XIV Legislatura - Dossier di documentazione | |||||||
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento bilancio | ||||||
Altri Autori: | Servizio Studi - Dipartimento affari comunitari , Servizio Studi - Dipartimento affari esteri , Servizio Studi - Dipartimento affari sociali , Servizio Studi - Dipartimento agricoltura , Servizio Studi - Dipartimento ambiente , Servizio Studi - Dipartimento attività produttive , Servizio Studi - Dipartimento bilancio , Servizio Studi - Dipartimento cultura , Servizio Studi - Dipartimento difesa , Servizio Studi - Dipartimento finanze , Servizio Studi - Dipartimento giustizia , Servizio Studi - Dipartimento istituzioni , Servizio Studi - Dipartimento lavoro , Servizio Studi - Dipartimento trasporti , Ufficio Rapporti con l'Unione Europea | ||||||
Titolo: | Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale - D.L. 35/2005 - A.S. 3344-A - Lavori preparatori al Senato - Parte III - Esame in Assemblea | ||||||
Serie: | Decreti-legge Numero: 182 Progressivo: 1 | ||||||
Data: | 05/05/05 | ||||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: |
I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni
V-Bilancio, Tesoro e programmazione | ||||||
Riferimenti: |
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Servizio studi |
decreti-legge |
Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale D.L. 35/2005 - A.S. 3344-A Lavori preparatori al Senato Esame in Assemblea |
n. 182/1 Parte III |
4 maggio 2005 |
Camera dei deputati
Dipartimento Bilancio e politica economica
SIWEB
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File: D05035c.doc
I N D I C E
§ Seduta di martedì 26 aprile 2005 (antimeridiana)
§ Seduta di martedì 26 aprile 2005 (pomeridiana)
§ Seduta di mercoledì 27 aprile 2005 (antimeridiana)
§ Seduta di martedì 3 maggio 2005 (antimeridiana)
§ Seduta di martedì 3 maggio 2005 (pomeridiana)
§ Seduta di martedì 4 maggio 2005 (antimeridiana)
SENATO DELLA REPUBBLICA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾ XIV LEGISLATURA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾
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785a SEDUTA |
PUBBLICA |
RESOCONTO STENOGRAFICO |
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MARTEDI’ 26 APRILE 2005 (Antimeridiana) |
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Presidenza del vice presidente MORO
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Discussione del disegno di legge:
(3344) Conversione in legge del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale (Relazione orale) (ore 12,30)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 3344.
Il relatore, senatore Izzo, ha chiesto l'autorizzazione a svolgere la relazione orale. Non facendosi osservazioni, la richiesta si intende accolta.
Pertanto, ha facoltà di parlare il relatore.
IZZO, relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei innanzi tutto augurare al sottosegretario Vegas di essere, di qui a poco, non dico promosso, ma nominato Vice ministro…
CHIUSOLI (DS-U). Perché metti limiti alla Provvidenza?
IZZO, relatore. Per i Ministri si è già provveduto, per cui adesso l’obiettivo primario deve essere quello del Vice ministro.
Esprimo questo auspicio, al di là del rapporto di amicizia, per il lavoro, di cui va dato atto al sottosegretario Vegas, che ci ha visti impegnati per quattro anni in Commissione bilancio (anche se qualche volta in modo contrapposto), ove gli va dato merito del suo impegno e della sua caparbia determinazione nel portare avanti una serie di provvedimenti.
Per quanto riguarda il provvedimento al nostro esame, da un po’ di tempo ci interroghiamo con sempre maggiore insistenza sulle cause e sulle cure del deficit di crescita dell’economia italiana. Vedo spesso ricorrere uno spettro nelle analisi di politica economica e industriale in corso nel nostro Paese: il modello di crescita e specializzazione dell’economia italiana è irrimediabilmente obsoleto ed inadeguato nell’era della competizione globale?
I dubbi sono suscitati dalla constatazione del tasso di crescita dell’economia. Per l’anno in corso, le stime più recenti variano in un range che va dall’1,1 all’1,9 per cento. Si tratta di dati certamente non eccezionali, ma comunque non a distanza siderale dalla proiezione ufficiale del DPEF dell’anno scorso, che stimava nell’autunno 2004 una crescita nel 2005 del 2,1 per cento, crescita che sarà ovviamente registrata solo a consuntivo.
Per il 2004, alla luce del dato di crescita reso noto recentemente per il quarto trimestre 2004, l’insieme delle misure correttive adottate nel secondo semestre dello scorso anno si sono comunque dimostrate sufficienti, come certificato anche dall’ISTAT, a mantenere il deficit 2004 entro il tetto del 3 per cento del PIL.
Per la verità, i medici che si affollano al capezzale della nostra economia concordano sulla diagnosi della bassa crescita: l’economia italiana soffre dell’eredità di un modello di governo consociativo dell’economia, con troppi settori protetti dalla concorrenza e spesso indotti a credere che si possa sempre ovviare ai ritardi e alle inefficienze scaricandone i costi sulla collettività e, in ultima istanza, sul bilancio pubblico.
A ciò si somma, nel confronto tra l’Europa e gli Stati Uniti, il peso di un sistema di Welfare molto più diffuso. Come ho ricordato anche in Commissione, in un recente libro, il preside della facoltà di economia di Harvard, l’italiano Alberto Alesina, ha dimostrato che la spiegazione di tali differenze è legata all’egemonia delle opinioni di sinistra in Europa e, aggiungo io, il risultato è sotto gli occhi di tutti in termini di minor crescita.
In tale contesto l’azione del Governo ha decisamente risentito della situazione della finanza pubblica - peraltro ereditata dai precedenti Governi - e dei relativi vincoli derivanti dalla partecipazione all’Unione Europea e economica e monetaria. Pertanto, si è resa sin ora di fatto impercorribile una più incisiva azione di rilancio degli investimenti direttamente correlati al consolidamento della competitività delle imprese, segnatamente in favore della ricerca e dell’innovazione, pur in presenza di un acutizzarsi della concorrenza internazionale che avrebbe reso urgenti interventi di sostegno, soprattutto nei settori produttivi più maturi.
È quindi urgente adottare una nuova strategia di politica economica e industriale, volta al potenziamento dei fattori di diretta incidenza sulla competitività del Paese, senza escludere severe misure tese alla difesa della qualità dei prodotti nazionali da contraffazioni e falsificazioni.
Il quadro delineato dal Vice ministro per il commercio con l’estero, il 14 scorso in quest’Aula, è allarmante, ma già vede il Governo impegnato in precise azioni di contrasto e ancora ieri lo leggevamo nei resoconti apparsi sulla stampa.
In sede Europea, infatti, l’azione è stata tesa anzitutto a sollecitare l’approvazione della proposta di regolamento per l’obbligo della stampigliatura con indicazione del Paese d’origine su ogni prodotto finale. La proposta, già presentata in sede europea durante il semestre di Presidenza italiana, è oggi finalmente in dirittura d’arrivo.
Tuttavia, non bisogna dimenticare che il problema della competitività di un’economia non è solo questione di marchi, di investimenti e risorse finanziarie, ma soprattutto attiene all’elaborazione di misure tese ad un insieme combinato di riforme a carattere strutturale anche, in molti casi, a costo zero.
Il problema cruciale è senz’altro quello della innovatività delle imprese nei processi come nello studio di nuovi prodotti, in un mercato globale sempre più competitivo nei prezzi. Punto di partenza per questa svolta è quello di promuovere la concorrenza in tutti i settori; ciò stimola le imprese alla ricerca di maggior efficienza attraverso l’innovazione. Questo lo vedremo; già il Governo lo ha proposto nel provvedimento e in Commissione abbiamo migliorato ulteriormente l’incentivo per le aziende nel campo dell’innovazione e della ricerca, e quindi del sostegno della vera competitività del nostro prodotto.
Certamente, ciò non significa che negli ultimi anni, pur nel quadro delle indicibili resistenze a cambiare l’Italia, in un contesto di rigidi e autocratici interessi consolidati, non si siano già avviate importanti riforme. Tra le tante, il Fondo monetario ha, per esempio, riconosciuto come la riforma previdenziale approvata permetterà di conseguire un decisivo abbattimento del cosiddetto debito pensionistico, circostanza non irrilevante alla luce della revisione del Patto di stabilità e crescita.
Ho letto con interesse, per la verità, gli atti del convegno "Oltre il declino" della Fondazione Rodolfo Debenedetti; dove però, alla lucidità dell’analisi e dell’abbozzo di proposte non segue la constatazione della marginalità delle stesse nel contesto di quanti si contrappongono in Italia alla Casa delle Libertà.
Il declino ha, infatti, radici strutturali e perciò stesso non è imputabile alla politica economica recente, ma a un modello consolidato, come già ho avuto modo di segnalare, che, semmai, più che una inversione di rotta dell’attuale politica richiede invece una più decisa sterzata verso le liberalizzazioni, l’efficienza del sistema Paese e la riduzione del peso del settore pubblico sull’economia.
Questa è anche la posizione del Presidente della Confindustria, quale è emersa in un suo recente messaggio, sul problema della competitività e sulla necessità di intervenire per modificare in maniera strutturale quello che è e deve essere l’obbiettivo primario del nostro Paese, facendo ammenda, poiché l’attuale situazione affonda le sue radici già nel passato e non certo nelle responsabilità di questo Governo e di questa maggioranza.
Per la verità, dalle analisi e strategie bisogna passare alle soluzioni. Il dibattito svolto in Commissione ha trovato convergenza nel provvedimento in discussione essenzialmente su tre direttrici: semplificazioni e riforme dell’architettura giuridico-amministrativa; il rafforzamento e reindirizzo degli strumenti di incentivazione alle imprese. Dovremmo lavorare ulteriormente in questa direzione per cercare di ammodernare l’incentivo alle imprese, distribuendo equamente sul territorio gli incentivi alle aree sottoutilizzate e facendo distinzione per le aree di cui agli obbiettivi 1 e 2.
È con piacere che voglio sottolineare in quest'Aula che il nuovo Governo, il cosiddetto Berlusconi-bis, ha recuperato le parole " Sud" e "Mezzogiorno d'Italia". Noi ci auguriamo che non siano soltanto parole e ci muoveremo in quella direzione. Certamente incontreremo delle difficoltà, certamente avremo la necessità di confrontarci anche con gli amici di questa maggioranza, soprattutto con quelli della Lega Nord, che rappresentano determinati interessi territoriali, ma con i quali dovremo determinare le migliori sinergie per far sì che questo Paese, l'Italia, da Nord a Sud, possa ritornare ad essere competitivo e pronto alla sfida del millennio che ci aspetta.
Questo avverrà soltanto se saremo capaci di creare sinergie tra Nord e Sud che abbiano un effetto positivo. E non già come fatto di rivendicazione territoriale, perché con la riforma della Costituzione, noi individuiamo una serie di attività distribuite in maniera diversa che devono essere finalizzate soltanto all'obiettivo dell'integrazione e al fine di creare le condizioni perché territori più svantaggiati solamente per una scarsa attenzione dei Governi precedenti siano posti nelle condizioni di competere alla pari.
Noi uomini del Mezzogiorno rinneghiamo, in maniera assoluta, l'ipotesi di dover vivere del sostentamento dello Stato e delle Regioni più ricche di questo Paese. Rivendichiamo, invece, un riequilibrio ed un recupero delle condizioni normali di infrastrutture capaci di metterci alla pari per concorrere insieme al miglioramento del nostro Paese.
È questo il nostro obiettivo primario e sono convinto che il Presidente Berlusconi si farà carico, così come ha fatto in passato, ma adesso in maniera più forte e veemente, con il nuovo Governo, in questo scorcio di legislatura, di creare le condizioni per poter non già vincere le prossime elezioni grazie a questo, ma per poter avviare, nella fase finale di questa legislatura e nella prossima, il recupero delle capacità del Mezzogiorno d'Italia, che si coniugherà certamente in maniera valida ed effettiva con le esigenze del Nord.
L’ultima delle direttrici è il riordino degli strumenti di protezione civile, a cui si aggiungono ulteriori misure specifiche.
Venendo alle singole misure che compongono il decreto, l'articolo 1 contiene una serie di disposizioni tese a rafforzare l'azione di contrasto alle contraffazioni. Si prevede, pertanto, il riassetto delle procedure amministrative di sdoganamento delle merci, con la individuazione di forme di semplificazione e di coordinamento operativo.
L'articolo contiene anche una disposizione in materia di contraffazioni immediatamente esecutiva, che introduce una sanzione amministrativa per l'acquisto o l'accettazione di beni in violazione delle norme in materia d'origine e provenienza dei prodotti e in materia di proprietà intellettuale.
Si tratta di disposizioni di sicura importanza, che nel corso dell'esame da parte della Commissione bilancio sono state ulteriormente rafforzate con la previsione della confisca dei beni, su un emendamento proposto dal relatore e condiviso - credo - dall'intera Commissione.
Certo, l'argomento consente di ritornare sul tema delle misure di difesa attiva delle produzioni italiane. Rammento a me stesso che tutte le decisioni in materia di politica commerciale appartengono alla competenza degli organi comunitari, che a loro volta sono tenuti a rispettare gli accordi del WTO. Risulta però possibile invocare, a livello europeo, misure di salvaguardia di diverso tipo, sia per i prodotti tessili, sia per i prodotti calzaturieri, che per qualunque altro bene la cui produzione nazionale sia seriamente danneggiata dalle importazioni, indipendentemente dal loro grado di scorrettezza.
I casi delle quote imposte nel 2001 dagli Stati Uniti sulle importazioni dell'acciaio, come pure le recenti minacce di ripristino dei contingentamenti alle importazioni di tessili cinesi dimostrano che le misure di salvaguardia possono rivelarsi efficaci anche quando sono applicate violando le disposizioni del WTO. Ma tutto questo prescinde dalla valutazione delle eventuali contromisure aventi un effetto commerciale equivalente, e soprattutto richiede che la nostra diplomazia commerciale si attrezzi in modo adeguato.
Per questo motivo la Commissione, nel recepire quanto il Governo ha avuto modo di rappresentare nel corso dei lavori, ha approvato un emendamento che istituisce l'Alto commissario per la lotta alla contraffazione, con compiti di coordinamento delle funzioni di sorveglianza in materia di violazione dei diritti di proprietà industriale e di monitoraggio delle attività di prevenzione e repressione dei fenomeni di contraffazione.
Proprio questa circostanza ha indotto a rivedere un iniziale orientamento inteso a introdurre misure di difesa attiva dalle importazioni a favore di un ordine del giorno in tema di creazione di marchi di provenienza.
A tale proposito, pur ritenendo che non ve ne sia bisogno, vorrei sollecitare il Sottosegretario che ci ascolta e l'intero Governo, soprattutto il Ministro del commercio con l'estero, a incentivare quest'azione già intrapresa a livello europeo, affinché il commissario europeo per il commercio Mandelson applichi immediatamente le misure di salvaguardia con contestazione reale. Bisogna recuperare i tempi, non possiamo aspettare la procedura di nove mesi, e quindi la fine dell'anno, perché non avremmo più capacità di essere competitivi.
Le misure di salvaguardia e le misure preventive devono scattare immediatamente affinché fin dai prossimi mesi i nostri prodotti siano competitivi e ritorni una par condicio nella nostra capacità di produzione. Se oltre a questo riusciamo a immaginare una fiscalità di vantaggio per sostenere le imprese soprattutto nelle aree sottoutilizzate del Paese, nel Mezzogiorno d'Italia, attraverso la riduzione di costi che gravano sul prodotto, come quello dell'energia, se avessimo la possibilità di intervenire in questo modo, premieremmo le aziende che producono davvero nel Mezzogiorno d'Italia e possono determinare la ricchezza di questo Paese.
Con la riduzione del costo, non avremmo l'incentivo a pioggia, l'incentivo per l'incubatore o per la realizzazione del contenitore, ma andremmo a premiare la professionalità dell'impresa del Mezzogiorno d'Italia.
L'articolo 2 imposta la riforma del diritto fallimentare che, dopo oltre sessant'anni si avvia ad essere modificato. La riforma potrà indurre un sicuro recupero di efficienza conferendo necessaria flessibilità e sicurezza ai rapporti di credito, atteso che la normativa appare non più adeguata alle esigenze di certezza della tutela dei creditori e di celerità nelle procedure di realizzo, imposte dal continuo arbitraggio dei capitali tra sistemi-Paese che vantano regole di governance più adatte alle esigenze dei mercati.
Sul punto, la Commissione ha provveduto ad inserire, nel disegno di legge di conversione, una delega per il riordino delle procedure fallimentari e dei reati connessi. Si tratta di una parte del provvedimento sulla quale la Commissione ha potuto fare tesoro dell'esperienza maturata in Commissione giustizia.
Sul piano della semplificazione e dello snellimento delle procedure, si rilevano la nuova formulazione di un termine di decadenza (e non più di prescrizione) ai fini dell'esercizio dell'azione revocatoria, il rinnovato procedimento di verifica del passivo e di riparto dell'attivo, la nuova procedura del concordato fallimentare, oltre all'estensione del rito societario per tutte le controversie fallimentari e alla abrogazione dell'istituto dell'amministrazione controllata. La delega opera anche la riscrittura di reati fallimentari, assumendo rinnovata centralità, nella nuova fattispecie di bancarotta, la condotta tenuta dal fallito nella fase immediatamente antecedente l'apertura della procedura.
La Commissione - si tratta della seconda norma di delega - è, altresì, intervenuta approvando al medesimo articolo 2, commi 3 e seguenti, alcune disposizioni per il riordino del codice di procedura civile.
Signor Presidente, avrei bisogno ancora di cinque minuti.
PRESIDENTE. Il tempo è contingentato. La autorizzo a consegnare la parte dell'intervento che non riuscirà a esporre affinché sia pubblicata in allegato al Resoconto della seduta odierna.
IZZO, relatore. Cercherò di essere rapido e consegnerò poi il testo alla Presidenza.
Avremmo voluto inserire anche la delega relativa alle professioni intellettuali; purtroppo, è intervenuta la crisi di Governo e, con molta correttezza, il presidente Pera ci ha invitato a non procedere ulteriormente, ma il Governo si muoverà certamente in quella direzione.
Abbiamo dato comunque un segnale importante, anche in Commissione, con un anticipo della riforma delle professioni. Mi riferisco alla possibilità per il nostro Paese di disporre di un maggior numero di notai, la cui legge istitutiva della professione risale a più di cento anni fa. Infatti, approvando il provvedimento al nostro esame in via definitiva, i notai non saranno più ripartiti nella proporzione di uno ogni 8.000 abitanti, bensì di uno ogni 7.000. E’ un primo passo verso la riforma definitiva di questo settore.
L’articolo 3, invece, prevede riforme "a costo zero", come la possibilità di sostituire ogni atto di autorizzazione vincolata con una dichiarazione di inizio attività. Ciò non preclude, però, all’attività di intervento, di verifica e di controllo, ma liberalizza la capacità di avviare.
L’articolo 5 interviene nel campo delle infrastrutture, quindi accelera enormemente la procedura di intervento nel settore. L’articolo 6 destina incentivi alla ricerca. L’articolo 9 agevola la fusione tra le piccole imprese. L’articolo 14 prevede le riduzioni fiscali per chi finanzia l’università. L’articolo 8 prevede una revisione della disciplina degli incentivi alle imprese. L’articolo 12 conferisce autonomia all’Agenzia dell’ENIT. L’articolo 13 interviene in materia di previdenza complementare, in modo da consentire l’avvio di tali strumenti. L’impatto che ne deriverà sarà certamente rilevante. Va segnalata, inoltre, l’approvazione da parte della Commissione delle fiscalità di vantaggio per i neoassunti.
Siamo intervenuti nel campo dell’IRAP e ci auguriamo che il Governo possa arrivare alla sua revisione completa ma è stato introdotto, per la verità, dalla Commissione - e di questo va dato atto - un intervento determinante: alle aree sottoutilizzate del Paese, differenziando il Mezzogiorno rispetto alle altre, è stata data la possibilità di arrivare per assunzioni fino a cinque dipendenti ad una decurtazione di 20.000 euro per dipendente, cioè di elevare il tetto di 20.000 a 100.000. Questo è il dato veramente importante che abbiamo voluto segnalare al Mezzogiorno d’Italia.
Infine, mi auguro che da questo dibattito, così come è avvenuto in Commissione (va dato atto anche all’opposizione di aver contribuito al miglioramento del testo), possa scaturire un ulteriore miglioramento del provvedimento con un unico e solo obiettivo: quello di dare le risposte che il Paese si aspetta.
Ringraziandola per avermi concesso del tempo in più, vorrei segnalare la necessità di intervenire sul problema previdenziale. Inviterei, pertanto, il Governo ad esaminare questo aspetto e a proporci la regolarizzazione previdenziale, che credo sia una misura attesa da tutti. (Applausi dai Gruppi FI, AN, UDC e del senatore Agoni. Congratulazioni).
PRESIDENTE. Il relatore di minoranza, senatore Caddeo, ha chiesto l'autorizzazione a svolgere la relazione orale. Non facendosi osservazioni, la richiesta si intende accolta.
Pertanto, ha facoltà di parlare il relatore di minoranza.
CADDEO, relatore di minoranza. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Piano d’azione per lo sviluppo arriva in Aula dopo una difficile discussione, con una maggioranza tesa e divisa. Tuttavia, l’Unione, a nome della quale ho l’onore di parlare, ha lavorato in modo costruttivo, convinta della necessità di attutire gli effetti negativi della crisi che il Governo scarica sull’economia e sulla società.
La priorità dell’oggi è quella di rianimare la crescita, come dimostrano tutti gli indicatori. In uno scenario mondiale molto dinamico, che nel 2004 ha visto il prodotto aumentare del 4,7 per cento ed il commercio svilupparsi del 10, l’Italia registra uno stanco più 1,2 per cento del PIL ed un ulteriore scivolamento al 2,9 della nostra quota di commercio mondiale.
Peggiora, quindi, una tendenza e non è possibile nascondere la testa sotto la sabbia. L'Italia non solo non regge il passo di Paesi come gli Stati Uniti e la Cina, che crescono rispettivamente del 4,4 per cento e del 7,2 per cento, ma perde terreno anche nei confronti della Francia e della Germania.
Il futuro, con le tensioni sui prezzi delle materie prime e con il petrolio che tende verso gli 80-100 dollari al barile, si presenta buio.
I dati ISTAT del 2004 evidenziano che l'occupazione è cresciuta di 167.000 nuovi posti, ma sono stati creati tutti al Centro-Nord col la regolarizzazione degli immigrati e con la diffusione delle forme di lavoro precario. Al Sud gli occupati diminuiscono dello 0,4 per cento e molti rinunciano persino a cercare un'occupazione, mentre i giovani laureati e diplomati riprendono la via dell'emigrazione.
La crisi del made in Italy lascia, quindi, segni profondi, mentre nell'attrarre i flussi turistici l'Italia perde la tradizionale leadership.
La politica industriale, quella per il turismo e per il Mezzogiorno, la collocazione della Penisola all'interno dei traffici mondiali sono dunque nodi da sciogliere.
Le analisi della nostra realtà economica e sociale conducono sempre di più a scelte che potenzino l'offerta del sistema produttivo, che utilizzino tutte le risorse umane ed ambientali, che rafforzino la capacità di esportazione e che arricchiscano la specializzazione produttiva.
Il Governo, però, tentenna ed ha compromesso questa strategia con la riduzione dell'imposta sul reddito; voleva sostenere i consumi, ma ha mancato l'obiettivo a causa dell'abnorme appesantimento dell'imposizione indiretta che colpisce i ceti medio-bassi. Mancano, così, risorse per ridurre il costo del lavoro e la pressione fiscale sulle imprese.
La competitività può essere rilanciata anche con riforme a costo zero, a cominciare dalla liberalizzazione dei mercati del lavoro, delle merci e dei servizi. Nella flessibilizzazione del lavoro dipendente, in verità, si è già esagerato; per il lavoro autonomo la maggioranza pensa invece a nuove rigidità, ad ulteriori ordini professionali. Con il nostro contributo determinante, però, nel decreto sono state introdotte novità importanti, come l'aumento del numero dei notai, ma soprattutto si è data dignità giuridica alle associazioni professionali creando un sistema duale di ordini e di associazioni.
Altre proposte portano il segno del nostro impegno: è così per la riforma delle procedure fallimentari, perché siamo convinti che al fallito debba essere data una nuova possibilità e che il sistema produttivo attorno a lui debba essere meno esposto ai colpi della sua crisi.
Si è discusso a lungo sulla tutela del made in Italy, scartando l'idea dei dazi e della tassazione dei container che arrivano nei nostri porti. Alla fine, la maggioranza ha dovuto prendere atto che bisogna agire in sede europea. Ci siamo limitati così a modernizzare il nostro sistema doganale ed a creare l'ennesimo alto commissario per la lotta alla contraffazione, utile per sistemare qualche amico.
Di fronte alla delocalizzazione dell'apparato produttivo è emersa la confusione del Governo. La Tremonti-bis ha incentivato a lungo la costruzione di nuovi capannoni spesso rimasti vuoti; ora si cambia opinione: si aumenta l'intensità dell'aiuto di Stato della SIMEST S.p.a dal 25 al 49 per cento per le aziende che delocalizzano, a condizione che lascino in Italia le funzioni strategiche, ma resta il rischio insito nel volere definire per legge quale sia la delocalizzazione buona e quella cattiva e nella costruzione di un sistema tentacolare di nuove partecipazioni statali.
Il cuore politico del provvedimento è costituito dalla riforma degli incentivi alle imprese. Di fronte all'esplosione del deficit, che veleggia verso il 4,6 per cento nel 2006, il Governo recupera oggi risorse riducendo del 40 per cento l'intensità di aiuto della legge n. 488 del 1992. Fino al 50 per cento verrà erogato a fondo perduto: il 25 per cento tramite credito agevolato della Cassa depositi e prestiti con un interesse dello 0,5 per cento ed il restante 25 per cento dovrà essere assicurato da un finanziamento bancario ordinario.
Per il 2005 ed il 2006 le risorse vengono razionate a 750 milioni, al livello cioè degli ultimi due anni, il più basso nella storia dell'applicazione della legge. In attesa del via libera della Commissione europea avremo un sostanziale blocco dei bandi.
Queste regole verranno estese anche ai patti territoriali, ai contratti d'area e ai contratti di localizzazione. Si replica per il Mezzogiorno l'esperienza vissuta con i crediti d'imposta: la sospensione prima, lo svuotamento poi ed infine il blocco totale. Per il Centro-Nord, tuttavia, persiste un diverso approccio: è stata prima varata la Tremonti-bis ed ora si porta l'intensità degli aiuti della SIMEST al 49 per cento. Risalta a tutto tondo l'uso di due pesi e di due misure.
Le risorse finanziarie rese disponibili dalla riforma degli incentivi sono dirottate alla realizzazione delle infrastrutture strategiche e per interventi di riqualificazione delle aree urbane in tutto il Paese. A tale scopo, verranno utilizzati anche gli oltre 9 miliardi disponibili del Fondo per le aree sottoutilizzate. Da lì si attingerà anche per remunerare la Cassa depositi e prestiti nell'attivazione del Fondo rotativo di 6 miliardi per il sostegno alle imprese, costituito dalla recente legge finanziaria.
Il Fondo rotativo erogherà mutui al tasso dello 0,5 per cento destinati a progetti di ricerca e sviluppo tramite programmi approvati dal CIPE. Gli altri 4 miliardi finanzieranno progetti d'innovazione di processi produttivi e di prodotto, l'innovazione nel campo del risparmio energetico e la realizzazione del corridoio 5, cioè dell'asse infrastrutturale Torino-Trieste. Il decreto, in verità, richiama anche il corridoio adriatico, l'asse Bari-Durazzo, anche se il Governo non ha finora attivato alcuna progettazione.
La manovra finanziaria mobilita tutte le risorse destinate al Mezzogiorno e quelle del Fondo rotativo per complessivi 15 miliardi e le destina ai concessionari delle grandi infrastrutture strategiche al Centro-Nord.
La cabina di regia responsabile di tutto è il Comitato per lo sviluppo all’interno del CIPE. Braccio operativo del comitato sarà Sviluppo Italia, presente ormai su tutto il territorio nazionale. Potrà predisporre e gestire i contratti di localizzazione e gli altri strumenti della programmazione negoziata. Oltre alle attività attualmente svolte, potrà realizzare la banda larga al Sud, svolgere i compiti dell'ex GEPI e gestire gli aspetti sociali nelle crisi aziendali. Le sue attuali 170 partecipazioni potranno moltiplicarsi e ramificarsi come una soffocante ragnatela.
Sviluppo Italia è ben oltre la sua missione originaria di attrarre investimenti dall'estero, di creare nuova impresa, di operare nel Mezzogiorno. È ormai una metastasi che pervade il corpo dell'economia e della società. Testimonia il percorso politico di una maggioranza, passata dall'esaltazione acritica del mercato, al centralismo, allo statalismo, all'assistenzialismo, all'intreccio tra economia e politica.
Può un Piano d'azione per lo sviluppo abbandonare in partenza un terzo dell’Italia? Può una Nazione mutilarsi per affrontare la competizione globale? È giusto ed efficiente un modello di sviluppo che aggrava la subordinazione del Mezzogiorno? Si possono scippare tutte le risorse del Sud e poi vendergli anche le spiagge per far cassa?
Dal 1996 al 2001 il Sud è cresciuto più del Centro-Nord. Poi il ciclo virtuoso è stato invertito. Come il Paese intero, si trova oggi in bilico tra possibilità di sviluppo e rischio di un declino inarrestabile. Dopo molti secoli è ridiventato la porta d'ingresso dei traffici intercontinentali, ma rischia la perifericità rispetto al futuro della nuova Europa a 25. Ha di fronte l'occasione della creazione di un’area di libero scambio euromediterranea entro il 2010, ma può subire la concorrenza dell'altra sponda del Mediterraneo in aggiunta a quella dei nuovi Paesi europei, dotati di mano d'opera istruita e a basso costo e con una forte vitalità nata dalla liberazione di energie compresse per decenni.
L’Italia non può conservare il suo posto nel mondo se non recupera coesione e unità nazionale. È evidente a tutti che siamo chiamati alla costruzione di un nuovo modello di sviluppo, basato sull'economia della conoscenza e sulla mobilitazione di tutte le risorse. Non si può prescindere quindi da una crescita nella stabilità delle finanze pubbliche, né dal coinvolgere il Mezzogiorno in una traiettoria di sviluppo.
Se il made in Italy va tutelato e le nostre dogane vanno rese efficienti e moderne, la Penisola deve però diventare la principale piattaforma logistica lungo la via dei traffici Est-Ovest, che hanno ritrovato nel Mediterraneo la loro via privilegiata. Invece che tassare con dieci euro ogni container movimentato nei nostri porti, come si propone nella maggioranza, sono urgenti robusti investimenti per attrezzare tecnologicamente i nostri scali navali. I periodi più floridi della nostra storia ci ammoniscono ad aprirci ai traffici con l'Oriente.
In secondo luogo, va riavviato il processo di diminuzione del costo del lavoro. Dopo i recenti sgravi dell'imposta sul reddito gli spazi si sono purtroppo ridotti per intervenire sul cuneo fiscale. Alla riduzione dell'IRAP per i neoassunti devono seguire pertanto interventi più radicali.
Con il Fondo per le aree sottoutilizzate il Governo intende attivare i mutui della Cassa depositi e prestiti per la ricerca e l'innovazione. A cominciare dal Sud noi proponiamo una misura più incisiva, un credito d'imposta del 50 per cento del costo delle convenzioni delle imprese con le università e i centri di ricerca. È una misura meno dirigistica e lascia gli utilizzatori liberi di trovare nel mercato la ricerca più rispondente alle proprie esigenze.
Se la ricerca ed il trasferimento tecnologico costituiscono la spina dorsale di una politica industriale, non si possono però cancellare gli incentivi per nuove iniziative, proprio mentre i nostri diretti competitori fanno ogni sforzo per attirare nuove industrie.
Noi proponiamo perciò correttivi alla riforma degli incentivi. La riduzione dell'aiuto dovrebbe essere contenuta nel 20 per cento, invece del 40, e le risorse per i bandi della legge n. 488 del 1992 dovrebbero essere raddoppiate. Per fronteggiare gli inevitabili rischi di frode riteniamo giusto responsabilizzare le banche erogatrici del credito ordinario ed attivare tutti i controlli necessari.
Per noi lo strumento migliore è rappresentato dal ripristino del credito d'imposta sia per gli investimenti che per l'allargamento della base occupativa. La sua automaticità infatti assicura efficienza e libertà dal clientelismo e può essere utilizzata in modo selettivo per promuovere l’innovazione industriale.
La crescita dell'Italia è condizionata dalla difesa e dalla valorizzazione del suo patrimonio storico-ambientale, che può renderla una sorta di California d'Europa e farci riconquistare la leadership nell'industria turistica. Una simile opzione andrebbe perseguita contrattando in sede europea la riduzione dell'IVA al 10 per cento per i servizi di ristorazione e di alloggio nelle strutture ricettive, a partire da quelle meridionali.
In conclusione, signor Presidente, vorrei dire che il "governicchio" nuovo, proclamando di volersi occupare del futuro delle imprese, delle famiglie e del Sud, riconosce così implicitamente l'impostazione sbagliata di questo decreto. Con quali risorse vuole guardare a tali frontiere? Il nuovo Ministro per il Mezzogiorno nasce, infatti, senza portafoglio; gli hanno scippato la borsa e avrà quindi vita grama. Per ridare slancio all'Italia occorrerà dunque attendere: attendere che gli elettori diano a noi la fiducia per salvarla da questa situazione. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Aut e Misto-Com).
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione generale.
È iscritto a parlare il senatore Morando. Ne ha facoltà.
MORANDO (DS-U). Signor Presidente, era necessario - anzi, era urgente - un provvedimento di politica economica volto a promuovere un brusco innalzamento delle capacità competitive del Paese? Certamente sì. Nel 1995 era italiano il 5 per cento del commercio mondiale. In quello stesso anno, la quota tedesca di commercio mondiale raggiungeva l’11 per cento, mentre la quota francese era attorno al 5,5 per cento, di poco superiore a quella italiana.
Dopo solo otto anni, signor Presidente, nel 2003, la quota italiana di commercio mondiale è caduta dal 5 al 3,6 per cento (cioè il 30 per cento in meno in otto anni), mentre la quota francese si manteneva al 5,5 per cento e la quota tedesca cresceva addirittura dall’11 all’11,5 per cento. Nel frattempo, come è a tutti noto, a causa dell’ingresso di nuovi protagonisti sulla scena del commercio mondiale, il volume globale del commercio si accresceva enormemente.
La causa di quella che, purtroppo, deve essere definita (come è stata definita in un documento dell’OCSE) una spettacolare caduta della quota di commercio mondiale italiano è dovuta alla caduta di produttività totale dei fattori.
In un contesto di mancata crescita economica (in buona sostanza, il PIL italiano cresce troppo poco), l’aumento dell’occupazione, che invece è cresciuta in Italia, a paragone con gli altri Paesi europei, in maniera molto significativa almeno dal 1998 fino al 2003, produce una caduta molto seria della produttività, datosi che - come è noto - la produttività è il rapporto tra il prodotto e il numero degli occupati.
Pertanto, in assenza di crescita, quindi in presenza di caduta della capacità competitiva del Paese, perfino un fatto positivo, come l’aumento dei posti di lavoro, produce paradossalmente un effetto di caduta ulteriore della capacità dell’economia italiana di reggere la competizione globale.
Si tratta di un fenomeno, come è stato detto poco fa dal relatore di maggioranza, di lungo periodo che affonda le sue radici molto al di là dei quattro anni di governo del centro-destra. Certamente non abbiamo mai sostenuto il contrario, signor relatore, ma la questione su cui bisogna concentrare l’attenzione, visto che viviamo nel presente, è che questi ultimi quattro anni per affrontare questo fenomeno strutturale di fondo si possono considerare, purtroppo, sostanzialmente persi: non si è agito su nessuno dei fattori strutturali di caduta della capacità competitiva del Paese.
Questo perché vi siete impegnati, maggioranza e Governo, su tre altre priorità che non mi invento io: in primo luogo, la riduzione dell’IRPEF per i redditi più elevati; in secondo luogo, ottenere ulteriori riforme del mercato del lavoro; in terzo luogo, significativi interventi sul versante della giustizia. Peccato si trattasse di riforme - come è a tutti noto - ad personam, cioè volte a risolvere problemi personali del Capo del Governo o di qualche suo amico.
In un regime di risorse scarse, in buona sostanza, avete concentrato le poche disponibilità finanziarie su queste tre priorità. È stata una scelta consapevole e deliberata, ma è stata una scelta profondamente sbagliata in rapporto ai problemi del Paese.
Ci voleva, dunque, un provvedimento sulla competitività ed era urgente, ma esso - è la prima conclusione cui dobbiamo pervenire - giunge in enorme ritardo, dopo quattro anni persi e in una situazione pregiudicata dalla totale mancanza di risorse destinate a finanziare questo provvedimento.
La seconda questione che ci dobbiamo porre è la seguente: è vero che ci vogliono più risorse finanziarie? Non esistono forse interventi pro competitività, cioè favorevoli all’accrescimento della competitività, che non costino nulla? Ci sono certamente riforme che non costano e che possono risultare decisive per innalzare drasticamente, cioè in maniera significativa, le capacità competitive del sistema.
Farò due esempi che hanno a che fare con questo provvedimento: il primo, già richiamato dal relatore di minoranza, senatore Caddeo, nella cui relazione mi riconosco perfettamente, è quello della riforma del diritto fallimentare; il secondo riguarda invece la riforma in chiave liberalizzatrice delle professioni liberali.
Nel corso dei lavori della 5a Commissione permanente è stata inserita nel provvedimento un’organica riforma del diritto fallimentare; bene, mi auguro che, se il Governo dovesse porre la questione di fiducia su tale provvedimento, questa venga posta sul testo uscito dalla Commissione, perché esso contiene quella riforma del diritto fallimentare attesa da anni che finalmente in quella sede siamo riusciti ad approvare.
Resta - lei lo sa bene, signor Sottosegretario - un profondo rammarico: di quanto si sarebbe accresciuta in questi quattro anni la competitività del sistema se aveste riconosciuto alla riforma del diritto societario e, in particolare, del diritto fallimentare quella priorità che avete riconosciuto alle varie leggi Cirami? Questa è una domanda che implica assunzione di responsabilità politica; può darsi che non se la facciano tutti i cittadini, ma, a giudicare dagli ultimi risultati elettorali, molti cittadini che oggi fanno i conti con la caduta della capacità competitiva del sistema e con il cattivo funzionamento del sistema giustizia se la stanno ponendo o se la sono già posta. In tema di giustizia avete scelto quella priorità rispetto a questa. Adesso, alla fine della legislatura, arrivate alla riforma del diritto fallimentare; speriamo di approvarla, ma certo siamo in grave ritardo ed è colpa vostra se abbiamo accumulato tale ritardo.
Sulle professioni liberali avete, invece, avanzato una proposta letteralmente paradossale. Questo sistema, signor Presidente, è palesemente penalizzato; basta guardare qualsiasi indice di competitività. Il sistema economico italiano è penalizzato dalla chiusura che caratterizza il mercato delle professioni liberali.
C’è, quindi, un’esigenza vitale di liberalizzazione per il Paese. Ebbene, la proposta contenuta nel testo del decreto costituisce un piccolo intervento sulle professioni liberali che aumenta ulteriormente la chiusura di tale mercato. Nel comma 5 dell’articolo 2 si stabilisce, addirittura, che coloro i quali possono essere impiegati come lavoratori dipendenti per fornire una qualche attività che abbia a che fare con le professioni liberali lo potranno fare in futuro soltanto se anche loro iscritti all’ordine.
C’è da vergognarsi, signori del Governo; c’è da vergognarsi ad approvare una norma di questo tipo, in un contesto nel quale tutto il mondo sa che bisogna liberalizzare, non chiudere ulteriormente, non elevare barriere ulteriori. Soprattutto, avevate presentato (e in Commissione abbiamo evitato il guaio peggiore, anche grazie all’intervento del Presidente del Senato, cui dobbiamo essere grati, e alla disponibilità mostrata dal Governo, in particolare dal Sottosegretario) una delega al Governo per riformare il settore delle professioni liberali.
Tale proposta si muoveva in direzione dell’ulteriore chiusura in merito alla costituzione di nuovi ordini, della determinazione di nuove barriere, del mantenimento del divieto per le società di capitali e del divieto di pubblicità, nonché del meccanismo delle tariffe minime che impedisce ai giovani che riescono ad inserirsi in questa attività di svolgere nei confronti dei più affermati una competizione di prezzo, come deve avvenire in qualsiasi mercato che preveda nuovi ingressi.
Anche se abbiamo evitato il guaio peggiore, il risultato di tutto ciò è molto chiaro, signor Presidente: un enorme flusso di risorse - soprattutto delle imprese italiane - che esce dall’Italia per rivolgersi ad attività di consulenza giuridico-economico-finanziaria.
Oggi è richiesta, infatti, una consulenza integrata che non può essere fornita da un unico professionista che segua nello svolgimento della sua attività schemi di stampo ottocentesco. Un enorme flusso di risorse che esce dall’Italia per rivolgersi agli studi di Londra e New York, dove vanno a lavorare i nostri migliori giovani che si occupano di questo settore quando vogliono operare in società degne di tale nome, che svolgano un’attività di livello mondiale.
Ci sono altre riforme. Ho parlato di due riforme (una molto positiva, il diritto fallimentare; l’altra, la riforma delle professioni liberali, totalmente mancata in questo provvedimento) che non costano, ma ci sono altre riforme, signor Presidente, altrettanto essenziali per la competitività del nostro Paese, che invece costano.
Anche al riguardo - e concludo - farò due esempi. Il primo riguarda la rapida costruzione dei Fondi pensione integrativi. Il nostro sistema economico, signor Presidente, è duramente penalizzato dall’assenza nel nostro Paese di quei grandi soggetti investitori che si chiamano "Fondi pensione", come sanno tutti coloro che si occupano di queste materie.
Abbiamo perso altri dieci anni, perché è del 1995 la legge Dini, la riforma delle pensioni, che apre l’Italia alla presenza dei fondi integrativi. Un primo ritardo lo ha accumulato il Governo di centro-sinistra; un secondo grave ritardo lo ha accumulato ormai, in questa legislatura, il Governo di centro-destra.
Il Governo è consapevole dell’enormità di questo buco? Sì, lo è, tant’è vero che nel provvedimento, se stessimo giocando a calcio, si direbbe che ha fatto una finta, cioè ha cercato di dire "sì, lo so che bisognerebbe far partire in maniera molto accelerata e intensa i fondi pensione integrativi" perché, in caso contrario, i nostri giovani tra trent’anni non avranno una pensione dignitosa. Questo, infatti, lo abbiamo già stabilito e oggi lo sappiamo già: se non partono immediatamente i fondi integrativi, i nostri ragazzi, che oggi lavorano e pagano le nostre pensioni, domani, quando saranno loro in pensione, non avranno una pensione dignitosa. Ma c’è una ragione di valenza economica immediata: se non partono i fondi pensione integrativi, non abbiamo quei soggetti investitori che possono alimentare la ristrutturazione del sistema economico italiano di cui c’è bisogno per reggere la competizione. E allora? Allora il Governo ha messo lì, per ricordo, un’iniziativa. Ma noi non abbiamo bisogno di ricordarci che c’è questo problema, abbiamo bisogno di risolverlo. E per risolverlo, voi lo sapete, signori del Governo, lei lo sa, signor Sottosegretario, ci vogliono almeno 800 milioni di euro. Il Governo allarga le braccia e dice: non li ho. Non li avete perché, quando li avevate, li avete spesi in un'altra direzione.
È più utile per il sistema economico e per la competitività del sistema Paese che si creino i fondi pensione integrativi spendendo gli 800 milioni necessari, oppure era più utile al Paese la riforma (costata 4,2 miliardi di euro e, a regime, 6 miliardi di euro all’anno) per abbassare le imposte dirette sui redditi più alti? Penso che la risposta giusta sia la prima, non perché non mi piacerebbe ridurre il prelievo fiscale anche sui redditi più alti, dal momento che è molto elevato, ma perché se devo scegliere in un regime di risorse scarse, scelgo quello che serve di più al Paese e serve di più realizzare i fondi integrativi. Vi abbiamo proposto un intervento in questo campo e avete continuato a dire di no.
Il secondo esempio riguarda la presenza dell’industria italiana e del sistema Italia nei settori strategici. Sapete, signori della maggioranza, signori del Governo, che siamo usciti dall’elettronica con il crac dell’Olivetti; siamo usciti progressivamente dalla chimica e oggi, con la legge sulla fecondazione medicalmente assistita, stiamo probabilmente rischiando di uscire dalla ricerca nel settore delle biotecnologie più impegnative.
Bene (cioè male!): abbiamo una presenza ancora importante, cioè siamo uno dei leaders mondiali nel settore della cantieristica e, collegato a quest’ultima, nel settore dell’industria degli armamenti. C’è un progetto italo-francese molto significativo per la costruzione di una fregata di tipo assolutamente nuovo, per cui c’è un interesse mondiale enorme; ci vogliono 3,8 miliardi di euro in dieci anni; abbiamo presentato un emendamento al riguardo e il relatore se ne è fatto carico, ne abbiamo discusso e, alla fine, il Governo ha detto che non ci sono i soldi. Così, usciremo anche dal settore della cantieristica. Poi ci lamentiamo se la nostra quota di commercio mondiale cade!
Mi auguro che almeno su questo punto ci sia un ripensamento: troviamo assieme i soldi, risparmiamo da qualche parte, per non far uscire l'Italia anche da questo settore strategico, perché davvero - guardate - a quel punto non ci sarà più un settore ad elevata tecnologia, ad elevato contenuto di innovazione tecnologica in cui l’Italia, nel mondo, possa dire la sua. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Misto-Com e Aut).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Malabarba. Ne ha facoltà.
MALABARBA (Misto-RC). Signor Presidente, esporrò qui alcune considerazioni, ma ho l'impressione che qualche maxi-emendamento modificherà non poco il provvedimento al nostro esame in occasione di un voto di fiducia anche su questo decreto, che temo ne inaugurerà una lunga serie per quei, spero pochi, mesi a venire in cui avrà vita questo Governo.
La crisi economica in cui versa l'Italia - l'hanno detto i colleghi che mi hanno preceduto - è sempre più grave. Gli ultimi dati congiunturali confermano una drammatica accelerazione di una tendenza al declino che oramai da anni affligge la nostra economia. Alla cronica situazione di perdurante stagnazione della crescita economica si sono aggiunti i problemi derivanti dal risorgente vincolo estero. Dopo dodici anni la bilancia commerciale italiana è ritornata ad essere strutturalmente in deficit, nonostante lo scarso dinamismo della domanda interna.
È questo l'ultimo evidente segno di una profonda crisi dell'apparato manifatturiero italiano, che oramai è incapace di reggere la concorrenza estera anche in quei settori che per decenni sono stati il punto di forza delle nostre esportazioni: mi riferisco al tessile-abbigliamento, alle calzature, ai mobili.
Il deficit commerciale sta ormai trasformando la crisi industriale, segnata da un costante declino della produzione e dell'occupazione (non più limitata alle grandi imprese, ma ormai dilagante anche nei distretti industriali), in un vincolo strutturale macroeconomico che rischia di strangolare l'intera economia, ponendo una pesante ipoteca rispetto ad un possibile rilancio futuro.
Come se non bastasse, anche la situazione dei conti pubblici si è deteriorata, ma non è servita affatto a mettere in atto politiche economiche espansive di tipo strutturale, dal lato della domanda e dal lato dell'offerta, per ridare fiato e stimolo all'apparato produttivo. Al contrario, l'Italia si avvia verso una nuova emergenza finanziaria pubblica, nonostante le misure di restrizione delle spese sociali e produttive che, in questi quattro anni, hanno caratterizzato le manovre economiche del Governo.
Il crescente deficit pubblico non è dovuto, quindi, per nulla a politiche macroeconomiche orientate alla crescita, ma è l'effetto inevitabile di provvedimenti tesi a salvaguardare gli interessi della rendita finanziaria e dei ceti più abbienti del Paese. Esemplari in tal senso sono state le misure una tantum, sostanzialmente fondate sulla pratica generalizzata dei condoni, che hanno portato ad una riduzione strutturale delle entrate fiscali ordinarie, e la riduzione dell'IRPEF per i contribuenti più ricchi. Tutto ciò nel mentre le condizioni di vita dell'intero mondo del lavoro peggioravano drammaticamente, con una pesante riduzione del potere d'acquisto dei salari e delle pensioni e con una precarizzazione dilagante dei rapporti di lavoro.
Ci troviamo, quindi, di fronte ad un fallimento totale, su tutta la linea, della politica economica e sociale del Governo, che è primo responsabile dell'accelerazione drammatica della crisi.
Il decreto-legge sulla competitività è l'ennesimo esempio dell'assoluta incapacità di questo Governo nel far fronte alla situazione. Esso è il frutto di un anno di discussioni dentro la maggioranza, ed era stato annunciato come uno strumento straordinario e forte per rilanciare l'apparato produttivo.
Ci troviamo di fronte, invece, ad un'accozzaglia di provvedimenti disparati, privi di una strategia coerente di lungo periodo e del tutto marginali, o addirittura insignificanti rispetto all'obbiettivo dichiarato. Una sorta di legge finanziaria omnibus in scala ridotta.
Innanzitutto, appare del tutto inadeguato lo stanziamento di risorse finanziarie (800 milioni di euro quest'anno e 4 miliardi in quattro anni). Nulla in confronto a quanto stanziato e a quanto programmato per la riduzione delle imposte ai più ricchi; risibile rispetto a quanto stanno facendo i nostri vicini europei, come la Francia.
La metà di queste risorse è destinata al finanziamento degli ammortizzatori sociali, in particolare per affrontare l'emergenza relativa ai lavoratori delle piccole imprese, specie quelle degli indotti industriali. Ma anche qui le risorse non bastano e c'è già il rischio di una guerra tra poveri su chi riesce ad accaparrarsi il finanziamento: ciò significa aspettarsi anche licenziamenti di massa in molti settori. Alcuni - lo segnalo - sono già in corso.
Mentre si interviene ulteriormente sulla legge n. 30 del 2003, allargando il campo di applicazione del lavoro intermittente, ossia della flessibilità, siamo alla presa in giro definitiva rispetto all'incremento promesso dell'istituto della disoccupazione, il cui prolungamento irrisorio è persino escluso dalla copertura previdenziale figurativa; è un fatto che giudichiamo molto grave per il principio che introduce.
È completamente assente una programmazione strategica per lo sviluppo, in grado di indirizzare le imprese verso una riconversione delle proprie attività attraverso innovazioni di processo e di prodotto.
Il resto delle risorse è destinato alla ricerca, alle opere infrastrutturali, agli incentivi per le imprese e per il Mezzogiorno, alla diffusione delle tecnologie digitali, all'agricoltura, al turismo, alle ONLUS e alle associazioni di volontariato e ad altre micromisure settoriali.
Basta confrontare questo elenco parziale di obiettivi con le risorse disponibili (400 milioni di euro) per rendersi conto - al di là dei contenuti specifici, alcuni dei quali fortemente discutibili, come ad esempio il rafforzamento delle prerogative degli ordini professionali su cui si è intrattenuto testé il senatore Morando - dell'impatto insignificante che il provvedimento avrà sull'economia italiana. Inoltre, la gran parte di queste misure richiederà ulteriori atti ministeriali, da approntarsi successivamente all'entrata in vigore del provvedimento.
L'efficacia degli interventi non sarà quindi immediatamente operativa, ma richiederà ancora altro tempo ed è lecito sospettare, dato anche il clima politico interno alla maggioranza e al Governo nonostante la soluzione - si dice così - della crisi, che molti di essi non riusciranno a vedere la luce prima della fine della legislatura.
Completano la manovra alcune misure di semplificazione amministrativa. Appare, nello specifico della riforma del diritto fallimentare, come un segnale non incoraggiante la riduzione delle sanzioni penali previste per i reati di bancarotta, a poco più di un anno dall'esplosione di clamorosi scandali societari, come quelli di Parmalat e Cirio, che hanno coinvolto milioni di risparmiatori.
Se si considerano queste misure insieme alla riforma della normativa sulla tutela del risparmio, che giace ancora in Parlamento e non è affatto tesa al miglioramento della trasparenza dei mercati finanziari, non si può che esprimere un giudizio fortemente negativo sull'operato del Governo anche in questo delicato settore. (Applausi dal Gruppo DS-U e del senatore Peterlini).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Viviani. Ne ha facoltà.
VIVIANI (DS-U). Signor Presidente, questo provvedimento fa parte di una manovra più vasta, comprendente anche un disegno di legge presentato contemporaneamente presso l'altro ramo del Parlamento, e si propone un obiettivo quanto mai ambizioso, quello di dare un contributo concreto e significativo per aumentare la competitività complessiva del nostro sistema economico, dopo i consistenti arretramenti degli ultimi tempi che hanno collocato l'Italia nel fondo classifica tra i Paesi dell'Unione europea.
Concepito prima dell'attuale crisi di Governo, questo decreto-legge tendeva in qualche modo ad inserire nell'agenda dell'azione di Governo il tema cruciale della competitività che è diventata oggi la preoccupazione fondamentale del futuro economico del nostro Paese.
Ci troviamo di fronte, invece, a un provvedimento e a una manovra che nella loro frammentarietà, pochezza strategica e scarsità di dotazione finanziaria, rendono evidente il carattere ad un tempo velleitario e propagandistico di questo provvedimento, privi come sono di risposte convincenti ai gravi problemi del nostro sistema produttivo.
A fronte della grave situazione della finanza pubblica, dopo che le poche risorse potenzialmente disponibili sono state impiegate senza apprezzabili effetti positivi nella tanto sbandierata riduzione delle tasse, ora si cerca solo di supplire alla carenza di idee e di risorse con una miriade di interventi di dubbia quanto improbabile efficacia.
Siamo ben lontani da quella scossa che per tanti mesi si è invocata come necessaria per riorientare la nostra economia sul sentiero dello sviluppo, della crescita e dell'occupazione. Questo è il significato di fondo del provvedimento.
Nel mio breve intervento voglio offrire soltanto alcune considerazioni relative a due problemi cruciali che riguardano l'articolo 13, i problemi relativi agli ammortizzatori sociali e alla previdenza complementare.
In queste due materie, che costituiscono parti rilevanti della politica del lavoro e della sicurezza sociale, l'inadeguatezza del provvedimento si manifesta in tutta la sua evidenza. Un sistema universale di ammortizzatori sociali e l'introduzione del secondo pilastro di un moderno sistema previdenziale, la previdenza complementare, costituiscono due aspetti essenziali di una politica di ripresa qualificata e stabile dello sviluppo e sono, non a caso, parti non secondarie nella strategia europea dell'occupazione e della coesione sociale, stabilita nel Consiglio europeo di Lisbona.
Il nostro Paese aveva ed ha un motivo in più per operare in tali campi scelte urgenti e coraggiose, dato che su entrambe le materie registriamo un preoccupante ritardo, ed il Governo deve dare attuazione a deleghe decise dal Parlamento, come il completamento di due riforme che lo stesso Governo giudica centrali nella sua azione: quelle della riforma del mercato del lavoro e dell'intero sistema previdenziale.
L'introduzione di un parziale sistema di ammortizzatori sociali faceva parte tra l’altro del disegno di legge iniziale di riforma del mercato del lavoro, poi stralciata e inserita nell'altro disegno di legge Atto Senato n. 818-bis, ancora fermo in Commissione lavoro del Senato.
Quanto è stato inserito nell'articolo 13 di questo provvedimento rappresenta ben poco di quanto lo stesso Governo intendeva realizzare in quel disegno di legge ed è del tutto inadeguato rispetto all'esigenza di far fronte alle conseguenze negative connesse alla flessibilità del lavoro ed alle conseguenze dei momenti patologici della vita delle imprese, attraverso una copertura minima di reddito. È stata invece inserita soltanto una limitata elevazione della misura (dal 40 al 50 per cento della retribuzione) e della durata (allungata di un mese soltanto) del trattamento di disoccupazione ordinaria, inutilmente complicata ed aggravata da coperture previdenziali figurative di durata diversa rispetto alle prestazioni che, tra l'altro, risulta essere nettamente al di sotto di quanto era stato concordato con alcune parti sociali, nell'ambito del Patto per l'Italia; patto che viene quindi nettamente disatteso.
Ciò dimostra, con la forza dei fatti, che la stessa riforma del mercato del lavoro non ha per niente risolto il problema cruciale di un rapporto equilibrato tra flessibilità e sicurezza del lavoro che rimane la sostanza della strategia europea dell'occupazione, e che l'overdose di flessibilità che nella legge n. 30 del 2003 si è voluto inserire (e che in questo decreto legge viene ulteriormente ampliata), al di là di ogni concreta esigenza delle imprese, è destinata inevitabilmente ad incrementare la precarietà del lavoro.
Alla luce di questa scelta, la necessità di un organico e universale sistema di ammortizzatori sociali come strumento di garanzia di reddito per i lavoratori coinvolti in processi di ristrutturazione e di flessibilizzazione del sistema produttivo e di stabilità occupazionale come fattore di uno sviluppo qualificato viene formalmente rinviata, ma nella sostanza abbandonata.
Ancora una volta ciò pone in evidenza un deficit di credibilità di questo Governo rispetto a patti sottoscritti, sul quale l'Esecutivo dovrebbe riflettere attentamente anche in relazione all'attuale crisi .
L'altro aspetto contenuto nell'articolo 13 attiene allo stanziamento di un'entità del tutto inadeguata di risorse nell'arco del triennio 2005-2007 a sostegno della diffusione della previdenza complementare.
La scelta di destinare formalmente tali risorse al sostegno dell'apparato produttivo, anche attraverso la graduale attuazione delle deleghe legislative in materia di previdenza complementare, previste dalla legge n. 234 del 2004, se affronta un problema reale, lascia infatti irrisolti aspetti essenziali quali quelli del regime fiscale dei contributi versati e delle prestazioni della stessa previdenza complementare e l'attuazione di quest'ultima per il pubblico impiego.
Tanto più ciò è grave che il confronto tra il Governo e le parti sociali su tale materia ha segnato, negli ultimi mesi, numerose battute d'arresto, nonostante le parti sociali abbiano offerto, con la sottoscrizione di un avviso comune, un importante contributo di merito per la soluzione dei problemi aperti ed un forte segnale circa la necessità di accelerare l'attuazione della delega. Del resto, la scansione dei finanziamenti previsti indica chiaramente che anche quest’anno sarà perso a tale riguardo.
Concludo, signor Presidente, sottolineando che il nostro Paese ha bisogno di ben altro in termini di quantità e di qualità di politiche pubbliche rispetto a quelle qui prospettate per poter riavviare uno sviluppo reale, e non solo, propagandato ed a far crescere così la fiducia e la speranza tra i cittadini. (Applausi dal Gruppo DS-U e dei senatori Castellani e Peterlini).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Castellani. Ne ha facoltà.
CASTELLANI (Mar-DL-U). Signor Presidente, signor Sottosegretario, la situazione economica e sociale del Paese desta notevoli preoccupazioni a fronte delle quali il provvedimento proposto dal Governo sui temi della competitività e dello sviluppo è del tutto insufficiente ed in parte fuorviante.
È necessario pertanto che al Paese si dica la verità sui problemi dell'economia e sulla situazione dei conti pubblici. Il Paese ha bisogno di questa grande operazione verità dopo questi quattro anni di Governo Berlusconi, che ha nascosto la situazione reale del Paese ed ha affrontato il problema dei conti pubblici con cosmesi di tipo ragionieristico, o con una serie continua di una tantum che hanno aggravato la situazione ed hanno fatto perdere all'Italia quel residuo di credibilità che ancora aveva in Europa.
Sono, infatti, saltate tutte le previsioni del Governo sui conti pubblici per il 2005, ma così era già avvenuto per il 2004 ed ancor prima per il 2003. E ciò sta a dimostrare che tutte le politiche economiche, o presunte tali, messe in campo dal Governo si sono dimostrate inadeguate non riuscendo a stimolare l'economia ed indebolendo fortemente quel rapporto di fiducia, che ogni Governo dovrebbe saper salvaguardare, tra istituzioni della politica e cittadini e mondo delle imprese.
Il risultato, purtroppo, è sotto gli occhi di tutti. Abbiamo un Paese sfiduciato, qualcuno ha detto "con le pile scariche", che non sa pensare al proprio futuro, che teme il nuovo e soprattutto le sfide della globalizzazione dei mercati, che se per noi hanno un segno negativo è perché le imprese non sono state messe in grado di poter competere sul mercato internazionale.
Da parte della maggioranza si dice e si ripete spesso che tutto ciò è avvenuto ed avviene perché è l'economia europea nel suo insieme che ristagna. Si dice che sono le conseguenze dell'euro e della crisi dovuta all'abbattimento delle Torri gemelle e dell'apparire sullo scenario mondiale della minaccia del terrorismo.
Se così fosse, bisognerebbe dimostrare come mai proprio in America, pesantemente colpita dal terrorismo, si registra una notevole ripresa dell'economia solo in parte dovuta al fenomeno del dollaro debole. Ed occorrerebbe spiegare come la presenza dell'euro non abbia impedito agli altri Paesi europei di registrare una performance economica certamente migliore dell'Italia.
La perdita di competitività delle nostre imprese è oramai scesa ai suoi minimi storici. Registriamo indici negativi nella produzione industriale, registriamo la stagnazione dei consumi insieme al calo di liquidità delle nostre famiglie; l'aumento del prezzo del petrolio sta incidendo negativamente sulla nostra bilancia commerciale già deficitaria per il calo delle esportazioni.
Insieme all'aumento delle ore di cassa integrazione si sta assistendo nel Paese al fenomeno delle delocalizzazioni, che, se sono una dato in parte ineluttabile della globalizzazione, quando investono molti settori produttivi finiscono per essere un dato permanente di allarme al quale non corrisponde da parte della maggioranza e del Governo una forte e piena consapevolezza.
Vorrei infatti ricordare quanto scriveva di recente su "La Repubblica" Giuseppe Turani su questo fenomeno, ricordando come anche il made in Italy venga in gran parte prodotto all'estero e come grandi gruppi italiani in effetti realizzino i loro profitti con lavorazioni oramai delocalizzate nei paesi dell'Est ed in Cina.
Ebbene, a questa sfida non si può rispondere, come pure si è tentato di inserire in questo provvedimento, innalzando nuove barriere doganali per un Paese che invece deve incrementare le esportazioni e quindi deve essere messo in grado di aumentare la propria capacità di penetrazioni sui mercati esteri.
La risposta non può che essere in linea con un Paese come il nostro, che vuole rimanere tra i primi sette Paesi sviluppati; una risposta incentrata sull'innovazione, sull'aumento della ricerca e della produttività e certamente con misure di abbassamento dei costi, di quei costi che possono essere ancora comprimibili. Mi riferisco al costo del lavoro per la parte che certamente non riguarda i salari, ma il cosiddetto cuneo fiscale e contributivo, la diminuzione del costo energetico e del costo che deriva dalla mancanza di reale infrastrutturazione di parte del nostro territorio nazionale.
Ma per far fronte a tutto questo ci vorrebbe una vera politica industriale ed energetica del Paese, oltre ad affrontare realisticamente il troppo peso fiscale e contributivo sulle nostre aziende. La mancanza di queste politiche pesa fortemente ed in modo tale che sembra sia stata avvertita anche dalla maggioranza, se nel nuovo Esecutivo Berlusconi si è dato vita ad un cambiamento del titolare del Ministero delle attività produttive.
Ma non basta uno scambio di poltrone per risolvere i problemi, come non basta questo decreto-legge sulla competitività, che giunge ora in Aula dopo che era stato annunciato come provvedimento collegato alla finanziaria e dopo molti roboanti annunci di misure che poi si sono persi per strada nel confronto interno alla maggioranza, ancora una volta divisa sulle strategie di sviluppo del Paese.
Sono scarsi e assolutamente insufficienti i fondi stanziati per l'innovazione e la ricerca, come pure le misure incentivanti il superamento del nanismo delle imprese, mentre quanto previsto per i distretti industriali non sembra inquadrarsi in una coerente politica di rilancio industriale del nostro Paese.
E che dire poi delle modalità di reperimento dei fondi necessari? A questo proposito, non può non denunciarsi la politica ambigua ed incoerente di questa maggioranza. Infatti, da una parte si preannunciano mirabolanti e miracolistiche diminuzioni della pressione fiscale e, dall'altra, si ricorre a nuovi prelievi fiscali per reperire le risorse necessarie per questo provvedimento. E c'è in tutto ciò una aggravante, perché, mentre si preannuncia la diminuzione della pressione fiscale sull’imposizione diretta, in concreto si aumenta l'imposizione indiretta aggirando il principio costituzionale della progressività dell'imposta ed introducendo nuove imposte sui consumi, proprio su quei consumi che si vorrebbe stimolare per una ripresa generale della domanda interna.
Del resto, anche con quanto sta avvenendo con il prezzo della benzina, si realizza un incremento delle imposte sui consumi. Infatti, l’aumento delle entrate erariali dell’IVA dovuto all’incremento della base imponibile, che è il risultato dell’aumento del prezzo del petrolio, viene incamerato tranquillamente dal Governo senza un’equivalente sterilizzazione delle accise, come avvenuto con il Governo di centro-sinistra proprio per calmierare il prezzo della benzina alla pompa. (Richiami del Presidente). Ancora poco, signor Presidente.
Non diminuisce la gravità di questa impostazione il fatto che qui si aumentino le accise sugli alcolici e quindi su beni considerati voluttuari, perché anche in questo caso si tratta di consumi e di un settore che meriterebbe una qualche attenzione, dato che si tratta di un comparto oramai tutto in mani non italiane. Non c'è più, infatti, una birra veramente italiana. (Commenti del senatore Peterlini). Ci sarà ancora per poco.
Anche il tema del reperimento delle risorse è, quindi, un tema importante e che va riguardato con attenzione e grande capacità di governo dell'economia del nostro Paese. La verità è che oramai si è del tutto deteriorato il rapporto tra amministrazione finanziaria e cittadino contribuente. Troppi condoni, troppa leggerezza e illegalità è stata introdotta, troppi i messaggi sbagliati che si sono dati in questo campo al Paese. Non si parla nemmeno più di lotta all'evasione e all'elusione fiscale, che pure aveva dato negli anni 1996-2001 notevoli risultati.
Abbiamo assistito in Commissione a un dibattito che ha visto rappresentanti della maggioranza chiedere ancora una proroga del condono fiscale. Ciò denuncia l'impotenza cui si è giunti dal punto di vista anche dell’immaginazione a cui invece ci aveva abituato il tremontismo di questi anni.
Tutto ciò aggrava la nostra preoccupazione e ci fa ancora più avvertiti della necessità di una svolta profonda della politica del nostro Paese. Quella svolta che, con buona pace di chi aveva chiesto a gran voce la discontinuità, non si avverte proprio con la nascita del Berlusconi-ter. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U e del senatore Peterlini).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Battafarano. Ne ha facoltà.
BATTAFARANO (DS-U). Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi senatori, concentrerò il mio intervento sulla riforma delle professioni, che è presente, seppure in modo limitato, in alcuni commi - dal 5 all’8 - dell’articolo 2.
Penso abbia fatto bene il Presidente del Senato a consigliare il ritiro della delega per la riforma delle professioni, non solo per il momento politico particolare, con un Governo dimissionario, ma anzitutto perché il testo presentato dal Governo appariva largamente inadeguato rispetto all’esigenza di riformare un settore che è indubbiamente uno dei più arretrati della società italiana e che meriterebbe una vera riforma improntata allo spirito di liberalizzare, di rinnovare, di permettere al mercato delle professioni italiano di competere con i mercati dell’Europa e del mondo intero.
Infatti, la barriera di protezione costituita dallo Stato e dal regime vincolistico esistente viene ogni giorno erosa dal mercato e dalla globalizzazione dell’economia. Questa impostazione difensivistica e corporativa fa sì che l’Italia nel campo dei servizi professionali ad alto valore aggiunto sia diventata territorio di conquista da parte di società di consulenza, grandi studi professionali in forma societaria, advisors, banche d’affari.
Lo sviluppo dei servizi in campo giuridico, economico e contabile e in quello della progettazione in un contesto europeo e mondiale o viene affrontato riunendo risorse intellettuali e finanziarie in società tra professionisti o viene di fatto delegato alle grandi società professionali europee, delle quali i nostri professionisti saranno destinati a diventare dipendenti, subendo ambiti ed esperienze culturali e professionali che non ci sono proprie e aumentando perciò, purtroppo, la nostra dipendenza dall’estero nell’economia della conoscenza.
Con questo metro abbiamo valutato il testo presentato dal Governo. Lo abbiamo ritenuto inadeguato, anzi controriformatore; abbiamo considerato positivo il ritiro della delega. Però, allo stesso tempo, invitiamo il Governo e la maggioranza a presentare al più presto in Parlamento un organico disegno di legge improntato a vero spirito liberale, in modo che possiamo confrontarci e mi auguro licenziare prima della fine della legislatura una vera riforma delle professioni.
È incredibile e sorprendente che una maggioranza di centro-destra che si dice improntata allo spirito liberale una volta arrivata al Governo presenti in materia di riforma delle professioni un provvedimento che di liberale non ha niente, ma addirittura ha carattere vincolistico e guarda più al passato che al presente.
Cosa rimane, allora, della riforma delle professioni? Rimangono i quattro commi, dal 5 all’8. Lo ricordava già il senatore Morando: l’attacco del comma 5 è sorprendente. Si vuole stabilire per i lavoratori dipendenti a carattere professionale l’obbligo di iscriversi agli albi professionali, agli Ordini, quando il loro compito è di obbedire alle direttive dei datori di lavoro (pubblici o privati che siano) e non certamente a quelle degli Ordini professionali.
Perché si fa questo? Perché c’è un problema di aumentare le iscrizioni agli ordini professionali, o perché si vogliono incrementare le entrate finanziarie degli ordini? Si vogliono sottoporre i professionisti ad un inutile balzello, per cui, da un lato, essi con la riforma fiscale ottengono qualche limitato risparmio che viene immediatamente assorbito da questo obbligo di iscrizione.
Mentre nel mondo progredito occidentale prevale la liberalizzazione di tali servizi perché la competizione nell’economia della conoscenza è fondamentale per la crescita, il Governo mantiene questa norma che appunto rafforza un regime vincolistico. Vorrei dire al Governo e al relatore, che sta seguendo con grande attenzione questo dibattito, che abbiamo riproposto il nostro emendamento e ci auguriamo che possa essere accolto, anche perché faccio notare al senatore Izzo che c’è un parere della Commissione lavoro che, all’unanimità, invita il Senato a cancellare il primo periodo del comma 5.
Oltre questo comma, poi, ovviamente ci sono gli altri. In Commissione bilancio, nelle lunghe sedute che abbiamo dedicato a tale argomento, indubbiamente abbiamo fatto un passo avanti: abbiamo cancellato i riferimenti alle attività regolamentate e tipiche e abbiamo scritto, in maniera più corretta, "attività riservate", in modo che, sulla base di questi parametri, le attività riservate siano, come è giusto, di competenza degli ordini, mentre le altre professioni oggi definite "non regolamentate" possano essere disciplinate. E’ una norma di carattere liberale, lo riconosco.
Invito però il Governo e anche il relatore a rimanere fedeli a questa norma. Leggo infatti dai giornali dell’ipotesi che ci possa essere l’apposizione del voto di fiducia. Abbiamo lavorato in Commissione bilancio a lungo per evitare il voto di fiducia. Mi auguro che esso non ci sia, ovviamente, ma se ci dovesse essere rivolgo un invito al Governo a non modificare quello che si è fatto all’unanimità in Commissione.
Naturalmente quando si prende una misura liberalizzatrice c’è chi si oppone; le riforme non sono mai neutre, favoriscono degli interessi e ne colpiscono altri, ma mi sembra che la norma inserita in Commissione bilancio vada nella direzione della liberalizzazione dei servizi e quindi conviene mantenerla, anche perché il numero dei professionisti delle nuove professioni comincia ad essere di gran lunga superiore al numero dei professionisti iscritti agli ordini professionali.
Quindi, abbiamo fatto un passo avanti cancellando la delega; abbiamo fatto un passo avanti cancellando attività regolamentate e tipiche. Ci auguriamo di poter fare il terzo passo cancellando l’obbligo di iscrizione.
Ci sono poi tante cose che mancano, come, ad esempio, il riconoscimento delle società tra professionisti. Abbiamo presentato emendamenti in cui offriamo una serie di opzioni perché senza le società tra professionisti rischiamo di andare alla guerra contro le corazzate con le barche a vela e c’è la cecità di alcuni gruppi di professionisti che vogliono fare la guerra delle barche a vela contro le corazzate.
Abbiamo presentato emendamenti per la pubblicità non di tipo comparativo, che possa permettere agli utenti di rendersi conto dei servizi e ovviamente interveniamo anche sul problema delle tariffe minime.
Pertanto, come potete vedere, con i commi dal 5 all’8 si è realizzato un "gancio" per la futura riforma delle professioni, ma se la vogliamo realizzare e concorrere in questo modo ad accrescere la competitività del Paese occorre andare oltre e stabilire in che modo possano essere riconosciute le nuove professioni, in modo che esse possano dare un contributo forte alla crescita della competitività del nostro Paese. (Applausi dal Gruppo DS-U e del senatore Peterlini).
PRESIDENTE. Rinvio il seguito della discussione del disegno di legge in titolo ad altra seduta.
Allegato B
Testo integrale della relazione orale del senatore Izzo
sul disegno di legge n. 3344
Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, membri del Governo, da qualche tempo ci interroghiamo con sempre maggiore insistenza sulle cause e le cure del deficit di crescita dell'economia italiana. Vedo spesso ricorrere uno spettro nelle analisi di politica economica e industriale in corso nel nostro Paese: il modello di crescita e specializzazione dell'economia italiana è un modello irrimediabilmente obsoleto, inadeguato nell'era della competizione globale?
I dubbi sono suscitati dalla constatazione del tasso di crescita dell'economia: per l'anno in corso, le stime più recenti variano in un range che va dall'1,1 all'1,9 per cento; si tratta di dati non eccezionali ma comunque non a distanza siderale dalla proiezione ufficiale del DPEF che stimava, nell'autunno 2004, una crescita 2005 del 2,1 per cento e che sarà, ovviamente, registrata solo a consuntivo. Per il 2004, alla luce del dato di crescita di recente reso noto per il quarto trimestre 2004, l'insieme delle misure correttive adottate nel secondo semestre dello scorso anno si sono comunque dimostrate sufficienti, come certificato anche dall'ISTAT, a mantenere il deficit 2004 entro il tetto del 3 per cento del PIL.
I medici che si affollano al capezzale dell'economia italiana concordano sulla diagnosi della bassa crescita: l'economia italiana soffre dell'eredità di un modello di governo dell'economia consociativo, con troppi settori protetti dalla concorrenza e spesso indotti a credere che i ritardi e le inefficienze siano sempre ovviabili scaricandone i costi sulla collettività, in ultima istanza a carico del bilancio pubblico. A questo si somma, nel confronto tra l'Europa e gli Stati Uniti, il peso di un sistema di Welfare molto più diffuso: come dimostra in un recente libro il preside della facoltà di economia di Harvard, l'italiano Alberto Alesina, la spiegazione delle differenze è legata all'egemonia delle opinioni di sinistra in Europa; il risultato, aggiungo io, è sotto gli occhi di tutti in termini di minore crescita.
In tale contesto, l'azione del Governo ha decisamente risentito della situazione della finanza pubblica (peraltro ereditata dai precedenti Governi) e dei relativi vincoli derivanti dalla partecipazione alla U.E.M, per cui si è resa, sinora, di fatto, impercorribile una più incisiva azione di rilancio degli investimenti direttamente correlati al consolidamento della competitività delle imprese, segnatamente in favore della ricerca e dell'innovazione, pur in presenza di un acutizzarsi della concorrenza internazionale che avrebbe reso urgenti interventi di sostegno soprattutto nei settori produttivi più maturi.
È quindi urgente adottare una nuova strategia di politica economica e industriale volta al potenziamento dei fattori di diretta incidenza sulla competitivita del Paese, senza escludere severe misure tese alla difesa della qualità dei prodotti nazionali da contraffazioni e falsificazioni. Il quadro delineato dal Vice ministro per il commercio estero il 14 ultimo scorso in quest'Aula è allarmante, ma già vede il Governo impegnato in precise azioni di contrasto. In sede europea, infatti, l'azione è stata tesa anzitutto a sollecitare l'approvazione della proposta di regolamento per l'obbligo della stampigliatura con l'indicazione del Paese di origine su ogni prodotto finale. La proposta, già presentata in sede europea durante il semestre di Presidenza italiana, è oggi finalmente in dirittura d'arrivo. Tuttavia, non bisogna dimenticare che il problema della competitività di un'economia non è solo questione di marchi, di investimenti e di risorse finanziarie ma, soprattutto, attiene alla elaborazione di misure tese ad un insieme combinato di riforme a carattere strutturale, in molti casi anche a costo zero.
Il problema cruciale è senz'altro quello della innovatività delle imprese, nei processi come nello studio di nuovi prodotti, in un mercato globale sempre più competitivo nei prezzi. Punto di partenza per questa svolta è quello di promuovere la concorrenza in tutti i settori: questo stimola le imprese alla ricerca di maggiore efficienza attraverso l'innovazione.
Ciò non significa che negli ultimi anni, pur nel quadro delle indicibili resistenze a cambiare l'Italia (ricordate lo slogan?) in un contesto di rigidi ed autocratici interessi consolidati, non si siano già avviate importanti riforme. Tra le tante, il Fondo monetario ha per esempio riconosciuto come la riforma previdenziale approvata permetterà di conseguire un decisivo abbattimento del cosiddetto debito pensionistico, circostanza non irrilevante alla luce della revisione del Patto di stabilità e crescita.
Ho letto con interesse gli atti del convegno "Oltre il declino" della Fondazione Debenedetti dove, però, alla lucidità dell'analisi e all'abbozzo di proposte non segue la constatazione della marginalità delle stesse nel contesto di quanti si contrappongono in Italia alla Casa delle libertà: il declino ha infatti radici strutturali e per ciò stesso non è imputabile alla politica economica recente ma ad un modello consolidato, come ho già avuto modo di segnalare e che, semmai, più che una inversione di rotta dell'attuale politica richiede invece una più decisa sterzata verso le liberalizzazioni, l'efficienza del sistema paese, la riduzione del peso del settore pubblico sull'economia.
Dall'analisi e le strategie passiamo alle soluzioni.
Il dibattito ha trovato convergenza essenzialmente nel provvedimento in discussione, su tre linee direttrici: semplificazioni e riforme dell'architettura giuridico-amministrativa, rafforzamento e reindirizzo degli strumenti di incentivazione alle imprese, riordino degli strumenti di protezione sociale. A queste si aggiungono ulteriori misure specifiche.
Venendo alle singole misure che compongono il decreto, l'articolo 1 contiene una serie di disposizioni intese a rafforzare l'azione di contrasto alle contraffazioni. Si prevede pertanto il riassetto delle procedure amministrative di sdoganamento delle merci, con l'individuazione di forme di semplificazione e di coordinamento operativo. L'articolo contiene anche una disposizione in materia di contraffazione, immediatamente esecutiva, che introduce una sanzione aniministrativa per l'acquisto o l'accettazione di beni in violazione delle norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà intellettuale. Si tratta di disposizioni di sicura importanza e che nel corso dell'esame da parte della Commissione bilancio sono state ulteriormente rafforzate con la previsione della confisca dei beni.
L'argomento consente di ritornare sul tema delle misure di difesa attiva delle produzioni italiane. Rammento a me stesso che tutte le decisioni in materia di politica commerciale appartengono alla competenza degli organi comunitari che, a loro volta, sono tenuti a rispettare gli accordi WTO. Risulta però possibile invocare a livello europeo misure di salvaguardia di diverso tipo, sia per i prodotti tessili che per qualunque altro bene la cui produzione nazionale sia seriamente danneggiata dalle importazioni indipendentemente dal loro grado di scorrettezza. I casi delle quote imposte nel 2001 dagli Stati Uniti sull'importazione di acciaio, come pure le recenti minacce di ripristino dei contingentamenti alle importazioni di tessili cinesi, dimostrano che le misure di salvaguardia possono dimostrarsi efficaci anche quando sono applicate violando le disposizioni WTO, ma tutto questo prescinde dalla valutazione delle eventuali contromisure aventi un effetto commerciale equivalente e, soprattutto, richiede che la nostra "diplomazia commerciale" si attrezzi in modo adeguato. Per questo motivo la Commissione, nel recepire quanto il Governo ha avuto modo di rappresentare nel corso dei lavori, ha approvato un emendamento che istituisce l'Alto commissario per la lotta alla contraffazione con compiti di coordinamento delle funzioni di sorveglianza in materia di violazione dei diritti di proprietà industriale e di monitoraggio delle attività di prevenzione e repressione dei fenomeni di contraffazione. Proprio questa circostanza ha indotto a rivedere un'iniziale orientamento inteso ad introdurre misure di "difesa attiva" dalle importazioni a favore di un ordine del giorno in tema di creazione di marchi di provenienza.
L'articolo 2 imposta la riforma del diritto fallimentare. Esso potrà indurre un sicuro recupero di efficienza conferendo la necessaria flessibilità e sicurezza ai rapporti di credito, atteso che la normativa appare non più adeguata alle esigenze di certezza della tutela dei creditori e di celerità nelle procedure di realizzo, imposte dal continuo arbitraggio dei capitali tra sistemi paese che vantano regole di governance più adatte alle esigenze dei mercati. Sul punto, la Commissione ha provveduto ad inserire, nel disegno di legge di conversione una delega al riordino delle procedure fallimentari e dei reati connessi. Si tratta di una parte del provvedimento sulla quale la Commissione ha potuto fare tesoro dell'esperienza maturata in Commissione giustizia. Sul piano della semplificazione e dello snellimento delle procedure, si rileva la nuova formulazione di un termine di decadenza (e non più di prescrizione) ai fini dell'esercizio dell'azione revocatoria, il rinnovato procedimento di verifica del passivo e di riparto dell'attivo, la nuova procedura del concordato fallimentare, oltre all'estensione del rito societario per tutte le controversie fallimentari ed alla abrogazione dell'istituto dell'amministrazione controllata. La delega opera anche la riscrittura di reati fallimentari, assumendo rinnovata centralità, nella nuova fattispecie di bancarotta, la condotta tenuta dal fallito nella fase immediatamente antecedente l'apertura della procedura.
La Commissione (si tratta della seconda norma di delega), è altresì intervenuta approvando, al medesimo articolo 2, commi 3 e seguenti, alcune disposizioni per il riordino del codice di procedura civile. In particolare, in relazione alle disposizioni generali, vanno segnalate la riforma della trattazione orale nello svolgimento del processo civile, le nuove disposizioni in materia di comparizione delle parti in causa e di assunzione dei mezzi di prova, le disposizioni in materia di esecuzione forzata del giudicato ed il rafforzamento delle forme di pubblicità degli atti di esproprio, con la previsione anche del ricorso a siti Internet. Inoltre, si riconfigura l'istituto del pignoramento e la connessa procedura di esecuzione. In materia di contenzioso tra creditori, nuove norme vengono disposte nella risoluzione delle controversie, mentre sostanziali modifiche riguardano le norme relative alla condizione ed al tempo dell'intervento dei creditori. Sempre in materia di procedure esecutive, sostanziali modifiche intervengono anche per quanto concerne gli obblighi e le modalità di custodia del terzo dei beni pignorati, nonché le stesse modalità di nomina. Infine, altre modifiche riguardano i casi di intervento dei creditori nella procedura di espropriazione degli immobili pignorati, i termini previsti per la formulazione dell'istanza di vendita dell'immobile pignorato da parte dei creditori e le nuove modalità di indizione della gara per l'aggiudicazione dei beni all'incanto. Sono altresì da segnalarsi la riscrittura delle norme in materia di sospensione per opposizione all'esecuzione, di sospensione su istanza delle parti, ed in materia di procedimenti cautelari e relativi profili procedimentali come pure le nuove disposizioni che sono previste in materia di accertamenti tecnici e di consulenza tecnica ai fini della composizione delle liti. Rilevanti modifiche sono portate anche in materia di contenuto necessario della relazione di stima e dei compiti dell'esperto chiamato dal giudice nelle procedure esecutive come pure in tema di separazione legale dei beni tra coniugi.
Le due deleghe, in ultima analisi, consentiranno alle imprese di operare in un clima più disteso, consentendo iniziative che prima non avrebbero assunto. Una terza proposta di delega, com'è noto, quella sulle professioni intellettuali, non ha avuto seguito in quanto la Commissione ha accolto i rilievi in ordine all'uso di deleghe di notevole ampiezza; in ogni caso il lavoro non sarà disperso e potrà comunque essere migliorato nel seguito dei lavori. Un segnale importante, che può considerarsi una vera e propria anticipazione nel settore delle libere professioni, è la norma - introdotta con un emendamento della Commissione - che aumenta in maniera apprezzabile, dopo quasi un secolo, il numero dei notai. Infatti la norma prevede un notaio per ogni 7.000 abitanti e non più ogni 8.000. È un piano questo di cui non va trascurata l'importanza e che sicuramente aumenta la competitività.
Per completezza va dato poi conto della modifica approvata in tema di obbligazioni bancarie garantite; si tratta di una misura che è tesa al favorire la cartolarizzazione di partite creditorie attraverso la costituzione di apposite società veicolo le quali provvedono poi a curarne la realizzazione.
Sempre nell'ambito del comparto delle riforme "a costo zero" si situa l'articolo 3 che stabilisce, tra l'altro, la possibilità di sostituire ogni atto di autorizzazione vincolata con una dichiarazione di inizio attività: si tratta di una decisa sterzata verso la liberalizzazione delle attività subordinate alla sola verifica dell'esistenza dei presupposti di legge. Sulla stessa linea di semplificazione e riduzione degli oneri procedurali si situa la norma sulla soppressione dell'obbligo del ricorso al notaio per i passaggi di proprietà di veicoli. Anche in questo caso, il proficuo lavoro della Commissione ha integrato il testo dell'articolo aggiungendo l'obbligo di conclusione esplicita del procedimento ed il silenzio-assenso: in proposito, una rilevante modifica è quella che interviene al comma 4 dell'articolo 20 riformulato, laddove, tra le esclusioni previste ai fini dell'applicazione del silenzio-assenso, vengono aggiunti gli atti ed i procedimenti concernenti la salute e la pubblica incolumità.
Per la loro rilevanza si segnalano le norme che stabiliscono che qualora atti o notizie di interesse del procedimento amministrativo siano già in possesso di altra amministrazione, l'amministrazione procedente possa formulare richieste istruttorie all'interessato solo nei limiti necessari al loro reperimento, come pure la disposizione che lascia impregiudicate le attività di vigilanza e controllo in capo alle amministrazioni anche nei casi di applicazione del silenzio-assenso.
L'articolo 5, in tema di sviluppo infrastrutturale, individua, in coerenza con la normativa volta all'accelerazione della spesa per investimenti, una priorità nei finanziamenti erogati dal CIPE, anche sulla base delle risorse rese disponibili dalla riforma degli incentivi, individuandola negli interventi inclusi nel programma per le infrastrutture strategiche. Con il comma 5 e seguenti vengono invece dettate disposizioni finalizzate a permettere un'accelerazione nella realizzazione delle opere ritenute strategiche ed urgenti; in particolare, a tale fine, vengono ritenute tali gli interventi relativi alle concessioni autostradali e per ciascuno degli interventi viene prevista la nomina di un Commissario straordinario.
II decreto affronta poi il problema del nanismo imprenditoriale rafforzando gli incentivi alla ricerca (articolo 6), introducendo agevolazioni alle fusioni fra piccole imprese (articolo 9), riduzioni fiscali a chi finanzia l'università (articolo 14, commi 7 e 8): è un primo passo, l'importante per ora non è quanto sia lungo ma farlo nella giusta direzione. In particolare, l'articolo 6 prevede la destinazione di quota parte del fondo rotativo investimenti in ricerca a progetti svolti congiuntamente tra imprese ed Università o enti di ricerca. Si intende così colmare l'antico divario tra ricerca di base e ricerca applicata, disponendo misure di incentivo alla elaborazione di progetti comuni tra imprese ed università o enti di ricerca.
L'articolo 8 prevede un'ampia revisione della disciplina degli incentivi alle imprese. Sul punto, rammento solo che un eminente meridionalista, Pasquale Saraceno, diceva che "di incentivi si muore": al di là dei proclami, ritengo che sia condivisibile il passaggio dal fondo perduto verso un mix di sostegno, fatto da capitale a fondo perduto, finanziamento e garanzie, che consentirà un'assegnazione più razionale degli stessi. In tema di autoimprenditorialità e autoimpiego, le misure estendono i requisiti di accesso alle agevolazioni allargandone i limiti d'età, riducendo il periodo di residenza minima per le aree interessate, consentendo il finanziamento e l'ampliamento di imprese già in attività e riconoscendo la possibilità di modificare i limiti di investimenti con delibera CIPE. Si tratta di interventi che, rispetto all'obiettivo proposto, presentano sicuramente un impatto immediato e di sicuro effetto, in termini di stimolo ed agevolazione alla creazione di nuova impresa.
Parimenti, per venire al tema del Mezzogiorno, va segnalata l'approvazione, da parte della Commissione, delle misure di fiscalità di vantaggio per neoassunti in aree sottoutilizzate. Si prevede il rafforzamento dei benefici IRAP già previsti dalla legge finanziaria 2005 in relazione ai nuovi assunti delle aree sottoutilizzate, applicando, all'agevolazione già prevista, un moltiplicatore pari a 5 per le aree del Sud ed a 3 per le aree del Nord.
L'articolo 12 conferisce autonomia di Agenzia all'attuale ENI; si intende così evidentemente, mutuando l'esperienza di altre amministrazioni ed enti, conferire maggiore efficienza ed una migliorata flessibilità nei processi gestionali.
Un altro ritardo del sistema Italia è costituito dalla scarsa mobilità delle risorse. Per adattarsi alle nuove condizioni dell'economia mondiale è necessario infatti che le risorse di lavoro e capitale si spostino dai settori in declino a quelli emergenti. Per favorire tale processo sono necessari mercati dei capitali efficienti e un sistema di ammortizzatori sociali che protegga i lavoratori nel processo di transizione, capace di ridurre le resistenze corporative al cambiamento senza generare distorsioni eccessive: ciò è esattamente previsto nel decreto, all'articolo 13, e con una mole di risorse certamente non eccessiva ma, come prima, che dimostra come si vada nella giusta direzione, si tracci la giusta rotta.
Le disposizioni in materia di previdenza complementare dell'articolo 13 sono pertanto volte a consentire l'avvio di tali strumenti: l'impatto che ne deriverà sarà sicuramente rilevante, sia in termini di un incremento di capitali sui mercati finanziari che per effetto della conseguente maggiore possibilità di crescita per le piccole e medie imprese.
Sempre in questo ambito, l'incremento del fondo occupazione per interventi nel mercato del lavoro prevede il finanziamento della riforma degli ammortizzatori sociali. Anche questa è una misura senz'altro condivisibile dal momento che il Paese non conosce altri strumenti di accompagnamento alla mobilità occupazionale che non siano la cassa integrazione ordinaria e straordinaria.
Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, molti dei contenuti del provvedimento in discussione, in particolare in relazione alle modifiche approvate dalla Commissione bilancio necessiterebbero di ben più ampio spazio per essere compiutamente illustrate, ma questa relazione deve essere necessariamente succinta.
In ordine ai contenuti puntuali del provvedimento, rivolgo un invito a non credere che con esso sia risolto il problema della crescita. Siamo certamente di fronte ad un ottimo complesso di misure convergenti verso tale obiettivo; il resto spetta a noi ed al nostro rinnovato intento di liberalizzare ed "efficientare" il sistema paese. Come diceva uno dei più illustri esponenti del pensiero liberale, August von Hayek "la concorrenza è il terrore di tutti i conservatori"; noi non ci annoveriamo in quest'ultima categoria, ma se lo vogliamo davvero dobbiamo essere conseguenti con tale affermazione in questo scorcio di legislatura che ci attende. Difatti, fuori di questa coalizione, ci giungono dei segnali inequivocabili: mentre il congresso di Rifondazione comunista riafferma l'intento di abolire la proprietà privata e si propone alla guida ideologica della coalizione, la componente riformista della Fed viene esclusa dall'organo direttivo dell'Ulivo; ce ne rincresce, perché è una ulteriore riprova della improponibilità delle soluzioni, quali che siano, proposte da un centro-sinistra egemonizzato dalla componente oltranzista e che, irrevocabilmente condannata dal tribunale supremo della storia, cerca di rilegittimarsi isolando i riformisti e proponendo di nuovo alla guida del Paese la foglia di fico rappresentata dai catto-comunisti.
Occorre pertanto perseguire un'attenta e costante politica di bilancio; negli ultimi anni al perseguimento di tale obiettivo abbiamo sacrificato parte di quella crescita che altri Paesi europei hanno potuto conseguire superando il famoso limite del tre per cento: il percorso verso l'affermazione dell'economia sociale di mercato deve proseguire con riforme strutturali, ce lo chiedono le istituzioni internazionali, il FMI, l'OCSE, l'Unione Europea; ce lo chiede la nostra componente genetica di coalizione liberale e riformista. Quel compito spetta a noi, solo noi possiamo battere con coerenza la rotta verso il pieno ingresso nel consesso delle nazioni all'un tempo ad economia pienamente liberale e giustamente solidale.
Sen. Izzo
SENATO DELLA REPUBBLICA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾ XIV LEGISLATURA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾
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786a SEDUTA |
PUBBLICA |
RESOCONTO STENOGRAFICO |
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MARTEDI’ 26 APRILE 2005 (Pomeridiana) |
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Presidenza del vice presidente FISICHELLA,
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Seguito della discussione del disegno di legge:
(3344) Conversione in legge del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale (Relazione orale) (ore 19,01)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge n. 3344.
Ricordo che nella seduta antimeridiana il relatore e il relatore di minoranza hanno svolto le relazioni orali e ha avuto inizio la discussione generale.
È iscritto a parlare il senatore Ripamonti. Ne ha facoltà.
Presidenza del vice presidente MORO (ore 19,02)
RIPAMONTI (Verdi-Un). Signor Presidente, da tempo le forze di opposizione hanno posto il tema della competitività del nostro Paese; lo abbiamo fatto in tutte le occasioni in cui ci è stata data l'opportunità d'intervenire sul tema.
Sarebbe troppo facile, quindi, da parte nostra accusare il Governo e la maggioranza di essere arrivati in ritardo. Il provvedimento, che giunge appunto tardivamente, ha avuto infatti una gestazione difficile per ragioni attinenti al rapporto tra il Governo e la sua maggioranza. E tuttavia noi vogliamo evitare una facile polemica, cercando di entrare nel merito del provvedimento, sebbene il momento sia il meno adatto perché la maggioranza - è sotto gli occhi di tutti - è impegnata più che altro nel tentativo di risolvere i propri problemi interni, lasciando in disparte gli interessi del Paese e soprattutto l'andamento non soddisfacente dell'economia, che è invece la vera grande emergenza del nostro Paese.
Abbiamo più volte richiesto una sessione speciale del Parlamento per discutere dell'andamento dell'economia e dello stato dei nostri conti pubblici. Riteniamo, nel merito, che questo provvedimento sia inutile, a meno di subire sostanziali modifiche attraverso l'esame parlamentare, ma sarà difficile che ciò accada perché si preannuncia un voto di fiducia.
È un provvedimento inutile, che è stato peggiorato durante l'esame svoltosi nella Commissione di merito, la Commissione bilancio. Siamo di fronte a una sorta di insalata russa, tenuta insieme da una maionese impazzita, mentre occorrerebbe un confronto vero sullo stato del Paese, sulle sue cause e sulle terapie da adottare per far riprendere slancio all'economia.
Il Paese è fermo, il calo di fiducia nel sistema delle imprese e delle famiglie è impressionante, manca una guida, sono passati quattro anni e non ci sono più scusanti esterne. A livello internazionale, infatti, è in atto un processo di crescita: gli Stati Uniti crescono a ritmi del 4 per cento, la Cina a ritmi del 9-10 per cento, l'India a ritmi del 5-6 per cento. La domanda che dobbiamo porci, anche discutendo di questo provvedimento, è la seguente: come mai il nostro Paese non riesce ad agganciare la ripresa internazionale? La questione di fondo è proprio questa: dobbiamo prevedere uno stimolo ai consumi o dobbiamo agire sull'offerta?
La discussione in questi mesi è stata questa: dobbiamo ridurre le tasse, come ci è stato proposto nei mesi scorsi, o dobbiamo invece intervenire stanziando risorse e promuovendo iniziative per aumentare la competitività del nostro Paese, del sistema delle imprese nel suo complesso?
In questi ultimi anni, noi abbiamo perso quote di mercato rilevanti; in particolare, negli ultimissimi anni abbiamo perso il 30 per cento di quote di mercato sui mercati internazionali. I prodotti realizzati dal nostro sistema industriale non sono più competitivi.
Il governo della globalizzazione può certamente non piacere - a noi non piace com’è stata governata la globalizzazione in questi anni - tuttavia, bisogna prendere atto che con la globalizzazione vi è stata una maggiore apertura delle economie. Non servono più politiche di stimolo alla domanda, altrimenti corriamo il rischio di fare gli interessi dei nostri competitori più vicini; possiamo magari aumentare e stimolare i consumi in un certo modo, utilizzando eventualmente i margini derivanti dal recente allentamento del Patto di stabilità.
Un maggiore stimolo alla domanda potrebbe andar bene in un momento in cui vi è maggiore chiusura dell’economia, i prezzi sono rigidi e vi è flessibilità del cambio e non in una situazione come quella verificatasi dopo l’entrata in vigore dell’euro.
E allora la questione della riduzione delle tasse è tutta qui; cioè, noi abbiamo visto che la riduzione delle tasse, adottata con i provvedimenti del Governo, non ha raggiunto gli obiettivi prefissati, anzi abbiamo fatto un favore ai nostri competitori più vicini. Si è data la possibilità ai ceti sociali più elevati di cambiare l’automobile, di acquistare Mercedes e BMW, di cambiare un po’ di computer, di acquistare nuovi telefonini; tutti prodotti - ricordo - non realizzati nel nostro Paese che è in crisi, dal momento che non è in grado di competere sui prodotti ad alto contenuto tecnologico.
Questa è la sfida che abbiamo di fronte: siamo in emergenza, soprattutto finanziaria; in simili casi, bisogna cercare di selezionare gli interventi, individuare le scarse risorse a disposizione e indirizzarle nel settore che può garantire maggiori possibilità di crescita al Paese. Bisogna indirizzare le risorse per sostenere i salari più bassi e ridurre il cosiddetto cuneo fiscale e contributivo, in particolare - ripeto - sui salari più bassi. Questo fa bene sia a chi lavora sia al sistema delle imprese.
Siamo contenti e prendiamo atto del fatto che finalmente la maggioranza e il Governo hanno assunto questo ordine di ragionamento, ritenendolo importante per rilanciare la competitività del nostro Paese. Ma da quanto tempo insistiamo su questo punto? Sono mesi, se non anni che insistiamo sul fatto che il problema vero non è puntare alla riduzione delle tasse quanto indirizzare risorse per garantire ai settori sociali più deboli redditi adeguati per stimolare i consumi.
Vi è il problema drammatico di far fronte alla quarta settimana del mese - questo è ormai un dato accertato dagli studi più seri realizzati nel nostro Paese - in cui si registra un calo impressionante dei consumi; aumenta l’indebitamento delle famiglie anche per rispondere alle esigenze primarie.
La questione di fondo è, quindi, garantire redditi adeguati ai settori sociali più deboli per poter rispondere alle esigenze primarie e, al contempo, tentare di favorire la crescita attraverso l’aumento dei consumi.
Attraverso un sostegno adeguato al sistema produttivo, occorre poi investire sulla ricerca facendo ricorso ad incentivi automatici, non come fa questo provvedimento che prevede una serie di prestiti. Infatti, il nostro sistema produttivo, basato in prevalenza sulle piccole e medie aziende, non è in grado di rispondere all'esigenza di innovazione, attraverso la ricerca, con un sistema di prestiti; occorrono incentivi automatici.
Occorre investire sulla formazione vera per i lavoratori; bisogna dire basta alla precarietà; bisogna aumentare il grado di scolarità secondaria e terziaria; bisogna aumentare la qualità dei programmi; occorrono più ingegneri, più biologi, più matematici, più fisici: il contrario di quanto sta facendo il Governo.
Occorre investire sulla sostenibilità di processo e di prodotto; occorre assumere la dimensione della sfida di Kyoto come una grande opportunità per il nostro Paese, per renderlo più moderno, investendo sul risparmio energetico, sull'efficienza energetica, sull'uso delle fonti alternative. La sostenibilità aumenta la competitività del sistema nel suo complesso, non è un vincolo e non deve essere considerato un costo aggiuntivo.
La seconda considerazione che voglio fare, signor Presidente, riguarda la riforma delle pensioni. È stato introdotto un sistema più flessibile riguardo all’ingresso nel mondo del lavoro, ma la riforma delle pensioni approvata dal Governo della destra prevede una rigidità per l'uscita dal mondo del lavoro, perché si fissa per legge un innalzamento secco dell'età pensionabile.
Il problema vero però rimane lo sviluppo della seconda gamba, cioè lo sviluppo del sistema contributivo. Il provvedimento al nostro esame prevede una serie di finanziamenti per compensare il sistema delle imprese, tuttavia la questione rimane sempre quella di comprendere le motivazioni per le quali non si è riusciti a sviluppare il sistema contributivo nel nostro Paese e soprattutto quali azioni si intendono intraprendere al riguardo.
Siamo di fronte al fatto che il capitale investito è troppo poco, quindi è come un cane che si morde la coda: non si investe nel sistema contributivo e, nello stesso tempo, il sistema contributivo ha un capitale investito talmente scarso da non permettergli di essere competitivo sul mercato generale.
Occorre allora incidere sul sistema finanziario. La soluzione che è stata individuata è quella di devolvere al sistema dei fondi pensione il trattamento di fine rapporto. Inoltre, bisogna considerare la questione delle tasse troppo elevate sui rendimenti dei fondi pensione. E tuttavia, alcune problematiche non sono ancora state risolte: la questione del silenzio-assenso per quanto riguarda questo tipo di trasferimento, l'informazione adeguata ai lavoratori per poter decidere se è utile, necessario e conveniente destinare il TFR ai fondi pensione.
Rimane anche un problema di incentivi fiscali per devolvere il TFR ai fondi pensione, come quello di stabilire un rapporto tra i cosiddetti fondi chiusi, i fondi aperti e le assicurazioni individuali. Noi non siamo d'accordo, signor Presidente, con l'orientamento della maggioranza e del Governo di prevedere una sorta di parità di trattamento tra i fondi chiusi, i fondi aperti e le assicurazioni individuali.
Rimane, altresì, il problema di stabilire qual è l'organo di controllo sui fondi pensione, la COVIP. Avete fatto un pasticcio nel disegno di legge sulla riforma del risparmio, dove avete assegnato ad un altro organismo, la CONSOB, il meccanismo di controllo sui fondi pensione. Se si vuole intervenire adeguatamente su questi ultimi bisogna che ci sia un organismo autonomo, in questo caso la COVIP, ad esercitare questo ruolo.
Rimane poi fuori tutta la pubblica amministrazione e rimangono molti problemi aperti. Questi problemi riguardano la competitività del sistema? Credo di sì, perché il funzionamento del mercato finanziario riguarda la competitività del sistema-Paese nel suo complesso; la possibilità di avere fonti di capitalizzazione per il sistema delle imprese riguarda la competitività del sistema nel suo complesso.
La terza considerazione riguarda Sviluppo Italia. Questa agenzia è nata con una missione particolare, che era quella di attivare e attirare investimenti dall’estero, ma essa si è trasformata nel tempo e oggi Sviluppo Italia ha 170 partecipazioni un po’ in tutte le parti nel nostro Paese; Sviluppo Italia interviene direttamente un po’ in tutti i settori, dal turismo alla produzione vinicola, ai porti, agli alberghi, alle industrie più o meno decotte; sta diventando una nuova IRI.
Possiamo discutere di sviluppo della competitività nel nostro Paese, se poi le scelte vengono fatte in questa direzione? È utile che vi sia una nuova IRI nel nostro Paese, in presenza di un sistema economico e finanziario che, appunto, si è modificato negli ultimi anni? È utile avere questa Sviluppo Italia se si vuole lavorare sulla competitività?
Noi crediamo di no, soprattutto se lo rapportiamo alla modificazione che si è verificata anche nella Cassa depositi e prestiti. Quest’agenzia è diventata un nuovo carrozzone dove sono parcheggiate diverse partecipazioni e comunque il Tesoro controlla tutto con un sistema di scatole cinesi. Questo non funziona, questo non fa bene alla competitività del nostro Paese.
L’ultima considerazione riguarda la riforma degli incentivi. Questo Governo ha cancellato, in primo luogo, i patti territoriali, i contratti d’area e ha provveduto alla riduzione dei fondi per la programmazione negoziata nel suo complesso. Poi è stata svuotata la legge n. 488 del 1992, che era una legge che funzionava e che permetteva, appena venivano emanati i bandi, di avere risposte immediate da parte del sistema delle imprese. Anche rispetto a questa legge avete ridotto i fondi, anzi, questo provvedimento prende 750 milioni dal sistema degli incentivi, che vengono stornati per realizzare le infrastrutture, in particolare al Sud. Praticamente, vi sono meno soldi per gli incentivi e vengono previsti un po’ più di soldi per le infrastrutture. Sono parole vuote, sono partite di giro, non vi sono soldi aggiuntivi per garantire competitività al sistema.
Vi è poi l’ultima trovata da parte del Governo: l’attacco ai cosiddetti incentivi automatici, attraverso il meccanismo che è stato introdotto della domanda-risposta, che ha aumentato la burocrazia, il controllo politico sulle domande, l’intermediazione politica sul territorio, per garantire il solito sistema del fare il favore agli amici degli amici degli amici: la filiera degli amici. Ora la vostra proposta prevede incentivi per il 50 per cento a fondo perduto, per il 25 per cento in forma di prestiti agevolati attraverso la Cassa depositi e prestiti e per il 25 per cento in forma di prestiti a tassi di mercato.
Noi ovviamente non siamo contrari all’idea di assegnare più responsabilità al sistema creditizio anche nell’erogazione degli incentivi, però dobbiamo chiederci cosa sta succedendo. Tra il parere della Commissione europea, che dovrà appunto esprimersi riguardo al fatto che devono esservi incentivi differenziati per il Sud, e la messa a punto di tutte le procedure operative, passeranno uno o due anni. È allora soprattutto il primo anno, cioè quest’anno, quello in cui occorrerebbe una maggiore spinta per garantire lo sviluppo del Sud e invece nel primo anno siamo nelle condizioni di affermare che il sistema degli incentivi sarà bloccato.
Ma c’è di peggio. Questo provvedimento che stiamo esaminando prevede, nel 2005, 15 milioni di euro per gli incentivi alle imprese nel Sud: è mai possibile pensare di incentivare l’economia, lo sviluppo del Sud con 15 milioni di euro? Mi sto rivolgendo al relatore Izzo e al sottosegretario Vegas: è mai possibile pensare di sviluppare il nostro Sud con i 15 milioni di euro previsti per il 2005? È questo lo stimolo alla competitività del nostro sistema?
Siamo per un’idea di sviluppo autocentrato e, quindi, siamo favorevoli alla ripresa della programmazione negoziata; siamo a favore degli incentivi automatici, in quanto rappresentano l’unica garanzia che vadano a buon fine.
Voi sapete - lo sappiamo anche noi - che l’occupazione al Sud sta diminuendo. Conosciamo anche la vostra risposta. Dite che ciò non è vero in quanto è diminuito il numero dei disoccupati, ma anche questo non risponde al vero. Si tratta di un dato falso: la gente non si iscrive più all’ufficio di collocamento perché non spera più di trovare un posto di lavoro. (Richiami del Presidente).
Le chiedo scusa, Presidente, ma non capisco il significato del suo richiamo.
PRESIDENTE. La sto avvertendo che ha solo un minuto a sua disposizione per finire l’intervento.
RIPAMONTI (Verdi-Un). Signor Presidente, non ho il tempo contingentato. Il nostro Gruppo ha a disposizione venti minuti per intervenire. In ogni caso, le chiedo di concedermi ancora un minuto per concludere l’intervento.
PRESIDENTE. La Presidenza le concede ancora un minuto.
RIPAMONTI (Verdi-Un). La ringrazio, signor Presidente.
È ritornata ad aumentare la migrazione all’interno del nostro Paese. Questo è un altro dato che deve essere tenuto in considerazione.
Prima della crisi di Governo avremmo proposto una sorta di accordo, avremmo tentato di trovare, sugli emendamenti e sulle vostre proposte, un confronto vero nelle Aule parlamentari, perché siamo preoccupati per lo stato dell’economia e per lo stato più generale del Paese. Ora, però, dopo l’esame della Commissione e dopo la conclusione della crisi di Governo che si preannuncia come un traccheggiamento per un anno, siamo preoccupati soprattutto per quello che succederà l’anno prossimo.
Siamo preoccupati per la finanziaria che dovrà essere adottata. Siamo preoccupati perché quello al nostro esame è un provvedimento inutile. A che cosa serve la competitività, relatore Izzo? La competitività serve ad aumentare di mille unità il numero dei notai su tutto il nostro territorio? Questo provvedimento serve alla competitività o, al contrario, è una marchetta nei confronti dei notai?
Di fronte alle marchette non è possibile discutere. Per questo motivo, signor Presidente, riteniamo questo un provvedimento assolutamente inutile.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Dettori. Ne ha facoltà.
DETTORI (Mar-DL-U). Signor Presidente, siamo tutti preoccupati.
Siamo preoccupati per i conti pubblici. Siamo preoccupati per la tenuta delle nostre imprese. Siamo preoccupati perché la nostra economia continua a perdere competitività sia a livello europeo sia sul mercato mondiale. Siamo preoccupati perché nel Paese aumenta il senso di sfiducia complessiva legato soprattutto ai risultati disastrosi della nostra economia.
Prendiamo atto con grande rammarico che avevamo ragione a denunciare l’inadeguatezza delle politiche economiche e di quelle creative.
Non c’è dubbio che il declino industriale del Paese e la perdurante caduta di competitività delle produzioni nazionali, non adeguatamente contrastati, in questi ultimi anni, da politiche di liberalizzazione, di incentivo alla riconversione produttiva e di concreto sostegno alla ricerca e all'innovazione imponessero un intervento del Governo, ancorché tardivo.
Tutti gli indicatori economici offrono un quadro allarmante. Ciò nondimeno la linea d'azione scelta dal Governo non sembra corrispondere, né nel merito né nel metodo, a quell'inversione di rotta attesa dal Paese e lungamente vagheggiata dalla maggioranza, con toni ed accenti tutt'altro che univoci anche all'interno del Governo. Si usa il doppio binario. Camera e Senato lavorano su due proposte, complementari e non solo. I Ministri vengono in soccorso al provvedimento con 50 emendamenti. Anche la maggioranza fa la sua parte.
Il risultato non consente di essere sereni. Per certi aspetti il provvedimento in esame non soddisfa nessuno: né il Governo, né la maggioranza, né l'opposizione e soprattutto delude le attese di quanti si aspettavano segnali di inizio della svolta.
II deficit competitivo dell'Italia avrebbe bisogno di ben altro, non ultimo quantità di risorse decisamente più consistenti.
Le pressioni interne alla maggioranza per una svolta nelle politiche economiche del Governo si sono acuite dopo il fallimento dell'ultimo tentativo, operato con la finanziaria 2005, di innescare una scintilla di ripresa attraverso il taglio delle tasse. Le prime rilevazioni trimestrali ISTAT del 2005 sui consumi delle famiglie (-0,6 per cento) hanno infatti gelato ogni speranza di ripresa, registrando semmai un'ulteriore flessione della fiducia dei cittadini.
La penalizzazione più pesante per il sistema produttivo è venuta dal progressivo smantellamento, dall'inizio della legislatura ad oggi, del sistema degli incentivi alle imprese. Successivi interventi legislativi hanno, infatti, mutato non solo l'entità dei benefici economici, ma anche la natura degli stessi.
Gli interventi sono parsi orientati ai seguenti tre obiettivi di fondo: lo svuotamento dei benefìci economici già riconosciuti; l'unificazione dei fondi sui quali sono finanziati, a vario titolo, gli incentivi alle imprese; la progressiva sostituzione dei contributi a fondo perduto in prestiti a tasso agevolato.
Questi tre obiettivi, lungi dall'ispirare una riforma coerente del sistema degli incentivi alle imprese, hanno reso quanto mai oscuro e indeterminato - per le imprese e per gli operatori economici - il quadro normativo vigente. In particolare, la concentrazione delle risorse in fondi unici per le aree sottoutilizzate, per gli incentivi alle imprese e per il sostegno alle imprese ha determinato non solo un'impropria assimilazione contabile di strumenti normativi diversi, ma anche la difficoltà di valutare in concreto il grado di "investimento" del Governo in ciascuna politica di sostegno alle imprese.
In tal senso, le operazioni successive di congelamento e svuotamento delle risorse finanziarie, e dunque di unificazione della sede di finanziamento degli incentivi, devono essere lette anche come il tentativo di rendere più opaco e meno "misurabile" il disinvestimento finanziario del Governo nelle politiche di sostegno alle imprese.
Inoltre, a rendere ancora più complessa e incerta la lettura del quadro complessivo vi è stata la sovrapposizione della politica dei "fondi unici" alla politica dei "tetti di spesa", estesa anche agli incentivi alle imprese.
Infine, a pregiudicare fortemente la possibilità di un effettivo rilancio della competitività sono stati in questi anni i seguenti ulteriori tre fattori, che hanno concorso a restringere gli spazi residui di crescita e di modernizzazione del sistema produttivo nazionale: il mancato completamento del programma di liberalizzazioni; il fallimento delle politiche di modernizzazione infrastrutturale del Paese affidate alla "legge obiettivo"; il completamento della riforma del mercato del lavoro.
Nel merito, il decreto-legge si presenta come una lunga rassegna di microdiscipline tra loro sconnesse perfino nell'ambito degli stessi articoli, che potrebbe ricordare una legge finanziaria se non mancasse di qualunque presupposto macroeconomico e finanziario di riferimento, a giustificazione del suo impianto complessivo.
La disciplina degli incentivi, che avrebbe dovuto essere il cuore del Piano per la competitività del Governo, invece di segnare quella forte discontinuità invocata da tempo dal sistema economico e produttivo del Paese, ha semmai confermato la linea di progressivo smantellamento della stessa disciplina.
La nuova disciplina, pur non incidendo direttamente sulla normativa vigente, modifica profondamente il sistema di erogazione degli incentivi, fino a mutarne del tutto la natura. In definitiva, è una "riforma" che nell'immediato blocca ogni accesso al sistema degli incentivi e, in prospettiva, ne ridimensiona fortemente i benefìci e l'accessibilità, almeno per la parte del territorio - il Mezzogiorno - che sconta i maggiori ritardi nella modernizzazione del sistema creditizio.
A parziale compensazione di tale quadro, avrebbe potuto giocare l'atteso intervento in favore delle piccole e medie imprese, lungamente annunciato dal Governo. Anche in questo caso, tuttavia, le aspettative sono state deluse. Il cosiddetto premio di concentrazione introdotto dal decreto deve infatti ritenersi perfino provocatorio: alle piccole e medie imprese si riconosce un credito d'imposta pari al 50 per cento delle spese sostenute in studi e consulenze preparatori delle operazioni di concentrazioni.
Alla maggior parte delle piccole e medie imprese nazionali mancano gli strumenti finanziari e gestionali per affrontare la crescita dimensionale, ma anche - e soprattutto - la possibilità di accrescere la loro capacità competitiva in un sistema ancora nel guado delle riforme bloccate, per di più reso instabile dall'assoluta incertezza del quadro normativo (dal fisco agli incentivi pubblici).
Chi può credere che la crescita possa venire da uno sconto fiscale sulla consulenza dell’advisor quando i costi, palesi e occulti, di inefficienze storiche e di errori recenti rimangono così drammaticamente elevati?
Chi può credere che il rilancio di competitività sia possibile inaugurando una nuova stagione di provvedimenti dirigistici in un rinnovato centralismo statale? Chi può credere ad un rilancio dell’economia che si basa sulla vendita delle spiagge?
Chiudo rivolgendo al Governo l'appello di seguire con attenzione le problematiche relative al sito industriale di Portovesme in relazione all’impegno, sottoscritto a suo tempo, sulle agevolazioni delle tariffe elettriche, delle industrie energivore; la situazione, signor Vice ministro, si sta rivelando drammatica. Con i costi energetici correnti quelle industrie chiudono e mandano a casa migliaia di operai. (Applausi dal Gruppo Mar-DL-U).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Legnini. Ne ha facoltà.
LEGNINI (DS-U). Signor Presidente, Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Vice ministro, il decreto-legge oggi al nostro esame, è stato preceduto da una grande attesa nel Paese, in particolare nel mondo delle imprese, per le misure che il Governo aveva più volte preannunciato a sostegno della competitività del nostro sistema economico.
Non soltanto le imprese italiane, la Confindustria, le organizzazioni sindacali, le associazioni datoriali della piccola e media impresa anche dei servizi, del turismo e del commercio, non soltanto tutte le forze politiche dell'opposizione ed anche numerosi esponenti della maggioranza, ma persino il Presidente della Repubblica lo scorso mese di febbraio aveva pubblicamente invocato un deciso intervento del Governo e del Parlamento per ridare slancio e fiducia alla nostra economia. Disse il presidente Ciampi che "occorre suscitare in noi la scintilla, lo scatto, che è convinzione e orgoglio delle nostre possibilità, necessari per mettere in moto un nuovo ciclo di sviluppo".
Oggi, dopo aver esaminato, discusso ed emendato il decreto presentato dal Governo, dobbiamo con preoccupazione constatare che gran parte delle sollecitazioni e delle proposte avanzate non sembrano aver trovato una risposta efficace, all'altezza delle emergenze economiche che il nostro Paese deve urgentemente affrontare per superare la crisi e la perdita della capacità di competere sui mercati internazionali.
Allorquando, nel corso dell'esame della legge finanziaria del 2005, denunciammo il rischio che nessuna delle misure contenute nella legge di bilancio fosse idonea a suscitare una ripresa della nostra economia, ci fu risposto che non era vero e che comunque le misure per lo sviluppo e la competitività avrebbero occupato l'attenzione del Governo nelle settimane successive, individuando e destinando all'uopo risorse aggiuntive.
Quando, sempre in occasione dell’esame della finanziaria, contestammo la politica fiscale del Governo denunciandone l'iniquità e la totale inidoneità a sostenere la domanda interna, ci fu risposto che non era vero e che gli sgravi fiscali avrebbero stimolato i consumi e ridato impulso alla nostra economia.
Oggi possiamo agevolmente constatare che le valutazioni che il Governo e la maggioranza ci proposero allora erano, come peraltro evidenziato dagli economisti e dagli osservatori più attenti, errate, che le modeste riduzioni fiscali non hanno fornito alcun alimento alla ripresa dello sviluppo, che i temi cruciali della ripresa della capacità di spesa delle famiglie e della capacità di investire ed innovare delle imprese, non sono neanche stati sfiorati ed in alcun modo incisi dalla politica economica che ha sorretto l’ispirazione della manovra finanziaria.
Oggi possiamo, ancora una volta, agevolmente prevedere, purtroppo, che le misure che ci proponete non avranno miglior sorte e che lo scatto della nostra economia non si produrrà, non foss'altro perché anche quelle misure in sé condivisibili non sono supportate da risorse finanziarie adeguate, già dilapidate (quelle poche disponibili) per effetto delle inutili regalie fiscali di cui si è detto.
Il pacchetto di misure oggetto del provvedimento oggi al nostro esame, benché enormemente dilatato dall'attività emendativa svolta in Commissione, non è dunque idoneo, dal nostro punto di vista e non solo dal nostro, ad incidere in modo significativo sul recupero di competitività del sistema e ciò anche considerando che alcune misure, di cui parlerò in prosieguo, che hanno incontrato il nostro consenso e sono a costo zero, non sono idonee a dispiegare effetti né nel breve, né nel medio periodo.
Mi riferisco, in particolare, alle misure che riguardano la riforma del codice di procedura civile e quella della disciplina del fallimento, su cui intendo brevemente soffermarmi.
Sulla procedura civile, il Governo si era limitato ad introdurre nel decreto misure assolutamente marginali riguardanti, in particolare, il sistema delle notificazioni degli atti. Tale scelta minimalista era tanto più ingiustificata in considerazione del fatto che in Commissione giustizia il lavoro lungo e complesso, finalizzato a riscrivere e modificare numerosi articoli del codice di procedura penale, si trovava in fase conclusiva, dopo mesi di lavoro comune e concertato tra Governo, maggioranza e opposizione.
Noi ci siamo fatti carico di presentare ben 102 emendamenti, che riproducevano esattamente i testi già esaminati e licenziati in Commissione, con il voto quasi sempre unanime di maggioranza e opposizione. II Governo, piuttosto che predisporsi ad accogliere tali condivise proposte, in un primo momento ha tentato di ottenere un'ennesima delega per riformare il codice.
La tempestiva iniziativa dei colleghi di entrambi gli schieramenti, tra cui il presidente Caruso, il relatore, chi vi parla ed altri, ha consentito di presentare un corposo emendamento contenente gran parte del lavoro svolto in Commissione giustizia, in tal modo costringendo il Governo a rinunciare alla richiesta di delega ed accettare il testo congiuntamente proposto.
Abbiamo così ottenuto l'approvazione in Commissione, e mi auguro in Aula, di un pacchetto di norme innovative del processo di cognizione, del procedimento cautelare, di quello esecutivo e di altre parti del codice che consentiranno di ottenere un processo civile improntato a maggiore celerità e speditezza, un processo esecutivo più moderno e più efficace relativamente ai modi e tempi di soddisfazione delle pretese creditorie e numerose altre disposizioni innovative del codice di rito civile.
Noi salutiamo con soddisfazione tale risultato non soltanto perché le norme di riforma approvate in Commissione ci restituiscono un rito civile migliore, più celere e moderno (benché non risolutive dei cronici ritardi e degli enormi arretrati della giustizia civile), ma perché con tale iniziativa si è dimostrato che quando in tema di giustizia si vuole discutere e fare uno sforzo per migliorare il sistema, l'opposizione non soltanto non si sottrae, ma anzi fornisce il suo contributo a fare le riforme che servono alle famiglie e alle imprese.
Ci auguriamo che tale esempio possa costituire un monito alla maggioranza, utile ad arrestare il cammino di altre devastanti riforme in materia penale, a partire da quella sulla prescrizione e sulla recidiva, che costituisce un vergognoso tentativo di cancellare migliaia di processi.
Analoga soddisfazione non possiamo purtroppo esprimere sul modo con il quale si è intervenuti sulla materia fallimentare, sulla quale pure ritenevamo e riteniamo si dovesse necessariamente intervenire. Abbiamo sì apprezzato talune norme, in particolare in materia di concordato preventivo e di ristrutturazione dei debiti, ma riteniamo che quelle sulla revocatoria fallimentare, già contenute nel decreto, portino a svuotare sostanzialmente tale istituto, che costituisce l'unico presidio a tutela dell'integrità del patrimonio delle imprese in crisi, e quindi della par condicio creditorum.
Fatto ancor meno condivisibile - è costituito dal rifiuto del Governo e della maggioranza di recepire, analogamente a quanto avvenuto per il codice di procedura civile, il testo di riforma del fallimento e delle altre procedure concorsuali, anch'esso da tempo esaminato e discusso dalla Commissione di merito.
Anche per tale importante riforma e per i connessi profili penalistici, abbiamo presentato emendamenti che recepiscono il lavoro comune che è stato da tempo definito in Commissione, ma il Governo ha preferito chiedere ed ottenere una generica delega, in tal modo abusando nuovamente dell'istituto della delega legislativa e rinviando nel tempo l'approvazione di tale importante riforma.
Ancor più grave è stato l'atteggiamento tenuto sulla riforma delle professioni, per la quale il Governo ha preferito introdurre poche norme confuse e contraddittorie, già efficacemente commentate dai colleghi Morando e Battafarano.
La parte più importante della riforma del fallimento e delle professioni devono, dunque, ancora attendere, secondo la prospettazione del Governo, nonostante proprio tali riforme fossero necessarie per introdurre discipline utili, da un lato a prevenire l'irreversibilità delle crisi di impresa, ovvero a normare le patologie aziendali in funzione della salvaguardia del loro patrimonio ed avviamento, e dall'altro ad introdurre le non più rinviabili norme di liberalizzazione ed apertura del mercato delle libere professioni.
Siamo, quindi, in presenza di un'occasione in larga parte mancata, cosicché non è difficile prevedere che con questo provvedimento l'economia italiana non supererà l'affanno e non avvierà a soluzione i molteplici fattori del suo arretramento, sempre più evidenti e sempre più preoccupanti, come ha fatto rilevare il relatore di minoranza, senatore Caddeo.
Ci auguriamo soltanto che almeno le misure positive menzionate vengano approvate dall'Aula, anche se il Governo dovesse, come sembra, porre la fiducia sul provvedimento. (Applausi dal Gruppo DS-U).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Semeraro. Ne ha facoltà.
SEMERARO (AN). Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho chiesto d'intervenire in discussione generale perché ho avvertito la necessità di esporre il mio pensiero in ordine ad un provvedimento che ritengo particolarmente importante non soltanto in se stesso, ma anche in relazione al momento in cui interviene, in riferimento cioè al contesto sociale sul quale andrà ad incidere.
Ho seguito con molta attenzione il dibattito che si è svolto fino a questo momento. Devo dire, con grande franchezza ed estrema semplicità, che l'intervento del relatore è stato decisamente chiaro ed oltremodo esaustivo in ordine agli intendimenti propri del provvedimento. Noi non avevamo bisogno di essere convinti, v'è da dire però che le parole del relatore trovano il nostro pieno plauso: condividiamo perfettamente tutte le sue affermazioni.
Viceversa, mi hanno meravigliato molto gli altri interventi che si sono finora susseguiti. Per la verità, vi siamo in un certo qual modo abituati perché dall'inizio della legislatura non credo vi sia stato un solo provvedimento in riferimento al quale vi è stato un sia pur minimo riconoscimento da parte degli esponenti della opposizione.
Non soltanto non vi è stata disponibilità ad un confronto e ad una collaborazione, che sarebbe auspicabile ed è sempre cosa ben gradita, soprattutto quando sono allo studio provvedimenti di così grande importanza, ma debbo dire che, come in tante altre, anche in questa occasione, abbiamo sentito ripetere le solite preoccupazioni, le solite perplessità, le solite titubanze, le solite accuse di scarsa operatività e di scarsa sensibilità per le esigenze del nostro territorio.
Ritengo invece che il provvedimento sia oltremodo utile, anzi sia indispensabile e perfettamente capace di inserirsi nel contesto sociale del momento. Non posso adagiarmi sulle affermazioni che ho sentito poco fa, secondo le quali questo provvedimento desterebbe preoccupazioni e non sarebbe capace di portare ai risultati che tutti noi auspichiamo. Sono affermazioni generiche che non convincono e non possono convincere; né possiamo sentirci soddisfatti da osservazioni relative ad un caso marginale disciplinato dal provvedimento come l'aumentato numero delle sedi notarili.
È stato chiesto: che cosa volete che interessi l'aumentato numero di sedi notarili? Ogni misura, ogni riferimento singolarmente preso può anche non interessare, ma nel complesso il provvedimento ha una grande valenza.
Per essere più chiari, con riguardo specifico all'esempio citato, la misura non è stata inserita per il capriccio, magari sciocco, di aumentare il numero dei notai, ma soltanto perché si è sentita la necessità di attuare una maggiore distribuzione dell'attività notarile. Va inoltre evidenziato che un cospicuo aumento di sedi notarili comporta un cospicuo aumento di attività lavorative se è vero, come è vero, che ogni nuovo studio notarile comporta un incremento di carattere impiegatizio.
Allora, tutto questo serve a rispondere ad esigenze concrete, a meno che non ci si voglia trincerare soltanto dietro affermazioni sterili, ma in ogni caso non concludenti.
Uno degli aspetti principali di questo provvedimento - motivo per il quale essenzialmente intervengo - è la tanto voluta ed auspicata riforma del codice di procedura civile, che ha costituito oggetto di un emendamento formulato dall’intera Commissione giustizia, che è la Commissione preposta all’esame del provvedimento nella sua interezza, e che noi adesso ci prepariamo ad approvare.
Si tratta di una conquista. Smentendo anche in questo caso le affermazioni dei nostri cortesi avversari politici (secondo i quali saremmo portati ad interessarci soltanto del diritto per i suoi risvolti penali o molto spesso del diritto per i risvolti di carattere personale come pure è stato detto), ci siamo fatti carico anche della riforma del codice di procedura civile, da tanto tempo auspicata e mai attuata.
Tra l’altro, il codice di procedura civile non è stato inventato ieri, esiste da tempo, ha regolato i procedimenti giudiziari e civili per tantissimo tempo, e avrebbe potuto pur costituire oggetto di attenzione da parte del passato Governo, mentre non lo è stato.
Noi, con questa maggioranza e con il Governo, ci siamo fatti carico anche di questa riforma, complessa e lunga perché il codice di procedura civile non è cosa da poco; non è faccenda risolvibile in pochissime battute. Si tratta di una riforma che ha impegnato moltissimo la Commissione presso la Camera dei deputati; è arrivato in questo ramo del Parlamento un progetto di riforma; la Commissione giustizia del Senato si è impegnata ad esaminarla; ha introdotto delle innovazioni e soprattutto - ecco il risultato utile - vi è stato il costruttivo apporto dell’intera Commissione, per cui si è avuta la possibilità di procedere a una riforma che certamente sarà utile in quel processo di snellimento dell’attività giudiziaria civile che appesantisce moltissimo le nostre sedi giudiziarie.
Non abbiamo fatto questo soltanto per dare impulso ai provvedimenti giudiziari civili, ma anche ed essenzialmente per dare risposte concrete. Siamo infatti convinti - non mi pare che possa trovare giovamento avversa affermazione - che la giustizia intanto è tale, in quanto arriva in tempi brevi; una giustizia che si realizzi in tempi lunghi finisce per non essere più tale perché molte volte l’interesse stesso all’applicazione del principio del diritto svanisce o tende ad attenuarsi.
Tutto questo allontana il cittadino dalle istituzioni, avendo questi necessità di sentirsi tutelato anche attraverso un sistema giudiziario capace di dare risposte immediate. A mio parere, il processo civile è quello che ha interessato, interessa e interesserà la stragrande maggioranza dei cittadini italiani. Il processo penale probabilmente interesserà una parte minoritaria, ma ritengo che non vi sia stato cittadino italiano che non si sia cimentato in una controversia di carattere giudiziario civile sia pur minima, per non pensare, poi, alle controversie più consistenti, dove sono in ballo rilevanti interessi che riguardano anche la produzione, l’attività, i rapporti tra i cittadini con le istituzioni e quant’altro.
Tutto questo per dire che ci siamo impegnati nello studio completo del codice di procedura civile, intervenendo opportunamente innanzitutto nel processo di cognizione, per far sì che tutti quei vuoti o quelle udienze inutili che servono soltanto per qualche inutile attesa o per lo scambio di qualche informazione vengano eliminati e si giunga subito alla realtà operativa concreta.
Siamo poi fortemente intervenuti per rendere più idonei i procedimenti esecutivi, per assicurare la migliore realizzazione del credito da parte dei creditori con il minor sacrificio possibile da parte dei debitori. Ritengo che si sia riusciti a fare tutto questo.
Siamo anche utilmente intervenuti in tutto il sistema dei procedimenti cautelari, cioè in quei procedimenti che sono a volte capaci di risolvere nell'immediatezza la contesa giudiziaria.
Siamo pertanto fieri di questa riforma così come di quella, a cui pure è stato fatto riferimento, del diritto fallimentare: si tratta di due branche del diritto che - come prima ho detto - interessano moltissimo i nostri cittadini e che certamente saranno all'altezza di rispettare e realizzare al meglio le esigenze di giustizia della nostra Nazione.
Tutte queste misure si inseriscono in un disegno di legge che, anche sotto il profilo economico e per gli impulsi che saprà dare all'auspicato sempre maggiore sviluppo, sarà senza dubbio idoneo a realizzare gli intenti desiderati. (Applausi dai Gruppi AN e FI).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Michelini. Ne ha facoltà.
MICHELINI (Aut). Signor Presidente, signor Vice ministro, onorevoli colleghi, quello della competitività è un provvedimento molto atteso perché il nostro sistema produttivo si è inceppato e la crescita economica è così debole da far temere l'inizio di una fase di recessione.
Il Governo lo aveva annunciato come parte integrante della manovra di finanza pubblica per il corrente anno ed avrebbe dovuto quindi accompagnare la finanziaria 2005. Ora siamo ormai giunti a quasi metà anno ed il ritardo è di tutta evidenza.
Non è però solo il ritardo che deve far riflettere perché è ben più importante verificarne l'efficacia sullo sviluppo della nostra economia. Dobbiamo innanzitutto constatare che il provvedimento elaborato dal Governo si presenta come provvedimento disarticolato e molto complesso: disarticolato perché si compone del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, del quale si sta esaminando la conversione in legge con il provvedimento in esame, e del disegno di legge n. 5736, attualmente all'esame della Camera dei deputati; complesso perché sia il decreto-legge che il disegno di legge contengono disposizioni molto numerose riguardanti materie diverse fra di loro.
II decreto-legge che stiamo esaminando in Senato contiene disposizioni in materia doganale, in materia fallimentare e processuale civile e delle libere professioni, in materia di procedura amministrativa, di interventi infrastrutturali, per la ricerca, le tecnologie digitali, le piccole imprese, le garanzie bancarie, ancora in materia di agricoltura, di turismo, di previdenza complementare e di volontariato.
Alla stessa stregua, il disegno di legge che sta esaminando la Camera dei deputati contiene disposizioni in materia di credito, in materia fallimentare e processuale civile, di procedimenti amministrativi, di tributi locali (con la delega), di attività produttive (pure con la delega), di contabilità pubblica (anche qui con la delega), di energia elettrica, di investimenti infrastrutturali e dell'innovazione ed ancora in materia di diffusione delle tecnologie, di aree sottosviluppate, del settore agroalimentare, di previdenza complementare, di ammortizzatori sociali, infine in materia scolastica e del volontariato sociale.
Ho ritenuto opportuno riportare sia pure in sintesi, le materie trattate dai due provvedimenti per mettere in evidenza come molte di esse coincidano, anche se, evidentemente, le disposizioni contenute nel decreto-legge in una specifica materia sono diverse da quelle riportate nel disegno di legge per la materia stessa.
Ciò che però difetta è il fatto che il Governo non ha esplicitato le ragioni che lo hanno indotto a predisporre due provvedimenti per conseguire un unico scopo ed in più a presentarli uno alla Camera dei deputati ed un altro al Senato della Repubblica.
Il rischio che si producano norme scoordinate con disposizioni contraddittorie è molto alto e ciò non giova certo ad agevolare il conseguimento dell’obiettivo della competitività del nostro sistema economico.
Il silenzio del Governo si riscontra anche sulla misurazione dell'efficacia dei provvedimenti, perché sia la relazione illustrativa che la relazione tecnica nulla dicono in ordine all’impatto che le misure proposte potranno avere sul prodotto interno lordo. Le relazioni tecniche ai due provvedimenti sviluppano invece il tema degli effetti delle misure in esse contenute sulla finanza pubblica.
Sotto questo aspetto, il decreto-legge al nostro esame reca interventi e misure di sostegno nelle materie sopra indicate con un onere per la pubblica amministrazione di 804 milioni di euro per il 2005, 1.179 milioni di euro per il 2006 e 1.023 milioni di euro per il 2007.
Le risorse per il loro finanziamento vengono rinvenute in massima parte nella riduzione di spese iscritte nei fondi globali o in capitoli di bilancio a sostegno di altri interventi; solo in piccola parte (l’11 per cento, ad esempio, nel 2005) si provvede con maggiori entrate, derivanti dall'aumento dell'accisa sulla birra e sugli alcolici.
Il disegno di legge all'esame dell'altro ramo del Parlamento, ben più consistente del nostro decreto-legge sotto il profilo delle sue disposizioni, introduce interventi per 25 milioni di euro nel 2005, 219 milioni di euro nel 2006 e 304 milioni di euro nel 2007, alla cui copertura provvede attraverso riduzioni di spesa ed in minima parte con l'aumento di entrate riguardanti l'imposta sui tabacchi.
Nel loro complesso i due provvedimenti, oltre a non movimentare risorse significative che potrebbero dare credibilità ad una qualche loro efficacia sull'aumento della ricchezza nazionale, peggiorano i conti pubblici in quanto aumentano l'indebitamento netto per un importo che è sì minimale (68,4 milioni di euro), ma che preoccupa se si pensa che, in sede ECOFIN ma anche del Fondo monetario internazionale, si stima il disavanzo dei conti della pubblica amministrazione del nostro Paese per l'anno in corso in un 3,5 per cento del PIL, ben al di sopra di quanto consentito dal Patto di stabilità e crescita e comunque al di sopra di quel 2,7 per cento che la finanziaria 2005 avrebbe dovuto garantire con una manovra, lo ricordiamo, che è stata di 24 miliardi di euro.
La debolezza del nostro sistema economico, che è causa del rallentamento della crescita del prodotto interno lordo, non è emersa soltanto in questi ultimi tempi: è invece un fenomeno ben conosciuto in quanto risale ad una decina di anni fa, essendo stato rilevato da varie centrali nazionali e mondiali oltre che descritto da vari studiosi.
Lo ricordo con il pensiero di Luca Ricolfi in "Dossier Italia: a che punto è il Contratto con gli italiani", in quanto autore che ispira le proprie ricerche al principio dell'evidenza ed al riscontro documentale dei dati.
Per quanto riguarda i prezzi, con l'indicatore di competitività messo a punto dalla Banca d'Italia e cioè il tasso di cambio effettivo, reale dei manufatti italiani rispetto a quelli dei principali partner commerciali, si rileva che: la perdita di competitività è stata particolarmente forte tra il 1995 e il 1996 e tra il 2002 e il 2003 (ad esempio, fatto 100 l'indice dei prezzi nel 1995, l'Italia ha registrato incrementi, cioè perdite di competitività, del 16,8 per cento, di fronte a una Germania che invece ha guadagnato in competitività per un 7,9 per cento).
Per quanto concerne l’export, la perdita delle quote di mercato è stata molto rapida negli anni 1996-2001, ma è continuata anche negli anni 2001-2003 ed è particolarmente pronunciata nei confronti dei mercati europei e, contrariamente a quanto si sente spesso affermare, essa non è parte di un comune problema europeo. Infatti, sia negli anni ante-crisi (1996-2001), sia nell'ultimo biennio (2001-2003), la quota dell'export dell'UEM sull’export OCSE è aumentata, nonostante il forte apprezzamento dell'euro.
Per quanto riguarda la crescita, utilizzando gli indicatori fondamentali della crescita - cioè la produzione industriale, il PIL ed il PIL per abitante - si rileva come la crescita dell'Italia nel periodo 1992-1997 è allineata a quella dell'Europa, ma che l'Europa non regge il passo degli altri Paesi OCSE né in termini assoluti (crescita del PIL) né in termini relativi (crescita del PIL per abitante). Nel periodo 1997-2001 la crescita europea torna ad allinearsi con quella dell'OCSE, ma l'Italia non regge più la corsa nei confronti dell'Europa né in termini di produzione, né in termini di PIL, né in termini di PIL per abitante.
Di un profilo così problematico dell'andamento dell'economia italiana aveva perfetta conoscenza anche l'attuale maggioranza, che delle difficoltà economiche del nostro Paese ha fatto un cavallo di battaglia nella competizione elettorale per il rinnovo del Parlamento del 2001.
Ne era convinto anche il Governo che, con il DPEF 2001-2006, constatando che "negli anni '90 la parte maggiore e più significava degli indici internazionali marca il progressivo spiazzamento competitivo del nostro Paese rispetto agli altri Paesi concorrenti" proclamava, riferendosi ai cinque anni della XIV legislatura, che stava per iniziare "una legislatura in cui il nostro Paese può, anzi deve decidere il suo futuro: l'alternativa è tra declino e sviluppo. Il declino è evitabile, lo sviluppo è possibile. Possiamo cambiare politica, invertire la tendenza, passare dal declino allo sviluppo".
Tutti i dati a disposizione, signor Presidente, così come quelli sopra riportati, dimostrano in maniera incontrovertibile che gli andamenti riflessivi della nostra economia si sono accentuati a partire da questa legislatura e che, quindi, questo Governo non solo non ha saputo cogliere i segni di ripresa che potevano derivare dalla riforma monetaria introdotta dal precedente Governo di centro-sinistra, ma ha messo in cantiere un insieme di interventi tutti volti a declinare il tema della fiscalità come leva per la ripresa economica che hanno dimostrato la loro inefficacia.
Anche nei primi mesi di quest'anno, infatti, gli indicatori non portano notizie buone, in quanto denunciano una produzione industriale con segni preoccupanti di cedimento, un calo delle esportazioni ed un aumento del PIL molto contenuto (si stima uno 0,7 per cento).
Ho fatto richiamo alle condizioni in cui versa l'economia del Paese e le sue dinamiche, a fronte anche delle azioni di Governo di quest'ultimo periodo, per dire che la situazione è molto seria e che dobbiamo quindi leggere questo provvedimento non solo sotto il profilo della sua corrispondenza alle linee guida richieste dall'Unione Europea ai Paesi aderenti, note come Lisbona 2, ma anche e soprattutto sotto quello della sua idoneità ad affrontare una crisi strutturale che investe la nostra società e la nostra economia.
Ebbene, la Commissione bilancio ha lavorato molto - come è stato già ricordato - su questo provvedimento apportandovi numerose modifiche, con l'obiettivo anche di trasferire in esso molte delle disposizioni contenute nel disegno di legge n. 5736 all'esame della Camera.
L'iniziativa è senz'altro apprezzabile poiché, così facendo, si può superare il pericolo dello scoordinamento delle norme che ho paventato all'inizio, ed è anche apprezzabile per quelle parti con le quali si è dato avvio alla riforma del diritto fallimentare e processuale civile, che lo rendono più consono alle esigenze del mercato. Ciò che non convince, però, è la sua parzialità ed il fatto della delega che porta troppo in avanti nel tempo la sua entrata in campo.
Anche gli interventi per i rapporti con l'estero incentrati sul "sistema informativo visti", e sull'incarico SIMEST di intervenire nel capitale di rischio delle società che rientrano in Italia o che investono in attività aggiuntive, possono essere utili ma non certo sufficienti a togliere le nostre imprese dalla condizione di inferiorità organizzativa nei confronti degli altri Paesi concorrenti sull'estero.
Stessa considerazione può essere fatta in ordine alle numerose disposizioni volte a favorire l'innovazione di processo e di prodotto delle nostre imprese, poiché non si utilizzano fondi freschi ma fondi distolti da altri scopi. Il fare leva poi sul credito di imposta a domanda per favorire la concentrazione delle piccole imprese è misura insufficiente, come insufficiente è la riforma degli incentivi che trasforma i mutui agevolati in contributi in conto capitale.
Per lo sviluppo delle infrastrutture si utilizzano risorse del Fondo aree sottoutilizzate, cambiandone con ciò le destinazioni fatte due anni fa.
Non molto convincenti sono poi le altre numerose disposizioni in materia di agricoltura, di turismo, di previdenza integrativa, di ONLUS, poiché le relative misure, pur condivisibili, non assumono carattere strutturale ed anche perché le risorse messe in campo sono del tutto insufficienti a produrre gli effetti che il provvedimento si propone.
In ultima analisi, signor Presidente, sembra che il provvedimento che stiamo esaminando sia frutto di un dovere piuttosto che di un convincimento.
D'altra parte, dobbiamo essere consapevoli che il compito è molto impegnativo perché conferire oggi al sistema Italia il carattere della competitività non è soltanto opera di ingegneria economica, ma è soprattutto opera paziente e illuminata della politica per infondere negli animi la voglia di costruire una società migliore: una società più giusta, più accogliente, più aperta alla modernità, più creativa, più operosa. Vale a dire una società che, avendo metabolizzato il proprio passato, sa intraprendere un nuovo cammino in Europa ricostruendo la comprensione tra le persone, la coesione tra le famiglie, la concertazione tra le parti sociali e le alleanze tra le istituzioni.
PRESIDENTE. Rinvio il seguito della discussione del disegno di legge in titolo ad altra seduta.
SENATO DELLA REPUBBLICA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾ XIV LEGISLATURA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾
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787a SEDUTA |
PUBBLICA |
RESOCONTO STENOGRAFICO |
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MERCOLEDI’ 27 APRILE 2005 (Antimeridiana) |
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Presidenza del vice presidente DINI,
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Seguito della discussione del disegno di legge:
(3344) Conversione in legge del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale (Relazione orale) (ore 9,39)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge n. 3344.
Ricordo che nella seduta pomeridiana di ieri è proseguita la discussione generale.
È iscritto a parlare il senatore Chiusoli. Ne ha facoltà.
CHIUSOLI (DS-U). Signor Presidente, onorevoli colleghi, i provvedimenti sulla competitività, di cui stiamo discutendo una parte, saranno forse integrati dalle norme contenute in un disegno di legge che verrà esaminato dalla Camera dei deputati e di cui non conosciamo né l’oggetto, né la portata.
La norma è stata comunque già oggetto in Commissione della presentazione di una serie di emendamenti proposti sia dalla maggioranza che dal Governo. Essa è il frutto di una discussione - avvenuta sempre all’interno della maggioranza e del Governo - durata almeno sei mesi ed ha rappresentato l’ultima umiliazione del ministro Marzano, della cui attività non abbiamo condiviso pressoché nulla, ma al quale cogliamo l’occasione per manifestare tutta la nostra umana solidarietà.
Si tratta di un provvedimento, peraltro, che avrebbe dovuto essere presentato lo scorso settembre, e che poi avrebbe dovuto trovare posto nella legge finanziaria per il 2005. Successivamente si è deciso che sarebbe stato meglio inserirlo nell’ambito del disegno di legge collegato, infine si è stabilito di farne un testo autonomo ma diviso in due parti, di cui l’una da varare con legge ordinaria e l’altra - quella al nostro esame - collocata in un decreto-legge che contiene norme talmente diverse tra loro ed eterogenee per materia da costringere il Presidente del Senato a proporre addirittura che venisse esaminato da una Commissione ad hoc, per essere infine approvato - come è ormai consuetudine - a colpi di fiducia.
Ebbene, tali provvedimenti sono il simbolo e l’emblema di questi Governi, dei quali costituiscono l’evidente parabola; un’incapacità cronica a governare, cioè a scegliere e a decidere con razionale incisività, a fissare obiettivi definiti e ad individuare percorsi legislativi efficaci, sostenuti da scelte possibili e non generiche.
Questi provvedimenti mostrano tutta l’insufficienza strutturale e i limiti di una classe politica e di Governo con poche idee precise, spesso sbagliate, e molta confusione complessiva, nella più completa assenza di un brandello di politica industriale, avendo tutto affidato alle presunte capacità salvifiche del mercato come supremo regolatore e timoniere dei processi economici nazionali.
Non solo; contemporaneamente si è perseguita e proseguita, anziché una liberalizzazione opportuna e spesso necessaria di produzioni e servizi, una privatizzazione indiretta e selvaggia della salute come della scuola, senza norme di inquadramento, ma semplicemente riducendo in maniera drastica le risorse disponibili, inducendo così una crescente sfiducia nel pubblico e una conseguente costosa ricerca di un privato non all’altezza e spesso rapace.
Signor Presidente, oggi il nostro Paese purtroppo ha davanti a sé due anni di più che probabile stagnazione, secondo il giudizio dei maggiori osservatori economici nazionali ed internazionali, con crescite oscillanti dallo 0,5 all’1,5 per cento del PIL e un deficit tra il 3 e il 3,5 per cento. E le poche buone soluzioni, come per il diritto fallimentare, pure apprezzabili, sparse qua e là in questo decreto non prefigurano certo un ventaglio di interventi capaci di rimettere strutturalmente in moto la nostra macchina per la produzione di ricchezza, unica soluzione efficace ai nostri problemi. E l’esiguità dei fondi aggiuntivi è ridicola quanto la proposta di alienare le spiagge del Mezzogiorno.
Certo, comprendiamo la valutazione che alcune organizzazioni di impresa molto pragmaticamente compiono: piuttosto del nulla dateci questo poco, anche se brutto ed insufficiente, ma subito. Comprendiamo. Ma come forza politica che si appresta a proporsi per il Governo del Paese, non possiamo condividere. Sarebbe indispensabile innanzitutto un’analisi seria e serena, possibilmente univoca, dello stato della nostra economia, dei conti pubblici e del sistema produttivo per potere da essa partire nella ricerca comune - dico comune - degli interventi necessari e, soprattutto, di quelli realisticamente possibili.
La ricchezza nazionale non è - o meglio non dovrebbe essere - patrimonio disponibile di chi, pro tempore, governa la Nazione: dovrebbe essere - se l’espressione non scandalizza e mi è consentita - bene comune. Ma il Governo, clamorosamente battuto e dimissionato dagli italiani, ha continuato e oggi continua a ripetere di aver fatto grandi cose, a sostenere che la nostra è una posizione strumentalmente catastrofista. Notiamo che gli italiani la pensano come noi, a partire da una valutazione sulla gravità della crisi che i produttori tutti e i lavoratori tutti condividono.
Si sarebbero dovuti mettere in campo alcuni mirati - e aggiungo chirurgici - interventi capaci di rivitalizzare un sistema atrofizzato per esasperato e prolungato immobilismo. La nostra proposta emendativa ha cercato di rendere evidenti tali scelte che, in molti casi, in queste ore, il Governo sembra di nuovo aver fatto sue, a partire - senza ombra di dubbio - dalla diminuzione della pressione fiscale sul lavoro, con l’attacco al cuneo fiscale, vera palla al piede del nostro sistema produttivo, agendo sulle basi imponibili e sul costo del lavoro.
La seconda questione sulla quale occorreva intervenire riguarda la dimensione delle imprese e i processi di integrazione, che non possono essere affrontati con interventi - anch’essi accettabili - sui costi accessori, quali quelli in questo provvedimento affrontati, ma con una norma che accompagni lo start up delle nuove realtà produttive, seguendole almeno per la prima fase della nuova vita aziendale.
Terzo punto sul quale concentrarsi è senza dubbio quello della ricerca applicata; solo intervenendo in modo sostanzioso sul costo dei ricercatori effettivamente assunti o, meglio ancora, sui contratti fatti dalle imprese o dalle università o dai centri di ricerca pubblica si può pensare di incentivarne l'attivazione e l'espansione.
La quarta priorità di azione concerne l'intervento non tanto e non solo sul terreno dell'innovazione dei processi di produzione, bensì sull'innovazione riguardante i prodotti e la loro natura, insomma il premio a chi possiede la scintilla che fa scattare un nuovo destino aziendale. Il tutto in un quadro nel quale Sviluppo Italia non sia prefigurata come una nuova minuscola o gigantesca IRI, ma sia invece riportata alla sua missione originaria di strumento per l'attrazione di investimenti nel Paese; soprattutto si divenga consapevoli che le risorse disponibili sono poche, anzi pochissime, e vanno concentrate nel produrre ricchezza. Che c'entrano, dunque, con la competitività i trasferimenti di proprietà dei veicoli, o il ventilato strangolamento dei centri di servizio del volontariato?
Vi è poi la riforma del sistema degli incentivi, sulla quale abbiamo presentato specifica e dettagliata proposta emendativa, che illustreremo se ci sarà una discussione, ma i cui cardini voglio ora riassumere, a cominciare da una rimodulazione dell'intensità dell'intervento che non vada da un estremo ad un altro, entrambi sbagliati, reprimendo duramente gli eventuali abusi, quando necessario.
Infine, - concludo, Presidente - occorre flessibilità sia nel rapporto tra i vari tipi di finanziamento che nelle fonti di provviste ed un adeguato sistema di possibili garanzie per le piccole e medie imprese, lasciate spesso sole, sia davanti a Basilea 2, sia nei casi dell'internazionalizzazione; occorre la rimodulazione degli interventi per il Mezzogiorno su esperienze di provato successo, così come nuovi criteri per il necessario riordino dell'intera legge n. 488 del 1992 e dei contratti di programma.
Noi siamo qui, come sempre, pronti con il nostro contributo di proposte, anche se alcuni osservatori sembrano non vedere. Pensavamo di avere oggi come interlocutore, come auspicavano anche autorevoli esponenti della stessa maggioranza parlamentare, un Governo segno della discontinuità, con autorevoli, nuove e significative presenze. È rientrato dalla finestra il Ministro dell'economia cacciato dalla porta, che subito ha rimesso in moto la sua pestifera fantasia, e si è trovata una consolazione per un autorevole sconfitto, accanto ad alcune frattaglie politiche. È uno scenario che mantiene vive tutte le tensioni della maggioranza parlamentare, creandone delle nuove all'interno dei partiti che la compongono.
Gli italiani hanno preso nota. È l'ennesima fuga dalla realtà che viene loro offerta; e intanto il Paese reale attende. Cercheremo con tutte le forze di impedirvi di fare ulteriori danni al Paese. (Applausi dal Gruppo DS-U).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Bastianoni. Ne ha facoltà.
BASTIANONI (Mar-DL-U). Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, colleghi, questo Piano per la competitività pare innanzitutto un provvedimento tardivo, che anzi avrebbe dovuto vedere la luce come maxiemendamento alla legge finanziaria per il 2005, poi sotto forma di collegato alla finanziaria stessa.
Attualmente è stato presentato in doppia veste: quella di decreto-legge al Senato e di disegno di legge alla Camera. Si caratterizza innanzitutto come un provvedimento manifesto per il suo carattere propagandistico e per la scarsa possibilità di attuazione in questa legislatura. Non è stata attivata alcuna forma di concertazione o di consultazione con le categorie economiche, nonostante queste forze sociali e organizzazioni imprenditoriali abbiano più volte rappresentato al Governo misure volte a rilanciare l'economia.
Entrando nel merito, possiamo subito affermare che si tratta di un provvedimento caratterizzato dall'estrema corposità, un insieme inorganico di proposte, di microinterventi settoriali. Ci troviamo di fronte ad una sorta di bazar per il rilancio dell'economia, privo di selettività negli interventi. Sembra di capire che siano stati svuotati tutti i cassetti dei Ministeri che avevano in itinere provvedimenti per la passata finanziaria, inseriti poi in questo pacchetto.
Vi è poi un problema di dotazioni finanziarie: l'entità delle risorse impegnate è assolutamente inadeguata rispetto agli obiettivi che si pongono.
In sostanza, si spostano fondi da un capitolo all'altro, senza assegnare risorse aggiuntive; si tagliano 700 milioni dal fondo di cui alla legge n. 488 del 1992, si prevedono 230 milioni di aumento delle accise sulla birra e sugli alcolici e 100 milioni l'anno per le entrate da videogiochi. La dotazione finanziaria è assolutamente insufficiente per il 2005, ci si limita a una previsione di spesa per gli anni a venire: la maggioranza e il Governo rinviano quindi alla prossima legislatura la risoluzione delle questioni decisive per il sistema economico del Paese.
In questo pacchetto manca soprattutto un'analisi della situazione economica dell'Italia: ci troviamo di fronte a circa quattro anni di mancata crescita, il periodo di stagnazione più lungo dal dopoguerra. Per troppo tempo il fenomeno è stato sottovalutato dal ministro Tremonti, che avete richiamato al Governo e premiato per i danni arrecati al nostro Paese, nella convinzione illusoria che la spontanea ripresa del mercato avrebbe trainato anche il rilancio del sistema economico, ma così non è stato.
Colleghi, l'aggressività competitiva dei Paesi asiatici pesa sull'Italia a causa della specializzazione produttiva della nostra industria manifatturiera, e dobbiamo essere consapevoli che il problema industriale italiano ha origine in Italia e non in Cina.
Sono note le fragilità strutturali che affliggono il nostro sistema produttivo: abbiamo una scolarizzazione inadeguata, la percentuale dei laureati del nostro Paese rispetto ai partners europei è significativamente più bassa, così come più bassa è la spesa per innovazione e ricerca. Il gap infrastrutturale delle reti materiali e digitali ci pone in posizione di sostanziale svantaggio nei confronti dei Paesi europei. Abbiamo squilibri territoriali, soprattutto nel Mezzogiorno.
Sono problemi antichi che non possiamo imputare a questo Governo: sarebbe ingiusto e ingeneroso. Tuttavia, in questi anni il Governo Berlusconi ha manifestato un vuoto di strategia di politica economica e industriale, aggravando tutti questi problemi e le fragilità. Il Paese sente questa inadeguatezza: gli imprenditori hanno tirato i remi in barca, non investono, non innovano, sono rassegnati, così come le famiglie, che rinviano gli acquisti, anche quelle che hanno i mezzi non consumano. È questo uno dei grandi problemi che il nostro Paese sta attraversando.
Entrando nel merito delle misure, mi soffermo sugli interventi a sostegno delle imprese per superare la limitata dimensione aziendale. Il 95 per cento delle imprese italiane è al di sotto di dieci dipendenti e nel pacchetto per la competitività è previsto un premio di concentrazione per favorire le fusioni. La misura è quasi provocatoria: si tratta del 50 per cento del credito di imposta a favore degli studi e delle consulenze preparatorie per aumentare le dimensioni aziendali, per favorire la concentrazione.
È quindi prevista la modifica degli incentivi al sistema delle imprese: la concessione di finanziamenti sarà ora subordinata alla contestuale erogazione di finanziamenti bancari ordinari a tasso di mercato per il 25 per cento del finanziamento; l'altro 25 per cento sarà a tasso agevolato e soltanto il 50 per cento a fondo perduto.
Vi è poi il grande problema delle infrastrutture: la legge obiettivo appare sempre più un miraggio, le risorse sono largamente insufficienti anche in questo ambito e i 750 milioni di euro previsti basterebbero sì e no per completare la Salerno- Reggio Calabria: altro che piano delle opere progetto-obiettivo, quello disegnato dal Presidente del Consiglio nel salotto di Vespa nel 2001!
Un altro grosso problema è la semplificazione amministrativa, una pubblica amministrazione più efficiente e più efficace. Viene prevista una dichiarazione di inizio attività, nei suoi obiettivi anche condivisibile, ma la vaghezza del testo del provvedimento e l’ambito di applicazione la rendono assolutamente non adeguata.
Un grande problema investe le liberalizzazioni. Non è pensabile continuare a tergiversare sul piano della maggiore offerta, per esempio, di energia elettrica, aumentando anche il fattore energetico che incide pesantemente sui costi del prodotto finito: quindi, si dovrebbe prevedere una aumentata disponibilità di offerta di energia elettrica, così come andrebbe superata la tendenza monopolistica dell’ENI sul mercato del gas.
Concludo evidenziando la grande delusione per il rilancio del settore turistico, la più grande industria del nostro Paese. Anche in questo caso le misure sono francamente deludenti: viene prevista la trasformazione dell’ENIT in Agenzia del turismo privata, ma non vi è più alcun riferimento ai finanziamenti della citata legge n. 488 per gli incentivi nel settore turistico né a quelli per la legge n. 135 del 2001 sui sistemi turistici locali e per la legge n. 273 dello stesso anno al fine di accelerare i visti turistici ed eventualmente prevedere un regime IVA più vantaggioso.
Mi consenta, signor Presidente, un’ultima battuta: altro che vendere le spiagge! Cominciate ad abbattere i canoni demaniali, come chiedono gli operatori balneari; altro che promesse di tale natura! Credo sia necessaria, signor Presidente, una nuova stagione politica che l’attuale Governo non è in grado di assicurare al Paese. (Applausi dal Gruppo Mar-DL-U e dei senatori Mascioni e Betta).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice D’Ippolito. Ne ha facoltà.
D'IPPOLITO (FI). Signor Presidente, signor Vice ministro, onorevoli colleghi, il decreto-legge in esame ha il pregio di intervenire per la prima volta in modo radicale su numerose problematiche ed inefficienze del nostro sistema produttivo, restituendo agli operatori del settore un quadro di certezze, per imprimere una radicale accelerazione allo sviluppo del Paese. Si tratta, infatti, di un provvedimento estremamente complesso, che introduce mutamenti di rilievo pressoché in tutti gli aspetti nevralgici riconducibili alle "attività produttive" intese nella loro accezione più ampia, con ciò testimoniando l’impegno promosso dal Governo per la crescita del Paese.
Sotto questo profilo, di particolare interesse appaiono le disposizioni a tutela del made in Italy, in continuità con quanto già previsto nella legge finanziaria per il 2004 che mirano, tra l'altro, a scoraggiare fortemente le pratiche di contraffazione che stanno minando strutturalmente non solo la legalità, ma anche la stessa efficienza e redditività di numerosi settori produttivi.
Significativa in tal senso l’introduzione della sanzione amministrativa prevista in caso di acquisto o accettazione dei beni in violazione delle norme in materia d’origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà intellettuale; normativa importante, rafforzata peraltro dall’approvazione in Commissione bilancio di un emendamento che prevede addirittura la confisca dei beni.
Naturalmente non possiamo vincere solo noi la battaglia; la si deve affrontare e vincere in sede europea. In tal senso, l’auspicio e l’appello rinnovato al Governo di affrontare con determinazione e rigore la sfida che certo può e deve essere anche risolta.
Anche le disposizioni di riforma del diritto fallimentare sono improntate al ripristino di una maggiore efficienza, in quanto conferiscono maggiore flessibilità e sicurezza ai rapporti di credito, rafforzando altresì la certezza della tutela dei creditori e l'immediatezza delle procedure di realizzo. II decreto-legge ha, infatti, il pregio di precisare meglio i presupposti per l'esercizio dell'azione elencando gli atti revocati, salvo che l'altra parte non provi la non conoscenza dello stato d'insolvenza del debitore.
Rilevante appare, inoltre, la disciplina in tema di esenzioni dalla revocatoria volta ad evitare che situazioni meritevoli di tutela vengano travolte dall'esercizio strumentale delle azioni giudiziarie conseguenti all'accertata insolvenza del destinatario dei pagamenti. La nuova disciplina del concordato preventivo rende più efficace e flessibile tale istituto, consentendo di risolvere le situazioni di crisi anche attraverso accordi stragiudiziali che abbiano ad oggetto la ristrutturazione dell'impresa.
Di fondamentale importanza appaiono, poi, le disposizioni in tema di dichiarazione di inizio di attività, come ampiamente riconosciuto anche da diversi esponenti delle forze di opposizione. La possibilità di sostituire ogni atto di autorizzazione vincolata con una dichiarazione di inizio attività costituisce, infatti, una marcata accelerazione verso la liberalizzazione delle attività produttive, senza tuttavia trascurare l'esigenza di poter effettuare, se del caso, i necessari controlli.
Sempre a finalità di semplificazione procedurale e di connessa riduzione dei costi vanno giustamente evidenziate le disposizioni in tema di soppressione dell'obbligo di ricorso al notaio per i passaggi di proprietà di veicoli.
Lo sportello telematico per le attività produttive, la revisione dell'ICI sui grandi impianti, l'ampliamento dell'autocertificazione, la definizione del silenzio-assenso per l'avvio di attività produttive ed il rafforzamento degli sportelli unici costituiscono solo alcuni tra i numerosi aspetti nevralgici affrontati dal decreto-legge per la competitività del sistema-Paese.
Non va poi dimenticato che nel contestuale disegno di legge all'esame dell'altro ramo del Parlamento è contenuta la delega al Governo ad emanare uno o più decreti legislativi per la semplificazione degli adempimenti amministrativi delle imprese, esclusi quelli fiscali, previdenziali, ambientali, nonché quelli gravanti sui datori di lavoro.
Tra le disposizioni contenute nel decreto-legge per favorire lo sviluppo dell'economia non posso sottacere l'importanza delle nuove regole sulle erogazioni liberali al no profit. È infatti la prima volta che viene concesso a privati e imprese di portare in deduzione dal reddito importi così elevati per le liberalità al cosiddetto terzo settore.
Sono inoltre previste disposizioni volte a promuovere gli investimenti in ricerca svolti congiuntamente da imprese e università o enti pubblici di ricerca e per altre finalità di pubblico interesse, né vanno trascurate le disposizioni in tema di interventi per la diffusione di tecnologie digitali e la preannunciata riforma degli incentivi alle imprese che consentirà di contemperare i bisogni del sostegno pubblico con l'inderogabile necessità di una gestione maggiormente razionale e produttiva della spesa pubblica.
II Governo si è occupato adeguatamente anche del comparto primario con importanti misure finalizzate alla stabilizzazione della cosiddetta IVA agricola: in tal modo, i benefici già previsti per gli agricoltori e le cooperative di produzione vengono espressamente estesi alle cooperative di trasformazione, anche alla luce della recente modifica apportata all'articolo 2135 del codice civile.
È stato poi introdotto il contratto di distretto quale strumento di programmazione negoziata attuabile con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali per favorire nelle aree sottoutilizzate la realizzazione di programmi di investimenti.
Al fine di rilanciare il settore turistico, nel rispetto del riparto di competenze delineato dalla riforma del Titolo V, è stata prevista la trasformazione dell'Ente nazionale del turismo in Agenzia nazionale del turismo, affidando i poteri di indirizzo e vigilanza al Ministero delle attività produttive. Tra i compiti dell'Agenzia è in particolare previsto lo sviluppo e la cura del turismo culturale, in raccordo con le iniziative di valorizzazione del patrimonio culturale.
In un'ottica di profondo rinnovamento il Governo ha avuto il coraggio di investire nelle capacità imprenditoriali, scientifiche, professionali, tecnologiche e finanziarie che consentono di alimentare il processo di creazione della ricchezza, nella consapevolezza della necessità di affiancare una politica industriale innovativa alla politica macroeconomica, al fine di agevolare le imprese, superando i vincoli produttivi e i fattori di limitazione della crescita. È bene ribadire con chiarezza che il processo di perdita della competitività è in corso da diversi anni ed era tangibile ben prima della corrente legislatura: il Paese non ha perso competitività in questi ultimi tre anni, la perdita di competitività del Paese ha cominciato a manifestarsi almeno dal 1995.
A partire dall'inizio di questa legislatura il Governo ha inoltre dovuto fronteggiare una generale tendenza alla stagnazione, almeno in Europa. È riuscito, in questa fase di grave difficoltà, a porre la premessa per il rilancio dell'economia. Ha mantenuto i suoi impegni per una progressiva riduzione delle imposte, pur garantendo, più efficacemente di altri Paesi europei, la sostanziale tenuta dei conti pubblici.
L'entrata in vigore del complesso di misure all'esame di entrambi i rami del Parlamento consentirà di imprimere la necessaria accelerazione al ciclo economico, anche grazie ai risanamenti e alle innovazioni già realizzati dall’Esecutivo nel corso di questi quattro anni di legislatura, ponendo rimedio all'inerzia manifestata da Governi precedenti nel risolvere i problemi strutturali dell'economia del Paese, in un quadro finalmente compatibile con le esigenze di contenimento della spesa pubblica, conformemente alle caratteristiche che deve avere il modus operandi di uno Stato moderno, efficiente e innovativo.
Condivido con l’opposizione la convinzione che la priorità dell’oggi è quella di rianimare la crescita, di rilanciare la competitività ed una politica industriale dove il Sud costituisca motore e risorsa, in un quadro di riequilibrio occupazionale e produttivo. Sono altresì convinta che questo sia un passo importante, anche se certamente non l’unico. (Applausi dai Gruppi FI e AN. Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Marino. Ne ha facoltà.
MARINO (Misto-Com). Signor Presidente, chiedo scusa, ma forse ho un po’ di tempo in più a disposizione, come Gruppo Misto, non utilizzato.
Per ragioni di tempo, mi riporterò ampiamente anche alla relazione di minoranza del senatore Caddeo.
Anche noi Comunisti italiani da tempo abbiamo lanciato un grido di allarme ed espresso grandi, profonde preoccupazioni per lo stato dell’economia reale del nostro Paese, per le condizioni in cui versano i conti pubblici, per il continuo logoramento del potere di acquisto dei salari, degli stipendi e delle pensioni ed abbiamo da anni sottolineato la progressiva perdita di competitività del sistema produttivo e la conseguente perdita di quote di mercato.
Abbiamo anche sottolineato il declino, che non è solamente industriale, ma - come è stato già detto - anche sociale e culturale, aggravatosi in questi ultimi anni e che si aggraverà ulteriormente, ove non si produca un forte e coerente sforzo per arrestarlo, per migliorare la competitività e aumentare la crescita, ferma all’1,2 per cento rispetto al 2,1 per cento preso a base dal Governo, il che finirà inevitabilmente per influire sull’ammontare del deficit, stimato dall’Unione Europea al 3,6 per cento per il 2005 e al 4,6 per cento per il 2006, se non si porrà rimedio per tempo.
Ora, non vi è dubbio sulla necessità di conseguire questi obiettivi, la competitività, la crescita, ma a nostro avviso il miglioramento della competitività deve avvenire nel rispetto del modello sociale europeo. La competitività, cioè, deve coniugarsi con un modello di sviluppo sociale equilibrato, con particolare riferimento alle aree sottoutilizzate, cioè quelle del Mezzogiorno.
Così, non vi è dubbio sulla necessità della crescita, che però non è il risultato dello spontaneismo di mercato, bensì di un’azione pubblica mirata e costante.
Quindi, il problema non è la condivisione o meno degli obiettivi, perché questi ultimi sono condivisi; il problema è la terapia. È questo che ci differenzia rispetto a quanto diceva il senatore Izzo nella sua relazione.
È difficile valutare complessivamente gli effetti congiunti delle diverse misure, molte delle quali ad attuazione differita nel tempo, sparse nei vari provvedimenti: quello che abbiamo oggi in esame, l’altro che giace presso la Camera dei deputati e quello sulla internazionalizzazione delle imprese, recentemente licenziato dal Senato; misure alle quali manca una visione strategica di fondo. Quali saranno gli effetti che produrranno questi provvedimenti? Di quanto aumenterà il PIL? Di quanto l’export? Quali saranno i benefìci reali per il Sud?
Vi sono anche delle norme in parte accettabili; mi riferisco a quelle sul diritto fallimentare e a quelle sulla semplificazione amministrativa, anche se nel complesso sono insufficienti e non direttamente funzionali allo scopo. Inaccettabile, comunque, e non condivisibile è il cosiddetto riordino degli incentivi alle imprese.
Quindi, la crescita è un obiettivo comune. Certamente le difficoltà nel rilancio dell’economia sono anche di altri Paesi ma, a differenza di quanto diceva il relatore Izzo, credo che in Italia vi siano responsabilità specifiche per le più gravi difficoltà in cui versa il Paese a differenza di altri in Europa. Pertanto, non è vero che la bassa crescita sia comune a tutti i Paesi europei (il senatore Morando, che mi ha preceduto nel dibattito, lo ha ampiamente dimostrato); non è vero comunque che la minore competitività sia addebitabile al maggiore costo del welfare europeo; non è nemmeno vero che per questo Governo il Sud sia stato o sia una priorità.
La verità è che il modello di specializzazione della nostra economia è debole e più esposto alla concorrenza, soprattutto da quando non sono più consentite svalutazioni competitive della lira, che per favorire l’export finivano per penalizzare e svalutare gli stipendi, i salari e le pensioni.
Non si può non rilevare come non vi sia alcun cenno di autocritica, né da parte del Governo, né della maggioranza, per la politica economica complessiva posta in essere da quattro anni a questa parte. Il dato di fatto è che nel 2001 il risanamento finanziario del Paese era avvenuto; c’era stato un risparmio della spesa per gli interessi sul debito di circa 80.000 miliardi annui, un avanzo primario che superava il 5 per cento, ridotto al 2 per cento e che tende a scomparire man mano.
Questo lascito è stato completamente dilapidato per i regali fiscali fatti, a partire dall’abolizione totale delle imposte di successione, per non parlare della Tremonti-bis che non ha raggiunto nessuno dei risultati che si prefiggeva, del provvedimento di riduzione delle aliquote fiscali prima a tre, poi a due, e pare finalmente abbandonato, e soprattutto dei vari condoni, delle varie sanatorie fiscali e della rinunzia totale alla lotta all’evasione e all’elusione fiscale.
Oltre alla leva fiscale, si è fatto leva sulla riduzione delle tutele sociali e dei diritti dei lavoratori. Questa è stata la linea di politica economica seguita per affrontare i problemi della concorrenza internazionale e dello sviluppo del nostro sistema produttivo, mentre ben si poteva utilizzare il risparmio conseguito per la ricerca e l’innovazione, per il rilancio delle infrastrutture, per affrontare la questione salariale e quindi per allargare la domanda interna ed i consumi (voglio ricordare che i contratti del pubblico impiego sono fermi da un anno e mezzo). Soprattutto, volendo adottare qualche misura fiscale, sarebbe stato più equo restituire il fiscal drag e non certamente fare tanti regali agli amici.
In questo provvedimento si parla di rafforzamento del sistema doganale a protezione del made in Italy e, per la lotta alla contraffazione. A livello europeo, anche il nostro Governo spinge verso l’adozione di misure protezionistiche, con il rischio di logorare le relazioni commerciali con la Cina e di destabilizzare l’interscambio se queste misure venissero adottate senza dialogo tra le parti.
Insomma, riemergono posizioni neoprotezionistiche, se non anti-cinesi, espresse da tempo dall’ex Ministro dell’economia, ora Vicepresidente del Consiglio, e da esponenti della Lega per nascondere, come ricordava il collega Bastianoni, le mancate scelte di politica economica volte a rafforzare la competitività dell’Azienda Italia in un mondo sempre più globalizzato, ove l’innovazione e la ricerca scientifica sono determinanti per la produzione di merci ad alto valore tecnologico aggiunto.
La Cina, ormai è un’ovvietà, non costituisce solo un pericolo per il suo basso costo del lavoro, ma anche una grande opportunità per l’Italia.
Come è stato da più parti detto, il nostro Paese non solo può avere un grande mercato di sbocco per la sua produzione più creativa, per i beni di lusso, per i prodotti manifatturieri e chimici, ma con i suoi tesori culturali costituisce un’attrattiva ineguagliabile anche dal punto di vista turistico. Si calcola già oggi in 50 milioni il numero di potenziali turisti cinesi in grado di viaggiare.
D’altra parte, si sapeva da tempo che con il 2005 sarebbe caduta la barriera commerciale con la Cina e che quindi si sarebbe posta con maggior forza l’esigenza di una politica di accompagnamento da parte del Governo attraverso la promozione industriale, il marketing e il sostegno alla ricerca e alle innovazioni tecnologiche. Troppi, però, i ritardi accumulati e le occasioni mancate da parte dei nostri imprenditori, di quelli che ancora dirigono settori delle ex Partecipazioni statali e di quelli privati, a differenza di altri, come i tedeschi, i francesi e gli inglesi.
Ora come non mai l’Italia e il Sud in particolare sono il ponte necessario non solo verso i Paesi dell’altra sponda del Mediterraneo, ma verso l’Asia, la Cina e l’India, se è vero che il commercio dell’Europa con questi Paesi è destinato nei prossimi decenni a crescere in maniera vertiginosa. La sola Cina, con i suoi indici di crescita e con le opportunità offerte da un mercato di 1,3 miliardi di persone, fa già da traino dell’economia mondiale e sarà in futuro un’altra locomotiva in movimento.
Per l’Italia, quindi, e per il Mezzogiorno in particolare, si apre la prospettiva di essere non più la remota periferia dell’Europa bensì la chiave di volta di un nuovo sistema di rapporti nel mutato scenario geopolitico mondiale, di nuove direttrici di scambio.
Ecco perché le infrastrutture al Sud (vorrei dirlo ai colleghi del Nord, in particolare a quelli della Lega) non servono solamente al Sud ma all’intero Paese e all’Europa. Invece le opere infrastrutturali del piano Lunardi sono tutte concentrate ed orientate al Nord. Le stesse infrastrutture di trasporto transeuropee sono orientate sull’asse Est-Ovest più che sull’asse Nord-Sud, cioè più che sull’asse proiettato verso il Mediterraneo. Questo allora impone il congiungimento del Sud al Nord in termini di comunicazioni, perché la dotazione di trasporti al Sud è inferiore ai livelli medi nazionali europei e quindi in termini di collegamenti orizzontali e trasversali, di reti idriche e di energia. Insomma, l’emarginazione del Sud è un errore in quanto il Sud è un ponte dell’Unione Europea verso la sponda Sud e verso il Sud-Est del Mediterraneo.
Inoltre, per quanto riguarda il Sud, dobbiamo smetterla con le "sparate" propagandistiche dell’attuale vicepresidente del Consiglio Tremonti, e cioè che il Sud avrebbe visto raddoppiati i fondi per cui, se qualcuno mette in dubbio quanto asserito dal vicepresidente Tremonti si vada allora dal notaio, e se non è così, si dimetta. La Corte dei conti, però, è già il notaio della situazione e nella finanziaria del 2004, in sede di audizione, aveva già osservato che "le risorse dedicate alla incentivazione nelle aree sottoutilizzate non ricevono ulteriori finanziamenti rispetto a quelli già previsti e nel complesso, rispetto alla finanziaria 2003, gli stanziamenti appaiono ridotti". Questo è stato ripetuto anche negli anni successivi dalla Corte.
Come è noto, onorevoli colleghi, la legge finanziaria 2003 ha istituito un fondo per le aree sottoutilizzate (si chiamano così le aree ex depresse), il famoso FAS, nel quale sono confluite tutte le risorse relative alle fondamentali leggi concernenti il Mezzogiorno, a partire dalla legge n. 64, dal Fondo per le aree depresse, all’autoimprenditoria, al credito d’imposta per gli investimenti, per le assunzioni, eccetera, un grande fondo.
Ma a questo Fondo per le aree sottoutilizzate si sta attingendo in continuazione e ciò vale anche per il provvedimento al nostro esame. Questo lo sa bene anche il sottosegretario Vegas a cui mi rivolgo affinché lo spieghi al vicepresidente Tremonti. Infatti, da una lettura attenta dei documenti contabili di questi anni - ripeto, il sottosegretario Vegas ne è al corrente - si evince che si sono verificati sia una riduzione tangibile delle risorse a disposizione delle aree sottoutilizzate rispetto al passato, soprattutto rispetto alle finanziarie varate dal centro-sinistra, sia un massiccio slittamento delle suddette risorse (mi riferisco anche a quelle relative agli anni precedenti al 2001, nonché di quelle cosiddette "aggiuntive"), al 2006 e al 2007, con un’alta probabilità di ulteriore slittamento nell’ambito della prossima legge finanziaria.
Insomma, a disposizione del Mezzogiorno restano in sostanza le risorse, per giunta tagliate nel tempo, già stanziate nei bilanci degli anni precedenti, e trasportate in avanti, costituite per buona parte - se non essenzialmente - dai Fondi strutturali europei e per altra parte da quelle stanziate a suo tempo dai Governi del centro-sinistra.
In sostanza le risorse a favore del Mezzogiorno non solo sono complessivamente inferiori a quelle previste negli anni precedenti, e precisamente a quelle stanziate con le finanziarie degli anni 2001 e 2002, ma soprattutto vengono per grandissima parte continuamente trasportate agli anni successivi e cioè al 2006 e via di seguito. Tant’è che la Corte dei conti quest’anno ha annunciato la presentazione di un suo preciso rapporto su quelle che sono state le dotazioni storiche delle risorse destinate al Mezzogiorno e della sorte che hanno subito.
Sottolineo anche all’attenzione dei colleghi che fra qualche minuto affronteremo l’esame del decreto-legge recante interventi urgenti nel settore agroalimentare, il cui comma 3-ter dell’articolo 1 prevede che vengano distolte ancora una volta 120 milioni di euro dal Fondo per le aree sottoutilizzate a sostegno di un provvedimento che in effetti riguarda l’intero territorio nazionale.
Desidero anche aggiungere che l’articolo 5 comma 2 del provvedimento al nostro esame destina una quota del FAS al finanziamento di interventi destinati alla riqualificazione e al miglioramento della dotazione infrastrutturale delle città e delle aree metropolitane. Ora mi sembra evidente che la disposizione sia destinata a tutto il territorio nazionale, stando alla genericità della formulazione della norma.
Lo stesso può dirsi per l’articolo 6, che prevede finanziamenti per iniziative imprenditoriali ad elevato contenuto tecnologico nell’ambito dei distretti tecnologici che si trovano però soprattutto nel Nord. Lo stesso discorso vale per il comma 11, laddove si stabilisce che il Comitato per lo sviluppo, istituito ai sensi del comma 8 del medesimo articolo, per perseguire le proprie finalità dovrà fare ricorso alle risorse del FAS e del Fondo rotativo di sostegno alle imprese. Anche in questo caso c’è quindi il rischio di sottrarre i finanziamenti al Mezzogiorno. Analogo discorso va fatto per il comma 14 laddove si prevede che il CIPE annualmente determini le risorse…
PRESIDENTE. La prego di concludere, senatore Marino.
MARINO (Misto-Com). Giungo al termine, riservandomi di lasciare agli atti una parte del mio intervento in cui sono contenute alcune nostre proposte.
Ripeto, anche al comma 14 si prevede che il CIPE determini le risorse del FAS da destinare al finanziamento del contratto di localizzazione e in generale dell’intervento di Sviluppo Italia per l’attrazione di investimenti. Anche in questo caso assistiamo ad una distrazione di risorse dal FAS che si rileva anche al comma 1 dell’articolo 7, fino al punto di sottrarre 750 milioni di euro per infrastrutture da realizzarsi nel Centro-Nord.
Per non parlare poi del problema di Sviluppo Italia. Vi è infatti l’esigenza di definire il ruolo preciso che deve svolgere questa struttura. Con il disegno di legge in materia di internazionalizzazione delle imprese è stato assegnato a Sviluppo Italia un ruolo estraneo alle funzioni tipiche di tale organismo che doveva rivolgere l’attenzione soprattutto al decollo delle Regioni meridionali e allo sviluppo delle aree sottosviluppate. Quindi le risorse del FAS vengono spalmate su tutto il territorio nazionale e con le stesse si vuole finanziare tutto il resto e cioè infrastrutture, ricerca e quant’altro. Il vicepresidente Tremonti in versione meridionalista addirittura immagina la vendita di spiagge per utilizzarne il gettito a favore del Meridione.
PRESIDENTE. La prego di concludere, senatore Marino.
MARINO (Misto-Com). Signor Presidente, questo rivela la concezione coloniale del ministro Tremonti, per non parlare, poi, della boutade della costituzione delle zone franche, sapendo che è irrealizzabile e che la proposta non è stata nemmeno avanzata nel semestre di Presidenza italiana. Per non parlare, ancora, del settore della ricerca: non sappiamo che cosa è stato fatto delle risorse messe a disposizione dell’Istituto Nazionale di Tecnologia, sottratte alle università e agli enti di ricerca. Si è voluto agevolare il rientro dei "cervelli in fuga" attraverso facilitazioni fiscali quando poi le assunzioni all’università sono bloccate. Per non parlare, infine, dei tagli contenuti nella legge finanziaria per gli enti di ricerca.
PRESIDENTE. La invito nuovamente a concludere, senatore Marino.
MARINO (Misto-Com). Signor Presidente, sto per concludere. Se lei mi autorizza consegnerò il resto del mio intervento alla Presidenza.
L’attività emendativa della maggioranza è assolutamente ultronea (Richiami del Presidente) e non funzionale; essa non risponde all’impianto complessivo del provvedimento. Rispetto ad emendamenti di chiaro carattere preelettorale preannuncio una serie di proposte alternative formulate dai Comunisti Italiani per lo sviluppo sociale ed economico del nostro Paese. (Applausi dai Gruppi Misto-Com e DS-U. Congratulazioni).
PRESIDENTE. Senatore Marino, l’autorizzo a consegnare la parte restante del suo intervento alla Presidenza affinché sia pubblicata in allegato al Resoconto della seduta.
È iscritto a parlare il senatore Ciccanti. Ne ha facoltà.
CICCANTI (UDC). Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, ci troviamo a discutere oggi di un provvedimento legislativo complesso. Una parte, sotto forma di decreto-legge, viene esaminata in quest’Aula; l’altra, sotto forma di disegno di legge, è trattata dall’altro ramo del Parlamento. Ambedue i provvedimenti di iniziativa governativa fanno parte di una serie di azioni e di interventi legislativi tendenti a rilanciare l’economia italiana.
La competitività del sistema economico è, infatti, la principale questione che il nostro Paese deve affrontare. I dati relativi alla perdita di competitività che si riscontrano nei bassi tassi di crescita, nei bassi tassi di sviluppo della produttività, nella perdita di quote commerciali, nei bassi tassi di occupazione, nel rallentamento della crescita del reddito pro capite sono dati in crisi fin dalla metà del decennio scorso. È di questi giorni la preoccupazione, avvertita dal sistema produttivo italiano ed europeo, per il forte attacco commerciale della Cina.
Da più parti sono stati richiesti interventi al Governo e al Parlamento. Questi interventi vanno dalla estrema soluzione di invocare misure eccezionali di protezionismo a quella di accettare la sfida del mercato. Per l’Italia due sono le difficoltà che si riscontrano nella sfida globale. La prima sta nella necessità di alleggerire il carico della spesa pubblica al fine di poter destinare le enormi risorse che assorbe il sistema Paese per sostenere gli elevati costi dei tassi di interesse. La seconda sta nella difficoltà politica che si incontra nel modernizzare il sistema Paese, sia dal lato delle pubbliche amministrazioni che da quello economico e produttivo. Bisogna superare una cultura conservatrice e corporativa per quanto riguarda i lavoratori dipendenti e i piccoli e grandi privilegi da parte degli imprenditori e lavoratori autonomi.
Si tratta, da una parte, di consolidare e stabilizzare i conti pubblici, non solo tagliando, ma riqualificando la spesa pubblica in modo mirato, eliminando sprechi e rimuovendo con coraggio posizioni privilegiate di spesa improduttiva. Per altro verso, occorre sostenere quel sistema produttivo che con coraggio e sacrifici in questi anni si è rinnovato, accettando la sfida globale. Questa parte del sistema produttivo nazionale il più delle volte ha camminato con la sola forza delle proprie gambe, senza chiedere niente allo Stato.
Si è parlato più volte di declino del sistema industriale italiano. Questa parola gli imprenditori non la vogliono sentire. Su questo aspetto non solo gli analisti economici più accorti, ma le stesse organizzazioni imprenditoriali hanno avvertito la debolezza della struttura settoriale dimensionale delle aziende italiane rispetto al gigantismo americano ed europeo, soprattutto di Francia e Germania. Il nanismo delle imprese italiane, la scarsa produttività registrata per unità di prodotto, l’alto costo del lavoro per unità di prodotto, il forte indebitamento delle imprese italiane con il sistema creditizio e lo scarso ricorso al mercato finanziario, gli insufficienti investimenti per la ricerca da parte delle imprese private italiane rispetto a quelle europee (siamo al di sotto della media europea), il basso livello di internazionalizzazione, l’alto costo del denaro, che si registra soprattutto nel Mezzogiorno, costituiscono quei fattori negativi che ritardano lo sviluppo.
Le imprese italiane dell'industria e dei servizi di mercato, escluso il comparto dell'intermediazione monetaria e finanziaria, rappresentano circa 4.200.000 unità ed occupano circa 15.400.000 addetti, di cui circa 10 milioni sono dipendenti, realizzando un valore aggiunto di circa 574 miliardi di euro.
L'analisi dei principali aggregati registra una rilevante presenza di imprese di piccole dimensioni ed una relativa scarsità di grandi imprese. La dimensione media dell'azienda italiana è di circa 3,7 addetti. Le microimprese con meno di 10 addetti rappresentano il 95,2 per cento delle imprese italiane, il 30,8 per cento del fatturato e il 34,4 per cento del valore aggiunto. In questo segmento di imprese il 67 per cento dell'occupazione è costituito da lavoro indipendente. All'opposto, le imprese di maggiori dimensioni, con oltre 250 addetti, sono 3.123 ed assorbono appena il 18,5 per cento del totale degli addetti, pari al 28,4 per cento dei dipendenti, che realizzano solo il 28,2 per cento del valore aggiunto complessivo.
Nell'industria in senso stretto solo 566.000 imprese assorbono poco meno di 5 milioni di addetti. Nei quattro milioni di imprese con meno di 20 addetti sono, invece, assorbiti oltre nove milioni di addetti. I lavoratori dipendenti delle imprese con meno di 10 addetti percepiscono una retribuzione pro capite di 14.500 euro l'anno, inferiore del 42,5 per cento a quella dei lavoratori delle imprese con oltre 250 addetti, che è pari a 25.200 euro l'anno. Piccolo è bello, ma quanto costa?
La produttività del lavoro per le imprese con oltre 20 addetti è quasi doppia rispetto a quelle delle fasce inferiori. L'orario di lavoro varia dalle 1.600 alle 1.700 ore per ogni dipendente a seconda della dimensione dell'azienda, con un'intensità di utilizzo del fattore lavoro molto maggiore nelle imprese di dimensioni minori rispetto a quelle medio-grandi. Si consideri che un lavoratore cinese lavora in media 3.600 ore l'anno, per una retribuzione 15-20 volte inferiore a quella di un italiano.
Rispetto a questi parametri, che focalizzano i termini di confronto della competizione globale, si assiste ad un tentativo di reazione del sistema produttivo italiano che va sostenuto e potenziato. Infatti le imprese esportatrici italiane registrano una dimensione media di circa 30 addetti per impresa, nettamente superiore a quella delle imprese non esportatrici, che si attestano addirittura intorno ai 4,6 addetti. Inoltre, la produttività del lavoro delle imprese esportatrici è significativamente superiore a quella delle imprese non esportatrici. Il differenziale di produttività delle imprese che esportano è del 53,8 per cento superiore a quello delle imprese non esportatrici.
Anche il costo del lavoro e le retribuzioni per dipendente sono sistematicamente superiori a quelle delle imprese non esportatrici. Infatti, i maggiori oneri salariali non impediscono alle imprese esportatrici di realizzare margini lordi di redditività nettamente più elevati rispetto alle unità che vendono in modo diretto i propri prodotti esclusivamente sul mercato nazionale.
Si comprende bene da questi raffronti come per essere più competitivi sui mercati internazionali bisogna avere dimensioni aziendali molto superiori a quelle che operano sul mercato interno. Occorrono però politiche di sostegno che incrementino la concentrazione delle imprese, sia a livello verticale che orizzontale, ossia favoriscano forme di aggregazione di imprese tali da poter affrontare la concorrenza soprattutto dei Paesi di recente sviluppo industriale, in particolare del Medio Oriente.
Serve sviluppare tipologie di prodotto per mercati di consumo medio-bassi con alto valore aggiunto di sapere e di conoscenza, puntando sull'abbassamento dei costi attraverso la ristrutturazione e rinnovazione dei processi produttivi e di prodotto. Occorre rafforzare la rete delle università, dell'istruzione e delle formazione professionale con i sistemi produttivi locali, soprattutto dove l'esperienza dei distretti produttivi hanno creato la cultura dell'integrazione, che favorisce ed agevola la composizione di quella massa critica di intelligenza, creatività, esperienza e professionalità necessarie per sfidare i mercati internazionali.
Sul dimensionamento delle imprese il provvedimento in esame riserva un timido tentativo di concentrazione che non produrrà quei risultati che la situazione richiede. Insieme al collega Tarolli, noi dell'UDC, in 5a Commissione, abbiamo cercato con nostri emendamenti di incidere profondamente sulla ristrutturazione del sistema produttivo per quanto riguarda il dimensionamento delle imprese, puntando in modo particolare ad esaltare forme di sostegno che favoriscano l'aggregazione e la messa in rete di piccole e medie imprese.
Purtroppo, questo tentativo è risultato vano. Eppure, su questo tema avevano puntato molto le categorie che rappresentano milioni di artigiani, titolari di micro e piccole imprese: CNA, CASA, Confartigianato e altre sigle minori hanno elaborato idee, progetti, proposte, emendamenti per sostenere questo processo di aggregazione nel rispetto delle identità economiche e commerciali, al fine di provocare così quel cambiamento culturale che la competizione globale richiede all'Italia.
Non ci arrendiamo. Seguiteremo a sostenere in altri provvedimenti questa strategia largamente condivisa dalle micro e piccole imprese e dalle loro categorie più rappresentative. Con questo decreto-legge il Governo ha dato risposte tardive e parziali. Le azioni previste nei provvedimenti legislativi in esame nei due rami del Parlamento potevano essere predisposte già all'inizio di questa legislatura e sono comunque insufficienti per rendere più competitivo il sistema-Paese.
Innanzitutto, doveva esserci un collegamento più diretto tra le azioni previste per il rafforzamento della competitività del nostro Paese e le azioni previste nel 2000 dalla strategia di Lisbona, che aveva l'obiettivo di fare dell'Europa "l'economia più dinamica e competitiva del mondo nel prossimo decennio".
In tal senso siamo lontani dall'obiettivo stabilito dal Consiglio europeo di Barcellona, che ha fissato l'obiettivo di una spesa complessiva per la ricerca e lo sviluppo pari al 3 per cento del PIL nella media europea per il 2010. Infatti, non è reso credibile nemmeno l'obiettivo dell'1 per cento di spesa pubblica rispetto al PIL, da destinare entro il 2006 per la ricerca, così come fissato nelle linee guida per il Piano nazionale della ricerca, approvato dal Governo nell'aprile del 2002.
È necessario procedere ad una programmazione della spesa su base pluriennale, al fine di favorire per la ricerca pubblica un programma al quale collegare anche il sistema produttivo, soprattutto locale. In tal senso, oltre al finanziamento diretto delle strutture pubbliche che fanno ricerca, sono da prevedere interventi di defiscalizzazione per le imprese che investono direttamente in ricerca, ovvero che la trasferiscono dalle strutture pubbliche.
Registriamo, inoltre, una inefficace strategia per quanto riguarda la politica dei brevetti. Ci siamo fermati alla finanziaria 2004, che prevedeva il trasferimento della titolarità dei brevetti dall'ente pubblico di ricerca ai singoli ricercatori. Occorre diffondere una cultura dei brevetti anche tra le imprese italiane, incentivando e sostenendo l'attività di brevettazione, agevolando l'accesso a banche di brevetti e licenze, a disposizione delle imprese, e favorendo le unità provenienti da altri Paesi esteri.
Nel provvedimento in esame si prevedono interventi per il rafforzamento del sistema doganale, per la lotta alla contraffazione, per favorire l'internazionalizzazione attraverso la delocalizzazione delle produzioni, per semplificare le procedure per gli investimenti e la realizzazione di attività produttive, per lo sviluppo infrastrutturale, per il sostegno alla ricerca e la diffusione delle tecnologie digitali, per la riforma degli incentivi alle imprese, soprattutto per il tessuto delle micro e piccole imprese, che costituiscono l'ossatura del sistema produttivo nazionale, per la riduzione dei costi dell'energia e una diversa disciplina delle agevolazioni tributarie e finanziarie per le ONLUS e il terzo settore.
Inoltre, sono previste due riforme strutturali di significativo valore: la modifica della legge fallimentare e del codice di procedura civile.
Molte di queste azioni erano già state previste nelle varie finanziarie che si sono succedute dal 2001 ad oggi, ma non erano mai state ricomprese in un disegno organico.
Tali azioni per la competitività del sistema-Italia vanno associate a quelle riforme strutturali che questa maggioranza è riuscita a concludere in questo arco di legislatura: la riforma del sistema previdenziale; la riforma della scuola; la riforma del mercato del lavoro (la cosiddetta legge Biagi), nonché la riforma del risparmio e delle professioni, il cui grado di maturazione è tale da potersene ritenere prossima l'approvazione anche in Aula.
Non cito la riforma dell'ordinamento giudiziario e della seconda parte della Costituzione, perché ritengo che su questi provvedimenti ci sia la necessità di maggiore riflessione ed approfondimento.
Positivi sono stati i risultati ottenuti dalla riforma del mercato del lavoro (basti vedere i dati sulla riduzione della disoccupazione), ma merita una notevole integrazione per quanto riguarda il sistema delle protezioni sociali.
Un'articolata attenzione va rivolta alla riforma della scuola. Essa costituisce l'elemento più significativo per l'innalzamento del livello di competitività del nostro sistema-Paese. La formazione e la valorizzazione delle risorse umane è una delle leve cardine per il rilancio di un'efficace politica di sviluppo, oltre che dei diritti di cittadinanza e di coesione sociale.
Il nostro sistema scolastico registra un forte ritardo rispetto ai parametri medi europei. Infatti, solo il 42 per cento della popolazione adulta ha un diploma di scuola secondaria, contro il 62 per cento della Francia e del Regno Unito e l'81 per cento della Germania e una media europea dei 59 per cento.
Il tasso di diploma sfiora il 70 per cento dei diciannovenni. Il confronto internazionale tuttavia ci pone al di sotto della media europea. La Francia ha un tasso di diploma pari all'81 per cento, la Germania ha l’89 per cento.
Il tasso di dispersione scolastica italiano è il più alto d'Europa ed è nell'ordine del 30 per cento nella fascia di età tra i quattordici ed i diciannove anni, mentre il tasso medio europeo è inferiore al 20 per cento e quello tedesco inferiore al 10 per cento.
L'EUROSTAT ha mostrato recentemente una tendenza dei dati favorevole alla crescita della percentuale di imprese che hanno svolto formazione del decennio scorso. Tuttavia, la posizione dell'Italia, con il suo 23,9 per cento di imprese che fanno formazione, rimane ancora arretrata rispetto agli altri partners europei. La riforma della scuola è, pertanto, la parte più importante delle azioni per la sfida globale.
Un altro aspetto di cui si è discusso molto e si continua a discutere è come proteggere nei mercati internazionali il made in Italy. Molto si è fatto in questa legislatura, ma molto c'è ancora da fare. La tutela del made in Italy è la difesa di un passato da conservare. Noi non dobbiamo difendere solo il made in Italy realizzato in questi anni, ma anche quello che dobbiamo ancora costruire, investendo sull'intelligenza. Questa è la sfida italiana all'Europa e al mondo. (Applausi dai Gruppi UDC e FI).
PRESIDENTE. Colleghi, come già annunciato, passiamo ora al seguito dell'esame del provvedimento concernente interventi urgenti nel settore agroalimentare.
Allegato B
Integrazione all'intervento del senatore Marino nella discussione generale sul disegno di legge n. 3344
Una proposta alternativa è costituita dagli emendamenti presentati dal Comunisti italiani.
Per il rafforzamento della base produttiva, in sede di riforma degli incentivi, essi prevedono: a) le incentivazioni fiscali, sotto forma di credito d'imposta automatico alle aziende e alle società cooperative, sia per gli investimenti in tecnologie e ricerca, sia ai fini dell'aumento dell'occupazione stabile, con particolare riferimento al Mezzogiorno e alle zone svantaggiate del Paese; b) la cumulabilità delle misure previste dalle norme sulle agevolazioni per gli investimenti nelle aree svantaggiate (articolo 8, legge n. 388 del 2000), con altri incentivi fiscali per gli investimenti e lo sviluppo previsti a legislazione vigente; c) la soppressione del comma che sottrae risorse al fondo aree depresse per spostarle in aree di crisi al Nord.
Per la modernizzazione dei sistemi di protezione sociale e per il potenziamento degli ammortizzatori sociali prevedono: a) l'istituzione a regime del reddito minimo di inserimento quale misura di contrasto della povertà e dell'esclusione sociale attraverso il sostegno delle condizioni economiche e sociali dei soggetti che non sono temporaneamente in grado di provvedere al mantenimento proprio e del nucleo familiare; b) l'abolizione totale del drenaggio fiscale e la restituzione del fiscal-drag non percepito; c) l'adeguamento degli importi degli assegni al nucleo familiare tale da recuperare la perdita del potere d'acquisto delle famiglie a basso reddito e in particolare le famiglie con figli minori, con soggetti portatori di handicap, con componenti disabili e in misura crescente rispetto al numero dei componenti il nucleo familiare; d) che l'eventuale incremento delle tariffe elettriche, del gas, dell'acqua, delle telecomunicazioni e dell'assicurazione obbligatoria sull'auto non sia superiore al valore dell'inflazione programmata; e) il recupero delle detrazioni non godute per incapienza del debito d'imposta; f) l'adeguamento degli ammortizzatori sociali e l'estensione anche ad altre figure come ai lavoratori a contratto coordinato e continuato.
Per l'aumento e la razionalizzazione degli investimenti in ricerca e sviluppo prevedono agevolazioni fiscali: a) per giovani ricercatori ai fini della lotta alla cosiddetta "fuga dei cervelli" e come base per un serio rilancio della ricerca in Italia; b) per incentivare l'imprenditoria giovanile; c) per incentivare forme di autoimpiego nelle aree depresse.
A copertura si prevede tra l'altro: a) il ripristino dell'imposta di successione sui grandi patrimoni, superiori a 200 mila euro; b) l'aumento del prelievo dell'aggio sul gioco del lotto; c) l'armonizzazione al 19 per cento delle aliquote, che risultino inferiori a tale misura, relative ai redditi di capitale di cui ad una serie di disposizioni; d) le norme di carattere antielusivo.
Sen. Marino
SENATO DELLA REPUBBLICA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾ XIV LEGISLATURA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾
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790a SEDUTA |
PUBBLICA |
RESOCONTO STENOGRAFICO |
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MARTEDI’ 3 MAGGIO 2005 (Antimeridiana) |
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Presidenza del presidente PERA
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Seguito della discussione del disegno di legge:
(3344) Conversione in legge del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale (Relazione orale) (ore 10,05)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge n. 3344.
Ricordo che nella seduta antimeridiana del 27 aprile si è conclusa la discussione generale ed hanno avuto luogo le repliche del relatore e del relatore di minoranza.
Ha pertanto facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
VEGAS, vice ministro dell'economia e delle finanze. Signor Presidente, vorrei innanzitutto ringraziare il relatore di maggioranza, senatore Izzo, e quello di minoranza, senatore Caddeo, nonché tutti gli intervenuti nel dibattito che, ovviamente, si è incentrato sulla questione della competitività e della concorrenzialità del sistema Italia nei confronti del resto del mondo. Non a caso, infatti, il provvedimento in esame mira a risolvere alcuni problemi.
Dopo aver affrontato la questione economica sul lato della domanda, con una diminuzione della pressione fiscale, è ovvio che si dovesse intervenire anche sul versante dell’offerta, rimuovendo quei costi di carattere generale che ostacolano la competitività del sistema italiano.
Rispetto a questo tema, è stata più volte agitata la questione del declino del sistema italiano e della perdita di competitività nel suo complesso. Per valutare senza troppe emozioni questo tema, occorre però vedere anche come è andata la competitività nel resto del mondo e quali sono i dati reali. Se effettivamente l’Italia, nell’ultimo decennio, dal 1994 al 2003, ha perso 0,6 punti nella quota delle esportazioni mondiali, bisogna tuttavia considerare che, nel complesso, vi è stata una riallocazione delle esportazioni che non ha fatto sì che i Paesi nostri diretti concorrenti si trovassero in una posizione nettamente migliore rispetto alla nostra.
Riporto l’esempio della Francia che, nello stesso periodo, ha perso 0,5 punti; del Regno Unito che ne ha persi 0,7; degli stessi Stati Uniti che pur avrebbero dovuto lucrare una posizione di vantaggio derivante dalla perdita di potere d’acquisto del dollaro, mentre hanno perso dal 1994 al 2003 2,4 punti nelle esportazioni. Questo è un segnale non indifferente.
Se consideriamo che certamente la Cina ha registrato un aumento di 4,4 punti - segnando, quindi, un prepotente sviluppo - ma che nel complesso i Paesi asiatici hanno guadagnato solo 0,7 punti (quindi, quello che più o meno ha perso la media dei Paesi europei), possiamo farci un’immagine nella quale vi è stata effettivamente una riallocazione delle produzioni e delle esportazioni a vantaggio dell’Asia, che ha determinato una perdita di potere di scambio in Europa e anche da parte degli Stati Uniti.
Rispetto a questo tema, è ovvio, dunque, che non ci si può limitare a considerare una perdita della capacità esportativa dell’Italia in se stessa. Si tratta certamente di una perdita preoccupante, ma non di una gravità assoluta se comparata a quella degli altri Paesi europei nostri concorrenti.
Sicuramente si pone, invece, un problema di competitività del sistema europeo. Rispetto alla necessità di dare maggiore competitività, posto che ovviamente la leva fiscale non è indifferente (non a caso, se guardiamo gli ultimi dati disponibili, registriamo una diminuzione della pressione fiscale in Italia di circa un punto nel 2004 sul 2003, laddove si passa dal 42,8 del 2003 al 41,8 del 2004, quindi, la politica sul lato della domanda viene perseguita attraverso la leva della riduzione fiscale), bisogna considerare però che l’Europa, come è noto, rimane pur tuttavia un sistema economico in cui i costi per le imprese permangono ancora troppo elevati.
Quindi, sicuramente occorre proseguire nella strada della riduzione della pressione fiscale. L’occasione della prossima pronuncia, comunque vada, della Corte di giustizia europea in materia di IRAP, darà il destro per una rivalutazione dell’impatto di questa imposta sui costi delle imprese: è già stato annunciato, infatti, un programma di diminuzione costante dell’IRAP, a cominciare dal costo del lavoro.
Non basta, però, l'IRAP: bisogna diminuire la pressione fiscale complessiva e, per fare questo, anche la spesa, in modo da intermediare una minore quantità di ricchezza da parte dell'operatore pubblico. Rispetto alla diminuzione della spesa, misure come la spesa fiscale e la deducibilità dei contributi per il volontariato e per la ricerca scientifica, previsti nel testo del decreto, costituiscono sicuramente strumenti che consentono di meglio perseguire questo tipo di obiettivo.
Come dicevo, l'importante è andare ad una diminuzione costante dei costi che gravano sul sistema delle imprese, costi che ovviamente sono di carattere fiscale (quindi la strada è quella della diminuzione della pressione fiscale di carattere contributivo, e la riforma che è stata approvata alleggerisce in parte questo tipo di costi), ma che riguardano anche il sistema nel suo complesso, a cominciare dai costi amministrativi.
Come è noto, infatti, uno dei principali ostacoli all'insediamento di imprese straniere nel nostro territorio, oltre e più della fiscalità, sono i costi amministrativi e l'incertezza dei meccanismi autorizzatori. Con il provvedimento in esame si tende a rimuovere tale ostacolo, che non è direttamente monetizzabile, ma è sicuramente un ostacolo potentissimo per lo sviluppo di nuove imprese.
Non si tratta però del solo ostacolo perché (e queste sono le principali modifiche introdotte nel testo da parte della Commissione, che poi saranno recepite in una proposta emendativa che verrà presentata successivamente) ne esistono altri che costituiscono una sorta di barriera psicologica all'intrapresa e sono rappresentati da una legislazione fallimentare non al passo con i tempi e da una legislazione processual-civilistica non adeguata.
Gli emendamenti approvati in Commissione consentono di superare tali ostacoli e, soprattutto con riferimento alla modifica del diritto fallimentare, consentono a chi vuole intraprendere di sentirsi un po' meno vincolato dal fattore rischio, perché chi vuole intraprendere d'ora in poi potrà farlo sapendo che, se non commetterà atti aventi caratteristiche di reato, potrà subire sanzioni inferiori rispetto a prima. In sostanza, quindi sarà meno legato.
Colgo l'occasione per aprire una piccolissima parentesi perché nei giornali di oggi sono state inserite delle segnalazioni relativamente a rischi che sarebbero contenuti nel testo della riforma fallimentare con riferimento alla parte penalistica. Intendo precisare che il testo che verrà presentato in forma di emendamento in Aula non prevede alcuna differenziazione della pena per il reato di bancarotta fraudolenta tra le società di persone e gli amministratori di società; quindi, la paura paventata da molti giuristi non ha ragione di sussistere, perché per la bancarotta fraudolenta comunque la pena edittale resta elevata.
Le norme contenute nel testo approvato dalla Commissione consentono di rimuovere molti ostacoli che addirittura si frapponevano non tanto all'attività delle imprese, ma all'idea di iniziare una nuova impresa; ciò consentirà di aprire maggiormente il mercato.
In tale ambito, una norma di grande apertura del mercato è quella relativa alle compensazioni per l'utilizzo del TFR ai fini della previdenza complementare. È a tutti noto che nel 1995 (sono passati quindi dieci anni) è stata approvata una riforma pensionistica, che porterà ad ottenere trattamenti pensionistici molto inferiori rispetto a quelli cui eravamo abituati nel passato. Pertanto, se non parte rapidamente la previdenza complementare, c'è il rischio che i lavoratori che tra dieci anni andranno in pensione con la riforma Dini si troveranno ad avere un livello di reddito insufficiente per le necessità della loro vita.
Quindi, bisogna accelerare il più possibile l'attuazione dei fondi pensione - non a caso i relativi decreti delegati sono in dirittura d'arrivo - nella consapevolezza che è essenziale dare un minimo di tempo per poter costituire i patrimoni necessari ad integrare il reddito dei prossimi pensionati.
Ovviamente queste misure di avviamento delle imprese verso un mercato più dinamico e una liberalizzazione del sistema non potevano non essere accompagnate anche da un meccanismo di ammortizzatori sociali più adatto ai tempi, più elastico e in grado quindi di consentire di rispondere alle temporanee crisi aziendali.
Ulteriori misure, forse più trascurate nel dibattito svoltosi in Aula, ma non meno importanti, sono quelle volte ad incentivare la crescita dimensionale delle imprese. Tutti sappiamo che l’economia italiana si basa sulle imprese di piccole dimensioni; piccolo è sicuramente bello, ma ai piccoli deve essere consentito di crescere. Bisogna rimuovere dunque quel numero esagerato di soglie che si frappongono alla crescita dimensionale delle imprese; chi ha intenzione di crescere deve essere agevolato, anche perché se si è piccoli è difficile competere con la concorrenza internazionale. Credo che questa sia una misura di estremo interesse.
Di estremo interesse è anche il potenziamento del meccanismo di finanziamenti a favore delle infrastrutture, perché senza infrastrutture che consentano di diminuire i costi del trasporto e di incentivare la logistica, sicuramente il Paese ha maggiori difficoltà dal punto di vista dello sviluppo economico e può rischiare, come accade, di dare lavoro a camionisti stranieri invece di privilegiare il proprio sistema di trasporto.
Una questione di grandissimo rilievo è poi quella relativa alla tutela del made in Italy. Sappiamo che il commercio internazionale è un meccanismo di crescita complessiva delle economie dei vari Paesi, ma ciò non significa che il commercio internazionale non debba svolgersi secondo regole certe e soprattutto che la concorrenza non debba essere leale.
Giustamente, quindi, questo provvedimento si preoccupa, nei limiti delle possibilità offerte dal diritto comunitario, di tutelare le importazioni, di evitare che vi siano importazioni illegali, di tutelare la qualità dei prodotti e di rendere in qualche modo possibile che i prodotti nazionali siano identificabili, onde evitare che meccanismi clandestini o truffaldini annacquino il sistema e finiscano per agevolare una concorrenza sleale che porterebbe al declino delle nostre imprese senza una ragione economica, ma sulla base di fatti che costituiscono illeciti.
Rispetto a questo problema, il recente impegno dell’Unione Europea di definire, con un meccanismo di trattative ma anche di autotutela, la questione dell’importazione dei prodotti tessili dalla Cina credo sia la strada giusta da seguire. È l’Europa nel suo complesso che deve assumere una posizione di tutela, perché difficilmente ogni singolo Paese potrebbe essere in grado, per esempio, di ostacolare importazioni che arrivassero veicolate da altri Paesi europei. Sostanzialmente, si rischierebbe di emanare una sorta di grida manzoniana senza poi avere la possibilità di effettuare un controllo concreto, mentre in questo campo i controlli concreti sono quelli più efficienti rispetto a una legislazione che potrebbe rischiare di non avere un seguito efficace.
Un’ultima questione riguarda le misure in materia di turismo. Il turismo rappresenta indubbiamente una delle principali industrie nazionali e il rilancio di un’organizzazione turistica volta ad attirare turisti stranieri (dati recenti mostrano un declino preoccupante di arrivi dall’estero) credo sia essenziale. In un’economia come la nostra, infatti, quella del turismo, degli scambi e delle relazioni culturali costituisce sicuramente una componente di grande avvenire, che è opportuno coltivare e incentivare.
Ringrazio ancora gli intervenuti nel dibattito.
Quello che ho illustrato è il contenuto sostanziale di un provvedimento che ovviamente non ha l’ambizione di risolvere tutti i problemi dello sviluppo italiano, ma rappresenta un primo passo per una diversa considerazione dei problemi dello sviluppo.
È un primo passo compiuto dal nostro Paese anche rispetto ai partners europei, i quali, pur avendo individuato i problemi, per certi aspetti sono ancora indietro rispetto alle soluzioni concrete.
È un primo passo sulla strada che porta necessariamente alla semplificazione e alla liberalizzazione del sistema economico, presupposto essenziale per ripartire con uno sviluppo economico che ovviamente poi dovrà essere corroborato da un sistema fiscale più amichevole nei confronti del contribuente sotto il profilo del quantum delle risorse richieste e sicuramente anche dall’intenzione da parte delle imprese di prendere nuovamente parte al processo di sviluppo che, una volta rimossi questi ostacoli, potrà partire in modo più deciso rispetto al passato. (Applausi dei senatori Izzo, Moncada e Lauro).
PRESIDENTE. Do lettura del parere espresso dalla 1a Commissione sugli emendamenti al disegno di legge in esame:
"La Commissione, esaminati gli emendamenti riferiti al disegno di legge in titolo e richiamando i pareri precedentemente resi alla Commissione di merito, esprime, per quanto di competenza, parere non ostativo, con le seguenti osservazioni:
- l’emendamento 3.940 corrisponde all’articolo 11-ter del disegno di legge n. 3186 (semplificazione 2005) il cui esame in sede referente è stato concluso dalla Commissione affari costituzionali: la sede normativa più appropriata non può che essere il disegno di legge annuale di semplificazione;
- quanto all’emendamento x1.0.104, si formula un rilievo analogo circa la collocazione normativa, perché un intervento così ampio e radicale sulla legislazione vigente non potrebbe essere realizzato in modo appropriato con un emendamento a un decreto-legge. Inoltre, lo stesso emendamento contiene una delega legislativa e ciò rende ancora più incongrua la sua collocazione nella legge di conversione di un decreto-legge;
- quest’ultima obiezione va riferita anche all’emendamento x1.0.103 e agli emendamenti x1.0.1000 e x1.0.1020;
- gli emendamenti x1.0.2 e x1.0.3 disciplinano una materia, quella della semplificazione degli adempimenti amministrativi concernenti lo svolgimento e la trasformazione dell’attività di impresa, che costituisce l’oggetto di apposita e più ampia disciplina nel disegno di legge di semplificazione 2005 (AS 3186, articolo 4) del quale la Commissione affari costituzionali ha già terminato l’esame in sede referente: ciò renderebbe evidentemente non condivisibile, per la stessa Commissione, l’approvazione di tali disposizioni nell’ambito del disegno di legge n. 3344. Gli emendamenti in questione, inoltre, contengono una delega legislativa e ciò rende ancora più incongrua la loro collocazione nella legge di conversione di un decreto-legge, soprattutto ove si consideri che al Governo viene conferita una delega al riassetto normativo in materia: si tratta, infatti, di un contenuto tipico della legge di semplificazione e pertanto anche sotto tale profilo deve ribadirsi che la sede normativa più appropriata non può che essere, appunto, il disegno di legge annuale di semplificazione, ormai in fase di relazione dinanzi all’Assemblea;
quanto all’emendamento 11.0.200, con il quale si autorizza il Governo ad adottare un regolamento di delegificazione per il riordino e l’adeguamento delle vigenti disposizioni in materia di impiantistica all’interno degli edifici, si segnala l’inopportunità del ricorso a una fonte regolamentare: vengono infatti in rilievo numerosi ambiti di competenza legislativa regionale, ad esempio in materia di tutela della salute, di tutela dei lavoratori. L’esigenza di riservare a fonte di rango primario della disciplina appare tanto più necessario ove si consideri come l’uso della fonte regolamentare appaia incongruo laddove essa sia finalizzata a dettare - ai sensi della lettera b) - principi in materia di tutela della salute; analoga considerazione vale per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantite su tutto il territorio nazionale di cui alla lettera c); anche l’individuazione delle competenze dello Stato, delle regioni e degli enti locali, di cui alla successiva lettera f) troverebbe più idonea collocazione in disposizioni di rango legislativo, come pure la revisione della disciplina sanzionatoria (lettera g));
- parere non stativo sull’emendamento 13.300, che interviene in materia di apprendistato, novellando l’articolo 49 della cosiddetta "legge Biagi" (legge n. 276 del 2003): tale novella non appare confliggente con i principi che la Corte costituzionale ha sancito in materia di apprendistato nella recente sentenza n. 50 del 2005, e comunque appare rispettoso delle competenze regionali, trattandosi di una disposizione destinata a operare solo in assenza di disciplina regionale;
Esprime inoltre parere non ostativo sul complesso dei restanti emendamenti, riferendo ad essi, in quanto compatibili, le osservazioni formulate nei pareri precedentemente resi alla Commissione di merito sul disegno di legge in titolo e gli emendamenti ad esso riferiti".
Ha chiesto di parlare il ministro Giovanardi. Ne ha facoltà.
GIOVANARDI, ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, come ha sottolineato il vice ministro Vegas, il Governo annette particolare importanza al decreto-legge n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, oggi all’esame del Senato.
Sul testo sono stati presentati circa 1.300 emendamenti, il che ne rallenterebbe l’esame in Assemblea. Considerato che questo decreto scade domenica 15 maggio e che deve essere ancora esaminato dalla Camera dei deputati, a nome del Governo, a ciò espressamente autorizzato dal Consiglio dei ministri, pongo la questione di fiducia sull’approvazione, senza subemendamenti ed articoli aggiuntivi, dell’emendamento 1.2000 del Governo, interamente sostitutivo dell’articolo unico del disegno di legge di conversione.
PRESIDENTE. A questo punto, colleghi, assumo materialmente l’emendamento su cui il Governo ha posto la questione di fiducia e, come già fatto in casi precedenti, mi riservo di esaminarlo e sottoporlo alla 5a Commissione, affinché, nel rispetto delle prerogative del Governo, che ha posto la questione di fiducia sull’emendamento, lo esamini e poi ne riferisca all’Aula.
Allegato A
DISEGNO DI LEGGE
Conversione in legge del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale (3344)
EMENDAMENTO 1.2000 SUL QUALE IL GOVERNO HA POSTO LA QUESTIONE DI FIDUCIA, INTERAMENTE SOSTITUTIVO DELL'ARTICOLO 1 DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE
________________
N.B. Il testo dell'emendamento è riprodotto in bozza non corretta.
1.2000
IL GOVERNO
Sostituire l'articolo 1 con il seguente:
"1. Il decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano d’azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, è convertito in legge con le modificazioni riportate in allegato alla presente legge.
2. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata vigore della presente legge, un decreto legislativo recante modificazioni al codice di procedura civile approvato con regio decreto 28 ottobre 1940, n. 1443. Il decreto, nel rispetto ed in coerenza con la normativa comunitaria e in conformità ai princìpi ed ai criteri direttivi previsti dal presente comma, provvede a realizzare il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti ed è adottato, sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, nonché sottoposto al parere della Assemblea Generale della Corte Suprema di Cassazione ai sensi dell’articolo 93 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12. Il parere è reso entro trenta giorni dalla data di trasmissione; decorso tale termine, il decreto è emanato anche in mancanza del parere. Lo schema di decreto è successivamente trasmesso al Parlamento, perché si espresso il parere delle competenti Commissioni parlamentari entro il termine di sessanta giorni dalla data della trasmissione; decorso tale termine, è emanato anche in mancanza del parere. Qualora detto termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine previsto dal precedente periodo o successivamente, la scadenza di quest’ultimo è prorogata di centoventi giorni. Entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, il Governo può emanare disposizioni correttive e integrative nel rispetto dei princìpi e dei criteri direttivi di cui alla presente legge e con la procedura di cui al presente comma.
3. Nell’attuazione della delega di cui al comma 2, il Governo si atterrà ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) disciplinare il processo di cassazione in funzione nomofilattica, stabilendo identità dei motivi di ricorso ordinario e straordinario ai sensi dell’articolo 111, settimo comma, della Costituzione, prevedendo che il vizio di motivazione debba riguardare un fatto controverso; l’obbligo che il motivo ricorso si chiuda, a pena di inammissibilità dello stesso, con la chiara enunciazione di un quesito di diritto; l’estensione del sindacato diretto della Corte sull’interpretazione e sull’applicazione dei contratti collettivi nazionali di diritto comune, ampliando la previsione del numero 3) dell’articolo 360 del codice di procedura civile; la non ricorribilità immediata delle sentenze che decidono di questioni insorte senza definire il giudizio e la ricorribilità immediata delle sentenze che decidono parzialmente il merito, con conseguente esclusione della riserva di ricorso avverso le prime e la previsione della riserva di ricorso avverso le seconde; la distinzione fra pronuncia delle sezioni semplici e pronuncia delle sezioni unite prevedendo che la questione di giurisdizione sia sempre di competenza delle sezioni unite nei casi di cui all’articolo 111, ottavo comma, della Costituzione, e possa invece, essere assegnata, negli altri casi, alle sezioni semplici se sulla stessa si siano in precedenza pronunziate le sezioni unite; il vincolo delle sezioni semplici al precedente delle sezioni unite, stabilendo che, ove la sezione semplice non intenda aderire al precedente, debba reinvestire le sezioni unite con ordinanza motivata; l’estensione delle ipotesi di decisione nel merito, possibile anche nel caso di violazione di norme processuali; l’enunciazione del principio di diritto, sia in caso di accoglimento, sia in caso di rigetto dell’impugnazione e con riferimento a tutti i motivi della decisione; meccanismi idonei, modellati sull’attuale articolo 363 del codice di procedura civile, a garantire l’esercitabilità della funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, anche nei casi di non ricorribilità del provvedimento ai sensi dell’articolo 111, settimo comma, della Costituzione. Prevedere la revocazione straordinaria e l’opposizione di terzo contro le sentenze di merito della cassazione, disciplinandone la competenza;
b) riformare in senso razionalizzatore la disciplina dell’arbitrato prevedendo: la disponibilità dell’oggetto come unico e sufficiente presupposto dell’arbitrato, salva diversa disposizione di legge; che, per la stipulazione di compromesso e di clausola compromissoria, vi sia un unico criterio di capacità, riferito al potere di disporre in relazione al rapporto controverso; una disciplina relativa all’arbitrato con pluralità di parti, che garantisca nella nomina degli arbitri il rispetto della volontà originaria o successiva delle parti, nonché relativa alla successione nel diritto controverso ed alla partecipazione dei terzi al processo arbitrale, nel rispetto dei principi fondamentali dell’istituto; una disciplina specifica finalizzata a garantire l’indipendenza e l’imparzialità degli arbitri; una disciplina unitaria e completa della responsabilità degli arbitri, anche tipizzando le relative fattispecie; una disciplina dell’istruzione probatoria, con la previsione di adeguate forme di assistenza giudiziaria; che gli arbitri possano conoscere in via incidentale delle questioni pregiudiziali non arbitrabili, salvo che per legge sia necessaria la decisione con efficacia di giudicato autonomo; una razionalizzazione della disciplina dei termini per la pronuncia del lodo, anche con riferimento alle ipotesi di proroga degli stessi; una semplificazione e una razionalizzazione delle forme e delle modalità di pronuncia del lodo; che il lodo, anche non omologato, abbia gli effetti di una sentenza; una razionalizzazione delle ipotesi attualmente esistenti di impugnazione per nullità secondo i seguenti princìpi: a) subordinare la controllabilità del lodo ai sensi del secondo comma dell’articolo 829 del codice di procedura civile alla esplicita previsione delle parti, salvo diversa previsione di legge e salvo il contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico, b) disciplinare il procedimento, prevedendo le ipotesi di pronuncia rescissoria da parte del giudice dell’impugnazione per nullità, c) disciplinare in generale i rapporti fra arbitro e giudice, ivi compresa l’eccezione di patto compromissorio; una disciplina dell’arbitrato amministrato, assicurando che l’intervento dell’istituzione arbitrale nella nomina degli arbitri abbia luogo solo se previsto dalle parti e prevedendo, in ogni caso, che le designazioni compiute da queste ultime siano vincolanti; la eliminazione del capo dedicato all’arbitrato internazionale, con tendenziale estensione della relativa disciplina all’arbitrato interno, salvi gli opportuni adattamenti, con esclusione di quanto previsto dall’articolo 838 del codice di procedura civile; la previsione che le norme in materia di arbitrato trovino sempre applicazione in presenza di patto compromissorio comunque denominato, salva la diversa ed espressa volontà delle parti di derogare alla disciplina legale, fermi in ogni caso il rispetto del principio del contraddittorio, la sindacabilità in via di azione o di eccezione della decisione per vizi del procedimento e la possibilità di fruire della tutela cautelare.
4. Nell’esercizio della delega di cui ai commi 2 e 3, il Governo può revisionare la formulazione letterale e la sistemazione topografica degli articoli del vigente codice e delle altre norme processuali civili vigenti non direttamente investiti dai principi di delega in modo da accordarle con le modifiche apportate dalla legge delegata.
5. Il Governo è delegato ad adottare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con l’osservanza dei princìpi e dei criteri direttivi di cui al comma 6, uno o più decreti legislativi recanti la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n. 67, e successive modificazioni. La riforma, nel rispetto ed in coerenza con la normativa comunitaria e in conformità ai principi e ai criteri direttivi previsti dalla presente legge, realizza il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti, nonché la riconduzione della disciplina della transazione in sede fiscale per insolvenza o assoggettamento a procedure concorsuali al concordato preventivo come disciplinato in attuazione della presente legge. I decreti legislativi previsti dal presente comma sono adottati su proposta del Ministro della giustizia e del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle attività produttive e successivamente trasmessi al Parlamento, ai fini dell’espressione dei pareri da parte delle Commissioni competenti che sono resi entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti sono emanati anche in mancanza dei pareri. Qualora detto termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine previsto dal primo periodo del presente comma o successivamente, la scadenza di quest’ultimo è prorogata di sessanta giorni.
6. Nell’esercizio della delega di cui al comma 5, il Governo si attiene seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) modificare la disciplina del fallimento, secondo i seguenti principi:
1) semplificare la disciplina attraverso l’estensione dei soggetti esonerati dall’applicabilità dell’istituto e l’accelerazione delle procedure applicabili alle controversie in materia;
2) ampliare le competenze del comitato dei creditori consentendo una maggiore partecipazione dell’organo alla gestione della crisi dell’impresa; coordinare i poteri degli altri organi della procedura;
3) modificare la disciplina dei requisiti per la nomina a curatore, annoverando tra i soggetti legittimati a ricoprire la carica gli studi professionali associati, le società tra professionisti, nonché coloro che abbiano comprovate capacità di gestione imprenditoriale;
4) modificare la disciplina delle conseguenze personali del fallimento, eliminando le sanzioni personali e prevedendo che le limitazioni alla libertà di residenza e di corrispondenza del fallito siano connesse alle sole esigenze della procedura;
5) modificare la disciplina degli effetti della revocazione, prevedendo che essi si rivolgano nei confronti dell’effettivo destinatario della prestazione;
6) ridurre il termine di decadenza per l’esercizio dell’azione revocatoria;
7) modificare la disciplina degli effetti del fallimento sui rapporti giuridici pendenti, ampliando i termini entro i quali il curatore deve manifestare la propria scelta in ordine allo scioglimento dei relativi contratti e prevedendo una disciplina per i patrimoni destinati ad uno specifico affare e per i contratti di locazione finanziaria;
8) modificare la disciplina della continuazione temporanea dell’esercizio dell’impresa ampliando i poteri del comitato dei creditori e del curatore ed introducendo l’obbligo di informativa periodica da parte del curatore al comitato dei creditori sulla gestione provvisoria;
9) modificare la disciplina dell’accertamento del passivo, abbreviando i tempi della procedura, semplificando le modalità di presentazione delle relative domande di ammissione e prevedendo che in sede di adunanza per l’esame dello stato passivo i creditori possano, a maggioranza dei crediti insinuati, confermare o effettuare nuove designazioni in ordine ai componenti del comitato dei creditori, nonché confermare il curatore ovvero richiederne la sostituzione indicando al giudice delegato un nuovo nominativo;
10) prevedere che, entro sessanta giorni dalla redazione dell’inventario, il curatore predisponga un programma di liquidazione da sottoporre, previa approvazione del comitato dei creditori, all’autorizzazione del giudice delegato contenente le modalità e i termini previsti per la realizzazione dell’attivo, specificando:
a) se è opportuno disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa o di singoli rami di azienda, anche tramite l’affitto a terzi;
b) la sussistenza di proposte di concordato;
c) le azioni risarcitorie, recuperatorie o revocatorie da esercitare;
d) le possibilità di cessione unitaria dell’azienda, di singoli rami, di beni o di rapporti giuridici individuabili in blocco;
e) le condizioni della vendita dei singoli cespiti, e che il comitato dei creditori possa proporre al curatore modifiche al programma presentato, prima di procedere alla sua votazione e che l’approvazione del programma sia subordinata all’esito favorevole della votazione da parte del comitato dei creditori;
11) modificare la disciplina della ripartizione dell’attivo, abbreviando i tempi della procedura e semplificando gli adempimenti connessi;
12) modificare la disciplina del concordato fallimentare, accelerando i tempi della procedura e prevedendo l’eventuale suddivisione dei creditori in classi che tengano conto della posizione giuridica e degli interessi omogenei delle varie categorie di creditori, nonché trattamenti differenziati per i creditori appartenenti a classi diverse; disciplinare le modalità di voto per classi, prevedendo che non abbiano diritto di voto i creditori muniti di privilegio, pegno ed ipoteca, a meno che dichiarino di rinunciare al privilegio; disciplinare le modalità di approvazione del concordato, modificando altresì la disciplina delle impugnazioni al fine di garantire una maggiore celerità dei relativi procedimenti;
13) introdurre la disciplina dell’esdebitazione e disciplinarne il relativo procedimento, prevedendo che essa consista nella liberazione del debitore persona fisica dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti qualora:
a) abbia cooperato con gli organi della procedura fornendo tutte le informazioni e la documentazione utile all’accertamento del passivo e al proficuo svolgimento delle operazioni;
b) non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare la procedura;
c) non abbia violato le disposizioni di cui alla gestione della propria corrispondenza;
d) non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti la richiesta;
e) non abbia distratto l’attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito;
f) non sia stato condannato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa, salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione.
14) abrogare la disciplina del procedimento sommario;
b) prevedere l’abrogazione dell’amministrazione controllata;
c) prevedere che i crediti di rivalsa verso il cessionario previsti dalle norme relative all’imposta sul valore aggiunto, se relativi alla cessione di beni mobili, abbiano privilegio sulla generalità dei mobili del debitore con lo stesso grado del privilegio generale di cui agli articoli 2752 e 2753 del codice civile, cui tuttavia è posposto;
d) modificare la disciplina dei reati commessi dal fallito secondo i seguenti princìpi:
1) prevedere i seguenti delitti:
a) bancarotta fraudolenta patrimoniale dell’imprenditore individuale, consistente in condotte contemporanee allo stato di insolvenza o al concreto pericolo del medesimo, se segue il relativo provvedimento di apertura della procedura di liquidazione concorsuale, ovvero successive a detto provvedimento, di distrazione, occultamento, dissimulazione, distruzione o dissipazione del patrimonio che, a norma delle leggi civili, è destinato al soddisfacimento dei creditori; ovvero in condotte di esposizione o riconoscimento di passività inesistenti finalizzate ad arrecare pregiudizio ai creditori; ovvero in condotte di causazione intenzionale del dissesto, se segue il relativo provvedimento di apertura della procedura di liquidazione concorsuale;
b) bancarotta fraudolenta documentale dell’imprenditore individuale, consistente in condotte contemporanee allo stato di insolvenza o al concreto pericolo del medesimo, se segue il relativo provvedimento di apertura della procedura di liquidazione concorsuale, ovvero, successive a detto provvedimento, di sottrazione, distruzione, falsificazione di libri o scritture contabili con lo scopo di arrecare pregiudizio ai creditori ovvero di tenuta delle scritture e dei libri contabili o di omessa tenuta dei medesimi, se previsti dalla legge, che rendono impossibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari;
c) bancarotta fraudolenta preferenziale dell’imprenditore individuale, consistente in condotte, contemporanee allo stato di insolvenza o al concreto pericolo del medesimo, se segue il relativo provvedimento di apertura della procedura di liquidazione concorsuale, ovvero successive a detto provvedimento, di preferenza indebita o ingiustificata nei pagamenti o in altre prestazioni estintive di obbligazioni, allo scopo di favorire taluni creditori a danno di altri, ovvero di simulazione di titoli di prelazione;
2) prevedere il delitto di bancarotta semplice dell’imprenditore individuale, consistente nelle condotte di omessa o ritardata presentazione dell’istanza per l’apertura della procedura di liquidazione concorsuale che hanno aggravato il preesistente dissesto, se segue il relativo provvedimento di apertura della procedura di liquidazione concorsuale;
3) prevedere il delitto di bancarotta del soggetto, cui è estesa la procedura di liquidazione concorsuale, consistente nei fatti descritti al numero 1), lettere a) e c), se commesse sui propri beni;
4) prevedere il delitto di bancarotta fraudolenta impropria consistente:
a) nei fatti di cui al numero 1 commessi dall’institore, da chi svolge funzioni di amministrazione, direzione, controllo o liquidazione di società, di imprenditori collettivi o di enti dichiarati insolventi;
b) in condotte di abuso dei relativi poteri o di violazione dei relativi doveri da parte dei soggetti di cui alla lettera a) che abbiano cagionato il dissesto, ovvero nei fatti di cui agli articoli 2621, 2622, 2623, 2624, 2638 del codice civile, contemporanei all’insolvenza o al concreto pericolo dell’insolvenza, se segue il relativo provvedimento di apertura della procedura di liquidazione concorsuale;
5) prevedere il delitto di bancarotta semplice impropria consistente nei fatti di cui al numero 2) commessi dall’institore, da chi svolge funzioni di amministrazione, direzione, controllo o di liquidazione di società, imprenditori collettivi o enti dichiarati insolventi, se segue il relativo provvedimento di apertura della procedura di liquidazione concorsuale;
6) prevedere il delitto di domande di ammissione di crediti simulati o distrazioni senza concorso con l’insolvente o con gli organi di società, enti, imprenditori collettivi dichiarati insolventi consistente nella condotta di presentazione di domande di ammissione di crediti fraudolentemente simulati, anche per interposta persona, ovvero in condotte che causano la diminuzione ingiustificata del patrimonio dell’insolvente, senza il suo concorso, da parte di chiunque, consapevole dello stato di dissesto o dell’apertura della procedura di liquidazione concorsuale, non è creditore o titolare di diritti sul patrimonio dell’insolvente; prevedere circostanze attenuanti, ad effetto speciale, nei casi in cui le predette domande sono ritirate prima del provvedimento di cui all’articolo 97 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 o, se manca l’accertamento dei crediti o dei diritti, prima dell’esercizio dell’azione penale o nel caso in cui i beni, ingiustificatamente sottratti al patrimonio dell’insolvente, sono reintegrati anche per equivalente;
7) prevedere il delitto di falsa esposizione di dati o di informazioni o altri comportamenti fraudolenti consistente nella condotta di esposizione di informazioni false o di omissione di informazione imposte dalla legge per l’apertura delle procedure di amministrazione controllata, di concordato preventivo al fine di potervi accedere, ovvero per ottenere l’omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero in successivi atti o nei comportamenti di cui ai numeri 1) e 4) compiuti nel corso di esse; ovvero di simulazione dei crediti inesistenti o di altri comportamenti di frode, al fine di influire sulla formazione delle maggioranze; prevedere che la stessa pena si applica al creditore che riceve il pagamento o accetta la promessa al fine dell’espressione del proprio voto;
8) prevedere per i predetti delitti la pena, da graduare in rapporto alla gravità degli illeciti:
a) della reclusione non inferiore nel minimo a due anni e non superiore nel massimo a sei anni per i delitti descritti al numero 1 lettere a) e b) ed al numero 3), nella parte in cui rinvia ai fatti descritti al numero 1) lettera a) e 4;
b) della reclusione non inferiore nel minimo ad un anno e non superiore nel massimo a quattro anni per i delitti descritti ai commi 1), lettera c), 3) nella parte in cui rinvia ai fatti descritti al numero 1), lettera c), 6) e 7);
c) con la reclusione non inferiore nel minimo a sei mesi e non superiore nel massimo a due anni per i delitti di cui ai numeri 2) e 5);
9) stabilire disposizioni comuni e processuali ed in particolare:
a) prevedere circostanze aggravanti ed attenuanti, anche ad effetto speciale, per i reati di cui al presente comma nel caso di più fatti ovvero se il fatto ha causato rispettivamente un danno patrimoniale di rilevante gravità ovvero di speciale tenuità ovvero se, prima del giudizio o prima del provvedimento di cui all’articolo 97 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, è intervenuta integrale riparazione del danno patrimoniale ai creditori o se manca l’accertamento dei crediti o dei diritti, prima dell’esercizio dell’azione penale, è intervenuta da parte dell’autore del fatto consegna della contabilità o di altri documenti idonei alla completa ricostruzione contabile del patrimonio o del movimento degli affari;
b) prevedere che alla condanna per i delitti di cui ai precedenti numeri 1), 4), e 5) consegue, in ogni caso, la pena accessoria della interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese.
7. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.".
Allegato
MODIFICAZIONI APPORTATE IN SEDE DI CONVERSIONE AL DECRETO LEGGE 14 MARZO 2005, N. 35
ARTICOLO 1
All’articolo 1 apportare le seguenti modificazioni
Al comma 4, sostituire le parole: «strumentali finalizzati», con le seguenti: «strumentali nonché finalizzate».
Al comma 5, lettera a), sostituire la parola: «ciascun» con la seguente: «ciascuno».
Al comma 7, aggiungere, in fine, i seguenti periodi: « In ogni caso si procede alla confisca amministrativa delle cose di cui al presente comma. Restano ferme le norme di cui al decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70».
Al comma 11 sostituire le parole "Il Comitato anti contraffazione di cui all’articolo 4, comma 72, della legge 24 dicembre 2003, n. 350" con le seguenti. "L’alto commissario per la lotta alla contraffazione di cui all’articolo 1-quater";
Al comma 12, sostituire le parole: «dell’attività» con le seguenti: «delle attività».
Al comma 15, primo periodo, dopo le parole: «di cui all’articolo 3 del» inserire le seguenti: «regolamento di cui al».
Dopo il comma 15, aggiungere i seguenti: "15bis. I fondi di cui all'articolo 25, comma 1 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 1988, n. 177, sono accreditati alle rappresentanze diplomatiche, per le finalità della legge 26 febbraio 1987, n. 49, e per gli adempimenti derivanti dai relativi obblighi internazionali, sulla base di interventi, progetti o programmi, corredati dei relativi documenti analitici dei costi e delle voci di spesa, approvati dagli organi deliberanti.
15-ter. Ai fondi di cui al comma 15-bis, accreditati nell’ultimo quadrimestre dell’esercizio finanziario di competenza, si applicano le disposizioni dell'articolo 61-bis, primo comma, del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, ove ciò sia indispensabile alla prosecuzione o al completamento dell'intervento, progetto o programma, debitamente attestati da parte del capo missione.
15-quater. Le erogazioni successive a quella iniziale sono condizionate al rilascio di una attestazione da parte del capo missione sullo stato di realizzazione degli interventi, progetti o programmi. La rendicontazione finale è altresì corredata da una relazione del Capo Missione, attestante l'effettiva realizzazione dell'intervento, progetto o programma ed il raggiungimento degli obiettivi prefissati
15-quinques. Con decreto del Ministro degli affari esteri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono emanate disposizioni per la definizione dei procedimenti amministrativi di rendicontazione e di controllo dei finanziamenti erogati ai sensi della legge 26 febbraio 1987, n. 49, sino al 31 dicembre 1999.Le disposizioni cui al primo periodo si applicano sia alla gestione dei finanziamenti disposti a valere sull'ex "Fondo Speciale per la cooperazione allo Sviluppo", sia alla gestione di quelli disposti sui pertinenti capitoli di bilancio successivamente istituiti ai sensi dell' articolo 4 della legge 23 dicembre 1993, n. 559.
15-sexies. Per la realizzazione degli interventi di emergenza di cui all'articolo 11 della legge 26 febbraio 1987, n. 49, mediante fondi accreditati alle rappresentanze diplomatiche, il capo missione può stipulare convenzioni con le organizzazioni non governative che operano localmente. La congruità dei tassi di interesse applicati dalle organizzazioni non governative per la realizzazione di programmi di microcredito è attestata dal capo della rappresentanza diplomatica."
Dopo l’articolo 1, sono aggiunti i seguenti:
«Art. 1-bis.
(Modifiche al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276)
1. Al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 13, il comma 6 è soppresso;
b) all’articolo 34, il comma 2, è sostituito dal seguente:
"2. Il contratto di lavoro intermittente può in ogni caso essere concluso con riferimento a prestazioni rese da soggetti con meno di venticinque anni di età ovvero da lavoratori con più di quarantacinque anni di età, anche pensionati";
c) all’articolo 59, il comma 1, è sostituito dal seguente: "1. Durante il rapporto di inserimento, la categoria di inquadramento del lavoratore non può essere inferiore, per più di due livelli, alla categoria spettante, in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al conseguimento delle quali è preordinato il progetto di inserimento oggetto del contratto. Il sottoinquadramento non trova applicazione per la categoria di lavoratori di cui all’articolo 54, comma 1, lettera e), salvo non esista diversa previsione da parte dei contratti collettivi nazionali o territoriali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale";
d) all’articolo 70, comma 1, è aggiunta la seguente lettera:
"e-bis) dell’impresa familiare di cui all’articolo 230-bis del codice civile, limitatamente al commercio, al turismo e ai servizi";
e) all’articolo 70, il comma 2, è sostituito dai seguenti:
"2. Le attività lavorative di cui al comma 1, anche se svolte a favore di più beneficiari, configurano rapporti di natura meramente occasionale e accessoria, intendendosi per tali le attività che non danno complessivamente luogo, con riferimento al medesimo committente, a compensi superiori a 5 mila euro nel corso di un anno solare
3. Le imprese familiari possono utilizzare prestazioni di lavoro accessorio per un importo complessivo non superiore, nel corso di ciascun anno fiscale, a 10.000 euro";
f) all’articolo 72, il comma 4 è sostituito dai seguenti:
"4. Fermo restando quanto disposto dal comma 4-bis, il concessionario provvede al pagamento delle spettanze alla persona che presenta i buoni, registrandone i dati anagrafici e il codice fiscale, effettua il versamento per suo conto dei contributi per fini previdenziali all’INPS, alla gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in misura pari al 13 per cento del valore nominale del buono e per fini assicurativi contro gli infortuni all’INAIL, in misura pari al 7 per cento del valore nominale del buono e trattiene l’importo autorizzato dal decreto di cui al comma 1, a titolo di rimborso spese.
4-bis. Con riferimento all’impresa familiare di cui all’articolo 70, comma 1, lettera e-bis), trova applicazione la normale disciplina contributiva e assicurativa del lavoro subordinato"».
g) all’articolo 72, comma 5 la parola: «metropolitane» è soppressa.
Art. 1-ter.
(Quote massime di lavoratori stranieri per esigenze di carattere stagionale)
1. In attesa della definizione delle quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per lavoro subordinato ai sensi dell’articolo 3, comma 4, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, possono essere stabilite, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, quote massime di stranieri per lavoro subordinato per esigenze di carattere stagionale per i settori dell’agricoltura e del turismo, anche in misura superiore alle quote stabilite nell’anno precedente. Sono comunque fatti salvi i provvedimenti già adottati.
Art. 1-quater.
(Alto commissario anticontraffazione)
1. È istituito l’alto Commissario per la lotta alla contraffazione con compiti di:
a) coordinamento delle funzioni di sorveglianza in materia di violazione dei diritti di proprietà industriale ed intellettuale;
b) monitoraggio sulle attività di prevenzione e di repressione dei fenomeni di contraffazione.
2. L’alto Commissario di cui al comma 1, è nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del ministro delle attività produttive.
3. L’alto Commissario si avvale per il proprio funzionamento degli uffici delle competenti direzioni generali del Ministero delle attività produttive.
4. Con decreto del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze sono definite le modalità di composizione e di funzionamento dell’Alto Commissario, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
5. Sono abrogate le disposizioni di cui all’articolo 145 del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30.».
ARTICOLO 2
All’articolo 2, apportare le seguenti modificazioni:
Al comma 1, lettera a), sostituire le parole: «67. Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie» con le seguenti: «Art. 67. (Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie)».
Al comma 1, lettera b), sostituire le parole: «70. Effetti della revocazione» con le seguenti: «Art. 70. (Effetti della revocazione)».
Al comma 1, lettera d), sostituire le parole: «160. Condizioni per l’ammissione alla procedura» con le seguenti: «Art. 160. (Condizioni per l’ammissione alla procedura)».
Al comma 1, lettera e), sostituire le parole: «161. Domanda di concordato» con le seguenti: «Art. 161. (Domanda di concordato)».
Al comma 1, lettera f), sostituire le parole: «163. Ammissione alla procedura» con le seguenti: «Art. 163. (Ammissione alla procedura)» e dopo le parole: «Con il provvedimento di cui al primo comma», inserire le seguenti: «, il tribunale».
Al comma 1, lettera g), sostituire le parole: «177. Maggioranza per l’approvazione del concordato» con le seguenti: «Art. 177. (Maggioranza per l’approvazione del concordato)».
Al comma 1, lettera h), sostituire le parole: «180. Approvazione del concordato e giudizio di omologazione» con le seguenti: «Art. 180. (Approvazione del concordato e giudizio di omologazione)».
Al comma 1, lettera i), sostituire le parole: «181. Chiusura della procedura» con le seguenti: «Art. 181. (Chiusura della procedura)».
Al comma 1, lettera l), sostituire le parole: «182-bis. Accordi di ristrutturazione dei debiti» con le seguenti: «Art. 182-bis. (Accordi di ristrutturazione dei debiti)».
Al comma 3, nell’alinea, sostituire le parole: «Al regio decreto 28 ottobre 1940, n. 1443,» con le seguenti: «Al codice di procedura civile», conseguentemente, nelle lettere a), b), c), d) ed e), sopprimere le parole: «del codice di procedura civile».
Al comma 4, lettera c), n. 5), sopprimere, in fine, i seguenti segni di interpunzione: "».".
Conseguentemente nella rubrica, dopo la parola: «fallimentare» inserire il seguente segno di interpunzione: «,».
Dopo il comma 2 aggiungere il seguente:
«2-bis. Le disposizioni di cui al comma 1, lettere d), e), f), g), h) ed i) si applicano altresì ai procedimenti di concordato preventivo pendenti e non ancora omologati alla data di entrata in vigore del presente decreto».
Al comma 3, apportare le seguenti modifiche:
A) alla lettera a), al capoverso ivi introdotto, aggiungere in fine le parole: "A tal fine il difensore indica nel primo scritto difensivo utile il numero di fax o indirizzo di posta elettronica presso cui dichiara di volere ricevere l’avviso.";
B) alla lettera b), al capoverso ivi introdotto, aggiungere in fine le parole: "A tal fine il difensore indica nel primo scritto difensivo utile il numero di fax o indirizzo di posta elettronica presso cui dichiara di volere ricevere l’avviso.";
C) dopo la lettera b) inserire le seguenti:
b-bis) All’articolo 164 del codice di procedura civile, all’ultimo comma la parola: «ultimo» è sostituita dalla seguente: «secondo»;
b-ter)all’articolo 167 del codice di procedura civile, al secondo comma, dopo le parole: "le eventuali domande riconvenzionali" sono inserite le seguenti. "e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio";
D) alla lettera c), dopo le parole "documenti informatici e teletrasmessi" aggiungere il seguente periodo: "A tal fine il difensore indica nel primo scritto difensivo utile il numero di fax o indirizzo di posta elettronica presso cui dichiara di volere ricevere la comunicazione.";
E) dopo la lettera c) inserire le seguenti:
"c-bis) L’articolo 180 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Art. 180. - (Forma di trattazione). – La trattazione della causa è orale. Della trattazione della causa si redige processo verbale».
c-ter) Gli articoli 183 e 184 del codice di procedura civile sono sostituiti dai seguenti:
«Art. 183. - (Prima Comparizione delle parti e trattazione della causa). – All’udienza fissata per la prima comparizione delle parti e la trattazione il giudice istruttore verifica d’ufficio la regolarità del contraddittorio e, quando occorre, pronuncia i provvedimenti previsti dall’articolo 102, secondo comma, dall’articolo 164, secondo, terzo e quinto comma, dall’articolo 167 secondo e terzo comma, dall’articolo 182 e dall’articolo 291, primo comma.
Quando pronunzia i provvedimenti di cui al primo comma, il giudice fissa una nuova udienza di trattazione.
Il giudice istruttore, in caso di richiesta congiunta, fissa l’udienza per la comparizione personale delle parti, al fine di interrogarle liberamente. La mancata comparizione senza giustificato motivo costituisce comportamento valutabile ai sensi del secondo comma dell’articolo 116. Quando è disposta la comparizione personale, le parti hanno facoltà di farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale, il quale deve essere a conoscenza dei fatti della causa. La procura deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata, e deve attribuire al procuratore il potere di conciliare o transigere la controversia. La mancata conoscenza, senza gravi ragioni, dei fatti della causa da parte del procuratore è valutabile ai sensi del secondo comma dell’articolo 116.
Nell’udienza di trattazione ovvero in quella eventualmente fissata ai sensi del terzo comma, il giudice richiede alle parti, sulla base dei fatti allegati, i chiarimenti necessari e indica le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione.
Nella stessa udienza l’attore può proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto. Può altresì chiedere di essere autorizzato a chiamare un terzo ai sensi degli articoli 106 e 269, terzo comma, se l’esigenza è sorta dalle difese del convenuto. Le parti posso precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate.
Se richiesto, il giudice concede alle parti un termine perentorio non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie contenenti precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte, e per produrre documenti e indicare nuovi mezzi di prova, nonché un successivo termine perentorio non superiore a trenta giorni per replicare alle domande ed eccezioni nuove o modificate dall’altra parte, per proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime, e per l’indicazione di prova contraria. Salva l’applicazione dell’articolo 187, il giudice si riserva di provvedere sulle richieste istruttorie con ordinanza pronunziata fuori dell’udienza entro un termine non superiore a trenta giorni, fissando l’udienza di cui all’articolo 184 per l’assunzione dei mezzi di prova ritenuti ammissibili e rilevanti.
L’ordinanza di cui al sesto comma è comunicata a cura del cancelliere entro i tre giorni successivi al deposito, anche a mezzo telefax, nella sola ipotesi in cui il numero sia stato indicato negli atti difensivi, nonché a mezzo di posta elettronica, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione e la trasmissione dei documenti informatici e teletrasmessi. A tal fine il difensore indica nel primo scritto difensivo utile il numero di fax o indirizzo di posta elettronica presso cui dichiara di voler ricevere gli atti.
Art. 184. - (Udienza di assunzione dei mezzi di prova). – Nell’udienza fissata con l’ordinanza prevista dal sesto comma dell’articolo 183, il giudice istruttore procede all’assunzione dei mezzi di prova ammessi.
Nel caso in cui vengano disposti d’ufficio mezzi di prova, ciascuna parte può dedurre. entro un termine perentorio assegnato dal giudice con l’ordinanza di cui al comma precedente, i mezzi di prova che si rendono necessari in relazione ai primi».
F) sostituire la lettera e) con la seguente:
e) Al libro III del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
1) l’articolo 474 è sostituito dal seguente:
«Art. 474. - (Titolo esecutivo). – L’esecuzione forzata non può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile.
Sono titoli esecutivi:
1) le sentenze, e i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva;
2) le cambiali, nonché gli altri titoli di credito e gli atti ai quali la legge attribuisce espressamente la stessa efficacia;
3) gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli, o le scritture private autenticate, relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in essi contenute.
L’esecuzione forzata per consegna o rilascio non può aver luogo che in virtù dei titoli esecutivi di cui ai numeri 1 e 3 del secondo comma».
2) All’articolo 476, al quarto comma, le parole: «non superiore a 5 euro» sono sostituite dalle seguenti: «da euro 1.000 a 5.000».
3) All’articolo 479 al secondo comma sopprimere le parole da: «ma se esso» fino a: «a norma dell’articolo 170».
4) All’articolo 490 sono apportate le seguenti modificazioni:
4.1) il secondo comma è sostituito dal seguente: «In caso di espropriazione di beni mobili registrati, per un valore superiore a 25.000 euro, e di beni immobili, lo stesso avviso, unitamente a copia dell’ordinanza del giudice e della relazione di stima redatta ai sensi dell’articolo 173-bis delle disposizioni di attuazione del presente codice, è altresì inserito in appositi siti internet almeno 45 giorni prima del termine per la presentazione delle offerte o della data dell’incanto»;
4.2) nel terzo comma dell’articolo 490, dopo le parole: «sia inserito», sono inserite le seguenti: «almeno quarantacinque giorni prima del termine per la presentazione delle offerte o della data dell’incanto».
5) L’articolo 492 è sostituito dal seguente:
«Art 492. - (Forma del pignoramento). – Salve le forme particolari previste nei capi seguenti, il pignoramento consiste in un’ingiunzione che l’ufficiale giudiziario fa al debitore di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito esattamente indicato i beni che si assoggettano all’espropriazione e i frutti di essi.
Il pignoramento deve altresì contenere l’invito rivolto al debitore ad effettuare presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione con l’avvertimento che, in mancanza, le successive notifiche o comunicazioni a lui dirette saranno effettuate presso la cancelleria dello stesso giudice.
L’ufficiale giudiziario, quando constata che i beni assoggettati a pignoramento appaiono insufficienti per la soddisfazione del creditore procedente, invita il debitore ad indicare, i beni utilmente pignorabili e i luoghi in cui si trovano.
Della dichiarazione del debitore è redatto processo verbale che lo stesso sottoscrive. Se sono indicati beni dal debitore, questi dal momento della dichiarazione, sono considerati pignorati anche agli effetti dell’articolo 388, terzo comma, del codice penale.
Qualora, a seguito di intervento di altri creditori, il compendio pignorato sia divenuto insufficiente il creditore procedente può richiedere all’ufficiale giudiziario di procedere ai sensi dei precedenti commi e, successivamente, esercitare la facoltà di cui all’articolo 499, terzo comma.
In ogni caso l’ufficiale giudiziario, ai fini della ricerca delle cose da sottoporre ad esecuzione, può, su richiesta del creditore e previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione, rivolgere richiesta ai soggetti gestori dell’anagrafe tributaria e di altre banche dati pubbliche. La richiesta, anche riguardante più soggetti nei cui confronti procedere a pignoramento, deve indicare distintamente la completa generalità di ciascuno, nonché quella dei creditori istanti e gli estremi dei provvedimenti di autorizzazione.
L’ufficiale giudiziario ha altresì facoltà di richiedere l’assistenza della forza pubblica, ove da lui ritenuto necessario.
Quando la legge richiede che l’ufficiale giudiziario nel compiere il pignoramento sia munito del titolo esecutivo, il presidente del tribunale competente per l’esecuzione può concedere al creditore l’autorizzazione prevista nell’articolo 488 secondo comma».
6) All’articolo 495 sono apportate le seguenti modificazioni:
6.1) al primo comma, le parole: «In qualsiasi momento anteriore alla vendita» sono sostituite dalle seguenti: «Prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione a norma degli articoli 530, 552 e 569»;
6.2) al quarto comma, le parole: «nove mesi» sono sostituite con le altre: «diciotto mesi».
7) All’articolo 499 sono apportate le seguenti modificazioni:
7.1) il primo comma è sostituito dal seguente: «Possono intervenire nell’esecuzione i creditori che nei confronti del debitore hanno un credito fondato su titolo esecutivo, nonché i creditori che, al momento del pignoramento, avevano eseguito un sequestro sui beni pignorati ovvero avevano un diritto di prelazione risultante da pubblici registri o un diritto di pegno».
7.2) è aggiunto, in fine, il seguente comma: «Ai creditori chirografari, intervenuti tempestivamente, il creditore pignorante ha facoltà di indicare, con atto notificato o all’udienza fissata per l’autorizzazione della vendita o per l’assegnazione, l’esistenza di altri beni del debitore utilmente pignorabili, e di invitarli ad estendere il pignoramento se sono forniti di titolo esecutivo o, altrimenti, ad anticipare le spese necessarie per l’estensione. Se i creditori intervenuti, senza giusto motivo, non estendono il pignoramento ai beni indicati ai sensi del primo periodo entro il termine di trenta giorni, il creditore pignorante ha diritto di essere loro preferito in sede di distribuzione».
8) All’articolo 510, secondo comma, sono aggiunte, in fine, le parole: «e previo accantonamento delle somme che spetterebbero ai creditori sequestratari, pignoratizi e ipotecari privi di titolo esecutivo».
9) l’articolo 512 è sostituito dal seguente
«Art. 512. - (Risoluzione delle controversie). – Se, in sede di distribuzione, sorge controversia tra i creditori concorrenti o tra creditore e debitore o terzo assoggettato all’espropriazione, circa la sussistenza o l’ammontare di uno o più crediti o circa la sussistenza di diritti di prelazione, il giudice dell’esecuzione, sentite le parti e compiuti i necessari accertamenti, provvede con ordinanza, impugnabile nelle forme e nei termini di cui all’articolo 617, secondo comma.
Il giudice può, anche con l’ordinanza di cui al primo comma, sospendere, in tutto o in parte, la distribuzione della somma ricavata».
10) All’articolo 524, secondo comma, del codice di procedura civile, le parole: «nell’articolo 525, secondo comma» e le parole: «nel terzo comma dell’articolo 525» sono sostituite, rispettivamente, dalle seguenti: «nell’articolo 525, primo comma» e: «nel secondo comma dell’articolo 525».
11) All’articolo 525 sono apportate le seguenti modificazioni:
11.1) il primo comma è abrogato;
11.2) il terzo comma è sostituito dal seguente:
«Qualora il valore dei beni pignorati, determinato a norma dell’articolo 518, non superi ventimila euro, l’intervento di cui al comma precedente deve aver luogo non oltre la data di presentazione del ricorso, prevista dall’articolo 529».
12) All’articolo 526, le parole: «a norma del secondo comma e del terzo comma dell’articolo precedente» sono sostituite dalle seguenti: «a norma dell’articolo 525».
13) L’articolo 527 è abrogato.
14) All’articolo 528 il primo comma è sostituito dal seguente:
«I creditori chirografari che intervengono successivamente ai termini di cui all’articolo 525, ma prima del provvedimento di distribuzione, concorrono alla distribuzione della parte della somma ricavata che sopravanza dopo soddisfatti i diritti del creditore pignorante, dei creditori privilegiati e di quelli intervenuti in precedenza».
15) All’articolo 530, quinto comma, le parole «terzo comma» ovunque ricorrano sono sostituite dalle seguenti: «secondo comma».
16) All’articolo 532 il primo e il secondo comma sono sostituiti dai seguenti:
«Il giudice dell’esecuzione può disporre la vendita senza incanto dei beni pignorati. Le cose pignorate devono essere affidate, all’istituto vendite giudiziarie, ovvero, con provvedimento motivato, ad altro soggetto specializzato nel settore di competenza, affinché proceda alla vendita in qualità di commissionario.
Nello stesso provvedimento di cui al primo comma il giudice, dopo avere sentito, se necessario, uno stimatore dotato di specifica preparazione tecnica e commerciale in relazione alla peculiarità del bene stesso, fissa il prezzo minimo della vendita e l’importo globale fino al raggiungimento del quale la vendita deve essere eseguita, e può imporre al commissionario una cauzione».
17) L’articolo 534-bis è sostituito dal seguente:
«Art. 534-bis. - (Delega delle operazioni di vendita). – Il giudice con il provvedimento di cui all’articolo 530, può, sentiti gli interessati, delegare all’istituto di cui al primo comma dell’articolo 534, ovvero in mancanza a un notaio avente sede preferibilmente nel circondario o a un avvocato o a un dottore commercialista o esperto contabile, iscritti nei relativi elenchi di cui all’articolo 179-ter delle disposizioni di attuazione del presente codice il compimento delle operazioni di vendita con incanto ovvero senza incanto di beni mobili iscritti nei pubblici registri. La delega e gli atti conseguenti sono regolati dalle disposizioni di cui all’articolo 591-bis, in quanto compatibili con le previsioni della presente sezione».
18) All’articolo 546 sono apportate le seguenti modificazioni:
18.1) dopo le parole: «da lui dovute» sono inserite le seguenti: «e nei limiti dell’importo del credito precettato aumentato della metà»;
18.2) è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«Nel caso di pignoramento eseguito presso più terzi, il debitore può chiedere la riduzione proporzionale dei singoli pignoramenti a norma dell’articolo 496 ovvero la dichiarazione di inefficacia di taluno di essi; il giudice dell’esecuzione, convocate le parti, provvede con ordinanza non oltre venti giorni dall’istanza».
19) All’articolo 557, secondo comma, le parole: «cinque giorni» sono sostituite dalle seguenti: «dieci giorni».
20) All’articolo 559 sono apportate le seguenti modificazioni:
20.1) al secondo comma è aggiunto infine il seguente periodo: «Il giudice provvede a nominare una persona diversa quando l’immobile non sia occupato dal debitore»;
20.2) sono aggiunti infine i seguenti commi:
«Il giudice provvede alla sostituzione del custode in caso di inosservanza degli obblighi su di lui incombenti.
Il giudice, se custode dei beni pignorati è il debitore e salvo che per la particolare natura degli stessi ritenga che la sostituzione non abbia utilità, dispone, al momento in cui pronuncia l’ordinanza con cui è autorizzata la vendita o disposta la delega delle relative operazioni, che custode dei beni medesimi sia la persona incaricata delle dette operazioni o l’istituto di cui al primo comma dell’articolo 534.
Qualora tale istituto non sia disponibile o debba essere sostituito è nominato custode altro soggetto.».
21) All’articolo 560 sono apportate le seguenti modificazioni:
21.1) la rubrica è sostituita dalla seguente: «(Modalità di nomina e revoca del custode. Modo della custodia)»;
21.2) al primo comma è anteposto il seguente: «I provvedimenti di nomina e di revoca del custode, nonché l’autorizzazione di cui al terzo comma o la sua revoca, sono dati con ordinanza non impugnabile. In quest’ultimo caso l’ordinanza costituisce titolo esecutivo per il rilascio. Dopo l’aggiudicazione deve essere sentito l’aggiudicatario ai sensi dell’articolo 485;
21.3) sono aggiunti infine i seguenti commi:
«Il giudice, con l’ordinanza di cui al primo comma, stabilisce le modalità con cui il custode deve adoperarsi perché gli interessati a presentare offerta di acquisto esaminino i beni in vendita.
Il custode provvede all’amministrazione e alla gestione dell’immobile pignorato ed esercita le azioni previste dalla legge e occorrenti per conseguirne la disponibilità.
22) L’articolo 563 è abrogato.
23) L’articolo 564 è sostituito dal seguente:
«Art. 564. - (Facoltà dei creditori intervenuti). – I creditori intervenuti non oltre la prima udienza fissata per l’autorizzazione della vendita partecipano all’espropriazione dell’immobile pignorato e, se muniti di titolo esecutivo, possono provocarne i singoli atti.
24) Agli articoli 561, secondo comma, 565 e 566 le parole: «nell’articolo 563, secondo comma,» sono sostituite dalle seguenti: «nell’articolo 564».
25) L’articolo 567 è sostituito dal seguente:
«Art. 567. - (Istanza di vendita). – Decorso il termine di cui all’articolo 501, il creditore pignorante e ognuno dei creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo possono chiedere la vendita dell’immobile pignorato.
Il creditore che richiede la vendita deve provvedere, entro centoventi giorni dal deposito del ricorso, ad allegare allo stesso l’estratto del catasto e delle mappe censuarie, il certificato di destinazione urbanistica come previsto nella vigente normativa, di data non anteriore a tre mesi dal deposito del ricorso, nonché i certificati delle iscrizioni e trascrizioni relative all’immobile pignorato; tale documentazione può essere sostituita da un certificato notarile attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari.
Il termine di cui al secondo comma può essere prorogati sola una volta su istanza dei creditori o dell’esecutato, per giusti motivi e per una durata non superiore ad ulteriore centoventi giorni. Se la proroga non è richiesta o non è concessa, il giudice dell’esecuzione, anche d’ufficio, dichiara l’inefficacia del pignoramento relativamente all’immobile per il quale non è stata depositata la prescritta documentazione. L’inefficacia è dichiarata con ordinanza, sentite le parti. Il giudice, con l’ordinanza, dispone la cancellazione della trascrizione del pignoramento. Si applica l’articolo 562, secondo comma. Il giudice dichiara altresì l’estinzione del processo esecutivo se non vi sono altri beni pignorati.
26) L’articolo 569 è sostituito dal seguente:
«Art. 569. - (Provvedimento per l’autorizzazione della vendita). – A seguito dell’istanza di cui all’articolo 567 il giudice dell’esecuzione, entro trenta giorni dal deposito della documentazione di cui al secondo comma dell’articolo 567, nomina l’esperto convocandolo davanti a sé per prestare il giuramento e fissa l’udienza per la comparizione delle parti e dei creditori di cui all’articolo 498 che non siano intervenuti. Tra la data del provvedimento e la data fissata per l ’udienza non possono decorrere più di novanta giorni.
All’udienza le parti possono fare osservazioni circa il tempo e le modalità della vendita, e debbono proporre, a pena di decadenza, le opposizioni agli atti esecutivi, se non sono già decadute dal diritto di proporle.
Se non vi sono opposizioni o se su di esse si raggiunge l’accordo delle parti comparse, il giudice dispone con ordinanza la vendita, fissando un termine non inferiore a novanta giorni, e non superiore a centoventi, entro il quale possono essere proposte offerte d’acquisto ai sensi dell’articolo 571. Il giudice con la medesima ordinanza fissa, al giorno successivo alla scadenza del termine, l’udienza per la deliberazione sull’offerta e per la gara tra gli offerenti di cui all’articolo 573 e provvede ai sensi dell’articolo 576, per il caso in cui non siano proposte offerte d’acquisto entro il termine stabilito, ovvero per il caso in cui le stesse non siano efficaci ai sensi dell’articolo 571, ovvero per il caso in cui si verifichi una delle circostanze previste dall’articolo 572, terzo comma, ovvero per il caso, infine, in cui la vendita senza incanto non abbia luogo per qualsiasi altra ragione.
Se vi sono opposizioni il tribunale le decide con sentenza e quindi il giudice dell’esecuzione dispone la vendita con ordinanza.
Con la medesima ordinanza il giudice fissa il termine entro il quale essa deve essere notificata, a cura del creditore che ha chiesto la vendita o di un altro autorizzato, ai creditori di cui all’articolo 498 che non sono comparsi.
27) Gli articoli 571, 572 e 573 sono sostituiti dai seguenti:
«Art. 571. - (Offerte d’acquisto). – Ognuno, tranne il debitore, è ammesso a offrire per l’acquisto dell’immobile pignorato personalmente o a mezzo di procuratore legale anche a norma dell’articolo 579 ultimo comma. L’offerente deve presentare nella cancelleria dichiarazione contenente l’indicazione del prezzo, del tempo e modo del pagamento e ogni altro elemento utile alla valutazione dell’offerta. Se un termine più lungo non è fissato dall’offerente, l’offerta non può essere revocata prima di venti giorni.
L’offerta non è efficace se perviene oltre il termine stabilito ai sensi dell’articolo 569, terzo comma, se è inferiore al prezzo determinato a norma dell’articolo 568 o se l’offerente non presta cauzione, con le modalità stabilite nell’ordinanza di vendita, in misura non inferiore al decimo del prezzo da lui proposto.
L’offerta deve essere depositata in busta chiusa all’esterno della quale viene annotato, a cura del cancelliere ricevente, il nome, previa identificazione, di chi materialmente provvede al deposito, il nome del giudice dell’esecuzione o del professionista delegato ai sensi dell’articolo 591-bis e la data dell’udienza fissata per l’esame delle offerte. Se è stabilito che la cauzione è da versare mediante assegno circolare lo stesso deve essere inserito nella busta. Le buste sono aperte all’udienza fissata per l’esame delle offerte alla presenza degli offerenti.
Art. 572. - (Deliberazione sull’offerta). – Sull’offerta il giudice dell’esecuzione sente le parti e i creditori iscritti non intervenuti.
Se l’offerta è superiore al valore dell’immobile determinato a norma dell’articolo 568, aumentato di un quinto, la stessa è senz’altro accolta.
Se l’offerta è inferiore a tale valore, il giudice non può far luogo alla vendita se vi è il dissenso del creditore procedente, ovvero se il giudice ritiene che vi è seria possibilità di migliore vendita con il sistema dell’incanto. In tali casi lo stesso ha senz’altro luogo alle condizioni e con i termini fissati con l’ordinanza pronunciata ai sensi dell’articolo 569.
Si applicano anche in questi casi le disposizioni degli articoli 573, 574 e 577.
Art. 573. - (Gara tra gli offerenti). – Se vi sono più offerte, il giudice dell’esecuzione invita gli offerenti a una gara sull’offerta più alta.
Se la gara non può avere luogo per mancanza di adesioni degli offerenti il giudice può disporre la vendita a favore del maggiore offerente oppure ordinare l’incanto».
28) L’articolo 575 è abrogato.
29) All’articolo 576, primo comma, il numero 5 è sostituito dal seguente:
«5. L’ammontare della cauzione in misura non superiore al decimo del prezzo base d’asta e il termine entro il quale tale ammontare deve essere prestato dagli offerenti;».
30) L’articolo 580 è sostituito dal seguente:
«Art. 580. - (Prestazione della cauzione). – Per offrire all’incanto è necessario avere prestato la cauzione a norma dell’ordinanza di cui all’articolo 576.
Se l’offerente non diviene aggiudicatario la cauzione è immediatamente restituita dopo la chiusura dell’incanto, salvo che lo stesso non abbia omesso di partecipare al medesimo, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, senza documentato e giustificato motivo. In tale caso la cauzione è restituita solo nella misura dei nove decimi dell’intero e la restante parte è trattenuta come somma rinveniente a tutti gli effetti dall’esecuzione».
31) Gli articoli 584 e 585 sono sostituiti dai seguenti:
«Art. 584. - (Offerte dopo l’incanto). – Avvenuto l’incanto, possono ancora essere fatte offerte di acquisto entro il termine perentorio di dieci giorni, ma esse non sono efficaci se il prezzo offerto non supera di un quinto quello raggiunto nell’incanto.
Le offerte di cui al primo comma si fanno mediante deposito in cancelleria nelle forme di cui all’articolo 571, prestando cauzione per una somma pari al doppio della cauzione versata ai sensi dell’articolo 580.
Il giudice, verificata la regolarità delle offerte, indice la gara, della quale il cancelliere dà pubblico avviso a norma dell’articolo 570 e comunicazione all’aggiudicatario fissando il termine perentorio entro il quale possono essere fatte ulteriori offerte a norma del secondo comma.
Alla gara possono partecipare, oltre gli offerenti in aumento di cui ai commi precedenti e l’aggiudicatario, anche gli offerenti al precedente incanto che, entro il termine fissato dal giudice, abbiano integrato la cauzione nella misura di cui al secondo comma.
Nel caso di diserzione della gara indetta a norma del terzo comma, l’aggiudicazione diventa definitiva, ed il giudice pronuncia a carico degli offerenti di cui al primo comma la perdita della cauzione, il cui importo è trattenuto come rinveniente a tutti gli effetti dall’esecuzione.
Art. 585. - (Versamento del prezzo). – L’aggiudicatario deve versare il prezzo nel termine e nel modo fissati dall’ordinanza che dispone la vendita a norma dell’articolo 576, e consegnare al cancelliere il documento comprovante l’avvenuto versamento.
Se l’immobile è stato aggiudicato a un creditore ipotecario o l’aggiudicatario è stato autorizzato ad assumersi un debito garantito da ipoteca, il giudice dell’esecuzione può limitare, con suo decreto, il versamento alla parte del prezzo occorrente per le spese e per la soddisfazione degli altri creditori che potranno risultare capienti.
Se il versamento del prezzo avviene con l’erogazione a seguito di contratto di finanziamento che preveda il versamento diretto delle somme erogate in favore della procedura e la garanzia ipotecaria di primo grado sul medesimo immobile oggetto di vendita, nel decreto di trasferimento deve essere indicato tale atto ed il Conservatore dei registri immobiliari non può eseguire la trascrizione del decreto se non unitamente all’iscrizione dell’ipoteca concessa dalla parte finanziata».
32) All’articolo 586, al primo comma, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il giudice con il decreto ordina anche la cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e delle iscrizioni ipotecarie successive alla trascrizione del pignoramento».
33) Gli articoli 588, 589, 590, 591, 591-bis e 591-ter sono sostituiti dai seguenti:
«Art. 588. - (Termine per l’istanza di assegnazione). – Ogni creditore, nel termine di dieci giorni prima della data dell’incanto, può presentare istanza di assegnazione a norma dell’articolo seguente per il caso in cui la vendita all’incanto non abbia luogo per mancanza di offerte.
Art. 589. - (Istanza di assegnazione). – L’istanza di assegnazione deve contenere l’offerta di pagamento di una somma non inferiore a quella prevista nell’articolo 506 ed al prezzo determinato a norma dell’articolo 568.
Fermo quanto previsto al primo comma, se nella procedura non risulta che vi sia alcuno dei creditori di cui all’articolo 498 e se non sono intervenuti altri creditori oltre al procedente, questi può presentare offerta di pagamento di una somma pari alla differenza fra il suo credito in linea capitale e il prezzo che intende offrire, oltre le spese.
Art. 590. - (Provvedimento di assegnazione). – Se la vendita all’incanto non ha luogo per mancanza di offerte e vi sono domande di assegnazione il giudice provveda su di esse fissando il termine entro il quale l’assegnatario deve versare l’eventuale conguaglio.
Avvenuto il versamento, il giudice pronuncia il decreto di trasferimento a norma dell’articolo 586.
Art. 591. - (Provvedimento di amministrazione giudiziaria o di nuovo incanto). – Se non vi sono domande di assegnazione o se non crede di accoglierle, il giudice dell’esecuzione dispone l’amministrazione giudiziaria a norma degli articoli 592 e seguenti, oppure pronuncia nuova ordinanza ai sensi dell’articolo 576 perché si proceda a nuovo incanto.
In quest’ultimo caso il giudice può stabilire diverse condizioni di vendita e diverse forme di pubblicità, fissando un prezzo base inferiore di un quarto a quello precedente. Il giudice, se stabilisce nuove condizioni di vendita o fissa nuovo prezzo, assegna altresì un nuovo termine non inferiore a sessanta giorni, e non superiore a novanta, entro il quale possono essere proposte offerte d’acquisto ai sensi dell’articolo 571.
Si applica il terzo comma, secondo periodo, dell’articolo 569.
Art. 591-bis. - (Delega delle operazioni di vendita). – Il giudice dell’esecuzione, con l’ordinanza con la quale provvede sull’istanza di vendita ai sensi dell’articolo 569, può, sentiti gli interessati, delegare ad un notaio avente preferibilmente sede nel circondario o a un avvocato ovvero a un dottore commercialista o esperto contabile, iscritti nei relativi elenchi di cui all’articolo 179-ter delle disposizioni di attuazione del presente codice, il compimento delle operazioni di vendita secondo le modalità indicate al terzo comma del medesimo articolo 569. Con la medesima ordinanza il giudice stabilisce il terrnine per lo svolgimento delle operazioni delegate, le modalità della pubblicità il luogo di presentazione delle offerte ai sensi dell’articolo 570, il luogo ove si procede all’esame delle offerte e alla gara tra gli offerenti e ove si svolge l’incanto.
Il professionista delegato provvede:
1) alla determinazione del valore dell’immobile a norma dell’articolo 568, terzo comma. anche tramite l’ausilio dell’esperto nominato dal giudice ai sensi dell’articolo 569, primo comma;
2) ad autorizzare l’assunzione dei debiti da parte dell’aggiudicatario o dell’assegnatario a norma dell’articolo 508;
3) sulle offerte dopo l’incanto a norma dell’articolo 584 e sul versamento del prezzo nella ipotesi di cui all’articolo 585, secondo comma;
4) alla fissazione degli ulteriori incanti o sulla istanza di assegnazione, ai sensi degli articoli 587, 590 e 591;
5) alla esecuzione delle formalità di registrazione, trascrizione e voltura catastale del decreto di trasferimento, alla comunicazione dello stesso a pubbliche amministrazioni negli stessi casi previsti per le comunicazioni di atti volontari di trasferimento nonché all’espletamento delle formalità di cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti delle iscrizioni ipotecarie conseguenti al decreto di trasferimento pronunciato dal giudice dell’esecuzione ai sensi dell’articolo 586;
6) a ricevere o autenticare la dichiarazione di nomina di cui all’articolo 583;
7) alla formazione del progetto di distribuzione ed alla sua trasmissione al giudice dell’esecuzione che, dopo avervi apportato le eventuali variazioni, provvede ai sensi dell’articolo 596.
In caso di delega al professionista delle operazioni di vendita con incanto, il professionista provvede alla redazione dell’avviso avente il contenuto di cui all’articolo 576, primo comma, alla sua notificazione ai creditori di cui all’articolo 498, non intervenuti, nonché a tutti gli altri adempimenti previsti dagli articoli 576 e seguenti. Nell’avviso va specificato che tutte le attività, che, a norma degli articoli 576 e seguenti debbono essere compiute in cancelleria o davanti al giudice dell’esecuzione o dal cancelliere o dal giudice dell’esecuzione, sono effettuate dal professionista incaricato presso il suo studio ovvero nel luogo da lui indicato. All’avviso si applica l’articolo 173-quater delle disposizioni di attuazione del presente codice.
Il professionista delegato provvede altresì alla redazione del verbale d’incanto, che deve contenere le circostanze di luogo e di tempo nelle quali l’incanto si svolge, le generalità delle persone ammesse all’incanto, la descrizione delle attività svolte, la dichiarazione dell’aggiudicazione provvisoria con l’identificazione dell’aggiudicatario.
Il verbale è sottoscritto esclusivamente dal professionista delegato ed allo stesso non deve essere allegata la procura speciale di cui all’articolo 579, secondo comma.
Se il prezzo non è stato versato nel termine, il professionista delegato ne dà tempestivo avviso al giudice, trasmettendogli il fascicolo.
Avvenuto il versamento del prezzo ai sensi degli articoli 585 e 590, secondo comma, il professionista delegato, predispone il decreto di trasferimento e trasmette senza indugio al giudice dell’esecuzione il fascicolo. Al decreto, se previsto dalla legge, deve essere allegato il certificato di destinazione urbanistica dell’immobile quale risultante dal fascicolo processuale. Il professionista delegato provvede alla trasmissione del fascicolo al giudice dell’esecuzione nel caso in cui non faccia luogo all’assegnazione o ad ulteriori incanti ai sensi dell’articolo 591. Contro il decreto previsto nel presente comma è proponibile l’opposizione di cui all’articolo 617.
Le somme versate dall’aggiudicatario sono depositate presso una banca indicata dal giudice.
I provvedimenti di cui all’articolo 586 restano riservati al giudice dell’esecuzione anche in caso di delega al professionista delle operazioni di vendita con incanto.
Art. 591-ter. - (Ricorso al giudice dell’esecuzione). – Quando, nel corso delle operazioni di vendita con incanto, insorgono difficoltà, il professionista delegato può rivolgersi al giudice dell’esecuzione, il quale provvede con decreto. Le parti e gli interessati possono proporre reclamo avverso il predetto decreto nonché avverso gli atti del professionista delegato con ricorso allo stesso giudice, il quale provvede con ordinanza; il ricorso non sospende le operazioni di vendita salvo che il giudice, concorrendo gravi motivi, disponga la sospensione. Restano ferme le disposizioni di cui all’articolo 617.».
34) All’articolo 596, primo comma, dopo le parole: «dell’esecuzione» sono inserite le seguenti: «o il professionista delegato a norma dell’articolo 591-bis».
35) All’articolo 598 dopo le parole: «dell’esecuzione» sono inserite le seguenti: «o professionista delegato a norma dell’articolo 591-bis».
36) All’articolo 600 il secondo comma è sostituito dal seguente:
«Se la separazione in natura non è chiesta o non è possibile, il giudice dispone che si proceda alla divisione a norma del codice civile, salvo che ritenga probabile la vendita della quota indivisa ad un prezzo pari o superiore al valore della stessa, determinato a norma dell’articolo 568».
37) All’articolo 608 il primo comma è sostituito dal seguente:
«L’esecuzione inizia con la notifica dell’avviso con il quale l’ufficiale giudiziario comunica almeno dieci giorni prima alla parte, che è tenuta a rilasciare l’immobile, il giorno e l’ora in cui procederà».
38) Dopo l’articolo 608 è inserito il seguente:
«Art. 608-bis. – L’esecuzione di cui all’articolo 605 si estingue se la parte istante prima della consegna o del rilascio, rinuncia con atto da notificarsi alla parte esecutata e da consegnarsi all’ufficiale giudiziario procedente».
39) All’articolo 611, al secondo comma, dopo le parole: «giudice dell’esecuzione», sono inserite le seguenti: «a norma degli articoli 91 e seguenti».
40) All’articolo 615 al primo comma, in fine, sono aggiunte le seguenti parole: «Il giudice, concorrendo gravi motivi, sospende su istanza di parte l’efficacia esecutiva del titolo».
41) All’articolo 617 sono apportate le seguenti modificazioni:
41.1) al primo comma, le parole: «cinque giorni» sono sostituite dalle seguenti: «venti giorni»;
41.2) al secondo comma, le parole: «cinque giorni» sono sostituite dalle seguenti: «venti giorni».
42) L’articolo 624 è sostituito dai seguenti:
«Art. 624. - (Sospensione per opposizione all’esecuzione). – Se è proposta opposizione all’esecuzione a norma degli articoli 615, secondo comma, e 619, il giudice dell’esecuzione, concorrendo gravi motivi sospende, su istanza di parte, il processo con cauzione o senza.
Contro l’ordinanza che provvede sull’istanza di sospensione è ammesso reclamo ai sensi dell’articolo 669-terdecies. La disposizione di cui al periodo precedente si applica anche al provvedimento di cui all’articolo 512, secondo comma.
Art. 624-bis. - (Sospensione su istanza delle parti). – Il giudice dell’esecuzione, su istanza di tutti i creditori muniti di titolo esecutivo, può, sentito il debitore, sospendere il processo fino a ventiquattro mesi. La sospensione è disposta per una sola volta. L’ordinanza è revocabile in qualsiasi momento, anche su richiesta di un solo creditore e sentito comunque il debitore.
Entro dieci giorni dalla scadenza del termine la parte interessata deve presentare istanza per la fissazione dell’udienza in cui il processo deve proseguire.»;
43) all’articolo 630 del codice di procedura civile, al terzo comma, dopo le parole "è ammesso reclamo" sono inserite le seguenti: "da parte del debitore o del creditore pignorante ovvero degli altri creditori intervenuti nel termine perentorio di venti giorni dall’udienza o dalla comunicazione dell’ordinanza e".
G) dopo la lettera e) inserire le seguenti:
e-bis) Al capo III del titolo I del libro IV del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
1) All’articolo 669-quinquies, al primo comma, dopo la parola: «in arbitri» sono aggiunte le seguenti: «anche non rituali»;
2) All’articolo 669-octies sono apportate le seguenti modificazioni:
2.1) al primo comma, le parole: «trenta giorni» sono sostituite dalle seguenti: «sessanta giorni»;
2.2) al secondo comma, le parole: «trenta giorni» sono sostituite dalle seguenti: «sessanta giorni»;
2.3) dopo il quinto comma sono aggiunti i seguenti commi:
«Le disposizioni di cui al presente articolo e quella di cui al primo comma dell’articolo 669-novies non si applicano ai provvedimenti di urgenza emessi ai sensi dell’articolo 700 e agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, previsti dal codice civile o da leggi speciali, nonchè ai provvedimenti emessi a seguito di denunzia di nuova opera o di danno temuto ai sensi dell’articolo 688, ma ciascuna parte può iniziare il giudizio di merito.
L’estinzione del giudizio di merito non determina l’inefficacia dei provvedimenti di cui al comma precedente, anche quando la relativa domanda è stata proposta in corso di causa.
L’autorità del provvedimento cautelare non è invocabile in un diverso processo.
3) All’articolo 669-decies, il primo comma è sostituito dai seguenti:
«Salvo che sia stato proposto reclamo ai sensi dell’articolo 669-terdecies, nel corso dell’istruzione il giudice istruttore della causa di merito può, su istanza di parte, modificare o revocare con ordinanza il provvedimento cautelare, anche se emesso anteriormente alla causa, se si verificano mutamenti nelle circostanze o se si allegano fatti anteriori di cui si è acquista conoscenza successivamente al provvedimento cautelare. In tale caso, l’istante deve fornire la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza.
Quando il giudizio di merito non sia iniziato o sia stato dichiarato estinto, la revoca e la modifica dell’ordinanza di accoglimento, esaurita l’eventuale fase del reclamo proposto ai sensi dell’articolo 669-terdecies, possono essere richieste al giudice che ha provveduto sull’istanza cautelare se si verificano mutamenti nelle circostanze o se si allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare. In tale caso l’istante deve fornire la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza».
4) All’articolo 669-terdecies sono apportate le seguenti modifiche:
4.1) il primo comma è sostituito dal seguente:
«Contro l’ordinanza con la quale è stato concesso o negato il provvedimento cautelare è ammesso reclamo nel termine perentorio di quindici giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore»;
4.2) dopo il terzo comma è inserito il seguente:
«Le circostanze e i motivi sopravvenuti al momento della proposizione del reclamo debbono essere proposti, nel rispetto del principio del contraddittorio, nel relativo procedimento. Il tribunale può sempre assumere informazioni e acquisire nuovi documenti. Non è consentita la rimessione al primo giudice».
5) All’articolo 696 sono apportate le seguenti modificazioni:
5.1) al primo comma è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «L’accertamento tecnico e l’ispezione giudiziale, se ne ricorre l’urgenza, possono essere disposti anche sulla persona dell’istante e, se questa vi consente, sulla persona nei cui confronti l’istanza è proposta»;
5.2) dopo il primo comma è inserito il seguente: «L’accertamento tecnico di cui al primo comma può comprendere anche valutazioni in ordine alle cause e ai danni relativi all’oggetto della verifica».
6) Dopo l’articolo 696 è inserito il seguente:
«Art. 696-bis. - (Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite). – L’espletamento di una consulenza tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell’articolo 696, ai fini dell’accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito. Il giudice procede a norma del terzo comma del medesimo articolo 696. Il consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione delle parti.
Se le parti si sono conciliate si forma processo verbale della conciliazione.
Il giudice attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo al processo verbale, ai fini dell’espropriazione e dell’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
Il processo verbale è esente dall’imposta di registro.
Se la conciliazione non riesce, ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito.
Si applicano gli articoli da 191 a 197, in quanto compatibili».
7) All’articolo 703 sono apportate le seguenti modificazioni:
7.1) il secondo comma è sostituito dal seguente: «Il giudice provvede ai sensi degli articoli 669-bis e seguenti, in quanto compatibili»;
7.2) sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:
«L’ordinanza che accoglie o respinge la domanda è reclamabile ai sensi dell’articolo 669-terdecies.
Se richiesto da una delle parti, entro il termine perentorio di sessanta giorni decorrente dalla comunicazione del provvedimento che ha deciso sul reclamo ovvero, in difetto, del provvedimento di cui al terzo comma, il giudice fissa dinanzi a sé l’udienza per la prosecuzione del giudizio di merito. Si applica l’articolo 669-novies, terzo comma».
8) All’articolo 704, il secondo comma è sostituito dal seguente:
«La reintegrazione nel possesso può essere tuttavia domandata al giudice competente a norma dell’articolo 703, il quale dà i provvedimenti temporanei indispensabili; ciascuna delle parti può proseguire il giudizio dinanzi al giudice del petitorio, ai sensi dell’articolo 703».
e-ter) al capo I del titolo II del libro IV del codice di procedura civile gli articoli 706, 707, 708, 709 sono sostituiti dai seguenti:
«Art. 706. - (Forma della domanda). – La domanda di separazione personale si propone al tribunale del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza, del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio, con ricorso che deve contenere l’esposizione dei fatti sui quali la domanda è fondata.
Qualora il coniuge convenuto sia residente all’estero, o risulti irreperibile, la domanda si propone al tribunale del luogo di residenza o di domicilio del ricorrente, e, se anche questi è residente all’estero, a qualunque tribunale della Repubblica.
Il presidente, nei cinque giorni successivi al deposito in cancelleria, fissa con decreto la data dell’udienza di comparizione dei coniugi davanti a sé, che deve essere tenuta entro novanta giorni dal deposito del ricorso, il termine per la notificazione del ricorso e del decreto, ed il termine entro cui il coniuge convenuto può depositare memoria difensiva e documenti. Al ricorso e alla memoria difensiva sono allegate le ultime dichiarazioni dei redditi presentate.
Nel ricorso deve essere indicata l’esistenza di figli legittimi, legittimati o adottati da entrambi i coniugi durante il matrimonio.
Art. 707. - (Comparizione personale delle parti). – I coniugi debbono comparire personalmente davanti al presidente con l’assistenza del difensore.
Se il ricorrente non si presenta o rinuncia, la domanda non ha effetto.
Se non si presenta il coniuge convenuto, il presidente può fissare un nuovo giorno per la comparizione, ordinando che la notificazione del ricorso e del decreto gli sia rinnovata.
Art. 708. - (Tentativo di conciliazione e provvedimenti del presidente). – All’udienza di comparizione il presidente deve sentire i coniugi prima separatamente e poi congiuntamente, tentandone la conciliazione.
Se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere il processo verbale della conciliazione.
Se la conciliazione non riesce, il presidente, anche d’ufficio, sentiti i coniugi ed i rispettivi difensori, dà con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell’interesse della prole e dei coniugi, nomina il giudice istruttore e fissa udienza di comparizione e trattazione davanti a questi. Nello stesso modo il presidente provvede, se il coniuge convenuto non compare, sentito il ricorrente ed il suo difensore.
Art. 709. - (Notificazione dell’ordinanza e fissazione dell’udienza). – L’ordinanza con la quale il presidente fissa l’udienza di comparizione davanti al giudice istruttore è notificata a cura dell’attore al convenuto non comparso, nel termine perentorio stabilito nell’ordinanza stessa, ed è comunicata al pubblico ministero.
Tra la data dell’ordinanza, ovvero tra la data entro cui la stessa deve essere notificata al convenuto non comparso, e quella dell’udienza di comparizione e trattazione devono intercorrere i termini di cui all’articolo 163-bis ridotti a metà.
Con l’ordinanza il presidente assegna altresì termine al ricorrente per il deposito in cancelleria di memoria integrativa, che deve avere il contenuto di cui all’articolo 163, terzo comma, numeri 2), 3), 4), 5) e 6), e termine al convenuto per la costituzione in giudizio ai sensi degli articoli 166 e 167, primo e secondo comma, nonché per la proposizione delle eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio. L’ordinanza deve contenere l’avvertimento al convenuto che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui all’articolo 167, primo e secondo comma, e che oltre il termine stesso non potranno più essere proposte le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio.
I provvedimenti temporanei ed urgenti assunti dal presidente con l’ordinanza di cui al terzo comma dell’articolo 708 possono essere revocati o modificati dal giudice istruttore.
Art. 709-bis. - (Udienza di comparizione e trattazione davanti al giudice istruttore). – All’udienza davanti al giudice istruttore si applicano le disposizioni di cui agli articoli 180 e 183, commi primo, secondo, quarto, quinto, sesto e settimo. Si applica altresì l’articolo 184.».
Conseguentemente, dopo il comma 3, inserire i seguenti:
«3-bis. L’articolo 4 della legge 1º dicembre 1970, n. 898 è sostituito dal seguente:
"Art. 4. – 1. La domanda per ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio si propone al tribunale del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza, del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio. Qualora il coniuge convenuto sia residente all’estero o risulti irreperibile, la domanda si propone al tribunale del luogo di residenza o di domicilio del ricorrente e, se anche questi è residente all’estero, a qualunque tribunale della Repubblica. La domanda congiunta può essere proposta al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell’uno o dell’altro coniuge.
2. La domanda si propone con ricorso, che deve contenere l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali la domanda di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso è fondata.
3. Del ricorso il cancelliere dà comunicazione all’ufficiale dello stato civile del luogo dove il matrimonio fu trascritto per l’annotazione in calce all’atto.
4. Nel ricorso deve essere indicata l’esistenza dei figli legittimi, legittimati o adottati da entrambi i coniugi durante il matrimonio.
5. Il presidente del tribunale, nei cinque giorni successivi al deposito in cancelleria, fissa con decreto la data di comparizione dei coniugi avanti a sé, che deve avvenire entro novanta giorni dal deposito del ricorso, il termine per la notificazione del ricorso e del decreto ed il termine entro cui il coniuge convenuto può depositare memoria difensiva e documenti. Il presidente nomina un curatore speciale quando il convenuto è malato di mente o legalmente incapace.
6. Al ricorso e alla prima memoria difensiva sono allegate le ultime dichiarazioni dei redditi rispettivamente presentate.
7. I coniugi devono comparire davanti al presidente del tribunale personalmente, salvo gravi e comprovati motivi, e con l’assistenza di un difensore. Se il ricorrente non si presenta o rinuncia la domanda non ha effetto. Se non si presenta il coniuge convenuto, il presidente può fissare un nuovo giorno per la comparizione, ordinando che la notificazione del ricorso e del decreto gli sia rinnovata. All’udienza di comparizione, il presidente deve sentire i coniugi prima separatamente poi congiuntamente, tentando di conciliarli. Se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere processo verbale della conciliazione.
8. Se la conciliazione non riesce, il presidente, sentiti i coniugi e i rispettivi difensori nonché, qualora lo ritenga strettamente necessario anche in considerazione della loro età, i figli minori, dà, anche d’ufficio, con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell’interesse dei coniugi e della prole, nomina il giudice istruttore e fissa l’udienza di comparizione e trattazione dinanzi a questo. Nello stesso modo il presidente provvede, se il coniuge convenuto non compare, sentito il ricorrente e il suo difensore. L’ordinanza del presidente può essere revocata o modificata dal giudice istruttore. Si applica l’articolo 189 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile.
9. Tra la data dell’ordinanza, ovvero tra la data entro cui la stessa deve essere notificata al convenuto non comparso, e quella dell’udienza di comparizione e trattazione devono intercorrere i termini di cui all’articolo 163-bis del codice di procedura civile ridotti a metà.
10. Con l’ordinanza di cui al comma 8, il presidente assegna altresì termine al ricorrente per il deposito in cancelleria di memoria integrativa, che deve avere il contenuto di cui all’articolo 163, terzo comma, numeri 2), 3), 4), 5) e 6), del codice di procedura civile e termine al convenuto per la costituzione in giudizio ai sensi degli articoli 166 e 167, primo e secondo comma, dello stesso codice nonché per la proposizione delle eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio. L’ordinanza deve contenere l’avvertimento al convenuto che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui all’articolo 167 del codice di procedura civile e che oltre il termine stesso non potranno più essere proposte le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio.
11. All’udienza davanti al giudice istruttore si applicano le disposizioni di cui agli articoli 180 e 183, commi primo, secondo, quarto, quinto, sesto e settimo, del codice di procedura civile. Si applica altresì l’articolo 184 del medesimo codice.
12. Nel caso in cui il processo debba continuare per la determinazione dell’assegno, il Tribunale emette sentenza non definitiva relativa allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio. Avverso tale sentenza è ammesso solo appello immediato. Appena formatosi il giudicato, si applica la previsione di cui all’articolo 10.
13. Quando vi sia stata la sentenza non definitiva, il Tribunale, emettendo la sentenza che dispone l’obbligo della somministrazione dell’assegno, può disporre che tale obbligo produca effetti fin dal momento della domanda.
14. Per la parte relativa ai provvedimenti di natura economica la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva.
15. L’appello è deciso in camera di consiglio.
16. La domanda congiunta dei coniugi di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio che indichi anche compiutamente le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici, è proposta con ricorso al Tribunale in camera di consiglio. Il Tribunale, sentiti i coniugi, verificata l’esistenza dei presupposti di legge e valutata la rispondenza delle condizioni all’interesse dei figli, decide con sentenza. Qualora il Tribunale ravvisi che le condizioni relative ai figli siano in contrasto con gli interessi degli stessi, si applica la procedura di cui al comma 8 del presente articolo".
3-ter. Alle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
a) Dopo l’articolo 70-bis è inserito il seguente:
"Art. 70-ter. La citazione può anche contenere, oltre a quanto previsto dall’articolo 163, terzo comma, numero 7, del codice, l’invito al convenuto o ai convenuti, in caso di pluralità degli stessi, a notificare al difensore dell’attore la comparsa di risposta ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, entro un termine non inferiore a sessanta giorni dalla notificazione della citazione, ma inferiore di almeno dieci giorni al termine indicato ai sensi del primo comma dell’articolo 163-bis del codice.
Se tutti i convenuti notificano la comparsa di risposta ai sensi del precedente comma, il processo prosegue nelle forme e secondo le modalità previste dal decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5".
b) L’articolo 169-bis è sostituito dal seguente:
"Art. 169-bis. - (Determinazione dei compensi per le operazioni delegate dal giudice dell’esecuzione). – Con il decreto di cui all’articolo 179-bis è stabilita la misura dei compensi dovuti ai notai agli avvocati e ai dottori commercialisti per le operazioni di vendita con incanto dei beni mobili iscritti nei pubblici registri".
c) L’articolo 169-ter è sostituito dal seguente:
"Art. 169-ter. - (Elenco dei professionisti che provvedono alle operazioni di vendita). – Nelle comunicazioni previste dall’articolo 179-ter sono indicati anche gli elenchi dei notai, degli avvocati, dei dottori commercialisti e esperti contabili disponibili a provvedere alle operazioni di vendita con incanto di beni mobili iscritti nei pubblici registri".
d) Dopo l’articolo 173 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, sono inseriti i seguenti:
"Art. 173-bis. - (Contenuto della relazione di stima e compiti dell’esperto). – L’esperto provvede alla redazione della relazione di stima dalla quale devono risultare:
1) l’identificazione del bene, comprensiva dei confini e dei dati catastali;
2) una sommaria descrizione del bene;
3) lo stato di possesso del bene, con l’indicazione, se occupato da terzi, del titolo in base al quale è occupato, con particolare riferimento alla esistenza di contratti registrati in data antecedente al pignoramento;
4) l’esistenza di formalità, vincoli o oneri, anche di natura condominiale, gravanti sul bene che resteranno a carico dell’acquirente, ivi compresi i vincoli derivanti da contratti incidenti sulla attitudine edificatoria dello stesso o i vincoli connessi con il suo carattere storico-artistico;
5) l’esistenza di formalità, vincoli e oneri, anche di natura condominiale, che saranno cancellati o che comunque risulteranno non opponibili all’acquirente;
6) La verifica della regolarità edilizia e urbanistica del bene nonché l’esistenza della dichiarazione di agibilità dello stesso.
L’esperto prima di ogni attività controlla la completezza dei documenti di cui all’articolo 567, secondo comma, del codice, segnalando al giudice immediatamente quelli mancanti o inidonei.
L’esperto, terminata la relazione, ne invia copia ai creditori procedenti o intervenuti e al debitore, anche se non costituito, almeno quarantacinque giorni prima dell’udienza fissata ai sensi dell’articolo 569 del codice, a mezzo posta ordinaria o posta elettronica, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizioni, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e teletrasmessi.
Le parti possono depositare all’udienza note alla relazione purché abbiano provveduto, almeno quindici giorni prima, ad inviare le predette note al perito, secondo le modalità fissate al terzo comma; in tale caso l’esperto interviene all’udienza per rendere i chiarimenti.
Art. 173-ter. – Il Ministro della giustizia stabilisce con proprio decreto i siti internet destinati all’inserimento degli avvisi di cui all’articolo 490 del codice e i criteri e le modalità con cui gli stessi sono formati e resi disponibili.
Art 173-quater. – L’avviso di cui al terzo comma dell’articolo 591-bis del codice deve contenere l’indicazione della destinazione urbanistica del terreno risultante dal certificato di destinazione urbanistica di cui all’articolo 30 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, nonché le notizie di cui all’articolo 46 del citato testo unico e di cui all’articolo 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni; in caso di insufficienza di tali notizie, tale da determinare le nullità di cui all’articolo 46, comma 1, del citato testo unico, ovvero di cui all’articolo 40, secondo comma, della citata legge 28 febbraio 1985, n. 47, ne va fatta menzione nell’avviso con avvertenza che l’aggiudicatario potrà, ricorrendone i presupposti, avvalersi delle disposizioni di cui all’articolo 46, comma 5 del citato testo unico e di cui all’articolo 40, sesto comma, citata legge 28 febbraio 1985, n. 47".
e) Gli articoli 179-bis e 179-ter delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile sono sostituiti dai seguenti:
"Art. 179-bis. - (Determinazione e liquidazione dei compensi per le operazioni delegate dal giudice dell’esecuzione). – Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentiti il Consiglio nazionale del notariato, il Consiglio nazionale dell’ordine degli avvocati e il Consiglio nazionale dell’ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, è stabilita ogni triennio la misura dei compensi dovuti a notai, avvocati, dottori commercialisti e esperti contabili per le operazioni di vendita di beni immobili. Il compenso dovuto al professionista è liquidato dal giudice dell’esecuzione con specifica determinazione della parte riguardante le operazioni di incanto e le successive che sono poste a carico dell’aggiudicatario. Il provvedimento di liquidazione del compenso costituisce titolo esecutivo.
Art. 179-ter. - (Elenco dei professionisti che provvedono alle operazioni di vendita con incanto). – Il Consiglio notarile distrettuale, il Consiglio dell’ordine degli avvocati e il Consiglio dell’ordine dei dottori commercialisti e esperti contabili comunicano ogni triennio ai presidenti dei Tribunali gli elenchi, distinti per ciascun circondario. rispettivamente dei notai, degli avvocati, dei dottori commercialisti e degli esperti contabili disponibili a provvedere alle operazioni di vendita dei beni immobili. Agli elenchi contenenti l’indicazione degli avvocati, dei dottori commercialisti e degli esperti contabili sono allegate le schede formate e sottoscritte da ciascuno dei predetti professionisti, con cui sono riferite le specifiche esperienze maturate nello svolgimento di procedure esecutive ordinarie o concorsuali.
Il Presidente del Tribunale forma quindi l’elenco dei professionisti disponibili a provvedere alle operazioni di vendita e lo trasmette ai giudici dell’esecuzione unitamente a copia delle schede informative sottoscritte da ciascuno di essi.
Al termine di ciascun semestre, il Presidente del Tribunale dispone la cancellazione dei professionisti ai quali in una o più procedure esecutive sia stata revocata la delega in conseguenza del mancato rispetto del termine e delle direttive stabilite dal giudice dell’esecuzione a norma dell’articolo 591-bis, primo comma del codice.
I professionisti cancellati dall’elenco a seguito di revoca di delega non possono essere reinseriti nel triennio in corso e nel triennio successivo".
f) L’articolo 181 è sostituito dal seguente:
"Art.181. - (Disposizioni sulla divisione). – Il giudice dell’esecuzione, quando dispone che si proceda a divisione del bene indiviso provvede all’istruzione della causa a norma degli articoli 175 e seguenti del Codice, se gli interessati sono tutti presenti.
Se gli interessati non sono tutti presenti, il giudice dell’esecuzione, con l’ordinanza di cui all’articolo 600, secondo comma, del codice fissa l’udienza avanti a sé per la comparizione delle parti concedendo termine alla parte più diligente fino a sessanta giorni prima per l’integrazione del contraddittorio mediante la notifica dell’ordinanza.".
3-quater. Le disposizioni di cui ai commi 3, lettere b-bis), b-ter), c-bis), c-ter), e), e-bis), e-ter), 3-bis e 3-ter entrano in vigore centoventi giorni dopo la data di pubblicazione della legge di conversione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale.».
Dopo il comma 4, aggiungere i seguenti:
«4-bis. I costi derivanti dalla spedizione della raccomandata e del relativo avviso di ricevimento di cui al secondo comma sono posti a carico del mittente indicato nell’avviso di ricevimento stesso, secondo le previsioni tariffarie vigenti, fatti salvi i casi di esenzione dalle spese di notifica previsti dalle leggi vigenti..
4-ter. Nella legge 30 aprile 1999, n. 130, dopo l’articolo 7 sono aggiunti, in fine, i seguenti:
"Art. 7-bis.
1. Le disposizioni di cui all’articolo 3, commi 2 e 3, all’articolo 4 e all’articolo 6, comma 2, si applicano, salvo quanto specificato ai successivi commi 2 e 3, alle operazioni aventi ad oggetto le cessioni di crediti fondiari e ipotecari, di crediti nei confronti delle pubbliche amministrazioni o garantiti dalle medesime, anche individuabili in blocco, nonché di titoli emessi nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione aventi ad oggetto crediti della medesima natura, effettuate da banche in favore di società il cui oggetto esclusivo sia l’acquisto di tali crediti e titoli, mediante l’assunzione di finanziamenti concessi o garantiti anche dalle banche cedenti, e la prestazione di garanzia per le obbligazioni emesse dalle stesse banche ovvero da altre.
2. I crediti ed i titoli acquistati dalla società di cui al comma 1 e le somme corrisposte dai relativi debitori sono destinati al soddisfacimento dei diritti, anche ai sensi dell’articolo 1180 del codice civile, dei portatori delle obbligazioni di cui al comma 1 e delle controparti dei contratti derivati con finalità di copertura dei rischi insiti nei crediti e nei titoli ceduti e degli altri contratti accessori, nonché al pagamento degli altri costi dell'operazione, in via prioritaria rispetto al rimborso dei finanziamenti di cui al comma 1.
3. Le disposizioni di cui agli articoli 3, comma 2, e 4, comma 2, si applicano a beneficio dei soggetti di cui al comma 2. A tali fini, per portatori di titoli devono intendersi i portatori delle obbligazioni di cui al comma 1.
4. Alle cessioni di cui al comma 1 non si applicano gli articoli 69 e 70 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440. Dell’affidamento o trasferimento delle funzioni di cui all’articolo 2, comma 3, lettera c), a soggetti diversi dalla banca cedente, è dato avviso mediante pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale nonché comunicazione mediante raccomandata con avviso di ricevimento alle pubbliche amministrazioni debitrici. Ai finanziamenti concessi alle società di cui al comma 1 e alla garanzia prestata dalle medesime società, si applica l’articolo 67, comma 3, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni.
5. Il Ministro dell’economia e delle finanze, con regolamento emanato ai sensi della legge 23 agosto 1988 n. 400, sentita la Banca d’Italia, adotta disposizioni di attuazione del presente articolo aventi ad oggetto, in particolare, il rapporto massimo tra le obbligazioni oggetto di garanzia e le attività cedute, la tipologia di tali attività e di quelle, dagli equivalenti profili di rischio, utilizzabili per la loro successiva integrazione, nonché le caratteristiche della garanzia di cui al comma 1.
6. Ai sensi dell’articolo 53 del testo unico bancario sono emanate disposizioni di attuazione del presente articolo. Tali disposizioni disciplinano anche i requisiti delle banche emittenti, i criteri che le banche cedenti adottano per la valutazione dei crediti e dei titoli ceduti e le relative modalità di integrazione, nonché i controlli che le banche effettuano per il rispetto degli obblighi previsti dal presente articolo, anche per il tramite di società di revisione allo scopo incaricate.
7. Ogni imposta e tassa è dovuta considerando le operazioni di cui al comma 1 come non effettuate e i crediti e i titoli che hanno formato oggetto di cessione come iscritti nel bilancio della banca cedente, se per le cessioni è pagato un corrispettivo pari all’ultimo valore di iscrizione in bilancio dei crediti e dei titoli, e il finanziamento di cui al comma 1 è concesso o garantito dalla medesima banca cedente.
Art. 7-ter.
1. Alla costituzione di patrimoni destinati aventi ad oggetto i crediti ed i titoli di cui all’articolo 7-bis, comma 1, e alla destinazione dei relativi proventi, effettuati ai sensi dell’articolo 2447-bis del codice civile, per garantire i diritti dei portatori delle obbligazioni emesse da banche di cui all’articolo 7-bis, comma 1, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 7-bis, commi 5 e 6.".
4-quater. Il comma 1 dell’articolo 4 della legge 3 febbraio 1965, n. 69 è sostituito dal seguente:
"1. L’Assemblea per l’elezione dei membri del Consiglio deve essere convocata almeno venti giorni prima della scadenza del Consiglio in carica. La convocazione si effettua mediante avviso spedito, almeno quindici giorni prima a tutti gli iscritti, esclusi i sospesi dall’esercizio della professione, per posta prioritaria, per telefax o mezzo di posta elettronica certificata. Della convocazione deve essere dato altresì avviso mediante annuncio, entro il predetto termine, sul sito Internet dell’Ordine nazionale. È posto a carico dell’Ordine l’onere di dare prova solo dell’effettivo invio delle comunicazioni.".
4-quinquies. All’articolo 3 del decreto legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 382, il comma 1 è sostituito dal seguente:
"1. L’assemblea per l’elezione del Consiglio deve essere convocata nei quindici giorni precedenti a quello in cui esso scade. La convocazione si effettua mediante avviso spedito per posta almeno dieci giorni prima a tutti gli iscritti, esclusi i sospesi dall’esercizio della professione, per posta prioritaria, per telefax o a mezzo di posta elettronica certificata. Della convocazione deve essere dato altresì avviso mediante annuncio, entro il predetto termine, sul sito Internet dell’Ordine nazionale. È posto a carico dell’ordine l’onere di dare prova solo dell’effettivo invio delle comunicazioni.
4-sexies. All’articolo 2 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233, il quinto comma è sostituito dal seguente:
"5. I componenti del Consiglio durano in carica tre anni e l’assemblea per la loro elezione deve essere convocata entro il mese di novembre dell’anno in cui il Consiglio scade. La convocazione si effettua mediante avviso spedito per posta almeno dieci giorni prima a tutti gli iscritti, esclusi i sospesi dall’esercizio della professione, per posta prioritaria, per telefax o a mezzo di posta elettronica certificata. Della convocazione deve essere dato altresì avviso mediante annuncio, entro il predetto termine, sul sito Internet dell’Ordine nazionale. È posto a carico dell’ordine l’onere di dare prova solo dell’effettivo invio delle comunicazioni."».
4-septies. Alla legge 16 febbraio 1913, n. 89, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) L’articolo 4 è sostituito dal seguente:
«Art. 4. – 1. Il numero e la residenza dei notai per ciascun distretto è determinato con decreto del Ministro della giustizia emanato, uditi i Consigli notarili e le Corti d’appello, tenendo conto della popolazione, della quantità degli affari, della estensione del territorio e dei mezzi di comunicazione, e procurando che di regola ad ogni posto notarile corrispondano una popolazione di almeno 7.000 abitanti ed un reddito annuo, determinato sulla media degli ultimi tre anni, di almeno 50.000 euro di onorari professionali repertoriali.
2. La tabella che determina il numero e la residenza dei notai, dovrà, udite le Corti d’appello e i Consigli notarili, essere rivista ogni sette anni, e potrà essere modificata parzialmente anche entro un termine più breve, quando ne sia dimostrata l’opportunità».
4-octies. In via transitoria e in sede di prima applicazione della presente legge:
a) la prima revisione della tabella di cui all’articolo 4, comma 2, della legge 16 febbraio 1913, n. 89, come modificato, ha luogo entro il termine di un anno dalla entrata in vigore della presente legge;
b) è a carico della Cassa nazionale del notariato, con riferimento alle disposizioni contenute nell’articolo 4, comma 1, della legge 16 febbraio 1913, n. 89, come modificato, l’adozione delle misure che assicurano l’equilibrio economico e finanziario della gestione, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
4-nonies. Al fine di agevolare la circolazione dei beni immobili già oggetto di atti di disposizione a titolo gratuito, nonché di ribadire la corretta interpretazione della normativa in materia di esecuzione forzata:
a) al codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:
1) all’articolo 561, primo comma, il secondo periodo è sostituito dal seguente: "I pesi e le ipoteche restano efficaci se la riduzione è domandata dopo venti anni dalla trascrizione della donazione, salvo in questo caso l’obbligo del donatario di compensare in danaro i legittimari in ragione del conseguente minor valore dei beni, purchè la domanda sia stata proposta entro dieci anni dall’apertura della successione. Le stesse disposizioni si applicano per i mobili iscritti in pubblici registri.»;
2) all’articolo 563, primo comma, dopo le parole: "Se i donatari contro i quali è stata pronunziata la riduzione hanno alienato a terzi gli immobili donati" sono inserite le seguenti: "e non sono trascorsi venti anni dalla donazione";
3) all’articolo 563, secondo comma, dopo le parole: "Contro i terzi acquirenti può anche essere richiesta" sono inserite le seguenti: ", entro il termine di cui al comma precedente,";
4) all’articolo 563 è aggiunto alla fine il seguente comma: "Salvo il disposto del numero 8 dell’articolo 2652, il decorso del termine di cui al primo comma e di quello di cui all’articolo 561, primo comma, è sospeso nei confronti del coniuge e dei parenti in linea retta del donante che abbiano notificato e trascritto, nei confronti del donatario, un atto stragiudiziale di opposizione alla donazione. Il diritto dell’opponente è personale e rinunziabile. L’opposizione perde effetto se non è rinnovata prima che siano trascorsi venti anni dalla sua trascrizione.";
5) al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, recante "Disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie", dopo l’articolo 187 è inserito il seguente:
«187-bis. – (Intangibilità nei confronti dei terzi degli effetti degli atti esecutivi compiuti). – In ogni caso di estinzione o di chiusura anticipata del processo esecutivo avvenuta dopo l’aggiudicazione, anche provvisoria, o l’assegnazione, restano fermi nei confronti dei terzi aggiudicatari o assegnatari, in forza dell’articolo 632 secondo comma del codice, gli effetti di tali atti. Dopo il compimenti degli stessi atti, l’istanza di cui all’articolo 495 del codice non è più procedibile ».".
4-decies. L’articolo 4 del decreto legge 25 settembre 2001 n. 351, convertito in legge 23 novembre 2001 n 410, si intende riferito anche ai beni immobili degli enti previdenziali pubblici.
4-undecies. La CONSOB è autorizzata ad assumere entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, per ragioni di urgenza derivanti da indifferibili esigenze di servizio, mediante nomina per chiamata diretta e con contratto a tempo determinato non più di quindici persone che, per i titoli professionali o di servizio posseduti, risultino idonee all'immediato svolgimento dei compiti di istituto. La ripartizione del personale così assunto tra l'aliquota del personale di ruolo a tempo indeterminato e quella del personale a tempo determinato è stabilita con deliberazione adottata dalla CONSOB con la maggioranza prevista dal nono comma dell'articolo l del decreto legge 8 aprile 1974, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 giugno 1974, n. 216, e successive modificazioni.
4-duodecies. Al fine di assicurare un efficiente e stabile assetto funzionale ed organizzativo della Consob, i dipendenti, assunti con contratto a tempo determinato, che alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto siano in servizio, il cui contratto sia stato rinnovato ai sensi della normativa generale adottata dalla Commissione, possono essere inquadrati in ruolo, in qualifica corrispondente a quella presa a riferimento nel contratto, mediante apposito esame-colloquio, tenuto da una Commissione presieduta dal Presidente o da un Commissario della Consob e composta da due docenti universitari o esperti nelle materie di competenza istituzionale della Consob. L'esame-colloquio è svolto nei sei mesi precedenti la scadenza dei contratti dei dipendenti interessati.
4-terdecies. Gli oneri finanziari derivanti dall'applicazione dei commi 4-undecies e 4-terdecies sono coperti secondo i criteri e le procedure e con le risorse previste dall'art. 40, comma 3, della legge 23 dicembre 1994, n. 724.
Sopprimere i commi 5, 6, 7, 8
Dopo l’articolo 2, aggiungere il seguente:
«Art. 2-bis.
(Misure relative all’attuazione della programmazione cofinanziata dall’Unione europea per il periodo 2005-2006)
1. Al fine di assicurare l’integrale utilizzo delle risorse comunitarie relative al Programma operativo nazionale "Azioni di Sistema" 2000-2006 a titolarità del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, a supporto dei programmi operativi delle regioni dell’obiettivo 3, il fondo di rotazione di cui all’articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, è autorizzato ad anticipare, nei limiti delle risorse disponibili, su richiesta del Ministero del lavoro e delle politiche sociali – Direzione generale per le politiche per l’orientamento e la formazione, le quote dei contributi comunitari e statali previste per il periodo 2005-2006.
2. Per il reintegro delle somme anticipate dal fondo ai sensi del comma 1, si provvede, per la parte comunitaria, con imputazione agli accrediti disposti dall’Unione europea a titolo di rimborso delle spese effettivamente sostenute e, per la parte statale, con imputazione agli stanziamenti autorizzati in favore dei medesimi programmi nell’ambito delle procedure previste dalla citata legge n. 183 del 1987».
ARTICOLO 3
All’articolo 3 apportare le seguenti modificazioni:
Al comma 2, sostituire le parole: «può essere effettuata su istanza del venditore», con le seguenti: «può anche essere effettuata per istanza dell’acquirente».
Al comma 2, dopo le parole: «di cui all’articolo 2 del» e: «di cui all’articolo 38, comma 3, del» inserire le seguenti: «regolamento di cui al».
Al comma 3, dopo le parole: «articolo 8 del» inserire le seguenti: «regolamento di cui al» e sostituire le parole: «citato decreto» con le seguenti: «citato regolamento».
Al comma 5, sostituire le parole: «dell’infrastrutture» con le seguenti. «delle infrastrutture».
Al comma 6, sostituire le parole: «dell’infrastrutture» con le seguenti: «delle infrastrutture».
Dopo il comma 6 aggiungere i seguenti:
«6-bis. L’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:
"Art. 2. - (Conclusione del procedimento) – 1. Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, la pubblica amministrazione ha il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso.
2. Con uno o più regolamenti adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, sono stabiliti i termini entro i quali i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali devono concludersi, ove non siano direttamente previsti per legge. Gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini entro i quali devono concludersi i procedimenti di propria competenza. I termini sono modulati tenendo conto della loro sostenibilità, sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, e della natura degli interessi pubblici tutelati e decorrono dall’inizio di ufficio del procedimento o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte.
3. Qualora non si provveda ai sensi del comma 2, il termine è di novanta giorni.
4. Nei casi in cui leggi o regolamenti prevedono per l’adozione di un provvedimento l’acquisizione di valutazioni tecniche di organi o enti appositi, i termini di cui ai commi 2 e 3 sono sospesi fino all’acquisizione delle valutazioni tecniche per un periodo massimo comunque non superiore a novanta giorni. I termini di cui ai commi 2 e 3 possono essere altresì sospesi, per una sola volta, per l’acquisizione di informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. Si applicano le disposizioni dell’articolo 14, comma 2.
5. Salvi i casi di silenzio assenso, decorsi i termini di cui ai commi 2 o 3, il ricorso avverso il silenzio dell’amministrazione, ai sensi dell’articolo 21-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, può essere proposto anche senza necessità di diffida all’amministrazione inadempiente, fintanto che perdura l’inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini di cui ai predetti commi 2 o 3. Il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell’istanza. È fatta salva la riproponibilità dell’istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti"».
6-ter. L’articolo 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:
Art. 20. - (Silenzio assenso) – 1. Fatta salva l’applicazione dell’articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all’interessato, nel termine di cui all’articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2.
2. L’amministrazione competente può indire, entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza di cui al comma 1, una conferenza di servizi ai sensi del capo IV, anche tenendo conto delle situazioni giuridiche soggettive dei controinteressati.
3. Nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l’amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies.
4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l’immigrazione, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti.
5. Si applicano gli articoli 2, comma 4, e 10-bis».
6-quater. I regolamenti e le determinazioni di cui al comma 2 dell’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come sostituito dal comma 6-bis del presente articolo, sono adottati entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
6-quinquies. Continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, emanate ai sensi dell’articolo 2, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241, se non modificate o sostituite dalle disposizioni adottate dal Governo o dagli enti pubblici nazionali ai sensi dell’articolo 2, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241, come sostituito dal comma 6-bis del presente articolo.
6-sexies. Le disposizioni di cui all’articolo 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come sostituito dal comma 6-ter del presente articolo, non si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, ferma la facoltà degli interessati di presentare nuove istanze.
6-septies. Le domande presentate entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge si intendono accolte, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se l’amministrazione non comunica all’interessato il provvedimento di diniego nel termine di centottanta giorni, salvo che, ai sensi della normativa vigente, sia previsto un termine più lungo per la conclusione del procedimento. Si applica quanto previsto dai commi 2, 3, 4 e 5 dell’articolo 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come sostituito dal comma 6-ter del presente articolo.
6-octies. Il comma 2 dell’articolo 18 della legge 7 agosto 1990, n. 241, è sostituito dal seguente:
«2. I documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l’istruttoria del procedimento, sono acquisiti d’ufficio quando sono in possesso dell’amministrazione precedente, ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da altre pubbliche amministrazioni. L’amministrazione, procedente può richiedere agli interessati i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti».
6-nonies. All’articolo 21 della legge 7 agosto 1990, n. 241, dopo il comma 2, e aggiunto il seguente:
«2-bis. Restano ferme le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo su attività soggette ad atti di assenso da parte di pubbliche amministrazioni previste da leggi vigenti, anche se è stato dato inizio all’attività ai sensi degli articoli 19 e 20.».
6-decies. Al comma 5 dell’articolo 25 della legge 7 agosto 1990, n. 241, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Le controversie relative all’accesso ai documenti amministrativi sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo».
6-undecies. All’articolo 16, comma 3, della legge 29 dicembre 1993, n. 580, le parole: «una sola volta» sono sostituite dalle seguenti: «due sole volte».
6-duodecies. Per lo svolgimento delle attività di propria competenza, il Ministro per la funzione pubblica si avvale di una Commissione istituita fino al 31 dicembre 2007 presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, presieduta dal Ministro o da un suo delegato e composta dal Capo del Dipartimento degli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri, con funzioni di vice presidente, e da un numero massimo di venti componenti scelti fra professori universitari, magistrati amministrativi, contabili ed ordinari, avvocati dello Stato, funzionari parlamentari, avvocati del libero foro con almeno quindici anni di iscrizione all’albo professionale, dirigenti delle amministrazioni pubbliche ed esperti di elevata professionalità. Se appartenenti ai ruoli delle pubbliche amministrazioni, gli esperti possono essere collocati in aspettativa o fuori ruolo, secondo le norme ed i criteri dei rispettivi ordinamenti. La Commissione è assistita da una segreteria tecnica. Il contingente di personale da collocare fuori ruolo ai sensi del presente comma non può superare le dieci unità.
6-terdecies. La nomina dei componenti della Commissione e della segreteria tecnica di cui al comma 6-duodecies è disposta con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per la funzione pubblica da lui delegato, che ne disciplina altresì l’organizzazione e il funzionamento. Nei limiti dell’autorizzazione di spesa di cui al comma 6-quaterdecies, con successivo decreto dello stesso Ministro, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono stabiliti i compensi spettanti ai predetti componenti.
6-quaterdecies. Per l’attuazione dei commi 6-duodecies e 6-terdecies è autorizzata la spesa massima di 750.000 euro per l’anno 2005, di 1.500.000 euro per l’anno 2006 e di 1.500.000 euro per l’anno 2007. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, come determinata dalla tabella C della legge 30 dicembre 2004, n. 311. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
6-quinquiesdecies. Al comma 8 dell’articolo 50 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, dopo le parole "al Ministero dell’economia e delle finanze" inserire le seguenti: ", entro il giorno 10 del mese successivo a quello di utilizzazione della ricetta medica, anche per il tramite delle associazioni di categoria e di soggetti terzi a tal fine individuati dalle strutture di erogazione dei servizi sanitari"».
6-sexiesdecies. All’articolo 16, comma 3, della legge 29 dicembre 1993, n. 580, le parole "una sola volta" sono sostituite dalle seguenti: " due sole volte".
ARTICOLO 4
Al comma 1, apportare le seguenti modificazioni:
nelle lettere a) e d), sostituire la parola: «soppresso» con la seguente: «abrogato»;
dopo la lettera c) inserire la seguente. "c-bis) il comma 471 è sostituito dal seguente: «A decorrere dal 1 gennaio 2005, per i contribuenti individuati con i decreti 24 ottobre 2000, n. 370 e 24 ottobre 2000, n. 366, che nell’anno solare precedente hanno versato imposta sul valore aggiunto per un ammontare superiore a due milioni di euro, l’acconto di cui al secondo comma dell’articolo 6 della legge 29 dicembre 1990, n. 405 è pari al 97 per cento di un importo corrispondente alla media dei versamenti trimestrali eseguiti o che avrebbero dovuto essere eseguiti per i precedenti trimestri dell’anno in corso.»;"
dopo la lettera d), aggiungere le seguenti:
«d-bis) al comma 180, dopo le parole: "commi 174 e 176", inserire le seguenti: "nonché in caso di mancato adempimento per gli anni 2004 e precedenti";
d-ter) al comma 209, nell’ultimo periodo, dopo le parole: "con decreto di natura non regolamentare del Ministro delle attività produttive" sono aggiunte le seguenti: "e del Ministro per l’innovazione e le tecnologie";
d-quater) al primo periodo del comma 262 sostituire la cifra: 22 milioni di euro" con: "36 milioni di euro" e successivamente la cifra: "36 milioni di euro" con: "22 milioni di euro"».
d-quinquies) al comma 374, lettera d), è aggiunto il seguente periodo: "Nel caso di versamento effettuato con modalità telematiche, l’Agenzia o il soggetto da essa incaricato devono riversare alla sezione di tesoreria provinciale dello Stato i tributi dovuti entro il terzo giorno lavorativo successivo a quello di riscossione"».
d-sexies) nel comma 426, secondo periodo, le parole da "irregolarità" a "2004" sono sostituite dalle seguenti: "responsabilità amministrative derivanti dall’attività svolta fino al 20 novembre 2004";
d-septies) dopo il comma 426 è inserito il seguente:"426-bis. Per effetto dell’esercizio della facoltà prevista dal comma 426, le irregolarità compiute nell’esercizio dell’attività di riscossione non determinano il diniego del diritto al rimborso o del discarico per inesigibilità delle quote iscritte a ruolo o delle definizioni automatiche delle stesse e, fermi restando gli effetti delle predette definizioni, le comunicazioni di inesigibilità relative ai ruoli consegnati entro il 30 ottobre 2003 ed ancora in carico alla data del 20 novembre 2004 sono presentate entro il 30 ottobre 2006; per tali comunicazioni il termine previsto dall’articolo 19, comma 3, del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, decorre dal 1º novembre 2006."».
Dopo il comma 1, aggiungere il seguente:
«1-bis. All’articolo 26, comma 5, primo periodo, della legge 27 dicembre 2002, numero 289, dopo la parola: "Stato" sono aggiunte le seguenti: "fatto salvo quanto previsto dalla legge 29 luglio 1991, n. 243, e dall’articolo 2, comma 5, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 27 gennaio 1998, n. 25"».
Dopo l’articolo 4, aggiungere i seguenti:
«Art. 4-bis.
(Trasferimenti erariali alle regioni)
1. All’articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56, le parole: "a decorrere dal 1º gennaio 2005" sono sostituite dalle seguenti: "a decorrere dal 1º gennaio 2006".
2. Il comma 2 dell’articolo 6 del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56 è sostituito dal seguente: "2. Le aliquote e compartecipazioni definitive di cui all’articolo 5, comma 3, sono rideterminate, a decorrere dal 1º gennaio 2006, esclusivamente al fine di assicurare la copertura degli oneri connessi alle funzioni attribuite alle regioni a statuto ordinario di cui al comma 1".
3. All’articolo 4 del decreto-legge 30 dicembre 2004, n. 314, convertito, con modificazioni, dalla legge 1º marzo 2005, n. 26, le parole: «entro il 30 aprile 2005» sono sostituite dalle seguenti:«entro il 30 settembre 2005».
Art. 4-ter.
(Indicazione del codice fiscale nelle distinte di versamento in Tesoreria)
1. Gli enti pubblici di cui alle tabelle A e B annesse alla legge 29 ottobre 1984, n. 720, che, ai sensi delle vigenti disposizioni, effettuano il versamento diretto dei tributi in Tesoreria sono tenuti ad indicare nelle relative distinte, ovvero sui titoli di spesa, il proprio codice fiscale; in mancanza di tale indicazione, le Tesorerie non possono accettare il versamento presso i propri sportelli.
2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano ai versamenti affluiti sui conti correnti postali delle Tesorerie."
ARTICOLO 5
Al comma 1, sostituire le parole: «per effetto della» con le seguenti: «per effetto delle».
Al comma 7, nel terzo periodo, sostituire le parole: «ovvero con il sindaco» con le seguenti: «ovvero il sindaco».
Al comma 11, sostituire le parole: «delle normativa» con le seguenti: «della normativa».
Al comma 12, nel primo periodo, dopo le parole: «articoli 118, 119 e 120 del» inserire le seguenti: «regolamento di cui al».
Al comma 3, sopprimere le parole: «, da inserire in apposito programma regionale,».
Al comma 5, primo periodo, dopo le parole: «su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti» sostituire la parola: «sono» con le seguenti: «possono essere».
Al comma 5, dopo le parole: «delle concessioni autostradali già assentite,» aggiungere le seguenti: «anche se già».
Sostituire il comma 6 con il seguente:
«6. Per le opere ed i lavori di cui al comma 5, le stazioni appaltanti procedono alla realizzazione applicando la normativa comunitaria in materia di appalti di lavori pubblici e, anche soltanto per quanto concerne le procedure approvative ed autorizzative dei progetti qualora dalle medesime stazioni appaltanti, previo parere dei commissari straordinari ove nominati, ritenuto eventualmente più opportuno, le disposizioni di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443, e successive modificazioni. Sono fatti salvi, relativamente alle opere stesse, gli atti ed i provvedimenti già formati o assunti, ed i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto che le stazioni appaltanti, previo parere dei commissari straordinari ove nominati, ritengano eventualmente più opportuno, ai fini della celere realizzazione dell’opera proseguire e concludere in luogo dell’avviare un nuovo procedimento ai sensi del predetto decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190 e successive modificazioni».
Sostituire il comma 7 con il seguente:
«7. Per le opere di cui al comma 5, si può procedere alla nomina di un Commissario straordinario al quale vengono conferiti i poteri di cui all’articolo 13 del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, e successive modificazioni. I Commissari straordinari sono nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Presidente della Regione interessata, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, tra soggetti in possesso di specifica professionalità, competenza ed esperienza maturata nel settore specifico della realizzazione di opere pubbliche, provvedendo contestualmente alla conferma o alla sostituzione dei commissari straordinari eventualmente già nominati».
Sopprimere il comma 9
Sostituire il comma 10 con il seguente:
«10. Gli enti preposti al rilascio delle ulteriori autorizzazioni e dei permessi necessari alla realizzazione o al potenziamento dei terminali di rigassificazione in possesso di concessione rilasciata ai sensi delle norme vigenti o autorizzati ai sensi dell’articolo 8 della legge 24 novembre 2000, n. 340 e dichiarati infrastrutture strategiche nel settore gas naturale ai sensi della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sono tenuti ad esprimersi entro sessanta giorni dalla richiesta. In caso di inerzia o di ingiustificato ritardo il Ministero delle Attività produttive, nell’ambito dei propri compiti istituzionali e con le ordinarie risorse di bilancio, provvede senza necessità di diffida alla nomina di un commissario «ad acta» per gli adempimenti di competenza».
Al comma 11 aggiungere in fine i seguenti periodi: "Per assicurare il rispetto della normativa in materia di tutela ambientale e paesaggistica, il Commissario acquisisce il parere delle competenti amministrazioni, che deve essere espresso entro sessanta giorni dalla richiesta. Decorso tale termine, il Commissario procede comunque nella esecuzione dell’opera. Qualora rallentamenti, ritardi o impedimenti di qualsiasi natura e genere siano tali da non consentire il rispetto dei tempi per la realizzazione completa dell’opera e da determinare un grave pericolo per l’economia e per la sicurezza e incolumità pubbliche, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, può deliberare lo stato di emergenza ai sensi dell’articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, conferendo al Commissario i relativi poteri, sentita la Regione o le Regioni interessate. I provvedimenti emanati in deroga alle leggi vigenti devono contenere l’indicazione delle principali norme cui si intende derogare e devono essere motivati».
Dopo il comma 12 inserire i seguenti:
"12-bis. In deroga al comma 1-ter dell’articolo 10 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni, le stazioni appaltanti, in caso di fallimento dell’appaltatore o di risoluzione del contratto per grave inadempimento del medesimo, possono interpellare progressivamente i soggetti che hanno partecipato alla originaria procedura di gara, risultanti dalla relativa graduatoria, al fine di stipulare un nuovo contratto per l’affidamento del completamento dei lavori. Si procede all’interpello a partire dal soggetto che ha formulato la prima migliore offerta, escluso l’originario aggiudicatario.
12-ter. L’affidamento avviene alle medesime condizioni economiche già proposte in sede di offerta dal soggetto progressivamente interpellato, sino al quinto migliore offerente in sede di gara.
12-quater. In caso di fallimento o di indisponibilità di tutti i soggetti interpellati ai sensi dei commi 12-bis e 12-ter, le stazioni appaltanti possono procedere all’affidamento del completamento dei lavori mediante procedura negoziata senza pubblicazione di bando, in deroga alla normativa vigente – ivi inclusi gli articoli 2, 10, commi 1-ter e 1-quater 19, 20, 21, 23, 24 e 29 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni – nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento e della normativa comunitaria. L’affidamento con procedura negoziata avviene mediante gara informale, sulla base del progetto originario eventualmente modificato o integrato per effetto di varianti che si fossero rese nel frattempo necessarie, alla quale devono essere invitati almeno dieci concorrenti. Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 14, comma 2, del decreto legislativo 20 agosto 2002 n. 190, e successive modificazioni.
12-quinquies. Qualora il fallimento dell’appaltatore o la risoluzione del contratto per grave inadempimento del medesimo intervenga allorché i lavori siano già stati realizzati per una percentuale non inferiore al 70 per cento, e l’importo netto residuo dei lavori non superi i tre milioni di euro, le stazioni appaltanti possono procedere all’affidamento del completamento dei lavori direttamente mediante la procedura negoziata senza pubblicazione di bando di cui al comma 12-quater.».
Dopo il comma 16, aggiungere i seguenti:
«16-bis. I limiti di impegno iscritti nel bilancio dello Stato in relazione a specifiche disposizioni legislative concernenti lo sviluppo dei progetti di cui all’articolo 3, comma 1, lettera a) della legge 24 dicembre 1985, n. 808 e di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a) della legge 11 maggio 1999, n. 140 sono utilizzati secondo le specifiche disposizioni recate dall’articolo 4, comma 177 della legge 24 dicembre 2003, n. 350 e successive modificazioni ed integrazioni.
16-ter. All’Articolo 6 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, dopo il comma 24, è aggiunto il seguente: "24-bis. La SACE Spa può destinare propri beni e rapporti giuridici al soddisfacimento dei diritti dei portatori dei titoli da essa emessi. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 5, commi 18 e 24. Alle operazioni di raccolta effettuate dalla SACE Spa ai sensi del presente comma, non si applicano gli articoli da 2410 a 2420 del codice civile. Per ciascuna emissione di titoli può essere nominato un rappresentante comune dei portatori dei titoli, il quale ne cura gli interessi e in loro rappresentanza esclusiva esercita i poteri stabiliti in sede di nomina e approva le modificazioni delle condizioni delle operazioni."
16-quater. Il comma 5 dell’articolo 2 della legge 30 dicembre 2004, n. 312, è abrogato.
16- quinquies. Il secondo periodo del comma 3 dell’articolo 7-vicies quater, del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 3l marzo 2005, n. 43, è soppresso».
16-sexies. All’articolo 32 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 il comma 2 è sostituito dai seguenti: "2. Ai giudizi arbitrali si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, salvo quanto previsto all’articolo 9, comma 4, del D.M. 2 dicembre 2000, n. 398, nonché l’obbligo di applicazione da parte del collegio arbitrale delle tariffe di cui all’allegato a tale decreto.
2-bis. All’atto del deposito del lodo va corrisposta, a cura degli arbitri, una somma pari all’uno per diecimila del valore della relativa controversia.
2-ter. In caso di mancato accordo per la nomina del terzo arbitro, ad iniziativa della parte più diligente, provvede la Camera Arbitrale, scegliendolo nell’albo previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999 n. 554. Ai giudizi costituiti ai sensi del presente comma si applicano le norme di procedura di cui al D.M. 2 dicembre 2000 n. 398.";
16-septies. Sono fatte salve le procedure arbitrali definite o anche solo introdotte alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, purché risultino rispettate le disposizioni relative all’arbitrato contenute nel codice di procedura civile o nell’articolo 32 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, come modificato dal presente provvedimento".
Dopo l’articolo 5, aggiungere il seguente:
«Art. 5-bis.
(Incentivazione della logistica)
1. Nell’ambito degli strumenti finanziari a disposizione, il CIPE finanzia prioritariamente le misure necessarie per garantire la realizzazione di un adeguato sistema di servizi intersettoriali ed intermodali per l’integrazione delle infrastrutture materiali del Paese con sistemi tecnologici e di conoscenze, in funzione dello sviluppo del sistema logistico nazionale.
2. Per lo sviluppo di efficaci strumenti a sostegno della incentivazione di un sistema nazionale della logistica, anche a valere sulle risorse del Fondo rotativo di cui all’articolo 1, comma 354, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, nel rispetto di quanto previsto dal comma 361 del citato articolo 1, è prevista prioritariamente la realizzazione di piattaforme tecnologiche e logistiche al servizio della piccola e media impresa, localizzate in aree strategiche per lo sviluppo del sistema logistico nazionale, partendo dalle aree sottoutilizzate.
3. Nell’ambito degli interventi previsti ai sensi del comma 2, sono adottate le misure necessarie a garantire la rivalutazione del sistema portuale delle aree sottoutilizzate e il sostegno al trasporto ferroviario e all’intermodalità, con l’adeguata offerta dei servizi necessari per la realizzazione di una rete logistica ed intermodale interconnessa.
4. Per la definizione di adeguati procedimenti amministrativi in grado di rendere piu efficiente lo stoccaggio, la manipolazione e la distribuzione delle merci, in coerenza con le esigenze di un sistema integrato di logistica ed intermodalità, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sono ridefinite le relative procedure amministrative, ferme restando le vigenti disposizioni in materia di servizi di polizia doganale, nel rispetto degli obiettivi di massima semplificazione, efficacia ed efficienza, nonché utilizzo di tecnologie informatiche.».
ARTICOLO 6
All’articolo 6 apportare le seguenti modificazioni:
al comma 3, letteraa) aggiungere, in fine, il seguente periodo: «e, al secondo periodo, dopo le parole: "alle imprese" sono inserite le seguenti: "anche associate in appositi organismi, anche cooperativi, costituiti o promossi dalle Associazioni imprenditoriali e dalle Camere di commercio"»;
Al comma 3, lettera b), capoverso b), sostituire le parole: «Comunicazione della Commissione europea 2001/C» con le seguenti: «comunicazione della Commissione europea 2001/C» e le parole: «n. 37» con le seguenti: «n. C/37».
Al comma 5, nel secondo periodo, sostituire le parole: «dell’imprese proponenti» con le seguenti: «delle imprese proponenti».
Al comma 6 dopo le parole "decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 297" sono inserite le seguenti: "nonché quelle stipulate dal Ministero delle attività produttive con gli istituti bancari per la gestione degli interventi di cui all’articolo 14 della 17 febbraio 1982, n. 46".
Dopo il comma 6, inserire il seguente:
«6-bis. Il provvedimento di revoca delle agevolazioni disposte dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca in materia di incentivi alle imprese costituisce titolo per l’iscrizione a ruolo, ai sensi del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, degli importi corrispondenti, degli interessi e delle sanzioni».
Al comma 7, sostituire le parole: «e le regioni e province autonome» con le seguenti: «, le regioni e le province autonome».
Al comma 9, dopo le parole" dei Ministri delle attività produttive," sono inserite le seguenti: "per lo sviluppo e la coesione territoriale,";
Al comma 10, dopo le parole: «la produttività delle imprese» inserire le seguenti: «che, anche in collaborazione con le Associazioni imprenditoriali e le Camere di commercio,»;
Al comma 11, dopo la parola: «Fondo» inserire le seguenti: «per le».
Al comma 11 dopo le parole "fa ricorso" sono inserite le seguenti: ", secondo i criteri stabiliti dal CIPE e nei limiti delle finalità del Fondo stesso";
Al comma 13 aggiungere, in fine, il seguente periodo: «Per l’attrazione di professionalità di alta qualifica, Sviluppo Italia s.p.a. può operare in convenzione con le Università, le Associazioni imprenditoriali e le Camere di commercio».
Al comma 14, dopo la parola: «Fondo» inserire le seguenti: «per le».
Dopo l’articolo 6 , inserire il seguente:
"Art. 6-bis.
(Disposizioni per l’incentivazione e lo sviluppo dell’industria per la difesa)
1. Per consentire l’avvio del programma di sviluppo e di acquisizione delle unità navali della classe FREMM (fregata europea multimissione) e delle relative dotazioni operative, è autorizzata la spesa di 25 milioni di euro per l’anno 2005, 100 milioni di euro per l’anno 2006 e 275 milioni di euro per l’anno 2007. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2005-2007, nell’ambito dell’unità previsionale di base di conto capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2005, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero medesimo; i relativi stanziamenti sono iscritti nell’ambito delle unità previsionali di base dello stato di previsione del Ministero delle attività produttive. Per gli anni successivi, ai fini del completamento del programma, si potrà provvedere ai sensi dell’articolo 11, comma 3, lettera c), della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni.".
ARTICOLO 7
Nella rubrica del capo V, dopo la parola: «innovazione» inserire la seguente: «e».
Al comma 2 aggiungere alla fine il seguente periodo: "La fondazione invia, entro il 31 marzo di ogni anno, un relazione al Governo e alle competenti Commissioni parlamentari nella quale dà conto delle attività svolte nell’anno precedente.".
Dopo il comma 3, aggiungere i seguenti commi : "3-bis. All’articolo 4, comma 2, della legge 13 dicembre 1980, n. 401, è aggiunto il seguente periodo: «La stessa sanzione si applica a chiunque, in qualsiasi modo, da pubblicità in Italia a giochi, scommesse ed a lotterie, da chiunque accettate all’estero.».".
3-ter. La cessione a corrispettivo pari a quello di acquisto di personal computer di nuova fabbricazione acquistati nello stesso esercizio della cessione, eventualmente con annessi relativi programmi di funzionamento, se attuata da imprese o da enti soggetti all'imposta sul reddito delle società, in favore di lavoratori dipendenti, non dà luogo, ai fini delle imposte sul reddito, a presupposto di imponibilità per reddito in natura.
3-quater. Le pubbliche amministrazioni statali, nei rapporti con i cittadini e con le imprese, sono tenute a ricevere, nonché inviare se richiesto, anche in via telematica, nel rispetto della normativa vigente, la corrispondenza, i documenti e tutti gli atti relativi ad ogni adempimento amministrativo, utilizzando all’uopo le risorse finanziarie già disponibili per le esigenze informatiche. L’obbligo di cui al presente comma decorre, per ciascuna pubblica Amministrazione centrale, dalla data stabilita con decreto del Ministro per l’innovazione e le tecnologie, di concerto con il Ministro per l’economia e le finanze, con il Ministro per la funzione pubblica e con il Ministro interessato. Dalle disposizioni di cui al presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
ARTICOLO 8
Al comma 1, dopo le parole: «legge 19 dicembre 1992 n. 488,» inserire le seguenti: «e successive modificazioni,».
Al comma 2, nell’alinea, dopo le parole: «Conferenza permanente» inserire le seguenti: «per i rapporti».
Al comma 2, lettera g), sostituire le parole: «modificando eventualmente» con le seguenti: «anche con la eventuale modifica di».
Al comma 3, sostituire le parole: «commi 2 e 3» con le seguenti: «commi 1 e 2»
Al comma 4, dopo le parole: «ai sensi del» inserire le seguenti: «testo unico di cui al».
Al comma 6, nel primo periodo, dopo le parole: «legge 27 dicembre 2002 n. 289,» inserire le seguenti: «e successive modificazioni».
Al comma 7, lettera e), sostituire le parole: «dopo l’articolo 12 è inserito il seguente» con le seguenti: «nel titolo I, è aggiunto il seguente articolo»; conseguentemente, nell’articolo 12-bis ivi richiamato, sostituire le parole: «presente titolo I» con le seguenti: «presente titolo».
a) al comma 1, lettera e), dopo le parole: "delle graduatorie" sono inserite le seguenti: "ove previste";
b) al comma 2, dopo le parole: "Con decreto" sono inserite le seguenti: "di natura non regolamentare";
c) al comma 2, lettera c), sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: "ad eccezione della misura di cui all’articolo 2, comma 203, lettera e) della legge 23 dicembre 1996, n. 662";
d) il comma 3 è sostituito dal seguente:"3. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 1, comma 356, lettera e), della legge 30 dicembre 2004, n. 311, le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano alla concessione di incentivi disposta in attuazione di bandi già emessi alla data di entrata in vigore del presente decreto o a fronte di contratti di programma per i quali il Ministro delle attività produttive, alla stessa data, abbia presentato al CIPE la proposta di adozione della relativa delibera di approvazione, ai sensi del punto 7.2 della delibera CIPE n. 26 del 25 luglio 2003 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 215 del 16 settembre 2003.»;
e) al comma 4, sono soppresse le seguenti parole «, fino alla scadenza delle convenzioni in essere con questi ultimi,"».
Dopo l’articolo 8, inserire il seguente:
«Art. 8-bis.
(Ulteriori interventi per i Giochi olimpici invernali "Torino 2006")
1. Lo stanziamento di cui all’articolo 7-septies, comma 1, del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43, è incrementato per un importo pari a 10 milioni di euro l’anno 2005, 10 milioni di euro per l’anno 2006 e 30 milioni di euro per l’anno 2007.
2. All’articolo 7-septies del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43, sono apportate le seguenti modifiche:
a) al comma 2, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: "La società di cui al comma 1 destina agli oneri di funzionamento il 2 per cento della dotazione di cui al comma 1 e successivi incrementi";
b) al comma, secondo periodo, dopo le parole: "di cui all’articolo 1, comma 1, della legge 9 ottobre 2000, n. 285, e successive modificazioni," sono aggiunte le seguenti: "nonché per la realizzazione di interventi temporanei correlati a quelli di cui all’articolo 3 della citata legge n. 285 del 2000,";
c) al comma 3, sono soppressi il terzo e il quarto periodo;
d) al comma 6, dopo le parole: "relativi agli interventi di cui alla legge 9 ottobre 2000, n. 285, e successive modificazioni," sono aggiunte le seguenti: "nonché a quelli di cui al comma 2 del presente articolo,";
e) al comma 6, dopo l’ultimo periodo, è aggiunto il seguente: "In relazione alla eccezionale necessità ed urgenza di attuare i compiti di cui al comma 2, la società di cui al comma 1 nonché i soggetti di cui la stessa si può avvalere possono altresì procedere in deroga alle norme di contabilità generale dello Stato e a quelle che saranno individuate con apposita ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri, adottata in attuazione dell’articolo 5-bis, comma 5, del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401".
3. Agli oneri derivanti dall’attuazione del comma 1 si provvede mediante riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 61, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, come rideterminata dalle tabelle D e F della legge 30 dicembre 2004, n. 311, per 10 milioni di euro per l’anno 2005, 10 milioni di euro per l’anno 2006 e 30 milioni di euro per l’anno 2007. Conseguentemente, per l’anno 2005 il limite dei pagamenti indicato all’articolo 1, comma 15, lettera a), della legge 30 dicembre 2004, n. 311 è ridotto di 10 milioni di euro».
ARTICOLO 9
Al comma 1, nell’alinea, sostituire le parole: «della Commissione europea n. 2003/361/CE» con le seguenti: «n. 2003/361/CE della Commissione,».
Al comma 1, primo periodo, dopo le parole: «Alle imprese rientrano nella definizione comunitaria di» inserire la seguente: «microimprese,».
Al comma 1, lettera b), dopo le parole: «comunque operata», aggiungere le seguenti: «ovvero l’aggregazione fra singole imprese,».
Al comma 1, lettera c), sostituire le parole: «l’attività nell’anno precedente», con le seguenti: «attività omogenee nel periodo d’imposta precedente».
Dopo il comma 1, inserire i seguenti:
«1-bis. Ai fini del presente articolo per concentrazione si intende: a) la costituzione di un’unica impresa per effetto dell’aggregazione di più imprese mediante fusione; b) l’incorporazione di una o più imprese da parte di altra impresa; c) la costituzione di aggregazioni su base contrattuale fra imprese che organizzano in comune attività imprenditoriali rilevanti; d) la costituzione di consorzi mediante i quali più imprenditori istituiscono una organizzazione comune per lo svolgimento di fasi rilevanti delle rispettive imprese; e) ulteriori forme che favoriscano la crescita dimensionale delle imprese.
1-ter. La concentrazione di cui al comma 1-bis non può avere durata inferiore a tre anni.
1-quater. Tutte le imprese di cui al comma 1-bis iscrivono al registro delle imprese l’avvenuta concentrazione ai sensi del presente articolo».
Al comma 2, dopo le parole: «decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917» aggiungere le seguenti: «, e successive modificazioni».
Al comma 3, nel primo periodo, dopo le parole: «l’impresa concentrataria inoltra,» inserire le seguenti: «a decorrere».
Al comma 5, dopo le parole: «decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 199 n. 322», aggiungere le seguenti: «, e successive modificazioni».
Al comma 6, dopo le parole: «decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917» aggiungere le seguenti: «, e successive modificazioni».
Al comma 7, dopo le parole: «decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600», aggiungere le seguenti: «, e successive modificazioni».
ARTICOLO 10
Al comma 1, nell’alinea, dopo le parole: «decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633,» inserire le seguenti: «e successive modificazioni,».
Al comma 1, lettere b) e c), sostituire la parola: «soppresso» con la seguente: «abrogato»
Al comma 1, lettera e), dopo le parole: «secondo le modalità» inserire le seguenti: «previste dal regolamento».
Al comma 2, nell’alinea, dopo le parole: «decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504,» inserire le seguenti: «e successive modificazioni,».
Al comma 4 aggiungere alla fine le seguenti parole: "rispettando in ogni caso per ciascuna categoria delle accise di cui al comma 2 i criteri di progressione delle aliquote stabiliti nel medesimo comma 2."
Al comma 7, dopo le parole: «di cui all’articolo 45 del» inserire le seguenti: «testo unico di cui al».
Al comma 8, lettera a), sostituire le parole: «quelle previste dall’articolo 1» con le seguenti: «di quelle previste in attuazione dell’articolo 1».
Al comma 9, nel primo periodo, dopo le parole: «Il Fondo» inserire le seguenti: «per il risparmio idrico ed energetico,»,; conseguentemente, nel secondo periodo, sostituire le parole:«fondo per il risparmio» con le seguenti: «Fondo per il risparmio».
Al comma 9, nel secondo periodo, sostituire le parole: «fondo per la» con le seguenti: «fondo per lo sviluppo della».
Al comma 9, nel secondo periodo, sopprimere le parole: «, comma 5,».
Al comma 10, nel primo periodo, dopo la parola: «forestali» sopprimere il segno di interpunzione: «,».
Dopo l’articolo 10, aggiungere i seguenti:
«Art. 10-bis.
1. Il comma 3 dell’articolo 17 della legge 27 febbraio 1985, n. 49, come sostituito da ultimo dall’articolo 5, comma 1, della legge 12 dicembre 2002, n. 273, è sostituito dal seguente "L’entità delle partecipazioni è determinata per una quota pari al 5 per cento in relazione al numero delle società finanziarie aventi i requisiti che hanno presentato domanda di partecipazione e per una quota pari al 50 per cento in proporzione ai valori a patrimonio netto delle partecipazioni assunte nonché dei finanziamenti e delle agevolazioni erogate ai sensi dell’articolo 12 della legge 5 marzo 2001, n. 57. La restante quota è determinata in proporzione alla percentuale di utilizzazione da parte di ciascuna società finanziaria delle risorse conferite dal Ministero ai sensi della predetta norma. Il Ministero esclude dalla ripartizione le società finanziarie che non hanno effettuato erogazioni pari ad almeno l’80 per cento delle risorse conferite, decorsi due anni dal conferimento delle stesse. Per l’attività di formazione e consulenza alle cooperative nonché di promozione della normativa, le società finanziarie ammesse alla partecipazione sono autorizzate ad utilizzare annualmente, in misura non superiore all’uno per cento, risorse equivalenti agli interventi previsti dalla citata legge 5 marzo 2001, n. 57, articolo 12, effettuati nell’anno precedente. Ad integrazione del decreto previsto dall’articolo 12, comma 6, della legge 5 marzo 2001, n. 57, il Ministero stabilisce le modalità di attuazione del presente comma"».
Art. 10-ter
(Disposizioni per il settore agroalimentare)
1. Ferme restando le competenze di approvazione del CIPE, il Ministero delle politiche agricole e forestali, con uno o più decreti, può affidare all’Istituto per lo Sviluppo Agroalimentare (ISA) S.p.a. le funzioni relative alla valutazione, ammissione e gestione dei contratti di filiera di cui all’articolo 66, commi 1 e 2, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e al decreto del Ministero delle politiche agricole e forestali del 1° agosto 2003. All’ISA Spa è riconosciuto, a valere sulle risorse destinate ai contratti di filiera, il rimborso delle spese di gestione per lo svolgimento delle predette attività, da stabilirsi con atto convenzionale stipulato tra la stessa società ed il Ministero delle politiche agricole e forestali.
2. Ferme restando le competenze di approvazione del CIPE, il Ministero delle politiche agricole e forestali, con uno o più decreti può trasferire alla società ISA S.p.A. le funzioni di propria competenza e le connesse risorse umane, finanziarie e strumentali relative alla valutazione, ammissione e gestione dei contratti di programma che prevedono iniziative nel settore agricolo e agroindustriale. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 1, comma 93, della legge finanziaria del 2005.
3. Nel rispetto delle norme comunitarie, la stipula di contratti di coltivazione e vendita conformi agli accordi interprofessionali di cui alla legge 16 marzo 1988, n. 88, costituisce criterio di preferenza, secondo le modalità stabilite in ciascun bando di partecipazione, per attribuire contributi statali per l’innovazione e la ristrutturazione delle imprese agricole, agroalimentari e di commercializzazione e vendita dei prodotti agricoli.
4. Costituisce priorità nell’accesso ai regimi di aiuti di cui all’articolo 66, commi 1 e 2, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, la conclusione di contratti di coltivazione e vendita conformi agli accordi interprofessionali di cui alla legge 16 marzo 1988, n. 88.
5. Le regioni possono attribuire priorità nell’erogazione di contributi alle imprese che concludono contratti di coltivazione e vendita di cui al comma 3.
6. Il valore preminente previsto dall’articolo 59, comma 4, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, nell’aggiudicazione degli appalti pubblici è esteso anche alle produzioni agricole oggetto di contratti di coltivazione e vendita conformi agli accordi interprofessionali di cui alla legge 16 marzo 1988, n. 88.
7. A decorrere dal 1° gennaio 2006, alle imprese che concludono contratti di coltivazione e vendita conformi agli accordi interprofessionali di cui alla legge 16 marzo 1988, n. 88, è riconosciuta priorità nell’erogazione degli aiuti supplementari diretti previsti a discrezione dello Stato membro ai sensi del regolamento (CE) n. 1782/03.
8. Ai fini di quanto disposto nel presente articolo i contratti di conferimento tra le cooperative ed i loro associati sono equiparati ai contratti di coltivazione e vendita.
9. Il Ministero delle politiche agricole e forestali è autorizzato ad acquistare dall’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA) e da Sviluppo Italia s.p.a. le partecipazioni da questi posseduti nell’Istituto per lo Sviluppo Agroalimentare (I.S.A.) s.p.a., nonché ad esercitare i conseguenti diritti dell’azionista. All’acquisto delle partecipazioni predette il Ministero delle politiche agricole e forestali provvede nell’ambito degli stanziamenti del fondo unico per gli investimenti del Ministero medesimo, di cui all’articolo 46 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, come rideterminati dalla legge 30 dicembre 2004, n. 311.
ARTICOLO 11
Al comma 2, sopprimere le seguenti parole: «del Fondo».
Al comma 5, dopo le parole "Consiglio dei Ministri", sono inserite le seguenti: ", che opera sulla base degli indirizzi formulati dalle amministrazioni competenti".
Al comma 7, dopo la lettera b) aggiungere le seguenti:
"b-bis) al comma 19, secondo periodo, dopo le parole "ai Fondi di garanzia di cui ai commi 20, 21"aggiungere le seguenti: "23";
b-ter) ai commi 22 e 23, le parole: "dei finanziamenti complessivamente garantiti" sono sostituite dalle seguenti: "delle garanzie concesse nell’anno a fronte di finanziamenti erogati";
b-quater) dopo il comma 23 è aggiunto il seguente: "23-bis. Le disposizioni di cui ai commi 22 e 23 hanno effetto a decorrere dall’anno 2004".
Dopo il comma 11, aggiungere il seguente:
«11-bis. La disposizione di cui al comma 11 non trova applicazione con riferimento al regime, già senza limiti temporali, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 maggio 1963, n. 730 che continua ad applicarsi alle condizioni in essere al 31 dicembre 2004 fatti salvi eventuali adeguamenti da apportarsi attraverso lo strumento convenzionale di cui all’articolo 4 del citato decreto del Presidente della Repubblica».
Al comma 13 sostituire le parole "a decorrere dalla data di entra tin vigore del presente decreto" con le seguenti: " a decorrere dal 1 gennaio 2005" e le parole "dell’Europa centrale" con le seguenti: "dell’energia elettrica europee, segnatamente di Amsterdam e Francoforte";
al comma 14 apportare le seguenti modificazioni:
a) dopo le parole "regione Sardegna" inserire le seguenti: "in coerenza con gli indirizzi e le priorità del sistema energetico regionale";
b) dopo il primo periodo inserire il seguente: "Al concessionario è assicurato l’acquisto da parte del Gestore della rete di trasmissione nazionale s.p.a. dell’energia elettrica prodotta ai prezzi e secondo le modalità previste dal decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1994.";
c) dopo il terzo periodo, inserire il seguente: "Il Comitato di coordinamento istituito ai sensi dell’articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1994 esercita funzioni di vigilanza e monitoraggio, fino all’entrata in esercizio dell’impianto di produzione di energia elettrica oggetto della concessione.";
d) al quarto periodo, dopo le parole "valutazione delle offerte" inserire le seguenti: "previo esame dell’adeguatezza della struttura economica e finanziaria del progetto";
e) alla lettera b) sostituire le parole "degli inquinanti delle polveri gassosi" con le seguenti: "delle polveri e degli inquinanti gassosi";
f) alla lettera c) sostituire le parole "dei lavori" con le seguenti: "del progetto";
Dopo il comma 14 aggiungere i seguenti:
«14-bis. La gestione temporanea della miniera carboniferadel Sulcis, prevista a termine del comma 1 dell’articolo 57 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, è prorogata fino alla presa in consegna delle strutture da parte del concessionario di cui al comma 14, e comunque non oltre il 31 dicembre 2006. Agli oneri derivanti dall’attuazione del presente comma, pari a 15 milioni di euro per ciascuno degli anni 2005 e 2006, si provvede mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 61, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, come rideterminata dalle tabelle D e F della legge 30 dicembre 2004, n. 311, per 15 milioni di euro per l’anno 2005 e 15 milioni di euro per l’anno 2006. Conseguentemente, per l’anno 2005 il limite dei pagamenti indicato all’articolo 1, comma 15, lettera a), della legge 30 dicembre 2004, n. 311 è ridotto di 15 milioni di euro.
14-ter. Le attività di produzione e di commercializzazione dei tabacchi lavorati, nonchè quelle di trasformazione del tabacco greggio, con esclusione delle attività di commercializzazione al minuto si intendono non più riservate o comunque attribuite all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato ovvero all’Ente di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 9 luglio 1998, n. 283, e la fabbricazione e trasformazione di tali prodotti può essere effettuata nei depositi fiscali autorizzati dalla predetta amministrazione».
Dopo l’articolo 11, inserire i seguenti:
«Art. 11-bis.
(Sanzioni irrogate dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas)
1. Alle sanzioni previste dalla legge 14 novembre 1995 n. 481 articolo 2 comma 207 non si applica quanto previsto dall’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689. L’ammontare riveniente dal pagamento delle sanzioni irrogate dall’autorità per l’energia elettrica e il gas è destinato ad un fondo per il finanziamento di iniziative a vantaggio dei consumatori, di tipo reintegratorio o di risarcimento forfetario dei danni subiti. Le modalità di organizzazione e funzionamento del fondo nonché di erogazione delle relative risorse sono stabilite con regolamento a norma dell’articolo 17, comma 1, della legge n. 400 del 1988 e successive modificazioni, sentite le competenti Commissioni parlamentari.
Art. 11-ter.
(Potenziamento delle aree sottoutilizzate)
1. All’articolo 11 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 4-quater, i primi due periodi sono sostituiti dai seguenti: "Fino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2008, per i soggetti di cui all’articolo 3, comma 1, lettere da a) ad e), che incrementano, in ciascuno dei tre periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2004, il numero di lavoratori dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato, rispetto al numero dei lavoratori assunti con il medesimo contratto mediamente occupati nel periodo d’imposta precedente, è deducibile il costo del predetto personale per un importo annuale non superiore a 20.000 euro per ciascun nuovo dipendente assunto, e nel limite dell’incremento complessivo del costo del personale classificabile nell’articolo 2425, primo comma, lettera B), numeri 9) e 14), del codice civile. La suddetta deduzione decade se nei periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2004, il numero dei lavoratori dipendenti risulta inferiore o pari rispetto al numero degli stessi lavoratori mediamente occupati in tale periodo d’imposta; la deduzione spettante compete in ogni caso per ciascun periodo d’imposta a partire da quello di assunzione e fino a quello in corso al 31 dicembre 2008, semprechè permanga il medesimo rapporto di impiego";
b) il comma 4-quinquies, è sostituito dal seguente:
"4-quinquies. Per i quattro periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2004, fermo restando il rispetto del regolamento (CE) n. 2204/ 2002 della Commissione, del 5 dicembre 2002, l’importo deducibile determinato ai sensi del comma 4-quater è quintuplicato nelle aree ammissibili alla deroga prevista dall’articolo 87, paragrafo 3, lettera a), e triplicato nelle aree ammissibili alla deroga prevista dall’articolo 87, paragrafo 3, lettera c), del Trattato che istituisce la Comunità europea, individuate dalla Carta italiana degli aiuti a finalità regionale per il periodo 2000-2006 e da quella che verrà approvata per il successivo periodo".
2. Al maggior onere derivante dall’attuazione del comma 1, lettera b), valutato in 15 milioni di euro per l’anno 2005, 183 milioni di euro per l’anno 2006, 282 milioni di euro per l’anno 2007 e 366 milioni di euro per l’anno 2008, si provvede mediante utilizzo dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 61, comma 1, della legge 27 dicembre 2002 n. 289. A tale fine sono ridotte di pari importo, per gli anni 2005 e 2006, le risorse disponibili già preordinate, con le delibere CIPE n. 16 del 9 maggio 2003 e n. 19 del 29 settembre 2004, pubblicate, rispettivamente, nella Gazzetta Ufficiale n. 156 dell’8 luglio 2003 e n. 254 del 28 ottobre 2004, al finanziamento degli interventi per l’attribuzione di un ulteriore contributo per le assunzioni di cui all’articolo 7 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e per gli anni 2007 e 2008 mediante utilizzo della medesima autorizzazione di spesa come rideterminata ai sensi delle tabelle D e F della legge 30 dicembre 2004, n. 311. L’elenco degli strumenti che confluiscono nel Fondo per le aree sottoutilizzate, di cui all’allegato 1 della citata legge n. 289 del 2002, è esteso agli interventi di intensificazione dei benefici previsti dall’articolo 11, comma 4-quinquies del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446. Resta fermo quanto disposto dall’articolo 1, comma 15, lettera a), della legge 30 dicembre 2004, n. 311.
3. Gli oneri derivanti dal comma 1, lettera b), sono soggetti a monitoraggio ai sensi del decreto-legge 6 settembre 2002, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 ottobre 2002, n. 246. In caso di accertamento di livelli effettivi di minor gettito superiori a quelli previsti, lo scostamento, è recuperato a valere sulle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate, nelle more dell’applicazione dell’articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Il CIPE conseguentemente provvede alla eventuale rideterminazione degli interventi sulla base delle risorse disponibili anche con la modificazione di delibere già adottate.
4. Le disposizioni del comma 1 si applicano a decorrere dal periodo di imposta in cui interviene l’approvazione da parte della Comunità europea ai sensi dell’articolo 88, paragrafo 3, del Trattato istitutivo della Comunità europea.
5. Il comma 361 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, è sostituito dal seguente: «361. Per le finalità previste dai commi da 354 a 360 è autorizzata la spesa di 80 milioni di euro per l’anno 2005 e di 150 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2006. Una quota dei predetti oneri, pari a 55 milioni di euro per l’anno 2005 e 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008, è posta a carico del Fondo per le aree sottoutilizzate per gli interventi finanziati dallo stesso. La restante quota relativa agli anni 2005 e 2006, pari rispettivamente a 25 milioni di euro e a 50 milioni di euro, è posta a carico della parte del Fondo unico per gli incentivi alle imprese non riguardante gli interventi nelle aree sottoutilizzate; alla quota relativa agli anni 2007 e 2008, pari a 50 milioni di euro per ciascun anno, ed all’onere decorrente dal 2009, pari a 150 milioni di euro annui, si provvede con le maggiori entrate derivanti dal comma 300.».
Art. 11-quater.
(Applicazione dell’imposta sul valore aggiunto sulle prestazioni rese in un altro Stato UE)
1. La locuzione "le cessioni in base a cataloghi, per corrispondenza e simili, di beni", di cui agli articoli 40, comma 3, e 41, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, deve intendersi riferita alle cessioni di beni con trasporto a destinazione da parte del cedente, a nulla rilevando le modalità di effettuazione dell’ordine di acquisto.
2. Nell’ipotesi di cui al comma precedente, se lo Stato membro di destinazione del bene richiede il pagamento dell’imposta ivi applicabile sul corrispettivo dell’operazione già assoggettata ad imposta sul valore aggiunto nel territorio dello Stato, il contribuente può chiedere la restituzione dell’imposta assoluta, entro il termine di due anni, ai sensi dell’art. 21 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, decorrente dalla data di notifica dell’atto impositivo da parte della competente autorità estera. Su richiesta del contribuente, il rimborso dell’imposta può essere effettuato anche tramite il riconoscimento, con provvedimento formale da parte del competente ufficio delle Entrate, di un credito di corrispondente importo utilizzabile in compensazione, ai sensi dell’art. 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241.».
Art. 11-quinquies.
(Sostegno all’internazionalizzazione dell’economia italiana)
1. All’articolo 6, comma 18, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 236 le parole da: "ad eccezione di una quota" fino al termine del periodo sono soppresse.
2. L’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143, per la parte relativa alla internazionalizzazione dell’economia italiana, si interpreta nel senso che SACE S.p.A., ferma restando ogni altra disposizione prevista dal decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, è autorizzata altresì a rilasciare, nel rispetto della disciplina comunitaria in materia, garanzie e coperture assicurative per il rischio di mancato rimborso relativamente a finanziamenti, prestiti obbligazionari, titoli di debito ed altri strumenti finanziari, ivi inclusi quelli emessi nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione, connessi al processo di internazionalizzazione di imprese italiane, in possesso dei requisiti di cui al successivo comma 3, operanti anche attraverso società di diritto estero a loro collegate o da loro controllate.
3. L’attività di sostegno all’internazionalizzazione di cui al comma 2 è svolta annualmente a condizioni di mercato in relazione a operazioni effettuate per almeno il 50 per cento a favore di piccole e medie imprese secondo la definizione comunitaria e, per la parte rimanente, nei confronti di imprese con fatturato annuo non superiore a 250 milioni di euro.
4. Le garanzie e coperture assicurative di cui al comma 2 beneficiano della garanzia dello Stato nei limiti specifici indicati dalla legge di approvazione del bilancio dello Stato come quota parte dei limiti ordinari indicati distintivamente per le garanzie e le coperture assicurative di durata inferiore a superiore ai ventiquattro mesi ai sensi dell’articolo 6, comma 9, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326. Per l’anno 2005 il limite specifico di cui al presente comma è fissato in misura pari al venti per cento dei limiti di cui all’articolo 2, comma 4, della legge 30 dicembre 2004, n. 312, che restano invariati.
5. SACE S.p.A. fornisce informazioni dettagliate in merito all’operatività di cui al presente articolo nel proprio bilancio di esercizio, evidenziando specificamente, in riferimento all’attività di cui al precedente comma 2 e alla garanzia dello Stato di cui al comma 4, le risorse impegnate, i costi sostenuti, la redditività, e i risultati conseguiti.
Art. 11-sexies
(Misure per la razionale produzione e distribuzione energetica e per la tutela dell’ambiente)
1. Il parametro di remunerazione dell’energia riconosciuta al produttore che cede l'energia elettrica di cui all'articolo articolo 20, comma l, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, è il prezzo definito nella delibera n. 5/04 , allegato A articolo 30, lettere a) e b).
2. Il parametro di remunerazione dell’energia riconosciuta al produttore che cede l'energia elettrica di cui all'articolo articolo 13, comma 3, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, è una tariffa unica determinata dalla media ponderata delle fasce orarie, del prezzo definito nella delibera dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas n. 5/04, allegato A, articolo 30, lettere a) e b).
3. Fermo restando il principio dell'imprescindibile riconoscimento di una tariffa unica e non differenziata per fasce derivante dalla specificità degli impianti in oggetto, il parametro indicato al comma 2, qualora dovesse essere modificato o venire a mancare ai sensi della normativa vigente, verrà automaticamente sostituito con la migliore alternativa tariffaria possibile, facendo sempre riferimento alle condizioni economiche del mercato, ma nel rispetto dei principi e delle finalità determinati dalla normativa comunitaria e nazionale di promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili.
4. La misura dell’energia ritirata ai sensi dell’articolo 13, comma 3, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, viene effettuata dal gestore di rete competente, al netto dei consumi per usi di centrale, e senza necessità per il soggetto produttore di stipula del contratto di consumo di detta energia con il distributore locale e senza oneri aggiuntivi per il produttore medesimo.
5. Le direttive, delibere o disposizioni comunque emanate dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, dal Gestore della rete di trasmissione nazionale, dal Gestore del mercato elettrico, dall’Acquirente unico e dai gestori di rete, nel campo delle energie rinnovabili, del risparmio e dell’efficienza energetica dovranno conformarsi ai principi ed alla disciplina di cui ai commi da 1 a 4.
6. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, per lo svolgimento delle attività in materia di difesa del suolo, di cui al regio decreto 25 luglio 1904, n. 523, al decreto legislativo 12 aprile 1948, n. 1010, e alle leggi 10 gennaio 1963, n. 366, 3 agosto1998, n. 267, 18 maggio 1989, n. 183, e 28 dicembre 2001, n. 448, ed, in particolare, per il superamento delle situazioni di dissesto idrogeologico sul territorio nazionale, si avvale, nel rispetto della normativa in materia di procedura ad evidenza pubblica e di scelta del contraente, di una società per azioni già esistente controllata direttamente dallo Stato, con la quale stipula apposita convenzione.
7. Al fine di ottimizzare le risorse finanziarie destinate allo svolgimento delle attività di cui al comma 6, e di uniformare le relative procedure di spesa, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri dell’ambiente e della tutela del territorio e dell’economia e delle finanze, con uno o più decreti da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, adotta apposite procedure per l’utilizzo delle predette risorse finanziarie.".
ARTICOLO 12
Al comma 1, nel primo periodo, aggiungere, in fine, le seguenti parole: «nazionale del turismo di cui al comma 2».
Al comma 1, dopo la parola: «Viceministri» inserire le parole: «ed il sottosegretario con delega al turismo».
Al comma 1, dopo le parole: "nel numero massimo di tre", sono aggiunte le seguenti: " e un rappresentante delle Camere di Commercio".
Al comma 5, lettera d), dopo le parole: «, nonchè delle attività di cui al comma 8» aggiungere le seguenti. "al netto dei costi inerenti alla gestione della piattaforma tecnologica ivi indicata".
Al comma 7, nel primo periodo, sostituire le parole: «se nominato» con le seguenti: «se nominati».
Al comma 7, nel secondo periodo, sostituire le parole: «è in particolare previsto» con le seguenti: «sono in particolare previsti».
Al comma 7, dopo le parole: "di rappresentanti delle Regioni", sono inserite le seguenti: "e dello Stato" e dopo le parole "delle associazioni di categoria", sono aggiunte le seguenti: "e delle Camere di Commercio".
Alla fine del comma 7, aggiungere le seguenti parole: «e del turismo congressuale».
Dopo il comma 8 inserire il seguente:
«8-bis. - Il Ministero delle Attività Produttive si avvale di ENIT – Agenzia nazionale per il turismo e delle Società di essa controllate per le proprie attività di assistenza tecnica e per la gestione di azioni mirate allo sviluppo dei sistemi turistici multiregionali. Il Ministro delle Attività Produttive può assegnare direttamente ad ENIT – Agenzia nazionale per il turismo ed alle Società da essa controllate, con provvedimento amministrativo, funzioni, servizi e risorse relativi a tali compiti».
Al comma 9, sostituire le parole: «progetto Scegli-Italia» con le seguenti: «progetto Scegli Italia».
Al comma 10, sostituire le parole: «Progetto Scegli-Italia» con le seguenti: «progetto Scegli Italia».
Al comma 11, sostituire le parole: «unità revisionale di base di conto capitale "Fondo speciale"» con le seguenti: «unità previsionale di base di conto capitale "Fondo speciale"».
Dopo l’articolo 12, aggiungere il seguente:
«Art. 12-bis.
1. Al comma 534 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004 n. 311, dopo le parole: "amministrazioni regionali" si aggiungono le seguenti: "della Federazione Italiana Gioco Calcio"».
ARTICOLO 13
Al comma 2, alinea, dopo le parole: «per gli anni 2005 e 2006» inserire le seguenti: «, con decorrenza, in ogni caso, non anteriore alla data di entrata in vigore del presente decreto, ».
Al comma 2, lettera a) sopprimere il quinto periodo.
Al comma 2, lettera c), secondo periodo dopo la parola: «ovvero» inserire le seguenti: «, in caso di cessazione di attività, »; conseguentemente dopo le parole: «legge n. 223 del 1991,» sopprimere le seguenti: «in caso di cessazione di attività, ».
Al comma 2, lettera d), primo periodo sostituire le parole: «datori di lavoro privati,» con le seguenti: «datori di lavoro privati ed».
Al comma 2, lettera d), secondo periodo sostituire le parole: «capoverso precedente» con le seguenti: «primo periodo».
Al comma 4, lettera b), sostituire le parole: «soggetti di gestione» con le seguenti: «soggetti a cui è attribuita la gestione».
Al comma 5 sostituire le parole: « per 402,23 milioni» e: «per 0,35 milioni» con le seguenti: «402,23 milioni» e «0,35 milioni» dopo le parole: «Ministero del lavoro e delle politiche sociali» sostituire la parola: «e» con il segno di interpunzione: «;»; dopo le parole: «articolo 9-ter della» sopprimere la parola: «citata».
Al comma 6 sostituire le parole: «della lettera i-quater» con le seguenti: «lettera i-quater».
Al comma 7 sostituire le parole: «comma 1» con le seguenti: «primo comma».
Al comma 13, nell’alinea sopprimere le parole: «, comma 1,».
Ai commi 7, 8 e 11 sostituire le parole: «non imputabili all’imprenditore o ai lavoratori», con le seguenti: «ovvero determinate da situazioni temporanee di mercato».
Al comma 13, lettera a), sostituire le parole : "il sesto periodo è sostituto dal seguente" con le seguenti: "il sesto periodo è sostituito dai seguenti" e, alla fine della medesima lettera, aggiungere il seguente periodo: "I progetti relativi ai piani individuali ed alle iniziative propedeutiche e connesse ai medesimi sono trasmessi alle regioni ed alle province autonome territorialmente interessate, affinché ne possano tenere conto nell’ambito delle rispettive programmazioni".
Dopo il comma 13, aggiungere il seguente: «13-bis. All’articolo 49, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, dopo il comma 5 è aggiunto il seguente: "5-bis. Fino all’approvazione della legge regionale prevista dal comma 5, la disciplina dell’apprendistato professionalizzante è rimessa ai contratti collettivi nazionali di categoria stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale"».
Dopo l’articolo13, aggiungere i seguenti:
«Art. 13-bis.
(Modifica al decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950, n. 180)
1. Al decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950, n. 180, apportare le seguenti modificazioni:
a) all’art. 1 apportare le seguenti modificazioni
1) dopo le parole: "salve le eccezioni stabilite nei seguenti articoli" aggiungere le seguenti parole: "ed in altre disposizioni di legge"».
2) dopo il comma 2, aggiungere i seguenti commi: "2-bis. I pensionati pubblici e privati possono contrarre con banche e intermediari finanziari di cui all’articolo 106 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 prestiti da estinguersi con cessione di quote della pensione fino al quinto della stessa, valutato al netto delle ritenute fiscali e per periodi non superiori a dieci anni.
2-ter. Possono essere cedute ai sensi dl comma 2-bis le pensioni o le indennità che tenono luogo di pensione corrisposte dallo Stato o dai singoli enti, gli assegni equivalenti a catico di speciali casse di previdenza, le pensioni e gli assegni di invalidità e vecchiaia corrisposti dall’Istituto nazionale di previdenza sociale, gli assegni vitalizi e i capitali a carico di istituti e fondi in dipendenza del rapporto di lavoro.
2-quater. I prestiti devono avere la garanzia dell’assicurazione sulla vita che ne assicuri il recupero del residuo credito in caso di decesso del mutuatari";
b) all’articolo 52, apportare le seguenti modificazioni:
1) al primo comma, le parole: «per il periodo di cinque o di dieci anni» sono sostituite con le seguenti: «per un periodo non superiore ai dieci anni»; sono soppresse le parole: «ed abbiano compiuto, nel caso di cessione quinquennale, almeno cinque anni e, nel caso di cessione decennale, almeno dieci anni di servizio utile per l’indennità di anzianità»;
2) dopo il primo comma, sono aggiunti i seguenti:
"1-bis. Nei confronti dei medesimi impiegati e salariati assunti in servizio a tempo determinato, la cessione del quinto dello stipendio o del salario non può eccedere il periodo di tempo che, al momento dell’operazione, deve ancora trascorrere per la scadenza del contratto in essere. Alla cessione del trattamento di fine rapporto posta in essere dai soggetti di cui al precedente comma, non si applica il limite del quinto".
1-ter. I titolari dei rapporti di lavoro di cui all’art. 409, n. 3 c.p.c. di durata non inferiore a dodici mesi, possono cedere un quinto del loro compenso, valutato al netto delle ritenute fiscali, purchè questo abbia carattere certo e continuativo. La cessione non può eccedere il periodo di tempo che, al momento dell’operazione, deve ancora trascorrere per la scadenza del contratto in essere. I compensi corrisposti a tali soggetti sono sequestrabili e pignorabili nei limiti di cui all’art. 545 c.p.c.».
c) all’articolo 55, apportare le seguenti modificazioni:
1) al primo comma, sopprimere la parola "13"».
2) al quarto comma è soppressa al capoverso la parola: «non» e di seguito sostituire le parole: «Istituto nazionale per l’assistenza dei dipendenti degli Enti locali» con le seguenti: «Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’Amministrazione pubblica». Nello stesso comma le parole: «Lo stesso divieto vale per» sono sostituite con le parole: «Non si possono perseguire».
2. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentite le organizzazioni di categoria degli operatori professionali interessati, sono dettate le disposizioni occorrenti per l’attuazione del presente articolo."
Art. 13-ter.
(Contributi agricoli)
1. Per i mesi di maggio, giugno, luglio e agosto dell’anno 2005 sono sospesi i termini per l’adempimento degli obblighi derivanti dalle cartelle di pagamento e per le procedure di riscossione relative ai contributi previdenziali e assistenziali concernenti i datori di lavoro e i lavoratori, dipendenti e autonomi, del settore agricolo, con recupero dei relativi importi entro il 20 dicembre 2005».
ARTICOLO 14
Al comma 1, dopo le parole "articolo 7, commi 1 e 2, della legge 7 dicembre 2000, n. 383" inserire le seguenti: " e in favore di fondazioni e associazioni riconosciute aventi per oggetto statutario la tutela, promozione e la valorizzazione dei beni di interesse artistico, storico, e paesaggistico di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42";
Al comma 7, lettera b) sopprimere le parole: "lettera a), le parole: "o finalità di ricerca scientifica" sono soppresse; nel medesimo comma"
Al comma 7 lettera b) dopo le parole: «enti di ricerca pubblici» inserire le seguenti: «le fondazioni e le associazioni regolarmente riconosciute a norma del decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361, aventi per oggetto statutario lo svolgimento o la promozione di attività di ricerca scientifica, individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca»;
Dopo il comma 8 aggiungere i seguenti:
"8-bis. Il comma 7-bis dell’articolo 2 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 come modificato dall’articolo 13 del decreto legge 24 giugno 2003, n. 147, convertito con modificazioni nella legge 1 agosto 2003, n. 200 e dall’articolo 3, comma 94 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, è abrogato.
8-ter. La deroga di cui all’articolo 4, comma 104, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, si applica anche a decorrere dall’anno 2005."
Dopo l’articolo 14, inserire i seguenti:
«Art. 14-bis.
(Disposizioni particolari per le Regioni a Statuto speciale e per le Province autonome di Trento e di Bolzano)
1. Le disposizioni del presente decreto sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme dei rispettivi Statuti».
Art. 14-ter
1. Sono abrogati l’articolo 2, commi 8 e 9 del decreto del Presidente della Repubblica 8 aprile 1998, n. 169, l’articolo 2, comma 6 del decreto ministeriale 2 giugno 1998, n. 174 e l’articolo 10 del decreto del Ministro delle finanze 7 aprile 1999.
2. L’attività di raccolta e accettazione delle scommesse ippiche e sportive può essere esercitata dal concessionario con mezzi propri o di terzi, nel rispetto dell’articolo 93 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773.
ARTICOLO 15
Sostituire l’articolo 15 con il seguente:
"Art. 15
(Copertura finanziaria)
1. Agli oneri derivanti dagli articoli 3, comma 1, 5, comma 14, 7, commi 2 e 3-ter, 9, comma 3, 10, comma 1, 12, comma 6, e 14 pari a complessivi 77,25 milioni di euro per l’anno 2005, 472,750 milioni di euro per l’anno 2006, 378,75 milioni di euro per l’anno 2007 e 316,55 milioni di euro a decorrere dal 2008, si provvede:
a) quanto a 15,75 milioni di euro per l’anno 2006 e 15,25 milioni di euro per l’anno 2007, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2005, utilizzando la proiezione per i predetti anni dell’accantonamento relativo al Ministero delle comunicazioni per euro 5 milioni per ciascuno degli anni 2006 e 2007 e dell’accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri per euro 10,75 milioni per l’anno 2006 e per euro 10,25 milioni per l’anno 2007;
b) quanto a 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2005, 2006 e 2007, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto nell’ambito dell’ unità previsionale di base di conto capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2005, utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell’ambiente;
c) quanto a 68 milioni di euro per l’anno 2005, 319 milioni di euro per l’anno 2006, 293,5 milioni di euro per l’anno 2007 e 306,3 milioni di euro a decorrere dal 2008, mediante utilizzo di parte delle maggiori entrate derivanti dagli articoli 7, comma 3, 10, commi 2, 3 e 4;
d) quanto a 4,25 milioni di euro per l’anno 2005, 133 milioni di euro per l’anno 2006 e 65 milioni di euro per l’anno 2007 mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 9-ter della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, come determinata dalla tabella C della legge 30 dicembre 2004, n. 311;
2. L’importo corrispondente alle maggiori entrate di cui agli articoli 7, comma 3, 10, commi 2, 3 e 4 non utilizzate a copertura degli oneri derivanti dal presente decreto, è iscritto sul Fondo per gli interventi strutturali di politica economica di cui al comma 5 dell’articolo 10 del decreto legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307, per 15 milioni di euro per l’anno 2006, 20 milioni di euro per l’anno 2007 e 1,5 milioni di euro a decorrere dall’anno 2008.
3. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio." .
SENATO DELLA REPUBBLICA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾ XIV LEGISLATURA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾
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791a SEDUTA |
PUBBLICA |
RESOCONTO STENOGRAFICO |
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MARTEDI’ 3 MAGGIO 2005 (Pomeridiana) |
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Presidenza del vice presidente DINI,
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Seguito della discussione del disegno di legge:
(3344) Conversione in legge del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale (Relazione orale) (ore 16,17)
Discussione della questione di fiducia
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge n. 3344.
Ricordo che nella seduta antimeridiana il Governo ha posto la questione di fiducia sull’emendamento 1.2000 interamente sostitutivo dell'articolo unico del disegno di legge n. 3344.
Le determinazioni della Conferenza dei Capigruppo circa l’organizzazione della discussione sulla questione di fiducia sono state già comunicate all’Assemblea.
Ha facoltà di parlare il senatore Azzollini, in qualità di Presidente della Commissione di bilancio, per riferire all’Aula sull’emendamento 1.2000.
AZZOLLINI (FI). Signor Presidente, la Commissione bilancio si è intrattenuta, come richiesto dal Presidente del Senato nella sua lettera, in particolare sui profili di copertura finanziaria relativi alle parti dell’emendamento 1.2000 che non erano state già esaminate, discusse e approvate in Commissione. Naturalmente, non sono mancate alcune riflessioni di carattere generale, che spero di poter fedelmente riportare.
Per quel che riguarda gli aspetti di copertura finanziaria, si osserva subito che la Commissione richiede al Governo, il quale già durante la discussione si è dichiarato d’accordo, un’integrazione della relazione tecnica con riferimento agli oneri per le nuove assunzioni della CONSOB, di cui all’articolo 2, comma 4-decies, ivi compresi i profili previdenziali. Naturalmente, la richiesta è nel senso che la relazione tecnica intervenga al più presto e comunque in serata, per consentire a tutti i senatori di poter disporre anche di questo specifico strumento durante il corso della discussione. Anche su questo il Governo ha mostrato il suo pieno consenso e così il relatore.
Per quel che riguarda l’articolo 4, comma 1, lettera c-bis), il Governo ha confermato la compensazione degli effetti di cassa derivanti dal ripristino dei versamenti trimestrali IVA, con la contestuale revisione dei relativi anticipi.
Il Governo ha altresì confermato la quantificazione degli effetti delle agevolazioni per i personal computers di cui all’articolo 7, nonché la natura di spesa in conto capitale degli interventi per il Sulcis di cui all’articolo 11, comma 14-bis.
Il Governo ha inoltre confermato che la riformulazione dell’articolo 13-ter, relativa all’anticipo al 20 dicembre del recupero dei contributi SCAU, è idonea a superare i rilievi sugli effetti di cassa precedentemente espressi. Naturalmente, l’Esecutivo si è pronunciato su questi punti a richiesta della Commissione.
Devo riscontrare un errore nell’ultima riga dell’articolo 6-bis. Infatti, il riferimento qui presente deve intendersi alla lettera f), e non alla lettera c), dell’articolo 11, comma 3, della legge n. 468 del 1978, in quanto si provvederà con la Tabella D della legge finanziaria ad integrare l’autorizzazione di spesa di cui al suddetto articolo. Il Governo ha convenuto sull’errore ma poiché, per ragioni regolamentari, non si può intervenire in questa fase ha espresso la volontà di correggerlo al più presto nel primo provvedimento utile.
Da parte dei colleghi dell’opposizione, sempre sotto il profilo specifico delle coperture, si è mantenuta una perplessità con riferimento all’articolo 14, e cioè alle erogazioni in favore di enti di ricerca, di ONLUS e altro. In verità, questa perplessità era già stata espressa dai colleghi dell’opposizione in sede di discussione in Commissione ed il Governo e il relatore avevano formulato a loro volta i propri pareri.
Sotto il profilo specifico che qui ci interessa, ossia quello delle novità introdotte dal maxiemendamento del Governo, i colleghi dell’opposizione hanno osservato che, trattandosi di un’estensione della platea dei beneficiari, dal loro punto di vista, la perplessità veniva confermata. Il Governo ed il relatore, invece, hanno mantenuto il proprio parere.
Questo per quanto riguarda gli articoli specifici di copertura.
Per quanto concerne, invece, le questioni generali, la Commissione ha rilevato, con soddisfazione, che il maxiemendamento del Governo ha preso a base il testo licenziato dalla Commissione a seguito della discussione e ha altresì rilevato positivamente che gli elementi di novità attenevano a profili che la Commissione stessa aveva profondamente discusso e che necessitavano di una decisione politica del Governo. Mi riferisco, in particolare, alla questione del programma FREMM della Difesa, così come all’estensione dei beneficiari delle erogazioni liberali di cui all’articolo 14, nonché alle norme riguardanti il Sulcis.
Questo è stato positivamente osservato; purtuttavia, i colleghi dell’opposizione hanno considerato criticamente l’espunzione dei tre o quattro commi relativi alle libere professioni, che viceversa erano stati mantenuti e votati nel corso della discussione in Commissione.
Il Governo e il relatore, a tale proposito, hanno riferito che l’espunzione è stata motivata dalla decisione politica, per vero già presa nel corso della discussione in Commissione, di lasciare ad altro provvedimento l’intero tema delle libere professioni, che - come è noto - nell’ambito della discussione, aveva a sua base una legge delega.
Si era poi convenuto di rimandare la legge delega ad altro provvedimento e in questa sede il Governo ha ritenuto di espungere quei commi dopo le osservazioni critiche dell’opposizione che ho riferito.
Infine, ritengo di dover ringraziare il Presidente del Senato per questa sperimentale innovazione della prassi di affidare alla Commissione bilancio la valutazione dei profili di copertura finanziaria di maxiemendamenti su cui viene posta la fiducia dal Governo, nelle parti nuove che gli stessi maxiemendamenti contengono. Apprezziamo anche il riferimento ai profili di copertura finanziaria che, in sede di prima sperimentazione di questa procedura, la Commissione stessa aveva ritenuto molto opportuni.
Ritengo di aver riferito esaurientemente il dibattito svoltosi in Commissione e di porgere così le conclusione alla Presidenza del Senato. (Applausi dal Gruppo FI).
PRESIDENTE. Ringrazio il presidente della 5a Commissione, senatore Azzollini, per aver riferito all’Assemblea sul dibattito svoltosi in Commissione. Prendiamo, quindi, atto delle sue comunicazioni.
Dichiaro aperta la discussione sulla questione di fiducia.
È iscritto a parlare il senatore Baratella. Ne ha facoltà.
BARATELLA (DS-U). Signor Presidente, ancora una volta e con l’unica solita ragione dell’urgenza, il Governo propina all’Aula un decreto sulla competitività che si è trasformato in un ulteriore decreto omnibus, frutto della confusione e in gran parte contenente misure estrapolate, tramite il maxiemendamento che è stato presentato or ora, dal disegno di legge presentato alla Camera. Un metodo assolutamente fuori da qualsiasi dialogo e concertazione, frutto della determinazione a fare qualcosa purchessia.
Spesso, e purtroppo inutilmente, vi avevamo fatto notare come decreti di questa natura lascino il tempo che trovano o, peggio ancora, come in questo caso, creino disillusioni che portano ad ulteriori conseguenze negative per gli effetti inconsistenti rispetto alle aspettative del Paese, che si trova in palese, dichiarata difficoltà in ogni settore della vita sociale e produttiva ed a cui offrite un pannicello caldo come cura.
Se oggi vi è crisi di fiducia del sistema Paese rispetto al presente e all’immediato futuro, si rischia seriamente di compromettere ogni margine residuo di rilancio e di crescita attraverso iniziative come questa, che ritagliano piccoli interventi in ogni settore della vita sociale e produttiva del Paese.
Nel merito, il giudizio che esprimiamo - e che è l’unico possibile - è che questo decreto arriva troppo tardi, dopo un pesante errore di valutazione che vi ha portati ad una parziale ed inconsistente riduzione delle tasse sperperando importanti risorse pubbliche e non incidendo minimamente sui problemi reali delle famiglie e delle imprese; troppo tardi poiché gli effetti delle norme introdotte in gran parte non si verificheranno nell’immediato, ma nel più lungo periodo, mentre si è persa l’occasione della legge finanziaria dello scorso anno per incidere, anche con il nostro contributo, più volte offerto ma sempre rifiutato, sui problemi reali del Paese.
Avete la colpa grave di aver mostrato i muscoli, ma non un’idea vera di sviluppo, tanto che molte delle norme di questo provvedimento sono a modifica della legge finanziaria, a dimostrazione che quanto sosteniamo corrisponde esattamente a verità. Molti muscoli e poco cervello, perché eravate affaccendati a risolvere le vostre beghe e non i problemi del Paese reale, che vi ha risposto - come sappiamo - attraverso le urne. Una bocciatura pesante cui non sapete, ancora una volta, rispondere dando spazio ad un vero dibattito parlamentare e con la disponibilità che serve.
Il ministro Alemanno qualche giorno fa ha chiesto a gran voce che l’opposizione contribuisse con proprie proposte, dimenticando che proprio il Governo ha precluso questa possibilità non solo a noi, ma alla sua stessa maggioranza, sia in Commissione che in Aula. Porre la questione di fiducia risulta irriverente dopo queste dichiarazioni.
Una situazione quasi comica, se non ci fossero di mezzo il futuro e le speranze degli italiani, se si pensa che sia nel disegno di legge che nel maxiemendamento che presentate, oltre ad alcune perle di misura amministrativa, vi esibite non nel taglio agli sprechi più e più volte annunciato, ma nel taglio alle risorse destinate al volontariato, dimenticando che tagliare del 50 per cento le risorse in essere significa chiudere esperienze importanti e progetti in corso d'opera tesi a sostenere le fasce più deboli della società; vuol dire chiudere la porta in faccia a chi non è in grado di difendersi da solo ed a chi ha perso ogni tutela, per trasferire tali risorse al servizio civile, creando ulteriori drammi e problemi pesanti da gestire ed anche solo da capire. Anche qui con beneficio d’inventario, poiché del maxiemendamento abbiamo conosciuto il testo solo da qualche ora, sempre per stigmatizzare il valore che riconoscete alle Aule parlamentari. Sembra che un po’ di ragionevolezza si sia raggiunta, visto che la norma sembra cassata dal nuovo testo in esame. Resta però il tema, visto che vi accingete a metter mano alla legge sul volontariato.
Come si fa a chiedere la fiducia dopo il lavoro svolto nelle Commissioni, con un’Aula che attende di trasferire le poche cose ottenute al territorio e vede il risultato del proprio lavoro vanificato, ancora una volta, da un voto di fiducia che non serve ad altro se non a stabilire il primato del Governo e l'inutilità del Parlamento?
Nel merito, mi soffermo su alcune misure eclatanti, la prima delle quali attribuisce al CIPE il ruolo di Sviluppo Italia ed a questa compiti che la fanno apparire una sorta di IRI gonfiato di compiti impropri. Visti i risultati, non vale forse la pena di considerare la possibilità di chiudere Sviluppo Italia e spendere meglio le poche risorse rimaste, dato che indirettamente esprimete un giudizio così negativo?
Come menzione critica cito, per ciò che riguarda almeno le attività produttive e sempre con la riserva di cui sopra, alcuni interventi sappiamo che non sono immediatamente utilizzabili, in quanto ad urgenza: per il potenziamento della rete infrastrutturale e le riqualificazioni urbane, ad esempio, dovrà essere il CIPE ad indicare nello specifico le nuove priorità, mentre è assegnato ad un decreto del Presidente del Consiglio il compito di indicare opere e lavori giudicati indispensabili (si riconosce anche il potere di nominare commissari per sveltire le pratiche), il tutto entro termini che non sono prefissati dall’articolo 5.
Lo stesso vale per gli interventi diretti alla diffusione delle tecnologie digitali e la banda larga (segnalati dall'articolo 7, insieme ai controlli tecnici sui videopoker), per i quali saranno necessari ulteriori atti amministrativi. Esemplare, in questo senso, la riforma degli incentivi per gli investimenti, per i quali bisognerà attivare un finanziamento pubblico agevolato o uno bancario a tasso di mercato. Il CIPE dovrà regolamentare il fondo per il sostegno alle imprese, fissando le modalità di erogazione ed il rimborso del finanziamento, mentre il Ministero delle attività produttive dovrà riscrivere la normativa del settore entro sessanta giorni.
Infine, sono molti gli enti, le strutture ed i comitati che dovrebbero essere creati o potenziati per gestire la svolta competitiva e che gettano ulteriori ombre su questa nuova ondata di burocrazia statalista in campo economico: da quelli per il settore turistico (previsti nell’articolo 2) ai vari comitati per lo sviluppo e l'attrazione delle risorse in Italia che dovrebbero prendere forma nell'ambito del CIPE (articolo 6).
Alla luce di ciò, non sarebbe stato meglio rivedere tale insieme di norme farraginose ed inutilmente burocratiche, magari nelle specifiche Commissioni industria riunite di Camera e Senato? So già che chiediamo troppo e che la spocchia vi impedisce di usare seriamente i passaggi parlamentari.
Quindi, al vostro no dobbiamo rispondere con il nostro voto contrario, come sempre convinto e sicuro, oggi ancor di più, visto che assieme ad alcune parti condivisibili del provvedimento, per le quali abbiamo già espresso apprezzamenti, non troviamo traccia di quel dialogo chiesto primo fra tutti dal Presidente della Repubblica e dagli italiani che oggi vi bocciano nelle urne e nei giudizi.
Ancora, questo provvedimento è deludente anche perché non tocca, se non in modo assolutamente marginale, quasi involontario, quel mondo della piccola impresa e della microimpresa che su di voi e sulle vostre false promesse aveva investito votandovi e che oggi, attraverso le associazioni, vi dice che l'80 per cento delle imprese al Centro-Nord e quasi il 90 per cento al Sud non sono considerate minimamente nel provvedimento.
Oggi vi assumete un’ulteriore pesante responsabilità di fronte al Paese, dimostrando incapacità di reagire e di guidare il Paese fuori dalla stagnazione e dal disagio.
Il nostro non sarà solo un no al provvedimento, ma un vero e proprio voto di sfiducia; così, siete sfiduciati da noi e dagli elettori, ma tanto sarete impegnati nella fondamentale riforma della Costituzione e a risolvere qualche altra bega di qualche maggiorente del Governo.
Fuori di qui i cittadini aspettano l'aumento della busta paga, la diminuzione dei prezzi, il rilancio del nostro sistema imprenditoriale ed un lavoro sicuro per i propri ragazzi. Questo doveva essere il terreno del confronto. Ci avete portati ad un ulteriore decretino, un'altra sorta di legge mancia di cui nessuno onestamente sentiva il bisogno e di cui dovrete rispondere ancora una volta al Paese. (Applausi dal Gruppo DS-U e del senatore Bedin).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Zancan. Ne ha facoltà.
ZANCAN (Verdi-Un). Signor Presidente, signori colleghi, una prima osservazione mi viene proprio d’istinto e, se mi si consente, dal cuore: richiedere l’approvazione, attraverso il voto di fiducia, di un coagulo di norme tecnico-giuridiche di straordinaria complessità, di dimensioni addirittura codicistiche, spaziando dalla procedura civile al diritto fallimentare, ai reati e alle sanzioni fallimentari, fare tutto questo senza un approfondito dibattito parlamentare che considerasse i contributi degli studiosi in materia (professori, avvocati, magistrati) è un atto di straordinaria protervia perché non si tiene affatto conto di ciò che è l’elaborazione su questa materia. È l’ultimo episodio di un metodo che segna il punto più basso della degenerazione parlamentare.
Spiace doverlo dire, ma neppure il regime fascista osò tanto, perché quando ci furono gli interventi codicistici essi circolarono per anni nelle università, ottenendo i pareri dei professori di diritto, circolarono nei Consigli dell’ordine ottenendo i pareri di questi ultimi.
Qui siamo di fronte ad una maggioranza che si sente un legislatore demiurgo, che si muove da sola contro tutti e senza ascoltare nessuno, con una sciatteria tecnico-giuridica per cui verrete bollati non soltanto in via politica, ma anche nelle università italiane, salvo poi cospargervi, signori della maggioranza, il capo di cenere ad ogni sconfitta elettorale.
Vengo al tema che, nel mio giudizio di voto contrario a questa fiducia, mi sono proposto di affrontare più specificatamente nella ristrettezza di un tempo indegno di un dibattito parlamentare. Se, infatti, osservate il numero di norme in materia di diritto, di procedura civile, di diritto fallimentare, di reati fallimentari, presenti in questo testo, noterete che si tratta di una valanga di norme.
Volendo allora affrontare il tema che più mi sta a cuore, ovverosia le modifiche alla fattispecie e al sistema sanzionatorio dei reati fallimentari, dirò che in proposito il maxiemendamento sul quale il Governo ha richiesto la fiducia ha raggiunto - mi rincresce usare questo termine, ma lo dico da tecnico appassionato della materia - livelli di sconcezza assoluta. Voi non passereste neppure l'esame del primo anno d'università, oltre a fare simili sconcezze sul piano morale e politico!
E allora, se debbo esemplificare la definizione che ho dato di questo testo di legge, vi ricordo che si prevede (facciano attenzione i signori colleghi, su un dibattito a conclusione del quale moltissimi voteranno senza neanche essere riusciti a leggere su cosa esprimeranno il "sì" e il "no") che in materia di bancarotta verranno sanzionate le condotte contemporanee allo stato di insolvenza o al concreto pericolo del medesimo. Il che sta a significare che quella dell'imprenditore che ruba quando la società è in bonis, ovverosia due anni prima, portando avanti quell'attività di erosione che darà poi luogo allo stato di insolvenza o al pericolo concreto di insolvenza, quella di chi ruba e porta a casa, dando poi luogo col tempo alla situazione di insolvenza, è una condotta assolutamente impunita.
Secondo: non vi è nessuna distinzione fra i reati commessi dagli amministratori delle società non quotate in borsa e da quelli delle società quotate in borsa. Io avevo sostenuto, l'opposizione aveva sostenuto, un netto discrimine, una differenza di sostanza fra i reati commessi nelle società quotate in borsa e quelli commessi nelle società comuni.
Si era detto che l'attuale previsione sanzionatoria del codice, da tre a dieci anni, era appena sufficiente per le società quotate in borsa; anzi, si era proposto un aumento di quella sanzione, onde evitare che i casi Parmalat rimangano nella sostanza impuniti. Io non riesco a capire come facciate a girare per strada! Non riesco a capire come facciate a guardarvi allo specchio! Non lo riesco a capire! L'abbiamo detto in tutte le salse: eravate tutti d'accordo, tutti d'accordo, signori della maggioranza! Il Sottosegretario che ha seguito i lavori della Commissione giustizia aveva detto: distinguiamo fra queste due fattispecie. Ebbene, esse sono scomparse dal testo che dobbiamo approvare.
Pensate - è la terza osservazione - che la bancarotta documentale è sanzionata soltanto nel caso in cui dia luogo all'impossibilità della ricostruzione del patrimonio. Ma come si fa ad introdurre in termini giuridici il concetto di impossibilità? Per favore! Quando mai sarà dimostrata l'impossibilità di ricostruzione? Qui voi fate l'elogio della non trasparenza degli atti societari, perché se punite soltanto ciò che dà luogo all'impossibilità di ricostruzione della società, comprendete come qualsiasi fumosità, qualsiasi nascondimento, qualsiasi travisamento sarà sempre suscettibile di un giudizio di possibilità, o comunque di ricostruzione a posteriori.
Infine - ed è l'osservazione più importante sotto il profilo morale e giuridico - avete utilizzato una indecente mitezza per questi reati. Io ho conosciuto persone che si sono impiccate, vittime di un fallimento! E voi vi permettete di dire che è un fatto lieve questo reato che aggredisce la collettività, questo reato che veramente crea dei danni enormi alla collettività, e realizzate tutto ciò attraverso delle soluzioni tecniche che sono deprecabili dal punto di vista di una minimale tecnica giuridica. Dire che la sanzione massima sarà sei anni, dire che la pena accessoria dell'interdizione sarà quella temporanea, significa che chi fa bancarotta fraudolenta dopo un anno potrà riprendere a gestire una società.
Ma vi rendete conto di quale pericolosità sociale sia insita in queste norme?
Dopo gli evasori fiscali, dopo gli inquinatori, dopo chi costruisce illegittimamente e deturpa il territorio nazionale, dopo tutte queste categorie di persone, che vi ringraziano e dicono "abbiamo fatto tombola!", ora fanno tombola i bancarottieri. E se fanno tombola loro, state tranquilli che il mio no è fermo e netto. (Applausi dai Gruppi Verdi-Un, DS-U e del senatore Vallone).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Passigli. Ne ha facoltà.
*PASSIGLI (DS-U). Signor Presidente, onorevoli senatori, è indubbio che di misure per rilanciare la competitività del nostro Paese vi fosse e vi sia estremo bisogno; ma è altrettanto indubbio che questo decreto sia una misura inadeguata allo scopo. Lo stesso strumento adottato, quello del decreto-legge, se si voleva ricercare una qualche forma di collaborazione con l'opposizione, appare incongruo e persino offensivo. Così come incongrua e offensiva è stata la decisione di porre la questione di fiducia; contraddittoria con lo scopo perseguito, sempre che esso fosse quello di giungere insieme all’opposizione ad una serie di misure destinate a portare rimedio ai seri guasti causati al nostro sistema economico dalla politica economica di questi ultimi anni.
Dicevo che sulla necessità di un provvedimento non vi può essere dubbio, ma aggiungevo che il maxiemendamento del Governo non affronta adeguatamente la grave situazione della nostra economia. Contrariamente alle affermazioni del Presidente del Consiglio, l'Italia versa infatti in condizioni ben più critiche di quelle delle altre economie europee. Il nostro tasso di crescita è la metà di quello europeo e un quarto di quello americano; il nostro debito è secondo solo a quello della Grecia ed è di almeno il 50 per cento superiore a quello di Francia, Germania e Spagna; l'andamento del nostro avanzo primario impedisce di credere alla folle promessa del Premier di ridurre il nostro debito (entro un anno, come ha ingenuamente espresso nella trasmissione televisiva "Ballarò", o entro tre anni, come afferma più prudentemente il ministro dell'economia Siniscalco) sotto il 100 per cento del PIL.
Si aggiunga che la nostra quota di interscambio mondiale è drasticamente calata negli ultimi anni ed è oggi al 2,9 per cento, e che persino le cifre del Governo sull'occupazione - altro punto di forza nei messaggi televisivi della maggioranza - appaiono fuorvianti. La regolarizzazione di 700.000 extracomunitari, dei quali la metà badanti, ha contribuito con circa il 3 per cento all’incremento della forza lavoro, ma si trattava di posti di lavoro già esistenti e non di un incremento reale. Inoltre, nel 2004 l'occupazione al Nord è modestamente aumentata, ma al Sud è diminuita di 92.000 unità, pari allo 0,4 per cento del totale della forza lavoro. Anche sul fronte dell'occupazione dunque vi sono ombre e non solo le luci indicate dalla maggioranza.
Infine, non abbiamo una politica industriale, specie nei settori più avanzati, come ben esemplificano, da un lato, la nostra assenza, o meglio, la nostra presenza limitata al 4 per cento, nella costruzione dell'Airbus; e dall'altro, gli inutili e deserti capannoni costruiti nel Nord-Est con le provvidenze a pioggia della Tremonti-bis.
Ma il migliore esempio del ritardo del nostro Paese e del suo progressivo declino - e qui non si tratta di indulgere a catastrofismi, ma di radiografare una situazione per adottare le misure giuste per un rilancio della nostra economia, senza falsi e stupidi ottimismi - ci viene dagli indici comparativi elaborati in sede internazionale. Ebbene, il World Economic Forum di Davos, sicuramente non sospetto di essere partigiano, colloca l'Italia al quarantasettesimo posto nel 2004, con un arretramento di sei posizioni rispetto al 2003. L'Institute for Management Development di Ginevra, autore di un’altra graduatoria ben nota, ci situa al cinquantunesimo posto, dieci posizioni più indietro rispetto all'anno precedente.
E se andiamo al settore dell’innovazione tecnologica, quella cui doveva presiedere un Ministro che si è limitato, invece, alla sola informatizzazione della pubblica amministrazione, e anche lì con modesto impatto sulla situazione, vediamo l’Italia scivolare di 17 posizioni, attestandosi al quarantacinquesimo posto.
Ebbene, questo decreto è la misura con cui il Governo risponde a questo stato di grave crisi. Ma questo decreto è l’ennesima occasione perduta: sposta risorse dall’incentivazione del sistema produttivo alle grandi infrastrutture che - ancorché utili, anzi indispensabili per la competitività - rimangono nel nostro caso spesso sulla carta e sono concentrate al Nord, e sono spesso già obsolete: basterebbe un confronto tra il sistema dell’alta velocità ferroviaria francese e il sistema italiano per dimostrarlo.
Questo decreto, inoltre, cedendo ancora una volta a pressioni corporative, rinuncia a modernizzare la disciplina degli ordini professionali; e non sostiene adeguatamente la ricerca, discriminando quella di fonte privata, ma al tempo stesso reintroducendo contributi per le università non statali, malgrado esse siano spesso atenei di secondo livello e di scarsissima rilevanza per il nostro sistema produttivo.
Si prenda, ad esempio, la formazione a distanza che può essere sviluppata solo da atenei importanti, dotati già di risorse adeguate, e che, invece, questo decreto sembra suggerire possa essere fatta anche da piccoli atenei privati, piccoli istituti in taluni casi nati ad hoc e non diversi da un’impresa che operi nel settore. Questo decreto abbandona insomma ogni reale supporto all’innovazione tecnologica e ogni tentativo di formare un adeguato capitale umano, tradendo lo spirito di Lisbona, tutto teso alla creazione di una società e di una economia della conoscenza. In conclusione, è un decreto che non ci sembra adeguato alla gravità del male.
Vi sono poi gli aspetti gravissimi, ricordati or ora dal senatore Zancan: il decreto concede - in palese violazione del principio dell’omogeneità delle materie oggetto di decreto - una delega di dubbia costituzionalità al Governo per legiferare in materia di processo civile. Si dà così una delega per decreto rompendo una prassi costituzionale consolidata. Inoltre, il Governo ha introdotto norme che il senatore Zancan ha definito "sconcezze", norme che modificano l’attuale regime di sanzioni in materia di reati fallimentari, andando contro corrente rispetto a quanto si fa negli altri Paesi. Basti in proposito ricordare la recente legislazione statunitense in materia, di quegli Stati Uniti che la maggioranza dichiara di amare e di ammirare e che poi, invece, dimentica quando si tratterebbe di seguirne l’esempio, come in materia di regime fallimentare e di reati degli amministratori di società quotate e non quotate. Concordo, insomma, pienamente con le osservazioni del senatore Zancan.
Ma vi è di più: l’Associazione nazionale magistrati - so che il solo nominarla è anatema per la maggioranza - mostra grande preoccupazione per le norme introdotte sul giudizio di Cassazione che, cito testualmente, "provocheranno un ulteriore incremento del contenzioso e la conseguente dilatazione dei tempi dei processi, compromettendo così l’attuazione del principio della ragionevole durata del processo sancito dalla Costituzione".
Si ha spesso l’impressione, colleghi della maggioranza, che le norme che il Governo e che voi introducete nella nostra legislazione siano studiate per ritardare il processo civile e quello penale, e non per facilitarlo, tale e tanta è la loro imperizia tecnica.
Concludo con una notazione politica, come si conviene ad un dibattito sulla fiducia cui ci richiamava il Presidente: il Governo ha chiesto la collaborazione dell’opposizione per fronteggiare insieme l’emergenza economica, e una "leale opposizione di sua maestà" questa collaborazione dovrebbe dare in una situazione di tale gravità: ma come si può procedere per decreto, varare un maxiemendamento, apporvi la fiducia eliminando così la possibilità di qualsiasi modifica al testo, e poi attendersi consenso su misure palesemente inadeguate?
In queste condizioni, più che di un maxiemendamento, signor Presidente e colleghi, potremmo dire di essere in presenza di un maxifallimento.
Mi auguro che alcune di queste norme possano portare beneficio alla situazione sempre più grave del nostro sistema economico, ma credo che il solo beneficio che possa attendersi il nostro sistema economico sarebbe quello di una rapida fine della legislatura, di questo Governo e di questa maggioranza. (Applausi dal Gruppo DS-U).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Donati. Ne ha facoltà.
DONATI (Verdi-Un). Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevole relatore, onorevoli colleghe e colleghi, il testo sul quale il Governo chiede la fiducia in Parlamento contiene peggioramenti significativi delle regole che tutelano l'ambiente, il paesaggio e delle norme in materia di appalto e di concorrenza.
Sto parlando, ovviamente, di grandi opere, del fatto che i commissari straordinari, previsti all'articolo 5 del decreto sulla competitività, non dovranno più rispettare le norme di salvaguardia previste dal comma 4-bis dell'articolo 13 del decreto cosiddetto sblocca-cantieri, cioè quella parte riguardante la tutela del paesaggio, dell'ambiente, del patrimonio storico, monumentale, nonché del rispetto delle norme in materia di appalti, lavori e forniture.
Questa norma di tutela viene soppressa per essere sostituita da una blanda richiesta di parere che il commissario può rivolgere agli enti preposti che, se non rispondono entro 30 giorni, farà scatterà il principio del silenzio-assenso per cui si procederà comunque nell'esecuzione dell'opera; infine, si prevede la possibilità da parte del Consiglio dei ministri di dichiarare lo stato di emergenza per realizzare in ogni caso l'infrastruttura strategica.
Il Governo, quindi, persiste nella politica sbagliata delle grandi opere fatte a spese dell'ambiente, di regole trasparenti in materia di appalti e provocando un enorme indebitamento pubblico.
Voglio ricordare che già ad oggi sono state approvate opere strategiche per 51 miliardi di euro, di cui 30 miliardi non sono coperti da alcun provvedimento. Quindi, non sono i problemi ambientali o i limiti di tutela del nostro patrimonio i vincoli che frenano le grandi opere strategiche promesse dal Governo Berlusconi, ma l'eccesso di promesse rispetto all'utilità e alla disponibilità effettiva delle risorse.
Con un intervento intelligente, che nel decreto e in questo nuovo testo non c'è, si sarebbe dovuta porre in essere l'operazione opposta: individuare poche ed utili opere strategiche, fare buoni progetti di qualità nel rispetto dell'ambiente e su queste concentrare le poche risorse disponibili, abbandonando devastanti e soprattutto inutili progetti come il ponte sullo Stretto di Messina, che già vacilla abbondantemente.
Il secondo argomento che vorrei toccare è che all'interno di questo maxiemendamento è stata inserita una norma di regolamentazione sugli arbitrati che modifica alla radice la legge Merloni su questa materia. Sottolineo la gravità di questo inserimento, perché erano già stati fatti due tentativi in due differenti decreti-legge di normarla senza il parere della Commissione competente, che erano stati rifiutati dall'Aula del Senato. Adesso, invece, si procede, senza rispetto del lavoro parlamentare.
La norma proposta cancella di fatto la camera arbitrale, dato che diventa facoltativo il ricorso ad essa e solo in caso di mancato accordo tra le parti in contenzioso. Si tratta di un'altra forzatura che riduce la possibilità di moralizzare e rendere trasparente il settore delle opere pubbliche, dato che viene a mancare la possibilità di individuare un arbitro terzo a garanzia di tutti e nell'interesse pubblico.
Non dimentichiamo che stiamo parlando di contenziosi negli appalti pubblici tra soggetti privati e pubblici e che, in passato, tante inchieste avevano dimostrato come questo fosse un punto nevralgico di degenerazione del sistema. È vero, è stata introdotta una piccola correzione in ordine agli aspetti tariffari, ma resta un sistema in cui le parti si mettono d'accordo e la camera arbitrale, quindi un elenco pubblico e trasparente di soggetti nominati dall'autorità, diventa facoltativa.
Si tratta di una norma sbagliata: avevamo proposto, con un ragionamento di merito molto accurato, soluzioni diverse, che tenessero anche conto della sentenza della Corte costituzionale, in cui, è vero, era prevista la libertà delle parti, ma è anche vero che l’interesse pubblico deve prevalere.
Concludo sottolineando che, nonostante i fallimenti, le paralisi e gli insuccessi elettorali del Governo Berlusconi, nessuna saggia correzione viene proposta su opere strategiche e tutela dell’ambiente. Sembra proprio - lasciatemelo dire - un Governo all’ultima spiaggia, una di quelle spiagge che il vice presidente del Consiglio, Tremonti, vuole vendere per fare cassa. (Applausi dal Gruppo Verdi-Un).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Rotondo. Ne ha facoltà.
ROTONDO (DS-U). Signor Presidente, signor Vice Ministro, il maxiemendamento del Governo lascia invariati i commi 8, 9 e 10 dell'articolo 11, i quali si occupano della reindustrializzazione e del rilancio delle aree in crisi.
Per venire a capo delle tante emergenze industriali che affliggono il Paese, il Governo prevede di spendere 250 milioni in quattro anni: 50 milioni di euro nel 2005, altrettanti nel 2006, 85 milioni nel 2007 e 65 milioni nel 2008. Si tratta di somme che vengono finanziate con la solita partita di giro, attingendo a piene mani al FAS, il Fondo per le aree sottoutilizzate, nel quale confluiscono gli stanziamenti di una serie di leggi di sviluppo a favore delle aree in crisi (dalla legge n. 488 del 1992 a quella sui crediti di imposta, all'occupazione, a quella sui crediti d'imposta per gli investimenti).
Basta scorrere le cronache di tutti i giorni, e in particolare quelle che riguardano il Meridione per rendersi conto di quanto sia inadeguato e insufficiente questo tipo di approccio. Se la tanto sbandierata svolta a favore del Mezzogiorno, delle imprese e delle famiglie (sì anche delle famiglie, signor Vice Ministro, perché al Sud il primo e più pressante bisogno delle famiglie è il lavoro per i figli), se - dicevo - la tanto sbandierata svolta è tutta qui, non c'è niente di nuovo sotto il sole. Siamo davanti al solito specchietto per le allodole, pratica nella quale questo Governo si esercita da quattro anni, ma alla quale i cittadini e gli elettori abboccano sempre meno.
Se si voleva dare un segnale di novità e di attenzione, quello delle emergenze industriali era un passaggio obbligato, perché sulle macerie non si costruisce niente di duraturo.
L'elenco delle situazioni di crisi si allunga ogni giorno di più. L'ultimo rapporto della CISL sull'industria ci dice che, tra febbraio 2004 e febbraio 2005, i posti di lavoro a rischio nell’industria sono aumentati da 137.000 a 193.000.
Nel suo discorso di ieri l'altro per il 1° maggio, il Presidente della Repubblica ci ha ricordato che il numero dei "disoccupati scoraggiati", di coloro i quali non si presentano neppure sul mercato del lavoro perché hanno perso la speranza di trovare un'occupazione, è nel Mezzogiorno in preoccupante aumento.
Molte Regioni meridionali sono alle prese con un duplice fenomeno negativo: il nuovo non decolla e quel poco che c'è rischia di franare in malo modo. Valga per tutte l'esempio della Sicilia. Qui, da un lato, abbiamo assistito al capolavoro dell'ex ministro dell’economia e delle finanze, Tremonti, oggi promosso vice presidente del Consiglio, che, con la sua improvvida decisione di bloccare gli incentivi automatici al lavoro, introdotti dai Governi di centro-sinistra con la legge n. 388 del 2000, ha provocato, come ha denunziato la Confìndustria siciliana, il crollo del promettente ciclo di investimenti nazionali e internazionali, che si era messo in moto nei primi anni del 2000. Dall’altro lato, abbiamo assistito alla scandalosa inerzia del Governo nel preservare le poche oasi industriali esistenti: si pensi alle difficoltà in cui si dibattono il polo meccanico di Termini Imerese e quello chimico di Siracusa.
Alla luce di queste analisi, da me qui sommariamente riassunte, avevo presentato un emendamento, purtroppo ora decaduto per effetto del voto di fiducia, ai commi 9 e 10 dell'articolo 11 del decreto.
In questo emendamento proponevo di elevare il contributo straordinario destinato a finanziare gli interventi di reindustrializzazione e di promozione industriale da 250 a 800 milioni di euro, nonché di vincolare una parte di questi fondi agli accordi di programma che, come nel caso della chimica di Siracusa, interessavano ex poli meridionali di sviluppo.
Non credo siano necessari lunghi discorsi per argomentare che con 250 milioni in quattro anni è veramente molto problematico fare politica di reindustrializzazione. Al massimo, signor Ministro, si può fare azione di tamponamento, si può tentare di mettere una pezza a questa o a quella falla.
C'è un precedente - l’accordo di programma sulla chimica sarda - che ci dovrebbe far riflettere tutti, a cominciare dal Governo, che di quell'accordo è il primo firmatario. Se solo per chiudere la partita sarda il Tesoro ha dovuto mettere a disposizione 150 milioni di euro, come possiamo pensare, oggi, di reindustrializzare il resto delle aree in crisi con appena 250 milioni di euro in quattro anni? Prevedere uno stanziamento di almeno 800 milioni mi sembrava, e mi sembra, il minimo che si possa fare, se si vuole evitare la solita guerra tra poveri.
L'altra questione cruciale è quella di impedire che sia definitivamente travolto quel poco di industria che c'è già. Il quadro è particolarmente pesante nel caso degli ex poli meridionali di sviluppo, la cui crisi è più dirompente che altrove, perché finisce per colpire non singole imprese ma interi territori, e alla cui origine ci sono errate scelte politiche che è urgente modificare.
A tale riguardo, mi sembra paradigmatico quanto sta avvenendo nel polo chimico di Siracusa. Per quarant'anni l'economia della Provincia di Siracusa ha avuto come elemento fondamentale la chimica e, grazie alla chimica, ha occupato a lungo i primi posti nelle classifiche del reddito pro capite fra le Province meridionali e ha avuto tassi di disoccupazione nettamente più contenuti di quelli del resto del Mezzogiorno.
Poi, a cavallo del 2000, con l'annuncio dell’ENI di abbandonare la chimica, cui ha fatto seguito la fermata di alcune lavorazioni, lo scenario si è completamente capovolto. Siracusa, anno dopo anno, è sprofondata nelle classifiche del reddito e nelle statistiche sull'occupazione, fino ad arrivare al crollo dell'anno scorso, quando solo nell'industria e nell'edilizia sono stati perduti 11.000 posti di lavoro e il tasso di occupazione è precipitato sotto la media siciliana.
La comunità reagì a quell'annuncio e a quelle decisioni rivendicando un accordo di programma sulla chimica, così come era stato fatto a Marghera e in Sardegna. Ma per costringere l'ENI a sedersi attorno a un tavolo di trattativa furono necessarie pressioni a non finire. Solo l'anno scorso di questi tempi, dopo una serie di manifestazioni piuttosto aspre, fu avviato un tavolo di confronto a Palazzo Chigi, sotto l'egida del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta. A un anno di distanza, però, quel negoziato non è mai concretamente decollato, perché il Governo non ha mai fatto realmente niente per mettere in riga l'ENI e perché non aveva nessuna voglia di tirare fuori i soldi necessari a concludere l'accordo.
Ormai il management dell’ENI viene giudicato dal suo azionista di riferimento, il Tesoro, solo sulla base dei dividendi che assicura a fine anno al bilancio dello Stato e degli incrementi di valore che le sue azioni registrano in Borsa. In questo clima, l'idea che l'ENI possa abbandonare, insalutato ospite, la Provincia di Siracusa, senza aver fatto prima doverosamente fronte a tutte le pendenze industriali, sociali e ambientali ancora da sistemare, non ha avuto finora all'interno del Governo molti oppositori.
Proprio in queste ore nel polo chimico di Siracusa sono in corso assemblee di fabbrica e stamani c’è stato un breve blocco stradale da parte dei lavoratori. Il clima, signor Presidente, è di forte esasperazione e di grande tensione. I lavoratori vogliono che la trattativa sull'accordo di programma sulla chimica si chiuda presto e bene. Minacciano, in caso contrario, di ricorrere a forme di lotta con pochi precedenti nella storia sindacale dell'area: si parla addirittura di "fermata a freddo" degli impianti.
È dovere del Governo fare il possibile e l’impossibile per rasserenare gli animi e scongiurare una simile prospettiva. Il sottosegretario Letta ha i poteri per rimettere in moto il tavolo di Palazzo Chigi e l’autorevolezza per indurre l’ENI a comportamenti più costruttivi: si avvalga degli uni e dell’altra per imprimere una svolta alle trattative. (Applausi dal Gruppo DS-U).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Borea. Ne ha facoltà.
BOREA (UDC). Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, prendo lo spunto dall’ultimo, accorato appello del collega Rotondo per il polo chimico di Siracusa, per il mantenimento del quale addirittura si ricorre al blocco stradale, per ricordare il recentissimo intervento della collega Donati sul peggioramento significativo che questo Governo attuerebbe con la realizzazione di grandi opere.
Su questo decreto-legge, che da più parti è considerato omnibus,si sollevano più voci contraddittorie e contrastanti anche nell’ambito dell’opposizione, che non perde occasione per censurare le iniziative di questo Governo e di questa maggioranza tese ad uno snellimento delle procedure per più branche e in più materie per il recupero della competitività delle nostre imprese e dei nostri apparati, per fare un passo ulteriore nei confronti dei Paesi membri dell’Unione Europea.
Venendo a questo decreto-legge che sta scadendo, onorevoli colleghi, non bisogna gridare allo scandalo se il Governo è costretto a porre la fiducia, perché nel frattempo c’è stata una crisi di Governo, risolta con il Governo Berlusconi-bis, che ha aperto una crisi istituzionale che ha fatto sì che la Commissione bilancio fosse indotta a stralciare parti significative di questo provvedimento che non potevano essere approvate dal Parlamento in un momento in cui il Governo si presentava dimissionario.
Pertanto, la fiducia è giustificata anche dall'atteggiamento contraddittorio delle forze di opposizione, che hanno ritenuto comunque di bloccare questo decreto-legge con la presentazione di oltre 1.300 emendamenti.
Allora, non si gridi allo scandalo se, in questa sede, noi parlamentari siamo costretti ad utilizzare uno strumento come quello del decreto-legge per inserire parti significative di un lavoro elaborato dalle Commissioni di merito in più mesi di serio, e direi serrato, confronto con le forze dell’opposizione.
Per quanto riguarda segnatamente la mia competenza specifica di vice presidente della Commissione giustizia del Senato, devo dire che abbiamo colto l’occasione di questo decreto-legge per inserire riforme significative e sostanziali, elaborate addirittura in sede di Comitato ristretto. In proposito, richiamo emendamenti significativi, che portano la firma non solo di esponenti della maggioranza, ma addirittura di colleghi dell’opposizione, in materia di riforma della procedura civile, di riforma del fallimento, di riforma della bancarotta e quindi delle sanzioni penali connesse al fallimento.
Allora, non si gridi allo scandalo, signor Presidente. Il maxiemendamento presentato dal Governo recepisce ed accoglie le istanze unanimi nate all’interno della Commissione bilancio, che ha approvato gli emendamenti proposti da molti colleghi della maggioranza, ma - devo dire - anche da diversi colleghi dell’opposizione, che tendono a snellire i tempi della giustizia nel settore civile, ottemperando così ai richiami ricorrenti e fermi della Corte di giustizia europea sulla ragionevole durata del processo.
Nel corso dell’esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge sulla competitività, viene recepito dalla Commissione bilancio il maxiemendamento presentato dal Governo, che a sua volta recepisce, signor Presidente, l’elaborazione di mesi di discussione svolta in seno alla Commissione giustizia del Senato della Repubblica in merito a riforme passate attraverso il Comitato ristretto che riguardano la procedura civile, il fallimento, la bancarotta.
Leggo le agenzie che riportano commenti dei colleghi dell’opposizione che, ovviamente, non perdono occasione per speculare su ogni iniziativa di questa maggioranza: sul tema della bancarotta si grida allo scandalo, riportando le censure feroci provenienti dall’Associazione nazionale magistrati, ed in particolare della corrente di Magistratura democratica, che enfatizza come una iattura la riduzione sostanziale delle pene da dieci a quattro anni per la bancarotta. (Richiami del Presidente). Signor Presidente, mi avvio a concludere il mio intervento, ma mi faccia completare la mia esposizione.
Vorrei ricordare al collega Calvi, che mi ascolta e pratica quotidianamente la professione forense nelle aule di giustizia, come paradossalmente questa riforma ponga un istituto in linea con gli ordinamenti degli Stati membri dell’Unione. L’ipotesi della bancarotta fraudolenta, infatti, secondo la disposizione del codice vigente, era punita con la reclusione da tre a dieci anni, mentre la bancarotta semplice con la reclusione da sei mesi a due anni.
Aver ridotto la pena relativa all’ipotesi di bancarotta semplice, fissandola da un anno a quattro mesi, ed aver fissato la pena relativa all’ipotesi di bancarotta fraudolenta portandola da due a sei anni, mi sembra equivalga ad un allineamento delle sanzioni (non solo delle disposizioni) e delle fattispecie del nostro ordinamento penale a quelle dell’ordinamento europeo.
Questo è un decreto-legge che segna una svolta nell’azione del Governo in grandi settori non solo dell’impresa e dell’economia, ma anche della giustizia. Bisogna cogliere gli aspetti positivi che il decreto-legge al nostro esame introduce, signor Presidente e signori rappresentanti del Governo, perché essi sono il frutto di una meditata riflessione delle Commissioni competenti, che su questi temi hanno dibattuto per molti mesi, non la frettolosa idea che un Governo bizzarro, con la riedizione di un Berlusconi-bis, intende introdurre per sanare non so quali settori della finanza pubblica.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Brutti Paolo. Ne ha facoltà.
BRUTTI Paolo (DS-U). Signor Presidente, ho chiesto d'intervenire per cercare di interloquire brevemente con il rappresentante del Governo e con il relatore su un punto soltanto del provvedimento in esame, forse neanche il più importante, ma che probabilmente dà l’idea di come si stia procedendo in questa fase.
Mi riferisco al comma 16-sexies dell’articolo 5 del maxiemendamento, con il quale viene introdotta una nuova normativa relativa ai giudizi arbitrali. Rammento succintamente che di recente il Senato si è occupato di questa normativa per due volte, che essa era stata introdotta in due disegni di legge concernenti tutt’altra materia (ne ricordo precisamente uno, che riguardava la ricerca scientifica e l’università) e che per due volte il Senato ha pensato che non si potesse giungere ad una conclusione su materia talmente specialistica ed ultronea rispetto ai testi in discussione senza un approfondito esame. Una discussione si era innestata in occasione dell’esame in 1a Commissione di un terzo disegno di legge in materia di enti locali; d’improvviso - mentre erano stati presentati emendamenti e si era avviata una prima discussione - il testo presentato dal Governo in relazione a quel disegno di legge è stato inserito nel decreto-legge sul quale è stata posta la fiducia.
Pertanto, ancora una volta questa materia viene deliberata senza discussione. Per due volte l’abbiamo respinta, ora pare che non sia più possibile. Ma questa volta, oltre a tale argomento di carattere formale e istituzionale, vi è pure un problema di merito, perché, se si guarda a cosa realmente si cerca di ottenere con questo testo, si nota che vengono introdotte due diverse discipline dei giudizi arbitrali. Una disciplina segue le norme del codice di procedura civile e riguarda gli arbitrati per i quali le parti siano d’accordo nell’individuazione sia del primo sia del secondo e del terzo arbitro; una seconda riguarda, invece, il caso del mancato accordo per la nomina del terzo arbitro. Quando manchi l’accordo, la norma stabilisce che provvede alla nomina del terzo arbitro "la Camera Arbitrale, scegliendolo nell’albo previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica del 21 dicembre 1999, n. 554".
La cosa non funziona già di per sé perché si prevedono due diverse procedure per una stessa tipologia - l’arbitrato - che possono determinare gravi contraddizioni. E non funziona anche perché probabilmente lo scopo che si voleva raggiungere era che per gli arbitrati liberalizzati non valessero i tariffari pubblici che valgono, invece, per gli altri.
Infatti, se si legge con attenzione il testo, si rileva che il citato comma 16-sexies stabilisce che il comma 2 dell’articolo 32 della legge n. 109 del 1994, cioè la legge Merloni "è sostituito dai seguenti". Ebbene, nel comma 2 dell’articolo 32 della legge Merloni è istituita la Camera arbitrale; quindi, la sostituzione di tale comma con quelli proposti con il maxiemendamento significa sopprimere la Camera arbitrale prevista dalla legge Merloni senza istituirla nuovamente.
Siamo dunque di fronte ad una normativa assolutamente zoppicante sotto tutti i profili: si tenta di costruire un doppio regime, ma il regime della Camera arbitrale, cui fa riferimento il comma 2-ter di cui al comma 16-sexies dell’articolo 5, non esiste perché essa viene soppressa con la sostituzione di detto comma.
Pertanto, per i motivi indicati, di insussistenza completa della norma, pregherei di ritirare la parte del maxiemendamento relativa al punto 16-sexies e di ridiscuterla in un altro momento, correggendo i gravi errori che contiene.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Cavallaro. Ne ha facoltà.
CAVALLARO (Mar-DL-U). Signor Presidente, onorevole Sottosegretario, colleghi, siamo qui a commentare sulla conversione di questo decreto-legge, su cui, fra l'altro, il Governo ha posto la questione di fiducia; un pessimo esordio di quello che oramai si rivela un nuovo Governo soltanto attraverso l'uso delle classiche virgolette giornalistiche. In realtà, questo Governo è certamente non solo peggiore nel contenuto fisico rispetto a quello precedente, ma lo è anche nell'incertezza e nelle contraddizioni con le quali, per il primo vero esordio parlamentare, si propone alle Camere. Tali e tante sono le modifiche al decreto-legge che, prima di porre la questione di fiducia, in realtà con una irresolutezza su tutto, il Governo ha disposto.
Intanto, è certamente vero che l'aria del Senato per l'UDC è più rarefatta di quella della Camera, e quindi nelle parole del senatore Borea non riecheggiano i toni dell'onorevole Follini. Certo è che tutt'altro che chiara e nitida è la posizione del Governo e tutt'altro che responsabilità vi possono essere da parte dell'opposizione, la quale si è limitata a proporre, su un testo di disparate disposizioni, che hanno, peraltro, quasi tutte effetti indiretti sulla questione della competitività, una serie di puntuali rilievi di merito, che il Governo non ha ritenuto, non ha saputo, non ha potuto, non ha voluto affrontare, ponendo, da ultimo, la questione di fiducia.
Resta il fatto che, intanto, questo strumento parlamentare era prima, con il precedente Governo, ed è ora sotto il breve - oramai ci auguriamo - imperio di questo Governo, del tutto incongruo rispetto al tema, che sarebbe quello della competitività delle imprese e del sistema paese rispetto all'Europa ed all'economia globalizzata. E particolarmente lo è la materia di cui indegnamente io mi occupo, in particolare in Parlamento, e cioè quella della giustizia.
È chiaro, infatti, che anche un sistema giustizia efficiente ed efficace contribuisce alla qualità della competitività di un Paese, ma è altrettanto chiaro che questa competitività dipende proprio dalla capacità di un sistema paese di creare un sistema di giustizia condiviso. E tutti i grandi sistemi giuridici continentali e di common law hanno proprio questa particolarità, cioè che la giurisdizione e le regole attraverso cui essa viene esercitata sono condivise ed elaborate attraverso impegni parlamentari e non certo attraverso colpi di mano suggellati dalla questione di fiducia.
Dobbiamo ricominciare a discutere di diritti, di garanzie, di uguaglianza e di sicurezza, perché questi sono i grandi temi nei quali, fra l'altro, si sta già evolvendo, dalla semplice dimensione nazionale alla dimensione europea ed internazionale, lo scenario, lo sfondo dei grandi sistemi giuridici europei. E qui certamente non siamo in questa condizione, ma anzi siamo all'improvvisazione dell'ultimo momento.
Della procedura parlamentare, direi addirittura inaccettabile, si è già detto. Ma soprattutto noi cominciamo ad essere timorosi di fare la figura di coloro che, gridando "al lupo", scoprono che non c'è mai fine al peggio. Già temevamo che si ponessero rilevanti questioni di delega all'interno di un decreto-legge, ora ci dobbiamo preoccupare del fatto che si pongono rilevanti questioni di delega all'interno di un decreto-legge per la cui conversione si presenta alla fine il solito maxiemendamento, sul quale si pone la solita questione di fiducia. Cioè, di fatto, il Governo dichiara qui di avere la fiducia di se stesso, e questo credo sia il minimo che una Repubblica parlamentare debba consentirsi.
Ci troviamo sostanzialmente di fronte ad una sorta di sperimentazione di tecniche parlamentari sempre più degradate e anche qui, invece di dare anche nella procedura parlamentare un segno di innovazione, ma nel rispetto sostanziale della nostra Costituzione, ci si avvia verso un declino dell'istituto parlamentare, il quale, senza nessuna affezione, senza nessun impegno, senza nessuna tensione morale, viene dichiarato in maniera stanca, in maniera inefficace, inadeguato a svolgere quello che invece sarebbe il suo alto, profondo, serio ruolo, anche e soprattutto di fronte alle difficoltà del Paese.
Quindi, non solo non servono, ma cadono nel nulla gli appelli che sono stati lanciati, peraltro alquanto confusamente, ad una improbabile unità di intenti con le opposizioni o ad un loro impegno, che non ci può essere, perché si sceglie l'unica strada per cui queste non possono continuare, come pure vorrebbero, a collaborare.
La materia generale del decreto sulla competitività era già povera e irrilevante, scarsamente assistita da iniziative finanziarie adeguate. Vi erano alcune norme manifesto, a mio giudizio, già inadatte. Cito soltanto l'Alto commissario per la contraffazione (esistono norme del codice penale, la polizia, la repressione, altre forme di aggancio della tematica sui versanti europei) oppure la risibile sanzione amministrativa, neointrodotta, che sostituirebbe una sorta di reato di incauto acquisto con una specie di sanzione per il cosiddetto, mi permetto di definirlo così, "vu cumpraggio", perché solo la qualificazione soggettiva del venditore consentirebbe di individuare prognosticamente chi vende queste patacche. Tra l'altro, non è questo il tema che garantisce la competitività alle nostre imprese.
La materia giuridica e processuale non è stata trattata quasi mai per decreto-legge e certamente meno ancora ponendo su di essa la questione di fiducia, salvo questioni contingenti eccezionali, come nel caso dell'adeguamento all'ordinamento europeo.
Ciò è tanto più grave perché ci sono decine di commissioni, espressione della maggioranza, che dovevano lavorare, si diceva fin dall'inizio della legislatura, per produrre questi codici giustinianei, e che tutte insieme, quella Nordio, quella Trevisanato, quella Vaccarella, quella più recente sulla riforma del processo penale, non solo non hanno prodotto una montagna, ma neanche partorito un topolino. Partoriscono invece queste raffazzonate e strane norme che vengono introdotte per decreto, del cui merito non possiamo neanche occuparci, perché è inutile. È un commento quasi giornalistico e socio-politico più che istituzionale, perché le nostre riflessioni non avrebbero pregio.
Va ribadito, al contrario di quanto dichiarato dall'onorevole Borea, che non vi è mai stato su questi temi alcun atteggiamento ostruzionistico dell'opposizione, che invece, questo non lo neghiamo, ha incautamente, forse ingenuamente, più volte collaborato in Parlamento, partecipando a comitati ristretti, concedendo sedi deliberanti, il cui scopo avrebbe dovuto essere quello di produrre norme efficaci, ma soprattutto coerenti con un sistema giuridico.
Non entro nel merito, se non per dire che si vuole riscrivere per delega soltanto il giudizio di cassazione. Sarebbe come costruire una casa cominciando dal tetto. Ma quando mai? Una casa si costruisce dalle fondamenta. Prima si affronteranno i temi generali delle impugnazioni e poi si dirimerà la questione, certamente esistente, della compressione del giudizio di legittimità e del suo inquadramento in un sistema giuridico di impugnazione più congruo.
Il tema generale rimane quello del merito delle decisioni, della velocità e della rapidità dei processi, sui quali più volte ho detto che non è tanto questione dell'ennesima riforma della riforma, ma di organizzazione, di buon funzionamento, di mezzi e di strumenti messi a disposizione degli operatori del diritto e non soltanto dei magistrati e sui quali, con questi strumenti parlamentari, nulla si fa.
La modifica alla legge fallimentare. Nessuno di noi nega vi siano esigenze forti in tal senso; non a caso, stiamo discutendo di un molto ampio sistema di revisione della stessa. Ma non si dica che la revisione è direttamente funzionale alla competitività delle aziende. Sarebbe come se, per parlare di salute, invece di riformare le beauty farm o gli ospedali, cominciassimo dagli obitori. Mi sembra francamente che anche questo sia uno strumento tutto da riprogettare e riprogrammare, nel quadro di un sistema in cui la patologia del sistema impresa venga dopo la fisiologia del sistema stesso.
Sull'arbitrato hanno già parlato egregiamente i colleghi Brutti e Donati e non mi ripeterò.
Sulla bancarotta non voglio dilungarmi, perché il tempo a disposizione è poco. Dico semplicemente, al di là del dettaglio delle singole figure, peraltro abbastanza confuso perché varie sono le ipotesi edittali, che la maggioranza non risponde alle esigenze sociali che emergono in questo momento e che sono legate alla necessità di una forte tutela del risparmio.
Infatti, si progettano norme sulla bancarotta fraudolenta che obiettivamente tendono, al di là del semplice disegno delle singole fattispecie, ad una cospicua riduzione della pena edittale massima, da dieci a sei anni e, conseguentemente, ad una riduzione della prescrizione, che sta diventando, per questo Governo e questa maggioranza, la vera riforma della giustizia nel nostro Paese.
È assolutamente inaccettabile, non tanto dunque che si ponga mano in sé alla modifica dei reati fallimentari, ma che lo si faccia per decreto, che vi si apponga la fiducia e che incongruamente non si progettino chiare e nitide fattispecie con le quali sia possibile punire molto severamente le gravi violazioni, quelle che mettono in crisi lo stesso sistema del risparmio nel nostro Paese.
È possibile e pensabile che, come sempre, chi ha mezzi, chi ha strumenti, chi avrà stuoli di periti e di grandi difensori potrà cavarsela rallentando i processi, fino a raggiungere le prescrizioni, che ormai stanno diventando una corsia preferenziale.
Aggiungo, infine, che invece quelle poche cose che, seppur timidamente, confusamente e contraddittoriamente, ma, come segnale di un autentico interesse ad un mondo che ci guarda e ci chiede risposte, quello delle professioni, erano state previste, in sede di legge di conversione e di modifica per maxiemendamento sono state soppresse; mi riferisco, segnatamente al principio di carattere generale della nuova organizzazione delle professioni mediante un sistema duale che preveda, tanto una riforma modernizzante del sistema ordinistico, quanto il riconoscimento per il sistema associativo.
Esprimo, quindi, un giudizio estremamente critico e negativo, sia per il metodo con il quale queste riforme vengono introdotte sia per la loro sostanza e per la loro consistenza. Non sono riforme, in particolare quelle in materia di giustizia, in grado di dare il benché minimo rilancio al nostro Paese. Aumenteranno la conflittualità sociale, l'incertezza sulle disposizioni normative e il vaglio della Corte costituzionale su un ammasso disparato di provvedimenti che, tutti insieme, non solo non meritano la nostra fiducia di parlamentari, ma nemmeno quella del popolo italiano. (Applausi dal Gruppo Mar-DL-U e dei senatori Marini e Brutti Paolo. Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Calvi, il quale immagino parlerà della funzione nomofilattica. Ne ha facoltà.
*CALVI (DS-U). Signor Presidente, la funzione nomofilattica è semplicemente l'attitudine della Corte di cassazione a dare orientamenti giurisprudenziali che poi saranno vincolanti per i giudici di merito.
Oggi la Cassazione si pronuncia su princìpi generali; dopodiché i giudici di merito o le stesse sezioni della Cassazione, diverse da quella che ha pronunciato il provvedimento, possono arrivare a conclusioni assai diverse. La nomofilachia è un istituto che cerca di coordinare e dare un indirizzo molto più rigoroso sulle decisioni soprattutto delle Sezioni unite. Questo è il senso di tale antichissimo istituto.
Vengo ora al provvedimento in esame: le ragioni per le quali abbiamo manifestato il nostro dissenso e con il voto contrario daremo forza alle critiche molto severe che abbiamo espresso, risiedono soprattutto su un problema di carattere metodologico.
Poco fa il senatore Cavallaro molto brillantemente riusciva ad esporre questo tema. Ma vorrei ricordarlo in via anche sintetica: in questo momento stiamo discutendo di un maxiemendamento al disegno di legge di conversione del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, al cui interno è contenuta una delega. Non è una delega qualsiasi; si tratta di una delega che attiene a buona parte del nostro codice di procedura civile ed alla riforma del sistema del diritto fallimentare. Su ciò viene chiesta la fiducia. Non è la prima volta che assistiamo in Parlamento a questa procedura.
È veramente straordinaria e su di essa abbiamo espresso le nostre riserve: ricordo che l’ultima volta fu a proposito dell’ordinamento giudiziario, quando osservammo che peraltro vi era un problema di costituzionalità, in relazione all’articolo 108 della nostra Carta fondamentale, e che comunque appariva anomalo rispetto al sistema ordinamentale del nostro Paese che il Governo facesse un decreto su cui inserire una delega, su cui poi chiedere la fiducia.
Come si diceva poco fa, è una sorta di petizione di principio: si chiede la fiducia a se stessi; la si concede a se stessi; dopodiché si emettono le norme. Ciò può anche essere concesso ad un ambito assai limitato, ma addirittura ad una parte così rilevante del nostro codice di procedura civile o addirittura di diritto fallimentare è veramente inaccettabile. Questo è il primo motivo forte e rigoroso su cui accentriamo il nostro dissenso e sul quale fondiamo il nostro voto contrario.
Vi è anche un problema di merito. Entrerò nel merito di due aspetti: quello del codice di procedura civile e quello riguardante il diritto fallimentare. Anche in questo caso la singolarità della scelta procedurale risiede nel fatto che sono due moduli giuridici sui quali la Commissione giustizia del Senato ha lavorato per molto, molto tempo: per molti mesi abbiamo lavorato, dopo di che eravamo pervenuti ad una soluzione complessiva e concordata proprio perché il lavoro in Commissione era stato approfondito e molto elaborato.
D’improvviso tutto questo lavoro delle Commissioni è scomparso ed in parte assorbito da questo decreto. Mi domando perché invece non sia stato lasciato l’iter fisiologico nella formazione della legge e permesso che la Commissione parlamentare giungesse fino in fondo, fino ad una approvazione molto più meditata. È così vero ciò che posso subito osservare che in questo decreto vi sono questioni pessime sulle quali siamo totalmente contrari; altre sulle quali potremmo discutere; altre ancora sulle quali convenire.
Pur tuttavia, le parti sulle quali siamo più prossimi dal punto di vista teorico generale a questo decreto sono quelle parti elaborate dalla Commissione giustizia del Senato nel suo complesso e che, quindi, avrebbero potuto trovare in Aula una decorosa e degna conclusione. Mi riferisco all’emendamento che tutti i membri della Commissione giustizia hanno firmato e che è stato poi trasferito nel decreto riguardante il codice di procedura civile. Sulla procedura civile il Governo si era limitato ad introdurre nel decreto misure prima assolutamente modeste che riguardavano in particolare il sistema delle notificazioni; scelta assolutamente ingiustificata rispetto al lavoro fatto in Commissione.
Abbiamo presentato 102 emendamenti, cioè tutti i risultati che la Commissione giustizia aveva raggiunto con una approvazione spesso unanime e che abbiamo fatto nostri affinché fossero riversati nella discussione; discussione che non ha poi avuto luogo. Il Governo ne ha accolto una parte.
Vi dico subito che ho letto le critiche che sono state fatte, alcune anche molto severe. Uno dei più illustri proceduralisti del nostro Paese, il professor Sergio Chiarloni, ha inviato un documento che formula critiche severissime sulla scelta del rito. Prendo atto naturalmente delle osservazioni così pregnanti del collega, tuttavia vorrei osservare che in fondo il nostro emendamento ha salvato la tendenza voluta dal Governo di trasformare l'intero rito del giudizio di cognizione in rito societario, cioè un rito più celere ma dove vi sono minori garanzie.
L'emendamento che abbiamo elaborato prevede che il rito societario divenga un rito eccezionale e che il rito ordinario nel processo di cognizione rimanga appunto quello previsto dal nostro sistema codicistico. Il rito eccezionale sarà consentito solo nel caso in cui vi sia il consenso di tutte le parti nel processo e questo mi sembra un risultato apprezzabile.
All'interno del decreto vi è una parte riguardante il diritto fallimentare. Anche qui in sede prima di Comitato ristretto e poi di Commissione avevamo lavorato per riformare un sistema che era del 1942. Colleghi, come si fa a non cogliere la necessità di trasformare il diritto fallimentare, che risaliva al 1942? Pensate soltanto a quale tipo di aziende e di società vi erano allora e quali vi sono oggi: era inevitabile si giungesse ad una riforma, che però, debbo dire, non è affatto soddisfacente rispetto alle previsioni della nostra Commissione.
Abbiamo apprezzato, per esempio, il modo in cui si risolve il problema del concordato preventivo, che era stato elaborato dalla nostra Commissione, di ristrutturazione dei debiti. Però, in tema, per esempio, di revocatoria fallimentare abbiamo marcato con forza le nostre critiche perché in qualche modo questo decreto svuota sostanzialmente tale istituto che - va ricordato sempre - costituisce un presidio spesso unico a tutela dell'integrità del patrimonio delle imprese in crisi e quindi della par condicio creditorum, come ha più volte ricordato in sede di discussione il senatore Legnini.
E veniamo alla parte penale del diritto fallimentare, cioè alla bancarotta. In questi momenti si discute in modo molto animato sulle sanzioni, sulle pene, alcuni dicono che sono state ridotte in modo eccessivo. Voglio affermare fin d'ora che la preoccupazione che abbiamo sempre espresso non è tanto la misura della pena, che mi sembra sia stata ridotta e forse anche talvolta in modo eccessivo, perché non è questo il problema. Secondo me, la questione vera è di misurare e modulare la pena in relazione alla prescrizione del reato, questo è il punto. Ora, superare la soglia dei cinque anni significa che il reato si prescriverà in quindici anni, stare sotto la soglia di cinque significa far si che il reato si prescriva in sette anni e sei mesi. (Richiami del Presidente).
Signor Presidente, mi lasci concludere, perché è un argomento …
PRESIDENTE. Le concedo un altro minuto e mezzo.
CALVI (DS-U). Voglio dire che il problema vero non è la sanzione in quanto tale ma gli effetti che essa determina sulla prescrizione del reato. A proposito della polemica che stamattina abbiamo letto sul "Corriere della sera", che manifestava una forte preoccupazione per il fatto che il reato di bancarotta impropria, cioè degli amministratori, fosse punito con una pena di quattro anni, evidentemente il Governo ha avuto la sensibilità di cogliere questo problema, proprio per la spinta che vi è stata da parte della cultura giuridica, di gran parte dell'avvocatura, dei docenti e della magistratura, e ha portato la pena a sei anni; noi nei nostri emendamenti avevamo proposto sette anni.
Il problema, però, non sono i sei o i sette anni, ma superare la soglia dei cinque anni in modo che la prescrizione non sia di sette anni e sei mesi, ma di quindici anni e quindi sia equiparata la bancarotta degli amministratori alla bancarotta del singolo imprenditore. Intendo dire che, quando ci si confronta, si è sempre in grado di modulare meglio la soluzione giuridica relativa a questi reati.
Voglio toccare un ultimo punto, e concludo, signor Presidente. Qual è la novità di questa formulazione (il punto, infatti, non è tanto la pena, la sanzione, quanto soprattutto la formulazione della fattispecie criminosa). Aver collegato, come peraltro era previsto negli emendamenti del nostro Gruppo, il reato al dissesto è da considerare un enorme passo in avanti, così come, per esempio, è previsto nella legislazione francese e in gran parte nei Paesi europei. Impedire che il fallimento sia dichiarato sulla base di un semplice debito ma vi sia la necessità che esso sia l'effetto di un dissesto in atto mi sembra un passo veramente in avanti dal punto di vista dottrinario, ma soprattutto dal punto di vista legislativo.
Noto però una non insignificante contraddizione, un’incoerenza sistematica, perché l’articolo 4 del decreto legislativo n. 61 del 2002, che ha riformato i reati societari e ha riformulato anche la bancarotta societaria di cui all’articolo 223, secondo comma, della legge fallimentare, ha stabilito proprio questo collegamento inscindibile fra dissesto della società e bancarotta societaria.
Ora, nel decreto al nostro esame è aggiunta l’espressione (Richiami del Presidente) secondo la quale si può giungere alla bancarotta quando è prevedibile il concreto pericolo del dissesto. Ho qualche riserva dal punto di vista teorico e sistematico, perché in qualche modo si rompe la necessità di tipizzare la fattispecie. Il reato dev’essere indicato in modo chiaro, tutti devono capire che, per l’affermazione della bancarotta, occorre che vi sia la dissipazione del patrimonio. O l’alterazione dei libri contabili, fattispecie precise. Invece, quando si parla della prevedibilità di un concreto pericolo, per un verso si nota una disarmonia rispetto al decreto legislativo n. 61 del 2002, per altro verso si lede il principio di tipizzazione della fattispecie criminosa, che è uno dei princìpi sui quali noi siamo assolutamente intransigenti nella riforma del sistema penalistico, così come tutti lo vorremmo e aspiriamo ad averlo.
Queste sono le ragioni tecniche di critica che noi muoviamo a questo decreto. Ma naturalmente il problema vero è quello a monte, politico che ho evidenziato quando ho detto che è intollerabile procedere a una riforma così ampia, profonda, importante attraverso un decreto che contenga una delega (Richiami del Presidente) sulla quale si richiede la fiducia.
Per questo voteremo contro. (Applausi dal Gruppo DS-U, del ministro Calderoli e del senatore Zancan).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Salerno. Ne ha facoltà.
SALERNO (AN). Signor Presidente, egregi colleghi, signori del Governo, credo che in pochi minuti sia molto difficile svolgere un intervento nel merito, su un decreto così ampio di contenuti e di provvedimenti. Vorrei invece sviluppare una considerazione di altro genere, più politica.
Viviamo nel nostro Paese una strana situazione in cui, per ironia della sorte, si dice che noi, come maggioranza, controlliamo le televisioni perché il Presidente del Consiglio proviene da un’esperienza nei mezzi di comunicazione. In realtà, non controlliamo alcun tipo di televisione o d'informazione televisiva, per cui riscontriamo lo strano risultato che, all'interno delle sei reti nazionali esistenti, almeno in cinque di esse, nei telegiornali, che sono i programmi più guardati dalla gente, quelli che entrano nelle case nelle ore in cui le famiglie sono riunite, l’azione del Governo è assolutamente delegittimata, devastata nel merito e nella sostanza e, alla fine, registriamo nel Paese una sensazione di disagio diffuso senza che tale disagio sia reale, essendo esso invece molto virtuale.
Assistiamo nei telegiornali a servizi giornalistici importanti in cui, ad una comunicazione del nostro Premier, del vice Premier o di un Ministro, fanno seguito sette, otto o nove interventi dei leader dell’opposizione del centro-sinistra, che di fatto smontano tutta l’architettura dell’iniziativa del Governo, la delegittimano e addirittura - voglio usare questo termine - la distorcono, devastando quindi la stessa azione di Governo.
È, appunto, un’ironia della sorte, perché il Presidente del Consiglio avrebbe dovuto in qualche modo manipolare sempre l’informazione e invece accade esattamente il contrario.
Cito, ad esempio, il momento in cui il Presidente del Consiglio fece un primo annuncio, un’anticipazione sul partito unico: ci fu una sola comunicazione di Berlusconi, seguirono ben nove interventi dei leader del centro-sinistra. Di ogni intervento ovviamente vi lascio immaginare qual era il senso, per cui vi lascio immaginare quale fosse, per gli oltre 25-30 milioni di italiani che guardavano quei TG, la percezione dell’azione di Governo.
Non faccio che sentire, in tutti i telegiornali, che il Paese è allo sbando, alle soglie di una crisi profonda, che c’è una catastrofe imminente. Ebbene, posso dire che l’Italia non è questo, ma è tutt’altra cosa, che questo è un Governo che in quattro anni ha emanato provvedimenti importanti, mettendo finalmente mano sul serio ai problemi dell’economia, mentre ad essa finora non era mai stata rivolta un’attenzione vera. Infatti, non solo negli anni che hanno preceduto il 2001, ma neanche in quelli in cui vi è stato un italiano alla Presidenza della Commissione europea, cui era affidata la direzione politica dell’Unione, ci si è mai preoccupati della questione della Cina e della concorrenza sleale dei Paesi asiatici.
Insomma, abbiamo ereditato un Paese fermo agli anni Cinquanta e Sessanta e questo Governo, dal 2001 ad oggi, credo abbia provveduto: con la legge Tremonti, con la legge sul rientro dei capitali dall’estero e anche con i provvedimenti di perdono fiscale richiesti dagli imprenditori. Abbiamo fatto una riforma vera delle imposte sulle imprese, abbiamo messo in soffitta la vecchia IRPEG, abbiamo finalmente l’IRE, un metodo diverso. Abbiamo realizzato due moduli di riduzione delle imposte per i bassi redditi, al 1° gennaio 2003 e al 1° gennaio 2005, che hanno diminuito le tasse dei cittadini di quasi 25.000 miliardi di vecchie lire.
Considerazioni simili possiamo fare per tutti i dati dell’economia, a partire dalla disoccupazione. Come mai non riusciamo a comunicare agli italiani che la disoccupazione è diminuita dal 12 all’8,5 per cento?
Non riusciamo a comunicare agli italiani che i conti dell’Italia, in relazione a quelli dei grandi Paesi europei, sono quelli più a posto. Dopo l’ultima relazione del Ministro dell’economia dell’altro ieri, abbiamo rilevato che forse arriveremo ad un rapporto deficit-PIL del 3,1 per cento (ma si pensa che si attesterà tra il 2,9 e il 3,1 per cento), mentre la Francia e la Germania sono già ampiamente oltre il 3 per cento.
Non riusciamo a comunicare che forse c’è stato un caro-euro, non controllato in alcun modo dall’Unione Europea, la quale ha brillato per immobilismo sotto la direzione del presidente Prodi, che - come ho già detto - non si è preoccupato di tanti problemi dell’Italia in rapporto all’Europa, ma anche dell’Europa in relazione al mondo asiatico, alla concorrenza sleale della Cina o dell’India.
Come non riusciamo a comunicare che i nostri sono i conti più a posto, così non riusciamo a spiegare che forse la modernizzazione è un dato reale del Paese. La prima tratta del treno ad alta velocità correrà i primi 100 chilometri da Torino a Milano forse alla fine di quest’anno. Si tratta, signor Presidente, di cantieri che sono stati aperti a maggio e giugno del 2001, cioè con l’arrivo al Governo del centro-destra.
In questi pochi minuti non mi rimane altro che raccogliere il disagio virtuale di un Paese che invece reagisce ed è in salute, anche se sicuramente ha tanti problemi di competizione mondiale, in particolare nei confronti dei Paesi asiatici, e un caro-euro che ha assorbito gli effetti dei due provvedimenti di diminuzione delle imposte. Guai allora, se non li avessimo emanati!
Questo decreto-legge sulla competitività, come tutte le finanziarie - che hanno solo dato e non preso agli italiani - credo rappresenti una tappa importante. C’è tanto da fare, sicuramente, ma bisogna ricordarsi com’era l’Italia nel maggio 2001, quali problemi ci erano stati nascosti ma consegnati, il famoso disavanzo di 25.000-30.000 miliardi del centro-sinistra.
Tutte cose che purtroppo non siamo mai riusciti a comunicare in maniera forte e convincente, forse perché non solo sulla carta stampata, ma nei famosi TG nazionali, che vengono ascoltati da tutte le famiglie, questo Governo e questa maggioranza sono sempre sulla difensiva e, con le nostre due o tre dichiarazioni, siamo sotto pressione rispetto agli otto-dieci interventi dei leaders del centro-sinistra.
Ricordiamoci sempre che cos’è questo centro-sinistra, che cos’è l’Unione; ricordiamoci che Rifondazione Comunista ha terminato un congresso, qualche settimana fa, con slogan che guardano al 1800 e non all'anno 3000, riproponendo cioè l’abolizione della proprietà privata.
Ricordiamoci che in questa Unione ci sono i Verdi, che promuovono la liberalizzazione delle droghe; ricordiamoci che i Radicali chiedono delle cose molto più importanti, e forse hanno fatto bene a fare un passo indietro; ricordiamoci che i Verdi vorrebbero che ci fosse l’adozione da parte delle coppie gay.
Ricordiamoci dunque che cosa c’è dentro questa Unione, lo dico agli italiani, lo dico ai colleghi parlamentari, ma spero anche che gli italiani, prima o poi, se ne accorgano in maniera chiara e netta. (Applausi dal Gruppo LP).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Marini. Ne ha facoltà.
MARINI (Misto-SDI-US). Signor Presidente, onorevoli colleghi, la crisi di Governo che si è risolta nella settimana passata con il voto alle Camere è stata ricomposta sulla base di un accordo che ha interessato le forze della coalizione di centro-destra. L’accordo ha riguardato il programma di fine legislatura e, in particolare, tre punti: Mezzogiorno, famiglie e imprese; il rilancio, cioè, di questi tre momenti essenziali della vita nazionale.
Il Presidente del Consiglio ha indicato con enfasi in quest’Aula quei tre punti, dicendo che la maggioranza è impegnata, in questo anno che rimane di legislatura, per realizzare politiche a sostegno delle famiglie, del Mezzogiorno e delle imprese.
A distanza di pochi giorni da quell’impegno emerge il primo inganno: la politica di sviluppo delle aree in ritardo. A dispetto dello stesso nuovo Ministro per lo sviluppo e la coesione (perché l’istituzione di questo Dicastero avrebbe dovuto rendere più corposa la politica meridionalistica), vediamo che viene contraddetto l’impegno del Governo. Altro che priorità del Mezzogiorno! Questo provvedimento è ispirato ad una logica antimeridionalista e mi soffermo, signor Presidente, in particolare sull’articolo 8, che poi richiama l’articolo 5, che attiene agli incentivi per le aree in ritardo di sviluppo.
L’articolo 8 prevede, infatti, la modifica degli incentivi e stabilisce - come è giusto che sia, perché fa parte della normativa europea - che l’incentivo massimo può essere del 50 per cento in conto capitale, anche se viene modificato il calcolo degli stessi incentivi, che si devono attenere alla stessa misura europea dell’equivalente della sovvenzione netta, che però viene ad essere totalmente ridimensionato rispetto al regime attuale.
La normativa europea sappiamo che stabilisce il limite massimo con il calcolo che viene appunto chiamato "equivalente sovvenzione netta". Questa nuova disciplina prevista nel provvedimento richiama senza dubbio tale limite come limite massimo, però ne modifica il contributo in conto capitale, perché questo contributo viene statuito in una agevolazione pari al 50 per cento della vecchia agevolazione, quindi diventa il 25 per cento, e l’altro 50 per cento viene suddiviso per un 25 per cento in mutuo agevolato, con una agevolazione che non può superare lo 0,50, e in un mutuo ordinario rimborsabile in un certo numero di anni.
Noi siamo, quindi, passati da un regime - quello attuale - che prevedeva appunto un contributo massimo del 50 per cento in conto capitale ad un nuovo regime, che viene introdotto con questa normativa, che prevede gli incentivi in conto capitale del 25 per cento. Vi è dunque una forte riduzione.
Nell’intero corpo della norma, poi, si dice che le banche vengono chiamate ad un ruolo nuovo, un ruolo di maggiore protagonismo nell’erogazione degli incentivi e quindi nella stessa responsabilizzazione del sistema bancario, che dovrebbe, per l’appunto, accollarsi un certo rischio.
Ebbene, mi pare che anche l’enfatizzazione del ruolo delle banche sia del tutto fuori luogo, perché noi, invece, nella politica degli incentivi registriamo un ruolo negativo delle banche dovuto alla lentezza della loro azione e all’eccesso di burocratizzazione nei processi erogativi dei contributi, cosa che ha determinato un diffuso malcontento nel mondo dell’impresa perché si ritiene che le banche privilegino il proprio profitto e tendano in minor conto il loro ruolo di protagoniste dello sviluppo.
Il rischio viene inteso in maniera errata, viene inteso in termini di garanzie reali; pertanto, tutte le nuove iniziative, le iniziative dei giovani imprenditori, che non hanno la possibilità di concedere garanzie reali, vengono fortemente penalizzate. Mi pare, quindi, che la nuova normativa, nell’affidare alle banche un ruolo più incisivo, rischia di peggiorare la situazione attuale.
E’ vero che il ministro Tremonti propone una banca per il Mezzogiorno. In realtà, questa è stata un’idea molto singolare, perché prescinde dalla storia del sistema bancario meridionale, dal perché il sistema bancario meridionale autonomo, quello delle grandi banche del Mezzogiorno (che lei, signor Presidente, conosce molto bene), sia finito, dal perché vi sia stata l’acquisizione da parte dei grandi conglomerati del Centro-Nord, che hanno acquisito, in un momento di crisi del sistema bancario meridionale, i grandi istituti che hanno caratterizzato la storia del credito del Mezzogiorno d’Italia.
Si dimentica, ad esempio, che vi è stato un momento di passaggio fondamentale quando in Italia fu posto il problema della patrimonializzazione delle banche per poter competere con il sistema creditizio europeo e che proprio la necessità di avere banche fortemente patrimonializzate portò alla dismissione della proprietà e, quindi, all’intervento del sistema creditizio del Nord.
Parlare, quindi, oggi di una banca del Mezzogiorno mi sembra fuori luogo; non si è fatto niente per salvare le grandi banche del Mezzogiorno in passato, non vedo a cosa servirebbe oggi istituire una nuova banca del Mezzogiorno. Oltretutto, si trascura un dato: tutti i Mediocrediti del Mezzogiorno, acquisiti dalle banche del Nord e che avevano una funzione importante nell’erogare credito alle imprese nel medio periodo e che rappresentavano uno strumento essenziale per lo stesso sviluppo delle imprese, non svolgono più alcuna funzione.
Tutti i Mediocrediti regionali non svolgono più alcuna funzione perché, in realtà, l’acquisizione del sistema creditizio del Mezzogiorno è servita soltanto per consentire una vera e propria raccolta alle grandi banche soprattutto del Nord, considerando il fatto che è avvenuta in un’epoca in cui vi era un grande interesse ad investire nell’economia finanziaria; ha costituito un capitale da investire nell’economia finanziaria, investimento tradizionale delle banche.
Questa legge mi pare non tenga conto di tale situazione, della storia delle banche meridionali, del ruolo che attualmente hanno le banche all’interno del Mezzogiorno: un ruolo di disinteresse, di dismissione dell’impegno nell’economia. Se non ci fossero i piccoli istituti di credito (le banche popolari e le casse artigiane), credo che nel Mezzogiorno ci sarebbe una situazione gravissima, proprio perché i grandi istituti hanno interesse solo a fare, per così dire, raccolta.
Il fatto poi che questa legge sia individualista viene fuori in maniera chiara se solo si pensa all’articolo 5, un articolo che prevede la possibilità di utilizzare i fondi destinati al Mezzogiorno per le grandi infrastrutture, quelle contenute nella legge obiettivo (sappiamo che le grandi infrastrutture interessano molto poco il Mezzogiorno e molto il Nord). Il successivo capoverso consente, inoltre, al CIPE l’utilizzo dei fondi destinati alle aree sottoutilizzate per far sì che ci siano adeguati finanziamenti e investimenti nelle infrastrutture delle aree metropolitane; sappiamo che in questa maniera i fondi destinati al Mezzogiorno vengono utilizzati per le aree metropolitane di tutta Italia, quindi anche per il Nord.
Mi pare che questo provvedimento, quindi, renda evidente la politica - che ho già avuto modo di richiamare - dell’inganno, quella, cioè, che presenta una grave contraddizione fra l’enunciazione di una politica di sviluppo e la politica reale, che danneggia fortemente alcune aree del Paese e che è fondata soprattutto sull’asse di questo Governo, l’asse, cioè, che lega il Presidente del Consiglio con la Lega.
Potremmo dire che questo è il provvedimento della vittoria del ministro Calderoli.
Ho l’impressione, onorevoli senatori, signor Presidente, che con questo provvedimento non solo si contraddice quello che il Governo e la maggioranza avevano sostenuto la scorsa settimana in quest’Aula, ma si tenda anche a rinnovare un blocco, che è quello del Nord, lungo l’asse Berlusconi-Bossi, con buona pace di Alleanza Nazionale e dell’UDC, che vengono ad essere mortificate per questo aspetto inquietante, cioè l’inganno che si perpetra agli elettori, al popolo italiano.
Colleghi della maggioranza, vi dico allora - non in senso provocatorio, ma perché ritengo che su questo vi dobbiate soffermare - che non vi è servito a niente il risultato elettorale: non vi è servito aver toccato con mano che la vostra politica viene ad essere condannata dal corpo elettorale.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Curto. Ne ha facoltà.
CURTO (AN). Signor Presidente, ho ascoltato con particolare interesse gli interventi dei colleghi. Si tratta di interventi, data la qualità, sicuramente puntuali, però il tono che è stato usato denota anche l’imbarazzo politico nel contestare e nell’opporre rilievi ad un provvedimento che si pone invece nella direzione giusta per dare una scossa ad un sistema economico che vive indubbiamente un momento di grande difficoltà.
Peraltro, tale momento di difficoltà non è riconducibile a colpe addebitabili alla politica economica del Governo. Infatti, se è vero che non esistono valutazioni assolute ma che tutte, anche quelle economiche, vanno comparate, non vi è dubbio che questo Paese, tanto bistrattato da alcuni organi di stampa e dall’opposizione politica, è quello che meglio ha retto a due spaventose guerre, ad un 11 settembre devastante, ad una congiuntura economica internazionale che ha creato serissime difficoltà ai Paesi che in passato rappresentavano le locomotive d’Europa: mi riferisco ovviamente alla Francia e alla Germania.
Se siamo riusciti allora nell’intento di tenere comunque dritta la barra del sistema economico italiano senza pesare sulle tasche dei contribuenti e addirittura rendendo loro una parte delle imposte che fino all’altro ieri sicuramente versavano, tutto ciò va ascritto a merito di un Governo che ha operato con saggezza e ha cercato di creare le condizioni e i presupposti per rilanciare la politica nel prossimo futuro.
Ho notato anche l’imbarazzo con il quale i colleghi del centro-sinistra hanno affrontato il problema del voto di fiducia che - per carità! - non soddisfa evidentemente neanche larghi settori della maggioranza, ma non perché si contesta al Governo l’uso di tale strumento, quanto piuttosto perché avremmo voluto anche noi intervenire in quest’Aula e creare le condizioni perché fossero approvati emendamenti importanti, migliorativi rispetto al provvedimento che comunque sarà licenziato con il voto di fiducia.
Tuttavia, non ci doliamo più di tanto per questo, perché riteniamo che ci saranno altre occasioni, altre circostanze, altri momenti importanti della vita politica parlamentare in cui riusciremo sicuramente a raggiungere quei risultati e quegli obiettivi che ad oggi non ci sono consentiti solamente per motivi tecnici.
A differenza dei Governi del centro-sinistra del passato, infatti, il Governo non ricorre alla fiducia sul disegno di legge in esame perché teme un’imboscata o teme di essere messo in discussione dai Gruppi parlamentari di maggioranza, bensì solamente perché questo è l’unico strumento che gli consenta di approvare definitivamente il provvedimento entro il 15 maggio, scadenza che non potrebbe essere assolutamente rispettata se si aprisse un dibattito parlamentare.
Questo imbarazzo lo denoto anche dai toni, e ritengo che sia da considerare un risultato positivo raggiunto dalla maggioranza. Infatti, abbiamo conosciuto un tipo diverso di dissenso quando l’opposizione aveva materia su cui contestare l’azione del Governo.
Oggi la politica economica del Governo di centro-destra è sicuramente virtuosa e mette in difficoltà larghi strati del centro-sinistra, sottraendo ad esso le armi per poter svolgere una vera opposizione politica.
Peraltro, il provvedimento è significativo perché interviene su alcuni aspetti nevralgici dell’economia nazionale creando condizioni e presupposti per dare risposte a situazioni che sicuramente andavano corrette.
È sicuramente in questo senso che noi dobbiamo interpretare la presa di coscienza di quello che, a mio personale avviso, rappresenta oggi uno dei gravissimi problemi dell'Italia, dell’economia nazionale in generale, e dell'Italia meridionale in particolare. Mi riferisco alla contraffazione, che non è più la contraffazione che siamo stati abituati a conoscere nel passato. Ormai, a mio personale avviso, si devono utilizzare nei confronti della contraffazione gli stessi criteri e lo stesso atteggiamento durissimo che noi tenemmo nei confronti del contrabbando dei tabacchi lavorati esteri. Oggi dietro la contraffazione ci sono organizzazioni criminali internazionali che movimentano milioni e milioni di euro su prodotti che poi invadono i mercati legali, mettendoli definitivamente in ginocchio.
E allora non credo che sia esaustivo quanto è previsto nell'articolo 1 in tema di azione di contrasto alla contraffazione; penso però che sia e costituisca un passo importante, al quale se ne potranno aggiungere altri, per rendere e far ritornare alla legalità settori economici nevralgici per l'economia meridionale. È inutile dilungarmi su quali questi siano: conosciamo tutti le difficoltà dei settori tessile, abbigliamento e calzaturiero, dove sono importanti non tanto le risorse economiche che si danno a sostegno, quanto i controlli sulla legalità del mercato.
E così ci siamo mossi in direzione dell'esaltazione delle misure a favore del made in Italy, creando le condizioni ed i presupposti per sostenere anche economicamente quelle imprese valide che possono affrontare i mercati internazionali con la qualità e la peculiarità dei loro prodotti, cosa che nel passato sicuramente non avveniva, tanto che anche le grandi potenzialità di alcuni nostri imprenditori svanivano nel nulla, perché quando non c'è il sostegno economico, a meno che non si tratti di imprese molto forti, competere sui mercati esteri è quasi impossibile.
Siamo stati anche attenti nel determinare un'altra modifica estremamente positiva in tema di IRAP. Voglio ripetere anche in questa circostanza quanto ho già detto nella discussione sulla fiducia al Governo, che questa non è un'imposta inventata dal centro-destra; questa è un'imposta che è stata inventata, insieme alla cartolarizzazione dei debiti in agricoltura, dal centro-sinistra.
Noi stiamo manifestando la nostra ben chiara posizione politica incrementando di molto gli sconti sull'IRAP relativamente ai nuovi assunti, soprattutto nelle aree svantaggiate, creando quindi condizioni particolarissime perché non si penalizzino le imprese che assumono personale con oneri che frenino lo sviluppo delle imprese medesime.
So perfettamente di avere ancora poco tempo a disposizione, e quindi mi avvio alla conclusione. Gli interventi nel campo della logistica, gli interventi anche nel campo della difesa del made in Italy, come dicevo prima, del sostegno alla internazionalizzazione dell'economia sono interventi serissimi, che questo Governo sta adottando strutturalmente.
Infine, ho ascoltato il collega che mi ha preceduto il quale parlava in maniera critica della riforma degli incentivi: anche questa è una maniera per moralizzare il sistema. Il Governo di centro-destra lo sta facendo, perché nel passato troppe imprese che non avevano requisiti di competitività tali da stare sui mercati sono rimaste sui mercati solo grazie ad incentivi dati a pioggia, che hanno falsato i mercati e inquinato quelli legali.
Anche questa è stata un'operazione di chiarezza del centro-destra; anche questa è stata un'operazione di chiarezza di questo Governo. (Applausi dal Gruppo AN e del senatore Izzo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Nocco. Ne ha facoltà.
NOCCO (FI). Signor Presidente, signori colleghi, purtroppo noi stiamo valutando, apprezzando o denigrando, il contenuto di questo decreto e del maxiemendamento che lo precede in un momento postelettorale. Ma l'Italia è in qualche modo sempre in un momento elettorale, per cui l'atavico vizio di essere contrapposti non ci consente di dare un sereno giudizio del contenuto di questo provvedimento.
Ritengo che comunque questo decreto contenga degli elementi validi e che rappresenti un altro, ulteriore tassello per il rilancio della nostra economia. È inutile nascondere che il momento italiano ed europeo in generale è delicato. Nessuno ha la bacchetta magica per risolvere i problemi, ma se nulla si fa certamente il problema non si può risolvere.
Ci preme ricordare come dal provvedimento emerga che il Governo ha posto in essere misure idonee ad agevolare la crescita in un’ottica duplice: il consolidamento della finanza pubblica attraverso un tentativo di attenuazione del deficit e l’attuazione di riforme strutturali, idonee ad accrescere la competitività e la deregolamentazione di alcuni mercati. Quindi, il Governo ed il Parlamento hanno già operato numerosi interventi nel settore dei trasporti e della viabilità, perseguendo l’obiettivo di ammodernare la rete viaria, di portare a compimento le opere incompiute, di eliminare le pastoie burocratiche e gli annosi contenziosi.
Il decreto sulla competitività si inserisce nell’avvincente prospettiva della crescita e della stabilità e tenta di individuare ed adottare le misure necessarie a risollevare il sistema produttivo italiano, compresso e vessato da una recessione generale a livello europeo e dalla concorrenza sfrenata ed incontrollata dei Paesi asiatici. Il fenomeno di carattere nazionale ha una maggiore incidenza nel Meridione, dove l’imprenditoria più giovane è meno protetta in quanto opera in condizioni più sfavorevoli rispetto al Nord.
In particolare, mi riferisco al grave momento che attraversa il settore del salotto. Dovete sapere, cari colleghi, che nell’enclave tra Matera, Santeramo, Altamura, al confine tra la Puglia e la Lucania, è posto il più grande salottificio del mondo, Natuzzi. Attorno ad esso è fiorita una serie di grandi, piccole e medie industrie, sempre nel settore del salotto, tale da occupare oltre 30.000 persone, oltre all’indotto.
A causa del costo del lavoro infinitamente basso ed alla possibilità di copiare i modelli italiani, l’invasione dei Paesi asiatici nei mercati extraeuropei (in America, in Sud America) sta portando il settore alla crisi: hanno già avuto inizio i primi processi di mobilità, i primi licenziamenti nonché la recessione, tanto che le imprese più attrezzate, tipo la Natuzzi, hanno pensato bene di aprire stabilimenti in Romania, in Cina ed in Brasile.
Ebbene, lo Stato italiano non può ignorare questa realtà ed in passato qualche attenzione vi è stata perché - protagonista io insieme ad altri colleghi - siamo riusciti ad ammodernare la rete viaria. Ma non basta! È necessario qualche elemento di aiuto verso questi settori affinché essi possano avere, anche in questo momento di debolezza, la speranza di rimanere sul mercato.
Quale potrebbe essere questo aiuto? Il presente decreto ha l’obiettivo di perseguire la lotta alla contraffazione, contiene gli elementi per sburocratizzare le pastoie tipiche della pubblica amministrazione; prevede agevolazioni per il costo del lavoro ed incentivazioni per la ricerca. Certo, sono dei tentativi che, però, vanno fatti. Non serve criticare il decreto nel suo complesso. Esso contiene tutti quegli elementi necessari per dare fiducia alla piccola e media industria perché in questo momento difficile possa essere traghettata, ivi compreso l’incoraggiamento a cambiare settore, privilegiando quelli emergenti e prevedendo agevolazioni per andare incontro al mondo del lavoro.
Nel mio intervento in Commissione bilancio avevo anche sollecitato finanziamenti per le televisioni locali, perché ritengo che specie nel Meridione queste costituiscano un veicolo eccellente per rilanciare i prodotti locali e per attirare l'attenzione del consumatore sulle piccole imprese artigianali ed industriali. Nel maxiemendamento presentato non è previsto alcun finanziamento o incentivo a tal fine, ma spero si possa procedere in tal senso nella prossima finanziaria.
Un altro elemento importantissimo, che tutti gli operatori commerciali e industriali attendono, presente in questo decreto è rappresentato dalla riforma del diritto fallimentare. A tal proposito, ho una sola preghiera: che i 180 giorni previsti per portarla a compimento possano diventare 90, un periodo di tempo che mi sembra sufficiente. Sono avvocato e so cosa significhi la vecchiaia ed il vecchiume di questa normativa risalente al 1942 e quanti scompensi e quanti ingiustizie crei per gli operatori economici.
In conclusione, ritengo che il decreto e il relativo maxiemendamento abbiano una grande valenza positiva e operativa. Sono convinto che il sistema Italia non si salverà se non cesserà il corporativismo autoreferenziale, se gli industriali non troveranno nei loro mezzi la capacità di essere veri imprenditori, se il sistema creditizio non si modernizzerà e trasformerà, dando maggiore credito ai progetti delle imprese piuttosto che alle garanzie reali, e se le organizzazioni sindacali non cesseranno di proteggere i privilegi acquisiti e diffusi collaborando invece con il Governo per trovare insieme forme di risparmio che consentano la riduzione del deficit pubblico e il rilancio degli investimenti.
Finora questa dimostrazione di collaborazione non l'abbiamo avuta, ma si sa che l'Italia è un Paese difficilissimo. Chiunque governerà, centro-sinistra o centro-destra, avrà sempre il gravissimo problema di capire che l'Italia non vuole vere riforme, il Paese non ha ancora la capacità, la cognizione per subire quelle trasformazioni che lo possono rendere moderno.
Mi auguro che nell’anno e mezzo che rimane a questo Governo - chi governerà poi, se il centro-destra o il centro-sinistra, non è dato sapere - si abbia maggior fortuna per quanto riguarda la collaborazione dei sindacati, degli industriali, che dovrebbero cambiare mentalità, degli operatori burocratici per i quali è prevalente la tutela dell'esistente e di quei piccoli privilegi che ciascuno ritiene di avere. (Applausi dal Gruppo FI).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice De Petris. Ne ha facoltà.
DE PETRIS (Verdi-Un). Signor Presidente, come al solito il decreto e il relativo maxiemendamento alla nostra attenzione sono stati presentati con grandi ambizioni e declamazioni per mettere in campo una serie di misure, anche di tipo strutturale, che si ritengono urgenti e che si pensa possano permettere al nostro sistema economico di essere competitivo.
I problemi sono ampi e complessi e non credo - come affermava il senatore Nocco - che dipendano dal fatto che, alla fine, siamo un Paese conservatore e siccome nessuno ha voglia di cambiare è difficile affrontare i nodi che ci stanno di fronte. Si tratta, invece, come sempre, di questioni legate a scelte da fare per tempo e che siano adeguate; infatti, i segnali relativi ai grandi problemi di competitività del Paese non sono certamente venuti alla nostra attenzione in quest'ultimo periodo, ma si tratta di problematiche aperte già da molto tempo e per le quali, evidentemente, il Governo non ha saputo mettere in campo misure anticicliche.
Nel brevissimo tempo a mia disposizione, vorrei concentrarmi su un settore che, a mio avviso, potrebbe rappresentare, se assunto come uno dei comparti centrali nell’economia del nostro Paese, quello in cui è possibile per il nostro Paese vincere o comunque provare a vincere la sfida della competitività: il settore agroalimentare.
Tale settore è interessato da alcune norme di questo decreto, ad esempio quella sulla contraffazione, ma le ritengo abbastanza insufficienti. La scorsa settimana abbiamo esaminato e licenziato il decreto sulla crisi del settore agroalimentare e, di fronte a proposte di modifica che riguardavano alcuni nodi strutturali di tale comparto, ci è stato sempre risposto con il giochetto del rinvio al decreto sulla competitività.
In questo decreto troviamo una stabilizzazione dell’IVA che certamente apprezziamo, ma che arriva anch’essa troppo tardi (noi l’avevamo chiesta nelle varie precedenti finanziarie), e poco altro. Nello stesso maxiemendamento riscontriamo semplicemente che all’ISA vengono affidate tutte le competenze per valutare i contratti di filiera e di programma.
Non si entra nel cuore di questioni che riteniamo assolutamente fondamentali per la competitività del nostro settore agroalimentare e non vengono assegnate risorse adeguate ai contratti di distretto e di programma al fine di consentire una programmazione negoziata. Non si affronta (su questo mi spendo da molto tempo) la questione di un rapporto più equilibrato tra produzione alimentare nazionale e grande distribuzione, che è ormai quasi completamente in mano estera.
Questa era l’occasione per introdurre (come ad esempio ha fatto anche la Francia) norme precise per quanto riguarda la possibilità di avere una riserva di spazio per le produzioni locali nelle superfici di vendita e per privilegiare coloro che hanno sottoscritto gli accordi interprofessionali. Quelli che faccio sono solo alcuni esempi.
I nodi strutturali sono rappresentati dall’innovazione nel campo energetico per quanto riguarda l’agricoltura; dovevano essere affrontati da tempo, ma purtroppo neanche questa volta ciò è avvenuto. (Richiami del Presidente).
Registriamo positivamente la stabilizzazione dell’IVA e lo spostamento del fondo di garanzia all’ISMEA per il credito agrario, ma credo che queste misure siano ben poca cosa davanti alla grave crisi di uno dei settori di punta e, potenzialmente, di ripresa della competitività del nostro Paese. (Applausi del senatore Manzione).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Franco Paolo. Ne ha facoltà.
FRANCO Paolo (LP). Signor Presidente, colleghi senatori, il problema del declino del "sistema Italia" ha cominciato ad essere discusso, con una certa insistenza, a partire dalla fine degli anni Novanta, allorquando politica ed imprenditoria cominciarono ad evidenziare la perdita di competitività del nostro Paese sui mercati internazionali: il Presidente della Repubblica, i rappresentanti delle associazioni imprenditoriali e sindacali, il Governatore della Banca d'Italia, economisti e studiosi hanno più volte, nel corso degli ultimi anni, evidenziato l'incapacità dell'Italia a competere sui mercati globali.
Vi sono, in effetti, numerosi indicatori economici che forniscono un quadro sufficientemente chiaro circa la perdita di competitività che sta caratterizzando il nostro Paese: l'Italia, ad esempio, occupa le ultime posizioni per il numero di brevetti presentati, investe (da sempre) poche risorse in ricerca e sviluppo e presenta una quota piuttosto esigua di laureati all'interno del mercato del lavoro.
Se si considera poi il "tasso di cambio effettivo dei manufatti" (che rappresenta un importante fattore di competitività) si nota che esso, dopo aver subìto un aumento a cavallo degli anni Settanta e Ottanta, a partire dal 1995 (in corrispondenza dell'ultima significativa svalutazione della lira) è stato caratterizzato da un costante peggioramento. I picchi peggiori si sono avuti proprio nel corso delle annate 1995-1996 e 2002-2003: essi denotano un notevole declino delle merci italiane sui mercati internazionali.
Conseguentemente la quota di esportazioni italiane sul totale delle esportazioni europee, a partire dal 1996, ha cominciato inesorabilmente a perdere terreno, nonostante la quota di export dei Paesi dell'Unione Europea, nello stesso arco temporale, non abbia registrato un simile andamento nei confronti dell'area OCSE. Anzi la suddetta quota, pur in presenza di un euro forte, è aumentata. Da ciò si deduce che la crisi di esportazioni che sta colpendo l'Italia non debba, erroneamente, essere considerata un problema prettamente europeo.
Anche a livello di crescita economica, il Paese ha recentemente registrato tassi molto più bassi rispetto a quelli dei principali partners europei. Se ci si limita ad un’analisi degli ultimi anni, si può affermare che la crescita europea, a differenza di quella italiana, si è affiancata a quella OCSE, mentre il nostro Paese in termini di PIL, di produzione industriale e di PIL pro capite non è stato in grado di reggere il passo e ha presentato degli indicatori negativi. Si può quindi affermare che il sistema Italia non solo ha rallentato rispetto alle principali economie avanzate, ma anche nei confronti di propri partner europei.
Secondo quanto rilevato nei rapporti annuali redatti dall’ISTAT, l'inizio di tale difficoltà ha coinciso con la fine della svalutazione della lira (anno 1996) e con il ridimensionamento (alquanto drastico) del differenziale di inflazione italiano. Tale differenziale, nonostante l'appartenenza all'Unione Europea, non si è completamente annullato e risulta tuttora superiore a quello della media europea. Anche per questa ragione il nostro Paese continua a perdere quote di mercato all'interno della Comunità europea.
Alla luce di quanto esposto, profondi interventi strutturali si rendono necessari non solo per proteggere la media e la piccola imprenditoria dagli attacchi delle aggressive (e scorrette) economie dell'Asia, ma anche per porre in essere tutte quelle riforme - nel mercato del lavoro, nel settore produttivo, nel sistema amministrativo e nella burocrazia pubblica più in generale - che risultano necessarie, in presenza di un mercato globale caratterizzato da sfide commerciali sempre più aspre e da crescenti livelli di complessità e di competizione.
La Lega Nord è sempre stata favorevole a qualunque tipo di iniziativa fosse volta a tutelare le imprese, contribuendo a difenderle dalla concorrenza, spesso sleale, esercitata dai principali competitori asiatici ed aiutandole a riconquistare le quote sui mercati internazionali; altresì inevitabile ed improcrastinabile risulta quindi l'attuazione di misure che siano finalizzate a rilanciare, nel più breve tempo possibile, il sistema Paese e la crescita economica. Tutti i provvedimenti e le riforme che verranno poste in essere allo scopo di ridurre l'impatto della burocrazia sull'economia e di snellire i rapporti che coinvolgono il sistema produttivo e le autorità del settore pubblico-amministrativo sono i benvenuti.
Il ricorso alla fiducia in questo caso diventa uno strumento operativo, vista la complessità degli argomenti trattati, delle misure proposte e soprattutto della consistenza emendativa rapportata ai tempi di conversione del decreto.
Non si dica, però, che non vi è stato dibattito nel merito: in Commissione bilancio in maniera assolutamente approfondita e in Aula sulle linee generali. Caso mai, se una critica deve essere mossa non è perché si è adottato questo provvedimento, ma perché è stato emanato solo ora. I segnali di difficoltà per la nostra economia c'erano tutti in maniera inequivocabile almeno un paio di anni fa. Ai buoni princìpi allora non sono seguiti tempestivamente (e ben venga quindi questo decreto) altrettanto efficaci azioni legislative.
Pensiamo solo al fatto che in questi giorni (il giorno 13, mi sembra) scadono i due anni concessi dalla legge delega sulla riforma fiscale, che invece in alcune importanti parti rimane ancora al palo.
Voglio fare due considerazioni finali: la prima, riguarda l’azione che l’Italia deve compiere nei confronti dell’Unione Europea per la tutela, con ogni strumento possibile (anche i dazi, anche il contingentamento) dei nostri prodotti minacciati dallo "tsunami" produttivo orientale. Abbiamo appreso con favore che qualcosina si sta muovendo, ma il nostro Paese deve fare di più.
Seconda considerazione: indipendentemente dalle ironiche affermazioni della sinistra in merito alle posizioni della Lega Nord su questo tema nell’alveo della maggioranza di Governo, voglio ripetere che noi crediamo ancora e più di prima che questi siano strumenti, pur temporali ma inderogabili per la salvaguardia delle nostre aziende.
Le condizioni produttive del lontano Oriente impediscono una reale concorrenza quale dovrebbe orchestrare l’Organizzazione mondiale del commercio. Per questo siamo rammaricati che nel decreto su cui è stata apposta la fiducia non vi siano più specifici, determinati richiami ad azioni nel senso ora auspicato.
Anche l’emendamento brillantemente elaborato dal relatore Izzo, cui faccio i complimenti per il lavoro svolto, andava in questa direzione. Sappiamo i limiti che poteva avere la nostra azione, ma meritava di essere approvato.
Comunque, se e non quando - perché spero non avvenga - l’attuale opposizione dovesse per conto proprio dibattere ed approvare un provvedimento analogo, vorrei ben vedere come saprebbe conciliare concorrenza ed abolizione della proprietà privata, l’internazionalizzazione delle nostre aziende e, magari, la nazionalizzazione di colossi attualmente in crisi. Una bella difficoltà. Ossimori - così li voglio definire - devastanti che inutilmente qualcuno cerca di nascondere. Mano a mano poi che si avvicineranno le scadenze elettorali politiche saranno nascosti ancora meglio. Non meriterebbero comunque, questi ossimori, la fiducia di alcun Parlamento, meno che mai quella dell’elettore. (Applausi dal Gruppo LP e del senatore Izzo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Ciccanti. Ne ha facoltà.
*CICCANTI (UDC). Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, la discussione di oggi non è ripetitiva di quella già svolta sul decreto-legge n. 35, ma riguarda la valutazione delle integrazioni del Governo al maxiemendamento e a tale linea mi atterrò.
Le vicende politiche di queste settimane, strettamente legate all’interpretazione del voto degli italiani e a ciò che ne è conseguito in termini di rinnovo del Governo, hanno dilatato i tempi di approvazione della legislazione predisposta dallo stesso Governo a sostegno della competitività.
In tal senso, le valutazioni politiche espresse dal collega Franco, di discutere non già del merito del provvedimento, perché il dibattito è stato, ampio e approfondito, quanto forse sul tempo in cui arriva al dibattito in quest’Aula, le condivido; non avendo richiesto il provvedimento grandi impegni finanziari, anche perché le risorse della nostra finanza pubblica non ci consentivano di destinarne di più. Pertanto, proprio per la limitatezza delle risorse che impegnava, ben poteva essere discusso in tempi molto più lontani e le azioni previste dal decreto-legge in esame, avrebbero avuto sicuramente una incidenza maggiore.
Quindi, la fiducia richiesta dal ministro Giovanardi mira a stringere i tempi e a mandare messaggi rassicuranti al mondo dell’economia, che guarda con grande interesse ed attenzione a questo provvedimento.
Gli sgravi IRAP per le aziende che assumono non possono aspettare! Il Mezzogiorno e le migliaia di disoccupati, non possono aspettare! Un mese in più senza paga, senza reddito, per un disoccupato rappresenta un’eternità!
Poche modifiche e solo qualche sorpresa per i cronisti, ha destato questo maxiemendamento. Tra di esse è rilevante lo stralcio dei quattro commi relativi alle norme sugli ordini professionali.
La Commissione bilancio - come dicevo - ha discusso a lungo ed in modo approfondito sull’intero decreto-legge presentato dal Governo e lo ha migliorato significativamente; in tal senso, mi associo agli apprezzamenti espressi nei confronti del relatore Izzo.
Uno degli interventi correttivi più importanti, proprio perché approvato all’unanimità, è stato lo stralcio del comma 8 dell’articolo 2, che vedeva l’allargamento delle competenze riservate ai professionisti aderenti agli ordini professionali, anche ad attività oggi lasciate al libero mercato delle prestazioni professionali.
La Commissione bilancio, anche su mia proposta, aveva riportato i confini delle competenze professionali nelle attività "riservate" agli ordini. In Italia ci sono 1.600.000 professionisti aderenti agli ordini professionali e 3.000.000 di professionisti che esercitano attività libero-professionali, alla pari di qualunque impresa erogatrice di servizi, guadagnandosi giorno per giorno i meriti sul mercato, senza protezioni e norme di salvaguardia.
La materia sarà sicuramente oggetto di una delega al Governo per il riordino delle professioni, sulla quale si è trovato già un equilibrio politico che, forse, merita di essere meglio definito. Nulla, quindi, è pregiudicato in merito a questo atteso provvedimento. Sta di fatto che il lavoro della 5a Commissione aveva dato un segnale preciso: niente più privilegi, niente più chiusure corporative. È quanto ha affermato la Commissione europea ed è ciò che ha ripetuto, proprio recentemente, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella riunione del 20 aprile scorso.
Tale decisione va proprio nel segno dell’intuizione avuta dalla 5a Commissione. L’Autorità ha segnalato, infatti, i possibili effetti distorsivi della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato, derivanti dalla normativa proposta dal Governo sul ruolo degli ordini che, per fortuna, dallo stesso Governo è stata stralciata.
Sono, invece, rimaste le deleghe per le modifiche al codice di procedura civile e per la disciplina del fallimento, di cui ha già parlato il collega Borea.
L’Associazione nazionale magistrati, con la usuale pretesa di rivendicare un potere giudiziario ed anche legislativo, ha fortemente criticato il fatto che "pezzi" di riforma della giustizia siano inseriti in un provvedimento legislativo riguardante la competitività.
Faccio osservare, al di là del merito delle norme, che hanno registrato invece una larga convergenza politica anche all’interno della Commissione giustizia, che è stato calcolato in mezzo punto di PIL il miglioramento della nostra economia nazionale derivante dalla riforma del diritto fallimentare. Tutti sanno che mezzo punto di PIL equivale a 6 milioni di euro, cioè 12 mila miliardi delle vecchie lire, che rappresentano una parte di manovra finanziaria, che consentirebbe un’ulteriore riduzione delle tasse.
Non dimentichiamo che il secondo modulo di riforma dell’IRPEF è costato 6 milioni di euro. Se avessimo a disposizione una tale cifra saremmo in grado di realizzare un’ulteriore riforma dell’IRAP per le micro e piccole imprese e saremmo, per esempio, in grado di introdurre, come l’UDC da tempo auspica, il cosiddetto "quoziente familiare", che mira a salvaguardare l’unità familiare, la famiglia in generale ma, soprattutto, le famiglie monoreddito.
In 5a Commissione è stato migliorato l’esercizio del "silenzio-assenso", generalizzando il principio in base al quale se la pubblica amministrazione, ossia la vituperata burocrazia, non risponde al cittadino e all’imprenditore entro un termine certo, che però spetta ad ogni Amministrazione stabilire, pur sempre nell’ambito di 90 giorni, il suo "silenzio" ha un valore di accoglimento della richiesta.
Per molti imprenditori che devono aspettare mesi o anni per avere un’autorizzazione edilizia per poter impiantare il proprio opificio, dare risorse all’economia e creare occupazione, credo che questo istituto giuridico rappresenti un grande e significativo intervento, per poter accelerare le pratiche per un insediamento produttivo. Pensate che rispetto ad un imprenditore italiano, che attende in media, per un’autorizzazione edilizia, 9-12 mesi, un imprenditore del Galles attende mediamente 2-3 mesi. Immaginate, quindi, come molte volte l’accelerazione dell’economia venga pregiudicata proprio da questi comportamenti della burocrazia, soprattutto locale, nei confronti di chi ha voglia di intraprendere.
Sia chiaro che la regola non riguarda i procedimenti amministrativi che ineriscono il patrimonio culturale, paesaggistico ed ambientale, cui si aggiungono gli atti del settore edilizio di competenza regionale, per la difesa nazionale e per l’immigrazione. Questo aspetto è abbastanza chiaro ed eviterei che una certa opposizione, fin troppo facilona, speculasse su di esso. È francamente deprimente sentir dire che la riforma del "silenzio-assenso" riguarda forme di tutela di abusivismo in aree protette.
Su queste deroghe la 5a Commissione è stata chiara e precisa. Come anche ha ricordato il ministro Baccini (ed è stato riportato da alcune agenzie di questa sera), questa norma anticipa un’altra grande novità, ossia l’abrogazione generalizzata delle norme non indispensabili anteriori al 1970, introdotta nel disegno di legge di semplificazione del 2005, che a breve sarà discusso da questa Assemblea. È una riforma che molti attendono dal momento che non si riesce più a vivere con questa pletora di leggi.
Un’altra norma significativa è stata introdotta dal Governo con il maxiemendamento e riguarda l’avviamento del programma di sviluppo e di acquisizione delle unità navali della classe FREMM, la fregata europea multimissione. Recentemente, lo stesso ammiraglio Birindelli aveva sollecitato il finanziamento del programma italo-francese per la costruzione di 27 fregate, di cui 10 in dieci anni per l’Italia, per rinnovare la flotta militare che naviga da oltre un quarto di secolo e non è più adeguata al sistema di difesa europeo. Si tratta di una spesa che va vista in prospettiva rispetto al dimensionamento triennale del programma finanziario previsto.
Non possiamo che aderire alla richiesta del Governo e approvare il maxiemendamento proposto perché rispettoso del lavoro parlamentare, interamente recepito dal Governo, dal momento che quest’ultimo, come ho ricordato, si è limitato soltanto a pochissime integrazioni.
Ritengo che questa non sia certamente la risposta esaustiva per la crisi del nostro sistema economico. Il declino industriale che molti riconducono a responsabilità di questo Governo trova le sue radici che risalgono ad oltre un decennio e quindi siano riconducibili anche ai precedenti Governi. Infatti, non si registra un declino così rapidamente, in tre anni.
Il tendenziale declino della nostra economia ha dovuto fare i conti sia con l’entrata in scena di nuove nazioni come la Cina e l’India, che hanno fatto ingresso nell’area dello sviluppo nella nuova organizzazione del commercio mondiale, che, soprattutto, con la crisi internazionale dovuta all’11 settembre 2001 e a due guerre (una con l’Afghanistan e una in Iraq) che, in qualche modo, hanno rallentato l’economia internazionale.
L'Italia era già in condizioni di arretratezza e queste situazioni hanno messo in luce vecchie carenze che si erano consolidate nel tempo. Questo provvedimento è un piccolo contributo; ne daremo altri. Abbiamo ancora un anno per governare e daremo all'Italia le risposte che merita e che la situazione richiede. (Applausi del senatore Grillotti).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Manzione. Ne ha facoltà.
MANZIONE (Mar-DL-U). Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, comprendere che cosa stia accadendo oggi nella maggioranza è veramente difficile; lo spettacolo di quest'Aula per coloro i quali sono presenti stasera al Senato è la testimonianza di qualcosa che non funziona. Potremmo quasi dire che è iniziata l'epoca dei saldi per una maggioranza senza più idee, che naviga a vista senza una rotta prefissata che ne indirizzi il cammino politico.
Al ministro La Loggia voglio dire che per quanto riguarda la questione di fiducia posta ieri dal Governo sul maxiemendamento, è lo stesso Governo che deve riuscire a convincere la propria maggioranza a votarlo. Sa già che da questi banchi non riceverà nessun consenso!
LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. E chi lo può dire? Magari si convincono.
MANZIONE (Mar-DL-U). Questo Berlusconi-ter riparte, dunque, con la scorciatoia della fiducia su un provvedimento che purtroppo - lo dico per il Governo ed anche per il Paese - perde appeal ed efficacia ancor prima di nascere.
Siamo al cospetto del solito decreto omnibus che, nelle nobili intenzioni del Governo, doveva partire dal Senato per incrociarsi con un provvedimento ordinario, cioè un disegno di legge, in gestazione alla Camera, rappresentando in maniera organica uno scenario per rilanciare la competitività del nostro sistema paese; competitività che nelle intenzioni del Governo avrebbe dovuto essere fatta di semplificazioni, incentivi, sostegni e quant'altro.
Alla fine, invece, sullo sgangherato veicolo omnibus partito dal Senato, con il maxiemendamento e la fiducia chiesta dal ministro Giovanardi, è salita larga parte delle proposte contenute nel provvedimento in discussione alla Camera, cerando un clima confusionario ed inqualificabile che ha indotto lo stesso relatore di Montecitorio, l'onorevole Crosetto, a dire: "Gli uffici della Camera stanno verificando quanto resta del disegno di legge; certo, non c'è più bicameralismo".
Ed ha ragione il relatore di maggioranza alla Camera: per questo sciagurato Governo non esiste più il bicameralismo e non esistono più le Aule parlamentari. Un esempio tipico è che al Senato la maggioranza voterà la fiducia su un testo (il maxiemendamento scritto su circa 70 pagine) che nessuno conosce, perché è il frutto di un veloce assemblaggio scriteriato, di una serie di norme contraddittorie e confliggenti.
Né miglior destino spetterà alla Camera, se è vero come è vero che sarà costretta in poco più di una settimana di lavoro ad esaminare prima in Commissione, e poi ad approvare in Aula un tale aborto giuridico che contiene notevoli sorprese, tutte, purtroppo, spiacevoli.
Nel maxiemendamento - come dicevo - è stato infilato di tutto, in dispregio ai Regolamenti parlamentari, superando quel "vincolo di omogeneità" - e mi rivolgo al banco della Presidenza - previsto dalla legge n. 400 del 1988 e quei richiami autorevoli alla "trasparente ed intelligibile razionalità dei provvedimenti legislativi", fatti in molte occasioni, e da ultimo con il messaggio di rinvio alle Camere della legge sull'ordinamento giudiziario dal Presidente della Repubblica Ciampi.
Presidenza del presidente PERA (ore 18,58)
(Segue MANZIONE). Certo, era necessario un provvedimento di politica economica capace di invertire la tendenza al ribasso della capacità competitiva del Paese. Ma - e mi rivolgo agli illustri colleghi che mi hanno preceduto - non dopo quattro anni di Governo dissoluto e dissennato e senza l'impiego delle risorse necessarie.
La perdita di capacità competitiva dell'Italia, che ha perso circa il 30 per cento della sua quota commerciale, scendendo dal 5 al 3,6 per cento nel sistema del commercio mondiale, non ci vede soddisfatti, perché noi avremmo voluto ereditare l'anno prossimo il Governo di un Paese in buona salute ed ottimista per il futuro. Ma così, purtroppo, non è.
Voi continuate a parlare di un Paese che non conoscete più e che non si riconosce in voi e nella vostra politica. Tutti speravamo, per il bene del Paese, che il restyling del Governo producesse, oltre che nuovi Ministri, Vice Ministri e Sottosegretari, anche accenni sostanziali ad una proposta reale su sviluppo e competitività (non era stato lo stesso Premier a sbandierare Mezzogiorno e competitività come le parole portanti del suo nuovo programma?), ma il maxiemendamento al decreto sulla competitività, cui è stata posta la fiducia, è la prova evidente che il Governo ha perso il pelo ma non il vizio.
Un esempio fra tutti, richiamato più volte oggi in quest'Aula, che è su tutti i quotidiani: la diminuzione da dieci a sei anni della pena per il reato di bancarotta fraudolenta che, di fatto, sarà cancellato grazie ai nuovi tempi di prescrizione.
In materia di giustizia, non è una novità, avete sempre pensato agli interessi della vostra coalizione, di coloro che ne facevano parte o che le erano vicini. Anche questa volta è stato così: consapevoli della vostra gestione politica fallimentare, reagite riducendo le pene ai bancarottieri, cioè a voi stessi, quelli che contribuiscono a determinare l'insolvenza di un sistema Paese che non siete capaci di far decollare.
Vergogna! Vergogna, perché grazie a questo provvedimento, come denunciato a più voci da tanti giuristi, si elimina sostanzialmente la totalità dei processi penali attualmente pendenti anche per fatti di bancarotta di estrema gravità. E quando parlo di fatti gravissimi, non posso non andare con il pensiero alle vicende (mi riferisco alla Cirio e alla Parmalat), che hanno coinvolto decine di migliaia di risparmiatori, i quali hanno perso tutti i loro averi. Anche la proposta di modifica della legge sul credito e sul risparmio dorme nei cassetti. Con questo provvedimento fate capire qual è la vostra strada maestra, qual è la stella polare che vi guida; vi limitate ad abbattere le pene per i bancarottieri.
Ma la sostanziale depenalizzazione della bancarotta fraudolenta non è l'unica proposta indecente contenuta nel decreto sulla competitività, perché anche sul Mezzogiorno si sono disvelati i falsi buoni propositi del Governo guidato dal presidente Berlusconi.
Non era stato trionfalmente annunciata l'immediata riduzione dell'IRAP sul lavoro e la sua totale abolizione in un triennio? Non era forse questo il principale, se non l'unico, impegno programmatico concreto assunto dal nuovo Governo Berlusconi dopo la svolta che ha segnato il definitivo tramonto, per conclamato fallimento, del "contratto con gli italiani"? In effetti, il primo segnale della svolta non si è fatto attendere. Con la norma che modifica estesamente il regime delle deduzioni dalla base imponibile IRAP, la maggioranza ha dato subito prova del rinnovato impegno riformatore del Governo in favore delle imprese e del Mezzogiorno, annunciando la quintuplicazione dei benefìci fiscali per i nuovi assunti delle imprese meridionali.
È l'effetto annuncio, quello che tante volte è rimbalzato in quest'Aula, sui giornali, in televisione. A ben guardare, purtroppo, si tratta di un bluff clamoroso, sotto tutti i profili. In primo luogo, per l'entità del beneficio sotto il profilo della bonus-incapienza.
Qual è in concreto il beneficio atteso per le imprese del Mezzogiorno? Praticamente nessuno, a meno di ritenere che ci siano al Sud molte imprese disposte a sostenere, per ciascun nuovo assunto, un costo del lavoro pari o superiore a 100.000 euro, in modo da beneficiare in pieno del bonus fiscale!
Inoltre, a quali scelte di politica economica corrisponde una differenziazione territoriale così accentuata dell'importo massimo deducibile del costo del lavoro? Si ritiene forse che il Mezzogiorno stenti a crescere per la difficoltà relativa delle imprese meridionali di assumere dirigenti di alto profilo?
Ma il bluff più clamoroso è realizzato attraverso le disposizioni di copertura finanziaria. In primo luogo, la mancanza di relazione tecnica rende del tutto oscuro il criterio di calcolo degli oneri che deriverebbero dalla nuova disciplina IRAP e la conseguente stima di copertura finanziaria.
La relazione tecnica avrebbe, tra l'altro, consentito di evidenziare quante imprese del Mezzogiorno e delle altre aree depresse del Paese, secondo il Governo, sarebbero concretamente raggiunte dal nuovo bonus e con quale importo medio per nuovo assunto, rendendo con ciò trasparente la vera natura e portata dell'intervento.
Quanto al reperimento delle maggiori risorse che per questa via sarebbero destinate alle imprese meridionali, la soluzione è addirittura provocatoria: la copertura è posta in capo al "Fondo per le aree sottoutilizzate", già destinato al finanziamento di una pluralità di strumenti di agevolazione per le stesse aree del territorio!
In buona sostanza, per rendere intellegibile il mio messaggio, quello che intendo dire è che si pesca nella stessa tasca che si finge di voler riempire. Complimenti! Queste sono i provvedimenti e le misure varate per il Mezzogiorno e per il Sud.
Mi dispiace dirlo ma, per il bene del Paese, questa maggioranza avrebbe fatto bene a decidersi di andare a nuove elezioni. Avreste così interrotto un’agonia irresponsabile che renderà più difficile realizzare ogni seria ipotesi di ripresa. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U e del senatore Tommaso Sodano).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Semeraro. Ne ha facoltà.
SEMERARO (AN). Signor Presidente, signori colleghi, ho colto un passaggio nell’ultimo intervento del senatore Manzione che mi ha, per la verità, un po’ meravigliato: mi riferisco alla sua affermazione "vergogna", riferita al Governo per gli interventi e per quanto sta facendo.
Vorrei partire da questo punto perché credo che sia per noi oltremodo agevole ribaltare l’affermazione e esprimere la nostra vergogna per un voto contrario ad un provvedimento di così vitale importanza per tutto il nostro territorio. Quindi, sarebbe facilissimo per me farlo.
MANZIONE (Mar-DL-U). Ritirate la fiducia e poi discutiamo!
PRESIDENTE. Senatore Manzione, ha appena terminato un suo lungo, articolato ed approfondito intervento. E’ forse necessario un supplemento?
SEMERARO (AN). Credo che tutto si stia giocando sul piano della esasperazione della avversità politica. In sostanza, stiamo dicendo che soltanto perché si tratta di un provvedimento varato da una coalizione di centro-destra e solo per questa ragione è opinabile, non è accettabile né condivisibile… (Applausi del senatore Izzo) …e da votare negativamente. Non vi sono altre giustificazioni! Se si guarda per bene il provvedimento e lo si legge con la dovuta attenzione - e sono certo che lo avete fatto - non mi sembra si possa giungere ad affermazioni, come quelle di poco fa del senatore Manzione.
Si tratta di un provvedimento rilevante, che riguarda un po’ tantissimi settori: interviene nel settore della ricerca, degli investimenti, a sostegno delle nostre piccole e medie imprese. Non voglio, però, parlare di tutto questo poiché è già stato fatto e vi si sono abbondantemente intrattenuti anche i miei colleghi di coalizione.
Siamo orgogliosi di questo provvedimento perché incide in maniera decisa e determinante anche sul terreno dell’operatività giuridica e nel senso dell’amministrazione della giustizia. Questo provvedimento avvicina moltissimo la giustizia al cittadino e non possiamo accettare né condividere le affermazioni, secondo le quali questo provvedimento finirebbe per salvaguardare coloro che sono coinvolti in un reato di bancarotta, a parte la considerazione che un’affermazione di questo genere fatta da un avvocato è più difficile da condividere!
Debbo evidenziare che mai come in questo caso, leggendo il testo di legge, si ha la possibilità di valutare pienamente una completa disamina delle varie ipotesi di bancarotta che ovviamente non possono e non debbono essere trattate nella stessa misura.
Quindi, mi pare oltremodo giusto che venga valutata la bancarotta più grave con un sistema sanzionatorio adeguato e venga, per esempio, valutata la bancarotta preferenziale, che è quella meno grave, con un sistema sanzionatorio meno elevato. Una cosa, però, è certa: la pena edittale per la bancarotta resta decisamente alta.
D'altra parte, certamente su questo argomento non possiamo accettare lezioni, perché mi pare che sempre, in qualsiasi momento, da parte dello schieramento di centro-sinistra si sia alzato l'indice accusatore contro questa coalizione, sostenendo essere noi degli accesi sostenitori delle pene più gravi. I problemi seri non sono quelli dell'individuazione del sistema sanzionatorio adeguato per un reato di bancarotta. Credo che il sistema giustizia vada opportunamente rivisto laddove si tratta di amministrazione delle sanzioni, delle legittimazioni e delle agevolazioni ai nostri detenuti, per evitare, per esempio, che si verifichino fatti gravissimi come quello che è stato riportato dai giornali in questi giorni, un caso gravissimo che ha offeso l'intera Nazione.
MANZIONE (Mar-DL-U). È la legge Simeone!
SEMERARO (AN). A mio parere, dobbiamo in parte spogliarci delle vesti rigidamente politiche. Abbiamo chiesto più volte una forma di collaborazione e di dialogo per cercare di realizzare, soprattutto quei provvedimenti capaci di avere la migliore ricaduta possibile. Purtroppo, per quante volte sia stato chiesto, questo dialogo non è mai stato realizzato perché, pur di fronte a provvedimenti che certamente rappresentano un enorme passo avanti per lo sviluppo, ci siamo sempre trovati di fronte ad un netto, inconsistente e ingiustificato rifiuto.
Intendo soffermarmi brevemente sul nuovo sistema del codice di procedura civile e sulle novità, introdotte in tema di legge fallimentare, norme vecchissime che non sono mai state toccate. Mi sarei aspettato delle affermazioni positive in questo senso, anche in considerazione del fatto che questa evoluzione di studio per quanto riguarda, soprattutto, il codice di procedura civile, è stata oggetto di valutazione profonda nell'ambito della Commissione giustizia ed oggetto di un emendamento firmato all'unanimità da tutti i componenti della stessa, per cui - ripeto – per lo meno in riferimento a questo mi sarei aspettato una considerazione diversa.
Con grande franchezza, se dovessimo guardare a tutto quello che è stato fatto nei cinque anni di Governo di centro-sinistra - mi riferisco al 1996 e al 2001 - davvero c'è da considerare che non è stato approvato un solo provvedimento degno di nota; si è trattato soltanto di una crisi continua, di un susseguirsi di rappresentanze governative, senza nulla di fatto.
Ecco perché, si può pure accettare il rimprovero, o si può pure accettare che si diano delle indicazioni diverse, ma credo sarebbe opportuno che, prima di dare delle indicazioni, ognuno rientrasse in se stesso, valutasse, studiasse e soprattutto riflettesse su ciò che è stato capace di produrre allorquando era al Governo.
Noi non diciamo: avete sbagliato e, se vi sostituiremo, faremo meglio di voi, perché voi siete già stati al Governo e abbiamo già avuto modo di valutare la vostra operatività, decisamente in maniera negativa.
Per concludere, aggiungo che non credo sia molto il caso di rivestirvi di una nota di particolare favoritismo, come se vi fosse già assegnato il successo elettorale del 2006. Non sarei molto sicuro di questo, perché dovremo valutare sia il voto finora espresso, studiandone gli effetti, le provenienze, le giustificazioni, e soprattutto tenendo presente la sostanziale differenza fra un voto a carattere regionale e un voto a carattere nazionale. Soprattutto, se fossi in voi, non sottovaluterei assolutamente l'efficienza e l'operatività di questa aggregazione politica che, quand'anche non avesse prodotto nulla nei quattro anni passati, certamente sarà nelle condizioni di produrre molto in questo anno che ancora rimane.
Continuo allora a sostenere la mia meraviglia per il vostro voto contrario. Al limite, per il metodo, che sotto certi aspetti fornisce argomenti di critica, mi sarei aspettato un voto di astensione, che forse sarebbe stato più giustificato. (Commenti dai banchi dell’opposizione).
BATTAGLIA Giovanni (DS-U). Sul voto di fiducia l’astensione?
SEMERARO (AN). Posso esprimere il mio parere?
PRESIDENTE. Colleghi, per favore, fate proseguire in silenzio il senatore Semeraro, così come lui ha fatto con voi? Orsù, reciprocità. Per i commenti sono a disposizione agenzie di stampa, giornali, eccetera.
Prego, senatore Semeraro.
SEMERARO (AN). Ecco perché all’inizio ho parlato, egregio collega, di un’esasperazione dell’avversità politica, perché secondo me il discorso va valutato intrinsecamente e in riferimento al provvedimento specifico.
Io se fossi in voi non riderei tanto, perché non credo che ci siano le condizioni e neanche i modi per ridere tanto. Penso piuttosto che forse sarebbe opportuno valutare quello che è stato fatto.
In riferimento al codice di procedura civile sono state introdotte innovazioni estremamente importanti e chi è avvocato questo lo comprende bene. Ma soprattutto intendo sottolineare l’innovazione riguardante non soltanto il giudizio di cognizione, ma anche quello di esecuzione, un procedimento che ha sempre ossessionato le aule di tribunale e ha affannato tutte le cancellerie. Abbiamo persino ripensato al procedimento per la separazione dei coniugi. E poi - grandissima innovazione - abbiamo consentito che le deleghe per l’espletamento delle esecuzioni immobiliari venissero concesse non soltanto ai notai, come è avvenuto fino adesso, ma anche agli avvocati, ai commercialisti e ai periti commerciali, ciò per dare la possibilità a un nutrito gruppo di professionisti italiani di partecipare attivamente alla vita giuridica del nostro Paese. Evidentemente chi non è avvocato ha ben ragion di ridere; mi meraviglierei se a ridere fosse un avvocato. Ma la realtà è questa, cioè che vi è stato un intervento preciso e determinato un po’ dappertutto.
A proposito della bancarotta, respingiamo le accuse e le invettive, perché sono tutte destituite di fondamento.
Con grande determinazione e convinzione voteremo a favore di questo provvedimento e confermeremo, per tale ragione, la fiducia al Governo. (Applausi dal Gruppo AN e del senatore Izzo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Bassanini. Non essendo presente in Aula, si intende che abbia rinunciato.
È iscritto a parlare il senatore Sodano Tommaso. Ne ha facoltà.
SODANO Tommaso (Misto-RC). Signor Presidente, siamo di nuovo alla richiesta del voto di fiducia su un provvedimento, a meno di una settimana dalla fiducia al Governo appena uscito da una crisi (formalmente) e questa volta sul decreto sulla competitività, su cui questa maggioranza aveva riposto grande aspettativa.
Ha ragione il collega Semeraro: c’è poco da ridere. La crisi economica in cui versa l'Italia è sempre più grave. Gli ultimi dati congiunturali confermano una drammatica accelerazione di una tendenza al declino che ormai da anni affligge la nostra economia.
La crescita del PIL è stata inferiore negli ultimi dieci anni alla media europea e nei quattro anni di Governo Berlusconi il divario con l'Europa è ulteriormente peggiorato. Dunque, l'Italia non solo non regge il passo con le economie di Paesi come la Cina e gli Stati Uniti, ma perde colpi anche nei confronti di Paesi europei come Francia e Germania.
Alla cronica situazione di perdurante stagnazione della crescita economica, si sono aggiunti i problemi derivanti dal risorgente vincolo estero. Dopo dodici anni la bilancia commerciale italiana è tornata ad essere strutturalmente in deficit, nonostante lo scarso dinamismo della domanda interna.
È questo l'ultimo, evidente segno di una profonda crisi dell'apparato manifatturiero italiano, che ormai è incapace di reggere alla concorrenza estera, anche in quei settori che per decenni sono stati il punto di forza delle nostre esportazioni (il tessile, l’abbigliamento, le calzature, i mobili).
Il deficit commerciale sta ormai trasformando la crisi industriale, segnata da un costante declino della produzione e dell'occupazione (non più limitata alle grandi imprese, ma ormai dilagante anche nei distretti industriali), in un vincolo strutturale macroeconomico che rischia di strangolare l'intera economia, ponendo una pesante ipoteca rispetto a un possibile rilancio futuro.
La crisi della FIAT non vede sbocchi: nel mese di aprile la società ha immatricolato l'8,8 per cento in meno di auto rispetto ad un anno fa, e la sua quota di mercato è scesa al 27,21 per cento. Da ieri altri 1.500 impiegati e tecnici del gruppo sono in cassa integrazione per tredici settimane e si aggiungono ai 1.700 di Termini Imerese, fabbrica chiusa da marzo e sino al prossimo ottobre, e alla rotazione della cassa integrazione che riguarderà tutti gli stabilimenti.
In realtà, nonostante le rassicurazioni dei vertici aziendali che dicono di privilegiare la qualità e la redditività delle vendite, non si intravedono sbocchi per il futuro dell'auto nel nostro Paese e il Governo non ritiene di intervenire, lasciando al proprio destino la più importante industria del nostro Paese.
I dati del 2004 ci parlano di una crescita dell'occupazione di 167.000 unità, quasi tutte concentrate nel Centro-Nord e in larga parte rappresentate da forme di lavoro precario, mentre nel Sud c'è un calo degli occupati dello 0,4 per cento e i giovani anche diplomati e laureati sono costretti alla piaga dell'emigrazione.
L’ISTAT in questo contesto dà numeri da propaganda, creati con una metodologia che non rispecchia la realtà delle cose. Periodicamente veniamo sottoposti al tormentone di retribuzioni e salari che correrebbero più velocemente dell'inflazione, rendendo incomprensibili i dati della stessa ISTAT che ci parlano di una contrazione della domanda interna e del crollo della produzione industriale.
Non è questa la fotografia del Paese, dove la metà dei lavoratori italiani è senza contratto. Tra di loro i casi più eclatanti sono quelli dei metalmeccanici e dei lavoratori del pubblico impiego che attendono il contratto da sedici mesi, e la perdita del potere d'acquisto ha raggiunto un livello intollerabile. Dire che le retribuzioni aumentano più dell’inflazione significa negare l'evidenza, e soprattutto offendere chi sulla propria pelle vive il disagio di non riuscire ad arrivare a fine mese.
Come se non bastasse, anche la situazione dei conti pubblici si è deteriorata. Il paradosso di questa condizione è che l’esplosione del deficit pubblico non è servita affatto a mettere in atto politiche economiche espansive di tipo strutturale, dal lato della domanda e dal lato dell'offerta, per ridare fiato e stimolo all'apparato produttivo. Al contrario, l'Italia si avvia verso una nuova emergenza finanziaria pubblica nonostante le misure di restrizione delle spese sociali e produttive che in questi quattro anni hanno caratterizzato le manovre economiche del Governo.
Il crescente deficit pubblico non è dovuto quindi per nulla a politiche macroeconomiche orientate alla crescita, ma è l'effetto inevitabile di provvedimenti tesi a salvaguardare gli interessi della rendita finanziaria e dei ceti più abbienti del Paese, come sono state le misure una tantum, sostanzialmente fondate sulla pratica generalizzata dei condoni, che hanno portato ad una riduzione strutturale delle entrate fiscali ordinarie, e la riduzione dell’IRPEF per i contribuenti più ricchi. Ci troviamo quindi di fronte ad un fallimento totale, su tutta la linea, della politica economica e sociale del Governo, che è primo responsabile dell'accelerazione drammatica della crisi.
Questo provvedimento sulla competitività è l'ennesimo esempio dell'assoluta incapacità del Governo nel fronteggiare la situazione. Esso è il frutto di un anno di discussioni dentro la maggioranza ed era stato annunciato come uno strumento straordinario e forte per rilanciare l'apparato produttivo. Ci troviamo di fronte invece ad un'accozzaglia di provvedimenti disparati, privi di una strategia coerente di lungo periodo e del tutto marginali o addirittura insignificanti rispetto all’obiettivo dichiarato. Una sorta di legge finanziaria omnibus in scala ridotta.
Innanzitutto appare del tutto inadeguato dal punto di vista delle risorse finanziarie. Nulla in confronto a quanto stanno facendo i nostri vicini europei; la Francia, ad esempio, pur trovandosi in una condizione economica di gran lunga migliore della nostra, ha stanziato, soltanto per progetti straordinari di potenziamento delle attività di ricerca e sviluppo, 2 miliardi di euro nel solo 2005.
L'ostacolo all'ammodernamento produttivo non proviene affatto dalle rigidità della manodopera, ma dall'assenza di prospettive strategiche e di sbocchi credibili per le imprese; senza mettere contemporaneamente in campo una programmazione strategica dello sviluppo, in grado di indirizzare le imprese verso una riconversione delle proprie attività attraverso innovazioni di processo e di prodotto, risulta un'operazione del tutto insufficiente, un palliativo destinato a non produrre effetti duraturi.
Presentando il nuovo Governo avete detto che si sarebbe ripartiti dal Mezzogiorno, ma la prima misura va nella direzione esattamente opposta: si prendono 9 miliardi di euro dal Fondo per le aree sottoutilizzate per garantire gli investimenti per la realizzazione delle infrastrutture strategiche e per la riqualificazione delle aree urbane di tutto il Paese.
In realtà, si decide di abbandonare al proprio destino il Mezzogiorno del Paese, favorendo una linea di investimenti che rende subalterno il Sud. Si mobilitano tutte le risorse del Sud per privilegiare le grandi infrastrutture strategiche del Centro-Nord.
Noi riteniamo che si debba procedere invece verso un nuovo modello di sviluppo, che sappia coniugare nuove iniziative a sostegno dell'economia con la definizione di un ruolo complessivo del Mezzogiorno nella soluzione dei gravi problemi del nostro Paese. Di fronte alla crisi globale che investe tutta l'economia, in uno scenario delle grandi contraddizioni della globalizzazione, dobbiamo tentare la strada di ripensare al Mezzogiorno non più come "palla al piede", ma come elemento fondante della speranza di cambiamento.
Dal Sud può partire il contributo per superare la fase di declino del Paese, che ha subìto una brusca accelerazione con questo Governo.
C'è bisogno, a nostro avviso, di ripensare ad un spazio pubblico di intervento, per rafforzare dopo anni di assenza la struttura democratica e produttiva della società meridionale, per arginare il processo di smantellamento progressivo dell'industria statale e di settori produttivi strategici, investendo sulla ricerca e sulla qualità ambientale, indispensabile per una ripresa del settore turistico.
In questo scenario, che richiederebbe una visione alta delle scelte di politica economica, questo Governo propone un provvedimento che ha scarso respiro, raffazzonato, in cui manca un quadro di riferimento, in cui si possa cogliere in modo intelligibile la capacità di uscire dalla crisi, e su cui non si può che esprimere un giudizio fortemente negativo.
Occorrerebbe invece mettere in atto una profonda svolta di politica economica, di cui non vi è la minima traccia nel provvedimento alla nostra attenzione; una terapia d'urto per rilanciare la domanda interna, con interventi di redistribuzione del reddito, e per rafforzare l'offerta, con la ripresa di un nuovo intervento pubblico in una logica di programmazione strategica dello sviluppo, per ridare dignità al lavoro contro la degenerazione della precarietà e della mercificazione del lavoro.
Il decreto-legge sulla competitività su cui ponete la fiducia, espropriando il Parlamento delle sue prerogative, è l'ennesimo spot propagandistico di questo Governo che non servirà per rilanciare l'economia italiana in profonda crisi.
In realtà, avete scelto la linea minimalista, in coerenza con la vostra impostazione neoliberista che si affida alle virtù salvifiche del libero mercato, e che purtroppo produrrà una inevitabile accentuazione del declino economico del Paese. (Applausi del senatore Flammia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Izzo. Ne ha facoltà.
IZZO (FI). Signor Presidente, signor Ministro, signor Vice ministro, colleghi, ormai la discussione su questo provvedimento volge alla fine. Domani mattina vi saranno le dichiarazioni di voto e il voto e, grazie all’attività di questo Governo, anche attraverso la fiducia, avremo finalmente un provvedimento che non ha certo l’ardire di pensare di aver risolto i problemi del Paese, ma che ne ha certamente avviato nella giusta direzione la soluzione dei problemi del Paese, il rilancio della nostra economia e la capacità di mettere, finalmente, da parte la parola "declino".
Ho ascoltato tutti gli interventi. Alcuni hanno sottolineato il lavoro svolto dal 22 marzo scorso, cioè da quando è iniziato l’esame del provvedimento in Commissione. Ho già detto a suo tempo che questo lavoro mi è piaciuto, perché è stata affrontata una tematica varia e variegata, attraverso il confronto di posizioni diverse, soprattutto all’interno della Commissione, perché si elaborasse un provvedimento ridotto nelle sue disponibilità economiche, ma certamente finalizzato a dare risposte.
Devo dire che è difficile, egregi colleghi, interloquire con interlocutori che mentono sapendo di mentire. Ecco la gravità del problema. Ho ammirato, invece, una serie di interventi, da ultimo quello del senatore Calvi, che con onestà intellettuale ha chiarito la posizione della Commissione giustizia e di questo Parlamento in materia di bancarotta. Il collega Semeraro ha poi chiarito quale fosse la realtà, e cioè che l’emendamento della Commissione giustizia era stato elaborato all’unanimità (egli stesso è un componente di quella Commissione).
Leggevo che il buon Rutelli, non sapendo cosa fare, comincia a parlare anche di bancarotta: beato lui che riesce a spaziare su tutto lo scenario dell’attività del Parlamento! Parla, probabilmente, senza sapere quello che dice. Invece, sarebbe stato opportuno che avesse ascoltato o che leggesse l’intervento del senatore Calvi, non il nostro, che potrebbe essere un intervento di parte.
Abbiamo dato al Governo una delega per la riforma del codice di procedura civile e delle procedure concorsuali. Si tratta di due riforme fondamentali per il nostro Paese, a costo zero.
Probabilmente, siamo arrivati in ritardo, perché avremmo dovuto intervenire prima, ma la "macerazione" con la quale sono stati affrontati questi due argomenti ci ha portati ad investire un bel po’ di tempo. L’invito che ritengo di rivolgere al Governo è quello di non utilizzare tutto il tempo che ha richiesto per la delega, ma di abbreviarlo, perché il Paese ha bisogno della riforma del codice di procedura civile e della legge fallimentare. Siamo ormai a sessanta-settanta anni dalla data in cui essi sono stati emanati.
Cosa ha fatto il centro-sinistra negli anni in cui ha governato il Paese? Cosa ha fatto in risposta alle nostre aspettative? Ha interloquito. I più sereni hanno fornito indicazioni capaci di dare le risposte che i cittadini si aspettavano.
A me dispiace quanto è accaduto per la riforma delle professioni, rispetto alla quale il presidente Pera, in maniera molto corretta, ha invitato il Governo a ritirare la delega, dal momento che lo stesso risultava dimissionario. In ogni caso, quanto prima dovremo intervenire per liberalizzare e regolamentare in maniera diversa il mondo delle professioni e delle associazioni, affinché si possano creare le condizioni per un Paese più moderno.
Lo stesso dicasi a proposito dell’articolo 3, in tema di silenzio-assenso. Era ingiusto e indecoroso che un’amministrazione trattenesse una richiesta per nove, dieci o undici mesi. Noi, invece, abbiamo indicato un termine draconiano, rispetto al quale il cittadino ha la certezza di ottenere determinate risposte.
Certo, come ricordava un collega, abbiamo creato l’Alto commissario per la lotta alla contraffazione su input di altri, ma anche su input di una serie di emendamenti emersi dal dibattito avuto con il ministro Urso. Personalmente, sono convinto che questa discussione imperniata sul tema della competitività sia in grado di sostenere la posizione del Governo italiano nell’Unione Europea: vi sono, infatti, decisioni che devono essere assunte in quella sede, avendo noi delegato la difesa dei nostri prodotti nel mondo.
Per quanto riguarda la procedura d'urgenza riguardante la Cina e altri Paesi che hanno moltiplicato all’inverosimile le percentuali di esportazione conquistando grosse fette di mercato non solo italiano ma anche francese, tedesco e di altri Paesi dell’Unione Europea, l’Unione Europea stessa ha sostenuto l’azione portata avanti dal Governo italiano e quanto prima arriveremo all’emissione di norme di salvaguardia.
Per quanto concerne gli interventi finalizzati allo sviluppo infrastrutturale, abbiamo accelerato enormemente l’iter di alcune norme e abbiamo creato una serie di condizioni per cui finalmente si possono portare a termine le opere infrastrutturali.
Il centro-sinistra si lamenta, ma cosa ha prodotto dal 1992 in poi in termini di opere infrastrutturali? Ormai da decenni il nostro Paese non assiste più alla realizzazione di opere infrastrutturali. Certo, siamo in ritardo, ma siamo dovuti ripartire da zero; abbiamo dovuto creare le condizioni per poter ripartire. Non abbiamo ancora potuto applicare pienamente la legge obiettivo, che sta iniziando ora a produrre i propri effetti. Abbiamo sostenuto fortissimamente la logistica, abbiamo riformato gli incentivi.
Ora vorrei parlare da uomo del Mezzogiorno d’Italia. Abbiamo riformato bene gli incentivi e - consentitemi di usare questa espressione - in qualità di imprenditori del Mezzogiorno e di uomini che rappresentano le istituzioni, siamo contenti; non potevamo essere soddisfatti di come finora erano state distribuite le risorse pubbliche.
Certo, queste sono state anche tagliate, ma finalmente questo Governo ha recuperato la definizione "Mezzogiorno d’Italia"; attraverso un intervento sull’IRAP, sulla media delle occupazioni dell’anno precedente si è riusciti a distinguere, nell’ambito delle aree sottoutilizzate del Paese, fra aree di cui all’obiettivo 1 (Mezzogiorno d’Italia) e aree di cui all’obiettivo 2 (le altre aree sottoutilizzate del Paese), arrivando a quintuplicare la riduzione della base imponibile fino ad un tetto di 100.000 euro di abbattimento ogni cinque nuovi assunti e triplicandola per le altre aree sottoutilizzate.
Riprendendo le dichiarazioni del presidente Berlusconi in occasione della presentazione del Governo Berlusconi-bis, questa non è soltanto un’espressione; inizia ad essere una considerazione. Siamo convinti che questo Governo sarà attento, attentissimo, alle nostre problematiche.
Cosa abbiamo fatto in tema di incentivi? E’ stato eliminato il 50 per cento del fondo perduto, ridotto al 25 per cento; abbiamo acconsentito che un ulteriore 25 per cento fosse a tasso agevolato e il restante 50 per cento con prestito ordinario, coinvolgendo la banca che istruisce la pratica.
In questo modo possono essere verificate le effettive potenzialità dell’imprenditore. È pur vero che ci saranno maggiori difficoltà, ma noi che viviamo nel Mezzogiorno d’Italia, noi che viviamo in Campania, abbiamo visto molte aziende lucrare sugli interventi dello Stato; non mi riferisco soltanto agli imprenditori del Mezzogiorno, ma anche a quelli di altre Regioni d’Italia, che sono venuti da noi a costruire cattedrali che sono rimaste lì, mai terminate, prendendoci in giro e determinando - in quel caso sì - grande disoccupazione, essendo state tradite le aspettative delle nostre realtà.
Dobbiamo invece orientarci a sostenere un’imprenditoria del Mezzogiorno che sia capace di pescare nella suscettività del territorio. Bene si è fatto ad intervenire sull’ENIT: lo abbiamo trasformato e lo stiamo sostenendo; dobbiamo puntare sulla suscettività del territorio, quindi sul turismo.
Ancora oggi la senatrice Donati ha fatto cenno all’ipotesi di Tremonti di una vendita delle spiagge; probabilmente, aveva tarato il proprio intervento rispetto alla scorsa settimana, quando non si era riusciti a chiarire la vera idea del vice presidente Tremonti. Che cosa aveva detto? Aveva detto "allunghiamo le concessioni": oggi le concessioni vigono per sei anni, lui aveva pensato di allungarle. Certamente, da allungare le concessioni a parlare di vendita ce ne corre!
Tuttavia, questa è la situazione che stiamo vivendo, una situazione in cui ormai qualsiasi cosa dica un rappresentante del Governo o del centro-destra la sinistra deve irridere o riferire cose che non sono mai state dette. Questo è il vero problema che oggi ci affligge: una grande incapacità di comunicazione!
Il senatore Semeraro ha accennato un invito alla sinistra quantomeno ad astenersi sul provvedimento. Certo, non siamo assolutamente convinti che questo decreto sia il toccasana per la nostra economia e che cada in un momento tale per cui non appena approvato saranno avviati a risoluzione i nostri problemi. Tuttavia, abbiamo avviato un forte processo e su questo punteremo nei prossimi mesi di fine legislatura.
Siamo convinti che l’azione di questo Governo, come quella dei precedenti, metterà il Paese nelle condizioni di rendersi conto della necessità di sostenerlo, non già e non soltanto per non affidare solo ad una parte politica il governo degli enti locali e il Governo nazionale, ma soprattutto per premiare l’impegno finora prodotto e quello che saremo capaci di portare avanti avviando a soluzione problemi che hanno sempre afflitto il nostro Paese.
Inoltre, siamo intervenuti sulle ONLUS e sul terzo settore. Abbiamo recuperato, dopo un forte e lungo dibattito in Commissione, il testo precedente, inserendovi una serie di associazioni e di enti di ricerca che prima non vi erano previsti e creando quindi un’altra sinergia tra il mondo del volontariato, quello della ricerca (pubblica e privata), i cittadini, le associazioni e le fondazioni che hanno avuto riconoscimenti.
Infine, un altro elemento positivo che nessuno sottolinea e che il vice ministro Vegas ricorderà certamente è il fatto che in Commissione è stata esaminata una serie di emendamenti, presentati da molti colleghi, anche dell’opposizione, e che un emendamento del relatore ha rappresentato la sintesi non soltanto di quello che chiedeva la Commissione ma anche delle richieste della maggioranza.
Mi riferisco agli interventi per l’industria per la difesa, a sostegno dell’avvio della costruzione di nuove fregate. Ebbene, il Governo, con un forte sacrificio, date le condizioni di ristrettezza economica in cui ci troviamo, ha reintrodotto l’aiuto all’industria per la difesa, dando così risposta non soltanto ad un’area territoriale del Paese o ad un’industria, ma al nostro Paese nel complesso, dotandolo di ulteriori navi.
Concludendo il mio dire, posso affermare che avremmo voluto fare ancora di più di quel che abbiamo fatto. Probabilmente, se le condizioni economiche generali non soltanto del nostro Paese e dell’Europa, ma del mondo intero lo avessero consentito, saremmo intervenuti in misura ben più efficace. Tuttavia, siamo soddisfatti del lavoro svolto e siamo anche convinti che la querelle determinatasi sulla fiducia sia fuori luogo.
Il decreto in esame scadrà il prossimo 15 maggio; deve ancora essere esaminato dalla Camera, e di ciò mi dolgo per i colleghi dell’altro ramo del Parlamento, che probabilmente non riusciranno a dibatterlo, ma che comunque lo hanno vissuto insieme a noi, seguendo i lavori della nostra Commissione e verificandone l'andamento.
Dal testo abbiamo espunto una serie di interventi ed ora è necessario portarne a termine l’esame, e non già perché il Governo Berlusconi non ritenga di avere la maggioranza in Aula alla Camera o al Senato. Ahimè per voi, cari colleghi dell'opposizione, la maggioranza il Governo Berlusconi ce l'ha anche alla Camera, ma soprattutto l'avrà l'anno venturo, quando ci presenteremo ancora alle elezioni ed il Paese darà ancora fiducia al Governo di centro-destra ed al presidente Berlusconi. (Applausi dal Gruppo FI).
PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione sulla questione di fiducia.
Rinvio il seguito della discussione del disegno di legge in titolo ad altra seduta.
SENATO DELLA REPUBBLICA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾ XIV LEGISLATURA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾
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792a SEDUTA |
PUBBLICA |
RESOCONTO STENOGRAFICO |
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MARTEDI’ 4 MAGGIO 2005 (Antimeridiana) |
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Presidenza del presidente PERA,
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Seguito della discussione del disegno di legge:
(3344) Conversione in legge del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale (Relazione orale)
Seguito della discussione e approvazione della questione di fiducia
Approvazione, con modificazioni, con il seguente titolo: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge n. 3344.
Ricordo che nella seduta pomeridiana di ieri ha avuto luogo la discussione sulla questione di fiducia posta dal Governo.
Passiamo ora alla votazione dell'emendamento 1.2000, presentato dal Governo, interamente sostitutivo dell'articolo unico del disegno di legge n. 3344, sull'approvazione del quale il Governo ha posto la questione di fiducia.
MARINO (Misto-Com). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARINO (Misto-Com). Signor Presidente, sono già intervenuto sul provvedimento in discussione generale; pertanto, per ragioni di tempo, mi richiamerò alle dichiarazioni espresse in quella sede. Desidero aggiungere solo che, malgrado le modifiche apportate, il provvedimento in esame si compone sostanzialmente di misure che avranno un’attuazione molto differita nel tempo.
Tra l’altro, non si riesce nemmeno ad individuare quale sia la logica di fondo e la visione strategica che mettono insieme questa congerie di norme e quale sia il modello di sviluppo che si intende delineare, modello di sviluppo che a nostro avviso dovrebbe coniugarsi con uno sviluppo sociale equilibrato, soprattutto con riferimento alle aree del Mezzogiorno.
Signor Presidente, vorrei inoltre respingere le panzane - chiedo scusa per il termine - di carattere propagandistico per cui i fondi per il Mezzogiorno sarebbero stati raddoppiati. Il Fondo per le aree sottosviluppate viene infatti saccheggiato continuamente; esso costituisce un grande salvadanaio cui si attinge in continuazione e con il recente provvedimento in materia di sviluppo agroindustriale ancora una volta si attinge al fondo destinato in particolare al Mezzogiorno per distribuirne le risorse su tutto il territorio nazionale. Il presente provvedimento fa altrettanto sia per le infrastrutture sia per la riqualificazione delle città e la stessa ricerca.
Aggiungo che si tratta di un Fondo costituito soprattutto dai fondi strutturali europei e da risorse provenienti dal passato e che sono state spostate in avanti di anno in anno. Tra l’altro, viene istituito un nuovo Ministero per la coesione territoriale, ma i cordoni della borsa restano ben saldi nelle mani del Ministero dell’economia e delle finanze.
Con le ultime modifiche, in sostanza, per risolvere i problemi che riguardano le miniere carbonifere del Sulcis, al di là del merito del provvedimento, vengono ancora sottratti al Fondo 15 milioni di euro, oltre ai 750 milioni destinati alle infrastrutture che, ripeto, riguardano tutto il territorio nazionale e non il Sud e, per di più, alla CONSOB viene addirittura consentita la chiamata diretta di ben 15 persone.
Si continua quindi con la propaganda; si parla di una banca del Sud quando il sistema bancario meridionale è stato messo al tappeto, si parla di casinò, di campi da golf; si parla di tutto, ma il Sud e il suo sviluppo non sono altro che il risultato di una politica generale che da quattro anni sta portando l’Italia e l’economia reale del nostro Paese al dissesto totale, al declino non soltanto industriale, ma anche sociale, economico e culturale. (Applausi del senatore Morando).
DE PAOLI (Misto-LAL). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE PAOLI (Misto-LAL). Signor Presidente, il nuovo Governo, appena nato, continua a portarsi dietro tutti i peggiori difetti di quello precedente. Come si può porre la fiducia su un decreto-legge come questo che, contenendo al suo interno un numero notevole di deleghe e di norme, necessiterebbe su ognuna di queste un dibattito specifico e approfondito?
Nel testo si spazia da modifiche al codice di procedura civile, alla pubblica amministrazione, alla giustizia, alle disposizioni per il settore agroalimentare, alle sanzioni per l'energia elettrica, all'acquisizione delle unità navali per una fregata europea multimissione.
Perché una volta tanto non stupite il Parlamento rispettando il suo ruolo e le sue funzioni di luogo aperto al dibattito su temi sicuramente interessanti per tutti i cittadini? Un Parlamento vera camera di rappresentanza e non triste luogo di ratifica di decisioni già prese.
Porre la fiducia, stroncando la discussione e la possibilità di modificare il testo
è un gesto di forte arroganza, di presunzione non democratica, di chiusura, di paura del confronto e di ciò che la gente potrebbe sapere.
Questa richiesta di fiducia, contro la quale la Lega autonomia lombarda voterà, è come una saracinesca fatta cadere pesantemente tra il Governo e il Paese. È un'ulteriore conferma che non sapete più dialogare con le forze produttive, politiche, sociali, che avete deluso tutti anche con questi gesti futili d'imperio che sottolineano la distanza tra voi e la vita delle persone.
Potrei dirvi: "Continuate così, fatevi del male!" Ma quando umiliate le istituzioni in questo modo, umiliate anche voi stessi, arrecate un danno a tutti.
SODANO Tommaso (Misto-RC). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SODANO Tommaso (Misto-RC). Signor Presidente, siamo di nuovo al voto di fiducia, questa volta a pochi giorni dalla farsa della costituzione di un nuovo Governo, e su un provvedimento su cui discutete da mesi e che avrebbe dovuto rilanciare l'economia del nostro Paese.
Siamo all'ennesimo scippo della democrazia parlamentare e le profonde divisioni, mai appianate, vi costringono ad imporre la fiducia ad una maggioranza di cui non vi fidate e mostrano in modo chiaro il fallimento del vostro progetto politico.
La politica del Governo ha condotto il nostro Paese in una situazione di grave crisi economica con un declino del sistema industriale e produttivo, e con l'aumento degli squilibri regionali tra il Nord e il Sud del Paese. In questo contesto il Governo continua a sparlare di un’Italia in cui le uniche colpe sono delle opposizioni che inducono i cittadini al pessimismo. Siete voi a non essere in sintonia con il Paese! C'è un Paese reale che soffre, con una perdita consistente del potere di acquisto di stipendi, salari e pensioni; ci sono milioni di famiglie che non riescono più ad arrivare a fine mese.
L'ISTAT, l'altro giorno, ha dato numeri da propaganda, con una metodologia che non rispecchia la realtà delle cose in Italia, ignorando che la metà dei lavoratori attende il rinnovo del contratto, come nel caso dei meccanici e del pubblico impiego. Un Paese in cui è calata l’occupazione vera, sostituita in parte da lavoro precario nel Centro-Nord e dove ogni anno nel Mezzogiorno decine di migliaia di giovani, diplomati e laureati, sono costretti a riprendere la via dell'emigrazione. Eppure, pochi giorni fa, avete assunto impegni solenni per il Meridione, ma alla prima prova spostate 15 miliardi di euro dal Sud verso le grandi infrastrutture del Nord.
Il Piano d'azione sulla competitività su cui chiedete la fiducia è l'esempio dell'assoluta incapacità del Governo ad affrontare la situazione; è l'ennesimo spot propagandistico che non servirà per rilanciare l'economia e che contiene peggioramenti delle regole che tutelano l'ambiente, il paesaggio e le norme in materia di appalti e concorrenza. Oltre a fare l'ennesimo regalo ai disonesti con la norma sulla bancarotta.
In Italia, a nostro avviso, c'è bisogno di una svolta nelle politiche economiche, per rilanciare la domanda interna, con una redistribuzione del reddito attraverso l'aumento di stipendi e pensioni, e della ripresa di un intervento pubblico, per ridare dignità al lavoro contro la precarizzazione voluta da questo Governo.
Il 1° maggio ci sono state straordinarie mobilitazioni di massa in tutto il Paese che, all'indomani della sfiducia che avete ricevuto alle elezioni, ci richiamano all'esigenza di liberare, il prima possibile, l'Italia dal Governo Berlusconi e dalle sue politiche, per costruire insieme a tutte le forze dell'Unione un vero progetto di società alternativa. (Applausi dal Gruppo Misto-RC).
RIGHETTI (Misto-Pop-Udeur). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RIGHETTI (Misto-Pop-Udeur). Signor Presidente, la fiducia posta sul decreto all'esame descrive appieno le difficoltà della maggioranza che, presentatasi con un Governo copia del precedente, prosegue in una politica economica speculare a quella del precedente Esecutivo.
II presente provvedimento è insufficiente e arriva con forte ritardo. Se la maggioranza poteva non avere le idee chiare all'inizio della legislatura, certamente dopo l’11 settembre e poi dopo la decisione di politica monetaria americana di svalutare la propria divisa avrebbe dovuto immediatamente varare misure per lo sviluppo.
Il sistema industriale italiano è stato, infatti, la vittima principale di quegli eventi, assai più di altre Nazioni europee, avendo un tessuto produttivo fatto di imprese di dimensioni ridotte. Questo ha fatto in modo che la gran parte delle nostre imprese, che sono appunto piccole o piccolissime, pur avendo una maggiore flessibilità produttiva, non abbia potuto reagire investendo in innovazione e ricerca, date le dimensioni, né, per gli stessi motivi, abbia avuto la forza di conquistare mercati nuovi e alternativi a quello nazionale e a quelli europei, dove pure si registrava una pesante crisi dei consumi.
Invece, con i Documenti di programmazione economico-finanziaria si sono fatte previsioni di crescita ottimistiche e con le leggi finanziarie si è dettata una politica economica conseguente a quella euforia di fiducia.
Vi siete dati aspettative di crescita che definire eccessivamente speranzose è poco e si sono trascurati persino i dati economici a consuntivo di ogni esercizio, che delineavano, al contrario, una situazione in progressivo peggioramento della nostra economia.
Vi attendevate una crescita dei consumi interni corrispondente a quel punto di PIL di cui avete ridotto le tasse, non potendosi però registrare un pari incremento, certamente non nel breve periodo. Il risultato è appunto un Paese con un PIL che cresce solo dell’1,2 per cento, che ha un debito al 105 per cento sul PIL e un deficit più prossimo al 3,6 per cento - come era stato pronosticato in sede europea e da voi deriso - che al 2,9 come continua ad illudersi il Governo Berlusconi-ter.
Certamente il presente provvedimento non rilancerà lo sviluppo, almeno non nei tempi che prevede il Governo, richiedendo, invece, una manovra o manovrina correttiva dei conti pubblici prima dell'estate. Il fatto che solo in Commissione, nella sede di merito riservata ai senatori, addetti ai lavori, siano stati presentati oltre 1.100 emendamenti e che buona parte di questi siano della maggioranza la dice lunga sul come questo provvedimento sia poco condiviso e insufficiente.
Se si vara un provvedimento sulla competitività, e cioè sul mancato sviluppo, bisogna mettere in campo un lavoro di analisi completo e non parziale. Un lavoro che è mancato e che presenta quindi riposte insufficienti, specialmente per il rilancio del Mezzogiorno.
Per questi motivi il provvedimento e la richiesta di fiducia registreranno un chiaro voto contrario dei senatori Popolari-Udeur.
MARINI (Misto-SDI-US). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARINI (Misto-SDI-US). Signor Presidente, colleghi, questo provvedimento, che era stato ritenuto urgente in occasione del dibattito sulla finanziaria, preannunciato come immediato dal Governo e più volte sollecitato dalle associazioni degli imprenditori perché si richiedevano misure per rilanciare l’economia, finalmente arriva all’esame di quest’Aula dopo otto mesi. Immaginavo che il lungo tempo intercorso tra l’annuncio del provvedimento e la presentazione in Aula fosse servito per una riflessione seria ed attenta sui problemi del nostro apparato produttivo.
Purtroppo, devo dire che anche in questa occasione la montagna, cioè il Governo, ha partorito un topolino. Mi sembra che nel provvedimento manchino risposte essenziali che pure è necessario che il Parlamento fornisca: in particolare, come si risolve il problema della competitività del nostro sistema industriale, come si può far fronte ai fondi inadeguati destinati all’innovazione e alla ricerca per colmare il gap negativo dell’Italia nei confronti degli altri partners europei, quali risposte dare alla grave crisi del settore tessile aggredito dalla concorrenza industriale di altri Paesi.
Ebbene, pensavo - e credo che insieme a me molti pensassero - che il Governo immaginasse di presentare una legge che servisse alla ristrutturazione del sistema industriale, alla riconversione di parte di esso e che ciò avvenisse senza ricorrere al metodo tradizionale di affrontare la crisi dell’apparato produttivo, come è avvenuto in altre occasioni del passato, cioè con la riduzione della componente del costo del lavoro mediante i prepensionamenti. Intanto, assistiamo alla perdita continua di quote di mercato e questo disegno di legge che sta per essere approvato attraverso un voto di fiducia non dà alcuna risposta a nessuno dei grandi problemi del nostro apparato produttivo.
Sarebbe stata necessaria, a mio parere, un’azione rigorosa per riposizionare il nostro apparato produttivo nel mercato internazionale, invece con questo provvedimento cosa si fa? Senza dubbio vengono affrontate alcune questioni di natura giuridica che riguardano la previsione edittale del nuovo fallimento. Ci rendiamo conto che è necessario aggiornare di volta in volta il codice, ma senza voler dare a questo tipo di interventi funzioni salvifiche, perché non ne possono avere rispetto ai problemi economici del nostro Paese.
In realtà, l’unica operazione che si fa è quella di trasferire fondi dal Mezzogiorno verso altre aree del Paese. Difatti si riducono drasticamente gli incentivi, vengono trasferiti fondi, delegando il CIPE a future decisioni, dalle aree del Mezzogiorno alle grandi infrastrutture, quindi alla legge-obiettivo nonché alle aree metropolitane.
Mi pare dunque che l’operazione che viene fatta è solo ed esclusivamente di natura politica, cioè si tende a costituire un asse del Nord e vi è una natura elettoralistica del provvedimento.
Noi, signor Presidente, avevamo già detto in occasione del dibattito sulla fiducia al Governo che vi era il rischio - gravissimo per il Paese - di un Governo di fine legislatura, che cioè puntasse solo ad un recupero elettorale. Avevamo ragione, è proprio ciò che sta facendo questo Esecutivo. Pertanto, il nostro atteggiamento rispetto alla fiducia chiesta sul provvedimento non può che essere di forte dissenso. (Applausi del senatore Morando).
MICHELINI (Aut). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MICHELINI (Aut). II Gruppo per le Autonomie ritiene di non poter accordare la fiducia al Governo sul provvedimento contenente il piano di azione per lo sviluppo economico poiché giudica che gli aspetti politici e di merito negativi siano prevalenti su quelli positivi.
Mettiamo per primo in evidenza che un provvedimento con il quale il Governo propone al Parlamento misure per la ripresa dello sviluppo attraverso il conferimento di competitività al nostro Paese dovrebbe essere frutto di una concertazione con le forze economiche e sociali, nonché di una condivisione di responsabilità tra i diversi livelli istituzionali, e non costituire invece oggetto di una imposizione della maggioranza al Parlamento attraverso un atto di fiducia.
È ben vero che questo provvedimento contiene i miglioramenti apportati al testo originario anche con il lavoro delle opposizioni, in particolare per quanto riguarda il diritto fallimentare e quello processuale (e non mi riferisco certo alla riduzione delle pene in caso di bancarotta fraudolenta), ma è anche vero che tali miglioramenti sono poca cosa rispetto a quel quoziente di organicità che è richiesto ad una tale iniziativa per avviare e dare fiato ad un progetto di sviluppo della nostra economia.
Sono poi note le ragioni dell'incedere claudicante del nostro Paese nella competizione con gli altri Stati e dovrebbero quindi essere evidenti le cose da fare per dare forza alla produttività e slancio alle esportazioni. Ma il provvedimento che stiamo per votare contiene un libro di disposizioni senza un filo conduttore, che lasciano senza risposta i perché del malessere dell'Italia.
Nelle intenzioni del Governo, questo provvedimento dovrebbe innescare la ripresa dello sviluppo, ma dell'efficacia, in tale direzione, delle sue numerosissime disposizioni non vi è né calcolo né indicazione, nemmeno con la minima approssimazione. Ciò che però è certo, perché dimostrato, è che questo provvedimento peggiorerà, sia pur di poco, i saldi di finanza pubblica, aumentando in particolare l'indebitamento netto, che si colloca ormai al di sopra di quel 2,7 per cento del PIL costruito con la finanziaria 2005, che è costata oltre 24 miliardi di euro, per oltrepassare anche i limiti previsti dal rinnovato Patto di stabilità e crescita: tutto ciò perché anche qui si spende di più di quanto si dispone.
Questo provvedimento, al quale il Governo approda dopo aver misurato l'inutilità di tutti quelli adottati in questi ultimi quattro anni di legislatura, non scioglie dunque i nodi strutturali che frenano e condizionano la produzione delle nostre aziende. Inoltre, non indica nemmeno gli orizzonti ai quali guardare per il futuro e infine non mette a frutto le grandi risorse del Paese. Mi riferisco non solo all'ingegnosità ed alla generosità degli italiani, ma anche al senso di responsabilità che investe gli amministratori delle autonomie locali sul futuro delle loro comunità. Ricordo, a questo fine, che se l'Italia fosse governata così come sono governate alcune Regioni del centro-sinistra, il nostro Paese si collocherebbe ai primi posti nel concerto europeo in termini di incremento del PIL.
Non essendovi dialogo, non può esservi rete, e senza rete che lega per un comune obiettivo, le singole potenzialità finiscono per disperdersi.
Da ultimo, a ben guardare anche questo provvedimento sulla competitività assomiglia ad un grande bazar. Un bazar delle buone intenzioni e delle tante promesse per i piccoli mercati locali, ma non somiglia certo ad una banca che sappia accogliere il frutto della laboriosità degli italiani e quindi investirlo sui mercati delle grandi sfide della globalizzazione.
Sono queste le ragioni che ci inducono a dire no a questo provvedimento e a non dare quindi la fiducia a questo Governo. (Applausi dai Gruppi Aut e DS-U).
RIPAMONTI (Verdi-Un). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RIPAMONTI (Verdi-Un). Signor Presidente, onorevoli colleghi, c'è un paradosso evidente nella richiesta di fiducia da parte del Governo su questo provvedimento. Si chiede, infatti, la fiducia su un bidone vuoto, privo di risorse. Le poche risorse previste sono partite di giro; attraverso un sistema diabolico di scatole cinesi si fanno girare sempre gli stessi soldi. Anzi, se facciamo riferimento alla cosiddetta riforma degli incentivi notiamo addirittura una riduzione delle risorse stanziate negli anni precedenti.
Signor Presidente, come al solito la fiducia non è rivolta contro le azioni dell'opposizione, che ha tentato di esaminare il provvedimento in modo approfondito presentando un pacchetto di emendamenti non spropositato. Essa è posta contro la maggioranza per metterla a stecchetto dopo l'assalto alla diligenza che si è verificato in Commissione con l'approvazione di oltre 100 emendamenti presentati da senatori della maggioranza e la riproposizione di centinaia di emendamenti in Aula.
Il vice ministro Vegas ha tentato di correggere il tiro della politica economica del Governo. Ha affermato che ad una politica economica incentrata sul sostegno alla domanda, quindi sulla riduzione delle tasse (rivelatasi sbagliata in quanto le risorse a disposizione dei ceti già agiati hanno finito con il favorire i nostri competitori più vicini perché sono state indirizzate sul consumo di beni non prodotti nel nostro Paese, vedi, ad esempio, l'acquisto di automobili BMW e Mercedes, di telefonini e computers), deve ora far seguito un intervento sull'offerta, quindi sull'IRAP e sulla ricerca. Ancora una volta si tratta solo di parole perché non vi sono risorse aggiuntive e non vi sono finanziamenti adeguati per intervenire in tale direzione.
Insistiamo, dunque, nel ripetere che il provvedimento è paragonabile a un bidone vuoto, con molti aspetti negativi. Ad esempio, si procede su una linea di precarizzazione dei rapporti di lavoro. Non è stato sottolineato abbastanza in questi giorni il fatto che il contratto di lavoro intermittente venga previsto anche per i lavoratori al di sotto dei 25 anni e per quelli al di sopra dei 45 o pensionati, quando in passato la norma era intesa solo in forma sperimentale; così come non è stato posto sufficiente accento sull'estensione del contratto di tipo accessorio alle imprese familiari operanti nel settore commercio del turismo e dei servizi; come anche sulla possibilità per le agenzie di somministrare lavoratori con i vari contratti previsti dalla legge n. 30 del 14 febbraio 2003, anche in assenza di norme regionali che disciplinino questa attività.
Onorevoli colleghi, ormai è un dato acquisito che la competitività è anche da intendersi come intervento strutturale sulla formazione e sulla professionalità dei lavoratori. Si tratta di creare maggiore cultura per i lavoratori. E' esattamente il contrario di quello che il Governo sta facendo anche con questo provvedimento.
Il maxiemendamento presentato peggiora ulteriormente la situazione. È prevista l'eliminazione della norma sulle professioni. Certo, si trattava di una disposizione timida e parziale; tuttavia anch'essa viene eliminata. Siamo di fronte ad un Governo centralista, che tutela le corporazioni. Questo è quanto si sta verificando. Altro che apertura del mercato! Voi della maggioranza state tutelando le corporazioni.
Inoltre, per quanto riguarda la norma sul personale della CONSOB, concordiamo sulla necessità di maggiore personale per garantire che questo organismo possa svolgere il proprio lavoro in modo adeguato.
Tuttavia, è prevista una misura che dà la possibilità di assumere per chiamata diretta 15 nuovi lavoratori. Chiamata diretta, Presidente! Ed è prevista la possibilità di assumere attraverso un esame-colloquio il personale a tempo determinato che risulti in servizio in quel momento.
Io credo, signor Presidente, che rimangano fuori da questo provvedimento i grandi temi. Si parla di difesa del made in Italy; occorrono così tante parole, così tante pagine scritte, per poter intervenire su questo argomento? Io credo di no. Per rendere più trasparente la filiera, per arrivare all'origine dei prodotti, occorre scrivere tutte le cose che avete scritto? E poi, a che cosa serve l'Alto commissario? Quando ci sono problemi si crea una commissione; quando i problemi sono grandi, si crea un Alto commissario. Cioè, al posto di semplificare, si aumentano le procedure e aumenta la burocrazia.
C'è poi la questione dei dazi, che viene ogni tanto riproposta con soluzioni antistoriche ed inefficaci. C'è una visione chiusa e provinciale da parte del Governo su tale questione. È vero, il tessile è in difficoltà, ma da quanto tempo si sa? Da quanto tempo il WTO ha deciso di aprire i mercati, ed anche il mercato del tessile? E cosa è stato fatto in questi anni sia da parte governativa, dei Governi che si sono succeduti, sia da parte del sistema delle imprese, per poter venire incontro a questa decisione già assunta di aprire i mercati, anziché chiudersi e subire la concorrenza che sì, sotto molto aspetti, è concorrenza sleale, portata avanti da alcuni Paesi, in particolare dalla Cina? Ma chi ha posto questi problemi al WTO? Lo chiedo ai colleghi della destra: chi ha posto i problemi della reciprocità, di avere condizioni simili, sia per quanto riguarda i diritti dei lavoratori, sia per quanto riguarda il rispetto delle norme ambientali?
Voi lo sapete, questo problema è stato posto al WTO non tanto dai colleghi della destra, o dai Governi della destra, e neanche dalla sinistra, per la verità: questo problema è stato posto nella discussione sul commercio internazionale dagli ecologisti e dal movimento new global, questa è la verità! E l'abbiamo fatto in momenti non sospetti: sono anni che poniamo questi problemi, e adesso ci venite a parlare di dazi! Ma questo vuol dire tornare indietro, non capire come si stanno evolvendo all'interno dell'economia globale i nuovi rapporti commerciali internazionali. (Commenti del senatore Stiffoni). Ti ringrazio, collega Stiffoni, perché tu sei specializzato ad interrompere. Infatti, siete chiusi in Padania.
Per quanto riguarda la riforma degli incentivi, questo Governo prima ha negato la contrattazione negoziata, poi ha ridotto i fondi per la legge n. 488 del 1992, quindi ha introdotto questo meccanismo diabolico delle domande e delle risposte, aumentando la burocrazia, aumentando l'intermediazione politica sul territorio, aumentando il controllo politico sul territorio, sul sistema degli incentivi. Questo non va bene, non funziona, ci porta indietro!
La riforma che proponete, che fra l'altro dovrà essere vista ed approvata dalla Commissione europea, entrerà a regime in un tempo minimo di un anno o due. Quindi, in questo anno non succede niente; se in più vediamo che per quest'anno sono a disposizione incentivi al sistema delle imprese per 15 milioni di euro, vuol dire che abbiamo capito tutto, che non è vero che si lavora e si cerca di intervenire per agevolare gli incentivi alle imprese.
Mi piacerebbe, Presidente, riprendere la questione dell'euro, ma non lo faccio perché il tempo a mia disposizione sta terminando. Voglio solo ricordare che l'euro non solo ha garantito più stabilità, ma i bassi tassi di interesse hanno consentito minori spese sul servizio del debito, hanno assicurato anche alle famiglie e alle imprese la possibilità di ottenere in banca mutui a tassi più bassi.
In conclusione, signor Presidente, noi negheremo la fiducia a questo Governo. La negheremo, perché riteniamo che questo Governo non la meriti, perché riteniamo che il Governo debba assumersi l’onere del governo delle proposte, delle soluzioni, perché c’è chi governa e chi fa l’opposizione e quelli che fanno l’opposizione hanno il diritto e il dovere di controllare ed eventualmente di arrabbiarsi. Non dovete dire che siamo noi che dobbiamo fare le proposte: siete voi che dovete farle. Dovete piantarla di dire che siamo sfascisti, perché siete voi che sfasciate il Paese con le vostre proposte.
Per questi motivi voteremo no alla fiducia chiesta dal Governo. (Applausi dai Gruppi Verdi-Un, DS-U e Mar-DL-U. Commenti dal Gruppo LP).
FRANCO Paolo (LP). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FRANCO Paolo (LP). Signor Presidente, sole poche parole per confermare il voto positivo della Lega Nord sulla fiducia al Governo.
Poche parole per ricordare che su questo provvedimento si è svolto un ampio dibattito sia in Commissione sia in Aula e per sottolineare che la fiducia che votiamo oggi e quella che abbiamo votato la settimana scorsa al nuovo Governo Berlusconi stanno a significare che il collante della maggioranza di Governo è il riformismo: affrontare i problemi che sono sul tappeto (come nel caso del decreto sulla competitività) per cercare di risolverli, per dare risposte, che a nostro avviso dovrebbero essere ancora più pregnanti e puntuali. Si è tanto parlato di dazi, della necessità di mantenere forte la struttura produttiva e finanziaria del nostro Paese: si può fare indubbiamente di più.
È su questa strada che c’è il collante vero di questa maggioranza: sulle proposte che si fanno al Paese di riforma della cosa pubblica, delle istituzioni, del mercato, dei sistemi di concorrenza anche internazionale e di reciprocità (naturalmente tramite le istituzioni preposte come l’Unione Europea o l’Organizzazione mondiale del commercio).
Proposte volte a trasformare un Paese abituato con l’inflazione e con l’assistenzialismo sfrenato a sopravvivere in un’economia chiusa; una trasformazione che deve portarlo verso la capacità di competere sui mercati internazionali, dando alle nostre aziende le stesse possibilità e potenzialità di cui esse dispongono in altri Paesi (non sto parlando solo dei Paesi del lontano Oriente, ma anche di quelli dell’Unione Europea); quindi, uno Stato di enti locali agili, autonomi, in grado di dare risposte in tempi rapidi. Come è dimostrato anche dalle parole che abbiamo ascoltato dai colleghi oggi, la capacità di adeguarsi tempestivamente alle diverse situazioni che si creano nei mercati internazionali è uno degli elementi vincenti di una comunità fondata su un’economia libera.
Non dobbiamo certo farci intimorire dalle dichiarazioni dei colleghi della sinistra che, stando a quanto ho avuto occasione di sentire sia in Commissione bilancio, in occasione della discussione del provvedimento, sia in quest’Aula ieri e oggi, sembrerebbero favorevoli alla più grande apertura in senso liberista e progressista della nostra economia, mentre in realtà considerano una realtà economica internazionale globalizzata come il toccasana di tutti i mali, non solo nazionali ma anche europei e mondiali, senza rendersi conto che i Paesi emergenti stanno mettendo in piedi nel tessuto mondiale della produzione e del commercio situazioni che potrebbero essere devastanti per l’Unione Europea e per l’Italia.
La risposta a questa situazione sta soprattutto nel migliorare tutte le condizioni istituzionali di mercato. Come abbiamo visto, anche la riforma del diritto fallimentare di procedura civile, o altre ancora - come quelle, per ora accantonate, che sono state qui richiamate e che dovranno essere riprese - come la riforma della disciplina delle professioni, ma soprattutto, una riforma istituzionale che permetta al Paese di adeguarsi istituzionalmente al contesto europeo e internazionale rappresentano quel collante, quella necessità di cui abbiamo bisogno.
Ci sembra senz'altro che questo provvedimento - su cui giustamente è stata chiesta la fiducia per le considerazioni che abbiamo già fatto in discussione generale, relative ai tempi, alla forma del decreto-legge e alla quantità degli emendamenti presentati - dimostri che la direzione intrapresa sia questa.
In conclusione, rinnovo il voto favorevole alla fiducia che è stata chiesta sul provvedimento in esame. (Applausi dal Gruppo LP. Congratulazioni).
TAROLLI (UDC). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TAROLLI (UDC). Signor Presidente, signor Vice Ministro, colleghi, il Governo ha posto la fiducia su un provvedimento importante, che reca misure favorevoli al rilancio della competitività del nostro Paese.
L'UDC voterà a favore perché le misure adottate vanno nella giusta direzione. Alcune di esse sono state più volte sollecitate anche dal mio Gruppo in quest'Aula; i colleghi senatori Ciccanti e Borea lo hanno confermato intervenendo in Aula e portando il loro contributo anche in Commissione.
Certo, bisogna essere consapevoli della complessità e della serietà delle questioni che abbiamo davanti, le difficoltà oggettive che si trova ad affrontare chi ha responsabilità di Governo. Farsi prendere la mano, come troppo spesso accade ai leader dell'opposizione, e addebitare la responsabilità dei problemi a chi sta governando in questo momento, oltre a creare disorientamento, non aiuta a trovare i rimedi e, ciò che più deve preoccupare, altera la percezione e la consapevolezza delle difficoltà. Quando Rutelli e Fassino cadono nella trappola della colpevolizzazione retorica, fanno un clamoroso autogol, perché questo modo di fare non aiuta né loro, né i loro schieramenti, né il Paese.
L'introduzione dell'euro è avvenuta in una fase di bassa crescita europea e ciò ha indebolito pesantemente il potere di acquisto delle famiglie, ma ha pure determinato un cambio sfavorevole nei confronti del dollaro e più ancora della moneta cinese: questo ha penalizzato le nostre imprese nelle esportazioni. La vertiginosa crescita di Cina e India ci ha messo, poi, in serie difficoltà in alcuni settori della trasformazione industriale.
Sono questioni che non sono peculiari e specifiche del nostro Paese, come ci ha ricordato il Vice Ministro nella sua brillante replica, ma appartengono ai maggiori Paesi europei. Se questo non ci è di consolazione, ci convince però che è sbagliato continuare a parlare di declino; al contrario, questa fase ci deve spronare a ristrutturare non solo il nostro sistema produttivo per renderlo più competitivo, ma, sulla scorta dell'Agenda di Lisbona, ad ammodernare il nostro modello politico ed economico.
Si tratta di una sfida impegnativa ma non temeraria, di un compito gravoso ma possibile, ad una condizione: che ci sia un approccio diverso al problema da parte delle forze politiche tutte. Dobbiamo avere e trasmettere maggiore consapevolezza delle difficoltà del Paese, dobbiamo avere il coraggio di comunicare le insufficienze che gravano sul nostro sistema, anche quando queste intaccano aspettative e modi di pensare consolidati dei nostri connazionali: intendo riferirmi al modello del Welfare assistenziale e ad analoghe tematiche del lavoro o dei servizi. Occorre un approccio al dibattito meno rissoso, meno conflittuale, meno manicheo, perché poi i problemi sono lì nella loro crudezza per essere risolti; soprattutto, ci vuole un nuovo progetto - mi rivolgo anche al mio schieramento - per rilanciare il Paese.
Qualcuno ha sostenuto che il futuro sta nel concentrarci sulle attività immateriali, come la finanza, i servizi e le comunicazioni. Potrà essere un modello di medio-lungo periodo, però di certo allo stato attuale dobbiamo fare i conti con un settore industriale che ha un ruolo rilevante nel sistema produttivo e che contribuisce in materia notevole alla formazione del PIL nazionale. Il settore industriale e la grande industria, al pari dell'agricoltura, dell'artigianato, del commercio, hanno contribuito in maniera determinante a far crescere l'Italia e a portarla nel novero dei grandi Paesi industrializzati. Di politica industriale e di grande industria, quindi, questo Paese ha ancora bisogno e il nostro Governo se ne deve fare maggiore carico.
Onorevoli colleghi, appartengo a quella schiera di persone che ritiene che uno Stato sano, un Paese sano non va confuso né con uno Stato debole né tantomeno assente, ma è uno Stato che si fa carico delle questioni.
Il Fondo monetario internazionale nel suo recente rapporto ha precisato che il miglioramento della situazione economica sarà modesto, ma - ha aggiunto - con seri rischi di peggioramento. Proprio per questo bisogna aumentare sensibilmente l’indice di produttività del nostro sistema produttivo. Da un aumento della produttività si possono infatti avere effetti benefici sui salari e quindi sui costi e sui prezzi, creando così un circuito virtuoso di cui le famiglie potranno beneficiare.
Il Fondo monetario internazionale propone di decentralizzare il processo di contrattazione del salario. La CISL propone due livelli di contrattazione: uno nazionale e uno legato alla produttività aziendale. Anche questo tema va affrontato tra le parti sociali, senza prevenzioni, ma anche senza rivincite, va comunque - ripeto - affrontato, giacché ritenerlo un tabù è sbagliato.
Il bilancio del sistema produttivo richiede risorse adeguate, ma al riguardo bisogna aprire un’altra questione, quella del rispetto dei conti pubblici e dei vincoli posti dal Patto di stabilità. Tuttavia tale Patto, oltre ad avere di mira la stabilità, deve puntare anche alla crescita. Noi, come l’Europa, dobbiamo uscire dall’angolo ed essere capaci di iniziative innovative.
Nel febbraio scorso è stata rilanciata dalla Commissione europea l’Agenda di Lisbona. Su questo terreno abbiamo ancora tanta strada da fare se vogliamo diventare un Paese capace di attrarre investimenti e di dinamizzare l’economia.
Nel provvedimento alla nostra attenzione ci sono misure che vanno nella giusta direzione. Ricordo in proposito il sostegno all’accorpamento dimensionale delle imprese che le fa uscire dal cosiddetto nanismo, consentendo loro di essere maggiormente protagoniste sulla scena internazionale.
Rammento, altresì, la revisione del diritto fallimentare, per cui non avere successo in una intrapresa familiare non deve significare essere marchiato con il segno del malavitoso; su questo tema, tuttavia - e mi rivolgo al Governo - credo che vada condotta una riflessione più seria in ordine al diritto fallimentare ed alla sanzionabilità della fattispecie rappresentata dalla bancarotta fraudolenta. È infatti necessario ponderare con più attenzione le sanzioni, allineandole pure al contesto europeo, ma sempre improntandole alla rigorosità, anche se ciò comporta la necessità di rivedere il testo che stiamo per approvare.
Ricordo ancora la revisione del codice di procedura civile e le tante misure di semplificazione amministrativa, come pure la deducibilità fiscale - voluta fortemente dal mio partito - delle erogazioni liberali a favore delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS). Questo, solo per citarne alcune, sono norme che danno impulso ed ossigeno al nostro sistema.
Desidero altresì ricordare che viene completato il processo di liberalizzazione dello strumento della cessione del quinto dello stipendio, che viene esteso, oltre che ai lavoratori privati e pubblici, anche ai pensionati privati e pubblici, ai lavoratori a tempo determinato e a quelli parasubordinati. I potenziali utenti passano quindi dagli attuali 12 milioni a circa 30 milioni, creando così un mercato concorrenziale fra soggetti che erogheranno questo strumento che auspichiamo sarà a vantaggio degli utenti; per tale ragione il Ministero dovrà intervenire per dettare norme di semplificazione e favorire così la diminuzione dei costi di intermediazione. È una misura che ha voluto l’UDC, tramite il sottoscritto e il senatore Ciccanti, ma che è stata condivisa dall’intera Commissione.
Ringrazio quindi tutti i colleghi, compresi quelli dell’opposizione, perché questo strumento, oltre a consentire prestiti di piccola e media entità che alimenteranno la crescita dei consumi, costituirà un efficace mezzo di contrasto all’usura.
Fra le tante ombre e le luci abbiamo preferito ricordare le seconde, senza dimenticare le prime. Certo è che abbiamo di fronte un quadro fatto di complessità e di difficoltà, che richiederà altre misure da parte del Governo e della maggioranza, ma che comporterà anche responsabilità da parte di tutti, compresa l’opposizione.
Per tutto ciò, signor Presidente, esprimiamo un voto favorevole al provvedimento su cui è stata posta la fiducia. (Applausi dal Gruppo UDC).
GIARETTA (Mar-DL-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIARETTA (Mar-DL-U). Signor Presidente, ancora una volta, dunque, viene posta dalla maggioranza una questione di fiducia, confermando la grave distorsione delle procedure parlamentari che la stessa maggioranza ha imposto in questa legislatura. Viene adottato un decreto-legge; nel corso dei lavori parlamentari il Governo, o senatori per conto dell’Esecutivo, lo carica di materie certamente estranee e non provviste dei necessari caratteri costituzionali di improrogabilità ed urgenza. Si introducono, con un discutibile escamotage, delle deleghe ed infine si pone il voto di fiducia, sottraendo la materia all’esame dell’Assemblea.
Ancora una volta il voto di fiducia non ha fondamento nell’ostruzionismo dell’opposizione, ma nell’incapacità della maggioranza di trovare una propria sintesi parlamentare nella dialettica con il Governo. Ed è francamente surreale la motivazione adottata: occorre fare presto. Certo, si sarebbe dovuto fare in fretta: le parti sociali e l’opposizione avevano chiesto un provvedimento per la competitività fin dalla scorsa estate, il Governo l’aveva promesso per settembre e si era poi impegnato a presentarlo con la legge finanziaria, infine il Presidente del Consiglio aveva assicurato che dal 1° gennaio 2005 il provvedimento sarebbe stato legge. Siamo in maggio e ancora non è concluso il suo iter parlamentare.
I dati disponibili ritraggono una situazione molto pesante: quelli sulla produzione industriale sono i peggiori da sei anni a questa parte, quelli relativi alla bilancia commerciale sono i peggiori da dodici anni, l’indice della competitività tecnologica ci ha visto retrocedere dal ventottesimo al quarantacinquesimo posto. In un’Europa che cresce poco, noi cresciamo la metà della media europea. È fare del disfattismo ricordare queste cifre, come ci ha detto il Presidente del Consiglio? Noi pensiamo di no: riteniamo che significhi essere realisti e soprattutto responsabili.
Noi siamo d’accordo con il Capo dello Stato quando ci dice che l’Italia ce la può fare: occorre però fare appello alle migliori energie del Paese e mettere in campo interventi chiari, univoci, permanenti nel tempo. Il decreto non ha queste caratteristiche e possiamo misurarne la distanza non solo con le priorità che la recente verifica di Governo avrebbe indicato, ma con le attese che lo stesso Esecutivo aveva creato. Siniscalco e Berlusconi avevano parlato di "un piano che l’Italia aspetta da 25 anni" ("Il Sole-24 ORE" del 23 marzo scorso) e di un "autentico scossone per la competitività" ("La Stampa" del 13 marzo scorso).
Neppure il più benevolo degli osservatori può riconoscere tali caratteristiche a questo provvedimento. Non ci sono risorse per sostenere le politiche: oltre il 70 per cento delle modeste risorse disponibili è ottenuto distogliendolo dalle leggi di incentivazione già esistenti; strano intervento per la competitività, quello che indebolisce le capacità di investimento delle imprese.
Il decreto affastella poi un pletora di norme, alcune condivisibili (cito, ad esempio, la detassazione dei contributi al volontariato e alla cultura, che finalmente diventerà legge), ma la maggior parte delle norme non ha a che fare con problemi di competitività: do volentieri atto al Presidente del Senato di essere intervenuto, anche su nostra sollecitazione, per impedire che ulteriori materie estranee venissero introdotte.
Se mettete insieme il testo della legge finanziaria e di questo decreto, testi confusi, ridondanti, che modificano e rimodificano norme preesistenti in modo frammentario, potreste interrogarvi su quali costi aggiuntivi introducete per le imprese, per gli studi professionali, per gli enti pubblici chiamati ad interpretare ed applicare norme così involute.
Un decreto che non è perciò all'altezza della severità della situazione. Manca completamente un intervento strutturale per la ricerca e l'innovazione: ma su quale frontiera se non su questa può competere l'Italia? C'è un programma realistico di Confindustria che non viene accolto. Non ci sono nuove risorse, ci si limita a ridefinire in modo ripetitivo le priorità dei pochi fondi disponibili. Non ci sono nuove risorse, ma non sapete spendere bene neppure quelle che ci sono.
In questi giorni l'Italia ha partecipato con un proprio astronauta ad una missione spaziale. È un segnale positivo, però la Corte dei conti ha messo in luce che l'Agenzia spaziale Italiana ha cumulato residui per 840 milioni di euro e ha un attivo di bilancio per 492 milioni. Sono denari sottratti ad una politica di innovazione. In un settore di alta tecnologia, in cui esiste un gruppo significativo di aziende che competono sui mercati, lo Stato non riesce a fare una seria politica di committenza pubblica.
Viene confermato l'intervento di deduzione dall'imponibile IRAP del costo del lavoro per i nuovi assunti. È una norma positiva, ma non siamo in presenza di quella quintuplicazione dei benefìci fiscali che aveva venduto il Governo. È vero, per il Mezzogiorno si eleva la deduzione da 40.000 a 100.000 euro, ma si tratta di una deduzione massima a valere su ogni singolo addetto; mi sapete dire secondo voi quante saranno le aziende che avranno la necessità di assumere nuovi occupati con un costo per unità lavorativa di 100.000 euro? Credo nessuna, è perciò il solito bluff comunicativo del Governo.
Si diceva giustamente che occorreva intervenire per agevolare la crescita dimensionale delle imprese. Condividiamo tale priorità, ma tutto ciò che fa questo decreto è riconoscere un contributo del 50 per cento delle spese preliminari sostenute in consulenze per le operazioni di concentrazione aziendale: è una norma al limite della provocazione.
E la priorità del Mezzogiorno? Una cosa è certa: la riforma degli incentivi toglie risorse, in particolare al Mezzogiorno. Non siamo contrari ad una revisione del sistema esistente che tenga conto dei dati derivanti dall'esperienza, ma per rendere più penetranti, incisivi e diffusi gli interventi di sostegno agli investimenti produttivi, non per diminuirli.
Qui si tolgono 750 milioni di euro, si prevede di subordinare l'intervento agevolativo alla presenza di un finanziamento bancario ordinario per una quota del 25 per cento, trasformando almeno il 30 per cento dell'intervento in un prestito agevolato invece che in un contributo a fondo perduto. Occorre conoscere lo stato di sofferenza del sistema creditizio del Mezzogiorno per capire a quali difficoltà andranno incontro le imprese; soprattutto perché il nuovo sistema funzioni occorre mettere in campo complesse norme attuative. Siamo in maggio, la cosa certa è che per quest'anno nessun nuovo intervento agevolativo per le imprese che sono pronte ad investire sarà reso attuabile.
Manca soprattutto l’intero capitolo delle cosiddette riforme a costo zero. Resta solo la riforma delle procedure fallimentari da tempo attesa, ed il Governo ha avuto il buonsenso di togliere quella norma impropria sulla bancarotta fraudolenta che tanto scandalo aveva suscitato, anche se restano altre disposizioni discutibili e preoccupanti dal punto di vista della punibilità dei reati contro la fede pubblica.
Manca poi completamente il necessario capitolo sulle reali aperture dei mercati protetti, penso a quello degli ordini professionali in merito al quale ancora una volta il Governo dimostra l’incapacità di affrontare una questione centrale.
Mancano semplificazioni sostanziali per le imprese, mancano miglioramenti nelle regole dei servizi pubblici e privati: sono settori che condizionano pesantemente la competitività globale del nostro Paese, per i quali non si fa nulla. Per intervenire in questi settori occorre coraggio, lungimiranza, capacità di opporsi alle resistenze al cambiamento degli interessi costituiti, virtù che mancano completamente al nuovo Gabinetto Berlusconi, come mancavano al precedente.
Per questo né possiamo accordare la nostra fiducia, né possiamo votare questo provvedimento così evidentemente inadeguato alla severità della situazione che sta attraversando l'Italia. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U e DS-U. Congratulazioni).
TOFANI (AN). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TOFANI (AN). Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi senatori, desidero richiamare all’inizio del mio intervento alcuni passaggi, alcune riflessioni svolte da personaggi importanti della sinistra e comunque dell’opposizione.
Il 19 marzo, a Torino, dall’assise degli industriali, il leader della Quercia, in riferimento a questo decreto, affermava che occorre sostenere le imprese nella competitività, aiutandole a crescere nelle dimensioni, ad alzare la qualità dei prodotti con la ricerca e l’innovazione, ad internazionalizzarsi di più. Dalla parte sindacale, sempre nello stesso periodo, Epifani affermava: "Il Governo non ha capito che il problema è la relativa bassa qualità dell’offerta nell’industria e nei servizi". (Brusìo in Aula).
Faceva eco… (Prolungato brusìo in Aula). Presidente, c’è qualche collega che mi sovrasta nel parlare, quindi le chiedo la cortesia di fare in modo che io possa evitare di alzare il tono della voce. (Richiami del Presidente).
SERVELLO (AN). E poi danno anche le spalle alla Presidenza.
TOFANI (AN). Ma quello è un problema del Presidente.
Dicevo, faceva eco… (Brusìo in Aula. Richiami del Presidente).
PRESIDENTE. Senatore Giaretta, anche se ha ricevuto tanti applausi, la prego ora di fare silenzio.
TOFANI (AN). Faceva eco, in un’intervista al "Corriere della Sera", il vice presidente della Confindustria, il quale, commentando il rapporto sulla competitività, affermava: "La situazione non è frutto della contingenza di questi ultimi anni, ma di almeno 20 anni di non governo".
Vorrei fermarmi a riflettere su questo punto, chiedendo la cortese attenzione dei colleghi dell’opposizione. Il processo che avete posto in essere in questo periodo in riferimento al provvedimento, nel dibattito in Aula, documenta un solo dato, cioè la vostra totale prevenzione rispetto ad ogni ipotesi di conoscenza vera dell’argomento, perché comunque il tutto deve essere demonizzato, smantellato, criticato.
Vorremmo sapere - lo chiedo a coloro che sono intervenuti prima di me, descrivendo questo cahier des doléances - quali sono le proposte alternative. In una democrazia vera, di confronto, infatti, esistono le proposte alternative, non solo sottolineature continue per evidenziare a tutti i costi elementi di negatività.
Ma ciò non è avvenuto né da parte dell’opposizione, né da parte dei sindacati, tant’è vero che è già stato ipotizzato uno sciopero generale, anche se fortunatamente non tutti sono d’accordo. (Brusìo in Aula).
PRESIDENTE. Senatore Coviello, la prego di fare silenzio; sta causando una sorta di raggruppamento che crea rumore nell’Aula. Credo non sia cortese nei confronti di chi parla.
COVIELLO (Mar-DL-U). Chiedo scusa, Presidente.
TOFANI (AN). Sicuramente il brusìo non è voluto. Non penso, infatti, di poter attribuire straordinaria importanza a ciò che sto dicendo, con serenità di fronte ai problemi reali, perché sono convinto che sia quanto di più facile da trattare e quindi anche da veicolare.
Lo stesso Pininfarina, in una agenzia del marzo scorso e quindi coeva al decreto in esame, ha fatto presente che la Confindustria esprime un giudizio fondamentalmente positivo in merito al piano d’azione deciso dal Governo e non tanto per i contenuti necessariamente limitativi, viste le scarse risorse disponibili, quanto per il primo segnale - è questo che desidero sottolineare - di attenzione che è stato dato nei confronti dell’economia e del mondo delle imprese.
Nel fare riferimento ai vent’anni di attesa e di non risposte, va apprezzato in modo importante e significativo la volontà di dare segnali concreti, segnali che diano risposte altrettanto positive.
Anche il presidente Montezemolo ha affermato, in data 27 aprile: "Finalmente le priorità legate al Sud, all’impresa, alle famiglie sono state inserite nell’agenda del Governo".
Allora il confronto diventa interessante se ci si rende conto della necessità di riposizionare la politica del Governo in modo anche autocritico, così come abbiamo fatto, e dell’importanza di valutare di fronte a questo passaggio che si è andati verso una linea molto più condivisa e più attenta, che in qualche modo risponde sinceramente alle aspettative e alle esigenze.
Dalle imprese viene la richiesta di incentivare la coesione tra le piccole aziende. È quanto abbiamo fatto nel decreto sulla competitività, che si può ulteriormente rafforzare, in particolare a favore delle aziende più piccole.
Da non dimenticare poi il cuneo fiscale e contributivo, che aggrava il costo del lavoro e riduce il salario netto, ma anche questo fa parte del programma del nuovo Esecutivo.
Il pacchetto sulla competitività affronta alcuni nodi strutturali del sistema industriale italiano per la tutela e il rilancio del made in Italy: semplificazione amministrativa; sburocratizzazione; informatizzazione; sostegno alla crescita dimensionale delle imprese; incentivi e risorse per innovazione e ricerca; contrasto alla delocalizzazione. Vorrei ricordare, se me lo consentite, che questo processo è iniziato vent’anni fa e non è mai cessata una voce, sia pure minima, volta non solo ad evidenziarlo ma a porre in essere politiche tali da ridurre il processo di delocalizzazione iniziato negli anni Ottanta, con gravi e negativi riverberi sull’economia e soprattutto sull’industria. In questa sede vengono ricordati i dati dell’industria italiana. Vi invito a darmi dati diversi da vent’anni a questa parte: l’occupazione della grande industria è aumentata oppure continuamente scende, anche di punte molto più alte di 40.000 unità all’anno? In tutti questi anni nessuno ha parlato.
Non abbiamo mai visto, quando voi governavate, quelle sensibilità in senso positivo e costruttivo che oggi emergono in termini critici e in contrasto con il provvedimento in esame, al fine di dare risposte a questi temi non vicini ma lontani.
Come dicevo, si contrasta la delocalizzazione e si supporta la internazionalizzazione con misure più efficaci e severe per contrastare la contraffazione. Sanzioni amministrative per chi compra prodotti contraffatti potranno essere comminate anche dai vigili urbani e le risorse saranno destinate alla tutela dello stesso made in Italy.
Vorrei ricordare una intervista, apparsa ieri sul "Corriere della Sera", dell’ex ministro e direttore generale del WTO, Renato Ruggiero, il quale in modo esplicito, in riferimento al tessile che più volte e giustamente è stato richiamato ed evocato in questa Aula, afferma: "Nessuno può gridare allo scandalo. I Governi nazionali negli ultimi dieci anni hanno fatto poco e ancora meno ha fatto Bruxelles".
E sarebbe interessante una riflessione da parte di Prodi su questo tema, perché si tratta di un problema che noi avevamo dal 1994, da dieci anni, ed è arrivato a maturazione a gennaio di quest'anno, con la liberalizzazione e l'ingresso dei prodotti del tessile dell'Est asiatico, in modo particolare della Cina. E allora è giusto arrivare ad elementi di riduzione e di riequilibrio a livello comunitario per permettere alle nostre aziende del tessile la ristrutturazione; altrimenti si rischia, come dice giustamente Ruggiero, la deglobalizzazione. Ecco, bisogna allora farsi delle domande e porsi in modo critico il quesito se effettivamente sia stato fatto qualcosa, e che cosa è stato fatto.
Noi abbiamo cercato la modernizzazione del sistema degli incentivi, il rafforzamento della fiscalità di vantaggio, il maggiore finanziamento per le opere infrastrutturali della legge obiettivo per il Sud. Il decreto è importantissimo per la competitività del Sud; non lo si può scimmiottare, senatore Giarretta, cercando la battuta di fronte ai contenuti ed al grande impegno, allo sforzo che si vuole ancor più orientare verso il Mezzogiorno, perché il problema del Mezzogiorno non riguarda solo quest’ultimo, ma l'Italia intera. È un fatto nazionale che noi stiamo affrontando nel modo migliore, con l'accelerazione delle iniziative, con l'aumento delle risorse per la ricerca ed il programma per l'attrazione degli investimenti. Un impulso allo sviluppo ed alla competitività del Sud deve venire anche da questo.
Nelle file dell'opposizione vi sono degli economisti di grande rilievo. Vorremmo conoscere i dati degli investimenti in Italia e nel Sud negli ultimi 15 anni, ad esempio. Sarebbe interessantissimo conoscerli, e vedere quali obiettivi sono stati portati a compimento, oppure quali mancanze vi sono state.
Non possiamo dimenticare in conclusione anche due norme che riguardano la dichiarazione di inizio attività e la semplificazione del silenzio-assenso. E mi consenta di dire, signor Presidente, che le circa cento norme di riforma del codice di procedura civile sono frutto di un intenso lavoro da parte della Commissione giustizia del Senato, con numerose audizioni di magistrati, avvocati e professori universitari, e sono state votate all'unanimità. Lo stesso presidente Antonino Caruso nella seduta del 27 aprile scorso ha dichiarato: "Entra dunque nella legge di conversione del decreto-legge una parte importante del lavoro che la Commissione giustizia del Senato ha condotto per molti mesi, con pazienza, con attenzione e senza risparmio di energia, prendendo le mosse dall'eccellente base ad essa pervenuta dai colleghi della Camera di deputati".
Colleghi senatori, concludo dicendo che noi siamo convinti che con questo provvedimento stiamo dando un'ulteriore prova di attenzione alle problematiche che ci riguardano. La fiducia rappresenta un atto di consenso, ma nello stesso tempo un atto di accelerazione del provvedimento, perché non vogliamo che paradossalmente possa accadere questo: la maggioranza vuole approvare il provvedimento e l'opposizione crea ostacoli con migliaia di emendamenti per potere dire poi che non andiamo avanti con i provvedimenti. E allora, guardatela anche in questa maniera la richiesta di fiducia, e forse la ripenserete anche voi! (Applausi dal gruppo AN e del senatore Zanoletti. Congratulazioni).
MORANDO (DS-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORANDO (DS-U). Signor Presidente, il Governo in tema di rilancio della competitività non merita né la nostra fiducia, né quella del Paese. Del resto, qualcosa vorrà pur dire, signor Presidente, il fatto che proprio in tema di competitività lo stesso Presidente del Consiglio qualche giorno fa in quest'Aula abbia dovuto parlare di discontinuità nell'azione del Governo. Io prendo sul serio quella affermazione e mi chiedo: discontinuità rispetto a cosa? Rispetto ad una propaganda cattiva che non avrebbe fatto apprezzare politiche buone? Rispetto ad una debolezza del Governo e del centro-destra nell'usare - o nel padroneggiare, per usare un termine simpatico - i mezzi di comunicazione?
Cerchiamo di essere seri. È la realtà di un Paese che negli ultimi tre anni è cresciuto, cumulativamente, meno del 2 per cento, ad una media annua dello 0,6 per cento, di poco superiore alla metà della media dell'Unione Europea, già tragicamente bassa rispetto all'economia internazionale. È la realtà di un Paese che in otto anni, tra il 1995 e il 2003, ha perso quasi il 30 per cento della sua quota di commercio mondiale. È questa realtà a parlarci, a parlarvi, signori del Governo, se non di un fallimento - come sosteniamo noi - certo di un gravissimo insuccesso nella politica economica seguita nel corso di questi anni.
È questa realtà dura e difficile che vi ha indotti ad affermare l'esigenza di una rottura di continuità, di una svolta, proprio in tema di politiche per la competitività del Sistema Italia. Se le cose stanno così - e anche voi siete stati costretti a riconoscerlo, perché non solo noi, ma anche voi avete parlato di discontinuità - conseguentemente ci dobbiamo domandare - anzi, vi dovete domandare - se questo provvedimento, sul quale avete posto la fiducia, risponde a quell'esigenza di discontinuità di cui voi stessi avete parlato nella recente crisi di Governo. La risposta è negativa. Non c'è la svolta necessaria, perché voi, che pure ne avvertite l'esigenza, rifiutate di trarne le conseguenze sull'unico terreno che davvero conta qualcosa. Quello, cioè, della definizione delle priorità.
La maggioranza di centro-destra che vinse nel 2001 aveva una visione del futuro del Paese e ne deduceva precise priorità in tema di politica economica. La visione, in sostanza, era la seguente: un Paese soffocato dalle tasse, uno Stato costoso e sprecone, un potere pervasivo del sindacato. Ed ecco le tre priorità: meno imposte dirette (con particolare riferimento ai redditi più alti), un nuovo intervento sulle regole del mercato del lavoro (soprattutto al fine di ridurre il potere di condizionamento del sindacato e di ridimensionare il metodo della concertazione), equilibrio di bilancio (garantito dalle una tantum e dai condoni in attesa della ripresa dell'economia internazionale che avrebbe abbracciato e trascinato l'Italia). Ripeto: una visione del Paese e tre priorità di politica economica.
Da un’analisi ideologica e fuorviante dei problemi del Paese non poteva che discendere una scelta di priorità inefficace rispetto ai problemi stessi. Oggi tutti vedono che questa politica ha aggravato alcuni problemi strutturali che certamente - si tranquillizzi, senatore Tofani - erano preesistenti. Signor Presidente, signori del Governo, vice ministro Vegas, non abbiamo mai detto il contrario. I problemi del Paese, soprattutto quando si guarda alla sua capacità competitiva, sono di lungo periodo; preesistono, nelle loro ragioni, alla formazione del Governo di centro-destra, ma il fatto è che voi li avete sistematicamente aggravati nel corso di questi quattro anni. Soprattutto, avete fatto tornare in un'area di instabilità quella finanza pubblica che invece, finalmente, alla fine degli anni 90 era tornata in un'area di stabilità.
Il Presidente del Consiglio e poco fa anche il senatore Tofani hanno detto di non aver ascoltato da parte dell'opposizione una sola proposta positiva sui problemi del Paese. Viene da dire, signor Presidente, che non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire.
Noi vediamo che il Paese ha un drammatico problema di caduta della produttività totale dei fattori e che a causa di tale caduta perde quote crescenti di commercio mondiale. Facciamo derivare da questa analisi un quadro alternativo preciso di priorità; in questa sede, per amore del senatore Tofani, ne richiamo solo cinque (anche se naturalmente non sono solo queste cinque le indicazioni fondamentali), così potrete almeno smetterla di dire che non abbiamo priorità.
Primo: in tema di entrate, bisogna cancellare la recente riforma dell’IRE, che costerà sei miliardi di euro l’anno per tutti gli anni che verranno; occorre omogeneizzare le aliquote di prelievo sulle rendite da capitale; bisogna far fuoriuscire progressivamente la componente del lavoro dalla base imponibile dell’IRAP e bisogna concentrare la lotta all’evasione su chi, grande o piccolo (perché ci sono grandi e piccoli in questo novero), ne abbia approfittato, in un sistema che cresce poco, per accaparrarsi quote crescenti di reddito nazionale nei settori coperti dalla competizione internazionale.
Secondo: liberalizzazione e concorrenza nei mercati chiusi, a partire da quelle professioni liberali sulle quali la Commissione bilancio del Senato aveva approvato, in questa occasione, signor Presidente, all’unanimità un buon testo che apriva la prospettiva della liberalizzazione, testo che adesso il Governo si è rimangiato cedendo alle pressioni corporative degli ordini professionali. (Applausi dai Gruppi DS-U e Misto-Com).
Terzo: partenza intensa ed accelerata dei fondi pensione integrativi, per garantire un reddito dignitoso ai pensionati di dopodomani e soprattutto per avere anche in Italia quegli investitori istituzionali dotati delle risorse finanziarie necessarie per essere protagonisti del processo di ristrutturazione capitalistica di cui c’è bisogno.
Quarto: interventi selettivi di riduzione del cuneo contributivo, a partire dalla riduzione condizionata dei premi INAIL e dai crediti di imposta automatici per i progetti di convenzionamento tra imprese e università sul versante della ricerca.
Quinto: agevolazioni fiscali certe, esigibili ed automatiche per i processi di fusione e di aggregazione aziendale, per affrontare il problema del nanismo delle nostre imprese.
Dunque, non siamo noi a non avere delle proposte. Potete anche continuare a recitare questa giaculatoria, ma non vi crede più nessuno. Noi abbiamo una visione dei problemi del Paese, abbiamo una visione del futuro del Paese e abbiamo una politica economica alternativa da proporre. Non siamo noi che non abbiamo proposte: siete voi che vi siete resi prigionieri di voi stessi, sprecando risorse (sei miliardi di euro l’anno per tutti gli anni che verranno) per un intervento inutile, risorse che avrebbero potuto e dovuto essere impiegate per accompagnare e favorire il rilancio della competitività. Se è così, signori del Governo, è la vostra politica economica il principale ostacolo al rilancio della capacità competitiva del Paese e bisognerà che il Paese provveda al più presto. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-Un, Misto-Com, Misto-RC, Misto-SDI-US e Misto-Pop-Udeur. Molte congratulazioni).
AZZOLLINI (FI). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
AZZOLLINI (FI). Signor Presidente, è con grande convinzione e serenità che il Gruppo Forza Italia voterà la fiducia al Governo su questo provvedimento. Lo farà per una serie di ragioni di merito che esporrò nel corso del mio intervento, ma anche per ragioni più generali, una delle quali mi viene in mente esattamente dopo gli interventi di questa mattina dei colleghi dell’opposizione.
Con il provvedimento in esame il Governo ha indicato delle linee di ripresa della competitività del sistema economico italiano e la concretezza di queste normative ha costretto anche i colleghi dell’opposizione a misurarsi sulle proposte; il dibattito intenso ed approfondito svoltosi nella Commissione bilancio e che ha fornito il sostegno al maxiemendamento del Governo ne è la prova.
Dunque, fuori dalle nubi polemiche, fuori dalle grida che in continuazione si ascoltano, noi abbiamo proposto un terreno di confronto.
Questa mattina, ancora, l'opposizione viene sul terreno del confronto e allora sorge immediatamente la domanda politica: ma quante sono le linee dell'opposizione e quanto diverse tra loro?
Vorrei vedere come la liberalizzazione e la privatizzazione dei servizi potrebbe essere concretamente proposta e approvata dall'opposizione se al suo interno, in questo dibattito, sono state espresse linee divaricanti. Nasce qui la considerazione politica: da parte della maggioranza non vi è stata diversità sui contenuti e sui temi politici posti da questo provvedimento, da parte dell'opposizione immediatamente; quando si scende dal terreno della polemica gridata a quello della proposta, si osservano linee divaricate, inconciliabili tra loro, che mi fanno ancor più dubitare del loro sforzo di poter essere forza di Governo.
È una considerazione di carattere generale che dovrebbe portarci a fare nuovi ed altri provvedimenti di questa natura, con un'osservazione in più: oggi, dopo l'approvazione del decredo-legge in esame con il voto di fiducia, sarebbe utile che i contenuti dello stesso fossero continuamente portati, da parte di tutti i senatori e di tutti i deputati della maggioranza, sul territorio, illustrati alla gente, lanciando su questo una sfida di alto profilo politico ed intellettuale all'opposizione, perché è sui problemi concreti che quei colleghi mostrerebbero profondamente la corda, è sul terreno programmatico che le divaricazioni sarebbero osservate, dando così ai cittadini la possibilità di scegliere sulla base dei programmi concreti. Infatti, è vero che l'Italia ha problemi di competitività ed è vero che diminuisce la produttività totale dei fattori, ma è pur vero che da parte della maggioranza si offrono delle soluzioni, mentre dall'altra parte, dall'opposizione, le soluzioni offerte da alcuni non sono seguite da altri, anzi sono completamente disattese.
Tale è il clima politico nel quale approviamo il provvedimento e che, a mio avviso, deve essere il leit motiv di questo periodo.
Ci sono norme fatte bene nel disegno di legge al nostro esame. Mi riferisco, in particolare, alla delega sul diritto fallimentare: sui giornali si coglie soltanto un punto della delega, non l'insieme della delega fallimentare che impatta sul sistema economico generale modificando una procedura datata, vecchia, che creava attriti nell'attività economica nel suo complesso. Adesso ci sono norme che concretamente rimuovono queste forme di attrito e che - va detto - nella Commissione di merito erano state valutate positivamente anche dai colleghi dell'opposizione. Dunque, questo provvedimento è costruito in maniera convincente e sui punti sensibili della nostra mancata competitività.
Lo stesso va detto per l'importante dibattito che si è svolto sulla tracciabilità dei prodotti e sul made in Italy, che certamente ha posto anche all'Unione Europea alcuni problemi di fondo che vanno risolti per dare alle nostre imprese un nuovo quadro di certezze, senza il quale la competitività non può aumentare. Vivaddio, abbiamo compreso approfonditamente qual è la sede, l'Unione Europea, e quali proposte possiamo avanzare perché, in un quadro di grande commercio internazionale, ci siano alcune garanzie per le imprese, in particolare quelle che competono sui grandi mercati e con altre Nazioni con diverse condizioni di costo del lavoro, di sicurezza del lavoro e sociali.
Abbiamo istituito un Alto commissario per la lotta alla contraffazione che, a nostro avviso, rappresenta uno degli strumenti attraverso cui si potrà controllare in sede nazionale ed europea che tale problema venga posto con forza e trovi soluzioni importanti per le nostre imprese.
Con la normativa in esame abbiamo accelerato e snellito alcune procedure in materia di interventi infrastrutturali. Si tratta di un aspetto importante, posto che uno dei fattori di perdita della competitività non è di natura economica, cioè relativo ai capitali a disposizione, ma va attribuito a procedure farraginose e a tempi lunghi ed incerti, che determinano talvolta l’impossibilità di proseguire, e ciò proprio in virtù di procedure talmente farraginose da duplicare addirittura i passaggi. Noi tentiamo, quindi, di snellire le suddette procedure per dare alle infrastrutture, uno dei fattori più importanti per la competitività, una forte accelerazione.
Con la normativa in esame abbiamo altresì cominciato a ridurre concretamente l’IRAP, un’imposta che, colleghi dell’opposizione, non potete dimenticare di aver introdotto voi nell’ordinamento quando eravate al Governo; già da allora avevamo sottolineato i profili gravi di questa imposta ed oggi ne patiamo tutte le distorsioni conseguenti. Ripeto, in questo provvedimento abbiamo cominciato a limitare i danni dell’IRAP, in particolare per il Mezzogiorno d’Italia, ponendoci convintamente l’obiettivo di continuare in questa nostra azione. Infatti, è assolutamente importante che il cuneo fiscale a ridosso delle imprese venga alleggerito e diminuito.
Siamo altresì intervenuti su un’altra questione che riteniamo di grande rilievo, consentendo che le erogazioni liberali siano ormai estese ad istituti di ricerca, università, associazioni ONLUS, che siano finalizzate con dimensioni importanti (il limite è di 70.000 euro), onde cominciare a costituire quel circolo virtuoso tra destinazione verso la ricerca o importanti attività sociali delle erogazioni liberali; un circolo virtuoso che auspichiamo in futuro possa essere ulteriormente migliorato, ma che comunque abbiamo introdotto e consolidato con la norma in esame.
Per quanto concerne il Mezzogiorno d’Italia, ma anche il Paese nel suo complesso, abbiamo provveduto a dare inizio ad una riforma degli incentivi, di cui conosciamo anche i limiti, ma il Governo è pronto a sperimentare un tentativo di allocazione efficiente ed efficace degli incentivi stessi al fine di spenderli nei settori migliori e per poter ridare competitività, naturalmente pronti ad apportare miglioramenti ove questa sistemazione dovesse presentare dei limiti. Anche questo è un tratto distintivo del nostro Governo che, oltre a porsi concretamente dei problemi, è pronto ad aggiustare il tiro in corso d’opera, affinché l’allocazione sia sempre più efficace ed efficiente.
Per quanto riguarda l’agricoltura, nella normativa in esame prevediamo la sospensione dei contributi agricoli unificati, in attesa, però, di un riordino complessivo del sistema della previdenza in agricoltura. La Commissione competente sta discutendo proprio questo argomento; la misura temporanea che prevediamo nella presente norma è davvero tale, nel senso che si attende la definizione del problema, garantendo un po’ di tranquillità alle imprese agricole in un momento per loro difficile, ma ponendosi comunque il problema del riordino. Siamo, del resto, in attesa di presentare un provvedimento di riordino della previdenza in agricoltura, questa volta non in termini di assistenza, ma di ripresa della competitività di questo importante comparto, che è stato a lungo - e per evitare polemiche non dico quante volte - pretermesso e obliterato nell’azione di Governo. Questo è l’aspetto che riteniamo essere un segnale forte da dare al mondo agricolo, che assume per noi grande rilevanza.
Avrei potuto tratteggiare altri elementi, ma siamo certi che il nostro cammino su questa strada sarà, in questo scorcio di legislatura, ancora più convinto e immagino potrà dare risultati sempre migliori.
Sappiamo che il contesto internazionale europeo non è favorevole, in questo momento, come lo è il contesto mondiale. Purtuttavia, noi riteniamo di contribuire attivamente, in questo scorcio di legislatura, a realizzare un miglioramento della competitività del Sistema Italia all’interno del sistema Europa e nei confronti delle altri grandi potenze che si affacciano sulla scena mondiale.
Con questo spirito approviamo con profonda convinzione il provvedimento in votazione, esprimendo la nostra fiducia al Governo. (Applausi dal Gruppo FI. Molte congratulazioni).
LAURO (Misto-CdL). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LAURO (Misto-CdL). Signor Presidente, chiedo di essere autorizzato a depositare agli atti l’intervento scritto che avevo predisposto.
PRESIDENTE. La Presidenza l’autorizza in tal senso.
VEGAS, vice ministro dell'economia e delle finanze. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
VEGAS, vice ministro dell'economia e delle finanze. Signor Presidente, vorrei dar conto di alcune correzioni di carattere formale all’emendamento 1.2000, riportate nel testo distribuito in Aula e volte ad integrare tale emendamento del Governo. Le modifiche proposte ai punti che esporrò di seguito potranno peraltro essere più precisamente individuate sul testo scritto.
Le correzioni di carattere formale concernono, innanzitutto, l’articolo 1 del disegno di legge di conversione. In particolare, si propongono due correzioni al secondo periodo e all’ultimo periodo del comma 2, nonché ai commi 4, 5 (secondo periodo) e 6 (lettera d), numero 7), e lettera d), numero 9), lettera a)).
Si propone, inoltre, di modificare il titolo del disegno di legge.
Per quanto concerne l’Allegato, si propongono innanzitutto correzioni all’articolo 1-ter del decreto-legge. Sono poi proposte correzioni, nelle modificazioni apportate all’articolo 2 del decreto-legge, anche relativamente agli articoli 591-bis e 591-ter del codice di procedura civile, agli articoli 169-bis, 169-tere 179-bis delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e nella rubrica dell’articolo 179-ter delle medesime disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile.
Inoltre, si propongono, sempre nell’Allegato, una correzione nel comma 4-bis inserito nell’articolo 2 del decreto-legge nonché ai commi 4-undecies e 4-terdecies, aggiunti al medesimo articolo 2 del decreto-legge. Si propone poi di aggiungere una ulteriore modifica a quelle apportate all’articolo 2 del decreto-legge. Si propone anche di sopprimere il comma 6-sexiesdecies nelle modificazioni apportate all’articolo 3 del decreto-legge.
Sempre con riferimento all’Allegato, si propongono talune correzioni agli articoli 4, 5, 6-bis (in questo caso si vuole solo precisare che ci si riferisce alla lettera c) e non alla lettera f) del comma 3 dell’articolo 11, dunque con riguardo alla legge finanziaria per gli anni successivi), 8-bis (comma 2, lettera b)) del decreto-legge. Si propone, infine (sempre con riferimento all’Allegato), di spostare l’articolo 12-bis, inserendolo, come lettera aggiuntiva, all’articolo 14, comma 1e di modificare, come proposto, il comma 1-ter dell’articolo 13-bis, inserito nel decreto-legge.
PRESIDENTE. Non facendosi osservazioni, tali correzioni di carattere formale si intendono approvate. (Il ministro Giovanardi chiede di intervenire).
Signor Ministro, le ricordo che se interverrà dovrò poi riaprire il dibattito, dando la parola per cinque minuti ad un rappresentante per ogni Gruppo. (Il ministro Giovanardi rinuncia ad intervenire).
Votazione nominale con appello
PRESIDENTE. Procediamo dunque alla votazione dell'emendamento 1.2000, presentato dal Governo, interamente sostitutivo dell'articolo unico del disegno di legge n. 3344 di conversione del decreto-legge n. 35, nel testo comprensivo delle correzioni stampate, con l'intesa che la Presidenza si intende autorizzata ad effettuare i coordinamenti che si rendessero necessari.
Ricordo che, ai sensi dell'articolo 94, comma 2, della Costituzione e ai sensi dell'articolo 161, comma 1, del Regolamento, la votazione sulla fiducia avrà luogo mediante votazione nominale con appello.
Indìco pertanto la votazione nominale con appello dell'emendamento 1.2000, presentato dal Governo, sull'approvazione del quale il Governo ha posto la questione di fiducia.
I senatori favorevoli alla fiducia risponderanno sì; i senatori contrari risponderanno no; i senatori che intendono astenersi risponderanno di conseguenza.
Ricordo che ciascun senatore chiamato dal senatore segretario dovrà esprimere il proprio voto passando innanzi al banco della Presidenza.
Estraggo a sorte il nome del senatore dal quale avrà inizio l'appello nominale.
(omissis)
PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione e invito i senatori segretari a procedere alla numerazione dei voti.
(I senatori segretari procedono alla numerazione dei voti).
PRESIDENTE. Proclamo il risultato della votazione nominale con appello dell'emendamento 1.2000, presentato dal Governo, interamente sostitutivo dell'articolo unico del disegno di legge n. 3344, di conversione in legge del decreto-legge n. 35, sulla cui approvazione il Governo ha posto la questione di fiducia:
Senatori votanti |
|
278 |
Maggioranza |
|
140 |
Favorevoli |
|
165 |
Contrari |
|
112 |
Astenuti |
|
1 |
Il Senato approva.
Restano pertanto preclusi o assorbiti tutti gli emendamenti, subemendamenti e ordini del giorno, riferiti al testo del decreto-legge n. 35.