XIV Legislatura - Dossier di documentazione
Autore: Servizio Studi - Dipartimento bilancio
Altri Autori: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: La sentenza della Corte costituzionale n. 417 del 2005 sulla illegittimità costituzionale dei vincoli specifici alle spese degli enti territoriali
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 125
Data: 16/11/05
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni
V-Bilancio, Tesoro e programmazione

Servizio studi

 

documentazione e ricerche

La sentenza della Corte costituzionale n. 417 del 2005 sulla illegittimità costituzionale dei vincoli specifici alle spese degli enti territoriali

 

n. 125

 


xiv legislatura

16 novembre 2005

 

Camera dei deputati


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il presente dossier è stato redatto con la collaborazione del Dipartimento Affari Costituzionali.

 

 

Dipartimento Bilancio e politica economica

 

SIWEB

 

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File: BI0918.doc

 


I N DI C E

 

La sentenza della Corte costituzionale n. 417 del 2005 sull’illegittimità costituzionale dei vincoli specifici alle spese degli enti territoriali

§      La sentenza della Corte Costituzionale n. 417 del 2005. 1

§      Eventuali effetti finanziari della sentenza. 2

§      Effetti della sentenza sulla legge finanziaria per il 2005. 3

§      Effetti della sentenza sul disegno di legge finanziaria per il 2006. 4

-       Le norme generali di contenimento della spesa. 4

-       Il patto di stabilità interno. 4

-       Le norme sulle indennità ed emolumenti degli amministratori degli enti territoriali e dei componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo e di organi collegiali5

-       Gli effetti sui saldi di finanza pubblica dell’eventuale illegittimità costituzionale  6

-       Le norme sulle limitazioni alle spese di personale. 6

Corte costituzionale

Sentenza 14 novembre 2005, n. 417. 9

Normativa di riferimento

§      Costituzione della Repubblica Italiana (artt. 117, 119)33

§      L. 11 marzo 1953, n. 87 Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale (art. 27)36

§      L. 27 dicembre 2002, n. 289 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003) (art. 34, comma 11)37

§      L. 24 dicembre 2003, n. 350 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004) (art. 3, comma 60)39

§      Sentenza Corte costituzionale n. 390/2004. 41

§      L. 30 dicembre 2004, n. 311 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005) (art. 1, commi 11-14, 42)53

§      D.L. 12 luglio 2004, n. 168 Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica (art. 1, commi 4-5 e 8-11, art. 3, comma 1)55

§      D.d.l. A.C. 6177 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006) (art. 1, commi 6-8, 30-48, 93-103, 132-140)58

 


La sentenza della Corte costituzionale n. 417 del 2005 sull’illegittimità costituzionale dei vincoli specifici
alle spese degli enti
territoriali

La sentenza della Corte Costituzionale n. 417 del 2005

La Corte costituzionale ha depositato in data 14 novembre 2005 la sentenza n. 417 del 2005, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 9, 10 e 11 del decreto-legge cd. “tagliaspese” (decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168[1]), nella parte in cui su riferisce alle Regioni e agli enti locali.

L’articolo 1, commi 9 e 10, prevede vincoli puntuali per il 2004 alle spese di tutte le pubbliche amministrazioni per studi e incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all'amministrazione, missioni all'estero, rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni.

L’articolo 1, comma 11, prevede, per l’anno 2004, limiti alla spesa per l’acquisto di beni e servizi delle regioni a statuto ordinario, delle province e dei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti.

 

La Corte ha infatti ritenuto che, conformemente alla precedente giurisprudenza costituzionale, le norme che fissano vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle regioni e degli enti locali non costituiscono princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e ledono pertanto l'autonomia finanziaria di spesa costituzionalmente garantita dall'articolo 119.

Il legislatore statale può infatti legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio (ancorché si traducano, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti), ma solo con disciplina di principio e per ragioni di coordinamento della finanza pubblica connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari. Tali vincoli devono avere ad oggetto l'entità del disavanzo di parte corrente oppure – ma solo «in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale» – la crescita della spesa corrente degli enti autonomi; la legge statale può dunque stabilire solo un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa»[2]; essa può prescrivere criteri ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica) ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi.

 

La Corte costituzionale ha altresì ritenuto non fondate ovvero inammissibili una ulteriore serie di questioni.

Si tratta, nel dettaglio:

a) delle censure proposte dalle Regioni in tema di procedure di acquisto di beni e servizi (art. 1, comma 4, D.L. n. 168/2004). La Corte ha ritenuto le questioni non fondate, in quanto alle norme denunciate va riconosciuta la natura di princípi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica;

b) della disposizione che prevede che, nell'àmbito dei sistemi di controllo di gestione degli enti locali, la struttura operativa alla quale è assegnata la funzione di controllo fornisce la conclusione di detto controllo, oltre che agli amministratori ed ai responsabili dei servizi, anche alla Corte dei conti (art. 1, comma 5, D.L. n. 168/2004). La Corte ha ritenuto tali questioni non fondate, considerando che un tale obbligo non è di per sé idoneo a pregiudicare l'autonomia delle regioni e degli enti locali, in quanto esso deve essere considerato «espressione di un coordinamento meramente informativo»;

c) della disposizione che definisce i diversi tipi di investimenti ai fini dell'art. 119, sesto comma, Cost (art. 3, comma 1, D.L. n. 168/2004). La Corte ha dichiarato tali questioni inammissibili, in quanto le ricorrenti non hanno provveduto a formulare specifici motivi di censura.

Eventuali effetti finanziari della sentenza

La sentenza della Corte non sembra comportare immediati effetti finanziari.

La sentenza si riferisce infatti a vincoli sulle spese relative al 2004 e riguarda dunque disposizioni che hanno esaurito i loro effetti.

Si presume del resto che gli enti territoriali abbiano comunque rispettato i suddetti vincoli, trattandosi – fino alla sentenza della Corte - di legislazione vigente.

 

Si ricorda comunque che la relazione tecnica allegata al decreto-legge n. 168/2004 stimava, in conseguenza dell’applicazione dei limiti alle spese per studi e consulenze, missioni all'estero, rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni (art. 1, commi 9 e 10) risparmi, in termini di indebitamento netto, di circa 100 milioni di euro, riferiti al complesso delle pubbliche amministrazioni. Non è possibile scomputare da detto importo i risparmi riferibili agli enti territoriali, che comunque risultano di assai modesta rilevanza nell’ambito complessivo del conto consolidato delle pubbliche amministrazioni.

Non è del resto neanche possibile una verifica dell’effettivo conseguimento dei suddetti risparmi.

La Corte dei Conti, in occasione della relazione sul rendiconto generale dello Stato per l’esercizio finanziario 2004, ha svolto una specifica analisi sugli effetti degli interventi di contenimento della spesa effettuati con il decreto-legge n. 168/2004, con riferimento alle amministrazioni statali. Per ciò che riguarda le spese per studi e consulenze, missioni all'estero, rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni, la Corte ha innanzitutto messo in evidenza la difficoltà di ricostruire l’insieme delle voci di spesa riconducibili a dette tipologie – difficoltà che dovrebbe essere ancora maggiore con riferimento agli enti territoriali – e ha poi rilevato come, con riferimento alle amministrazioni statali, gli obiettivi non sembrano essere stati conseguiti.

Per quanto riguarda invece i vincoli agli acquisti di beni e servizi, di cui all’articolo 1, comma 11, il Ministero dell’economia e delle finanze, in una nota del 12 luglio 2004, aveva precisato che detti vincoli miravano a permettere il raggiungimento degli obiettivi finanziari già prefissati, in relazione alla disciplina del Patto di stabilità interno, in sede di legge finanziaria. In base alle informazioni disponibili, gli obiettivi del patto di stabilità interno per l’anno 2004 risultano effettivamente conseguiti.

 

Effetti della sentenza sulla legge finanziaria per il 2005

La Corte costituzionale, nella sentenza n. 417/2005, non ha ritenuto di applicare l’articolo 27 della legge n. 87/53, che riconosce alla Corte il potere di dichiarare, quando accoglie una istanza o un ricorso relativo a questione di legittimità costituzionale di una legge, quali sono le altre disposizioni legislative, la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata.

Si rileva peraltro che il comma 11 dell’articolo unico della legge finanziaria per il 2005 (legge 30 dicembre 2004, n. 311) prevede una limitazione alle spese delle pubbliche amministrazioni, per gli anni 2005, 2006 e 2007, per studi e incarichi di consulenza, missioni all'estero, rappresentanza del tutto analoga a quella dell’articolo 1, commi 9 e 10, del decreto-legge n. 168/2004, dichiarati costituzionalmente illegittimi, nella parte in cui si riferiscono alle regioni e agli enti locali.

Il comma 12 prevede inoltre un limite alle spese delle pubbliche amministrazioni per le auto di servizio che presenta profili analoghi a quelli sanzionati dalla Corte con la recente sentenza.

Allo stesso modo si prospettano profili problematici con riferimento al comma 42, che reca una disposizione specifica per gli enti locali sulla procedura di affidamento da parte degli enti locali di incarichi di studio, ricerca o consulenza a soggetti estranei all’amministrazione del tutto analoga a quella prevista dall’articolo 1, comma 9, del decreto-legge n. 168/2004, dichiarato costituzionalmente illegittimo.

In base alla giurisprudenza, la pronuncia non può essere estesa da altri soggetti (quali giudici o amministrazioni) a disposizioni diverse da quelle dichiarate incostituzionali.

Ne deriva che le citate norme della legge finanziaria per il 2005 restano in vigore, fino ad un’eventuale ulteriore sentenza della Corte che ne dichiari specificamente l’illegittimità costituzionale.

Resta naturalmente possibile – ed anzi auspicabile - un intervento del legislatore volto a ridefinire il quadro normativo.

 

Effetti della sentenza sul disegno di legge finanziaria per il 2006

Il disegno di legge finanziaria per il 2006, nel testo approvato dal Senato, contiene alcune disposizioni che presentano gradi differenziati di analogia con quelle dichiarate costituzionalmente illegittime dalla sentenza n. 417 del 2005 della Corte costituzionale.

Le norme generali di contenimento della spesa

In particolare, i commi 6 e 7 dell’articolo 1 (art. 3, commi 2 e 3, del testo originario) recano disposizioni del tutto analoghe a quelle dell’art. 1, commi 8 e 9, del decreto-legge “tagliaspese”, prevedendo limitazioni alle spese di tutte le pubbliche amministrazioni per studi e incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all'amministrazione, per missioni all'estero, rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni.

Anche il comma 8 dell’articolo 1 (art. 3, comma 4, del testo originario) prevede una limitazione per tutte le pubbliche amministrazioni riferita ad una tipologia specifica di spesa, quella relativa alle auto di servizio.

I commi 42 e 43 (art. 13, commi 5 e 6) prevedono infine limiti specifici di spesa per le pubbliche amministrazioni riferiti a singoli incarichi di consulenza.

I commi 6, 7, 8, 42 e 43 dell’articolo 1, nella parte in cui si riferiscono alle regioni e agli enti locali, presentano gli stessi profili considerati costituzionalmente illegittimi dalla Corte.

Il patto di stabilità interno

Nell’ambito della disciplina del patto di stabilità interno, l’articolo 1, comma 101 (art. 22, comma 7, del testo originario) prevede che le citate disposizioni dei commi 6, 7 e 8 – che, si ripete, prevedono limiti alle spese per studi e incarichi di consulenza, missioni all'estero, rappresentanza e auto di servizio – al fine di realizzare le riduzioni di spesa in misura non inferiore a quelle ivi indicate, costituiscono obiettivi prioritari di contenimento della spesa pubblica nell’ambito dell’obiettivo generale individuato dal patto di stabilità interno per le regioni e gli enti locali.

Tale disposizione fa immediato rinvio a misure di dettaglio di natura prescrittiva e appare pertanto in contrasto con le indicazioni formulate dalla Corte a tutela dell’autonomia costituzionalmente garantita degli enti territoriali.

Discorso diverso vale invece per la disciplina generale del patto di stabilità interno - prevista dai commi da 93 a 103 (art. 22 del testo originario) - che non sembrerebbe presentare profili problematici.

Tale disciplina prevede infatti limitazioniriferite al complesso delle spese correnti ed al complesso delle spese di conto capitale degli enti territoriali. I commi 93 e 94 indicano i criteri di computo del complesso delle spese: è previsto tra l’altro che le spese per il personale sono escluse dal computo delle spese correnti.

Sembra trattarsi dunque di limiti di carattere generale, che possono essere considerati riconducibili a principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e, in quanto tali, rientranti nell’ambito della competenza legislativa statale.

Le norme sulle indennità ed emolumenti degli amministratori degli enti territoriali e dei componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo e di organi collegiali

La lettera c) del comma 40 (art. 13, comma 3 del testo originario) ed i successivi commi 44 e 45 (art. 13, commi 7 e 8 del testo originario) riducono l’ammontare delle utilità spettanti, rispettivamente, agli amministratori locali e regionali per la partecipazione ad organi collegiali ed ai componenti di “organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque denominati, presenti nelle pubbliche amministrazioni” e nelle società ed enti da queste controllate.

Alla luce delle precedenti considerazioni, tali disposizioni potrebbero presentare profili problematici sul piano costituzionale, nella parte in cui si riferiscono alle regioni e agli enti locali ed in quanto incidano sull’autonomia di spesa di tali enti.

Le disposizioni di cui al comma 40, lett. a) e b), prevedono, fra l’altro, la riduzione del 10 per cento delle indennità spettanti agli amministratori locali (presidenti e componenti degli esecutivi e dei consigli comunali, provinciali, circoscrizionali e delle comunità montane). Tali indennità, ai sensi dell’art. 82 del testo unico sugli enti locali (D.Lgs. 267/2000) non sono rimesse all’autonoma determinazione degli enti, ma sono fissate con regolamento ministeriale, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, secondo criteri stabiliti con atto legislativo statale (il medesimo art. 82). L’ente locale può sì incrementarli, ma entro limiti anch’essi stabiliti dallo Stato (art. 82, co. 11). In via generale, tali disposizioni potrebbero comunque ritenersi riconducibili alla materia “organi di governo […] di Comuni [e] Province”, di competenza esclusiva dello Stato ex art. 117, co. 2°, lett. p), Cost..

Con riferimento al medesimo comma 40, lett. a) e b), si richiama l’attenzione sulla parte che incide sulle indennità spettanti ai presidenti delle Regioni e ai membri delle giunte e dei consigli regionali: la determinazione di tali indennità è infatti demandata all’autonomia statutaria delle Regioni, che provvedono con legge regionale.

Gli effetti sui saldi di finanza pubblica dell’eventuale illegittimità costituzionale

Le disposizioni che presentano i profili problematici sopra richiamati non sembrano avere rilevanza sul piano dei saldi di finanza pubblica per il 2006.

Le disposizioni dei commi 6, 7 e 8, in base alle stime della relazione tecnica, dovrebbero comportare, con riferimento al complesso delle pubbliche amministrazioni, risparmi per 100 milioni di euro. Tale importo non dovrebbe peraltro includere i risparmi imputabili agli enti locali: il prospetto riepilogativo degli effetti finanziari allegato al disegno di legge finanziaria lo considera infatti interamente riferibile al saldo netto da finanziare, che riguarda solo il bilancio dello Stato. Anche sulla base della formulazione del comma 101, i risparmi derivanti dai limiti previsti per gli enti territoriali alle spese per studi e incarichi di consulenza, missioni all'estero, rappresentanza e auto di servizio dovrebbero essere infatti computati nell’ambito complessivo dei risparmi derivanti dal patto di stabilità interno.

Gli eventuali risparmi derivanti dei commi da 40 a 45 non sono invece presi in considerazione ai fini dei saldi di finanza pubblica; essi sono comunque destinati al Fondo nazionale per le politiche sociali, ai sensi del comma 48.

Le norme sulle limitazioni alle spese di personale

I commi 132 e 133 (art. 30, commi 1 e 2, del testo originario) prevedono limitazioni per le spese di personale degli enti territoriali.

In particolare, viene disposto che le spese di personale non devono superare, per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008 il corrispondente ammontare dell’anno 2004 diminuito dell’1 per cento. Sono poi indicati i criteri per il computo delle spese di personale.

Il comma 140 prevede espressamente che le citate disposizioni costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione.

Si ricorda che la materia delle limitazioni alle spese di personale degli enti territoriali è stata oggetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 390 del 17 dicembre 2004, con riferimento alle disposizioni contenute dalle leggi finanziarie per il 2003 e per il 2004(art. 34, comma 11, della legge n. 289/2002 e art. 3, comma 60, della legge n. 350/2003)

Le valutazioni della Corte espresse in quella sede non appaiono peraltro immediatamente riferibili alle disposizioni dell’attuale disegno di legge finanziaria, che prevedono limiti di natura diversa.

Le disposizioni delle leggi finanziarie per il 2003 ed il 2004 sono state ritenute costituzionalmente legittime, in quanto principi generali di coordinamento della finanza pubblica, nella parte in cui dispongono che, ai fini del concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, previo accordo tra Governo, regioni e autonomie locali da concludere in sede di Conferenza unificata, sono fissati per gli enti territoriali criteri e limiti per le assunzioni a tempo indeterminato per l’anno successivo; fino all’emanazione dei decreti è fatto divieto ai citati enti di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato.

Le citate disposizioni prevedevano peraltro una limitazione ulteriore e più stringente alle assunzioni da parte delle Regioni e degli altri enti, dichiarata costituzionalmente illegittima: era infatti previsto che le assunzioni dovessero comunque essere contenute entro limiti numerici ben precisi (percentuali non superiori al 50 per cento delle cessazioni dal servizio verificatesi nel corso dell’anno precedente). La Corte ha rilevato come tale previsione imponesse un precetto specifico e puntuale, che, in quanto tale, si risolveva in una indebita invasione, da parte della legge statale, dell’area (organizzazione della propria struttura amministrativa) riservata alle autonomie regionali e degli enti locali. Con riferimento a tali autonomie, la legge statale può prescrivere criteri (ad esempio, privilegiare il ricorso alle procedure di mobilità) ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica), ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi.

 

Non sembrano invece presentare profili problematici le disposizioni dei commi 134 e 135 (art. 30, commi 3 e 4, del testo originario) che indicano i criteri e le disposizioni ai quali le regioni e gli enti locali possono attenersi per il raggiungimento degli obiettivi di contenimento delle spese di personale. Trattandosi di norme facoltizzanti, i citati commi non sembrano ledere l’autonomia costituzionalmente garantita degli enti territoriali.


Corte costituzionale
Sentenza 14 novembre 2005, n.
417


Corte costituzionale
Sentenza 14 novembre 2005, n. 417

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

-AnnibaleMARINI  Presidente

-Giovanni MariaFLICK     Giudice

-FrancescoAMIRANTE        “

-UgoDE SIERVO                “

-RomanoVACCARELLA      “

-PaoloMADDALENA           “

-AlfioFINOCCHIARO            “

-AlfonsoQUARANTA           “

-FrancoGALLO                   “

-LuigiMAZZELLA                 “

-GaetanoSILVESTRI           “

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 4, 5, 9, 10 e 11, e dell'art. 3, comma 1, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168 (Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, promossi con ricorsi della Regione Campania (registro ricorsi nn. 89 e 93 del 2004), della Regione Toscana (registro ricorsi n. 91 del 2004), della Regione autonoma Valle d'Aosta (registro ricorsi n. 94 del 2004) e della Regione Marche (registro ricorsi n. 96 del 2004), notificati il 10, il 28, il 22, il 28 ed il 28 settembre 2004, depositati in cancelleria il 17 settembre, il 2 ottobre, il 30 settembre, il 5 e il 7 ottobre 2004 ed iscritti ai nn. 89, 93, 91, 94 e 96 del registro ricorsi 2004.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

uditonell'udienza pubblica dell'11 ottobre 2005 il Giudice relatore Franco Gallo;

uditi gli avvocati Vincenzo Cocozza per la Regione Campania, Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana, Giuseppe Franco Ferrari per la Regione autonoma Valle d'Aosta, Stefano Grassi per la Regione Marche e l'avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri

 

Ritenuto in fatto

 

1. – Con ricorso notificato il 10 settembre 2004 (n. 89 del 2004) e depositato il 17 successivo, la Regione Campania ha promosso questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 5, 9, 10, 11, e dell'art. 3, comma 1, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168 (Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica), per la violazione degli articoli 3, 100, 114, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché dell'art. 9 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), e del principio di leale collaborazione.

La Regione prospetta tre motivi di censura.

Con il primo si lamenta che i commi 9, 10 e 11 dell'art. 1 del decreto-legge n. 168 del 2004, non limitandosi ad individuare criteri direttivi o limiti massimi di spesa, ma specificando ed elencando le tipologie delle spese che gli enti territoriali devono contenere nell'ambito di previste percentuali, violano l'autonomia finanziaria di bilancio e di spesa garantita dall'art. 119 e dall'art. 117, terzo comma, Cost. Secondo la Regione, in particolare, dovrebbe spettare allo Stato la sola competenza legislativa concorrente, limitata alla fissazione dei princípi fondamentali in materia di «armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», restando esclusa da tale competenza l'individuazione di «puntuali modalità di contenimento della spesa». Una tale previsione di dettaglio non sarebbe giustificabile neanche sotto il profilo del generale contenimento della spesa pubblica per l'attuazione degli obblighi comunitari, perché tale contenimento si potrebbe realizzare con la semplice fissazione delle percentuali generali di risparmio. Sempre secondo la Regione, i commi 9, 10 e 11 impugnati inciderebbero negativamente anche sulla sua competenza in tema di organizzazione amministrativa e sulla sua competenza legislativa ex art. 117, terzo e quarto comma, Cost. Per la ricorrente, infatti, la lesione della sfera di autonomia si verificherebbe non solo attraverso interventi diretti di disciplina del settore di competenza, ma anche attraverso la sottrazione o limitazione delle risorse finanziarie essenziali. Sotto il profilo della dedotta violazione del principio di leale collaborazione, infine, la Regione lamenta che lo Stato non ha «effettuato le scelte attraverso una intesa con le regioni, affinché queste contribuissero a far emergere, in base alle differenti esigenze e problematiche locali, tutto quanto utile e necessario per operare il contenimento della spesa».

Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione degli articoli 100, 114, 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., dell'art. 9 della legge costituzionale n. 3 del 2001 e del principio di leale collaborazione, da parte del comma 5 dell'art. 1 del decreto-legge citato. Tale comma, insieme con alcuni periodi dei successivi commi 9, 10, 11, introdurrebbe una illegittima disciplina del controllo degli atti della Regione e degli enti locali. Secondo la Regione, la materia dei controlli sarebbe estranea alla competenza statale, essendo riservata alla potestà legislativa regionale ed a quella regolamentare degli enti locali, come confermato dalla struttura del nuovo impianto costituzionale, successivo alla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, con l'eliminazione, ad opera dell'art. 9 della legge costituzionale n. 3 del 2001, dei controlli di legittimità e di merito sugli atti delle Regioni e degli enti locali, precedentemente previsti dagli abrogati articoli 125, primo comma, e 130 Cost. Un ulteriore profilo di illegittimità delle norme censurate consisterebbe nella loro irragionevolezza, determinata dall'“interferenza” che esse creano tra controllo di gestione e accertamenti della Corte dei conti. Tale “interferenza” sarebbe idonea, secondo la Regione, «ad alterare la effettività e l'efficacia del controllo di gestione stesso».

La ricorrente deduce, con il terzo motivo, la violazione degli articoli 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., nonché la violazione del principio di leale collaborazione da parte dell'art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, il quale modifica, confermandone l'impostazione di fondo, l'art. 3 della legge n. 350 del 2003, già impugnato dalla stessa Regione in altro procedimento. Infatti, sempre a detta della Regione, la normativa censurata ribadirebbe, in violazione dell'art. 119 Cost., la preesistente e già contestata individuazione unilaterale, da parte dello Stato, di concetti dotati di rilevanza costituzionale, quali quelli di “indebitamento” e “investimento”, e non si inserirebbe in un'organica disciplina del sistema finanziario regionale tale da garantire un reale autofinanziamento in attuazione del citato art. 119 Cost. La Regione evidenzia, infatti, che la previsione di cui al sesto comma dello stesso art. 119, secondo la quale le Regioni «possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento», costituisce parte integrante del nuovo sistema della finanza pubblica, che non ha ancora trovato attuazione. La Regione lamenta anche la violazione dell'art. 117 Cost., perché la disciplina censurata, ove pure rientrasse nella materia di competenza legislativa concorrente della «armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», non presenterebbe «le caratteristiche di princìpi fondamentali alla cui fissazione si dovrebbe limitare la legge statale». La Regione lamenta, infine, quale violazione del principio di leale collaborazione, il fatto che la disciplina statale sarebbe stata posta in essere senza la partecipazione degli enti locali.

 

2. – Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza delle questioni prospettate nel ricorso, «salva eventuale non procedibilità del terzo motivo di esso».

Sostiene preliminarmente l'Avvocatura che le modifiche apportate dalla legge di conversione al decreto-legge n. 168 del 2004 sono da considerarsi nel complesso scarsamente rilevanti, con l'esclusione di quella del comma 11 dell'art. 1.

Con riferimento al primo motivo del ricorso, l'Avvocatura deduce che il taglio della spesa pubblica di Regioni ed enti locali sarebbe stato disposto dalla legislazione statale – «nel contesto di una complessa manovra – per ottemperare a pressanti richieste di immediato e rapido riequilibrio dei conti pubblici della Repubblica italiana (nel suo complesso) avanzate dall'Unione europea». In tale quadro, e anche in conseguenza dell'introduzione della moneta unica europea, la normativa impugnata dovrebbe essere ricondotta in prevalenza alle materie, di competenza legislativa esclusiva statale, dei “rapporti dello Stato con l'Unione europea” e della “moneta […] e mercati finanziari” (art. 117, secondo comma, lettere a ed e, Cost.). A detta dell'Avvocatura, comunque, l'individuazione, con la normativa impugnata, delle voci di spesa sulle quali operare i tagli sarebbe rispettosa dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali «posto che più inibente sarebbe stata l'alternativa della fissazione di una percentuale unica di risparmio da applicarsi sull'insieme delle voci di spesa». Sotto altro profilo, l'intesa con le Regioni nell'ambito del procedimento normativo – la cui mancanza è oggetto di specifica doglianza della ricorrente – sarebbe poi priva di fondamento costituzionale e comunque incompatibile con la necessità di un rapido intervento di disciplina della materia.

Con riferimento al secondo motivo del ricorso, l'Avvocatura sostiene che le comunicazioni agli organi di vigilanza e controllo disposte dall'art. 1, commi 5, 9 e 10, del decreto-legge n. 168 del 2004 non sono in contrasto con la Costituzione, trattandosi di comunicazioni aventi per destinatari organi già esistenti e interni a ciascun ente. Il collegamento tra tali organi e la Corte dei conti in sede di controllo di gestione sarebbe in ogni caso già previsto dall'art. 7, commi 2 e 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), dall'art. 3, commi da 4 a 8, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti) e dal decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286 (Riordino e potenziamento dei meccanismi di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59).

 

3. – Con ricorso notificato il 28 settembre 2004 (n. 93 del 2004) e depositato il 2 ottobre successivo, la Regione Campania ha promosso questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 5, 9, 10, 11, e dell'art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, per la violazione degli articoli 3, 100, 114, 117, 118 e 119 della Costituzione, dell'art. 9 della legge costituzionale n. 3 del 2001 e del principio di leale collaborazione.

La Regione propone le censure già prospettate con il ricorso n. 89 del 2004, evidenziando come in sede di conversione sia stato sostanzialmente confermato l'impianto complessivo del decreto-legge citato, con alcune marginali modifiche a singole disposizioni e, in particolare, con l'aggiunta, al comma 11 dell'art. 1, della previsione secondo cui la riduzione di spesa del 10% non si applica «per le regioni e gli enti locali che hanno rispettato, nell'anno 2003 e sino al 30 giugno 2004, gli obiettivi previsti relativamente al patto di stabilità interno» per le spese impegnate.

 

4. – Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ribadendo le argomentazioni e le conclusioni già esposte nella memoria di costituzione con riferimento al ricorso n. 89 del 2004.

 

5. – Con ricorso notificato il 22 settembre 2004 (n. 91 del 2004) e depositato il 30 successivo, la Regione Toscana, su proposta del Consiglio della autonomie locali, ha promosso questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 11, del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 191 del 2004, per la violazione degli articoli 114, 117, 118 e 119, «anche in relazione agli articoli 3 e 97 della Costituzione».

La Regione deduce che la norma censurata pone, al di fuori di una riforma organica e strutturale, un nuovo limite di spesa, così violando l'autonomia costituzionalmente garantita alle Regioni e agli enti locali. Al riguardo, sostiene di essere legittimata a ricorrere a tutela dell'autonomia degli enti locali, perché, in base al sistema creato dal nuovo art. 118 Cost., essa potrebbe allocare funzioni amministrative a questi ultimi e, inoltre, la sua autonomia sarebbe condizionata dalla loro efficienza.

La Regione prospetta tre motivi di censura.

Con il primo motivo, lamenta che la norma denunciata disciplina «in modo dettagliato ed autoapplicativo, le categorie di spesa sulle quali gli enti devono operare» nella materia del «coordinamento della finanza pubblica», nella quale spetterebbe invece allo Stato la sola determinazione dei princìpi fondamentali. Né, a detta della Regione, si potrebbe ricondurre la disciplina contenuta nel comma in questione alla materia «legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane», di potestà legislativa esclusiva statale, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. Un ulteriore profilo di contrasto con gli articoli 117 e 118 Cost. sarebbe rappresentato, infine, dal fatto che la fissazione di limiti di spesa per gli enti locali renderebbe ad essi concretamente impossibile l'esercizio delle funzioni allocate dalla Regione.

Con il secondo motivo, la Regione si duole che la norma censurata, in violazione degli articoli 114 e 119 Cost., non si limita a porre obiettivi finanziari di contenimento della spesa pubblica, ma individua, invece, le specifiche categorie di spesa sulle quali gli enti devono operare, «senza possibilità di effettuare diverse ed autonome scelte all'interno dei propri bilanci e senza poter tener conto delle funzioni – proprie, fondamentali o altrimenti attribuite – cui dette spese sono correlate». Ad avviso della ricorrente, una tale previsione, oltre a ledere l'autonomia finanziaria regionale, si porrebbe anche in contrasto, con l'art. 114, primo e secondo comma, Cost., che sancisce l'equiordinazione dei diversi enti che compongono la Repubblica, perché attraverso la fissazione di specifici vincoli di spesa non consentirebbe «agli enti territoriali il regolare svolgimento delle azioni programmate».

Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta che la norma impugnata, adottata con decreto-legge del luglio 2004, imporrebbe alle regioni e agli enti locali di applicare il nuovo limite di spesa già nel 2004, non tenendo conto della programmazione economica impostata per l'anno in corso, e violando così l'autonomia politica e finanziaria di regioni ed enti locali, anche in relazione al principio di buon andamento della pubblica amministrazione. La fissazione di parametri uguali per tutti i destinatari determinerebbe altresì una violazione del principio di ragionevolezza, sia per l'eccessiva rigidità dei vincoli posti, in relazione alle diversità delle realtà locali, sia perché si terrebbe conto non dell'entità del bilancio o delle quote non ancora impegnate, ma della media della spesa pregressa. Inoltre, la norma impugnata fisserebbe arbitrariamente come parametro temporale per valutare il rispetto del patto di stabilità interno la data intermedia del 30 giugno 2004. Sotto altro profilo, la ricorrente lamenta che la norma censurata consentirebbe, in violazione dell'art. 97 Cost., di superare, in casi eccezionali, il limite di spesa del 10% solo per le missioni all'estero, le spese di rappresentanza, le relazioni pubbliche ed i convegni, ma non anche per altre categorie di spesa che potrebbero essere più attinenti agli obiettivi da perseguire attraverso l'azione amministrativa.

 

6. – Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità o l'infondatezza delle questioni prospettate nel ricorso.

L'Avvocatura premette che l'interesse al ricorso va riferito agli enti locali e non alla Regione e che in ogni caso la norma impugnata ha avuto un ambito di applicazione di soli cinque mesi, legato ad esigenze non strutturali di necessità e urgenza.

Nel merito, l'Avvocatura sostiene che il taglio della spesa pubblica di Regioni ed enti locali sarebbe stato disposto dalla legislazione statale –nel contesto di una complessa manovra – «per ottemperare a pressanti richieste di immediato e rapido riequilibrio dei conti pubblici della Repubblica italiana (nel suo complesso) avanzate dall'Unione europea».

In relazione al primo motivo del ricorso, la difesa erariale in primo luogo sostiene che la normativa impugnata dovrebbe essere ricondotta, contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione, alle materie, di competenza legislativa esclusiva statale, dei “rapporti dello Stato con l'Unione europea” e della “moneta […] e mercati finanziari” (art. 117, secondo comma, lettere a ed e, Cost.); in secondo luogo, osserva che «la fissazione di limiti differenziati “ente per ente” sarebbe incompatibile con la natura generale e di principio» che i limiti stessi dovrebbero avere a detta della Regione.

In relazione al secondo motivo del ricorso, l'Avvocatura rileva che la scelta delle categorie di spesa sulle quali operare i tagli sarebbe conseguente all'impossibilità di comprimere le spese fisse (quali interessi, stipendi, canoni).

In relazione al terzo motivo, la difesa erariale replica che sul piano costituzionale non esisterebbe alcuna limitazione né per le manovre finanziarie che operino, come quella di cui alla normativa impugnata, in corso di esercizio, né per le eventuali eccezioni ai prefissati limiti di spesa.

 

7. – Con ricorso notificato il 28 settembre 2004 (n. 94 del 2004) e depositato il 5 ottobre successivo, la Regione autonoma Valle d'Aosta ha proposto questione di legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 4, e 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 191 del 2004.

La Regione autonoma propone quattro motivi di censura.

Con il primo motivo, deduce l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 4, del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 191 del 2004, per violazione dell'art. 2, primo comma, lettere a) e b), e 4 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d'Aosta), e per violazione degli articoli 117, terzo e quarto comma, e 119, primo comma, Cost.

Secondo la ricorrente, la norma denunciata, la quale modifica l'art. 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2000), inciderebbe con previsioni di dettaglio sulle procedure di acquisto di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni, perché imporrebbe la scelta obbligata tra le convenzioni di cui all'art. 26, comma 1, della citata legge n. 488 del 1999 e l'assunzione dei parametri di prezzo-qualità in esse convenuti come limiti massimi per l'acquisto di beni e servizi comparabili oggetto delle stesse e perché imporrebbe, altresì, una disciplina dell'organizzazione dei controlli interni agli enti territoriali. Sul piano dei parametri statutari, la norma censurata violerebbe, pertanto, la potestà legislativa regionale nelle materie dell' «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla regione» e dell'«ordinamento degli enti locali» e interferirebbe con l'esercizio delle corrispondenti funzioni amministrative. Più in generale, la norma impugnata limiterebbe l'autonomia di spesa della Regione autonoma, tutelata anche a norma dell'art. 119, primo comma, Cost., e violerebbe l'art. 117, quarto comma, Cost., incidendo sulla materia degli appalti pubblici di servizi e forniture, da ritenersi attribuita alla potestà legislativa residuale delle Regioni, in quanto riconducibile al sistema contabile regionale. La competenza legislativa sarebbe cioè dello Stato per quanto concerne la contabilità, l'ordinamento e l'organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali; sarebbe invece regionale, per quanto concerne la contabilità, l'ordinamento e l'organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici dipendenti dalla Regione, «oltre che, in linea di principio, degli altri enti pubblici non nazionali». Tale ripartizione sarebbe desumibile, a contrario, dall'attribuzione alla competenza esclusiva dello Stato della materia del solo «sistema contabile dello Stato» (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.) e dall'omesso riferimento dell'art. 117 Cost. alla materia dell'ordinamento amministrativo. Sempre secondo la Regione autonoma, anche in base alla giurisprudenza di questa Corte, la disciplina degli acquisti di beni e servizi non potrebbe essere in ogni caso ricondotta all'ambito dei princípi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica, né alla materia della tutela della concorrenza, né infine alla materia dell'ordinamento civile. In conclusione, la ricorrente osserva che, per la parte in cui la disciplina denunciata «dovesse essere ritenuta espressiva di princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, risulterebbe comunque lesiva della sfera di attribuzioni definita dall'art. 2, comma 1, lettere a) e b), dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta, […] che non prevede il limite dei princìpi fondamentali nelle materie assegnate alla potestà legislativa primaria della regione, né, dopo la revisione del Titolo V Cost., in virtù dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, il limite delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali».

La Regione autonoma deduce, quale secondo motivo di censura, l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 191 del 2004, per violazione degli articoli 2, primo comma, lettera a), e 3, primo comma, lettera f), dello statuto speciale e delle norme di attuazione di cui all'art. 11 della legge 26 novembre 1981, n. 690 (Revisione dell'ordinamento finanziario della regione Valle d'Aosta), e agli articoli 2 e 6 del decreto legislativo 28 dicembre 1989, n. 431 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Valle d'Aosta in materia di finanze regionali e comunali).

Espone la ricorrente che l'art. 3, comma 1, de quo contiene disposizioni di dettaglio dirette a regolare la materia dell'indebitamento delle Regioni, modificando e integrando unilateralmente l'ordinamento finanziario della Regione Valle d'Aosta. Tale disposizione prevede, in particolare, che all'articolo 3 della legge n. 350 del 2003, dopo il comma 21, è inserito il comma 21-bis, a norma del quale, «in deroga a quanto stabilito dal comma 18, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano possono ricorrere all'indebitamento per finanziare contributi agli investimenti a privati» entro i limiti ivi indicati. La Regione autonoma ritiene che la normativa in questione, «quantunque apparentemente preordinata a prevedere, solo per le regioni e le province autonome, ipotesi del ricorso all'indebitamento ulteriori rispetto a quelle consentite (anche agli enti locali ed agli altri enti menzionati al comma 16) dal richiamato comma 18», sia in effetti limitativa della sua autonomia finanziaria, perché volta a disciplinare le modalità del ricorso all'indebitamento per finanziamenti a privati nelle due ipotesi, temporalmente limitate, contemplate al citato comma 21-bis: «a) impegni assunti al 31 dicembre 2003, al netto di quelli già coperti con maggiori entrate o minori spese, derivanti da obbligazioni giuridicamente perfezionate, finanziati con ricorso all'indebitamento e risultanti da apposito prospetto da allegare alla legge di assestamento del bilancio 2004; b) impegni assunti nel corso dell'anno 2004, derivanti da obbligazioni giuridicamente perfezionate e risultanti dalla elencazione effettuata nei prospetti dei mutui autorizzati alla data di approvazione della legge di bilancio per l'anno 2004, con esclusione di qualsiasi variazione in aumento che dovesse essere apportata successivamente». La ricorrente lamenta inoltre che la norma censurata avrebbe illegittimamente introdotto, con l'aggiunta del comma 21-ter all'art. 3 della legge n. 350 del 2003, un controllo sulla Regione affidato all'istituto che finanzia i contributi agli investimenti a privati. Si tratterebbe, ad avviso della ricorrente, di una invasione della sua sfera di attribuzioni, «come definite, in particolare, dall'art. 2, lettera a), dello statuto speciale, che attribuisce alla Regione Valle d'Aosta potestà legislativa primaria in materia di ordinamento – anche contabile, evidentemente – degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione, nonché dall'art. 3, lettera f), che attribuisce alla Regione una potestà legislativa in materia di finanze regionali, che non può risultare meno ampia rispetto a quella spettante alle regioni ordinarie a norma degli articoli 117 e 119 Cost., applicabili alla Regione Valle d'Aosta nei termini di cui all'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001». Secondo la stessa ricorrente, inoltre, le norme censurate violerebbero anche le disposizioni di attuazione statutaria di cui all'art. 11 della legge n. 690 del 1981, il quale al primo comma stabilisce che «la Regione Valle d'Aosta può assumere mutui ed emettere obbligazioni, per un importo annuale non superiore alle entrate ordinarie, esclusivamente al fine di provvedere a spese di investimento, nonché al fine di assumere partecipazioni in società finanziarie regionali alle quali partecipino anche altri enti pubblici ed il cui oggetto rientri nelle materie di cui agli articoli 2 e 3 dello statuto speciale od in quelle delegate ai sensi dell'articolo 4 dello statuto stesso»; esse violerebbero, inoltre, l'art. 2 del decreto legislativo n. 431 del 1989, che richiama il citato art. 11, stabilendo che «la Cassa depositi e prestiti, la Direzione generale degli istituti di previdenza amministrati dal Ministero del tesoro e l'Istituto per il credito sportivo possono concedere mutui alla regione per il finanziamento delle spese di cui all'articolo 11 della legge 26 novembre 1981, numero 690». Sussisterebbe anche la violazione del disposto dell'art. 6, comma 1, del citato decreto legislativo n. 431 del 1989, in forza del quale, ad avviso della Regione autonoma, lo Stato potrebbe intervenire, in materia di «finanze regionali e comunali», solamente con disposizioni di principio e non con disposizioni di dettaglio. Più in generale, la previsione del censurato art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 1994 non potrebbe essere ricondotta alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela del risparmio e mercati finanziari, perché, in forza dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, il nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione non potrebbe limitare le prerogative derivanti per le Regioni a statuto speciale dal quadro statutario e dalle norme di attuazione.

La ricorrente deduce, quale terzo motivo di censura, l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 191 del 2004, per violazione degli articoli 1 del decreto legislativo 22 aprile 1994, n. 320 (Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Valle d'Aosta) e 48-bis dello statuto speciale: la normativa denunciata avrebbe disciplinato una materia oggetto di norme di attuazione statutaria senza seguire il particolare procedimento per l'approvazione e la modifica delle norme di attuazione, previsto e regolato dall'art. 48-bis e dall' art. 1 del decreto legislativo n. 320 del 1994.

Sempre in relazione all'art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito dalla legge n. 191 del 2004, la Regione autonoma deduce, quale quarto motivo di censura, la violazione degli articoli 2, primo comma, lettera b), e 3, primo comma, lettera f), dello statuto speciale e la violazione delle norme di attuazione di cui all'art. 11 della legge n. 690 del 1981 e all'art. 6 del decreto legislativo n. 431 del 1989, con particolare riferimento all'autonomia finanziaria degli enti locali.

La ricorrente lamenta che la disciplina censurata fisserebbe, senza le deroghe previste per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome, limiti all'indebitamento degli enti locali, violando così anche l'art. 2, primo comma, lettera b), dello statuto speciale, che attribuisce alla Regione potestà legislativa primaria in materia di ordinamento degli enti locali, e la disposizione di attuazione statutaria di cui all'art. 6, comma 1, del decreto legislativo n. 431 del 1989, a norma del quale «spetta alla regione emanare norme in materia di bilanci, di rendiconti, di amministrazione del patrimonio e di contratti degli enti locali della Valle d'Aosta e delle loro aziende, nel rispetto dei princìpi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato in materia di contabilità degli enti locali, nonché delle disposizioni relative alla normalizzazione e al coordinamento dei conti pubblici di cui al titolo IV della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, e al decreto del Presidente della Repubblica 19 giugno 1979, n. 421». Sotto tale aspetto, l'illegittimità costituzionale della normativa denunciata consisterebbe nella sua ingerenza nel settore della finanza locale, già disciplinato dalla legislazione regionale in conformità allo statuto speciale e alle relative norme di attuazione. La Regione autonoma richiama a tale proposito la legge regionale 16 dicembre 1997, n. 40, recante «Norme in materia di contabilità e di controlli sugli atti degli enti locali. Modificazioni alla legge regionale 20 novembre 1995, n. 48 (Interventi regionali in materia di finanza locale) e alla legge regionale 23 agosto 1993, n. 73 (Disciplina dei controlli sugli atti degli enti locali)», e l'art. 44 del regolamento 3 febbraio 1999, n. 1 (Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali della Valle d'Aosta), in tema di indebitamento da parte degli enti locali.

 

8. – Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza delle questioni prospettate nel ricorso.

Le argomentazioni della difesa erariale si concentrano sul primo motivo di ricorso, relativo all'estensione alla Regione autonoma Valle d'Aosta dell'ambito di applicazione dell'art. 26, comma 3, della legge n. 488 del 1999.

Ad avviso dell'Avvocatura, la norma in questione porrebbe alle amministrazioni due alternative per ottenere la fornitura di beni e servizi: ricorrere alle convenzioni disciplinate dal comma 1 dell'art. 26 citato, o utilizzare i parametri di prezzo-qualità previsti da tali convenzioni come limiti massimi. Non sussisterebbe, pertanto, alcuna violazione dell'autonomia regionale, in quanto la prima alternativa sarebbe facoltativa; mentre la seconda lascerebbe intatta la possibilità di scegliere i contraenti, seppure con i limiti di spesa stabiliti per evitare sprechi di risorse pubbliche.

L'Avvocatura contesta poi la ricostruzione sistematica proposta dalla controparte, secondo cui la normativa denunciata sarebbe riconducibile alla materia dell'ordinamento degli uffici regionali e locali, in quanto tale ambito materiale dovrebbe ritenersi limitato alle regole di organizzazione.

La difesa erariale osserva, in conclusione, che la normativa impugnata dovrebbe essere ricondotta, contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione, alle materie, di competenza legislativa esclusiva statale, dei “rapporti dello Stato con l'Unione europea” e della “moneta […] e mercati finanziari”.

 

9. – Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei ministri il 28 settembre 2004 (n. 96 del 2004) e depositato il 7 ottobre successivo, la Regione Marche ha promosso questione di legittimità costituzionale degli articoli 1, commi 9, 10 e 11, e 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, per la violazione degli articoli 3, 117, terzo comma, e 119 Cost.

La Regione propone due motivi di censura.

Con il primo motivo, deduce l'illegittimità costituzionale dei commi 9, 10, 11 dell'art. 1, del citato decreto-legge, lamentando che essi prevedrebbero, in violazione dell'autonomia finanziaria sancita dall'art. 119 Cost., un'esaustiva disciplina di limitazione di specifiche categorie di spesa di Regioni ed enti locali. Ad avviso della ricorrente, il legislatore statale, con tali disposizioni vincolanti e dettagliate, violerebbe anche il riparto di competenze di cui all'art. 117, terzo comma Cost., dal momento che spetterebbe allo Stato, in sede di legislazione concorrente, la sola determinazione dei princìpi fondamentali in materia di “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”. In particolare, il comma 9 dell'art. 1 sarebbe illegittimo per la parte in cui vincola Regioni ed enti locali in relazione alle spese «per studi ed incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all'amministrazione»; il comma 10 sarebbe in contrasto con il citato art. 119, perché comprimerebbe ulteriormente l'autonomia finanziaria degli enti, consentendo – in casi eccezionali e con un particolare procedimento – il superamento dei limiti di spesa solo per le missioni all'estero, le spese di rappresentanza, le relazioni pubbliche ed i convegni (che per la circolare n. 31 del 3 agosto 2004 del Ministero dell'economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, «sono da considerare quali spese per funzionamento per consumi intermedi (SEC '95 – classificazione economica dei capitoli di spesa – allegato 2)»), ma non per altre categorie attinenti agli obiettivi strategici degli enti. La ricorrente lamenta, inoltre, che i denunciati commi 9, 10, 11 si riferiscono all'esercizio finanziario dell'anno 2004, senza tenere conto della natura e della struttura delle entrate dei singoli enti e incidendo sulla programmazione in atto. Con riferimento poi al solo comma 11, la ricorrente si duole del fatto che esso imporrebbe una riduzione della spesa, privando gli enti territoriali di un autonomo spazio decisionale e applicando il parametro rigido del 10% a tutti gli enti indiscriminatamente, senza tenere conto delle loro effettive disponibilità finanziarie né dell'andamento delle entrate e delle spese, in violazione dell'art. 3 Cost. Un'analoga violazione dell'art. 3 Cost., deriverebbe, infine, dal vincolo previsto dall'ultimo periodo del comma 11, introdotto in sede di conversione («per le regioni e gli enti locali che hanno rispettato, nell'anno 2003 e fino al 30 giugno 2004, gli obiettivi previsti relativamente al Patto di stabilità interno, la riduzione del 10 per cento non si applica con riferimento alle spese che siano già state impegnate alla data di entrata in vigore del presente decreto»), che si aggiungerebbe a quelli previsti dal patto di stabilità interno, comportando una doppia penalizzazione a carico degli enti più virtuosi.

La Regione deduce come secondo motivo di censura l'illegittimità dell'art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, per violazione degli articoli 117, terzo comma, e 119 Cost., in quanto detta norma, pur ammettendo l'indebitamento per finanziare contributi agli investimenti a privati, concederebbe la facoltà di ricorrervi in via transitoria e subordinatamente a condizioni precise e dettagliate.

Secondo la Regione, sotto l'aspetto definitorio, l'art. 119, ultimo comma, Cost., nel porre l'obbligo di ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento, avrebbe fatto riferimento al concetto generale di spese di investimento presente nell'ordinamento della contabilità dello Stato, intendendole come le «spese in conto capitale (o di investimento)» di cui all'art. 3, comma 2, della legge 1° marzo 1964, n. 62 (Modificazioni al regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, per quanto concerne il bilancio dello Stato, e norme relative ai bilanci degli Enti pubblici); la parte in conto capitale – come precisato dall'art. 6, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468 (Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio) – comprenderebbe poi le partite attinenti agli investimenti «diretti» ed «indiretti».

Ad avviso della ricorrente, pertanto, il principio costituzionale di cui all'art. 119, ultimo comma, Cost. non potrebbe essere fissato nei suoi aspetti applicativi direttamente dalla legge statale, perché ciò porterebbe ad escludere la possibilità di una “definizione” da parte del legislatore regionale. Per parte sua, lo Stato potrebbe solamente imporre all'autonomia finanziaria regionale limiti posti a tutela della finanza pubblica nel suo complesso e non limiti posti a tutela della finanza statale in senso stretto; e dovrebbe fare ciò nel quadro di una disciplina organica, che determini contestualmente i princìpi generali del coordinamento.

La ricorrente osserva, infine, che la compressione dell'autonomia finanziaria regionale sarebbe evidente per la parte in cui la norma impugnata prevede una restrizione per il finanziamento, mediante indebitamento, «degli investimenti riferiti ai trasferimenti in conto capitale a favore di privati», producendo quindi, in assenza di qualsiasi previo meccanismo di coordinamento o di intesa, «un'alterazione consistente degli equilibri dei bilanci regionali», dovuta al fatto che, «dati i ristretti margini di autofinanziamento delle regioni, la quasi totalità delle spese regionali di investimento sono, infatti, finanziate con l'indebitamento».

 

10. – Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza delle questioni prospettate nel ricorso «(salva eventuale non procedibilità del primo motivo di esso)», con argomentazioni sostanzialmente analoghe a quelle contenute nella memoria di costituzione con riferimento al ricorso n. 89 del 2004.

 

11. – Con memoria depositata in prossimità dell'udienza pubblica con riferimento ai ricorsi n. 89 e 93 del 2004 proposti dalla Regione Campania, l'Avvocatura dello Stato richiama la sentenza di questa Corte n. 425 del 2004, in conseguenza della quale risulterebbe inammissibile o comunque infondata la questione relativa all'art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004.

Con riguardo alle censure relative ai commi 9, 10 e 11 dell'art. 1 del decreto-legge n. 168 del 2004, l'Avvocatura sostiene: che i limiti di spesa da essi previsti si applicherebbero a tutte le amministrazioni pubbliche, compreso lo Stato, per il solo esercizio 2004, ormai concluso; che tali limiti sarebbero giustificati dalla «straordinaria necessità ed urgenza di adottare interventi correttivi dell'andamento della spesa pubblica, al fine di conseguire un immediato contenimento delle spese, in attuazione dell'impegno assunto dal governo in sede ECOFIN»; che le autonomie territoriali avrebbero beneficiato di un trattamento privilegiato, avendo subíto riduzioni della spesa del 10% anziché del 15%, calcolate, per gli incarichi di cui al censurato comma 9 dell'art. 1 del decreto-legge n. 168 del 2004, sul triennio 2001-2003 anziché sul biennio 2001-2002, e non applicabili agli enti che abbiano rispettato il patto di stabilità interno.

L'Avvocatura ribadisce, in conclusione, che lo Stato avrebbe fissato, con le norme censurate, princìpi fondamentali «ai fini della tutela dell'unità economica della Repubblica».

 

12. – Con memoria depositata in prossimità dell'udienza pubblica, l'Avvocatura dello Stato ha ribadito l'eccezione di inammissibilità del ricorso n. 91 del 2004, proposto dalla Regione Toscana, già formulata nel primo atto difensivo, «poiché la demolizione del solo comma 11 renderebbe applicabili senza attenuazioni i precedenti commi 9 e 10».

Quale secondo profilo di inammissibilità, l'Avvocatura evidenzia che il ricorso «appare volto a proteggere la “sfera di autonomia” degli enti locali, e non quella della Regione ricorrente».

Quale terzo profilo di inammissibilità, l'Avvocatura osserva che la Regione «ipotizza una pronuncia additiva (“per le altre categorie di spesa”), che non pare consentita».

Nel merito, insiste nelle argomentazioni già svolte nella memoria di costituzione.

 

13. – Nella memoria per l'udienza depositata con riferimento al ricorso n. 94 del 2004, proposto dalla Regione Valle d'Aosta, l'Avvocatura dello Stato richiama la sentenza di questa Corte n. 425 del 2004, in conseguenza della quale risulterebbe inammissibile o comunque infondata la questione relativa all'art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, evidenziando, in ogni caso, che la ricorrente non ha formulato specifici motivi di doglianza sulla disposizione in questione.

In ordine alle censure rivolte al comma 4 dell'art. 1 del decreto-legge n. 168 del 2004, l'Avvocatura richiama quanto già osservato nel primo scritto difensivo e «solo in estremo subordine» fa presente che «le disposizioni in esame vanno ad inserirsi nella legge 23 dicembre 1999, n. 488, con conseguente applicabilità della clausola di salvaguardia in essa contenuta».

 

14. – Con memoria depositata in prossimità dell'udienza pubblica con riferimento al ric. n. 96 del 2004, l'Avvocatura dello Stato ha richiamato la sentenza di questa Corte n. 425 del 2004, in conseguenza della quale risulterebbe inammissibile o comunque infondata la questione relativa all'art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004.

Ad avviso dell'Avvocatura, la sentenza in questione riconoscerebbe che la nozione di spese di investimento adottata dalla legge n. 350 del 2003 – poi ripresa in via transitoria dal censurato art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, il quale conterrebbe una norma di favore per le Regioni – «appare […] estensiva rispetto ad un significato strettamente contabile».

La doglianza della Regione Marche dovrebbe allora essere ritenuta inammissibile, sia perché rivolta contro una norma che fissa deroghe ai limiti di spesa fissati dalla legge n. 350 del 2003, sia perché non formulata con argomenti che riguardino specificamente il citato art. 3, comma 1.

Con riferimento alle censure relative ai commi 9, 10, 11 dell'art. 1 del decreto-legge n. 168 del 2004, l'Avvocatura svolge considerazioni sostanzialmente identiche a quelle contenute nella memoria per l'udienza nel procedimento relativo ai ricorsi n. 89 e 93 del 2004, proposti dalla Regione Campania.

 

15. – Con memoria per l'udienza, la Regione Toscana, nel ricorso n. 91 del 2004, replica alle deduzioni contenute nell'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, secondo il quale, in primo luogo, non sarebbe ravvisabile un interesse della Regione all'impugnativa del comma 11 dell'art. 1 del decreto-legge n. 168 del 2004, perché esso conterrebbe una norma di favore, «in deroga ai più severi commi 9 e 10», e, in secondo luogo, la legittimità costituzionale della disposizione in questione sarebbe giustificata dalla sua transitorietà, in relazione all'urgenza di rispettare il patto di stabilità.

Sotto il primo profilo, la ricorrente sostiene che il comma 11 in questione avrebbe per oggetto le spese per l'acquisto di beni e servizi, non previste dai due commi precedenti: sussisterebbe pertanto l'interesse alla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma.

Sotto il secondo profilo, la ricorrente ribadisce sostanzialmente quanto già esposto nel ricorso, evidenziando che la norma censurata avrebbe provocato gravi limitazioni all'azione della Regione e degli enti locali, in modo generalizzato e indifferenziato, rendendo necessari «tagli consistenti alle voci di spesa preventivate […] in settori vitali, quali l'istruzione, il welfare, la polizia municipale».

 

16. – Con memoria per l'udienza, la Regione Valle d'Aosta, nel ricorso n. 94 del 2004, replica alle deduzioni contenute nell'atto di costituzione dello Stato, ribadendo in primo luogo le argomentazioni e le censure relative all'art. 1, comma 4, del decreto-legge n. 168 del 2004.

Precisa, sul punto, di avere espressamente censurato – contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa erariale – anche le norme relative alla disciplina dei controlli interni e di gestione.

Quanto alla censura relativa all'art. 3, comma 1, del citato decreto-legge n. 168 del 2004, la ricorrente osserva che, a seguito della sentenza n. 425 del 2004, la quale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dei commi da 16 a 21 dell'art. 3 della legge n. 350 del 2003, è venuto meno l'interesse al ricorso con riferimento al comma 21-bis.

L'interesse permane invece, ad avviso della ricorrente, in relazione al comma 21-ter, in forza di argomentazioni sostanzialmente analoghe a quelle già proposte nel ricorso.

17. – Con memoria per l'udienza, la Regione Marche, nel ricorso n. 96 del 2004, replica alle deduzioni contenute nell'atto di costituzione dello Stato, ribadendo in primo luogo l'ammissibilità delle censure relative all'art. 1, commi 9, 10 e 11, del decreto-legge n. 168 del 2004. Sottolinea la ricorrente che le norme in questione incidono su tutte le materie di competenza regionale, perché attengono al coordinamento finanziario, che deve essere considerato, «più che una materia, una funzione che, a livello nazionale, e quanto alla finanza pubblica nel suo complesso, spetta allo Stato». Ne consegue, sempre ad avviso della ricorrente, l'irrilevanza del fatto se le norme in questione incidano su materie di competenza regionale.

Con riferimento al secondo motivo di ricorso, la Regione sostiene che la sentenza n. 425 del 2004, che ha affermato la competenza del legislatore statale quanto alle definizioni di indebitamento e investimento, «non ha escluso la possibilità di censurare la definizione di un principio di coordinamento finanziario, quale quello impugnato, secondo un criterio di ragionevolezza». In particolare, la deroga apportata dalla norma censurata all'elencazione delle tipologie degli investimenti di cui all'art. 18 della legge n. 350 del 2003 risulterebbe «irragionevole per la parte in cui reitera un limite nella definizione dell'indebitamento, per “finanziare contributi agli investimenti a privati”»; limite che sarebbe stato ritenuto corretto da questa Corte solo in quanto disposto in via transitoria e in quanto specificamente funzionale alle esigenze di riequilibrio finanziario.

 

Considerato in diritto

 

1. – Con i ricorsi in via principale nn. 89 e 93 (proposti dalla Regione Campania), 91 (proposto dalla Regione Toscana), 94 (proposto dalla Regione Valle d'Aosta), 96 (proposto dalla Regione Marche), del 2004, sono stati censurati l'art. 1, commi 4, 5, 9, 10, 11, e l'art. 3, comma 1, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168 (Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica).

È opportuno suddividere le proposte questioni in quattro gruppi, corrispondenti alle norme od agli insiemi omogenei di norme censurati, e procedere, quindi, al distinto esame di ciascuno di tali gruppi.

 

1.1. – Un primo gruppo di questioni concerne l'art. 1, comma 4, del decreto-legge n. 168 del 2004, denunciato dalla Regione Valle d'Aosta in riferimento a parametri sia costituzionali sia statutari.

 

1.1.1. – Per quanto concerne i parametri costituzionali, la ricorrente lamenta il contrasto della norma censurata con gli articoli 117, terzo e quarto comma, e 119, primo comma, Cost. La stessa si duole del fatto che la norma denunciata – la quale modifica l'art. 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2000) e deve considerarsi applicabile anche alle Regioni a statuto speciale – incida con previsioni di dettaglio sulle procedure di acquisto di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni, perché impone sia «la scelta obbligata tra le convenzioni di cui all'art. 26, comma 1, della legge n. 488 del 1999 e l'assunzione dei parametri di prezzo-qualità in esse convenuti come limiti massimi per l'acquisto di beni e servizi comparabili oggetto delle stesse», sia «l'ulteriore […] disciplina di dettaglio, concernente anche l'organizzazione dei controlli interni».

Sempre secondo la Regione autonoma, la disciplina degli acquisti di beni e servizi non può essere ricondotta all'ambito dei princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica, la cui determinazione è riservata alla legislazione dello Stato dall'art. 117, terzo comma, Cost. In ogni caso si potrebbe trattare, al più, di princìpi “fondamentali”, privi pertanto di forza vincolante nei confronti della Regione Valle d'Aosta, e non di princìpi dell'ordinamento o di norme fondamentali di riforma ai sensi dell'art. 2 dello statuto.

Non sarebbe neanche possibile, secondo la ricorrente, ricondurre la disciplina de qua alla materia della tutela della concorrenza, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera e), o a quella dell'ordinamento civile, di cui alla lettera l) dello stesso articolo.

Sempre per la ricorrente, il divieto assoluto di provvedere all'acquisizione dei beni e dei servizi necessari al di fuori delle convenzioni quadro definite dalla s.p.a. CONSIP o in deroga alle condizioni in esse stabilite per l'acquisto di beni e servizi comparabili limiterebbe l'autonomia di spesa di quest'ultima, tutelata anche a norma dell'art. 119, primo comma, Cost.

 

1.1.2. – Per quanto concerne i parametri statutari, la ricorrente denuncia il contrasto con l'articolo 2, primo comma, lettere a) e b), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d'Aosta), che le attribuisce una competenza legislativa esclusiva nelle materie dell'«ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla regione» e dell'«ordinamento degli enti locali», e con il successivo art. 4, che le attribuisce le corrispondenti funzioni amministrative.

 

1.2. – Un secondo gruppo di questioni riguarda l'art. 1, comma 5, del decreto-legge n. 168 del 2004, nonché, seppure marginalmente, le norme dei successivi commi 9, 10 e 11 che prevedono obblighi di informazione e controlli con riferimento all'osservanza dei vincoli di spesa posti dagli stessi commi. Tali disposizioni sono censurate dalla Regione Campania in riferimento agli articoli 3, 100, 114, 117 e 118 della Costituzione, all'art. 9 della legge costituzionale n. 3 del 2001 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), nonché al principio di leale collaborazione.

Secondo la ricorrente, le disposizioni denunciate introdurrebbero una disciplina del controllo degli atti della Regione e degli enti locali, in violazione della Costituzione, perché la materia dei controlli sarebbe estranea alla sfera di competenza statale, essendo riservata alla potestà legislativa regionale ed a quella regolamentare degli enti locali, in base alla disciplina risultante dalla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione.

Un ulteriore profilo di illegittimità delle norme censurate consisterebbe nella loro irragionevolezza, determinata dall'“interferenza” che esse creano tra controllo di gestione e accertamenti della Corte dei conti. Tale “interferenza” sarebbe idonea, secondo la Regione, «ad alterare la effettività e l'efficacia del controllo di gestione stesso».

 

1.3. – Un terzo gruppo di questioni riguarda i commi 9, 10, 11 dell'art. 1 del decreto-legge n. 168 del 2004, dei quali le Regioni Campania, Marche e Toscana (quest'ultima per il solo comma 11) fanno valere il contrasto con gli articoli 3, 97, 114, 117, terzo e quarto comma, 118, 119 Cost. e con il principio di leale collaborazione.

Affermano le ricorrenti che le norme denunciate non si limitano ad individuare criteri direttivi o limiti massimi di spesa, ma specificano ed elencano le tipologie di spesa che gli enti territoriali devono contenere nell'ambito di percentuali fissate. I vincoli introdotti da dette disposizioni riguardano le spese per studi e incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all'amministrazione, missioni all'estero, rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni e le spese per l'acquisto di beni e servizi. Ne conseguirebbe l'illegittimità delle norme censurate, sotto un duplice profilo.

 

1.3.1. – Sotto un primo profilo, secondo le ricorrenti, spetta alla legislazione concorrente dello Stato la sola determinazione dei princìpi fondamentali nella materia della “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario” e non anche la fissazione di norme di dettaglio, la quale non sarebbe giustificabile neanche sotto il profilo del contenimento della spesa pubblica da realizzarsi, invece, con la semplice fissazione di percentuali generali di risparmio.

Le stesse ricorrenti denunciano anche la violazione dell'art. 3 della Costituzione, sia perché i limiti posti dalla legge statale riguarderebbero tutti gli enti indiscriminatamente, senza alcuna considerazione della loro specifica situazione finanziaria, sia perché le norme denunciate garantirebbero agevolazioni collegate al rispetto del patto di stabilità, ma fisserebbero in modo arbitrario la data intermedia del 30 giugno 2004 quale termine di riferimento per valutare l'effettivo rispetto di tale patto.

Sussisterebbe, poi, anche una violazione del principio di leale collaborazione, perché lo Stato non avrebbe effettuato le scelte attraverso una intesa con le regioni.

La Regione Toscana lamenta, infine, che la norma censurata consenta, in violazione dell'art. 97 Cost., di superare il limite di spesa del 10%, in casi eccezionali, solo per le missioni all'estero, le spese di rappresentanza, le relazioni pubbliche ed i convegni, ma non anche per altre categorie di spesa che potrebbero essere «più attinenti agli obiettivi degli enti stessi».

 

1.3.2. – Sotto un secondo profilo, le ricorrenti sostengono che le limitazioni di carattere finanziario incidono negativamente sulle loro competenze in tema di organizzazione amministrativa, nonché sulle competenze legislative loro attribuite dall'art. 117, terzo e quarto comma, Cost.

 

1.4. – Un quarto gruppo di questioni riguarda l'art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, che inserisce nell'art. 3 della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004) i commi 21-bis e 21-ter.

La censura è proposta dalla Regione Campania – la quale denuncia anche l'art. 3, commi da 16 a 21, della stessa legge n. 350 del 2003 – e dalla Regione Marche, in riferimento agli articoli 117 (terzo e quarto comma, in particolare), 118, 119 Cost. e al principio di leale collaborazione, nonché dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento a parametri statutari, e cioè agli articoli 2, primo comma, lettere a) e b), 3, primo comma, lettera f), e 48-bis del citato statuto speciale; all'art. 11 della legge 26 novembre 1981, n. 690 (Revisione dell'ordinamento finanziario della regione Valle d'Aosta); agli articoli 2 e 6 del decreto legislativo 28 dicembre 1989, n. 431 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Valle d'Aosta in materia di finanze regionali e comunali); all'art. 1 del decreto legislativo 22 aprile 1994, n. 320 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Valle d'Aosta).

 

1.4.1. – Quanto alle censure riferite ai parametri costituzionali, le Regioni Campania e Marche osservano che la norma di cui all'art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, pur ammettendo in generale il ricorso all'indebitamento per finanziare contributi agli investimenti a privati, lo consente, però, solo in via transitoria e subordinatamente a precise e dettagliate condizioni.

Secondo le ricorrenti, l'art. 119, ultimo comma, Cost., nel porre l'obbligo di ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento, si riferisce al concetto generale di spese di investimento presente nell'ordinamento della contabilità dello Stato, intendendo tali le spese in conto capitale, con la conseguenza dell'illegittimità costituzionale della denunciata normativa statale, che utilizza una diversa nozione di spese di investimento.

Le Regioni lamentano anche la violazione dell'art. 117 Cost., in quanto la disciplina censurata non porrebbe princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica.

La Regione Campania lamenta, infine, che la disciplina statale, pur rientrando in una materia di competenza concorrente, è stata posta in essere escludendo qualsiasi partecipazione degli enti locali, in violazione del principio di leale collaborazione.

 

1.4.2. – Quanto al prospettato contrasto con i parametri statutari, la Regione Valle d'Aosta deduce che l'art. 3, comma 1, de quo contiene disposizioni di dettaglio dirette a regolare la materia dell'indebitamento, in violazione dell'autonomia finanziaria regionale.

La ricorrente sostiene altresì che la norma censurata, nel prevedere un controllo sulla Regione affidato all'istituto finanziatore e nel consentire finanziamenti destinati a privati solo se compresi nei prospetti di cui al comma 21-bis, lede la potestà legislativa esclusiva in materia di ordinamento, anche contabile, degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione, e in materia di finanze regionali.

La ricorrente lamenta poi che le norme denunciate introdurrebbero – in modo dettagliato e in violazione degli altri parametri statutari evocati – limitazioni, modalità e controlli, per mutui, obbligazioni e partecipazioni societarie.

Secondo la ricorrente, la normativa denunciata avrebbe inoltre disciplinato una materia oggetto di norme di attuazione statutaria, senza seguire il particolare procedimento per l'approvazione e la modifica delle norme di attuazione dello statuto speciale, previsto e regolato dall'art. 48-bis e dall' art. 1 del decreto legislativo n. 320 del 1994.

La Regione autonoma lamenta infine che la disciplina censurata lede la competenza legislativa riservatale dalle norme di attuazione statutaria in materia di bilanci, di rendiconti, di amministrazione del patrimonio e di contratti degli enti locali e delle loro aziende.

 

2. – Considerata la parziale identità delle norme censurate e delle questioni prospettate, i giudizi vanno riuniti per essere congiuntamente trattati e decisi.

 

3. – Va preliminarmente rilevato che le ricorrenti sono legittimate a denunciare la legge statale per la violazione di competenze degli enti locali.

La Corte ha infatti ritenuto sussistente in via generale una tale legittimazione in capo alle Regioni, perché «la stretta connessione, in particolare […] in tema di finanza regionale e locale, tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consente di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali» (sentenza n. 196 del 2004).

 

4. – Passando ad esaminare distintamente i sopra indicati gruppi di questioni, occorre valutare in primo luogo le censure proposte dalla Regione Valle d'Aosta in tema di procedure di acquisto di beni e servizi, e riguardanti l'art. 1, comma 4, del decreto-legge n. 168 del 2004, in riferimento agli articoli 117, terzo e quarto comma, e 119, primo comma, Cost. e agli articoli 2, primo comma, lettere a) e b), e 4 dello statuto speciale.

 

4.1. – La denunciata disposizione sostituisce il comma 3 dell'articolo 26 della legge n. 488 del 1999 con i commi 3 e 3-bis.

Il nuovo comma 3 attribuisce alle amministrazioni pubbliche – ivi compresi le Regioni e gli enti locali – la facoltà di scegliere fra il ricorso alle convenzioni stipulate, ai sensi del comma 1 dello stesso articolo 26, dal Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica (anche con l'ausilio di società di consulenza specializzate) e, in alternativa, l'utilizzazione dei parametri di prezzo-qualità, come limiti massimi, per l'acquisto di beni e servizi comparabili. Il nuovo comma 3-bis, a sua volta, fissa l'obbligo di trasmissione alle strutture e agli uffici interni preposti al controllo di gestione dei provvedimenti con cui le amministrazioni pubbliche deliberano di procedere in modo autonomo a singoli acquisti di beni e servizi.

Per la Regione Valle d'Aosta, tali previsioni, in quanto di mero dettaglio, non sarebbero riconducibili né a princípi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica né a princìpi fondamentali dell'ordinamento giuridico e neppure a norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, e in ogni caso si porrebbero in contrasto con le norme statutarie attributive di competenze legislative e amministrative nelle materie dell'«ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla regione» e dell'«ordinamento degli enti locali».

 

4.2. – Le questioni non sono fondate.

Alle norme denunciate va infatti riconosciuta, contrariamente all'assunto delle ricorrenti, la natura di princípi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, come questa Corte, con la sentenza n. 36 del 2004, ha già avuto modo di precisare riguardo ad una fattispecie analoga, sia pure in occasione di un giudizio vertente su altre disposizioni di legge.

Questa Corte ha infatti affermato al riguardo che «non può contestarsi la legittimità costituzionale della norma che consente agli enti autonomi di aderire alle convenzioni statali, trattandosi di previsione meramente facoltizzante. Ma anche l'obbligo imposto di adottare i prezzi delle convenzioni come base d'asta al ribasso per gli acquisti effettuati autonomamente, pur realizzando un'ingerenza non poco penetrante nell'autonomia degli enti quanto alla gestione della spesa, non supera i limiti di un principio di coordinamento adottato entro l'ambito della discrezionalità del legislatore statale».

Secondo la medesima sentenza, anche le norme che fissano l'obbligo di trasmissione agli organi interni di revisione contabile delle delibere di acquisto in via autonoma vanno ricondotte agli stessi princípi fondamentali di coordinamento, in ragione del loro «carattere strumentale» rispetto al suddetto obbligo di adottare i parametri previsti da dette convenzioni.

Non sussiste neppure il contrasto dell'impugnata disciplina con le norme statutarie che attribuiscono alla Regione Valle d'Aosta la potestà legislativa esclusiva e le correlative funzioni amministrative nelle materie dell'«ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla regione» e dell'«ordinamento degli enti locali» (articoli 2, primo comma, lettere a e b, e 4 dello statuto speciale). Neanche le attività dirette all'acquisto di beni o servizi da parte delle amministrazioni sono infatti riconducibili a tali materie, dovendo esse considerarsi al più strumentali al funzionamento di detti uffici ed enti.

 

5. – La Regione Campania censura l'art. 1, comma 5, del decreto-legge n. 168 del 2004, sia nel testo originario, sia nell'identico testo successivo alla conversione ad opera della legge n. 191 del 2004, in riferimento agli articoli 3, 100, 114, 117 e 118 della Costituzione, all'art. 9 della legge costituzionale n. 3 del 2001 e al principio di leale collaborazione fra Stato e Regione.

 

5.1. – La disposizione impugnata inserisce, dopo l'articolo 198 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), l'art. 198-bis, secondo il quale «nell'àmbito dei sistemi di controllo di gestione di cui agli articoli 196, 197 e 198, la struttura operativa alla quale è assegnata la funzione del controllo di gestione fornisce la conclusione del predetto controllo, oltre che agli amministratori ed ai responsabili dei servizi ai sensi di quanto previsto dall'articolo 198, anche alla Corte dei conti».

Per la Regione Campania, tale norma attiene alla materia dei controlli sugli enti locali, riservata alla potestà legislativa regionale ed a quella regolamentare degli enti locali stessi e crea, in ogni caso, un'irragionevole interferenza fra controllo interno di gestione e accertamenti della Corte dei conti.

 

5.2. – Va preliminarmente osservato che le censure rivolte al testo originario della denunciata disposizione del decreto-legge n. 168 del 2004 debbono ritenersi assorbite in quelle rivolte alla corrispondente disposizione risultante dalla conversione in legge, data l'identità testuale delle due disposizioni.

 

5.3. – Le questioni non sono fondate.

Nel merito, va premesso che la disposizione introdotta nel testo unico sugli enti locali dall'impugnato articolo 1, comma 5, si limita a porre, a carico delle strutture operative interne degli enti locali, l'obbligo di comunicare alla Corte dei conti il referto relativo al controllo di gestione, e pertanto non regola la funzione di controllo della Corte dei conti sui risultati del predetto controllo di gestione interno.

Non viene quindi in rilievo, ai fini della decisione, la legittimità del sistema dei controlli della Corte dei conti – disciplinato da norme diverse da quella impugnata, e in particolare dall'art. 7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), e dall'art. 3, comma 8, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti) – ma solo la legittimità della previsione dell'obbligo di comunicare ad un organo statale il referto del controllo interno di gestione e, dunque, i dati relativi alla situazione finanziaria degli enti locali.

Secondo questa Corte (sentenze n. 376 del 2003 e n. 35 del 2005), un tale obbligo non è di per sé idoneo a pregiudicare l'autonomia delle regioni e degli enti locali, in quanto esso deve essere considerato «espressione di un coordinamento meramente informativo» (v. anche, per il periodo precedente alla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, le sentenze n. 279 del 1992, n. 412 del 1994, n. 421 del 1998).

Del resto, questa Corte ha costantemente affermato la legittimità costituzionale delle norme che disciplinano gli obblighi di trasmissione di dati finalizzati a consentire il funzionamento del sistema dei controlli sulla finanza di regioni ed enti locali, riconducendole ai princípi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, con funzione regolatrice della cosiddetta “finanza pubblica allargata”, allo scopo di assicurare il rispetto del patto di stabilità (cfr. le sentenze n. 376 del 2003, n. 4 del 2004, n. 35 del 2005, n. 64 del 2005).

A tale finalità dell'azione di coordinamento finanziario consegue che «a livello centrale si possano collocare non solo la determinazione delle norme fondamentali che reggono la materia», ma altresì la determinazione di norme puntuali, quali quelle relative alla disciplina degli obblighi di invio di informazioni sulla situazione finanziaria dalle regioni e dagli enti locali alla Corte dei conti. La fissazione di dette norme da parte del legislatore statale è diretta, infatti, a realizzare in concreto la finalità del coordinamento finanziario – che per sua natura eccede le possibilità di intervento dei livelli territoriali sub-statali – (v. sentenze n. 376 del 2003 e n. 35 del 2005) e, proprio perché viene «incontro alle esigenze di contenimento della spesa pubblica e di rispetto del patto di stabilità interno», è idonea a realizzare l'ulteriore finalità del buon andamento delle pubbliche amministrazioni (sentenza n. 64 del 2005).

Pertanto, va escluso che la norma impugnata, determinando un puntuale obbligo di comunicazione di dati a carico degli enti locali, si ponga in contrasto con gli evocati parametri costituzionali.

Da quanto sopra discende il corollario che non sussiste neppure la denunciata irragionevole interferenza fra controllo interno di gestione e accertamenti della Corte dei conti, lamentata dalla Regione Campania, perché proprio la finalità del coordinamento finanziario giustifica il raccordo tra i due tipi di controllo, operato dalla norma censurata attraverso la fissazione dell'obbligo di comunicazione alla Corte dei conti dell'esito del controllo interno, realizzando così quella finalità collaborativa cui fa espresso riferimento l'art. 7, comma 7, della legge n. 131 del 2003.

 

6. – Le Regioni Campania e Marche censurano i commi 9, 10, 11 dell'art. 1 del decreto-legge n. 168 del 2004, la Regione Toscana il solo comma 11 dello stesso art. 1 del decreto-legge, per contrasto con gli articoli 3, 97, 114, 117, terzo e quarto comma, 118, 119 Cost. e con il principio di leale collaborazione.

La Regione Campania censura tali commi sia nella formulazione originaria del decreto-legge, sia nel testo risultante dalla modifica apportata dalla legge di conversione, la quale ha aggiunto un ultimo periodo al comma 11.

 

6.1. – I commi impugnati introducono puntuali vincoli, che riguardano le spese per studi e incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all'amministrazione, missioni all'estero, rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni, nonché le spese per l'acquisto di beni e servizi.

In particolare, il comma 9 limita, per l'anno 2004, la spesa di Regioni ed enti locali, relativa a «studi ed incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all'amministrazione»; prevede che «l'affidamento di incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze a soggetti estranei all'amministrazione in materie e per oggetti rientranti nelle competenze della struttura burocratica dell'ente, deve essere adeguatamente motivato» e limitato ai soli casi previsti dalla legge o all'ipotesi di eventi straordinari, previa comunicazione – a pena di illecito disciplinare e conseguente responsabilità erariale – agli organi di controllo ed agli organi di revisione di ciascun ente; stabilisce che le pubbliche amministrazioni adottano le direttive – comunicate in via preventiva alla Corte dei conti – conseguenti all'applicazione dei suddetti vincoli di spesa, «nell'esercizio dei diritti dell'azionista nei confronti delle società di capitali a totale partecipazione pubblica».

Il comma 10 limita poi, sempre per l'anno 2004, la spesa di regioni ed enti locali per missioni all'estero e rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni; prevede che gli atti e i contratti posti in essere in violazione del limite fissato «costituiscono illecito disciplinare e determinano responsabilità erariale»; stabilisce che gli organi di controllo e gli organi di revisione di ciascun ente vigilano sulla corretta applicazione del limite di spesa, consentendone, per casi eccezionali, il superamento.

Il comma 11 prevede, anch'esso per l'anno 2004, un limite alla spesa di regioni ed enti locali per l'acquisto di beni e servizi, con l'esclusione di quella dipendente dalla prestazione di servizi collegati a diritti soggettivi dell'utente; prevede, inoltre, che tale riduzione si applica anche alla spesa per missioni all'estero e per il funzionamento di uffici all'estero, nonché alle spese di rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni ed alla spesa per studi ed incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all'amministrazione; richiama le norme dei due commi precedenti relative alla responsabilità disciplinare ed erariale e agli obblighi di comunicazione e controlli; prevede infine che, «per le regioni e gli enti locali che hanno rispettato, nell'anno 2003 e fino al 30 giugno 2004, gli obiettivi previsti relativamente al Patto di stabilità interno, la riduzione del 10 per cento non si applica con riferimento alle spese che siano già state impegnate».

Le ricorrenti lamentano che le norme in questione non si limitano a fissare l'entità massima del disavanzo o del complesso della spesa corrente di Regioni ed enti locali, ma specificano ed elencano le singole tipologie delle spese che gli enti territoriali devono contenere nell'ambito delle percentuali previste dalle stesse norme.

Sotto un primo profilo, tali vincoli non sarebbero riconducibili a princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e sarebbero pertanto lesivi dell'autonomia finanziaria di Regioni ed enti locali. Sotto un secondo profilo, i vincoli in questione inciderebbero negativamente sulla generalità delle loro competenze legislative e amministrative.

Nell'ambito dei citati commi, la Regione Campania censura, anche se marginalmente, le norme che fissano obblighi di informazione e trasmissione di dati o disciplinano controlli. Tali norme non sono dettagliatamente indicate dalla ricorrente, la quale propone in relazione ad esse le medesime censure rivolte al comma 5 dello stesso articolo.

 

6.2. – Analogamente a quanto già rilevato a proposito delle questioni relative all'art. 1, comma 5, proposte dalla Regione Campania, va in via preliminare osservato che le censure rivolte al testo originario delle denunciate disposizioni del decreto-legge n. 168 del 2004 debbono ritenersi assorbite in quelle rivolte alla corrispondente disposizione risultante dalla conversione in legge, data l'identità testuale delle disposizioni che fissano i vincoli. La legge di conversione, infatti, si è limitata ad apportare una correzione formale al comma 10 e ad introdurre nel comma 11 dell'art. 1 un ultimo periodo, nel quale si prevede un'eccezione all'applicabilità del vincolo di spesa posto dal comma stesso.

 

6.3. – Le questioni sono fondate.

Va qui ribadito il principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, per cui le norme che fissano vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle regioni e degli enti locali non costituiscono princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., e ledono pertanto l'autonomia finanziaria di spesa garantita dall'art. 119 Cost.

Secondo tale giurisprudenza, il legislatore statale può legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio (ancorché si traducano, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti), ma solo, con «disciplina di principio», «per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari» (sentenza n. 36 del 2004; v. anche le sentenze n. 376 del 2003 e nn. 4 e 390 del 2004). Perchè detti vincoli possano considerarsi rispettosi dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali debbono avere ad oggetto o l'entità del disavanzo di parte corrente oppure – ma solo «in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale» – la crescita della spesa corrente degli enti autonomi; in altri termini, la legge statale può stabilire solo un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» (sentenza n. 36 del 2004).

Questa Corte ha recentemente riaffermato tale principio, osservando che la previsione da parte della legge statale di limiti all'entità di una singola voce di spesa non può essere considerata un principio fondamentale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica, perché pone un precetto specifico e puntuale sull'entità della spesa e si risolve perciò «in una indebita invasione, da parte della legge statale, dell'area […] riservata alle autonomie regionali e degli enti locali, alle quali la legge statale può prescrivere criteri […] ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica) ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi» (sent. n. 390 del 2004).

Nella specie, le disposizioni censurate non fissano limiti generali al disavanzo o alla spesa corrente, ma stabiliscono limiti alle spese per studi e incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all'amministrazione, alle spese per missioni all'estero, rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni, nonché alle spese per l'acquisto di beni e servizi; vincoli che, riguardando singole voci di spesa, non costituiscono princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ma comportano una inammissibile ingerenza nell'autonomia degli enti quanto alla gestione della spesa.

Deve dunque essere dichiarata l'illegittimità costituzionale delle norme in questione, per contrasto con gli articoli 117, terzo comma, e 119 Cost.

 

6.4. – Dalla dichiarazione di incostituzionalità dei suddetti vincoli di spesa consegue l'incostituzionalità delle altre norme dei commi 9, 10, 11 censurati, le quali presuppongono tali vincoli (prevedendo eccezioni alla loro applicabilità), o sono strumentali rispetto ad essi (disciplinando adempimenti consequenziali, controlli, obblighi di motivazione o informazione, o prevedendo fattispecie di responsabilità disciplinare ed erariale per la loro violazione).

 

6.5. – In conclusione, deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale degli interi commi 9, 10, 11 dell'art. 1 del decreto-legge n. 168 del 2004, per contrasto con gli articoli 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, restando assorbito ogni altro profilo di incostituzionalità dedotto dalle ricorrenti.

 

7. – Le Regioni Campania e Marche censurano il comma 1 dell'art. 3 del decreto-legge n. 168 del 2004, che inserisce nell'art. 3 della legge n. 350 del 2003 i commi 21-bis e 21-ter, per contrasto con gli articoli 117, terzo e quarto comma, 118, 119 Cost. e con il principio di leale collaborazione.

La Regione Campania censura tale comma sia nel testo originario del decreto-legge, sia nel testo convertito, del tutto identico.

La Regione Valle d'Aosta censura la stessa norma del decreto legge convertito, in riferimento a parametri statutari e cioè: agli articoli 2, primo comma, lettere a) e b), 3, primo comma, lettera f), e 48-bis dello statuto speciale; all'art. 11 della legge n. 690 del 1981; agli articoli 2 e 6 del decreto legislativo n. 431 del 1989; all'art. 1 del decreto legislativo n. 320 del 1994.

 

7.1. – In particolare il comma 21-bis stabilisce che, in deroga al precedente comma 18 – il quale definisce i diversi tipi di investimenti ai fini dell'art. 119, sesto comma, Cost. – le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono indebitarsi per finanziare contributi agli investimenti a privati entro i limiti fissati dalle lettere a) e b) dello stesso comma. Il comma 21-ter consente il finanziamento dei soli contributi agli investimenti a privati che soddisfino le condizioni richieste dalle lettere a) e b)del precedente comma.

Le ricorrenti fanno derivare l'illegittimità costituzionale delle norme denunciate dall'illegittimità dei commi da 16 a 21 dell'art. 3 della legge n. 350 del 2003, in quanto questi ultimi conterrebbero una definizione delle diverse tipologie di indebitamento e investimento in contrasto con il principio di cui all'art. 119, sesto comma, Cost.

 

7.2. – Va preliminarmente osservato che, come per le doglianze concernenti i commi 5, 9, 10, 11 dell'art. 1 del decreto-legge n. 168 del 2004, le censure rivolte dalla Regione Campania al testo originario dell'art. 3, comma 1, del citato decreto-legge debbono ritenersi assorbite in quelle rivolte alla corrispondente disposizione risultante dalla conversione in legge, data l'identità testuale di tali disposizioni.

 

7.3. – Le questioni sono inammissibili.

Le tre Regioni ricorrenti si limitano ad appuntare le proprie doglianze sugli elenchi dei tipi di indebitamento e investimento, contenuti nei commi 17 e 18 dell'art. 3 della citata legge n. 350 del 2003: le Regioni Campania e Marche sostengono che tali elenchi non costituiscono princípi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e si pongono comunque in contrasto con le definizioni generali già presenti nell'ordinamento della contabilità dello Stato, cui avrebbe fatto implicito riferimento l'art. 119, sesto comma, Cost.; la Regione Valle d'Aosta lamenta invece la violazione di parametri statutari.

Le ricorrenti omettono, però, di formulare specifici motivi di censura proprio riguardo alla norma del comma 1 dell'art. 3 oggetto di denuncia, la quale amplia il novero degli investimenti ricomprendendovi anche «contributi agli investimenti a privati» e si configura così come norma di favore per le Regioni rispetto al sistema delineato dai commi da 16 a 21 dell'art. 3 della legge n. 350 del 2003.

In conseguenza di tale carenza di specifici motivi, la questione di costituzionalità del comma 1 dell'art. 3 del decreto-legge n. 168 del 2004 deve essere dichiarata inammissibile.

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, commi 9, 10, 11, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168 (Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, nella parte in cui si riferisce alle Regioni e agli enti locali;

2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 191 del 2004, sollevate dalla Regione Campania e dalla Regione Marche, in relazione agli articoli 117, terzo e quarto comma, 118, 119 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, con i ricorsi in epigrafe;

3)dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 191 del 2004, sollevate dalla Regione autonoma Valle d'Aosta, in relazione agli articoli 2, primo comma, lettere a) e b), 3, primo comma, lettera f), e 48-bis della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d'Aosta); all'art. 11 della legge 26 novembre 1981, n. 690 (Revisione dell'ordinamento finanziario della regione Valle d'Aosta); agli articoli 2 e 6 del decreto legislativo 28 dicembre 1989, n. 431 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Valle d'Aosta in materia di finanze regionali e comunali); all'art. 1 del decreto legislativo 22 aprile 1994, n. 320 (Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Valle d'Aosta), con il ricorso in epigrafe;

4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 4, del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 191 del 2004, sollevate dalla Regione autonoma Valle d'Aosta, in relazione agli articoli 117, terzo e quarto comma, e 119, primo comma, della Costituzione e agli articoli 2, primo comma, lettere a) e b), e 4 della legge costituzionale n. 4 del 1948 (Statuto speciale per la Valle d'Aosta), con il ricorso in epigrafe;

5) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 5, del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 191 del 2004, sollevate dalla Regione Campania, in relazione agli articoli 3, 100, 114, 117 e 118 della Costituzione, all'articolo 9 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), e al principio di leale collaborazione, con i ricorsi in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 novembre 2005.

 

Annibale MARINI, Presidente

Franco GALLO, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 14 novembre 2005

 


Normativa di riferimento

 


Costituzione
della Repubblica Italiana
(artt. 117, 119)

 

 

117. La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:

a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea;

b) immigrazione;

c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;

d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;

e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie;

f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;

g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;

h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;

i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;

l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;

m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;

n) norme generali sull'istruzione;

o) previdenza sociale;

p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;

q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;

r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale; opere dell'ingegno;

s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.

Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.

Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.

La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.

Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.

La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni.

Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato (1).

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 3, L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3. Per l'attuazione delle norme contenute nel presente articolo vedi la L. 5 giugno 2003, n. 131. Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «117. La Regione emana per le seguenti materie norme legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l'interesse nazionale e con quello di altre Regioni: ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione; circoscrizioni comunali; polizia locale urbana e rurale; fiere e mercati; beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera; istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica; musei e biblioteche di enti locali; urbanistica; turismo ed industria alberghiera; tramvie e linee automobilistiche di interesse regionale; viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale; navigazione e porti lacuali; acque minerali e termali; cave e torbiere; caccia; pesca nelle acque interne; agricoltura e foreste; artigianato. Altre materie indicate da leggi costituzionali. Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro attuazione».

 

 

119. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa.

I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.

La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante.

Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.

Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.

I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i princìpi generali determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento. E' esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 5, L.cost. 18 ottobre 2001, n. 3. Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «119. Le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Province e dei Comuni. Alle Regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali in relazione ai bisogni delle Regioni per le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali. Per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali. La Regione ha un proprio demanio e patrimonio, secondo le modalità stabilite con legge della Repubblica».

 


L. 11 marzo 1953, n. 87
Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale
(art. 27)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 14 marzo 1953, n. 62.

(2) Vedi, anche, la L. 18 marzo 1958, n. 265.

 

 

Art. 27.

 

La Corte costituzionale, quando accoglie una istanza o un ricorso relativo a questioni di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, dichiara, nei limiti dell'impugnazione, quali sono le disposizioni legislative illegittime. Essa dichiara altresì, quali sono le altre disposizioni legislative, la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata.

 


L. 27 dicembre 2002, n. 289
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(legge finanziaria 2003)
(art. 34,
comma 11)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 31 dicembre 2002, n. 305, S.O.

 

 

Art. 34.

Organici, assunzioni di personale e razionalizzazione di enti e organismi pubblici.

(omissis)

11. Ai fini del concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo accordo tra Governo, regioni e autonomie locali da concludere in sede di Conferenza unificata, sono fissati per le amministrazioni regionali, per le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti che abbiano rispettato le regole del patto di stabilità interno per l'anno 2002, per gli altri enti locali e per gli enti del Servizio sanitario nazionale, criteri e limiti per le assunzioni a tempo indeterminato per l'anno 2003. Tali assunzioni, fatto salvo il ricorso alle procedure di mobilità, devono, comunque, essere contenute, fatta eccezione per il personale infermieristico del Servizio sanitario nazionale, entro percentuali non superiori al 50 per cento delle cessazioni dal servizio verificatesi nel corso dell'anno 2002 tenuto conto, in relazione alla tipologia di enti, della dimensione demografica, dei profili professionali del personale da assumere, della essenzialità dei servizi da garantire e dell'incidenza delle spese del personale sulle entrate correnti. Per gli enti del Servizio sanitario nazionale possono essere disposte esclusivamente assunzioni, entro i predetti limiti, di personale appartenente al ruolo sanitario. Non può essere stabilita, in ogni caso, una percentuale superiore al 20 per cento per i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti e le province che abbiano un rapporto dipendenti-popolazione superiore a quello previsto dall'articolo 119, comma 3, del decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77, e successive modificazioni, maggiorato del 30 per cento o la cui percentuale di spesa del personale rispetto alle entrate correnti sia superiore alla media regionale per fasce demografiche. I singoli enti locali in caso di assunzioni di personale devono autocertificare il rispetto delle disposizioni relative al patto di stabilità interno per l'anno 2002. Fino all'emanazione dei decreti di cui al presente comma trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 4. Nei confronti delle province e dei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti che non abbiano rispettato le regole del patto di stabilità interno per l'anno 2002 rimane confermata la disciplina delle assunzioni a tempo indeterminato prevista dall'articolo 19 della legge 28 dicembre 2001, n. 448. In ogni caso sono consentite, previa autocertificazione degli enti, le assunzioni connesse al passaggio di funzioni e competenze alle regioni e agli enti locali il cui onere sia coperto dai trasferimenti erariali compensativi della mancata assegnazione delle unità di personale. Con i decreti di cui al presente comma è altresì definito, per le regioni, per le autonomie locali e per gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'àmbito applicativo delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 del presente articolo. Con decreto del Ministero delle attività produttive, sono individuati per le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e l'Unioncamere specifici indicatori volti a definire le condizioni di equilibrio economico-finanziario (24/e).

 

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(24/e) La Corte costituzionale, con sentenza 13-17 dicembre 2004, n. 390 (Gazz. Uff. 22 dicembre 2004, n. 49 - Prima Serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità del presente comma, limitatamente alla parte in cui dispone che le assunzioni a tempo indeterminato «devono, comunque, essere contenute (...) entro percentuali non superiori al 50 per cento delle cessazioni dal servizio verificatesi nel corso dell'anno 2002». Vedi, anche, l'art. 1-sexies, D.L. 31 marzo 2003, n. 50, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione. In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il D.M. 27 maggio 2003. Per i criteri e i limiti per le assunzioni di personale a tempo indeterminato vedi, per le amministrazioni regionali e per gli enti e le aziende appartenenti al servizio sanitario nazionale, il D.P.C.M. 12 settembre 2003 e, per le amministrazioni provinciali e comunali, il D.P.C.M. 12 settembre 2003.

 


L. 24 dicembre 2003, n. 350
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(legge finanziaria 2004)
(art. 3,
comma 60)

 

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 27 dicembre 2003, n. 299, S.O.

 

 

Art. 3.

Disposizioni in materia di oneri sociali e di personale e per il funzionamento di amministrazioni ed enti pubblici.

(omissis)

60. Ai fini del concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo accordo tra Governo, regioni e autonomie locali da concludere in sede di Conferenza unificata, sono fissati per le amministrazioni regionali, per le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti che abbiano rispettato le regole del patto di stabilità interno per l'anno 2003 e gli enti del Servizio sanitario nazionale, criteri e limiti per le assunzioni a tempo indeterminato per l'anno 2004. Tali assunzioni, fatto salvo il ricorso alle procedure di mobilità, devono, comunque, essere contenute, fatta eccezione per il personale infermieristico del Servizio sanitario nazionale, entro percentuali non superiori al 50 per cento delle cessazioni dal servizio verificatesi nel corso dell'anno 2003, tenuto conto, in relazione alla tipologia degli enti, della dimensione demografica, dei profili professionali del personale da assumere, della essenzialità dei servizi da garantire e dell'incidenza delle spese del personale sulle entrate correnti. Per gli enti del Servizio sanitario nazionale possono essere disposte esclusivamente assunzioni, entro i limiti predetti, di personale appartenente al ruolo sanitario. Non può essere, in ogni caso, stabilita una percentuale superiore al 20 per cento per i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti e le province che abbiano un rapporto dipendenti-popolazione superiore a quello previsto dall'articolo 119, comma 3, del decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77, maggiorato del 30 per cento o la cui percentuale di spesa del personale rispetto alle entrate sia superiore alla media nazionale per fasce demografiche. I singoli enti in caso di assunzioni di personale devono autocertificare il rispetto delle disposizioni del patto di stabilità interno per l'anno 2003. Fino all'emanazione dei decreti di cui al presente comma trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 53. In caso di mancata adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri previsti dal presente comma entro il 30 giugno 2004 trovano applicazione in via provvisoria e fino all'emanazione degli stessi le disposizioni dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri 12 settembre 2003, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n. 239 del 14 ottobre 2003. Le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti che non abbiano rispettato le regole del patto di stabilità interno per l'anno 2003 non possono procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, secondo quanto previsto dall'articolo 29, comma 15, della legge 27 dicembre 2002, n. 289. In ogni caso sono consentite, previa autocertificazione degli enti, le assunzioni connesse al passaggio di funzioni e competenze alle regioni e agli enti locali il cui onere sia coperto dai trasferimenti erariali compensativi della mancata assegnazione di unità di personale. Per le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e l'Unioncamere, con decreto del Ministero delle attività produttive d'intesa con la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica e con il Ministero dell'economia e delle finanze, sono individuati specifici indicatori di equilibrio economico-finanziario, volti a fissare criteri e limiti per le assunzioni a tempo indeterminato, nel rispetto delle percentuali di cui al presente comma (20/e).

 

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(20/e) La Corte costituzionale, con sentenza 13-17 dicembre 2004, n. 390 (Gazz. Uff. 22 dicembre 2004, n. 49 - Prima Serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità del presente comma, limitatamente alla parte in cui dispone che le assunzioni a tempo indeterminato «devono, comunque, essere contenute (...) entro percentuali non superiori al 50 per cento delle cessazioni dal servizio verificatesi nel corso dell'anno 2003». In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il D.P.C.M. 27 luglio 2004, per le province e i comuni, il D.P.C.M. 27 luglio 2004, per le amministrazioni regionali e per gli enti e le aziende appartenenti al servizio sanitario nazionale e il D.M. 24 novembre 2004, per le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e per l'Unioncamere.

 


Sentenza Corte costituzionale n. 390/2004

 

Commento alla decisione di

Matteo Barbero

''Blocco delle assunzioni'': le ragioni di una bocciatura

(per gentile concessione della Rivista telematica federalismi.it)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

- Valerio ONIDA                 Presidente

- Carlo MEZZANOTTE          Giudice

- Fernanda CONTRI                        “

- Guido NEPPI MODONA          “

- Piero Alberto CAPOTOSTI       “

- Franco BILE                                “

- Giovanni Maria FLICK              “

- Francesco AMIRANTE            “

- Ugo DE SIERVO                    “

- Romano VACCARELLA          “

- Paolo MADDALENA               “

- Alfio FINOCCHIARO                “

- Alfonso QUARANTA              “

- Franco GALLO                       “

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 34 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato –legge finanziaria del 2003), e dell’articolo 3, commi 53-55, 58, 60, 61 e 65, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria del 2004), promossi con ricorsi della Regione Marche (2 ricorsi), della Regione Toscana (2 ricorsi), della Regione Piemonte, della Regione Valle d’Aosta, della Regione Campania, della Regione Umbria, della Regione Emilia-Romagna (2 ricorsi) e della Regione Veneto, notificati il 25, il 26, il 28 febbraio ed il 1° marzo 2003, il 24 ed il 26 febbraio 2004, depositati in cancelleria il 4, il 5 ed il 7 marzo 2003, il 3 ed il 4 marzo 2004 ed iscritti ai numeri 14, 15, 18, 19, 21, 22, 25 e 26 del registro ricorsi 2003 ed ai numeri 31, 32 e 33, del registro ricorsi 2004.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

uditonell’udienza pubblica del 28 settembre 2004 il Giudice relatore Romano Vaccarella;

uditigli avvocati Stefano Grassi per la Regione Marche, Lucia Bora e Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana, Gabriele Pafundi per la Regione Piemonte, Vincenzo Cocozza per la Regione Campania, Giovanni Tarantini per la Regione Umbria, Franco Mastragostino per la Regione Emilia-Romagna, Mario Bertolissi per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Giancarlo Mandò per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1.– Con otto distinti ricorsi (iscritti ai numeri 14, 15, 18, 19, 21, 22, 25 e 26 del registro ricorsi del 2003), le Regioni Marche, Toscana, Piemonte, Valle d’Aosta, Campania, Umbria, Emilia-Romagna e Veneto hanno promosso giudizio di legittimità costituzionale, tra altre norme, dell’articolo 34 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), a norma del quale: a) le pubbliche amministrazioni di cui agli articoli 1, comma 2, e 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni provvedono alla rideterminazione delle dotazioni organiche nel rispetto del principio dell’invarianza della spesa e senza superare il numero dei posti di organico complessivi vigenti alla data del 29 settembre 2002 (commi 1 e 2); b) «sino al perfezionamento dei provvedimenti di cui al comma 1, le dotazioni organiche sono provvisoriamente individuate in misura pari ai posti coperti al 31 dicembre 2002, tenuto anche conto dei posti per i quali alla stessa data risultano in corso di espletamento procedure di reclutamento, di mobilità o di riqualificazione del personale» (comma 3); c) «per l’anno 2003, alle amministrazioni di cui al comma 1 (…) è fatto divieto di procedere ad assunzioni di personale relative a figure professionali non fungibili la cui consistenza organica non sia superiore all’unità, nonché quelle relative alle categorie protette» (comma 4); d) «per le regioni e le autonomie locali, nonché per gli enti del Servizio sanitario nazionale si applicano le diposizioni di cui al comma 11» (così il comma 10) il quale dispone che e) «ai fini del concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo accordo tra Governo, regioni e autonomie locali da concludere in sede di Conferenza unificata, sono fissati per le amministrazioni regionali, per le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti che abbiano rispettato le regole del patto di stabilità interno per l’anno 2002, per gli altri enti locali e per gli enti del Servizio sanitario nazionale, criteri e limiti per le assunzioni a tempo indeterminato per l’anno 2003. Tali assunzioni, fatto salvo il ricorso alle procedure di mobilità, devono, comunque, essere contenute (…) entro percentuali non superiori al 50 per cento delle cessazioni dal servizio verificatesi entro l’anno 2002 tenuto conto, in relazione alla tipologia di enti, della dimensione demografica, dei profili professionali del personale da assumere, della essenzialità dei servizi da garantire e dell’incidenza delle spese del personale sulle entrate correnti. Per gli enti del Servizio sanitario nazionale possono essere disposte esclusivamente assunzioni, entro i predetti limiti, di personale appartenente al ruolo sanitario»; f) «fino all’emanazione dei decreti di cui al presente comma . . . trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 4»; g) con i decreti medesimi «è altresì definito, per le regioni, per le autonomie locali e per gli enti del servizio sanitario nazionale, l’ambito applicativo delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 del presente articolo»; h) «per l’anno 2003 le amministrazioni di cui al comma 1 possono procedere all’assunzione di personale a tempo determinato, ad eccezione di quanto previsto all’art. 108 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, o con convenzioni ovvero alla stipula di contratti di collaborazione coordinata e continuativa nel limite del 90 per cento della spesa media annua sostenuta per le stesse finalità nel triennio 1999-2001. Tale limitazione non trova applicazione nei confronti delle regioni e delle autonomie locali, fatta eccezione per le province e i comuni che per l’anno 2002 non abbiano rispettato le regole del patto di stabilità interno, nonché nei confronti del personale infermieristico del Servizio sanitario nazionale» (comma 13).

 

1.1.– In particolare, la Regione Marche, con ricorso notificato il 26 febbraio 2003 (n. 14 del 2003), censura le disposizioni di cui ai commi 2, 3, 4 e 13 dell’art. 34 della legge n. 289 del 2002, in primo luogo per lesione della sfera di competenza legislativa regionale in violazione degli artt. 117, commi secondo, terzo, quarto e sesto della Costituzione.

La ricorrente osserva che la normativa in esame, prevedendo un vero e proprio blocco generalizzato delle assunzioni di personale per le amministrazioni pubbliche tra le quali sono comprese le Regioni, disciplina la materia delle assunzioni e delle dotazioni organiche delle amministrazioni regionali e degli enti facenti parte del Servizio sanitario nazionale che non è fra quelle per le quali lo Stato ha potestà legislativa esclusiva, limitata dall’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost. al solo “ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali”. Pertanto, la materia dell’“ordinamento e organizzazione amministrativa delle regioni, degli enti locali e degli enti pubblici sublocali” spetta inequivocabilmente alla competenza legislativa esclusiva delle Regioni che risulta così lesa dalla norma in questione.

Secondo la ricorrente non sarebbe possibile ricondurre le disposizioni impugnate entro i confini della materia – assegnata dall’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. alla competenza esclusiva statale – della “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, risultando quest’ultima eterogenea rispetto al blocco delle assunzioni e delle dotazioni organiche, in particolar modo, delle strutture del servizio sanitario nazionale.

Anche ove fosse possibile ricondurre la norma impugnata nell’alveo della materia – di competenza legislativa concorrente ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. – della “tutela della salute” o della “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica”, continuerebbero a sussistere profili di illegittimità costituzionale nella misura in cui le norme censurate non dettano principî fondamentali, ma disposizioni di dettaglio, direttamente applicabili ai destinatari e non cedevoli a fronte dell’eventuale esercizio della potestà legislativa regionale. Tanto più che, ai sensi dell’art. 2 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), compete alle Regioni la funzione legislativa ed amministrativa in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera.

Né infine sembra alla ricorrente che possa rivestire un qualche rilievo l’eventuale richiamo all’interesse nazionale, categoria non menzionata espressamente dalle norme del Titolo V della Costituzione e, comunque, inidonea ad escludere o limitare la potestà legislativa regionale;

Sarebbe inoltre ravvisabile una violazione dell’autonomia di spesa riconosciuta e garantita alle Regioni dall'art. 119 Cost., secondo cui queste sono l’unico soggetto abilitato a prevedere procedure e criteri di controllo della propria spesa pubblica, almeno fino a quando lo Stato non avrà dettato i principî di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario di cui all’art. 119, secondo comma, Cost.

Ancora, il comma 11 dell’art. 34, nel prevedere un’ipotesi di allocazione di decisioni amministrative presso la Presidenza del Consiglio dei ministri che incardina in organi statali le relative funzioni ed attività, viola l’art. 117, sesto comma, e l’art. 118, Cost. che fissano, rispettivamente, una ripartizione rigida della potestà regolamentare tra Stato e Regioni e i parametri costituzionali per la corretta distribuzione delle funzioni amministrative tra gli enti che costituiscono la Repubblica. Infatti, il decreto impugnato, per un verso, disciplina materie riconducibili all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost. in relazione alle quali la potestà regolamentare spetta esclusivamente alle Regioni e, per altro verso, non richiama, né sono diversamente rinvenibili, espressamente od implicitamente, specifiche ragioni di esercizio unitario della funzione amministrativa tali da consentirne la riserva al livello di governo sovraregionale.

Peraltro, la finalità del comma 11, di garantire “il concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica”, non consente al legislatore statale di intervenire in settori materiali dell’ordinamento che gli sono sottratti, come quello relativo all’organizzazione amministrativa della Regione e degli enti subregionali; né l’intervento legislativo censurato introduce norme di coordinamento della finanza pubblica, ma stabilisce dei vincoli alla politica delle assunzioni del personale di Regioni ed enti locali. D’altra parte, lo stesso art. 3 della legge 27 dicembre 2002 n. 289, nell’istituire un organo consultivo – l’Alta Commissione di studio – con il compito di indicare al Governo i principî generali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, ai sensi degli artt. 117, terzo comma, 118 e 119 della Costituzione, con evidenza rinvia l’individuazione di questi ad un futuro provvedimento legislativo statale, in tal modo inscrivendo le norme oggi censurate nella sfera di competenza legislativa residuale della regione.

Inoltre, la previsione di un accordo tra Governo, Regioni ed autonomie locali per fissare criteri e limiti per le assunzioni per l’anno 2003, se è coerente con il principio del coordinamento di cui all’art. 119 Cost., non può costituire lo strumento per applicare puntuali limiti fissati unilateralmente dal legislatore statale in violazione del medesimo art. 119 Cost.

 

1.1.1.– Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale conclude per l’infondatezza del ricorso, qualificando l’art. 34 impugnato quale norma, costituente una temporanea misura di salvaguardia, volta a stabilire principî in tema di «coordinamento della finanza pubblica», intesa come finanza «allargata» e cioè non solamente statale. Irrilevante risulterebbe inoltre la censura mossa al comma 13 della norma denunciata, in quanto essa, in tema di assunzioni a tempo determinato, espressamente prevede che «tale limitazione non trova applicazione nei confronti delle regioni».

 

1.2.– La Regione Toscana, con ricorso notificato il 26 febbraio 2003 (n. 15 del 2003), impugna l'art. 34, commi 1, 2, 3, 4, 11 e 13, della legge n. 289 del 2002, perché violativo dell’art. 117 Cost. il quale riserva la materia dell’ordinamento ed organizzazione amministrativa alla legislazione esclusiva statale solo con riguardo allo Stato ed agli enti pubblici nazionali, mentre attribuisce alle Regioni, nell’esercizio della potestà legislativa residuale, l’organizzazione amministrativa e l’ordinamento del personale delle Regioni e degli enti strumentali, ivi compresi gli enti del sistema sanitario regionale; peraltro, la prevista emanazione di decreti da emanarsi a seguito di accordo raggiunto in Conferenza unificata non eliderebbe la censura, in quanto tali decreti non possono certo sostituire l’esercizio di una potestà legislativa costituzionalmente affidata alle Regioni in via esclusiva.

Né la norma censurata è riconducibile nell’alveo della legittimità costituzionale in virtù del richiamo al rispetto degli obbiettivi di finanza pubblica imposto anche alle amministrazioni regionali, posto che tale principio va concretamente attuato mediante scelte assunte nell’esercizio dell’autonomia regionale che, nella specie, è compressa dalla previsione di disposizioni puntuali e di dettaglio.

 

1.2.1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, sostiene che l’intervento legislativo censurato non incide indebitamente sulla organizzazione dell’amministrazione regionale e dell’ordinamento del relativo personale, ma costituisce espressione di principî fondamentali in tema di coordinamento della finanza pubblica, mediante l’individuazione di criteri e limiti per le assunzioni a tempo indeterminato per il 2003 con d.P.C.m. che il previo accordo in sede di Conferenza unificata vale ad assicurare come adeguato alle peculiari esigenze del personale delle Regioni in relazione alle funzioni da svolgere.

 

1.3.– La Regione Piemonte, con ricorso notificato il 28 febbraio 2003 (n. 18 del 2003), impugna l’art. 34 della legge n. 289 del 2002 – con espressa menzione dei soli commi 1 e 11 – perché violativo della competenza regionale esclusiva in tema di organizzazione ed ordinamento del proprio personale dipendente ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost. Tale censura, a detta della ricorrente, non sarebbe superata dal previsto accordo fra Governo, Regioni ed enti locali in sede di Conferenza unificata ai fini dell’emanazione di un d.P.C.m. con la fissazione di criteri e limiti per le assunzioni a tempo indeterminato per l’anno 2003: i divieti così previsti hanno infatti carattere generalizzato ed appaiono privi di ogni giustificazione fondata su specifiche esigenze di ordine economico-finanziario. Vi sarebbe, inoltre, una interna contraddittorietà tra le dichiarate finalità di contenimento della spesa pubblica, realizzate mediante il divieto delle assunzioni a tempo indeterminato, e la possibilità di procedere senza limiti di spesa ad assunzioni a tempo determinato; in tal modo imponendo dall’esterno alle Regioni modalità operative per un contenimento della spesa in concreto non perseguito. Ciò che comporta la violazione dei principî di ragionevolezza e di buon andamento (articoli 3 e 97 Cost.).

Lamenta inoltre la ricorrente, senz’altro specificare, la violazione degli articoli 114, 118, 119 e 120 della Costituzione.

 

1.3.1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, conclude per la infondatezza del ricorso, sottolineando l’incongruenza del richiamo ai parametri costituiti dagli articoli 3 e 97 Cost., e la parziale inammissibilità per la genericità dei motivi riguardanti, in particolare, il comma 11.

 

1.4.– Con ricorso notificato il 28 febbraio 2002 (n. 19 del 2003), la Regione Valle d’Aosta denuncia l’illegittimità costituzionale dell’art. 34 della legge n. 289 del 2002, in relazione agli articoli 3, 5, 114, 117, 118 e 119 Cost., nonché all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della Parte seconda della Costituzione), deducendo, al pari degli altri ricorrenti, che la norma impugnata, disciplinando la materia del pubblico impiego presso le Regioni e gli altri enti locali, nonché la rideterminazione degli organici, invade la potestà legislativa esclusiva regionale garantita dall’art. 117, quarto comma, Cost. e che tali disposizioni, di tipo sicuramente dettagliato, nell’autorizzare una fonte secondaria (d.P.C.m.) ad intervenire sul punto, realizzano una violazione non sanabile attraverso il ricorso all’accordo da raggiungersi in sede di Conferenza unificata.

Rileva poi la ricorrente una violazione dell’art. 118 Cost. per la limitazione imposta all’autonomia organizzativa della Regione nelle proprie scelte discrezionali in tema di rapporti con il personale.

Inoltre, anche ove l’intervento legislativo statale fosse inscrivibile nell’area del coordinamento della finanza pubblica, trattandosi di materia concorrente sussisterebbe la violazione denunciata avendo lo Stato dettato norme non di principio ma dettagliate.

Infine, ove la ratio della norma dovesse risiedere nel rispetto del patto di stabilità interno, essa sarebbe afflitta da manifesta irragionevolezza e da sproporzione dei mezzi impiegati rispetto al fine perseguito (art. 3 Cost.) posto che il rispetto del patto di stabilità potrebbe essere perseguito solo mediante l’indicazione degli obbiettivi e non anche dei mezzi per farvi fronte, versandosi nell’ambito di prerogative costituzionalmente riconosciute alle Regioni.

 

1.4.1.– Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale, sulla base di difese analoghe a quelle già riferite, chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile e che sia comunque respinto in quanto infondato.

 

1.5.– Con ricorso notificato il 26 febbraio 2003 (n. 21 del 2003), la Regione Campania denuncia anch’essa l’illegittimità costituzionale dell’art. 34 della legge n. 289 del 2002, limitatamente ai commi 1, 2, 3, 4 e 11, in riferimento agli artt. 114, 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost.

Oltre a proporre censure già riferite a proposito degli altri ricorsi (lesione della potestà legislativa esclusiva regionale in tema di ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione e carattere dettagliato della norma), la ricorrente denuncia anche la violazione del principio di leale cooperazione per l’invasione delle competenze legislative esclusive della Regione.

 

1.5.1.– Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale conclude per l’inammissibilità della questione con riguardo al comma 11 per assenza di specifici motivi di censura e, per il resto, per il rigetto del ricorso, siccome infondato.

La difesa erariale osserva, in particolare, «che la spesa pubblica costituisce, tenuto doverosamente conto anche degli oneri riflessi e consequenziali, una quota cospicua della spesa degli enti territoriali: l’attribuzione del principio di invarianza della spesa passa necessariamente attraverso il contenimento delle dotazioni organiche».

1.6.– Con ricorso notificato il 28 febbraio 2003 (n. 22 del 2003), la Regione Umbria denuncia l’illegittimità costituzionale dell’art. 34 della legge n. 289 del 2002, limitatamente ai commi 1, 2, 3, 4, 10 – quest’ultimo nella parte in cui stabilisce che “per le regioni e le autonomie locali, nonché per gli enti del Servizio sanitario nazionale si applicano le disposizioni di cui al comma 11” – nonché ai commi 11 e 22, in riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost. e per indeterminatezza del dettato normativo.

In particolare, con riguardo ai commi 1, 2, 3, 4 e 10, la ricorrente pone in luce profili di contraddittorietà ed indeterminatezza del dettato normativo laddove, dapprima, sembrerebbe disporre l’applicazione anche alle Regioni della disciplina dei commi 1, 2 3 e 4 e poi, attraverso la disposizione del comma 10, pare invece rendere applicabile agli enti regionali quella derogatoria prevista dal comma 11.

Anche la Regione Umbria, come gli altri ricorrenti, deduce l’illegittimità della norma impugnata in quanto disciplina la materia, ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione, oggi riservata alla potestà legislativa esclusiva regionale ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.

Analoghi motivi di censura la ricorrente estende, ove ritenuto applicabile anche alle Regioni, al comma 22 dell’art. 34 cit. nella parte in cui prevede che le «altre amministrazioni pubbliche» sono tenute all’osservanza di quanto in esso stabilito con riguardo al fatto che «per ciascuno degli anni 2004 e 2005, a seguito del completamento degli adempimenti previsti dai commi 1 e 2 e previo esperimento delle procedure di mobilità, le amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo, le agenzie e gli enti pubblici non economici con organico superiore a 200 unità sono tenuti a realizzare una riduzione del personale non inferiore all’1 per cento rispetto a quello in servizio al 31 dicembre 2003 secondo le procedure di cui all’art. 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni».

 

1.6.1.– Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale conclude per l’inammissibilità ovvero per l’infondatezza del ricorso con argomentazioni analoghe a quelle spese avverso i ricorsi 14 e 15 del 2003.

 

1.7.– Anche la Regione Emilia-Romagna, con ricorso notificato il 7 marzo 2003 (n. 25 del 2003), denuncia l’illegittimità costituzionale dell’art. 34 della legge n. 289 del 2002, limitatamente ai commi 1, 2, 3, 4 e 11, in riferimento all’art. 117 Cost., osservando che la norma impugnata, avente carattere tipicamente ordinamentale ed organizzatorio, è come tale estranea al contenuto proprio della legge finanziaria, che non può certo costituire per lo Stato, in via sostitutiva, il titolo di competenza della sua legislazione in una materia (l’ordinamento del personale regionale e l’organizzazione amministrativa) oggi riservata alla potestà legislativa esclusiva delle Regioni ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.

La disposizione censurata inoltre violerebbe il canone della ragionevolezza col disporre il blocco delle assunzioni in una fase di completamento del processo di decentramento e dopo che la Regione Emilia-Romagna è già intervenuta, sul piano del contenimento della spesa per il personale, con una propria legge. V’è pertanto una lesione delle prerogative legislative regionali non giustificabile con la riserva statale in relazione al “sistema tributario e contabile dello Stato” (art. 117, secondo comma, lettera e) o all’“armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario” (art. 117, terzo comma), posto che quelle denunciate non sono «norme tese a realizzare effetti finanziari con decorrenza dal primo anno considerato nel bilancio pluriennale», ma si risolvono in misure tipicamente organizzatorie.

1.8.– Con ricorso notificato il 25 febbraio 2003 (n. 26 del 2003), anche la Regione Veneto denuncia l’illegittimità costituzionale dell’art. 34 della legge n. 289 del 2002, in riferimento agli articoli 3, 97, 114, 117, secondo e quarto comma, e 118, Cost.

La norma impugnata, ad avviso della ricorrente, comprime l’autonomia regionale in ordine alle esigenze organizzative, fissandone a priori i parametri e prescindendo da ogni valutazione della concreta realtà regionale: ciò in violazione dei principî di uguaglianza (art. 3 Cost.) e di buon andamento della p.a. (art. 97 Cost.).

Inoltre, la norma impugnata disciplina la materia dell’ordinamento del personale regionale, che è oggi riservata alla potestà legislativa esclusiva delle Regioni ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., né, comunque, avrebbe il tratto della normativa di principio, contenendo invece disposizioni di dettaglio che fissano criteri connotati da considerevole rigidità. Non vale infine a sanare l’illegittimità costituzionale la previsione dell’accordo tra Governo, Regioni ed autonomie locali.

 

1.8.1.– Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, spiegando difese analoghe a quelle articolate avverso i ricorsi 14 e 15 del 2003.

 

2.– . Con tre distinti ricorsi (iscritti ai nn. 31, 32 e 33 del registro ricorsi del 2004), le Regioni Marche, Toscana ed Emilia-Romagna hanno promosso giudizio di legittimità costituzionale, tra altre norme, dell’articolo 3, commi 53, 54, 55, 58, 60, 61 e 65 della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004).

Dispone l’art. 3, comma 53, riformulando l’art. 34, comma 4, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, che «per l’anno 2004, alle amministrazioni di cui agli articoli 1, comma 2, e 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, (…) è fatto divieto di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, fatte salve le assunzioni di personale relative a figure professionali non fungibili la cui consistenza organica non sia superiore all'unità, nonché quelle relative alle categorie protette (…). Per le autonomie regionali e locali e gli enti del Servizio sanitario nazionale sono fatte salve le assunzioni previste e autorizzate con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri 12 settembre 2003, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n. 239 del 14 ottobre 2003, e non ancora effettuate alla data di entrata in vigore della presente legge».

Il comma 54 prevede una deroga al divieto di cui al comma 53, nei limiti di una spesa annua lorda pari a 260 milioni di euro, per assunzioni di personale, necessario per soddisfare indilazionabili esigenze di servizio e previo esperimento delle procedure di mobilità, in favore (tra altri) degli “enti pubblici non economici”.

Il comma 55 descrive le procedure di autorizzazione alle assunzioni in deroga di cui al comma precedente, ed il comma 56 prevede, per quel che qui interessa, che “per le regioni e le autonomie locali, nonché per gli enti del Servizio sanitario nazionale (…) si applicano le disposizioni di cui al comma 60”.

Il comma 60 riproduce, pressoché letteralmente, con riguardo al 2004, quanto l’art. 34, comma 11, della legge n. 289 del 2002 disponeva per il 2003, precisando che le disposizioni di cui al comma 53 e quelle «dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri 12 settembre 2003» trovano «applicazione in via provvisoria e fino all’emanazione» dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri previsti dal medesimo comma 60.

Il comma 61 proroga di un anno i termini di validità delle graduatorie per le assunzioni presso amministrazioni pubbliche soggette, per il 2004, a limitazioni delle assunzioni ed il comma 65 fissa, “per le amministrazioni di cui al comma 53”, limiti di spesa per il personale a tempo determinato precisando che “le limitazioni di cui al presente comma non trovano applicazione nei confronti delle Regioni …”.

 

2.1.– Con ricorso notificato il 24 febbraio 2004 (n. 31 del 2004), la Regione Marche denuncia l’illegittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 117, commi terzo, quarto e sesto, 118 e 119 Cost., dell’art. 3, commi 53, 60 e 65, della legge n. 350 del 2003, muovendo censure analoghe a quelle spiegate col ricorso n. 14 del 2003 avverso le corrispondenti disposizioni della legge n. 289 del 2002, come parzialmente riformulata dalla legge finanziaria per l’anno 2004.

 

2.1.1.– Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata in parte inammissibile e per il resto infondata.

In particolare, non sussisterebbe l’interesse della Regione a censurare il comma 65, posto che esso potrebbe avere rilievo solo per la parte in cui pone limiti di spesa che, tuttavia, per espressa previsione, «non trovano applicazione nei confronti delle regioni e delle autonomie locali».

Con riguardo invece ai commi 53 e 60, essi trovano la loro ratio nel «concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica», che si radica nell’art. 119 Cost. Quest’ultima norma si salderebbe a sua volta con la previsione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. che riserva allo Stato una fondamentale materia definibile come «governo dell’economia nazionale».

Inoltre, nel porre il divieto di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato durante l’anno 2004, la norma censurata avrebbe carattere generale e di principio, ancorché sia di per sé self-executing.

 

2.2– Con ricorso notificato il 26 febbraio 2004 (n. 32 del 2004), la Regione Toscana denuncia l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge n. 350 del 2003, limitatamente ai commi 53, 54, 55, 60 e 61, in riferimento all’art. 117 Cost., anch’essa muovendo censure analoghe a quelle spiegate col ricorso n. 15 del 2003 avverso le corrispondenti disposizioni della legge n. 289 del 2002, come parzialmente riformulate dalla legge finanziaria per il 2004.

 

2.2.1.– Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale nel chiedere che la questione sia dichiarata in parte inammissibile e per il resto infondata, articola difese analoghe a quelle spiegate avverso il ricorso n. 31 del 2004.

2.3.– Con ricorso notificato il 24 febbraio 2004 (n. 33 del 2004), anche la Regione Emilia-Romagna denuncia l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge n. 350 del 2003, limitatamente ai commi 53, 58 e 60, in riferimento all’art. 117 Cost. ed al canone della ragionevolezza, anch’essa riproponendo censure analoghe a quelle spiegate col ricorso n. 25 del 2003 avverso il sistema delle corrispondenti disposizioni della legge n. 289 del 2002 su cui le odierne norme hanno parzialmente inciso.

 

3.– Nell’imminenza dell’udienza hanno depositato memorie le Regioni Marche, Toscana, Campania, Umbria, Emilia-Romagna e Veneto, ribadendo le argomentazioni svolte, rispettivamente, a sostegno dei ricorsi numeri 14, 15, 21, 22, 25 e 26 del 2003 proposti avverso l’art. 34 della legge n. 289 del 2002, e le Regioni Marche, Toscana e Emilia-Romagna per ribadire le argomentazioni svolte a sostegno dei ricorsi n. 31, 32 e 33 del 2004 proposti avverso l’art. 3, commi 53 e seguenti, della legge n. 350 del 2003.

In particolare, la Regione Umbria (reg. ric. n. 22 del 2003) precisa che il proprio interesse alla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 34 della legge n. 289 del 2002 è limitato al solo periodo per il quale questa ha trovato applicazione, posto che l’art. 1, comma 3, del d.P.C.m. 12 settembre 2003, emanato in attuazione dell’art. 34, comma 11, ha escluso, limitatamente al regime delle assunzioni, «le regioni e i rispettivi enti strumentali e dipendenti delle medesime per i quali sussistono provvedimenti che dichiarano lo stato di emergenza derivante da terremoti o calamità naturali», tra i quali è la ricorrente con riguardo al periodo che va dal 12 settembre al 31 dicembre 2003.

L’Avvocatura generale dello Stato, a sua volta, ha depositato memorie a confutazione dei ricorsi.

In particolare, con riguardo ai ricorsi delle Regioni Marche (n. 14 del 2003 e n. 31 del 2004), Piemonte (n. 18 del 2003), Valle d’Aosta (n. 19 del 2003), Campania (n. 21 del 2003), Umbria ( n. 22 del 2003), Emilia-Romagna (n. 25 del 2003 e n. 33 del 2004) la difesa erariale chiede che venga pronunciata la cessazione della materia del contendere, per il venir meno dell’interesse delle ricorrenti, sia con riguardo alle censure che investono l’art. 34 della legge n. 289 del 2002, sia relativamente alla totalità delle doglianze formulate nei ricorsi numeri 31 e 33 del 2004, tenuto conto, in riferimento alla prima questione, che il 12 settembre 2003 sono stati pubblicati due decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’art. 34 cit., in conformità del raggiunto accordo tra Stato e Regioni del 19 giugno 2003, l’uno relativo alle amministrazioni regionali ed alle aziende sanitarie e l’altro agli enti locali e, con riferimento alla seconda, è stato perfezionato analogo accordo del 20 maggio 2004 sulla cui base è in via di emanazione altro decreto presidenziale. L’adesione a questi accordi, ad avviso della deducente, sarebbe infatti oggettivamente incompatibile con il permanere delle doglianze.

4.– Le Regioni Piemonte (dichiarando di non avere più interesse alla decisione) e Valle d’Aosta (giusta delibera della Giunta) hanno rinunciato ai ricorsi (rispettivamente n. 18 e n. 19 del 2003) da esse proposti.

 

Considerato in diritto

 

1.– Preliminarmente, va dichiarata l’estinzione del giudizio limitatamente ai ricorsi nn. 18 e 19 del 2003 delle Regioni Piemonte e Valle d’Aosta per rinuncia.

 

2.– Sempre in via preliminare, va disposta – per la parte in cui investono, con censure largamente coincidenti, l’art. 34 della legge n. 289 del 2002, e riservando ad altre pronunce la decisione per la parte in cui investono altre norme della citata legge – la riunione dei ricorsi numeri 14, 15, 21, 22, 25 e 26 del 2003, attesa l’evidente comunanza di oggetto e di questioni.

Analogo provvedimento di riunione si impone per i ricorsi numeri 31, 32 e 33 del 2003 per la parte in cui tutti investono, con argomentazioni sostanzialmente analoghe, l’art. 3, commi 53-65, della legge n. 350 del 2003, riservando a distinte pronunce la decisione per la parte in cui investono altre disposizioni della citata legge.

La sostanziale coincidenza del contenuto normativo investito dai ricorsi numeri 14, 15, 21, 22, 25 e 26 del 2003 e dai ricorsi numeri 31, 32 e 33 del 2004, rende manifesta l’opportunità della loro decisione con unica sentenza.

 

3.– Le censure mosse nei confronti dell’art. 34, commi 1, 2, 3, 4, 6, 10, 13 e 22, della legge n. 289 del 2002 devono essere respinte.

Se è vero, infatti, che l’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), richiamato dal comma 1, fa riferimento anche alle Regioni, è d’altra parte vero che il comma 10 dispone espressamente che alle Regioni si applicano – in luogo dei commi ad esso precedenti – le disposizioni del comma 11 (il quale, come si dirà, dispone autonomamente circa l’applicabilità dei commi 1, 2, 3 e 4).

Il comma 13, a sua volta, esclude esplicitamente che la limitazione (riguardante l’assunzione di personale a tempo determinato) in esso prevista si applichi alle Regioni.

Il comma 22, infine, non contiene alcun esplicito obbligo (in particolare, di riduzione del personale non inferiore all’uno per cento) delle Regioni (alle quali non può certamente riferirsi la generica locuzione “enti pubblici non economici”), ma contiene esclusivamente la previsione che “le altre amministrazioni pubbliche adeguano le proprie politiche di reclutamento di personale al principio di contenimento della spesa in coerenza con gli obiettivi fissati dai documenti di finanza pubblica”. E’ appena il caso di rilevare che tale previsione costituisce un principio di “coordinamento della finanza pubblica” (art. 117, terzo comma, Cost.) che la legislazione statale è certamente legittimata a fissare, e che non limita in alcun modo l’autonomia regionale riguardo ai concreti strumenti (adeguamento delle proprie “politiche di reclutamento del personale”) attraverso i quali quell’obiettivo (“contenimento della spesa”) può essere raggiunto.

 

4.– Le censure mosse al comma 11 sono fondate nei limiti di seguito precisati.

Non è fondata la censura volta a contestare che la legge statale possa prevedere meccanismi e procedure – ed in particolare l’«accordo tra Governo, regioni e autonomie locali, da concludere in sede di Conferenza unificata» –, volti a far sì che vi sia il «concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica», e possa inoltre prevedere che quanto previsto in quell’accordo sia trasfuso in un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che fissi «per le amministrazioni regionali, per le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti che abbiano rispettato le regole del patto di stabilità interno per l’anno 2002, per gli altri enti locali e per gli enti del Servizio sanitario nazionale, criteri e limiti per le assunzioni a tempo indeterminato per l’anno 2003».

Tale previsione, infatti, costituisce puntuale attuazione del precetto costituzionale che attribuisce alla legge statale il compito di provvedere al “coordinamento della finanza pubblica”: compito legittimamente assolto coinvolgendo nell’individuazione dei «criteri e limiti per le assunzioni a tempo indeterminato» le Regioni e le autonomie locali e, poi, cristallizzando in un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri l’accordo che fissa quei criteri e limiti.

La circostanza che il medesimo comma 11 disponga che «fino all’emanazione dei decreti (…) trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 4» – e cioè il «divieto di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato», fatte salve le eccezioni ivi previste – non costituisce violazione di alcuna norma costituzionale: si tratta, infatti, non solo di un divieto temporalmente limitato, ma anche e soprattutto di un divieto funzionalmente collegato all’accordo da raggiungere in sede di Conferenza unificata, quale strumento destinato a disciplinare, con il concorso delle autonomie regionali e locali, la materia delle assunzioni del personale a tempo indeterminato. E’ evidente che, in assenza di quel temporaneo divieto, le finalità perseguite con l’accordo sarebbero frustrate se, nelle more, le Regioni e gli enti locali potessero procedere, senza limiti di sorta, alle assunzioni ritenute opportune: come è evidente che l’intervento della legge statale in senso limitativo dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali non è meno legittimo per ciò che il divieto da essa posto è assoluto, ma la sua legittimità va affermata considerando il carattere strumentale di quel temporaneo divieto ai fini della efficacia ed effettività della futura disciplina che scaturirà in sede di Conferenza unificata.

Altrettanto ovvio è che in sede di accordo ben possono essere individuati profili della disciplina di cui ai commi 1, 2, 3 (rideterminazione delle piante organiche nel rispetto del “principio della invarianza della spesa” e loro tendenziale “congelamento”) da applicare alle Regioni ed agli enti locali, e che anche tali contenuti dell’accordo raggiunto in sede di Conferenza unificata ben possono essere trasfusi nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

Le medesime ragioni, che impongono il rigetto delle censure mosse alle disposizioni del comma 11 fin qui esaminate, comportano l’accoglimento di quelle rivolte alla previsione per cui le assunzioni a tempo indeterminato, «fatto salvo il ricorso alle procedure di mobilità, devono, comunque, essere contenute, fatta eccezione per il personale infermieristico del Servizio sanitario nazionale, entro percentuali non superiori al 50 per cento delle cessazioni dal servizio verificatesi nel corso dell’anno 2002».

Si tratta, infatti, di una disposizione che non si limita a fissare un principio di coordinamento della finanza pubblica, ma pone un precetto specifico e puntuale sull’entità della copertura delle vacanze verificatesi nel 2002, imponendo che tale copertura non sia superiore al 50 per cento: precetto che, proprio perché specifico e puntuale e per il suo oggetto, si risolve in una indebita invasione, da parte della legge statale, dell’area (organizzazione della propria struttura amministrativa) riservata alle autonomie regionali e degli enti locali, alle quali la legge statale può prescrivere criteri (ad esempio, di privilegiare il ricorso alle procedure di mobilità: sentenza n. 388 del 2004) ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica) ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi.

 

5.– Quanto ai ricorsi numeri 31, 32 e 33 del 2004 valgono mutatis mutandis – attesa la sostanziale identità di disciplina recata dall’art. 3, commi 53-60, della legge n. 350 del 2003 – le medesime conclusioni appena esposte con riguardo all’art. 34 della legge n. 289 del 2002.

Va quindi ribadito che né il comma 53 (ove è previsto il divieto di assunzioni a tempo indeterminato) né i commi 54 e 55 (che disciplinano deroghe, e relative procedure, a quel divieto) riguardano, in quanto tali, le Regioni, come chiarisce l’ultimo alinea del comma 58 stabilendo che «per le regioni e le autonomie locali, nonché per gli enti del Servizio sanitario nazionale (…) si applicano le disposizioni del comma 60».

Analoga esplicita previsione è contenuta nel comma 65 (limiti all’assunzione di personale a tempo determinato), mentre implicita, ma inequivoca, è l’estraneità delle Regioni a quanto dispone il comma 61 in ordine alla proroga del termine di validità delle graduatorie, dal momento che la norma riguarda esclusivamente “le amministrazioni pubbliche che per l’anno 2004 sono soggette a limitazioni delle assunzioni”.

Respinte, pertanto, le censure che investono i commi 53, 54, 55, 58, 61 e 65, occorre passare all’esame di quelle che concernono il comma 60: norma pressoché identica a quella contenuta nel comma 11 dell’art. 34 della legge n. 289 del 2002, e per la quale vale quanto si è precisato supra, n. 4, ribadendo l’infondatezza delle censure relative alla parte in cui si prevede che l’accordo raggiunto in sede di Conferenza unificata sia trasfuso in un d.P.C.m. che fissi criteri e limiti delle assunzioni a tempo indeterminato, nonché l’infondatezza di quelle relative alla disposizione a tenore della quale «fino all’emanazione dei decreti trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 53»; l’illegittimità costituzionale della disposizione a norma della quale le assunzioni a tempo indeterminato «devono comunque essere contenute (…) entro percentuali non superiori al 50 per cento delle cessazioni dal servizio verificatesi nel corso dell’anno 2003».

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i ricorsi numeri 14, 15, 18, 19, 21, 22, 25 e 26 del 2003 nonché i ricorsi numeri 31, 32 e 33 del 2004, e riservata a separate pronunce la decisione delle questioni in tali ricorsi sollevate relativamente a norme diverse dall’art. 34 della legge n. 289 del 2002 e dall’art. 3, commi 53-65, della legge n. 350 del 2003;

dichiara estinti per rinuncia i giudizi di cui al ricorso n. 18 del 2003 proposto dalla Regione Piemonte e n. 19 del 2003 proposto dalla Regione Valle d’Aosta;

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 11, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), limitatamente alla parte in cui dispone che le assunzioni a tempo indeterminato «devono, comunque, essere contenute (…) entro percentuali non superiori al 50 per cento delle cessazioni dal servizio verificatesi nel corso dell’anno 2002»;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale proposte, in riferimento agli articoli 3, 5, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione, nei confronti dell’art. 34, commi 1, 2, 3, 4, 10, 13 e 22 della predetta legge n. 289 del 2002;

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 60, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), limitatamente alla parte in cui dispone che le assunzioni a tempo indeterminato «devono, comunque, essere contenute (…) entro percentuali non superiori al 50 per cento delle cessazioni dal servizio verificatesi nel corso dell’anno 2003»;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale proposte, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, nei confronti dell’art. 3, commi 53, 54, 55, 58, 61 e 65, della suddetta legge n. 350 del 2003.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2004.

 

Valerio ONIDA, Presidente

Romano VACCARELLA, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 17 dicembre 2004.

 


L. 30 dicembre 2004, n. 311
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(legge finanziaria 2005)
(art. 1,
commi 11-14, 42)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 31 dicembre 2004, n. 306, S.O.

(1/a) La presente legge era stata modificata, con l'aggiunta dell'art. 1, comma 119-bis, dall'art. 1, D.L. 17 agosto 2005, n. 163, non convertito in legge.

 

 

Art. 11

(omissis)

11. Fermo quanto stabilito per gli enti locali dal comma 42, la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all'amministrazione sostenuta per ciascuno degli anni 2005, 2006 e 2007 dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, esclusi le università, gli enti di ricerca e gli organismi equiparati, non deve essere superiore a quella sostenuta nell'anno 2004. L'affidamento di incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze a soggetti estranei all'amministrazione in materie e per oggetti rientranti nelle competenze della struttura burocratica dell'ente, deve essere adeguatamente motivato ed è possibile soltanto nei casi previsti dalla legge ovvero nell'ipotesi di eventi straordinari. In ogni caso, l'atto di affidamento di incarichi e consulenze di cui al secondo periodo deve essere trasmesso alla Corte dei conti. L'affidamento di incarichi in assenza dei presupposti di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale.

12. Per ciascuno degli anni 2005, 2006 e 2007, le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono effettuare spese di ammontare superiore rispettivamente al 90, 80 e 70 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2004, come rideterminata ai sensi del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture. Ai fini di cui al primo periodo, le medesime pubbliche amministrazioni sono tenute a trasmettere, entro il 31 marzo 2005, al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato una relazione da cui risulti la consistenza dei mezzi di trasporto a disposizione e la loro destinazione. In caso di mancata trasmissione della relazione nei termini suddetti, le pubbliche amministrazioni inadempienti non possono effettuare, relativamente alle spese di cui al primo periodo, pagamenti in misura superiore al 50 per cento della spesa complessiva sostenuta nell'anno 2004 (1/b).

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(1/b) Vedi, anche, l'art. 4, O.P.C.M. 28 gennaio 2005, n. 3397.

 

13. Sulla base di effettive, motivate e documentate esigenze delle amministrazioni competenti, il Ministro dell'economia e delle finanze può, con proprio decreto, stabilire che le disposizioni di cui al primo periodo del comma 12 non si applicano alle spese sostenute da specifiche amministrazioni. Contestualmente alla loro adozione, i decreti di cui al primo periodo, corredati da apposite relazioni, sono trasmessi alle Camere.

14. Entro il 30 giugno 2005, il Ministro dell'economia e delle finanze trasmette alle Camere una relazione concernente lo stato di attuazione degli interventi di cui ai commi 12 e 13 in cui si evidenzino i risultati conseguiti in termini di riduzione della spesa.

(omissis)

42. L'affidamento da parte degli enti locali di incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze a soggetti estranei all'amministrazione, deve essere adeguatamente motivato con specifico riferimento all'assenza di strutture organizzative o professionalità interne all'ente in grado di assicurare i medesimi servizi, ad esclusione degli incarichi conferiti ai sensi della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni. In ogni caso l'atto di affidamento di incarichi e consulenze di cui al primo periodo deve essere corredato della valutazione dell'organo di revisione economico-finanziaria dell'ente locale e deve essere trasmesso alla Corte dei conti. L'affidamento di incarichi in difformità dalle previsioni di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano agli enti con popolazione superiore a 5.000 abitanti.

 


D.L. 12 luglio 2004, n. 168
Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica
(art. 1, commi 4-5 e 8-11, art. 3, comma 1)

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 12 luglio 2004, n. 161, S.O. e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 30 luglio 2004, n. 191 (Gazz. Uff. 31 luglio 2004, n. 178, S.O.), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione.

 

Art. 1.

Interventi correttivi di finanza pubblica.

(omissis)

4. All'articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) nella rubrica sono soppresse le parole: «che abbiano rilevanza nazionale»;

b) al comma 1 sono soppresse le parole: «a rilevanza nazionale»;

c) il comma 3 è sostituito dai seguenti:

«3. Le amministrazioni pubbliche possono ricorrere alle convenzioni stipulate ai sensi del comma 1, ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo-qualità, come limiti massimi, per l'acquisto di beni e servizi comparabili oggetto delle stesse, anche utilizzando procedure telematiche per l'acquisizione di beni e servizi ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 4 aprile 2002, n. 101. La stipulazione di un contratto in violazione del presente comma è causa di responsabilità amministrativa; ai fini della determinazione del danno erariale si tiene anche conto della differenza tra il prezzo previsto nelle convenzioni e quello indicato nel contratto. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano ai comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti e ai comuni montani con popolazione fino a 5.000 abitanti.

3-bis. I provvedimenti con cui le amministrazioni pubbliche deliberano di procedere in modo autonomo a singoli acquisti di beni e servizi sono trasmessi alle strutture e agli uffici preposti al controllo di gestione, per l'esercizio delle funzioni di sorveglianza e di controllo, anche ai sensi del comma 4. Il dipendente che ha sottoscritto il contratto allega allo stesso una apposita dichiarazione con la quale attesta, ai sensi e per gli effetti degli articoli 47 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e successive modifiche, il rispetto delle disposizioni contenute nel comma 3.» (2).

5. Dopo l'articolo 198 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è inserito il seguente:

«Art. 198-bis (Comunicazione del referto). - 1. Nell'àmbito dei sistemi di controllo di gestione di cui agli articoli 196, 197 e 198, la struttura operativa alla quale è assegnata la funzione del controllo di gestione fornisce la conclusione del predetto controllo, oltre che agli amministratori ed ai responsabili dei servizi ai sensi di quanto previsto dall'articolo 198, anche alla Corte dei conti.».

(omissis)

8. Per l'anno 2004 gli enti previdenziali pubblici si adeguano ai princìpi di cui al presente articolo riducendo le proprie spese di funzionamento per consumi intermedi non aventi natura obbligatoria in misura non inferiore al 30 per cento rispetto alle previsioni iniziali. Gli importi derivanti da tali riduzioni sono resi indisponibili previo accantonamento in apposito fondo, fino a diversa determinazione da adottare con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze. La riduzione non si applica, comunque, alle spese dipendenti dalla prestazione di servizi correlati a diritti soggettivi dell'utente.

9. La spesa annua sostenuta nell'anno 2004 dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, escluse le università, gli enti di ricerca e gli organismi equiparati, per studi ed incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all'amministrazione, deve essere non superiore alla spesa annua mediamente sostenuta nel biennio 2001 e 2002, ridotta del 15 per cento. L'affidamento di incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze a soggetti estranei all'amministrazione in materie e per oggetti rientranti nelle competenze della struttura burocratica dell'ente, deve essere adeguatamente motivato ed è possibile soltanto nei casi previsti dalla legge ovvero nell'ipotesi di eventi straordinari. In ogni caso va preventivamente comunicato agli organi di controllo ed agli organi di revisione di ciascun ente. L'affidamento di incarichi in assenza dei presupposti di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. Le pubbliche amministrazioni, nell'esercizio dei diritti dell'azionista nei confronti delle società di capitali a totale partecipazione pubblica, adottano le opportune direttive per conformarsi ai princìpi di cui al presente comma. Le predette direttive sono comunicate in via preventiva alla Corte dei conti. La disposizione di cui al presente comma non si applica agli organismi collegiali previsti per legge o per regolamento, ovvero dichiarati comunque indispensabili ai sensi dell'articolo 18 della legge 28 dicembre 2001, n. 448. Ferma restando l'invarianza della spesa complessiva come rideterminata dal primo periodo del presente comma gravante sul bilancio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per i centri di responsabilità amministrativa afferenti ai Ministri senza portafoglio il limite di spesa stabilito dal presente comma può essere superato in casi eccezionali previa adozione di un motivato provvedimento da parte del Ministro competente (2/a).

10. La spesa annua sostenuta nell'anno 2004 dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per missioni all'estero e spese di rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni, deve essere non superiore alla spesa annua mediamente sostenuta negli anni dal 2001 al 2003, ridotta del 15 per cento. Gli atti e i contratti posti in essere, dalla data di entrata in vigore del presente decreto, in violazione della disposizione contenuta nel primo periodo del presente comma costituiscono illecito disciplinare e determinano responsabilità erariale. Gli organi di controllo e gli organi di revisione di ciascun ente vigilano sulla corretta applicazione del presente comma. Il limite di spesa stabilito dal presente comma può essere superato in casi eccezionali, previa adozione di un motivato provvedimento adottato dall'organo di vertice dell'amministrazione, da comunicare preventivamente agli organi di controllo ed agli organi di revisione dell'ente (3).

11. In coerenza con le riduzioni di spesa per consumi intermedi previste dal presente articolo, ai fini della tutela dell'unità economica della Repubblica, ciascuna regione a statuto ordinario, ciascuna provincia e ciascun comune con popolazione superiore a 5.000 abitanti concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2004-2006 assicurando che la spesa per l'acquisto di beni e servizi, esclusa quella dipendente dalla prestazione di servizi correlati a diritti soggettivi dell'utente, sostenuta nell'anno 2004 non sia superiore alla spesa annua mediamente sostenuta negli anni dal 2001 al 2003, ridotta del 10 per cento. Tale riduzione si applica anche alla spesa per missioni all'estero e per il funzionamento di uffici all'estero, nonché alle spese di rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni ed alla spesa per studi ed incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all'amministrazione, inclusi quelli ad alto contenuto di professionalità conferiti ai sensi del comma 6 dell'articolo 110 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Si applicano il secondo, il terzo, il quarto, il quinto ed il sesto periodo del comma 9, nonché il secondo, il terzo ed il quarto periodo del comma 10. Per le regioni e gli enti locali che hanno rispettato, nell'anno 2003 e fino al 30 giugno 2004, gli obiettivi previsti relativamente al Patto di stabilità interno, la riduzione del 10 per cento non si applica con riferimento alle spese che siano già state impegnate alla data di entrata in vigore del presente decreto (4).

(omissis)

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(2) Comma così modificato dalla legge di conversione 30 luglio 2004, n. 191.

(2/a) Comma così modificato dall'art. 7-septiesdecies, D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione. In precedenza il presente comma era stato modificato dall'art. 6, D.L. 29 novembre 2004, n. 280, non convertito in legge.

(3) Comma così modificato dalla legge di conversione 30 luglio 2004, n. 191.

(4) Comma così modificato dalla legge di conversione 30 luglio 2004, n. 191.

 

 

Art. 3.

Disposizioni in materia di finanza regionale.

1. All'articolo 3 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, dopo il comma 21, sono inseriti i seguenti:

«21-bis. In deroga a quanto stabilito dal comma 18, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono ricorrere all'indebitamento per finanziare contributi agli investimenti a privati entro i seguenti limiti:

a) impegni assunti al 31 dicembre 2003, al netto di quelli già coperti con maggiori entrate o minori spese, derivanti da obbligazioni giuridicamente perfezionate, finanziati con ricorso all'indebitamento e risultanti da apposito prospetto da allegare alla legge di assestamento del bilancio 2004;

b) impegni assunti nel corso dell'anno 2004, derivanti da obbligazioni giuridicamente perfezionate e risultanti dalla elencazione effettuata nei prospetti dei mutui autorizzati alla data di approvazione della legge di bilancio per l'anno 2004, con esclusione di qualsiasi variazione in aumento che dovesse essere apportata successivamente.

21-ter. L'istituto finanziatore può concedere i finanziamenti destinati ai contributi agli investimenti a privati soltanto se compresi nei prospetti di cui al comma 21-bis; a tale fine, è tenuto ad acquisire apposita attestazione dall'ente territoriale.».

(omissis)

 


D.d.l. A.C. 6177
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006)
(art. 1, commi 6-8, 30-48, 93-10
3, 132-140)

 

 

Articolo 1

 

6. Fermo quanto stabilito dall’articolo 1, comma 11, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all’amministrazione, sostenuta dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, esclusi le università, gli enti di ricerca e gli organismi equiparati, a decorrere dall’anno 2006, non potrà essere superiore al 50 per cento di quella sostenuta nell’anno 2004.

7. A decorrere dall’anno 2006 le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, non possono effettuare spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza, per un ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell’anno 2004 per le medesime finalità.

8. Per l’acquisto, la manutenzione, il noleggio e l’esercizio di autovetture, le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, con esclusione di quelle operanti per l’ordine e la sicurezza pubblica, a decorrere dall’anno 2006 non possono effettuare spese di ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell’anno 2004.

 

omissis

 

38. Le indennità mensili spettanti ai membri dei Parlamento nazionale sono rideterminate in riduzione nel senso che il loro ammontare massimo, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 ottobre 1965, n.1261, è diminuito del 10 per cento. Tale rideterminazione si applica anche alle indennità mensili spettanti ai membri del Parlamento europeo eletti in Italia ai sensi dell’articolo 1 della legge 13 agosto 1979, n. 384.

39. E’ altresì ridotto del 10 per cento il trattamento economico spettante ai sottosegretari ai sensi dell’articolo 2 della legge 8 aprile 1952, n. 212.

40. Per esigenze di coordinamento della finanza pubblica, sono rideterminate in riduzione nella misura del 10 per cento rispetto all’ammontare risultante alla data del 30 settembre 2005 i seguenti emolumenti:

a) le indennità di funzione spettanti ai sindaci, ai presidenti delle province e delle regioni, ai presidenti delle comunità montane, ai presidenti dei consigli circoscrizionali, comunali, provinciali e regionali, ai componenti degli organi esecutivi e degli uffici di presidenza dei consigli dei citati enti;

b) le indennità e i gettoni di presenza spettanti ai consiglieri circoscrizionali, comunali, provinciali, regionali e delle comunità montane;

c) le utilità comunque denominate spettanti per la partecipazione ad organi collegiali dei soggetti di cui alle lettere a) e b) in ragione della carica rivestita.

41. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge e per un periodo di tre anni gli emolumenti di cui al comma 39 non possono superare gli importi risultanti alla data del 30 settembre 2005, come ridotti ai sensi del medesimo comma 39.

42. Le somme riguardanti indennità, compensi, retribuzioni o altre utilità comunque denominate, corrisposti per incarichi di consulenza da parte delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, sono automaticamente ridotte del 10 per cento rispetto agli importi risultanti alla data del 30 settembre 2005.

43. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge e per un periodo di tre anni ciascuna pubblica amministrazione di cui al comma 42 non può stipulare contratti di consulenza che nel loro complesso siano di importo superiore rispetto all’ammontare totale dei contratti in essere al 30 settembre 2005, come automaticamente ridotti ai sensi del medesimo comma 42.

44. Le somme riguardanti indennità, compensi, gettoni, retribuzioni o altre utilità comunque denominate, corrisposti ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque denominati, presenti nelle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, e nelle società e negli enti da queste ultime controllate, sono automaticamente ridotte del 10 per cento rispetto agli importi risultanti alla data del 30 settembre 2005.

45. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge e per un periodo di tre anni gli emolumenti di cui al comma 44 non possono superare gli importi risultanti alla data del 30 settembre 2005, come ridotti ai sensi del medesimo comma 44.

46. Le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, trasmettono al Ministro dell’economia e delle finanze, entro il 30 novembre 2006, una relazione sull’attuazione delle disposizioni di cui ai commi da 38 a 48 e sui conseguenti effetti finanziari.

47. I compensi dei componenti gli organi di autogoverno della magistratura ordinaria, amministrativa, contabile, tributaria, militare, e dei componenti del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL) sono ridotti del 10 per cento rispetto all’importo complessivo erogato nel corso del 2005. La riduzione non si applica al trattamento retributivo di servizio. Conseguentemente lo stanziamento a favore del Consiglio superiore della magistratura, del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali, del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione siciliana, dell’Avvocatura di Stato, del CNEL e del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria è proporzionalmente ridotto nel limite del 10 per cento dell’importo complessivamente assegnato nell’esercizio 2005.

48. A decorrere dal 1º gennaio 2006 e per un periodo di tre anni le somme derivanti dall’applicazione delle disposizioni di cui ai commi da 38 a 47, nonché le eventuali economie di spesa che il Senato della Repubblica e la Camera dei deputati nella propria autonomia avranno provveduto a comunicare, affluiscono al Fondo nazionale per le politiche sociali di cui all’articolo 59, comma 44, della legge 27 dicembre 1997, n. 449.

 

omissis

 

93. Ai fini della tutela dell’unità economica della Repubblica e a modifica di quanto stabilito per il patto di stabilità interno dall’articolo 1, commi da 21 a 41, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, le province, i comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti e le comunità montane con popolazione superiore a 50.000 abitanti concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2006-2008 con il rispetto delle disposizioni di cui ai commi da 94 a 103, che costituiscono princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione.

94. Il complesso delle spese correnti, con esclusione di quelle di carattere sociale, per ciascuna regione a statuto ordinario, determinato ai sensi del comma 96, non può essere superiore, per l’anno 2006, al corrispondente ammontare di spese correnti dell’anno 2004 diminuito del 3,8 per cento e, per gli anni 2007 e 2008, non può essere superiore al complesso delle corrispondenti spese correnti dell’anno precedente aumentato, rispettivamente, dello 0,4 per cento e del 2,5 per cento. Per gli stessi enti il complesso delle spese in conto capitale, determinato ai sensi del comma 97, non può essere superiore, per l’anno 2006, al corrispondente ammontare di spese in conto capitale dell’anno 2004 aumentato del 6,9 per cento e, per ciascuno degli anni 2007 e 2008, al complesso delle corrispondenti spese in conto capitale dell’anno precedente aumentato del 4 per cento.

95. Il complesso delle spese correnti, con esclusione di quelle di carattere sociale, per ciascuna provincia, per ciascun comune con popolazione superiore a 3.000 abitanti e per ciascuna comunità montana con popolazione superiore a 50.000 abitanti, determinato ai sensi del comma 96, non può essere superiore, per l’anno 2006, al corrispondente ammontare di spese correnti dell’anno 2004 diminuito del 6,7 per cento; per l’anno 2007, al complesso delle corrispondenti spese correnti dell’anno 2006 diminuito dello 0,3 per cento e, per l’anno 2008, al complesso delle corrispondenti spese correnti dell’anno 2007 aumentato dell’1,9 per cento. Per gli stessi enti il complesso delle spese in conto capitale, determinato ai sensi del comma 97, non può essere superiore, per l’anno 2006, al corrispondente ammontare di spese in conto capitale dell’anno 2004 aumentato del 10 per cento e, per ciascuno degli anni 2007 e 2008, al complesso delle corrispondenti spese in conto capitale dell’anno precedente aumentato del 4 per cento.

96. Il complesso delle spese correnti di cui al commi 94 e 95 deve essere calcolato, sia per la gestione di competenza che per quella di cassa, al netto delle:

a) spese di personale, cui si applica la specifica disciplina di settore;

b) spese per la sanità per le sole regioni, cui si applica la specifica disciplina di settore;

c) spese per trasferimenti correnti destinati alle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato e individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) nell’elenco annualmente pubblicato in applicazione di quanto stabilito dall’articolo 1, comma 5, della legge 30 dicembre 2004, n. 311;

d) spese di carattere sociale quali risultano dalla classificazione per funzioni previste dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 gennaio 1996, n. 194.

97. Il complesso delle spese in conto capitale di cui ai commi 94 e 95 deve essere calcolato, sia per la gestione di competenza che per quella di cassa, al netto delle:

a) spese per trasferimenti in conto capitale destinati alle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato e individuate dall’ISTAT nell’elenco annualmente pubblicato in applicazione di quanto stabilito dall’articolo 1, comma 5, della legge 30 dicembre 2004, n. 311;

b) spese derivanti dall’acquisizione di partecipazioni azionarie e altre attività finanziarie, da conferimenti di capitale e da concessioni di crediti.

98. Gli enti di cui al comma 93 possono eccedere i limiti di spesa stabiliti dai commi 94 e 95 per le spese in conto capitale nei limiti derivanti da corrispondenti riduzioni di spesa corrente aggiuntive rispetto a quelle stabilite dagli stessi commi 94 e 95.

99. Per gli anni 2006, 2007 e 2008, le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano concordano, entro il 31 marzo di ciascun anno, con il Ministero dell’economia e delle finanze il livello delle spese correnti e in conto capitale, nonché dei relativi pagamenti, in coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica per il periodo 2006-2008, anche con riferimento, per quanto riguarda le spese di personale, a quanto previsto ai punti 7 e 12 dell’accordo sottoscritto tra Governo, Regioni e autonomie locali in sede di Conferenza unificata il 28 luglio 2005; in caso di mancato accordo si applicano le disposizioni stabilite per le regioni a statuto ordinario. Per gli enti locali dei rispettivi territori provvedono, alle finalità di cui ai commi da 93 a 103, le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano ai sensi delle competenze alle stesse attribuite dai rispettivi statuti di autonomia e dalle relative norme di attuazione. Qualora le predette regioni e province autonome non provvedano, entro il 31 marzo di ciascun anno, si applicano, per gli enti locali dei rispettivi territori, le disposizioni previste per gli altri enti locali. Resta ferma la facoltà delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano di estendere le regole del patto di stabilità interno nei confronti degli enti ed organismi strumentali.

100. Gli enti di nuova istituzione nell’anno 2006, o negli anni successivi, sono soggetti alle regole del patto di stabilità interno dall’anno in cui è disponibile la base annua di calcolo su cui applicare dette regole.

101. Le disposizioni di cui ai commi 6, 7 e 8, al fine di realizzare le riduzioni di spesa corrente di misura non inferiore a quelle ivi indicate, costituiscono obiettivi prioritari di contenimento della spesa pubblica nell’ambito dell’obiettivo generale individuato dal patto di stabilità interno per le regioni e gli enti locali.

102. Continuano ad applicarsi le disposizioni recate dall’articolo 1, commi 30, 31, 32, 33, 34, 35 e 37, della legge 30 dicembre 2004, n. 311.

103. I limiti di spesa per gli enti locali sono determinati in misura più favorevole o sfavorevole rispetto a quelli previsti dal comma 95 a seconda che l’ente presenti un livello di spesa annua pro capite, rispettivamente inferiore o superiore alla spesa media pro capite del triennio 2002-2004 della fascia demografica di appartenenza quale individuata ai sensi dell’articolo 1, comma 22, lettera a), della legge 30 dicembre 2004, n. 311. I limiti sono determinati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'interno e sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, in misura tale che venga comunque conseguito l’obiettivo complessivo di finanza pubblica stabilito per gli enti locali di commi da 93 a 103.

 

omissis

 

132. Le amministrazioni regionali e gli enti locali di cui all’articolo 2, commi 1 e 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché gli enti del Servizio sanitario nazionale, fermo restando il conseguimento delle economie di cui all’articolo 1, commi 98 e 107, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica adottando misure necessarie a garantire che le spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell’IRAP, non superino per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008 il corrispondente ammontare dell’anno 2004 diminuito dell’1 per cento. A tal fine si considerano anche le spese per il personale a tempo determinato, con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, o che presta servizio con altre forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni.

133. Ai fini dell’applicazione del comma 132 le spese di personale sono considerate al netto:

a) per l’anno 2004 delle spese per arretrati relativi ad anni precedenti per rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro;

b) per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008 delle spese derivanti dai rinnovi dei contratti collettivi nazionali di lavoro intervenuti successivamente all’anno 2004 e delle spese per assunzioni di personale a tempo indeterminato consentite ai sensi dell’articolo 1, commi 98 e 107, della legge 30 dicembre 2004, n. 311.

134. Gli enti destinatari del comma 132, nella loro autonomia, possono fare riferimento, quali indicazioni di principio per il conseguimento degli obiettivi di contenimento della spesa di cui al comma 132, alle misure della presente legge riguardanti il contenimento della spesa per la contrattazione integrativa e i limiti all’utilizzo di personale a tempo determinato, nonché alle altre specifiche misure in materia di personale.

135. Gli enti locali di cui all’articolo 2, commi 1 e 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, possono altresì concorrere al conseguimento degli obiettivi di cui al comma 132 attraverso interventi diretti alla riduzione dei costi di funzionamento degli organi istituzionali, da adottare ai sensi dell’articolo 82, comma 11, del medesimo testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e delle altre disposizioni normative vigenti.

136. Al finanziamento degli oneri contrattuali del biennio 2004-2005 concorrono le economie di spesa di personale riferibili all’anno 2005 come individuate dall’articolo 1, comma 91, della legge 30 dicembre 2004, n. 311.

137. Per gli enti del Servizio sanitario nazionale le disposizioni del comma 132 costituiscono strumento di rafforzamento della citata intesa Stato-regioni del 23 marzo 2005. Gli effetti di tali disposizioni sono valutati nell’ambito del tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti di cui all’articolo 12 della medesima Intesa, ai fini del concorso da parte dei predetti enti al rispetto degli obblighi comunitari ed alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica di cui all’articolo 1, comma 164, della legge 30 dicembre 2004, n. 311.

138. Alla verifica del rispetto degli adempimenti previsti dal comma 132 si procede, per le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, le province, i comuni con popolazione superiore a 30.000 abitanti e le comunità montane con popolazione superiore a 50.000 abitanti, attraverso il sistema di monitoraggio di cui all’articolo 1, comma 30, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e per gli altri enti destinatari della norma attraverso apposita certificazione, sottoscritta dall’organo di revisione contabile, da inviarsi al Ministero dell’economia e delle finanze, entro sessanta giorni dalla chiusura dell’esercizio finanziario di riferimento.

139. Per le regioni e le autonomie locali le economie derivanti dall’attuazione del comma 132 restano acquisite ai bilanci degli enti ai fini del miglioramento dei relativi saldi.

140. Le disposizioni dei commi da 132 a 139 costituiscono princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione.

 



[1] Convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191.

[2] Cfr. anche la sentenza della Corte costituzionale n. 36 del 2004.