XIV Legislatura - Dossier di documentazione | |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari sociali |
Titolo: | Infanzia in stato di abbandono e semi-abbandono - Giornata nazionale per i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza (20 novembre 2005) |
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 127 |
Data: | 20/11/05 |
Organi della Camera: | Commissione parlamentare per l'infanzia |
Servizio studi |
GIORNATA
NAZIONALE PER I DIRITTI
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Infanzia in stato di abbandono e semi-abbandono
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xiv legislatura 20 novembre 2005 |
Camera dei deputati
Dossier Documentazione e ricerche n. 127
Il dossier è stato coordinato dalla Dr.ssa Fabrizia Bientinesi (tel. 4920), con la collaborazione dei dipartimenti Istituzioni, Giustizia e Affari sociali
Dipartimento Affari sociali |
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Segretaria |
Serenella PAPARELLI (3266) |
I dossier del Servizio studi sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
File: CI0019
INDICE
§ La legge sulla tratta degli esseri umani
§ Risorse finanziarie per i minori nell’ambito del fondo nazionale per le politiche sociali
§ Il processo di riconversione degli istituti per minori
§ Attività della Commissione parlamentare per l’infanzia
Giurisprudenza
Corte costituzionale
§ Sentenza n. 198 del 2003
Allegati
§ Monitoraggio del piano nazionale d’azione per l’infanzia
§ Circolare del Ministero dell’Interno del 29 dicembre 2003
§ Ministero dell’interno – Impiego di minori in accattonaggio – Dati relativi al periodo 2003-2004
Dottrina
§ T. Smith, Minori non accompagnati in Europa, in Cittadini in crescita, n. 1/2004
§ La situazione dei minori stranieri non accompagnati in Italia:un’analisi quantitativa del fenomeno, in Cittadini in crescita n. 1/2004
§ La circolare del Comitato per i minori stranieri interpretativa della Bossi-Fini: il Comitato decide e i giudici obbediscono, in Minori e giustizia n. 3-4/2002
§ L. Miazzi, La tutela dei minori nel nuovo quadro normativo, in atti del Convegno regionale: I nuovi cittadini del 14 febbraio 2004
§ L. Miazzi, La Corte costituzionale rafforza i diritti dei minori stranieri, in Diritto immigrazione e cittadinanza n. 3/2003
§ D. Petrini, La comunità protetta per i minori stranieri non accompagnati, in Diritto immigrazione e cittadinanza, n. 4/2003
§ Comune di Roma, Progetto: Raggiungere gli irraggiungibili
§ Comune di Roma, Il Centro di contrasto della mendicità infantile
§ C. Cartasegna, Il minore zingaro e la giustizia dei gagè, in Minori e giustizia n. 3/1999
§ A. Belpiede, Il bisogno di mediazione interculturale nelle relazioni d’aiuto con i minori e le famiglie immigrate, in Minori e giustizia n. 3-4/2002
§ P. Pazé, Informare sull’abbandono, in Minori e giustizia, n. 4/2000
§ Ministero del lavoro e delle politiche sociali, I bambini e gli adolescenti negli istituti per minori
§ La chiusura degli istituti entro il 2006, in Cittadini in crescita, n. 2/2004
§ I principali risultati emersi dalla rilevazione sui bambini e dlgi adolescenti negli istituti per minori in Italia, in Cittadini in crescita, n. 2/2002
§ E. Cicciotti, Quanti sono i minori negli istituti, in Famiglia oggi, n. 3/2005
Il presente dossier è stato predisposto in occasione dell’avvio, da parte della Commissione parlamentare per l’infanzia, dell’indagine conoscitiva sull'infanzia in stato di abbandono o semiabbandono e sulle forme per la sua tutela ed accoglienza, deliberata il 9 febbraio 2005.
L’indagine si propone, in particolare, di proseguire il discorso iniziato con l’indagine conoscitiva relativa alle adozioni, approfondendo gli aspetti relativi alla crescente presenza in Italia di minori, soprattutto stranieri, oggetto di traffico o comunque privi di familiari o anche accompagnati da genitori o altri parenti ma dediti all’accattonaggio o ad altre forme di attività suscettibili di comportare violazioni dei loro diritti. L’indagine mira ad acquisire dati e informazioni su tali fenomeni – complessivamente noti con la denominazione “bambini di strada” – e sulle forme di prevenzione e contrasto attuate ed attuabili. La finalità è quella di individuare gli interventi più efficaci, anche in vista della chiusura degli istituti residenziali per minori prevista entro il 2006, e porre all’attenzione del Parlamento le linee da seguire per affrontare le problematiche connesse ai minori abbandonati o non accompagnati. In tale ottica, l’indagine conoscitiva potrà, tra l’altro, concentrarsi specificamente sul tema dei soggiorni solidaristici come strumenti propedeutici ad un progressivo reinserimento in contesti familiari dei minori stranieri abbandonati ed approfondire le valutazioni in merito alla possibilità di introdurre nell’ordinamento italiano l’istituto dell’affidamento internazionale quale specifico strumento atto a fornire adeguata tutela ai minori stranieri in stato di semiabbandono permanente.
Nel corso dell’indagine è previsto lo svolgimento di numerose audizioni, tra cui quella del Ministro dell’interno e del sottosegretario di Stato, del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e sottosegretario di Stato, del Responsabile del settore minori non accompagnati del Comitato minori stranieri, del Dirigente della Sezione minori della Direzione centrale della polizia criminale, del Direttore della Direzione generale per gli italiani all’estero e le politiche migratorie (min. plen. Adriano Benedetti), dei Sindaci e Assessori alle politiche sociali di Roma, Milano, Palermo ed altri grandi comuni, del Commissario per l’allargamento dell’Unione europea, Olli Rehn, ed esperti dell’Unione europea in materia di traffico di esseri umani, cooperazione di polizia e cooperazione allo sviluppo, di rappresentanti di associazioni di strutture residenziali per minori (Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza, Coordinamento nazionale comunità per minori).
Sono state pertanto predisposte delle schede volte ad illustrare il funzionamento di taluni istituti, la cui conoscenza può essere utile ai fini dell’indagine, dando altresì conto dell’attività della Commissione parlamentare per l’infanzia collegata con i temi oggetto dell’indagine.
Nella normativa vigente la nozione di minore abbandonato rileva specialmente sotto due profili:
- come presupposto che legittima l’adozione;
- come elemento costitutivo del reato di abbandono, di cui ll’art. 591 c.p.
Appare evidente come le due nozioni, pur non avendo riflessi diretti in ordine alle questioni trattate nel presente dossier, assumano indubbio rilievo in quanto consentono di comprendere a pieno quando l’ordinamento consideri un minore abbandonato e quali conseguenze faccia discendere da tale stato di abbandono.
L’articolo 8 della legge 184/1983 individua lo stato di abbandono come presupposto indispensabile allo stato di adottabilità del minore. Sono dichiarati, infatti, adottabili dal tribunale per i minorenni i minori di cui sia accertata la situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio. E’ulteriormente precisato che tale situazione di abbandono sussiste, sempre che ricorrano le citate condizioni, anche quando i minori si trovino presso istituti di assistenza pubblici o privati o comunità di tipo familiare ovvero siano in affidamento familiare. Non sussiste in ogni caso causa di forza maggiore – che esclude l’adottabilità – quando il giudice valuti come ingiustificato il rifiuto dei genitori del minore a giovarsi delle misure di sostegno offerte dai servizi sociali locali.
La situazione di abbandono deve essere verificata al momento della dichiarazione di adottabilità pronunciata dal tribunale dei minorenni (art. 15, legge 184) ovvero al termine della procedura accertativa dello stato di abbandono.
Peraltro, ciò non ha impedito alla giurisprudenza di rivalutare la sussistenza delle condizioni di abbandono in un momento successivo, dilatando il periodo in cui il ravvedimento del genitore può assumere rilievo giuridico; infatti, sono state considerate ai fini della dichiarazione di adottabilità anche le circostanze sopravvenute nel corso del giudizio di opposizione alla stessa dichiarazione davanti alla corte d’appello (ex art. 17 legge 184), inclusa una “ritrovata seria disponibilità del genitore a prendersi cura del figlio….” (Cass., sent. 25 maggio 1995, n. 5739; ante, cfr. Cass., sent. 5 giugno 1989, n. 2718).
Come si evince dal tenore dell’art. 8, non esiste un concetto di abbandono legislativamente definito. Inquadrare in una formula fissa e definita le diverse situazioni potenzialmente definibili come abbandono ai fini della dichiarazione giudiziale di adottabilità sarebbe stato, del resto, compito davvero arduo; soprattutto, una formulazione troppo circoscritta avrebbe comunque rischiato di lasciare scoperte aree di tutela per il minore.
In generale, si può comunque affermare che per il nostro ordinamento la situazione di abbandono è caratterizzata dalla mancanza di un’adeguata assistenza morale e materiale.
Il dibattito dottrinale sulla sussistenza della situazione di abbandono e sui suoi requisiti è stato lungo e contrastato e la giurisprudenza non sempre ha seguito una linea di giudizio inequivocabile. In ogni caso, alcuni punti fermi sono ormai riconosciuti, a partire dalla considerazione primaria in base alla quale, nel sistema della legge 184, in armonia con il dettato costituzionale (art. 30), l’adozione, conseguente all’abbandono, si configura come "extrema ratio", attribuendosi preminente rilievo al diritto del minore di essere educato nell'ambito della “propria famiglia di origine” (Cass, I sez. 1° febbraio 2000, n. 1095). La Cassazione ha puntualizzato, in tal senso, che l'istituto adottivo è previsto come estremo rimedio ad una situazione di abbandono valutato come “irreparabile” e non già come mezzo al fine di ovviare a carenze dei genitori o di procurare condizioni migliori di quelle che la famiglia d'origine è in grado d'offrire (Cass., sent. 12 settembre 2000, n. 12941).
A ribadire che la sottrazione alla famiglia biologica costituisce extrema ratio, Cass. 23 novembre 203, n. 19862 ha affermato la sussistenza dello stato di abbandono (e la possibilità di adozione) soltanto quando la famiglia non riesca a soddisfare quel “livello di cura minimo” al di sotto del quale l’educazione e la crescita del minore possa venire ad essere irrimediabilmente compromessa
Tra gli studiosi del diritto minorile non sono mancate critiche a tale impostazione rigida data dalla giurisprudenza al diritto del minore alla propria famiglia, vista come una sopravvalutazione dello ius sanguinis (Moro). Si è osservato come tale “enfatizzazione” finisca per ridurre fortemente l’area dell’adozione vanificando lo stesso concetto di abbandono. Non varrebbe, quindi, ad escludere una situazione di abbandono una saltuaria e labile assistenza fornita da genitori o parenti psicologicamente e affettivamente assenti e incapaci di stimolare il minore in formazione.
La situazione di abbandono, anzitutto, va considerata non in relazione alla posizione soggettiva dei genitori bensì a quella oggettiva del minore. Non è in tal senso necessario un abbandono cosciente, esplicito da parte del genitore con una volontà chiara e definitiva di non occuparsi più del proprio figlio; quel che rileva è, invece, la situazione in cui il minore oggettivamente viene a trovarsi ovvero quella in cui vengono a mancare le cure che gli sono indispensabili per crescere (Cass., 27 maggio 1987, n. 4723).
Quel che sembra emergere dalla più recente prassi giurisprudenziale, come necessario ai fini delle ricorrenza della situazione di abbandono da parte dei genitori (o dei parenti obbligati), è il concorso di due condizioni giustificative:
1) l’inidoneità delle figure genitoriali-parentali
2) l’esistenza, ma anche l’accertata probabilità, di un danno grave e irreparabile alla normale crescita psicofisica del minore.
Così, carenze educative, anomalie caratteriali o della personalità, abitudini di vita disordinate dei genitori non sono state ritenute situazioni che potessero da sole giustificare la dichiarazione di stato di adattabilità del minore, quando da tali circostanze non siano derivate o possano derivare danni molto gravi e irreversibili alla equilibrata crescita dello stesso minoreossia che ne sia conseguita una “situazione di abbandono” del minore (Cass., sent. 19 gennaio 1996, n. 432). Allo stesso modo, rilevanti disturbi della personalità come una vera e propria patologia mentale del genitore possono non essere decisivi ai fini della sussistenza dell’abbandono quando non si traducano “in una incapacità assoluta ad allevare ed educare i figli tale da produrre danni irreversibili al loro sviluppo psicofisico” (Cass., 5 novembre 1998, n. 11112).
La privazione dell’assistenza morale e familiare, inoltre, non va legata solo alla “quantità” di assistenza prestata ma deve considerare anche la qualitàdi tale assistenza; in tal senso la giurisprudenza ha affermato che la sua adeguatezza non può essere considerata come somma di prestazioni bensì come globale attività di adeguata formazione dello sviluppo della personalità (Cass., 5 dicembre 1987, n. 9054). Su tali basi, si è rilevata una situazione di abbandono non solo quando il genitore si disinteressi del tutto della prole ma anche quando, pur convivendo con essa, si comporti in modo tale da compromettere in modo grave e irreversibile il suo sviluppo fisico e morale (Cass., 27 luglio 1989. n. 3526).
Inoltre, il fatto che l’art. 8 della legge 184 si riferisca alla mancanza di assistenza morale e materiale non deve essere interpretato come la necessità (come farebbe pensare l’uso della congiunzione “e”) che per la sussistenza dell’abbandono, siano necessarie entrambe le condizioni; tant’è che in una discutibile, lontana e per fortuna isolata decisione di merito, si è rilevata l’insussistenza dell’”abbandono” in presenza di un minore privo sia di genitori che di parenti ma a cui era stata lasciata una cospicua eredità (Corte d’appello Palermo, 28 giugno 1974).
Si è poi opportunamente precisato come la legge non operi una distinzione tra i due aspetti della vita ma si colleghi all’esigenza di evitare che il minore manchi di quel minimo di cure materiali e di affetto, per cui è sufficiente il solo abbandono morale ove di per sé integri una situazione che pregiudichi tale esigenza (Cass. 21 giugno 1988, n. 4220).
Sul concetto di livello minimo di assistenza è ritornata più recentemente la Suprema Corte (Cass. 20 dicembre 2003, n. 19585) con l’affermare la sussistenza dell’abbandono quando i genitori - esclusa sempre una causa di forza maggiore transitoria - non sono in grado di assicurare al minore “quel minimo di cure materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabile per lo sviluppo e la formazione della sua personalità” (id. Cass. 4 maggio 2000, n. 5580).
La legge 184/1983 prevede poi esplicitamente la presenza dei parenti come elemento di esclusione dell’abbandono. L’art. 8, come detto, sancisce l’impossibilità di dichiarare l’abbandono (e quindi di adottare) minori che pur abbandonati dai genitori, siano assistiti da parenti “tenuti a provvedervi”[1]. Tale previsione discende direttamente dal riconoscimento (ai sensi dell'art. 1 della legge 184) del diritto del minore di essere educato nell'ambito della propria famiglia.
Fermo restando che la legge 184/1983 considera nella nozione di famiglia i parenti fino al quarto grado (v. artt. 11 e 12), si impone comunque al giudice una scelta particolarmente penetrante sulla reale e continuativa capacità di assistenza di coloro che appartengono alla famiglia parentale. Non può bastare ad escludere una situazione di abbandono una generica disponibilità di parenti entro il quarto grado ad occuparsi del minore dovendo il giudice accertare comunque “che essa non appaia velleitaria e inattuabile in base alla situazione di fatto esistente al momento in cui tale disponibilità viene manifestata” (Cass., 10 settembre 1990, n. 9313). Allo stesso modo, la disponibilità da parte di persone a volte molto anziane, come i nonni, può non essere sufficiente quando il giudice ritenga che l’intenzione di prestare assistenza al minore non appaia tale da garantire al minore stesso una sistemazione adeguata e idonea a favorire la sua maturazione” (Cass, 18 aprile 1984, n. 2542)Questo non significa una sottovalutazione del possibile ruolo dei nonni e della loro idoneità al ruolo di supplenti dei genitori del minore; in tal senso (Cass. 7 maggio 1999, n. 4568) si rileva infatti come “non può essere trascurata la considerazione anche della posizione dei nonni, la quale diventa sempre più rilevante nell’ambito della famiglia, non potendo ritenersi privi di tutela vincoli che affondano le loro radici nella tradizione familiare che trova il suo riconoscimento anche nella Costituzione (art. 29 Cost.).
Quel che invece sembra essere decisivo, indipendentemente dal grado di parentela col minore è, in accordo con le previsioni dei citati artt. 11 e. 12 della legge 184, la presenza di “significativi rapporti” del minore con tali persone, giacche' alla parentela la legge attribuisce rilievo solo se accompagnata dalle relazioni psicologiche e affettive che normalmente la caratterizzano (Cass., 9 aprile 1997, n. 3083).
Per quanto concerne, infine, le situazioni che definiscono la “forza maggiore di carattere transitorio” – il cui accertamento impedisce la sussistenza dello stato di abbandono – tale forza maggiore deve essere intesa “come causa contingente e comunque reversibile, estranea alla condotta dei genitori” (Cass., sent. 25 maggio 1995. n. 5739). Sul punto, giurisprudenza consolidata ha negato che ricorra tale situazione nello stato di detenzione del genitore, in quanto tale stato deve ritenersi imputabile alla condotta criminosa del genitore stesso, volutamente posta in essere nella consapevolezza della possibile condanna e carcerazione (Cass., sent. 22 luglio 1997, n. 6853; conf. Cass. sentt. 11 marzo 1998, n. 2672, 10 giugno 1998, n. 5755).
Il reato di abbandono di minori (o incapaci) è disciplinato all’articolo 591 del codice penale: commette tale delitto chiunque abbandoni una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace (per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia o per altra causa) di provvedere a se stessa e della quale abbia la custodia o debba avere cura, ovvero il soggetto che abbandoni all’estero un cittadino italiano minore degli anni diciotto, a lui affidato nel territorio dello Stato per ragioni di lavoro.
L’oggetto giuridico della tutela, diversamenteda quello dell’art.570 c.p. (violazione degli obblighi di assistenza familiare), viene individuato, da parte della giurisprudenza e della dottrina maggioritarie, non già nel rispetto dell’obbligo legale di assistenza in quanto tale, bensì nel pericolo per la vita o l’incolumità fisica derivante dal suo inadempimento.
Soggetto attivo può essere chiunque, ed essendo l’inciso “della quale abbia la custodia o debba avere la cura” riferito alle sole persone incapaci (e non anche ai minori degli anni quattordici), per il reato di abbandono di minore non occorre un preesistente obbligo giuridico dell’agente di curare o custodire la persona minore, in relazione alla quale la legge presuppone l’incapacità di provvedere a sé stessa; con riferimento ai minori di quattordici anni, infatti, il dovere di assistenza è imposto direttamente dalla legge a chiunque venga a trovarsi anche per un rapporto di mero fatto in una posizione che ponga il soggetto a sua disposizione.
Per quanto concerne la condotta penalmente rilevante, costituisce abbandono qualsiasi azione o omissione che contrasti con l’obbligo della custodia o della cura ed è sufficiente, per l’integrazione del reato, che da tale condotta derivi un pericolo anche solo potenziale per l’incolumità del minore o della persona incapace: quando tali condizioni sussistono non ha rilevanza, ai fini della configurabilità della fattispecie in esame, che non si tratti di abbandono materiale assoluto, ma solo temporaneo, avvenuto, quindi, in assenza di un animus dereliquendi.
Quanto all’elemento psicologico del reato, il fatto è punito a titolo di dolo, consistente nella coscienza di abbandonare il soggetto passivo, che non ha la capacità di provvedere a sé stesso, in una situazione di pericolo per la sua integrità fisica, senza che occorra un particolare malanimo da parte del reo.
Il reato è aggravato se:
§ dall’abbandono deriva la morte o una lesione personale;
§ Il fatto è commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore, dal coniuge, dall’adottante o dall’adottato.
La morte o la lesione devono essere non volute, altrimenti si verserebbe nelle ipotesi di omicidio, ovvero di lesioni volontarie.
Il delitto di abbandono si distingue, poi, anche da quello di tentato omicidio per il diverso elemento psicologico. Nel primo caso, infatti, l’elemento soggettivo è costituito dalla coscienza di abbandonare la persona minore o incapace con la consapevolezza del pericolo inerente all’incolumità fisica della stessa; nella seconda ipotesi, invece, è necessario che il soggetto compia la condotta vietata con la volontà e consapevolezza di cagionare la morte del soggetto passivo ovvero tale evento si rappresenti come probabile o possibile conseguenza del suo operare, accettando il rischio implicito del suo verificarsi.
Il delitto è punito con la pena della reclusione da sei mesi a cinque anni e, se dal fatto deriva una lesione personale, da uno a sei anni; se dal fatto deriva, invece, la morte la reclusione può variare da tre a otto anni. Le pene sono, inoltre, aumentate se il fatto è commesso, come già detto, da particolari soggetti (genitori, figli, tutori, etc.)
La legge 11 agosto 2003, n. 228 (Misure contro la tratta di persone) ha introdotto nuove disposizioni penali, modificando quelle già esistenti allo scopo di contrastare il fenomeno della riduzione in schiavitù e, più in particolare, quella forma di riduzione in schiavitù derivante dal traffico di esseri umani. Si tratta di una nuova schiavitù riguardante soprattutto donne e bambini, provenienti dai paesi poveri del mondo che, spinti nel nostro Paese dalla speranza di una diversa prospettiva di vita, sono costretti alla prostituzione, al lavoro forzato e all’accattonaggio.
Peraltro il tema del traffico di persone suscita un crescente allarme, anche a causa delle connessioni tra le diverse organizzazioni criminali a livello internazionale. La questione, peraltro, è oggetto di particolare attenzione anche in sede dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e dell’Unione europea.
I tratti salienti della legge riguardano:
· la riformulazione dell’articolo 600 del codice penale, relativo alla riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, sulla base di una definizione della fattispecie criminosa coerente con quella adottata negli atti internazionali descrittivi del fenomeno, punita con la reclusione da otto a venti anni; sono previsti aggravamenti di pena se i fatti sono commessi in danno di minori o sono diretti allo sfruttamento della prostituzione, o al fine di sottoporre la persona offesa al prelievo di organi;
· la modifica della fattispecie sanzionata dall’art. 601 del codice penale relativa alla tratta di persone, al fine di consentire la repressione del fenomeno sia quando esso ha ad oggetto individui già ridotti in schiavitù o in servitù, sia quando riguarda soggetti destinati ad essere ridotti in tali situazioni, costringendoli a fare ingresso, o a soggiornare, o a uscire dal territorio dello Stato o a trasferirsi all’interno dello stesso; la sanzione applicata è la reclusione da otto a venti anni, con aumenti di pena nei casi sopracitati;
· la riformulazione della fattispecie relativa all’alienazione e all’acquisto di persone in condizione di schiavitù o servitù prevista dall’art. 602 e l’aggravamento delle pena prevista dalla norma vigente (reclusione da otto a venti anni anziché da tre a dodici), con un ulteriore aumento se vittime del reato sono minori di anni diciotto;
· la previsione di una nuova ipotesi di associazione per delinquere(art. 416 c.p.), diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602, alla quale si applica la reclusione da cinque a quindici anni nei casi di cui al comma 1 dell'articolo 416 – promotori costitutori o organizzatori dell’associazione – e da quattro a nove anni nei casi di cui al comma 2 – partecipazione all’associazione.
· l’attribuzione alle direzioni distrettuali antimafia delle funzioni di pubblico ministero nei procedimenti relativi ai delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602, anche se commessi in forma associata, e l’inclusione dei delitti in questione fra quelli per i quali l'articolo 407 del codice di procedura penale prevede una durata massima delle indagini preliminari pari a due anni;
· l'istituzione, presso la Presidenza del consiglio dei ministri, del Fondo per le misure anti-tratta. Si tratta di un Fondo destinato al finanziamento di programmi di assistenza e integrazione sociale in favore delle vittime dei reati nonché delle altre finalità di protezione sociale di cui all’articolo 18 del Testo unico sull’immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), finanziato con le somme stanziate dall'articolo 18 del citato decreto legislativo 286/98[2], con i proventi della confisca ordinata a seguito di sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per i delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602, anche in forma associata, nonché con quelli della confisca ordinata nelle ipotesi particolari di cui all’articolo 12-sexies delD.L. 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa).
· l'istituzione di uno speciale programma di assistenza per le vittime dei reati di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (art. 600 c.p.) e di tratta di persone (art. 601), allo scopo di assicurare, in via transitoria, adeguate condizioni di alloggio, di vitto e di assistenza sanitaria, salva comunque l’applicabilità delle disposizioni di carattere umanitario di cui all’articolo 18 del decreto legislativo 286/98, qualora la vittima del reato sia una persona straniera.
Nell’ambito della disciplina recata dal Testo unico delle leggi in materia di immigrazione[3] alcune specifiche disposizioni (artt. 28-30) prendono in esame le forme di garanzia del diritto all'unità familiare, riconosciuto agli stranieri regolarmente soggiornanti, e di tutela dei minori, il cui prioritario interesse[4] deve sorreggere tutti i provvedimenti amministrativi e giurisdizionali finalizzati a dar attuazione al diritto all'unità familiare.
Tra le categorie di soggetti per i quali i quali lo straniero regolarmente soggiornante può avanzare richiesta di ricongiungimento familiare figurano, pertanto, innanzitutto i figli minori[5] a carico, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio; inoltre è consentito l’ingresso in Italia, per ricongiungimento al figlio minore regolarmente soggiornante, del genitore naturale che dimostri il possesso di requisiti di disponibilità di alloggio e di reddito.
Ulteriori disposizioni a favore dei minori (art. 31) prevedono forme di facilitazione all'ingresso dei medesimi nel territorio nazionale, consistenti nella loro iscrizione automatica nel permesso o nella carta di soggiorno di uno o entrambi i genitori (se conviventi e regolarmente soggiornanti) fino al compimento del quattordicesimo anno di età[6]. Il minore segue la condizione giuridica del genitore con il quale convive, ovvero la più favorevole tra quelle dei genitori con cui convive.
Il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l'ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni del testo unico. L'autorizzazione è revocata quando vengono a cessare i gravi motivi che ne giustificano il rilascio o per attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia. I provvedimenti sono comunicati alla rappresentanza diplomatica o consolare e al questore per gli adempimenti di rispettiva competenza.
Qualora ai sensi del testo unico debba essere disposta l'espulsione di un minore straniero il provvedimento è adottato, su richiesta del questore, dal Tribunale per i minorenni.
Al medesimo minore verrà in seguito rilasciato un permesso di soggiorno per motivi familiari, valido fino al raggiungimento della maggiore età, e che potrà essere successivamente riconvertito in altra categoria di permesso.
Al compimento della maggiore età, infatti, secondo l’art. 32 del T.U., al minore straniero può essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie o di cura. Si evidenzia, in particolare, che il permesso di soggiorno per accesso al lavoro prescinde in questo caso dal possesso dei requisiti previsti in via generale dal testo unico per la sua concessione.
Analogo permesso di soggiorno può essere rilasciato (per motivi di studio, di accesso al lavoro ovvero di lavoro subordinato o autonomo) al compimento della maggiore età, sempreché non sia intervenuta una decisione del Comitato per i minori stranieri, ai minori stranieri non accompagnati che siano stati ammessi per un periodo non inferiore a due anni in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale e che comunque sia iscritto nel registri appositamente istituiti presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
L'ente gestore dei progetti deve garantire e provare con idonea documentazione, al momento del compimento della maggiore età del minore straniero di cui al comma 1-bis, che l'interessato si trova sul territorio nazionale da non meno di tre anni, che ha seguito il progetto per non meno di due anni, ha la disponibilità di un alloggio e frequenta corsi di studio ovvero svolge attività lavorativa retribuita nelle forme e con le modalità previste dalla legge italiana, ovvero è in possesso di contratto di lavoro anche se non ancora iniziato.
La presenza di minori stranieri in Italia rappresenta un aspetto specifico del fenomeno migratorio. Per far fronte alle diverse esigenze collegate a tale presenza, l’art. 33 del Testo unico del 1998 in materia di immigrazione ha istituito il Comitato per i minori stranieri.
Il Comitato opera presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali con compiti di vigilanza e coordinamento sulle modalità di soggiorno dei minori stranieri temporaneamente ammessi sul territorio dello Stato e con funzioni di tutela dei relativi diritti. Esso è disciplinato dal decreto del Presidente del Consiglio n. 535 del 1999[7].
Ai sensi dell’articolo 33 del testo unico e dell’articolo 3 del DPCM n. 535 del 1999, il Comitato per i minori stranieri, nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, è composto dai seguenti rappresentanti:
§ uno del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che presiede il Comitato
§ uno del Ministero degli Affari Esteri
§ uno del Ministero di Giustizia
§ uno del Ministero dell'Interno
§ uno dell’Unione province italiane
§ due dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani
§ due di organizzazioni maggiormente rappresentative operanti nel settore dei problemi della famiglia e dei minori.
Il comitato è responsabile del monitoraggio costante delle presenze di minori stranieri non accompagnati e dell’inserimento delle informazioni di una apposita banca dati. In secondo luogo, procede all’accertamento dello status del minore e all’esame delle sue condizioni di non accompagnato. In terzo luogo, promuove le indagini familiari per rintracciare i genitori dei minori di origine al fino del loro ricongiungimento. Inoltre, esamina le istanze di integrazione dei minori presentate dai servizi sociali dei comuni (art. 32 del D.Lgs. 286). Infine, il Comitato gestisce i programmi di accoglienza temporanea gestiti da enti pubblici o privati e famiglie.
Ai fini delle attività di tutela del Comitato, la normativa vigente opera una distinzione tra “minori stranieri non accompagnati” e “minori stranieri accolti”:
Minori non accompagnati: si intende il minorenne senza cittadinanza italiana (o di altro Paese dell’Unione Europea) che non ha presentato domanda di asilo politico e che si trova nel territorio dello Stato privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili.
In relazione ai minori non accompagnati, il Comitato svolge le seguenti attività:
- accerta lo status del minore non accompagnato;
- svolge compiti di impulso e di ricerca al fine di promuovere l'individuazione dei familiari dei minori;
- adotta il provvedimento di rimpatrio assistito;
- provvede al censimento dei minori presenti non accompagnati.
In base all’articolo 6 del DPCM n. 535/99, al minore non accompagnato sono garantiti i diritti relativi al soggiorno temporaneo, alle cure sanitarie, all'avviamento scolastico e alle altre provvidenze disposte dalla legislazione vigente.
Al fine di garantire l'adeguata accoglienza del minore il Comitato può proporre la stipula di convenzioni con amministrazioni pubbliche e organismi nazionali e internazionali che svolgono attività inerenti i minori non accompagnati in conformità ai princìpi e agli obiettivi che garantiscono il superiore interesse del minore, la protezione contro ogni forma di discriminazione, il diritto del minore di essere ascoltato.
Minori stranieri accolti: sono i bambini, di almeno sei anni, che hanno fatto ingresso in Italia nell'ambito di programmi solidaristici di accoglienza temporanea promossi da enti, associazioni o famiglie.
In relazione ai minori accolti, il Comitato:
- delibera, previa adeguata valutazione e secondo criteri predeterminati, in ordine alle richieste provenienti da enti, associazioni o famiglie italiane per l'ingresso di minori accolti nell'ambito dei programmi solidaristici di accoglienza temporanea nonché per l'affidamento temporaneo e per il rimpatrio dei medesimi;
- provvede alla istituzione e alla tenuta dell'elenco dei minori accolti nell'ambito dei programmi solidaristici;
- definisce i criteri predeterminati di valutazione delle richieste per l'ingresso di minori accolti.
Ai fini del censimento dei minori stranieri presenti in Italia, il DPCM n. 535/99 (art. 5), dispone che i pubblici ufficiali, gli incaricati di pubblico servizio e gli enti, in particolare che svolgono attività sanitaria o di assistenza, i quali vengano comunque a conoscenza dell'ingresso o della presenza sul territorio dello Stato di un minorenne straniero non accompagnato, sono tenuti a darne immediata notizia al Comitato, con mezzi idonei a garantirne la riservatezza.
Il Comitato si occupa inoltre del rimpatrio assistito del minore, ossia dell'insieme delle misure adottate allo scopo di garantire al minore interessato l'assistenza necessaria fino al ricongiungimento coi propri familiari o al riaffidamento alle autorità responsabili del Paese d'origine, in conformità alle convenzioni internazionali, alla legge, alle disposizioni dell’autorità giudiziaria. Il rimpatrio assistito deve essere finalizzato a garantire il diritto all'unità familiare del minore e ad adottare le conseguenti misure di protezione.
Ai sensi dell’articolo 7 del DPCM 535/99, il rimpatrio deve svolgersi in condizioni tali da assicurare costantemente il rispetto dei diritti garantiti al minore e tali da assicurare il rispetto e l'integrità delle condizioni psicologiche del minore, fino al riaffidamento alla famiglia o alle autorità responsabili. Dell'avvenuto riaffidamento è rilasciata apposita attestazione da trasmettere al Comitato.
Inoltre, il Comitato dispone il rimpatrio assistito del minore presente non accompagnato, assicurando che questi sia stato previamente sentito, anche dagli enti interessati all'accoglienza, nel corso della procedura.
In questi anni di attività del Comitato per i minori stranieri, il fenomeno dei minori non accompagnati ha riguardato l'ingresso clandestino nel nostro paese di circa 20.000 minori stranieri. Tali dati sono stati ricavati dall'attività di censimento svolta in questi anni dal Comitato secondo i compiti ad esso attribuiti dal DPCM n. 535/99.
Per quanto riguarda i minori accolti, l'attività del Comitato riguarda l'ingresso temporaneo in Italia di circa 36.000 minori stranieri in media all'anno nell'ambito di programmi solidaristici di accoglienza temporanea a scopo umanitario.[8] Questa attività di accoglienza ha avuto origine dopo il disastro ambientale di Chernobyl e nel corso degli anni anche ad altri Paesi ed ad altre tipologie di minore.
Più in particolare, tra il 1° luglio 2000 e il 31 gennaio 2002 sono stati segnalati al Comitato per i minori stranieri 16.239 minori, dei quali 8.318 sono diventati maggiorenni nel periodo considerato[9]. I più importanti paesi di provenienza sono l’Albania, da cui proviene più della metà dei minori segnalati, il Marocco e la Romania.
Il Comitato per i minori stranieri, al 31 gennaio 2002, ha disposto provvedimenti di rimpatrio o di non luogo a provvedere al rimpatrio per 264 minori.
Attualmente (dati aggiornati al 1° marzo 2005) i minori non accompagnati risultano essere 6.487, per lo più maschi e concentrati nella classe di età 14-17 anni. Di questi ben 4.293 non sono identificati. La nazionalità più diffusa è quella romena, seguita dalla marocchina e albanese.
Minori
stranieri non accompagnati
segnalati al Comitato per i minori stranieri, per età
(al 1° marzo 2005)[10]
Età (anni) |
Numero |
% |
0-6 |
56 |
0,9 |
7-14 |
937 |
14,4 |
15 |
720 |
11,0 |
16 |
1.747 |
27,0 |
17 |
3.027 |
46,7 |
Totale |
6.487 |
100,0 |
L’articolo 2 della legge 23 dicembre 1997, n. 451 ha istituito il “piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva”, che il Governo deve presentare ogni due anni al Parlamento, al fine di individuare gli interventi che intende assumere in favore dell’infanzia e l’adolescenza. Su tale Piano è chiamata ad esprimersi la Commissione parlamentare per l’infanzia.
Sino ad oggi sono stati presentati due piani, nell’ambito dei quali sono indicate azioni volte al sostegno ed alla tutela dei minori in stato di abbandono nonché alla prevenzione del fenomeno stesso.
In particolare, nel piano di azione, approvato con il D.P.R. 13 giugno 2000, per il biennio 2000/2001, erano contenuti i seguenti impegni del governo:
§ prevedere strumenti ed interventi di tutela a favore dei minori vittime di abusi e sfruttamento sessuale (coordinamento attività delle pubbliche amministrazioni a fini di prevenzione ed assistenza; incremento attività nuclei di polizia giudiziaria; monitoraggio dati e servizi; campagne di sensibilizzazione; lotta contro lavoro minorile; programmi di sostegno alla frequenza scolastica; interventi in materia di rapporti tra minori e mondo delle comunicazioni sociali);
§ interventi di protezione e integrazione dei minori stranieri. In particolare, il Comitato minori stranieri è tenuto a provvedere: all’accertamento identità del minore; alle condizioni indispensabili per un rimpatrio sicuro. Realizzazione di programmi di prevenzione nei Paesi da cui provengono i minori non accompagnati. Per i minori regolari: riduzione dei problemi linguistico-culturali; favorire inserimento dei minori nella scuola; misure di sostegno anche alla madre; creare un contesto di accoglienza; sviluppare cooperazione internazionale a favore dei minori.
Inoltre, nella terza parte del piano si individuavano alcuni obiettivi che il governo intendeva perseguire:
§ Rifinanziare la legge n. 216 del 1991, per assicurare interventi tempestivi di fronte a situazioni particolarmente gravi per la condizione minorile destinati alla realizzazione di interventi di prevenzione della criminalità dei minorenni.
§ Il Comitato per la tutela dei minori stranieri è tenuto a realizzare un censimento nazionale sulla presenza dei minori stranieri non accompagnati, allo scopo di mettere a punto standard di accoglienza uniformi sul territorio nazionale e di avviare opportuni rapporti con i Paesi di provenienza. Si prevede, inoltre, l’istituzione di un'agenzia nazionale con il compito di esaminare, caso per caso, l'opportunità di avviare un processo di integrazione del minore nel nostro Paese o di organizzarne il rientro in famiglia. Si reputa inoltre opportuno stipulare protocolli operativi specifici, il primo dei quali con il CONI e la Federcalcio, per affrontare il tema dei numerosissimi minori stranieri che vengono a contatto con il sistema delle società sportive nella speranza di un ingaggio. Si intende, infine, avviare una campagna di informazione e sensibilizzazione presso le famiglie immigrate contro le mutilazioni genitali delle bambine.
§ Si prefigura l’istituzione del pubblico tutore dei bambini e delle bambine, individuando in capo a questa figura compiti attualmente esercitati dallo Stato, all'interno di una collocazione territoriale più vicina alle persone. I compiti principali saranno quelli dell'ascolto dei problemi delle persone in formazione, della difesa dei loro interessi, della promozione delle azioni positive per l'infanzia e l'adolescenza, del potenziamento della tutela dei relativi diritti.
Si ricorda che su tale piano si era espressa la Commissione per l’infanzia con un parere del 28 marzo 2000, che conteneva alcuni indirizzi specifici, tra cui in particolare:
1. inserire nel rilancio delle funzioni sociali dei consultori la previsione di servizi specifici per adolescenti e preadolescenti, anche stranieri, con l'inserimento di mediatori culturali;
2. potenziare il Comitato per la tutela dei minori stranieri, in relazione al «fenomeno» del cosiddetto affidamento internazionale e affidandogli, altresì, il compito di monitorare le modalità di soggiorno dei minori presenti sul territorio, in raccordo con i servizi sociali e le associazioni di volontariato.
Il piano per il 2002-2004, approvato con D.P.R. 2 luglio 2003, si articola in quattro parti:
1) la prima analizza l’attuazione del precedente Piano nazionale d’azione per il periodo 2000-2001;
2) la seconda individua le strategie per il nuovo piano e le relative priorità;
3) la terza illustra il programma per il 2003-2004;
4) la quarta riguarda la copertura finanziaria.
Partendo dall’individuazione degli interventi legislativi più significativi, che hanno dato impulso alla realizzazione di azioni in favore dell’infanzia[11], vengono illustrate le iniziative promosse.
In particolare, per quanto riguarda il miglioramento delle condizioni di vita dei minori , si ricordano le iniziative di:
- formazione del personale dei servizi sociali, sanitari ed educativi;
- indagine sulla presenza dei servizi per l’infanzia sul territorio nazionale, svolta dal Ministero del lavoro in collaborazione con il Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza;
- piano sanitario nazionale 2002-2004.
Gli interventi per l’adolescenza si sono invece concentrati essenzialmente sulla promozione di iniziative a livello scolastico, volte a potenziare la partecipazione degli studenti e dei genitori, assicurando altresì un sistema formativo integrato scuola-formazione professionale-lavoro, anche al fine di ridurre l’abbandono scolastico. L’attenzione è stata inoltre rivolta alla creazione di centri di aggregazione per il miglioramento delle condizioni di vita degli adolescenti, intervenendo sui fenomeni di disagio e violenza giovanile.
Per quanto riguarda, poi, la tutela dei minori vittime di abusi e sfruttamento sessuale, è stata incrementata l’azione dei nuclei di polizia giudiziaria, monitorando altresì l’attuazione della legge 3 agosto 1998, n. 269. Inoltre, sono state avviate:
- campagne di informazione e sensibilizzazione;
- riqualificazione e potenziamento dei servizi;
- lotta alle forme peggiori di lavoro minorile;
- sostegno alla frequenza scolastica.
Particolare attenzione è stata poi dedicata ai bambini stranieri, attraverso interventi di tutela e protezione dei minori stranieri e interventi di sostegno nei confronti dell’infanzia in difficoltà in altri paesi del mondo.
La terza parte del piano illustra in dettaglio il programma per gli anni 2003-2004, in relazione agli interventi legislativi, alle azioni di sistema, agli interventi sul territorio.
Tra questi, in particolare, si segnala:
- la necessità di sollecitare le Regioni ad emanare leggi inerenti le politiche sociali per la famiglia e gli Enti locali ad elaborare i piani di zona in attuazione della legge n. 328 del 2000;
- istituire l’Ufficio di pubblica tutela del minore.
In relazione alle azioni di sistema il piano individua: un sistema di monitoraggio (monitoraggio e valutazione della spesa sociale e della qualità dei servizi per la famiglia ed i minori; monitoraggio dell’applicazione del principio di sussidiarietà nei servizi per la famiglia; istituzione dell’Osservatorio nazionale delle professioni sociali); interventi specifici (protezione dei minori stranieri).
In previsione, infine, della chiusura degli istituti per i minori, il Governo prefigura:
· l’adozione di uno specifico “Piano di interventi per rendere possibile la chiusura degli istituti per i minori entro il 2006”;
· la creazione di un fondo speciale con apposita dotazione finanziaria;
· la promozione dell’affidamento familiare;
· la promozione dell’adozione;
· la diffusione dell’adozione “mite”;
· la creazione e riqualificazione di apposite comunità;
· la sperimentazione di forme innovative di accoglienza.
Si ricorda che nella seduta dell’8 aprile 2003 la Commissione parlamentare per l’infanzia ha espresso sullo schema un parere favorevole con alcune osservazioni. In particolare, ai fini che ci interessano, si segnalano le osservazioni volte a:
1) prevedere l’impegno ad istituire un’Autorita` garante per i diritti dei minori,
con il compito di tutelare i diritti e gli interessi dei minori, vigilare sull’applicazione delle convenzioni internazionali e delle leggi in materia, ricevere le richieste e le segnalazioni relative, indagare sulle violazioni dei diritti dei minori, formulare proposte circa l’azione dei pubblici poteri a favore dei diritti del fanciullo;
2) dedicare particolare attenzione alla tutela sanitaria;
3) prevedere la realizzazione di programmi volti a diffondere l’educazione alla multiculturalita` in generale nel tessuto sociale, anche attraverso l’inserimento di mediatori culturali all’interno dei consultori e delle scuole;
4) sensibilizzare l’opinione pubblica al problema dell’eradicazione dell’accattonaggio infantile, individuando specifici strumenti di contrasto e di reinserimento sociale (telefono per segnalazioni, nuclei di operatori per la presa in carico di ogni segnalazione);
5) promuovere l’istituto dell’affidamento, rendendolo piu` flessibile ed idoneo alle effettive esigenze di tutela del minore e del suo preminente interesse a vivere in un ambiente sano e sereno.
La legge 28 agosto 1997, n. 285 (Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza) haistituito un Fondo nazionale, ripartito tra le regioni, finalizzato al finanziamento di progetti che avessero tra le loro finalità:
- servizi di contrasto della povertà e della violenza, la sperimentazione di servizi socio-educativi per la prima infanzia e per il tempo libero;
- migliore fruizione dell’ambiente urbano e naturale, sviluppo della qualità della vita per i minori, nel rispetto delle diversità culturali ed etniche;
- azioni che offrano un sostegno economico o servizi alle famiglie con uno o più minori portatori di handicap.
Una quota di tale Fondo, pari al 30% delle risorse, è destinata al finanziamento di interventi da realizzare in alcuni comuni indicati dalla legge medesima (Venezia, Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Brindisi, Taranto, Reggio Calabria, Catania, Palermo e Cagliari).
La ripartizione del Fondo (e della quota riservata) avviene, per il 50 per cento, sulla base dell'ultima rilevazione della popolazione minorile effettuata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) e per il 50 per cento secondo i seguenti criteri:
a) carenza di strutture per la prima infanzia secondo le indicazioni del Centro nazionale di documentazione e di analisi per l'infanzia della Presidenza del Consiglio dei ministri;
b) numero di minori presenti in presìdi residenziali socio-assistenziali in base all'ultima rilevazione dell'ISTAT;
c) percentuale di dispersione scolastica nella scuola dell'obbligo come accertata dal Ministero della pubblica istruzione;
d) percentuale di famiglie con figli minori che vivono al di sotto della soglia di povertà così come stimata dall'ISTAT;
e) incidenza percentuale del coinvolgimento di minori in attività criminose come accertata dalla Direzione generale dei servizi civili del Ministero dell'interno, nonché dall'Ufficio centrale per la giustizia minorile del Ministero di grazia e giustizia.
Le risorse del Fondo per l’infanzia sono successivamente confluite nel Fondo nazionale per le politiche sociali, mantenendo peraltro nella fase iniziale il vincolo di destinazione originario. Tali risorse (pari a 570 miliardi di lire circa nel biennio 2001-2002) si sommano alla quota delle c.d. risorse indistinte del Fondo, destinate ai minori sulla base degli indirizzi contenuti nel Piano nazionale per le politiche sociali (il Piano 2001-2003 destinava agli interventi a favore dei minori uno stanziamento pari a circa quota del 10% di tali risorse, pari a circa 90 miliardi di lire annui).
L'articolo 46 della legge n. 289/2002 (legge finanziaria per il 2003) ha dettato nuove regole per l’impiego e la gestione delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali; in particolare:
¨ si prevede la tendenziale soppressione dei vincoli di destinazione posti dalle singole norme di settore, restando ferma la necessità di assicurare prioritariamente le risorse per il rispetto dei diritti soggettivi. La ripartizione annuale delle medesime è effettuata dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza unificata Stato-regioni-province autonome-città ed autonomie locali (commi 1 e 2).
¨ dovranno essere definiti i livelli essenziali delle prestazioni sociali, da garantire su tutto il territorio nazionale, con decreto del Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e d’intesa con la Conferenza unificata Stato-regioni-province autonome-città ed autonomie locali. Tale determinazione è operata - fermo restando il rispetto delle compatibilità finanziarie generali stabilite dal DPEF - nei limiti delle risorse del Fondo e tenuto conto di quelle ordinarie destinate alla spesa sociale dalle regioni e dagli enti locali [12] (comma 3);
¨ con apposito regolamento governativo, sentita la Conferenza unificata Stato-regioni-province autonome-città ed autonomie locali, sono definite le modalità di monitoraggio, verifica e valutazione dei costi e dei risultati relativi ai livelli essenziali (comma 4);
¨ le risorse non utilizzate - dagli enti destinatari - entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello di assegnazione sono revocate e attribuite nuovamente al Fondo in esame (comma 5).
Tale normativa appare volta a garantire una maggiore flessibilità nella gestione delle disponibilità del Fondo, consentendo anche di definire livelli essenziali delle prestazioni sociali in modo congruo rispetto alle dotazioni di bilancio.
In attesa dell’emanazione del decreto che fissa i nuovi livelli essenziali delle prestazioni sociali, la mancata predeterminazione con legge di vincoli di destinazione delle risorse aumenta conseguentemente il livello di autonomia e di responsabilità delle regioni nella allocazione delle risorse fra le diverse finalità di carattere socio assistenziale.
Va infatti tenuto conto che i vincoli posti con legge statale all’utilizzo delle risorse del Fondo per le politiche sociali appaiono in contrasto con il sistema delineato dal nuovo titolo V della Costituzione. In tal senso si possono trovare utili elementi di riflessione nella recente sentenza della Corte costituzionale n. 423 del 2004 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune norme che predeterminavano l’impiego di una quota delle risorse del Fondo per determinate finalità tra le quali anche il potenziamento dei servizi per la prima infanzia e scuole dell'infanzia (per un importo pari a 67 milioni di euro nel 2004).
In particolare, la Corte afferma che il sistema di ripartizione delle materie fra Stato e Regioni delineato dall'art. 117 Cost. «vieta comunque che in una materia di competenza legislativa regionale, in linea generale, si prevedano interventi finanziari statali seppur destinati a soggetti privati, poiché ciò equivarrebbe a riconoscere allo Stato potestà legislative e amministrative sganciate dal sistema costituzionale di riparto delle rispettive competenze»
Anche per quanto riguarda le risorse da destinare ad interventi a favore dei minori, l’ultimo decreto di riparto non contiene indicazioni al riguardo, rinviando la decisione sull’ammontare delle risorse e sulla loro gestione alle singole regioni. Fanno peraltro eccezione gli stanziamenti destinati al finanziamento di interventi da realizzare in alcuni comuni indicati dalla legge n. 285 del 1997, pari, negli anni 2003 e 2004, a complessivi 44 milioni di euro annui (cfr. la tabella riportata nella pagina seguente).
D.M. 1 luglio 2004.
Ripartizione, per settori di intervento e aree territoriali delle risorse finanziarie affluenti al Fondo nazionale per le politiche sociali, per l'anno 2004
Tabella n. 6
Comuni 2004
Risorse destinate ai Comuni
(Le risorse sono state ripartite come nell'anno 2003)
|
|
COMUNI |
IMPORTI 2004 |
|
|
VENEZIA |
844.066 |
MILANO |
4.398.455 |
TORINO |
3.121.291 |
GENOVA |
2.131.404 |
BOLOGNA |
1.036.835 |
FIRENZE |
1.328.456 |
ROMA |
9.650.449 |
NAPOLI |
7.238.648 |
BARI |
1.930.891 |
BRINDISI |
959.388 |
TARANTO |
1.501.912 |
REGGIO CALABRIA |
1.745.163 |
CATANIA |
2.386.538 |
PALERMO |
5.014.249 |
CAGLIARI |
1.179.194 |
TOTALI |
€ |
44.466.939 |
La legge n. 149 del 2001, nell’affermare il diritto del minore di crescere ed essere educato all’interno di una famiglia, prevede il ricorso, in via principale, all’affidamento familiare ovvero, in via subordinata, all’inserimento del minore in una comunità di tipo familiare. Solo fino al 31 dicembre 2006 – e con l’esclusione dei minori di età inferiore a sei anni – sarà possibile l’utilizzo a fini educativi degli istituti per i minori, di natura pubblica o privata, che abbiano sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza.
La legge definisce a tal fine alcuni elementi della futura comunità di tipo familiare, caratterizzata da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia.
Le regioni, nell'ambito delle proprie competenze e sulla base di criteri stabiliti dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, definiscono gli standard minimi dei servizi e dell'assistenza che devono essere forniti dalle comunità di tipo familiare e dagli istituti e verificano periodicamente il rispetto dei medesimi.
Il sistema delineato dalla legge n. 149 del 2001, dalla legge n. 328 del 2000 e dal decreto ministeriale n. 308 del 21 maggio 2001 (Requisiti minimi ed organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale, a norma dell’art. 11 della legge n. 328 del 2000) consente di delineare, da un lato, le caratteristiche essenziali degli “istituti” che dovranno essere oggetto di un processo di riconversione entro il termine del 31 dicembre del 2006 (pena la chiusura dei medesimi) e, dall’altro, le caratteristiche delle “comunità di tipo familiare”, destinate a svolgere un ruolo essenziale in caso di impossibilità di ricorso all’affidamento familiare.
In particolare, il D.M. n. 308/2001 individua i seguenti elementi essenziali delle “comunità”:
- bassa intensità assistenziale, bassa e media complessità organizzativa;
- recettività massima di 10 minori (più due per le emergenze).
Ciò comporta la necessità di un esame assai approfondito di quali siano le strutture esistenti compatibili con i requisiti sopra delineati e, conseguentemente, quali siano le strutture interessate ad una ristrutturazione o riconversione
Il documento I bambini e gli adolescenti negli istituti per minori, una ricerca del marzo del 2004, pubblicata in allegato, fornisce dati sul fenomeno dei minori che, nelle diverse aree territoriali del Paese, usufruiscono al 30 giugno 2003 degli “istituti” ed utili elementi sullo stato del processo di riconversione di tali strutture.
In particolare, dalla ricerca emerge l’esistenza in Italia di circa 200 strutture residenziali, che ospitano 2.625 minori.
La dislocazione di tali strutture è molto differenziata: se in alcune regioni non esistono più gli istituti per minori (Piemonte, Valle d’Aosta, trentino Alto Adige, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Molise), si registra invece una forte concentrazione di tali strutture nel sud e nelle isole, con particolare riferimento alla Sicilia (539 minori ospitati) e alla Campania (500 bambini).
Circa l’80% delle strutture ha dichiarato di aver intrapreso un progetto di riconversione, diretto nel 43,9% dei casi alla creazione di comunità familiari e, nel 45,9% dei casi, ad altre tipologie di comunità (soprattutto comunità alloggio).
Tra le difficoltà evidenziate dai soggetti intervistati nel corso del processo di riconversione, quelle maggiormente sottolineate riguardano aspetti di natura economico-finanziario.
I ragazzi ospitati appartengono prevalentemente (44%) alla fascia ricompressa tra i 12 e i 17 anni; il 4% riguarda i minori con età superiore a 18 anni.
Le ragioni addotte per l’inserimento dei minori negli istituti sono prevalentemente legate a problemi di natura economica delle famiglie di appartenenza (33%); seguono i problemi di condotta dei genitori (12%) e la crisi delle relazioni familiari (8,5%).
In materia di affido internazionale risultano presentate alle Camere diverse proposte di legge. Si tratta, in particolare, delle proposte:
· A.C. 307, Mazzuca Poggiolini, recante “Norme per favorire l'affidamento internazionale dei minori”, presentata il 30 maggio 2001 ed assegnata alle Commissioni riunite II Giustizia e III Affari esteri, attualmente all’esame del Comitato ristretto;
· A.C. 5725, Bolognesi, recante “Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di affidamento familiare internazionale”, presentata il 16 marzo 2005 ed assegnata alla II Commissione (Giustizia);
· A.C. 5737, Burani Procaccini, recante “Introduzione dell'istituto dell'affidamento familiare internazionale e disposizioni in materia di organizzazione e funzioni della Commissione per le adozioni internazionali”, presentata il 22 marzo 2005 ed assegnata alla II Commissione (Giustizia);
· A.S. 3602, Rollandin, recante “Introduzione dell' istituto dell' affidamento familiare internazionale e disposizioni in materia di organizzazione e funzioni della Commissione per le adozioni internazionali”, presentata il 25 settembre 2005 ed assegnata alle Commissioni riunite 2ª (Giustizia) e Commissione speciale in materia d'infanzia e di minori.
Le proposte sono sostanzialmente finalizzate a modificare la legge n. 184 del 1983, in modo da disciplinare anche la fattispecie dell’affido internazionale. In particolare, le proposte prevedono che i minori residenti in uno Stato estero privi di un ambiente familiare idoneo, collocati o meno in istituto (anche qualora la situazione di difficoltà derivi da calamità naturali o da conflitti armati), per i quali sia stato accertato che non è possibile procedere ad un affidamento familiare nello Stato di provenienza, possono essere affidati ad una famiglia italiana (ovvero ad una persona singola, secondo alcune proposte), in grado di assicurare loro l'adeguato inserimento nell'ambito familiare e sociale.
L'affidamento familiare internazionale può essere realizzato esclusivamente con Paesi che riconoscono tale istituto giuridico e stabiliscono, anche mediante accordi bilaterali, regole di attuazione del relativo procedimento, tenendo conto di specifici principi, individuati dalle proposte, tra i quali si ricordano:
§ l'affidamento può essere disposto esclusivamente nel superiore interesse del minore e nel rispetto dei diritti fondamentali riconosciuti dalle norme internazionali;
§ l'affidamento familiare internazionale può avere una durata massima di due anni suscettibile di proroga nel caso in cui è valutato che la sospensione dell'affidamento può essere pregiudizievole per il minore, ovvero che il rientro nella famiglia d’origine sia impraticabile;
§ predisposizione di un progetto finalizzato al recupero delle condizioni di difficoltà che hanno determinato ciascun affido, in attuazione di un programma di cooperazione.
§ previsione che l'accordo intenda instaurare un sistema di cooperazione al fine di assicurare il rispetto delle garanzie di cui ai punti precedenti e di prevenire ogni forma di sottrazione, vendita o tratta di minori.
Viene inoltre stabilita la procedura che le famiglie, che intendono accogliere uno o più minori residenti all'estero in affidamento internazionale, devono seguire (presentazione della dichiarazione di disponibilità ai servizi socio-assistenziali degli enti locali, ovvero al tribunale per i minori; verifica dell'idoneità della famiglia; autorizzazione; comunicazione al tribunale per i minorenni; conferimento da parte della famiglia autorizzata dell'incarico di curare la procedura a uno degli enti autorizzati).
In particolare gli enti autorizzati – che devono possedere specifici requisiti – sono tenuti a svolgere un’attività informativa nei confronti delle famiglie affidatarie e devono avere ricevuto dalle autorità preposte del Paese estero di residenza del minore, quale presupposto di procedibilità all'affidamento stesso, una attestazione della sussistenza di determinate condizioni: mancanza dell’ambiente familiare de minore o inidoneità dell’ambiente stesso; impossibilità di procedere a un affidamento familiare nel suo Stato di provenienza; nel caso di un minore accolto in un istituto di assistenza, il suo permanere presso di esso può essergli pregiudizievole; prestazione del consenso all'affidamento liberamente e per iscritto da parte dei genitori; prestazione del consenso da parte del minore, tenuto conto della sua età e della sua capacità di discernimento.
Vengono, inoltre, disciplinate le competenze in materia della Commissione per le adozioni e gli affidamenti familiari internazionali, tenuta, in particolare, a certificare, qualora ne ricorrano i presupposti, che l'affidamento familiare internazionale risponde al superiore interesse del minore e lo dichiara efficace in Italia, autorizzando l'ingresso e la residenza in Italia del minore straniero per la durata dell'affidamento.
Particolarmente rilevante è la disciplina, contenuta in alcune proposte, della possibilità per l'autorità estera di disporre in ogni momento la sospensione dell'affidamento familiare internazionale e il reinserimento del minore nel proprio nucleo familiare, nel caso in cui è cessata la difficoltà della famiglia di origine o nel caso in cui, su segnalazione dell'ente autorizzato, sono emerse difficoltà di gestione dell'affidamento da parte della coppia affidataria.
Di estremo interesse è poi la previsione della possibilità di passare dall’affido internazionale all’adozione internazionale o aperta. Alcune proposte subordinano tale possibilità a determinate condizioni: nei casi in cui si sia proceduto a una o più proroghe del periodo di affidamento a causa del mancato recupero della condizione di difficoltà che ha dato luogo all'affidamento del minore che sia in stato di abbandono o di semiabbandono, e qualora la coppia affidataria abbia ottenuto dal tribunale per i minorenni l'idoneità all'adozione internazionale.
Infine, le proposte individuano nella Commissione per le adozioni e gli affidamenti familiari internazionali (di cui agli articoli 38 e 39 della legge n. 184) l’Autorità centrale italiana in materia di affidamento familiare internazionale.
Si ricorda, inoltre, che il 6 aprile 2005 è stato presentato al Senato il disegno di legge del Governo A.S. 3373, recante “Modifiche ed integrazioni alla disciplina in materia di adozione e affidamento internazionali”. Il provvedimento, assegnato alle Commissioni riunite 2ª (Giustizia) e Commissione speciale in materia d'infanzia e di minori, è attualmente all’esame in sede referente.
In particolare, coerentemente all'indirizzo espresso nella Convenzione dell'Aja, il disegno di legge disciplina anche il delicato istituto dell'affidamento temporaneo internazionale, introducendo nella legge n. 184 del 1983 uno specifico capo ("Capo II - ter - Dell'affidamento temporaneo internazionale").
L’articolo 15 (che introduce gli articoli da 57-ter a 57-sexies) prevede che per affidamento internazionale si intenda “l'inserimento di un minore straniero, temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, presso una famiglia o una persona, cittadini italiani o comunitari, residenti in Italia, in grado di assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui ha bisogno”. L'affidamento presuppone il consenso dei genitori, o di chi esercita la potestà sul minore, manifestato con atto pubblico dinanzi agli uffici consolari italiani all'estero. L'affidamento può riguardare esclusivamente minori che provengono da Stati con i quali siano stati stipulati accordi internazionali, che disciplinano le condizioni per l'ingresso, la permanenza ed il rimpatrio dei minori accolti in affidamento, non disciplinate dal ddl in esame. L’articolo 57-quater introduce specifici obblighi per le famiglie affidatarie, che sono tenute a:
· provvedere al suo mantenimento, alla sua educazione e istruzione;
· garantire il mantenimento dei contatti del minore con la famiglia di origine e con la cultura del Paese di provenienza.
In caso di violazione di tali doveri scatta la revoca dell'affidamento; inoltre, il giudice tutelare dà comunicazione della revoca alla CAI, affinché curi il rimpatrio del minore nel Paese di provenienza, e adotta gli opportuni provvedimenti temporanei in favore del minore.
L’articolo 57-quinquies stabilisce che le persone interessate ad accogliere in affidamento temporaneo uno o più minori stranieri siano tenute a presentare una dichiarazione di disponibilità al giudice tutelare del luogo in cui hanno la residenza. Il giudice tutelare, entro trenta giorni:
· sente gli aspiranti affidatari;
· verifica essi se sono in grado di adempiere agli obblighi prima indicati;
· rilascia, in caso di esito positivo, entro quindici giorni, un decreto di idoneità che gli aspiranti affidatari trasmettono alla Commissione per le adozioni internazionali, affinché sia inoltrato alla competente autorità dello Stato di provenienza del minore.
La CAI riceve dalla competente autorità straniera la proposta di incontro tra gli aspiranti affidatari e il minore straniero, corredata delle necessarie informazioni, anche di carattere sanitario, riguardanti il minore. La Commissione trasmette agli aspiranti all'affidamento tutte le informazioni e tutte le notizie riguardanti il minore e, dopo aver ricevuto il loro consenso scritto all'incontro, li assiste in tutte le attività da svolgere nello Stato straniero. Il provvedimento di affidamento internazionale pronunciato all'estero viene trasmesso alla CAI, che lo inoltra al giudice tutelare competente, il quale dispone con decreto l'esecutività del provvedimento, incaricando altresì i servizi socio-assistenziali degli enti locali di vigilare durante l'affidamento, con l'obbligo di riferire ogni evento di particolare rilevanza e di presentare una relazione annuale sull'inserimento del minore nella famiglia affidataria, sia al giudice stesso sia alla CAI. La competenza ad autorizzare l'ingresso in Italia del minore in affidamento è attribuita alla CAI, con la collaborazione degli uffici consolari italiani all'estero, che rilasciano il visto d'ingresso a beneficio del minore. Il periodo di affidamento non può superare la durata di due anni ed è comunque prorogabile qualora la sospensione dell'affidamento impedisca al minore il completamento del ciclo scolastico in cui viene inserito.
Infine, l’articolo 57-sexies prevede che al minore straniero accolto in affidamento internazionale venga rilasciato un permesso di soggiorno (all'inizio del periodo di affidamento e per la durata dello stesso), che consente al minore di soggiornare nel territorio dello Stato per tutta la durata dell'affidamento medesimo.
Nella XIV legislatura, la Commissione bicamerale per l’infanzia ha avviato importanti iniziative, che hanno avuto ad oggetto le tematiche dell’abbandono dei minori, i pericoli da ciò derivanti e le misure per farvi fronte.
In particolare, si ricorda l’indagine conoscitiva sull’abuso e lo sfruttamento dei minori, articolata in quattro aree tematiche, una delle quali relativa allo sfruttamento sessuale a fini commerciali e prevenzione. I lavori della Commissione per lo svolgimento dell’indagine conoscitiva sono quindi iniziati con l’audizione del dott. Rosario Priore, Direttore generale del Dipartimento giustizia minorile, il 5 dicembre scorso e sono proseguiti con le audizioni del Direttore della polizia postale e delle comunicazioni, dottor Vulpiani (11/12/2001), del Direttore generale affari politici multilaterali, Ambasciatore Aragona (21/1/2002), del Ministro per l’innovazione e le tecnologie (30/1/2002), di rappresentanti dell’ABI (5/2/2002) e di rappresentanti di associazioni di provider (7/2/2002). Sul rapporto tra minori ed internet si sono svolte anche le audizioni del dottor Francesco Verdoliva, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei minorenni di Salerno (12/2/02) e del professor Cesare Mirabelli, Presidente del Consiglio nazionale degli utenti, (19/2/02). Si ricordano, inoltre, le audizioni dell'avv. Gianfranco Dosi, Presidente AIAF (Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e i minori) e dell'avv. Alessandro Sartori, Presidente AIAF - regione Veneto, in merito alla prospettata riforma di alcuni istituti in materia di giustizia minorile (20/02/02); del Ministro delle comunicazioni, Maurizio Gasparri, sul rapporto tra TV e minori (6/3/2002); del dottor Piero Tony, Presidente del Tribunale dei minorenni di Firenze, e della dottoressa Caterina Chinnici, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei minorenni di Caltanissetta, sulle riforme in materia di giustizia minorile (19/03/02); della dottoressa Livia Pomodoro, Presidente del Tribunale dei minorenni di Milano, sulle riforme in materia di giustizia minorile (10/04/02); del Consigliere della Corte di cassazione, Giuseppe Magno, sulle riforme in materia di giustizia minorile (18/04/02); di rappresentanti dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie (ANFAA), del Centro italiano aiuti all'infanzia (CIAI), del Centro informazione e educazione allo sviluppo (CIES), dell'ECPAT Italia, di Save the children e dell'UNICEF Italia, sulle riforme in materia di giustizia minorile (26/09/02); del sottosegretario di Stato per l'interno, Alfredo Mantovano, in relazione ai minori costretti a forme di accattonaggio (05/02/03).
In particolare, il
Sottosegretario ha sottolineato che l'abuso dei minori comprende anche
comportamenti diversi dallo sfruttamento sessuale e dalla pedofilia. Tra
questi, ricorda i «vu cumprà» di giovanissima età, ovvero i minori che svolgono
attività di mendicità ovvero di accattonaggio. Il fenomeno dell'accattonaggio,
peraltro disomogeneo, emerge in Italia verso la seconda metà degli anni
ottanta, interessando principalmente minori slavi di origine rom.
Nella cultura delle popolazioni nomadi l'accattonaggio è normale, talvolta pure
il «furtarello», ritenuto da quelle comunità un espediente praticato per
necessità di sopravvivenza a vantaggio della famiglia di chi ne è l'autore. Del
resto, lo stesso carattere nomade di tali comunità non giova al radicamento sul
territorio o allo sviluppo di attività lavorative e scolastiche, cosa che rende
molto più difficili gli interventi di sostegno sociale. L'attività di
prevenzione e contrasto del fenomeno non deve essere esclusivamente repressiva
(cioè limitata alla mera applicazione del codice), ma deve puntare
all’integrazione. Un ruolo importante può essere svolto dagli enti territoriali
attraverso interventi di politica sociale.
Accanto all’accattonaggio nomade vi è quello, ben diverso, praticato dai minori di origine marocchina ed albanese, spesso gestiti da organizzazioni criminali, che determinano uno stato di dipendenza e sudditanza fisica e psicologica.
Con l’aumento dei flussi migratori tale attività è andata sempre più diffondendosi: risultano 4 milioni di persone vittime di tratta nel mondo e di cinquecentomila che, ogni anno, entrano nel territorio dell'Europa occidentale, secondo le stime ufficiali dell'ONU e dell'Organizzazione mondiale di emigranti.
Contro queste forme di sfruttamento l'Italia è sempre stata in prima linea e, in particolare, ha:
- sottoscritto la Convenzione delle Nazioni Unite di Palermo del 2000 sul crimine transnazionale e i due annessi protocolli sul traffico dei clandestini via mare e sul traffico di donne e minori ai fini della prostituzione;
- ratificato il Protocollo alla Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo;
- ratificato la Convenzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro, del giugno 1999, sul divieto e l'eliminazione delle peggiori forme di lavoro minorile.
All'interno dell'Unione europea, l'Italia è altresì impegnata perché la lotta all'immigrazione clandestina rientri tra le priorità dell'Unione, anche attraverso specifici programmi di collaborazione fra gli Stati membri:
- contro il traffico degli esseri umani (cosiddetto programma STOP),
- contro il crimine organizzato (programma FALCONE)
- in tema di frontiere, visti, asilo e di immigrazione (programma ARGO).
Il Consiglio giustizia e affari interni ha, inoltre, approvato il 28 febbraio del 2002 il Piano globale per la lotta all'immigrazione clandestina e alla tratta di esseri umani nell'Unione europea, alla cui progettazione l'Italia ha sensibilmente contribuito. Questo piano riguarda in particolare: interventi di prevenzione, quali il potenziamento dell'attività di Europol, il consolidamento di una rete di punti di contatto nelle aree sensibili, la creazione di banche dati per centralizzare le informazioni strategiche; misure di sostegno diplomatiche, tecniche e finanziarie per intavolare con i paesi terzi, di provenienza e di transito di flussi, negoziati di riammissione e forme varie di collaborazione per lo sviluppo di azione di contrasto sempre più integrate; infine, misure organizzative e procedurali, quali l'attivazione di uffici consolari comuni e la previsione di caratteristiche antifalsificazione per i visti.
Il Sottosegretario ricorda, inoltre, l’attenzione espressa in sede comunitaria nei confronti del fenomeno[13].
Sul fronte interno, l'Italia ha affrontato il problema dei minori albanesi realizzando iniziative specifiche, tra cui:
- il programma di informazione per l'Albania 1997-1999, teso a realizzare sul posto una campagna di sensibilizzazione relativa alle conseguenze dell'immigrazione clandestina;
- le misure di prevenzione e lotta alla tratta di donne e minori, a scopo di sfruttamento sessuale, di informazione e sensibilizzazione in Albania e periodo 1990-2000;
- le misure di contrasto alla tratta di esseri umani, in particolare, donne e minori, attraverso le regioni balcanica e adriatica nel periodo 2000-2001.
Ricorda, quindi, che nell'ultimo biennio, c'è stata una sensibile diminuzione dell'afflusso di clandestini dalle coste albanesi, anche in virtù della collaborazione bilaterale avviata tra i due Ministeri dell'interno attraverso una serie di protocolli di intesa. Tale riduzione è dovuta ad una molteplicità di fattori, non ultima l’introduzione nel codice penale albanese del reato di tratta di esseri umani e del reato di tratta di minore.
Per quanto riguarda l'Italia, è stata istituita una Commissione interministeriale in attuazione dell'articolo 18 del testo unico sull'immigrazione, riguardante il soggiorno, per motivi di protezione sociale e per le vittime di sfruttamento o di violenza[14]. A questa Commissione, il Ministero dell'interno ha presentato il progetto denominato «azione di sistema», realizzato in collaborazione con l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), e finalizzato al rimpatrio assistito delle vittime della tratta.
Dopo aver ricordato l’importante ruolo svolto dal Comitato per i minori stranieri - istituito dalla legge sull’immigrazione del 1998, che ha iniziato ad operare nel 2001 - il Sottosegretario dà conto degli strumenti normativi più recenti per combattere il fenomeno: la legge 189 del 2002 - la cosiddetta Fini-Bossi - , che vieta l'ingresso per chi sia stato condannato per reati diretti al reclutamento delle persone da destinare alla prostituzione ed inasprisce la pena per tali fattispecie delittuose; il disegno di legge governativo - AS n. 885 «Misure contro la tratta di persone» - che reca misure in tal senso, già approvato dalla Camera.
Il Sottosegretario fornisce, quindi, dei dati relativi alle persone denunciate per il reato di sfruttamento di soggetti costretti all'accattonaggio, su base nazionale, (per quanto in un periodo limitato nel tempo): tra il 14 maggio 2002 ed il 31 dicembre 2002 sono state 263. Le regioni maggiormente interessate sono la Lombardia (71 persone denunciate), il Lazio (40 persone), la Liguria (25), la Toscana (20), la Puglia (17) ed il Veneto (16).
Per quanto attiene ad alcune delle iniziative di maggiore rilievo poste in essere dal dipartimento di pubblica sicurezza, ricorda l'istituzione, a livello centrale e periferico, di uffici minori, cui sono attribuite oltre a funzioni conoscitive e di raccolta di documentazione, finalità di «pronto soccorso» nonché di raccordo con altri enti e organismi che si occupano dell'infanzia. Si tratta di uffici della polizia di Stato operanti sul territorio in un'ottica globale, comprensiva sia della delinquenza minorile, sia dei reati commessi in pregiudizio dei minori, tra cui rilevano anche quelli relativi all'accattonaggio.
Il Sottosegretario illustra, quindi, le direttive diramate ai questori con l'obiettivo di intensificare i servizi di prevenzione e repressione del fenomeno dell'accattonaggio. In particolare, una direttiva del 9 dicembre scorso individua nuovi criteri di definizione dei piani per il controllo coordinato del territorio, che tendono ad assicurare una maggiore presenza fisica degli agenti sul territorio, anche attraverso appositi servizi svolti a piedi (poliziotti di quartiere) ed un maggior coordinamento con il coinvolgimento della polizia municipale. In tal modo, il controllo del territorio risulta più capillare e più aderente alla realtà locale nella sua interezza, permettendo un'azione di prevenzione e di contrasto più efficace. Si stanno, inoltre, sviluppando ulteriori intese tra la direzione centrale della polizia criminale e il dipartimento della giustizia minorile per migliorare le forme di collaborazione tra le articolazioni territoriali delle due strutture dipartimentali.
Ricorda che il codice penale conteneva l'articolo 670, che prevedeva l'arresto fino a tre mesi per chi compisse attività di accattonaggio con un'aggravante se essa veniva svolta in modo ripugnante o vessatorio, simulando deformità od altro, ma tale norma è stata abrogata dalla legge n. 205 del 1999. Attualmente ha rilievo penale la sola ipotesi di impiego di minori nell'accattonaggio, di cui all'articolo 671 del codice penale. La norma punisce chiunque si avvale, per mendicare, di una persona minore di anni 14, e la sanzione è l'arresto da tre mesi ad un anno, ed è prevista, come pena accessoria, la sospensione dell'esercizio della potestà dei genitori o l'ufficio di tutore se il fatto è imputabile al genitore o al tutore. Pertanto, in base alle norme vigenti, mendicare con un bambino in braccio non è reato (mentre lo è far mendicare un bambino), a meno che l'atto non provochi delle lesioni al bambino. Ricorda, infine, che la casistica del Ministero non contempla, finora, una segnalazione di bambini addormentati con sedativi o farmaci per l'accattonaggio: questo non significa che ciò non possa essersi verificato in concreto.
Da segnalare, inoltre, le comunicazioni del Presidente sulla partecipazione di una delegazione della Commissione al Secondo Congresso Mondiale contro lo sfruttamento sessuale dei minori a scopo commerciale (Yokohama, 17-20 dicembre 2001). Nel ricordare che il Congresso di Yokohama si è svolto a 5 anni dal Congresso tenutosi a Stoccolma nel 1996 - dove per la prima volta è stata analizzata la drammatica situazione dei bambini sfruttati sessualmente, con l’approvazione di una Dichiarazione e di un Piano d'azione - la Presidente della Commissione ha sottolineato che nell’ambito del Congresso di Yokohama si è effettuata una verifica degli impegni effettivamente realizzati e di quali politiche a favore dei minori e delle famiglia siano state intraprese. Sono stati fissati altresì nuovi obiettivi e nuovi impegni, formalizzati con l'adozione di un documento finale. I principali temi trattati nel corso del Congresso sono stati:
a) la pornografia minorile;
b) il ruolo ed il coinvolgimento del settore privato;
c) il profilo dell'«abusante»;
d) «Prevention, Protection and Recovery» dei minori vittime di sfruttamento sessuale;
e) il traffico dei minori a scopo sessuale;
f) il quadro informativo internazionale, le legislazioni nazionali e la loro attuazione.
Se dal punto di vista dei numeri il Congresso ha registrato dati positivi (circa 3000 partecipanti da 134 Paesi - tre volte il numero dei partecipanti al Congresso di Stoccolma -, 107 seminari, un numero imprecisato ma molto grande di ONG partecipanti), dal punto di vista del consenso della comunità internazionale alla lotta allo sfruttamento sessuale dei minori emergono alcuni punti critici:
1) il linguaggio del documento finale appare debole rispetto alle aspettative, ed anche rispetto agli impegni di Stoccolma. La stessa soluzione di compromesso accolta di concludere il Congresso con il testo del documento finale in precedenza negoziato, ma aggiungendo una lista di dichiarazioni di paesi che volevano a vario titolo una rinegoziazione del testo, non ha certo agevolato l'approvazione di un documento finale che inviasse un messaggio «forte» ed univoco;
2) contrariamente al precedente Congresso, una serie di contrasti di fondo sono infatti emersi nelle posizioni dei paesi: ai paesi europei, che premevano per un linguaggio più avanzato ed impegnativo della dichiarazione finale, ritenuta troppo «debole», si è opposta un'eterogenea coalizione formata da Stati Uniti, Iran e alcuni paesi arabi, che la ritenevano invece troppo avanzata e sottoponevano proposte di «annacquamento» del testo. Il contrasto - come detto sopra - non si è risolto, il che ha ulteriormente indebolito il messaggio di fondo che promana dal Congresso;
3) ai problemi politici tra Stati ha fatto da contraltare una serie di polemiche tra le ONG e le altre organizzazioni presenti. Tra i temi caratterizzanti il Congresso di Yokohama, vi era infatti quello della protezione e della promozione degli interessi e dei diritti dei minori da qualunque forma di sfruttamento sessuale. Tale affermazione indica un ampliamento di prospettiva rispetto all'iniziale orientamento assunto a Stoccolma verso lo sfruttamento sessuale a fini commerciali, che non solo non è stato da tutti condiviso, ma ha fatto registrare un acuto contrasto tra due degli enti organizzatori della riunione, l'UNICEF, impegnata a tutto campo nella tutela dei minori, e l'ECPAT, orientata proprio sullo specifico profilo dello sfruttamento sessuale a fini commerciali.
Il Congresso ha comunque confermato che la problematica dello sfruttamento sessuale dell'infanzia rimane tra i temi centrali del dibattito internazionale in materia di minori, e che come tale esso sarà ampiamente discusso alla prossima sessione speciale delle Nazioni Unite sull'infanzia (New York, 8-10 maggio 2002).
Si segnala, inoltre, l’indagine conoscitiva sulle adozioni e l’affidamento, avviata nel maggio 2003, nel corso della quale sono stati anche approfonditi gli aspetti relativi alle forme di tutela dei minori in stato di abbandono.
Nel corso dell’indagine, sono state svolte diverse audizioni del Presidente del Comitato minori stranieri, dei rappresentanti di alcuni enti autorizzati e, in particolare, del CIAI (Centro Italiano Aiuti all'Infanzia), dell'Associazione F&M (Famiglia e Minori), della Comunità di S. Egidio (24 giugno 2003), dell'Ente Istituto La Casa, dell'Associazione F&M (Famiglia e Minori), dell'Associazione di volontariato NOVA (nuovi orizzonti per vivere l'adozione), di Rete Speranza e dell'Associazione Senza Frontiere (10 luglio 2003), A.I.A.U (Associazione in aiuti umanitari), Ai.Bi. (Amici dei bambini), Arcobaleno, ARIETE, ASA (Associazione siciliana adozioni), CIFA, Crescere Insieme, I Fiori Semplici e La Cicogna (15 luglio 2003), Agenzia Regionale per le adozioni internazionali della Regione Piemonte, Associazione S.O.S. Bambino International Adoption Onlus, Gruppo di Volontariato «Solidarietà», N.A.A.A. (Nucleo Assistenza Adozione e Affido) (16 luglio 2003), del Sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Margherita Boniver, (26 giugno 2003), della dottoressa Melita Cavallo, presidente della Commissione per le adozioni internazionali (11/11/2003), della dottoressa Magda Brienza, presidente del tribunale per i minorenni di Roma, e del dottor Francesco Paolo Occhiogrosso, presidente del tribunale per i minorenni di Bari (seduta del 29/1/2004), nel corso delle quali è emersa la possibilità di procedere a forme particolari di adozione (adozione mite ed adozione aperta), nonché l’audizione di associazioni che si occupano dei soggiorni in Italia dei minori delle regioni circostanti Chernobyl (seduta del 12/2/2004). Infine, si ricordano: l’audizione del presidente del tribunale per i minorenni di Ancona, dottoressa Luisanna Del Conte e del presidente del tribunale per i minorenni di Torino, dottoressa Giulia De Marco, svoltasi nella seduta del 23/3/2004; l’audizione del sottosegretario di Stato per la giustizia, Jole Santelli (Seduta del 12/5/2004). Infine, nella seduta del 27/10/2004 è stato approvato il documento conclusivo.
Si segnala, in particolare, l’audizione del dottor Giuseppe Silveri, Presidente del Comitato minori stranieri, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali (11 giugno 2003). L’audito, dopo aver delineato le modalità di funzionamento del Comitato e le relative aree di intervento (i minori accolti ed i cosiddetti ragazzi non accompagnati, cioè i minori senza famiglia), ha evidenziato che le problematiche maggiori riguardano i minori non accompagnati, il cui numero si aggira sui 5300 (dati al 30 maggio 2003). Tuttavia, questo non significa che il numero di questi minori sia realmente tale: il Comitato ha competenze esclusivamente per i minori stranieri con il permesso di soggiorno per minore età, ma vi sono migliaia di ragazzi che hanno ricevuto un permesso di soggiorno per affidamento, che sfuggono al controllo del Comitato in quanto affidati ad esempio al sindaco, ad un'associazione, a una qualche famiglia. Inoltre, sono molto numerosi i bambini che chiedono l'elemosina ai semafori, sui quali il Comitato non può intervenire, perché si occupa dei minori non accompagnati segnalati: i vigili urbani, i carabinieri, i poliziotti dovrebbero prestare attenzione a tali situazioni. Molti di questi bambini sono Rom ed hanno la loro famiglia.
La Commissione ha, inoltre, approvato nella seduta del 29 luglio 2003 una "relazione per l'istituzione di un garante nazionale per l'infanzia e l'adolescenza” (Doc. XVI-bis n. 4). Tale figura che già esiste in molti Paesi europei - sia pure con caratteristiche, funzioni e poteri diversi[15] -, è specificamente richiesta da molti atti internazionali e dall'Europa in particolare[16]. Si è inoltre costituita, sin dal 1997, una rete internazionale di ombudsmen, denominata ENOC (European network of ombudsmen for children) e sono state presentate anche in questa legislatura numerose proposte di legge finalizzate all'istituzione di tale figura.
Peraltro, in Italia non esiste ancora un’analoga figura di carattere nazionale, mentre organismi specifici che si occupano dei diritti dell'infanzia risultano istituiti da leggi regionali. Si tratta, in particolare, del Veneto (legge regionale 9 agosto 1988, n. 42), dell'Abruzzo (legge regionale 14 febbraio 1989, n. 15), del Piemonte (legge regionale 31 agosto 1989, n. 55), del Friuli-Venezia Giulia (legge regionale 24 giugno 1993, n. 49), dell'Umbria (legge regionale 23 gennaio 1997, n. 3), della Puglia (legge regionale 11 febbraio 1999, n. 10), delle Marche (legge regionale 15 ottobre 2002, n. 18) e del Lazio (legge regionale 28 ottobre 2002, n. 38).
Al livello statale, invece, le competenze in materia di minori risultano attribuite a organi distinti, quali la Commissione parlamentare per l’infanzia, l'Osservatorio nazionale per l'infanzia e il Centro nazionale di documentazione e di analisi per l'infanzia. Inoltre, altri settori strettamente inerenti alla tutela dei diritti dell'infanzia sono disciplinati da varie fonti normative e i relativi compiti amministrativi o giurisdizionali sono disciplinati da altri centri amministrativi (come in materia di adozioni, di tutela dei minori stranieri, etc.).
In realtà, gran parte delle attribuzioni che lo Stato dovrebbe esercitare finiscono per rimanere inevase ed indeterminate, in ragione della frammentarietà delle competenze dislocate fra i diversi organi statali.
Nella relazione si segnala quindi che nel corso dell'attuale legislatura sono state presentate numerose proposte di legge, volte ad istituire un Garante per l'infanzia. Si tratta dei progetti di iniziativa parlamentare A.C. 315 (Mazzuca), A.C. 695 (Turco ed altri), A.C. 818 (Molinari), A.C. 1228 (Pecoraro Scanio), A.C. 1999 (Pisicchio ed altri), A.C. 3667 (Buontempo ed altri) e A.S. 1916 (Ripamonti)[17]. In particolare, in ordine alle funzioni, i progetti di legge attribuiscono al Garante svariati compiti, che possono essere essenzialmente ricondotti a quattro aree tematiche. Si tratta di funzioni di carattere generale volte a diffondere e realizzare una cultura dell'infanzia (diffondere la conoscenza dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza; vigilare sull'attuazione delle convenzioni internazionali; promuovere programmi di prevenzione; reperire e formare personale per svolgere funzioni di tutela o curatela), funzioni relative alla produzione delle regole finalizzate a segnalare al Governo l'adozione di opportuni interventi, anche normativi, funzioni relative allo svolgimento di attività amministrative (segnalare alla pubblica amministrazione i fattori di rischio; intervenire nei procedimenti amministrativi; prendere visione degli atti amministrativi relativi ai minori ed impugnarli), funzioni concernenti il profilo giudiziario (trasmettere denunce all'autorità giudiziaria; intervenire in giudizio per rappresentare il minore e per tutelarne gli interessi).
In conclusione, la Commissione ha evidenziato la necessità di un adeguamento della legislazione vigente, auspicando l’istituzione di un Garante nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, quale autorità indipendente sia dal Governo, sia dal Parlamento. In linea generale, il Garante dovrebbe configurarsi come una sorta di “snodo relazionale”, in grado di intessere rapporti con tutti gli organismi - pubblici e non - competenti in materia di infanzia, tra cui la Commissione per le adozioni internazionali ed il Comitato per i minori stranieri. Tali rapporti dovrebbero essere finalizzati anche a richiedere informazioni e documenti utili per verificare l'efficacia della tutela dei diritti dei minori sul fronte interno. La Commissione ha preso in considerazione inoltre la possibilità di dotare il Garante di articolazioni territoriali, conferendo comunque al Garante poteri effettivi, quali ad esempio: il potere di richiedere alle pubbliche amministrazioni, organismi, enti o persone di fornire informazioni rilevanti ai fini della tutela dei minori, ordinando eventualmente, per determinate situazioni, lo svolgimento di specifiche indagini o ispezioni (con la previsione di adeguate sanzioni pecuniarie per i casi di mancata collaborazione con il Garante); la facoltà di intervenire in giudizio, promuovendo azioni giudiziarie in sede civile, penale o amministrativa a tutela dei minori e ricorrendo alla Corte europea dei diritti dell'uomo e al Comitato per i diritti del fanciullo delle Nazioni Unite per segnalare violazioni dei diritti dei minori. In ogni caso, al Garante dovrebbe altresì spettare l’istituzione e la gestione di un'apposita linea telefonica gratuita, accessibile ai minori e a tutti coloro che vogliano denunciare qualsiasi violazione dei diritti dell’infanzia.
Indubbio interesse, in relazione alla questione dei bambini in stato di abbandono, ha rivestito la relazione sull'attuazione della legge 28 agosto 1997, n. 285, recante «disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza» (Doc. XVI-bis n. 6), approvata dalla Commissione nella seduta del 27 luglio 2004. Ciò in quanto numerosi progetti di sostegno ai minori sono stati avviati grazie agli strumenti predisposti dalla legge in esame, non ultimo quello relativo alla “deistituzionalizzazione” dei minori.
Nella relazione è stato evidenziato come l'approvazione della Legge 28 agosto 1997, n. 285 abbia segnato un cambiamento nelle politiche e nei servizi per l'infanzia e l'adolescenza. Peraltro, a seguito della riforma del titolo V della Costituzione e la conseguente attribuzione alle regioni della competenza in materia di servizi sociali, tale normativa ha ricevuto un’attuazione differente nelle varie regioni.
Per la Commissione la differente applicazione della L. 285/97 non appare problematica in sè ma lo diventa in relazione alla crescente difficoltà di raccordare in maniera unitaria le azioni e le politiche regionali e locali, col rischio che diventi sempre più difficile verificare il raggiungimento dell’obiettivo di offrire pari opportunità, uniforme tutela dei diritti e equivalenti occasioni di promozione e di crescita a tutti i minorenni presenti nel Paese.
D'altra parte la dimensione "federalista" della L. 285/97 non può essere compressa o mortificata, anche se la Commissione auspica il recupero della comunicazione, della circolarità delle informazioni, della "solidarietà" tra i territori (ed in particolare tra le Regioni) che ha costituito, probabilmente, il maggiore fattore di successo della prima fase di attuazione della legge.
La progettualità della L. 285/97, pur nelle innegabili diversità territoriali, ha generalmente rappresentato un elemento positivo, in quanto è stato garantito un livello elevato di prestazioni relative principalmente alla copertura territoriale dei progetti presentati, al livello degli investimenti, al coinvolgimento di professionalità competenti e sensibili, alla partecipazione attiva dei soggetti del terzo settore alle diversi fasi di applicazione della legge. La Commissione ha potuto verificare concretamente come l'effetto "volano" della L. 285/97 abbia mantenuto la sua efficacia e abbia permesso di dare sicurezze ai servizi innovativi avviati con i fondi della legge e con i cofinanziamenti richiesti dalle Regioni. In effetti, il "modello 285" sta diventando un riferimento costante per tutta la progettualità sociale nei confronti dell'infanzia e dell'adolescenza. Inoltre, fino a quando c'è stato il fondo dedicato specificatamente all'area dei minori le Regioni lo hanno valutato come un'ulteriore conferma dell'impegno statale a riconoscere il lavoro prodotto e a sostenere i progetti futuri.
Dai riscontri che la Commissione ha potuto avere sul territorio, anche l'analisi delle attività progettuali collegate alla L. 285/97 ha mantenuto una significativa qualificazione. La redistribuzione dei progetti e degli interventi previsti dai piani territoriali all'interno delle diverse aree operative possibili, indicate dagli articoli della legge, ha risposto spesso alla necessità di adeguare le azioni ai bisogni reali della maggior parte della popolazione nella fascia di età tra 0 e 18 anni.
È opinione della Commissione che la riuscita o il fallimento della L. 285/97 non sia dovuta ai convincimenti politici e ideologici delle amministrazioni pubbliche, ma al loro maggiore o minore orientamento verso la logica dei diritti dei cittadini in crescita, contro una prospettiva di intervento di tipo assistenziale ed emergenziale.
La Commissione ritiene, inoltre, che la dimensioni qualificanti della L. 285/97 possano essere ricondotte all'interno di tre piani di analisi: quello culturale-sociale, quello programmatico-progettuale e quello organizzativo-gestionale.
In merito al piano culturale-sociale, la prima dimensione è il riconoscimento della preminenza della logica dei diritti e del benessere dei minori e, quindi, del valore promozionale della L. 285/97. Una seconda dimensione è la esplicitazione di nuova cultura nella programmazione e gestione dei servizi sociali destinati all'infanzia e all'adolescenza fondata sulla conoscenza, l’informazione, il raccordo istituzionale, il coinvolgimento della comunità territoriale.
In ordine al piano programmatico-progettuale, si è affermata appunto la logica di piani di sviluppo, anziché l’assemblaggio di interventi assistenziali. Notevole importanza hanno rivestito, poi, la partecipazione e la sussidiarietà, cioè il legame tra pubblico e privato nei termini della sussidiarietà orizzontale, legame tra istituzioni pubbliche o della sussidiarietà verticale, legame tra adulti e bambini; quindi la valorizzazione di tutti i soggetti coinvolti nella realizzazione delle politiche per i minori.
Infine, sul piano organizzativo-gestionale, la dimensione della "conoscenza", cioè della importanza del "sapere" sulla condizione minorile, si è rilevata un elemento qualificante, che ha condotto anche allo svolgimento di attività di monitoraggio e di valutazione sviluppata a tutti i livelli di applicazione della legge.
La Commissione ha peraltro rilevato anche elementi critici nell'applicazione della L. 285/97, riferibili sia ad alcune incongruità nell'impianto legislativo che ad un'applicazione non adeguata della legge stessa da parte dei vari soggetti chiamati a renderla operativa nei territori. In primo luogo, burocratismi e ostilità (almeno iniziali) allo spirito innovativo della L. 285/97; inoltre, la mancanza del vincolo dei fondi per la L. 285/97, che ormai confluiscono nell’unico fondo per le politiche sociali, non garantisce più la sicurezza che l'infanzia e l'adolescenza rimangano fuori dalla logica dell'emergenza e della residualità dell'intervento sociale. La confluenza delle risorse per l'infanzia e per l'adolescenza nel fondo unico e indistinto per il sociale fa temere che oltre al rischio di una maggiore discontinuità nei tempi dei finanziamenti o di maggiori ritardi nell'accreditamento dei fondi, ci sia anche quello, più grave, che le Regioni attuino una riduzione delle risorse destinate a questa fascia di età e, in particolar modo, alle risorse destinate alla promozione e alla prevenzione.
Una terza dimensione critica nell'applicazione della L. 285/97 si è dimostrata il "rapporto" tra servizi per l'infanzia "vecchi" e "nuovi" (anche in relazione all'avvento della L. 328/00). Un'ultima criticità si è evidenziata nella diversità delle modalità e dei tempi delle progettualità territoriali: sociali, sanitarie, educative, culturali...
La relazione si sofferma quindi sulla lettera e) del comma 1 dell'articolo 4 della L. 285/97, che indica come attività realizzabili con i fondi erogati "l'accoglienza temporanea di minori, anche sieropositivi, e portatori di handicap fisico, psichico e sensoriale, in piccole comunità educativo-riabilitative". Il tema dell'accoglienza residenziale dei minori rappresenta per la Commissione un ulteriore focus di indagine, reso ancor più urgente dalla scadenza del 2006 per la chiusura degli istituti per minori, come previsto dalla L. 149/01.
La Commissione ha consapevolezza che questo obiettivo del processo di deistituzionalizzazione rappresenta una forte opportunità ma, al tempo stesso, presenta dei rischi rispetto agli "scopi" che si intende raggiungere, alle "modalità" ed agli "strumenti".
Peraltro, la stesura di un "Piano di interventi per rendere possibile la chiusura degli istituti per minori entro il 2006", previsto dal Piano nazionale di azioni e di interventi per la tutela e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva non ha dato indicazioni operative sempre coerenti e non ha disposto risorse adeguate.
In merito alla situazione generale dell'accoglienza ai minori fuori dalla famiglia, con particolare attenzione al ricovero in istituto e in situazioni anomale, si ricorda che dopo la ricerca del 1998, con cui il Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza aveva riavviato il monitoraggio dei minori accolti nelle strutture residenziali socio-educative, l'ISTAT ha ripreso la conduzione di un'indagine annuale. I numeri di queste rilevazioni non riescono sempre a fotografare la situazione effettiva in quanto, da una parte il fenomeno è costituito anche da una quota fluttuante collegata all'emergenza. In questi ultimi anni il numero di minori ospitati negli istituti presenti sul territorio nazionale è in costante diminuzione: erano circa 7.500 nel 2000 (dati ISTAT) e sono 2.652 nel 2003[18]. Attualmente risulta possibile stimare in circa 3.000 il numero di minori in istituto per minori. Per avere il dato complessivo dei "minori fuori dalla famiglia" è necessario aggiungere a questo numero la quota di minori accolti nelle comunità (familiari ed educative), che possono essere stimati tra i 15.000 ed i 20.000 (anche in riferimento ai ricoveri "anomali"), ed il numero dei minorenni in affidamento familiare che nel 1999 in Italia erano 10.200, di cui 5.280 in affidamento intra-familiare e 4.668 in affidamento etero-familiare (per 252 soggetti non è stata fornita l'informazione sulla tipologia di affidamento).
Vi è comunque il problema dei centri di accoglienza “anomali”, ossia i casi nei quali il minorenne viene accolto in una struttura non adeguatamente conveniente per dare una risposta corretta ai suoi bisogni. Ad esempio, ci possono essere strutture residenziali per adulti o, addirittura per anziani in cui siano accolti dei minori o delle strutture per handicap dove sono accolti minori per i quali la disabilità non è certamente la dimensione prevalente. Quindi, prima ancora della questione "ricovero dei minori in istituto" la Commissione ha inteso richiamare l’attenzione delle istituzioni sulla questione delle "accoglienze residenziali anomale" dei minori.
A questo proposito, è importante individuare l’effettiva definizione di “istituto”. Nel decreto ministeriale 308/01 si fa riferimento ad una classificazione dei presidi residenziali socio-assistenziali adottata dall'ISTAT, per cui il l'Istituto per minori viene definito come: presidio residenziale socio-educativo, in grado di accogliere un alto numero di minori. Le prestazioni fornite sono prevalentemente educative, ricreative e di assistenza tutelare; in quello stesso decreto ministeriale si indica anche che la Comunità educativa accoglie un numero di minori "generalmente inferiore a 12". Un riferimento precedente è della Conferenza Stato-Regioni che indica che per Istituto "si intende una struttura socio-educativa residenziale di tipo assistenziale di grosse dimensioni che accoglie un alto numero di minori", e rispetto alla Comunità educativa si specifica che il numero dei minori è "comunque entro i 12", per cui si deduce che va considerata Istituto una struttura con più di 12 posti letto per minori[19].
La recente ricerca del Centro nazionale ha in linea di massima tenuto conto di questi riferimenti ed ha indicato chiaramente come la situazione più "difficile" sia al sud, soprattutto in Sicilia, dove sono stati identificati 55 istituti, e in Puglia, Calabria e Campania, con circa 30 istituti in ogni Regione. Proprio in queste Regioni si concentra la maggiore percentuale dei bambini e adolescenti presenti in tali strutture a causa di problemi economici della famiglia.
La ricerca del Centro nazionale rileva comunque come il processo di riconversione per diventare comunità familiare o comunità educativa sta già coinvolgendo tre quarti degli istituti censiti.
È opinione della Commissione che, oltre la chiusura degli istituti, il "futuro" delle comunità residenziali per minori (sia educative che familiari) si giochi tra integrazione territoriale e specializzazione. La comunità per minori deve diventare sempre di più "servizio tra servizi" entrando nel sistema integrato dei servizi per l'infanzia e l'adolescenza del territorio, superando una certa autoreferenzialità, che porta a scommettere più sulla necessità di perpetuarsi come "struttura" piuttosto che sulla volontà di adeguarsi ai mutamenti.
In ogni caso, le comunità per minori "specializzate" dovrebbero essere limitate a dare risposte più mirate a particolari esigenze (le comunità terapeutiche per il disagio psichico, quelle per minori tossicofili, quelle per minori vittime di abuso, quelle per minori stranieri, quelle per minori soggetti a provvedimenti penali) evitando una diffusione dell'offerta superiore al bisogno reale (che genererebbe un uso improprio) e valorizzando il più possibile le risposte comunitarie "normali", centrate sulla dimensione esistenziale, educativa, affettiva. È, infatti, necessario ribadire la centralità della relazione interpersonale nell'accoglienza residenziale del minore in difficoltà.
Per la riconversione degli istituti per minori, le strade percorribili possono essere diverse. In ogni caso, è opportuno puntare sulla valorizzazione dell'affidamento familiare e dell'adozione nazionale, nonché sugli interventi di "vicinato sociale" e sull'affido diurno, quali strumenti della "normalità". In particolare, appare importante accompagnare lo sviluppo delle Reti di famiglie accoglienti (a questo proposito va citato un recente bando della regione Veneto che eroga finanziamenti per sviluppare questa specifica esperienza), per permettere il consolidamento dell'esperienza e favorire un riconoscimento formale da parte delle istituzioni locali, favorendo l'inserimento dell'esperienza delle reti all'interno della rete dei servizi pubblici e privati per l'infanzia e l'adolescenza. La Commissione condivide, inoltre, le proposte di: prevedere un apposito tavolo di lavoro permanente sui minori attivato in tutti gli Ambiti territoriali, in relazione alla elaborazione e alla gestione dei Piani di zona, così come previsti dalla L. 328/00; chiedere ai singoli Comuni di predisporre un progetto di "comunità accogliente", che permetta di attivare forme di sostegno reale alla famiglia d'origine e soluzioni di accoglienza articolata, che coinvolga i vari soggetti presenti sul territorio (dalla scuola alla parrocchia, dai consultori familiari alle biblioteche, dalle associazioni sportive ed educative alle aggregazioni spontanee). Nel processo di deistituzionalizzazione la Commissione assegna altresì un importante ruolo anche alle "comunità di accoglienza residenziale" per minori, sia familiari che educative.
In conclusione, la relazione ha espresso una valutazione positiva sulla realizzazione della L. 285/97, in quanto territori diversi per cultura e tradizione hanno attivato servizi per l'infanzia e l'adolescenza, affinando la metodologia di intervento e le prospettive future di intervento in favore dei "cittadini in crescita". Pertanto, auspicando un autonomo rifinanziamento della legge, la relazione ha raccomandato al Governo l'utilizzo di un ulteriore strumento per consolidare e rendere stabili le risorse economico-finanziarie in favore dell'infanzia e dell'adolescenza.
La Commissione ha da ultimo avviato l’indagine conoscitiva sull'infanzia in stato di abbandono o semiabbandono e sulle forme per la sua tutela ed accoglienza, deliberata il 9 febbraio 2005.
L’indagine è iniziata con l’audizione del sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Grazia Sestini (22 febbraio 2005), mentre nella seduta del 10 marzo hanno avuto luogo le audizioni degli assessori alle politiche per l’infanzia e alle politiche sociali del comune di Roma, Pamela Pantano e Raffaela Milano e della dirigente della Sezione minori della Direzione centrale della polizia criminale, dott.ssa Raffaella Calabrese. Nella seduta del 17 marzo scorso si è svolta l’audizione del Direttore generale per gli italiani all'estero e le politiche migratorie del Ministero degli affari esteri, ministro plenipotenziario Adriano Benedetti. Successivamente hanno avuto luogo le audizioni: del dottor Pasquale Andria, Presidente dell’Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e per la famiglia (4 maggio 2005); del professor Giovanni Micali, Presidente dell'UNICEF-Italia, della dott.ssa Donata Lodi, direttore relazioni esterne UNICEF-Italia, e della dott.ssa Sara Menichetti, responsabile del programma minori migranti - Save the children (19 maggio 2005); di rappresentanti del Forum del Sostegno a distanza (19 maggio 2005); dell'Assessore alle politiche sociali del Comune di Milano, dottoressa Tiziana Maiolo (25 maggio 2005); della dottoressa Teresa Bonfiglio, Vice Questore Aggiunto - Reggente Divisione Anticrimine - Questura di Cosenza (25 maggio 2005); del dottor Massimo Converso, Presidente dell'Opera Nomadi, della professoressa Renata Paolucci, Responsabile nazionale settore scuola dell'Opera Nomadi e del signor Kasim Cizmic, Capo Famiglia Rom (23 giugno 2005); del dottor Andrea Rossi, esperto in materia di tratta internazionale di minori presso l'Unicef-Innocenti Research Centre (29 giugno 2005); del dottor Giuseppe Silveri, Presidente del Comitato per i minori stranieri istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali (6 e 13 luglio 2005); della dottoressa Claudia Cabral, consulente UNICEF-Brasile e del Servizio Sociale internazionale sulle questioni relative ai diritti dell'infanzia, e in particolare all'infanzia abbandonata e alle adozioni internazionali (21 settembre 2005); del dottor Antonio Bianchi, Presidente della Federazione delle Associazioni di Volontariato italiano in Bielorussia (AVIB), e del dottor Geo Bosini, Rappresentante dell'Associazione "Stella Cometa", in materia di soggiorni temporanei da Chernobyl (11 ottobre 2005); del Sottosegretario di Stato per l'interno, Giampiero D'Alia (8 novembre 2005).
Nel mese di novembre è stato quindi avviato l’esame del documento conclusivo dell’indagine, approvato nella seduta del 15 novembre scorso.
In particolare, il documento, si sofferma sul fenomeno dei minori stranieri non accompagnati, sul tema dei soggiorni solidaristici, dell’accattonaggio dei minori, delineando, infine, alcune possibili soluzioni ed interventi da realizzare per porre rimedio ad alcuni degli aspetti problematici evidenziati.
Nel documento si sottolinea inizialmente il collegamento ideale con la precedente indagine su adozioni e affidamento[20], precisando che le denominazioni di abbandono e semiabbandono sono state utilizzate oltre il senso tecnico-giuridico dei due termini intendendoli in senso ampio, descrittivo di situazioni umanamente e socialmente negative per i minori, comprendendo nell’ambito nell’indagine molteplici altre categorie di bambini e ragazzi che si trovano per varie ragioni in uno stato di difficoltà. Le categorie individuate si riferiscono a situazioni afferenti sia all’ambito nazionale che internazionale, dal momento che, a causa dei flussi di immigrazione, sempre più frequentemente sono presenti situazioni riferibili a problematiche di altri Paesi. Tra le ipotesi più frequenti, il documento ha individuato le seguenti:
§ i minori orfani, che hanno perso i loro genitori naturali o facenti funzioni, o non necessariamente entrambi;
§ i minori temporaneamente soli, che nella maggior parte dei casi hanno perso il contatto con i loro genitori solo per breve tempo per cause diverse come in caso di guerre o di catastrofi naturali, (tsunami, terremoti, eccetera) o movimenti di popolazione (sfollati o rifugiati);
§ i minori che vivono sulle strade, anch'essi per lo più temporaneamente separati dai genitori, ma che di fatto hanno una famiglia a cui si riferiscono;
§ i minori non accompagnati, che si trasferiscono in altro Stato a seguito di immigrazione illegale, od altresì bambini che rimangono nel Paese di origine in attesa di un ricongiungimento familiare con genitori che sono immigrati in altri Paesi legalmente o illegalmente;
§ i minori separati dai genitori in modo forzato, in seguito ad un rapimento o per detenzione dei genitori;
§ i minori i cui genitori sono stati privati della potestà genitoriale per provvedimento giudiziario;
§ i minori ospedalizzati per lunghi periodi, affetti da gravi malattie (AIDS), i quali in nazioni molto povere vengono di fatto abbandonati;
§ i minori ricoverati in istituzioni, collocati in istituto dai genitori in vita, o perché disabili o perché le famiglie sono troppo povere per permettersi di mantenerle.
Per quanto riguarda i minori stranieri non accompagnati, la Commissione ha rilevato come l'impostazione normativa, che attribuisce le competenze in materia al Comitato per i minori stranieri, si basa principalmente sull'ipotesi del rimpatrio assistito, nella tutela del superiore interesse del minore. Sul piano pratico, è stata però verificata l’inadeguatezza dello strumento in esame a rispondere a tutti i numerosi casi di minori stranieri non accompagnati segnalati ogni anno sul territorio nazionale, a causa soprattutto delle indagini accurate da svolgere nel Paese d'origine del minore per verificare se esistano le condizioni per il rimpatrio, della carenza di informazioni adeguate e della difficoltà di identificazione del minore. Infatti, risulta che su 46.213 segnalazioni di minori stranieri non accompagnati giunte al Comitato dal 2000 al 30 settembre 2005, i provvedimenti di rimpatrio assistito sono stati 796 (pari all'1,7 per cento).
Pertanto la Commissione invita il legislatore a concentrare l’attenzione sui progetti per i minori che restano in Italia, risultando al contempo necessario evitare di incoraggiare indirettamente l'afflusso in Italia di minori stranieri non accompagnati. Se, infatti, si deve far sì che i minori stranieri presenti in Italia e inseriti in percorsi formativi non diventino automaticamente “clandestini” al compimento della maggior età, rischiando così di essere espulsi e quindi di non poter più entrare legalmente nel nostro Paese per dieci anni, è altrettanto vero che non si può ipotizzare per tutti i minori stranieri in Italia la possibilità di rimanervi indiscriminatamente anche dopo il compimento della maggior età.
In quest’ottica, occorre un ripensamento anche delle competenze del Comitato per i minori stranieri, da collocare - con responsabilità ampliate nei confronti di tutti i minori non accompagnati - presso la Presidenza del Consiglio dei ministri o presso il Ministero dell'interno, al fine di favorire una maggiore unitarietà e incisività di intervento.
Inoltre, la Commissione auspica un’applicazione della normativa sull'immigrazione nei confronti dei minori meno legata ad un approccio burocratico e conforme, invece, all'interpretazione dell'articolo 32 del decreto legislativo n. 286/1998 affermata dal Consiglio di Stato[21]. In tal modo sarebbe possibile il rilascio di permessi di soggiorno per studio, avviamento al lavoro e lavoro ai minori oggetto di un provvedimento di affidamento, anche se si trovano in Italia da meno di tre anni e non hanno seguito un progetto di integrazione per almeno due anni. Andrebbe altresì ampliato il ricorso al permesso di soggiorno per motivi umanitari, attualmente rilasciato in misura esigua.
Un ulteriore aspetto problematico riguarda la presenza di minori residenti dalla nascita in territorio italiano, ma in situazioni di irregolarità, ai quali la vigente normativa garantisce esclusivamente i diritti all'assistenza sanitaria e all'istruzione. Anche in questo caso appare necessario superare le attuali previsioni normative.
In merito, invece, ai soggiorni solidaristici dei minori stranieri presso famiglie italiane, la Commissione ha rilevato che si tratta di un fenomeno di dimensioni molto ampie e perdurante da molti anni (dal 1994 al giugno 2005 vi sono stati complessivamente 456.371 ingressi e dal 2001 la media si è attestata su circa 36.000 ingressi annui) e che andrebbe connesso sempre più strettamente a progetti qualificati, in modo da superare la dimensione quasi esclusiva del risanamento della salute dei minori provenienti dalle aree della Bielorussia e dell'Ucraina vicine a Chernobyl (circa il 90 per cento del totale).
Appare necessario puntare sui temi della salute, del sostegno familiare, della salute, della formazione e dell'avviamento professionale, coinvolgendo le famiglie, gli enti locali, le fondazioni e associazioni, anche attraverso l’istituzione di un apposito albo.
In ogni caso, per i minori presenti in Italia per soggiorni solidaristici sarebbe opportuno prevedere il rilascio di un permesso di soggiorno specifico, che consenta maggiore elasticità riguardo ai tempi di permanenza dei minori stessi. Certamente in tal modo si potrebbe verificare il rischio di creare un binario parallelo per aggirare le norme vigenti in materia di adozione internazionale. La Commissione ribadisce pertanto che l'adozione nominativa deve essere un'eccezione alle regole generali, risultando anzi necessaria l’introduzione di una normativa specifica, che renda trasparente e partecipato da parte del minore un percorso adottivo così particolare. Tale strumento normativo può essere rappresentato dall'affidamento familiare internazionale, che consentirebbe di arricchire le possibilità di intervento nei confronti dei minori stranieri, in modo da rispondere con efficacia alle varie situazioni di abbandono o semiabbandono attualmente difficilmente inquadrabili nell’ambito dell'adozione internazionale.
Per quanto riguarda, infine, il tema dei minori impiegati in attività di accattonaggio, oltre ai rimedi proposti sopra in relazione ai minori stranieri non accompagnati, dovranno individuarsi ulteriori strumenti, dal momento che parte rilevante dei minori coinvolti non sono giuridicamente definibili «non accompagnati», anche se spesso sono di fatto «male accompagnati».
Significativa è al riguardo, l’esperienza avviata dal comune di Roma, che ha inaugurato il 17 gennaio 2003 un Centro diurno per il contrasto alla mendicità infantile, nel quale viene condotto il bambino prelevato dalla strada. Il centro ha l'ambientazione di una casa, dove sono presenti operatori specializzati e mediatori culturali che parlano la sua lingua, decisivi per creare un clima adeguato. Si svolge poi un’azione volta alla ricerca dei genitori, che vengono convocati al centro e sensibilizzati sulle loro responsabilità; se, invece, non si rintraccia la famiglia, il bambino viene accolto in una casa famiglia, con provvedimento del procuratore presso il Tribunale dei minorenni[22]. Dal 9 febbraio 2004 il comune di Roma ha anche attivato (per nove ore al giorno) un servizio telefonico al quale possono rivolgersi coloro che vogliono segnalare casi di bambini mendicanti. Le iniziative illustrate possono – a giudizio della Commissione – contribuire a dare una risposta al fenomeno dei minori coinvolti nell'accattonaggio ed andrebbero “esportate” anche in altri comuni interessati dal fenomeno. Inoltre, la Commissione punta alla questione della prevenzione, incoraggiando la diffusione della cultura della genitorialità, come avviene ad esempio nel progetto di sostegno per le neo-madri in situazioni di difficoltà, avviato sempre dal Comune di Roma.
In ogni caso, in relazione al problema dell’accattonaggio occorre dare impulso all’effettiva e piena applicazione della normativa esistente, in modo costante e capillare, coordinando gli interventi delle istituzioni e dei servizi preposti - forze di polizia, polizie municipali, servizi sociali – mettendo a punto un più energico intervento per contrastare l'evasione dell'obbligo scolastico e un attento monitoraggio dell'identità delle persone presenti nei campi nomadi.
Appare di primaria importanza svolgere un’opera di sensibilizzazione, che coinvolga anche le comunità nomadi, affinché acquisiscano sensibilità pienamente rispettose dei diritti dell'infanzia, dal momento che la tutela dei diritti di ciascun minore - qualunque sia la sua cultura di provenienza – deve prevalere su ogni altra considerazione.
La Commissione auspica, quindi, l'opportunità di istituire anche in Italia il Garante nazionale per l'infanzia e l'adolescenza[23], in quanto la presenza di una figura unitaria di riferimento potrebbe contribuire a rispondere alle varie problematiche concernenti l'infanzia sia dal punto di vista della prevenzione, che del coordinamento degli interventi.
[1] Sulla formulazione “parenti tenuti a provvedervi” è, inoltre, sorta disputa in quanto interpretata come parenti tenuti agli obblighi alimentari, per cui ci sarebbe abbandono quando l’assistenza è prestata da parenti entro il quarto grado non tenuti agli alimenti (Trib. Minori Torino, 30 novembre 1984); al contrario, altri giudici hanno ritenuto che indipendentemente dagli obblighi, l’assistenza prestata al minore da parenti entro il quarto grado impedisce la sussistenza della situazione di abbandono (Trib. minori Trieste, 3 aprile 1987).
[2] Va ricordato che il comma 7 dell'articolo 18 del decreto legislativo 286/98 prevede che l'onere derivante dall'articolo sia valutato in lire 5 miliardi per l'anno 1997 e in lire 10 miliardi annui a decorrere dall'anno 1998
[3] D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
[4] Ciò avviene, secondo l’art. 28, conformemente a quanto previsto dall’art. 3, co. 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia dalla legge 27 maggio 1991, n. 176.
[5] Ai fini del ricongiungimento si considerano minori i figli di età inferiore a 18 anni; ad essi sono equiparati i minori adottati o sottoposti a tutela.
[6] Ai sensi dello stesso articolo, il minore che risulti affidato ai sensi dell’art. 4 della legge n. 184 del 1983, è iscritto nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno dello straniero al quale è affidato e ne segue la condizione giuridica, se maggiormente favorevole.
[7] D.P.C.M. 9 dicembre 1999, n.535, Regolamento concernente i compiti del Comitato per i minori stranieri, a norma dell'articolo 33, commi 2 e 2- bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286. Si veda, inoltre, Comitato minori stranieri, Disposizioni attuative dei compiti attribuiti al comitato minori stranieri in merito ai minori non accompagnati presenti sul territorio, 2003 (www.welfare.gov.it).
[8] Fonte: Documento programmatico relativo alla politica dell'immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato per il 2004-2006 (testo trasmesso alle Camere in data 7 febbraio 2005 per l’espressione del parere da parte delle competenti Commissioni).
[9] Fonte: elaborazione CISL-ANOLF (www.anolf.it) su dati del Comitato minori stranieri.
[10] Fonte: elaborazione Servizio studi su dati del Comitato per i minori stranieri.
[11] Legge n. 53 del 2000 sui congedi parentali, articolo 70 della legge n. 448 del 2001 (finanziaria 2002), che ha istituito un fondo per gli asili nido, legge n. 285 del 1997. Progetti di legge di riforma del tribunale per i minori, istituzione del pubblico tutore per l’infanzia, ddl di ratifica della Convenzione europea di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei bambini.
[12] La procedura di approvazione del decreto che definisce le prestazioni sociali ricalca quella prevista per i livelli essenziali delle prestazioni sanitarie (LEA) di cui all’art. 6, comma 1, del D.L. 347/2001 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 405/2001).
[13] Ad esempio, nell’ambito del Consiglio giustizia e affari interni (GAI), che si è svolto a Lussemburgo il 14 ottobre 2002, ovvero della Conferenza europea sulla prevenzione e lotta al traffico di esseri umani, svoltasi a Bruxelles il 18 settembre 2002. Il documento adottato in quella sede ha avuto lo scopo di sviluppare le best practices in tema di prevenzione, di protezione e di assistenza alle vittime della tratta di minori di età, con la raccomandazione di interventi specifici di protezione a loro favore.
[14] Questa Commissione esprime pareri sulle richieste di iscrizione nel registro delle associazioni e degli enti che svolgono programmi di assistenza e protezione sociale per le vittime della tratta, sui progetti di convenzione dei comuni e degli enti locali con i soggetti privati e sul finanziamento di programmi di assistenza.
[15] Il Garante per l'infanzia è una figura piuttosto diffusa nel panorama europeo, essendo costituito, a livello nazionale o regionale, in numerosi Paesi (Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Islanda, Lituania, Norvegia, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Russia, Slovenia, Spagna, Svezia, Ungheria).
[16] Si ricordano, in particolare:
- La Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, all'articolo 18 prevede che al fine di garantire e di promuovere i diritti enunciati nella Convenzione stessa, gli Stati provvedano alla creazione di istituzioni, istituti e servizi incaricati di vigilare sul benessere del fanciullo.
- Le Osservazioni conclusive relative all'Italia - nell'ambito dell'esame dei rapporti presentati dagli Stati parti ai sensi dell'articolo 44 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 - formulate dal Comitato per i diritti del fanciullo delle Nazioni Unite il 31 gennaio 2003, al n. 15 contengono la raccomandazione che lo Stato parte si impegni a nominare un difensore civico indipendente nazionale per i minori.
- La risoluzione del Parlamento europeo su una Carta europea dei diritti del fanciullo (A3-0172/92 dell'8 luglio 1992), invita al punto 6 gli Stati membri a designare un difensore dei diritti dell'infanzia.
- La risoluzione del Parlamento europeo su misure per la protezione dei minori (A4-0393/96 del 12 gennaio 1996) al punto 24 invita gli Stati membri a potenziare la partecipazione sociale dei minori e ciò in particolare attraverso la nomina di responsabili per l'infanzia sulla falsariga del diritto norvegese.
- La raccomandazione 1286 del Consiglio d'Europa (24 gennaio 1996), su una strategia europea per i minori, raccomanda al Comitato dei ministri di invitare gli Stati membri, tra l'altro, al n. 7, a nominare un incaricato (difensore civico) per l'infanzia
- Il Consiglio d'Europa è tornato sul tema il 7 aprile 2000 (raccomandazione 1460, n. 8), raccomandando al Comitato dei ministri di richiedere a quegli Stati membri che ancora non lo hanno fatto di nominare un difensore civico nazionale per l'infanzia.
- La raccomandazione 1551, n. 4 del 26 marzo 2002 del Consiglio d’Europa chiede al Comitato dei ministri di prendere l'impegno di istituire un difensore civico nazionale per i fanciulli.
- La Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e ratificata con legge 20 marzo 2003, n. 77, prevede all'articolo 12 che gli Stati incoraggino la promozione e l'esercizio dei diritti dei fanciulli attraverso specifici organi.
- Il documento conclusivo della Sessione speciale dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite dedicata all'infanzia, svoltasi a New York dall'8 al 10 maggio 2002, al numero 31 afferma che i governi partecipanti alla Sessione speciale si impegnano ad attuare misure quali, tra le altre, l'istituzione o il potenziamento di organismi nazionali come i difensori civici indipendenti per l'infanzia.
[17] Si ricorda che dopo l’approvazione della relazione sono state presentate ulteriori proposte di legge. Si tratta, in particolare di: A.S. 2461 GUBERT ed altri, A.S. 2469 ROLLANDIN ed altri A.S. 2649 BUCCIERO e Antonino CARUSO, A.S. 2703 Vittoria FRANCO ed altri. L’esame di tali pdl è stato iniziato dalla Commissione speciale per l’infanzia costituita presso il Senato nel luglio 2003. a seguito della costituzione di un comitato ristretto è stato elaborato un testo unificato, il cui iter si è peraltro arenato a seguito di un parere della Commissione bilancio che evidenziava la mancanza di adeguata copertura finanziaria.
Alla Camera risultano presentate successivamente le pdl A.C. 4242 Burani Procaccini ed altri, A.C. 5135 Fassino ed altri. Le proposte di legge sono state assegnate in sede referente alla Commissione I Affari costituzionali, con la sola eccezione dell’A.C. 3667 Buontempo, assegnato alla Commissione XII Affari sociali; quest’ultima nella seduta del 21 luglio 2004 ha deliberato un conflitto di competenze. Il 22 luglio 2004 la Presidenza della Camera ha assegnato tutte le proposte di legge in materia alle Commissioni riunite I e XII. Il 29 luglio 2004 gli Uffici di presidenza delle due Commissioni, in riunione congiunta, hanno concordato circa l’opportunità di attendere la conclusione dell’esame dei progetti di legge in materia, già avviato presso il Senato.
[18] . Il dato emerge dalla ricerca "I bambini e gli adolescenti negli istituti per minori" condotta dal Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza e presentata al convegno del marzo 2004, a Torino, "Tutti i bambini hanno diritto ad una famiglia", organizzato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in collaborazione con la regione Piemonte.
[19] Cfr, la Relazione del gruppo di lavoro Stato-Regioni, istituito dalla stessa Conferenza, del 13 novembre 1997.
[20] Conclusa dopo circa un anno e mezzo di lavori con un documento approvato il 27 ottobre 2004.
[21] Il comma 1 dell'articolo 32 del decreto legislativo n. 286/1998 prevede che possa essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie o di cura, ai minori comunque affidati ai sensi dell'articolo 2 della legge n. 184/1983. I commi 1-bis e 1-ter dello stesso articolo 32 (introdotti dall'articolo 25 della legge n. 189/2002) prevedono che il minore, per ottenere il permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro o di lavoro, deve aver seguito un progetto di integrazione sociale e civile per almeno due anni; l'ente gestore del progetto deve inoltre garantire che al momento del compimento della maggiore età l'interessato si trovi in Italia da non meno di tre anni, abbia la disponibilità di un alloggio e frequenti corsi di studio ovvero svolga attività lavorativa retribuita nelle forme e con le modalità previste dalla legge italiana, ovvero sia in possesso di contratto di lavoro, anche se non ancora iniziato. Molte Questure, intendendo le condizioni previste dai commi 1-bis e 1-ter come esclusive, hanno iniziato a concedere permessi di soggiorno solo a coloro in possesso dei requisiti ivi richiesti. Tale interpretazione restrittiva - per la quale cioè il comma 1-bis integra il comma 1, introducendo ulteriori condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno - è stata citata anche dal sottosegretario per il lavoro e le politiche sociali Grazia Sestini, in risposta all'interrogazione in Commissione XII della Camera n. 5-04784; in quella circostanza il sottosegretario (4 ottobre 2005) ha riferito che «per il Ministero dell'interno gli unici requisiti per una permanenza in Italia del minore sono quelli stabiliti dall'articolo 32 commi 1-bis e 1-ter». Secondo altre interpretazioni della norma, i requisiti previsti dai commi 1-bis e 1-ter sono invece da considerare alternativi - e non cumulativi - rispetto a quelli previsti dal comma 1. In tal senso si è espresso il Tribunale amministrativo regionale dell'Emilia Romagna (sentenze n. 2143 del 23 ottobre 2003 e n. 2332 del 5 novembre 2003). A tale interpretazione più ampia - secondo la quale il comma 1-bis introduce una ipotesi aggiuntiva rispetto a quella prevista dal comma 1, e il comma 1-ter si riferisce esclusivamente ai soggetti di cui al comma 1-bis - si è riferito anche il Consiglio di Stato nel parere n. 9986/04 dell'8 giugno 2005, emesso su richiesta del Ministero dell'interno e citato dal sottosegretario per l'interno Giampiero D'Alia nell'audizione presso la Commissione parlamentare per l'infanzia (8 novembre 2005). La Sezione I del Consiglio di Stato, nel parere citato, osserva infatti che della questione è stato già investito in sede giurisdizionale il Consiglio di Stato stesso, che si è espresso in materia con la decisione n. 1681 del 12 aprile 2005 della Sezione VI; secondo tale decisione il comma 1-bis «ha introdotto una ulteriore e distinta fattispecie in cui può essere rilasciato il permesso di soggiorno, senza incidere sui casi già ammessi dal precedente comma 1» e «i requisiti previsti dai due commi sono alternativi e non cumulativi».
[22] Nel periodo 1o febbraio 2003 - 23 giugno 2005 il Centro ha seguito complessivamente 1.008 minori (52 per cento di sesso maschile, 48 per cento femminile), compresi quelli che non sono transitati nella struttura ma hanno avuto contatti con le unità di strada. La stragrande maggioranza (84 per cento) era di nazionalità rumena, il 10 per cento bosniaca e il 3 per cento serba, mentre erano italiani lo 0,5 per cento; nella maggior parte dei casi si trattava di minori appartenenti a famiglie giunte in Italia da pochi mesi, che si trovavano in situazioni di irregolarità o clandestinità rispetto alle norme sull'immigrazione; vivevano in insediamenti spontanei e in situazioni di disagio socioeconomico. Le fasce d'età prevalenti sono state 13-15 anni (41,2 per cento) e 10-12 anni (27,9 per cento) e 16-18 anni (19,8 per cento); vi sono stati anche bambini di 7-9 anni (7,3 per cento), 4-6 anni (1,08 per cento) e 0-3 anni (2,71 per cento).
[23] Secondo quanto illustrato nella Relazione della Commissione alle Camere approvata il 29 luglio 2003.
[24] Fanno parte del Comitato scientifico: Ernesto Caffo, Luisa Capitanio Santolini, Don Fortunato Di Noto, Adelchi D’Ippolito, Salvatore Mazzamuto, Anna Passannante, Anna Scalfati.