che i rappresentanti dei consigli regionali non prendano parte alle deliberazioni attinenti lo stato ovvero l’attività dei magistrati.

    In conseguenza di quanto in precedenza osservato, viene ampliato anche il numero dei membri supplenti dei Consigli giudiziari, e si prevede che tre posti siano da riservare, uno ciascuno, ai professori universitari, agli avvocati ed ai soggetti designati dalle regioni, mentre i due ulteriori componenti supplenti dovranno essere eletti tra i magistrati togati del distretto. Gli altri membri non togati, titolari e supplenti, dei Consigli giudiziari saranno invece nominati dal Consiglio nazionale forense ovvero dal Consiglio universitario nazionale, su indicazione dei Consigli dell’ordine degli avvocati del distretto e dei presidi delle facoltà di giurisprudenza delle università della regione.

    In analogia con quanto previsto per il Consiglio superiore della magistratura, si ritiene poi necessaria la riforma delle modalità di elezione dei componenti togati del Consiglio giudiziario, dovendosi inoltre fissare la durata in carica dello stesso nel termine di quattro anni, stimandosi insufficiente, per la migliore funzionalità dell’organo, il termine di durata in carica attualmente previsto, pari a due anni.

    La delega attribuita ai sensi dell’articolo in commento, come anticipato, intende assicurare l’ampliamento delle attribuzioni dei Consigli giudiziari, strutture più agili del Consiglio superiore della magistratura e che più facilmente possono acquisire una conoscenza dettagliata della realtà degli uffici giudiziari e dei magistrati del distretto. In tal senso, i Consigli giudiziari provvederanno all’approvazione delle tabelle degli uffici giudiziari, da redigere nel rispetto delle direttive impartite con legge, salva restando la possibilità per gli interessati di proporre reclamo innanzi al Consiglio superiore della magistratura.

    Ai Consigli giudiziari è pure attribuita la competenza a decidere in materia di provvedimenti relativi allo status dei magistrati, con particolare riferimento ad aspettative e congedi, dipendenza di infermità da cause di servizio, equo indennizzo, pensioni privilegiate e concessione di sussidi.

    Competerà inoltre ai Consigli giudiziari il rilascio di pareri, anche su richiesta del Consiglio superiore, circa l’attività dei magistrati del distretto, pure in occasione dei momenti di progressione in carriera dei medesimi, ed in generale competerà loro esprimere pareri in ordine a tutti gli atti relativi allo status giuridico dei magistrati (dimissioni, decadenza dall’ impiego, riammissioni in magistratura).

    Ai Consigli giudiziari competerà ancora di vigilare sul comportamento dei magistrati del distretto, con obbligo di segnalare i fatti disciplinarmente rilevanti ai titolari dell’azione disciplinare.

    Inoltre, ai consigli giudiziari deve attribuirsi un esteso potere di vigilanza sull’andamento del servizio giustizia nel distretto, e di segnalazione al Ministro della giustizia delle eventuali disfunzioni riscontrate.

    Infine, ai Consigli giudiziari è attribuita una specifica competenza in materia di formulazione di pareri e proposte sull’organizzazione ed il funzionamento degli uffici del giudice di pace del distretto.

    Nel dettare all’articolo 5 i princìpi ed i criteri cui il Governo dovrà attenersi nell’emanare le norme disciplinanti il passaggio dall’esercizio delle funzioni giudicanti a quelle referenti e viceversa, si è ritenuto di rispondere, anche sulla scorta dell’esperienza maturata in altri paesi di avanzata democrazia, all’esigenza ormai largamente diffusa nella cittadinanza secondo cui occorre prevedere una specifica distinzione tra i magistrati che esercitano le funzioni giudicanti e requirenti. La distinzione delle funzioni appare necessaria anche al fine di consentire l’affermazione di un dato di fatto peraltro innegabile, costituito dalla constatazione che le due funzioni richiedono una diversa formazione e diverse attitudini professionali. Occorre pertanto assoggettare ad un’attenta valutazione il magistrato che intenda cambiare le proprie funzioni, al fine di accertare che egli possegga i requisiti richiesti per quella che intende esercitare, ed occorre che lo stesso possa essere ammesso a fruire di uno specifico corso di qualificazione professionale organizzato dalla Scuola della magistratura.

    Non può, peraltro, corrersi il rischio della paralisi dell’operatività degli uffici giudiziari al solo fine di consentire al magistrato che intenda passare a diverse funzioni di essere continuativamente impegnato nella frequenza di corsi di qualificazione professionale, quando egli non riesca a superarli con esito positivo. È necessario perciò prevedere che tra la partecipazione ad un corso di qualificazione professionale per il passaggio delle funzioni da giudicante a requirente o viceversa, ed un altro, debba decorrere necessariamente il termine minimo di tre anni.

    Neppure può prevedersi che l’attestazione di idoneità al passaggio delle funzioni, espressa in favore di un magistrato che abbia positivamente concluso il corso di qualificazione professionale organizzato dalla Scuola della magistratura, il cui possesso costituisce requisito necessario perchè il magistrato sia legittimato a concorrere per il conferimento di una funzione diversa da quella esercitata, possa valere senza limiti di tempo. La rapidità con cui l’ordinamento giuridico si modifica nel tempo corrente, e con esso la professionalità richiesta ai giudici che sono chiamati ad applicarlo, comporta che un giudizio di idoneità espresso alcuni lustri prima, nulla sia in grado di assicurare circa l’attitudine del magistrato ad esercitare le funzioni cui chiede di essere assegnato in epoca di molto successiva. Risulta pertanto equo prevedere che il positivo superamento del corso di qualificazione professionale per il passaggio delle funzioni abiliti il magistrato a concorrere per il conferimento delle diverse funzioni per il periodo massimo di tre anni.

    L’esigenza di ovviare al rischio che l’esercizio di funzioni profondamente diverse come quelle giudicanti e requirenti in un medesimo ambito territoriale possa nuocere all’immagine del magistrato ed indurre a ragioni di sospetto circa la sua indipendenza, autonomia ed imparzialità, impone di prevedere che il magistrato ammesso al passaggio delle funzioni non possa comunque esercitare quelle di destinazione in un ufficio avente sede nel medesimo distretto.

    All’articolo 6, tenuto conto del rilievo degli interessi coinvolti e di cui occorre effettuare una valutazione comparativa, si è inteso dettare criteri rigidi e trasparenti circa la disciplina della temporaneità degli incarichi direttivi. Si è pertanto previsto che il magistrato chiamato allo svolgimento di una funzione direttiva possa esercitarla per un periodo di tempo non superiore ad anni quattro. La considerazione del valore dell’esperienza maturata nel ruolo al fine di assicurare la migliore funzionalità dell’ufficio, consente poi di prevedere la possibilità del rinnovo dell’incarico direttivo al magistrato che si sia distinto per particolari meriti. Dovendosi in tal caso comunque fissare un termine massimo di durata di esercizio della medesima funzione direttiva, si ritiene corretto che il rinnovo non possa essere accordato per un periodo superiore a due anni.

    Non si rinvengono ragioni adeguate per escludere che il magistrato il quale abbia esercitato funzioni direttive possa essere ammesso ad esercitarle ancora in diverso ufficio. Tuttavia le stesse motivazioni che inducono a ritenere necessaria la previsione della temporaneità dell’esercizio delle funzioni direttive esposte in premessa, impongono di prevedere che il magistrato il quale abbia esercitato funzioni direttive possa ancora esercitarne, a condizione che l’incarico sia conferito per un ufficio giudiziario avente sede in un diverso distretto. Con norma di chiusura si è reso necessario indicare l’ufficio cui dovrà essere assegnato il magistrato che sia cessato dall’esercizio di funzioni direttive, qualora lo stesso non abbia inteso proporre domanda di assegnazione a diverso ufficio direttivo, oppure la sua domanda, pur proposta, non sia stata accolta.

    All’articolo 7 sono dettati i criteri che il Governo dovrà seguire per la completa riforma dell’illecito disciplinare.

    L’esigenza di civiltà di assicurare la certezza delle norme che disciplinano dell’istituto, ampiamente avvertita, impone infatti di provvedere alla specifica tipizzazione delle condotte idonee a giustificare la promozione dell’azione disciplinare. Inoltre, occorre provvedere ad indicare le sanzioni che possono conseguire alle diverse violazioni, da individuare nel rispetto del principio di proporzionalità.

    L’articolo 8 pone quindi i criteri per poter operare una vera e propria rivoluzione copernicana della geografia giudiziaria, realizzando la revisione organica e completa della suddivisione per territorio degli uffici giudiziari.

    La disposizione è finalizzata a razionalizzare l’estensione territoriale dei distretti delle Corti di appello nonchè dei circondari dei tribunali e delle circoscrizioni territoriali degli uffici del giudice di pace ricompresi in tali distretti. In particolare, a seguito di un periodo di sperimentazione che si reputa ormai adeguato, è opportuno porre mano ad una verifica che gli uffici del giudice di pace istituiti rispondano tutti ad esigenze reali dei cittadini e ad un tempo soddisfino pure l’intento di assicurare l’efficienza nell’amministrazione della giustizia. Nell’esercitare la delega il Governo potrà sia ridefinire i confini dei diversi distretti, circondari e circoscrizioni territoriali, sia eventualmente crearne di nuovi, tramite l’accorpamento o la soppressione di quelli esistenti ovvero la sottrazione ai medesimi di parti di territorio. Infine, allo scopo di permettere la più ampia flessibilità gestionale, viene prevista, oltre la possibilità di dislocare gli uffici giudiziari al di fuori della relativa circoscrizione territoriale, pure quella di creare più uffici giudiziari di pari grado all’interno del medesimo territorio comunale. Attraverso tali strumenti sarà possibile risolvere situazioni di particolare sofferenza del sistema, riducendo il carico di lavoro gravante su taluni uffici giudiziari e permettendo una più razionale distribuzione delle competenze sul territorio.

    Il capo secondo del disegno di legge provvede a dettare innanzitutto, all’articolo 9, nuove norme perchè i magistrati possano conseguire il conferimento delle funzioni di legittimità.

    Si dispone pertanto che i posti resisi disponibili siano innanzitutto ripartiti dal Consiglio superiore tra le sezioni civili e penali e, quindi, che i posti non destinati – a far data dall’anno successivo a quello di entrata in vigore del decreto legislativo di cui alla delega innanzi esaminata – ad essere assegnati mediante il concorso di cui all’articolo 2, siano pubblicati ed assegnati dal Consiglio superiore previo parere della Commissione speciale per le funzioni di legittimità.

    L’articolo 10 provvede pertanto a disciplinare la composizione di detta Commissione. Sempre al fine di assicurare un proficuo confronto tra soggetti esperti del diritto che abbiano maturato diverse esperienze professionali, pertanto, si è previsto che della Commissione facciano parte, oltre a due magistrati che esercitano le funzioni giudicanti presso la Corte di cassazione ed uno che esercita funzioni di legittimità presso la Procura generale, anche due professori universitari di ruolo.

    Nell’intento di assicurare il costante collegamento tra gli organi di vertice della magistratura, si è previsto che i componenti della Commissione saranno scelti dal Consiglio superiore, nell’ambito di una lista predisposta dal Ministro della giustizia. I membri della Commissione eleggeranno nel loro ambito il Presidente, mentre il più giovane in età eserciterà le funzioni di Segretario.

    La durata in carica dei componenti della Commissione rimane fissata in quattro anni e l’esigenza di evitare la formazione di centri di potere che, indipendentemente dalle reali condotte dei componenti, possano suscitare sospetti di parzialità, induce a prevedere, in analogia con quanto disposto in relazione ai membri del Consiglio superiore, che i commissari non possano essere immediatamente confermati nell’incarico.

    L’assoluto rilievo dei compiti attribuiti ai componenti della Commissione, che comporterà per loro un significativo impegno, induce a prevedere che gli stessi percepiscano un gettone di presenza da porre a carico del bilancio del Consiglio superiore, che provvederà pure a determinarne l’ammontare entro un limite massimo predefinito.

    L’articolo 11 disciplina specificamente le attribuzioni della Commissione. Quest’ultima provvederà innanzitutto ad accertare le specifiche attitudini degli aspiranti all’esercizio delle funzioni di legittimità. A tal fine valuterà l’attività svolta negli ultimi cinque anni, la qualità del servizio prestato, il rispetto dei doveri inerenti l’ufficio e le funzioni esercitate, anche avvalendosi dei dati statistici e provvedendo ad esaminare i provvedimenti redatti. La Commissione è inoltre chiamata a valutare ogni altro elemento concernente l’attività professionale dei candidati come pure l’eventuale attività scientifica da questi svolta mediante, ad esempio, la partecipazione a convegni in qualità di relatore e la pubblicazione di scritti di dottrina. Con norma di chiusura, dovendo il giudizio della Commissione essere fondato sulla più ampia gamma di elementi utili, si è previsto che la stessa possa tener conto di ogni altro fatto ritenuto significativo ai fini della valutazione.

    Il parere espresso dalla Commissione in ordine all’attitudine dell’aspirante ad esercitare le funzioni di legittimità sarà quindi comunicato all’ aspirante e trasmesso al Consiglio superiore, che provvederà a farlo allegare nel fascicolo personale dell’ interessato.

    All’articolo 12 sono state quindi dettate le norme per rivedere la pianta organica della Corte di cassazione. Occorre allora in primo luogo evidenziare che non risultano istituiti ulteriori posti di magistrati destinati alla Corte di cassazione. La finalità della riforma, infatti, consiste nella razionalizzazione dell’ utilizzazione delle risorse professionali disponibili. Si provvede pertanto, in primo luogo, a sopprimere quindici posti destinati ad essere coperti da magistrati d’appello e previsti in organico presso la Suprema Corte, nonchè tutti i posti previsti presso la Procura generale della Corte di cassazione e destinati ad essere coperti da magistrati d’appello, e la istituzione in vece dei posti soppressi di altrettanti posti destinati a magistrati che abbiano ottenuto il conferimento delle funzioni di legittimità. Questi ultimi presteranno servizio presso la Suprema Corte o la Procura generale, nella medesima proporzione dei posti soppressi.

    La volontà già ricordata, ed indirizzata a consentire ai più valenti tra i magistrati, anche se non ancora in possesso di una elevata anzianità professionale, di poter accedere alle funzioni di legittimità induce a ritenere opportuna la soppressione di ulteriori quindici posti destinati ai magistrati d’appello assegnando gli stessi a magistrati di tribunale.

    Ancora, la norma in esame prevede il potenziamento degli uffici del massimario e del ruolo presso la Suprema Corte, anche in considerazione dei compiti loro attribuiti nell’ ambito della Scuola della magistratura.

    Le illustrate modifiche impongono naturalmente la revisione della pianta organica della Corte di cassazione e della Procura generale presso la Suprema Corte.

    La necessaria norma di chiusura risponde all’esigenza di evitare il rallentamento dell’operatività negli uffici in cui alcuni posti sono stati soppressi. Si prevede, perciò, che i magistrati che attualmente operano in tali uffici siano comunque trattenuti in servizio e, se in possesso dei requisiti richiesti, ottengano il conferimento delle funzioni di legittimità.

    L’articolo 13 prevede quindi il riconoscimento di un’indennità di trasferta ai magistrati che siano effettivamente nell’esercizio delle funzioni di legittimità presso la Suprema Corte e la relativa Procura generale, nonchè ai magistrati in servizio presso le sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e presso le sezioni giurisdizionali centrali della Corte dei conti e la relativa Procura generale.

    La norma intende assicurare un dovuto riconoscimento ai magistrati che sono investiti dei più rilevanti compiti giudiziari, e garantire un’integrazione economica che possa costituire un incentivo per i magistrati a porre il massimo impegno al fine di conseguire il conferimento delle funzioni superiori, anche quando essi risiedano lontano dalla sede dei relativi uffici giurisdizionali.

    Completa il provvedimento l’articolo 14, che detta la norma di copertura finanziaria.

 

Analisi Tecnico-Normativa

 

1. Aspetti Tecnico-Normativi

 

A) Necessità dell’intervento normativo

 

        Il Governo si è fatto portatore, fin dal momento delle proprie dichiarazioni programmatiche, delle istanze manifestate dall’opinione pubblica in ordine alla dimostrata inadeguatezza del «servizio giustizia» a soddisfare le esigenze dei cittadini. Stante la necessità di fornire un’adeguata risposta, si ritiene ormai improcrastinabile una significativa riforma dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, sulla cui opportunità si è riscontrato un ampio consenso anche in larga parte dell’opposizione parlamentare.

 

        Per attuare la riforma, si è ritenuto opportuno ricorrere allo strumento della legge di delega ed alla conseguente emanazione di decreti legislativi e regolamenti di esecuzione.

        La proposta normativa di cui al capo primo del disegno di legge prevede, pertanto, la revisione di alcuni istituti fondamentali dell’ordinamento giudiziario, provvedendo anche ad armonizzarne la disciplina con i precetti costituzionali. La materia, occorre sottolineare, risulta ancora regolata per gran parte, salvo sporadici e limitati interventi di riforma, dal regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, entrato in vigore quando le esigenze del «servizio giustizia» si presentavano molto diverse da quelle attuali. Appare sufficiente, per illustrare il mutamento dello stato di fatto verificatosi negli anni trascorsi, evidenziare il grande incremento della popolazione italiana, porre l’accento sull’enorme aumento del contenzioso e sottolineare infine il numero, anche questo divenuto molto più elevato, degli operatori della giustizia.

        La normativa che si intende riformare, del resto, non ha mancato di incontrare censure anche da parte della Corte costituzionale, e la circostanza non può meravigliare, tenuto conto che essa era stata dettata quando la Costituzione ancora non esisteva, e l’Italia era organizzata in forma di monarchia.

        Attraverso ripetuti occasionali interventi normativi si è cercato nel passato di assicurare soluzione ai maggiori problemi che una normativa ormai inadeguata aveva ripetutamente rivelato. Una funzione di supplenza è stata pure svolta dall’organo di autogoverno della Magistratura, preoccupandosi il Consiglio superiore di colmare con propri atti le lacune più evidenti che progressivamente si rivelavano nell’ordinamento giudiziario.

        È però giunto il momento di superare l’occasionalità e la frammentarietà dell’intervento normativo in una materia tanto delicata, al fine di ridefinire il sistema normativo dell’ordinamento giudiziario in base ad un progetto unitario, idoneo a ricondurre ad unità i frammenti di disciplina, in modo da addivenire ad una revisione organica della materia.

        Il secondo capo del disegno di legge detta poi nuove norme per la disciplina dell’accesso alle funzioni di legittimità, ed apporta modifiche all’organico della Corte di cassazione ed in tema di trattamento economico dei magistrati che vi prestano servizio. La Suprema Corte, infatti, deve essere restituita al suo compito connaturale di vertice della magistratura ordinaria, ed occorre perciò assicurare che alla stessa abbiano accesso solo i magistrati più meritevoli e motivati.

 

B) Analisi del quadro normativo e dell’impatto delle norme proposte sulla legislazione vigente

 

        Si ritiene necessario dettare innanzitutto una nuova disciplina in tema di requisiti richiesti per l’accesso alla magistratura, ammettendo alla partecipazione al concorso per uditore giudiziario solo i candidati che siano in possesso di titoli specificamente individuati, al fine di assicurare la migliore qualificazione dei concorrenti. Si apportano in conseguenza modifiche all’articolo 124 dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come successivamente riformulato.

 

        La riforma introduce quindi, con la finalità di garantire che siano chiamati a svolgere le funzioni di legittimità anche magistrati i quali non potrebbero accedervi in base alla normativa vigente, ma siano in grado di dar prova di meritare di esercitarle, un sistema di doppio canale di ammissione all’esercizio delle funzioni di legittimità che già sortisce positivi risultati per l’accesso al Consiglio di Stato, massima magistratura amministrativa. Si introduce pertanto il concorso per il conferimento delle funzioni di legittimità e si modificano in tal senso le norme di cui agli articoli 176-187 dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, per la parte che possa ritenersi tuttora vigente ed alle leggi 4 gennaio 1963, n. 1, e 20 dicembre 1973, n. 831.

        Occorre quindi provvedere alla revisione delle norme che disciplinano il tirocinio e la formazione degli uditori giudiziari, dettando a tal fine i principi per l’emanazione di decreti delegati e regolamenti di esecuzione tesi a dare alla materia nuove e più razionali regole, rispetto a quanto previsto dalla legge 30 maggio 1965, n. 579, dal decreto del Presidente della Repubblica 11 gennaio 1988, n. 116, e dal decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398.

        La medesima attenzione deve essere poi dedicata a prevedere specifiche norme volte a garantire l’aggiornamento professionale dei magistrati lungo il corso dell’intera carriera.

        La delega, inoltre, fornisce specifici e dettagliati criteri per la riforma dei Consigli giudiziari, dei quali si intendono valorizzare le funzioni e le attribuzioni. La disciplina prevista sottopone quindi a revisione quanto disposto in materia dal regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, e dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 264, ratificato ai sensi della legge 10 febbraio 1953, n. 73, fissando pure nuove regole per la composizione dell’organo, le competenze attribuite e la durata in carica.

        Appare infatti necessario porre rimedio, in primo luogo, all’anomalia oggi costituita dall’assenza di un organismo analogo al Consiglio giudiziario presso la Corte di cassazione.

        Deve inoltre valorizzarsi il dato di fatto che i Consigli giudiziari hanno la possibilità di conoscere sia le esigenze degli uffici giudiziari in sede locale, sia i singoli magistrati, prima e meglio dello stesso Consiglio superiore della magistratura. Per questo motivo, si attribuiscono ai Consigli giudiziari specifici compiti di vigilanza sul funzionamento del «servizio giustizia» nel distretto, e si devolvono anche a tali organi compiti decisionali di sicura delicatezza, come l’approvazione delle tabelle degli uffici giudiziari.

        L’incremento delle loro attribuzioni, nonchè esigenze di simmetria con la composizione consiliare e di verifica dell’esercizio dei rilevanti poteri loro attribuiti, inducono a dettare specifici criteri per la revisione della composizione dei Consigli giudiziari, prevedendosene l’integrazione con soggetti esperti del diritto e dell’amministrazione della giustizia, estranei all’ordine giudiziario, come professori universitari ed avvocati, nonchè componenti designati dai Consigli regionali.

        La durata in carica dei Consigli giudiziari deve inoltre essere portata ad anni quattro, in quanto i due anni attualmente previsti appaiono insufficienti per assicurare ai componenti un adeguato periodo di permanenza nella funzione dopo aver acquisito l’esperienza necessaria per poter assicurare la migliore funzionalità dell’organo.

        La delega provvede, ancora, a porre rimedio a due fenomeni che hanno comportato non poco nocumento all’immagine della magistratura ed alla fiducia riposta dalla cittadinanza nell’imparzialità, indipendenza ed autonomia dei giudici. Si intende far riferimento, innanzitutto, all’attuale possibilità di passaggio del magistrato dalle funzioni requirenti a quelle giudicanti e viceversa, in maniera pressochè indiscriminata, anche all’interno del medesimo ufficio giudiziario. Si è perciò prevista una specifica regolamentazione delle condizioni che devono essere rispettate perchè possa consentirsi il passaggio del magistrato dall’una all’altra funzione. Occorre a tal fine rivedere le norme di cui alla legge 24 maggio 1951, n. 392, ed agli articoli 190, 191, 192, 193, 194 e 195 dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12.

        In secondo luogo è apparso pure urgente intervenire al fine di prevedere la temporaneità degli incarichi direttivi, anche nella logica di incentivare la mobilità dei capi degli uffici. La permanenza di un magistrato investito di funzioni direttive per un periodo illimitato di tempo nel medesimo ufficio, infatti, può comportare la possibilità della formazione di un centro di potere che, indipendentemente dal concreto comportamento del magistrato, può indurre sospetti di parzialità nella cittadinanza, destinataria del servizio Giustizia. Si è pertanto provveduto a dettare princìpi e direttive per modificare quanto disposto dagli articoli 188, 189, 190, 191, 192, 193, 194 e 195 dell’ordinamento giudiziario, nonchè dalla legge 24 marzo 1958, n. 195.

        La delega tiene anche conto dell’esigenza di provvedere ad una completa riforma dell’illecito disciplinare. Un’esigenza di civiltà ampiamente avvertita in un ordinamento giuridico democratico, infatti, impone di assicurare la certezza delle norme regolatrici dell’istituto, e richiede pertanto che si provveda sia alla specifica tipizzazione delle condotte idonee a giustificare la promozione dell’azione disciplinare, sia alla previsione delle sanzioni che possono essere irrogate dall’organo competente. I principi dettati dalla presente legge delega ed i successivi provvedimenti delegati andranno in questo ambito a modificare quanto disposto dall’ordinamento giudiziario, dal regio deceto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, dalla legge 24 marzo 1958, n. 195, dal decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre 1958, n. 916, dal decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 273, e dalla legge 7 febbraio 1990, n. 19.

        Il quadro della riforma dell’ordinamento giudiziario è integrato dal conferimento della delega perchè si provveda alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie. Gli ambiti territoriali di competenza dei tribunali e delle Corti d’appello italiane risultano ancor oggi individuati, salvo limitate eccezioni, sulla base di quella che era la realtà del nostro paese molti decenni or sono, e non tiene perciò conto dell’evoluzione verificatasi, in primo luogo, nella distribuzione della popolazione sul territorio nazionale. Inoltre, a seguito di un periodo di sperimentazione che si reputa ormai adeguato, è opportuno porre mano ad una verifica che gli uffici del Giudice di pace istituiti rispondano tutti ad esigenze reali dei cittadini e ad un tempo soddisfino pure l’intento di assicurare l’efficienza nell’amministrazione della giustizia. Occorre pertanto procedere a razionalizzare la distribuzione degli uffici giudiziari sul territorio, tenendo anche conto dei diversi carichi di lavoro che gravano su ciascuno di essi. Potrà in conseguenza procedersi pure alla migliore distribuzione dei magistrati nei diversi uffici, evitando il perpetuarsi dell’ attuale situazione che vede alcuni uffici eccessivamente gravati di lavoro, ed altri in cui la capacità lavorativa dei magistrati non è completamente utilizzata. I provvedimenti delegati andranno in tale ambito ad incidere sulle norme relative alle circoscrizioni giudiziarie attualmente previste dal regio decreto 24 marzo 1923, n. 601; dal regio decreto 30 dicembre 1923, n. 2785; dalla legge 1º febbraio 1989, n. 30; dal decreto-legge 15 maggio 1989, n. 173, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 luglio 1989, n. 251; dalla legge 21 novembre 1991, n. 374 (e decreto del Presidente della Repubblica 29 agosto 1992, n. 404), dal decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51; e dalla legge 22 luglio 1997, n. 276.

        La prima parte del provvedimento è completata dall’ulteriore delega all’emanazione delle norme di coordinamento e transitorie, nonchè dalla disciplina dell’iter parlamentare cui gli schemi di decreto verranno sottoposti.

        L’intervento legislativo si inserisce nell’ambito di un impianto normativo ampiamente sperimentato, ed è stato quindi possibile verificare la piena coerenza dell’innesto delle nuove disposizioni da emanare nel corpo normativo preesistente.

        Specifica attenzione è stata inoltre dedicata a verificare la compatibilità del presente intervento normativo con gli altri che, con finalità più specifiche, sono stati già promossi dal Governo, come la riforma del sistema elettorale del Consiglio superiore della magistratura.

        Il capo secondo della legge provvede a dettare, innanzitutto, nuove norme perchè i magistrati possano conseguire il conferimento delle funzioni di legittimità, prevedendosi che il Consiglio superiore possa attribuirle dopo aver raccolto il parere di un’apposita Commissione la cui composizione e le attribuzioni sono disciplinate agli articoli 10 e 11 del disegno di legge. Si modificano pertanto le norme di cui agli articoli 176-187 dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, per la parte che possa ritenersi tuttora vigente nonchè alle leggi 4 gennaio 1963, n. 1, e 20 dicembre 1973, n. 831.

    La legge detta quindi la norme di revisione e razionalizzazione della pianta organica della Corte di cassazione. Si provvede perciò a modificare la tabella B, annessa al decreto legge 20 novembre 1991, n. 367, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 gennaio 1992, n. 8, come modificata dalla legge 13 febbraio 2001, n. 48. Inoltre, si dispone la sostituzione dell’articolo 115, l’abrogazione dell’articolo 116 e la modifica dell’articolo 117 dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12.

    Si prevede quindi un adeguamento del trattamento economico riconosciuto ai magistrati che siano effettivamente nell’esercizio delle funzioni di legittimità. La norma intende assicurare un dovuto riconoscimento ai magistrati che sono investiti dei più elevati compiti giudiziari, ed anche incentivare i magistrati a porre il massimo impegno al fine di poter conseguire il conferimento delle funzioni medesime. La disposizione apporta pertanto modifiche ed integrazioni all’articolo 10 della legge n. 392 del 24 maggio 1951, all’articolo 1 della legge n. 417 del 26 luglio 1978 ed all’articolo 1 del decreto ministeriale 11 aprile 1985, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 112 del 14 maggio 1985.

        Completa il disegno di legge l’articolo 14, che detta la norma di copertura finanziaria.

 

C) Analisi della compatibilità dell’intervento con l’ordinamento comunitario, con le competenze delle regioni a statuto ordinario e a statuto speciale, e con gli interessi di cui sono portatori gli enti locali.

 

        Il disegno di legge riguarda materie di esclusiva competenza statuale e non contrasta con fonti di livello comunitario, nè con competenze regionali, provinciali ovvero di altri enti locali.

 

        I limitati sforzi di collaborazione che saranno richiesti agli enti territoriali, quali il reperimento degli edifici ove allocare gli uffici giudiziari di nuova istituzione, appaiono ampiamente bilanciati dai vantaggi che derivano agli stessi enti locali dalla collocazione nella loro estensione dei medesimi uffici, in termini di valorizzazione del territorio, ma pure attraverso l’indotto, derivandone l’incremento della frequentazione dei luoghi, e pertanto, ad esempio, la possibilità di aprire nuovi esercizi commerciali (bar, ristoranti).

        La stessa popolazione dei territori interessati, pertanto, non potrà che trarne giovamento. Oltre la possibilità di esercitare nuove attività commerciali, infatti, non deve trascurarsi che nei luoghi ove sorgono uffici giudiziari, a tacer d’altro, si incrementa la richiesta di immobili da destinare a studi professionali, ed in tal modo si rivitalizza anche questo mercato, incrementandosi il valore degli immobili e fornendosi un significativo impulso perchè ne siano realizzati di nuovi.

 

2. Elementi di drafting normativo.

 

        Nel presente disegno di legge delega non vengono introdotte nuove definizioni normative.

 

 

Valutazione dell’Impatto Amministrativo

 

        La proposta normativa intende assicurare la migliore funzionalità del «servizio giustizia». Occorre però sottolineare che l’impegno del Governo risulta orientato nel senso di limitare il più possibile l’istituzione di nuovi uffici amministrativi. Un risultato di tale rilievo non può conseguirsi se non attraverso uno sforzo di riorganizzazione ed ottimizzazione delle risorse di personale e mezzi disponibili sull’intero territorio nazionale. L’osservazione vale, in primo luogo, con riferimento all’articolo 8 della delega, che tratta specificamente della rideterminazione delle circoscrizioni territoriali degli uffici giudiziari.

 

        Le ulteriori disposizioni della legge delega presentano un modesto impatto amministrativo, essendo specificamente dirette a ridisciplinare lo status dei magistrati ed a ridefinire le competenze dei Consigli giudiziari, sulla base di un progetto razionale, organico e completo.

        La normativa che si propone importa, invero, l’istituzione di una Scuola della magistratura, ma non si è mancato di prevedere che nella realizzazione della stessa ci si avvalga della collaborazione di soggetti già esperti nell’attività di formazione, come i professori universitari, e tanto assicura la possibilità di organizzare la scuola in tempi ragionevoli e senza sprechi di risorse.

        Ne discende che l’impatto amministrativo delle nuove norme deve stimarsi come senz’altro tollerabile dal sistema, e comunque pienamente giustificato in ragione delle finalità perseguite.

 


 


Relazione tecnica

 

 

Art. 3. – Tirocinio e formazione degli uditori giudiziari ed aggiornamento professionale dei magistrati

L’istituzione della Scuola di formazione per il personale di magistratura comporta i seguenti oneri:

A) spese di primo impianto

B) spese di funzionamento della struttura

C) compensi ai docenti e rimborso spese di viaggio e soggiorno

D) spese di viaggio e di soggiorno dei partecipanti

E) funzionamento del Comitato direttivo

A)    Le spese di primo impianto si riferiscono al solo anno 2002 e riguardano:

B)      

1) allestimento locali aule didattiche

e1.032.913,80

2) arredamento

e1.549.370,90

3) attrezzature varie

e516.456,90

4) adeguamento locali norme di sicurezza

e774.685,25

5) allestimento biblioteca

e258.228,35

Totale

e4.131.655,00

 

 

B) Le spese di funzionamento della struttura si riferiscono alle seguenti voci:

1) canone di locazione

e516.456,90

2) pulizia locali

e129.114,23

3) acqua, energia elettrica, condizionamento

e413.165,53

4) spese postali, telegrafiche, telefoniche

e154.937,07

5) manutenzione attrezzature

e77.468,54

6) materiale didattico

e103.291,38

7) aggiornamento biblioteca

e51.645,69

8) spese custodia immobile

e103.291,38

9) smaltimento rifiuti solidi urbani

e51.645,69

10) manutenzione fabbricato

e258.228,45

11) materiale vario di cancelleria

e74.266,51

Totale

e1.933.511,37

 

 

C) Compensi ai docenti e rimborso spese di viaggio e soggiorno – Poiché, allo stato, non si conoscono il numero dei docenti, il numero e la durata dei corsi, la quantificazione degli oneri è stata effettuata sulla base dei costi dei corsi di formazione per il personale di magistratura, attualmente organizzati dal CSM, e incrementando l’importo così ottenuto di una somma aggiuntiva a fini precauzionali. Attualmente presso le strutture del CSM si svolgono mediamente 60 corsi all’anno, con la partecipazione di 10 docenti per ciascun corso, docenti ai quali viene corrisposto un compenso unitario di e 413,17 e il rimborso delle spese di viaggio e soggiorno determinate mediamente in e 413,17. Il costo attuale è, quindi, pari a e 495.804,00.

 

n. dei corsi max annui

60

n. docenti per corso

10

compenso unitario

e413,17

rimborso spese viaggio e soggiorno

e413,17

Totale

e495.804,00

 

 

Tale importo è stato rideterminato, in via cautelativa, in e 877.976,73.

D) Spese di viaggio e di soggiorno dei partecipanti – In mancanza di dati certi circa il numero dei partecipanti previsti per anno, tale onere può essere stimato in e 1.291.142,25.

E) Comitato direttivo – Sarà composto da 5 membri di cui uno con funzioni di presidente scelto tra avvocati con almeno 20 anni di esercizio professionale o magistrati. Si prevede che il Comitato si riunirà una volta a settimana per un massimo di 11 mesi l’anno. Il compenso lordo forfettario viene stabilito in e 671,39 a seduta per il presidente e in e 516,46 a seduta per ciascun altro componente (importi comprensivi degli oneri riflessi a carico dell’amministrazione), e determina un costo mensile pari a e 10.948,89 per 11 mesi, pari a e 120.437,79 annui.

Complessivamente le spese di primo impianto sono state quantificate in e 4.131.655,00, mentre le spese di gestione annue sono state determinate in e 4.222.552,00.

Si precisa che al funzionamento della scuola sarà destinato personale amministrativo già in servizio presso l’Amministrazione.

Art. 4. – Riforma dei Consigli giudiziari ed istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione

Il maggiore onere è determinato dalla corresponsione del gettone di presenza ai soli componenti laici degli organismi in questione.

L’istituzione di un Consiglio direttivo presso la Corte Suprema di cassazione composto da 9 unità, di cui 1/3 (3 unità) rappresentato da componenti laici nominati tra professori universitari di ruolo in materie giuridiche e avvocati, determina il seguente onere annuo:

 

gettone di presenza

e258,23

unità

3

sedute 2 x 11 mesi

22

Totale

e17.043,18

La partecipazione, all’interno dei Consigli giudiziari presso le Corti di appello, di 4 componenti laici determina il seguente onere annuo:

 

gettone di presenza

e206,58

unità

4

sedute 2 x 11 mesi

22

Corti di appello

26

Totale

e472.655,04

 

 

 

L’onere complessivo annuo viene determinato in e 489.704,00.

Si precisa che non si prevede di corrispondere trattamenti di missione ai componenti dei Consigli giudiziari.

Art. 8. – Revisione delle circoscrizioni territoriali degli uffici giudiziari

L’articolo in questione prevede la razionalizzazione della distribuzione degli uffici giudiziari sul territorio dello Stato attraverso la ridefinizione geografica dei confini dei distretti delle Corti d’appello da realizzare, ove possibile, mediante fusioni ovvero accorpamenti di una o più Corti d’appello, tribunali e uffici del giudice di pace già esistenti. La diversa ricollocazione sul territorio di strutture e risorse, comprese quelle umane, già esistenti non determina oneri aggiuntivi.

La previsione di maggiori oneri riguarda le ipotesi contemplate nel presente articolo al comma 1, lettere e) ed f) prevedenti, rispettivamente, la dislocazione di immobili giudiziari al di fuori del distretto nonché l’istituzione, nel medesimo comune, di più uffici di tribunale ciascuno con esclusiva competenza per una parte del territorio.

Considerato che trattasi di strutture «leggere», è presumibile ritenere che le stesse verranno acquisite in locazione.

Ipotizzando un costo medio unitario del canone di locazione annuo pari a circa e 413.166 e un numero presumibile di 16 immobili, l’onere annuo è pari a e 6.610.649.

Circa le spese di primo impianto, relative agli arredi, alle attrezzature, all’allestimento delle aule di udienza e agli impianti di sicurezza, è presumibile ipotizzare un importo pari a circa e 258.228 per ciascuna struttura. Complessivamente, gli oneri di primo impianto possono essere quantificati in e 4.131.655.

Altra voce di spesa riguarda le spese di funzionamento degli uffici di tribunale, quali quelle relative a pulizia locali, utenze varie, custodia immobili, smaltimento rifiuti solidi urbani, manutenzione impianti, materiale vario di cancelleria, eccetera, che possono essere quantificate in e 309.874 a sede per un totale di e 4.957.986 annui.

Complessivamente la spesa occorrente ammonta a e 4.131.655 per le spese di primo impianto e a e 11.568.635 annui per il funzionamento delle nuove strutture.

Tali maggiori oneri, riferiti alle sole spese di funzionamento (e 11.568.635), trovano ampia copertura nell’ambito dei risparmi di spesa derivanti dalla soppressione di quegli uffici del giudice di pace la cui scarsa produttività non giustifica la permanenza di una struttura specifica sul territorio.

La rilevazione degli attuali carichi di lavoro (anno 2000) degli uffici del giudice di pace conferma, infatti, la necessità di realizzare un più razionale impiego di risorse allo stato eccessivamente frammentate tra le diverse sedi giudiziarie.

In particolare, il dato aggregato relativo alle iscrizioni di cognizione ordinaria e di opposizione alle sanzioni amministrative, pari a 648.418 procedimenti, ove rapportato al numero di magistrati onorari in organico (4.700 unità), consente di determinare in circa 138 procedimenti il carico unitario medio degli uffici in questione.

Tale indicatore può costituire un utile elemento di valutazione in ordine alla opportunità del mantenimento delle sedi giudiziarie esistenti.

L’analisi delle iscrizioni rilevabili per ciascun ufficio ha evidenziato quanto segue:

309 presentano iscrizioni inferiori al predetto indicatore;

481 presentano iscrizioni inferiori a 276 procedimenti;

578 presentano iscrizioni inferiori a 414 procedimenti.

In merito alla produttività dei medesimi si segnala che per lo stesso anno 2000 e limitatamente alle predette materie:

327 uffici hanno definito meno di 100 procedimenti;

493 hanno definito meno di 200 procedimenti;

593 hanno definito meno di 300 procedimenti.

Poiché tali dati dovranno essere opportunamente integrati con quelli rilevati a seguito della attribuzione di cognizione in materia penale, si può ragionevolmente ritenere che possano essere soppressi almeno 200 uffici del giudice di pace per il cui funzionamento vengono spesi mediamente e 77.469 annui per ciascuno. Il relativo risparmio complessivo è, pertanto, pari a e 15.493.800.

Il risparmio di spesa relativo alle spese di funzionamento in conseguenza del nuovo assetto circoscrizionale giudiziario è pari a e 3.925.165 (e 15.493.800 – e 11.568.635).

Nel precisare che l’istituzione dei nuovi uffici è solo eventuale, si evidenzia la contestualità temporale di dette istituzioni con la soppressione di parte degli uffici di giudice di pace, in modo da consentire la compensazione degli eventuali nuovi oneri con i risparmi di spesa realizzati attraverso la soppressione.

Art. 10. – Commissione speciale per le funzioni di legittimità

L’istituzione della Commissione speciale presso il Consiglio superiore della magistratura determina oneri finanziari connessi alla corresponsione dei gettoni di presenza ai cinque componenti previsti. Ai fini della quantificazione dell’onere si è tenuto conto di un numero di sedute pari a 10 e di un gettone di presenza pari ad euro 284,00 (importo pari al gettone di presenza corrisposto per le riunioni plenarie del CSM).

e 284 x 5 componenti x 10 sedute =

e14.200,00

IRAP (8,50%) ritenute prev. (24,20%)

e4.643,00

Totale

e18.843,00

 

 

La norma prevede che i gettoni di presenza sono a carico del bilancio del Consiglio superiore della magistratura e che l’esatto ammontare di essi sia determinato dallo stesso CSM.

Art. 13. – Indennità di trasferta

Ai magistrati effettivamente nell’esercizio delle funzioni di legittimità presso la Corte di cassazione e la relativa Procura generale, a quelli in servizio presso le sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e presso le sezioni giurisdizionali centrali della Corte dei conti e la relativa Procura generale compete l’indennità di trasferta per venti giorni al mese, escluso il periodo feriale. La quantificazione dell’onere relativo è calcolata secondo il prospetto allegato A relativamente ai magistrati presso la Corte di cassazione e la relativa Procura generale; secondo il prospetto allegato B relativamente ai magistrati presso il Consiglio di Stato e la Corte dei conti. Ai fini del calcolo sono state utilizzate, in funzione delle qualifiche, le seguenti diarie:

magistrati presso la Corte di cassazione e la relativa Procura generale (allegato A):

e 28,82 importo spettante al Presidente di sezione di Cassazione e superiori;

e 24,12 importo spettante al magistrato di Cassazione;

magistrati presso il Consiglio di Stato e la Corte dei conti (allegato B):

e 28,82 importo spettante al Presidente di sezione di Cassazione e superiori.

Complessivamente, l’articolo in esame determina oneri come di seguito indicati:

Anno 2002 e 1.667.998,00

Anno 2003 e a regime e 3.844.206,00

Art. 14. – Copertura finanziaria

Agli oneri derivanti dall’attuazione del presente provvedimento, valutati complessivamente in e 12.716.278 per l’anno 2002 e in e 8.556.462 a decorrere dall’anno 2003, si provvede:

a) quanto a e 8.263.310 per l’anno 2002, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2002 – 2004, nell’ambito dell’unità previsionale di base di conto capitale «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2002, all’uopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della giustizia;

b) quanto a e 4.024.126 per l’anno 2002 e a e 7.770.252 a decorrere dall’anno 2003, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2002-2004, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2002, all’uopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della giustizia;

c) quanto a e 428.842 per l’anno 2002 e a e 786.210 a decorrere dall’anno 2003, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2002-2004, nell’ambito dell’unità previsionale di base 3.1.5.2 – Presidenza del Consiglio dei ministri – dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2002, intendendosi conseguentemente ridotta l’autorizzazione di spesa di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, come determinata nella tabella C della legge finanziaria 2002.

Oneri di primo impianto una tantum

 

Scuola formazione

L.8.000.000.000

e4.131.655

Revisione circoscrizioni

L.8.000.000.000

e4.131.655

Totale

L.16.000.000.000

e8.263.310

La copertura di tali oneri, relativi al solo anno 2002, avviene attraverso l’utilizzo del Fondo speciale di conto capitale relativo al Ministero della giustizia.

 

 

 

Oneri a regime

 

Scuola formazione

L.8.176.000.000

e4.222.552

Funzionamento Consigli giudiziari

L.948.200.000

e489.704

Indennità magistrati ordinari di legittimità

L.5.921.105.000

e3.057.996

Indennità magistrati del Consiglio di Stato e delle sezioni centrali della Corte dei Conti

L.1.522.314.000

e786.210

Totale

L.16.567.619.000

e8.556.462

Spese di funzionamento nuove strutture giudiziarie

L.22.400.000.000

e11.568.635

La copertura delle spese di funzionamento delle nuove strutture giudiziarie è ampiamente assicurata dai risparmi compensativi derivanti dalla soppressione di parte degli uffici del giudice di pace, conseguente alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie.

 

 

 

Per gli oneri aventi carattere continuativo si prevede una decorrenza non anteriore al 1º luglio 2002.

Riepilogo

Anno 2002

 

Conto capitale

L.16.000.000.000

e8.263.310

Parte corrente

L.8.622.148.000

e4.452.968

Anno 2003 e a regime

Parte corrente

L.16.567.619.000

e8.556.462

 

 

 

 

 


Allegato A

CALCOLO DELL’INDENNITÀ

A FAVORE DEI MAGISTRATI ORDINARI DI LEGITTIMITÀ

 

Magistrati di legittimità

Indennità

di trasferta

x 20 gg

Unità

Onere

Corte suprema di Cassazione

Primo Presidente

576,40

1

6.340,40

Presidente aggiunto

576,40

1

6.340,40

Presidenti di sezione

576,40

54

342.381,60

Consiglieri di Cassazione

482,40

294

1.560.081,60

Procura generale presso la Corte di Cassazione

Procuratore generale di Cassazione

576,40

1

6.340,40

Avvocato generale di Cassazione

576,40

6

38.042,40

Sostituto Procuratore generale

482,40

65

344.916,00

Mesi

11

 

 

Totale

 

e

2.304.442,80

 

 

(lire 4.462.023.460)

IRAP (8,50%) + PREVIDENZIALI (24,20%)

 

e

753.553,00

 

 

 

(lire 1.459.081.672)

Totale

 

e

3.057.996,00

 

 

 

(lire 5.921.105.132)

 

Considerato che si prevede l’entrata in vigore del provvedimento in data non anteriore al 1º luglio 2002, l’onere per il corrente anno è stato rideterminato in 6/11 dell’onere annuo a regime (e 1.667.998,00).

 


Allegato B

CALCOLO DELL’INDENNITÀ A FAVORE DEI MAGISTRATI

DEL CONSIGLIO DI STATO E DELLE SEZIONI CENTRALI

DELLA CORTE DEI CONTI

 

Qualifica

Consiglio di Stato

Sez. giurisdizionali

Sez. centrali

Corte dei conti

Costo lordo

pro capite

Costo lordo

totale

Presidente Capo – Presidente di Sezione – Consiglieri con oltre 4 anni di anzianità nella qualifica

61

63

e 576,40x11=

e 6.340,40 annui

e 786.210

Consiglieri con meno di 4 anni

0

0

e 482,40x11=

e 5.306,4 annui

0

 

 

 

 

 

Totale e 786.210

(ovvero lire 1.522.314.000)

per un numero di beneficiari pari a 124, di cui:

Consiglio di Stato (61):

1 Presidente Capo,

9 Presidenti di Sezione giurisdizionale,

45 Consiglieri di Sezione giurisdizionale,

6 Presidenti e Consiglieri del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana.

Corte dei Conti (63):

1 Presidente Capo,

5 Presidenti di Sezione giurisdizionale centrale,

26 Consiglieri di Sezione giurisdizionale centrale,

1 Procuratore generale,

20 Sostituti procuratori generali,

1 Presidente della Sezione di appello per la Sicilia,

6 Consiglieri della Sezione di appello per la Sicilia,

3 Sostituti procuratori generali presso la Sezione di appello per la Sicilia

N.B.: si tratta di una stima prudenziale, ove tutti avessero un’anzianità di oltre 4 anni

 


 


 

DISEGNO DI LEGGE

Capo I

DELEGA AL GOVERNO PER LA
RIFORMA DELL’ORDINAMENTO
GIUDIZIARIO

Art. 1.

(Contenuto della delega)

    1. II Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, con l’osservanza dei princìpi e dei criteri direttivi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 6 e 7, uno o più decreti legislativi diretti  a:

        a) modificare la disciplina per l’accesso alla carriera in magistratura ordinaria e stabilire l’accesso alle funzioni di legittimità presso la Corte di cassazione anche mediante concorso;

        b) razionalizzare la normativa in tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari e di aggiornamento professionale dei magistrati;

        c) disciplinare la composizione, le competenze e la durata in carica dei consigli giudiziari;

        d) regolare il passaggio dall’esercizio delle funzioni giudicanti a quello delle funzioni requirenti e viceversa;

        e) stabilire la temporaneità degli incarichi direttivi;

        f) individuare le fattispecie tipiche di illecito disciplinare dei magistrati e le relative sanzioni.

 

    2. II Governo è delegato ad adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con l’osservanza dei princìpi e dei criteri direttivi di cui all’articolo 7, uno o più decreti legislativi diretti a rideterminare le circoscrizioni territoriali degli uffici giudiziari.

 

    3. Le disposizioni contenute nei decreti legislativi emanati nell’esercizio della delega di cui ai commi 1 e 2 divengono efficaci dal centoventesimo giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

    4. II Governo è delegato ad adottare, entro i novanta giorni successivi alla scadenza dei termini di cui ai commi 1 e 2, le norme necessarie al coordinamento delle disposizioni dei decreti legislativi emanati nell’esercizio delle deleghe di cui ai medesimi commi con le altre leggi dello Stato e la necessaria disciplina transitoria, diretta anche a regolare il trasferimento degli affari ai nuovi uffici, fissando i termini massimi entro cui occorre provvedere.

    5. Gli schemi dei decreti legislativi adottati nell’esercizio delle deleghe di cui ai commi 1 e 2 sono trasmessi al Senato della Repubblica ed alla Camera dei deputati, perché sia espresso dalle competenti Commissioni permanenti un motivato parere entro il termine di quarantacinque giorni dalla data della trasmissione, decorso il quale i decreti sono emanati anche in mancanza del parere.

    6. Entro due anni dalla data di efficacia di ciascuno dei decreti legislativi, il Governo può emanare disposizioni correttive nel rispetto dei criteri di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 8, con la procedura di cui al comma  5.

Art. 2.

(Concorsi per uditore giudiziario e per le funzioni di legittimità)

    1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

        a) prevedere che a sostenere le prove del concorso per uditore giudiziario siano ammessi soltanto coloro i quali abbiano conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione forense ovvero l’idoneità in qualsiasi concorso bandito dalla pubblica amministrazione per il quale è necessario il possesso della laurea in giurisprudenza ovvero abbiano conseguito il dottorato di ricerca in materie giuridiche;

        b) prevedere che annualmente, per la metà dei posti resisi disponibili, sia bandito un concorso per titoli ed esami di accesso alle funzioni di legittimità, riservato a magistrati ordinari immessi da almeno dieci anni nell’esercizio delle funzioni, stabilendo altresì le modalità del concorso e disponendo che la composizione della commissione esaminatrice sia per due terzi costituita da magistrati ordinari con almeno venti anni di esercizio delle funzioni e per un terzo da professori ordinari universitari ovvero da un presidente di Sezione del Consiglio di Stato o da avvocati con anzianità professionale di almeno venti anni. La presidenza della commissione è assunta dal Primo Presidente della Corte di cassazione o da un Presidente di Sezione da lui delegato, ovvero da un Avvocato generale presso la stessa Corte;

        c) abrogare le norme incompatibili con quanto previsto nel decreto legislativo da adottarsi.

Art. 3.

(Tirocinio e formazione degli uditori giudiziari ed aggiornamento professionale dei magistrati)

    1. Nell’attuazione della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera b), il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

        a) prevedere l’istituzione presso la Corte di cassazione di una Scuola della magistratura, struttura didattica stabilmente preposta all’organizzazione delle attività di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari e di aggiornamento professionale dei magistrati, che si avvalga delle esperienze e delle professionalità dell’Ufficio del massimario e del ruolo della Corte di cassazione, anche ai fini della progressione in carriera;

        b) prevedere che la Scuola della magistratura sia fornita di autonomia organizzativa ed utilizzi personale dell’organico del Ministero della giustizia ovvero comandato da altre amministrazioni con risorse finanziarie a carico del bilancio dello stesso Ministero;

        c) prevedere che la Scuola della magistratura sia diretta da un Comitato direttivo composto da due magistrati designati dal Primo Presidente della Corte di cassazione tra i magistrati della Corte di cassazione, sentito il Procuratore Generale, e da tre componenti, scelti tra avvocati con non meno di venti anni di esercizio della professione, e magistrati con non meno di venti anni di servizio, nominati dal Consiglio superiore della magistratura, di concerto con il Ministro della giustizia, per quattro anni, nell’ambito di tutti i quali è eletto un presidente;

        d) prevedere che nella programmaazione dell’attività didattica, il Comitato direttivo di cui alla lettera c) possa avvalersi delle proposte del Consiglio superiore della magistratura, del Ministro della giustizia, del Consiglio nazionale forense, dei consigli giudiziari, del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e di quelle dei componenti del Consiglio universitario nazionale esperti in materie giuridiche;

        e) prevedere, presso la Scuola, la programmazione annuale di corsi per magistrati di durata non superiore a due mesi, formulando i criteri generali per la partecipazione ad essi da parte degli interessati;

        f) prevedere, compatibilmente alle comprovate e motivate esigenze organizzative e funzionali degli uffici giudiziari, ed a richiesta dell’interessato, il diritto del magistrato partecipante al corso di cui alla lettera e) ad un periodo di congedo retribuito pari alla sua durata;

        g) stabilire che, al termine del corso, sia rilasciato un parere che contenga elementi di verifica attitudinale, da inserire nel fascicolo personale del magistrato, al fine di costituire elemento per le valutazioni operate dal Consiglio superiore della magistratura concernenti la progressione in carriera dei magistrati, nonché i tramutamenti ed i conferimenti di incarichi direttivi e semi-direttivi;

        h) prevedere che il magistrato, il quale abbia partecipato al corso di cui alla lettera e) possa nuovamente parteciparvi trascorsi almeno tre anni;

        i) prevedere che il parere di cui alla lettera g) abbia validità per un periodo non superiore ai sei anni.

Art. 4.

(Riforma dei Consigli giudiziari ed istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione)

    1. Nell’attuazione della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera c), il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

        a) prevedere l’istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione, composto per due terzi da magistrati con effettive funzioni di legittimità in servizio presso la medesima Corte e la relativa Procura generale, e per un terzo da componenti nominati tra i professori ordinari di università in materie giuridiche e tra gli avvocati dopo quindici anni di esercizio della professione che siano iscritti nell’albo speciale per le giurisdizioni superiori di cui all’articolo 33 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36;

        b) prevedere che i componenti non togati del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione siano designati, rispettivamente, dal Consiglio universitario nazionale e dal Consiglio nazionale forense;

        c) prevedere che membri di diritto del Consiglio direttivo della Corte di cassazione siano il Primo Presidente ed il Procuratore generale della medesima Corte;

        d) prevedere che il Consiglio direttivo della Corte di cassazione sia presieduto dal Primo Presidente ed elegga a scrutinio segreto, al suo interno, un vice-presidente scelto tra i componenti non togati, ed un segretario;

        e) prevedere che al Consiglio direttivo della Corte di cassazione si applichino, in quanto compatibili, le disposizioni dettate alle lettere n), o), r) ed s) per i Consigli giudiziari presso le Corti d’appello;

        f) prevedere che i Consigli giudiziari presso le Corti d’appello siano composti, oltre che dai membri di diritto di cui alla lettera l), da tre magistrati in servizio presso gli uffici giudiziari del distretto e da quattro componenti non togati di cui uno nominato tra i professori universitari in materie giuridiche, uno tra gli avvocati che abbiano almeno quindici anni di effettivo esercizio della professione e due dal consiglio regionale della regione ove ha sede il distretto, o nella quale rientra la maggior estensione del territorio su cui hanno competenza gli uffici del distretto;

        g) prevedere che i componenti supplenti del consiglio giudiziario siano cinque, due dei quali magistrati che esercitano, rispettivamente, funzioni requirenti e giudicanti nel distretto e tre componenti non togati nominati con lo stesso criterio di cui alla lettera f), riservandosi un posto per un componente designato dal consiglio regionale;

        h) prevedere che i componenti designati dal consiglio regionale siano eletti con maggioranza qualificata tra persone estranee al medesimo Consiglio;

        i) prevedere che i componenti avvocati e professori universitari siano nominati, rispettivamente, dal Consiglio nazionale forense ovvero dal Consiglio universitario nazionale, su indicazione dei Consigli dell’Ordine degli avvocati del distretto e dei presidi delle facoltà di giurisprudenza delle università della regione;

        l) prevedere che membri di diritto del Consiglio giudiziario siano il Presidente ed il Procuratore generale della Corte d’appello;

        m) prevedere che il Consiglio giudiziario sia presieduto dal Presidente della Corte d’appello ed elegga a scrutinio segreto, al suo interno, un vice-presidente scelto tra i componenti non togati, ed un segretario;

        n) prevedere che il Consiglio giudiziario duri in carica quattro anni;

        o) prevedere che l’elezione dei componenti togati del Consiglio giudiziario avvenga in un collegio unico distrettuale con il medesimo sistema vigente per la nomina dei componenti togati del Consiglio superiore della magistratura, in quanto compatibile, così da attribuire due seggi a magistrati che esercitano funzioni giudicanti ed un seggio ad un magistrato che esercita funzioni requirenti;

        p) prevedere che dei due componenti togati del Consiglio giudiziario che esercitano funzioni giudicanti uno abbia maturato un’anzianità di carriera non inferiore a venti anni;

        q) prevedere che la nomina dei componenti supplenti del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei Consigli giudiziari presso le Corti d’appello avvenga secondo i medesimi criteri indicati per la nomina dei titolari;

        r) prevedere che al Consiglio giudiziario vengano attribuite, oltre quelle già previste, le seguenti competenze:

 

           1) approvazione delle tabelle su proposta dei titolari degli uffici, nel rispetto dei criteri generali indicati dalla legge;

           2) formulazione di pareri, anche su richiesta del Consiglio superiore della magistratura, sull’attività dei magistrati sotto il profilo della preparazione, della capacità tecnico-professionale, della laboriosità, della diligenza, dell’equilibrio nell’esercizio delle funzioni, in occasione della progressione in carriera e nei periodi intermedi di permanenza nella qualifica;

           3) vigilanza sul comportamento dei magistrati con obbligo di segnalare i fatti disciplinarmente rilevanti ai titolari dell’azione disciplinare;

           4) vigilanza sull’andamento degli uffici giudiziari nel distretto, con segnalazione delle eventuali disfunzioni rilevate al Ministro della giustizia;

           5) formulazione di pareri e proposte sull’organizzazione ed il funzionamento degli uffici del giudice di pace del distretto;

           6) adozione di provvedimenti relativi allo stato dei magistrati, con particolare riferimento a quelli relativi ad aspettative e congedi, dipendenza di infermità da cause di servizio, equo indennizzo, pensioni privilegiate, concessione di sussidi;

           7) formulazione di pareri, anche su richiesta del Consiglio superiore della magistratura, in ordine all’adozione da parte del medesimo Consiglio di provvedimenti inerenti collocamenti a riposo, dimissioni, decadenze dall’impiego, concessioni di titoli onorifici, riammissioni in magistratura;

        s) prevedere la reclamabilità innanzi al Consiglio superiore della magistratura delle delibere adottate dal Consiglio giudiziario nelle materie di cui alla lettera r), numero 1);

        t) prevedere che i componenti designati dal consiglio regionale prendano parte esclusivamente alle riunioni, alle discussioni ed alle deliberazioni inerenti le materie di cui alla lettera r), numeri 4) e 5).

Art. 5.

(Passaggio dall’esercizio delle funzioni giudicanti a quello delle funzioni requirenti e viceversa)

    1. Nell’attuazione della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera d), il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

        a) prevedere che l’idoneità a concorrere per il conferimento di un ufficio inerente l’esercizio di una funzione diversa da quella allo stato svolta si consegua previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale organizzato dalla Scuola della magistratura di cui all’articolo 3, comma 1, lettera a), e con applicazione di quanto previsto dalla lettera f) del comma 1 del medesimo articolo;

        b) prevedere che siano legittimati a concorrere per il conferimento di un ufficio inerente l’esercizio di una funzione diversa da quella svolta soltanto i magistrati in possesso dell’attestato di idoneità rilasciato a conclusione del corso di qualificazione professionale di cui alla lettera a) e conclusosi non oltre tre anni prima della data di presentazione della domanda;

        c) prevedere che l’idoneità conseguita ai sensi della lettera a) abbia validità per un periodo non superiore ai tre anni;

        d) prevedere che l’esercizio di una funzione diversa da quella precedentemente svolta avvenga necessariamente in un ufficio appartenente ad un diverso distretto, con esclusione di quello di cui all’articolo 11, comma 1, del codice di procedura penale.

Art. 6.

(Temporaneità degli incarichi direttivi)

    1. Nell’attuazione della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera e), il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

        a) prevedere la temporaneità degli uffici direttivi per una durata non superiore ad anni quattro, con possibilità di rinnovo dell’incarico per ulteriori due anni e con esclusione degli incarichi direttivi svolti presso la Corte di Cassazione, la Procura generale presso la stessa Corte, nonché presso il Tribunale superiore delle acque pubbliche;

        b) prevedere che alla scadenza del termine di cui alla lettera a) il magistrato che abbia esercitato funzioni direttive possa concorrere per il conferimento di un ufficio direttivo presso un diverso distretto;

        c) prevedere che, alla scadenza del termine di cui alla lettera a), il magistrato che abbia esercitato funzioni direttive, in assenza di domanda per il conferimento di altro ufficio, ovvero in ipotesi di reiezione della stessa, sia assegnato alla sede ed alle funzioni non direttive da ultimo esercitate, eventualmente in soprannumero, con riassorbimento del posto alle successive vacanze.

Art. 7.

(Norme in materia disciplinare)

    1. Nell’attuazione della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera f), il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

        a) provvedere alla tipizzazione delle ipotesi di illecito disciplinare dei magistrati, sia inerenti l’esercizio della funzione sia estranee alla stessa, garantendo comunque la necessaria completezza della disciplina con adeguate norme di chiusura, nonché all’individuazione delle relative sanzioni.

Art. 8.

(Revisione delle circoscrizioni territoriali degli uffici giudiziari)

    1. Nell’attuazione della delega di cui all’articolo 1, comma 2, il Governo, al fine di razionalizzare la distribuzione degli uffici giudiziari sul territorio dello Stato, si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

        a) ridefinire i confini dei distretti delle Corti d’appello, dei circondari dei tribunali e delle circoscrizioni territoriali degli uffici del giudice di pace;

        b) istituire, ove necessario, nuove Corti d’appello, nuovi tribunali ovvero nuovi uffici del giudice di pace, attraverso la fusione totale o parziale del territorio ricompreso negli attuali distretti, circondari o circoscrizioni territoriali e dei relativi uffici, ovvero la sottrazione di parte del territorio di due o più distretti, circondari o circoscrizioni territoriali limitrofi, ovvero mediante l’accorpamento di una o più Corti d’appello, e l’accorpamento o la soppressione di tribunali o uffici del giudice di pace già esistenti;

        c) tenere conto, ai fini indicati alla lettera b), dell’estensione del territorio, del numero degli abitanti, delle caratteristiche dei collegamenti esistenti tra le varie zone e la sede dell’ufficio, nonché del carico di lavoro atteso, in materia civile e penale;

        d) finalizzare gli interventi di cui alle lettere a) e b) alla realizzazione di un’equa distribuzione del carico di lavoro e di una adeguata funzionalità degli uffici giudiziari;

        e) prevedere, anche in deroga alle disposizioni della legge 24 aprile 1941, n. 392, e delle altre norme di edilizia giudiziaria, la possibilità, con decreto del Ministro della giustizia, di dislocare immobili dell’ufficio giudiziario al di fuori del distretto, circondario ovvero circoscrizione territoriale;

        h) prevedere, limitatamente ai tribunali il cui circondario è stato oggetto di revisione da parte del decreto legislativo 3 dicembre 1999, n. 491, la possibilità di istituire, nel medesimo comune, più uffici di tribunale, ciascuno con esclusiva competenza per una parte del territorio.

Capo II

MODIFICHE ALLE NORME PER IL CONFERIMENTO E L’ESERCIZIO DELLE FUNZIONI DI LEGITTIMITÀ

Art. 9.

(Conferimento delle funzioni di legittimità)

        1. Il conferimento delle funzioni di legittimità presso la Corte di cassazione e la relativa Procura generale è disposto, nei limiti dei posti disponibili e pubblicati, dal Consiglio superiore della magistratura previo parere della Commissione speciale di cui all’articolo 10. È fatta salva la riserva di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b), a decorrere dall’anno successivo dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di attuazione della relativa delega.

        2. Il Consiglio superiore della magistratura procede alla pubblicazione dei posti vacanti presso la Corte di cassazione, distinguendo quelli delle sezioni civili da quelli delle sezioni penali.

Art. 10.

(Commissione speciale per le funzioni di legittimità)

    1. Presso il Consiglio superiore della magistratura è istituita la Commissione speciale per le funzioni di legittimità, di seguito denominata «Commissione».

 

    2. La Commissione è composta da due magistrati che esercitano funzioni di legittimità presso la Corte di cassazione, uno che esercita tali funzioni presso la Procura generale della Corte di cassazione, nonché due professori universitari di ruolo di prima fascia.

    3. I componenti della Commissione sono nominati dal Consiglio superiore della magistratura che li sceglie tra più concorrenti proposti dal Ministro della giustizia.

    4. Nell’ambito della Commissione è eletto il Presidente. Le funzioni di Segretario sono assunte dal più giovane in età.

    5. I componenti della Commissione durano in carica quattro anni e non possono essere immediatamente confermati nell’incarico.

    6. Ai componenti della Commissione compete un gettone di presenza per la partecipazione alle sedute a carico del bilancio del Consiglio superiore della magistratura, che provvede, con propria determinazione, a quantificarne l’ammontare nel limite massimo della misura del gettone spettante ai componenti per le sedute plenarie.

Art. 11.

(Valutazione da parte della Commissione)

    1. La Commissione procede all’esame delle specifiche attitudini degli aspiranti all’esercizio delle funzioni di legittimità, a tale fine valutando l’attività svolta negli ultimi cinque anni, la qualità del lavoro svolto, il rispetto dei doveri inerenti all’ufficio ed alle funzioni, esaminando i provvedimenti redatti, i dati statistici ed ogni altro fatto o elemento concernente l’attività professionale e scientifica.

 

    2. In esito alle verifiche operate ai sensi del comma 1, la Commissione esprime un parere in merito all’attitudine all’esercizio di funzioni di legittimità, che è comunicato all’interessato, trasmesso al Consiglio superiore della magistratura e inserito nel fascicolo personale.

Art. 12.

(Modifiche all’organico della Corte di cassazione)

    1. L’organico dei magistrati della Corte di cassazione è modificato secondo quanto previsto dal presente articolo.

    2. Quindici posti di magistrato di appello destinato alla Corte di cassazione, nonché tutti i posti di magistrato di appello destinato alla Procura generale presso la Corte di cassazione, sono soppressi; in loro vece, sono istituiti altrettanti posti di magistrato di cassazione, presso i rispettivi uffici.

    3. Quindici posti di magistrato di appello destinato alla Corte di cassazione sono soppressi e, in loro vece, sono istituiti altrettanti posti di magistrato di tribunale destinato alla Corte di cassazione. La tabella B annessa al decreto-legge 20 novembre 1991, n. 367, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 gennaio 1992, n. 8, da ultimo sostituita dall’articolo 1, comma 2, della legge 13 febbraio 2001, n. 48, è sostituita dalla tabella allegata alla presente legge.

    4. L’articolo 115 del regio decreto 30 gennaio 1941, n.12, è sostituito dal seguente:

    «Art. 115 – (Magistrati di tribunale destinati alla Corte di cassazione) – 1. Della pianta organica della Corte di cassazione fanno parte trentasette magistrati con qualifica non inferiore a magistrato di tribunale, destinati a prestare servizio presso l’ufficio del massimario e del ruolo».

    5. L’articolo 116 del citato regio decreto n. 12 del 1941, è abrogato.

    6. All’articolo 117, comma 1, del regio decreto n. 12 del 1941, sono soppresse le parole: «di appello e».

    7. Ai posti soppressi presso la Corte di cassazione e la relativa Procura generale sono trattenuti i magistrati in servizio. Il Consiglio superiore della magistratura dispone il conferimento ad essi delle funzioni di legittimità mediante inquadramento nei posti di cui al comma 2, previo accertamento del possesso della necessaria idoneità precedentemente conseguita e purché siano state svolte, nei sei mesi antecedenti la data di entrata in vigore della presente legge, le funzioni di legittimità per aver concorso a formare i collegi nelle sezioni ovvero per aver svolto le funzioni di pubblico ministero in udienza, nei limiti dei posti disponibili ed in ordine di anzianità di servizio presso la Corte.

    8. Ai posti soppressi di cui al comma 3 sono trattenuti, in via transitoria, i magistrati di appello in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge, per i quali non sia stato possibile il conferimento delle funzioni di legittimità ai sensi del comma 7.

Art. 13.

(Indennità di trasferta)

    1. Ai magistrati che esercitano funzioni di legittimità presso la Corte di cassazione e la relativa Procura generale, a quelli in servizio presso le sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e presso le sezioni giurisdizionali centrali della Corte dei conti e la relativa Procura generale compete, per ciò solo, l’indennità di trasferta per venti giorni al mese, escluso il periodo feriale.

Capo III

DISPOSIZIONI FINANZIARIE

Art. 14.

(Copertura finanziaria)

    1. Agli oneri derivanti dall’attuazione della presente legge, valutati complessivamente in euro 12.716.278,00 per l’anno 2002 e in euro 8.556.462,00 a decorrere dall’anno 2003, si provvede:

        a) quanto a euro 8.263.310,00 per l’anno 2002 mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2002 – 2004, nell’ambito dell’unità previsionale di base di conto capitale «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2002, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della giustizia;

        b) quanto a euro 4.024.126,00 per l’anno 2002 e a euro 7.770.252,00 a decorrere dall’anno 2003 mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2002 – 2004, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2002 allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della giustizia;

        c) quanto a euro 428.842,00 per l’anno 2002 e a euro 786.210,00 a decorrere dall’anno 2003, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2002-2004 nell’ambito dell’unità previsionale di base 3.1.5.2 – Presidenza del Consiglio dei ministri – dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2002, intendendosi conseguentemente ridotta l’autorizzazione di spesa di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, come determinata nella tabella C della legge 28 dicembre 2001, n. 448.

    2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

 


Allegato

(Articolo 12, comma 3)

«Tabella B

RUOLO ORGANICO DELLA MAGISTRATURA



Primo presidente

1

Procuratore generale presso la Corte di cassazione, presidente aggiunto alla Corte di cassazione, presidente del Tribunale superiore delle acque pubbliche

3

Presidenti di sezione della Corte di cassazione ed equiparati

112

Consiglieri della Corte di cassazione ed equiparati

679

Magistrati di corte d’appello, magistrati di tribunale ed equiparati

8.784

Uditori giudiziari

330

Magistrati di merito e di legittimità ed equiparati, esclusi gli uditori giudiziari, destinati a funzioni non giudiziarie

200

 

Totale

 

10.109»

 

 

 

 

 

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 1300

DISEGNO DI LEGGE

 

d’iniziativa del senatore CICCANTI

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 2 APRILE 2002

 

 

 

¾¾¾¾¾¾¾¾

Modifica alla tabella A allegata alla legge 26 luglio 1975, n. 354, con riferimento alla sede dell’ufficio di sorveglianza per adulti di Macerata

¾¾¾¾¾¾¾¾

 



Onorevoli Senatori. – Il disegno di legge in esame intende fornire un’adeguata soluzione alle gravi disfunzioni del servizio-giustizia del comune di Ascoli Piceno che, nonostante ospiti un primario istituto di pena, è privo della sede del giudice di sorveglianza. L’ufficio più vicino alla struttura carceraria di Ascoli, dove, peraltro, vi sono anche detenuti sottoposti al regime aggravato previsto dall’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n.  354, è situato a Macerata, distante circa 100 chilometri, che paradossalmente non ha più istituti carcerari in attività.

 

    La presente iniziativa mira, quindi, a trasferire la sede del tribunale di sorveglianza dalla città di Macerata a quella di Ascoli Piceno con la conseguente rettifica dell’elenco delle sedi e giurisdizioni degli uffici di sorveglianza per adulti, così come definito nella tabella A allegata alla citata legge n.  354 del 1975.

    Della necessità e urgenza di razionalizzare e rendere più efficiente il servizio-giustizia nella città di Ascoli sono testimoni i detenuti e gli addetti ai lavori del super-carcere sui quali gravano, a causa della distanza dalla città di Macerata, procedimenti farraginosi e lenti che minano i più elementari diritti alla difesa e al mantenimento di un qualunque contatto con i propri familiari.

    La gravità e l’urgenza della situazione, oltre ad essere rappresentata dalle interrogazioni parlamentari presentate nella XIII legislatura da diversi colleghi Senatori, è stata anche ravvisata dalla 2ª Commissione del Senato, alla quale è stato assegnato il disegno di legge n.  4757 (che ha assorbito il disegno di legge n.  4798), il 17 gennaio 2001, in sede deliberante, dopo aver ottenuto il parere favorevole della 1ª Commissione e della 5ª Commissione del Senato.

    Si tratta quindi di riprendere e completare una procedura legislativa che già era stata incardinata positivamente in questo ramo del Parlamento (l’atto Senato n.  4757 è stato approvato dalla 2ª Commissione nella seduta n.  691 del 24 gennaio 2001), con l’intento di rispondere a precise ed indilazionabili esigenze di giustizia e di politica penitenziaria.

 


 


 


 

DISEGNO DI LEGGE

 

Art. 1.

    1. Nella tabella A allegata alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, la voce: «Macerata: tribunali di Macerata, Ascoli Piceno, Camerino, Fermo», è sostituita dalla seguente:

 

    «Ascoli Piceno: tribunali di Ascoli Piceno, Macerata, Camerino, Fermo».

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 1367

DISEGNO DI LEGGE

 

d’iniziativa dei senatori FASSONE, CALVI, AYALA, BRUTTI Massimo e MARITATI

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 3 MAGGIO 2002

 

 

 

¾¾¾¾¾¾¾¾

Norme in materia di funzioni dei magistrati e valutazioni
di professionalità

¾¾¾¾¾¾¾¾

 



Onorevoli Senatori. – Il presente disegno di legge riproduce, con un’unica variazionesostanziale e limitate modifiche non rilevanti, il testo approvato con ampi consensi dalla Commissione Giustizia del Senato nella XIII legislatura (vedi atto Senato n. 1799 e 2107-A, comunicato alla Presidenza il 27 maggio 1997). Poichè il disegno di legge governativo n. 1799 della XIII legislatura era frutto, a sua volta, di un ampio e lungo dibattito che negli anni precedenti aveva coinvolto tutti gli operatori giudiziari, lo stesso viene considerato tuttora come un’acquisizione largamente condivisa (salva l’innovazione di cui si dirà), e quindi al riparo da intenti di parte, o punitivi, o comunque influenzati da sollecitazioni contingenti.

    È ormai convinzione diffusa che la carriera dei magistrati abbia assunto con il tempo uno sviluppo pressochè automatico, e che i controlli sulla professionalità dei medesimi siano scarsi e poco efficaci. La promozione a magistrato di appello e di cassazione e alle funzioni direttive superiori (di seguito: «f.d.s.») è praticamente universale (le mancate promozioni si stimano nell’ordine dell’1-2 per cento, e sono molto spesso seguite da una promozione semplicemente ritardata di qualche anno). Pertanto si parla ormai di una selezione unicamente «in negativo», che opera solo quando il magistrato si è reso autore di fatti o comportamenti particolarmente gravi.

    Deve essere riconosciuto che le leggi 25 luglio 1966, n. 570, e 20 dicembre 1973, n. 831, note come «leggi Breganze», rispondevano ad un’esigenza profondamente avvertita nel momento del loro nascere, e cioè a quella di sottrarre la magistratura ad un assetto gerarchico piramidale, in cui la valutazione del singolo discendeva essenzialmente dai titoli e dalla conformità giurisprudenziale. Ma, se esse hanno svolto un’utile funzione nei primi tempi, in quanto hanno espanso e consolidato la cultura dell’indipendenza nel giudizio, oggi appaiono inadeguate alla diversa, e sempre più sentita, esigenza che la magistratura – ferma restando l’assoluta indipendenza del contenuto delle sue decisioni – sia anch’essa investita di responsabilità per quanto attiene l’organizzazione ed il funzionamento del servizio in generale, e sia soggetta a serie verifiche di professionalità.

    Si richiama pertanto, per economia, l’ampia relazione svolta a corredo del citato testo approvato dalla Commissione Giustizia il 27 maggio 1997, limitandoci a ricordarne i caposaldi:

        - aumento del numero delle verifiche nel corso della carriera, disposte ogni quattro anni anzichè solo al 13º, 20º e 28º anno come oggi;

        - moltiplicazione degli indicatori sulla base dei quali effettuare il giudizio;

        - ingresso di voci diverse nel procedimento valutativo, in particolare dei consigli degli ordini forensi;

        - possibilità per il Consiglio superiore della magistratura (CSM) di delegare ai consigli giudiziari le valutazioni di professionalità diverse dalla 3ª, 5ª e 7ª, cioè da quelle il cui superamento legittima ad accedere alle funzioni superiori;

        - analitica definizione dei parametri in base ai quali formulare la valutazione di professionalità (capacità, laboriosità, diligenza, impegno, attitudine alla dirigenza);

        - introduzione di un sistema di sanzioni alle eventuali valutazioni non positive;

        - progressione economica collegata alla valutazione di professionalità, e cioè al conseguimento di un giudizio positivo, ma bloccata per effetto di un giudizio non positivo o negativo;

        - eliminazione del fenomeno per cui la qualifica può essere disgiunta da un effettivo esercizio della funzione corrispondente.

    È proprio in relazione a quest’ultimo aspetto che il presente disegno di legge si propone di introdurre la principale modifica al citato testo già approvato dalla 2ª Commissione nella scorsa legislatura. In base a tale testo, il CSM non conferisce più le qualifiche di magistrato di appello, di cassazione, o di idoneo alle f.d.s., ma individua progressivamente la platea dei magistrati che, avendo superato le valutazioni terza, quinta e settima (corrispondenti agli attuali 13, 20 e 28 anni di anzianità), costituiscono il «paniere» nel quale attingere per conferire in concreto le rispettive funzioni, attraverso i concorsi. In altre parole, il conseguimento di determinate valutazioni attribuisce la legittimazione a concorrere al «posto-funzione».

    Il principio è condivisibile, poichè risponde meglio al dettato costituzionale secondo il quale «i magistrati si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni» (articolo 107). L’avere conseguito valutazioni positive serve, da un lato, per la progressione economica, e dall’altro lato costituisce requisito per il conferimento delle funzioni in concreto: ma non attribuisce qualifiche ordinate gerarchicamente, e quindi non diversifica tra loro magistrati che stanno esercitando funzioni uguali od omologhe.

    Tuttavia si ritiene che questa disciplina, pur rappresentando un apprezzabile passo in avanti, non risolva al meglio l’annoso problema. La maggiore frequenza delle valutazioni, l’accrescimento del dossier e l’inserimento di nuove voci serviranno senza dubbio a generare valutazioni meno stereotipate ed uniformi: ma difficilmente varranno a smuovere, là dove c’è, la sensazione di una sostanziale impunità anche per i meno solerti, ed a produrre una reale mobilitazione di energie e di impegno nei magistrati meno sensibili ai loro doveri.

    L’esperienza dimostra infatti che un giudizio il quale si limiti ad attribuire o meno un’idoneità astratta, e non a stabilire un confronto concreto come accade nella concorsualità, finisce fatalmente con il riconoscere l’idoneità a quasi tutti i giudicabili, non molto diversamente da quanto avviene oggi. In altre parole, un avanzamento a ruoli aperti (quale sarebbe anche la nuova formula) è assai probabile che produca un semplice aumento di carte, e continui a fare avanzare l’intera platea dei giudicabili, scaricando poi sui concorsi per il singolo posto l’unica selezione. Il che, fino ad oggi, non ha dato buona prova.

    Si ritiene allora di sperimentare una formula interrnedia: non quella dei ruoli chiusi, anteriore alle leggi Breganze; non più quella dei ruoli aperti, oggi vigente; ma quella dei ruoli «semi-aperti». A questo fine, si propone che il CSM individui ogni anno quanti posti di appello, di cassazione o di f.d.s. saranno accessibili nell’anno medesimo, mutuando i valori per similitudine dall’anno precedente. Quindi, il CSM maggiora tali quote di un coefficiente da convenirsi (che il disegno di legge propone nel 50 per cento), per ampliare la platea dei legittimati e per non riprodurre il meccanismo dei ruoli chiusi. Infine il CSM, nel formulare le valutazioni, non si limita ad esprimere il giudizio nei termini già enunciati nell’atto Senato n. 1799 e 2107-A della XIII legislatura (e cioè «positivo», «non positivo» o «negativo»), ma assegna un coefficiente (che qui si propone da 1 a 5) per ciascuna delle cinque voci sulle quali si articola la valutazione. In tal modo i magistrati di quella valutazione (che corrisponde ad un certo anno di concorso) vengono scaglionati secondo una oggettiva graduatoria effettuata dall’organo di autogoverno.

    All’interno di questa graduatoria si individuano, nel limite del numero sopra definito, i legittimati a concorrere ai posti delle varie funzioni messi a concorso nell’anno in oggetto. Pertanto ogni annata si comporrà di «idonei legittimati», costituenti la maggioranza dei valutati; di «idonei non legittimati», e cioè coloro che sono stati valutati positivamente ma sono classificati a valle della soglia numerica individuata; e dei «non idonei», cioè di coloro che hanno conseguito un giudizio non positivo o negativo. La selezione, da un punto di vista quantitativo, sarà limitata, e ciò ne eviterà gli inconvenienti lamentati in passato; ma tutti i magistrati saranno sollecitati ad un maggiore impegno, per evitare il pericolo di una bassa classifica, e quindi di un ritardo nella legittimazione.

    Poichè non tutti gli «idonei legittimati» conseguiranno effettivamente in quell’anno le funzioni corrispondenti (data la maggiorazione effettuata dal CSM), si costituirà progressivamente un «paniere» di legittimati, che potrà autorizzare una diminuzione o un aumento del coefficiente annuale di maggiorazione. Per converso gli «idonei non legittimati» potranno essere rivalutati nel quadriennio successivo, senza pregiudizio diverso dal ritardo: e questo, da un lato, offre una buona chance di recupero, dall’altro lato obbliga chi non si impegnò per la prima verifica ad impegnarsi a fondo per la successiva. Dopo una certa sperimentazione, si potrà valutare se una plurima classifica di «non legittimato» abbia a considerarsi equivalente ad un giudizio «non positivo», con ripercussioni anche economiche.

 



 


 

DISEGNO DI LEGGE

 

Art. 1.

(Funzioni giudiziarie)

    1. I magistrati ordinari si distinguono unicamente secondo le funzioni conferite ai sensi dei commi 2, 3, 4 e 5.

 

    2. Le funzioni di magistrato di tribunale sono conferite ai magistrati, compresi gli uditori giudiziari che hanno completato il tirocinio. Tali funzioni sono:

        a) giudice presso il tribunale ordinario e il tribunale per i minorenni;

        b) magistrato di sorveglianza presso il tribunale e gli uffici di sorveglianza;

        c) sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale, ivi compresa la direzione distrettuale antimafia, ove costituita, e il tribunale per i minorenni.

 

    3. Le funzioni di magistrato di appello, nonchè quelle direttive e semidirettive corrispondenti, sono conferite ai magistrati i quali abbiano conseguito la terza valutazione di professionalità. Tali funzioni sono:

        a) consigliere presso la corte di appello;

        b) sostituto procuratore generale presso la corte di appello e sostituto procuratore presso la direzione nazionale antimafia;

        c) applicato presso la corte di cassazione e la procura generale presso la medesima corte, ai sensi della legge 13 febbraio 2001, n. 48;

        d) presidente del tribunale, ivi compreso quello per i minorenni, procuratore della Repubblica presso il tribunale e presso il tribunale per i minorenni, presidente della sezione dei giudici per le indagini preliminari, salvo quanto previsto dal comma 4, lettera g);

        e) presidente di sezione del tribunale e procuratore della Repubblica aggiunto.

 

    4. Le funzioni di magistrato di cassazione, nonchè quelle direttive e semidirettive corrispondenti, sono conferite ai magistrati i quali abbiano conseguito la quinta valutazione di professionalità. Tali funzioni sono:

        a) consigliere presso la corte di cassazione;

        b) sostituto procuratore generale presso la corte di cassazione;

        c) procuratore presso la direzione nazionale antimafia;

        d) presidente di sezione presso la corte di appello;

        e) avvocato generale presso la procura generale della corte di appello;

        f) presidente del tribunale di sorveglianza;

        g) presidente del tribunale, procuratore della Repubblica presso il tribunale, presidente della sezione dei giudici per le indagini preliminari, in relazione agli uffici aventi sede nelle città di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia.

 

    5. Le funzioni direttive superiori sono conferite a magistrati i quali abbiano conseguito la settima valutazione di professionalità. Tali funzioni sono:

        a) primo presidente della corte di cassazione;

        b) procuratore generale della Repubblica presso la corte di cassazione, presidente aggiunto presso la corte di cassazione, presidente del tribunale superiore delle acque pubbliche;

        c) presidente di sezione presso la corte di cassazione e avvocato generale presso la corte medesima;

        d) presidente di corte d’appello;

        e) procuratore generale presso la corte d’appello.

 

Art. 2.

(Modalità di conferimento delle funzioni giudiziarie)

    1. Le funzioni giudiziarie di appello, di cassazione e direttive superiori sono conferite dal Consiglio superiore della magistratura ai magistrati che hanno conseguito le valutazioni di professionalità di cui all’articolo 1, e nei limiti di cui all’articolo 13, a domanda degli interessati o d’ufficio secondo l’ordine di ruolo in caso di mancanza o di inidoneità delle candidature proposte.

 

    2. Per attribuire le funzioni il Consiglio superiore della magistratura procede a valutazioni comparative dei candidati, che abbiano presentato domanda o che siano esaminati in vista del conferimento d’ufficio, sulla base delle risultanze delle valutazioni di professionalità e di ogni altro elemento di conoscenza di cui il Consiglio è in possesso, secondo criteri stabiliti con i provvedimenti di cui all’articolo 18, che tengono conto della specificità delle singole funzioni.

    3. I magistrati di tribunale, di appello, di cassazione e di cassazione titolari di funzioni direttive superiori sono collocati nel ruolo di anzianità della magistratura in separati raggruppamenti, ciascuno corrispondente alle funzioni ad essi conferite, e in quest’àmbito prendono posto nell’ordine di data in cui le hanno conseguite.

 

Art. 3.

(Valutazione di attitudine e di professionalità)

    1. I magistrati sono sottoposti a valutazione di attitudine e di professionalità ogni quadriennio dalla nomina, salvo la prima che si effettua dopo il compimento di un quinquennio, e la quarta che si effettua dopo un triennio dalla precedente.

 

    2. Continuano a trovare applicazione gli articoli 1 e 5 della legge 2 aprile 1979, n. 97, per quanto attiene alla valutazione cui deve essere sottoposto l’uditore giudiziario dopo il primo anno di svolgimento delle funzioni giudiziarie.

    3. La valutazione di professionalità deve riguardare la eapacità, la laboriosità, la diligenza e l’impegno.

    4. La valutazione di professionalità riguarda anche l’attitudine alla dirigenza, ove ricorrano specifici elementi.

    5. Con i provvedimenti di cui all’articolo 18, comma 1, sono specificati gli elementi in base ai quali devono essere espresse le valutazioni da parte dei consigli giudiziari, nonchè i parametri per consentire l’omogeneità delle valutazioni.

 

Art. 4.

(Capacità)

    1. La capacità è riferita all’equilibrio del magistrato, alla sua preparazione giuridica ed al suo aggiornamento, alle metodologie di analisi delle questioni da risolvere e al possesso delle tecniche di argomentazione e di valutazione delle prove, e, secondo le funzioni esercitate, alla conoscenza e padronanza delle tecniche di indagine, alla conduzione dell’udienza, all’efficacia nel dirigere, utilizzare e controllare l’apporto dei collaboratori ed ausiliari.

 

Art. 5.

(Laboriosità)

    1. La laboriosità è riferita alla qualità ed al numero degli affari trattati, in relazione al tipo di ufficio e alla sua condizione organizzativa e strutturale, nonchè ai tempi di smaltimento del lavoro, con particolare attenzione alla cura dedicata agli affari più impegnativi.

Art. 6.

(Diligenza)

    1. La diligenza è riferita all’assiduità e alla puntualità di presenza in ufficio, nelle udienze e nei giorni stabiliti o comunque necessari per l’adeguato espletamento del servizio, al rispetto del termine per l’emissione, la redazione e il deposito dei provvedimenti, o comunque per il compimento di attività giudiziarie.

 

Art. 7.

(Impegno)

    1. L’impegno è riferito alla partecipazione al buon andamento dell’ufficio, nonchè alla disponibilità per sostituzioni, applicazioni e supplenze necessarie per il miglior funzionamento del medesimo.

 

Art. 8.

(Attitudine alla dirigenza)

    1. L’attitudine alla dirigenza è riferita alla capacità organizzativa, di programmazione e di gestione, in relazione al tipo di ufficio e alle relative dotazioni. È riferita altresì alla capacità di valorizzare le attitudini di magistrati e funzionari, e di responsabilizzarli nei rispettivi compiti; alla capacità di controllo amministrativo sull’andamento generale dell’ufficio e alla capacità di ideare, programmare e realizzare con tempestività gli adattamenti organizzativi e gestionali convenienti, avvalendosi delle professionalità necessarie.

    2. La valutazione dell’attitudine alla dirigenza tiene conto delle esperienze direttive anteriori, ove esistenti, dell’enunciazione degli obiettivi e dei risultati conseguiti. Nella predetta valutazione, si considerano positivamente la pluralità delle esperienze nelle diverse funzioni, gli incarichi svolti, la frequenza dei corsi di formazione per la dirigenza ed ogni altra esperienza ritenuta utile.

Art. 9.

(Procedimento per la valutazionedi attitudine e di professionalità)

    1. Entro il mese successivo alla scadenza del periodo di valutazione il consiglio giudiziario acquisisce:

        a) la relazione del magistrato valutando il lavoro svolto nel periodo oggetto di valutazione, unitamente a quant’altro egli ritenga di allegare, compresi atti e provvedimenti da esaminare;

        b) le statistiche del lavoro svolto e la comparazione con quelle degli altri magistrati del medesimo ufficio, secondo i criteri stabiliti nel provvedimento di cui all’articolo 18 comma 1;

       c) i provvedimenti redatti dal magistrato e i verbali delle udienze alle quali ha partecipato, scelti a campione sulla base di criteri oggettivi, stabiliti dal provvedimento di cui all’articolo 18 comma 1;

        d) l’indicazione degli incarichi extragiudiziari svolti dal magistrato nel periodo valutato;

        e) il rapporto ed ogni eventuale segnalazione proveniente dai capi degli uffici, le segnalazioni eventualmente pervenute dal consiglio dell’ordine degli avvocati, sempre che si riferiscano a fatti concreti incidenti sulla professionalità del magistrato, con particolare attenzione a fatti indicativi di esercizio non indipendente della funzione o di mancanza di equilibrio. Il rapporto del capo dell’ufficio è trasmesso al consiglio giudiziario dal presidente della corte d’appello o dal procuratore generale con le proprie considerazioni.

    2. Il consiglio giudiziario può assumere informazioni su fatti segnalati da suoi componenti o dai dirigenti degli uffici o dai consigli dell’ordine degli avvocati, dando tempestiva comunicazione all’interessato, del quale può procedere all’audizione. L’audizione è sempre disposta se l’interessato ne fa richiesta.

Art. 10.

(Parere del consiglio giudiziario)

    1. Sulla base delle acquisizioni di cui all’articolo 9 il consiglio giudiziario formula, se si tratta delle valutazioni relative al terzo, quinto e settimo periodo oggetto di valutazione, un parere motivato, che trasmette al Consiglio superiore della magistratura unitamente alla documentazione e ai verbali delle audizioni.

    2. Copia del parere è comunicata all’interessato e al Ministro della giustizia, per le osservazioni di cui all’articolo 11 della legge 24 marzo 1958 n. 195, e successive modificazioni.

    3. Il magistrato, entro dieci giorni dalla comunicazione del parere, può fare pervenire al Consiglio superiore della magistratura le sue osservazioni e chiedere di essere ascoltato personalmente.

    4. Il consiglio giudiziario può essere delegato dal Consiglio superiore della magistratura ad effettuare, sulla base dei criteri dallo stesso indicati all’atto del suo insediamento, le valutazioni di professionalità relative ai periodi diversi dal terzo, quinto e settimo. In tal caso il consiglio giudiziario, se ritiene di esprimere un giudizio positivo, adotta la relativa delibera. Le disposizioni del presente comma non si applicano ai magistrati della corte di cassazione, della procura generale della Repubblica presso la corte di cassazione e del tribunale superiore delle acque pubbliche.

    5. La delibera è comunicata al magistrato interessato, che può proporre ricorso al Consiglio superiore della magistratura entro trenta giorni e può chiedere di essere ascoltato personalmente.

    6. Il Consiglio superiore della magistratura, acquisite le osservazioni del consiglio giudiziario, decide sul ricorso entro novanta giorni e, in caso di accoglimento, sostituisce, integra o modifica la delibera del consiglio giudiziario.

    7. Qualora il consiglio giudiziario ritenga di dover esprimere un giudizio non positivo o negativo, trasmette il proprio motivato parere al Consiglio superiore della magistratura, che decide direttamente, in applicazione dei commi 2 e 3 del presente articolo.

Art. 11.

(Consigli giudiziari)

    1. Il primo e il secondo comma dell’articolo 6 del regio decreto 31 maggio 1946, n. 511, come sostituito dall’articolo 1 della legge 12 ottobre 1966, n. 825, sono sostituiti dai seguenti:

    «Presso ogni corte d’appello è costituito un consiglio giudiziario.

    Il consiglio giudiziario è presieduto dal presidente della corte d’appello ed è composto dal procuratore generale della Repubblica, nonchè, a seconda che l’organico dei magistrati del distretto sia inferiore a duecento unità, sia compreso fra duecento e quattrocento unità, o sia superiore alle quattrocento unità, rispettivamente da:

        a) otto membri, di cui tre supplenti, eletti ogni due anni da tutti i magistrati degli uffici giudiziari del distretto, con voto personale e segreto, nelle seguenti proporzioni: un componente effettivo ed uno supplente tra i magistrati che abbiano conseguito la quinta valutazione di attitudine e di professionalità; due componenti effettivi ed uno supplente tra i magistrati che abbiano conseguito la terza valutazione di attitudine e di professionalità; due componenti effettivi ed uno supplente tra i magistrati che abbiano completato il tirocinio;

        b) tredici membri, di cui cinque supplenti, eletti ogni due anni da tutti i magistrati degli uffici giudiziari del distretto, con voto personale e segreto, nelle seguenti proporzioni: due componenti effettivi ed uno supplente tra i magistrati che abbiano conseguito la quinta valutazione di attitudine e di professionalità; tre componenti effettivi e due supplenti tra i magistrati che abbiano conseguito la terza valutazione di attitudine e di professionalità; tre componenti effettivi e due supplenti tra i magistrati che abbiano completato il tirocinio;

        c) sedici membri, di cui cinque supplenti, eletti ogni due anni da tutti i magistrati degli uffici giudiziari del distretto, con voto personale e segreto, nelle seguenti proporzioni: tre componenti effettivi ed uno supplente tra i magistrati che abbiano conseguito la quinta valutazione di attitudine e di professionalità; quattro componenti effettivi e due supplenti tra i magistrati che abbiano conseguito la terza valutazione di attitudine e di professionalità; quattro componenti effettivi e due supplenti tra i magistrati che abbiano completato il tirocinio.

    Nei distretti nei quali non è possibile eleggere i magistrati alla quinta valutazione di attitudine e di professionalità, i posti sono attribuiti ai magistrati che abbiano conseguito la terza valutazione.

    Presso la corte di cassazione è istituito un consiglio giudiziario, del quale fanno parte il presidente aggiunto, che lo presiede, e l’avvocato generale più anziano della procura generale della Repubblica presso la corte medesima, nonchè altri cinque membri effettivi e due supplenti, eletti ogni due anni da tutti i magistrati, in servizio presso la corte di cassazione, la procura generale e il tribunale superiore delle acque pubbliche, con voto personale e segreto, fra i magistrati aventi le seguenti qualifiche: un componente effettivo presidente di sezione o avvocato generale; tre componenti effettivi ed uno supplente, tra i magistrati con funzioni di consigliere o di sostituto procuratore generale; un componente effettivo ed uno supplente tra i magistrati di appello o di tribunale destinati a prestare servizio presso l’ufficio del massimario o del ruolo.

    Il consiglio giudiziario presso la corte d’appello di Roma è competente anche per i magistrati della Direzione nazionale antimafia.

    In ogni consiglio giudiziario il presidente della corte d’appello e il procuratore generale della Repubblica, in caso di mancanza o di impedimento, sono sostituiti rispettivamente dal magistrato che ne esercita la funzione».

 

    2. L’istruttoria dei pareri e delle valutazioni di cui all’articolo 10 è distribuita tra tutti i componenti, anche supplenti, del consiglio giudiziario. A tal fine i componenti possono avvalersi, oltre che dei magistrati distrettuali secondo quanto previsto dall’articolo 7 della legge 13 febbraio 2001, n. 48, degli uffici amministrativi della corte d’appello.

Art. 12.

(Individuazione dei magistrati legittimati a determinate funzioni)

    1. All’inizio di ogni anno giudiziario, il Consiglio superiore della magistratura individua quanti posti concernenti funzioni di appello, di cassazione e di uffici direttivi superiori sono stati messi a concorso nell’anno precedente. Quindi, definisce a quanti magistrati possono essere attribuite le corrispondenti funzioni nell’anno in corso, in base al numero dei posti così individuati, incrementato del 50 per cento.

    2. Il Consiglio superiore della magistratura procede quindi alla valutazione di attitudine e di professionalità, sulla base del parere espresso dal consiglio giudiziario e della relativa documentazione, nonchè sulla base dei risultati delle ispezioni ordinarie; può anche assumere ulteriori elementi di conoscenza.

    3. La valutazione di attitudine e di professionalità consiste in un giudizio motivato, il quale, se positivo, si accompagna all’attribuzione di un punteggio da 1 a 5 per ciascuno dei parametri di cui agli articoli 4, 5, 6, 7 e 8. Il giudizio è inserito nel fascicolo personale del magistrato.

    4. Il Ministro della giustizia adotta il relativo provvedimento, ai sensi dell’articolo 17 della legge 24 marzo 1958, n. 195, entro trenta giorni dalla ricezione della delibera del Consiglio superiore della magistratura.

    5. Il consiglio giudiziario e il Consiglio superiore della magistratura possono avvalersi di sistemi informatizzati per raccogliere i dati concernenti le valutazioni di attitudine e di professionalità secondo sistemi e modelli uniformi.

    6. Del giudizio di attitudine e di profesionalità si tiene conto, oltre che ai fini di cui all’articolo 13, al fine dei tramutamenti, del conferimento di incarichi direttivi e di qualunque altro atto, provvedimento o autorizzazione connesso alla valutazione del magistrato.

Art. 13.

(Giudizio positivo e legittimazioni)

    1. Il giudizio di attitudine e di professionalità è positivo quando ricorrono in modo sufficiente tutti i parametri di valutazione.

    2. Le funzioni di appello, di cassazione e direttive superiori possono essere conferite solamente ai magistrati che, oltre ad avere ottenuto un giudizio positivo, sulla base del punteggio complessivo a ciascuno attribuito siano classificati, nella terza, quinta o settima valutazione, in posizione non inferiore al numero definito ai sensi del comma 1 dell’articolo 12.

    3. I magistrati che, valutati positivamente, siano classificati in posizione inferiore al numero definito secondo le modalità richiamate al comma 2, possono essere nuovamente classificati nel quadriennio successivo.

Art. 14.

(Giudizio non positivo)

    1. Il giudizio di attitudine e di professionalità è non positivo quando risultano deficienti uno o più parametri di valutazione.

    2. Se il giudizio è non positivo, il Consiglio superiore della magistratura procede a una nuova valutazione di attitudine e di professionalità dopo un anno, previo parere del consiglio giudiziario. La nuova valutazione può concludersi solamente con un giudizio positivo o negativo.

    3. In caso di giudizio positivo il nuovo trattamento economico o l’aumento periodico di anzianità sono dovuti solo a decorrere dalla scadenza dell’anno.

    4. Al fine del conferimento di funzioni più elevate, il magistrato può essere classificato solamente dopo un quinquennio dal conseguimento del giudizio positivo.

Art. 15.

(Giudizio negativo)

    1. Il giudizio di attitudine e di professionalità è negativo quando risultino carenze gravi in uno o più dei parametri di valutazione.

    2. Se il giudizio è negativo, il magistrato è sottoposto a nuova valutazione dopo un biennio. Il Consiglio superiore della magistratura può disporre che il magistrato partecipi ad uno o più corsi di qualificazione, indicando le specifiche carenze riscontrate; può anche assegnare il magistrato, previa sua audizione, ad una diversa funzione nella medesima sede, o escluderlo dalla possibilità di accedere a incarichi direttivi o semidirettivi o a funzioni specifiche. La nuova valutazione può concludersi solamente con un giudizio positivo o negativo.

    3. Il giudizio negativo comporta la perdita del diritto all’aumento periodico di stipendio.

    4. Se al giudizio negativo consegue un giudizio positivo, il magistrato, al fine del conferimento di funzioni più elevate, che non siano state escluse ai sensi del comma 2, può essere classificato solamente dopo sei anni dal giudizio positivo.

    5. Se il Consiglio superiore della magistratura formula, previa audizione del magistrato, un secondo giudizio negativo, questi è dispensato dal servizio.

    6. Prima dell’audizione il magistrato deve essere informato della facoltà di prendere visione degli atti del procedimento e di estrarne copia. Tra l’avviso e l’audizione deve intercorrere un termine non inferiore a trenta giorni. Il magistrato ha facoltà di depositare atti e memorie fino a sette giorni prima dell’audizione e di farsi assistere da un altro magistrato o da un avvocato del foro libero. Non può, comunque, essere concesso più di un differimento dell’audizione per impedimento del magistrato designato per l’assistenza.

    7. Resta fermo quanto previsto dall’ordinamento giudiziario per i fatti costituenti illecito disciplinare.

Art. 16.

(Valutazione di attitudine e di professionalità per i magistrati fuori ruolo)

    1. La valutazione di attitudine e di professionalità concernente i magistrati fuori ruolo è compiuta sulla base della capacità, laboriosità, diligenza, impegno e attitudine alla dirigenza, riferiti alla funzione esercitata.

    2. Il Consiglio superiore della magistratura esprime il giudizio:

        a) quanto ai magistrati in servizio presso il Ministero della giustizia, previa acquisizione del parere del consiglio di amministrazione, composto dal presidente e dai membri che rivestono la qualità di magistrato, redatto sulla base del rapporto informativo del capo dell’ufficio al quale il magistrato appartiene;

 

        b) quanto agli altri magistrati collocati fuori ruolo, compresi quelli in servizio all’estero, previo parere del consiglio giudiziario presso la corte d’appello di Roma, redatto sulla base della relazione dell’autorità presso la quale i magistrati prestano servizio, illustrativa dell’attività svolta.

    3. È fatta salva in ogni caso la facoltà dell’interessato di produrre ogni utile documentazione, purchè attinente ai parametri di valutazione.

Art. 17.

(Trattamento economico. Misura delle retribuzioni)

    1. Continuano ad applicarsi le disposizioni in materia di trattamento economico del personale della magistratura, secondo quanto previsto dalla tabella annessa alla legge 19 febbraio 1981, n. 27, e successive modificazioni. Ai fini dell’applicazione dell’articolo 5 della legge 6 agosto 1984, n. 425, in relazione ai livelli retributivi previsti dalla predetta tabella, non si considerano i periodi temporali di cui agli articoli 14 e 15 della presente legge.

Art. 18.

(Norme transitorie e finali)

    1. Il Consiglio superiore della magistratura, entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, disciplina i modi di raccolta della documentazione e di individuazione a campione dei provvedimenti e dei verbali di udienza di cui all’articolo 9, definisce le modalità per la redazione dei pareri dei consigli giudiziari secondo i modelli tipo e per la gestione informatizzata di cui all’articolo 12 ed enuncia i criteri di valutazione comparativa per i casi in cui la stessa è richiesta.

    2. Con uno o più decreti, da emanare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro della giustizia disciplina le modalità per la raccolta dei dati ai fini dell’articolo 9.

Art. 19.

(Abrogazioni)

    1. Sono abrogate tutte le disposizioni incompatibili con quelle della presente legge, ed in particolare gli articoli da 2 a 32 della legge 4 gennaio 1963, n. 1, la legge 25 luglio 1966, n. 570, e successive modificazioni, la legge 20 dicembre 1973, n. 831, e successive modificazioni, gli articoli 2, 3 e 4 della legge 2 aprile 1979, n. 97.

Art. 20.

(Entrata in vigore ed efficacia di singole disposizioni)

    1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

    2. Le funzioni elencate nei commi 3, 4 e 5 dell’articolo 1 sono rispettivamente conferite ai magistrati che, secondo la normativa previgente, abbiano già ottenuto la nomina a magistrato di appello, la dichiarazione di idoneità ad essere nominati magistrati di cassazione o quella di idoneità alle funzioni direttive superiori. Per il conferimento di tali funzioni trovano applicazione le disposizioni dell’articolo 2.

    3. Nei confronti dei magistrati in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge, le valutazioni periodiche operano alla scadenza del primo periodo utile successivo alla predetta data, determinata utilizzando quale momento iniziale la data del decreto di nomina ad uditore giudiziario. Tale corrispondenza regola anche la misura delle retribuzioni determinate ai sensi dell’articolo 17.

    4. Nei casi previsti dall’articolo 211 dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, la corrispondenza viene operata tenendo conto del servizio effettivo prestato a decorrere dal decreto di nomina a magistrato ordinario. La eventuale maggiore retribuzione in godimento viene conservata ai sensi dell’articolo 3, comma 57, della legge 24 dicembre 1993, n. 537.

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 1411

DISEGNO DI LEGGE

 

d’iniziativa del senatore FASSONE

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 15 MAGGIO 2002

 

 

 

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Delega al Governo per la revisione e la razionalizzazione
delle sedi e degli uffici giudiziari

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Onorevoli Senatori. – La revisione della geografia giudiziaria è tema dibattuto da decenni, e da decenni in posizione di stallo a causa soprattutto delle forti resistenze locali, che, operando per lo più trasversalmente, dissuadono qualsiasi forza politica dall’assumere con impegno questo obiettivo come prioritario nel miglioramento dell’amministrazione della giustizia.

 

    1. Va ricordato che questa riforma, oltre ad essere ripetuta in ogni programma ed in ogni dichiarazione di intenti, era ed è tuttora imposta da un preciso dettato di legge, risalente a ben quattordici anni or sono: l’articolo 41 delle norme per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario al nuovo processo penale ed a quello a carico degli imputati minorenni, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 449, infatti, prevedeva come transitoria la situazione delle procure della Repubblica promiscue «fino alla data di entrata in vigore della legge di revisione delle circoscrizioni dei tribunali ordinari». Il fatto che la riforma del giudice unico di primo grado abbia rimosso oggettivamente l’esistenza delle procure promiscue, e il problema relativo, non toglie valore all’indicazione racchiusa nella norma citata: il nuovo codice di procedura penale è nato considerando come sua appendice necessaria la revisione della geografia giudiziaria, ma le riforme successive, lungi dall’affievolire l’esigenza, l’hanno ancor più sottolineata.

    Nel momento presente, un disegno di legge governativo (atto Senato n. 1296) mostra di voler affrontare la materia, prevedendo, nel suo articolo 8, una delega al Governo medesimo «al fine di razionalizzare la distribuzione degli uffici giudiziari nel territorio dello Stato». Ma il lodevole obiettivo della razionalizzazione si specifica poi nella previsione di eventuali «nuove corti d’appello, nuovi tribunali ovvero nuovi uffici del giudice di pace», che sembra muoversi più nella direzione dell’aumento che in quella della riduzione degli uffici. Di tal che è legittimo dubitare che per quella via si pervenga davvero ad una revisione razionale della geografia giudiziaria.

    Resta, dunque, il problema politico del conciliare la suddetta esigenza con quella, anch’essa plausibile, di non privare il territorio di una certa «giustizia di prossimità». E poichè l’esperienza insegna che, a fronte di qualsiasi ipotesi di riforma in materia, le resistenze saranno cospicue, di esse occorre farsi carico per proporre un piano di intervento che abbia la sua praticabilità e che tenga conto di vari fattori, taluni tradizionali, altri di più recente emersione.

    2. Il primo aspetto, politicamente spendibile per il suo alto coefficiente di ragionevolezza, è dato dall’esigenza di una migliore utilizzazione delle risorse umane e materiali nel settore della giustizia. Il processo è strumento costoso e delicato, ad alta professionalità e tecnicità. Ciò porta a sopprimere, o quanto meno a razionalizzare, le sedi di esigua dimensione, in cui il limitato flusso di lavoro si traduce in sottoutilizzo e dequalificazione del personale.

    Un ufficio molto piccolo quasi sempre ha una «produttività» molto bassa, che si traduce nello spreco di una quota dell’organico. Esso inoltre: non consente una sia pur limitata specializzazione dei magistrati, e questa competenza universale ma non approfondita genera, a sua volta, una giurisprudenza incerta allorchè si debbano affrontare materie ad alto tasso di specializzazione, e quindi riduce l’aspettativa di risultato alla quale il cittadino ha diritto; versa in gravi difficoltà non appena taluno dei magistrati si ammala o è trasferito; è soggetto a rapido turn over da parte dei giudici valenti, che appena possibile cercano sedi più qualificate, e, viceversa, subisce il lungo stazionamento dell’opposta tipologia di magistrati; rischia le conseguenti incrostazioni e i legami non limpidi che più facilmente si intrecciano nei piccoli centri e nelle lunghe permanenze; è fatalmente in difetto di locali, di strutture e di esperienze quando per avventura è sede di un processo di dimensioni eccezionali (si veda, infatti, l’articolo 6 del decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4).

    A rovescio gli uffici troppo grandi presentano inconvenienti speculari. Essi finiscono facilmente con l’ospitare nicchie di scarsa laboriosità, per la difficoltà dei controlli; producono un eccesso di specializzazione, che abbatte la pluralità di esperienze; parcellizzano il processo, con esiti di deresponsabilizzazione; esigono un eccesso di impegno organizzativo, che proietta alcuni magistrati del tutto al di fuori dall’attività giurisdizionale in senso proprio; sono causa di grave disorientamento per il cittadino utente, e spesso anche per il professionista che li deve frequentare.

    Il primo obiettivo, pertanto, che una riforma di questo tipo deve proporsi è quello di individuare la dimensione ottimale dell’ufficio giudiziario e, sia pure con l’elasticità dovuta, cercare di ricondurre il più possibile di uffici nell’ambito di quella dimensione.

    Sul fronte opposto, merita considerazione l’esigenza di non sguarnire il territorio di ogni presidio giudiziario, la cui rimozione, spesso accompagnata alla perdita di altri servizi pubblici e di altre utili presenze, può diventare concausa di declino della zona, oltre che di disagi della popolazione e di minor controllo della criminalità.

 

    3. Il bilanciamento tra queste esigenze, che possiamo considerare tradizionali, e che in effetti ha già registrato un primo approccio attraverso la razionalizzazione delle ex sedi distaccate di pretura, oggi deve farsi carico anche di fenomeni più recenti. Il più evidente di questi è la crescente necessità di specializzazione dei magistrati, voluta dall’affacciarsi di materie a sempre maggior grado di tecnicismo, dal raccordo con ordinamenti sovranazionali, e all’opposto con settori e legislazioni particolaristici, dalla sofisticazione delle condotte criminali, e dalla sempre più ampia proiezione sociale degli effetti di molte decisioni.

 

    Nè si possono trascurare le molteplici sentenze della Corte costituzionale in tema di incompatibilità, le quali, sancendo il divieto per i giudici di conoscere ulteriormente del singolo processo quando hanno già effettuato talune valutazioni all’interno del medesimo, esigono per ciò stesso una cospicua dilatazione degli organici degli uffici.

    A rovescio, sul fronte dell’attenzione alle esigenze di una «giustizia di prossimità», si deve considerare che l’attribuzione al giudice di pace di una competenza penale e di una più ampia competenza civile ha introdotto nell’ordinamento una nuova figura di magistrato «di vicinato», assai diffuso sul territorio e idoneo ad amministrare quella giustizia del quotidiano che rappresenta il vero valore meritevole di tutela in questa materia.

    Ulteriore punto di riflessione è il fatto che molte funzioni amministrative già affidate all’autorità giudiziaria sono ora assegnate all’autorità amministrativa, ex articoli 228 e seguenti del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51. Ne discende che una parte della burocrazia certificatoria, che affliggeva i cittadini e giustificava le richieste di uffici di prossimità, è stata progressivamente smantellata, e riduce di molto il disagio nascente da una eventuale riduzione della presenza giudiziaria in loco. Così come non va dimenticato non solo che le comunicazioni sono diventate molto più agevoli di un tempo, ma soprattutto che il «servizio giustizia» (a differenza di altri, la cui ventilata soppressione crea allarmi assai fondati, come avviene per la scuola montana, l’ufficio postale, la farmacia o simili) è un bene ad utilizzo assai sporadico da parte dei cittadini, tanto che ai più accade di non farvi mai o quasi mai ricorso, nell’intero arco della vita.

    Dunque molti di quelli che erano gli argomenti «di campanile» possono essere superati, non perchè irrilevanti, ma perchè in gran parte affievoliti da recenti riforme.

 

    4. Per individuare secondo quali direttrici strutturare l’intervento riformatore, conviene esaminare le linee di tendenza manifestatesi in un lungo arco di tempo e valutare se esse abbiano dato o meno una buona prova.

 

    Il criterio che si palesa con maggiore immediatezza è quello del progressivo accentramento delle funzioni giudiziarie che hanno in sè un qualche connotato di specializzazione, cui si contrappone una speculare diffusione delle competenze ordinarie.

    Appartengono al primo percorso il regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835, che ha centralizzato i tribunali per i minorenni a livello di distretto; similmente è avvenuto per le corti di assise, a livello di circolo (legge 10 aprile 1951, n. 287); per il tribunale e gli uffici di sorveglianza, aventi competenza rispettivamente distrettuale e pluri-circondariale (legge 26 luglio 1975, n. 354); per il tribunale del riesame, istituito dapprima su base provinciale (legge 12 agosto 1982, n. 532) e poi distrettuale (decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 553, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 dicembre 1996, n. 652); per la procura distrettuale antimafia, per il correlativo giudice per le indagini preliminari, e per la procura nazionale antimafia (decreto-legge 20 novembre 1991, n. 367, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 gennaio 1992, n. 8); nonchè per altre situazioni di minore impatto statistico ma di non minore significato (quale il tribunale per i brevetti comunitari, ex legge 26 luglio 1993, n. 302; un analogo accentramento si profilava per la materia societaria, ma la legge 3 ottobre 2001, n. 366, ha accantonato questo tipo di intervento).

    La seconda linea di tendenza è quella della diffusione sul territorio delle funzioni ordinarie, che si è manifestata dapprima con la progressiva estensione delle competenze del pretore (il quale, fino al 1989, aveva distribuzione più capillare dei tribunali, e anche ora, dopo l’istituzione del giudice unico, conserva il retaggio delle antiche sezioni staccate di pretura nella forma delle sezioni staccate di tribunale, ove si trattano gli affari demandati al giudice unico in composizione monocratica) e da ultimo si è espressa attraverso l’istituzione del giudice di pace, seguita dall’attribuzione al medesimo di una competenza anche penale (legge 24 novembre 1999, n. 468, e decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274).

    Nessuna di queste linee di tendenza ha registrato nei decenni un’inversione di rotta che significasse una sua sconfessione (solo in ordine al tribunale per i minorenni si constatano propositi di un maggiore decentramento, che tuttavia non giungono a suggerire una sua collocazione a livello di circondario). Si tratta quindi di proseguire su queste direttrici, tenendo conto delle riforme intervenute di recente.

 

    5. Due leggi emanate nella XIII legislatura hanno evidenziato, sia pure timidamente, l’esigenza di individuare, e poi di realizzare, una dimensione ottimale degli uffici giudiziari. Si tratta della legge delega istitutiva del giudice unico (legge 16 luglio 1997, n. 254, attuata con il decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51) e della legge delega sui cosiddetti tribunali metropolitani (legge 5 maggio 1999, n. 155, e successivo decreto legislativo 3 dicembre 1999, n. 491).

 

    La prima persegue l’obiettivo di ampliare gli organici troppo piccoli attraverso l’unificazione degli uffici. La seconda persegue l’obiettivo inverso di alleggerire gli organici troppo grandi, attraverso l’istituzione di nuovi tribunali limitrofi (ma in numero di due soltanto), e soprattutto attraverso lo scorporo di territorio verso i tribunali contigui.

    Entrambe le leggi raggiungono solo parzialmente lo scopo, ma indicano la via da seguire. Le riflessioni svolte sul tema dell’ampiezza ottimale dell’organico degli uffici giudiziari non hanno prodotto (nè, forse, potevano produrre) una risposta univoca e condivisa, ma hanno individuato almeno un ordine di grandezza al quale è bene ricondurre gli organici degli uffici giudiziari.

    Esso deve consentire, sul fronte della dimensione minima, di attuare una certa quale specializzazione dei magistrati (e di riflesso la formazione di pool negli uffici di procura); di rimediare alle molteplici incompatibilità sancite dalla Corte costituzionale e dalle leggi; di assorbire gli inconvenienti derivanti dalle assenze e dai trasferimenti (a loro volta già meglio fronteggiabili attraverso l’istituzione dei magistrati distrettuali, ex articolo 4 della legge 13 febbraio 2001, n. 48); di realizzare risparmi per quanto concerne determinate strutture (aule bunker, carcere di prossimità, biblioteca qualificata, servizi informatici particolari, e simili).

    Va aggiunto che un organico di questa dimensione permetterebbe altresì di realizzare una «controriforma» molto sollecitata, e cioè il ritorno del tribunale del riesame nel capoluogo di provincia, anzichè nel solo capoluogo del distretto (al quale è stato trasferito nel 1996 proprio per l’insufficienza di molti tribunali provinciali a reggere la doppia competenza). Con tutta la prudenza e l’approssimazione del caso, si può ritenere che un organico ideale non dovrebbe scendere al di sotto di quindici unità, e possibilmente tendere alla ventina.

    Sul versante opposto, della dimensione massima, è opinione diffusa che l’organico dell’ufficio giudiziario non deve essere così esteso da spezzare il rapporto quotidiano e agevole tra le varie unità, e soprattutto tra il dirigente ed i magistrati, nè tale da costringere ad una moltiplicazione di funzioni amministrative ed organizzative, che assorbono per intero il dirigente o addirittura una pluralità di magistrati, così da snaturarne le professionalità. E’ notorio che proprio gli uffici elefantiaci sono quelli che nascondono le sacche più sgradevoli di scarsa laboriosità. Anche a questo riguardo, con la debita elasticità, si può ritenere che l’organico non dovrebbe mai superare il centinaio di unità, e possibilmente addirittura la soglia di 70-80 unità.

    I due estremi ora detti (circa 15-20 e circa 80-100 unità) non devono evidentemente funzionare da «letto di procuste» aritmetico, sopprimendo chi sta sotto e scorporando chi sta sopra i due livelli. Ma certo possono e debbono fungere da orientamento nell’intervento razionalizzatore, al quale deve comunque accompagnarsi una preventiva ricerca di quale sia il carico di lavoro ottimale per ciascun magistrato, sia pure con l’elasticità e la prudenza che esige la quantificazione di un lavoro delicato e atipico come quello del magistrato.

    6. Accanto al criterio della dimensione ottimale, si colloca un’indicazione di opportunità, quella di non moltiplicare e non divaricare eccessivamente i livelli amministrativi dei servizi presenti su un certo territorio, che spesso sono già di per sè assai frastagliati. Perciò sembra opportuno far coincidere, tendenzialmente, il distretto con la regione e il circondario con la provincia (la città metropolitana, di recente ingresso nella Costituzione, non introduce alterazioni al disegno, concernendo solamente i grandissimi centri, ai quali già si indirizza la tematica della dimensione massima). Resta aperta, ovviamente, la possibilità di conservare tribunali sub-provinciali o di sopprimere tribunali provinciali quando specifiche esigenze lo giustifichino (e altrettanto si dica per le corti di appello in relazione alla dimensione regionale), ma la linea di tendenza sembra dover essere quella.

 

    7. Infine, sempre nella prospettiva di conciliare razionalizzazione e tutela del territorio, la soppressione di determinati tribunali o corti non potrà significare – come sempre la si è interpretata nel passato, e come ancora oggi la si legge nelle molteplici manifestazioni di allarme locale – la totale rimozione dell’ufficio giudiziario. Un presidio giudiziario deve permanere, e permarrà in ogni caso come sede staccata del tribunale, o della corte, ai quali la sede verrà connessa: quindi, quel particolare territorio conserverà comunque un ufficio chiamato a trattare tutti gli affari devoluti al giudice in composizione monocratica, vale a dire all’incirca l’80 per cento del volume complessivo.

 

    Correlativamente, la riforma si presenta come occasione favorevole per prevedere la presenza, presso la sezione staccata del tribunale, anche di un ufficio di procura della Repubblica, pur esso concepito come articolazione dell’ufficio di procura presso il tribunale. Una riforma di questo genere consente una maggiore vicinanza con gli organi di polizia operanti sul territorio, una contiguità con l’ufficio del giudice delle indagini preliminari, un raccordo meno faticoso con il giudice di pace e una giustificazione dell’edilizia penitenziaria decentrata.

    Questa mitigazione delle soppressioni radicali, e la connessa correzione in tema di procure della Repubblica, rendono assai più accettabile l’intervento riformatore.

 

    8. Passando ad una prima individuazione dei confini di tale intervento, si deve rilevare che la riforma del giudice unico di primo grado ha già arrecato un sensibile beneficio, cancellando di per sè le posizioni di estrema esiguità dell’organico. I tribunali che prima avevano un organico minimo di 4 unità (con pretura e procura contigue aventi a loro volta un organico minimo di 3 unità), ora, avendo accorpato la pretura, contano su almeno 7 unità. E così progressivamente. Ciò significa che tutti gli uffici i quali prima avevano un organico intorno alle 10 unità, ora vengono già a trovarsi assai prossimi all’organico ritenuto ideale. Tuttavia molti ne restano ancora lontani, anche per il fenomeno non sempre provvido del moltiplicarsi delle province.

 

    Su 106 province, solo 77 sono oggi sede di un tribunale che conta almeno 15 giudici. Dunque ben 29 non raggiungono la soglia ritenuta minima, e 9 non superano nemmeno le 10 unità. In due casi la soglia minima non è raggiunta neppure dal capoluogo di regione (Campobasso e L’Aquila). Per converso, su 165 tribunali, 59 sono sub-provinciali. Applicando con rigore la somma dei due criteri sopra enunciati, dovrebbero essere soppressi ben 88 tribunali, 59 perchè sub-provinciali, e 29 perchè sottodimensionati sebbene aventi sede nel capoluogo di provincia.

    I criteri anzidetti, tuttavia – come già si è anticipato – non possono venir applicati in modo automatico. Per intanto è del tutto giustificato conservare i tribunali sub-provinciali che hanno un volume d’affari, e quindi un organico, ampio e bastevole a perseguire gli obiettivi di cui si è detto. Essi sono (salvi errori dovuti a mutamenti recenti), in numero di 11, e precisamente Busto Arsizio, Monza, Velletri, Torre Annunziata, Nocera Inferiore, Santa Maria Capua Vetere, Trani, Palmi, Locri, Termini Imerese e Marsala.

    Un ulteriore correttivo discende dalla necessità di avere riguardo a determinate specificità locali, prevalenti rispetto all’esigenza di conseguire una dimensione ottimale. Si tratta di quelle aree nelle quali il presidio giudiziario completo (cioè non la sola sede staccata, ma anche il tribunale e la procura) è richiesto o dalla geografia o da peculiarità socio-economiche. Di queste problematiche si è già fatta carico la legge 16 luglio 1997, n. 254, istitutiva del giudice unico, prevedendo per la istituzione delle sedi staccate del tribunale un’attenzione specifica a «estensione del territorio, numero di abitanti, difficoltà di collegamenti, indice di contenzioso sia civile che penale». Questi parametri vanno ripresi, se mai aggiungendone altri, quali l’elevato indice di criminalità organizzata e la presenza di importanti insediamenti produttivi o commerciali.

    Di regola, tribunali sub-provinciali di questo genere hanno già un organico consistente, che li sottrae di per sè alla prospettiva di una soppressione, ma vi sono alcune realtà da valutarsi oculatamente, soprattutto sotto il profilo della difficoltà delle comunicazioni, per le quali la deroga appare giustificata. A questi parametri deve fare riferimento una oculata delega.

    9. La citata legge n. 155 del 1999, sui tribunali metropolitani, non ha purtroppo risolto, se non in misura modesta e inadeguata, il problema dei grandissimi uffici. Delle tre vie d’uscita che essa prospettava per alleggerirne le dimensioni, l’una (l’istituzione di tribunali vicini, per sottrarre competenza territoriale) è stata pochissimo usata, per ragioni di costi, e non è da incoraggiare, perchè accresce il numero degli uffici senza una reale utilità, sposta i cittadini del concentrico, con poca attenzione alle loro esigenze, e soprattutto non alleggerisce se non in minima misura la congestione dei grandissimi tribunali, poichè il capoluogo continua a gravitare tutto sull’ufficio che ha ivi sede.

    L’altra formula (annessione di territorio ai tribunali vicini) è stata quella più praticata, ma si è rivelata poco fruttuosa. Il trasferimento degli affari dal grande ufficio a quello periferico non supera il valore del 10 – 20 per cento nel migliore dei casi, ed è causa di disagio per i cittadini. Ridurre un organico da 200 a 170 unità non è la soluzione del problema, anche perchè si è constatata una forte tendenza dei tribunali metropolitani a non cedere organico, asserendo che l’alleggerimento serve appena a riequilibrare il carico di lavoro.

    Dunque diventa indispensabile utilizzare la terza ipotesi di lavoro, che invece non ha avuto alcuna applicazione: l’articolazione del tribunale metropolitano in più uffici (la «suddivisione territoriale del comune capoluogo», di cui parla l’articolo 1 comma 1, lettera a), della legge 5 maggio 1999, n. 155). Ciò può avvenire nel senso orizzontale o geografico, e cioè frazionando l’area urbana e para-urbana in aree settoriali distinte, ciascuna facente capo ad un ufficio; ovvero nel senso verticale o giuridico, e cioè costituendo distinti uffici aventi competenza nei settori civile e penale (il che comporta che il frazionamento si limiti a due unità, ancora insufficienti nel caso di uffici che contano parecchie centinaia di unità).

    Non va taciuto che la formula più opportuna, e cioè quella del frazionamento in varie unità compiute e settoriali, presenta problemi ordinamentali. Se si attribuisce a ciascun ufficio una piena autonomia, la mobilità del personale tra l’una e l’altra unità dovrà realizzarsi nelle forme del concorso; si creeranno doppioni talora non necessari o antieconomici (ufficio corpi di reato, sala intercettazioni, economato, e simili) e soprattutto sorgerà l’esigenza (quanto meno per gli uffici di Procura) di un coordinamento superiore che riconduca le articolazioni ad unità, almeno direttiva.

    Sembra quindi preferibile costituire delle articolazioni nettamente distinte quanto a competenze, sede, organico e strutture (del tipo tribunale – 1, 2, 3 e così via), ma mantenere un vertice unitario presso una di esse, individuando una nuova figura di capo dell’ufficio per ciascuna unità, a somiglianza dell’aggiunto per gli uffici di procura.

 

    10. Un forte intervento razionalizzatore deve essere effettuato anche a proposito delle corti di assise e delle corti di appello.

 

    La competenza delle corti di assise è stata progressivamente ridotta, ed è attualmente assai limitata. La riforma del rito abbreviato, introdotta dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, ha reso particolarmente appetibile questo rito quando la pena edittale molto elevata (tipica dei delitti di assise) fa sì che la riduzione della medesima, dovuta al rito, sia cospicua: cosicchè gran parte dei delitti di omicidio oggi vedono celebrarsi il processo davanti al giudice dell’udienza preliminare.

    I circoli individuati ai sensi della citata legge 10 aprile 1951, n. 287, sono ben 124, e la stragrande maggioranza di essi svolge un lavoro minimo, talora addirittura nullo, ieri con notevole spreco di danaro, per effetto dell’indennità giornaliera erogata anche per i giorni in cui non si tiene udienza, ai sensi dell’articolo 36, comma 6, della citata legge n. 287 del 1951, come sostituito dall’articolo 12 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 273 (opportunamente la legge finanziaria 2002 ha abrogato la predetta norma), oggi comunque con dispendio di attività per l’aggiornamento degli elenchi dei giudici popolari, le estrazioni, le convocazioni e gli altri incombenti, a fronte di un’attività effettiva estremamente modesta nella maggior parte dei casi.

    Applicando il criterio per cui le funzioni, per così dire, specializzate devono essere accentrate, e considerando l’esiguità del carico attuale, si può proporre che le corti di assise vengano localizzate solamente nel capoluogo di provincia e che si adotti, anche a questo riguardo, il doppio correttivo di cui sopra, sopprimendole là dove, nel corso degli ultimi cinque anni, non abbiano tenuto un numero minimo di udienze (si può ipotizzare la cifra di almeno 25 all’anno), e mantenendole, al contrario, anche nelle sedi sub-provinciali nelle quali questa cifra sia stata varcata.

 

    11. Per quel che riguarda, invece, le corti di appello, è nota la resistenza ad un discorso razionalizzatore, ed anzi la sollecitazione a moltiplicarne il numero, per cui l’approccio al problema deve essere condotto anche in chiave prospettica.

 

    Non si può trascurare che la legge istitutiva del giudice unico di primo grado ha devoluto alle corti «l’appello nelle materie civili nelle quali è competente il tribunale» (articolo 1, comma 1, lettera p), della legge 16 luglio 1997, n. 254), con ciò aumentandone la competenza. E va detto altresì che l’esigenza di specializzazione, pur sussistendo anche in questo grado del giudizio, è meno marcata che nel primo grado, sia per la maggiore anzianità ed esperienza dei magistrati delle corti, sia perchè nelle corti non si svolge, di regola, attività investigativa, sia infine perchè il giudizio di appello è un sostanziale ripercorrimento di vicende già disegnate da altri, e quindi si attenua notevolmente il bisogno di una accurata competenza specialistica nei vari campi.

    Ciò non toglie che anche in questo campo sia necessaria un’opera di prudente razionalizzazione. La corte d’appello e la procura generale assommano un cospicuo numero di figure professionali di alto grado, che non è opportuno dilatare, per ragioni di economia e di efficienza. E’ opinione diffusa e ormai condivisa che il nostro sistema non può permettersi il lusso di un modello processuale sofisticato e garantista come quello accusatorio, e nello stesso tempo un sistema di impugnazioni universale e laborioso come quello ereditato senza mutazioni dal modello inquisitorio (le considerazioni valgono anche, in parte qua, per il processo civile). Anche il nuovo disposto dell’articolo 111 della Costituzione (La legge assicura «la ragionevole durata» del processo) è diventato una vera e propria sollecitazione di rango costituzionale affinchè si metta mano quanto prima ad una semplificazione del sistema delle impugnazioni, posto che esso rappresenta uno dei campi che più incidono sulla durata del processo medesimo: e ciò porta a pensare ad una futura contrazione del lavoro delle corti.

    A ciò si deve aggiungere che il giudice di pace appare destinato ad aumentare la sua competenza e rilevanza e – che resti o meno invariato il regime di impugnazioni delle sentenze di tale giudice – il suo secondo grado di giudizio pare attestato ormai a livello non di corte ma di tribunale. Nè si deve trascurare la considerazione che il processo di secondo grado è un processo essenzialmente cartaceo e professionale, nel quale il cittadino è raramente coinvolto in modo personale: ciò riduce di molto l’esigenza della giustizia di prossimità, che deve bilanciare l’opposta semplificazione.

    La conclusione è quella di puntare tendenzialmente alla coincidenza delle corti d’appello con il capoluogo di regione; di fare ricorso, se del caso, alle sezioni distaccate, con l’utilizzo di figure professionali di tipo vicario per i ruoli apicali (attribuendo il ruolo di capo dell’ufficio al presidente della prima sezione, ovvero all’avvocato generale); di individuare la soglia di 10 consiglieri come entità minima dell’organico, tale cioè da consentire la formazione di almeno due sezioni di consistenza adeguata; di fare salva anche in questo campo la possibilità di deroga nell’una e nell’altra direzione quando circostanze particolari (distanze geografiche o carico di lavoro) lo consiglino.

    Attualmente esistono sette corti sub-regionali (Brescia, Caltanissetta, Catania, Lecce, Messina, Reggio Calabria e Salerno) e tre sezioni staccate (Bolzano, Sassari, Taranto). Inoltre talune corti, pur costituendo l’unico ufficio di secondo grado della regione, hanno un volume di affari e un organico decisamente esigui (tali sono Campobasso, Perugia, Potenza e Trento, in cui il numero dei consiglieri varia da 5 ad 11).

    Alla luce di quanto detto, talune delle corti sub-regionali, e anche taluna delle corti capoluogo, potranno essere trasformate in sede distaccata; mentre non è esclusa l’istituzione di qualche ulteriore sezione distaccata.

 


 


 


 

DISEGNO DI LEGGE

 

Art. 1.

    1. Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi, intesi ad attuare una più razionale distribuzione ed organizzazione degli uffici giudiziari, sulla base dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

        a) individuare, attraverso criteri e metodi obiettivi, il carico di lavoro di ciascun tribunale e di ciascuna corte d’appello, e definire l’organico confacente ad ognuno di essi, sulla base della produttività media esigibile da un magistrato;

        b) individuare, attraverso rilevazioni obiettive, che considerino in particolare l’esigenza di specializzazione, le incompatibilità processuali e l’efficacia dell’organizzazione, quale sia la dimensione ottimale di un ufficio unico di primo grado e di una corte di appello, sia per quanto attiene l’organico minimo, sia per quello massimo;

        c) rivedere le circoscrizioni degli uffici unici di primo grado, prevedendo tendenzialmente la conservazione di quelli che giustificano un organico non inferiore alla soglia minima individuata ai sensi della lettera b), ed altresì una loro coincidenza con il capoluogo della provincia;

        d) sopprimere gli uffici giudiziari sub-provinciali, ed altresì quelli provinciali il cui organico non giustifichi la presenza di almeno quindici giudici, o di quel valore individuato ai sensi della lettera b);

        e) prevedere che i tribunali, il cui organico sia sensibilmente superiore a quello individuato come massimo ottimale ai sensi della lettera b), siano frazionati in due o più uffici equiordinati, con previsione di adeguate strutture di coordinamento metropolitano;

        f) prevedere, nelle sedi destinate ad essere soppresse in forza dei criteri di cui ai alle lettere c) e d), il permanere di sezioni staccate del tribunale, aventi competenza per tutti gli affari devoluti al giudice unico di primo grado in composizione monocratica;

        g) prevedere che la competenza residua sia attribuita al tribunale del capoluogo di provincia; prevedere inoltre che, qualora la soppressione investa il tribunale del capoluogo, la competenza sia attribuita ad uno o più dei tribunali viciniori, secondo i criteri del minor disagio per l’utenza, della facilità di accesso, della equa distribuzione del carico di lavoro, o di altre considerazioni di natura socio-economica specifiche del territorio in oggetto;

        h) prevedere che nelle sedi destinate a conservare solamente la competenza monocratica permanga una sezione staccata anche dell’ufficio della procura della Repubblica;

        i) definire l’organico appropriato di ciascuna delle sezioni staccate di tribunale e di procura della Repubblica;

        l) prevedere una possibilità di deroga alla soppressione, prevista ai sensi delle lettere c) e d), a favore delle attuali sedi di tribunale nel cui circondario sia presente un elevato indice di criminalità organizzata, ovvero che presentino notevoli difficoltà di collegamento con il previsto ufficio unico di primo grado, ovvero che siano sede di importanti insediamenti produttivi o commerciali;

        m) prevedere che le corti di assise abbiano sede unicamente presso gli uffici unici di primo grado e sempre che, nel triennio precedente, la corte abbia tenuto un numero di udienze mediamente non inferiore a venticinque per anno, ovvero quando a tale entità si prevede che la corte possa giungere per effetto dell’accorpamento dei circoli;

        n) prevedere che le corti di appello coincidano tendenzialmente con il capoluogo della regione; che siano soppresse anche le corti d’appello aventi sede nel capoluogo di regione, qualora l’organico ad esse confacente non raggiunga il livello minimo ottimale individuato ai sensi della lettera b); che le sedi di corte d’appello da sopprimere siano trasformate in sezione staccata della corte del capoluogo, ovvero di altro capoluogo più idoneo secondo i criteri di cui alla lettera g); che siano conservate le corti sub-regionali il cui organico superi i venti consiglieri; che siano eventualmente istituite nuove sezioni staccate, qualora specifiche circostanze locali lo esigano, e sempre che l’organico da attribuire alle medesime non sia inferiore a dieci consiglieri.

 

    2. Il Governo è altresì delegato ad adottare, entro lo stesso termine di cui al comma 1, uno o più decreti legislativi recanti le norme necessarie al coordinamento delle disposizioni dei decreti legislativi emanati nell’esercizio della delega di cui al medesimo comma con tutte le altre leggi dello Stato, nonchè la necessaria disciplina transitoria relativa ai procedimenti pendenti presso gli uffici dei quali è disposta la soppressione o la nuova costituzione o la variazione di competenza.

 

    3. Gli schemi dei decreti legislativi di cui ai commi 1 e 2 sono trasmessi al Senato della Repubblica ed alla Camera dei deputati almeno sessanta giorni prima della scadenza del termine di cui al comma 1. Le competenti Commissioni permanenti esprimono un motivato parere entro il termine di quaranta giorni dalla data della trasmissione, decorso il quale i decreti sono emanati anche in mancanza del parere.

 

Art. 2.

    1. Con decreto del Ministro della giustizia, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui all’articolo 1, è determinato il nuovo organico degli uffici interessati dalle modifiche adottate in applicazione della presente legge.

 

    2. I magistrati già assegnati agli uffici dei quali è disposta la soppressione entrano di diritto a far parte dell’organico, rispettivamente, dei tribunali e delle corti di appello cui sono trasferite le funzioni degli uffici soppressi, anche in soprannumero riassorbibile con le successive vacanze. Per i magistrati titolari dell’ufficio di presidente di tribunale o di procuratore della Repubblica si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 37 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, e successive modificazioni.

    3. I magistrati onorari, già addetti quali giudici onorari o vice procuratori onorari ai tribunali o alle procure della Repubblica dei quali è disposta la soppressione, sono addetti di diritto ai tribunali ed alle procure della Repubblica cui sono trasferite le funzioni degli uffici soppressi.

 

 



SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 1426

DISEGNO DI LEGGE

d’iniziativa dei senatori CALVI, AYALA, FASSONE e MARITATI

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 21 MAGGIO 2002

 

 

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Norme in materia di istituzione di un centro superiore di studi giuridici per la formazione professionale dei magistrati, in materia di tirocinio, di distinzione delle funzioni giudicanti e requirenti, di funzioni dei magistrati e valutazioni di professionalità e norme in materia di responsabilità disciplinare dei magistrati ordinari, di incompatibilità e di incarichi estranei ai compiti di ufficio e di temporaneità degli incarichi direttivi

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Onorevoli Senatori. – Questo disegno di legge è il frutto di un dibattito decennale sui più importanti temi della giustizia in Italia.

    I presentatori di questo progetto di riforma hanno la consapevolezza della condizione assai difficile nella quale il «sistema giustizia» continua a trovarsi.

    Nonostante i progressi compiuti negli ultimi anni, riconosciuti anche da organismi comunitari, vi è ancora la convinzione che ulteriori interventi debbano trovare attuazione.

    La finalità di questo progetto di riforma è quella di soddisfare le esigenze di coloro che rappresentano l’anello debole della società: i cittadini che quotidianamente avvertono le inefficienze e le incongruenze che hanno provocato anni di incuria e di scelte rivelatesi errate.

    Con il presente disegno di legge i democratici di sinistra intendono, all’interno della più ampia coalizione dell’Ulivo, proseguire quel percorso riformatore avviato nel 1996 con i governi di centro-sinistra ed oggi seriamente compromesso dall’azione restauratrice dell’attuale maggioranza di centro-destra.

    Molto è stato fatto sulla strada della modernizzazione, molto resta ancora da fare; la direzione presa dall’attuale maggioranza ci trova in netto dissenso, e tuttavia avvertiamo la necessità di predisporre un complessivo progetto di riforma che non sia rivolto a contrapporre sterilmente la nostra all’altrui iniziativa, ma sia destinato al fine assai più nobile di dotare il «sistema giustizia» italiano di regole chiare, maggiormente democratiche e più rispondenti alle reali necessità dei cittadini-utenti.

    Ma ancor prima di questo ci proponiamo di favorire l’avvio di un dibattito serio, scevro da preconcetti e posizioni ideologiche, nel quale l’opposizione non sia solo un avversario, ma sia posta finalmente nelle condizioni di apportare il proprio contributo alla discussione delle riforme da attuare.

    Del resto abbiamo sempre ritenuto, e continueremo a ritenere, che un moderno Stato democratico debba dotarsi di un efficiente sistema di regole giudiziarie, a tutela dei diritti dei soggetti più deboli e di coloro che allo Stato si rivolgono per «ottenere giustizia».

    E’ in questo senso che ogni riforma in tale campo, anche la più tecnica e tecnicistica, ha importanti e delicati risvolti sulla vita e sulle relazioni sociali dei singoli appartenenti alla comunità statuale.

    Una magistratura forte, libera e indipendente, che svolga il proprio compito all’interno di un sistema di regole chiare e democratiche, non solo è una garanzia per coloro che all’ordine giudiziario appartengono, ma lo è soprattutto per coloro che all’ordine giudiziario si rivolgono per ottenere sicurezza e tutela.

    Volendo analizzare i singoli aspetti innovativi del presente disegno di legge, è possibile rilevare come ad esempio l’obiettivo di dotare la magistratura italiana di una efficiente ed innovativa Scuola (presente, del resto, in altri paesi ormai da molti anni) nasce dal bisogno di creare una classe di magistrati sempre più preparati e attenti alle evoluzioni del diritto e della realtà, che sia al servizio del cittadino con tutto il carico di una preparazione in continuo aggiornamento e in costante evoluzione.

    La volontà di creare un sistema più efficiente di valutazione e verifica dell’operato dei singoli magistrati (introducendo le cosiddette «pagelle dei magistrati») mira a responsabilizzare l’operato di una categoria di dipendenti pubblici posta al vertice fra i poteri dello Stato, dotata di facoltà molto ampie, a volte delicatissime, a fronte delle quali vi è la necessità di approntare una costante verifica dell’utilizzo di tali poteri e una altrettanto costante valutazione della condotta dei singoli, la cui trasparenza e specchiata integrità, anche in termini di efficienza e di dedizione al lavoro, deve essere il fine ultimo da raggiungere per tutti coloro che aspirano, legittimamente, a progredire nella carriera. Con due limiti, anch’essi contenuti nel presente disegno di legge, consistenti da un lato nella necessità di assicurare la cosiddetta temporaneità nella titolarità degli incarichi direttivi, a sua volta destinata ad evitare il rischio di una burocratizzazione dell’apparato giustizia e a garantire un efficiente sistema di ricambio al vertice dei singoli uffici giudiziari, dall’altro nella opportunità di porre fine ad una pratica ancora assai diffusa, di acquisizione di incarichi estranei ai compiti del proprio ufficio, pratica doppiamente rischiosa sotto il profilo della assoluta necessità di garantire l’indipendenza dei magistrati e sotto il profilo del tempo che inevitabilmente viene sottratto ai propri compiti istituzionali.

    A fronte di tale maggiore responsabilizzazione dell’ordine giudiziario si pone però la esigenza di garantire agli appartenenti all’ordine medesimo la massima libertà da condizionamenti che, inevitabilmente e storicamente, il sistema politico, specialmente quello italiano dotato di notevole conflittualità con gli organi giudiziari, ha a volte tentato di imporre. In tale direzione si muove la auspicata distinzione delle funzioni tra magistratura giudicante e requirente, diffusamente spiegata nel resto della relazione, necessaria a porre un solido deterrente alla tentazione, serpeggiante tra molti, di operare una separazione delle carriere che, di fatto, rischierebbe di trasformare una parte consistente della magistratura in uno strumento sottoposto alle scelte di politica giudiziaria operate delle mutevoli maggioranze parlamentari.

 

TITOLO I

    La crescente richiesta di una elevata professionalità dei magistrati, intesa nel suo senso più ampio, comprensivo non solo di un bagaglio di conoscenze tecniche ma anche di conoscenze della realtà sulla quale l’attività giudiziaria va ad incidere, induce ad affrontare il tema alla radice proponendo l’istituzione della cosiddetta «Scuola nazionale della magistratura», da sempre invocata.

 

    Una tale soluzione, con il corollario dei più penetranti strumenti di preparazione e valutazione che essa comporta, consente altresì di realizzare un’oculata riforma ordinamentale, relativa alla distinzione tra le funzioni requirente e giudicante che riconosca il fondamento di istanze reali senza intaccare delicati equilibri costituzionali, come si dirà meglio nel prosieguo.

 

    1. – L’importanza della formazione professionale . – La formazione professionale può essere definita come la comunicazione organizzata di conoscenze tecniche, pratiche e deontologiche, che si aggiungono a quelle fornite dal concreto operare professionale.

 

    Se essa è importante in tutte le professioni, lo è in modo particolare per la magistratura. Per dettato costituzionale, infatti, «i giudici sono soggetti soltanto alla legge» e «si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni». Ciò significa che ai magistrati non possono essere suggeriti indirizzi od orientamenti circa l’interpretazione delle leggi, nè da poteri esterni nè dallo stesso ordine giudiziario: e quindi il giudice, più ancora di ogni altro funzionario dello Stato, ha bisogno di una formazione professionale di altissimo livello, dovendo egli da solo ricercare ed acquisire gli strumenti della sua attività.

    Questa consapevolezza – e la conseguente necessità di addivenire all’istituzione di una Scuola della magistratura, o Accademia, o Centro superiore di studi giuridici – è ormai diffusa, e molteplici sono state le sollecitazioni in tal senso.

 

    2. – Sollecitazioni ed esperienze similari. – L’invocazione di una Scuola è presente nei lavori parlamentari che precedettero il varo della legge 12 aprile 1990, n. 74, e nei lavori della Commissione parlamentare per le riforme istituzionali (seduta del 2 dicembre 1992), là dove ci si soffermò sulla differenziazione dell’ufficio del pubblico ministero rispetto alla magistratura giudicante, e sull’esigenza di abbandonare ogni automatismo nella progressione in carriera, per far luogo a reiterate verifiche della professionalità dei magistrati.

 

    Alla Camera dei deputati è stata presentata, in data 24 maggio 1996, la proposta di legge n. 1208, la quale riproduce la proposta n. 2018 della XII legislatura, avente ad oggetto il tema che qui si propone. E nella XI legislatura fu presentata, in data 10 marzo 1993, una proposta di legge avente ad oggetto la «Istituzione del Centro studi giudiziari e forensi e norme per la formazione dei magistrati ordinari e dei procuratori legali» (atto Camera n. 2374).

    Il Consiglio superiore della magistratura, in più occasioni, ha rivolto pressanti sollecitazioni affinchè sia istituita una Scuola della magistratura, che consenta la ristrutturazione della materia del tirocinio, la programmazione di una formazione permanente ed organica lungo il corso della carriera e l’occasione per innestare nella stessa dei momenti di rigorosa verifica della professionalità: una disamina accurata delle problematiche in questione si rinviene nella Relazione al Parlamento sullo stato della giustizia del 1991, e soprattutto nella Relazione del 1994, intitolata appunto al reclutamento ed alla formazione dei magistrati.

    Anche il mondo accademico, l’Associazione nazionale magistrati e varie forze politiche si sono espressi a favore di una struttura del genere.

    Lo stesso panorama legislativo vigente offre indicazioni nel senso che qui si propone. Già l’articolo 22 della legge 1º aprile 1981, n. 121, previde una struttura indirizzata all’alta formazione ed all’aggiornamento delle forze di polizia. L’articolo 17 della legge 15 dicembre 1990, n. 395, ha contemplato l’istituzione di una scuola nazionale per la formazione e la specializzazione dei quadri direttivi dell’Amministrazione penitenziaria. L’articolo 29 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, come sostituito dall’articolo 9 del decreto legislativo 18 novembre 1993, n. 470, ha ridisciplinato le attività della già esistente Scuola superiore della pubblica amministrazione (si noti, tuttavia, che il decreto legislativo 30 luglio 1999, n.  287, di riordino della Scuola superiore della pubblica amministrazione, ha abrogato il predetto articolo 29 del decreto legislativo n.  29 del 1993). Ed è noto ed apprezzato il funzionamento della Scuola tributaria centrale della Guardia di finanza. Appare quindi ormai indifferibile dotare di una struttura similare anche quella importante istituzione che è la magistratura.

    Un’ulteriore sollecitazione in tal senso viene altresì dalla constatazione che l’Italia è sostanzialmente l’unico paese europeo, fra quelli ad avanzata organizzazione, ad esserne privo. L’Ecole Nationale de la Magistrature francese (ENM) è stata creata nel 1958, ha ormai fama mondiale, e coinvolge ogni anno circa 4.000 dei 6.200 magistrati francesi. Il Centro de Estudios Judiciarios portoghese, istituito con ordinanza del 10 settembre 1979, svolge anch’esso opera altamente qualificata. In Germania la Deutsche Richterakademie, istituita a Bonn nel 1978, provvede alla formazione continua dei magistrati (sia giudicanti, sia del pubblico ministero) ed opera in parallelo con la Europische Richterakademie per il settore specifico del diritto comunitario, e con una «Accademia federale degli avvocati». La Spagna è sede della più antica scuola europea per la formazione dei magistrati (istituita sin dal 1944), e con la Ley Organica del Poder Judicial del 1985 ha sancito la nascita del nuovo Centro de Estudios Judiciales, che si ispira in qualche misura al modello francese. Strutture similari, infine, operano in Olanda (Stichting Studiecentrum Rechtspleging), Svizzera (Fondation pour la formation continue des juges suisses) e Norvegia. Anche le indicazioni comparatistiche depongono per un intervento nel senso qui proposto.

 

    3. – Motivazioni specifiche. – La necessità di una Scuola della magistratura è resa evidente anche da una serie di considerazioni oggettive di contesto.

 

    Il percorso universitario e post-universitario che adduce al concorso è attualmente in fase di profonda ristrutturazione, in forza delle innovazioni introdotte dalle leggi 15 maggio 1997, n. 127, e 13 febbraio 2001, n. 48: esso consta del triennio della laurea generica, del biennio di specializzazione e quindi dell’ulteriore anno di scuola post-universitaria.

    L’assetto è lungi dall’essere definito, e si è quindi in presenza di un livello complessivo di preparazione piuttosto fluido ed incerto, che rende necessario un periodo ed una struttura di solida acculturazione ulteriore.

    Il reclutamento dei magistrati avviene per concorso (articolo 106, primo comma, della Costituzione) ed esclude normalmente (salva l’eccezionale, e sinora mai praticata, ipotesi di cui al terzo comma dello stesso articolo 106) l’immissione «laterale» nella magistratura, cioè la possibilità di ricorso a soggetti già formati attraverso un’esperienza professionale similare.

    La preparazione preliminare al concorso è lasciata alla iniziativa dell’aspirante ed a quella di svariate scuole private, il cui obiettivo non è tanto quello di impartire una preparazione di livello superiore, quanto quello di insegnare le tecniche migliori per superare le prove del concorso.

    Il tirocinio dei magistrati è normalmente deficitario, perchè effettuato al fianco di magistrati gravati dal lavoro ordinario, e quindi impossibilitati – al di là di dedizioni personali – a fornire all’uditore giudiziario l’assistenza anche pedagogica, scientifica e deontologica necessaria per un buon apprendistato.

    Di fronte a queste carenze normative ed organizzative sta la crescita oggettiva del ruolo della magistratura, chiamata a risolvere conflitti di crescente complessità e delicatezza: il che impone l’acquisizione non solo di un elevato bagaglio tecnico, ma anche di una consapevolezza del ruolo e degli effetti del proprio agire, tanto più in un momento nel quale la necessaria intensificazione del reclutamento sta per immettere nell’ordine giudiziario una percentuale di giovani e giovanissimi magistrati mai registrata in precedenza.

 

    4. – Modalità del reclutamento e della formazione. – Per definire l’ambito di attività della istituenda Scuola occorre ricordare che la formazione professionale della magistratura (ma il discorso può essere esteso alla generalità delle professioni di alto livello alle quali si acceda per concorso) si snoda concettualmente in tre stadi successivi.

 

    Il primo costituisce l’integrazione degli studi universitari e la preparazione al concorso. Il secondo è rappresentato dal tirocinio che segue il superamento del concorso. Il terzo attiene all’aggiornamento ed al miglioramento dei magistrati che già esercitano le funzioni giudiziarie.

    Si può quindi parlare di una «formazione preliminare», di una «formazione iniziale» e di una «formazione permanente». La formazione iniziale, a sua volta, postula una «formazione complementare», da considerarsi come obbligatoria, collocata nei primi anni della carriera, con connotati intermedi tra la formazione iniziale e la formazione permanente.

    Se questo è l’assetto concettuale del fenomeno, assai variabile è l’interrelazione tra la formazione ed il momento selettivo o concorso (e quindi, di riflesso, l’ambito della possibile azione della Scuola).

    Il nostro ordinamento considera, come è noto, un unico momento selettivo (il concorso previsto dal citato articolo 106, primo comma, della Costituzione), superato il quale si entra stabilmente a far parte dell’ordine giudiziario, si effettua il tirocinio e quindi (salve eccezionali situazioni nelle quali il soggetto può ancora essere dichiarato non idoneo) si assumono le funzioni giudiziarie. Ciò comporta, di fatto, una ingentissima quantità di persone che accedono al concorso e ne rendono lunghissimi i tempi di espletamento; un tirocinio di limitata efficacia, anche perchè non accompagnato dalla previsione di un filtro finale; una selezione circoscritta ad un unico momento di valutazione tecnica, e perciò non pienamente affidabile.

    Altri ordinamenti, invece, prevedono un’articolazione concorsuale più lunga e complessa, nel senso che il concorso ingloba sia le prove di ammissione ad una struttura-scuola nella quale si effettua il tirocinio, sia il tirocinio stesso, sia infine un’ulteriore prova che lo conclude e che si unisce ad una valutazione del rendimento dell’aspirante durante l’intera fase.

    In altri paesi, ancora, l’ammissione all’esame è preceduta da un ulteriore momento selettivo, nel senso che sono previsti dei corsi preparatori, la cui frequenza è requisito per l’ammissione al concorso ed ai quali si accede solamente previo superamento di un distinto esame.

    In sostanza – e sempre con riferimento a quegli ordinamenti nei quali l’assunzione nella magistratura non avviene ricorrendo a soggetti provenienti da altre professioni forensi – si constata che l’istituto del concorso può avere diverse connotazioni ed estensioni, ma che il dato costante è rappresentato dalla presenza di una struttura stabile che organizza e gestisce quanto meno il tirocinio, anche quando poi affida, inevitabilmente, una parte del medesimo agli uffici giudiziari o a sedi esterne.

    La necessità di tale struttura è dunque evidente ed oggettiva, posto che gli uffici giudiziari e le altre istituzioni collaterali assolvono già a compiti propri e gravosi, e non possono dedicare al tirocinio se non attenzioni residue ed insufficienti. Anche sotto questo profilo, pertanto, le indicazioni comparatistiche convergono con la presente proposta.

 

    5. – Gli obiettivi della istituenda Scuola. – Da un punto di vista ideale una Scuola della magistratura dovrebbe occuparsi di tutti i momenti dei quali si è detto, e cioè della formazione preliminare, di quella iniziale e di quella complementare e permanente. Anzi, la formazione preliminare dovrebbe fornire una preparazione di base utile per accedere non solo alla magistratura, ma a tutte le professioni forensi, soprattutto a quella di avvocato, nel quadro di una comunione di cultura e di valori e di un interscambio giovevole a tutte le professioni.

 

    Un’oculata definizione degli obiettivi sconsiglia però di perseguire una struttura dimensionata su tutte queste funzioni. La preparazione post-universitaria, tanto più se resa funzionale all’accesso a tutte le professioni forensi, coinvolge molte migliaia di giovani ogni anno; presuppone una collocazione diffusa sul territorio, essendo insostenibile un lungo soggiorno di studio in una sede centrale unificante; esige strette integrazioni con molteplici università, ordini professionali ed enti territoriali, non gestibili da una struttura unitaria modellata sull’idea di scuola o di centro di alti studi giuridici. D’altra parte, nessuno degli ordinamenti stranieri presi in considerazione ha perseguito e realizzato una simile ipotesi.

    Proprio per queste considerazioni l’articolo 17, comma 113, della legge n. 127 del 1997, come modificato dall’articolo 17 della legge n. 48 del 2001, nonché la medesima legge da ultimo citata, hanno già modellato un percorso pre-concorsuale allocato in «scuole di specializzazione istituite nelle università», con ciò stesso sottraendo all’ipotesi di una scuola della magistratura quella parte che la stessa non potrebbe mai essere in grado di gestire.

    Ne discende che la istituenda Scuola dovrà occuparsi essenzialmente del tirocinio e della formazione permanente (oltrechè di altre funzioni «minori», quali la contribuzione alla formazione di magistrati stranieri nel quadro di accordi internazionali, ovvero la promozione di iniziative culturali e di studi giuridici); e che resta aperto – e da definirsi in distinta sede normativa – il problema delle modalità del concorso e del reclutamento dei magistrati, dalla cui disciplina potranno discendere nuovi campi e modi di azione della Scuola, senza che ne sia alterata la fisionomia.

    Rimane, poi, altamente auspicabile un’azione meditata ed organica volta a realizzare la formazione post-universitaria concernente tutte le professioni forensi, della quale si è detto.

 

    6. – La collocazione istituzionale della Scuola. – Problema centrale di una struttura come quella in esame è la sua corretta collocazione nel quadro costituzionale esistente.

 

    La nostra Costituzione, infatti, non si limita ad enunciare il principio che la magistratura costituisce un ordine indipendente da ogni altro potere; ma, accanto all’indipendenza, intesa come libertà di giudizio da ogni influenza, assicura altresì alla magistratura l’autonomia, intesa come potestà di organizzarsi al di fuori di condizionamenti, affidando la tutela di tali valori ad un organo apposito, il Consiglio superiore della magistratura.

    Si può osservare – ed è stato di fatto rimarcato – da un lato, che le attribuzioni specifiche del Consiglio superiore della magistratura, elencate dall’articolo 105 della Costituzione, non ricomprendono la formazione professionale dei magistrati; e dall’altro lato, che l’articolo 110 della Costituzione assegna al Ministro della giustizia l’organizzazione ed il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, tra i quali deve essere inclusa una struttura del tipo che qui si ipotizza.

    Ma è doveroso rilevare, in contraria direzione, che l’ordinamento «vivente» ha da tempo riconosciuto al Consiglio superiore della magistratura una competenza integrativa in materia di formazione professionale, essendo innegabile che essa può costituire un veicolo di potente orientamento della magistratura, e che pertanto deve essere gestita dal suo organo di autogoverno. Valgono, a titolo di esempio, l’articolo 5 del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, recante disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272, in tema di formazione dei magistrati addetti agli uffici giudiziari minorili; l’articolo 6 della legge 21 novembre 1991, n. 374, e successive modificazioni, in tema di corsi di specializzazione professionale per i giudici di pace; il decreto del Presidente della Repubblica 11 gennaio 1988, n. 116, in materia di tirocinio degli uditori giudiziari, sostituito dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 17 luglio 1998, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 171 del 24 luglio 1998. E può essere altresì ricordata la convenzione stipulata in data 23 settembre 1993 tra il Ministro di grazia e giustizia ed il Consiglio superiore della magistratura (in seguito non registrata dalla Corte dei conti), che riconosceva al Consiglio superiore tale funzione.

    D’altra parte, se il dettato costituzionale attribuisce al Consiglio superiore della magistratura il compito di operare le assunzioni e le promozioni dei magistrati, diventa inevitabile collocare nell’orbita di tale organo anche la struttura che somministra le conoscenze necessarie sia per un valido tirocinio (culminante nella assunzione definitiva delle funzioni giudiziarie), sia per una valida qualificazione professionale (premessa necessaria delle promozioni).

    Dunque, una corretta collocazione istituzionale della struttura-Scuola non può prescindere da un suo fondamentale raccordo con il Consiglio superiore della magistratura, così come deve farsi carico delle competenze e delle attribuzioni del Ministro in tema di organizzazione di quello che deve essere qualificato un «servizio relativo alla giustizia».

    Sotto il primo dei due profili, pertanto, la situazione italiana appare diversa da quella degli altri paesi alla cui esperienza pure si deve guardare. Tralasciando gli Stati nei quali la formazione professionale si acquisisce essenzialmente attraverso il previo esercizio di altre professioni, forensi od amministrative (Gran Bretagna, Norvegia, Olanda per il 50 per cento dei reclutati), si constata che in taluni paesi la «Scuola» è collocata alle dipendenze del Ministro della giustizia (Francia, Portogallo); che in altri (Spagna) essa opera bensì alle dipendenze del Ministro, ma in collaborazione con il Consejo General del Poder Judicial, avvicinabile al nostro Consiglio superiore della magistratura; in altri ancora, come la Germania, questa struttura è dislocata presso il Ministero, ma è integrata dalla presenza di magistrati, avvocati, professori universitari e funzionari pubblici, che ne accrescono sensibilmente il tasso di autonomia.

    In sintesi, si può dire che, nei paesi considerati, la Scuola opera come emanazione del Ministero della giustizia, ma con sostanziale autonomia amministrativa e finanziaria, dove non esiste un organo di autogoverno della magistratura; opera invece nel quadro di una collaborazione tra Ministero e Consiglio, là dove esiste tale organo. E si può aggiungere che il dato costante è costituito dall’autonomia della struttura sotto i profili lato sensu organizzativi; mentre la dipendenza dal Ministro (e, dove accade, anche dal Consiglio) concerne gli indirizzi culturali e didattici.

    A questa stregua – dovendosi prospettare l’istituzione di una Scuola che tragga profitto dalle esperienze straniere, ma che sia in armonia con il nostro dettato costituzionale complessivo – si può concludere richiamando non solo i già ricordati articoli 105 e 110 della Costituzione (che scandiscono le rispettive attribuzioni e competenze del Consiglio superiore della magistratura e del Ministro), ma anche l’articolo 33 della Costituzione che tutela la libertà della scienza e del suo insegnamento, assicurando ordinamenti autonomi alle istituzioni di alta cultura ed alle accademie, alle quali ben può ricondursi anche l’istituzione in esame.

    Pertanto, le indicazioni costituzionali muovono nel senso di raccordare la struttura con entrambi gli organismi costituzionali in questione, ma altresì nel senso di prevedere una struttura dotata di autonomia amministrativa, finanziaria, organizzativa e, in qualche misura, anche didattica, nei termini che saranno tra breve precisati, e che vogliono individuare una sostanziale equidistanza tra i due organismi costituzionali.

 

    7. – Rapporti della Scuola con il Consiglio superiore della magistratura e con il Ministro della giustizia. – Sempre a proposito di questo tema nodale, è stata talora invocata una propensione più marcata verso l’uno o verso l’altro dei due organi, auspicandosi, da un lato, una collocazione della Scuola all’interno del Consiglio superiore della magistratura, alla stregua di una mera articolazione del medesimo, in nome del suo preminente interesse ad occuparsi della formazione professionale dei magistrati; e dall’altro lato, una più stretta connessione con il Ministero, in nome della sua responsabilità in ordine alla dotazione economica e di personale che alla Scuola deve essere destinata.

 

    Tali indicazioni non paiono accoglibili. Quanto alla prima, sarebbe teoricamente possibile concepire la Scuola come un’articolazione interna del Consiglio superiore della magistratura, chiamato a gestirla attraverso un potenziamento delle sue risorse e del personale: ma in pratica ciò produrrebbe l’anomalo risultato di dare vita ad una parte assai più ampia del suo contenitore, e si scontrerebbe con l’inconveniente di far gestire una struttura altamente specializzata da un organismo non fornito della necessaria qualificazione, ed assorbito da una pienezza di altri impegni incompatibile con la dedizione richiesta da questo. D’altro canto, è sufficiente rilevare che, già oggi, talune funzioni riconducibili a quelle della Scuola (tipico il concorso di ammissione alla magistratura ed il tirocinio) non vengono gestite direttamente dal Consiglio superiore della magistratura, il quale si limita ad affidarle a commissioni di esame da esso nominate ed a magistrati collaboratori ed affidatari sottoposti alla sua approvazione.

    Quanto poi ad una maggior attrazione della Scuola nell’orbita del Ministro, l’obiezione centrale risiede nella ricordata architettura voluta dalla Costituzione: che il Ministero si faccia carico degli aspetti organizzativi e della dotazione delle strutture della giustizia è un dato fisiologico che vale per tutti gli uffici, e che non lo abilita a rivendicare poteri di direzione, o sia pur solo di indirizzo, in ciò che attiene all’indipendenza ed all’autonomia della magistratura, nella quale sfera opera senza dubbio l’istituenda Scuola.

    Pertanto, i necessari raccordi con il Consiglio superiore della magistratura possono e devono essere salvaguardati attribuendo al medesimo il compito di enunciare annualmente i programmi e gli indirizzi didattico-scientifici, di determinare i criteri secondo i quali i magistrati sono ammessi (e se del caso indotti) ad avvalersi della struttura e di stabilire se ed in quali modi questa fruizione può avere ripercussioni sullo status del magistrato. Così pure competerà al Consiglio superiore della magistratura di dettare le modalità di effettuazione del tirocinio, di essere destinatario delle relazioni consuntive e dei programmi attuativi dei propri indirizzi, al fine dell’approvazione, non meno che di essere adeguatamente rappresentato negli organismi nodali della struttura-scuola.

    Quanto al Ministero della giustizia, le sue competenze si esprimeranno nella predisposizione e nella organizzazione dei supporti materiali necessari al funzionamento della struttura; nella provvista del personale amministrativo ad esso necessario (impregiudicato il problema di un ruolo autonomo, che, allo stato, pare sconsigliato dalle modeste dimensioni della Scuola, almeno nel periodo iniziale); nella presenza – attraverso adeguato inserimento di suoi rappresentanti – nelle articolazioni della struttura, seppure in misura più contenuta per quel che riguarda gli organi aventi compiti didattico-scientifici; nell’essere destinatario dei rendiconti amministrativi, mentre in ordine ai programmi didattico-scientifici, la sua facoltà di proporre osservazioni nel momento delle decisioni consiliari è già assicurata dall’articolo 11 della legge 24 marzo 1958, n. 195, e successive modificazioni.

 

    8. – Le due sezioni fondamentali della Scuola. – La struttura in esame, pur avendo e conservando un carattere unitario, deve necessariamente suddividersi in due settori fondamentali: l’uno destinato al tirocinio (ed eventualmente all’esame di ingresso, qualora si addivenga in futuro anche a questa necessaria riforma); l’altro destinato alla formazione dei magistrati già in carriera (ed eventualmente anche di compiti addizionali, quali il contributo alla formazione di magistrati stranieri, nel quadro di accordi internazionali di cooperazione tecnica, e la promozione di momenti di alta cultura giuridica).

 

    Dalla netta differenziazione dei compiti discende la previsione di due sedi distinte (a somiglianza, tra l’altro, di quanto accade, con risultati positivi, in Francia, in cui l’ENM si suddivide tra Bordeaux, base del tirocinio, e Parigi, dove ha luogo la «formation continue»).

    La sede destinata al tirocinio, infatti, deve avere caratteristiche sue proprie, ricevendo gli uditori giudiziari in numero più elevato e per periodi più lunghi di quanto avviene per la formazione permanente, e svolgendo attività continuativa con peculiarità didattiche che non trovano corrispondenza nell’altra funzione. È essenziale, pertanto, che questa sede possa offrire un comfort abitativo accettabile anche per lunghi periodi di soggiorno; che abbia il sostegno di biblioteche, sale per proiezioni, strumenti informatici e, soprattutto, di numerosi locali adatti ai lavori di gruppo (il numero degli uditori giudiziari si aggira mediamente intorno ai 200 per ogni concorso, ed i gruppi devono avere dimensione non superiore alle 10 – 12 unità). Opportuna anche – sebbene non immediatamente disciplinabile per legge – la previsione di strutture sia pur modeste per il tempo libero, nonchè per la simulazione di attività giudiziarie.

    La sede destinata alla formazione permanente e complementare, invece, dovrà porre attenzione a momenti sia di presenza collettiva, sia di tipo seminariale; ad una partecipazione numericamente più contenuta (le sessioni attualmente organizzate dal Consiglio superiore della magistratura si rivolgono a un centinaio di partecipanti, ma il numero dovrà essere ridotto per una migliore resa didattica); a collegamenti anche telematici con una pluralità di centri giudiziari e di ricerca; ad una sistemazione abitativa che sia direttamente collegata con il luogo della formazione.

    Non è possibile, in questa sede ed in questo momento, individuare le sedi adatte alle due finalità. Lo strumento più adatto pare quello di affidare al Governo la scelta tra l’acquisto, la ristrutturazione o la locazione di uno o più immobili, eventualmente predisponendo una commissione congiunta che valuti le varie opportunità, e definendo quindi con regolamento l’ubicazione delle articolazioni della Scuola. Alla stessa stregua, la spesa necessaria per l’impianto dovrà essere definita alla luce delle scelte, e trovare allora idonea copertura.

 

    9. – La nuova disciplina del tirocinio. – L’istituzione della Scuola e la sua articolazione ora descritta devono essere occasione per una revisione dell’intera materia del reclutamento e della formazione dei magistrati, non solo sotto il profilo organizzativo e didattico, ma anche sotto quello ordinamentale. Un intervento legislativo che investisse congiuntamente anche questi due settori sarebbe auspicabile sotto il profilo sistematico; ma esso esigerebbe allora che l’intervento si allargasse anche alla tematica delle verifiche di professionalità e della progressione in carriera, e, in ultima analisi, all’intera riforma dell’ordinamento giudiziario, che dall’entrata in vigore della Costituzione attende invano di essere varata. Sembra quindi preferibile puntare ad un risultato intermedio più agevolmente ottenibile, nella consapevolezza che l’istituzione della Scuola non pregiudica alcuno dei punti ora elencati, ma anzi può fungere da elemento traente per giungere anche alla normativa collaterale.

 

    Pur con questa limitazione di obiettivi, una circoscritta riforma appare tuttavia necessaria sin d’ora, ed è quella che investe le modalità di effettuazione del tirocinio. Sarebbe sforzo in larga parte frustrato quello di provvedere ad una Scuola che limitasse il suo campo d’intervento alla formazione permanente, e lasciasse il tirocinio, momento-base di tutta la successiva carriera, alla sua odierna insoddisfacente dimensione.

    Attualmente la materia è regolata dal solo articolo 129 dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, il quale si limita a sancirne la durata in almeno due anni (salva anticipazione delle funzioni, che è diventata regola costante), mentre è affidata al Consiglio superiore della magistratura la disciplina analitica di tale periodo. Il Consiglio, a sua volta, ha regolato lo svolgimento del tirocinio con varie risoluzioni, l’ultima delle quali (a carattere generale) è stata tradotta nel decreto del Presidente della Repubblica 11 gennaio 1988, n. 116, sostituito più di recente dal citato regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 17 luglio 1998.

    La situazione concreta è reputata poco soddisfacente sotto almeno due profili. Il primo attiene alla durata dell’uditorato, che, sotto la pressione degli uffici giudiziari ad organico perennemente incompleto, finisce con l’essere sistematicamente abbreviata a circa un anno effettivo, se non meno.

    Il secondo attiene alla qualità della didattica, che, essendo affidata quasi per l’intero a magistrati non sollevati neppure in parte dai loro compiti ordinari, vive ai margini dei medesimi, ed ha il livello che può assumere quando è somministrata da persone non specificamente preparate e gravate da altre pesanti incombenze. La dedizione di molti affidatari non può fronteggiare un deficit strutturale, ed ancor meno valgono a contrastarlo gli sporadici incontri centralizzati organizzati dal Consiglio superiore della magistratura, non sempre in armonia con i percorsi didattici a livello locale.

    È quindi indispensabile che, pur rinviando ad altra normativa le materie collegate, l’istituzione della Scuola si accompagni quanto meno, e sin d’ora, alla definizione di una durata del tirocinio che sia immodificabile, ad una precisa qualificazione dell’attività didattica, ed alla estensione dello spirito del tirocinio ai primi anni della carriera, quando l’apprendistato è ultimato ma la formazione non può certo dirsi completa.

    Ciò si può conseguire stabilendo, per intanto, che la durata del tirocinio è di due anni, e non può essere abbreviata (per inciso, si può osservare che il costante accorciamento dell’uditorato mantiene invariata la distanza con l’entrata in servizio delle leve successive, senza quindi alcun beneficio per gli uffici giudiziari; mentre la stabilizzazione sui due anni ritarderebbe l’assunzione delle funzioni solamente la prima volta, e potrebbe, se del caso, essere compensata con un incremento di quel concorso, o con il momentaneo ritardo dei pensionamenti di quell’anno). In ogni caso va affermato con forza, a livello di principi, che la formazione dei magistrati è valore primario rispetto ad esigenze contingenti degli uffici.

    Proprio per questa considerazione, si è ritenuto necessario stabilire con legge che il tirocinio non potrà più essere caratterizzato da un apprendimento meramente tecnico-giuridico, ma dovrà essere integrato da esperienze formative (organizzate appunto dalla Scuola) presso pubbliche amministrazioni, istituti di credito, imprese, organizzazioni sindacali ed altre consimili occasioni di diretta conoscenza delle realtà sulle quali il magistrato dovrà operare.

    Correlativamente è necessario stabilire sin d’ora che il tirocinio ha cadenze temporali costanti, iniziando ogni anno alla ripresa dell’attività giudiziaria dopo la pausa estiva (15 settembre): la cadenza è resa necessaria dal fatto che, avendo il tirocinio una durata biennale, ed essendo annuali i concorsi, la Scuola si trova a dover gestire due levate concorsuali contemporaneamente, e quindi deve alternare la presenza degli uditori nella sede scolastica con la presenza negli uffici giudiziari, in un rigoroso contrappasso che richiede puntualità negli inizi e nella fine dei cicli.

    Tale innovazione potrà avere, anche a questo riguardo, effetto traente nei confronti di un allineamento alla stessa data (15 settembre di ogni anno) di tutte le vicende che comportano un trasferimento od un mutamento di status dei magistrati, con benefici effetti in tema di programmazione e di gestione del personale. Inoltre – ed anche questo tema ricade nei compiti fondamentali della Scuola – una cadenza unica dei trasferimenti consentirà l’istituzione di corsi o di sessioni dedicati a quei magistrati che chiedono di accedere a funzioni giudiziarie non mai esercitate in precedenza, così colmando (a prescindere da più articolati interventi di riforma dell’ordinamento) una grave lacuna del medesimo, più volte lamentata. L’allineamento a data fissa dell’inizio del tirocinio comporta, per necessità, anche un intervento sulla disciplina del concorso e sulla determinazione dei tempi di espletamento del medesimo. Ma questa materia esula dai limiti imposti al presente disegno di legge, e viene affidata ad altre iniziative.

–10. – Gli organismi della Scuola. – Le due articolazioni fondamentali delle quali si è detto – il tirocinio e la formazione permanente – ed i necessari raccordi tra la Scuola, il Consiglio superiore della magistratura ed il Ministro portano naturalmente a definire le linee essenziali della struttura interna della Scuola.

 

    L’autonomia della struttura conduce ad individuare un organismo agile e numericamente ridotto che, in ciascuna delle due sezioni, realizzi gli indirizzi enunciati dal Consiglio superiore della magistratura nella quotidiana attività di organizzazione e di esecuzione.

    Per converso, non pare sufficiente assegnare al Consiglio superiore della magistratura la sola funzione di enunciare annualmente gli indirizzi e di controllarne a posteriori l’attuazione, essendo troppo ampio lo spazio che corre tra le due funzioni, e dovendo essergli riconosciuta anche una presenza attiva nella Scuola stessa. Allo stesso modo, appare necessaria la presenza nella Scuola di altre voci (l’università, l’avvocatura, il Ministero, eventuali altre personalità di rilievo nominabili dal Parlamento), e questa presenza non può essere assicurata nè da un ristretto comitato esecutivo o di gestione, nè dal solo Consiglio superiore della magistratura inteso come collettore dei vari indirizzi.

    È opportuno allora prevedere un organismo intermedio tra quello propriamente gestionale e gli organi o poteri esterni con i quali la Scuola deve raccordarsi. Questo organo, che può essere denominato consiglio scientifico, ha competenza unitaria per entrambe le sezioni della Scuola; rappresenta tutte le componenti di cui si è detto; elabora e concretizza gli indirizzi dettati dal Consiglio superiore della magistratura; arricchisce tali indirizzi con l’apporto delle altre componenti. Il Consiglio superiore della magistratura deve essere rappresentato in questo comitato con l’ampiezza che si conviene alla sua posizione istituzionale. Il comitato, d’altro canto, non è chiamato ad operare in modo continuativo, ma con cadenze periodiche, o comunque su impulso di una quota dei suoi componenti. Per questa ragione non è necessario prevedere il collocamento fuori ruolo dei soggetti che lo compongono.

    Altro organo unitario deve essere il consiglio di amministrazione, avente, tra gli altri e primariamente, il compito di elaborare il bilancio, organizzare la contabilità e presentare il rendiconto. In questo organo devono essere adeguatamente rappresentati il Ministero della giustizia ed il Ministero dell’economia e delle finanze.

    Accanto a questi due organismi collegiali, anche la figura del direttore deve avere competenza unitaria sull’intera Scuola e compiti di rappresentanza esterna, di coordinamento, di impulso e di verifica della corretta esecuzione dei piani. Peraltro la netta distinzione delle due sezioni della Scuola (tirocinio e formazione permanente) suggerisce la previsione di due funzioni direttive, una per ciascun settore, dotate di relativa autonomia anche reciproca. Poichè non appare conveniente moltiplicare tali funzioni direttive, prevedendo un terzo organo di raccordo di livello superiore, si ritiene adeguato (sulla linea di quanto accade nell’ENM francese) assegnare al direttore (in senso proprio) la responsabilità della sezione di formazione permanente, e contemplare altresì la presenza di un direttore del tirocinio, con funzioni di vice-direttore.

    I criteri di nomina e le attribuzioni di ciascuno degli organi anzidetti sono meglio specificati nell’articolato.

 

–11. – Il corpo docente. – Devono quindi essere previste le articolazioni di ciascuna delle due sezioni: e tra queste assume importanza fondamentale la disciplina del corpo docente della Scuola. Le soluzioni teoricamente praticabili sono comprese tra la costituzione, da un lato, di un corpo docente stabile, sia per la funzione di tirocinio, sia per quella di formazione permanente; e dall’altro lato la totale esclusione di questa stabilizzazione, con ricorso ad insegnanti di volta in volta richiesti per le loro specifiche competenze. Fra questi due estremi si collocano ovviamente varie soluzioni intermedie.

 

    L’esperienza sin qui effettuata (la formazione permanente è in qualche misura realizzata dal Consiglio superiore della magistratura da oltre vent’anni, ed offre un punto di riferimento utilizzabile) porta ad escludere il ricorso ad un corpo stabile di docenti per quel che concerne la formazione permanente. Lo sconsiglia la necessità di adattare tale settore alle reali e concrete esigenze di aggiornamento, che hanno spesso carattere di grande mutevolezza e tempestività; e lo sconsiglia altresì l’opportunità di una costante ricerca delle migliori competenze che vengono emergendo negli uffici e al di fuori di essi, stimolate dalla novità degli impegni giudiziari che la realtà propone; laddove un corpo stabilizzato di docenti, sia pur rinnovabile periodicamente, presenta il rischio di una certa qual ripetitività e burocratizzazione, e dà certezza di non poter offrire la necessaria polivalenza richiesta con urgenza dalla novità (si pensi allo sfasamento temporale tra l’emergere di una certa problematica – ad esempio talune tecniche di riciclaggio – e l’elaborazione sistematica che viene poi offerta dall’accademia).

    Diverso può essere il discorso per quanto attiene al tirocinio, poichè in esso il rapporto con il docente si caratterizza anche per una sua continuità ed assiduità, e poichè il tipo di insegnamento all’uditore non esige tanto un’altissima qualificazione e specializzazione, quanto una buona acculturazione di base in settori ciascuno padroneggiabile da uno o più docenti. Di tal che si ritiene che, a regime, si possa prevedere un corpo di «tutori» del tirocinio, accuratamente selezionati e destinati esclusivamente a detta funzione per un periodo di tempo definito. Nella fase iniziale, tuttavia, soprattutto a causa dell’attuale mancanza di una pregressa formazione di un valido nucleo di formatori, pare preferibile ricorrere anche per il tirocinio ad un corpo variabile di docenti, nell’attesa che la sezione di formazione permanente della Scuola metta a punto anche la preparazione specifica di questi «tutori».

    D’altro canto il tirocinio, così come modificato dalla presente normativa, comporta anche fasi di apprendimento presso gli uffici giudiziari, alternate a fasi presso la Scuola, secondo cicli che si possono ipotizzare trimestrali (comunque da definirsi dal Consiglio superiore della magistratura). In questa alternanza non è affatto escluso, anzi diventa raccomandabile, che le sessioni trascorse dall’uditore presso la Scuola siano caratterizzate non più da lezioni singole e non sempre coordinate, ma da veri e propri cicli su sottotemi specifici affidabili ad uno o più docenti impegnati in modo stabile per un certo tempo, e con formule didattiche che coinvolgano una pluralità di docenti.

    L’eventuale mutamento dell’opzione, con ricorso a docenti stabili, sarà comunque sempre possibile, una volta entrata a regime la struttura-scuola, attraverso semplici interventi normativi che prevedano il collocamento fuori ruolo di questi docenti e ne definiscano lo status.

 

–12. – Il comitato di gestione. – Ciò premesso a livello generale, assume grande rilievo la regolamentazione degli ultimi due organismi interni a ciascuna sezione della Scuola, e cioè il comitato di gestione ed il servizio di segreteria.

 

    Il comitato di gestione, sfrondato di ogni compito di insegnamento diretto e collocato a valle del consiglio scientifico, assume in ciascuna sezione il compito di vero e proprio motore quotidiano della struttura. Esso deve dare concreta e definitiva attuazione alle direttive del Consiglio superiore della magistratura, già a loro volta specificate dal consiglio scientifico. Deve cioè articolare le varie sessioni di formazione nei sottotemi e nelle singole relazioni; individuare eventuali percorsi formativi snodantisi tra più sessioni e valutare l’opportunità di incoraggiare i magistrati a seguire l’intero percorso; deve provvedere all’ammissione dei partecipanti, secondo criteri obiettivi e predeterminati; deve ricercare costantemente i docenti più qualificati e reperire il materiale giudiziario adatto a formare i dossier di studio e discussione dei casi; deve coordinare le attività dei docenti attraverso eventuali incontri preliminari; offrire ai partecipanti tutti i sussidi didattici necessari; seguire i corsi e valutare l’andamento delle lezioni, sia sotto il profilo del valore del docente, sia sotto quello dell’utilità della relazione e del suo efficace inserimento nel programma complessivo; deve raccogliere ogni indicazione utile a colorare il bisogno di formazione emergente nella magistratura, e sottoporla al comitato scientifico; deve proporre e sperimentare forme di comunicazione didattica, non meno che forme di partecipazione attiva dei soggetti ammessi alle sessioni, nel quadro di una loro possibile utilizzazione come strumento di verifica della professionalità dei magistrati; deve acquisire conoscenze in merito al funzionamento delle strutture analoghe di altri paesi, e proporne l’utilizzo, se giustificato; deve propiziare la funzione della Scuola di collettore dell’iniziativa e dell’invenzione che matura nei vari uffici giudiziari, e trasmetterla agli altri; deve insomma essere il reale e costante interlocutore dei partecipanti, il concreto attuatore degli indirizzi programmatici e la quotidiana cerniera tra il bisogno di formazione della magistratura e la sua realizzazione.

    Per un simile compito è necessario prevedere un corpo di magistrati interamente dediti a questo lavoro. Il loro numero, allo stato, non può essere inferiore ad otto per ciascuna sezione (salva estensione dopo un congruo periodo di sperimentazione), e gli stessi devono essere collocati fuori ruolo. La durata del loro incarico si può definire pari a quella del direttore (quattro anni), e deve essere previsto un sistema di avvicendamento graduale, che contemperi innovazione e continuità.

 

–13. – Il segretario. – Essenziale al funzionamento della Scuola è un efficace servizio di segreteria, al quale è preposto un segretario generale che – parallelamente a quanto previsto per il direttore – ha compiti di direzione e di coordinamento dell’intero servizio, e responsabilità diretta in merito alla sezione di formazione permanente.

 

    Il servizio di segreteria assicura il disbrigo di tutti gli affari, compresi quelli relativi alla gestione finanziaria patrimoniale e contabile, provvede alle comunicazioni ed informazioni, riceve ed ordina le domande di partecipazione alle sessioni, provvede ai compensi ed ai rimborsi, aggiorna l’archivio, custodisce le installazioni ed i beni della Scuola, procura i supporti tecnologici richiesti dal comitato, gestisce la biblioteca e la pubblicazione degli atti secondo le direttive del consiglio scientifico e del direttore.

    La dotazione del personale è assicurata dal Ministro della giustizia, secondo quanto disposto dall’articolo 18 del disegno di legge.

 

–14. – Spese e bilancio. – Al fine di valutare l’esborso necessario per la realizzazione della Scuola conviene distinguere tra spesa richiesta per l’allestimento della medesima e spesa pretesa per il suo funzionamento ordinario.

 

    La prima è correlata alla scelta della sede che si riterrà di compiere. Non potendo essere il Parlamento ad effettuare tale scelta, la stessa deve essere compiuta in conformità ai criteri di massima indicati nel paragrafo 8 della presente relazione, e l’esborso sarà apprezzato in conseguenza.

    Quanto alla spesa di gestione, un ordine di grandezza è già ricavabile dall’osservazione di quanto viene annualmente realizzato dal Consiglio superiore della magistratura in tema di tirocinio e di formazione dei magistrati. Il Consiglio affronta annualmente un esborso oscillante intorno ai 2.600.000-3.100.000 euro, per una formazione permanente costituita da circa quaranta sessioni, di tre giorni ciascuna (raramente di cinque), coinvolgenti all’incirca 3.000 presenze (il numero delle persone è di regola inferiore, essendo frequenti le partecipazioni a più di una sessione). Per gli uditori sono previste ulteriori sessioni di analoga durata. Ampio risalto ha assunto, in tempi recenti, la formazione decentrata, che richiede, a sua volta, risorse.

    L’obiettivo della Scuola, una volta a regime, dovrebbe essere quello di assicurare una sessione di formazione all’anno a ciascun magistrato, vale a dire un volume di prestazioni almeno doppio di quello attuale. Il tirocinio, poi, modellato secondo quanto previsto dal paragrafo 9, assumerebbe dimensioni e costi notevolmente più elevati, dovendosi svolgere per metà presso la struttura-scuola, con indennità per gli uditori non residenti, e con costo addizionale per i docenti stabilmente dediti a questo compito.

    A titolo meramente orientativo, si può ricordare che il bilancio dell’ENM francese è stato, nel 1995, di circa 150 milioni di franchi, pari ad oltre 20.660.000 euro; e che detta Scuola ha seguito nella formazione iniziale circa 550 uditori (distribuiti su tre corsi), mentre nel settore della formazione permanente ha raggiunto oltre 1600 magistrati attraverso circa 90 momenti di formazione.

    È prevedibile che, quanto meno all’inizio, la spesa richiesta dalla istituenda Scuola sia sensibilmente inferiore. L’onere derivante dall’attuazione del Titolo I del disegno di legge viene valutato in 7 milioni di euro per ciascuno degli anni 2003-2004.

    In ogni caso, una volta istituite la struttura e le sue articolazioni nei termini sopra indicati, dovrà essere affidata delega al Governo – il quale provvederà anche su conforme parere del Consiglio superiore della magistratura – per la disciplina analitica integrativa, concernente lo status dei docenti e del personale, la dotazione del medesimo, le forme di gestione contabile ed amministrativa.

 

TITOLO II

    15. Il tema della separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti (o, con diversa espressione, della distinzione delle funzioni) occupa da tempo l’agenda politica. Con il nuovo codice di procedura penale, e ancor più con le leggi approvate in materia nel corso della XIII legislatura, le due funzioni si sono venute nettamente differenziando, per cui oggi è innegabilmente opportuna una riflessione che si faccia carico del fenomeno.

 

    Tuttavia è indispensabile avere chiare le motivazioni e l’obiettivo di ogni eventuale intervento, e sganciare il medesimo da ogni secondo fine di natura politica.

    Sul piano rigorosamente istituzionale la distinzione delle funzioni può essere funzionale a tre diversi tipi di risultati. Il primo è quello di realizzare una qualche forma di collegamento tra il pubblico ministero e la funzione di governo, e si legittima con la considerazione che l’esercizio della potestà punitiva costituisce, appunto, un capitolo dell’attività di governo. Di qui l’asserita necessità che la funzione requirente sia anch’essa soggetta a responsabilità politica; e, trattandosi di una funzione non elettiva, tale responsabilità deve tradursi in un nesso con una funzione democraticamente eletta.

    Il secondo possibile obiettivo è quello di realizzare, attraverso la distinzione tra le due funzioni, un quadro di migliori garanzie per l’accusato: poichè il pubblico ministero – si osserva – è una parte processuale, egli non può essere assimilato al giudice, ma piuttosto alla parte antagonista, e cioè al difensore, cosicchè ne esca rafforzata l’immagine di un giudice perfettamente «terzo» ed imparziale. Di qui l’esigenza di una forte sottolineatura della diversità dei due ruoli.

    Il terzo obiettivo è quello di realizzare, attraverso la separazione delle funzioni, una maggiore professionalità del pubblico ministero, che è chiamato a compiti e competenze in parte diversi da quelli del giudice, e quindi richiede una più specifica preparazione ed efficienza (per un approfondimento dei temi si rinvia, fra gli altri, a GUARNERI, Pubblico ministero e sistema politico, Padova, Cedam, 1984; DOMINIONI, Per un collegamento fra ministro della giustizia e pubblico ministero, 1979; DI FEDERICO, Obbligatorietà dell’azione penale, coordinamento delle attività del pubblico ministero e loro rispondenza alle aspettative della comunità, in «Giustizia penale», 1991, pp. 147-171; GUARNERl-PEDERZOLI, La democrazia giudiziaria, Bologna, Il Mulino, 1997; e da ultimo, con ampia panoramica, D’ORAZI, Un referendum inammissibile, in «Critica penale», 1999, fasc. I-II).

 

    16. Secondo i presentatori del disegno di legge deve, per intanto, essere rifiutato il primo obiettivo, ed il relativo corredo di giustificazioni, come argomento per introdurre una separazione delle carriere. Si può affrontare il discorso della necessità di un legame tra politica e giurisdizione, si può essere d’accordo o meno con la soggezione del pubblico ministero all’esecutivo, si può anche mettere sul tappeto il tema dell’obbligatorietà dell’azione penale; ma questi problemi non hanno alcun nesso necessario con la separazione delle carriere o delle funzioni, poichè qualsiasi risposta si intenda dare ai dilemmi ora detti, alla stessa è indifferente l’assetto reciproco delle due funzioni.

 

    Infatti un pur sommario esame comparatistico rivela che, ad esempio, in Francia sussiste uno stretto legame tra potere politico e pubblico ministero e tuttavia giudici e pubblico ministero fanno parte dello stesso corpo; che in Portogallo accade il contrario; che nel Regno Unito l’esercizio dell’azione penale è attribuito ad un servizio organicamente dipendente dal Governo, ma praticato in un quadro di grande autonomia; che in Germania la forte unitarietà di tutte le professioni giuridiche rende pressochè irrilevante un sistema formalmente separatista, e via esemplificando.

    Nel presente momento non si può non rilevare che la tradizione culturale italiana e la peculiarità del nostro attuale sistema, caratterizzato da una forte tensione tra il mondo politico ed il mondo giudiziario, rendono decisamente sconsigliabile qualsiasi soluzione che porti ad un tendenziale assoggettamento del pubblico ministero al potere politico. In ogni caso, qualora il problema fosse affrontato direttamente, di esso si dovrebbe discutere in via principale, e poi, solamente a scelta effettuata, si potrebbe valutare quali conseguenze ordinamentali ne deriverebbero in tema di distinzione delle funzioni.

    Ciò che invece non può essere condiviso è il muovere dal punto di arrivo – l’eventuale separazione delle carriere – per giungere suo tramite al punto di partenza: poichè la separazione delle carriere, una volta realizzata, sarebbe una forte premessa per puntare all’assoggettamento politico del pubblico ministero, essendo assai difficile sostenere la totale indipendenza di un corpo autonomo, numericamente ristretto, altamente professionalizzato, munito di poteri amplissimi quale il controllo sulla polizia giudiziaria, e per di più ormai sganciato dal self restraint suggerito dalla cultura della giurisdizione.

 

    17. Così pure, il terzo degli argomenti addotti a sostegno di una separazione delle carriere (la necessità di una specifica preparazione professionale) è certamente valido, ma pecca per eccesso se si pretende che esso conduca alla separazione delle funzioni. A realizzare l’obiettivo sono sufficienti più rigorosi accertamenti di idoneità nel passaggio da una funzione all’altra, un’accurata preparazione specifica, un’attenzione particolare nell’organizzazione degli uffici, un potenziamento dell’attività formativa da parte del Consiglio superiore della magistratura (CSM) o dell’auspicata Scuola della magistratura: tutte cose che non pretendono affatto interventi ordinamentali incidenti sullo statuto delle due funzioni, ma che, se mai, debbono essere affrontate a più largo raggio, e cioè considerando anche le altre numerose funzioni ad alta specializzazione presenti nella magistratura (giudici minorili, di sorveglianza, del lavoro, del fallimento e simili).

 

    In questa prospettiva, inoltre, è bene ricordare che la professionalità (del pubblico ministero in particolare, ma di qualsiasi magistrato in generale) si arricchisce non solo attraverso una preparazione specifica ed accurata, ma anche attraverso la pluralità delle esperienze professionali, che, nel caso del pubblico ministero, significa appunto l’esercizio anche della funzione giudicante. La cosa è talmente evidente (sino a che si vuole che il pubblico ministero non sia l’avvocato della polizia, ma un organo della giurisdizione) che nel progetto di raccomandazione sul «ruolo del pubblico ministero nel sistema di giustizia penale», predisposto dalla Commissione del Consiglio d’Europa il 30 giugno 2000, si prevede che «gli Stati, ove il loro ordinamento giudiziario lo consenta, adotteranno misure per consentire alla stessa persona di svolgere successivamente le funzioni di pubblico ministero e quindi di giudice, e viceversa», poichè tale possibilità «rappresenta un’ulteriore garanzia per il pubblico ministero» (Si veda Rec [2000] 19 del Comitato dei Ministri, del 6 ottobre 2000).

 

    18. Sfoltite le motivazioni, la vera ragione che può giustificare un intervento sulla materia è unicamente l’esigenza garantista, cioè la necessità di sottolineare la terzietà del giudice non solo nella sostanza, ma anche nel modo con cui essa viene percepita dai cittadini.

 

    Anche a questo riguardo, tuttavia, è necessario sgomberare il campo da equivoci. Se quella che si persegue è la sottrazione del giudice ad una pretesa sudditanza psicologica nei confronti di un pubblico ministero che è anche un collega, la semplice separazione dei ruoli, per quanto drastica e tendenzialmente definitiva, sarebbe inefficace, posto che l’organo dell’accusa continuerebbe a provenire dallo stesso concorso, dalla stessa matrice culturale, dalla stessa comunanza di valori e di stili di vita. Solo un pubblico ministero autenticamente «parte», cioè estraneo alla giurisdizione, potrebbe fugare questi sospetti e produrre una completa assimilazione alla parte-difensore. Per realizzare una piena specularità tra pubblico ministero e difensore, il primo dovrebbe collocarsi del tutto fuori dell’ordine giudiziario, a guisa di avvocato della polizia. Ma questo obiettivo, a quanto consta, non è perseguito da nessuno, e ben a ragione.

    Altre, in realtà, sono le motivazioni reali che possono talora condurre il giudice ad un diverso atteggiamento mentale nei confronti degli altri due soggetti processuali: il fatto che il pubblico ministero sia «parte pubblica», e quindi proponga le sue domande senza alcun interesse nei confronti dell’accusato (il che non verrebbe meno neppure in un regime di marcata separazione); il fatto che il pubblico ministero, oltre ad un’omogeneità di cultura giuridica, abbia un naturale impulso ad autoconformare le sue richieste al probabile orientamento del giudice, onde evitare spiacevoli sconfessioni; il fatto che l’alto numero degli avvocati (ormai sproporzionato e fuori controllo, e contro il quale nessuno accenna a introdurre rimedi efficaci) ne abbia ridotto, a tacere del livello deontologico, l’influenza culturale sul giudice.

    Chi voglia davvero recuperare una «parità delle armi», anche psicologica, delle parti processuali davanti al giudice, è a questi dati di fatto che deve porre mano, piuttosto che ad artificiose distinzioni, alla fine destinate ad essere assai poco producenti.

    Rimosse le considerazioni tendenziose o fragili, residuano dunque quelle condivisibili: l’esigenza di rafforzare l’imparzialità e la terzietà del giudice anche sotto il profilo dell’apparenza; e l’esigenza di rafforzare la cultura, la competenza e la professionalità del magistrato che aspira ad esercitare funzioni inquirenti. Ad esse, pertanto, deve mirare l’intervento riformatore.

 

    19. Per potenziare l’immagine di imparzialità del giudice, cioè il modo con cui il giudice viene percepito dall’opinione pubblica, e in specie dall’accusato, lo strumento più idoneo appare il ricorso a forme penetranti di incompatibilità, secondo quel modello concettuale che la Corte costituzionale ha particolarmente elaborato nell’ultimo decennio, e che consiste essenzialmente nell’allontanare il giudice chiamato a decidere da tutto ciò che ha a che fare con un suo precedente contatto con la causa da decidere.

 

    I modelli teorici atti a realizzare il distacco delle due funzioni, e di riflesso la massima «terzietà» del giudice, possono raggrupparsi intorno ai seguenti poli, impregiudicata la possibilità di ulteriori articolazioni all’interno di ciascuno di essi:

        a) la definizione di una serie di incompatibilità all’esercizio di una funzione negli uffici nei quali si sia esercitata l’altra;

        b) un sistema a concorso unico, ma con opzione ad inizio carriera e successiva separazione di ruoli, tendenzialmente definitiva (salve limitate e rigorose ipotesi di passaggio);

        c) un sistema di separazione radicale, attraverso concorsi separati e ruoli organici distinti.

 

    20. A giudizio dei proponenti le opzioni sub b) e sub c) devono essere escluse sia perchè manifestamente eccessive rispetto allo scopo, sia perchè produttive di risultati molto negativi per il servizio. La separazione dei ruoli (sia pure dopo l’espletamento di un concorso unico; ma a maggior ragione se il concorso fosse distinto), con sostanziale irreversibilità della scelta una volta compiuta agli inizi della carriera (salve laboriose «passerelle» dopo un congruo numero di anni), avrebbe come prevedibili risultati, da un lato, quello di orientare la grandissima parte dei neo-magistrati verso le funzioni giudicanti, per la molteplicità dei «mestieri» che queste offrono, a fronte dell’unico tipo di lavoro insito nella funzione requirente (preclusione che il giovane difficilmente accetta per tutto il proprio futuro professionale); dall’altro lato, quello di consolidare forzatamente nella funzione prescelta la stragrande maggioranza dei magistrati, compresi coloro che, dopo qualche anno di esercizio, si scoprissero poco adatti alla stessa, o comunque poco desiderosi di continuare a restarvi per tutta la carriera. Si produrrebbe quindi un elevato numero di magistrati (soprattutto inquirenti) inadatti al ruolo, demotivati e scontenti, con scadimento della qualità del servizio, e con danno per il cittadino «utente».

    21. Conclusivamente, al fine di offrire un’immagine di piena terzietà del giudice, appare preferibile e sufficiente la prima delle opzioni sopra elencate, e cioè una tecnica di distinzione delle funzioni attuata attraverso l’impiego della nozione di incompatibilità.

 

    A questo fine si può stabilire:

        a) il divieto di esercitare le funzioni diverse nell’ambito dello stesso ufficio giudiziario;

        b) il divieto di esercitare funzioni diverse in grado di appello nell’ambito dello stesso distretto;

        c) il divieto di tornare ad esercitare le funzioni nell’ufficio di provenienza prima di un determinato periodo;

        d) l’obbligo di rimanere nella funzione prescelta (salvi i trasferimenti all’interno della medesima) per un tempo superiore a quello richiesto dall’ordinamento giudiziario per i trasferimenti ordinari.

 

    All’interno di questa opzione, taluni preferiscono estendere l’incompatibilità all’intera area del distretto: ma la tesi appare inutilmente punitiva (e quindi dannosa ai fini della ricerca di una pluralità di esperienze professionali in capo al magistrato: si veda paragrafo 17), e disarmonica rispetto ad altre situazioni.

 

    Infatti, da un lato, la pretesa di mettere una maggiore distanza geografica tra il luogo delle precedenti e il luogo delle attuali funzioni è poco significativa, ed anzi è frustrata quando si tratti di circondari confinanti, facenti parte di distretti diversi (il pubblico ministero di La Spezia potrebbe essere assegnato come giudice alla vicina Massa, ma non alla lontana Imperia).

    Dall’altro lato, la distinzione delle funzioni ha già avuto una sua disciplina in capo alla figura del giudice di pace, che non è meno appartenente all’ordine giudiziario di quanto lo siano i magistrati, e che, anzi, assommando di regola nella stessa persona fisica la qualità di avvocato e di giudice, rende ancora più evidente la necessità della scansione tra i due ruoli. Orbene, in forza del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, l’incompatibilità tra l’esercizio della professione forense e quello della giurisdizione onoraria è limitata al circondario, nel senso che l’avvocato-giudice di pace non può esercitare questa seconda funzione nel circondario del tribunale in cui risulta iscritto all’albo (oltre che davanti all’ufficio del giudice di pace di appartenenza), e quindi può, nell’ambito dello stesso distretto, e addirittura nell’ambito della stessa sede, svolgere le funzioni di giudice e di avvocato-parte, senza che ciò abbia suscitato riprovazione alcuna.

    Appare pertanto legittima, e coerente con il sistema quanto a dimensione territoriale dell’incompatibilità, la soluzione sopra proposta.

 

    22. Ai fini dell’altro obiettivo ritenuto valido, e cioè quello di un innalzamento della professionalità dei pubblici ministeri, è opportuno, per intanto, regolare l’iniziale accesso alle funzioni non solo in base al desiderio del neo-magistrato (la cui indicazione, allorchè è chiamato a scegliere la sede delle prime funzioni, è spesso orientata da aspirazioni di natura familiare, o da altre finalità che poco hanno a vedere con le esigenze del servizio), ma anche in base alle sue attitudini, prudentemente vagliate. Di qui la previsione di un giudizio attitudinale in esito al tirocinio, da cui discenda l’inammissibilità alla funzione prescelta, se di marcata inidoneità, e che si combini con la graduatoria conseguita in caso contrario.

 

    Oltre a ciò, è indispensabile rendere più accurato il vaglio di professionalità che deve precedere il mutamento delle funzioni, da attuarsi non solo attraverso un giudizio rigoroso ed informato, sulla scia di quanto già previsto dall’articolo 190 dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, ma anche attraverso il previo assoggettamento del richiedente a congrui periodi di formazione. E poichè non solo il passaggio dalle funzioni giudicanti alle requirenti, o viceversa, richiede la dimostrazione di attitudini e di preparazione, ma anche molti altri mutamenti di «lavoro» hanno le medesime esigenze, e talora anche maggiori (v. gli esempi addotti nel paragrafo 17), è del tutto ragionevole prospettare un vaglio di professionalità altrettanto accurato quando il passaggio investe queste funzioni aventi forti connotati di specializzazione, e sempre che il richiedente non le abbia esercitate in precedenza in tempi non troppo lontani.

 

    23. Infine, per conseguire anche il terzo degli obiettivi meritevoli (la pluralità delle esperienze professionali), occorre considerare che un sistema il quale renda molto impegnativo, o che comunque disincentivi il passaggio dall’una all’altra funzione, finisce con il produrre una negativa immobilità nei vari «mestieri» della giurisdizione. La magistratura italiana è già ora piuttosto «stanziale», ad eccezione dei primi anni di carriera nei quali si insegue la sede più prossima agli interessi familiari: un’ulteriore dissuasione dalla mobilità condurrebbe ad un abbassamento della qualità dei magistrati, soprattutto dei pubblici ministeri, con perdita di dinamismo, di invenzione, di motivazione al ruolo.

 

    Queste considerazioni, da un lato, ribadiscono la già illustrata scelta di escludere una radicale distinzione dei ruoli organici, così come una qualsiasi disciplina del passaggio che faccia perdere al magistrato mutante funzione l’anzianità già maturata nel ruolo a quo, poichè, in caso contrario, il transito sarebbe del tutto teorico, e si comprometterebbe completamente l’obiettivo.

    Dall’altro lato, suggeriscono di stabilire per legge (sia pure lasciando al CSM l’elaborazione concreta degli strumenti adatti) che la pluralità delle esperienze professionali è un elemento positivo, che deve essere incoraggiato in occasione di trasferimenti e promozioni.

 

TITOLO III

    24. Il presente titolo III riproduce, con limitate modifiche non rilevanti, il testo approvato con ampi consensi dalla Commissione Giustizia del Senato nella XIII Legislatura (atto Senato n.  1799 e 2107-A, comunicato alla Presidenza il 27 maggio 1997). Poichè il disegno di legge governativo era frutto, a sua volta, di un ampio e lungo dibattito che negli anni precedenti aveva coinvolto tutti gli operatori giudiziari, lo stesso viene considerato tuttora come un’acquisizione largamente condivisa e quindi al riparo da intenti di parte, o punitivi, o comunque influenzati da sollecitazioni contingenti.

 

    È’ ormai convinzione diffusa che la carriera dei magistrati abbia assunto con il tempo uno sviluppo pressochè automatico, e che i controlli sulla professionalità dei medesimi siano scarsi e poco efficaci. La promozione a magistrato di appello e di cassazione, e alle funzioni direttive superiori (di seguito: f.d.s.) è praticamente universale (le mancate promozioni si stimano nell’ordine dell’1-2 per cento, e sono molto spesso seguite da una promozione semplicemente ritardata di qualche anno). Pertanto si parla ormai di una selezione unicamente «in negativo», che opera solo quando il magistrato si è reso autore di fatti o comportamenti particolarmente gravi.

    Deve essere riconosciuto che le leggi 25 luglio 1966, n. 570, e 20 dicembre 1973, n. 831, note come «leggi Breganze», rispondevano ad un’esigenza profondamente avvertita nel momento del loro nascere, e cioè a quella di sottrarre la magistratura ad un assetto gerarchico piramidale, in cui la valutazione del singolo discendeva essenzialmente dai titoli e dalla conformità giurisprudenziale. Ma, se esse hanno svolto un’utile funzione nei primi tempi, in quanto hanno espanso e consolidata la cultura dell’indipendenza nel giudizio, oggi appaiono inadeguate alla diversa, e sempre più sentita, esigenza che la magistratura – ferma restando l’assoluta indipendenza del contenuto delle sue decisioni – sia anch’essa investita di responsabilità per quanto attiene l’organizzazione ed il funzionamento del servizio in generale, e sia soggetta a serie verifiche di professionalità.

 

    25. Si richiama pertanto, per economia, l’ampia relazione svolta a corredo del testo approvato dalla Commissione Giustizia il 27 maggio 1997, limitandoci a ricordarne i capisaldi:

 

        – aumento del numero delle verifiche nel corso della carriera, disposte ogni quattro anni anzichè solo al 13º, 20º e 28º anno come oggi;

        – moltiplicazione degli indicatori sulla base dei quali effettuare il giudizio;

        – ingresso di voci diverse nel procedimento valutativo, in particolare dei Consigli degli Ordini forensi;

        – possibilità per il CSM di delegare ai consigli giudiziari le valutazioni di professionalità diverse dalla 3ª, 5ª e 7ª, cioè da quelle il cui superamento legittima ad accedere alle funzioni superiori;

        – analitica definizione dei parametri in base ai quali formulare la valutazione di professionalità (capacità, laboriosità, diligenza, impegno, attitudine alla dirigenza);

        – introduzione di un sistema di sanzioni alle eventuali valutazioni non positive;

        – progressione economica collegata alla valutazione di professionalità, e cioè al conseguimento di un giudizio positivo, ma bloccata per effetto di un giudizio non positivo o negativo;

        – eliminazione del fenomeno per cui la qualifica può essere disgiunta da un effettivo esercizio della funzione corrispondente.

 

    26. Secondo il citato atto Senato n. 1799-A, il CSM non conferisce più le qualifiche di magistrato di appello, di cassazione, o di idoneo alle f.d.s., ma individua progressivamente la platea dei magistrati che, avendo superato le valutazioni terza, quinta e settima (corrispondenti agli attuali 13, 20 e 28 anni di anzianità), costituiscono il «paniere» nel quale attingere per conferire in concreto le rispettive funzioni, attraverso i concorsi. In altre parole, il conseguimento di determinate valutazioni attribuisce la legittimazione a concorrere al «posto-funzione».

 

    Il principio è condivisibile, poichè risponde meglio al dettato costituzionale secondo il quale «i magistrati si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni» (articolo 107). L’avere conseguito valutazioni positive serve, da un lato, per la progressione economica, e dall’altro lato costituisce requisito per il conferimento delle funzioni in concreto: ma non attribuisce qualifiche ordinate gerarchicamente, e quindi non diversifica tra loro magistrati che stanno esercitando funzioni uguali od omologhe. La maggiore frequenza delle valutazioni, l’accrescimento del dossier e l’inserimento di nuove voci serviranno senza dubbio a generare valutazioni meno stereotipate ed uniformi, al fine di produrre una reale mobilitazione di energie e di impegno nei magistrati meno sensibili ai loro doveri.

 

TITOLO IV

    Con il presente titolo IV si ripropongono all’attenzione ed alle decisioni del Parlamento il tema della responsabilità disciplinare dei magistrati ordinari e quello delle cause di incompatibilità, nella ferma convinzione della ormai ineludibile necessità di riordinare e razionalizzare l’intera normativa.

 

    Si tratta di tematiche da tempo entrate nel dibattito politico-istituzionale per numerose e delicate implicazioni, un dibattito cui hanno contribuito i disegni di legge presentati nelle legislature precedenti dal Ministro della giustizia, le proposte e i disegni di legge d’iniziativa parlamentare, i pareri del Consiglio superiore della magistratura, gli orientamenti espressi dagli organismi rappresentativi dei magistrati, i numerosi suggerimenti della letteratura specialistica.

    Il titolo IV del disegno di legge riprende, per buona parte, il testo presentato dall’allora Guardasigilli Flick nella XIII legislatura, con alcune modifiche scaturite da un maggiore approfondimento della materia.

    Il testo è diviso in tre capi. Il primo comprende le disposizioni generali concernenti i doveri del magistrato, l’individuazione delle ipotesi di illecito, le sanzioni irrogabili, la composizione dell’organo di giudizio disciplinare, la individuazione dell’organo di accusa (cui è attribuito anche il potere d’indagine), le cadenze cronologiche del procedimento. Il capo II raggruppa le norme procedimentali, dall’esercizio dell’azione alla chiusura delle indagini, dalla discussione alle impugnative, dal rapporto con altri giudizi ai provvedimenti cautelari. Il capo III disciplina l’intera materia delle incompatibilità e le situazioni di sopravvenuta inettitudine per malattia o per altra causa.

    In questo modo il disegno di legge, oltre ad offrire soluzioni ai punti nodali di una materia estremamente delicata, modifica per buona parte la legislazione precedente e, per il resto, razionalizza e unifica l’intero tessuto normativo. Perciò, oltre alle profonde innovazioni contenute nel testo, si colmano lacune procedimentali e si eliminano discrasie dovute alla disseminazione dell’attuale disciplina in fonti diacroniche.

    È sembrato opportuno sottolineare con una norma di apertura i doveri del magistrato, identificandoli (articolo 47, comma 1) nell’imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità e riserbo, cioè nei cinque valori fondamentali che debbono caratterizzare l’esercizio delle funzioni. L’enunciazione non ha soltanto un significato deontologico, ma una ben precisa dimensione sistematica perchè gli illeciti disciplinari vengono tipicizzati aggregandoli intorno a detti valori; essi rappresentano in tal modo i beni protetti dalla tutela disciplinare e, nel contempo, i limiti di intervento del controllo in sede disciplinare. Inoltre si prescrive che, anche al di fuori dell’esercizio dell’attività giudiziaria, il magistrato non deve tenere comportamenti tali da compromettere la credibilità della funzione, sostituendo il dato oggettivo della credibilità alle precedenti formule concernenti il prestigio dell’ordine nei suoi valori esteriori e formali.

    Ha un forte significato simbolico il richiamo al rispetto della dignità della persona in qualunque atto di esercizio delle funzioni, con un riferimento a valori costituzionali (articoli 2 e 3 della Costituzione) e una dimensione pragmatica che si collega al dovere di correttezza, benchè la regola abbia una portata molto più estesa.

    Non si è ritenuto di ribadire – per altro verso – i principi di legalità e di inamovibilità sia perchè essi risultano da specifici precetti costituzionali, sia perchè ricevono concreta conferma in articoli successivi attraverso la specificazione delle figure di illecito ed attraverso la disciplina del trasferimento di ufficio come eccezione circondata da precise garanzie.

    Quanto alla tipizzazione, si è abbandonata l’amplissima formula dell’articolo 18 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, che, pur non essendo stata giudicata illegittima dalla Consulta, ha finito per sovraccaricare il titolare dell’azione e l’organo giudicante dell’attività di assoluti intermediari rispetto alla legge per la costruzione della regola disciplinare. Il diverso indirizzo del disegno di legge conferisce assoluta terzietà alla sezione disciplinare, recepisce in buona sostanza il principio di legalità, offre garanzie al magistrato ed elimina «vuoti» o «incertezze sui fini» del sistema disciplinare.

    Come si è detto, gli illeciti riferiti all’esercizio delle funzioni sono stati raggruppati intorno ai valori cui si riferisce la tutela.

    All’articolo 48, la lettera a) del comma 1 considera quei fatti che contrastano con il dovere di imparzialità, e cioè i comportamenti tenuti allo scopo di arrecare «illegittimo danno o vantaggio ad una delle parti» (quest’ultima formula sembra preferibile all’altra della «palese violazione del dovere di imparzialità» usata in precedenti disegni di legge perchè troppo vaga e sostanzialmente tautologica), l’inosservanza dell’obbligo di astensione e l’omissione delle comunicazioni dovute al Consiglio superiore della magistratura per denunciare cause di incompatibilità.

    La lettera b) considera i fatti di scorrettezza realizzati in danno delle parti, dei difensori, dei testimoni o di chiunque abbia rapporti con l’ufficio giudiziario (l’espressione comprende gli organi ausiliari e ogni utente del servizio giudiziario), nonchè in danno di altri magistrati o di collaboratori; trattasi di comportamenti incompatibili con la dignità della funzione e con il rispetto della persona, perchè contrastano con quello standard di civile condotta che deve costituire un requisito fondamentale dell’attività giudiziaria del magistrato. Rientra in questo gruppo anche l’ingiustificata interferenza, attuata avvalendosi delle proprie funzioni, nell’attività di altro magistrato, giacchè tale interferenza può pregiudicarne l’autonomia di giudizio; la formula adottata è tale da comprendere anche il comportamento del magistrato comunque investito di poteri di direzione o di vigilanza che eserciti pressioni o compia interferenze nei confronti dei colleghi in relazione alla trattazione di affari loro affidati. In ogni caso il comportamento deve essere «ingiustificato», escludendosi così quelle forme di intervento che sono legittimate dal rapporto di gerarchia funzionale o previste da specifiche norme.

    La lettera c) raggruppa i comportamenti lesivi del dovere di diligenza professionale. Si tratta, in primo luogo, dei fatti che, pur inerendo all’esercizio della giurisdizione, rendono possibile il sindacato disciplinare: viene in considerazione anzitutto la grave violazione di legge, realizzata attraverso un atto o un provvedimento o un comportamento processuale, per assoluta mancanza di diligenza. Il grado di consistenza negativa che il fatto deve avere, anche in riferimento alle conseguenze che ne derivano, si collega al carattere «assoluto» della negligenza come causa della violazione. La seconda ipotesi riguarda il travisamento dei fatti dovuto – anche qui – al difetto assoluto di diligenza nell’esame delle risultanze processuali.

    C’è da notare che queste prime due ipotesi ricomprendono le fattispecie previste dall’articolo 2, comma 3, lettere a), b) e c), della legge 13 aprile 1988, n. 117, sulla riparazione dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati, ove si prevedono, come colpa grave: «la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile» (lettera a); «l’affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento» (lettera b) e «la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento» (lettera c). Nel disegno di legge la seconda e terza fattispecie di colpa grave sono state unificate nella formula onnicomprensiva di «travisamento dei fatti».

    Un’altra ipotesi attiene al perseguimento di fini diversi da quelli di giustizia e ricomprende condotte che hanno finalità estranee agli obiettivi istituzionali della giurisdizione. La stessa lettera c) del comma 1 dell’articolo 48 del disegno di legge contiene la previsione dell’assenza di motivazione, allorchè sia richiesta dalla legge. Essa costituisce senza dubbio un caso di violazione della legge, ma non è connotata dalle condizioni che rendono rilevabili la fattispecie generale: si è voluto, in realtà, sottolineare come sia importante che il magistrato dia conto e ragione di ciò che compie nell’esercizio delle funzioni, e quindi tale specifica previsione non è circoscritta ai provvedimenti cautelari secondo una tendenza che viceversa fu recepita in un altro disegno di legge. All’ipotesi della assoluta assenza di motivazione si è parificata, inoltre, quella della cosiddetta «motivazione apparente», in quanto altrettanto costitutiva di una violazione di legge.

    Allo stesso tipo di illecito disciplinare per violazione del dovere di diligenza si è ricondotta l’adozione di provvedimenti non consentiti dalla legge che abbiano leso diritti personali o, in modo rilevante, diritti patrimoniali. In tali previsioni risulta compreso anche l’articolo 2, comma 3, lettera d), della legge 13 aprile 1988, n. 117: per un verso («provvedimenti concernenti la libertà personale fuori dai casi consentiti dalla legge»), nell’ipotesi di provvedimenti non consentiti dalla legge che abbiano leso diritti personali; per altro verso («provvedimenti concernenti la libertà personale senza motivazione»), nell’ipotesi di provvedimenti privi di motivazione o con motivazione apparente.

    L’inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni di servizio costituisce illecito disciplinare se cagiona un apprezzabile pregiudizio per l’attività dell’ufficio (altrimenti sarebbe oggetto di sanzione – ad esempio – anche un occasionale e modesto ritardo nell’inizio dell’udienza), e cioè nel caso in cui l’inosservanza sia «reiterata» o «grave». Costituisce violazione del dovere di diligenza professionale l’affidamento ad altri del proprio lavoro: si è preferita tale formula (piuttosto che quella di «affidamento a terzi della redazione dei provvedimenti») per ricomprendervi sia le ipotesi in cui è gravato un altro magistrato sia quelle in cui ci si disimpegna ingiustificatamente da attività diverse dalla redazione di un provvedimento. Quanto all’inosservanza dell’obbligo di residenza, occorre partire dalla constatazione che oggi, per lo sviluppo e la rapidità dei mezzi di comunicazione e per problemi e difficoltà ambientali, il dovere di risiedere nello stesso comune sede dell’ufficio non ha quel rigore che giustamente aveva in altri tempi, pur conservando la sua validità precettiva; si è ritenuto, quindi, di considerare illecito disciplinare l’inosservanza dell’obbligo di residenza nel duplice presupposto che manchi la cosiddetta autorizzazione a risiedere fuori circoscrizione e ne sia derivato in concreto un pregiudizio all’adempimento dei doveri di diligenza.

    La lettera d) del comma 1 dell’articolo 48 del disegno di legge comprende gli illeciti che derivano da violazioni del dovere di laboriosità. Rientra in questo gruppo il reiterato ritardo nel compimento di atti, sempre che sia «grave» o, se non grave, sia «ingiustificato»; si noti che non occorre l’abitualità ad integrare l’illecito, bastando ripetute violazioni anche prive del carattere dell’abitualità. Vi rientra la scarsa laboriosità rapportata al carico dell’ufficio, quindi valutata con criterio relativo; vi rientra infine l’abituale esenzione dal lavoro giudiziario (compresa la redazione dei provvedimenti) da parte del dirigente l’ufficio o del presidente di sezione o di collegio, volendosi con ciò recidere certe prassi secondo cui chi dirige o presiede si autoesclude dall’esercizio di altre funzioni e, soprattutto, dal redigere provvedimenti. Il fatto deve, comunque, essere privo di giustificazione: si è considerato, in sostanza, che, principalmente negli uffici di grandi dimensioni, l’attività di direzione è connotata da aspetti amministrativi ed organizzativi spesso del tutto assorbenti; in questi casi l’esenzione dal lavoro giudiziario può trovare adeguata giustificazione.

    Un’ulteriore ipotesi di illecito riconducibile al difetto di laboriosità è stata vista nell’inosservanza dell’obbligo di rendersi reperibile per esigenze dell’ufficio, nei casi in cui questo è imposto dalla legge o da disposizione di organo competente.

    La violazione del segreto d’ufficio o la rivelazione del contenuto di atti coperti dal segreto istruttorio configurano specifiche ipotesi di reato; si è ritenuto, però, di ipotizzare, nella lettera e) del comma 1 dell’articolo 48, comportamenti che, restando al di fuori della sfera penale, determinano la divulgazione di atti del procedimento coperti dal segreto o di cui sia previsto il divieto di pubblicazione. Si tratta di comportamenti che possono risalire a difetto di diligenza ovvero a scarsa ponderazione e che pregiudicano il corretto svolgersi dell’attività giurisdizionale.

    Nella stessa lettera e) si è ritenuto di prevedere come illecito disciplinare anche la violazione del dovere di riservatezza: per gli affari in corso essa è rilevante sempre, perchè contrasta con la deontologia il riferire o divulgare fatti propri della «vicenda processuale» che il magistrato sta trattando, mentre per gli affari definiti la rilevanza disciplinare si ha solo quando la violazione della riservatezza possa arrecare pregiudizio a diritti altrui.

    La lettera f) del comma 1 dell’articolo 48 comprende le omissioni imputabili al dirigente l’ufficio o al presidente di sezione o di collegio e concernenti il non aver comunicato fatti compiuti dai magistrati dell’ufficio, della sezione o del collegio che possono costituire illecito disciplinare, ovvero non aver comunicato cause di incompatibilità inerenti a tali magistrati. Trattasi di illeciti complementari a specifiche figure previste in altre lettere, o a ciascuna delle ipotesi di illecito previste in tali lettere, e che perciò non potevano non essere collocate dopo le previsioni principali.

    Per ciascun gruppo di illeciti (tranne quelli di cui alle lettere e) ed f), che esauriscono con la tipizzazione le ipotesi possibili), è stata usata la formula: «ogni altra violazione del dovere», in modo da consentire la punibilità di comportamenti «non nominati» lesivi degli interessi protetti. Si evita così il ricorso ad una clausola di chiusura unica che, nella sua generalità e genericità, finirebbe per attenuare – se non addirittura per elidere – lo scopo della tipizzazione; infatti, il collegamento sistematico tra i valori espressi nell’articolo 47, la previsione di illeciti raggruppati secondo tali valori nell’articolo 48 e la clausola per ciascun gruppo offrono ai titolari dell’azione e alla stessa sezione disciplinare criteri ben precisi per l’individuazione di «illeciti non nominati».

    Da notare, infine, che la formula usata a chiusura della lettera a) sempre dell’articolo 48 non reca l’aggettivo «rilevante», a differenza di quella relativa agli altri gruppi, in quanto si è ritenuto che qualunque violazione del dovere di imparzialità costituisce illecito disciplinare, stante l’importanza del valore tutelato.

    Nel comma 2 dell’articolo 48 si è ritenuto di dover ribadire il principio della insindacabilità dell’attività giurisdizionale, per il valore assoluto chè le è proprio – salve le limitate e specifiche eccezioni, compatibili con l’affermazione del principio – e per una sorta di simmetria normativa con la disciplina della responsabilità civile del magistrato. La disposizione che si propone riproduce, in sostanza, quella contenuta nell’articolo 2, comma 2, della citata legge n. 117 del 1988, poichè è sembrato opportuno chiarire che anche il sindacato disciplinare – alla stregua di quanto è stato previsto per quello del giudice civile – non può riguardare l’attività di interpretazione della legge o di valutazione dei fatti e delle prove.

    L’articolo 49 tipizza gli illeciti compiuti al di fuori dell’esercizio delle funzioni.

    La lettera a) considera gli episodi di malcostume, talvolta spicciolo ma pur sempre riprovevole, che sono sempre meno tollerati dalla coscienza sociale. La lettera b) si riferisce a condotte riprovevoli in rapporto alla qualità stessa del magistrato perchè possono incidere sulla credibilità della funzione. La lettera c) indica sia l’assunzione di incarichi senza autorizzazione quando questa sia prescritta da disposizioni di legge o da norme regolamentari adottate dall’organo competente, sia lo svolgimento di attività che, pur non essendo oggetto di autorizzazione, risulti (per la natura dell’attività stessa, per l’impegno che comporta, per il soggetto che la conferisce o a cui l’attività è diretta) oggettivamente incompatibile con la funzione giudiziaria, o comunque tale da pregiudicare la laboriosità. A maggior ragione rientra in questa ipotesi l’assunzione di attività priva di autorizzazione semplicemente perchè «non autorizzabile».

    La lettera d) attiene ad uno dei temi più spinosi e difficili, in quanto pone l’obbligo di un giusto equilibrio tra l’interesse costituzionalmente protetto della libertà di manifestazione del pensiero, che compete al magistrato come ad ogni cittadino, con l’interesse, avente pari importanza, alla dignità del singolo magistrato e dell’intero ordine giudiziario. La necessità di tale equilibrio è stata sottolineata dalla Corte costituzionale (sentenza n. 100 dell’8 giugno 1981), secondo cui «il bilanciamento degli interessi tutelati non comprime il diritto alla libertà di manifestare le proprie opinioni, ma ne vieta soltanto l’esercizio anomalo e cioè l’abuso, che viene ad esistenza ove risultino lesi gli altri valori sopra menzionati».

    In questa prospettiva non v’è dubbio che una siffatta delicata operazione di bilanciamento non potrebbe attuarsi salvaguardando integralmente ed in ogni caso la libertà di cui all’articolo 21 della Costituzione; così come, per converso, l’equilibrio sarebbe pregiudicato se si pretendesse di salvare sempre ed in ogni caso la dignità dell’ordine giudiziario: nell’uno e nell’altro caso non di bilanciamento si tratterebbe ma, piuttosto, di annullamento di uno dei due interessi tutelati.

    Tuttavia si è ritenuto che la pubblica manifestazione di consenso o di dissenso in ordine ad un procedimento in corso acquisti rilevanza sul piano disciplinare soltanto quando concorrano particolari elementi oggettivi e soggettivi. Si è dato rilievo, così, oltre che alla posizione del magistrato (che può conferire maggiore caratura alla manifestazione e perciò cagionare un più intenso pericolo alla libertà del giudice naturale del processo in corso), anche alle modalità della manifestazione, di modo che posizione del magistrato e modalità di manifestazioni conferiscano all’espressione del consenso o del dissenso idoneità a condizionare la libertà del collega.

    Anche la lettera e) si riferisce ad un tema spinoso che, in tempi recenti e meno recenti, ha interessato per vari aspetti l’ordine giudiziario, come la partecipazione di magistrati ad associazioni segrete o «riservate» ovvero a logge massoniche. Resta ferma anche per i magistrati la libertà associativa; ma non può consentirsi la partecipazione ad associazioni che comportino doveri o vincoli incompatibili con l’esercizio delle funzioni giudiziarie perchè incidono sulla autonomia, imparzialità di giudizio, indipendenza morale e psicologica che rappresentano le precondizioni dello svolgimento dell’attività giudiziaria in piena libertà e in sottoposizione soltanto alla legge.

    La lettera f) comprende quei comportamenti che realizzano un uso strumentale della qualità di magistrato (come, ad esempio, le eclatanti manifestazioni pubbliche o le esternazioni in pubblico) idonei a turbare l’esercizio di funzioni costituzionalmente previste; occorre tuttavia che abbia particolare rilievo la posizione del magistrato o le modalità dell’uso strumentale (come nella lettera d).

    L’articolo 49 si chiude con la clausola secondo cui integra l’illecito disciplinare ogni altro comportamento tenuto in pubblico idoneo a compromettere in modo grave la credibilità della funzione giudiziaria.

    Seguendo un’indicazione espressa dal Consiglio superiore della magistratura, l’articolo 50 contiene la separata previsione di illeciti disciplinari conseguenti a reati per i quali sia intervenuta condanna irrevocabile o applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale, quando si tratti: di delitti non colposi per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione, sola o congiunta alla pena pecuniaria (lettera a), ovvero di delitti colposi (lettera b) o di contravvenzioni (lettera c), se sia stata rispettivamente applicata la pena detentiva della reclusione o dell’arresto, ma, in entrambi i casi, sempre che, per le modalità di esecuzione o per le conseguenze che ne sono derivate, il fatto abbia carattere di particolare gravità. L’articolo 50 si chiude con un’ultima previsione (lettera d) relativa ad altre ipotesi in cui il fatto costituente reato sia idoneo a compromettere la credibilità del magistrato ed anche se l’azione penale – per qualsiasi causa – non può essere iniziata o proseguita.

    L’articolo 51 indica le sanzioni disciplinari e ne puntualizza la consistenza e i modi di esecuzione.

    Non si è ritenuto di abolire l’ammonimento per due motivi: in primo luogo, si possono verificare illeciti di modesta entità per i quali il giudice disciplinare, operando la valutazione complessiva della personalità dell’incolpato, può comminare una sanzione minima che abbia anche, nella sostanza, un intento dissuasivo; in secondo luogo, può insorgere il timore che il giudice disciplinare, pur di non irrogare la censura per fatti modesti ma pur sempre apprezzabili, finisca per indulgere all’assoluzione.

    Le novità rispetto all’attuale regime consistono nella introduzione della «incapacità ad esercitare un incarico direttivo o semidirettivo» (di collaborazione direttiva), nell’abolizione della destituzione e nel collegamento fra tipo di illecito, o ipotesi aggravata di esso, e il tipo minimo di sanzione da irrogare.

    L’incapacità all’incarico direttivo o di collaborazione direttiva, che può durare per l’intera vita professionale del magistrato o per un certo tempo, assume un significato pregnante per qualche tipo di illecito ed ha comunque un valore dissuasivo di notevole efficacia.

    Quanto alla destituzione, si è ritenuto superfluo mantenerla, giacché, dopo l’intervento della Corte costituzionale circa il trattamento di quiescenza, essa per nulla differisce rispetto alla rimozione. È stato anche risolto (comma 8) il problema del concorso di illeciti e, quindi, il concorso di sanzioni.

    Nell’articolo 52 è fissato il collegamento tra sanzione minima applicabile e tipo di illecito, realizzando, così, un sistema sanzionatorio che, seppure organizzato in termini di maggiore rigidità, consente ancora ampi spazi alla discrezionalità dell’organo disciplinare. La sanzione da applicare è determinata dalla legge in maniera specifica nel solo caso di condanna penale a pena detentiva non condizionalmente sospesa o che determina l’interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici.

    Nell’articolo 53 è prevista l’applicazione della sanzione accessoria del trasferimento ad altra sede o ad altro ufficio. Al riguardo, in considerazione della gravità degli effetti che conseguono a tale misura sanzionatoria, che si concreta nell’allontanamento del magistrato dall’ufficio, sono stati fissati non solo criteri rigidi di collegamento con determinate categorie di illeciti disciplinari o di sanzioni principali inflitte, ma si è condizionata l’applicazione della sanzione stessa, nell’ipotesi di applicazione facoltativa, all’accertamento che la permanenza del magistrato in quella sede o in quell’ufficio si porrebbe in insanabile contrasto con il buon andamento dell’amministrazione della giustizia.

    Gli articoli 54, 55 e 56 adeguano, razionalizzandola, la disciplina vigente circa la composizione dell’organo di giudizio disciplinare, la previsione dei membri effettivi e di quelli supplenti, il meccanismo delle sostituzioni anche nel caso di ricusazione.

    Le novità di rilievo sono due: la prima consiste nella diminuzione da nove a sette dei componenti la sezione disciplinare (articolo 54), per rendere più snello ed agile l’organo di disciplina e per evitare incompatibilità con la composizione della prima commissione; la seconda riguarda (articolo 56) la previsione di una seconda sezione per il solo giudizio di rinvio a seguito di annullamento della decisione da parte delle Sezioni unite della Cassazione.

    Non si è ritenuto di costituire una seconda sezione parallela e concorrente perchè se tale innovazione avrebbe consentito di redistribuire il lavoro fra due organi disciplinari e così accelerarne il corso, per altro verso avrebbe suscitato il pericolo di difformità di giurisprudenza disciplinare, fenomeno molto più preoccupante rispetto ai vantaggi conseguibili con una seconda sezione a pieno titolo.

    L’articolo 57 conferma che l’accusa è svolta dal procuratore generale presso la Corte di cassazione, ma aggiunge che all’attività di indagine relativa al procedimento disciplinare provvede il pubblico ministero; in tal modo si supera definitivamente il precedente sistema in cui, ad immagine del vecchio rito del processo penale con separata previsione di istruttoria sommaria e di istruttoria formale, le indagini potevano essere svolte rispettivamente dalla procura generale e da un commissario istruttore scelto fra i componenti della sezione disciplinare. In realtà ci si uniforma all’orientamento del nuovo processo penale che non conosce dicotomie di istruttoria sommaria e istruttoria formale, accentuando nello stesso tempo la posizione di terzietà del giudice disciplinare ed evitando i numerosi inconvenienti sia del doppio sistema sia della nomina del commissario istruttore (inconvenienti sottolineati dal Consiglio superiore della magistratura).

    L’articolo 58 detta la disciplina dei termini per il giudizio disciplinare. L’azione deve essere promossa entro un anno dalla piena notizia del fatto, cioè dalla conoscenza acquisita a seguito di sommarie indagini o di denuncia circostanziata; inoltre, entro l’anno dall’inizio del procedimento deve intervenire la richiesta della procura generale per l’emissione del decreto che fissa la discussione orale innanzi alla sezione ed entro l’anno successivo dev’essere pronunziata la sentenza; se i termini non sono osservati, il procedimento si estingue. Questa regolamentazione dei termini del procedimento si discosta dalla disciplina attuale, sia con riguardo al termine (un anno), decorrente dall’inizio del procedimento, entro il quale deve essere richiesto – e non già emesso – il decreto che fissa la discussione orale; sia con riguardo al termine entro il quale deve essere pronunciata la sentenza, fissato in un anno contro i due previsti dalla normativa vigente. Si è ridotto, in sostanza, il periodo complessivo massimo del giudizio di primo grado ad evitare che il magistrato resti troppo a lungo esposto al disagio di un procedimento disciplinare ed alla comprensibile turbativa della sua serenità, riservando, però, l’intero anno per l’attività d’indagine che richiede più tempo per l’acquisizione del materiale probatorio.

    Il capo II del Titolo IV è dedicato alla disciplina del procedimento; si è provveduto, cioè, a razionalizzare e a integrare le norme vigenti, riscrivendole secondo la nuova impostazione in modo che ne consegua un tessuto normativo completo.

    Si è conservata la doppia titolarità dell’azione, respingendosi la tesi dell’esclusivo esercizio da parte del Ministro della giustizia, sia perchè potrebbe risultare troppo gravosa la gestione esclusiva di questo potere di iniziativa da parte del Ministro sia perchè la doppia titolarità asseconda la prassi secondo cui il procuratore generale si occupa prevalentemente di illeciti riguardanti la deontologia professionale.

    I meccanismi di esercizio sono naturalmente differenziati: il Ministro della giustizia promuove l’azione con richiesta di indagini al procuratore generale; a sua volta questi promuove l’azione dandone comunicazione al Consiglio; dalla richiesta o, rispettivamente, dalla comunicazione (ciascuna delle quali determina – secondo il comma 4 dell’articolo 59 – l’inizio del procedimento a tutti gli effetti) cominciano a decorrere i termini previsti dall’articolo 58. Se l’azione è promossa dal procuratore generale, il Ministro della giustizia può chiedere che l’azione sia estesa ad altri fatti, e altrettanto può fare nel corso delle indagini. Se l’azione è promossa dal Ministro della giustizia, il procuratore generale è libero di contestare fatti nuovi nel corso dell’indagine.

    Sorge in proposito un altro problema, cioè quale sia il rapporto fra le due titolarità allorchè per il medesimo fatto il Ministro della giustizia, avvalendosi della discrezionalità riconosciutagli dall’articolo 107 della Costituzione, non intenda promuovere l’azione mentre il procuratore generale di fatto la promuove; si pone cioè il problema di una eventuale condizione di improcedibilità derivante dalla esplicitata comunicazione del Ministro all’altro titolare.

    Si è tradizionalmente sostenuto che quella discrezionalità assicurata al Ministro della giustizia non esiste per il procuratore generale; che a quest’ultimo sono attribuiti l’esercizio e la conseguente indagine per fatti di regola attinenti ai doveri professionali che, viceversa, potrebbero rimanere esenti; si è sostenuto altresì che il procuratore generale, in quanto rappresentante della legge, non può non attivarsi allorchè viene a conoscenza di episodi suscettibili di rilievo disciplinare.

    Ma, al contrario, si potrebbe sostenere: che il riconoscere una «obbligatorietà» al procuratore generale – non esplicitamente dichiarata dalla legge, tranne i casi di cui all’articolo 9, comma 1, primo periodo, della legge 13 aprile 1988, n. 117 – rischierebbe di vanificare la discrezionalità stabilita per il Ministro della giustizia dalla norma costituzionale, in quanto ben potrebbe il primo esercitare l’azione ogni qualvolta il secondo decide di non promuoverla; che tutto questo vanificherebbe la responsabilità politica del secondo nei confronti del Parlamento incentrato proprio sulla caratterizzazione discrezionale del suo potere anche in rapporto a criteri di ragionevolezza e professionalità; infine, che quella distinzione fra ambiti oggettivi di esercizio è discutibile in quanto il Ministro della giustizia, disponendo dell’Ispettorato, può conoscere di fatti concernenti violazioni dei doveri funzionali più o meglio di quanto non possa il procuratore generale.

    Si tratta di un problema delicato, con implicazioni notevoli, specie nei rapporti fra il Ministro della giustizia e la procura generale presso la Suprema Corte. Si è preferito rappresentarlo senza prendere posizione sulle alternative possibili affinchè sia il Parlamento, nella sua sovranità, a scegliere la soluzione più opportuna.

    L’articolo 60 detta le norme disciplinanti l’attività di indagine.

    Dell’inizio del procedimento deve essere data comunicazione all’incolpato con l’indicazione degli addebiti; l’incolpato può farsi assistere, come difensore, da un altro magistrato o da un avvocato. Non si è previsto un meccanismo di nomina di un difensore d’ufficio, ove l’incolpato non sia in grado di nominarne uno di fiducia in ottemperanza a quanto sancito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 220 dell’8 giugno 1994, in quanto la possibilità di scegliere come difensore un avvocato rende sostanzialmente del tutto astratta una tale ipotesi.

    Gli atti di indagine non preceduti dalla comunicazione, o dall’avviso al difensore se già designato, sono nulli, e la nullità è rilevabile entro dieci giorni da quando si sia avuta conoscenza del contenuto degli atti o, in mancanza, dalla comunicazione del decreto che fissa la discussione orale davanti alla sezione disciplinare.

    Per le indagini si osservano, in quanto compatibili, le norme relative all’istruzione dei procedimenti penali, salvo quelle che comportano l’esercizio di poteri coercitivi nei confronti dell’imputato, dei testimoni, dei periti e degli interpreti.

    Il comma 5 dell’articolo 60 prevede che, al termine delle indagini, il procuratore generale, con le richieste conclusive, debba rimettere alla sezione disciplinare il fascicolo degli atti del procedimento, atti che rimangono depositati nella segreteria della sezione a disposizione dell’incolpato per ogni esigenza difensiva (estrazione di copie, eccetera).

    Nell’articolo 61 è contenuta la disciplina radicalmente nuova dei meccanismi di chiusura delle indagini e del passaggio – eventuale – alla discussione orale.

    Va chiarito, anzitutto, che su questo specifico tema la normativa che si propone è frutto di una più approfondita valutazione delle implicazioni che derivano dalla scelta operata dalla Carta costituzionale in tema di facoltatività dell’azione disciplinare.

    Il disegno di legge presentato nel corso della X legislatura prevedeva che il Ministro della giustizia o il procuratore generale, ove avessero ritenuto insussistenti i presupposti per promuovere l’azione disciplinare, avrebbero dovuto richiedere alla sezione disciplinare l’archiviazione degli atti (potendo provvedervi direttamente solo se i fatti denunciati non avessero integrato alcuna delle fattispecie tipiche di illecito disciplinare previste dalla legge).

    La disposizione aveva provocato valutazioni discordanti e nel parere espresso dal CSM nella seduta del 19 luglio 1988, pur dandosi atto dell’apprezzamento manifestato da molti componenti su un’innovazione tanto radicale della normativa vigente, si era evidenziato che «la necessità di un provvedimento di archiviazione da parte della sezione introduceva connotati di obbligatorietà dell’azione disciplinare».

    In particolare, nel parere veniva riferito che da parte di alcuni consiglieri era stato sottolineato come l’innovazione suscitava dubbi di legittimità costituzionale, in quanto la «facoltà» di promuovere l’azione disciplinare, riservata al Ministro dall’articolo 107 della Costituzione, sarebbe stata stravolta nel suo contenuto e nei suoi caratteri di discrezionalità politica dalla previsione del potere della sezione disciplinare di assoggettare a controllo le scelte fatte, eventualmente nel senso del non esperimento dell’azione. Il tutto, senza contare che, in tal modo, si sarebbero concentrati nella stessa sezione disciplinare quei poteri di iniziativa e di decisione che l’articolo 107 della Costituzione aveva attribuito ad organi distinti.

    Come è noto queste considerazioni vennero fatte proprie – insieme ad altre valutazioni critiche – dal Presidente della Repubblica nel messaggio inviato alle Camere il 26 luglio 1990. Nel messaggio venne confermata, anzitutto, l’esigenza di conservare all’azione disciplinare il carattere della discrezionalità e ciò nella considerazione che l’opposta scelta della obbligatorietà verrebbe a costituire un elemento di indebolimento dell’indipendenza, dell’autorevolezza e della credibilità della magistratura nella misura in cui esporrebbe i magistrati, per ogni fatto configurabile in ipotesi come illecito disciplinare, ad una pubblicità ingiusta e non compatibile con il prestigio dell’ordine giudiziario.

    Tale situazione – proseguiva il messaggio – si sarebbe verificata ove per l’azione disciplinare si fosse previsto l’obbligatorio intervento dell’organo giudicante, con una stretta analogia con quanto previsto per l’azione penale.

    Ora, l’insieme di queste considerazioni, la cui fondatezza è apparsa evidente, hanno indotto ad abbandonare l’ipotesi di un intervento obbligatorio della sezione disciplinare per l’archiviazione degli atti. La facoltatività dell’azione disciplinare, esplicitamente prevista per il Ministro della giustizia dall’articolo 107 della Costituzione, deve essere conservata anche nei riguardi del procuratore generale, al fine di non sconvolgere l’assetto dato alla materia dal dettato costituzionale, in termini di responsabilità politica dell’organo dell’esecutivo. Da questa premessa deriva che non è praticabile alcun meccanismo di controllo giurisdizionale delle scelte che entrambi i titolari dell’azione disciplinare possono operare in ordine all’esercizio della stessa, controllo che sarebbe concettualmente incompatibile con una discrezionalità che, in effetti, non è tecnica, ma squisitamente «politica».

    Altro aspetto che richiede un preliminare chiarimento riguarda il rapporto tra i due titolari dell’azione disciplinare nel momento conclusivo dell’indagine. Il CSM nel parere dianzi citato, aveva sottolineato che, soprattutto per l’ipotesi in cui vi sia dissenso tra i due organi, occorre prevedere «un meccanismo di raccordo che consenta al Ministro della giustizia di intervenire nel procedimento facendo valere le sue ragioni». Il Consiglio, ritenendo lacunosa la normativa contenuta nel disegno di legge sottoposto al suo esame, aveva prospettato l’opportunità di prevedere l’intervento del Ministro della giustizia (eventualmente attraverso l’Avvocatura dello Stato) nel procedimento disciplinare, sia attribuendogli un potere autonomo di determinare, con propria richiesta, il rinvio a giudizio dell’incolpato, sia in riferimento specifico alla fase dibattimentale.

    Questi suggerimenti sono apparsi meritevoli di accoglimento.

    L’articolo 61 del disegno di legge che si propone contiene, dunque, la disciplina del momento conclusivo delle indagini, fermo restando che è fuori dalla previsione normativa quell’archiviazione «diretta» degli atti che entrambi i titolari dell’azione disciplinare possono disporre, senza dare avvio all’azione medesima, nell’esercizio di quella piena discrezionalità che si è ritenuto di non poter modificare.

    All’articolo 61 si prevede che al termine delle indagini il procuratore generale presso la Corte di cassazione formula le sue richieste conclusive alla sezione disciplinare: esse possono essere rivolte al non luogo a procedere o alla fissazione dell’udienza di discussione orale.

    In entrambi i casi, della richiesta è data tempestiva comunicazione al Ministro della giustizia, con invio di copia dell’atto (commi 1 e 5). Al Ministro della giustizia sono attribuiti specifici poteri di intervento nel procedimento: in riferimento alla richiesta del procuratore generale di fissazione della discussione orale, il Ministro potrà richiedere l’integrazione delle incolpazioni o, financo, la modifica della contestazione nell’ipotesi di azione disciplinare da lui promossa.

    Nel caso in cui, viceversa, la richiesta del procuratore generale sia finalizzata alla pronuncia di non luogo a procedere, il Ministro della giustizia, dopo aver richiesto ed ottenuto copia degli atti del procedimento, può assumere lui l’iniziativa per il passaggio alla fase dibattimentale e cioè può richiedere direttamente al presidente della sezione disciplinare l’emissione del decreto di fissazione della discussione orale (comma 6).

    Nei commi 3, 4 e 7 sono disciplinate le attività processuali conseguenti alle richieste sopra descritte, da svolgersi da parte del presidente della sezione disciplinare e da quest’ultima come organo giudicante. Una novità assoluta della normativa che si propone riguarda l’ipotesi in cui si perviene alla discussione orale sulla richiesta del Ministro della giustizia: è sembrato logico ed opportuno prevedere che – in tal caso – le funzioni di pubblico ministero, in sede di discussione, siano esercitate da un magistrato designato dal Ministro della giustizia tra quelli in servizio al Ministero.

    Per la fase della discussione e della decisione, il testo del disegno di legge utilizza la disciplina vigente, integrandola in varie parti. L’articolo 62 regola in modo specifico alcuni aspetti probatori, anche per eliminare dubbi e problemi denunciati dalla stessa giurisprudenza disciplinare; per il resto richiama, in quanto compatibili, le norme del rito penale sul dibattimento, ad eccezione di quelle che comportano l’esercizio di poteri coercitivi nei confronti dell’imputato, dei testimoni, dei periti e degli interpreti (comma 3), giacchè la sezione disciplinare non è organo giudiziario in senso proprio.

    Le novità di maggiore rilievo attengono al carattere «non pubblico» della discussione e alla formula assolutoria. Infatti si conferma (comma 2) che la discussione non è pubblica, tranne che l’incolpato lo richieda, consentendosi così, nello specifico, l’esercizio del diritto dell’interessato al processo pubblico, diritto che trova riconoscimento nell’articolo 52, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848. Anche in presenza della richiesta della discussione pubblica da parte dell’incolpato, la sezione disciplinare può tuttavia disporre, sentito il pubblico ministero, che si proceda «a porte chiuse», ove ciò sia necessario per tutelare la credibilità della funzione giudiziaria con riferimento ai fatti contestati e all’ufficio che l’incolpato occupa. Si è ritenuto, in tal modo, di bilanciare l’interesse alla conoscibilità di una vicenda il cui iter processuale e la cui conclusione non debbono rimanere all’interno dell’ordine, con l’interesse alla tutela della credibilità della funzione che quel magistrato, di regola, continuerà ad esercitare. Sarà, dunque, la sezione a stabilire, sulla base della qualità dei fatti contestati in rapporto all’interesse della conoscibilità esterna e sulla base del tipo di ufficio che l’incolpato occupa, se la discussione non debba essere pubblica nonostante il contrario avviso dell’incolpato.

    Quanto alla formula assolutoria, è stata recepita la prassi di dichiarare «escluso l’addebito» allorchè non è raggiunta una prova sufficiente, evitandosi le difficoltà dell’uso di formule tratte dalla tipologia del codice del rito penale che non sempre si attagliano all’esito del giudizio disciplinare.

    Si è previsto, inoltre, che i motivi della decisione debbano essere depositati, nella segreteria della sezione, entro trenta giorni dalla deliberazione.

    Il comma 7 dell’articolo 62 dispone, infine, la trasmissione di copia dei provvedimenti adottati dalla sezione disciplinare al Ministro della giustizia, al fine di consentirne la piena conoscenza per le conseguenti valutazioni in ordine all’esercizio del diritto d’impugnazione. Il Ministro della giustizia può richiedere copia degli atti dell’intero procedimento disciplinare.

    Nell’articolo 63 sono disciplinati i rapporti tra l’azione disciplinare ed altri giudizi interessanti il magistrato incolpato.

    Si stabilisce, anzitutto, che l’azione disciplinare non è preclusa dall’eventuale esercizio dell’azione civile di risarcimento del danno promossa nei confronti del magistrato per lo stesso fatto. Analogamente è stabilito per l’ipotesi di esercizio dell’azione penale, fatto salvo quanto disposto dall’articolo 58, comma 3, in ordine alla sospensione dell’azione disciplinare.

    Il comma 2 dell’articolo 63 contiene la disciplina degli effetti, sul giudizio disciplinare, dei giudicati penali divenuti irrevocabili.

    I successivi articoli, dal 64 al 67, sono rivolti a disciplinare l’adozione di provvedimenti cautelari di sospensione dalle funzioni e dallo stipendio per la pendenza di un giudizio penale o disciplinare, con la previsione di uno specifico procedimento nel quale sono assicurate le garanzie difensive dell’interessato.

    Secondo l’articolo 64 il magistrato nei cui confronti sono avviate indagini o è esercitata l’azione penale deve essere sospeso dalle funzioni dal giorno in cui è adottata nei suoi riguardi una misura cautelare personale ai sensi degli articoli 272 e seguenti del codice di procedura penale. La sospensione, la quale comporta il collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura, permane sino alla sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione o alla sentenza irrevocabile di proscioglimento; può essere revocata, anche d’ufficio, dalla sezione disciplinare, allorchè la misura cautelare personale abbia comunque perso efficacia. Al magistrato sospeso, ai figli minorenni o al coniuge può essere attribuito un assegno alimentare non eccedente i due terzi dello stipendio e delle altre competenze di carattere continuativo.

    Accanto alla sospensione necessaria l’articolo 65 prevede una sospensione cautelare facoltativa: quando il magistrato è sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo punibile con pena detentiva, o quando al medesimo possono essere ascritti fatti suscettibili di valutazione disciplinare che per la loro gravità siano incompatibili con l’esercizio delle funzioni, il Ministro della giustizia, o il procuratore generale, anche prima dell’inizio del procedimento disciplinare, può chiedere la sospensione cautelare del magistrato dalle funzioni e dallo stipendio. La sezione convoca il magistrato con un preavviso di almeno tre giorni e provvede, dopo averlo sentito o dopo aver constatato la sua mancata comparizione.

    Anche nell’ambito del procedimento di sospensione cautelare il magistrato può farsi assistere da un difensore, nominato nella persona di altro magistrato o di un avvocato.

    La sospensione cautelare facoltativa può essere revocata in qualsiasi momento dalla sezione disciplinare, anche d’ufficio.

    Contro le decisioni e contro i provvedimenti in materia di sospensione l’accusato, il Ministro della giustizia o il procuratore generale possono proporre ricorso per cassazione, nei termini e con le forme – specifica l’articolo 66 – previsti dal codice di procedura penale; con questo richiamo si rende più snello e celere il procedimento rispetto all’iter oggi previsto. Il ricorso ha effetto sospensivo. La Cassazione decide a Sezioni unite penali.

    Nel comma 2 dello stesso articolo 65 è stabilito il termine di sei mesi, dalla proposizione del ricorso, per la decisione della Cassazione.

    Gli articoli 67 e 68 dispongono, infine, che il magistrato già sospeso ha diritto ad essere reintegrato nella situazione anteriore qualora sia prosciolto con sentenza irrevocabile, ovvero sia pronunciata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione; se il posto prima occupato non è vacante, il magistrato ha diritto di scelta fra quelli disponibili con priorità rispetto ad altri eventuali concorrenti. Si prevede, infine, che in caso di assoluzione con sentenza definitiva o di condanna ad una sanzione diversa dalla sospensione dalle funzioni (per un tempo pari o superiore alla durata della sospensione cautelare) e dalla rimozione, cessa di diritto la sospensione provvisoria eventualmente disposta e sono corrisposti gli arretrati dello stipendio e delle altre competenze non percepiti.

    Gli articoli da 69 a 72 disciplinano la revisione, utilizzando in buona parte la normativa attuale, cui apportano talune integrazioni razionalizzatrici.

    Il capo III è dedicato alla materia delle incompatibilità, che il disegno di legge risistema in maniera completa, apportando innovazioni di un certo rilievo alla disciplina vigente.

    Sono previste e disciplinate: le incompatibilità «funzionali», cioè quelle che riguardano l’esercizio di attività o l’assunzione di uffici incompatibili con le funzioni giudiziarie; le incompatibilità derivanti da vincoli di parentela, di affinità o di coniugio che concernono magistrati dello stesso ufficio o che concernono magistrati e persone che esplicano l’attività forense dinanzi al medesimo ufficio giudiziario; le incompatibilità derivanti dai suddetti vincoli quando riguardano persone imputate o condannate o persone la cui condotta sia riprovevole; infine le incompatibilità per situazioni ambientali.

    Quanto alle prime, l’articolo 73 del disegno di legge stabilisce che la funzione giudiziaria è incompatibile con l’esercizio di libere professioni, di attività industriali, commerciali o comunque imprenditoriali, e con l’assunzione di impieghi od uffici pubblici o privati, tranne quelli di senatore, deputato, ministro, sottosegretario di Stato, deputato al Parlamento europeo, consigliere regionale, provinciale, comunale o circoscrizionale, presidente della provincia, sindaco, nonchè componente della giunta regionale, provinciale, comunale, purchè a determinate condizioni e con precisi limiti. Tali condizioni e limiti sono dettati nei commi da 2 a 4 dello stesso articolo 73 e consistono, essenzialmente, nell’obbligo del collocamento in aspettativa all’atto dell’accettazione della candidatura o della nomina ed in limiti territoriali alla candidatura, in riferimento alla circoscrizione giudiziaria alla quale il magistrato è addetto.

    Quanto alle incompatibilità per rapporti familiari, l’articolo 74 prevede che i magistrati fra i quali esiste vincolo di coniugio, di parentela o di affinità fino al secondo grado non possono far parte dello stesso ufficio giudiziario, e che il magistrato non può esercitare le funzioni nell’ufficio dinanzi al quale svolge abitualmente la professione forense un parente in linea retta all’infinito o il coniuge o collaterale fino al secondo grado, salvo che – ed è questa la prima innovazione di rilievo – il Consiglio superiore della magistratura escluda, in relazione al numero delle sezioni che compongono l’ufficio, qualsiasi intralcio al regolare svolgimento del servizio ovvero accerti (per l’altra ipotesi) che le rispettive attività sono assolutamente distinte. La norma prevede, altresì, che il magistrato non può esercitare le funzioni nel territorio del distretto ove è compreso l’ufficio innanzi al quale un suo parente in linea retta all’infinito o in linea collaterale fino al secondo grado ovvero il coniuge o un affine in linea retta sia imputato di un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni o sia sottoposto a procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione, sempre che, avuto riguardo ai suoi rapporti con l’imputato, alla funzione da lui esercitata e al numero dei componenti l’ufficio, possa risultare gravemente compromessa la fiducia nel regolare svolgimento della funzione giudiziaria (l’incompatibilità permane sino a quando il processo pende dinanzi ad uno degli uffici del distretto); infine prevede (altra innovazione di rilievo) che il magistrato non può esercitare le funzioni laddove il coniuge o un parente in linea retta o collaterale fino al secondo grado ovvero altro parente o affine con lui convivente tenga una condotta che, per la natura riprovevole e la notorietà, anche in relazione alla dimensione territoriale dell’ufficio, comprometta gravemente la fiducia nella imparzialità o nella correttezza della funzione giudiziaria.

    L’ultima ipotesi di incompatibilità riguarda le situazioni che il vigente articolo 2 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, comprende nella formula «quando, anche senza colpa del magistrato, siano venute meno le condizioni richieste dal prestigio dell’ordine giudiziario»; trattasi, cioè di quella «incompatibilità ambientale» che ha formato oggetto di ampio dibattito, anche in seno al Consiglio superiore della magistratura, e che alcuni vorrebbero escludere dall’ordinamento. In realtà, le maggiori critiche alla vigente disciplina riguardano l’interesse che appare tutelato da tale norma e l’assenza di garanzie per la relativa procedura del trasferimento di ufficio; critiche destinate a venir meno ove al «prestigio dell’ordine giudiziario» si sostituisca il valore, ben più pregnante nella proiezione collettiva, della «credibilità della funzione», e si circondi la procedura delle necessarie garanzie. D’altra parte l’esperienza dei Consigli succedutisi nel tempo evidenzia una varietà di situazioni, non rapportabili ad illeciti disciplinari, per le quali è evidente l’esigenza di un meccanismo di tutela del «servizio giustizia» sollecito ed attivabile con immediatezza dall’organo di autogoverno della magistratura.

    Ebbene, raccogliendo le fila del dibattito e i suggerimenti emersi, si propone (articolo 75) che questa ipotesi di incompatibilità sia individuata nella situazione in cui, per qualsiasi causa, anche indipendentemente da colpa del magistrato, egli non possa, nella sede o nell’ufficio che occupa, amministrare giustizia nelle condizioni richieste per la credibilità della funzione.

    Una novità assoluta dell’attuale disegno di legge è rappresentata dalla previsione (comma 2 dello stesso articolo 75) della destinazione – anche senza il suo consenso – a funzioni non direttive del magistrato dirigente di un ufficio che risulti «oggettivamente inidoneo all’incarico ricoperto». Si è inteso, così, colmare una lacuna dell’attuale regime delle incompatibilità, affiancando a quella cosiddetta «ambientale», relativa alla sede o all’ufficio, una incompatibilità «funzionale» conseguente all’accertata (sulla base di dati oggettivi) incapacità all’esercizio delle funzioni dirigenziali. Si tratta di condizione che può non essere collegata a negligenza o scarsa preparazione del magistrato o comunque a «colpe» a lui addebitabili, ma che può nascere, viceversa, da situazioni temperamentali che, lasciando integra la capacità professionale per lo svolgimento di funzioni giudicanti o requirenti, di merito o di legittimità, rendono difficile, ad esempio, il rapporto con il personale dipendente, o che si risolvono in scarsa attitudine ad affrontare i problemi organizzativi dell’ufficio, ovvero ad intrattenere i necessari rapporti con istituzioni esterne, e così via. In riferimento a queste situazioni, mentre è sembrata non pertinente la disposizione contenuta nel comma 1 dell’articolo 75, che fa riferimento all’impossibilità di «amministrare giustizia nelle condizioni richieste per la credibilità della funzione», si è ritenuto opportuno inserire una specifica previsione che riguardasse esclusivamente l’inettitudine all’esercizio di funzioni direttive.

    L’articolo 76 detta le regole per la soluzione delle situazioni di incompatibilità previste negli articoli 74 e 75, riconoscendo precise garanzie all’interessato.

    La disciplina che si propone introduce, in primo luogo, limiti temporali alle varie fasi della procedura ed a questa nel suo complesso. È apparso, infatti, indispensabile superare l’attuale situazione nella quale la pendenza indefinita nel tempo delle procedure di trasferimento d’ufficio, oltre a costituire motivo di turbamento e di disagio per i magistrati interessati, finisce con l’incidere in maniera fortemente negativa sulla credibilità della funzione dagli stessi esercitata.

    Nel comma 1 si pone, anzitutto, l’obbligo di denunciare tempestivamente (entro quindici giorni dall’avvenuta conoscenza) al CSM l’esistenza della situazione di incompatibilità: tale obbligo grava sia sul magistrato interessato sia sul dirigente dell’ufficio e sul magistrato cui spetta il potere di sorveglianza. Il Consiglio può, comunque, attivarsi d’ufficio o su richiesta del Ministro della giustizia.

    Avuta notizia di una causa di incompatibilità, la competente commissione del Consiglio superiore della magistratura compie, in tempi contenuti, gli eventuali accertamenti preliminari e, all’esito, se non ritiene di proporre al Consiglio l’archiviazione, dispone l’apertura della procedura di trasferimento dandone immediatamente avviso all’interessato e avvertendolo che potrà essere sentito con l’eventuale assistenza di altro magistrato. Il disegno di legge apporta, anche qui, una opportuna innovazione rispetto al vigente regime, perchè elimina l’attuale fase preliminare con cui il Consiglio superiore della magistratura autorizza la commissione a procedere nell’istruttoria, una fase che è univocamente considerata inutile e macchinosa.

    Aperta la procedura, le indagini debbono essere svolte nel termine di tre mesi; all’esito gli atti vanno depositati nella segreteria della commissione con avviso all’interessato che, nei venti giorni successivi, ha facoltà di prenderne visione, di estrarne copia e di presentare controdeduzioni scritte. Entro i successivi trenta giorni la commissione, ove non debbano essere compiuti ulteriori accertamenti, propone al Consiglio superiore della magistratura il trasferimento di ufficio o l’archiviazione.

    La data della seduta fissata dal Consiglio per la decisione è comunicata almeno venti giorni prima all’interessato, che ha diritto di essere sentito con l’assistenza di altro magistrato o di un avvocato. La delibera conclusiva deve essere adottata entro tre mesi dalla scadenza del termine assegnato dalla legge per le proposte della commissione.

    La procedura di trasferimento di ufficio non può essere iniziata o proseguita se il magistrato è stato, a domanda, trasferito ad altra sede o destinato ad altre funzioni, ed è perciò venuta meno la situazione di incompatibilità.

    Il disegno di legge estende la sua disciplina anche alle ipotesi di infermità o di sopravvenuta inettitudine che non consentono di adempiere convenientemente ed efficacemente ai doveri d’ufficio (articolo 77). Trattasi di situazioni non riconducibili tout court alla incompatibilità, anche se per alcune di esse l’incompatibilità riaffiora nel rapporto fra il tipo di ufficio che il magistrato occupa e le sue condizioni di salute (quando non ricorra il più grave caso di dispensa dal servizio); il motivo della estensione è soprattutto quello di ricomprendere tali ipotesi nel medesimo meccanismo procedimentale e in analoghe garanzie, per uniformità sistematica e soprattutto per maggiore tutela dell’interessato rispetto a provvedimenti (dispensa dal servizio, collocamento in aspettativa per un certo tempo, destinazione ad altre funzioni) che finiscono per incidere in modo profondo sullo status o sull’inamovibilità.

 

TITOLO V

    In materia di temporaneità degli incarichi direttivi il presente disegno di legge riprende in parte le indicazioni e gli orientamenti emersi nel dibattito sviluppatosi sin dalla VIII legislatura tra tutte le forze politiche, con l’intento di superare la cristallizzazione dei centri di potere e di sconfiggere l’annoso problema della burocratizzazione delle funzioni direttive e per giungere ad un uso del potere finalmente funzionale ad una amministrazione della giustizia efficiente e rispondente alle aspettative dei cittadini.

 

    La riforma si propone di incidere sul sistema del conferimento degli incarichi direttivi, affermando i principi della temporaneità e della rotazione, anche al fine di assicurare l’indipendenza dei giudici, la garanzia della libertà e del pluralismo della loro funzione, la professionalità e l’utilizzazione nei ruoli più adeguati.

    Tale intento viene perseguito prevedendo un termine massimo entro il quale il titolare dell’ufficio direttivo può esercitare le proprie funzioni (termine convenuto in quattro anni, prorogabile per un ulteriore quadriennio oppure in caso di esigenze straordinarie).

    Tuttavia, sulla scorta di una crescente attenzione riservata alla creazione di un corpo di magistrati preparati e competenti ad assumere la direzione di un ufficio direttivo, tale previsione viene appunto temperata dalla facoltà, concessa ai titolari di uffici direttivi particolarmente meritori cessati dal proprio incarico per decorso del termine, di formulare una domanda per mantenere la titolarità del medesimo ufficio direttivo per un ulteriore, ed unico, quadriennio, ovvero la facoltà di presentare una nuova domanda purchè essa sia rivolta verso una sede diversa da quella presso la quale è stato svolto l’ultimo incarico direttivo. Il principio della temporaneità degli incarichi direttivi deve infatti coniugarsi con la necessità di non disperdere quel patrimonio di soggetti sui quali l’amministrazione della giustizia abbia investito le proprie risorse, umane ed economiche, creando dei buoni dirigenti la cui preparazione ed esperienza verrebbe altrimenti persa nel breve volgere di un quadriennio.

    Altra importante novità è quella che riguarda l’attribuzione ai consigli giudiziari del compito di esprimere un parere, sia pure non vincolante e sotto forma di una valutazione complessiva dell’operato del magistrato, nei confronti di coloro che compiano domanda per acquisire la titolarità di un ufficio direttivo. Ferma restando la competenza del CSM ad attribuire la titolarità di un ufficio direttivo, tali valutazioni hanno sicuramente il pregio di essere espresse da organismi che quotidianamente possono avere cognizione delle capacità e delle attitudini degli aspiranti dirigenti.

 



DISEGNO DI LEGGE

 

TITOLO I

Capo I

NATURA E FUNZIONI DELLA SCUOLA

Art. 1.

(Denominazione e ubicazione)

1. È istituita la Scuola nazionale della magistratura, di seguito denominata «Scuola».

2. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo individua le sedi della Scuola e la rispettiva articolazione, secondo le disposizioni della presente legge.

 

Art. 2.

(Autonomia della Scuola)

1. La Scuola è dotata di personalità giuridica e gode di autonomia amministrativa, finanziaria e contabile.

 

Art. 3.

(Compiti della Scuola)

1. Sono compiti primari della Scuola:

a) organizzare e gestire il tirocinio degli uditori giudiziari;

b) curare l’aggiornamento e la formazione professionale permanente dei magistrati durante l’esercizio delle funzioni giudiziarie, anche mediante esperienze formative condotte, tra l’altro, presso pubbliche amministrazioni, istituti di credito, grandi imprese, confederazioni sindacali ed enti analoghi.

2. La Scuola può, altresì:

a) contribuire alla formazione di magistrati stranieri, o aspiranti tali, nel quadro degli accordi internazionali di cooperazione tecnica in materia giudiziaria;

b) organizzare incontri di studio e ricerche, o comunque promuovere iniziative culturali su argomenti giuridici e sull’organizzazione di sistemi e di uffici giudiziari.

3. L’azione di formazione professionale della Scuola è esercitata nel quadro ed in conformità degli indirizzi stabiliti annualmente dal Consiglio superiore della magistratura.

 

Art. 4.

(Dotazioni e gestione della Scuola)

1. La Scuola provvede alla gestione delle spese per il proprio funzionamento, nei limiti del fondo stanziato a tale scopo nel bilancio dello Stato.

2. Lo stanziamento di cui al comma 1 è collocato in apposita unità previsionale di base dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze.

3. Costituiscono altresì entrate della Scuola:

a) eventuali dotazioni supplementari alla stessa assegnate nel bilancio dello Stato;

b) eventuali risorse ad essa destinate dal Consiglio superiore della magistratura o dal Ministero della giustizia per l’espletamento di compiti di interesse di tali istituzioni;

c) gli utili derivanti da pubblicazioni curate dalla Scuola o dalla prestazione di servizi;

d) contributi, donazioni o legati di enti pubblici o privati a suo favore.

4. Costituiscono uscite della Scuola:

a) le spese necessarie al suo funzionamento;

b) le remunerazioni, le borse di studio od i sussidi dovuti a docenti, ausiliari, partecipanti alle sessioni ed uditori giudiziari;

c) il rimborso di spese di viaggio e di trasferta inerenti le attività di formazione, incluse quelle del proprio personale per missioni strettamente attinenti i compiti di studio;

d) le spese di pubblicazione di atti e di gestione dei servizi sussidiari.

5. La Scuola adotta, ai sensi del comma 1 dell’articolo 9, un proprio regolamento di amministrazione e contabilità.

6. Il rendiconto della gestione della Scuola è presentato alla Corte dei conti alla chiusura dell’anno finanziario.

 

Capo II

ORGANI

Art. 5.

(Sezioni della Scuola)

1. La Scuola è articolata in due sezioni.

2. La prima sezione della Scuola si occupa dei compiti di formazione permanente, di cui al comma 1, lettera b), e al comma 2 dell’articolo 3, nonchè della formazione complementare degli uditori giudiziari ai sensi dell’articolo 19.

3. La seconda sezione della Scuola, avente sede in città diversa da quella della prima sezione, si occupa del tirocinio ai sensi della lettera a) del comma 1 dell’articolo 3.

Art. 6.

(Organi della Scuola)

1. Sono organi della Scuola:

a) il consiglio scientifico;

b) il consiglio di amministrazione;

c) il direttore;

d) i comitati di gestione di ciascuna sezione di cui all’articolo 5;

e) il segretario generale.

 

Art. 7.

(Competenze del consiglio scientifico)

1. Il consiglio scientifico:

a) elabora il piano annuale delle attività teorico-pratiche e ne orienta l’esecuzione, nel quadro degli indirizzi definiti annualmente dal Consiglio superiore della magistratura e nel rispetto dei vincoli di bilancio;

b) redige ed approva il regolamento interno per l’organizzazione e il funzionamento della Scuola e le eventuali modifiche;

c) approva la relazione annuale sulle attività della Scuola e la trasmette al Consiglio superiore della magistratura con le sue eventuali osservazioni;

d) delibera su ogni questione attinente il funzionamento della Scuola, che non sia di competenza di altri organismi o che sia ad esso sottoposta dal direttore della Scuola o dal Consiglio superiore della magistratura.

 

Art. 8.

(Composizione del consiglio scientifico)

1. Il consiglio scientifico opera presso la sezione di formazione permanente, di cui all’articolo 5, comma 2, ed è costituito da:

a) il direttore della Scuola, che lo presiede;

b) il vicedirettore;

c) tre componenti del Consiglio superiore della magistratura, di cui due togati;

d) tre magistrati ordinari, di cui uno del pubblico ministero, ed almeno uno avente qualifica non inferiore a quella di magistrato di cassazione;

e) due professori universitari;

f) due avvocati;

g) un rappresentante del Ministero della giustizia.

2. I componenti del Consiglio superiore della magistratura sono designati dal Consiglio stesso e cessano dall’incarico con la scadenza del Consiglio da cui sono stati nominati.

3. I magistrati sono designati dal Consiglio superiore della magistratura, fra quelli in servizio ovvero in quiescenza da non più di due anni. Non possono essere designati i magistrati che nell’ultimo biennio hanno svolto incarichi continuativi di formazione professionale presso il Consiglio superiore della magistratura.

4. I professori sono designati, fra gli ordinari di materie giuridiche, da un apposito collegio formato da tutti i presidi delle facoltà di giurisprudenza delle università statali.

5. Gli avvocati sono designati dal Consiglio nazionale forense, fra gli abilitati al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori, con almeno dieci anni di esercizio dell’attività.

6. L’incarico dura quattro anni e non può essere rinnovato.

7. Il consiglio scientifico si riunisce almeno una volta ogni tre mesi, ed ogni volta che il direttore lo convoca, o ne fanno richiesta almeno cinque componenti.

8. Il consiglio scientifico delibera validamente con la presenza di almeno nove componenti. Le sue risoluzioni sono adottate a maggioranza dei presenti; in caso di parità di voti prevale quello espresso dal direttore.

Art. 9.

(Compiti del consiglio di amministrazione)

1. Il consiglio di amministrazione:

a) elabora ed approva il regolamento di amministrazione e contabilità di cui al comma 5 dell’articolo 4;

b) elabora il bilancio annuale di previsione;

c) presenta il rendiconto annuale;

d) organizza la contabilità e controlla la sua tenuta;

e) esercita le altre funzioni ad esso attribuite dalla legge o dai regolamenti.

 

Art. 10.

(Composizione del consiglio di amministrazione)

1. Il consiglio di amministrazione opera presso la sezione di formazione permanente, di cui all’articolo 5, comma 2, ed è costituito da:

a) il direttore della Scuola, che lo presiede;

b) il segretario generale della Scuola;

c) un rappresentante del Ministero della giustizia;

d) un rappresentante del Ministero dell’economia e delle finanze.

2. Il consiglio di amministrazione si riunisce ordinariamente una volta ogni tre mesi ed in via straordinaria quando è convocato dal direttore, ovvero ne fanno richiesta almeno due componenti.

3. Esso delibera validamente con la presenza di almeno tre componenti. Le sue delibere sono adottate a maggioranza dei presenti; in caso di parità di voti prevale quello espresso dal direttore.

 

Art. 11.

(Compiti del direttore della Scuola)

1. Il direttore della Scuola:

a) rappresenta la Scuola all’esterno a tutti gli effetti;

b) dirige e coordina tutte le attività della Scuola, indirizzandole ai fini ad essa assegnati, e compie tutto quanto è necessario per il loro perseguimento;

c) sovrintende alla sezione di formazione permanente, di cui all’articolo 5, comma 2, e ne dirige il relativo comitato di gestione;

d) provvede all’esecuzione delle delibere del consiglio scientifico e del consiglio di amministrazione;

e) adotta le deliberazioni di urgenza, con riserva di ratifica se esse rientrano nella competenza di altro organo;

f) redige la relazione annuale sull’attività della Scuola, con l’ausilio, ove lo ritenga, dei comitati di gestione;

g) esercita le competenze a lui eventualmente delegate dal consiglio scientifico o dal consiglio di amministrazione;

h) si avvale del personale addetto alla Scuola;

i) esercita ogni altra funzione conferitagli dalla legge o dai regolamenti.

 

Art. 12.

(Designazione, durata e revoca del direttore)

1. Il direttore della Scuola è nominato dal Consiglio superiore della magistratura, sentito il Ministro della giustizia, fra i magistrati ordinari aventi qualifica non inferiore a magistrato di cassazione. Si applica la disposizione in materia di incompatibilità, di cui all’articolo 8, comma 3.

2. Il direttore è collocato fuori del ruolo organico della magistratura. Il periodo di svolgimento dell’incarico vale a tutti gli effetti come esercizio delle funzioni giudiziarie.

3. Il direttore dura in carica quattro anni.

4. L’incarico può essere rinnovato per una sola volta e può essere revocato dal Consiglio superiore della magistratura, con provvedimento motivato adottato previo ascolto dell’interessato, nel caso di grave inosservanza degli indirizzi stabiliti dal Consiglio stesso.

 

Art. 13.

(Direttore della sezione di tirocinio)

1. Il direttore della sezione di tirocinio, di cui all’articolo 5, comma 3, opera presso la sezione stessa ed ha funzione di vicedirettore della Scuola.

2. Il direttore della sezione di tirocinio opera nella sezione di sua competenza con lo stesso grado di autonomia del direttore della Scuola.

3. Al direttore della sezione di tirocinio, nonché vicedirettore della Scuola, sono attribuite le seguenti funzioni:

a) sostituire il direttore nel caso di sua assenza od impedimento;

b) dirigere la sezione preposta al tirocinio e compiere quanto occorra al perseguimento dei fini ad essa assegnati;

c) partecipare alle attività del consiglio scientifico;

d) svolgere i compiti corrispondenti a quelli assegnati al direttore della Scuola, in quanto applicabili alla sezione di sua competenza.

4. Si applicano al direttore della sezione di tirocinio le disposizioni previste dall’articolo 12.

 

Art. 14.

(Comitati di gestione)

1. Presso ciascuna sezione della Scuola, di cui all’articolo 5, è costituito un comitato di gestione.

2. Ciascun comitato di gestione, per quanto di rispettiva competenza, provvede a:

a) dare attuazione alle direttive didattico-scientifiche enunciate dal Consiglio superiore della magistratura e dal consiglio scientifico;

b) programmare le sessioni di formazione e le attività di tirocinio, sia presso la Scuola sia presso gli uffici giudiziari e le altre sedi;

c) definire il contenuto analitico di ciascuna sessione o fase del tirocinio, ed individuare i relativi docenti;

d) organizzare momenti di coordinamento fra i docenti e reperire ogni materiale utile al miglior funzionamento delle attività di formazione;

e) fissare i criteri di ammissione alle sessioni di formazione, informare i magistrati, ammettere i richiedenti;

f) offrire ogni sussidio didattico che si riveli utile e sperimentare formule didattiche, d’intesa con il comitato scientifico;

g) seguire costantemente lo svolgimento delle sessioni e presentare relazioni consuntive sull’esito di ciascuna di esse;

h) curare il tirocinio nelle fasi effettuate presso la Scuola e seguirne lo svolgimento, con adeguate modalità, nelle fasi effettuate all’esterno della Scuola;

i) adempiere ad ogni altro compito ad esso affidato dal Consiglio superiore della magistratura o dal consiglio scientifico.

 

Art. 15.

(Composizione del comitato di gestione)

1. Il comitato di gestione, costituito presso ciascuna sezione della Scuola, è composto da:

a) il direttore della rispettiva sezione, che lo presiede;

b) otto magistrati nominati dal Consiglio superiore della magistratura e collocati fuori ruolo.

2. In seguito alla prima nomina effettuata dopo la data di entrata in vigore della presente legge, i componenti di ciascun comitato di gestione, ad eccezione del direttore, cessano dall’incarico, rispettivamente, in numero di due dopo tre anni, di tre dopo quattro anni e di tre dopo cinque anni. L’individuazione del momento di cessazione di ciascuno dei componenti, ove non sia concordata fra loro, è effettuata per sorteggio.

3. A decorrere dalla seconda nomina dei componenti di ciascun comitato, il loro incarico dura quattro anni e non può essere rinnovato.

Art. 16.

(Segretario generale della Scuola)

1. Il segretario generale della Scuola svolge le funzioni di coordinamento e di direzione dell’intero servizio di segreteria della Scuola ed ha la responsabilità amministrativa della sezione di formazione permanente, di cui all’articolo 5, comma 2.

Art. 17.

(Servizio di segreteria della Scuola)

1. Presso la Scuola è istituito un servizio di segreteria che si articola nelle due sezioni di cui all’articolo 5.

2. Il servizio di cui al comma 1 provvede:

a) al disbrigo degli affari, di rispettiva competenza, relativi al consiglio scientifico, al consiglio di amministrazione, al direttore ed al comitato di gestione;

b) a dare esecuzione ad ogni delibera concernente l’attività della rispettiva sezione;

c) a gestire l’archivio, le installazioni, la biblioteca e le altre dotazioni di ciascuna sezione;

d) ad effettuare le ricerche ad esso demandate dal direttore della sezione;

e) ad assolvere ogni altro compito ad esso assegnato dalla legge o dai regolamenti.

Art. 18.

(Composizione del servizio di segreteria)

1. Il servizio di segreteria è costituito da:

a) il segretario generale, con qualifica non inferiore a quella di dirigente di cancelleria;

b) un vice-segretario, con qualifica non inferiore a quella di direttore di cancelleria, responsabile amministrativo della sezione di tirocinio;

c) due assistenti giudiziari per ciascuna sezione;

d) tre coadiutori di cancelleria per ciascuna sezione;

e) quattro operatori amministrativi per ciascuna sezione;

f) quattro commessi giudiziari per ciascuna sezione.

2. Il Ministro della giustizia provvede alla designazione del personale di cui al comma 1, nelle forme e nei modi stabiliti con il regolamento di cui all’articolo 20.

Capo III

TIROCINIO

Art. 19.

(Durata e disciplina del tirocinio)

1. L’articolo 129 dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, di seguito denominato «ordinamento giudiziario», è sostituito dal seguente:

«Art. 129. – (Tirocinio giudiziario). – 1. Gli uditori debbono compiere un periodo di tirocinio della durata di due anni, da effettuarsi presso la Scuola nazionale della magistratura e presso tutti gli uffici giudiziari di primo grado, secondo le direttive stabilite dal Consiglio superiore della magistratura.

2. Il tirocinio inizia il 15 settembre di ogni anno e si articola in sessioni di pari durata, svolte alternativamente presso la Scuola e presso gli uffici giudiziari. Gli uditori giudiziari non possono assumere le funzioni prima del completamento positivo del periodo di tirocinio.

3. In esito al tirocinio, il Consiglio superiore della magistratura, sentito il consiglio giudiziario, e sulla scorta del giudizio pronunciato dalla Scuola, formula un giudizio di idoneità all’assunzione delle funzioni giudiziarie, il quale, se positivo, deve contenere uno specifico riferimento all’attitudine dell’uditore allo svolgimento delle funzioni giudicanti o requirenti.

4. Nell’assegnazione delle sedi si tiene conto, per quanto possibile, del giudizio di cui al comma 3; a tal fine ogni uditore deve formulare richiesta, eventualmente graduata, di uffici sia giudicanti che requirenti.

5. Nei primi cinque anni successivi all’assunzione delle funzioni giudiziarie i magistrati devono partecipare ad almeno una sessione di formazione professionale ogni anno, predisposta per le loro specifiche esigenze da parte della sezione di formazione permanente della Scuola.

6. Il Consiglio superiore della magistratura emana ulteriori norme sul tirocinio».

Capo IV

DISPOSIZIONI FINALI

Art. 20.

(Regolamenti di attuazione)

1. Il Governo adotta, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi dell’articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, e previo parere del Consiglio superiore della magistratura, i regolamenti attinenti lo stato giuridico di tutto il personale della Scuola, i procedimenti di designazione, le norme di attuazione ed ogni necessaria disposizione di coordinamento con le altre leggi in materia di ordinamento giudiziario.

 

Art. 21.

(Regime transitorio)

1. Costituita la Scuola, il Consiglio superiore della magistratura adotta le disposizioni transitorie per regolare il trasferimento alla Scuola stessa delle competenze in materia di tirocinio e di formazione permanente.

 

Art. 22.

(Copertura finanziaria)

1. All’onere derivante dall’attuazione del presente titolo, valutato in euro 3 milioni per l’anno 2002 ed euro 7 milioni per ciascuno degli anni 2003 e 2004, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2002-2004, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2002, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della giustizia.

2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

TITOLO II

Art. 23.

(Passaggio dalle funzioni requirenti alle giudicanti e viceversa)

1. Il comma 2 dell’articolo 190 dell’ordinamento giudiziario è sostituito dai seguenti:

«2. Il passaggio dei magistrati dalle funzioni giudicanti alle requirenti e viceversa può essere disposto, a domanda dell’interessato, solo quando il Consiglio superiore della magistratura abbia accertato la sussistenza di specifiche attitudini alla nuova funzione. Il giudizio è formulato su parere del Consiglio giudiziario, il quale può acquisire le valutazioni del presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati.

2-bis. L’immissione nelle nuove funzioni, anche se conseguente a promozione, deve essere preceduta da appositi periodi di formazione, nei modi e nei termini stabiliti dal Consiglio superiore della magistratura. La partecipazione a tali periodi di formazione non è richiesta se l’interessato ha svolto, negli ultimi otto anni, funzioni corrispondenti a quelle richieste».

 

Art. 24.

(Passaggio a funzioni diverse da quelle esercitate)

1. Dopo l’articolo 190 dell’ordinamento giudiziario, è inserito il seguente:

«Art. 190-bis. – (Passaggio a funzioni diverse da quelle esercitate) – 1. Gli accertamenti e la partecipazione a periodi di formazione, previsti dal comma 2-bis dell’articolo 190, sono disposti altresì quando il magistrato chiede di essere destinato, anche nell’ambito della stessa sede, a funzioni specializzate, quali la magistratura minorile, di sorveglianza, del lavoro, ed eventuali altre, definite tali dal Consiglio superiore della magistratura».

 

Art. 25.

(Trasferimento di sede in caso di passaggio di funzioni)

1. Dopo il sesto comma dell’articolo 192 dell’ordinamento giudiziario, sono inseriti i seguenti:

«Il magistrato che chiede di essere assegnato da funzioni requirenti a funzioni giudicanti, o viceversa, non può essere destinato, rispettivamente, a funzioni giudicanti o requirenti di primo grado nell’ambito dello stesso circondario, nè a quelle di componente della corte d’appello o della procura generale del distretto. Egli non può tornare a svolgere le nuove funzioni nell’ambito del circondario di provenienza prima che siano decorsi cinque anni.

Ogni domanda di trasferimento che comporti il passaggio dalle funzioni giudicanti alle funzioni requirenti, o da queste a quelle, può essere presentata solamente previo decorso di almeno cinque anni nelle funzioni in precedenza esercitate».

 

Art. 26.

(Incentivi alla mobilità)

1. Dopo l’articolo 194 dell’ordinamento giudiziario, è inserito il seguente:

«Art. 194-bis. – (Incentivi alla mobilità) – 1. Il Consiglio superiore della magistratura definisce ed applica criteri atti ad incentivare la pluralità delle esperienze professionali ed a valorizzarla in occasione di trasferimenti e di promozioni».

 

Art. 27.

(Giudizio di idoneità dell’uditore giudiziario)

1. All’articolo 121 dell’ordinamento giudiziario, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Nel corso del tirocinio, e anteriormente alla scelta della sede di esercizio delle prime funzioni, il Consiglio superiore della magistratura, sentito il Consiglio giudiziario, dichiara l’idoneità dell’uditore all’esercizio della funzione giudicante o requirente o di entrambe. L’eventuale giudizio di inidoneità ad una funzione rende inammissibile la domanda all’esercizio della medesima».

 

TITOLO III

Art. 28.

(Funzioni giudiziarie)

1. I magistrati ordinari si distinguono unicamente secondo le funzioni conferite ai sensi dei commi 2, 3, 4 e 5.

2. Le funzioni di magistrato di tribunale sono conferite ai magistrati, compresi gli uditori giudiziari che hanno completato il tirocinio. Tali funzioni sono:

a) giudice presso il tribunale ordinario e il tribunale per i minorenni;

b) magistrato di sorveglianza presso il tribunale e gli uffici di sorveglianza;

c) sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale, ivi compresa la direzione distrettuale antimafia, ove costituita, e il tribunale per i minorenni.

3. Le funzioni di magistrato di appello, nonchè quelle direttive e di collaborazione direttiva corrispondenti, sono conferite ai magistrati i quali abbiano conseguito la terza valutazione di professionalità. Tali funzioni sono:

a) consigliere presso la corte di appello;

b) sostituto procuratore generale presso la corte di appello e sostituto procuratore presso la direzione nazionale antimafia;

c) destinato alla corte di cassazione ed alla procura generale presso la medesima corte, ai sensi dell’articolo 2 della legge 13 febbraio 2001, n. 48;

d) presidente del tribunale, ivi compreso quello per i minorenni, procuratore della repubblica presso il tribunale e presso il tribunale per i minorenni, presidente della sezione dei giudici per le indagini preliminari, salvo quanto previsto dal comma 4, lettera g);

e) presidente di sezione del tribunale e procuratore della Repubblica aggiunto.

4. Le funzioni di magistrato di cassazione, nonchè quelle direttive e di collaborazione direttiva corrispondenti, sono conferite ai magistrati i quali abbiano conseguito la quinta valutazione di professionalità. Tali funzioni sono:

a) consigliere presso la corte di cassazione;

b) sostituto procuratore generale presso la corte di cassazione;

c) procuratore presso la direzione nazionale antimafia;

d) presidente di sezione presso la corte di appello;

e) avvocato generale presso la procura generale della corte di appello;

f) presidente del tribunale di sorveglianza;

g) presidente del tribunale, procuratore della Repubblica presso il tribunale, presidente della sezione dei giudici per le indagini preliminari, in relazione agli uffici aventi sede nelle città di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia.

5. Le funzioni direttive superiori sono conferite a magistrati i quali abbiano conseguito la settima valutazione di professionalità. Tali funzioni sono:

a) primo presidente della corte di cassazione;

b) procuratore generale della Repubblica presso la corte di cassazione, presidente aggiunto presso la corte di cassazione, presidente del tribunale superiore delle acque pubbliche;

c) presidente di sezione presso la corte di cassazione e avvocato generale presso la corte medesima;

d) presidente di corte d’appello;

e) procuratore generale presso la corte d’appello.

 

Art. 29.

(Modalità di conferimento delle funzioni giudiziarie)

1. Le funzioni giudiziarie di appello, di cassazione e direttive superiori sono conferite dal Consiglio superiore della magistratura ai magistrati che hanno conseguito le valutazioni di professionalità di cui all’articolo 28, e nei limiti di cui all’articolo 39, a domanda degli interessati o d’ufficio secondo l’ordine di ruolo in caso di mancanza o di inidoneità delle candidature proposte.

2. Per attribuire le funzioni il Consiglio superiore della magistratura procede a valutazioni comparative dei candidati, che abbiano presentato domanda o che siano esaminati in vista del conferimento d’ufficio, sulla base delle risultanze delle valutazioni di professionalità e di ogni altro elemento di conoscenza di cui il Consiglio è in possesso, secondo criteri stabiliti con i provvedimenti di cui all’articolo 44, che tengono conto della specificità delle singole funzioni.

3. I magistrati di tribunale, di appello, di cassazione e di cassazione titolari di funzioni direttive superiori sono collocati nel ruolo di anzianità della magistratura in separati raggruppamenti, ciascuno corrispondente alle funzioni ad essi conferite, e in quest’àmbito prendono posto nell’ordine di data in cui le hanno conseguite.

 

Art. 30.

(Valutazione di attitudine e di professionalità)

1. I magistrati sono sottoposti a valutazione di attitudine e di professionalità ogni quadriennio dalla nomina, salvo la prima che si effettua dopo il compimento di un quinquennio, e la quarta che si effettua dopo un triennio dalla precedente.

2. Continuano a trovare applicazione gli articoli 1 e 5 della legge 2 aprile 1979, n. 97, per quanto attiene alla valutazione cui deve essere sottoposto l’uditore giudiziario dopo il primo anno di svolgimento delle funzioni giudiziarie.

3. La valutazione di professionalità deve riguardare la capacità, la laboriosità, la diligenza e l’impegno.

4. La valutazione di professionalità riguarda anche l’attitudine alla dirigenza, ove ricorrano specifici elementi.

5. Con i provvedimenti di cui all’articolo 44, comma 1, sono specificati gli elementi in base ai quali devono essere espresse le valutazioni da parte dei consigli giudiziari, nonchè i parametri per consentire l’omogeneità delle valutazioni.

 

Art. 31.

(Capacità)

1. La capacità è riferita all’equilibrio del magistrato, alla sua preparazione giuridica ed al suo aggiornamento, alle metodologie di analisi delle questioni da risolvere e al possesso delle tecniche di argomentazione e di valutazione delle prove, e, secondo le funzioni esercitate, alla conoscenza e padronanza delle tecniche di indagine, alla conduzione dell’udienza, all’efficacia nel dirigere, utilizzare e controllare l’apporto dei collaboratori ed ausiliari.

 

 

Art. 32.

(Laboriosità)

1. La laboriosità è riferita alla qualità ed al numero degli affari trattati, in relazione al tipo di ufficio e alla sua condizione organizzativa e strutturale, nonchè ai tempi di smaltimento del lavoro, con particolare attenzione alla cura dedicata agli affari più impegnativi.

Art. 33

(Diligenza)

1. La diligenza è riferita all’assiduità e alla puntualità di presenza in ufficio, nelle udienze e nei giorni stabiliti o comunque necessari per l’adeguato espletamento del servizio, al rispetto del termine per l’emissione, la redazione e il deposito dei provvedimenti, o comunque per il compimento di attività giudiziarie.

 

Art. 34.

(Impegno)

1. L’impegno è riferito alla partecipazione al buon andamento dell’ufficio, nonchè alla disponibilità per sostituzioni, applicazioni e supplenze necessarie per il miglior funzionamento del medesimo.

 

Art. 35.

(Attitudine alla dirigenza)

1. L’attitudine alla dirigenza è riferita alla capacità organizzativa, di programmazione e di gestione, in relazione al tipo di ufficio e alle relative dotazioni. E’ riferita altresì alla capacità di valorizzare le attitudini di magistrati e funzionari, e di responsabilizzarli nei rispettivi compiti; alla capacità di controllo amministrativo sull’andamento generale dell’ufficio e alla capacità di ideare, programmare e realizzare con tempestività gli adattamenti organizzativi e gestionali convenienti, avvalendosi delle professionalità necessarie.

2. La valutazione dell’attitudine alla dirigenza tiene conto delle esperienze direttive anteriori, ove esistenti, dell’enunciazione degli obiettivi e dei risultati conseguiti. Nella predetta valutazione, si considerano positivamente la pluralità delle esperienze nelle diverse funzioni, gli incarichi svolti, la frequenza dei corsi di formazione per la dirigenza ed ogni altra esperienza ritenuta utile.

 

Art. 36.

(Procedimento per la valutazione di attitudine e di professionalità)

1. Entro il mese successivo alla scadenza del periodo di valutazione il consiglio giudiziario acquisisce:

a) la relazione del magistrato valutando il lavoro svolto nel periodo oggetto di valutazione, unitamente a quant’altro egli ritenga di allegare, compresi atti e provvedimenti da esaminare;

b) le statistiche del lavoro svolto e la comparazione con quelle degli altri magistrati del medesimo ufficio, secondo i criteri stabiliti nel provvedimento di cui all’articolo 44, comma 1;

c) i provvedimenti redatti dal magistrato e i verbali delle udienze alle quali ha partecipato, scelti a campione sulla base di criteri oggettivi, stabiliti dal provvedimento di cui all’articolo 44, comma 1;

d) l’indicazione degli incarichi extragiudiziari svolti dal magistrato nel periodo valutato;

e) il rapporto ed ogni eventuale segnalazione proveniente dai capi degli uffici, le segnalazioni eventualmente pervenute dal consiglio dell’ordine degli avvocati, sempre che si riferiscano a fatti concreti incidenti sulla professionalità del magistrato, con particolare attenzione a fatti indicativi di esercizio non indipendente della funzione o di mancanza di equilibrio. Il rapporto del capo dell’ufficio è trasmesso al consiglio giudiziario dal presidente della corte d’appello o dal procuratore generale con le proprie considerazioni.

2. Il consiglio giudiziario può assumere informazioni su fatti segnalati da suoi componenti o dai dirigenti degli uffici o dai consigli dell’ordine degli avvocati, dando tempestiva comunicazione all’interessato, del quale può procedere all’audizione. L’audizione è sempre disposta se l’interessato ne fa richiesta.

 

 

Art. 37.

(Parere del consiglio giudiziario)

1. Sulla base delle acquisizioni di cui all’articolo 36 il consiglio giudiziario formula, se si tratta delle valutazioni relative al terzo, quinto e settimo periodo oggetto di valutazione, un parere motivato, che trasmette al Consiglio superiore della magistratura unitamente alla documentazione e ai verbali delle audizioni.

2. Copia del parere è comunicata all’interessato e al Ministro della giustizia, per le osservazioni di cui all’articolo 11 della legge 24 marzo 1958, n. 195, e successive modificazioni.

3. Il magistrato, entro dieci giorni dalla comunicazione del parere, può fare pervenire al Consiglio superiore della magistratura le sue osservazioni e chiedere di essere ascoltato personalmente.

4. Il consiglio giudiziario può essere delegato dal Consiglio superiore della magistratura ad effettuare, sulla base dei criteri dallo stesso indicati all’atto del suo insediamento, le valutazioni di professionalità relative ai periodi diversi dal terzo, quinto e settimo. In tal caso il consiglio giudiziario, se ritiene di esprimere un giudizio positivo, adotta la relativa delibera. Le disposizioni del presente comma non si applicano ai magistrati della corte di cassazione, della procura generale della Repubblica presso la corte di cassazione e del tribunale superiore delle acque pubbliche.

5. La delibera è comunicata al magistrato interessato, che può proporre ricorso al Consiglio superiore della magistratura entro trenta giorni e può chiedere di essere ascoltato personalmente.

6. Il Consiglio superiore della magistratura, acquisite le osservazioni del consiglio giudiziario, decide sul ricorso entro novanta giorni e, in caso di accoglimento, sostituisce, integra o modifica la delibera del consiglio giudiziario.

7. Qualora il consiglio giudiziario ritenga di dover esprimere un giudizio non positivo o negativo, trasmette il proprio motivato parere al Consiglio superiore della magistratura, che decide direttamente, in applicazione dei commi 2 e 3 del presente articolo.

 

Art. 38.

(Consigli giudiziari)

1. Il primo e il secondo comma dell’articolo 6 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, come sostituito dall’articolo 1 della legge 12 ottobre 1966, n. 825, sono sostituiti dai seguenti:

«Presso ogni corte d’appello è costituito un consiglio giudiziario.

Il consiglio giudiziario è presieduto dal presidente della corte d’appello ed è composto dal procuratore generale della Repubblica, nonchè, a seconda che l’organico dei magistrati del distretto sia inferiore a duecento unità, sia compreso fra duecento e quattrocento unità, o sia superiore alle quattrocento unità, rispettivamente da:

a) otto membri, di cui tre supplenti, eletti ogni due anni da tutti i magistrati degli uffici giudiziari del distretto, con voto personale e segreto, nelle seguenti proporzioni: un componente effettivo ed uno supplente tra i magistrati che abbiano conseguito la quinta valutazione di attitudine e di professionalità; due componenti effettivi ed uno supplente tra i magistrati che abbiano conseguito la terza valutazione di attitudine e di professionalità; due componenti effettivi ed uno supplente tra i magistrati che abbiano completato il tirocinio;

b) tredici membri, di cui cinque supplenti, eletti ogni due anni da tutti i magistrati degli uffici giudiziari del distretto, con voto personale e segreto, nelle seguenti proporzioni: due componenti effettivi ed uno supplente tra i magistrati che abbiano conseguito la quinta valutazione di attitudine e di professionalità; tre componenti effettivi e due supplenti tra i magistrati che abbiano conseguito la terza valutazione di attitudine e di professionalità; tre componenti effettivi e due supplenti tra i magistrati che abbiano completato il tirocinio;

c) sedici membri, di cui cinque supplenti, eletti ogni due anni da tutti i magistrati degli uffici giudiziari del distretto, con voto personale e segreto, nelle seguenti proporzioni: tre componenti effettivi ed uno supplente tra i magistrati che abbiano conseguito la quinta valutazione di attitudine e di professionalità; quattro componenti effettivi e due supplenti tra i magistrati che abbiano conseguito la terza valutazione di attitudine e di professionalità; quattro componenti effettivi e due supplenti tra i magistrati che abbiano completato il tirocinio.

Nei distretti nei quali non è possibile eleggere i magistrati alla quinta valutazione di attitudine e di professionalità, i posti sono attribuiti ai magistrati che abbiano conseguito la terza valutazione.

Presso la corte di cassazione è istituito un consiglio giudiziario, del quale fanno parte il presidente aggiunto, che lo presiede, e l’avvocato generale più anziano della procura generale della Repubblica presso la corte medesima, nonchè altri cinque membri effettivi e due supplenti, eletti ogni due anni da tutti i magistrati in servizio presso la corte di cassazione, la procura generale e il tribunale superiore delle acque pubbliche, con voto personale e segreto, fra i magistrati aventi le seguenti qualifiche: un componente effettivo presidente di sezione o avvocato generale; tre componenti effettivi ed uno supplente tra i magistrati con funzioni di consigliere o di sostituto procuratore generale; un componente effettivo ed uno supplente tra i magistrati di appello o di tribunale destinati a prestare servizio presso l’ufficio del massimario o del ruolo.

Il consiglio giudiziario presso la corte d’appello di Roma è competente anche per i magistrati della Direzione nazionale antimafia.

In ogni consiglio giudiziario il presidente della corte d’appello e il procuratore generale della Repubblica, in caso di mancanza o di impedimento, sono sostituiti rispettivamente dal magistrato che ne esercita la funzione».

2. L’istruttoria dei pareri e delle valutazioni di cui all’articolo 37 è distribuita tra tutti i componenti, anche supplenti, del consiglio giudiziario. A tal fine i componenti possono avvalersi, oltre che dei magistrati distrettuali secondo quanto previsto dall’articolo 7 della legge 13 febbraio 2001, n. 48, degli uffici amministrativi della corte d’appello.

 

Art. 39.

(Giudizio positivo e legittimazioni)

1. Il giudizio di attitudine e di professionalità è positivo quando ricorrono in modo sufficiente tutti i parametri di valutazione.

2. Le funzioni di appello, di cassazione e direttive superiori possono essere conferite solamente ai magistrati che abbiano ottenuto un giudizio positivo, sulla base del risultato del procedimento per la valutazione di attitudine e professionalità ottenuto nella terza, quinta o settima valutazione.

 

Art. 40.

(Giudizio non positivo)

1. Il giudizio di attitudine e di professionalità è non positivo quando risultano deficienti uno o più parametri di valutazione.

2. Se il giudizio è non positivo, il Consiglio superiore della magistratura procede a una nuova valutazione di attitudine e di professionalità dopo un anno, previo parere del consiglio giudiziario. La nuova valutazione può concludersi solamente con un giudizio positivo o negativo.

3. In caso di giudizio positivo il nuovo trattamento economico o l’aumento periodico di anzianità sono dovuti solo a decorrere dalla scadenza dell’anno.

4. Al fine del conferimento di funzioni più elevate, il magistrato può essere classificato solamente dopo un quinquennio dal conseguimento del giudizio positivo.

Art. 41.

(Giudizio negativo)

1. Il giudizio di attitudine e di professionalità è negativo quando risultino carenze gravi in uno o più dei parametri di valutazione.

2. Se il giudizio è negativo, il magistrato è sottoposto a nuova valutazione dopo un biennio. Il Consiglio superiore della magistratura può disporre che il magistrato partecipi ad uno o più corsi di qualificazione, indicando le specifiche carenze riscontrate; può anche assegnare il magistrato, previa sua audizione, ad una diversa funzione nella medesima sede, o escluderlo dalla possibilità di accedere a incarichi direttivi o di collaborazione direttiva o a funzioni specifiche. La nuova valutazione può concludersi solamente con un giudizio positivo o negativo.

3. Il giudizio negativo comporta la perdita del diritto all’aumento periodico di stipendio.

4. Se al giudizio negativo consegue un giudizio positivo, il magistrato, al fine del conferimento di funzioni più elevate, che non siano state escluse ai sensi del comma 2, può essere classificato solamente dopo sei anni dal giudizio positivo.

5. Se il Consiglio superiore della magistratura formula, previa audizione del magistrato, un secondo giudizio negativo, questi è dispensato dal servizio.

6. Prima dell’audizione il magistrato deve essere informato della facoltà di prendere visione degli atti del procedimento e di estrarne copia. Tra l’avviso e l’audizione deve intercorrere un termine non inferiore a trenta giorni. Il magistrato ha facoltà di depositare atti e memorie fino a sette giorni prima dell’audizione e di farsi assistere da un altro magistrato o da un avvocato del foro libero. Non può, comunque, essere concesso più di un differimento dell’audizione per impedimento del magistrato designato per l’assistenza.

7. Resta fermo quanto previsto dall’ordinamento giudiziario per i fatti costituenti illecito disciplinare.

Art. 42.

(Valutazione di attitudine e di professionalità per i magistrati fuori ruolo)

1. La valutazione di attitudine e di professionalità concernente i magistrati fuori ruolo è compiuta sulla base della capacità, laboriosità, diligenza, impegno e attitudine alla dirigenza, riferiti alla funzione esercitata.

2. Il Consiglio superiore della magistratura esprime il giudizio:

a) quanto ai magistrati in servizio presso il Ministero della giustizia, previa acquisizione del parere del consiglio di amministrazione, composto dal presidente e dai membri che rivestono la qualità di magistrato, redatto sulla base del rapporto informativo del capo dell’ufficio al quale il magistrato appartiene;

b) quanto agli altri magistrati collocati fuori ruolo, compresi quelli in servizio all’estero, previo parere del consiglio giudiziario presso la corte d’appello di Roma, redatto sulla base della relazione dell’autorità presso la quale i magistrati prestano servizio, illustrativa dell’attività svolta.

3. E’ fatta salva in ogni caso la facoltà dell’interessato di produrre ogni utile documentazione, purchè attinente ai parametri di valutazione.

Art. 43.

(Trattamento economico e misura delle retribuzioni)

1. Continuano ad applicarsi le disposizioni in materia di trattamento economico del personale della magistratura, secondo quanto previsto dalla tabella annessa alla legge 19 febbraio 1981, n. 27, e successive modificazioni. Ai fini dell’applicazione dell’articolo 5 della legge 6 agosto 1984, n. 425, in relazione ai livelli retributivi previsti dalla predetta tabella, non si considerano i periodi temporali di cui agli articoli 40 e 41 della presente legge.

Art. 44.

(Norme transitorie)

1. Il Consiglio superiore della magistratura, entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, disciplina i modi di raccolta della documentazione e di individuazione a campione dei provvedimenti e dei verbali di udienza di cui all’articolo 36, definisce le modalità per la redazione dei pareri dei consigli giudiziari secondo modelli tipo o attraverso sistemi informatizzati ed enuncia i criteri di valutazione comparativa per i casi in cui la stessa è richiesta.

2. Con uno o più decreti, da emanare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro della giustizia disciplina le modalità per la raccolta dei dati ai fini dell’articolo 36.

Art. 45.

(Abrogazioni)

1. Sono abrogate tutte le disposizioni incompatibili con quelle della presente legge, ed in particolare gli articoli da 2 a 32 della legge 4 gennaio 1963, n. 1, la legge 25 luglio 1966, n. 570, e successive modificazioni, la legge 20 dicembre 1973, n. 831, e successive modificazioni, gli articoli 2, 3 e 4 della legge 2 aprile 1979, n. 97.

 

Art. 46.

(Efficacia di singole disposizioni)

1. Le funzioni elencate nei commi 3, 4 e 5 dell’articolo 28 sono rispettivamente conferite ai magistrati che, secondo la normativa previgente, abbiano già ottenuto la nomina a magistrato di appello, la dichiarazione di idoneità ad essere nominati magistrati di cassazione o quella di idoneità alle funzioni direttive superiori. Per il conferimento di tali funzioni trovano applicazione le disposizioni dell’articolo 29.

2. Nei confronti dei magistrati in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge, le valutazioni periodiche operano alla scadenza del primo periodo utile successivo alla predetta data, determinata utilizzando quale momento iniziale la data del decreto di nomina ad uditore giudiziario. Tale corrispondenza regola anche la misura delle retribuzioni determinate ai sensi dell’articolo 43.

3. Nei casi previsti dall’articolo 211 dell’ordinamento giudiziario, la corrispondenza viene operata tenendo conto del servizio effettivo prestato a decorrere dal decreto di nomina a magistrato ordinario. La eventuale maggiore retribuzione in godimento viene conservata ai sensi dell’articolo 3, comma 57, della legge 24 dicembre 1993, n. 537.

TITOLO IV

Capo I

DISPOSIZIONI GENERALI

Art. 47.

(Doveri del magistrato)

1. Il magistrato deve esercitare le funzioni attribuitegli con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo.

2. In ogni atto di esercizio delle funzioni il magistrato deve rispettare la dignità della persona.

3. Anche fuori dall’esercizio delle sue funzioni il magistrato non deve tenere comportamenti che ne compromettano la credibilità.

4. La violazione dei doveri costituisce illecito disciplinare perseguibile nelle ipotesi previste dagli articoli 48, 49 e 50.

 

Art. 48.

(Illeciti disciplinari nell’esercizio delle funzioni)

1. Costituiscono illecito disciplinare:

a) i comportamenti che, violando i doveri di cui all’articolo 47, arrecano illegittimo danno o vantaggio ad una delle parti; l’omissione della comunicazione al Consiglio superiore della magistratura della sussistenza di una delle situazioni di cui all’articolo 74; l’inosservanza dell’obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge; ogni altra violazione del dovere di imparzialità;

b) i comportamenti abitualmente o gravemente scorretti nei confronti delle parti, dei loro difensori, dei testimoni o di chiunque abbia rapporti con l’ufficio giudiziario, ovvero nei confronti di altri magistrati o di collaboratori; l’ingiustificata interferenza nell’attività giudiziaria di altro magistrato, attuata mediante l’esercizio delle funzioni; ogni altra rilevante violazione del dovere di correttezza;

c) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile; il travisamento dei fatti determinato da negligenza inescusabile; il perseguimento di fini diversi da quelli di giustizia; l’emissione di provvedimenti privi di motivazione, ovvero la cui motivazione consiste nella sola affermazione della sussistenza dei presupposti di legge senza indicazione degli elementi di fatto dai quali tale sussistenza risulti, quando la motivazione è richiesta dalla legge; l’adozione di provvedimenti non consentiti dalla legge che abbiano leso diritti personali o, in modo rilevante, diritti patrimoniali; la reiterata o grave inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio giudiziario adottate dagli organi competenti; l’affidamento ad altri del proprio lavoro; l’inosservanza dell’obbligo di risiedere nel comune in cui ha sede l’ufficio, se manca l’autorizzazione prevista dalle norme vigenti, e sempre che ne sia derivato concreto pregiudizio all’adempimento dei doveri di diligenza e laboriosità; ogni altra rilevante violazione del dovere di diligenza;

d) il reiterato, grave o ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni; l’abituale e ingiustificata esenzione dal lavoro giudiziario, compresa la redazione dei provvedimenti, da parte del dirigente l’ufficio o del presidente di una sezione o del presidente di un collegio; l’inosservanza dell’obbligo di rendersi reperibile per esigenze di ufficio quando esso sia imposto dalla legge o da disposizione dell’organo competente; ogni altra rilevante violazione del dovere di laboriosità;

e) i comportamenti che determinano la divulgazione di atti del procedimento coperti dal segreto o di cui sia previsto il divieto di pubblicazione, nonchè la violazione del dovere di riservatezza sugli affari in corso di trattazione, o sugli affari definiti, quando è idonea a ledere diritti altrui;

f) l’omissione, da parte del dirigente l’ufficio o del presidente di una sezione o del presidente di un collegio, della comunicazione agli organi competenti di fatti che possono costituire illeciti disciplinari compiuti da magistrati dell’ufficio, della sezione o del collegio; l’omissione, da parte del dirigente l’ufficio ovvero da parte del magistrato cui compete il potere di sorveglianza, della comunicazione al Consiglio superiore della magistratura della sussistenza di una delle situazioni di incompatibilità previste dagli articoli 73 e 74 o di una delle fattispecie di cui agli articoli 76 e 77.

2. Fermo quanto previsto dalla lettera c) del comma 1, non può dar luogo a responsabilità disciplinare l’attività di interpretazione di norme di diritto nè quella di valutazione del fatto e delle prove.

 

Art. 49.

(Illeciti disciplinari al di fuori dell’esercizio delle funzioni)

1. Costituiscono illecito disciplinare:

a) l’uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti per sè o per altri;

b) il frequentare persona sottoposta a procedimento penale o di prevenzione comunque trattato dal magistrato, o persona che a questi consta essere stata dichiarata delinquente abituale o aver subìto condanna per gravi delitti non colposi o una misura di prevenzione, ovvero il trattenere rapporti di affari con una di tali persone;

c) l’assunzione di incarichi extragiudiziari senza la prescritta autorizzazione dell’organo competente; lo svolgimento di attività incompatibili con la funzione giudiziaria o tali da recare concreto pregiudizio all’assolvimento del dovere di laboriosità;

d) la pubblica manifestazione di consenso o dissenso in ordine ad un procedimento in corso quando, per la posizione del magistrato o per le modalità con cui il giudizio è espresso, sia idonea a condizionare la libertà di decisione nell’esercizio delle funzioni giudiziarie;

e) la partecipazione ad associazioni i cui vincoli sono oggettivamente incompatibili con l’esercizio delle funzioni giudiziarie;

f) l’uso strumentale della qualità che, per la posizione del magistrato o per le modalità di realizzazione, è idoneo a turbare l’esercizio di funzioni costituzionalmente previste e ogni altro comportamento tenuto in pubblico idoneo a compromettere in modo grave la credibilità della funzione giudiziaria.

Art. 50.

(Illeciti disciplinari conseguenti al reato)

1. Costituiscono illecito disciplinare:

a) i fatti per i quali è intervenuta condanna irrevocabile o è stata pronunciata sentenza ai sensi dell’articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale, per delitto doloso o preterintenzionale, quando la legge stabilisce la pena detentiva, sola o congiunta alla pena pecuniaria;

b) i fatti per i quali è intervenuta condanna irrevocabile o è stata pronunciata sentenza ai sensi dell’articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale, per delitto colposo, alla pena della reclusione, sempre che presentino, per modalità e conseguenze, carattere di particolare gravità;

c) i fatti per i quali è intervenuta condanna irrevocabile o è stata pronunciata sentenza ai sensi dell’articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale, alla pena dell’arresto, sempre che presentino, per le modalità di esecuzione, carattere di particolare gravità;

d) altri fatti costituenti reato idonei a compromettere la credibilità del magistrato, anche se il reato è estinto per qualsiasi causa o l’azione penale non può essere iniziata o proseguita.

 

Art. 51.

(Sanzioni disciplinari)

1. Le sanzioni disciplinari sono:

a) l’ammonimento;

b) la censura;

c) la perdita dell’anzianità;

d) l’incapacità perpetua o temporanea ad esercitare un incarico direttivo o di collaborazione direttiva;

e) la sospensione dalle funzioni da tre mesi a due anni;

f) la rimozione.

2. L’ammonimento consiste nel richiamo, espresso nel dispositivo della decisione, all’osservanza da parte del magistrato dei suoi doveri, in rapporto all’illecito commesso.

3. La censura consiste in un biasimo formale espresso nel dispositivo della decisione.

4. La sanzione della perdita dell’anzianità è inflitta per un periodo compreso tra due mesi e due anni; il conseguente spostamento in ruolo non può essere inferiore ad un quarantesimo nè superiore a un decimo dei posti in organico della relativa qualifica.

5. La sanzione della temporanea incapacità ad esercitare un incarico direttivo o di collaborazione direttiva è inflitta per un periodo compreso tra sei mesi e due anni. Se il magistrato svolge funzioni direttive, debbono essergli conferite di ufficio altre funzioni non direttive, corrispondenti alla sua qualifica. Scontata la sanzione, il magistrato non può riprendere l’esercizio delle funzioni direttive presso l’ufficio dove le svolgeva anteriormente alla condanna.

6. La sospensione dalle funzioni comporta altresì la sospensione dallo stipendio ed il collocamento del magistrato fuori dal ruolo organico della magistratura. Al magistrato sospeso è corrisposto un assegno alimentare non eccedente i due terzi dello stipendio e delle altre competenze di carattere continuativo.

7. La rimozione determina la cessazione del rapporto di servizio.

8. Quando, per il concorso di più illeciti disciplinari, si dovrebbero irrogare più sanzioni meno gravi, si applica altra sanzione di maggiore gravità, sola o congiunta con quella meno grave se compatibile.

9. Le sanzioni di cui ai commi 4 e 7 sono eseguite mediante decreto del Presidente della Repubblica.

 

Art. 52.

(Sanzioni per determinati illeciti disciplinari)

1. Sono puniti con la sanzione non inferiore alla censura:

a) i comportamenti che, violando i doveri di cui all’articolo 47, arrecano illegittimo danno o vantaggio ad una delle parti;

b) l’inosservanza dell’obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge;

c) l’omissione, da parte dell’interessato, della comunicazione al Consiglio superiore della magistratura della sussistenza di una delle cause di incompatibilità di cui all’articolo 73;

d) ogni altra violazione del dovere di imparzialità;

e) i comportamenti previsti dall’articolo 48, comma 1, lettera b), primo periodo;

f) il perseguimento di fini diversi da quelli di giustizia;

g) il reiterato o grave ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni;

h) la scarsa laboriosità, se abituale;

i) la grave o abituale violazione del dovere di riservatezza;

l) l’uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti, se abituale o grave;

m) i comportamenti previsti dall’articolo 49, comma 1, lettera b).

2. Sono puniti con una sanzione non inferiore alla perdita dell’anzianità:

a) i comportamenti che, violando i doveri di cui all’articolo 47, arrecano illegittimo danno o vantaggio ad una delle parti, se gravi;

b) l’uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti, se abituale e grave.

3. È punita con la sanzione della incapacità ad esercitare un incarico direttivo o di collaborazione direttiva l’interferenza nell’attività di altro magistrato da parte del dirigente dell’ufficio o del presidente della sezione, se abituale o grave.

4. Sono puniti con una sanzione non inferiore alla sospensione dalle funzioni l’esercizio di attività o l’assunzione di impieghi vietati ai sensi dell’articolo 73, nonchè l’accettazione di incarichi ed uffici vietati dalla legge o non autorizzati.

5. È rimosso il magistrato che incorre nella interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici in seguito a condanna penale o che incorre in una condanna a pena detentiva non inferiore ad un anno la cui esecuzione non sia stata sospesa ai sensi degli articoli 163 e 164 del codice penale o per la quale sia intervenuto provvedimento di revoca della sospensione ai sensi dell’articolo 168 dello stesso codice.

 

Art. 53.

(Sanzione accessoria del trasferimento ad altra sede o ad altro ufficio)

1. Nell’infliggere una sanzione diversa dall’ammonimento e dalla rimozione, la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura può disporre il trasferimento del magistrato ad altra sede o ad altro ufficio quando, per la condotta tenuta, la permanenza nella stessa sede o nello stesso ufficio appare in contrasto con il buon andamento dell’amministrazione della giustizia.

2. Il trasferimento è sempre disposto quando ricorre una delle violazioni previste dall’articolo 48, comma 1, lettera a), ad eccezione dell’inosservanza dell’obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge e dell’inosservanza dell’obbligo della comunicazione al Consiglio superiore della magistratura, e dall’articolo 49, comma 1, lettera a), ovvero se è inflitta la sanzione della sospensione dalle funzioni.

 

Art. 54.

(Competenza e composizione della sezione disciplinare)

1. La cognizione dei giudizi disciplinari a carico dei magistrati è attribuita alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, composta di sette componenti effettivi e di sette supplenti.

2. Sono componenti effettivi della sezione disciplinare: il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, che la presiede, due componenti eletti dal Parlamento, un componente eletto quale magistrato di cassazione con effettivo esercizio di funzioni di legittimità e tre componenti eletti quali magistrati con funzioni di merito.

3. Sono componenti supplenti della sezione disciplinare: tre componenti eletti dal Parlamento, uno dei quali è designato a sostituire il vicepresidente, un componente eletto quale magistrato di cassazione con effettivo esercizio di funzioni di legittimità e tre componenti eletti quali magistrati con funzioni di merito.

4. Il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura è componente di diritto della sezione disciplinare. Gli altri componenti, effettivi e supplenti, sono eletti dal Consiglio superiore della magistratura tra i propri membri; nella elezione deve essere indicato il componente non magistrato designato a sostituire il vicepresidente. L’elezione ha luogo per scrutinio segreto, a maggioranza dei due terzi dei componenti il Consiglio. In caso di parità di voti tra gli appartenenti alla stessa categoria, è eletto il più anziano di età.

 

Art. 55.

(Sostituzione dei componenti della sezione disciplinare)

1. In caso di assenza, impedimento, astensione o ricusazione, il vicepresidente del Consiglio superiore è sostituito nella presidenza della sezione disciplinare dal componente effettivo eletto dal Parlamento designato a tale funzione ai sensi dell’articolo 54, comma 4.

2. Ciascuno dei componenti effettivi eletti dal Parlamento è sostituito dal componente supplente a ciò designato nell’elezione prevista dal comma 4 dell’articolo 54; se la sostituzione non è possibile, il componente effettivo è sostituito dall’altro componente supplente della medesima categoria.

3. I componenti effettivi magistrati sono sostituiti dai supplenti della medesima categoria.

4. Sulla ricusazione di un componente della sezione disciplinare decide la stessa sezione, previa sostituzione del componente ricusato con il supplente corrispondente.

Art. 56.

(Composizione della sezione disciplinare per la cognizione del giudizio di rinvio)

1. Per la cognizione del giudizio di rinvio a seguito di annullamento da parte delle Sezioni unite della Corte di cassazione, la sezione disciplinare è composta dai sette componenti supplenti ovvero dai componenti supplenti e da quei componenti effettivi che, a causa di loro impedimento, siano stati eventualmente sostituiti da componenti supplenti nell’originario giudizio disciplinare.

Art. 57.

(Pubblico ministero ed attività d’indagine)

1. Le funzioni di pubblico ministero nel procedimento disciplinare sono esercitate dal procuratore generale presso la Corte di cassazione o da un suo sostituto, salvo quanto previsto dall’articolo 61, comma 7.

2. All’attività di indagine relativa al procedimento disciplinare provvede il pubblico ministero.

 

Art. 58.

(Termini)

1. L’azione disciplinare è promossa entro un anno dalla notizia del fatto, acquisita a seguito di sommarie indagini preliminari o di denuncia circostanziata.

2. Entro un anno dalla data di inizio del procedimento deve essere richiesta l’emissione del decreto che fissa la discussione orale davanti alla sezione disciplinare; la sezione disciplinare deve pronunciarsi entro un anno dalla data della richiesta. Se la sentenza è annullata in tutto o in parte a seguito del ricorso per cassazione, il termine per la pronuncia nel giudizio di rinvio è di sei mesi e decorre dalla data in cui vengono restituiti dalla Corte di cassazione gli atti del procedimento. Se i termini non sono osservati, il procedimento disciplinare si estingue, sempre che l’incolpato vi consenta.

3. Il corso dei termini è sospeso:

a) se per il medesimo fatto è iniziato il procedimento penale, riprendendo a decorrere dalla data in cui non è più soggetta ad impugnazione la sentenza di non luogo a procedere ovvero sono divenuti irrevocabili la sentenza pronunciata in giudizio o il decreto penale di condanna;

b) se durante il procedimento disciplinare viene sollevata questione di legittimità costituzionale, riprendendo a decorrere dal giorno in cui è pubblicata la decisione della Corte costituzionale;

c) se l’incolpato è sottoposto a perizia o ad accertamenti specialistici, e per tutto il tempo necessario;

d) se il procedimento disciplinare è rinviato a richiesta dell’incolpato.

 

Capo II

PROCEDIMENTO DISCIPLINARE

Art. 59.

(Esercizio dell’azione disciplinare e inizio del procedimento)

1. Il Ministro della giustizia promuove l’azione disciplinare mediante richiesta di indagini al procuratore generale presso la Corte di cassazione. Dell’iniziativa il Ministro dà comunicazione al Consiglio superiore della magistratura, con indicazione sommaria dei fatti per i quali si procede.

2. L’azione disciplinare può essere promossa anche dal procuratore generale presso la Corte di cassazione, il quale ne dà comunicazione al Ministro della giustizia e al Consiglio superiore della magistratura, con indicazione sommaria dei fatti per i quali si procede. Il Ministro della giustizia, se ritiene che l’azione disciplinare deve essere estesa ad altri fatti, ne fa richiesta al procuratore generale, ed analoga richiesta può fare nel corso delle indagini.

3. Il Consiglio superiore della magistratura, i consigli giudiziari e i dirigenti degli uffici debbono comunicare al Ministro della giustizia e al procuratore generale presso la Corte di cassazione ogni fatto rilevante sotto il profilo disciplinare. I presidenti di sezione e i presidenti di collegio debbono comunicare ai dirigenti degli uffici i fatti concernenti l’attività dei magistrati della sezione o del collegio che siano rilevanti sotto il profilo disciplinare.

4. La richiesta di indagini rivolta dal Ministro della giustizia al procuratore generale o la comunicazione da quest’ultimo data al Consiglio superiore della magistratura ai sensi del comma 2 determinano a tutti gli effetti l’inizio del procedimento.

5. Il procuratore generale presso la Corte di cassazione può contestare fatti nuovi nel corso delle indagini anche se l’azione è stata promossa dal Ministro della giustizia, salva la facoltà del Ministro di cui al comma 2, ultimo periodo.

 

Art. 60.

(Comunicazioni all’incolpato ed atti di indagine)

1. Dell’inizio del procedimento deve essere data comunicazione entro trenta giorni all’incolpato con l’indicazione del fatto che gli viene addebitato; analoga comunicazione deve essere data per le ulteriori contestazioni di cui all’articolo 59, comma 5. L’incolpato può farsi assistere da altro magistrato o da un avvocato, designati in qualunque momento dopo la comunicazione dell’addebito, nonchè, se del caso, da un consulente tecnico.

2. Gli atti di indagine non preceduti dalla comunicazione all’incolpato o dall’avviso al difensore, se già designato, sono nulli ma la nullità non può essere più rilevata quando non è dedotta con dichiarazione scritta e motivata nel termine di dieci giorni dalla data in cui l’interessato ha avuto conoscenza del contenuto di tali atti o, in mancanza, da quella della comunicazione del decreto che fissa la discussione orale davanti alla sezione disciplinare.

3. Per l’attività di indagine si osservano, in quanto compatibili, le norme del codice di procedura penale, eccezione fatta per quelle che comportano l’esercizio di poteri coercitivi nei confronti dell’imputato, dei testimoni, dei periti e degli interpreti. Ai testimoni, periti e interpreti si applicano le disposizioni degli articoli 366, 372 e 373 del codice penale.

4. Per gli atti da compiere fuori dal suo ufficio, il pubblico ministero può richiedere altro magistrato in servizio presso la procura generale della Corte d’appello nel cui distretto l’atto deve essere compiuto.

5. Al termine delle indagini, il procuratore generale, con le richieste conclusive di cui all’articolo 61, invia alla sezione disciplinare il fascicolo del procedimento e ne dà comunicazione all’incolpato; il fascicolo è depositato nella segreteria della sezione a disposizione dell’incolpato, con facoltà di prenderne visione e di estrarre copia degli atti.

 

Art. 61.

(Chiusura delle indagini)

1. Il procuratore generale presso la Corte di cassazione, al termine delle indagini, se non ritiene di dover chiedere la declaratoria di non luogo a procedere, formula l’incolpazione e chiede al presidente della sezione disciplinare la fissazione dell’udienza di discussione orale. Della richiesta è data comunicazione al Ministro della giustizia, con invio di copia dell’atto.

2. Il Ministro della giustizia, entro venti giorni dal ricevimento della comunicazione, può chiedere l’integrazione e, nel caso di azione disciplinare da lui promossa, la modificazione della contestazione, cui provvede il procuratore generale presso la Corte di cassazione.

3. Il presidente della sezione disciplinare fissa, con decreto, il giorno della discussione orale, con avviso ai testimoni e ai periti.

4. Il decreto di cui al comma 3 è comunicato, almeno dieci giorni prima della data fissata per la discussione orale, al pubblico ministero e all’incolpato nonchè al difensore di quest’ultimo se già designato.

5. Nel caso in cui il procuratore generale ritiene che si debba escludere l’addebito, fa richiesta motivata alla sezione disciplinare per la declaratoria di non luogo a procedere. Della richiesta è data comunicazione al Ministro della giustizia, con invio di copia dell’atto.

6. Il Ministro della giustizia, entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 5, può richiedere copia degli atti del procedimento e, nei venti giorni successivi alla ricezione degli stessi, può richiedere al presidente della sezione disciplinare la fissazione dell’udienza di discussione orale, formulando l’incolpazione.

7. Decorsi i termini di cui al comma 6, sulla richiesta di non luogo a procedere la sezione disciplinare decide in camera di consiglio. Se rigetta la richiesta, procede nei modi previsti dai commi 3 e 4. Sulla richiesta del Ministro della giustizia di fissazione della discussione orale, si procede nei modi previsti nei commi 3 e 4 e le funzioni di pubblico ministero, nella discussione orale, sono esercitate da un magistrato in servizio presso il Ministero della giustizia, designato dal Ministro.

 

Art. 62.

(Discussione nel giudizio disciplinare e decisione)

1. Nella discussione orale, un componente della sezione disciplinare nominato dal presidente svolge la relazione.

2. L’udienza non è pubblica, tranne diversa richiesta dell’incolpato; tuttavia, anche in questo caso, la sezione disciplinare, sentito il pubblico ministero, può disporre che la discussione non sia pubblica a tutela della credibilità della funzione giudiziaria, con riferimento ai fatti contestati ed all’ufficio che l’incolpato occupa.

3. La sezione disciplinare può assumere anche d’ufficio tutte le prove che ritiene utili, può disporre o consentire la lettura di rapporti dell’Ispettorato generale del Ministero della giustizia, dei consigli giudiziari e dei dirigenti degli uffici, la lettura di atti dei fascicoli personali nonchè delle prove acquisite nel corso delle indagini; può consentire l’esibizione di documenti da parte del pubblico ministero e dell’incolpato. Si osservano, in quanto compatibili, le norme del codice di procedura penale sul dibattimento, eccezione fatta per quelle che comportano l’esercizio di poteri coercitivi nei confronti dell’imputato, dei testimoni, dei periti e degli interpreti. Ai testimoni, periti e interpreti si applicano le disposizioni di cui agli articoli 366, 372 e 373 del codice penale.

4. La sezione disciplinare delibera immediatamente dopo l’assunzione delle prove, le conclusioni del pubblico ministero e la difesa dell’incolpato; questi deve essere sentito per ultimo. Il pubblico ministero non assiste alla deliberazione in camera di consiglio.

5. Se non è raggiunta prova sufficiente dell’addebito, la sezione disciplinare ne dichiara esclusa la sussistenza.

6. I motivi della decisione sono depositati nella segreteria della sezione disciplinare entro trenta giorni dalla deliberazione.

7. Dei provvedimenti adottati dalla sezione disciplinare è data comunicazione al Ministro della giustizia con invio di copia integrale, anche ai fini della decorrenza dei termini per la proposizione del ricorso alle Sezioni unite della Corte di cassazione, ai sensi dell’articolo 66. Il Ministro può richiedere copia degli atti del procedimento.

Art. 63.

(Rapporti con altri giudizi)

1. L’azione disciplinare è promossa indipendentemente dall’azione civile di risarcimento del danno o dall’azione penale relativa allo stesso fatto, fermo restando quanto previsto dall’articolo 58, comma 3.

2. Hanno autorità di cosa giudicata nel giudizio disciplinare la sentenza irrevocabile di condanna, quella prevista dall’articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale, che è equiparata alla sentenza di condanna, la sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione e quella irrevocabile di proscioglimento pronunciate perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso.

Art. 64.

(Sospensione cautelare necessaria)

1. A richiesta del Ministro della giustizia o del procuratore generale presso la Corte di cassazione, la sezione disciplinare sospende dalle funzioni e dallo stipendio e colloca fuori dal ruolo organico della magistratura il magistrato, sottoposto a procedimento penale, nei cui confronti sia stata adottata una misura cautelare personale.

2. La sospensione permane sino alla sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione o alla sentenza irrevocabile di proscioglimento; la sospensione deve essere revocata, anche d’ufficio, dalla sezione disciplinare, allorché la misura cautelare è revocata per carenza di gravi indizi di colpevolezza; la sospensione può essere revocata, anche d’ufficio, negli altri casi di revoca o di cessazione degli effetti della misura cautelare.

3. Al magistrato sospeso è corrisposto un assegno alimentare non eccedente i due terzi dello stipendio e delle altre competenze di carattere continuativo.

4. Il magistrato riacquista il diritto agli stipendi e alle altre competenze non percepiti, detratte le somme corrisposte per assegno alimentare, se è prosciolto con sentenza irrevocabile o se è pronunciata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione.

 

Art. 65.

(Sospensione cautelare facoltativa)

1. Quando il magistrato è sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo punibile, anche in via alternativa, con pena detentiva, o quando al medesimo possono essere ascritti fatti rilevanti sotto il profilo disciplinare che, per la loro gravità, siano incompatibili con l’esercizio delle funzioni, il Ministro della giustizia o il procuratore generale presso la Corte di cassazione possono chiedere la sospensione cautelare dalle funzioni e dallo stipendio anche prima dell’inizio del procedimento disciplinare.

2. La sezione disciplinare convoca il magistrato con un preavviso di almeno tre giorni e provvede dopo aver sentito l’interessato o dopo aver constatato la sua mancata presentazione. Il magistrato può farsi assistere da altro magistrato o da un avvocato anche nel corso del procedimento di sospensione cautelare.

3. La sospensione può essere revocata dalla sezione disciplinare in qualsiasi momento, anche d’ufficio.

4. Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 51, comma 6, e all’articolo 64, commi 3 e 4.

Art. 66.

(Ricorso per cassazione)

1. Contro i provvedimenti in materia di sospensione di cui agli articoli 64 e 65 e contro le decisioni della sezione disciplinare l’incolpato, il Ministro della giustizia e il procuratore generale presso la Corte di cassazione possono proporre ricorso per cassazione, nei termini e con le forme previsti dal codice di procedura penale. Il ricorso ha effetto sospensivo del provvedimento impugnato.

2. La Corte di cassazione decide a Sezioni unite penali, entro sei mesi dalla data di proposizione del ricorso.

 

Art. 67.

(Reintegrazione a seguito di sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento)

1. Il magistrato sottoposto a procedimento penale e cautelarmente sospeso ha diritto ad essere reintegrato a tutti gli effetti nella situazione anteriore qualora sia prosciolto con sentenza irrevocabile ovvero sia pronunciata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione. Se il posto prima occupato non è vacante, ha diritto di scelta fra quelli disponibili, ed entro un anno può chiedere l’assegnazione ad ufficio analogo a quello originariamente ricoperto, con precedenza rispetto ad altri eventuali concorrenti.

 

Art. 68.

(Corresponsione degli arretrati al magistrato sospeso)

1. La sospensione cautelare cessa di diritto quando diviene definitiva la pronuncia della sezione disciplinare che conclude il procedimento.

2. Se è pronunciata decisione di non luogo a procedere o se l’incolpato è assolto o condannato ad una sanzione diversa dalla rimozione o dalla sospensione delle funzioni per un tempo pari o superiore alla durata della sospensione cautelare eventualmente disposta, sono corrisposti gli arretrati dello stipendio e delle altre competenze non percepiti, detratte le somme già riscosse per assegno alimentare.

 

Art. 69.

(Revisione)

1. In ogni tempo è ammessa la revisione delle decisioni divenute irrevocabili, con le quali è stata applicata una sanzione disciplinare, quando:

a) i fatti posti a fondamento della decisione risultano incompatibili con quelli accertati in una sentenza penale irrevocabile ovvero in una sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione;

b) sono sopravvenuti o si scoprono, dopo la decisione, nuovi elementi di prova, che, soli o uniti a quelli già esaminati nel procedimento disciplinare, dimostrano l’insussistenza dell’illecito;

c) il giudizio di responsabilità e l’applicazione della relativa sanzione sono stati determinati da falsità ovvero da altro reato accertato con sentenza irrevocabile.

2. Gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono, a pena di inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare che, se accertati, debba essere escluso l’addebito o debba essere applicata una sanzione diversa da quella inflitta se trattasi della rimozione, ovvero se dalla sanzione applicata è conseguito il trasferimento d’ufficio.

 

Art. 70.

(Istanza di revisione)

1. La revisione può essere chiesta dal magistrato al quale è stata applicata la sanzione disciplinare o, in caso di morte o di sopravvenuta incapacità di questi, da un suo prossimo congiunto che vi abbia interesse anche soltanto morale.

2. L’istanza di revisione è proposta personalmente o per mezzo di procuratore speciale. Essa deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione specifica delle ragioni e dei mezzi di prova che la giustificano e deve essere presentata, unitamente ad eventuali atti e documenti, alla segreteria della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura.

3. Nei casi previsti dall’articolo 69, comma 1, lettere a) e c), all’istanza deve essere unita copia autentica della sentenza penale.

4. La revisione può essere chiesta anche dal Ministro della giustizia e dal procuratore generale presso la Corte di cassazione, alle condizioni di cui all’articolo 69 e con le modalità di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo.

 

Art. 71.

(Provvedimenti sull’istanza di revisione)

1. La sezione disciplinare acquisisce gli atti del procedimento disciplinare e, sentiti il Ministro della giustizia, il procuratore generale presso la Corte di cassazione, l’istante ed il suo difensore, dichiara inammissibile l’istanza di revisione se proposta fuori dai casi di cui al comma 2 dell’articolo 69, o senza l’osservanza delle disposizioni di cui al comma 2 dell’articolo 70 ovvero se risulta manifestamente infondata; altrimenti, dispone procedersi al giudizio di revisione, al quale si applicano le norme stabilite per il procedimento disciplinare.

2. Contro la decisione che dichiara inammissibile l’istanza di revisione è ammesso ricorso alle Sezioni unite penali della Corte di cassazione.

 

Art. 72.

(Giudizio di revisione)

1. In caso di accoglimento dell’istanza di revisione la sezione disciplinare revoca la precedente decisione.

2. Il magistrato assolto con decisione irrevocabile a seguito di giudizio di revisione ha diritto alla integrale ricostruzione della carriera nonchè a percepire gli arretrati dello stipendio e delle altre competenze non percepiti, detratte le somme corrisposte per assegno alimentare, rivalutati in base alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, rilevata dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT).

 

Capo III

INCOMPATIBILITÀ

Art. 73.

(Incompatibilità di funzioni e ineleggibilità per i magistrati)

1. I magistrati non possono assumere impieghi od uffici pubblici o privati. Possono assumere l’ufficio di senatore, deputato, ministro, sottosegretario di Stato, deputato al Parlamento europeo, consigliere regionale, provinciale, comunale, circoscrizionale, presidente della provincia, sindaco, componente della giunta regionale, provinciale o comunale, alle condizioni e con i limiti stabiliti nei commi 2, 3 e 4. I magistrati non possono esercitare libere professioni, anche se non ordinate in albi professionali, nè attività industriali, commerciali o comunque imprenditoriali.

2. I magistrati, esclusi quelli in servizio presso la Corte di cassazione, non possono essere eletti senatore, deputato, deputato al Parlamento europeo, consigliere regionale, provinciale, comunale, circoscrizionale, presidente della provincia o sindaco, nelle circoscrizioni elettorali sottoposte, in tutto o in parte, alla giurisdizione degli uffici ai quali si sono trovati assegnati o presso i quali hanno esercitato le loro funzioni in un periodo compreso nei due anni antecedenti la data di accettazione della candidatura. Non possono altresì essere eletti alle suddette cariche nè essere nominati componenti di una giunta regionale, provinciale o comunale se all’atto dell’accettazione della candidatura o della nomina non si trovano in aspettativa.

3. Le disposizioni di cui al comma 2 si applicano anche nel caso di scioglimento anticipato dell’assemblea elettiva.

4. I magistrati in servizio presso la Corte di cassazione, il tribunale superiore delle acque pubbliche, la procura generale presso la Cassazione possono essere eletti alle cariche di cui al comma 2 solo se si trovano in aspettativa almeno novanta giorni prima della data di convocazione dei comizi elettorali e, nel caso di scioglimento anticipato dell’assemblea elettiva, entro sette giorni dalla data del decreto di scioglimento, semprechè non si tratti di circoscrizione elettorale presso la quale abbiano esercitato giurisdizione negli ultimi due anni. Non possono essere nominati componenti di una giunta regionale, provinciale o comunale se non si trovano in aspettativa all’atto della nomina.

5. Sono abrogati il primo comma dell’articolo 8 del testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e ogni altra norma incompatibile con le disposizioni del presente articolo.

 

Art. 74.

(Incompatibilità per vincoli di parentela, coniugio o affinità)

1. Il magistrato non può essere assegnato o trasferito o comunque prestare servizio in un ufficio giudiziario nel quale il coniuge, un parente o un affine fino al secondo grado esercita le funzioni di magistrato. Il Consiglio superiore della magistratura può tuttavia derogare al divieto se, tenuto conto anche del numero delle sezioni che compongono l’ufficio, ritiene che non sussistono motivi di intralcio al corretto e regolare svolgimento dell’attività giudiziaria e che non è compromessa la credibilità della funzione giudiziaria.

2. Il magistrato non può esercitare le funzioni:

a) nell’ufficio dinanzi al quale svolge abitualmente la professione forense il coniuge o un parente in linea retta, o collaterale fino al secondo grado, salvo che il Consiglio superiore della magistratura accerti, anche in relazione al numero dei componenti l’ufficio, che le rispettive attività si svolgono in ambiti assolutamente distinti;

b) nel territorio del distretto ove è compreso l’ufficio innanzi al quale il coniuge o un parente in linea retta o in linea collaterale fino al secondo grado ovvero un affine in linea retta o in linea collaterale fino al secondo grado è imputato di un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni o è sottoposto a procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione, sempre che, avuto riguardo ai suoi rapporti con l’imputato, alla funzione da lui esercitata e al numero dei componenti l’ufficio, possa risultare gravemente compromessa la fiducia nel regolare svolgimento della funzione giudiziaria. L’incompatibilità permane sino a quando il procedimento pende dinanzi ad uno degli uffici del distretto;

c) nella sede del suo ufficio quando il coniuge o un parente in linea retta o collaterale fino al secondo grado ovvero altro parente o affine con lui convivente tenga ivi una condotta che, per la natura riprovevole e la notorietà, anche in relazione alla dimensione territoriale dell’ufficio, comprometta gravemente la fiducia nella imparzialità o nella correttezza della funzione giudiziaria.

3. Agli effetti del presente articolo al rapporto di coniugio è parificata la convivenza di fatto.

 

Art. 75.

(Destinazione ad altre funzioni o trasferimento ad altra sede per incompatibilità o per inettitudine)

1. Salvo quanto disposto dagli articoli 52 e 53, il magistrato, anche senza il suo consenso, è destinato ad altre funzioni o è trasferito ad altra sede quando si trova in uno dei casi di incompatibilità previsti dall’articolo 74 o quando per qualsiasi causa, anche indipendentemente da sua colpa e prescindendo da ogni valutazione in ordine a provvedimenti emessi nell’espletamento dell’attività giurisdizionale, non può, nella sede o nell’ufficio che occupa, amministrare la giustizia nelle condizioni richieste per la credibilità della funzione.

2. Il magistrato dirigente dell’ufficio è destinato, anche senza il suo consenso, ad altre funzioni non direttive quando risulti oggettivamente inidoneo all’incarico ricoperto.

 

Art. 76.

(Norme procedimentali)

1. Quando ricorre una delle situazioni previste dagli articoli 74 e 75, il magistrato interessato o il dirigente dell’ufficio ovvero il magistrato cui compete il potere di sorveglianza che abbia avuto comunque notizia di una delle predette situazioni ha l’obbligo di denunciarla al Consiglio superiore della magistratura entro il termine di quindici giorni dalla data in cui ne è venuto a conoscenza. Il Consiglio superiore può anche attivarsi su richiesta del Ministro della giustizia ovvero d’ufficio.

2. La competente commissione del Consiglio superiore della magistratura, compiuti tempestivamente eventuali accertamenti preliminari, se non ritiene di proporre al Consiglio superiore della magistratura l’archiviazione, dispone l’apertura della procedura di trasferimento dandone immediatamente avviso all’interessato ed avvertendolo che potrà essere sentito, anche a sua richiesta, con l’eventuale assistenza di altro magistrato. Le indagini debbono essere svolte entro il termine di tre mesi dalla comunicazione dell’avviso di cui al presente comma.

3. Esaurite le indagini, gli atti della procedura sono depositati nella segreteria della commissione; del deposito è dato immediato avviso all’interessato che, nei venti giorni successivi alla ricezione dell’avviso, ha facoltà di prendere visione degli atti, di estrarne copia e di presentare controdeduzioni scritte.

4. Trascorso il termine di cui al comma 3, la commissione, se non debbono essere compiuti ulteriori accertamenti, propone al Consiglio superiore della magistratura, entro i successivi trenta giorni, il trasferimento d’ufficio del magistrato o l’archiviazione degli atti.

5. La data della seduta fissata dal Consiglio superiore della magistratura per la decisione è comunicata almeno venti giorni prima all’interessato, che ha diritto di essere sentito personalmente con l’assistenza di altro magistrato o di un avvocato. Il Consiglio decide con provvedimento motivato entro tre mesi dalla scadenza del termine di cui al comma 4. La seduta del Consiglio non è pubblica.

6. La procedura di trasferimento d’ufficio non può essere iniziata o proseguita se il magistrato è stato, a domanda, trasferito ad altra sede o destinato ad altre funzioni, con cessazione della situazione di incompatibilità.

7. Nel caso previsto dalla lettera b) del comma 2 dell’articolo 74 il magistrato deve essere trasferito ad altro distretto. Quando il procedimento penale che ha determinato l’incompatibilità si conclude con sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento o quando la proposta per l’applicazione della misura di prevenzione viene rigettata, il magistrato che ne fa domanda è destinato all’ufficio di provenienza o ad altro della stessa sede, anche in soprannumero.

Art. 77.

(Dispensa dal servizio, collocamento in aspettativa o destinazione ad altre funzioni per infermità)

1. Il magistrato è dispensato dal servizio se per qualsiasi infermità permanente o per sopravvenuta inettitudine non può adempiere convenientemente ed efficacemente ai doveri del proprio ufficio.

2. Se l’infermità ha carattere temporaneo, il magistrato può essere di ufficio collocato in aspettativa fino al termine massimo consentito dalle vigenti disposizioni. Decorso tale termine, il magistrato che ancora non si trova in condizioni di essere richiamato dall’aspettativa è dispensato dal servizio.

3. Il magistrato può essere destinato ad altre funzioni senza il suo consenso quando le sue condizioni di salute pregiudicano in modo grave lo svolgimento della specifica funzione giudiziaria di cui è investito.

4. Si applicano le disposizioni contenute nei commi da 1 a 5 dell’articolo 76. Nel corso della procedura il magistrato può farsi assistere anche da un perito di fiducia.

5. Nel caso previsto dal comma 3, la procedura non può essere iniziata o proseguita se il magistrato, a domanda, è stato destinato ad altre funzioni compatibili con il suo stato di salute.

6. La sezione disciplinare, se pronuncia non luogo a procedere per infermità di mente dell’incolpato, trasmette gli atti alla competente commissione referente perchè venga attivato immediatamente il procedimento di dispensa dal servizio.

 

Art. 78.

(Divieto di iscrizione a partiti politici)

1. Ai magistrati è fatto divieto di iscriversi a partiti politici.

2. La violazione della disposizione di cui al comma 1 è punita con sanzione non superiore alla censura.

TITOLO V

Art. 79.

(Uffici direttivi)

1. Sono considerati direttivi i seguenti uffici:

a) primo presidente della corte di cassazione;

b) procuratore generale della Repubblica presso la corte di cassazione, presidente aggiunto presso la corte di cassazione, presidente del tribunale superiore delle acque pubbliche;

c) presidente di sezione presso la corte di cassazione e avvocato generale presso la corte medesima;

d) presidente di corte d’appello e procuratore generale presso la stessa corte;

e) presidenti di tribunale, presidente della sezione dei giudici per le indagini preliminari, procuratore della Repubblica e procuratore nazionale antimafia, presidente di tribunale di sorveglianza e presidente del tribunale per i minorenni.

 

Art. 80.

(Nomina)

1. Gli uffici direttivi sono conferiti, a domanda, dal Consiglio superiore della magistratura, il quale nel deliberare, tiene conto anche delle valutazioni e dei pareri espressi dai consigli giudiziari ai sensi dell’articolo 37.

2. Resta fermo quanto disposto dall’articolo 11, terzo comma, della legge 24 marzo 1958, n. 195, e successive modificazioni.

 

Art. 81.

(Durata dell’ufficio)

1. I titolari degli uffici direttivi durano in carica quattro anni.

2. Il termine di cui al comma 1 può essere prorogato per altri quattro anni, su richiesta del titolare dell’ufficio direttivo, se il Consiglio superiore della magistratura, sulla base del parere del consiglio giudiziario e degli elementi comunque acquisiti, ritiene che egli abbia svolto le funzioni direttive con particolare merito. La proroga prevista dal presente comma può essere concessa per una sola volta.

3. La proroga dell’incarico è ammessa anche nel caso in cui pendano processi particolarmente rilevanti e complessi nei quali il titolare dell’ufficio direttivo sia direttamente impegnato e sino alla conclusione di essi.

4. Allo scadere del quarto anno o della proroga concessa ai sensi dei commi 2 e 3, ovvero qualora non sia accolta la richiesta formulata ai sensi del comma 2, il magistrato può fare domanda di acquisire la titolarità di un ufficio direttivo presso una sede giudiziaria diversa da quella nella quale ha esercitato l’ultimo incarico direttivo.

5. Fino alla decorrenza del termine previsto dall’articolo 194 dell’ordinamento giudiziario, il titolare di un ufficio direttivo non può chiedere di essere assegnato a funzioni diverse o trasferito ad altra sede, salvo che ricorrano gravi motivi di salute ovvero gravi ragioni di servizio o di famiglia.

 

Art. 82.

(Revoca dell’incarico)

1. Il Consiglio superiore della magistratura, qualora, acquisito ogni utile elemento e previa audizione dell’interessato, accerti la palese inidoneità ad esercitare le funzioni direttive, può revocare le predette funzioni prima della scadenza del termine di legge. In tal caso, si applicano le disposizioni dell’articolo 84.

 

Art. 83.

(Condizioni per la nomina)

1. Gli uffici direttivi della magistratura di merito non possono essere conferiti ai magistrati il cui collocamento a riposo deve avere luogo entro il successivo biennio.

2. Restano fermi gli altri requisiti previsti dalla legge per la nomina ad uffici direttivi.

Art. 84.

(Cessazione dall’ufficio per scadenza dell’incarico)

1. Alla scadenza dell’incarico il magistrato che ha esercitato funzioni direttive ha diritto di essere assegnato, con precedenza su chiunque, alle funzioni ed alla sede di provenienza se vi sono posti vacanti, ovvero se non ve ne sono di essere assegnato in sovrannumero ad uno degli uffici giudiziari del comune in cui ha sede l’ufficio al quale egli era preposto.

Art. 85.

(Funzioni giurisdizionali)

1. Il presidente della corte d’appello e il presidente del tribunale possono esercitare funzioni giurisdizionali soltanto presso la sezione dei rispettivi uffici indicata, a tal fine, nella tabella annuale.

Art. 86.

(Funzioni di collaborazione direttiva)

1. Esercitano funzioni di collaborazione direttiva, insieme alle altre funzioni giudiziarie, i titolari dei seguenti uffici:

a) presidente di sezione della corte di cassazione;

b) presidente di sezione di corte d’appello;

c) procuratore generale aggiunto presso la corte di cassazione e presso la corte d’appello;

d) presidente di sezione di tribunale;

e) procuratore della Repubblica aggiunto;

g) presidente aggiunto della sezione dei giudici per le indagini preliminari.

Art. 87.

(Nomina e durata dell’ufficio)

1. Gli uffici di collaborazione direttiva sono conferiti dal Consiglio superiore della magistratura su domanda e su proposta del consiglio giudiziario, formulata in base alle competenze ad esso attribuite dagli articoli 36 e seguenti.

2. I titolari degli uffici di cui all’articolo 86 durano in carica cinque anni.

3. L’incarico di cui al comma 2 può essere prorogato nei casi previsti dai commi 2 e 3 dell’articolo 81.

4. Gli uffici di collaborazione direttiva della magistratura di merito non possono essere conferiti a magistrati il cui collocamento a riposo deve avere luogo entro il biennio successivo.

 

Art. 88.

(Modifica alla legge 24 marzo 1958, n. 195)

1. All’articolo 10 della legge 24 marzo 1958, n. 195, dopo il primo comma è inserito il seguente:

«Il Consiglio superiore della magistratura emana, per l’assegnazione degli affari giudiziari ai magistrati, direttive improntate a criteri obiettivi e predeterminati».

 

Art. 89.

(Distribuzione degli affari giudiziari)

1. Nella distribuzione degli affari giudiziari, i titolari degli uffici previsti negli articoli 79 e 86 devono attenersi alle direttive emanate dal Consiglio superiore della magistratura e dal consiglio giudiziario, alle quali possono derogare solo in casi eccezionali e con provvedimento motivato.

2. In caso di deroga ai sensi del comma 1, il capo dell’ufficio deve informarne entro dieci giorni il Consiglio superiore della magistratura. Se non interviene un provvedimento di revoca entro i successivi dieci giorni, la deroga si intende confermata. Restano validi in ogni caso gli atti compiuti.

3. La revoca dei provvedimenti di assegnazione e la sostituzione anche per il compimento di singoli atti sono ammesse, con provvedimento motivato, soltanto nei casi di assoluto impedimento o di gravi esigenze di servizio.

4. Il magistrato cui si riferisce il provvedimento di revoca o di sostituzione, entro sette giorni, può proporre reclamo al consiglio giudiziario, che decide nei successivi sette giorni.

5. Il reclamo non sospende l’efficacia del provvedimento. L’accoglimento del reclamo non incide sulla validità degli atti compiuti, salva la facoltà di rinnovarli.


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 1468

DISEGNO DI LEGGE

d’iniziativa dei senatori CIRAMI, SODANO Calogero, MONTALBANO, CONTESTABILE, COMPAGNA, IANNUZZI, MENARDI, TREMATERRA, RONCONI, ROLLANDIN, IERVOLINO, D’IPPOLITO, FASOLINO, GIRFATTI, RUVOLO, CASTAGNETTI, BOREA, CHERCHI, SCOTTI, SALZANO, CALLEGARO, CICCANTI, TAROLLI, MAFFIOLI, PELLEGRINO, FORLANI, GABURRO, BONGIORNO, FORTE, BERGAMO, MAGRI, TUNIS, BASILE, MELELEO, OGNIBENE, NESSA, MONCADA LO GIUDICE di MONFORTE, SUDANO e ZICCONE

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 4 GIUGNO 2002

 

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Istituzione in Agrigento di una sezione distaccata della corte d’appello e della corte d’assise d’appello di Palermo

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Onorevoli Senatori. – Il territorio della provincia di Agrigento, che comprende due tribunali (Agrigento e Sciacca), da solo (per numero di abitanti – oltre 500.000, per l’elevato numero di affari contenziosi trattati, per numero di sezioni – 5 sezioni di tribunale, 3 sezioni di corte d’assise e 8 giudici monocratici del tribunale di Agrigento, oltre le numerose sezioni del tribunale civile di Agrigento e del tribunale penale e civile di Sciacca) giustificherebbe un’autonoma sede di corte d’appello.

 

    Tale giustificazione appare più evidente se va a confrontarsi quanto sopra con altre sedi di corti d’appello.

    Va, intanto, precisato che le corti di appello, sia in materia penale sia in materia civile, non esercitano solo la giurisdizione di appello, ma anche quella di primo grado secondo quanto previsto dall’articolo 53 dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, ed ancora esercitano molte altre funzioni, per quanto attiene il settore civile, anche in materia di volontaria giurisdizione. A livello esemplificativo si menziona, tra le funzioni che la corte d’appello esercita nel settore civile in primo grado e per volontaria giurisdizione, quella di decidere avverso la determinazione dell’indennità di esproprio ai sensi dell’articolo 19 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modificazioni.

    Con l’entrata in vigore, inoltre, dell’articolo 68 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (ora articolo 63 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165), che attribuisce al giudice unico di tribunale in funzione di giudice del lavoro le controversie riguardanti il rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, sono lievitati i giudizi di primo grado e, quindi, d’appello. Gli appelli si svolgono nelle sedi di corte d’appello e per di più lontano dalla residenza del lavoratore e dalla sede ove si presta servizio, con evidenti gravi disagi. Per tutto quanto sopra, appare pienamente giustificata, ai sensi dell’articolo 59 dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, istituire in Agrigento una sezione distaccata della corte d’appello e della corte di assise d’appello di Palermo avente giurisdizione sul tribunale di Sciacca e di Agrigento.

    Tale istituto dell’ordinamento giudiziario è stato, invero, poco usato, con la conseguente concentrazione della giurisdizione che ha determinato e che determina un ingolfamento dell’attività giurisdizionale ed un notevole inconveniente per l’utenza della giustizia, per i suoi operatori, per la collettività.

    La presente proposta normativa è ancora più urgente ed indifferibile attesa l’entrata in vigore della istituzione del giudice unico di primo grado.

 

 


 


 


DISEGNO DI LEGGE

 

Art. 1.

    1. Sono istituite in Agrigento una sezione distaccata della corte d’appello e una sezione distaccata della corte di assise d’appello di Palermo con giurisdizione sul territorio compreso nei circondari dei tribunali di Agrigento e di Sciacca.

 

Art. 2.

    1. Il Ministro della giustizia è autorizzato a definire, con proprio decreto, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, la pianta organica delle sezioni di cui all’articolo 1, determinando il personale necessario al loro funzionamento, ridefinendo le dotazioni organiche degli altri uffici.

 

Art. 3.

    1. Il Ministro della giustizia è autorizzato a stabilire, con proprio decreto, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, la data di inizio del funzionamento delle sezioni distaccate di cui all’articolo 1.

 

    Art. 4.

    1. Alla data di inizio del funzionamento delle sezioni distaccate di cui all’articolo 1, gli affari civili e penali pendenti davanti alla corte d’appello e alla corte di assise d’appello di Palermo e appartenenti, ai sensi della presente legge, alla competenza per territorio delle sezioni distaccate della corte di appello e della corte di assise d’appello di Palermo con sede in Agrigento, sono devoluti d’ufficio alla cognizione di tali sezioni distaccate. La disposizione non si applica alle cause civili nelle quali le parti hanno già precisato le conclusioni ai sensi dell’articolo 352 del codice di procedura civile, ai procedimenti penali nei quali è stato notificato il decreto di citazione a tutte le parti e agli affari di volontaria giurisdizione che sono già in corso alla data di inizio del funzionamento delle sezioni distaccate, fissata ai sensi dell’articolo 3.

 

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 1493

DISEGNO DI LEGGE

 

d’iniziativa dei senatori CARUSO Antonino e PELLICINI

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 12 GIUGNO 2002

 

 

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Delega al Governo per l’istituzione della corte d’appello di Busto Arsizio e del tribunale di Legnano e per la revisione dei distretti delle corti d’appello di Milano e Torino

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Onorevoli Senatori. – E’ previsto l’imminente esame, da parte del Senato in prima lettura, del disegno di legge n. 1296, d’iniziativa del Ministro della giustizia, che – fra altre questioni – affronta la tematica della geografia giudiziaria, prevedendo il conferimento di delega al Governo per l’istituzione di nuove corti d’appello, di nuovi tribunali, oltre che per la generale razionalizzazione dell’intero sistema giudiziario.

 

    È opinione dei proponenti che si tratti di un intervento assolutamente e incondizionatamente auspicabile, avente reale carattere di rango strutturale e che, con esso, il Ministro della giustizia sarà in grado di imprimere una significativa svolta di qualità, con riferimento al servizio che egli è tenuto ad assicurare, attraverso il dicastero cui è preposto.

    All’interno di tale generale intervento (di grande complessità e difficoltà, come a nessuno sfugge) vi sono tuttavia aspetti e questioni, la cui necessità di indifferibile soluzione non solo è fortemente avvertita, ma costituisce – anzi – ormai non più rinunciabile esigenza da parte delle comunità più direttamente interessate e, tra tali questioni, vi è quella del decongestionamento di taluni uffici giudiziari, tra cui quelli che fanno attualmente capo alla corte d’appello di Milano.

    Basti solo rammentare, sul punto, che già nella XIII legislatura furono avanzate proposte che, sebbene utilizzando strumenti diversi da quelli che caratterizzano la presente, pur tuttavia muovevano nell’identica, esatta direzione.

    Ci si riferisce, per esempio, ai disegni di legge atti Senato n. 3033 e n. 3113, rispettivamente d’iniziativa dei senatori Antonio Battaglia ed altri e del Governo allora in carica, con cui si proponevano interventi mirati, per l’appunto, al decongestionamento degli uffici giudiziari di Milano, Roma, Napoli, Palermo e Torino, attraverso l’istituzione di nuovi tribunali nelle relative aree metropolitane.

    Il proposito iniziale trovò allora ostacoli, emersi sin dall’avvio dell’esame della questione da parte della Commissione giustizia del Senato, sostanzialmente rappresentati dalla indisponibilità dei fondi reputati occorrenti.

    Si aggiunse a ciò il fatto che, ad una miglior analisi del problema, si evidenziarono ulteriori difficoltà di ordine tecnico (in particolare con riferimento all’ipotesi di istituzione di un nuovo ufficio nell’ambito dell’area territoriale della città di Palermo), con il che il testo originario fu dunque modificato, divenendo poi legge (legge 5 maggio 1999, n. 155, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.  128 del 3 giugno 1999), con limitazione della delega alla istituzione di due soli nuovi tribunali, da prevedersi nelle sole città di Napoli e di Roma.

    Il detto intervento ha assicurata un’ingente copertura, sia con riferimento a spese di nuovo investimento, sia per ciò che concerne gli oneri di funzionamento ordinario dei due nuovi uffici.

    È infatti accaduto che il Governo allora in carica si orientò, medio tempore rispetto all’iniziale prospettazione da esso stesso avanzata, nella direzione dell’acquisto degli immobili destinati alle seconde sedi dei tribunali di Napoli e Roma, prevedendo una spesa di ben quaranta miliardi di lire (39,750, per l’esattezza).

    Il disegno di legge ora proposto all’esame del Senato, coerente e complementare con quello, all’inizio citato, d’iniziativa del Ministro della giustizia ora in carica, riprende i temi appena sopra illustrati e tende allo stesso fine.

    Volge, cioè, nella direzione del significativo riordino e razionalizzazione del servizio giustizia con riferimento ad un’ampia parte del territorio della regione Lombardia, attraverso un concorrente decongestionamento degli uffici della corte d’appello di Milano.

    La detta proposta prevede, peraltro e al contrario di quanto avvenne nella passata legislatura, la sostanziale (e probabilmente effettiva) insussistenza di rilevanti nuovi oneri per il bilancio dello Stato, dal momento che essa è articolata nel presupposto della riutilizzazione di strutture esistenti, in corso di ultimazione, ovvero già funzionanti, bisognevoli – dunque (e al più) – di semplici aggiustamenti o maggiori dotazioni di primo impianto.

    La proposta, in altre parole e come detto, si muove nella direzione della semplice razionalizzazione delle risorse e dell’ottimizzazione dell’impiego delle stesse.

    Vi è tuttavia da aggiungere che, in termini del tutto prudenziali, è in ogni caso prevista un’autorizzazione di spesa certamente sufficiente per la copertura di eventuali oneri di nuovo impianto, oltre che una spesa annua di funzionamento.

    Ma, come detto, si tratta di uffici che, con la sola eccezione della nuova istituenda corte d’appello, già ora funzionano, fermo restando che – con riferimento a quest’ultima – è del tutto ovvio che le nuove attribuzioni aggiuntive saranno destinate a compensarsi con la corrispondente sottrazione delle stesse dal corrispondente ufficio di Milano.

    Si tratta dunque, davvero, di «una riforma a costo zero», o pressochè tale.

    In termini concreti il disegno di legge propone, in primo luogo, attraverso lo strumento della delega, da esercitarsi da parte del Governo entro il termine di nove mesi con l’emanazione di decreti legislativi da sottoporsi al previo esame delle competenti Commissioni del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, che venga istituita una nuova sede di corte d’appello nella città di Busto Arsizio.

    L’individuazione di tale località è stata determinata in ragione dalla sua caratteristica di centralità, rispetto al territorio di distretto che si propone di «costruirvi» intorno, oltre che della già esistente dotazione di adeguate strutture destinate ad accogliere i relativi uffici (è in corso di ultimazione il nuovo e prestigioso edificio, sostanzialmente contiguo a quello che è ora in funzione e che continuerà ad essere impiegato) e – ancora – di un particolarmente felice sistema di collegamenti ferroviari e autostradali tra essa e tutte le altre città destinate ad essere sedi di tribunale o di sezioni distaccate degli stessi.

    La istituenda corte d’appello avrà giurisdizione su un ampio territorio, caratterizzato non solo da un rilevante indice di popolazione residente, ma anche da una fittissima rete di insediamenti industriali, commerciali e di servizi, tra cui è – peraltro – anche la nuova realtà aeroportuale dello scalo intercontinentale di Malpensa, che genera – esso solo – una presenza nel territorio stesso di oltre venti milioni di persone in più all’anno, equiparabili (rectius equiparate, a seguito degli studi svolti) ad un insediamento permanente di oltre 100.000 persone (in pratica, una «città ulteriore» di medie dimensioni), oltre che di numerose migliaia di lavoratori (basti solo pensare agli addetti della società aeroportuale SEA, cui si aggiungono quelli delle compagnie aeree e dei vari fornitori di servizi connessi, che hanno trasferito la propria sede di lavoro nell’ambito di cui sopra).

    I tribunali che si propone vengano ad afferire alla nuova sede distrettuale, oltre a quello già operante nella città di Busto Arsizio, sono quelli di Como, Novara, Varese e Verbania, cui deve aggiungersi l’ulteriore da istituirsi nella città di Legnano, con la finalità specifica (quest’ultimo) della copertura – anche attraverso la già esistente sezione distaccata (attualmente del tribunale di Milano) nella città di Rho – di tutto il vasto territorio del rodiense e del magentino, sino al confine con la città di Milano, il cui tribunale sarà dunque destinato ad avere competenza solo sul territorio urbano della stessa.

    Si tratta, nel complesso, in termini di lavoro giudiziario, di volumi assai rilevanti, che non solo non potrà che significativamente alleviare la corte d’appello, ma anche il tribunale di Milano (con conseguenti diretti benefici in termini di ritrovata, maggiore efficienza di tali uffici), ma che anche senz’altro sarà gratificato da ben più pronta risposta, con riferimento alle attese di un rilevante numero di cittadini ad alta vocazione imprenditoriale e di produzione.

    Va, oltre a ciò, in particolare segnalato l’ulteriore significativo contenuto di innovazione che è intrinseco alla proposta, con riferimento al superamento della barriera regionale – tra Lombardia e Piemonte – in relazione ai tribunali di Novara e Verbania.

    Se, da un lato, risulta indubitabile l’univocità di contesto, anche geografico, in cui versa tale seconda città rispetto al nuovo territorio giudiziario che verrà a delinearsi, è da sottolineare come la proposta altresì muova prevalentemente – sia con riguardo alla stessa, sia con riguardo alla città di Novara – da considerazioni di carattere prettamente logistico, nel desiderio di praticare soluzioni corrispondenti a criteri di maggior comodità, utilità ed economicità per i cittadini e, in generale, per gli utenti.

    Basti al proposito riflettere sul fatto che, nella nuova configurazione complessiva che l’accoglimento della proposta determinerà, la distanza tra ciascun tribunale della nuova corte d’appello, e la stessa, risulterà di fatto dimezzata (senza tenere conto – ed è aspetto di grande rilievo – della non ulteriore necessità di attraversamento di parte dei centri urbani delle città di Milano e di Torino, con tutto quanto ciò intuitivamente comporta anche in termini di consumo di tempo).

    La distanza – in ogni caso copribile con l’utilizzo del collegamento autostradale – sarà infatti (rispetto ai soli confini urbani) di chilometri 35, (in luogo di chilometri 45) per quanto riguarda il tribunale della città di Como; di chilometri 25 (in luogo di chilometri 50), per quanto riguarda il tribunale della città di Varese; di chilometri 30 (in luogo di ben chilometri 100), nel caso della città di Novara; e, infine, di chilometri 70 (contro gli attuali chilometri 135) per quanto riguarda il tribunale della città di Verbania.

    Il disegno di legge, come già sopra detto, impiega il percorso legislativo della delega al Governo, che appare – nel caso in questione – lo strumento più idoneo, anche per ragioni di uniformità ed omogeneità rispetto alle altre pure ricordate iniziative in itinere.

    L’articolato si completa con la individuazione delle necessarie norme di corollario, sia sotto il profilo della diversa organizzazione degli uffici, per quanto riguarda la ridistribuzione e l’attribuzione del personale (tanto quello con funzioni giurisdizionali, quanto quello ausiliario e amministrativo), sia dal punto di vista processuale con riferimento – in particolare – alla disciplina del periodo transitorio.

    L’articolo 2 del disegno di legge contiene, infine, una prospettazione (ancorchè prudenziale) dei costi occorrenti e degli eventuali maggiori oneri.

    L’identificazione dei principi e criteri direttivi, cui il Governo dovrà uniformarsi nell’esercizio della delega, si ritiene risponda a corretti caratteri di puntualità, pur garantendo allo stesso una giusta ed equilibrata ampiezza della gamma delle possibili opzioni e soluzioni adottabili.

 



 


 

DISEGNO DI LEGGE

 

Art. 1.

    1. Allo scopo di provvedere alla razionalizzazione e al decongestionamento delle corti d’appello di Milano e di Torino, il Governo è delegato ad emanare, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi finalizzati all’istituzione di nuovi uffici giudiziari e alla ridefinizione dei relativi territori.

 

    2. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:

        a) istituire una nuova sede di corte d’appello nella città di Busto Arsizio, avente giurisdizione sul territorio compreso nei circondari dei tribunali di Busto Arsizio, Como, Novara, Varese e Verbania, nonchè sul territorio del tribunale di Milano, limitatamente a quello ricadente nella giurisdizione delle sezioni distaccate dello stesso tribunale site nelle città di Legnano e Rho;

        b) istituire un nuovo tribunale nella città di Legnano, con sezioni distaccate nelle città di Saronno e Rho e definire il relativo circondario, ricomprendendo nello stesso tutti i comuni che attualmente fanno capo alle sezioni distaccate del tribunale di Milano, site nelle città di Legnano e di Rho, e alla sezione distaccata del tribunale di Busto Arsizio, sita nella città di Saronno;

        c) individuare, conseguentemente, i confini del distretto della istituenda corte d’appello di Busto Arsizio, ridefinendo quello della corte d’appello di Milano e, se necessario, anche a prescindere da quanto previsto nelle lettere a) e b), i confini dei circondari del tribunale di Milano e del tribunale di Monza, al fine di conseguire gli obiettivi previsti nella lettera d);

        d) tenere conto, nella determinazione dei confini di cui alla lettera c), anche in deroga a quanto previsto nelle lettere a) e b) e con l’obiettivo di determinare omogeneità territoriale e di carico di lavoro fra il distretto della Corte d’appello di Milano e quello della istituenda corte d’appello di Busto Arsizio, nonchè – anche fra gli stessi – dei tribunali di Busto Arsizio, Como, Novara, Varese e Verbania, oltre che dell’istituendo tribunale di Legnano, dell’estensione del territorio, del numero degli abitanti, delle caratteristiche dei collegamenti esistenti fra i vari comuni, dei relativi carichi di lavoro ad essi riconducibili, in materia civile e penale, nonchè del carico di lavoro atteso;

        e) prevedere che gli effetti complessivi dei decreti legislativi di cui al comma 1 abbiano luogo con decorrenza dal giorno 1º  settembre 2003;

        f) escludere che la ridefinizione dei confini dei distretti e dei circondari di cui alle lettere c) e d) possa comportare oneri finanziari aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato.

 

    3. Il Governo è delegato ad emanare, entro lo stesso termine di cui al comma 1, le norme di coordinamento delle disposizioni dei decreti legislativi ivi previsti con le altre leggi dello Stato, nonchè a determinare il personale necessario al funzionamento della istituenda corte d’appello di Busto Arsizio e dell’ istituendo tribunale di Legnano, mediante una rideterminazione delle piante organiche degli uffici delle corti d’appello di Milano e di Torino, con riferimento ai tribunali di Novara e Verbania, nonchè – infine – ad introdurre una disciplina transitoria diretta a regolare il trasferimento degli affari ai nuovi uffici, fissando le fasi del procedimento oltre le quali il detto trasferimento non avviene.

 

    4. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 1 sono trasmessi al Senato della Repubblica ed alla Camera dei deputati, perchè su di essi sia espresso il relativo parere da parte delle competenti Commissioni permanenti, entro il termine di quaranta giorni dalla data della trasmissione, decorso il quale i decreti sono emanati anche in mancanza del medesimo.

 

Art. 2.

    1. Per l’istituzione delle nuove sedi previste nell’articolo 1, comma 2, lettere a) e b), si provvede avvalendosi delle strutture, dei beni immobili e mobili e delle dotazioni attualmente utilizzate per il funzionamento degli uffici giudiziari indicati nelle medesime lettere e con l’impiego del relativo personale addetto, senza ulteriore aggravio per il bilancio dello Stato.

 

    2. È autorizzata per l’anno 2003 la spesa di 520.000 euro, per le opere di primo impianto, di riorganizzazione dell’immobile attualmente destinato agli uffici della sezione distaccata del tribunale di Milano con sede in Legnano e di maggiori dotazioni dell’immobile e degli uffici stessi.

    3. All’onere derivante dal comma 2 si provvede, per l’anno 2003, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2002-2004, nell’ambito dell’unità previsionale di base di conto capitale «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2002, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della giustizia.

    4. Agli oneri derivanti dalle spese di funzionamento degli uffici dell’istituenda corte d’appello di Busto Arsizio e dell’istituendo tribunale di Legnano, valutati in 1.560.000 euro annui a decorrere dal 2003, si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2002-2004, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2002, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della giustizia.

    5. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 1519

DISEGNO DI LEGGE

 

d’iniziativa del senatore CALLEGARO

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 20 GIUGNO 2002

 

 

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Accorpamento dei comuni di Aiello del Friuli, Aquileia, Campolongo al Torre, Cervignano del Friuli, Chiopris-Viscone, Fiumicello, Ruda, San Vito al Torre, Tapogliano, Terzo d’Aquileia, Villa Vicentina e Visco, nel circondario del tribunale di Gorizia

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Onorevoli Senatori. – I sistemi di pubblicità immobiliare oggi vigenti in Italia sono quelli della trascrizione e quello tavolare. Il primo si rifà al sistema francese e belga, il secondo invece a quello austriaco-prussiano dei Libri-fondiari.

 

    Generalmente in Italia vi è in uso il sistema della trascrizione, mentre nell’Alto Adige, nel Trentino e nella Venezia Giulia, province austriache prima della prima guerra mondiale, è stato mantenuto il più efficace sistema tavolare.

    Quanto alla Venezia Giulia, il sistema tavolare è applicato nella provincia di Trieste, nella provincia di Gorizia e nel Cervignanese.

    Il Cervignanese, costituito dai comuni di Aiello del Friuli, Aquileia, Campolongo al Torre, Cervignano del Friuli, Chiopris-Viscone, Fiumicello, Ruda, San Vito al Torre, Tapogliano, Terzo d’Aquileia, Villa Vicentina e Visco, è contiguo alla provincia di Gorizia in quanto in un passato neppure remoto esso faceva parte della provincia stessa.

    In seguito a vicende storiche come quella dell’espansione della provincia di Gorizia ad est, prima dell’ultimo conflitto, il Cervignanese passò sotto Udine.

    La provincia di Gorizia all’esito dell’ultimo conflitto perse parte della sua estensione territoriale che passò nell’allora Stato della Jugoslavia.

    La provincia di Gorizia così, dal 1947 in poi, fu menomata non solo nelle sue caratteristiche peculiari ma anche da un più ridotto bacino di utenza che penalizzò e penalizza tutt’ora l’intera vita della città.

    Quindi il Cervignanese, come Gorizia, ex provincia austriaca, si trovò ad essere collegato alla provincia di Udine, già da molto tempo provincia italiana, portando la discrasia in quanto nel primo vigeva e vige il sistema tavolare mentre nel secondo vige il sistema catastale.

    Storicamente il giudice tavolare era il pretore del luogo, ed ecco come il pretore di Cervignano era il demandato giudice tavolare.

    Avverso i suoi provvedimenti si doveva ricorrere al tribunale di Udine.

    Va da sè l’immediata comprensione che il ristrettissimo uso in Italia del sistema tavolare porta ad una sua scarsa conoscenza fuori dei luoghi ove lo stesso viene applicato. Avverso le pronunce del pretore tavolare di Cervignano, decideva il tribunale di Udine, il quale del sistema tavolare ben poco conosceva.

    Oggi, con la soppressione della pretura la discrasia si è accentuata.

    Diverse le vicende delle zone di Gorizia e Trieste, in quanto il regime tavolare, da secoli usato, ha prodotto illustri giuristi in materia tavolare.

    Da quanto sopra descritto appare immediatamente all’evidenza l’effettiva e pregnante logicità nell’inserire il Cervignanese nella giurisdizione del circondario del tribunale di Gorizia onde permettere non solo una concreta omogeneità dei sistemi di pubblicità, ma di poter meglio e più effettivamente valorizzare le risorse al fine dell’economia giudiziaria.

    Infatti, il Cervignanese, con l’ultima riforma e con la soppressione delle preture, ha perduto la sede pretorile senza divenire sede di sezione distaccata del tribunale di Udine, ma venendo inserito nella giurisdizione della sezione distaccata del tribunale di Udine con sede in Palmanova.

    Pertanto, in quest’ultima sede distaccata di tribunale sono in vigore, quanto alla pubblicità immobiliare, contemporaneamente il sistema delle conservatorie e della trascrizione ed il sistema tavolare, con evidente confusione da parte del cittadino.

    Non è di poco conto osservare come l’estensione della circoscrizione del tribunale di Udine sia notevolmente maggiore rispetto a quella di Gorizia.

    Appare pertanto logico aumentare l’estensione del tribunale di Gorizia, per meglio razionalizzare le risorse, ma anche per dare una maggiore logicità ai criteri di estensione delle competenze dei tribunali, lasciando così al circondario del tribunale di Udine l’intera giurisdizione sui luoghi di vigenza del sistema della trascrizione e a quello di Gorizia quelli di vigenza del sistema tavolare.

    Per ultimo un appunto storico-economico.

    La città di Cervignano è sottoposta all’Arcidiocesi di Gorizia e lo scalo ferroviario di Cervignano è in simbiosi nel cosiddetto polo intermodale composto appunto dallo scalo ferroviario di Cervignano, dall’autoporto di Gorizia, dal porto di Monfalcone (provincia di Gorizia) e dall’aeroporto di Ronchi dei Legionari (anch’esso in provincia di Gorizia).

 

 


 


 


DISEGNO DI LEGGE

 

Art. 1.

    1. I comuni di Aiello del Friuli, Aquileia, Campolongo al Torre, Cervignano del Friuli, Chiopris-Viscone, Fiumicello, Ruda, San Vito al Torre, Tapogliano, Terzo d’Aquileia, Villa Vicentina e Visco, già compresi nel circondario del tribunale di Udine, sezione distaccata di Palmanova, passano alla competenza territoriale del tribunale di Gorizia.

    2. Il Ministro della giustizia è autorizzato a provvedere, con proprio decreto, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, nell’ambito della dotazione dei ruoli del Ministero, all’adeguamento degli organici e del personale occorrenti per il funzionamento degli uffici giudiziari di cui al comma 1. Il Ministro dell’economia e delle finanze, con proprio decreto, provvede a destinare i finanziamenti necessari per l’attuazione della presente legge e ad apportare le conseguenti variazioni di bilancio.

    3. Il Ministro della giustizia è autorizzato ad apportare le necessarie variazioni alle tabelle A e B allegate all’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni.

 

Art. 2.

    1. Gli affari civili e penali pendenti dinanzi al tribunale di Udine, sezione distaccata di Palmanova, ed appartenenti, ai sensi della presente legge, alla competenza per territorio del tribunale di Gorizia sono devoluti a tale ufficio fatta eccezione per le cause civili già passate in decisione e per i procedimenti penali nei quali è già stato dichiarato aperto il dibattimento.

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 1536

DISEGNO DI LEGGE

 

d’iniziativa dei senatori ALBERTI CASELLATI, SERVELLO, DEL PENNINO, CASTAGNETTI, FRAU, IANNUZZI, NOVI, MEDURI e RAGNO

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA 25 GIUGNO 2002.

 

 

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Separazione delle carriere dei magistrati

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Onorevoli Senatori. – L’ordinamento giudiziario italiano è tuttora regolato dal regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e, dunque, da norme che non solo risalgono – salvo sporadici interventi di scarsa portata innovativa – a più di sessant’anni orsono ma che, oltretutto, precedono la nostra Carta fondamentale

 

    Non vi è, dunque, chi non riconosca la necessità di procedere ad una riforma dello stesso, che recepisca il mutato assetto costituzionale e, soprattutto, le istanze della società, adeguando l’ordinamento giudiziario ai nuovi equilibri tra giurisdizione e società, tra diritto sostanziale e procedura, tra pubblico e privato.

    In questo quadro si inserisce il presente disegno di legge, che mira, in maniera specifica, ad eliminare una vera e propria anomalia del nostro sistema giudiziario, rappresentata dalla possibilità per il singolo magistrato di passare nel corso della propria carriera dalla funzione giudicante a quella requirente (e viceversa), così come previsto dall’articolo 190 dell’ordinamento giudiziario di cui al citato regio decreto n. 12 del 1941, che si limita a subordinare tale passaggio ad un parere favorevole del Consiglio superiore della magistratura, chiamato al semplice accertamento della «sussistenza di attitudini alla nuova funzione».

    Si tratta, con tutta evidenza, di una normativa gravida di conseguenze negative per l’immagine e l’effettiva terzietà del giudice rispetto alle parti processuali, elemento quest’ultimo essenziale per la percezione della legittimità del procedimento giudiziario da parte di chi vi sia coinvolto.

    Essa appare, altresì, incoerente con il modello di processo accusatorio introdotto con la riforma del codice di procedura penale del 1989, e rafforzato dalle nuove disposizioni costituzionali in tema di giusto processo. Infatti il processo accusatorio è un processo di parti contrapposte, lo Stato e l’imputato, cioè i rappresentanti della pubblica accusa e i rappresentanti della difesa. E che gli stessi debbano essere considerati parti contrapposte e sullo stesso piano, lo si desume anche dalle nuove disposizioni legislative che hanno conferito alla difesa dell’imputato quei poteri d’indagine, individuazione, ricerca, acquisizione delle prove, che prima erano prerogative della pubblica accusa.

    Sotto altro punto di vista, il passaggio indiscriminato dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti non assicura la necessaria preparazione specifica per lo svolgimento di funzioni profondamente diverse e tali da richiedere una diversa forma mentis. Perchè il pubblico ministero svolga al meglio il delicato compito che gli viene affidato, lo stesso non deve essere dotato del senso della giurisdizione, ma del senso dell’investigazione. Ad esso la collettività non chiede di essere obiettivo ed imparziale nell’attività di ricerca, individuazione ed acquisizione delle prove, ma chiede che le prove raccolte siano fondate e tali da poter reggere al vaglio critico del giudice. Un pubblico ministero obiettivo ed imparziale, con il senso della giurisdizione, è un inutile doppione del giudice.

    Vietare la possibilità di passaggi tra le funzioni giudicante e requirente significa, in conclusione, spezzare quella contiguità tra giudice e pubblico ministero che si frappone ad una reale imparzialità e terzietà del giudice richiesta dai princìpi del giusto processo. Significa, in buona sostanza, sanare l’evidente incostituzionalità di una normativa che, nei fatti, priva di concreto significato l’articolo 111 della Costituzione («Ogni processo si svolge... davanti a giudice terzo ed imparziale») e, per questa via, determina un vulnus nel più importante principio di civiltà giuridica. Appare, da ultimo, necessario ricordare che il presente disegno di legge fa parte del gruppo di 25 proposte di legge di iniziativa popolare predisposto da «Radicali Italiani», per ciascuna delle quali sono state raccolte le firme di decine di migliaia di cittadini elettori.



 

 

 


 


DISEGNO DI LEGGE

 

Art. 1.

1. All’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche:

a) all’articolo 190, il comma 2 è sostituito dal seguente:

«2. Il passaggio dei magistrati dalle funzioni giudicanti alle requirenti e viceversa è vietato in ogni caso»;

b) l’articolo 191 è abrogato;

c) all’articolo 192, sesto comma, le parole: «, salvo che per tale passaggio esista il parere favorevole del Consiglio superiore della magistratura» sono soppresse;

d) all’articolo 198, il secondo periodo è soppresso.

 


 

SENATO DELLA REPUBBLICA

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N. 1555

DISEGNO DI LEGGE

 

d’iniziativa del senatore CALDEROLI

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 2 LUGLIO 2002

 

 

 

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Istituzione della Corte di appello di Novara

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Onorevoli Senatori. – La regione Piemonte è caratterizzata dalla presenza di una sola Corte di appello, quella di Torino, che è competente, tra l’altro, per la Valle d’Aosta.

 

    Il carico di lavoro annuo, la quantità e la qualità del medesimo consigliano l’istituzione di una nuova Corte d’appello in Novara. La città, seconda per numero di abitanti in Piemonte, è ubicata in modo da servire sia i tribunali di Vercelli e Biella che quello di Alessandria, nonchè quello di Verbania, assai distanti da Torino.

    Certamente la diffusione della criminalità e gli incalzanti problemi della giustizia penale e civile evidenziano l’esigenza improcrastinabile del Piemonte orientale di avere una Corte d’appello autonoma.

    In particolare, se andiamo a guardare le circoscrizioni giudiziarie delle diverse Corti di appello balza all’occhio la sproporzione che riguarda alcune realtà, come quella del Piemonte e della Valle d’Aosta.

    Una popolazione di oltre 4.000.000 di abitanti, la presenza di ben diciassette tribunali, una conformazione del territorio caratterizzata da grandi distanze e notevoli tempi di percorrenza dalla periferia a Torino, richiedono una divisione almeno in due parti dell’attuale circoscrizione giudiziaria.

    Lo stesso Consiglio regionale del Piemonte, con ordine del giorno approvato all’unanimità nella seduta del 27 febbraio 2001, ha invitato il Presidente della Giunta ed il Presidente del Consiglio regionale ad attivarsi in tutte le sedi affinchè venga istituita una seconda Corte d’appello per il Piemonte.

     I motivi indicati paiono sufficienti per la formulazione della presente proposta, come delineata nel seguente disegno di legge.

  


 


 


 

DISEGNO DI LEGGE

 

Art. 1.

    1. È istituita la Corte d’appello di Novara, avente giurisdizione sul territorio compreso nel circondario dei tribunali di Novara, Vercelli, Biella, Verbania ed Alessandria.

 

    2. Il Ministro della giustizia è autorizzato ad apportare le necessarie variazioni alle tabelle A e B annesse all’odinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni.

 

Art. 2.

    1. Il Ministro della giustizia è autorizzato a determinare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l’organico del personale necessario al funzionamento della Corte d’appello di cui all’articolo 1, rivedendo le piante organiche di altri uffici, nell’ambito delle attuali dotazioni dei ruoli del Ministero della giustizia.

 

Art. 3.

    1. Il Ministro della giustizia è autorizzato a stabilire, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, la data di inizio del funzionamento della Corte d’appello di cui all’articolo 1.

 

Art. 4.

    1. Alla data di inizio del funzionamento della Corte d’appello di Novara, gli affari pendenti davanti alla Corte d’appello di Torino ed appartenenti, ai sensi della presente legge, alla competenza della Corte d’appello di Novara sono devoluti d’ufficio alla cognizione di tale Corte.

 

    2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica alle cause civili rimesse al collegio ai sensi dell’articolo 352 del codice di procedura civile, ai procedimenti penali per i quali sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio e agli affari di volontaria giurisdizione in corso alla data di cui all’articolo 3.

 

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 1632

DISEGNO DI LEGGE

 

d’iniziativa del senatore CICCANTI

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 23 LUGLIO 2002

 

 

 

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Modifica della Tabella A, allegata al decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, con riferimento ai tribunali di Ascoli Piceno e di Fermo

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Onorevoli Senatori. – Gli elenchi dei comuni costituenti i circondari dei Tribunali di Ascoli Piceno e Fermo devono essere rettificati per superare le attuali gravi anomalie e portare a razionalità la distribuzione nel territorio dell’esercizio dell’attività giudiziaria.

 

    Il decreto legislativo 19 febbraio 1998 n. 51, istitutivo del giudice unico, ha proceduto alla soppressione delle preture e previsto l’istituzione di sezioni distaccate di Tribunale secondo criteri oggettivi ed omogenei che tengano conto della estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei sistemi di mobilità e della complessità e articolazione delle attività economiche e sociali che si svolgono nel territorio medesimo.

    Vista la puntuale ed incontestabile presenza di tutti quei requisiti, è stata istituita dallo stesso decreto legislativo, per il Tribunale di Ascoli Piceno, la sezione distaccata di San Benedetto del Tronto (modifica della Tabella B, annessa all’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12).

    I territori della ex-pretura di Offida erano stati in un primo momento accorpati alla sezione di San Benedetto del Tronto, poi su sollecitazione dell’ordine degli avvocati – il cui intervento, peraltro, era diretto ad una razionalizzazione territorialmente più vasta – sono stati riportati nell’ambito della sede centrale del Tribunale di Ascoli Piceno.

    Ora non è più differibile l’intervento per completare la razionalizzazione dell’attività giudiziaria nel territorio, inserendo nel circondario del Tribunale di Ascoli Piceno, e quindi nella competenza della sezione distaccata di San Benedetto del Tronto, i territori dei comuni compresi nella ex-pretura di Ripatransone.

    L’esigenza è fortemente avvertita dall’utenza che trova assolutamente dannoso ed illogico andare a chiedere «giustizia» a quaranta chilometri di distanza – tanti, ad esempio, sono quelli che separano Grottammare da Fermo – anziché ricorrere al presidio di San Benedetto del Tronto, che dista solo quattro chilometri ed è perfettamente servito da mezzi pubblici di trasporto e da rete viaria adeguata.

    La stessa esigenza è avvertita, altresì, dalla classe forense che a più riprese ha sollecitato un intervento legislativo che ponesse fine a tali anomalie.

    In particolare l’assemblea degli avvocati di Ascoli Piceno con deliberazione, approvata all’unanimità, in data 27 febbraio 1998 ha sollecitato tale intervento; sollecitazione reiterata con le delibere del consiglio dell’ordine degli avvocati in data 27 marzo 2000 e 18 luglio 2002.

    Analoga posizione è stata assunta dal consiglio del collegio dei ragionieri e periti commerciali di Ascoli Piceno (delibera 25 gennaio 2002).

    Inoltre non possono essere trascurate ma anzi meritano prioritaria attenzione e condivisione, le delibere dei comuni di Grottammare, Massignano, Cossignano e Cupra Marittima – territori che per urbanizzazione e attività economico-sociali si inseriscono in perfetta cerniera con quello di San Benedetto del Tronto – rispettivamente del 28 novembre 2001, 27 febbraio 2002, 28 febbraio 2002 e 7 maggio 2002, con le quali i suddetti comuni hanno chiesto l’intervento legislativo di cui al presente disegno di legge.

    Lo stesso comune di San Benedetto del Tronto con delibera del 28 febbraio 2000 ha approvato all’unanimità un ordine del giorno riguardante «iniziative per la centralità del Tribunale di San Benedetto del Tronto nel territorio di competenza».

    Da ultimo va segnalata la capacità del palazzo di giustizia di San Benedetto del Tronto di assorbire, data l’ampiezza e la modernità della struttura, in quanto a sistemazione edilizia, la maggiore quantità di lavoro che l’assorbimento dei nuovi territori comporterà; si tratterà, a livello operativo-amministrativo, di apportare gli aggiustamenti, nella distribuzione del personale, che consentano di assicurare l’espletamento dell’attività giudiziaria in modo, oltre che più agevole, anche più spedito e più corrispondente alle esigenze della comunità.

 

 


 

 


 


 

DISEGNO DI LEGGE

 

Art. 1.

    1. Nella Tabella A allegata al decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, e successive modificazioni, alla voce concernente la Corte di appello di Ancona, sono apportate le seguenti modificazioni:

        a) la voce relativa al Tribunale di Ascoli Piceno è sostituita dalla seguente:

«Tribunale di Ascoli Piceno

    Tribunale di Ascoli Piceno: Acquasanta Terme, Amandola, Appignano del Tronto, Arquata del Tronto, Ascoli Piceno, Carassai, Castel di Lama, Castignano, Castorano, Colli del Tronto, Comunanza, Folignano, Force, Maltignano, Montalto delle Marche, Montedinove, Montefortino, Montegallo, Montemonaco, Offida, Palmiano, Roccafluvione, Rotella, Spinetoli, Valle Castellana, Venarotta.

    Sezione di San Benedetto del Tronto: Acquaviva Picena, Cossignano, Cupra Marittima, Grottammare, Massignano, Monsampolo del Tronto, Montefiore dell’Aso, Monteprandone, Ripatransone, San Benedetto del Tronto.»;

        b) la voce relativa al Tribunale di Fermo è sostituita dalla seguente:

«Tribunale di Fermo

    Tribunale di Fermo: Altidona, Belmonte Piceno, Campofilone, Falerone, Fermo, Francavilla d’Ete, Grottazzolina, Lapedona, Magliano di Tenna, Massa Fermana, Monsampietro Morico, Montappone, Monte Giberto, Monte Rinaldo, Monte San Pietrangeli, Monte Vidon Combatte, Monte Vidon Corrado, Montefalcone Appennino, Montegiorgio, Monteleone di Fermo, Montelparo, Monterubbiano, Montottone, Moresco, Ortezzano, Pedaso, Petritoli, Ponzano di Fermo, Porto San Giorgio, Rapagnano, Santa Vittoria in Matenano, Servigliano, Smerillo, Torre San Patrizio.

    Sezione di Sant’Elpidio a Mare: Monte Urano, Montegranaro, Porto Sant’Elpidio, Sant’Elpidio a Mare».

 

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 1668

DISEGNO DI LEGGE

 

d’iniziativa del senatore CURTO

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA 1º AGOSTO 2002 .

 

 

 

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Istituzione in Brindisi di una sezione distaccata della corte di appello e della corte di assise di appello di Lecce

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Onorevoli Senatori. – Da tempo è avvertita l’esigenza di una legge che istituisca in Brindisi una sezione distaccata della corte di appello di Lecce e di una corte di assise di appello. Le ragioni di una tale richiesta si basano sui seguenti motivi:

        a) l’eccessiva concentrazione di lavoro che si riscontra presso la corte di appello di Lecce, che non riesce più a provvedere alle sue attribuzioni con quella rapidità operativa che l’esercizio della funzione giurisdizionale richiede, causa il numero rilevantissimo di provvedimenti sottoposti al suo esame, e nonostante l’abnegazione degli addetti;

        b) lo sviluppo economico e sociale della provincia di Brindisi, la quale sta acquistando sempre di più una sua autonoma configurazione ed i cui servizi sociali e civili non sono più rispondenti alle reali esigenze della popolazione;

        c) la presa d’atto della necessità di convivere, governandolo con intelligenza, con un fenomeno, quale quello dell’immigrazione, che non potrà non comportare una maggiore presenza di procedimenti penali e civili.

    A tutto ciò si aggiunge il fatto che Brindisi rappresenta una particolare specificità all’interno dell’intero Salento; che lo sviluppo industriale è in lenta ma certa ripresa; che le ultime rivelazioni statistiche hanno posto la città di Brindisi nell’ultima posizione riguardo alla sicurezza, essendosi elevato fortemente l’indice di criminalità; che specificamente nella provincia di Brindisi hanno preso le mosse i più importanti e complessi procedimenti penali, i quali per la loro mole e gravità dovrebbero essere gestiti da magistrati a tal uopo impegnati in via esclusiva.

 

    Per tutti questi motivi si propone l’istituzione a Brindisi di una sezione distaccata della corte di appello di Lecce, nonchè l’istituzione di una corte di assise di appello con giurisdizione sul territorio attualmente compreso nel circondario del tribunale di Brindisi. Onorevoli senatori, nel ritenere che l’articolato si illustri da solo, confidiamo in un sollecito esame del presente disegno di legge.


 

 

 



DISEGNO DI LEGGE

 

Art. l

1. È istituita in Brindisi una sezione distaccata della corte di appello di Lecce, con giurisdizione sul territorio compreso nel circondario del tribunale di Brindisi.

 

Art. 2.

 

1. È istituita in Brindisi una sezione della corte di appello di Lecce in funzione di corte di assise di appello, nella cui giurisdizione è compreso il circolo della corte di assise di Brindisi.

 

Art. 3.

 

1. Il Ministro della giustizia è autorizzato a determinare, con proprio decreto, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il personale necessario al funzionamento delle sezioni di cui agli articoli 1 e 2, rivedendo le piante organiche di altri uffici, nell’ambito delle attuali dotazioni organiche dei ruoli del Ministero della giustizia.

 

Art. 4.

 

1. Il Ministro della giustizia è autorizzato a stabilire, con proprio decreto, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, la data d’inizio del funzionamento della sezione distaccata di corte di appello e della corte di assise di appello di Brindisi.

 

Art. 5.

 

1. Alla data di inizio del funzionamento degli uffici istituiti ai sensi della presente legge, gli affari civili e penali pendenti davanti alla corte di appello di Lecce, nonchè i procedimenti penali pendenti davanti alla corte di assise di appello di Lecce ed appartenenti, per ragioni di territorio, alla competenza della sezione distaccata della corte di appello e della corte di assise di appello di Brindisi, sono devoluti alla cognizione di questi ultimi uffici.

2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica alle cause civili nelle quali si è avuta la rimessione al collegio ai sensi dell’articolo 352 del codice di procedura civile, ai procedimenti penali nei quali sia già stato notificato il decreto di citazione e agli affari di volontaria giurisdizione che sono in corso alla data indicata al medesimo comma 1.

 

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 1710

DISEGNO DI LEGGE

 

d’iniziativa del senatore GUASTI

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 17 SETTEMBRE 2002.

 

 

 

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Istituzione in Parma di una sezione distaccata
della Corte d’appello di Bologna

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Onorevoli Senatori. – Il distretto della Corte d’appello con sede a Bologna si estende sull’intero territorio della Regione emiliano-romagnola, vasta 22.123 chilometri quadrati, con una popolazione di 3.947.000 abitanti e comprendente i circondari di nove tribunali: Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Ferrara, Ravenna, Forlì, Rimini.

 

    Questa proposta di istituzione a Parma di una sezione distaccata della Corte d’appello di Bologna è la risposta ad una esigenza molto sentita sia in città che in Regione.

    Si tratta di una proposta che va inquadrata nella logica e nell’obiettivo che ci poniamo nel migliorare la giustizia in Italia anche in termini di qualità e di riduzione dei tempi.

    Una sede distaccata a Parma godrebbe di una posizione geografica ottimale per raccogliere un importante distretto, mentre l’ipertrofica sede di Bologna trarrebbe benefici in termini organizzativi e, quindi, nella riduzione dei tempi per l’assolvimento delle pratiche giudiziarie.

    Dal dato statistico che si è ricavato dalla recente comunicazione della Presidenza della Corte d’appello di Bologna si desume quanto segue.

 

        1. Il tribunale di Parma ha alimentato il contenzioso ordinario civile della Corte di Bologna con 112 cause su 886. Trattasi del 12,64 per cento, che è la percentuale più alta di tutta la Regione, escluso, ovviamente, il tribunale di Bologna. Aggiungendo gli appelli provenienti da Piacenza (28) e da Reggio Emilia (45), che su Parma farebbero riferimento, la percentuale si porta al 24,87 per cento con conseguente possibilità di pari riduzione della mole di lavoro che grava sulla ipertrofica Corte d’appello di Bologna.

 

        2. Drammatica è la situazione della sezione lavoro, vale a dire quel contenzioso che, secondo le intenzioni del legislatore, doveva essere caratterizzato da una definizione particolarmente rapida, ora, invece, misurabile a lustri. Ai fascicoli di sofferenza Parma contribuisce con il 22 per cento, che diviene del 42 per cento se si aggiungono le impugnazioni provenienti da Piacenza e da Reggio Emilia.

        3. Il settore penale con il 20,5 per cento per Parma, Piacenza e Reggio Emilia è in linea, sia pure in termini lievemente migliorati, con i dati esposti al punto 1.

 

    Concludendo, l’arretrato della Corte bolognese – fatto notorio – è enorme e la sua gestione è ostacolata anche dall’elefantiasi dell’organismo giudiziario.

 

    L’istituzione di una nuova sezione della Corte d’appello – a parte, effetto non trascurabile, la riduzione dei costi che l’utente deve subire – corrisponde quindi ad una esigenza obiettiva ed indifferibile.

    La sezione della Corte d’appello di Parma sicuramente godrebbe di una posizione geografica ottimale per il distretto ed il suo lavoro potrebbe essere, sul piano operativo, meglio organizzato.

    Per la Corte d’appello di Bologna, per converso, si potrà verificare un’inversione di tendenza sotto tutti gli aspetti e, in particolare, sotto l’aspetto dell’organizzazione e, quindi, dei tempi che certamente costituiscono base imprescindibile per una giustizia «giusta».

    Parma è sede di importanti istituzioni di cultura giuridica: la facoltà di giurisprudenza dell’Università degli studi di Parma che, fra le altre iniziative, collabora alle attività dispensate dal «Collegio europeo di Parma», il quale, a sua volta, si prefigge lo scopo della preparazione di quei laureati che intendano perfezionarsi nelle discipline comunitarie; collabora alle attività svolte per il perfezionamento nelle discipline giuslavoristiche; partecipa a corsi di dottorato di ricerca; prosegue nell’attuazione dei numerosi accordi di cooperazione stretti con università straniere.

    Un ulteriore elemento di cui occorre tener conto consiste nella mancanza di qualsiasi onere per la finanza pubblica conseguente alla istituzione della sezione, in considerazione, non solo della espressa previsione di cui all’articolo 2 del disegno di legge, ma della imminente inaugurazione dell’ampliamento del palazzo di giustizia ricavato nell’adiacente palazzo di Via Ponte Caprazzucca, acquistato e ristrutturato con finanziamento assegnato dal Ministero della giustizia, che, insieme ai palazzi già utilizzati dal tribunale, costituisce un comparto omogeneo e unitario che a Parma è definito come «Cittadella della giustizia»

    Va poi evidenziato che, ai sensi dell’articolo 49 dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, con la sezione distaccata della Corte d’appello si avrebbe anche l’istituzione del tribunale per i minorenni con la stessa competenza territoriale: anche per esso (attualmente con sede a Bologna) è sentita l’esigenza di un decentramento, poiché assai numerosi sono i procedimenti trattati che provengono dalla provincia di Parma.

    In conclusione, si tratta di un disegno di legge che viene incontro ad una aspirazione assai sentita dalle popolazioni e dagli operatori interessati e, al tempo stesso, persegue il superiore obiettivo di una più spedita e funzionale amministrazione della giustizia.

    Passando all’esame dei singoli articoli del presente disegno di legge, con l’articolo 1 si istituisce a Parma la sezione distaccata della Corte d’appello di Bologna e si determina l’ambito territoriale della sua giurisdizione.

    L’articolo 2 prevede che il Ministro della giustizia venga autorizzato a determinare con proprio decreto l’organico del personale necessario al funzionamento della sezione, rimanendo nell’ambito dell’attuale dotazione dei ruoli del Ministero stesso. Parimenti, i necessari oneri finanziari dovranno essere contenuti nei limiti degli stanziamenti di bilancio del medesimo Ministero.

    L’articolo 3 autorizza il Ministro della giustizia a stabilire la data di inizio del funzionamento della sezione.

    L’articolo 4 stabilisce le modalità di ripartizione di tutto il contenzioso giudiziario all’atto dell’entrata in funzione della sezione.

 






DISEGNO DI LEGGE

 

Art. 1.

1. È istituita in Parma una sezione distaccata della Corte d’appello di Bologna, con giurisdizione sul territorio attualmente ricompreso nelle circoscrizioni dei tribunali di Parma, Piacenza e Reggio Emilia

 

Art. 2.

1. Il Ministro della giustizia è autorizzato a determinare con proprio decreto, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l’organico del personale necessario al funzionamento della sezione distaccata di cui all’articolo 1, rivedendo le piante organiche degli altri uffici, nell’ambito delle attuali dotazioni dei ruoli del Ministero della giustizia. Gli oneri correnti connessi alla prima attivazione della sezione distaccata sono comunque contenuti nei limiti degli stanziamenti di bilancio del predetto Ministero.

 

Art. 3.

1. Il Ministro della giustizia è autorizzato a stabilire, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, la data di inizio del funzionamento della sezione distaccata di cui all’articolo 1.

 

Art. 4.

1. Alla data di inizio del funzionamento della sezione di cui all’articolo 1, gli affari civili e penali pendenti davanti alla Corte d’appello di Bologna e al tribunale per i minorenni di Bologna e rientranti, ai sensi della presente legge, nella competenza per territorio, rispettivamente, della sezione distaccata della corte d’appello di Bologna con sede in Parma e del tribunale per i minorenni di Parma, sono devoluti alla cognizione di questi uffici.

2. La disposizione di cui al comma 1 del presente articolo non si applica alle cause civili rimesse al collegio ai sensi dell’articolo 352 del codice di procedura civile, ai procedimenti penali nei quali il decreto di citazione è stato notificato a tutte le parti, nonché agli affari di volontaria giurisdizione già in corso alla data di inizio del funzionamento della sezione distaccata, fissata ai sensi dell’articolo 3.

 

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 1731

DISEGNO DI LEGGE

 

d’iniziativa del senatore CAVALLARO

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA 24 SETTEMBRE 2002 .

 

 

 

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Istituzione del tribunale di Caserta

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Onorevoli Senatori. – L’esigenza di istituire un tribunale a Caserta è da tempo avvertita dagli operatori della giustizia ed è stata manifestata più volte a vari livelli da quasi tutte le forze politiche e sociali. Da oltre dieci anni con diverse proposte di legge è all’ordine del giorno il tema di una più razionale organizzazione e di un potenziamento delle diverse giurisdizioni dell’amministrazione della giustizia nella provincia di Caserta, detta Terra di lavoro, oggi servita dal solo tribunale di Santa Maria Capua Vetere e dalla sua procura della Repubblica.

 

    Il tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha oggi competenza su di un elevatissimo numero di comuni –circa un centinaio- con una popolazione superiore al milione di abitanti, ai quali occorre aggiungere le migliaia di cittadini extracomunitari non iscritti all’anagrafe e le centinaia di migliaia di persone che durante il periodo estivo affluiscono nelle località balneari di Baia Domizia e dintorni.

    L’enorme carico di lavoro in materia civile e penale che grava sul tribunale di Santa Maria Capua Vetere incide negativamente non solo sull’efficienza dell’amministrazione della giustizia, nonostante il lodevole impegno dei giudici, dei cancellieri e del personale amministrativo, ma anche sulla struttura urbana, sullo sviluppo economico e sulla qualità della vita dell’intera provincia, nella quale il degrado ambientale, per l’aggressione del territorio, la presenza di cave e discariche abusive e l’assenza di piani regolatori in molti comuni, ha raggiunto dimensioni non più tollerabili.

    A ciò occorre aggiungere che la provincia di Caserta risulta essere, anche in base ad una indagine della Commissione Antimafia, la provincia a più alto tasso di criminalità in Europa e quella con il minor livello di vivibilità in Italia, anche per via di una disoccupazione crescente e di una diffusa illegalità che colpisce soprattutto il settore giovanile. E nonostante il concreto, costante impegno degli operatori di giustizia e delle forze dell’ordine, quotidianamente reso con abnegazione, competenza e capacità, la situazione ha raggiunto livelli di guardia non più accettabili, nè tollerabili. Vi sono processi a carico di organizzazioni malavitose, anche di stampo camorristico, che dopo quindici anni non sono stati ancora celebrati in primo grado.

    Il presente disegno di legge intende, inoltre, eliminare una delle più macroscopiche anomalie oggi riscontrabile nel quadro della geografia giudiziaria italiana che vede la città di Caserta unico capoluogo di provincia sprovvisto di sede di tribunale.

    Ovviamente, l’istituzione del tribunale di Caserta non comporta l’abolizione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere al quale, peraltro, residuerebbe competenza su un elevatissimo numero di comuni dislocati in una zona molto più vasta, quella cioè dell’agro aversano e sammaritano.

    Il nuovo tribunale di Caserta, infine, non comporterà costi aggiuntivi per l’amministrazione, dato che esso assorbirà l’attuale dotazione esistente in provincia e, per la sua collocazione, può utilizzare sia l’erigendo edificio finanziario per ospitare l’ormai soppressa pretura circondariale di Caserta, sia ulteriori edifici che la giunta ed il consiglio comunale di Caserta hanno, in più occasioni, dichiarato di rendere disponibili

 



 

DISEGNO DI LEGGE

 

 

Art. 1.

    1. Nel distretto della corte di appello di Napoli sono istituiti il tribunale di Caserta e la procura della Repubblica presso il tribunale di Caserta.

    2. Il tribunale di Caserta ha giurisdizione sui comuni di Ailano, Alife, Alvignano, Arienzo, Caiazzo, Capodrise, Capriati a Volturno, Casagiove, Caserta, Castel Campagnano, Castello del Matese, Castel Morrone, Cervino, Ciorlano, Dragoni, Fontegreca, Gallo Matese, Gioia Sannitica, Letino, Macerata Campania, Maddaloni, Marcianise, Piana di Monte Verna, Piedimonte Matese, Portico di Caserta, Prata Sannita, Pratella, Raviscanina, Recale, Ruviano, San Felice a Cancello, Santa Maria a Vico, San Gregorio Matese, San Marco Evangelista, San Nicola la Strada, San Potito Sannitico, Sant’Angelo d’Alife, Valle Agricola, Valle di Maddaloni.

 

Art. 2.

    1. Il Ministro della giustizia è autorizzato a determinare, con proprio decreto, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, nell’ambito delle dotazioni dei ruoli del Ministero della giustizia, gli organici del personale del tribunale di Caserta e della procura della Repubblica presso il tribunale di Caserta, avendo riguardo ai carichi di lavoro verificatisi nel quinquennio precedente nei territori compresi nel circondario di cui all’articolo 1, comma 2, ed a fissare la data di inizio del funzionamento dei predetti uffici giudiziari.

    2. Il Ministro della giustizia è autorizzato ad apportare le necessarie variazioni alle tabelle A e B annesse all’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni.

 

Art. 3.

    1. Alla data di inizio del funzionamento degli uffici giudiziari previsti all’articolo 1, gli affari civili e penali pendenti davanti al tribunale di Santa Maria Capua Vetere ed appartenenti, ai sensi della presente legge, alla competenza per territorio del tribunale di Caserta, continuano ad essere trattati dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere.

 

Art. 4.

    1. All’onere derivante dall’attuazione della presente legge, determinato in 5.000.000 di euro a decorrere dall’anno 2002, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2002-2004, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2002, allo scopo parzialmente utilizzando, quanto a 1.250.000 euro, l’accantonamento relativo al Ministero della giustizia e, quanto a 3.750.000 euro, l’accantonamento relativo al Ministero dell’economia e delle finanze.

    2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

Art. 5.

    1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

 

 

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 1765

DISEGNO DI LEGGE

 

d’iniziativa dei senatori CUTRUFO e TOFANI

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA 9 OTTOBRE 2002

 

 

 

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Istituzione in Frosinone di una sezione distaccata della Corte di appello di Roma e della Corte di assise d’appello di Roma

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Onorevoli Senatori. – Già nelle precedenti legislature è stata avvertita da parte dei parlamentari l’esigenza della istituzione in Frosinone di una sezione distaccata della Corte di appello di Roma (si veda da ultimo la proposta di legge atto Camera n. 3618, XIII legislatura, d’iniziativa degli onorevoli Schietroma e altri).

    Già nella V e poi nella VI legislatura, il senatore Lisi, nella relazione di accompagnamento al suo disegno di legge, dalle analoghe finalità, evidenziava il contenuto del resoconto stenografico della 791ª seduta pubblica (IV legislatura) del Senato della Repubblica, tenutasi martedì 27 febbraio 1968, nella quale l’onorevole Reale, all’epoca Ministro di grazia e giustizia, intervenendo sul disegno di legge, già approvato dalla Camera dei deputati, recante «Istituzione in Salerno di una sezione distaccata della corte d’appello di Napoli», tra l’altro, affermava testualmente: «Devo dire che a proposito di questo distacco uno degli elementi di giudizio che ha consentito al Governo di non osteggiare la volontà espressa in Parlamento, alla Camera prima e adesso al Senato, di istituire questa sezione è costituito da questo fatto e cioè che tale sezione viene distaccata da una corte d’appello assai oberata di lavoro, sicchè il pericolo che può esserci in questa germinazione di nuove sedi giudiziarie e cioè di una utilizzazione non completa del personale giudicante e di quello ausiliario, per queste sedi che vengono distaccate da altre di grandissimo lavoro, non esiste».

    Orbene, le ragioni ed i motivi indicati dal Ministro di grazia e giustizia in quella seduta del Senato della Repubblica sussistevano allora (sosteneva il senatore Lisi) e sussistono tuttora (sosteniamo anche noi) più macroscopici, più numerosi e più validi nella Corte d’appello di Roma per l’approvazione del disegno di legge in esame.

    Peraltro, l’approvazione di questa proposta decongestionerebbe notevolmente il lavoro presso la Corte d’appello romana, che attualmente ha dimensione regionale. La capitale, del resto, è notoriamente caratterizzata da difficoltà di accesso, da code interminabili e da una densità di affari tale da produrre soltanto inefficienze e disfunzioni.

    L’enorme carico giudiziario di Roma, capitale e maggior centro metropolitano del Paese, rende indispensabile istituire in Frosinone una sede distaccata della Corte d’appello di Roma che potremmo chiamare «del Lazio sud» e che dovrebbe comprendere i circondari dei tribunali di Frosinone, Cassino, Latina e Velletri.

    L’attuale configurazione degli uffici giudiziari del Lazio e la localizzazione in Roma dell’unica sede di Corte d’appello dell’intera regione laziale comporta, infatti, incongruenze e discrasie notevoli. Del resto, già nell’ambito della giustizia amministrativa, questo dato di base ha indotto, a suo tempo, il Parlamento ad istituire in Latina una sede distaccata del tribunale amministrativo regionale del Lazio. Va ricordato che, in detta occasione, la sede di Latina fu prescelta anche nella prospettiva di fissare poi a Frosinone la istituenda sede distaccata della Corte d’appello, secondo un criterio di decentramento il più razionale possibile, tendente cioè ad evitare un concentramento eccessivo dell’utenza giudiziaria in uno stesso capoluogo di provincia.

    Peraltro, trattandosi di una nuova sede giudiziaria in materia di giustizia ordinaria, è comunque indiscutibile che Frosinone debba essere preferita come sezione distaccata della Corte d’appello; e ciò per ragioni evidenti di praticità ed opportunità, essendo Frosinone rispetto alle altre province del Lazio (all’infuori di Roma) l’unica provincia ad avere due tribunali (Frosinone e Cassino). Non a caso il Consiglio regionale del Lazio, con la deliberazione n. 227 del 19 giugno 1991, assunta all’unanimità dei presenti, ha approvato la proposta regionale di legge nazionale concernente, appunto, la «Istituzione in Frosinone di una sezione distaccata della Corte d’appello di Roma» (atto Camera n. 5810, X legislatura). Ma anche questa proposta di legge non venne esaminata dal Parlamento nazionale per lo scioglimento anticipato delle Camere avvenuto nei primi mesi del 1992.

    Rimane però assolutamente inalterata l’importanza dell’atto deliberativo della regione Lazio che costituisce, infatti, una manifestazione di volontà per di più unanime, da parte della massima assemblea regionale, a favore del decentramento in Frosinone di una sezione della Corte d’appello di Roma, in ossequio peraltro ai princìpi ispiratori della legge 8 giugno 1990, n. 142, la quale riserva alla regione importanti compiti di programmazione e di coordinamento.

    D’altra parte gli utenti della giustizia del circondario del tribunale di Velletri già da anni frequentano gli uffici giudiziari di Frosinone, essendo tuttora assegnato alla giurisdizione della Corte d’assise di Frosinone il territorio ricompreso nel circondario del tribunale di Velletri.

    Tutto ciò spiega ancor più la davvero significativa indicazione a favore di Frosinone da parte del Consiglio regionale del Lazio, oltre ai ripetuti (e in certa misura naturali) pronunciamenti dei consigli degli ordini forensi di Frosinone e Cassino nonchè delle amministrazioni provinciale e comunale di Frosinone.

    D’altronde, la centralità funzionale e topografica di Frosinone, rispetto alle altre province periferiche del Lazio, è stata di recente sanzionata formalmente dal Ministero dell’interno che ha scelto Frosinone quale sede della circoscrizione elettorale Lazio 2 con competenza sulle province di Latina, Rieti e Viterbo.

    Rispetto all’immediato dopoguerra, allorquando la provincia di Frosinone vedeva diminuire gradualmente la sua popolazione a causa dell’emigrazione di tante persone (soprattutto le più giovani) che non avevano possibilità di vita in un territorio depresso, la cui economia si fondava solo su una agricoltura scarsamente remunerativa, anche perchè praticata in zone collinari e montane, da oltre un ventennio, per le notevoli infrastrutture realizzate, vi è un rovesciamento di tale tendenza a seguito degli insediamenti industriali lungo l’autostrada del sole (da Anagni a Cassino) di cui ricordiamo solamente alcuni dei più consistenti: FIAT, Klopman, Henkel Sud, Elicotteri Meridionali, Lepetit, Squibb, Sace Sud, Italgel, Fater, Winchester, Permaflex, Videocolor, Snia-Bpd.

    Favoriscono tale sviluppo economico della provincia, come già ricordato, numerose infrastrutture: autostrade e superstrade; area di sviluppo industriale; servizi sociali (case per lavoratori, ospedali, eccetera); aumento degli istituti di istruzione secondaria ed anche superiore ed universitaria (università di Cassino). Tutto ciò ha già contribuito e contribuirà ancora di più a far aumentare notevolmente gli affari civili e penali: conseguentemente saranno sempre più accentuati i già esistenti ed evidenziati disagi nella amministrazione della giustizia presso la Corte d’appello di Roma; e ciò vale ancor più a giustificare il presente disegno di legge.

    L’accorpamento dei circondari di Latina e Velletri nella istituenda sede distaccata può realizzare un vero ed efficace decentramento della giustizia nel Lazio, decongestionando sensibilmente l’area metropolitana di Roma che ne ha urgente e palpabile bisogno.

    Si tratta di aree confinanti e largamente omogenee per tradizioni, storia, cultura e affinità anche sociali: sicchè potrà prendere corpo la idea di una «sede distaccata del Lazio sud» che è largamente attesa dagli operatori del diritto della relativa area.

    Un’ultima questione va affrontata e risolta. Abbiamo accennato al fatto che attualmente il territorio ricompreso nel circondario del tribunale di Velletri rientra nella giurisdizione della Corte d’assise di Frosinone. A questo riguardo però i proponenti ritengono che esigenze di razionalità, decentramento e migliore funzionalità consiglino anche la contestuale istituzione della Corte d’assise a Velletri con giurisdizione sul territorio attualmente ricompreso nel circondario del tribunale di Velletri

    L’istituenda Corte d’assise di Velletri costituirà, unitamente alle Corti d’assise di Frosinone, Cassino e Latina, la circoscrizione dell’istituenda sezione distaccata in Frosinone della Corte di appello di Roma in funzione di Corte di assise di appello.


 


 

DISEGNO DI LEGGE

 

Art. 1.

    1. È istituita in Frosinone una sezione distaccata della Corte di appello di Roma, con giurisdizione sui circondari dei tribunali di Frosinone, Cassino, Latina e Velletri.

 

Art. 2.

    1. È istituita in Frosinone una sezione distaccata di Corte di assise di appello di Roma, nella cui circoscrizione sono comprese le Corti di assise di Frosinone, Cassino e Latina, nonché la Corte di assise di Velletri che è contestualmente istituita con giurisdizione sul territorio attualmente ricompreso nel circondario del tribunale di Velletri.

 

Art. 3.

    1. Il Ministro della giustizia, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, è autorizzato a rivedere, con proprio decreto, le piante organiche degli uffici, determinando la consistenza del personale necessario al funzionamento degli uffici giudiziari di cui agli articoli 1 e 2.

    2. Entro il termine di cui al comma 1 il Ministro della giustizia stabilisce la data di inizio del funzionamento degli uffici giudiziari di cui agli articoli 1 e 2.

 

Art. 4.

    1. Alla data di inizio del funzionamento degli uffici giudiziari di cui agli articoli 1 e 2, gli affari civili e penali pendenti davanti alla Corte di appello ed alla Corte di assise di appello di Roma rientranti, ai sensi della presente legge, nella competenza per territorio rispettivamente della sezione distaccata della Corte di appello di Roma con sede in Frosinone e della sezione della Corte di assise di appello di Roma con sede in Frosinone, sono devoluti alla cognizione di questi uffici.

    2. La disposizione di cui al comma 1 del presente articolo non si applica alle cause civili rimesse al collegio ai sensi dell’articolo 352 del codice di procedura civile, ai procedimenti penali nei quali il decreto di citazione è stato notificato a tutte le parti, nonchè agli affari di ordinaria giurisdizione già in corso alla data di inizio del funzionamento della sezione distaccata, stabilita ai sensi dell’articolo 3, comma 2, della presente legge.

    3. Alla data di inizio del funzionamento della Corte di assise di Velletri, gli affari penali pendenti davanti alla Corte di assise di Frosinone rientranti, ai sensi della presente legge, nella competenza per territorio della Corte di assise di Velletri sono devoluti alla cognizione di questo ufficio.

    4. La disposizione di cui al comma 3 non si applica ai procedimenti penali nei quali il decreto di citazione è stato notificato a tutte le parti.

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 1843

DISEGNO DI LEGGE

 

d’iniziativa dei senatori MONTAGNINO, BASTIANONI, BATTAFARANO, BATTAGLIA Giovanni, BATTISTI, BEDIN, CASTELLANI, CAVALLARO, COLETTI, DALLA CHIESA, DATO, DETTORI, FORMISANO, GIARETTA, GRUOSSO, LAURIA, LIGUORI, MAGISTRELLI, MANCINO, MANZIONE, PETRINI, PILONI, RIGONI, ROTONDO, SCALERA, SOLIANI e VERALDI

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA 21 NOVEMBRE 2002

 

 

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Ampliamento del distretto della Corte d’appello
di Caltanissetta

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Onorevoli Senatori. – In più occasioni, studi approfonditi, anche da parte del Consiglio superiore della magistratura, hanno dimostrato che l’eccessiva ampiezza della struttura giudiziaria rende più lento e meno efficiente il servizio giustizia.

    Per quanto riguarda la situazione in Sicilia, il distretto della Corte d’appello di Palermo copre un territorio molto vasto che si affaccia su due mari con siti assai distanti tra loro e con un carico giudiziario assai elevato, mentre il circondario del tribunale di Agrigento è contiguo e confinante con il distretto della Corte d’appello di Caltanissetta, per cui le distanze sono assai ridotte e il raggiungimento di quest’ultima sede molto più rapido ed agevole.

    La città di Agrigento dista infatti da Caltanissetta appena 60 chilometri contro i 126 che la separano da Palermo. Occorre inoltre evidenziare che tale percorso di collegamento, per la sua tortuosità, per l’attraversamento di diversi centri urbani o di zone urbanizzate e, infine, per l’attraversamento del capoluogo, comporta tempi medi di percorrenza di circa due ore.

    Si verifica pertanto il paradosso che gli abitanti di alcuni comuni della provincia di Agrigento devono, per raggiungere la Corte d’appello di Palermo, attraversare la città di Caltanissetta.

    Per queste ragioni si ritiene opportuno il presente disegno di legge, che all’articolo 1 modifica l’ambito territoriale del distretto della Corte d’appello di Caltanissetta ricomprendendovi il tribunale di Agrigento.

    L’articolo 2 prevede l’adeguamento, da parte del Ministro della giustizia, della pianta organica della Corte d’appello di Caltanissetta.

    All’articolo 3 si stabilisce che tutti gli affari pendenti, sia civili che penali, dinanzi alla Corte d’appello di Palermo e provenienti dalla circoscrizione del tribunale di Agrigento, siano devoluti d’ufficio alla Corte d’appello di Caltanissetta, con alcune eccezioni indicate nell’articolo stesso.

    Esistono a Caltanissetta cultura, tradizioni e strutture giudiziarie molto consistenti (basti pensare all’aula-bunker attigua alla casa circondariale), che hanno comportato cospicui investimenti e possono egregiamente rispondere alle esigenze di maggior carico giudiziario conseguente.

    Si sottolinea, infine, che la modifica dell’ambito territoriale del distretto di Corte d’appello di Caltanissetta non comporta particolari oneri finanziari.


 


 


DISEGNO DI LEGGE

 

Art. 1.

    1. Il circondario del tribunale di Agrigento cessa di appartenere alla giurisdizione del distretto della Corte d’appello di Palermo ed è ricompreso nella giurisdizione del distretto della Corte d’appello di Caltanissetta.

    2. Il Ministro della giustizia è autorizzato ad apportare le necessarie variazioni alle tabelle A e B annesse all’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni.

 

Art. 2.

    1. Il Ministro della giustizia è autorizzato a provvedere, con proprio decreto, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, all’adeguamento della pianta organica della Corte d’appello di Caltanissetta, rivedendo le piante organiche di altri uffici, nell’ambito delle attuali dotazioni dei ruoli del Ministero della giustizia.

 

Art. 3.

    1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, gli affari civili e penali pendenti dinanzi alla Corte d’appello di Palermo e provenienti dalla giurisdizione di primo grado del circondario del tribunale di Agrigento, sono devoluti d’ufficio alla cognizione della Corte d’appello di Caltanissetta.

    2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica alle cause civili nelle quali le parti hanno già precisato le conclusioni ai sensi dell’articolo 352 del codice di procedura civile, ai procedimenti penali nei quali è stato notificato il decreto che dispone il giudizio ed agli affari di volontaria giurisdizione in corso alla data di cui al medesimo comma 1.

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 2172

DISEGNO DI LEGGE

 

d’iniziativa del senatore DETTORI

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 3 APRILE 2003

 

 

 

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Istituzione della corte d’appello di Sassari

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Onorevoli Senatori. – L’azione svolta dal Parlamento e dal Governo, durante tutto il corso della XIII legislatura, per il sistema della giustizia è stata improntata alla volontà di accrescerne l’efficienza e la funzionalità; in tal senso sono state approvate e sono in fase di attuazione significative tappe.

    La sempre maggiore efficienza delle sezioni stralcio dell’arretrato civile, con la recente quasi integrale copertura dell’organico dei giudici onorari aggregati (GOA); la devoluzione agli stessi GOA e al giudice di pace di gran parte dell’arretrato delle cause civili delle soppresse preture; l’applicazione delle tabelle infradistrettuali; l’avvio della riforma del giudice unico; la depenalizzazione di alcuni reati minori realizzata con il decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507, attuativo della legge delega 25 giugno 1999, n. 205; l’attribuzione di competenze penali al giudice di pace, attuata dalla legge 24 novembre 1999, n. 468; l’attuazione della legge delega sui tribunali metropolitani, realizzata con il decreto legislativo 3 dicembre 1999, n. 491: si tratta di misure volte a rendere più razionale e funzionale il sistema giudiziario, e la cui piena realizzazione rende ragionevole attendersi una prossima inversione di tendenza nella resa del servizio giustizia.

    Il presente disegno di legge intende porsi come completamento di tale complessiva attività di razionalizzazione e ottimizzazione delle risorse nel settore giudiziario, portando alle necessarie conclusioni l’opera iniziata con la istituzione di alcune nuove sezioni distaccate di corte d’appello, tra cui quella di Sassari.

    Infatti, la domanda di giustizia in campo civile e l’esigenza di rapida risposta giudiziaria in campo penale, che sottostavano alla creazione dei suddetti uffici, piuttosto che diminuite, possono indubbiamente considerarsi aumentate.

    Venendo al merito dell’intervento normativo proposto, si fa notare come lo stesso trovi le sue uniche e fondate ragioni giustificatrici nell’obiettiva situazione di sofferenza del sistema giudiziario in una particolare area del territorio già per molti versi penalizzata, quale è la provincia di Sassari.

    È in questa situazione che possono trovarsi le ragioni dell’intervento proposto, che non solo mira a garantire e potenziare l’azione dello Stato per la sicurezza delle popolazioni interessate, ma al tempo stesso, ponendo un saldo presidio giudiziario in una zona di frontiera, consente di migliorare la tutela dell’intero Paese.

    Inoltre, giova ricordare che Sassari e altre sedi di tribunale del nord della Sardegna (La Maddalena, Olbia e Tempio Pausania) distano da Cagliari da 200 a 300 chilometri e sono penalizzate da insufficienti vie e mezzi di comunicazione.

    La dipendenza da Cagliari sul piano organizzativo è fonte di notevoli disagi che incidono sulla funzionalità, a cominciare dall’applicazione del personale (di competenza del presidente della corte d’appello), per finire alle disfunzioni di carattere amministrativo e contabile.

    Fanno capo a Sassari il tribunale di Nuoro, i relativi uffici di sorveglianza nonché le maggiori strutture carcerarie dell’isola. Il territorio del nord della Sardegna, ivi compreso Nuoro, è interessato da gravissimi episodi di criminalità connessi alla presenza dei maggiori porti dell’isola (Porto Torres e Olbia) e dei due aeroporti di Alghero e Olbia, nonché alla vicinanza con la Corsica ed allo sviluppo turistico di richiamo internazionale (vedi Costa Smeralda).

    Sussistono quindi le motivazioni, dopo dieci anni dalla istituzione della sede distaccata, per istituire definitivamente a Sassari la seconda sede di corte d’appello della Sardegna e la rispettiva procura generale della Repubblica.

    Per concludere, preme sottolineare che la predetta opera di razionalizzazione non presenta alcun costo aggiuntivo per l’erario, trattandosi di mera trasformazione in uffici giuridici autonomi di sezioni distaccate già esistenti e che, dunque, continuerebbero a giovarsi delle medesime strutture e del medesimo personale. Venendo poi all’analisi puntuale delle singole disposizioni, si osserva che gli articoli 1 e 2 del presente disegno di legge attengono all’istituzione dei nuovi uffici giudiziari ed alla conseguente modifica delle tabelle A e B allegate all’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni.

    Gli articoli 3 e 4, invece, stabiliscono modalità e tempi per la determinazione e la copertura dei relativi organici. Infine, l’articolo 5 detta disposizioni relative ai procedimenti pendenti, atte ad impedire la dispendiosa e negativa movimentazione di fascicoli e carte processuali.



 


 

DISEGNO DI LEGGE

 

 

Capo I

ISTITUZIONE DELLA CORTE

D’APPELLO E DELLA PROCURA

GENERALE DELLA REPUBBLICA

DI SASSARI

 

Art. 1.

    1. Sono istituite la corte d’appello di Sassari, con giurisdizione sul territorio del circondario dei tribunali di Nuoro, di Sassari e di Tempio Pausania, e la procura generale della Repubblica presso la corte d’appello di Sassari.

    2. La sezione distaccata di Sassari della corte d’appello di Cagliari è soppressa dalla data di inizio del funzionamento dei nuovi uffici di cui al presente articolo, ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della presente legge.

 

 

Art. 2.

    1. Il Ministro della giustizia è autorizzato ad apportare, con proprio decreto, le necessarie variazioni alle tabelle A e B allegate all’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni.

 

 

Capo II

DISPOSIZIONI RELATIVE

AL PERSONALE

 

Art. 3.

    1. Con decreto del Ministro della giustizia, sentito il Consiglio superiore della magistratura, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, è determinato l’organico dei magistrati della corte d’appello di Sassari e della procura generale della Repubblica presso la medesima corte d’appello.

    2. Il Consiglio superiore della magistratura provvede, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, alla nomina del presidente della corte d’appello di Sassari e del procuratore generale della Repubblica presso la medesima corte d’appello.

    3. Con decreto del Ministro della giustizia, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, è determinato l’organico del personale amministrativo e sono nominati i dirigenti della corte d’appello di Sassari e della procura generale della Repubblica presso la medesima corte d’appello; con il medesimo decreto, il Ministro della giustizia fissa la data di inizio del funzionamento dei predetti uffici giudiziari.

 

 

Art. 4.

    1. Alla copertura dell’organico dei magistrati della corte d’appello di Sassari e della procura generale della Repubblica presso la medesima corte d’appello si provvede mediante assegnazione del personale in servizio nella sezione di corte d’appello compresa nel circondario alla data di pubblicazione del decreto di cui all’articolo 3, comma 3, che ne abbia fatto richiesta; quanto ai posti residui, si provvede mediante le ordinarie procedure di trasferimento.

    2. Alla copertura dell’organico del personale amministrativo della corte d’appello di Sassari e della procura generale della Repubblica presso la medesima corte d’appello si provvede mediante assegnazione del personale in servizio nella sezione di corte d’appello compresa nel circondario alla data di pubblicazione del decreto di cui all’articolo 3, comma 3, che ne abbia fatto richiesta; quanto ai posti residui, si provvede mediante le ordinarie procedure di trasferimento.

 

Capo III

DISPOSIZIONI TRANSITORIE

 

Art. 5.

    1. I procedimenti pendenti, alla data di entrata in vigore del decreto di cui all’articolo 3, comma 3, presso la sezione distaccata di Sassari della corte d’appello di Cagliari, sono definiti dalla corte d’appello di Sassari.