XIV Legislatura - Dossier di documentazione
Autore: Servizio Studi - Dipartimento cultura
Titolo: Disposizioni correttive ed integrative del Codice dei beni culturali e del paesaggio - Schema di D.Lgs. n. 594 (art. 10, L. 137/2002)
Serie: Pareri al Governo    Numero: 516
Data: 23/01/06
Organi della Camera: VII-Cultura, scienza e istruzione

Servizio studi

 

pareri al governo

Disposizioni correttive ed integrative del Codice dei beni
culturali e del paesaggio

Schema di D.Lgs. n.594

(art. 10, L. 137/2002)

n. 516

 


xiv legislatura

23 gennaio 2006

 

Camera dei deputati

 

 

 

Il presente dossier contiene alcuni commenti di carattere generale sui contenuti del Codice dei beni culturali e del paesaggio nonché alcune considerazioni specifiche sugli articoli che sono stati modificati dallo schema di decreto in esame.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dipartimento Cultura

 

SIWEB

 

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File: cu0415.doc

 


INDICE

Scheda di sintesi per l'istruttoria legislativa

Dati identificativi3

Struttura e oggetto  4

§      Contenuto  4

§      Relazioni e pareri allegati14

Elementi per l’istruttoria legislativa  15

§      Conformità con la norma di delega  15

§      Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite  16

§      Incidenza sull’ordinamento giuridico  18

§      Impatto sui destinatari delle norme  20

Schede di lettura

§      Modifiche agli articoli 29 e 182 del Codice relativamente alle qualifiche di restauratore e collaboratore restauratore  23

§      Sintesi del codice dei beni culturali33

Testo dello Schema di D.lgs.

Testo a fronte fra il D.Lgs. n. 42/2004 e lo Schema di decreto correttivo ed integrativo

Normativa di riferimento

Normativa italiana

§      Costituzione della Repubblica italiana  (artt. 76, 87, 117, 118)61

§      Codice Civile, art. 623 Comunicazioni agli eredi e legatari.66

§      L. 1 giugno 1939, n. 1089  Tutela delle cose d'interesse artistico e storico  (legge abrogata dall'art. 166, D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490)  (artt. 6 e 13 )67

§      L. 6 dicembre 1971, n. 1034 Istituzione dei tribunali amministrativi regionali (art. 21-bis)69

§      L. 5 agosto 1978, n. 468 Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio  (art. 11-ter)70

§      L. 29 novembre 1984, n. 798  Nuovi interventi per la salvaguardia di Venezia  (art. 9)74

§      L. 23 agosto 1988, n. 400  Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri  (artt. 14 e 17)75

§      D.Lgs. 20 ottobre 1998, n. 368  Istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59  79

§      L. 7 agosto 1990, n. 241  Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi  (art. 20)88

§      D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112  Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59  (artt. 154-155)92

§      Ministro per i beni e le attività culturali, D.M. 3 agosto 2000, n. 294  Regolamento concernente individuazione dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici95

§      D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267  Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali  (art. 23)102

§      L. 6 luglio 2002, n. 137  Delega per la riforma dell'organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché di enti pubblici.  (art. 10)104

§      D.L. 30 settembre 2003, n. 269 convertito con modificazioni dalla L. 24 novembre 2003, n. 326 Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici  (art. 27)107

§      L. 30 dicembre 2004, n. 311 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)  (art. 1, co. 303-305)112

§      D.L. 14 marzo 2005, n. 35 convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 14 maggio 2005, n. 80. Disposizioni urgenti nell'àmbito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale  (art. 3, co. 6-ter).114

§      D.L. 26 aprile 2005, n. 63 convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 25 giugno 2005, n. 109, Disposizioni urgenti per lo sviluppo e la coesione territoriale, nonché per la tutela del diritto d'autore, e altre misure urgenti  (art. 2-decies)116

Normativa regionale

§      Umbria, L.R. 20 novembre 1997, n. 38 Costituzione della Fondazione per la conservazione ed il restauro dei beni librari121

Documentazione

§      M. Cammelli, Il Codice dei Beni culturali e del paesaggio: dall’analisi all’applicazione, da Aedon, Rivista di arti e diritto on line, n. 2/2004  127

§      Claudia Tubertini, I limiti della potestà legislativa regionale in materia di formazione professionale nella tutela dei beni culturali  (Nota a sentenza 9/2004) da Aedon, Rivista di arti e diritto on line, n. 2/2004  142

§      Dario Nardella, Un nuovo indirizzo giurisprudenziale per superare le difficoltà nell'attuazione del Titolo V in materia di beni culturali? (Nota a sentenza 26/2004), da Aedon, Rivista di arti e diritto on line, n. 2/2004  153

§      A. Emiliani, Alienabile, inalienabile, privato, pubblico, da Economia della cultura , n. 3/2004  163

§      B. Toscano, Il Codice: quale cultura?, da Economia della cultura , n. 3/2004  163

§      F. Baldi, Il demanio culturale e le alienazioni del patrimonio immobiliare pubblico, da Economia della cultura , n. 3/2004  163

§      A. Serra, Immobili del demanio culturale: un’alienabilità controllata, ma non troppo da Economia della cultura , n. 3/2004  163

§      Girolamo Sciullo, Gestione dei servizi culturali e governo locale dopo la pronuncia 272 del 2004 della Corte costituzionale, da Aedon, Rivista di arti e diritto on line, n. 3/2004  164

§      Giorgio Pastori, Tutela e valorizzazione dei beni culturali in Italia: situazione in atto e tendenze da Aedon, Rivista di arti e diritto on line, n. 3/2004  172

§      Giuseppe Piperata,  Sponsorizzazione ed interventi di restauro sui beni culturali da Aedon, Rivista di arti e diritto on line, n. 1/2005  189

§      Mauro Renna , I beni museali (privati ed ecclesiastici) nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, da Aedon, Rivista di arti e diritto on line, n. 1/2005  205

§      A. Leo Tarasco, La valorizzazione del patrimonio culturale tra Project Financing e gestione diretta: la difficile sussidiarietà orizzontale,da, Rivista giuridica dell’edilizia  fasc. 3, 2005  216

§      S. Settis, Musei, fondazioni, privati: chi fa cosa?  Stralci dal volume Battaglie senza eroi. I beni culturali tra istituzioni e profitto, ed. Mondadori Electa S.p.A., 2005  216

§      S. Settis, Il codice dei beni culturali e l’arte del compromesso, Stralci dal volume Battaglie senza eroi. I beni culturali tra istituzioni e profitto, ed. Mondadori Electa S.p.A., 2005  216

 


Scheda di sintesi
per l'istruttoria legislativa


Dati identificativi

Numero dello schema di decreto legislativo

594

Titolo

Disposizioni correttive ed integrative del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 in relazione ai beni culturali

Norma di delega

Art. 10 legge 6 luglio 2002, n. 137

Settore d’intervento

Beni culturali

Numero di articoli

6

Date

 

§       presentazione

13 gennaio 2006

§       assegnazione

20 gennaio 2006

§       termine per l’espressione del parere

21 marzo 2006

§       scadenza della delega

30 aprile 2006

Commissione competente

VII Cultura

Rilievi di altre Commissioni

no


Struttura e oggetto

Contenuto

Lo schema di decreto legislativo in esame reca disposizioni integrative e correttive al Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42[1].

 

Si ricorda che il Codice è stato adottato in attuazione dell’art. 10 della legge n. 137/2002[2], che ha delegato il Governo, tra l’altro, ad adottare uno o più decreti legislativi per il riassetto e la codificazione delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali. Il termine per l’esercizio della delega era fissato a 18 mesi dalla data di entrata in vigore della legge n. 137/2003 (scadenza 23 gennaio 2004). Ai sensi dell’art. 10, co. 4 della legge delega, disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo possono essere adottate, nel rispetto degli stessi princìpi e criteri direttivi e con le medesime procedure, entro due anni dalla data della entrata in vigore. Il Codice è entrato in vigore il 1° maggio 2004.

 

Tra i principi e criteri direttivi della delega, l’articolo 10 prevedeva altresì l’adeguamento della disciplina degli appalti di lavori pubblici concernenti i beni culturali, in maniera, tra l’altro, da consentire anche la partecipazione di imprese artigiane di comprovata specializzazione ed esperienza. In attuazione di tale norma è stato emanato il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 30, recante Modificazioni alla disciplinategli appalti di lavori pubblici concernenti i beni culturali. Tale decreto riguarda ogni tipo di appalto: beni mobili e immobili, elementi architettonici e superfici decorate, scavi archeologici. In particolare, l’articolo 5 demanda ad un decreto del Ministero per i beni e le attività culturali, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, previa intesa con la Conferenza unificata, la definizione dei requisiti specifici di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori citati.

 

 

Lo schema di decreto legislativo in esame si compone di sei articoli: gli articoli da 1 a 4 contengono rispettivamente le modifiche alle parti prima, seconda, quarta e quinta del Codice (le modifiche alla parte terza, relativa ai beni paesaggistici, sono contenute in un altro schema di decreto legislativo, attualmente all’esame del Parlamento). L’articolo 5 reca le modifiche all’allegato A. L’articolo 6 prevede abrogazioni di norme.

 

Con riferimento alla parte prima del Codice (articoli 1-9), recante le disposizioni generali, è stato modificato il solo articolo 5 (Cooperazione delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali in materia di tutela del patrimonio culturale) con l’intento – secondo quanto emerge dalla relazione illustrativa – di rendere più chiari la consistenza ed i limiti del conferimento alle regioni delle funzioni di tutela relative ai “beni librari”: in tal senso, è stato quindi eliminato il riferimento ai beni sottoposti a tutela statale, ritenuto eccessivamente limitativo dell’ambito delle funzioni conferite, introducendo in sua vece una previsione volta a sottrarre alle competenze regionali solo i poteri di revisione delle dichiarazioni di bene culturale effettuate a norma della legislazione precedente, che rimangono di competenza del Ministero e sono regolati dall’articolo 128 del Codice.

 

Relativamente alla parte seconda del Codice (articoli 10-130), dedicata ai beni culturali, sono stati modificati 30 articoli. Si dà conto di seguito delle modifiche più rilevanti rinviando, per le modifiche di carattere formale, al testo a fronte ed alla relazione governativa allo schema di decreto allegati al presente dossier. Con riferimento alle modifiche introdotte agli articoli 29 e 182 in materia di riconoscimento della qualifica di restauratore, si rinvia alla apposita scheda di lettura.

 

Lo schema interviene innanzitutto sull’articolo 10, che reca la definizione e l’elenco dei beni culturali, con l’obiettivo, secondo quanto emerge dalla relazione illustrativa, di conferire alle cose di interesse numismatico una maggiore visibilità nell’ambito degli oggetti meritevoli di tutela.

In particolare, la definizione delle collezioni o serie di oggetti che rientrano nei beni culturali (comma 3, lett. e)), viene estesa a quelle che abbiano particolare rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica.

La modifica al comma 4, lett. b) precisa, poi, con riferimento alle cose di interesse numismaticoche esse debbono avere carattere di rarità o di pregio, in rapporto all’epoca, alle tecniche e ai materiali di produzione.

In proposito si ricorda che già il . decreto-legge 26 aprile 2005, n. 63[3]era intervenuto su tale argomento. In particolare, l’articolo 2-decies del Dl 63/2005, relativo alle collezioni numismatiche, ha escluso alcune categorie di monete, ritenute di limitato valore, dalle prescrizioni recate dal Codice per i beni di particolare interesse storico-archeologico in caso di alienazione, commercio ed esportazione dal territorio dell’Unione Europea. Successivamente, il decreto-legge 17 agosto 2005, n. 164, recante disposizioni urgenti in materia di attività cinematografiche (non convertito), aveva inteso - secondo quanto contenuto nella relazione governativa - individuare in modo più preciso l'oggetto della tutela in esame, nel rispetto della coerenza del quadro normativo del Codice, attraverso l'abrogazione dell'articolo 2-decies del DL 63/2005 e la contestuale parziale riformulazione dell'articolo 10 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, recante il Codice.

La disposizione in commento in sostanza provvede ad una riformulazione delle modifiche introdotte dai DL 63/2005 e 164/2005 (quest’ultimo, come si è detto, non convertito)[4]. Si segnala che l’articolo 6 dello schema di decreto in esame provvede altresì all’abrogazione dell'articolo 2-decies del DL 63/2005.

 

Infine, a seguito della modifica della lettera l) del medesimo comma 4 i singoli, concreti esempi di architettura rurale (e non le tipologie) possono essere apprezzati per il loro interesse storico o etnoantropologico.

 

Con riferimento all’articolo 12, che disciplina la procedura di verifica dell’interesse culturale, da una parte è stato abolito (comma 10) il meccanismo del silenzio assenso in conformità a quanto previsto dall’articolo 3, comma 6-ter del D.L. 14 marzo 2005, n. 35[5]; dall’altra, è stato confermata la conclusione del procedimento di verifica entro centoventi giorni dal ricevimento della richiesta; inoltre, in considerazione dell’esaurirsi della fase di prima applicazione della procedura transitoria ivi prevista si è provveduto all’abrogazione dei commi dall’1 al 12 dell’articolo 27 del DL. 269/2003[6] (disposta dal successivo articolo 6 dello schema in esame).

L’art. 27 del DL n. 269/2003 ha introdotto una procedura per la verifica della sussistenza dell’interesse culturale nei beni del patrimonio mobiliare e immobiliare pubblico. Tale norma, in particolare, è volta ad escludere dall’ambito di applicazione del T.U dei beni culturali e ambientali[7] (ora sostituito dal Codice) i beni che le soprintendenze regionali giudichino privi di tale interesse, anche ai fini della loro successiva sdemanializzazione.Il D.M. 6 febbraio 2004[8] ha poi stabilito i criteri e le modalità per la predisposizione e la trasmissione degli elenchi e delle schede descrittive dei beni oggetto di verifica relativi alla sussistenza dell’interesse artistico, storico, archeologico ed etnoantropologico, per i quali è stata predisposta una scheda descrittiva contenente tutti i dati atti a compiere la verifica di cui all’articolo 27 citato.

Tale procedura, ritenuta di carattere straordinario ed imposta dalla necessità di provvedere ad una verifica rapida di alcuni beni demaniali al fine di avviare, come detto, le relative opere di dismissione, è stata poi sostituita dall’articolo 12 del Codice. Quest’ultimoha previsto, infatti, che i beni mobili e immobili appartenenti allo Stato, alle regioni e ad altri enti, pubblici, nonché a persone giuridiche private senza scopo di lucro  vengano assoggettati - d'ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono - ad uno specifico procedimento di verifica, ferma restando, medio tempore, la loro sottoposizione alla disciplina di tutela. Per i beni immobili dello Stato, la richiesta è corredata da elenchi dei beni e dalle relative schede descrittive, sulla base di criteri stabiliti con decreto del Ministero adottato di concerto con l'Agenzia del demanio e, per i beni immobili in uso all'amministrazione della difesa, anche con il concerto della competente direzione generale dei lavori e del demanio. Tali criteri sono stati definiti con D.M. 28 febbraio 2005[9], il quale disciplinando la materia a regime, ha modificato il citato  D.M. 6 febbraio 2004, eliminando la procedura del silenzio-assenso ivi prevista. Qualora, infatti, la pronuncia del Ministero non intervenga entro 120 giorni, i richiedenti potranno rivolgersi al TAR perché ingiunga all'amministrazione di provvedere e, in mancanza, nomini un commissario ad acta che assuma la richiesta determinazione[10].

 

Si ricorda, infine, che l’articolo 3, comma 6-ter del D.L. 14 marzo 2005, n. 35[11]che ha riscritto l’articolo 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241[12], relativo al silenzio assenso, ha escluso l’applicabilità di tale meccanismo, tra l’altro, agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico.

 

Il comma 1 dell’articolo 16 è stato integrato con la previsione che ammette il ricorso gerarchico ivi disciplinato anche nei confronti della determinazione conclusiva del procedimento di verifica dell’interesse culturale ex articolo 12 del Codice e  non soltanto della dichiarazione di cui all’articolo 13.

Si ricorda che l’articolo 16 ha introdotto un importante elemento di novità nel procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale, vale a dire una forma di giustiziabilità in sede amministrativa: viene infatti riconosciuta la possibilità di ricorrere al Ministro avverso la decisione, sia per motivi di legittimità che di merito. La presentazione del ricorso comporta la sospensione automatica dell’efficacia del provvedimento impugnato, salva l’applicazione delle misure cautelari.

 

All’articolo 17, comma 5, è previsto che i dati catalografici che riguardano beni di interesse bibliografico debbano affluire non solo al catalogo nazionale ma anche all’Indice del Servizio bibliotecario nazionale.

 

Al comma 2 dell’articolo 20 - relativo agli interventi vietati - è stato precisato, con riferimento al divieto di smembramento degli archivi, che si tratta di archivi pubblici e archivi privati per i quali sia intervenuta la dichiarazione di interesse culturale.

In materia di archivi, oltre a quanto si dirà al paragrafo successivo relativamente all’articolo 21, si segnala che all’articolo 30 l’obbligo di conservare i propri archivi nella loro organicità e di ordinarli, nonché di inventariare i propri archivi storici, costituiti dai documenti relativi agli affari esauriti da oltre quaranta anni è esteso ai proprietari, possessori o detentori, a qualsiasi titolo, di archivi privati per i quali sia intervenuta la dichiarazione di interesse culturale. Questi ultimi sono inoltre tenuti ad inviare copia degli inventari e dei relativi aggiornamenti alla soprintendenza, nonché al Ministero dell’interno.

 

Il successivo articolo 21 - che disciplina gli interventi sui beni culturali soggetti all’autorizzazione del Ministero o del soprintendente - ha subito diverse modifiche:

·         al comma 1, lett. e), sempre in materia di archivi, viene chiarito che l’autorizzazione del Ministero per il trasferimento di complessi organici di documentazione è richiesta, oltre che per gli archivi pubblici, per gli archivi privati nei casi in cui sia intervenuta la citata dichiarazione di interesse culturale;

·         al comma 4, si precisa che ilmutamento di destinazione d’uso dei beni medesimi deve essere comunicato al soprintendente per le valutazioni di merito di propria competenza;

·         al comma 5 si è introdotto un limite temporale di validità dell’autorizzazione agli interventi sui beni culturali qualora i lavori non siano eseguiti entro 5 anni. In tale caso, infatti, l’autorizzazione non viene meno, ma il soprintendente può dettare nuove prescrizioni ovvero integrare o variare quelle già date in relazione al mutare delle tecniche di conservazione.

 

Il comma 4 dell'articolo 22- che disciplina il procedimento di autorizzazione per interventi di edilizia - abolisce il riferimento al silenzio assenso in conformità al sopra citatol’articolo 3, comma 6-ter del D.L. 14 marzo 2005, n. 35[13] e prevede che il richiedente possa ricorrere in via giurisdizionale avverso il silenzio dell'Amministrazione [14].

 

L’articolo 29 – che definisce il concetto di conservazione del patrimonio culturale e disciplina la figura del restauratore di beni culturali - è stato oggetto delle seguenti modifiche:

·         il comma 9 è stato integrato con la previsione della disciplina regolamentare delle modalità di rilascio dei titoli al termine del corso formativo per la figura professionale del restauratore conservatore di beni culturali, sancendone al contempo l’equiparazione alle lauree universitarie di secondo livello;

·         è stato inoltre inserito un articolo 9-bis, che precisa l’ambito temporale di applicazione della disciplina dell’articolo 29, nel senso che fino all’entrata in vigore dei decreti attuativi ivi previsti, valgono le disposizioni transitorie dettate dall’articolo 182 del Codice come novellato dal presente schema di decreto (vedi oltre).

 

La modifica introdotta all’articolo 37 estende la possibilità di erogare contributi in conto interessi per la realizzazione degli interventi conservativi autorizzati anche agli interventi di conservazione condotti su beni mobili.

 

Le modifiche introdotte agli articoli successivi hanno riguardato, tra l’altro:

·         l’istituto del comodato (articolo 44);

·         una riformulazione della norma relativa all’inalienabilità dei beni culturali (articolo 54);

·         la tutela, la fruizione pubblica e la valorizzazione dei beni alienati (articolo 55);

·         la trascrizione delle condizioni e prescrizioni dettate dal provvedimento che autorizza l’alienazione (articolo 57);

·         il termine per la denuncia di trasferimento di un bene culturale da parte del legatario (articolo 59);

·         l’acquisto in via di prelazione da parte del Ministero di beni culturali alienati a titolo oneroso o conferiti in società (articolo 60);

·         l’acquisto in via di prelazione da parte delle regioni o degli enti locali su delega dello Stato ed esclusivamente per ragioni di valorizzazione del bene culturale (articolo 62).

 

Le modifiche all’articolo 106 riguardano la disciplina della concessione in uso dei beni culturali.

Tale articolo prevede che il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possano concedere l’uso dei beni culturali, per finalità compatibili con la loro destinazione culturale, a singoli richiedenti. Ai sensi del comma 2, la determinazione del canone e l’adozione del provvedimento di concessione in uso spettano al soprintendente.

La norma, in parte già contenuta nella c.d. legge Ronchey[15] e ripresa dall’articolo 114 del T.U. dei beni culturali e ambientali (D.Lgs. n. 490/1999) - che vi ha introdotto l’esigenza di salvaguardare la destinazione culturale del bene - è stata ampliata dal Codice nel senso di attribuire tale facoltà, oltre che al Ministero, anche alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali.

Si ricorda che l’art.1, commi303-305, della legge 30 dicembre 2004, n.311[16]. ha previsto che i beni culturali immobili dello Stato, delle regioni e degli enti locali, possono essere dati in concessione a soggetti privati che effettuano interventi di restauro e conservazione, dietro pagamento di un canone dal quale sono detratte le spese sostenute per il restauro. Il concessionario è obbligato a rendere fruibile il bene da parte del pubblico con le modalità stabiliti nell’atto di concessione. I beni culturali che possono formare oggetto delle concessioni sono individuati con decreto del MBAC (non emanato) su proposta del Direttore regionale competente.

Con riferimento all’esigenza di garantire una disciplina unitaria della materia ed anche ai fini di una migliore comprensione delle norme in esame, strettamente connesse con le previsioni del Codice sopra descritte, occorrerebbe valutare l’opportunità, in sede di emanazione dei decreti correttivi, di inserire tali disposizioni all’interno del Codice stesso.

 

Lo schema di decreto in esame estende, al comma 1 dell’articolo 106, la disciplina delle concessioni d’uso di beni culturali anche alle amministrazioni statali diverse dal Ministero per i beni e le attività culturali. Tale disciplina è quindi regolata dal nuovo comma 3, mediante la previsione di un controllo di tipo autorizzatorio analogo a quello previsto dall’articolo 57 sull’alienabilità dei beni culturali (vale a dire, che siano garantite la conservazione e la fruizione pubblica del bene e sia assicurata la compatibilità della destinazione d’uso con il carattere storico-artistico del bene medesimo).

 

All’articolo 112 – riguardante la valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica – è stata inserita una disposizione (comma 7-bis) volta a consentire la stipula di accordi tra lo Stato, per il tramite del Ministero, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali e i privati interessati per regolare servizi strumentali comuni destinati alla fruizione e valorizzazione di beni culturali di un territorio determinato.

 

Modifiche significative sono poi introdotte all’articolo 115.

L’articolo 115, com’è noto, disciplina la gestione delle attività di valorizzazione, che può essere diretta o indiretta. La gestione diretta è svolta attraverso strutture organizzative interne alle Amministrazioni, dotate di adeguata autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile. Qualora non sia possibile ricorrere alla gestione diretta, si provvede in forma indiretta mediante affidamento o concessione ad altri soggetti (istituzioni, fondazioni, associazioni, consorzi, società di capitali o altri soggetti, costituiti o partecipati, in misura prevalente, dall’amministrazione pubblica cui i beni pertengono), previa valutazione comparativa degli obiettivi e dei relativi mezzi, metodi e tempi.

Innanzitutto è ampliata, al comma 3, lettera a), la categoria dei soggetti giuridici, costituiti o partecipati dall’amministrazione pubblica (la cui partecipazione non deve più essere “prevalente”), cui affidare la gestione indiretta, con una formulazione che include tutte le forme previste dalle disposizioni vigenti.

In proposito la relazione illustrativa precisa che è stata omessa una elencazione delle forme organizzative  possibili “al fine di lasciare la massima libertà di opzione agli enti interessati e rendere ancora più evidente che la forma va scelta in funzione dell’obiettivo di valorizzazione perseguito, così come illustrato dal progetto.”

Si segnala al riguardo che l’articolo 6 dello schema di decreto in esame abroga l’articolo 10 (Accordi e forme associative) del D.Lgs. 20 ottobre 1998, n. 368[17].

Tale articolo ha previsto la possibilità per il Ministero per i beni e le attività culturali, ai fini della gestione dei servizi relativi ai beni culturali di interesse nazionale, di costituire o partecipare ad associazioni, fondazioni o società. Quale unico vincolo per le future persone giuridiche di diritto privato, l’articolo 10 impone che l'atto costitutivo e lo statuto prevedano, in caso di estinzione o di scioglimento della fondazione, il ritorno nella disponibilità ministeriale dei beni culturali conferiti in uso dal ministero. Va ricordato che in base allo stesso tenore letterale della disposizione richiamata, il conferimento in uso dei beni da parte del ministero rappresenta una delle possibili forme di partecipazione statale al patrimonio fondazionale, e non è condizione necessaria per la costituzione della fondazione.

Il contenuto della norma richiamata è stato precisato dal regolamento ministeriale approvato con DM 27 novembre 2001, n. 491[18],. Tale decreto precisa l'ambito di attività delle fondazioni, stabilendo che esse si occupano, in particolare, della gestione e della valorizzazione dei beni culturali e della promozione delle attività culturali. Il D.M. definisce inoltre i criteri relativi agli organi, all’organizzazione ed al funzionamento delle fondazioni.

 

La modifica del comma 4 precisa i criteri per la scelta tra le due forme di gestione (diretta e indiretta).

Il comma 8 introduce, quindi, nel contratto di servizio, i contenuti del progetto di valorizzazione e i relativi tempi di attuazione nonché le modalità di esercizio dei poteri spettanti al titolare dell’attività, al fine di assicurarne la rispondenza agli obiettivi programmatici.

 

Infine, gli interventi che hanno interessato l’articolo 122 riguardano la consultabilità dei documenti conservati negli archivi pubblici, nel senso di escludere (comma 1, lett. c)) dalla consultazione i documenti in pericolo di dispersione o danneggiamento che non abbiano raggiunto i limiti cronologici previsti dall’articolo 41.

 

 

Le modifiche introdotte alla parte quarta, che disciplina le sanzioni (articoli 160-181), riguardano gli articoli 163, 168, 173 e 179 e rivestono carattere formale.

 

 

La parte quinta, che reca le disposizioni transitorie finali e le abrogazioni (articoli 182-185), è stata modificata, innanzitutto, con riferimento alla disciplina transitoria relativa alla qualifica di restauratore di beni culturali (articolo 182)nelle more dell’attuazione dell’articolo 29.

Si ricorda sinteticamente che la formazione degli specialisti operanti nel settore dei beni culturali può essere svolta attualmente in appositi corsi di laurea triennale o specialistica[19]. Presso alcuni istituti centrali del ministero peri beni e le attività culturali - l’Istituto centrale del restauro (Roma) e l’Opificio delle pietre dure (Firenze) - operano inoltre delle Scuole di alta formazione e studio, riconosciute come tali da ultimo dall’articolo 9 del già citato D.Lgs.368/1998. Tali scuole, rispettivamente disciplinate sotto il profilo organizzativo dai DPR 16 luglio 1997, n. 399 e DPR 16 luglio 1997 n.294, organizzano corsi di formazione e di specializzazione (eventualmente anche con il concorso di università e altre istituzioni ed enti italiani e stranieri) e possono, a loro volta, partecipare e contribuire alle iniziative di tali enti.

Da ultimo il D.M. 3 agosto 2000, n. 294[20] ha definito agli articoli 7 e 8, rispettivamente, i requisiti per la qualifica di restauratore di beni culturali ed i requisiti per la qualifica dicollaboratore restauratore di beni culturali.

 

In particolare, i nuovi commi 1 e 1-bis dell’articolo 182 estendono i requisitiutili al conseguimento della qualifica di restauratore di beni culturali, prevedendo, tra l’altro, il superamento di una prova di idoneità, secondo modalità stabilite con decreto del Ministro da emanarsi di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, previo parere della Conferenza unificata.

Il comma 1-ter detta norme sulla certificazione dei requisiti mentre il comma 1-quater prevede presso il Ministero l’istituzione di un elenco, reso accessibile a tutti gli interessati.

Il comma 1-quinquies individua i requisitiutili al conseguimento della qualifica di collaboratore restauratore di beni culturali.

 

Il comma 2, in deroga a quanto previsto dall’articolo 29, comma 11, ed in attesa della emanazione dei decreti di cui ai commi 8 e 9 del medesimo articolo, con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca di concerto con il Ministro, autorizza la Fondazione “Centro per la conservazione ed il restauro dei beni culturali La Venaria Reale” ad istituire ed attivare, in via sperimentale, per un ciclo formativo, in convenzione con l’Università di Torino e il Politecnico di Torino, un corso di laurea magistrale a ciclo unico per la formazione di restauratori dei beni culturali ai sensi del comma 6 e seguenti dello stesso articolo 29.

 

Con riferimento alle disposizioni transitorie in esame, si osserva che l’articolo 29 del Codice ha introdotto una disciplina generale in materia di formazione professionale dei restauratori che vede coinvolte le regioni a vari livelli.  Occorrerebbe pertanto valutare la compatibilità della norma in esame, ancorché transitoria, con la prescrizione dell’articolo 29 e, più in generale, con l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione che attribuisce alle regioni competenza esclusiva in materia di formazione professionale e competenza concorrente in materia di professioni.

 

L’articolo 6, infine, contiene le seguenti abrogazioni:

 

·         artt. 154 e 155 (Commissione per i beni e le attività culturali e sue funzioni) del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112 recante Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59; in proposito si segnala che il Codice aveva già abrogato gli articoli del d.lgs. n. 112/1998 relativi alla gestione (150), alla valorizzazione (152) ed alla promozione (153) dei beni culturali, oltre all’articolo 148 che recava le definizioni di beni culturali, beni ambientali, tutela, gestione, valorizzazione, attività culturali e promozione;

·         art. 10 (Accordi e forme associative) del D.Lgs. 20 ottobre 1998, n. 368 recante Istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59;

·         art. 27, commi 1-12 (Verifica dell'interesse culturale del patrimonio immobiliare pubblico)del D.L. 30 settembre 2003, n. 269 recante Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326;

·         art. 2-decies (Collezioni numismatiche)del D.L. 26 aprile 2005, n. 63 recante Disposizioni urgenti per lo sviluppo e la coesione territoriale, nonché per la tutela del diritto d'autore, e altre misure urgenti, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2005, n. 109.

 

Relazioni e pareri allegati

Lo schema di decreto legislativo è accompagnato dalla relazione illustrativa.

 


Elementi per l’istruttoria legislativa

Conformità con la norma di delega

Per quanto concerne l’oggetto della delega, il provvedimento è adottato in attuazione dell’art. 10 della legge n. 137/2002 (c.d. “legge Frattini”), che ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per il riassetto e la codificazione delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali. Il termine per l’esercizio della delega è fissato a 18 mesi dalla data di entrata in vigore della legge n. 137/2003 (scadenza 23 gennaio 2004).

 

Ai sensi dell’art. 10, co. 4, disposizioni correttive ed integrative dei decreti legislativi di cui al comma 1 possono essere adottate, nel rispetto degli stessi princìpi e criteri direttivi e con le medesime procedure di cui al presente articolo, entro due anni dalla data della loro entrata in vigore. Il Codice è entrato in vigore il 1° maggio 2004.

 

I principi e criteri direttivi cui deve attenersi il Governo, senza determinare nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato,sono (art. 10, co. 2, lett. a), b), c) e d) legge n. 137/2003):

a)  adeguamento agli articoli 117 e 118 della Costituzione;

b)  adeguamento alla normativa comunitaria e agli accordi internazionali;

c)  miglioramento dell'efficacia degli interventi concernenti i beni e le attività culturali, anche allo scopo di conseguire l'ottimizzazione delle risorse assegnate e l'incremento delle entrate; chiara indicazione delle politiche pubbliche di settore, anche ai fini di una significativa e trasparente impostazione del bilancio; snellimento e abbreviazione dei procedimenti; adeguamento delle procedure alle nuove tecnologie informatiche;

d)  aggiornare gli strumenti di individuazione, conservazione e protezione dei beni culturali e ambientali, anche attraverso la costituzione di fondazioni aperte alla partecipazione di regioni, enti locali, fondazioni bancarie, soggetti pubblici e privati, senza determinare ulteriori restrizioni alla proprietà privata, nè l'abrogazione degli strumenti attuali e, comunque, conformandosi al puntuale rispetto degli accordi internazionali, soprattutto in materia di circolazione dei beni culturali; riorganizzare i servizi offerti anche attraverso la concessione a soggetti diversi dallo Stato mediante la costituzione di fondazioni aperte alla partecipazione di regioni, enti locali, fondazioni bancarie, soggetti pubblici e privati, in linea con le disposizioni di cui alla lettera b-bis) del comma 1 dell'articolo 10 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368[21], e successive modificazioni; adeguare la disciplina degli appalti di lavori pubblici concernenti i beni culturali, modificando le soglie per il ricorso alle diverse procedure di individuazione del contraente in maniera da consentire anche la partecipazione di imprese artigiane di comprovata specializzazione ed esperienza, ridefinendo i livelli di progettazione necessari per l'affidamento dei lavori, definendo i criteri di aggiudicazione e prevedendo la possibilità di varianti oltre i limiti percentuali ordinariamente previsti, in relazione alle caratteristiche oggettive e alle esigenze di tutela e conservazione dei beni; ridefinire le modalità di costituzione e funzionamento degli organismi consultivi che intervengono nelle procedure per la concessione di contributi e agevolazioni in favore di enti ed istituti culturali, al fine di una precisa definizione delle responsabilità degli organi tecnici, secondo princìpi di separazione fra amministrazione e politica e con particolare attenzione ai profili di incompatibilità; individuare forme di collaborazione, in sede procedimentale, tra le amministrazioni per i beni e le attività culturali e della difesa, per la realizzazione di opere destinate alla difesa militare.

 

Sotto il profilo procedurale, l’art. 10, co. 3, stabilisce che i decreti legislativi sono adottati sentita la Conferenza unificata e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, da rendere entro 60 giorni dalla data di trasmissione degli schemi (decorso tale termine gli schemi possono comunque essere adottati).

 

Si fa presente che lo schema di decreto in esame è stato assegnato in assenza del parere della Conferenza unificata.

 

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Il provvedimento appare meritevole di valutazione alla luce del nuovo titolo V della Costituzione.

La disciplina recata dal provvedimento può essere ricondotta alla materia dei “beni culturali”; in tale ambito, occorre considerare che l’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., ha annoverato la “tutela dei beni culturali” tra le materie di competenza esclusiva dello Stato (prevedendo, altresì, la possibilità di attivare, su iniziativa della regione interessata, ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, ai sensi dell’art. 116, terzo comma, Cost.), mentre l’art. 117, terzo comma, Cost., ha incluso la “valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali” tra le materie di legislazione concorrente. Inoltre, l’art. 118, terzo comma, Cost., ha devoluto alla legge statale il compito di disciplinare “forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali” tra Stato e regioni.

 

In proposito la Corte Costituzionale, nella recente sentenza n. 232 del 2005, ha precisato che ai fini del discrimine delle competenze, ma anche del loro intreccio nella disciplina dei beni culturali, elementi di valutazione si traggono dalle norme del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e paesaggistici). Tale testo legislativo, secondo la Corte, ribadisce l’esigenza dell’esercizio unitario delle funzioni di tutela dei beni culturali (art. 4, comma 1) e, nel contempo, stabilisce, però, che siano non soltanto lo Stato, ma anche le Regioni, le città metropolitane, le province e i comuni ad assicurare e sostenere la conservazione del patrimonio culturale e a favorirne la pubblica fruizione e la valorizzazione (art. 1, comma 3).

 

In linea generale le modifiche introdotte dallo schema di decreto legislativo appaiono rispettose dei principi costituzionali sopra esposti.

 

Tuttavia, la pdl appare meritevole di valutazione sotto il profilo costituzionale con riferimento alla disposizioni riguardanti la figura del restauratore di beni culturali (articoli 29 e 182). Tale aspetto deve essere valutato alla luce della competenza statale esclusiva in materia di “tutela” dei beni culturali (con riferimento alla necessità di garantire adeguati livelli professionali degli addetti alle attività di tutela). La materia riguarda inoltre l’ambito delle “professioni”, di competenza concorrente, e deve, infine, essere messa in relazione con la materia della “istruzione e formazione professionale”, che il terzo comma dell’articolo 117 della Costituzione ha espressamente escluso dalle materie a legislazione concorrente, rimettendola alla potestà esclusiva delle regioni.

 

Al riguardo si segnala che la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 9 del 2004, si è espressa in merito alla legittimità costituzionale dell’art. 3 del DM 24 ottobre 2001, n. 420 (Regolamento recante modificazioni e integrazioni al d.m. 3 agosto 2000, n. 294 del Ministro per i beni e le attività culturali concernente l’individuazione dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici), che ha riformulato integralmente il testo dell’art. 7 del precedente decreto ministeriale 3 agosto 2000, n. 294.

In proposito, la Corte ha affermato che detto articolo 3, non riguardando la qualifica generale di “restauratore” e non disciplinando corsi di istruzione, requisiti di ammissione, reclutamento e status dei docenti, non potesse rientrare nella materia della formazione professionale. La Corte ha quindi ritenuto che la norma in questione rientri nella materia della tutela dei beni culturali, perché essa concerne il restauro dei medesimi, ossia una delle attività fondamentali in cui la tutela si esplica. Conseguentemente, la Corte ha concluso che spetta allo stato la competenza esclusiva sulla materia in esame.

 

Incidenza sull’ordinamento giuridico

Riflessi sulle autonomie e sulle altre potestà normative

Si segnala che lo schema di decreto in esame è stato assegnato in assenza del prescritto parere della Conferenza unificata.

 

Con riferimento alle modifiche introdotte all’articolo 29 in materia di formazione dei restauratori, si osserva che tali modifiche presentano alcuni profili problematici in relazione al principio di autonomia universitaria fissato dall’art. 33 della Costituzione.

 

Com’è noto, in attuazione dell’articolo 17, co. 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127[22], che ha riconosciuto ai singoli atenei l’autonomia nella definizione dei percorsi formativi, secondo criteri generali definiti con decreti del Ministro, il D.M. 509/1999[23]recentemente sostituito dal D.M. 270/2004[24],ha dettato le norme sull’autonomia didattica degli atenei, determinando una nuova articolazione dei corsi e dei titoli di studio in conformità con gli standard condivisi dai Paesi dell’Unione europea: la laurea, triennale, comprensiva di un percorso di base comune per gli studenti del primo anno; la laurea magistrale, conseguibile dopo la laurea attraverso l’acquisizione di 120 crediti formativi (convenzionalmente pari a due anni di studio).

In deroga a tale disposizione, i decreti ministeriali possono prevedere l'ammissione ad un corso di laurea magistrale con il possesso del diploma di scuola secondaria superiore, esclusivamente per corsi di studio regolati da normative dell'Unione europea che non prevedano, per tali corsi, titoli universitari di primo livello, ovvero, fermo restando il periodo formativo iniziale comune, per i corsi di studio finalizzati all'accesso alle professioni legali[25].

 

In tale quadro normativo, l’articolo 29 del Codice stabiliva (comma 9) che con decreto del Ministro adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988 di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, previo parere della Conferenza Stato-regioni, fossero individuati le modalità di accreditamento, i requisiti minimi organizzativi e di funzionamento delle scuole di restauro, le modalità della vigilanza sullo svolgimento delle attività didattiche e dell’esame finale, nonché le caratteristiche del corpo docente.

 

Nelle more dell’attuazione del decreto, le modifiche introdotte dallo schema di decreto in esame stabiliscono che l’esame finale delle scuole di restauro (già operanti o accreditate secondo la disciplina recata dall’articolo stesso) abbia valore di titolo abilitante e che il relativo titolo di studio sia equiparato al diploma di laurea specialistica o magistrale.

 

Tale disposizione, oltre a non aderire al dettato dell’articolo 29 in merito al concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, costituisce una deroga alle procedure previste dal decreto sull’autonomia didattica degli atenei. Al riguardo si segnala inoltre che l’articolo 33 della Costituzione prevede espressamente, al quinto comma, un esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale.

 

Nella normativa vigente, l’esame di Stato è generalmente prescritto per l’accesso alle professioni, anche se vi sono alcune eccezioni di rilievo (come ad esempio, le professioni sanitarie)[26]. Con riferimento alla professione docente, il D.Lgs. 17 ottobre 2005, n. 227[27] - che ha dettato le norme generali in materia di formazione degli insegnanti ai fini dell'accesso all'insegnamento - ha attribuito valore abilitante all’esame di laurea magistrale. Tale deroga era peraltro espressamente contenuta nella legge delega (articolo 5, co. 1, lett. d), legge 28 marzo 2003, n. 53, recante Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale).

 

Con riferimento alla formulazione del testo, si segnala che non risulta allo stato nella normativa vigente la denominazione di “laurea magistrale a ciclo unico”. Il DM 25 novembre 2005 che ha previsto un analogo percorso unitario per i corsi di studio finalizzati all’accesso alle professioni legali, utilizza la formulazione “percorso unitario quadriennale”.

 

 

Con riferimento poi alla disciplina transitoria dettata dall’articolo 182 in materia di requisiti per il riconoscimento della qualifica di restauratore, occorre valutare la compatibilità della condizione relativa all’attività pratica da svolgere nell’ambito dei corsi di laurea con la descritta disciplina sull’autonomia universitaria e gli ordinamenti didattici; le università interessate inoltre dovrebbero adeguare alle previsioni citate i corsi di laurea specialistica  che - essendo in atto alla data del 1° maggio 2004 - sono già in fase di conclusione.

 

 

Attribuzione di poteri normativi

L’articolo 182, comma 1-bis, rimette ad un decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, da emanarsi di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, previo parere della Conferenza unificata, entro il 30 ottobre 2006, le modalità di svolgimento della prova di idoneità per acquisire la qualifica di restauratore di beni culturali.

 

Coordinamento con la normativa vigente

Il coordinamento con la normativa vigente è assicurato, in linea generale, dalla tecnica della novella e dall’abrogazione di norme.

Impatto sui destinatari delle norme

Le modifiche introdotte esplicano i loro effetti su tutti coloro – Stato, regioni, enti pubblici territoriali, enti ed istituti pubblici nonché soggetti privati – che, ai sensi del Codice, esercitano funzioni di tutela e valorizzazione di beni culturali.

 

Si segnala in particolare la costituzione di elenchi per le professioni interessate nelle attività di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale nazionale.

 


 

Schede di lettura

 


Modifiche agli articoli 29 e 182 del Codice relativamente alle qualifiche di restauratore e collaboratore restauratore

 

 

 

Per quanto attiene la figura del restauratore, l’articolo 29 del Codice prevede (commi 7, 8, 9, 11) che con decreti del Ministro adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, previe diverse forme di coinvolgimento delle regioni, siano individuati:

·       i profili di competenza dei restauratori e degli altri operatori;

·       i criteri ed i livelli di qualità cui si adegua l’insegnamento del restauro;

·       le modalità di accreditamento, i requisiti minimi organizzativi e di funzionamento delle scuole istituite da soggetti pubblici e privati e da i centri di studio e ricerca che - ai sensi del comma 11 -possono essere istituiti  congiuntamente da regioni ed università.

 

Le modifiche introdotte dall’art. 4 dello schema di D. Lgs.dispongono che:

·       l’esame finale delle scuole di restauro (già operanti o accreditate secondo la disciplina recata dall’articolo stesso[28]) abbia valore di titolo abilitante e sia equiparato al diploma di laurea specialistica o magistrale (cioé a corsi di laurea di secondo livello così definiti dal DM 5091999 e dal DM 270/1999[29] che lo ha sostituito);

·       dall’entrata in vigore dei decreti ministeriali sopra citati, la qualifica di restauratore conservatore (quest’ultima denominazione è nuova) possa essere acquisita solo ai sensi di questi ultimi.

 

Con riguardo alla disposizione appena sintetizzata si segnala che la denominazione di “restauratore conservatore” non è finora presente nel Codice; si segnala altresì che sembrerebbe superflua la precisazione della valenza temporale limitata delle disposizioni transitorie.

 

 

Il medesimo articolo 29 (comma 10) demanda alla normativa regionale la disciplina della formazione - presso strutture pubbliche o private - di figure professionali che svolgono attività complementari al restauro. I relativi corsi si adeguano a criteri e livelli di qualità definiti con accordo in sede di Conferenza Stato-regioni[30].

 

Fino all’entrata in vigore dei decreti ministeriali previsti dall’articolo 29, si applicano le disposizioni transitorie previste dall’’art. 182 del Codice. Tale articolo, per la parte relativa al riconoscimento della qualifica di restauratore e collaboratore (commi 1 e 2) è novellato dall’art. 4 dello schema in esame; in particolare quest’ultimo ripropone e modifica i contenuti degli articoli 7 e 8 del DM 294/2000[31] (come sostituiti dalDM 420/2001[32]) recanti requisiti per l’attribuzione delle due qualifiche.

 

Per una più agevole comprensione delle modifiche introdotte con lo schema di decreto legislativo in esame si riporta di seguito il testo a fronte tra il DM 3 agosto 2000, n. 294recante Regolamento concernente l’individuazione dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate dei beni architettonici e le disposizioni transitorie previste dall’articolo 182, come modificato dall’articolo 4 dello schema.

 

 

 

 

D.M. 3 agosto 2000, n. 294.

Regolamento concernente individuazione dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici

 

 

Art. 7. Restauratore di beni culturali.

1. Ai fini del presente regolamento, nonché ai fini di cui all'articolo 224 del decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554, per restauratore di beni culturali si intende colui che ha conseguito un diploma presso una scuola di restauro statale di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368, di durata non inferiore a quattro anni, ovvero un diploma di laurea universitaria specialistica in conservazione e restauro del patrimonio storico-artistico.

 

 

 

 

 

2. Per restauratore di beni culturali s'intende altresì colui che alla data di entrata in vigore del presente regolamento:

 

a) ha conseguito un diploma presso una scuola di restauro statale o regionale di durata non inferiore a due anni e ha svolto attività di restauro dei beni stessi, direttamente e in proprio ovvero in rapporto di lavoro dipendente o di collaborazione coordinata e continuativa con responsabilità diretta nella gestione tecnica dell'intervento, con regolare esecuzione certificata da parte dell'autorità preposta alla tutela del bene o della superficie decorata, per un periodo di tempo almeno doppio rispetto a quello scolare mancante, e comunque non inferiore a due anni;

 

b) ha svolto attività di restauro dei beni predetti, direttamente e in proprio ovvero in rapporto di lavoro dipendente o di collaborazione coordinata e continuativa con responsabilità diretta nella gestione tecnica dell'intervento, per non meno di otto anni, con regolare esecuzione certificata dall'autorità preposta alla tutela dei beni sui quali è stato eseguito il restauro;

 

 

 

 

 

 

 

 

c) ha conseguito un diploma presso una scuola di restauro statale o regionale di durata non inferiore a due anni ovvero ha svolto attività di restauro di beni mobili o superfici decorate per un periodo almeno pari a quattro anni, direttamente e in proprio ovvero in rapporto di lavoro dipendente o di collaborazione coordinata e continuativa con responsabilità diretta nella gestione tecnica dell'intervento, con regolare esecuzione certificata dall'autorità di tutela, ove ne venga accertata l'idoneità o venga completato il percorso formativo secondo modalità stabilite con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, da adottarsi entro il 31 dicembre 2001.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 8. Collaboratore restauratore di beni culturali.

1. Agli effetti del presente regolamento, per collaboratore restauratore di beni culturali si intende:

 

a) colui che ha conseguito un diploma di laurea universitaria triennale in tecnologie per la conservazione e il restauro dei beni culturali, ovvero un diploma di Accademia di Belle Arti con insegnamento almeno triennale in restauro;

b) colui che ha conseguito un diploma presso una scuola di restauro statale o regionale di durata non inferiore a tre anni;

2. Per collaboratore restauratore di beni culturali s'intende altresì colui che, alla data di entrata in vigore del presente regolamento, ha svolto lavori di restauro di beni mobili di interesse storico, artistico o archeologico, o di superfici decorate di beni architettonici, per non meno di quattro anni, anche in proprio. L'attività svolta è dimostrata con dichiarazione del datore di lavoro, ovvero autocertificata dall'interessato ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, accompagnata dal visto di buon esito degli interventi rilasciato dall'autorità preposta alla tutela dei beni oggetto del lavoro.

 

 

 

PARTE QUINTA
Disposizioni transitorie, abrogazioni ed entrata in vigore

 

Articolo 182
Disposizioni transitorie

 

1.  Fino alla data ed agli effetti indicati all’articolo 29, comma 9-bis, acquisisce la qualifica di restauratore di beni culturali:

 

 

a)colui che consegue un diploma presso una scuola di restauro statale di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368, ovvero presso una scuola di restauro regionale di durata non inferiore a quattro anni,ovvero consegue un diploma di laurea specialistica in conservazione e restauro del patrimonio storico-artistico che preveda ore di insegnamento di restauro operativo manuale in laboratori presso la struttura formativa del corso o in cantieri-scuola in consegna al soggetto formatore in misura non inferiore al cinquanta per cento del totale, previo accordo con gli organi ministeriali preposti alla tutela dei beni all’uopo utilizzati, in tutti e tre i casi purché risulti iscritto ai relativi corsi alla data del 1° maggio 2004;

 

 

 

 

 

 

 

b) colui che, alla data di entrata in vigore del decreto ministeriale 24 ottobre 2001, n. 420,ha conseguito un diploma presso una scuola di restauro statale o regionale di durata non inferiore a due anni e ha svolto, per un periodo di tempo almeno doppio rispetto a quello scolare mancante per raggiungere un quadriennio e comunque non inferiore a due anni, attività di restauro dei beni suddetti, direttamente e in proprio, ovvero direttamente e in rapporto di lavoro dipendente o di collaborazione coordinata e continuativa con responsabilità diretta nella gestione tecnica dell'intervento, con regolare esecuzione certificata da parte dell'autorità preposta alla tutela dei beni o dagli istituti di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368;

c) colui che, alla data di entrata in vigore del decreto ministeriale 24 ottobre 2001, n. 420,ha svolto, per un periodo di almeno otto anni, attività di restauro dei beni suddetti, direttamente e in proprio, ovvero direttamente e in rapporto di lavoro dipendente o di collaborazione coordinata e continuativa con responsabilità diretta nella gestione tecnica dell'intervento, con regolare esecuzione certificata dai competenti organi ministeriali o dagli istituti di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368;

d) colui che ha conseguito a seguito di corso triennale un diploma presso la Scuola europea in formazione specialistica dei beni librari di Spoleto.

 

1-bis.  Può altresì acquisire la qualifica di restauratore di beni culturali, ai medesimi effetti indicati all’articolo 29, comma 9-bis, previo superamento di una prova di idoneità, secondo modalità stabilite con decreto del Ministro da emanarsi di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, previo parere della Conferenza unificata, entro il 30 ottobre 2006:

a) colui che, alla data di entrata in vigore del decreto ministeriale 24 ottobre 2001, n. 420, ha svolto, per un periodo almeno pari a quattro anni, attività di restauro dei beni suddetti, direttamente e in proprio, ovvero direttamente e in rapporto di lavoro dipendente o di collaborazione coordinata e continuativa con responsabilità diretta nella gestione tecnica dell'intervento, con regolare esecuzione certificata da parte dei competenti organi ministeriali o degli istituti di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368;

b) colui che abbia conseguito o consegua entro il 2005 un diploma presso una scuola di restauro statale o regionale di durata non inferiore a due anni.

 

1-ter.  Ai fini dell’applicazione dei commi 1, lettere b) e c), e 1-bis, lettera a):

a) la durata dell’attività di restauro è documentata dai termini di consegna e di completamento dei lavori, con possibilità di cumulare la durata di più lavori eseguiti nello stesso periodo;

b) il requisito della responsabilità diretta nella gestione tecnica dell’intervento deve risultare esclusivamente da atti di data certa anteriore all’entrata in vigore del presente decreto emanati, ricevuti o comunque custoditi dall’autorità preposta alla tutela del bene oggetto dei lavori o dagli istituti di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368; i competenti organi ministeriali rilasciano agli interessati le necessarie attestazioni entro trenta giorni dalla richiesta.

 

1-quater.  La qualifica di restauratore di beni culturali è attribuita, previa verifica del possesso dei requisiti ovvero previo superamento della prova di idoneità, secondo quanto disposto ai commi precedenti, con provvedimenti del Ministero che danno luogo all’inserimento in un apposito elenco, reso accessibile a tutti gli interessati. Alla tenuta dell’elenco provvede il Ministero medesimo, sentita una rappresentanza degli iscritti. L’elenco viene tempestivamente aggiornato, anche mediante inserimento dei nominativi di coloro i quali conseguono la qualifica ai sensi dell’articolo 29, commi 7, 8 e 9.

 

 

 

1-quinquies.  Nelle more dell’attuazione dell’articolo 29, comma 10, ai medesimi effetti di cui al comma 9-bis dello stesso articolo, acquisisce la qualifica di collaboratore restauratore di beni culturali - operatore qualificato sui beni culturali:

a) colui che ha conseguito un diploma di laurea universitaria triennale in tecnologie per la conservazione e il restauro dei beni culturali, ovvero un diploma di Accademia di belle arti con insegnamento almeno triennale in restauro;

 

b) colui che ha conseguito un diploma presso una scuola di restauro statale o regionale di durata non inferiore a tre anni;

c) colui che, alla data di entrata in vigore del decreto ministeriale 24 ottobre 2001, n. 420, ha svolto lavori di restauro di beni ai sensi dell’articolo 29, comma 4, anche in proprio, per non meno di quattro anni. L'attività svolta è dimostrata mediante dichiarazione del datore di lavoro, ovvero autocertificazione dell’interessato ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, accompagnate dal visto di buon esito degli interventi rilasciato dai competenti organi ministeriali;

 

 

d) il candidato che, essendo ammesso in via definitiva a sostenere la prova di idoneità di cui al comma 1-bis ed essendo poi risultato non idoneo ad acquisire la qualifica di restauratore di beni culturali, venga nella stessa sede giudicato idoneo ad acquisire la qualifica di collaboratore restauratore di beni culturali - operatore qualificato sui beni culturali.

 

2.  In deroga a quanto previsto dall’articolo 29, comma 11, ed in attesa della emanazione dei decreti di cui ai commi 8 e 9 del medesimo articolo, con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca di concerto con il Ministro, la Fondazione “Centro per la conservazione ed il restauro dei beni culturali La Venaria Reale” è autorizzata ad istituire ed attivare, in via sperimentale, per un ciclo formativo, in convenzione con l’Università di Torino e il Politecnico di Torino, un corso di laurea magistrale a ciclo unico per la formazione di restauratori dei beni culturali ai sensi del comma 6 e seguenti dello stesso articolo 29. Il decreto predetto definisce l’ordinamento didattico del corso,  sulla base dello specifico progetto approvato dai competenti organi della Fondazione e delle università. t

icolo 103, comma 4. In caso di inade

 

 

Il comma 1 dell’art.182 (come sostituto dall’art. 4 dello schema di decreto in esame) prescrive che - fino all’entrata in vigore dei decreti ministeriali relativi alle competenze dei restauratori, all’’insegnamento del restauro ed alle modalità di accreditamento delle scuole - sia attribuita la qualifica di restauratore di beni culturali o per soli titoli didattici, o per titoli accompagnati da un periodo di esercizio di attività o per un periodo più lungo di attività pratica.

La qualifica è riconosciuta in particolare:

a)      ai  diplomati presso una scuola di restauro statale (di cui all’articolo 9 del D.Lgs.368/1998[33], e cioè attualmente l’Istituto Centrale del Restauro di Roma e l’Opificio delle pietre dure di Firenze, in quanto presso l’Istituto di Patologia del libro non risulta in attività alcuna scuola ), ovvero presso una scuola regionale di durata non inferiore a quattro anni, ovvero ai titolari di un diploma di laurea specialistica in conservazione e restauro[34] purché tale percorso comprenda attività pratica (in laboratori o in cantieri-scuola) in misura non inferiore al cinquanta per cento del totale delle ore . E’ comunque posta la condizione che l’iscrizione ai corsi (statali, regionali o universitari) sopra citati sia già in essere alla data dell’entrata in vigore del Codice (1° maggio 2004);

b)     ai diplomati presso una scuola di restauro statale o regionale di durata non inferiore a due anni, i quali fossero già in possesso del titolo alla data di entrata in vigore del decreto del Ministro 24 ottobre 2001, n. 420[35] ed abbiano svolto un periodo di pratica non inferiore a due anni (in proprio o con rapporto di lavoro dipendente o di collaborazione coordinata e continuativa)adeguatamente certificato da parte dell'autorità preposta alla tutela dei beni o dagli istituti centrali di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368 (l’Istituto Centrale del Restauro di Roma e l’Opificio delle pietre dure di Firenze, l’Istituto di Patologia del libro);

c)      a quanti (alla data di entrata in vigore del decreto del Ministro 24 ottobre 2001, n. 420) avessero già svolto per almeno 8 anni attività pratica di restauro (in proprio o con rapporto di lavoro dipendente o di collaborazione coordinata e continuativa)adeguatamente certificato da parte dell'autorità preposta alla tutela dei beni o dagli istituti di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368;

d)     ai titolari di diploma in esito ad un corso triennale presso la Scuola europea in formazione specialistica dei beni librari di Spoleto.

 

Si ricorda in proposito chenel 1992, sulla base di una convenzione tra Regione dell'Umbria e Ministero per i beni culturali, é stato istituito a Spoleto il primo corso di formazione specialistica (biennale, poi integrato da un terzo anno) per  conservatori restauratori di beni librari; all’intesa ha aderito l'anno seguente il Comune di Spoleto.

Il 16 aprile 1996 è stato poi stipulato un Accordo di programma, sottoscritto dagli enti citati e dalle Province di Perugia e Terni, che ha previsto la realizzazione di corsi triennali (post diploma di scuola secondaria superiore ) -finanziati dalla regione Umbria nell’ambito dei programmi di alta formazione cofinanziati dal Fondo sociale europeo. I corsi, ai sensi dell’Accordo, avrebbero avuto il supporto, quanto ad attrezzature ed eventuali stages, dell’ Istituto di Patologia del libro:l’unico degli Istituti centrali del ministero presso il quale non è attivata una scuola di formazione.

 

Con legge regionale n. 38 del 20 novembre 1997 è stata poi costituita a Spoleto, con la partecipazione di soggetti pubblici e privati, la Fondazione per la conservazione e il restauro dei beni librari[36], che promuove l’alta qualificazione e l’aggiornamento nel settore della conservazione e del restauro dei beni librari e gestisce la Scuola europea di formazione e restauro di beni librari. La regione Umbria concorre con contributo annuale alle spese di gestione.

 

Con riguardo alle condizioni sopra elencate si segnala quanto segue.

Alla lettera a): occorre valutare la compatibilità della condizione relativa all’attività pratica da svolgere nell’ambito dei corsi di laurea con l’autonomia universitaria e con la disciplina degli ordinamenti didattici; le università interessate inoltre dovrebbero adeguare alle previsioni della lettera a) corsi di laurea specialistica  che- essendo in atto alla data del 1° maggio 2004- sono già in fase di conclusione.

Alla lettera d): la disposizione in esame sembra costituire un accreditamento della scuola in questione (mentre i criteri per quest’ultimo dovrebbero essere definiti con DM ai sensi dell’art. 29 commi 8 e 9 del Codice);

Ancora con riferimento alla lettera d), si segnala che questo sembra essere l’unico caso di riconoscimento della qualifica di restauratore in esito ad un corso triennale, peraltro non integrato da un periodo certificato di pratica professionale (come prescritto nei punti sopra elencati in caso di percorsi formativi di durata inferiore al quadriennio).

Infine, sempre con riferimento alla lettera d), si segnala che il riconoscimento sembra avere valore retroattivo in quanto – dalla consultazione del sito Internet - non risulterebbero attivi corsi triennali di formazione nel settore dei beni librari[37]); la disposizione in commento comunque non  specifica - a differenza di quanto avviene in tutti gli altri casi sopra descritti - la data entro la quale il titolo deve essere posseduto.

 

Il comma 1-bis prevede che la qualifica di restauratore di si consegue inoltre dopo il superamento di una prova di idoneità, da disciplinare con decreto ministeriale emanato (di concerto dal Ministro dei beni e delle attività culturali con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, previo parere della Conferenza unificata) entro il 30 ottobre 2006; a tale prova potranno accedere:

·         quanti (alla data di entrata in vigore del decreto del Ministro 24 ottobre 2001, n. 420) avessero svolto, per un periodo almeno pari a quattro anni, attività pratica di restauro dei beni culturali (effettuata e certificata con modalità analoghe a quelle previste sopra);

·         quanti entro il 2005 abbiano conseguito un diploma presso una scuola di restauro statale o regionale di durata non inferiore a due anni.

 

 

Il comma 1-ter specifica le caratteristiche della certificazione dei requisiti inerenti l’attività pratica da esibire ai sensi e dei commi 1 e 1-bis.

 

Il comma 1-quater istituisce presso il Ministero per i beni e le attività culturali un apposito elenco dei restauratori, inizialmente destinato a quanti ottengono il riconoscimento della qualifica ai sensi delle disposizioni transitorie sin qui sintetizzate, in seguito l’elenco sarà incrementato da quanti conseguiranno la qualifica ai sensi dei decreti ministeriali attuativi dei commi 7, 8 e 9 dell’art. 29 del Codice.

 

Il comma 1-quinquies definisce (nelle more dell’attuazione dell’articolo 29, comma 10, ai medesimi effetti di cui al comma 9-bis dello stesso articolo) i requisiti per l’acquisizione della qualifica di collaboratore restauratore di beni culturali - operatore qualificato sui beni culturali (la materia è oggetto dell’art. 8 del DM 294/2000, come modificato dal DM 421/2001). Tale qualifica compete:

·         ai titolari di un diploma di laurea universitaria triennale in tecnologie per la conservazione e il restauro dei beni culturali[38], ovvero di diploma di Accademia di belle arti con insegnamento almeno triennale in restauro;

·         ai titolari di diploma presso una scuola di restauro statale o regionale di durata non inferiore a tre anni ;

 

 Conclusivamente si segnala che la disciplina sopra descritta (commi da 1 a 1-quinquies dell’art.182 riformulato) sostituisce i più volte citati articoli 7 e 8 del  regolamento adottato con DM 294/2000 e per tale profilo opera una rilegificazione della materia.

 

Il comma 2 dell’art. 4 dello schema in esame sostituisce il comma 2 dell’art 182 del Codice disponendo che (in deroga a quanto previsto dall’articolo 29, comma 11, ed in attesa della emanazione dei decreti di cui ai commi 8 e 9 del medesimo articolo) con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali, la Fondazione “Centro per la conservazione ed il restauro dei beni culturali La Venaria Reale[39]” sia autorizzata ad attivare sperimentalmente, in convenzione con l’Università di Torino e il Politecnico di Torino, un corso di laurea magistrale a ciclo unico per la formazione di restauratori dei beni culturali.

 

La disposizione commentata, che si pone esplicitamente come deroga al comma 11 dell’art. 29 del Codice, interviene in materia di ordinamenti didattici universitari novellando per tale profilo il DM 270/2004 recante la disciplina di questi ultimi. Occorrerebbe pertanto valutare l’opportunità di provvedere al coordinamento delle norme in questione.

Con riferimento alla formulazione del testo, si segnala che non risulta allo stato nella normativa vigente la denominazione di “laurea magistrale a ciclo unico”. Il DM 25 novembre 2005 che ha previsto un analogo percorso unitario per i corsi di studio finalizzati all’accesso alle professioni legali, utilizza la formulazione “percorso unitario quadriennale”.

 

 


Sintesi del codice dei beni culturali

1.Princìpi fondamentali ed assetto delle competenze

In base all’articolo 9 della Costituzione, la Repubblica italiana tutela il paesaggio ed il patrimonio storico e artistico della nazione.

L’articolo 117, secondo comma, lett. s), del nuovo Titolo V della Costituzione ha annoverato la “tutela dei beni culturali”tra le materie di competenza esclusiva dello Stato (prevedendo, altresì, la possibilità di attivare, su iniziativa della regione interessata, ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, ai sensi dell’art. 116, co. 3, Cost.), mentre l’art. 117, terzo comma, Cost., ha incluso la “valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali”tra le materie di legislazione concorrente. Inoltre, l’art. 118, co. 3, Cost., ha devoluto alla legge statale il compito di disciplinare “forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali” tra Stato e regioni.

 

Sul piano amministrativo, la distribuzione delle competenze tra Stato, regioni, province e comuni era già stata ridefinita dal decreto legislativo n. 112 del 1998[40], ai sensi del quale:

§         sono riservate all’amministrazione centrale le funzioni di tutela dei beni culturali e ambientali;

§         lo Stato e le autonomie territoriali tuttavia concorrono nell’attività di conservazione, e la gestione di musei o di altri beni culturali statali può essere affidata alle regioni e agli enti locali, secondo il “principio di sussidiarietà”;

§         alla valorizzazione dei beni culturali e alla promozione delle attività culturali provvedono lo Stato, le regioni e gli enti locali, ciascuno nel proprio ambito e cooperando tra loro. A tale scopo è prevista l’istituzione, presso ogni regione, di una Commissione per i beni e le attività culturali, competente in materia di programmazione, coordinamento e monitoraggio delle attività[41].

 

 

2. Codice dei beni culturali e del paesaggio

 

Il Decreto legislativo 29 ottobre 1999, n.490, recante il “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali”, ha raccolto e riordinato la legislazione esistente in materia.

 

 

Tale normativa è stata recentemente sostituita dal D.Lgs. 22 gennaio 2004 n 42 Codice dei beni culturali e del paesaggio -emanatoai sensi dell’articolo 10 dellalegge 6 luglio 2003, n. 137- entrato in vigore a decorrere dal 1° maggio 2004. Il Codice si compone di cinque parti, suddivise in titoli, capi e sezioni.

 

 

Si riassumono brevemente le disposizioni principali contenute nel Codice.

 

La parte prima (articoli 1-9), recante le disposizioni generali, introduce, in corrispondenza con la distinzione introdotta all’art. 117 Cost., la definizione normativa dei concetti di “tutela” e “valorizzazione” dei beni culturali e ambientali, fornendo gli strumenti interpretativi volti a dare contenuto al riparto delle competenze tra Stato e regioni definito a livello costituzionale.

 

In attuazione dell’articolo 9 della Costituzione, il Codice prevede innanzitutto che la Repubblica tuteli e valorizzi il patrimonio culturale, in coerenza con le attribuzioni di cui all’articolo 117 della Costituzione, ai fini della preservazione della memoria della comunità nazionale e del suo territorio nonché della promozione dello sviluppo e della cultura (articolo 1). E’ compito dello Stato, delle regioni, delle città metropolitane, dei comuni e degli altri soggetti pubblici assicurare il rispetto delle esigenze di tutela e di valorizzazione del patrimonio medesimo, mentre, in considerazione della funzione sociale dei beni culturali i privati, se proprietari, possessori o detentori di tali beni, siano tenuti a garantirne la conservazione.

 

Il patrimonio culturale (articolo 2) è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici; oltre alle categorie di beni espressamente individuate nel provvedimento (artt. 10 e 11 per i beni culturali e art. 134 per i beni paesaggistici) possano essere individuati come beni culturali o paesaggistici, con legge o in base alla legge, anche altri beni (che, tuttavia, devono caratterizzarsi “quali testimonianze aventi valore di civiltà” per essere annoverati tra i beni culturali).

 

La tutela del patrimonio culturale è definita (articolo 3) come l’esercizio delle funzioni e la disciplina delle attività dirette a garantire l’individuazione, la conoscenza, la protezione e la conservazione del patrimonio culturale, nonché a conformare e regolare i diritti e i comportamenti ad esso inerenti.

Al fine di garantire l'esercizio unitario della tutela, le funzioni a essa relativa sono attribuite al Ministero, che può esercitarle direttamente o conferirne l'esercizio alle regioni (articolo 4); queste ultime e gli altri enti pubblici territoriali cooperano con il Ministero nell’esercizio delle funzioni di tutela; alle regioni sono inoltre conferite le funzioni di tutela su manoscritti, autografi, carteggi, documenti, incunaboli, su raccolte librarie non appartenenti allo Stato o non sottoposte alla tutela statale, nonché su libri, stampe e incisioni non appartenenti allo Stato (articolo 5). In base a specifici accordi o intese, e previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, le regioni possono inoltre esercitare le funzioni di tutela anche su raccolte librarie private, nonché su carte geografiche, spartiti musicali, fotografie, pellicole o altro materiale audiovisivo, non appartenenti allo Stato (articolo 5, comma 3); su richiesta delle regioni ulteriori forme di coordinamento in materia di tutela possono essere individuate secondo le modalità previste dal comma 3 e in attuazione dei principi di differenziazione ed adeguatezza. Regioni, comuni, città metropolitane e province cooperano con il Ministero nell’esercizio delle funzioni di tutela e forme particolare di cooperazione possono essere previsti dagli accordi o dalle intese di cui al comma 3.

 

La valorizzazione del patrimonio culturale (articoli 6 e 7) consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuoverne la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e di fruizione pubblica del patrimonio stesso. Essa comprende anche la promozione ed il sostegno agli interventi di conservazione. Tale funzione è vista in rapporto di subordinazione alla tutela, dovendo essere attuata in forme coerenti con essa e comunque tali da non pregiudicarne le esigenze. Il comma 3 dell'articolo 6 prevede, inoltre, che venga favorita la partecipazione di soggetti privati alla valorizzazione del patrimonio culturale.

 

Si fa presente che i principî fondamentali in materia di valorizzazione del patrimonio culturale sono fissati, in modo specifico, dagli articoli da 111 a 121. Ai sensi dell'articolo 112, in particolare, il Ministero dei beni e delle attività culturali, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali perseguono il coordinamento e l’armonizzazione delle attività di valorizzazione dei beni pubblici, attraverso accordi di programma o altre forme di accordi o intese.

 

Il Codice fissa inoltre (articolo 9) i principi in materia di rapporti con gli enti ecclesiastici nel caso, non infrequente, di compresenza in uno stesso bene, mobile o immobile, di valenze non soltanto culturali ma anche cultuali. Nell'ambito dei soggetti privati che possono avere la disponibilità di beni culturali rientrano gli enti ecclesiastici; per i beni ad essi appartenenti, indicati come "beni culturali di interesse religioso", si prevede un regime speciale caratterizzato dalla soggezione alle leggi dello Stato italiano, ma sulla base di disposizioni concordate fra le parti.

 

La  parte seconda del Codice (articoli 10-130) è dedicata ai beni culturali ed articolata in tre titoli aventi ad oggetto la tutela (artt. 10-100), la fruizione e la valorizzazione (artt. 101-127), nonché norme transitorie e finali (art. 128-130).

 

Il titolo I (articoli 10-100), concernente la tutela, mantiene sostanzialmente fermo l’impianto del TU del 1999, sia per quanto riguarda la distinzione tra beni culturali sottoposti in via generale alle norme in materia di tutela e beni culturali oggetto di specifiche disposizioni di tutela, sia per quanto riguarda la dichiarazione di interesse culturale dei beni appartenenti a privati, non senza provvedere, tuttavia, ad introdurre al suo interno alcune importanti novità.

 

Per quanto concerne l’oggetto della tutela (Capo I), dal combinato disposto degli articoli 10-16 si desume che i beni possono essere distinti in tre gruppi.

Un primo gruppo comprende i beni culturali, appartenenti a soggetti pubblici, per i quali l’interesse culturale è ritenuto sussistere ex se. Si tratta, ad esempio, di raccolte di musei, pinacoteche, gallerie, archivi, raccolte librarie (articolo 10, co. 2).

Un secondo gruppo comprende i beni di cui all’art. 10, co. 1, ossia i beni mobili e immobili appartenenti allo Stato, alle regioni e ad altri enti, pubblici, nonché a persone giuridiche private senza scopo di lucro, per i quali trova applicazione la disciplina dell’articolo 12. Mentre il sistema vigente opera una presunzione generale di interesse culturale, tale ultima norma prevede, infatti, che i beni in questione vengano assoggettati ad uno specifico procedimento di verifica, ferma restando, medio tempore, la loro sottoposizione alla disciplina di tutela (anche cautelare e preventiva: art. 28). L’articolo 12 riproduce, in larga misura, i contenuti dell’articolo 27 del DL n. 269/2003[42].

L’art. 27 del DL n. 269/2003 ha introdotto una procedura per la verifica della sussistenza dell’interesse culturale nei beni del patrimonio mobiliare e immobiliare pubblico. Tale norma, in particolare, è volta ad escludere dall’ambito di applicazione del T.U dei beni culturali e ambientali[43] (ora sostituito dal Codice dei beni culturali e del paesaggio[44]) i beni che le soprintendenze regionali giudichino privi di tale interesse, anche ai fini della loro successiva sdemanializzazione.

 

Un terzo gruppo comprende i beni, appartenenti in primo luogo a privati, per i quali l’accertamento dell’interesse culturale avviene mediante il procedimento di dichiarazione (c.d. “vincolo”) disciplinato dagli artt. 13-16 (articolo 10, co. 3). Un importante elemento di novità, in questo ambito, è rappresentato dalla introduzione di una forma di giustiziabilità in sede amministrativa, viene infatti riconosciuta la possibilità di ricorrere al Ministro avverso la decisione, sia per motivi di legittimità che di merito. La presentazione del ricorso comporta la sospensione automatica dell’efficacia del provvedimento impugnato, salva l’applicazione delle misure cautelari.

 

Altri significativi elementi di novità in materia sono:

·         l’introduzione tra le categorie speciali di beni culturali, soggetti a specifiche disposizioni di tutela (art. 11), di opere di architettura contemporanea di particolare valore artistico[45], di opere autori viventi o la cui esecuzione non risalga a oltre 50 anni (per le quali si introduce una limitata forma di tutela, delineata all’articolo 64, consistente nell’obbligo per il venditore professionale di rilasciare attestati di autenticità e provenienza[46]) e delle vestigia della Grande guerra[47];

·         l’espressa menzione, tra i beni oggetto di tutela, delle pellicole cinematografiche e i supporti audiovisivi rari o di pregio, delle matrici delle incisioni e delle pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi urbani di interesse artistico e storico (art. 10, co. 4);

 

Viene, altresì, ribadita l'esigenza di assicurare la catalogazione nazionale dei beni culturali, cui concorrono il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali (articolo 17). E' previsto altresì che anche le regioni curino la catalogazione dei beni culturali loro appartenenti, facendo peraltro affluire i relativi dati al catalogo nazionale.

 

Seguono norme in materia di vigilanza e l’ispezione (Capo II, articoli 18 e 19) rientranti nelle competenze statali, protezione e conservazione dei beni culturali (Capo III, articoli da 20 a 52), circolazione dei beni culturali in ambito nazionale (Capo IV, articoli da 53 a 64).

 

Con riguardo alle misure di protezione, gli articoli 20 e 21 regolano gli interventi sui beni culturali, distinguendo fra gli interventi vietati in assoluto e quelli soggetti ad autorizzazione.

L'articolo 21, in particolare, subordina ad autorizzazione del Ministero la demolizione dei beni culturali, il loro spostamento, lo smembramento delle collezioni, lo scarto dei documenti degli archivi, il trasferimento ad altre persone giuridiche. Subordina altresì ad autorizzazione del soprintendente l'esecuzione di opere e lavori di qualunque genere sui beni culturali. Il procedimento di autorizzazione per interventi di edilizia é descritto dal successivo art. 22. Gli articoli 23-28 dettano norme in materia di edilizia e lavori.

L’art. 28 contiene disposizioni innovative, rispetto al corrispondente articolo del precedente TU (D.Lgs 490 /1999) in materia di misure cautelari e preventive.

Oltre a ribadire in capo al Ministero il potere di veto o di sospensione di interventi eseguiti senza l’autorizzazione o in difformità da essa, viene infatti introdotto l’istituto dei saggi archeologici preventivi in occasione della realizzazione di opere pubbliche ricadenti in aree di interesse archeologico, anche se non ancora vincolate, assegnandoal soprintendente il potere di richiederne l’effettuazione a spese del committente dell’opera pubblica[48].

Gli artt. 29- 44 recano misure di conservazione.

L’articolo 29  definisce il concetto di conservazione del patrimonio culturale, che viene attuata mediante una programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro. Di tali ultime attività viene chiarito l’ambito:

-         prevenzione (complesso delle attività idonee a limitare le situazioni di rischio connesse al bene culturale nel suo contesto);

-         manutenzione (complesso delle attività e degli interventi destinati al controllo delle condizioni del bene culturale e al mantenimento dell’integrità, dell’efficienza funzionale e dell’identità del bene e delle sue parti);

-         restauro (intervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni finalizzate all’integrità materiale ed al recupero del bene medesimo, alla protezione ed alla trasmissione dei suoi valori culturali).

Si dispone altresì che gli interventi di manutenzione e restauro su beni culturali mobili e superfici decorate di beni architettonici sono eseguiti in via esclusiva da coloro che sono restauratori di beni culturali ai sensi della normativa in materia.

L’articolo introduce inoltre una disciplina generale in materia di formazione professionale dei restauratori.

Si prevede in particolare che:

·         i profili di competenza dei restauratori e degli altri operatori addetti ad  attività complementari al restauro o altre attività di conservazione dei beni culturali mobili e delle superfici decorate di beni architettonici nonché i criteri ed i livelli di qualità cui si adegua l’insegnamento del restauro siano definiti con decreti del Ministro adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400;

·         l’insegnamento del restauro sia impartito nelle alle scuole di alta formazione e di studio istituite ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368, nonchè in centri istituiti da soggetti pubblici e privati accreditati secondo modalità definite con decreto ministeriale ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400;.

·         la formazione delle figure professionali che svolgono attività complementari al restauro o altre attività di conservazione è assicurata da soggetti pubblici e privati ai sensi della normativa regionale, secondo criteri e livelli di qualità definiti con accordo in sede di Conferenza Stato-regioni[49].

 

I successivi articoli da 30-a 43 distinguono fra interventi conservativi volontari e interventi conservativi imposti, dettando in particolare una specifica procedura di esecuzione per questi ultimi.

Sono incluse gli articoli sopra citati le disposizioni relative agli obblighi di versamento agli archivi di Stato dei documenti conservati da amministrazioni statali e quelle relative agli archivi di organi costituzionali (arrt 41 e 42[50] ).

L’articolo 44, consenta ai privati di affidare in comodato a istituti pubblici, per un periodo minimo di 5 anni (tacitamente prorogabile) e con il consenso del Ministero, raccolte, collezioni o altri beni mobili di particolare importanza, al fine di permetterne la fruizione da parte della collettività. Ciò subordinatamente al fatto che l’onere per le spese di custodia, conservazione e assicurazione non sia eccessivo per l ‘amministrazione. 

I successivi articoli da 45 a 52 disciplinano, introducendo alcune significative novità, altre forme di protezione dei beni culturali, quali:

·         le misure di tutela indiretta, attraverso la prescrizione di distanze e misure atte a preservare l'integrità dei beni immobili, la loro prospettiva e le relative condizioni di ambiente e di decoro. In tale ambito sì è provveduto, in particolare, a disciplinare più compiutamente il procedimento per l’imposizione delle prescrizioni e si introdotta la possibilità per i privati di ricorrere in via amministrava (artt. 44-47);

·         l'autorizzazione al prestito per mostre od esposizioni, con la introduzione dell’assicurazione obbligatoria dei beni di cui si chiede il prestito (art. 48);

·         il divieto di collocare cartelli o manifesti pubblicitari sugli edifici e nelle aree tutelati come beni culturali, salvo autorizzazione del sovrintendente quando non ne derivi danno all'aspetto, al decoro e alla pubblica fruizione; in tale ambito, inoltre, è stata disciplinato anche l’utilizzo a scopo pubblicitario dei ponteggi utilizzati per interventi su edifici storici o in aree di interesse storico artistico (art. 49);

·         Il divieto di distacco affreschi, fregi, lapidi ecc. Senza preventiva autorizzazione (art.50)

·         la tutela degli studi d'artista, che è stata adeguata alla più recente giurisprudenza costituzionale, la quale ha dichiarato illegittima la loro non non assoggettabilità a provvedimenti di sfratto (art. 51);

·         l'adeguamento della disciplina del commercio nelle aree aventi valore archeologico, storico ed artistico, rimettendo agli enti locali (anziché al soprintendente) la potestà di vietare o sottoporre a condizioni particolari l'esercizio stesso, sentita la soprintendenza competente (art. 52).

 

Gli articoli da 53-57 definiscono una nuova disciplina dell’alienabilità dei beni culturali di proprietà pubblica o di persone giuridiche private senza scopo di lucro. In primo luogo, si introduce il concetto di demanio culturale, al quale vengono ricondotti le tipologie di beni indicate all’art. 822 del Codice civile[51].(art.53) Il provvedimento distingue, in linea generale, tra due categorie di beni: quelli in ogni caso inalienabili e quelli alienabili a determinate condizioni, tra i quali possono rientrare anche beni compresi nel demanio culturale (artt. 54-55). L’alienazione dei beni - appartenenti o meno al demanio culturale - (art. 56) è comunque subordinata al rilascio di un’autorizzazione ministeriale recante prescrizioni volte ad assicurarne la tutela (art. 57); procedura e contenuti di quest’ultima sono indicati dall’art.55 per i beni del demanio culturale e dall’art. 57 per gli altri.

Gli artt. da 60 a 62  disciplinano l’istituto dell’ acquisto in via di prelazione da parte del ministero o di altri enti pubblici .

Gli artt. 63-64 dispongono in merito al commercio dei beni culturali indicati nell’allegato A al D.Lgs, per i quali vengono recate particolari prescrizioni.

In particolare: l’esercizio dell’attività commerciale di tali beni deve essere notificato al soprintendente regionale ed è soggetto ad ispezioni ministeriali volte a verificare tra l’altro la tenuta di appositi registri delle operazioni commerciali; inoltre questa categoria di beni è soggetta a licenza in caso di esportazione permanente o temporanea dall’ambito dell’Unione europea;  e può essere oggetto di procedura di restituzione in caso di esportazione illegale (art. 74 e 75 del Codice).

 

Con riferimento alla circolazione dei beni culturali in ambito internazionale (Capo V, articoli da 65 a 87) si conferma l’adeguamento alla normativa comunitaria[52] già confluita a suo tempo nel precedente testo unico (D.Lgs. 490/1999); viene inoltre reintrodotto l’istituto dell’uscita temporanea dei beni culturali dal territorio nazionale, fermo restando l’obbligo per il privato di fornire idonea garanzia, tramite polizza assicurativa anche fidejussoria, in ordine al rientro del bene allo scadere del termine (art. 71);.

Si segnala infine che l’art. 87 fa rinvio alla Convenzione dell’UNIDROIT sul ritorno internazionale dei beni culturali rubati o illecitamente esportati[53] (ed alle relative norme di ratifica) per la restituzione dei beni ivi indicati.

 

 Nelle norme relative alla tutela rientrano, infine, le disposizioni concernenti i ritrovamenti, le scoperte e l’espropriazione dei beni culturali (Capi VI e VII, articoli da 88 a 100).

Gli articoli da 88 a 93 disciplinano l’attività di ricerca ed il ritrovamento fortuito di beni culturali.

L’attività di ricerca archeologica[54] è affidata al ministero ed eventualmente assegnata in concessione; essa può essere supportata da procedimenti di occupazione temporanea o espropriazione.

La scoperta fortuita va denunciata entro 24 ore al soprintendente o al sindaco ovvero all'autorità di pubblica sicurezza; essa comporta l’obbligo di conservazione del bene ritrovato ed implica la corresponsione di un premio calcolato dal Ministero in ragione del valore del ritrovamento.

L’art. 94sottopone il patrimonio culturale subacqueo (con riferimento alla zona estesa dodici miglia marine a partire dal limite esterno del mare territoriale )alla tutela prescritta nella Convenzione dell’UNESCO del 2 novembre 2001 sulla protezione del patrimonio culturale sommerso(in attesa della approvazione della legge di ratifica)

 

Si segnalano, al riguardo, gli artt. da 95 a 100 che disciplinano l’espropriazione dei beni culturali. In particolare, l’art. 95 prevede che i beni culturali possano essere “espropriati dal Ministero per causa di pubblica utilità, quando l’espropriazione risponda ad un importante interesse a migliorare le condizioni di tutela ai fini del godimento pubblico dei beni medesimi”.Gli artt. 96 e 97 fanno riferimento ad espropri da aree o edifici per meglio tutelare o restaurare monumenti o per eseguire ricerche archeologiche. Ai sensi dell’art. 98 la dichiarazione di pubblica utilità è fatta con decreto del Ministero o provvedimento della regione a questi comunicato. L’art. 99 specifica, invece, che “l’indennità consiste nel giusto prezzo che il bene avrebbe in una libera contrattazione di compravendita all'interno dello Stato)

 

 

Il titolo II (articoli 101-127) è dedicato alla fruizione (capo I) e alla valorizzazione (capo II) dei beni culturali.

Il Capo I (articoli 101-110), concernente la fruizione, detta norme di carattere generale sulle competenze in materia, definendo il ruolo delle regioni, nonché disposizioni specifiche sulla fruizione dei beni pubblici e privati nonché sull’uso induividuale dei beni culturali.

In particolare:

·         l'articolo 101 reca una puntuale definizione dei singoli luoghi della cultura (museo, biblioteca, archivio, area archeologica, parco archeologico, complesso monumentale), evidenziandone la destinazione alla pubblica fruizione;

·         l’articolo 102 precisa che la fruizione dei luoghi appartenenti alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali è assicurata nel rispetto dei principi fondamentali fissati dal codice ed in conformità con la legislazione regionale;

·         l'articolo 103 sancisce che l'accesso ai luoghi pubblici della cultura può essere gratuito o a pagamento. Il comma 2 estende tuttavia alle biblioteche e agli archivi pubblici la gratuità dell'accesso per fini di lettura, studio e ricerca. Esso sancisce, altresì, la parità di trattamento fra i cittadini dell'Unione europea in materia di accesso agevolato;

·         l'articolo 104 detta le modalità di fruizione dei beni di proprietà privata;

·         gli articoli da 106 a 110 disciplinano l’uso individuale dei beni culturali regolamentando tra l’altro la riproduzione ed i  relativi canoni di concessione.

 

In proposito si ricorda che l’art., commi303-305, della legge 30 dicembre 2004, n.311[55]. ha previsto che i beni culturali immobili dello Stato, delle regioni e degli enti locali, possono essere dati in concessione a soggetti privati che effettuano interventi di restauro e conservazione, dietro pagamento di un canone dal quale sono detratte le spese sostenute per il restauro. Il concessionario è obbligato a rendere fruibile il bene da parte del pubblico con le modalità stabiliti nell’atto di concessione. I beni culturali che possono formare oggetto delle concessioni sono individuati con decreto del MBAC (non emanato) su proposta del Direttore regionale competente.

 

La valorizzazione dei beni culturali (Capo II, articoli 111-121) può essere ad iniziativa pubblica o privata. Quella pubblica (art.111) consiste nella costituzione ed organizzazione stabile di risorse, strutture o reti, nonché nella messa a disposizione di competenze tecniche o risorse finanziarie o strumentali. Essa si conforma ai principi relativi alla libertà di partecipazione, pluralità dei soggetti, continuità di esercizio, parità di trattamento, economicità e trasparenza della gestione. Quella privata è riconosciuta come attività socialmente utile a fini di solidarietà sociale, con la conseguente possibilità di fruire del sostegno pubblico.

Per quanto riguarda i beni di appartenenza pubblica, l'articolo 112 individua negli accordi di programma lo strumento ordinario per lo svolgimento coordinato, armonico e integrato della valorizzazione ed affida alla legislazione regionale (in adesione a quanto previsto dall’art. 117 comma 3 della costituzione) la disciplina normativa. Nelle attività di valorizzazione possono altresì trovare spazio e coinvolgimento anche le associazioni culturali o di volontariato.

L'articolo 113 prevede forme di sostegno pubblico alle attività di valorizzazione di beni culturali privati, in rapporto alla rilevanza dei beni stessi. Sono stabiliti livelli minimi di valorizzazione che i soggetti responsabili della gestione delle attività e dei servizi pubblici sono tenuti ad assicurare al fine di fornire una ospitalità standard ai visitatori (articolo 114).

La gestione delle attività di valorizzazione può essere diretta o indiretta (articolo 115). La scelta è attuata previa valutazione comparativa, in termini di efficacia ed efficienza, degli obiettivi che si intendono perseguire e dei relativi mezzi, metodi e tempi.

La gestione diretta è svolta attraverso strutture organizzative interne alle Amministrazioni, dotate di adeguata autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile. Qualora non sia possibile ricorrere alla gestione diretta, si provvede in forma indiretta mediante affidamento o concessione ad altri soggetti, previa valutazione comparativa degli obiettivi e dei relativi mezzi, metodi e tempi.

Per quanto riguarda la gestione indiretta, si ricorda che a partire dai primi anni ’90 si è avviato anche in Italia, in linea con la tendenza prevalente nei più avanzati Paesi occidentali, un processo di collaborazione pubblico-privato nella gestione e fruizione del patrimonio culturale pubblico. Il punto di partenza di tale processo è rappresentato dalla c.d. legge Ronchey[56] che ha consentito ai musei statali[57] di “esternalizzare”, affidandoli in concessione a privati, determinati servizi accessori, afferenti essenzialmente all’assistenza culturale ed all’ospitalità per il pubblico[58] (ora regolati dall’articolo 117 del Codice[59]).

 

Gli articoli 118 e 119 dispongono, rispettivamente, la promozione di attività di studio e ricerca, e la diffusione della conoscenza del patrimonio culturale nelle scuole.

Gli articoli 120 e 121 introducono due novità di grande rilievo, con l’obiettivo di favorire l’afflusso di risorse private al settore dei beni culturali.

L'articolo 120 prevede una particolare forma di sponsorizzazione, consistente nella possibilità per i privati che versano contributi in beni o servizi per la progettazione o l’attuazione di iniziative di tutela o valorizzazione di beni culturali, di associare all’iniziativa medesima il nome, il marchio o l’immagine dell’attività, in forme, compatibili con la particolare natura dei beni, da definire nel contratto di sponsorizzazione.

L'articolo 121 prevede la stipula di protocolli d'intesa tra il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali, con le fondazioni bancarie che statutariamente perseguano scopi di utilità sociale nel settore dell'arte e dei beni culturali, al fine di coordinare gli interventi di valorizzazione e, quindi, garantire l'equilibrato impiego delle risorse finanziarie messe a disposizione.

Gli articoli da 122 a 127 disciplinano la consultazione dei documenti conservati negli archivi di Stato e negli archivi storici delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico (compresi i documenti riservati); la consultazione degli archivi correnti dei medesimi enti nonché le modalità di accesso ad archivi privati.

Sono infine dettate dagli articoli 128-130  norme transitorie e finali.

La disciplina sopra sintetizzata ( Parte seconda del Codice, relativa come già segnalato ai beni culturali) è corredata da un apparato di sanzioni connesse alle figure di illecito amministrativo  (articoli da 160 a 166) o penale relative ai beni culturali (artt. 169-180).

 

La parte terza (articoli 131-159), composta di un solo titolo, è dedicata alla tutela e alla valorizzazione dei beni paesaggistici. Le disposizioni ivi contenute riproducono, innovandole, le norme del titolo II del TU di cui al d.lgs. n. 490 del 1999.

Le principali linee innovative sono riferibili, oltre che all’esigenza di tener conto della riforma del titolo V della Costituzione  alla firma - avvenuta a Firenze il 20 ottobre 2000 - della Convenzione europea del paesaggio[60](recentemente ratificata dall’Italia con legge 9 gennaio 2006 n. 14) e all’Accordo tra il Ministro per i beni e le attività culturali e le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sull'esercizio dei poteri in materia di paesaggio[61], concluso il 19 aprile 2001.

 

L’art. 131 introduce la definizione di paesaggio (mutuandola dall’art. 1 della Convenzione europea del paesaggio) come di “una parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalle interrelazioni della storia umana e della natura”.

Con l’art. 134 viene specificato quali sono i beni paesaggistici, riprendendo la disposizione contenuta nell’art. 138 precedente T.U. (D.Lgs.490/1999) ed integrandola con l’indicazione degli immobili e delle aree comunque sottoposti a tutela dal piano paesaggistico.

L’ambito e le finalità della pianificazione del paesaggio sono indicati nell’art. 135, che riprende il dettato dell’art. 2 dell’accordo del 19 aprile 2001 estendendo) l’attività pianificatoria all’intero territorio regionale.

In base al comma 2 dell’art. 135 il piano paesaggistico (tale riferimento riguarda sia il piano paesaggistico in senso stretto che il piano urbanistico-territoriale) definisce, con particolare riferimento ai beni paesaggistici (indicati all’art. 134):

·         le trasformazioni compatibili con i valori paesaggistici;

·         le azioni di recupero e riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela;

·         gli interventi di valorizzazione del paesaggio, anche in relazione alle prospettive di sviluppo sostenibile

L’art. 136 provvede all’individuazione dei beni e delle aree sottoposti a tutela in ragione del loro notevole interesse pubblico.

L’individuazione dei beni suddetti avviene in seguito ad un complesso procedimento che termina con la dichiarazione di notevole interesse pubblico (artt.138-140), emanata dalla regione, sulla base delle proposte formulate da apposite Commissioni provinciali (la cui istituzione è disciplinata dall’art. 137), esaminate le osservazioni e tenuto conto dell’esito dell’eventuale inchiesta pubblica.

 

L’art. 142 individua le aree tutelate per legge per il loro interesse paesaggistico, riprendendo le disposizioni dell’art. 146 del D.Lgs.490/1999 ed aggiungendo che tale tutela opera fino all’approvazione del piano paesaggistico.

Con riferimento alle zone di interesse archeologico (previste alla lettera m) viene delimitata la tutela ope legis a quelle individuate alla data di entrata in vigore del Codice stesso.

 

L’art. 143 disciplina il piano paesaggistico e recepisce una novità, introdotta con l’art. 5 dell’Accordo del 19 aprile, prevedendo che il piano individui anche progetti prioritari per la conservazione, il recupero, la riqualificazione, la valorizzazione e la gestione del paesaggio regionale indicandone gli strumenti di attuazione, comprese le misure incentivanti.

 

Le disposizioni del capo IV, relative al controllo e alla gestione dei beni soggetti a tutela prevedono due tipi di autorizzazione (analogamente a quanto previsto dal D Lgs.490/1999) quella ordinaria, disciplinata dall’art. 146, e quella relativa ad opere da eseguirsi da parte di amministrazioni dello Stato, regolata dall’art. 147, a cui si aggiunge l’autorizzazione “in via transitoria” (prevista nell’ambito del capo V all’art. 159) che viene concessa nelle more dell’adeguamento – previsto dall’art. 143 - dei piani paesistici.

L’art. 148 prevede che le regioni promuovano (entro un anno dall’entrata in vigore del presente Codice) l’istituzione di una Commissione per il paesaggio presso gli enti locali ai quali sono attribuite le competenze in materia di autorizzazione paesaggistica, composta da soggetti con particolare e qualificata esperienza nella tutela del paesaggio.

Vengono poi individuati gli interventi non soggetti ad autorizzazione (art. 149); e quelli soggetti a prescrizioni particolari (art.152); viene inoltre dettata la disciplina relativa alla sospensione dei lavori (artt. 150 e 151), ai cartelli pubblicitari ed ai colori delle facciate (artt.153-154) nonché alle funzioni di vigilanza esercitate dal ministero e dalle regioni (art.155). Gli articoli da 156 a 159 recano infine la disciplina transitoria.

 

La parte quarta (articoli 160-181) disciplina,come si è detto, le sanzioni e consta di due titoli, concernenti le sanzioni amministrative (artt. 160-168) e  penali (169-181), mentre la parte quinta reca le disposizioni transitorie finali e le abrogazioni (articoli 182-185).

 

 


Testo dello Schema di D.lgs.

 


Relazione illustrativa

Testo dell’articolato

 

 

 

 

 

 


Testo a fronte fra il D.Lgs. n. 42/2004 e lo Schema di decreto correttivo ed integrativo


K:\Dati\Studi\Cultura\cu0415_codice_testoafronte.doc

 

 




[1]    Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137

[2]    Legge 6 luglio 2002, n. 137, recante Delega per la riforma dell'organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché di enti pubblici

[3]    Disposizioni urgenti per lo sviluppo e la coesione territoriale, nonché per la tutela del diritto d’autore, e altre misure urgenti convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2005, n. 109.

[4]    Il DL 63/2005 e il DL 164/2005 in realtà prevedevano, con riferimento alla qualificazione di beni culturali delle “cose di interesse numismatico”, che tale qualificazione fosse attribuita qualora la produzione delle medesime, in rapporto all'epoca, alle tecniche e ai materiali, non fosse caratterizzata da serialità o ripetitività. La norma in commento fa invece riferimento, come si è detto, al carattere di rarità o di pregio, in rapporto all’epoca, alle tecniche e ai materiali di produzione. In proposito, la relazione governativa allegata allo schema in esame chiarisce che “non è possibile astrarre una nozione di serialità valida per tutte le epoche e le culture; ma è invece necessario interpretare tale caratteristica in relazione al grado di raffinatezza delle tecniche di conio, alle leghe utilizzate ed … all’epoca cui risale la moneta.”

[5]    Disposizioni urgenti nell'àmbito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80

[6]     Decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici".

[7]    D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, recante  Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell'articolo 1 della L. 8 ottobre 1997, n. 352.

[8]    Verifica dell’interesse culturale dei beni immobili di utilità pubblica

[9]    Modifiche ed integrazioni al decreto 6 febbraio 2004 concernente la verifica dell’interesse culturale dei beni immobili di utilità pubblica

[10]   Al riguardo, rispondendo ad una interrogazione dell’On. Grignaffini (n. 5-04607), presso la VII Commissione della Camera, il sottosegretario del Ministero dei beni e delle attività culturali, on. Bono, il 12 luglio 2005, ha altresì comunicato che l'articolo 27 del decreto-legge n. 269 del 2003, avendo esaurito la sua funzione normativa, sarà abrogato formalmente in sede di redazione del decreto integrativo e correttivo del Codice, previsto dalla legge-delega.

[11]   Disposizioni urgenti nell'àmbito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80

[12]   Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi

[13]   Disposizioni urgenti nell'àmbito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80

[14]   ai sensi dell’articolo 21-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 recante Istituzione dei tribunali amministrativi regionali

[15]    D.L. 14 novembre 1992, n. 433, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1933, n.4.

[16]   Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)

[17]   Istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59

[18]   Regolamento recante disposizioni concernenti la costituzione e la partecipazione a fondazioni da parte del Ministero per i beni e le attività culturali, a norma dell'articolo 10 del D.Lgs. 20 ottobre 1998, n. 368, e successive modificazioni

[19]   Il DM 4 agosto 2000, recante determinazione delle classi delle lauree triennali, individua tra l’altro le classi delle lauree in scienze dell’architettura e dell’ingegneria edile, scienze dei beni culturali, tecnologie per la conservazione ed il restauro dei beni culturali; il DM 28 novembre 2000, recante determinazione delle classi delle lauree specialistiche, prevede le seguenti classi: laurea specialistica architettura e ingegneria edile; architettura del paesaggio; archeologia, archivistica e biblioteconomia; conservazione e restauro del patrimonio storico artistico; storia dell'arte.

[20]   Regolamento concernente individuazione dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici

[21]    L’art. 10, comma 1, lett. b-bis) del D.Lgs. n. 368/1998 riconosce al Ministero per i beni e le attività culturali la facoltà di dare in concessione, a soggetti diversi da quelli statali, la gestione di servizi finalizzati al miglioramento della fruizione pubblica e della valorizzazione del patrimonio artistico.La disposizione rinvia, quindi, a un regolamento ministeriale (fin qui non adottato) la definizione delle modalità, dei criteri e delle garanzie che dovranno presiedere la concessione. Si segnala che lo schema di decreto in esame prevede l’abrogazione del citato articolo 10.

[22]   Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo.

[23]    D.M. 3 novembre 1999, n. 509, Regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei

[24]   D.M. 22 ottobre 2004, n. 270, Modifiche al regolamento recante norme concernenti l'autonomia didattica degli atenei, approvato con D.M. 3 novembre 1999, n. 509 del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica

[25]   Tale deroga è stata introdotta dal DM 25 novembre 2005 per i corsi di studio finalizzati all’accesso alle professioni legali, per i quali il decreto consente l’istituzione di una classe di laurea magistrale con percorso unitario quadriennale, fermo restando il periodo formativo iniziale comune.

[26]   ai sensi dell'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 recante Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421

[27]   Definizione delle norme generali in materia di formazione degli insegnanti ai fini dell'accesso all'insegnamento, a norma dell'articolo 5 della L. 28 marzo 2003, n. 53

[28]   L’art. 9 del Lgs. 20 ottobre 1998, n. 368( Istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59). prevede la costituzione di scuole di alta formazione presso gli Istituti centrali del ministero: Istituto centrale del restauro; Opificio delle pietre dure; Istituto centrale per la patologia del libro. Ai sensi dei regolamenti adottati con DPR 294/1997 e 399/1997, i corsi delle Scuole di restauro presso l'Opificio delle pietre dure di Firenze e presso l'Istituto centrale per il restauro con sede a Roma sono a numero chiuso e vi si accede con diploma di istruzione secondaria di secondo grado; essi  hanno durata quadriennale e sono articolati in un triennio di insegnamenti fondamentali e in un anno di perfezionamento. Presso l’istituto centrale di Patologia del libro non è operante una scuola di alta formazione .

[29]   L’articolo 17, co. 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127, ha riconosciuto ai singoli atenei l’autonomia nella definizione dei percorsi formativi, secondo criteri generali definiti con decreti del Ministro.Con D.M. .3 novembre1999, n. 509 (Regolamento recante norme concernenti l'autonomia didattica degli atenei ) poi sostituito dal DM 22 ottobre 2004 n. 270, il Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, ha dettato le norme sull’autonomia didattica degli atenei, determinando una nuova articolazione dei corsi e dei titoli di studio in conformità con gli standard condivisi dai Paesi dell’Unione europea: un percorso di base comune per gli studenti del primo anno; la laurea, triennale; la laurea magistrale, conseguibile dopo la laurea attraverso l’acquisizione di 120 crediti formativi (convenzionalmente pari a due anni di studio).In deroga a tale disposizione, i decreti ministeriali possono prevedere l'ammissione ad un corso di laurea magistrale con il possesso del diploma di scuola secondaria superiore, esclusivamente per corsi di studio regolati da normative dell'Unione europea che non prevedano, per tali corsi, titoli universitari di primo livello, ovvero, fermo restando il periodo formativo iniziale comune, per i corsi di studio finalizzati all'accesso alle professioni legali .

 

[30]   Il comma fa riferimento all’articolo 4 (Accordi tra Governo, regioni e province autonome di Trento e Bolzano) del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 recante Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali .

[31]   DM 3 agosto 2000, recante Regolamento concernente l’individuazione dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate dei beni architettonici. Il regolamento era stato emanato in relazione all'articolo 8, comma 11-sexies della legge n. 109/1994, in materia di lavori pubblici, che demandava al Ministro per i beni e le attività culturali, sentito il Ministro dei lavori pubblici, l'individuazione dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici.

      Si ricorda, inoltre, che sull’affidamento dei lavori di restauro è intervenuto il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 30, recante Modificazioni alla disciplina degli appalti di lavori pubblici concernenti i beni culturali. Tale decreto riguarda ogni tipo di appalto. Beni mobili e immobili, elementi architettonici e superfici decorate, scavi archeologici. In particolare, l’articolo 5 demanda ad un decreto del Ministero per i beni e le attività culturali, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, previa intesa con la Conferenza unificata, la definizione dei requisiti specifici di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori citati.

[32]   Regolamento recante modificazioni e integrazioni al D.M. 3 agosto 2000, n. 294 del Ministro per i beni e le attività culturali concernente l'individuazione dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici

[33]   Lgs. 20 ottobre 1998, n. 368, Istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59. L’art. 9 prevede la costituzione di scuole di alta formazione presso gli istituti centrali del ministero: Istituto centrale del restauro; Opificio delle pietre dure; Istituto centrale per la patologia del libro.

[34]   Ai sensi del DM 28 novembre 2000, recante determinazione delle classi delle lauree specialistiche, si tratta della classe 12/Srelativa aConservazione e restauro del patrimonio storico-artistico.

[35]   D.M. 24 ottobre 2001, n. 420 Regolamento recante modificazioni e integrazioni al D.M. 3 agosto 2000, n. 294 del Ministro per i beni e le attività culturali concernente l'individuazione dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici.

[36]   Ai sensi dello statuto, la fondazione non ha scopo di lucro ed è finalizzata alla promozione della cultura della conservazione e del restauro dei beni librari e documentali con particolare riguardo alla qualificazione degli operatori; inoltre essa gestisce un centro di documentazione specializzato con funzioni di ricerca, collaborazione con l’estero e divulgazione.

[37]   A quanto risulta dal sito internet della scuola (http://www.restaurolibro.com/corsi.ph) essa ha sta per avviare (bando del luglio 2005) un corso post laurea per specialisti in restauro di beni librari; il corso, gratuito e a numero chiuso, é  cofinanziato dall’Unione Europea ( POR Ob. 3 2000-2006 Misure C3-D4)- ha una durata di 1700 ore suddivise in due annualità ed è destinato ai laureati in lettere, filosofia o conservazione dei beni culturali. La scuola avvierà inoltre (bando del luglio 2005) la prima edizione del corso per Operatore di Archivi Moderni su supporto cartaceo o informatico (su Progetto cofinanziato dall’Unione Europea POR Ob. 3 2000-2006 Misura C3). Il corso della durata complessiva di 300 ore é destinato a 15 allievi in possesso del diploma quinquennale di Scuola Media Superiore.

[38]   Ai sensi del DM 4 agosto 2000 recante determinazione delle classi delle lauree universitarie si tratta della classe delle lauree 41.

[39]   Il Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale” ( situato nel complesso della Reggia di Venaria Reale presso Torino) è stato istituito nel marzo 2005 come fondazione,  per iniziativa del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della Regione Piemonte, dell’Università di Torino, della Fondazione per l’Arte della Compagnia di San Paolo e della Fondazione Cassa di risparmio di Torino. Presso il Centro hanno sede laboratori di restauro, analisi, ricerca e diagnostica sulla conservazione dei beni culturali. Altre informazioni sono reperibili nel sito internet http://www.centrorestaurovenaria.it/

[40]   D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[41]   In proposito si segnala che il Codice ha abrogato gli articoli del d.lgs. relativi alla gestione (150), alla valorizzazione (152) ed alla promozione (153) dei beni culturali, oltre all’articolo 148 che recava le definizioni di beni culturali, beni ambientali, tutela, gestione, valorizzazione, attività culturali e promozione.

[42]    Decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici".

[43]   D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, recante  Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell'articolo 1 della L. 8 ottobre 1997, n. 352.

[44]   D. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42  Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137.

[45]    Con riguardo alle opere di architettura contemporanea si segnala che l’articolo 37, comma 4, prevede la possibilità per i proprietari di ricevere un contributo in conto interessi nel caso in cui il soprintendente ne abbia riconosciuto il particolare valore artistico.

[46]    Si fa presente che l’articolo 65, comma 4, prevede, altresì, la libera esportabilità di tali opere.

[47]    Si ricorda, al riguardo, che la tutela del patrimonio artistico delle Prima guerra mondiale è stata oggetto della legge 7 marzo 2001, n. 78.

[48]   Si ricorda in proposito che il DL 26 aprile 2005, n. 63 convertito con modif. dalla legge 25 giugno 2005, n. 109 ha ulteriormente disciplinato la cosiddetta archeologia preventiva (articoli da 2-ter a 2-quinquies) prescrivendo alle stazioni appaltanti di opere pubbliche in aree di interesse archeologico di trasmettere al Soprintendente territorialmente competente copia del progetto preliminare dell’intervento, comprendente gli esiti delle indagini geologiche e archeologiche preliminari, e dettando le fasi del successivo  procedimento di verifica preventiva dell'interesse archeologico.

[49]   Si ricorda sinteticamente che la formazione degli specialisti operanti nel settore dei beni culturali può essere svolta attualmente in appositi corsi di laurea triennale o specialistica. Il DM 4 agosto 2000, recante determinazione delle classi delle lauree triennali, individua tra l’altro le classi delle lauree in scienze dell’architettura e dell’ingegneria edile, scienze dei beni culturali, tecnologie per la conservazione ed il restauro dei beni culturali; il DM 28 novembre 2000, recante determinazione delle classi delle lauree specialistiche, prevede le seguenti classi: laurea specialistica architettura e ingegneria edile; architettura del paesaggio; archeologia, archivistica e biblioteconomia; conservazione e restauro del patrimonio storico artistico; storia dell'arte.

Presso alcuni istituti centrali del ministero peri beni e le attività culturali - l’Istituto centrale del restauro (Roma) e l’Opificio delle pietre dure (Firenze) - operano inoltre delle Scuole di alta formazione e studio, riconosciute come tali da ultimo dall’articolo 9 del già citato D.Lgs.368/1998. Tali scuole, rispettivamente disciplinate sotto il profilo organizzativo dai DPR 16 luglio 1997, n. 399 e DPR 16 luglio 1997 n.294, organizzano corsi di formazione e di specializzazione (eventualmente anche con il concorso di università e altre istituzioni ed enti italiani e stranieri) e possono, a loro volta, partecipare e contribuire alle iniziative di tali enti.

I requisiti per l’acquisizione della qualifica di restauratore e di collaboratore restauratore sono stati inoltre definiti ai fini dell’esecuzione dei lavori di restauro e manutenzione ordinaria e straordinaria dei beni dagli articoli 7 e 8 del D.M. 3 agosto 2000, n. 294 (successivamente modificato dal DM 420/2001).

[50]   L’art.. 42 (Archivi di organi costituzionali) è stato recentemente novellato dall’art. 14-duodecies del DL 30 giugno 2005, n. 115, convertito con modif. dalla legge 17 agosto 2005, n. 168; quest’ultimo ha disposto che gli atti della Presidenza del Consiglio siano conservati presso un Archivio storico ivi dislocato secondo  modalità di conservazione e consultazione determinate dal Presidente del Consiglio dei Ministri con proprio decreto.

[51]    Si ricorda ai sensi dell’art. 822 c.c. fanno parte del demanio storico, artistico, archivistico e bibliografico gli immobili riconosciuti di interesse storico, archeologico ed artistico, le raccolte dei musei, degli archivi, delle biblioteche e delle pinacoteche. Caratteristiche tipiche dei beni demaniali sono l’inalienabilità (art. 823 c.c.) e l’imprescrittibilità o inusucapibilità. La demanialità è stabilita in base a disposizioni di legge. Peraltro, è rimesso ad atti amministrativi l’accertamento della corrispondenza dei singoli beni alle caratteristiche fisiche del genere investito della demanialità. Tali atti hanno carattere meramente dichiarativo e non costitutivo e consistono generalmente nell’iscrizione dei beni negli appositi elenchi formati dall’amministrazione ed approvati con decreti presidenziali o ministeriali pubblicati nella Gazzetta Ufficiale. La cessazione della demanialità di un bene può essere determinata, oltre che da fatto naturale, da un atto volontario dell’amministrazione la quale deliberi di sottrarre il bene al servizio cui l’aveva destinato in precedenza (art. 829, primo comma c.c.). Il passaggio dei beni dal demanio al patrimonio dello Stato (c.d. sdemanializzazione) deve essere dichiarato dall’autorità amministrativa con atto di cui deve essere dato annuncio nella Gazzetta Ufficiale.

[52]   Regolamento 3911/92 del 9 dicembre 1992 relativo all’esportazione dei beni culturali; Direttiva 93/7/CE del consiglio del 15 marzo 1993, (concernente la restituzione dei beni culturali illecitamente usciti da uno Stato membro) come modificata da sucessive direttive;

[53]   La Convenzione UNIDROIT sulla restituzione ed il ritorno dei beni culturali rubati o illecitamente esportati è stata adottata a Roma il 24 giugno 1995; Il testo ha la finalità di  ovviare alla limitata efficacia di talune disposizioni di una precedente Convenzione UNESCO del 1970; in particolare riconosce e disciplina il diritto all’indennizzo per l’acquirente in buona fede . La legge di ratifica (L.. 7 giugno 1999, n. 213) regola l'esercizio in Italia dell'azione di restituzione e definisce le modalità di proposizione della richiesta e la riconsegna dei beni agli aventi diritto; vengono esplicitamentre escluse dall’applicazione le vertenze tra Stati dell’Unione europea in quanto disciplinate dalla Direttiva 93/7/CE.

[54]   Si ricorda in proposito che il DL 26 aprile 2005, n. 63 convertito con modif. dalla legge 25 giugno 2005, n. 109 ha ulteriormente precisato (articoli da 2-ter a 2-quinquies)  la disciplina della cosidetta archeologia preventiva (in qualche misura già prevista dall’art 28 del Codice) prescrivendo alle stazioni appaltanti di opere pubbliche in aree di interesse archeologico di trasmettere al Soprintendente territorialmente competente copia del progetto preliminare dell’intervento, comprendente gli esiti delle indagini geologiche e archeologiche preliminari, e disciplinando il successivo  procedimento di verifica preventiva dell'interesse archeologico.

[55]   Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)

[56]    D.L. 14 novembre 1992, n. 433, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1933, n.4.

[57]    Giova preliminarmente sottolineare che la disciplina introdotta dalla legge Ronchey, come successivamente sviluppata e modificata, riguarda esclusivamente i musei appartenenti allo Stato. Interessanti esperienze di affidamento a privati dell’offerta museale del proprio patrimonio, che in alcuni casi è andata al di là dei c.d. “servizi aggiuntivi” previsti dalla legge Ronchey per includere anche servizi museali tradizionali,  si registrano, in particolare, a Venezia  e a Roma. Nel caso di Venezia l’affidamento ha riguardato l’intero patrimonio museale civico, mentre a Roma è stato circoscritto al “sistema museale capitolino”.

[58]    L’idea di fondo è che la fruizione del servizio museale viene fortemente incrementata quando il museo è in grado di rendere prestazioni accessorie, che vanno dalla vendita di riproduzioni di opere esposte, di libri, di dischi, ai servizi di informazione, di caffetteria, alla organizzazione di mostre e manifestazioni culturali.

[59]   Rientrano tra i servizi aggiuntivi di cui all’art.117:

·                                  il servizio editoriale e di vendita riguardante i cataloghi e i sussidi catalografici, audiovisivi e informatici, ogni altro materiale informativo, e le riproduzioni di beni culturali;

·                                  i servizi riguardanti beni librari e archivistici per la fornitura di riproduzioni e il recapito del prestito bibliotecario;

·                                  la gestione di raccolte discografiche, di diapoteche e biblioteche museali;

·                                  la gestione dei punti vendita e l'utilizzazione commerciale delle riproduzioni dei beni;

·                                  e) i servizi di accoglienza, ivi inclusi quelli di assistenza e di intrattenimento per l'infanzia, i servizi di informazione, di guida e assistenza didattica, i centri di incontro;

·                                  f) i servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba;

·                                  g) l'organizzazione di mostre e manifestazioni culturali, nonché di iniziative promozionali.

Tali  servizi possono essere gestiti in forma integrata con iquelli di pulizia, di vigilanza e di biglietteria.

 

[60]   La Convenzione definisce regole comuni per la protezione, la pianificazione e la gestione dei paesaggi nel diritto internazionale fissando tra l’altro il principio giuridico dell'unicità culturale del paesaggio: in base a tale principio, la tutela dovrà essere esercitata non più su singole porzioni di territorio ma sul paesaggio nella sua complessità e totalità. L'importanza della Convenzione sta anche nell'obbligo, per i Paesi aderenti al Consiglio d'Europa che la sottoscrivono, di adeguare le proprie leggi alle direttive previste.

[61]    Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 114 del 18 maggio 2001.