XIV Legislatura - Dossier di documentazione | |||||||
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento bilancio | ||||||
Altri Autori: | Servizio Studi - Dipartimento affari sociali , Servizio Studi - Dipartimento agricoltura , Servizio Studi - Dipartimento ambiente , Servizio Studi - Dipartimento attività produttive , Servizio Studi - Dipartimento bilancio , Servizio Studi - Dipartimento finanze , Servizio Studi - Dipartimento istituzioni , Servizio Studi - Dipartimento lavoro | ||||||
Titolo: | Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale - A.C. 5736-A - Schede di lettura | ||||||
Serie: | Progetti di legge Numero: 743 Progressivo: 2 | ||||||
Data: | 28/06/05 | ||||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: |
I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni
V-Bilancio, Tesoro e programmazione | ||||||
Riferimenti: |
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Servizio studi |
progetti di legge |
Piano di azione per lo sviluppo A.C. 5736-A Schede di lettura |
n. 743/2
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28 giugno 2005 |
Camera dei deputati
Coordinamento: Dipartimento Bilancio e politica economica
I dossier del Servizio studi sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
File: BI0809c.doc
I N D I C E
Scheda di sintesi per l’istruttoria legislativa
Elementi per l’istruttoria legislativa
§ Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite
§ Incidenza sull’ordinamento giuridico
§ Articolo 1 (Delega al Governo per l’adeguamento dei sistemi contabili pubblici)
§ Articolo 2, comma 1 (Assistenza e rappresentanza dei contribuenti)
§ Articolo 2, comma 2 (Obblighi connessi alla tenuta dei registri di carico e scarico dei rifiuti)
§ Articolo 2, comma 3 (Asseverazione doganale)
§ Articolo 2, comma 4 (Assistenza dinnanzi alle Commissioni tributarie)
§ Articolo 2, comma 5 (Consorzi sviluppo industriale)
§ Articolo 3 (Fermo amministrativo)
§ Articolo 5 (Delega al Governo per il riordino della normativa sulla sicurezza degli impianti)
§ Articolo 6 (Obbligo di denaturazione del gasolio per uso riscaldamento)
§ Articolo 8, commi 3-7 (Disposizioni in materia di energia elettrica e gas)
§ Articolo 8, comma 10 (Compensi dei membri dell’Osservatorio nazionale sulle fonti rinnovabili)
§ Articolo 8, comma 14 (Interventi di bonifica dell’area di Sesto San Giovanni)
§ Articolo 8, comma 15 (Energia idroelettrica)
§ Articolo 9, commi 1-11 (Legge obiettivo per le città)
§ Articolo 9, comma 12 (Pubblicità dei servizi di trasporto pubblico locale)
§ Articolo 10, commi 1-6 (Fondo rotativo di innovazione tecnologica)
§ Articolo 10, comma 7 (Tutela dei brevetti)
§ Articolo 11 (Convenzioni per la gestione di interventi in favore delle imprese artigiane)
§ Articolo 12 (Disposizioni in favore dell’internazionalizzazione delle imprese)
§ Articolo 13 (Disposizioni in materia di reindustrializzazione e di promozione industriale)
§ Articolo 14, comma 1 (Esenzioni fiscali per cessione di computer)
§ Articolo 14, commi 2-6 (Trasmissione telematica di atti relativi a adempimenti amministrativi)
§ Articolo 14, comma 7 (Informatizzazione dei pagamenti postali)
§ Articolo 14, comma 12 (Abrogazione di disposizioni del D.L. n. 35 del 2005)
§ Articolo 14, comma 13 (Rimborso IVA per i soggetti operanti con regime monofase)
§ Articolo 15 (Riduzione delle garanzie finanziarie per le imprese eco-certificate)
§ Articolo 16, comma 1, lettera a), numero 1(Riordino procedure di sdoganamento delle merci)
§ Articolo 16, comma 1, lettera a), numero 2 (Monitoraggio Agenzia delle dogane)
§ Articolo 16, comma 1, lettera a), numero 3) (Incremento intervento della SIMEST Spa)
§ Articolo 16, comma 1, lettera a), numeri 4) e 5) (Lotta alla contraffazione)
§ Articolo 16, comma 1, lettera b) (Infrastrutture aree sottoutilizzate)
§ Articolo 16, comma 1, lettera c), numero 2 (Settori ad alta tecnologia)
§ Articolo 16, comma 1, lettera d) (Riforma degli incentivi alle imprese)
§ Articolo 16, comma 1, lettera e) (Credito d’imposta per favorire la concentrazione di imprese)
§ Articolo 16, comma 1, lettera f), numero 1) (Fondi per la formazione continua)
§ Articolo 16, comma 1, lettera f), numero 2) (Apprendistato)
§ Articolo 16, commi 2 e 3(Modifiche alla disciplina della cessione del quinto)
§ Articolo 17 (Disposizioni per il potenziamento dei centri fieristici)
§ Articolo 18 (Contributi alle imprese operanti nel comparto della pesca)
§ Articolo 19 (Finanziamenti per lo sviluppo delle energie prodotte da fonti rinnovabili)
§ Articolo 21 (Disposizioni in materia di realizzazione, acquisizione e adeguamento di beni immobili)
§ Articolo 22 (Insediamenti turistici di qualità)
§ Articolo 23, comma 1 (Modifiche all’art. 53 del D.Lgs. n. 276/2003 in materia di apprendistato)
§ Articolo 23, comma 2 ((Modifiche all’art. 70 del D.Lgs. n. 276/2003 in materia di lavoro accessorio)
§ Articolo 25 (Erogazioni liberali in materia di beni culturali)
§ Articolo 26 (Volontariato sociale)
§ Articolo 27 (Trascrizione degli atti di destinazione)
§ Articolo 28 (Imposizione fiscale sui tabacchi lavorati)
§ Articolo 31 (Copertura finanziaria)
Scheda di sintesi
per l’istruttoria legislativa
L’articolo 1 delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per l’adeguamento dei sistemi contabili e dei bilanci delle amministrazioni pubbliche, con l’esclusione di quelle che adottano una contabilità esclusivamente economico-patrimoniale, alle disposizioni contenute nella legge 5 agosto 1978, n. 468, che reca le norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio. Nel definire i criteri e i principi direttivi per l’attuazione della delega, la disposizione è rivolta a perseguire la individuazione di una struttura del bilancio e di regole contabili fondamentalmente omogenee per le pubbliche amministrazioni, sulla base del modello costituito dal bilancio dello Stato, come risultante dalla riforma del 1997, nonché a prevedere il recepimento, per quanto applicabili ad amministrazioni pubbliche, dei principi contabili internazionali e l’elaborazione di prospetti di raccordo che permettano di acquisire i dati necessari per la costruzione del conto economico delle amministrazioni pubbliche.
L’articolo 2, comma 1, reca disposizioni per la semplificazione nei casi di assistenza e rappresentanza dei contribuenti nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, attraverso lo snellimento delle procedure per la autenticazione della procura o l’esclusione della procura stessa per determinati casi.
Il comma 2 prevede che gli obblighi connessi alla tenuta dei registri di carico e scarico dei rifiuti si intendono correttamente adempiuti anche qualora sia utilizzata carta formato A4 numerata e vidimata
Il comma 3 interviene mediante interpretazione autentica sulla disciplina relativa al potere di asseverazione degli spedizionieri doganali, disponendo che esso possa venire esercitato anche successivamente all’espletamento dell’operazione doganale. L’attestazione relativa alle operazioni doganali deve riguardare non solo la completezza documentale e la regolarità formale, ma anche la regolarità sostanziale dell’operazione. Integrare?
Il comma 4 abilita all’assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie i consulenti del lavoro, se iscritti nei relativi albi professionali, senza limitazione a materie determinate.
Il comma 5 novella l’art. 23, comma 3, del decreto legislativo n. 112/98 per consentire l’utilizzo delle strutture tecnico-organizzative dei Consorzi di sviluppo industriale ai fini dello svolgimento delle funzioni di assistenza alle imprese esercitate dagli sportelli uniciper le attività produttive
Il comma 6 modifica la disciplina sanzionatoria prevista dall’articolo 39 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, per il rilascio di visti di conformità, asseverazioni ovvero di certificazioni tributarie infedeli da parte, rispettivamente, dei responsabili dell’assistenza fiscale dei centri di assistenza fiscale e dei professionisti abilitati a quest’effetto.
Il comma 7 stabilisce che, salva l’applicazione della legge più favorevole, le disposizioni del comma 1 [recte: comma 6] si applicano alle violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione non sia stata ancora irrogata alla data di entrata in vigore della presente legge.
L’articolo 3 stabilisce che la sospensione del pagamento di somme dovute da amministrazioni dello Stato nei riguardi di soggetti debitori verso un’altra amministrazione (cosiddetto fermo amministrativo) possa venire richiesta anche dalle agenzie fiscali.
L’articolo 4 introduce nel testo unico delle imposte sui redditi disposizioni, relative alla disciplina dell’imposta sui redditi delle società, dirette a rendere indeducibili le minusvalenze e le differenze negative derivanti dalla cessione di partecipazioni societarie o di strumenti finanziari similari alle azioni fino a concorrenza dell’importo non imponibile dei dividendi percepiti nel periodo di imposta di realizzo e nel precedente. La disposizione si applicaalle sole operazioni di cessione intragruppo.
L’articolo 5novella il comma 44 dell’articolo unico della legge n. 239/04, di riordino del settore energetico, recante una delega al Governo per il riordino delle norme di sicurezza degli impianti da esercitarsi entro il 28 marzo 2005. In virtù della novella la delega dovrà essere esercitata entro il 31 dicembre 2005 e i relativi decreti legislativi di riordino dovranno essere emanati nel rispetto di determinati principi e criteri direttivi esplicitati nell’articolo stesso.
E’ previsto inoltre che le norme per la sicurezza degli impianti, contenute nel T.U. in materia edilizia, approvato con D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, se compatibili, abbiano effetto a partire dalla data di entrata in vigore dei suddetti decreti legislativi.
L’articolo 6 stabilisce che la denaturazione del gasolio da riscaldamento mediante aggiunta di colorante sia obbligatoria soltanto nel caso in cui l'aliquota d'accisa per esso vigente sia inferiore almeno del 10 per cento rispetto a quella prevista per il gasolio usato come carburante.
L’articolo 7 prevede un’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio dei gasdotti facenti parte della rete nazionale di trasporto del gas e dei nuovi gasdotti di interconnessione con l’estero, rilasciata dal Ministero delle attività produttive, cui compete l’emanazione, con decreto, di norme regolanti il relativo procedimento di rilascio.
Il Ministero dell’ambiente provvede alla valutazione di impatto ambientale e alla verifica di conformità delle opere al progetto, mentre restano ferme, nell’ambito di tale procedimento unico, le competenze del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in merito all’accertamento di conformità delle opere alle prescrizioni delle norme di settore e dei piani urbanistici ed edilizi.
L’articolo 8, commi 1 e 2, autorizza il CIPE ad accantonare – nell’ambito delle risorse aggiuntive del Fondo per le aree sottoutilizzate di cui all'articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 - una quota pari a 300 milioni di euro, destinata a “premiare” i comuni e le province che, consorziati o associati per la gestione degli ambiti territoriali ottimali di cui all'articolo 8 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, risultino avere affidato e reso operativo entro il 30 giugno 2006 il servizio idrico integrato a un soggetto gestore individuato in conformità alle disposizioni dell'articolo 113 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni.
I commi 3 e 4 fissano nuovi parametri di remunerazione dell’energia riconosciuta al produttore che cede energia elettrica da fonti rinnovabili. Il comma 5 dispone che, qualora sia modificato o venga a mancare il parametro di remunerazione, come definito dal comma 4, esso dovrà essere sostituito con la migliore alternativa tariffaria possibile.
Il comma 6 prevede che la misura dell’energia da fonti rinnovabili ritirata ai sensi dell’art. 13 comma 3 del D.Lgs. 387/03 sia effettuata dal gestore di rete competente, al netto dei consumi per usi di centrale, senza la necessità per il produttore di stipulare, un contratto con il distributore locale e senza oneri aggiuntivi per lo stesso produttore.
Il comma 7 qualifica le disposizioni di cui ai citati commi da 3 a 6 come principi ai quali dovranno conformarsi le delibere o le disposizioni relative alle energie rinnovabili, al risparmio e all'efficienza energetica che saranno emanate dall’Autorità per l’energia elettrica ed il gas, dal Gestore della rete di trasmissione nazionale, dal Gestore del mercato elettrico, dall’Acquirente unico e dai gestori di rete.
I commi 8 e 9 provvedono a riorganizzare la Segreteria tecnica per la sicurezza ambientale della navigazione e del trasporto marittimi presso il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio.
Il comma 10 dispone in ordine al funzionamento dell’Osservatorio nazionale sulle fonti rinnovabili e l’efficienza negli usi finali dell’energia.
Il comma 11 prevede che al fine di ottimizzare le risorse finanziarie destinate allo svolgimento delle attività previste dal regio decreto 25 luglio 1904, n. 523, dal decreto legislativo 12 aprile 1948, n. 1010, dalla legge 5 marzo 1963, n. 366, dal decreto-legge 11 giugno 1998, n. 180, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 1998, n. 267, e dalle leggi 18 maggio 1989, n. 183, e 28 dicembre 2001, n. 448 e di uniformare le relative procedure di spesa, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e dell'economia e delle finanze, con uno o più decreti da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, adotta apposite procedure per l'utilizzo delle predette risorse finanziarie
I commi 12 e 13 definiscono una nuova procedura per l’utilizzo di limiti d’impegno già stanziati da precedenti leggi in materia di risorse idriche.
Il comma 14 reca disposizioni in materia di bonifica del siti inquinati di interesse nazionale, nello specifico del sito di Sesto San Giovanni.
Il comma 15 ha la finalità di agevolare la concessione di derivazione di acque pubbliche nel caso in cui la stessa è richiesta al fine di produrre energia idroelettrica.
L’articolo 9, commi 1-11, disciplina una procedura volta a definire l’attuazione di interventi di riqualificazione in ambiti urbani e territoriali di area vasta, strategici e di preminente interesse nazionale attraverso l’approvazione di piani presentati dai Comuni.
Il comma 12 facoltizza gli enti locali a escludere dall’imposta comunale sulla pubblicità e dal diritto sulle pubbliche affissioni i manifesti collocati sui mezzi di trasporto pubblici volti a pubblicizzare i servizi e l’offerta delle medesime imprese di trasporto pubblico locale.
L’articolo 10, ai commi 1-6, contiene disposizioni relative all’utilizzo del Fondo speciale rotativo per l’innovazione tecnologica(FIT), prevedendo, al comma 1, che le agevolazioni del FIT per programmi finalizzati allo svolgimento di attività di sviluppo precompetitivo possono essere fruite – entro i limiti delle disponibilità destinate a contributi a fondo perduto - anche nella forma di contributo in conto interessi su finanziamenti bancari, concessi sulla base di condizioni economiche concordate liberamente tra le parti, secondo modalità alla cui determinazione si provvederà con decreto del Ministero delle attività produttive. Il comma 2 destina una quota delle risorse del FIT alla realizzazione di nuovi prodotti e servizi nei seguenti settori: tessile, alimentare, nanotecnologie, tecnologie dell’idrogeno (applicate al trasporto e alla produzione energetica), biotecnologie in ambito farmaceutico e sanitario, tecnologie della comunicazione e tecnologie spaziali. A tal fine la disposizione prevede la possibilità di interazione e di collaborazione tra il settore pubblico e quello privato della ricerca. La definizione dei criteri per la selezione dei progetti, delle modalità di presentazione della relativa relazione tecnica, dello studio di fattibilità e dell’ eventuale prototipo, delle forme di eventuale revoca del contributo, nonché delle modalità di costituzione dei suddetti aggregati, sono demandate ad un decreto del Ministro delle attività produttive, da adottarsi di concerto con il Ministro per l’innovazione e le tecnologie e il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentita la Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI). Al Ministro delle attività produttive è assegnato il compito di ripartire tra le regioni le risorse previste dal comma 2. Il comma 3 destina una quota del FIT alla concessione di agevolazione a copertura dei costi sostenuti dalle imprese per lo studio e valorizzazione di brevetti commissionati a università o enti di ricerca, sia pubblici che privati, senza fini di lucro.
Per quanto concerne l’entità dell’agevolazione, essa non dovrà superare il tetto di 500 mila euro e dovrà essere concessa nel rispetto dei limiti fissati dalla normativa comunitaria vigente in materia di aiuti di Stato alla ricerca e allo sviluppo. Ai sensi del comma 4, le domande di finanziamento a valere sui fondi di cui ai commi precedenti, debbono essere valutate entro 3 mesi dalla presentazione ed i relativi contributi sono erogati entro tre mesi dalla data di approvazione. Il comma 5 destina una quota non inferiore al 30% delle risorse del FIT alla concessione di agevolazione a favore di programmi per lo svolgimento di attività di sviluppo precompetitivo svolti da PMI localizzate nelle aree in ritardo di sviluppo ammissibili alla deroga di cui all’art. 87, par. 3, lett. a) del Trattato istitutivo della Comunità europea, individuate dalla Carta italiana degli aiuti a finalità regionale per il periodo 2000-2006 e dalla Carta che sarà approvata per il periodo successivo. Il comma 6 rinvia ad un decreto del Ministro delle attività produttive la determinazione, con cadenza annuale, delle quote del FIT da destinare agli interventi previsti dai precedenti commi 2 e 3 dell’articolo in esame. Lo stesso decreto provvederà, altresì, a determinare la quota da destinare agli interventi previsti dal comma 270, art. 1, della legge 311/04 (legge finanziaria 2005) il quale, come accennato, estende il campo d’intervento del Fondo speciale rotativo per l'innovazione tecnologica alle imprese operanti nel settore del commercio, del turismo e dei servizi, a sostegno dei relativi processi di innovazione.
Il comma 7 prevedeuna autorizzazione di spesa per l’anno 2005, pari a 2 milioni di euro, da destinare al sostegno dell’attività amministrativa svolta nel settore della proprietà industriale, con particolare riferimento all’evoluzione del sistema della tutela brevettale sia a livello internazionale che nazionale e alle “programmate modifiche di riassetto normativo”.
L’articolo 11 è diretto a prorogare, per un periodo non superiore alla metà dell’originaria durata, le convenzioni, attualmente in vigore, per la gestione di interventi a favore delle imprese artigiane, previste dalla disciplina della la ristrutturazione degli enti creditizi (L. 489/1993) e dall’art. 15 del D.Lgs 112/98 relativo al conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali.
L’articolo 12 reca disposizioni in materia di internazionalizzazione delle imprese, dirette, tra l’altro, a destinare una quota fino a 30 milioni di euro del fondo rotativo di cui all’articolo 2 del decreto-legge 28 maggio 1981, n. 251, conv. con modif. dalla legge n. 394/81 – finalizzato alla concessione di finanziamenti a tasso agevolato alle imprese esportatrici a fronte di programmi di penetrazione commerciale in Paesi diversi da quelli delle Comunità europee - alla concessione di finanziamenti a piccole imprese, anche artigiane e loro consorzi, così come definite dalla normativa comunitaria.
L’articolo 13 stabilisce l’ambito di applicazione delle disposizioni del DL n. 120/89 e del DL n. 35/05 in materia di interventi di reindustrializzazione e di promozione industriale, stabilendo che esso è circoscritto ai comuni nel cui territorio si trova la sede degli stabilimenti industriali interessati, nonché ai comuni che con essi confinano, purché questi rientrino nella medesima provincia.
L’articolo 14, comma 1, esenta dalle imposte sui redditi, dovute dall’impresa cedente, le cessioni a titolo gratuito di elaboratori elettronici (personal computer) con eventuali relativi programmi di funzionamento, già interamente ammortizzati e utilizzati da non più di cinque anni come beni strumentali, se effettuate in favore di organizzazioni non lucrative di utilità sociale, e di altri soggetti operanti nel settore del volontariato, della ricerca e della protezione ambientale.
I commi da 2 a 6 intervengono sugli aspetti della politica d’innovazione digitale del Governo più strettamente connessi all’attività delle pubbliche amministrazioni, con l’obiettivo di semplificare e accelerare le comunicazioni tra le stesse e i soggetti privati, in particolare tra cittadini e imprese.
Il comma 7 consente al concessionario del servizio postale universale, la società Poste italiane S.p.a., di convertire in supporto informatico i documenti cartacei attestanti i pagamenti in conto corrente; il processo deve avvenire senza oneri per lo Stato.
Il comma 8 esonera, con decorrenza dal 1° gennaio 2006, i soggetti passivi (cittadini e imprese) dall’obbligo della presentazione della dichiarazione o della comunicazione ai rispettivi comuni relativa agli immobili posseduti ai fini della determinazione dell’ICI.
Il comma 9 estende l’utilizzazione delle procedure telematiche attraverso il modello unico informatico anche ad altri pubblici registri, oltre a quelli immobiliari.
Il comma 10 rimette a un decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze l’individuazione delle voci di tariffa e la determinazione in misura forfetaria degli importi dell'imposta di bollo dovuta sugli atti effettuati per via telematica.
Il comma 11 autorizza la spesa di 3,4 milioni di euro sia per il 2005 che per il 2006 e di 1,8 milioni a decorrere dal 2007, per le finalità di cui ai commi 9 e 10 (comunicazioni a fini ICI ed estensione dell’utilizzo del modello unico informatico).
Il comma 12 abroga l’articolo 7, comma 3-ter, del D.L. n. 35 del 2005 (legge n. 80 del 2005), il quale esclude dall’applicazione delle imposte sui redditi la cessione di personal computer, effettuata da imprese o enti soggetti all’imposta sui redditi delle società nei confronti dei propri dipendenti, e il comma 3-quater dello stesso articolo, riguardante misure d’innovazione digitale nell’attività della pubblica amministrazione, disciplinate dai commi 2, 3 e 5 del presente articolo 14.
Il comma 13 estendela possibilità chiedere il rimborso dell’eccedenza di IVA detraibile ai soggetti nei confronti dei quali l'applicazione dell'IVA avviene con regime monofase.
L’articolo 15 dispone la riduzione delle garanzie finanziarie previste da alcune disposizioni del decreto legislativo n. 22 del 1997 nei confronti delle imprese ecocertificate.
L’articolo 16 reca una serie di novelle al D.L. n. 35/05, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 80/05, recante disposizioni urgenti nell'àmbito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale.
Il comma 1, lettera a), numero 1), novella l’articolo 1, comma 1, del D.L. n. 35/2005, prevedendo che il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di riordino delle procedure amministrative di sdoganamento delle merci, sia adottato su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le Associazioni imprenditoriali.
Il comma 1, lettera a), numero 2) inserisce un nuovo comma 4-bis, dopo il comma 4 dell’articolo 1 del D.L. n. 35/05, che consente all’Agenzia delle dogane di effettuare un monitoraggio a campione sull’importazione di prodotti fabbricati con metalli preziosi provenienti da paesi extra UE, mediante un controllo formale del rispetto delle disposizioni attualmente vigenti in materia di titoli e marchi di identificazione dei metalli preziosi.
Il comma 1, lettera a), numero 3), novella l’articolo 1, comma 6, del D.L. n. 35/2005, al fine di meglio precisare i presupposti in base ai quali il limite massimo di intervento della Simest S.p.a. per gli investimenti all’estero è elevato al 49 per cento. Il numero 6) novella la disposizione di cui all’articolo 1, comma 12, del D.L. n. 35/2005, precisando i presupposti in base ai quali deve essere esclusa l'applicazione di taluni benefici previsti a favore delle iniziative di internazionalizzazione delle imprese italiane. Il numero 7) novella invece la disposizione di cui all’articolo 1, comma 14, del citato D.L. n. 35/2005, elevando al 49% la quota di partecipazione che la Simest SpA può assumere nel capitale o fondo sociale delle società partecipate nei casi in cui tali società intendano effettuare in Italia investimenti in ricerca e innovazione.
Il comma 1, lettera a), numero 4), modifica l’articolo 1, comma 7, del D.L. n. 35 del 2005, individuando in 100 euro la misura minima della sanzione amministrativa pecuniaria prevista per chi acquista o accetta, a qualsiasi titolo, senza averne prima accertata la legittima provenienza, cose che per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l’entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà intellettuale.
Il comma 1, lettera a), numero 5), novella l’articolo 1, comma 8, destinando il 50 per cento delle somme derivanti dall’applicazione della predetta sanzione all’ente locale, ai fini della lotta alla contraffazione, in caso di accertamento da parte degli organi di polizia locale.
Il comma 1, lettera b) modifica il comma 1 dell’articolo 5 del decreto-legge 14 marzo 205, n. 35, convertito con modificazioni nella legge 14 maggio 2005, n. 80, ricomprendendo tra gli interventi che il CIPE finanzia in via prioritaria - oltre agli interventi inclusi nel programma per le infrastrutture strategiche, di cui alla legge n. 443/2001 - anche gli interventi per la ricostruzione previsti dalla legge n. 219 del 1981 nei comuni colpiti da eventi sismici del novembre 1980 e febbraio 1981 nelle aree della Campania, Basilicata, Calabria e Puglia
Il comma 1, lettera c), numero 1, novella l’art. 6, comma 1, del D.L. n. 35/2005, stabilendo che almeno la metà del 30 per cento delle risorse del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca sia riservata a progetti promossi da micro e piccole imprese, in forma singola o associata, e che tale quota sia gestita dall’Artigiancassa S.p.a., che può avvalersi degli interventi di controgaranzia del Fondo centrale di garanzia istituito presso la medesima società.
Il comma 1, lettera c), numero 2, integra l’art. 6 del D.L. n. 35/05 per specificare che i progetti di ricerca industriale e di sviluppo precompetitivo proposti dalle imprese, cui sono destinate in via prioritaria le risorse del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca, istituito dalla legge finanziaria per il 2005, devono riguardare in particolare “i settori ad alta tecnologia”.
Il comma 1, lettera d),modifica l’articolo 8, comma 3, del decreto-legge n. 35/2005, che detta una nuova disciplina in materia di concessione degli incentivi alle imprese nelle aree sottoutilizzate, estendendo il periodo di riferimento per l’individuazione dei contratti di programma esclusi dal nuovo e più rigoroso meccanismo di concessione degli incentivi.
Il comma 1, lettera e), novella la disposizione di cui all’articolo 9 del citato D.L. n. 35/05, la quale ha disposto, in favore delle microimprese e delle piccole e medie imprese, definite secondo i criteri dell’Unione europea, che partecipino a processi di concentrazione, l'erogazione di un credito d’imposta pari al 50 per cento delle spese sostenute per studi e consulenze relativi alle operazioni di concentrazione. La lettera e), in particolare, reca, al numero 1 una novella al comma 1, primo periodo, del citato articolo 9, diretta a specificare che le consulenze per le operazioni di concentrazione oggetto di agevolazione tributaria sono di natura legale, fiscale, contabile, giuslavoristica e devono risultare necessarie ai fini della valutazione e realizzazione dell'operazione; la novella amplia, inoltre, l’ambito dell’agevolazione, includendo tra le spese per le quali si può fruire del credito di imposta anche quelle relative alle perizie direttamente connesse con l’operazione di concentrazione. Il successivo numero 2, introduce una nuova lettera c-bis) alla fine del comma 1 dell’articolo 9, la quale dispone un tetto massimo per la fruizione del citato credito di imposta; quest’ultimo, indipendentemente dall’importo complessivo delle spese sostenute per studi e consulenze, non potrà superare 30.000 euro. Il numero 3 della medesima lettera e), inserisce, infine, dopo il comma 2 dell’articolo 9 in oggetto, due commi aggiuntivi diretti ad indicare una destinazione prioritaria del premio di concertazione alle forme di aggregazione su base contrattuale e consortile fra micro e piccole imprese, nonché a prevedere un credito di imposta addizionale a parziale copertura dei costi dei nuovi investimenti, dei costi per la promozione all’estero e dei costi per la formazione, comunque collegati o sostenuti a seguito del processo di aggregazione o concentrazione.
Il comma 1, lettera f),numero 1,modifica l’articolo 118, comma 1, della legge finanziaria per il 2001 (L. 23 dicembre 2000, n. 388), recante disposizioni tese a promuovere lo sviluppo della formazione professionale continua, attraverso la costituzione di appositi fondi interprofessionali, e il funzionamento e l’utilizzo delle risorse dei fondi comunitari e del Fondo sociale europeo. In particolare si prevede, ai fini del raccordo della programmazione della formazione professionale continua, uno scambio di dati ed informazioni tra le regioni, le province autonome, le articolazioni regionali dei Fondi interprofessionali o i rappresentanti designati dai medesimi Fondo, nell’ambito della concertazione prevista in sede regionale.
Il comma 1, lettera f), numero 2,modifica il comma 5-bis all’articolo 49 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, concernente il contratto di apprendistato professionalizzante. In sostanza si stabilisce che, in assenza della normativa regionale che deve definire i profili formativi e necessaria per dare operatività al contratto di apprendistato professionalizzante, la disciplina dell’apprendistato professionalizzante è rimessa ai contratti collettivi, o agli accordi conclusi a livello nazionale tra le organizzazioni sindacali nazionali comparativamente più rappresentative e le associazioni nazionali dei datori di lavoro firmatarie di contratti collettivi nazionali di lavoro. I profili formativi possono essere definiti anche per il tramite degli enti bilaterali per la formazione, eventualmente con l’assistenza dell’ISFOL.
I commi 2 e 3, recano disposizioni in materia di sequestro, pignoramento e cessione di stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, di cui al D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180. In particolare si specifica che le condizioni contrattuali dei prestiti da estinguersi con cessione di quote della pensione fino al quinto debbano essere determinate sulla base di convenzioni stipulate, con le banche e gli intermediari finanziari autorizzati, dal Ministero dell’economia o dagli enti eroganti le pensioni e gli altri assegni, secondo le procedure e nel rispetto dei criteri stabiliti dal regolamento di attuazione di cui all’articolo 13-bis, comma 2 del D.L. 35 del 2005 (conv. L. 80/2005),che appunto rimette ad un decreto del Ministro dell’economia, sentite le organizzazioni di categoria interessate, l’attuazione delle disposizioni dell’articolo stesso.
L’articolo 17 introduce agevolazioni fiscali dirette ad incentivare nuovi investimenti nel settore delle attività dei centri fieristici. Il beneficio, che ha carattere temporaneo in quanto riguarda gli investimenti effettuati negli esercizi compresi tra il 1° gennaio 2006 e il 1° gennaio 2009, consiste in una riduzione della base imponibile IRES e IRAP ed è fruibile fino all’esercizio in corso al 1° gennaio 2011. I beneficiari della disposizione sono le società di capitale e gli altri soggetti IRES di cui all’articolo 73, comma 1, del TUIR.
L’articolo 18 definisce le modalità applicative per la concessione dei contributi previsti dall’articolo 1, comma 245, della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria per il 2005) per favorire il potenziamento e l’ammodernamento del comparto della pesca.
L’articolo 19 interviene in merito all’utilizzo delle risorse del Fondo per la promozione delle risorse rinnovabili - istituito dall’articolo 1, comma 248, della legge n. 311/04 (finanziaria 2005) al fine di cofinanziare studi e ricerche nel campo delle energie rinnovabili destinate all'utilizzo nei mezzi di locomozione - stabilendo che l’istanza di concessione dei relativi finanziamenti debba essere presentata al Ministro dell’economia entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento e che all’erogazione del contributi - nella misura non superiore a 100 mila euro per ciascun soggetto richiedente - provvederà il Ministro medesimo entro i successivi trenta giorni.
L’articolo 20 proroga al 9 marzo 2006 il termine per l’esercizio delle deleghe al Governo previste dalla legge n. 229/03 volte al riassetto delle disposizioni vigenti in materia di sostegno pubblico per lo sviluppo delle attività produttive e di metrologia legale.
L’articolo 21 detta particolari disposizioni per le pubbliche amministrazioni ai fini della realizzazione, acquisizione od adeguamento di opere pubbliche mediante il ricorso a contratti di locazione finanziaria (leasing).
L’articolo 22 prevede una procedura per l’esecuzione di progetti volti alla realizzazione di insediamenti turistici di qualità di interesse nazionale. Tali progetti possono prevedere anche la riqualificazione di insediamenti e impianti preesistenti.
Con la modifica introdotta dall’articolo 23, comma 1 all’articolo 53, comma 1, del decreto legislativo n. 276 del 2003 vengono fatte salve le specifiche previsioni di legge e di contratto collettivo sottoscritto dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, al fine di permettere l’ inquadramento degli apprendisti in una categoria inferiore per più di due livelli alla categoria spettante secondo il CCNL. Il vigente articolo 53, invece, dispone che la categoria di inquadramento degli apprendisti non può essere inferiore, per più di due livelli, alla categoria spettante – in base al contratto collettivo nazionale di lavoro - ai lavoratori che svolgono mansioni o funzioni con qualifiche corrispondenti a quelle al cui conseguimento è finalizzato il contratto.
Il comma 2 estende l’istituto del lavoro accessorio, costituito da attività lavorative di natura meramente occasionale rese da soggetti a rischio di esclusione sociale o non ancora entrati nel mercato del lavoro, previsto dall’articolo 70 del D.Lgs. n. 276/2003, alle imprese familiari che esercitano l’artigianato. Si ricorda che la normativa vigente prevede la possibilità di utilizzare il lavoro accessorio esclusivamente per le imprese familiari operanti nel settore del commercio, del turismo o dei servizi.
L’articolo 24prevede l’individuazione delle risorse per il 2005 per l’avvio dei Fondi di previdenza complementare dei dipendenti pubblici.
L’articolo 25 prevede e disciplina la deducibilità delle erogazioni liberali per lo svolgimento o la promozione di attività culturali e per la realizzazione di interventi specifici nei settori dei beni culturali e dello spettacolo, sia con riferimento alle erogazioni effettuate da persone fisiche, sia a quelle effettuate da soggetti ai quali si applica l’imposta sul reddito delle società(IRES).
L’articolo 26 detta una serie di modifiche alla legge–quadro sul volontariato(legge 11 agosto 1991, n. 266) - in attesa di una riforma complessiva della medesima legge n. 266/1991 - con riferimento ai seguenti aspetti: natura e composizione dei fondi speciali presso le regioni; ruolo e poteri dei comitati di gestione; centri di servizio per il volontariato. E’ inoltre introdotta una norma interpretativa sull’esenzione dal pagamento dell’ICI per gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali.
L’articolo 27 inserisce nel codice civile un nuovo articolo (2645-ter), mediante il quale si consente la trascrizione, a fini di opponibilità ai terzi, degli atti con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono sottoposti a vincolo di destinazione.
Il comma 1 dell’articolo 28 stabilisce che la rilevazione della classe di prezzo più richiesta delle sigarette deve essere effettuata ogni tre mesi (il primo giorno di ciascun trimestre) anziché semestralmente (il 1° gennaio e il 1° luglio di ogni anno) come attualmente previsto. La rilevazione di tale classe di prezzo ha effetto sulla determinazione dell’imposta di consumo sulle sigarette.
Il comma 2 dispone circa la decorrenza dell’applicazione del meccanismo di determinazione del prezzo, previsto dal precedente comma 1.
L’articolo 29 abroga la disposizione di cui all’articolo 1, comma 24, lett. f-quater) della legge n. 311/2004, che esclude dalla disciplina del patto di stabilità interno per gli enti locali le spese sostenute dai comuni per la bonifica dei siti inquinati, con azione sostitutiva dei diretti responsabili.
L’articolo 30 introduce nel disegno di legge in esame – con riferimento a tutte le sue disposizioni - la clausola di “compatibilità” conl’ordinamento delle regioni a statuto speciale e delle province autonome dettato dai rispettivi Statuti.
L’articolo 31 dispone in ordine alla copertura finanziaria degli oneri complessivi derivanti dal provvedimento in esame, con esclusione degli oneri per i quali sono previste apposite norme di copertura nell’ambito dei relativi articoli.
Il provvedimento in esame incide su una pluralità di ambiti materiali rientranti, in parte, nella competenza esclusiva dello Stato, in parte, nella competenza legislativa concorrente Stato-regioni.
Con riferimento al rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite si segnala quante segue.
L’articolo 16, comma 1, lettera f), numero 1), modifica la disciplina dei Fondi interprofessionali nazionali per la formazione continua di cui all’art. 118, comma 1, della legge finanziaria per il 2001 (L. 23 dicembre 2000, n. 388).
La materia è stata oggetto della sentenza della Corte costituzionale n. 51 del 2005, con la quale la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disciplina nella parte in cui non prevedeva «strumenti idonei a garantire una leale collaborazione fra Stato e Regioni». L‘istituto dei Fondi interprofessionali per la formazione continua, in base alla citata sentenza della Corte, è infatti riconducibile in parte alle materie dell’«ordinamento civile» e della «previdenza sociale» spettanti alla competenza esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettere l) ed o), Cost.) ed in parte alla materia della «formazione professionale», devoluta alla competenza residuale esclusiva delle Regioni (art. 117, terzo e quarto comma, Cost.).
Il decreto-legge n. 35/2005 (art. 13, comma 13, lettera a)), allo scopo di dare attuazione alla sentenza della Corte, aveva riconosciuto una funzione consultiva alle regioni ed alle province autonome nell’elaborazione dei piani aziendali, territoriali o settoriali connessi alla formazione continua.
La modifica apportata dall’art. 10, comma 1, lettera e), del progetto di legge in esame elimina la citata funzione consultiva delle regioni, prevedendo uno «scambio di dati ed informazioni relativi alle iniziative in materia di formazione continua» tra le regioni, le province autonome, le articolazioni regionali dei Fondi interprofessionali o i rappresentanti designati dai medesimi Fondi. Sembra dunque determinarsi un regresso per quanto riguarda il coinvolgimento delle regioni e delle province autonome nella redazione dei piani relativi alla formazione continua.
Appare dunque opportuno valutare la conformità della nuova disciplina al principio di leale collaborazione tra Stato e regioni, alla luce della citata sentenza della Corte costituzionale n. 51 del 2005.
Si rinvia alle indicazioni contenute nelle singole schede di lettura.
Il Consiglio europeo del 22-23 marzo 2005 si è compiaciuto della comunicazione “Lavoriamo insieme per la crescita e l’occupazione – Un nuovo slancio per la strategia di Lisbona” (COM (2005)24), presentata dalla Commissione il 2 febbraio 2005. In particolare, il Consiglio europeo:
§ ha sottolineato l’importanza di rilanciare la strategia di Lisbona riorientando le priorità verso la crescita e l’occupazione, mobilitando tutti i mezzi nazionali e comunitari nelle tre dimensioni economica, sociale, ambientale, e coinvolgendo tutte le forse interessate (Parlamenti, autorità locali, parti sociali e società civile);
§ ha ribadito che motori di una crescita sostenibile sono la conoscenza e l’innovazione e che occorre creare uno spazio attraente per le imprese e i lavoratori;
§ ha riaffermato la necessità di creare un quadro normativo più favorevole alla concorrenza e alle imprese e, nel contempo, di perseguire come prioritari gli obiettivi della piena occupazione, nonché della qualità e produttività del lavoro;
§ ha previsto, allo scopo di migliorare la governance della strategia, un approccio semplificato basato su un ciclo di tre anni, con inizio nell’anno in corso, e che sarà rinnovato nel 2008.
Il Consiglio europeo ha inoltre adottato il Patto europeo per la gioventù come uno degli strumenti che contribuiscono alla realizzazione degli obiettivi di Lisbona.
Il Consiglio europeo del 16 e 17 giugno 2005 ha adottato le linee direttrici integrate per la crescita e l’occupazione per il periodo 2005-2008 (COM(2004)141)[1], presentate dalla Commissione il 12 aprile 2005, sulla base delle quali gli Stati membri definiranno programmi di riforma nazionali che saranno oggetto di consultazione con le parti interessate.
Il documento si articola in due parti:
§ una raccomandazione recante i grandi orientamenti di politica economica (GOPE), applicabili a tutti gli Stati membri e alla Comunità, che definiscono le linee direttrici macroeconomiche e le linee direttrici microeconomiche;
§ linee direttrici per l’occupazione, contenute in una proposta di decisione del Consiglio, che enunciano gli obiettivi generali e le azioni prioritarie in materia di occupazione nell’Unione europea e nei suoi Stati membri.
La Commissione si riserva di presentare una comunicazione per aiutare gli Stati membri a redigere i rispettivi programmi nazionali e, come corrispondente dei programmi nazionali, un programma comunitario di Lisbona.
Le relazioni sull’attuazione della strategia di Lisbona, trasmesse annualmente dagli Stati alla Commissione, saranno riunificate in un unico documento, il primo dei quali sarà presentato nell’autunno 2006.
La Commissione riferirà annualmente sull’attuazione della strategia nelle sue tre dimensioni e, conseguentemente, il Consiglio europeo di primavera si pronuncerà sui progressi compiuti e sugli eventuali adeguamenti delle linee direttrici integrate.
Con riferimento all’articolo 2, comma 3, secondo periodo - che reca una norma di interpretazione autentica in base alla quale l’attestazione relativa alle operazioni doganali deve riguardare anche la regolarità sostanziale dell’operazione - si osserva che, avendo l’interpretazione autentica carattere retroattivo, potrebbe porsi il problema della validità delle asseverazioni meramente formali già rilasciate alla data di entrata in vigore della disposizione. Attesa la possibile innovatività della disposizione, potrebbe essere opportuno riformularla come modificazione del testo legislativo vigente.
Con riferimento all’articolo 6, si osserva che la disposizione potrebbe essere più opportunamente formulata come modificazione testuale dell’articolo 5, comma 4, del decreto-legge 30 settembre 2000, n. 268. In ogni caso, deve osservarsi che l’articolo 5, comma 4, del decreto-legge n. 268 del 2000, richiamato dall’articolo 6, fa riferimento a due diverse pratiche di aggiunta di sostanze denaturanti al gasolio per riscaldamento: il primo periodo reca infatti determinazioni relative all’aggiunta prescritta, in via generale, dal decreto ministeriale 15 aprile 1997; il secondo periodo dispone invece una nuova formula di denaturazione da applicarsi soltanto in presenza di aliquote diverse. Poiché la disposizione qui illustrata riguarda quest’ultima, sarebbe opportuno specificare il richiamo con l’indicazione del “secondo periodo”.
Con riferimento all’articolo 7, in materia di autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio dei gasdotti facenti parte della rete nazionale di trasporto del gas e dei nuovi gasdotti di interconnessione con l’estero,si osserva che appare opportuno coordinare tale disposizione con quanto attualmente previsto dall’art. 52-quinquies del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità (DPR n. 327/01), articolo introdotto dal D.Lgs. n. 330/2004.
Con riferimento all’articolo 8, comma 10 (compensi ai membri dell’osservatorio nazionale sulle fonti rinnovabili), sembra opportuno, per coordinamento con l’art. 16, comma 3, del decreto legislativo n. 387/2003 - che prevede che il decreto di nomina dei componenti l’osservatorio sia adottato dai Ministri delle attività produttive e dell'ambiente, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e per gli Affari regionali - valutare l’ipotesi di coinvolgere nella procedura per l’emanazione del decreto con cui vengono stabiliti i compensi dei suddetti membri anche il Ministro delle attività produttive e il Ministro per gli affari regionali.
Con riferimento al comma 15, sembra che il riferimento normativo corretto sia quello al Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici di cui al regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775. Nel testo unico citato sono contenute infatti negli articoli da 7 a 14 le norme relative al procedimento per la concessione della derivazione di acque pubbliche. Vengono fissati, tra l’altro, una serie di parametri che devono guidare l’amministrazione, quando deve scegliere quale tra più domande deve essere preferita, nel caso in cui non sia possibile accoglierle tutte. Si osserva che tali norme non prevedono peraltro che sia data precedenza, nell’assegnazione delle concessioni ad attività che costituiscono “servizio pubblico essenziale”. Sembrerebbe pertanto opportuno, al fine di fare in modo che la norma possa raggiungere l’obiettivo ad essa sotteso, inserire esplicitamente nel regio decreto in questione una norma che privilegi le domande di concessione relative alla produzione di energia idroelettrica.
Con riferimento all’articolo 9, relativo agli interventi di riqualificazione in ambiti urbani e territoriali di area vasta, strategici e di preminente interesse nazionale, si osserva che il decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante “Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale” contiene ai commi 2 e 3 dell’articolo 5disposizioni che riguardano la stessa materia trattata dall’articolo 9. Sembrerebbe pertanto opportuno coordinare tali disposizioni con quelle dell’articolo in commento.
Si osserva inoltre che sarebbe opportuno coordinare le disposizioni contenute nell’articolo 9 con quelle dettate dall’articolo 11 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398, convertito in legge con modificazioni dalla legge 4 dicembre 1993, n. 493 e dall’articolo 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179, che prevedono l’adozione da parte dei comuni rispettivamente di programmi integrati di intervento e di programmi di recupero urbano e con gli articoli da 27 a 34 della legge n. 457 del 1978 che disciplinano l’adozione di piani di recupero.
Con riferimento all’articolo 14, comma 1, si osserva che sarebbe più opportuno inserire tale disposizione, anche in considerazione del suo carattere permanente, come novella al testo unico delle imposte sui redditi di cui al D.P.R. n. 917/1986.
Con riferimento all’articolo 21, comma 6, si osserva che sembrerebbe opportuno riformulare l’articolo riferendosi esattamente all’articolo del decreto legislativo n. 385 del 1993 relativo alla disciplina dell’elenco degli intermediari finanziari, vale a dire l’art. 106.
Con riferimento all’articolo 25, comma 1, lettera a), che introduce all’articolo 10, comma 1, del TUIR la lettera l-quinquies), consentendo la deducibilità delle erogazioni liberali in denaro effettuate in favore di determinati soggetti, si segnala che l’articolo 15, comma 1, lettera h) del TUIR già prevede, sempre per le persone fisiche, la detraibilità dall’imposta lorda, nella misura del 19 per cento, di oneri per erogazioni liberali in favore di soggetti e per finalità parzialmente coincidenti con quelli per i quali la nuova lettera l-quinquies) prevede la deducibilità. Per prevenire dubbi interpretativi, sarebbe, quindi, opportuno prevedere espressamente l’alternatività dei due benefici relativamente alle fattispecie cui risultino applicabili entrambi.
L’articolo 2, comma 3, corrisponde alla proposta di legge A.C. 5815, d’iniziativa dell’on. Benvenuto, attualmente all’esame della Commissione finanze della Camera dei deputati.
L’articolo 4 inserisce i commi 3-bis e 3-ter nell’articolo 109 del testo unico delle imposte sui redditi (DPR n. 917/1986). La proposta di inserire il medesimo comma 3-bis è già contenuta nello “Schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo n. 344 del 2003, recante riforma dell’imposizione del reddito sulle società” (c.d. correttivo IRES)”.
La delega di cui all’articolo 5 presenta profili di stretta attinenza con lo schema di decreto legislativo (doc. 500) - attualmente all’esame del Parlamento - recante l’attuazione della direttiva 2002/91/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2002 sul rendimento energetico nell'edilizia, sulla base della delega conferita dalla legge 31 ottobre 2003, n. 306, "Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2003".
Con riferimento all’articolo 26, che introduce modifiche alla legge quadro sul volontariato (legge n. 266/1991), si segnala che il Consiglio dei ministri, in data 18 marzo 2005, ha approvato un disegno di legge di riforma della medesima legge quadro sul volontariato (legge n. 266/1991). Tale disegno di legge non risulta ancora presentato alle Camere.
Con riferimento alla delega di cui all’articolo 1, si osserva chenon viene chiarito se la “normalizzazione” dei conti pubblici verrà perseguita attraverso la definizione di un quadro unitario di regole o, invece, attraverso l’adozione di decreti legislativi distinti per i singoli comparti, come lascerebbe supporre la formulazione del comma 5, dove si fa riferimento agli “schemi di decreti legislativi relativi alle regioni e province autonome e agli enti locali”.
Con riferimento ai commi 2, 3 e 4, si osserva che apparirebbe opportuna una più puntuale scansione temporale del procedimento di delega ivi previsto.
Con riferimento all’articolo 4 - che inserisce i commi 3-bis e 3-ter nell’articolo 109 del testo unico delle imposte sui redditi (DPR n. 917/1986) – si osserva che sarebbe opportuno chiarire, al fine di evitare dubbi interpretativi, se il riferimento ai “relativi costi” includa gli eventuali oneri accessori. Inoltre, nel caso di titoli ceduti in un esercizio successivo a quello di acquisto e pertanto iscritti al valore di rimanenza, sarebbe opportuno indicare se debba essere considerato il costo originario di acquisto ovvero l’importo della rimanenza valutata e iscritta in bilancio.
In relazione all’articolo 5, comma 1, lettera d), si valuti l’opportunità di meglio specificare la tipologia e l’entità minima e massima delle sanzioni che possono essere previste per la violazione degli obblighi introdotti ai sensi delle precedenti lettere a) e b).
Con riferimento all’articolo 8, commi 1 e 2, si osserva che la finalità delle disposizioni è di promuovere l'attuazione di investimenti e la gestione unitaria del servizio idrico integrato nelle aree sottoutilizzate del Mezzogiorno. Sembrerebbe pertanto che il riparto della quota premiale del Fondo per le aree sottoutilizzate ivi previsto debba riguardare i comuni e le province delle aree sottoutilizzate situate esclusivamente nel Mezzogiorno. Al fine di evitare dubbi interpretativi, si valuti l’opportunità di un chiarimento al riguardo.
Con riferimento al medesimo comma 1, considerata l’ampia gamma di ipotesi di affidamento del servizio idrico disciplinate dall’articolo 113 del D.Lgs. n. 267/2000, si osserva che sarebbe opportuno meglio specificare quali sono le modalità di affidamento previste dall’articolo 113 che giustificano l’assegnazione delle risorse premiali.
Con riferimento comma 2, si osserva inoltre che non viene specificato a quale esercizio finanziario si riferisca l’assegnazione della riserva premiale da parte del CIPE.
Con riferimento ai commi 4 e 5 (previsione di una tariffa unica per la remunerazione dell’energia riconosciuta al produttore che cede l’energia da fonti rinnovabili), si rileva come la previsione possa determinare un trattamento differenziato nei confronti delle diverse tipologie di impianti ammessi ai benefici previsti dal decreto legislativo n. 387/03 e dalla legge n. 239/04, posto che esistono sia impianti in grado di modulare la propria produzione di energia elettrica in funzione della domanda, sia impianti non programmabili. Il prezzo di ritiro unico, stabilito nel comma, indifferenziato per fasce orarie, potrebbe in particolare riflettersi negativamente nei confronti degli impianti alimentati da fonti rinnovabili in grado di modulare, seppur parzialmente, la loro produzione, contribuendo in tal modo all’equilibrio tra domanda e offerta di energia elettrica per la sicurezza del sistema elettrico nazionale. Al riguardo, andrebbe altresì valutato se l’utilizzo di un solo parametro da applicarsi a tutte le tipologie di impianto, possa porsi in contrasto con l’obbligo per l’Autorità di tener conto delle condizioni economiche di mercato, di cui all’articolo 13 del D.Lgs. 387/2003.
Con riferimento al comma 7, si osserva come la norma possa apparire pleonastica, in quanto, in base alla gerarchia delle fonti normative, gli organismi ivi indicati sono comunque tenuti ad attenersi, nelle proprie determinazioni, alle disposizioni dettate con fonte legislativa di rango primario.
Con riferimento al comma 11 si osserva che, fra le norme citate, non compare la legge 11 dicembre 2000, n. 365, che ha convertito il decreto legge n. 279 del 2000, Interventi urgenti per le aree a rischio idrogeologico molto elevato e in materia di protezione civile, nonché a favore di zone colpite da calamità naturali, che rappresenta invece un atto normativo che apparirebbe opportuno considerare in un quadro della normativa vigente in materia di interventi per il superamento delle situazioni di dissesto idrogeologico, in quanto l’art. 2 ha definito scopi e modalità di un’attività straordinaria di controllo dell’assetto idrogeologico del territorio, cui concorrono una pluralità di soggetti.
Con riferimento ai commi 13 e 14, si osserva che le somme relative risultano impegnate a partire dagli esercizi finanziari di prima iscrizione in bilancio (2002 e 2003) e iscritte in conto residui, a titolo di residui propri, nell’esercizio successivo. Non sembra tuttavia che i limiti di impegno siano stati ripartiti (dal momento che la disposizione in esame modifica le modalità di ripartizione), né, di conseguenza, che siano stati accesi i mutui ai quali i limiti di impegno erano destinati (non risultano, infatti, essere state effettuate erogazioni).
Si osserva inoltre che non è chiara la portata della disposizione contenuta nell’ultimo periodo del comma 13, con cui si prevede che il Ministero dell’ambiente concorra con contributi quindicennali al finanziamento degli interventi inseriti negli accordi di programma quadro. Non viene infatti specificato se la disposizione si riferisca a ulteriori contributi rispetto a quelli finanziati a valere sui limiti di impegno già autorizzati o invece sia volta a indicare le modalità di utilizzo di tali limiti di impegno.
Con riferimento all’articolo 9, comma 4, si osserva che sembrerebbe opportuno prevedere un meccanismo decisionale alternativo nel caso in cui la Regione interessata non concordi con il Ministero riguardo l’individuazione di un comune. Potrebbe, inoltre, essere utile prevedere il meccanismo in base al quale più comuni presentatori di un piano individuano il soggetto promotore dell’iniziativa.
Con riferimento al comma 5 si osserva che sarebbe opportuno meglio definire gli strumenti di cui alle lettere a) e b).
Con riferimento al comma 7 si osserva che nella relazione di accompagnamento al disegno di legge in sede di commento del comma 7, si fa riferimento ad “intese sottoscritte da un nuovo organismo interistituzionale presente in ciascuna circoscrizione regionale, la Conferenza per le città”. Il disegno di legge fa invece riferimento alla “Conferenza Stato-città ed autonomie locali”, che è stata istituita con DPCM 2 luglio 1996 (G.U. 27 gennaio 1997, n. 21) ed è disciplinata dal D.Lgs 28 agosto 1997, n. 281 (G.U. 30 agosto 1997, n. 202);
Con riferimento al comma 10, si osserva che sembrerebbe opportuno specificare meglio i contenuti della relazione ministeriale.
Con riferimento all’articolo 12, comma 1, si osserva che il riferimento contenuto nella norma, ai fini dell’individuazione delle condizioni dei finanziamenti, ai “decreti” di cui all’articolo 2, lettere b) e c),del D.M. n. 136/2000, non appare congruo, posto che le suddette lettere b) e c),recano esclusivamente talune definizioni adottate ai fini del regolamento, senza fare riferimento ad alcuna tipologia di decreto.
Con riferimento all’articolo 14, comma 2, si osserva che appare opportuno un approfondimento in ordine al significato da attribuire all’espressione “tecnologie che conferiscono validità legale”, considerato che la validità ai fini di legge di un documento non è conferita dal ricorso ad una particolare tecnologia, bensì dal rispetto di requisiti (concernenti la certezza in ordine all’integrità ed alla provenienza del documento) che spetta alla legge medesima fissare, eventualmente anche mediante rinvio all’adozione di determinate regole tecniche.
Con riferimento all’articolo 14, comma 12, si osserva che potrebbe essere opportuno valutare la previsione di disposizioni transitorie per le imprese che, facendo affidamento sull’agevolazione introdotta dall’articolo 7, comma 3-ter, del D.L. n. 35 del 2005, abrogata dal presente articolo 14, comma 12, abbiano assunto impegni contrattuali per l’acquisto di elaboratori da cedere ai propri dipendenti, ma non abbiano compiuto la cessione a questi ultimi alla data in cui la norma agevolativa cesserà di avere efficacia.
L’articolo 14, comma 13, sembra volto a stabilire che i soggetti operanti con regime monofase s’intendano comunque inclusi nella fattispecie prevista dalla lettera a) del secondo comma dell’articolo 30 del D.P.R. n. 633 del 1972, indipendentemente dal ricorrere delle condizioni ivi previste. Se la disposizione è volta a quest’effetto, sarebbe più opportuno novellare direttamente in tal senso il citato articolo 30 del D.P.R. n. 633 del 1972.
Con riferimento all’articolo 16, comma 1, lett. b), si osserva che tale disposizione prevede che gli interventi di cui all’articolo 86 comma 1 della legge n. 289 del 2002 (chiusura degli interventiper la ricostruzione nei comuni colpiti da eventi sismici del novembre 1980 e febbraio 1981 nelle aree della Campania, Basilicata, Calabria e Puglia) sono finanziati prioritariamente dal CIPE, così come gli interventi inclusi nel programma per le infrastrutture strategiche, di cui alla legge n. 443/2001, senza stabilire quale tra i due tipi di interventi ha la precedenza nell’assegnazione delle risorse.
Con riferimento all’articolo 21, comma 1,si osserva che data la natura atipica del contratto di leasing e considerate l’esistenza di molte clausole diverse a seconda del tipo di leasing prescelto, sembrerebbe opportuno specificare a quale tipo di leasing ci si riferisce con le disposizioni in commento.
Con riferimento all’articolo 22, comma 4 si osserva che sembrerebbe opportuno assegnare al regolamento il compito di individuare altresì le nozioni di “gestori di servizi” ed “enti finanziatori”.
Con riferimento al comma 8, si osserva che sarebbe opportuno chiarire se un’amministrazione, che ha ricevuto la proposta, ma non ha presentato osservazioni entro il termine previsto, debba essere coinvolta nella procedura per la conclusione dell’accordo di programma.
Con riferimento all’articolo 27 (trascrizione degli atti con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono sottoposti a vincolo di destinazione), si osserva che, in considerazione delle ampie possibilità applicative della norma e degli effetti di sottrazione dei beni ai creditori che potrebbero derivare da un suo uso strumentale, andrebbe valutata l’opportunità di consentire, analogamente a quanto disposto dall’articolo 171 del codice civile in materia di fondo patrimoniale, l’esecuzione sui beni anche per debiti contratti per finalità estranee o differenti rispetto a quelle risultanti dall’atto di conferimento, nella ipotesi in cui il creditore non sia a conoscenza di tale ultima circostanza.
1. Entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi affinché gli enti ed organismi pubblici di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ad eccezione di quelli che adottano una contabilità esclusivamente economico-patrimonale, adeguino il sistema contabile ed i relativi bilanci alle disposizioni contenute nella legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) promuovere la normalizzazione dei sistemi contabili degli enti ed organismi pubblici al fine di consentire il monitoraggio, le verifiche ed il consolidamento delle risultanze da essi emergenti;
b) contribuire a rendere più razionali, trasparenti e significative le politiche di bilancio attraverso l'articolazione delle entrate e delle spese in unità previsionali di base, stabilendo che a ciascuna unità corrisponda un unico centro di responsabilità, cui è affidata la relativa gestione delle risorse;
c) individuare, in relazione all'assetto organizzativo dell'ente o dell'organismo pubblico, il responsabile dell'unità previsionale di base;
d) fissare le linee di indirizzo per la elaborazione di un sistema unitario di princìpi contabili per la redazione e la revisione del bilancio di previsione e del rendiconto generale degli enti ed organismi pubblici, nonché per la iscrizione e la valutazione degli elementi patrimoniali in relazione all'evoluzione delle tecniche contabili e delle fonti normative, incluso il processo di omologazione nel sistema giuridico nazionale dei princìpi contabili internazionali, se ed in quanto applicabili agli enti ed organismi pubblici;
e) favorire, attraverso idonei prospetti di raccordo, l'acquisizione delle informazioni fondamentali per la costruzione del conto economico delle amministrazioni pubbliche secondo le regole dettate dal regolamento (CE) n. 2223/96 del Consiglio, del 25 giugno 1996, relativo al sistema europeo dei conti nazionali e regionali nella Comunità.
2. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 1, ciascuno dei quali deve essere corredato dalla relazione tecnica di cui all'articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, sono trasmessi, alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica, perché su di essi sia espresso il parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari.
3. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all'esigenza di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari.
4. Entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, il Governo può adottare, nel rispetto dei princìpi e dei criteri direttivi previsti dai commi 1 e 5, e con le modalità di cui ai commi 2 e 3, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi di cui al comma 1.
5. Ai fini della tutela dell'unità economica della Repubblica, gli enti territoriali concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica stabiliti con l'adesione al patto di stabilità e crescita con il rispetto delle disposizioni recate dal presente articolo che costituiscono princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117 e 119, secondo comma, della Costituzione. Gli schemi di decreti legislativi relativi alle regioni e province autonome e agli enti locali sono, altresì, trasmessi per il parere alla Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
6. Ai fini della predisposizione dei decreti legislativi di cui al comma 1 è istituito, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, il Comitato per i princìpi contabili delle amministrazioni pubbliche, composto da diciassette membri interni e da tre membri esterni alla pubblica amministrazione esperti in materia giuridico-contabile. I membri interni sono costituiti da tre rappresentanti del Ministero dell'economia e delle finanze e da un rappresentante per ciascuno dei Ministeri dell'interno, dell'istruzione, dell'università e della ricerca, della salute, del lavoro e delle politiche sociali, nonché da un rappresentante dell'ISTAT, da tre rappresentanti, di cui uno in rappresentanza delle regioni a statuto speciale, designati dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e da due rappresentanti, designati da ciascuna delle Associazioni rappresentative degli enti locali: Unione delle province d'Italia (UPI), Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e Unione nazionale comuni comunità ed enti montani (UNCEM).
7. Ai componenti esterni del Comitato spettano il gettone di presenza ed i rimborsi spese determinati con lo stesso decreto di cui al comma 6. Ai componenti interni del Comitato spetta il rimborso delle eventuali spese di missione sostenute, che restano a carico delle amministrazioni di appartenenza.
8. Il Comitato indica al Ministro dell'economia e delle finanze le linee guida per la definizione degli schemi di decreto legislativo entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge.
L’articolo 1 delega il Governo ad adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, uno o più decreti legislativi per l’adeguamento dei sistemi contabili e dei bilanci degli enti e degli organismi pubblici alle disposizioni contenute nella legge 5 agosto 1978, n. 468, che reca le norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio.
Ai sensi del comma 1, gli enti e gli organismi pubblici interessati dalla norma sono tutti quelli che l’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 individua come pubbliche amministrazioni.
In base al D.Lgs. n. 165, per amministrazioni pubbliche debbono intendersi:
§ tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, nonché le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo,
§ le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni,
§ le istituzioni universitarie,
§ gli Istituti autonomi case popolari,
§ le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni,
§ tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali,
§ le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale,
§ l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN),
§ le Agenzie istituite ai sensi del D.Lgs. n. 300 del 1999.
Si tratta, in particolare, delle seguenti: Agenzia industrie difesa; Agenzia per le normative e i controlli tecnici; Agenzia per la proprietà industriale; Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici; Agenzia dei rapporti terrestri e delle infrastrutture; Agenzia per la formazione e l’istruzione professionale; Agenzie fiscali (entrate, dogane, territorio[2]).
A seguito dell’approvazione di un emendamento presso le Commissioni riunite I e V, dall’applicazione della norma sono stati esclusi gli enti che adottano una contabilità esclusivamente economico-patrimoniale, basata sui principi del diritto civile.
Si ricorda, infatti, che ad alcuni tra gli enti rientranti nella definizione di pubblica amministrazione è stata riconosciuta autonomia finanziaria e contabile.
E’ il caso, ad esempio, delle agenzie fiscali (Agenzia delle entrate, Agenzia delle dogane, Agenzia del territorio), istituite ai sensi del D.Lgs. n. 300/1999. Le agenzie hanno autonoma personalità giuridica e sono dotate di autonomia regolamentare, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria, volta a garantire la managerialità della gestione ed il raggiungimento di precisi obiettivi di risultato. Ciascuna agenzia, in base all’articolo 66, è regolata da un proprio statuto deliberato dal Comitato direttivo ed approvato dal Ministro dell’economia e delle finanze. Ai sensi dell’articolo 8, comma 4, lettera m) del D.Lgs. n. 199/300 le agenzie hanno facoltà di deliberare e proporre all'approvazione del ministro competente, di concerto con quello dell’economia, regolamenti interni di contabilità ispirati, ove richiesto dall'attività dell'agenzia, a princìpi civilistici, anche in deroga alle disposizioni sulla contabilità pubblica.
Attualmente, la disciplina contabile dei diversi comparti delle amministrazioni pubbliche è dettata da fonti normative diverse e risulta, nei suoi contenuti, assai differenziata.
In particolare:
§ i principi fondamentali della disciplina contabile delle regioni sono contenuti nel decreto legislativo 28 marzo 2000, n. 76, emanato in attuazione della delega di cui all’articolo 1, comma 4, della legge 25 giugno 1999, n. 208, la quale è stata dettata per adeguare il sistema contabile delle regioni a quello dello Stato, sulla base dei principi contenuti nella legge n. 94/1997; per ciascuna regione, la disciplina relativa alla formazione e alla struttura del bilancio, nonché alle procedure di gestione, è dettata dalla legge regionale, in conformità ai principi contenuti nel D.Lgs. n. 76/2000;
§ per quanto riguarda gli enti locali, la disciplina contabile è contenuta nella Parte II, “Ordinamento finanziario e contabile” del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 “Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali”, che in larga misura riprende le disposizioni già dettate dal D.Lgs. n. 77/1995. La Parte II del T.U. è suddivisa in sette titoli: Titolo I, Disposizioni generali (artt. 149-161); Titolo II, Programmazione e bilanci (artt. 162-177); Titolo III, Gestione del bilancio (artt. 178-198-bis); Titolo IV, Investimenti (199-207); Titolo V, Tesoreria (artt. 208-226); Titolo VI, Rilevazione e dimostrazione dei risultati di gestione (artt. 227-233); Titolo VII, Revisione economico-finanziaria (artt. 234- 241); Titolo VIII, Enti locali deficitari o dissestati (artt. 242-269). I modelli relativi al bilancio di previsione annuale, al bilancio pluriennale, al conto del bilancio, al conto economico e al conto del patrimonio, nonché ad altri documenti contabili delle diverse categorie di enti locali sono stati approvati con il D.P.R. 31 gennaio 1996, n. 194, “Regolamento per l'approvazione dei modelli di cui all'art. 114 del D.Lgs. 25 febbraio 1995, n. 77”;
§ il sistema contabile delle aziende sanitarie è disciplinato in base alle norme dettate dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, come successivamente modificato dal decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229. La normativa richiamata dispone la costituzione delle aziende unità sanitarie locali, che sono dotate di personalità giuridica e di autonomia imprenditoriale e prevede che la loro organizzazione e il loro funzionamento siano disciplinati con atto aziendale di diritto privato, nel rispetto dei principi e criteri previsti da disposizioni regionali. Per quanto attiene, in particolare, ai profili finanziari, l’articolo 5 del D.Lgs. n. 502/1992, come modificato dal D.Lgs. n. 229/1999, ha stabilito che le regioni emanino norma per la gestione economica, finanziaria e patrimoniale delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere informate ai principi del codice civile concernenti il bilancio delle società, prevedendo l’adozione del bilancio economico pluriennale di previsione e del bilancio preventivo economico annuale, nonché la tenuta di una contabilità economica analitica per centri di costo. Lo schema di bilancio delle aziende sanitarie ed ospedaliere è stato approvato, da ultimo, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, 11 febbraio 2002 (Gazz. Uff. 15 marzo 2002, n. 63);
§ con riferimento agli enti previdenziali (INPS, INPDAP, INAIL e IPSEMA), l’articolo 3, comma 5, del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 479, attribuisce al Consiglio di amministrazione di ciascun ente il potere di deliberare il regolamento di amministrazione e contabilità dell’ente medesimo;
§ le disposizioni fondamentali concernenti la contabilità delle università sono dettate dall’articolo 7 della legge 9 maggio 1989, n. 168; in particolare, il comma 7 dell’articolo citato dispone che le università possano adottare un regolamento di ateneo per l'amministrazione, la finanza e la contabilità, anche in deroga alle norme dell'ordinamento contabile dello Stato e degli enti pubblici, ma comunque nel rispetto dei relativi principi;
§ alle istituzioni scolastiche è stata attribuita la personalità giuridica, nonché l’autonomia didattica, organizzativa e amministrativa ai sensi dell’articolo 21 della legge n. 59/1997 e del D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, “Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell'art. 21 della L. 15 marzo 1997, n. 59”. Con Decreto del Ministro della pubblica istruzione 1 febbraio 2001, n. 44 è stato dettato il “Regolamento concernente le Istruzioni generali sulla gestione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche”;
§ in relazione agli enti pubblici di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70, i cosiddetti enti parastatali, la normativa contabile è stata da ultimo disciplinata con il regolamento di cui al D.P.R. 27 febbraio 2003, n. 97 (“Regolamento concernente l’amministrazione e la contabilità degli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70”); il regolamento è stato adottato in base a quanto disposto dall’articolo 1, comma 3, della legge 25 giugno 1999, n. 208, che ha previsto, per gli enti pubblici disciplinati dalla legge n. 70/1975, la rielaborazione del regolamento di amministrazione e contabilità approvato con D.P.R. n. 696/1979, per adeguarlo ai princìpi contenuti, con riferimento al bilancio dello Stato, nella legge n. 94/1997;
§ per quanto attiene alle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, l’articolo 4 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, “Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura”, ha demandato ad un decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, di concerto con il Ministro del tesoro, la definizione delle norme che disciplinano la gestione patrimoniale e finanziaria delle camere di commercio. In attuazione della disposizione citata, la disciplina contabile delle camere di commercio è stata dettata con decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato 23 luglio 1997 n. 287, “Regolamento concernente la disciplina della gestione patrimoniale e finanziaria delle camere di commercio”, informata ai princìpi generali della contabilità finanziaria, economica e patrimoniale.
Il comma 1 dell’articolo in esame definisce altresì i principi e criteri direttivi ai quali dovranno conformarsi i decreti legislativi:
a) promuovere la normalizzazione dei sistemi contabili degli enti ed organismi pubblici al fine di agevolare il monitoraggio, le verifiche e il consolidamento delle risultanze da essi emergenti;
b) favorire una maggiore razionalità, trasparenza e significatività delle politiche di bilancio attraverso l’articolazione delle entrate e delle spese in unità previsionali di base, ciascuna riconducibile ad un unico centro di responsabilità, cui è affidata la relativa gestione delle risorse.
Il criterio di cui alla lettera b) fa riferimento alla struttura del bilancio dello Stato, come risultante dalla riforma del 1997 (legge n. 94/1997 e D.Lgs. n. 279/1997), che ne ha previsto l’articolazione per unità previsionali di base, riconducibili a centri di responsabilità amministrativa.
Anche i bilanci delle regioni, peraltro, sono articolati in unità previsionali di base, determinate con riferimento ad aree omogenee di attività, secondo quanto previsto dall’articolo 4, comma 2, del D.Lgs. n. 76/2000.
I bilanci degli enti locali hanno invece una diversa articolazione. L’unità elementare del bilancio degli enti locali, per l’entrata, è la risorsa e, per la spesa, è l’intervento, secondo quanto disposto dall’articolo 165 del D.Lgs. 267/2000 (per i servizi per conto di terzi, sia nell’entrata che nella spesa, l’unità elementare è il capitolo: art. 168 del D.Lgs. 267/2000);
c) individuare il responsabile per ciascuna unità previsionale di base;
d) fissare le linee di indirizzo per l’elaborazione di un sistema unitario di principi contabili per la redazione e la revisione del bilancio di previsione e del rendiconto generale degli enti e organismo pubblici interessati, nonché per la iscrizione e valutazione degli elementi patrimoniali, in relazione all’evoluzione delle tecniche contabili e delle fonti normative, incluso il processo di omologazione nel sistema giuridico nazionale dei princìpi contabili internazionali, se ed in quanto applicabili agli enti ed organismi pubblici.
Il regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 luglio 2002, ha previsto che i conti consolidati delle società quotate in mercati regolamentati, dal 1° gennaio 2005, siano redatti in conformità ai principi contabili approvati dall’International Accounting Standards Board (indicati come principi contabili internazionali IAS/IFRS). L’adozione dei principi contabili internazionali IAS nell’ambito dell’ordinamento comunitario ha avuto luogo con regolamento (CE) n. 1725/2003 della Commissione, del 29 settembre 2003.
Nell’ordinamento nazionale, il decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38, “Esercizio delle opzioni previste dall'articolo 5 del regolamento (CE) n. 1606/2002 in materia di princìpi contabili internazionali”, ha esteso l’applicazione, a decorrere dall’anno 2005, dei principi contabili internazionali nella predisposizione dei bilanci consolidati, oltre che alle le società quotate, anche alle società aventi strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura rilevante, alle banche e agli intermediari finanziari, alle società assicurative. Ha, inoltre, disposto che le medesime società siano tenute a redigere il bilancio di esercizio in conformità ai principi contabili internazionali a partire dall’esercizio 2006 (per l’esercizio 2005 l’adozione dei principi contabili internazionali nel bilancio annuale è facoltativa; tale facoltà non è peraltro prevista per le società di assicurazione);
e) permettere, attraverso prospetti di raccordo, l’acquisizione delle informazioni fondamentali per la redazione del conto economico delle amministrazioni pubbliche, conformemente alla regole indicate dal regolamento (CE) n. 2223 del Consiglio, del 25 giugno 1996, relativo al sistema europeo dei conti nazionali e regionali nella Comunità.
Non viene peraltro chiarito se la “normalizzazione” dei conti pubblici verrà perseguita attraverso la definizione di un quadro unitario di regole o, invece, attraverso l’adozione di decreti legislativi distinti per i singoli comparti, come lascerebbe supporre la formulazione del comma 5, dove si fa riferimento agli “schemi di decreti legislativi relativi alle regioni e province autonome e agli enti locali”.
Con la delega di cui all’articolo in esame si prospetta, pertanto, la definizione di un quadro omogeneo di regole relative ai sistemi contabili e all’articolazione del bilancio delle amministrazioni pubbliche, che assuma come riferimento il bilancio dello Stato, secondo la normativa dettata dalla legge n. 468/1978, come modificata dalla legge 3 aprile 1997, n. 94, fatta eccezione per quegli enti che abbiano adottato, sulla base della loro autonomia, una contabilità ispirata a principi civilistici.
L’attuale disciplina del bilancio dello Stato risulta infatti determinata dalla riforma del 1997 (legge n. 94/1997 e il conseguente decreto legislativo n. 279/1997), che ha introdotto le seguenti principali innovazioni:
§ articolazione del bilancio dello Stato per unità previsionali di base, che costituiscono l’unità elementare ai fini dell’approvazione parlamentare; le unità previsionali di base, a loro volta, sono classificate per centri di responsabilità amministrativa, che rappresentano, nell’ambito di ciascun ministero, le strutture preposte alla gestione delle risorse stanziate;
§ ulteriore suddivisione degli stanziamenti delle u.p.b. in capitoli da effettuare in via amministrativa con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze; i capitoli costituiscono le unità elementari di riferimento ai fini della gestione e della rendicontazione;
§ facoltà di effettuare variazioni compensative tra capitoli della medesima u.p.b., fatta eccezione per le autorizzazioni di spesa di natura obbligatoria, per le spese in annualità e a pagamento differito e per quelle direttamente regolate da legge;
§ determinazione nella nota preliminare di ciascun stato di previsione della spesa degli obiettivi che, in rapporto alle risorse stanziate, le amministrazioni hanno il compito di conseguire; tali obiettivi devono essere definiti in termini di livello dei servizi che l’amministrazione deve fornire e di interventi che deve attuare;
§ classificazione, a fini conoscitivi, delle spese per funzioni-obiettivo, volte ad evidenziare la ripartizione delle risorse tra le principali finalità della spesa, vale a dire tra le diverse politiche di settore che si intendono attuare (classificazione funzionale);
§ classificazione, a fini conoscitivi, delle entrate e delle spese per categorie, che evidenziano l’effetto delle poste di bilancio sul sistema economico nazionale (classificazione economica).
Al tempo stesso si prospetta:
- il recepimento, nell’ambito del quadro generale di regole da definire per tutte le amministrazioni pubbliche e con specifico riferimento alle regole di valutazione degli elementi patrimoniali, dei principi contabili internazionali, nella misura in cui tali principi risultino applicabili ad amministrazioni pubbliche;
- l’elaborazione di prospetti di raccordo che, sulla base di una struttura dei bilanci delle amministrazioni pubbliche fondamentalmente omogenea (a differenza di quanto accade attualmente), permettano di acquisire i dati necessari per la costruzione del conto economico delle amministrazioni pubbliche, che rappresenta il documento contabile in base al quale viene verificato il rispetto dei vincoli derivanti dalla partecipazione all’Unione economica e monetaria, come determinati dal Trattato CE e dal patto di stabilità e crescita.
Per quanto concerne la definizione di un quadro generale di regole contabili omogeneo per tutte le amministrazioni pubbliche, si osserva che il medesimo obiettivo già era stato perseguito dall’articolo 1, comma 3, della legge n. 208/1999. Tale disposizione prevedeva che le amministrazioni pubbliche adeguassero il sistema di contabilità e i relativi bilanci ai principi contenuti nella legge n. 94/1997, che ha disciplinato la riforma del bilancio dello Stato.
Con riferimento a questa previsione, era stata adottata la circolare del Ministero del tesoro 11 dicembre 2000, n. 39, che, pur senza avere valore prescrittivo, intendeva facilitare l’attuazione di quanto disposto dalla legge n. 208, indicando le modalità con cui le amministrazioni pubbliche diverse dallo Stato, nel rispetto della loro autonomia, avrebbero potuto procedere per adeguare i propri sistemi contabili e il proprio bilancio ai principi dettati dalla legge n. 94/1997.
L’adozione di un quadro di regole contabili omogeneo da parte delle amministrazioni pubbliche era comunque rimessa, sulla base delle disposizioni della legge n. 208, come illustrate nella successiva circolare, alle singole amministrazioni.
La legge n. 208/1999 dettava, peraltro, previsioni più incisive con riferimento agli enti parastatali, per i quali si prevedeva la revisione del regolamento di amministrazione e contabilità (effettuata con il D.P.R. n. 97/2003), e, soprattutto, alle regioni. Il Governo era infatti delegato ad adottare uno o più decreti legislativi che recassero la normativa quadro per l’adeguamento del sistema contabile delle regioni a quello dello Stato; la delega ha ricevuto attuazione con il D.Lgs. n. 76/2000.
Si segnala altresì che l’articolo 58, comma 3 della legge finanziaria per il 2001 (legge n. 388/2000) prevedeva che con uno o più regolamenti di delegificazione fossero stabiliti i criteri per la standardizzazione e l’adeguamento dei sistemi contabili delle pubbliche amministrazioni, anche attraverso strumenti elettronici e telematici, finalizzati al monitoraggio della spesa e dei fabbisogni. Nell’ambito della riforma del bilancio dello Stato, inoltre, era stata prevista l’adozione da parte di tutte le amministrazioni pubbliche di un sistema di contabilità economica fondato su rilevazioni analitiche per centri di costo (art. 10 del D.Lgs. n. 278/1997).
Il comma 2 prevede che gli schemi dei decreti legislativi,corredati dalla relazione tecnica prevista ai sensi dell’articolo 11-ter, comma 2, della legge n. 468/1978, dovranno essere trasmessi alla Camera dei Deputati e al Senato, per l’espressione del parere sia da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia che delle Commissioni competenti per i profili finanziari.
La previsione che gli schemi di decreto legislativo debbano essere corredati dalla relazione tecnica è già contemplata, in via generale, dalla legge n. 468 del 1978, che ne richiede la presentazione per tutti i provvedimenti di iniziativa governativa – oltre agli schemi di decreto legislativo, anche ai disegni di legge e agli emendamenti del Governo – comportanti conseguenze finanziarie (non solo nuove o maggiori spese o diminuzioni di entrate, ma anche risparmi di spesa o aumenti di entrata).
Secondo l'articolo 11-ter, comma 2, spetta alle amministrazioni di settore, competenti per la futura attuazione della legge e che meglio conoscono i concreti meccanismi di spesa, predisporre le relazioni tecniche, successivamente verificate dal Ministero dell’economia e delle finanze e, per esso, dalla Ragioneria generale, per il suo ruolo di verifica e di coordinamento delle iniziative legislative di rilievo finanziario.
La legge n. 468 determina inoltre il contenuto necessario delle relazioni tecniche, che devono indicare "i dati e i metodi utilizzati per la quantificazione, le loro fonti e ogni elemento utile per la verifica tecnica in sede parlamentare". Esse devono inoltre specificare:
- per la spesa corrente e le minori entrate, gli oneri annuali fino alla completa attuazione delle norme;
- per le spese in conto capitale, la modulazione relativa agli anni compresi nel bilancio pluriennale dello Stato e l'onere complessivo in relazione agli obiettivi previsti.
La disposizione in esame non indica, peraltro, un termine per l’espressione di tale parere. Si applicano dunque le disposizioni previste dai regolamenti parlamentari.
Il Regolamento della Camera prevede che le Commissioni esprimano il parere nel termine di venti giorni dall’assegnazione, prorogabile una sola volta, per non più di dieci giorni, dal Presidente della Camera. Il Presidente della Camera, apprezzate le circostanze e la complessità del provvedimento, può fissare, d’intesa con il Presidente del Senato, un termine più ampio (artt. 96-ter, comma 5, e 143, comma 4)
Il comma 3 prevede altresì che il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate dalle Commissioni competenti al fine di garantire il rispetto dell’obbligo costituzionale di copertura finanziaria delle leggi, deve ritrasmettere alle Camere i testi corredati delle necessarie informazioni integrativeè sottoporli nuovamente al parere definitivo delle Commissioni competenti per i profili finanziari.
Il comma 4 prevede che entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, il Governo possa adottare decreti legislativi correttivi e integrativi, nel rispetto dei medesimi principi e criteri direttivi.
Si osserva che apparirebbe opportuna - come rilevato anche dal Comitato per la legislazione nel parere espresso il 21 giugno 2005 - una più puntuale scansione temporale del procedimento di delega.
Per quanto concerne gli schemi di decreti legislativi relativi alle regioni e province autonome e agli enti locali, il comma 5 prevede altresì il parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281 (Conferenza Stato-città ed autonomie locali unificata con la Conferenza Stato-regioni).
Il medesimo comma 5 afferma altresì che l’obbligo da parte degli enti locali di rispettare le disposizioni contenute nell’articolo in esame si fonda sui seguenti aspetti:
a) le disposizioni in esame rispondono alla finalità di tutelare l’unità economica della Repubblica;
b) attraverso il rispetto di tali disposizioni gli enti territoriali concorrono al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica stabiliti con l’adesione al patto di stabilità e crescita;
c) tali disposizioni costituiscono principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117 e 119, secondo commadellaCostituzione;
Con la formulazione del comma 5, in sostanza, si intendono indicare i parametri costituzionali volti a giustificare la competenza della legislazione statale ad intervenire in materia di disciplina contabile delle regioni e degli enti locali e, di conseguenza, a rendere obbligatorio, per tali enti, l’adeguamento del proprio sistema contabile e del proprio bilancio alle regole stabilite nei decreti legislativi che dovranno essere adottati in base al presente articolo.
Ai fini della predisposizione dei decreti legislativi il comma 6 dispone l’istituzione, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, del Comitato per i principi contabili delle amministrazioni pubbliche.
Tale organismo è composto da diciassette membri interni (sedici nel testo iniziale, in quanto non era previsto il rappresentante delle regioni a statuto speciale) e da tre membri esterni alla pubblica amministrazione esperti in materia giuridico-contabile.
I diciassette membri interni sono costituiti da:
§ tre rappresentanti del Ministero dell’economia e delle finanze;
§ un rappresentante del Ministero dell’interno;
§ un rappresentante del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca;
§ un rappresentante del Ministero della salute;
§ un rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
§ un rappresentante dell’ISTAT;
§ tre rappresentanti designati dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, di cui uno in rappresentanza delle regioni a statuto speciale;
§ due rappresentanti designati da ciascuna delle Associazioni rappresentative degli enti locali: Unione delle province d’Italia-UPI, Associazione nazionale dei comuni italiani-ANCI e Unione nazionale comuni comunità ed enti montani-UNCEM.
Ai sensi del comma 7, ai componenti esterni del Comitato spettano il gettone di presenza ed i rimborsi spese determinati con lo stesso decreto istitutivo del Comitato medesimo. Ai componenti interni spetta il rimborso delle eventuali spese di missione sostenute, che restano a carico delle amministrazioni di appartenenza.
Secondo quanto previsto dal comma 8, il Comitato per i principi contabili delle amministrazioni pubbliche, di cui al comma 7, ha il compito di fornire al Ministro dell’economia e delle finanze le linee guida per la definizione degli schemi dei decreti legislativi in questione, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge.
A seguito di un emendamento approvato dalle Commissioni riunite I e V, e stata eliminata la disposizione che prevedeva che il Comitato, per il suo funzionamento, si avvalesse del contributo dell’Osservatorio sulla finanza e la contabilità degli enti locali, istituito ai sensi dell’articolo 154 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali).
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Facendo seguito ad una comunicazione del 22 dicembre 2004[3] la Commissione europea ha presentato il 2 marzo 2005 una proposta di modifica del regolamento (CE) n.3605/93 concernente la qualità dei dati statistici[4] nel contesto della procedura per i disavanzi eccessivi prevista dal Patto di stabilità (COM(2005)71).
La proposta si prefigge i seguenti obiettivi:
- creare una base giuridica per le migliori pratiche esistenti in materia di compilazione e comunicazione dei dati[5];
- fornire un approccio più sistematico che consenta di monitorare la qualità dei dati mediante visite di controllo approfondite da parte dell’Istituto statistico europeo (Eurostat), oltre alle missioni regolari attualmente effettuate;
- rafforzare la trasparenza, e quindi la responsabilità, in tutto il processo a livello sia degli Stati membri che della Commissione. La proposta prevede, ad esempio, la pubblicazione da parte degli Stati membri dei dati comunicati e degli inventari delle fonti e dei metodi utilizzati per elaborare i conti, nonché i rapporti delle missioni.
Il 7 giugno 2005 il Consiglio ECOFIN ha approvato conclusioni sulla qualità dei dati statistici, nelle quali, tra l’altro, rileva che:
Il Parlamento europeo ha esaminato la proposta, secondo la procedura di consultazione, nella sessione del 23 giugno 2005.
Il 25 maggio la Commissione ha presentato una comunicazione per promuovere l’indipendenza, l’integrità e la responsabilizzazione delle autorità nazionali e comunitarie preposte all’elaborazione delle statistiche (COM(2005)217). La comunicazione comprende una raccomandazione agli Stati membri intesa ad introdurre un codice europeo in materia di statistiche per migliorare la qualità delle rilevazioni attraverso l’applicazione dei principi e delle pratiche più affidabili a livello internazionale.La Commissione applicherà questi principi all’attività di Eurostat e raccomanda agli Stati membri di garantirne il rispetto anche a livello nazionale.
1. All'articolo 63 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al secondo comma, terzo periodo, dopo le parole: «nell'elenco previsto dal terzo comma» sono inserite le seguenti: «ovvero ai soggetti indicati nell'articolo 4, comma 1, lettere e), f) ed i), del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545»;
b) dopo il secondo comma, è inserito il seguente:
«Se i contribuenti sono rappresentati dai soggetti previsti dall'articolo 3, comma 3, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, e successive modificazioni, non è richiesta la procura di cui ai commi precedenti per i rapporti con gli uffici previsti dagli articoli 36-bis, comma 3, e 36-ter, comma 4, del presente decreto».
Il comma 1 dell’articolo 2 modifica l’articolo 63 del D.P.R. n. 600/73 in tema di assistenza e rappresentanza dei contribuenti nei confronti dell’Amministrazione finanziaria.
Il citato articolo 63 del D.P.R. n. 600 del 1973 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi) stabilisce che presso gli uffici finanziari il contribuente può farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale, salvo quanto stabilito nel successivo quarto comma.
La procura speciale deve essere conferita per iscritto con firma autenticata. L'autenticazione non è necessaria quando la procura è conferita al coniuge o a parenti e affini entro il quarto grado o a propri dipendenti da persone giuridiche. Quando la procura è conferita a persone iscritte in albi professionali o nell'elenco previsto dal terzo comma è data facoltà agli stessi rappresentanti di autenticare la sottoscrizione.
Il Ministero dell’economia e delle finanze può autorizzare all'esercizio dell'assistenza e della rappresentanza davanti alle commissioni tributarie gli impiegati delle carriere dirigenziale direttiva e di concetto dell'amministrazione finanziaria nonché gli ufficiali e i sottufficiali della guardia di finanza collocati a riposo dopo almeno venti anni di effettivo servizio. L'autorizzazione può essere revocata in ogni tempo con provvedimento motivato. Il Ministero tiene l'elenco delle persone autorizzate e comunica alle segreterie delle commissioni tributarie le relative variazioni.
A coloro che hanno appartenuto all'amministrazione finanziaria e alla guardia di finanza, ancorché iscritti in un albo professionale o nell'elenco previsto nel precedente comma, è vietato, per due anni dalla data di cessazione del rapporto d'impiego, di esercitare funzioni di assistenza e di rappresentanza presso gli uffici finanziari e davanti le commissioni tributarie.
Chi esercita funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria in violazione del presente articolo è punito con la multa da cinquantamila a cinquecentomila lire.
La lettera a) del comma 1, novellando il secondo comma del citato articolo 63, estende la possibilità di autenticazione della sottoscrizione da parte degli stessi rappresentanti, oltre che per le persone iscritte in albi professionali o quelle ricomprese nell’apposito elenco relativo al personale dell’amministrazione finanziaria e della Guardia di finanza, anche ai soggetti indicati nell'articolo 4, primo comma, lettera e), f) ed i), del decreto legislativo n. 545 del 1992. Si tratta di:
§ coloro che, in possesso del titolo di studio ed in qualità di ragionieri o periti commerciali, hanno svolto per almeno dieci anni, alle dipendenze di terzi, attività nelle materie tributarie ed amministrativo-contabili (lettera e);
§ coloro che sono iscritti nel ruolo o nel registro dei revisori ufficiali dei conti o dei revisori contabili, ed hanno svolto almeno cinque anni di attività (lettera f);
§ coloro che hanno conseguito da almeno due anni il diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio (lettera i).
La lettera b), inserendo un ulteriore comma dopo il secondo comma dell’articolo 63 del D.P.R. n. 600 del 1973, esclude la procura qualora il contribuente sia rappresentato dai soggetti indicati all'articolo 3, comma 3, del D.P.R. n. 322 del 1998 (Regolamento recante modalità per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all'IRAP e all’IVA), limitatamente ai rapporti con gli uffici previsti dagli articoli 36-bis, comma 3, e 36-ter, comma 4, dello stesso D.P.R. n. 600 del 1973.
L’articolo 36-bis reca disposizioni in tema di liquidazioni delle imposte, dei contributi, dei premi e dei rimborsi dovuti in base alle dichiarazioni. In particolare stabilisce, al comma 3, che, qualora dai controlli automatici eseguiti emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione, l'esito della liquidazione è comunicato al contribuente o al sostituto d'imposta per evitare la reiterazione di errori e per consentire la regolarizzazione degli aspetti formali. Nel caso che a seguito della comunicazione il contribuente o il sostituto di imposta rilevi eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione dei tributi, lo stesso può fornire i chiarimenti necessari all'amministrazione finanziaria entro i trenta giorni successivi al ricevimento della comunicazione.
Il successivo articolo 36-ter, concernente il controllo formale delle dichiarazioni, dispone, al quarto comma, che l'esito del controllo formale è comunicato al contribuente o al sostituto d'imposta con l'indicazione dei motivi che hanno dato luogo alla rettifica degli imponibili, delle imposte, delle ritenute alla fonte, dei contributi e dei premi dichiarati, per consentire anche la segnalazione di eventuali dati ed elementi non considerati o valutati erroneamente in sede di controllo formale entro i trenta giorni successivi al ricevimento della comunicazione.
I soggetti rappresentanti del contribuente per i quali non è necessaria la procura limitatamente ai casi di liquidazione e controllo formale delle dichiarazioni sono i soggetti incaricati della trasmissione delle dichiarazioni in via telematica mediante il servizio telematico Entratel, ai sensi dell’articolo 3, comma 3, del D.P.R. n. 322 del 1998.
Si tratta, in particolare di:
a) iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro;
b) soggetti iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio per la sub-categoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o diploma di ragioneria;
c) associazioni sindacali di categoria tra imprenditori, nonché quelle che associano soggetti appartenenti a minoranze etnico-linguistiche;
d) centri di assistenza fiscale per le imprese e per i lavoratori dipendenti e pensionati;
e) altri incaricati individuati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze[7].
Articolo 2, comma 2
(Obblighi connessi alla tenuta dei
registri
di carico e scarico dei rifiuti)
2. Gli obblighi connessi alla tenuta dei registri di carico e scarico dei rifiuti si intendono correttamente adempiuti anche qualora sia utilizzata carta formato A4 numerata e vidimata.
Il comma in esame prevede che gli obblighi connessi alla tenuta dei registri di carico e scarico dei rifiuti si intendono correttamente adempiuti anche qualora sia utilizzata carta formato A4 numerata e vidimata.
Ai sensi degli articoli 11, comma 3, e 12 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio – cosiddetto “decreto Ronchi”), tutti i soggetti che effettuano a titolo professionale attività di raccolta e di trasporto di rifiuti, ovvero svolgono le operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti, le imprese e gli enti che producono rifiuti pericolosi e le imprese e gli enti che producono rifiuti non pericolosi, di cui all’articolo 7, comma 3, lettere c), d), e g) del medesimo decreto, hanno l'obbligo di tenere un registro di carico e scarico, con fogli numerati e vidimati dall'Ufficio del registro, su cui devono annotare le informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti, da utilizzare ai fini della comunicazione annuale al Catasto[8].
In particolare, secondo la normativa vigente (art. 11 del medesimo decreto), i soggetti obbligati alla tenuta dei registri di carico e scarico sono:
§ coloro che effettuano a titolo professionale attività di raccolta e di trasporto di rifiuti, compresi i commercianti e gli intermediari di rifiuti;
§ enti e imprese che effettuano attività di smaltimento e di recupero di rifiuti;
§ enti e imprese che producono rifiuti pericolosi;
§ enti e imprese che producono rifiuti non pericolosi derivanti da lavorazioni industriali (comma 3, lettera c) dell’articolo 7) e artigianali (comma 3, lettera d) dello stesso articolo 7);
§ enti e imprese che producono rifiuti non pericolosi derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti, dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi (comma 3, lettera g) dell’articolo 7);
§ soggetti che effettuano il deposito temporaneo di rifiuti, cioè il raggruppamento, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti i rifiuti stessi, secondo modalità definite dall’art. 6, comma 1, lettera m), del decreto legislativo n. 22 (art. 28, comma 5);
§ soggetti che comunque utilizzano i rifiuti non pericolosi in operazioni diverse da quelle di recupero (elencate nell’allegato C), da individuarsi con “apposite norme tecniche” (art. 33, comma 10).
Sempre secondo la normativa vigente, sono invece esonerati dall’obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico:
§ gli imprenditori agricoli con un volume di affari annuo non superiore a 15 milioni di lire (art. 11, comma 3);
§ i piccoli imprenditori artigiani, che producono rifiuti non pericolosi e che non hanno più di tre dipendenti (art. 11, comma 3);
§ i soggetti che svolgono attività di raccolta e trasporto di rifiuti, abilitati allo svolgimento delle attività medesime in forma ambulante, limitatamente ai rifiuti che formano oggetto del loro commercio (art. 58, comma 7 quater);
§ i rivenditori, i produttori, gli importatori ed i distributori, e le loro associazioni di categoria, che abbiano stipulato accordi e contratti di programma per le attività di ritiro, trasporto e stoccaggio dei beni durevoli (art. 44, comma 3).
Si ricorda, inoltre, che le informazioni contenute nel registro sono rese in qualunque momento all'autorità di controllo che ne fa richiesta. La disciplina recata dall’art. 12 specifica, inoltre, i tempi in cui devono essere effettuate le annotazioni, le modalità di tenuta dei registri e il loro contenuto necessario, mentre, con il DM 1.4.1998, n. 148, è stato adottato il Regolamento recante approvazione del modello dei registri di carico e scarico dei rifiuti ai sensi degli articoli 12, 18, comma 2, lettera m), e 18, comma 4, del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22.
Il comma 1 dell’articolo 1 del D.M n. 148 del 1998 prevede che sono approvati i modelli di registro di carico e scarico dei rifiuti riportati negli allegati A e B. Il comma 2 dispone che il registro di carico e scarico è composto da fogli numerati e vidimati dall'ufficio del registro e deve essere compilato secondo le modalità indicate nell'allegato C - Descrizione tecnica. Il comma 3 prevede che i registri di carico e scarico tenuti mediante strumenti informatici devono utilizzare carta a modulo continuo. La stampa di tali registri deve essere effettuata con la cadenza prevista per le diverse categorie di operatori dall'articolo 12, comma 1, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 e successive modifiche ed integrazioni, e comunque in sede di verifica da parte degli organi di controllo. Il comma 4 in sostituzione dei modelli di cui al comma 1, i produttori di rifiuti non pericolosi hanno la facoltà di adempiere all'obbligo della tenuta del registro di carico e scarico anche con i seguenti registri, scritture e documentazione contabili: a) registri IVA di acquisto e vendite; b) scritture ausiliarie di magazzino di cui all'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e successive modificazioni; c) altri registri o documentazione contabile la cui tenuta sia prevista da disposizioni di legge. Il comma 5 prevede che i registri, la documentazione e le scritture contabili di cui alle lettere a), b) e c) del comma 4 possono sostituire i registri di carico e scarico a condizione che siano numerati e vidimati, siano integrati dal formulario di cui all'articolo 15 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 e contengano i seguenti elementi, da annotarsi con la cadenza stabilita dall'articolo 12, comma 1, del citato decreto legislativo e secondo le modalità indicate nell'allegato C: a) data di produzione o di presa in carico e di scarico del rifiuto, il numero progressivo della registrazione e la data in cui il movimento viene effettuato; b) le caratteristiche del rifiuto; c) le quantità dei rifiuti prodotti all'interno dell'unità locale o presi in carico; d) l'eventuale ulteriore descrizione del rifiuto; e) il numero del formulario che accompagna il trasporto dei rifiuti presi in carico o avviati ad operazioni di recupero o di smaltimento; f) l'eventuale intermediario o commerciante di cui ci si avvale. Il comma 6 prevede infine I registri tenuti dalle associazioni di categoria ai sensi dell'articolo 12, comma 4, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, ed i registri sostitutivi di cui al comma 4 possono essere vidimati con la procedura prevista dalla normativa vigente per le scritture contabili.
Il comma 2 dell’articolo 52 del decreto legislativo n. 22 del 1997 prevede che “chiunque omette di tenere ovvero tiene in modo incompleto il registro di carico e scarico di cui all'articolo 12, comma 1, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire cinque milioni a lire trenta milioni. Se il registro è relativo a rifiuti pericolosi si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da lire trenta milioni a lire centottanta milioni, nonché la sanzione amministrativa accessoria della sospensione da un mese ad un anno dalla carica rivestita dal soggetto responsabile dell'infrazione e dall'amministratore. Le sanzioni di cui sopra sono ridotte rispettivamente da lire duemilioni a lire dodicimilioni per i rifiuti non pericolosi, da lire quattromilioni a lire ventiquattromilioni per i rifiuti pericolosi, nel caso di imprese che occupano un numero di unità lavorative inferiore a 15 dipendenti calcolate con riferimento al numero di dipendenti occupati a tempo pieno durante un anno, mentre i lavoratori a tempo parziale e quelli stagionali rappresentano frazioni di unità lavorative annue; ai predetti fini l'anno da prendere in considerazione è quello dell'ultimo esercizio contabile approvato”
La norma sembra quindi chiarire che, ai sensi dei commi 2 e 3 dell’articolo 1 del D.M. n. 148 del 1998, può essere usata carta A4 numerata e vidimata.
3. Ferma restando la facoltà della dogana di effettuare comunque i controlli ritenuti necessari, il comma 1 dell'articolo 2 della legge 25 luglio 2000, n. 213, si interpreta nel senso che il potere di asseverazione attribuito agli spedizionieri doganali e agli altri soggetti abilitati può essere esercitato anche successivamente all'espletamento dell'operazione doganale. Il comma 5 del medesimo articolo si interpreta nel senso che l'attestazione contenuta nell'asseverazione riguarda sia la completezza documentale e la regolarità formale, sia tutti gli aspetti di regolarità sostanziale dell'operazione doganale. I soggetti che esercitano il potere di asseverazione di cui al medesimo articolo 2 della citata legge n. 213 del 2000 assumono la veste di persona incaricata di pubblico servizio ai sensi dell'articolo 358 del codice penale.
Il comma 3 dell’articolo 2 reca l’interpretazione autentica dell’articolo 2 della legge 25 luglio 2000, n. 213, relativo all’asseverazione dei dati operata, agli effetti delle procedure doganali, dagli spedizionieri doganali[9], dai centri di assistenza doganali (CAD)[10] e dagli altri soggetti a ciò abilitati[11].
L’asseverazione di cui al citato articolo 2 consiste in un’attestazione richiesta dall’operatore economico che intende presentare una dichiarazione agli uffici finanziari.
L’asseverazione attesta la corrispondenza dei dati contenuti nelle dichiarazioni presentate con i documenti sui quali le stesse si fondano. In particolare, per quanto riguarda le dichiarazioni doganali, l’asseverazione attesta anche che l'operazione doganale richiesta è regolare, completa dei documenti necessari e risponde a tutti i requisiti prescritti per il suo compimento dalla normativa vigente (articolo 2, comma 5).
L’asseverazione viene rilasciata dagli spedizionieri doganali, da eventuali altri soggetti a ciò abilitati, nonché dai centri di assistenza doganale (CAD) (articolo 2, commi 1 e 2, e articolo 3, comma 2).
L’Amministrazione finanziaria, nell’esecuzione dei controlli in sede di accertamento, di norma assume i dati asseverati dagli spedizionieri doganali e dagli altri soggetti abilitati, e compie ulteriori verifiche dei dati stessi solo qualora vi siano fondati motivi per procedervi (articolo 2, comma 4).
L’asseverazione comporta la responsabilità solidale dei soggetti abilitati per il pagamento del tributo, se questi erano o avrebbero dovuto ragionevolmente essere a conoscenza dell’erroneità dei fatti asseverati (articolo 2, comma 6), e, in caso di asseverazione falsa e mendace, la responsabilità, anche patrimoniale, per i danni procurati all’erario (articolo 2, comma 7).
Il primo periodo del comma in esame interpreta il comma 1 del sopra illustrato articolo 2 della legge n. 213 del 2000 nel senso che il potere di asseverazione, spettante agli spedizionieri doganali e agli altri soggetti a ciò abilitati, può essere esercitato anche successivamente all’espletamento dell’operazione doganale.
L’asseverazione, in quest’ipotesi, non sarebbe utilizzata dall’operatore economico per l’espletamento dell’operazione doganale, ma sarebbe conservata dall’operatore stesso per essere esibita all’Amministrazione finanziaria, nel caso in cui questa, entro il termine triennale di prescrizione[12], intendesse effettuare ulteriori accertamenti sull’operazione doganale effettuata.
Viene fatta salva la facoltà della dogana di effettuare, anche in presenza di asseverazione successiva, i controlli che dovessero essere ritenuti necessari, tenendo però presente che, ai sensi dell’articolo 2, comma 4, della legge n. 213 del 2000, l’Amministrazione finanziaria compie ulteriori verifiche solo nel caso in cui vi siano fondati motivi per procedere.
Il primo periodo del comma in esame parrebbe estendere il campo di applicazione della norma interpretata, la quale, utilizzando l’espressione: “dichiarazioni da presentare agli uffici finanziari”, sembra riferire l’asseverazione ai dati contenuti nelle dichiarazioni non ancora presentate agli uffici finanziari. L’espressione potrebbe tuttavia intendersi anche nel senso che le parole: “da presentare” individuino non già una circostanza temporale futura, bensì l’obbligo normativo della presentazione: in tal caso, la previsione del rilascio dell’asseverazione in un momento successivo all’esecuzione delle operazioni doganali espliciterebbe una possibilità implicita nel dettato della disposizione originaria.
Il secondo periodo del comma in esame interpreta il comma 5 del citato articolo 2 della legge n. 213 del 2000, relativo al contenuto dell’attività di asseverazione.
Il comma 5 dell’articolo 2 della legge n. 213 del 2000 prevede che l’asseverazione delle dichiarazioni doganali attesti, oltre alla corrispondenza tra i dati contenuti nelle dichiarazioni presentate e i documenti sulle quali le stesse si basano, la regolarità dell’operazione doganale, la completezza della documentazione necessaria e la rispondenza dell’operazione stessa a tutti i requisiti previsti per la sua esecuzione dalla normativa vigente.
Il periodo qui illustrato dispone che l’attestazione relativa alle operazioni doganali sia riferita, oltre che alla completezza documentale e alla regolarità formale, anche a tutti gli aspetti di regolarità sostanziale, compresa anche, ad esempio, l’ispezione delle merci che sono oggetto dell’operazione.
In applicazione di questa norma, la limitazione del potere di controllo dell’Amministrazione finanziaria, prevista dall’articolo 2, comma 4, della legge n. 213 del 2000, come effetto dell’asseverazione, sarà efficace esclusivamente in presenza di asseverazioni attestanti la regolarità formale e sostanziale delle operazioni doganali.
Al riguardo si osserva che, avendo l’interpretazione autentica carattere retroattivo, potrebbe porsi il problema della validità delle asseverazioni meramente formali già rilasciate alla data di entrata in vigore della presente disposizione. Attesane la possibile innovatività, potrebbe quindi essere opportuno riformularla come modificazione del testo legislativo vigente.
Il terzo periodo del comma in esame stabilisce che i soggetti, i quali esercitano il potere di asseverazione [spedizionieri doganali, centri di assistenza doganale (CAD) e altri soggetti a ciò abilitati] a norma degli articoli 2, commi 1 e 2, e 3, comma 2, della citata legge n. 213 del 2000, assumono la veste di incaricati di pubblico servizio, ai sensi dell’articolo 358 del codice penale, con conseguente applicabilità delle norme penali concernenti i reati che possono essere commessi esclusivamente dai soggetti così qualificati.
L’articolo 358 del codice penale definisce, ai fini della legge penale, la nozione di persona incaricata di un pubblico servizio[13].
Si tratta di colui che, a qualunque titolo, presti un pubblico servizio, inteso come un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione (definita dall’art. 357 c.p.), e dunque da norme di diritto pubblico, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest'ultima, e dunque dalla assenza di poteri autoritativi o certificativi, fatta eccezione per lo svolgimento di semplici mansioni d’ordine e per la prestazione di opera meramente materiale.
Il pubblico servizio è dunque, dal punto di vista oggettivo, un’attività disciplinata da norme di diritto pubblico, indipendentemente dal fatto che il suo esercizio sia affidato allo Stato o ad altri soggetti, pubblici o privati[14]. Quanto al contenuto, il pubblico servizio è quindi attività di carattere intellettivo, caratterizzata dalla mancanza dei poteri autoritativi e certificativi propri della pubblica funzione, con la quale è solo in rapporto di accessorietà o complementarità[15].
Per comprendere appieno la nozione di incaricato di pubblico servizio occorre dunque individuare preliminarmente la nozione di pubblica funzione. Per pubblica funzione s’intende la funzione disciplinata da norme di diritto pubblico e caratterizzata dal fatto che colui che la esercita manifesta la volontà della pubblica amministrazione attraverso poteri autoritativi o di certificazione. Occorre pertanto che la funzione sia regolata da norme di diritto pubblico, cioè dalla Costituzione o dal diritto amministrativo, non da quello privato; in secondo luogo, occorre che coloro che la esercitano abbiano il potere di manifestare la volontà della pubblica amministrazione, e ciò avviene qualora essi abbiano in tale campo poteri autoritativi o certificativi. I poteri autoritativi esprimono un'autorità nei confronti dei cittadini: sono quindi pubblici ufficiali gli agenti di polizia, i controllori ferroviari etc.; i poteri certificativi si hanno quando colui che li esercita può redigere documenti che, in base alla legge, valgono come prove: sono quindi pubblici ufficiali i notai, gli agenti di cambio, etc.
Per quanto riguarda i poteri di certificazione, preclusi agli incaricati di pubblico servizio, si ritiene che non rientri tra questi, non avendo valore di prova, l’asseverazione di cui all’articolo 2 della legge n. 213 del 2000.
Le nozioni di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio assumono estrema rilevanza in campo penale, in quanto alcuni reati possono essere commessi solo da soggetti che rivestono tali qualifiche. Si tratta in particolare dei reati contro la pubblica amministrazione: peculato (artt. 314-316), concussione (art. 317 c.p.), corruzione (artt. 318-322), abuso d’ufficio (art. 323 c.p.), utilizzazione d'invenzioni o scoperte conosciute per ragione d'ufficio (art. 325 c.p.), rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio (art. 326 c.p.), rifiuto o omissione di atti d’ufficio (art. 328 c.p.), interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità (art. 331 c.p.).
Si segnala infine che il testo del presente comma corrisponde alla proposta di legge A.C. 5815, d’iniziativa dell’on. Benvenuto, attualmente all’esame della Commissione finanze della Camera dei deputati.
4. All'articolo 12 del decreto legislativo 13 dicembre 1992, n. 546, in materia di assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 2, il primo periodo é sostituito dal seguente: «Sono abilitati all'assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie, se iscritti nei relativi albi professionali, gli avvocati, i dottori commercialisti, i ragionieri e periti commerciali, nonché i consulenti del lavoro»;
b) al comma 2, secondo periodo, le parole: «i consulenti del lavoro, per le materie concernenti le ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente ed assimilati e gli obblighi di sostituto di imposta relativi alle ritenute medesime,» sono soppresse.
Il comma 4 dell’articolo 2 abilita all’assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie i consulenti del lavoro, se iscritti nei relativi albi professionali.
A tal fine, viene modificato il comma 2 dell’articolo 12 del D.Lgs. 13 dicembre 1992, n. 546, concernente l’assistenza tecnica presso le commissioni tributarie.
Il richiamato articolo 12 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, recante disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, prevede, al comma 1, che le parti, diverse dall'ufficio del Ministero dell’economia e delle finanze o dall'ente locale nei cui confronti è stato proposto il ricorso, devono essere assistite in giudizio da un difensore abilitato.
Ai sensi del comma 2, sono abilitati all'assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie, se iscritti nei relativi albi professionali, gli avvocati, i procuratori legali, i dottori commercialisti, i ragionieri e i periti commerciali. Sono altresì abilitati all'assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie, se iscritti nei relativi albi professionali, i consulenti del lavoro, per le materie concernenti le ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente e assimilati e gli obblighi di sostituto d’imposta relativi alle ritenute medesime, gli ingegneri, gli architetti, i geometri, i periti edili, i dottori in agraria, gli agronomi e i periti agrari, per le materie concernenti l'estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell'estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l'attribuzione della rendita catastale e gli spedizionieri doganali per le materie concernenti i tributi amministrati dall'Agenzia delle dogane. In attesa dell'adeguamento alle direttive comunitarie in materia di esercizio di attività di consulenza tributaria e del conseguente riordino della materia, sono, altresì, abilitati alla assistenza tecnica, se iscritti in appositi elenchi da tenersi presso le direzioni regionali delle entrate, i soggetti indicati nell'articolo 63, terzo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, i soggetti iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la subcategoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o di diploma di ragioniere limitatamente alle materie concernenti le imposte di registro, di successione, i tributi locali, l'IVA, l'IRPEF, l'ILOR e l'IRPEG, nonché i dipendenti delle associazioni delle categorie rappresentate nel Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL) e i dipendenti delle imprese, o delle loro controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, primo comma, numero 1), limitatamente alle controversie nelle quali sono parti, rispettivamente, gli associati e le imprese o loro controllate, in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o di diploma di ragioneria e della relativa abilitazione professionale; con decreto del Ministro delle finanze sono stabilite le modalità per l'attuazione delle disposizioni del presente periodo. Sono inoltre abilitati all'assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie i funzionari delle associazioni di categoria che, alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 545, risultavano iscritti nell'elenco tenuto dall’intendenza di finanza competente per territorio, ai sensi dell'articolo 30, terzo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636.
Secondo il comma 3, ai difensori di cui al comma 2 deve essere conferito l'incarico con atto pubblico o con scrittura privata autenticata o anche in calce o a margine di un atto del processo, nel qual caso la sottoscrizione autografa è certificata dallo stesso incaricato. All'udienza pubblica l'incarico può essere conferito oralmente e se ne dà atto a verbale. Ai sensi del comma 4, l'ufficio del Ministero dell’economia e delle finanze, nel giudizio di secondo grado, può essere assistito dall'Avvocatura dello Stato.
Il comma 5 prevede che le controversie di valore inferiore a 5.000.000 di lire, anche se concernenti atti impositivi dei comuni e degli altri enti locali, nonché i ricorsi di cui all'art. 10 del D.P.R. 28 novembre 1980, n. 787, possono essere proposti direttamente dalle parti interessate, che, nei procedimenti relativi, possono stare in giudizio anche senza assistenza tecnica. Per valore della lite si intende l'importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l'atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste. Il presidente della commissione o della sezione o il collegio possono tuttavia ordinare alla parte di munirsi di assistenza tecnica fissando un termine entro il quale la stessa è tenuta, a pena di inammissibilità, a conferire l'incarico a un difensore abilitato. Il comma 6 facoltizza i soggetti in possesso dei requisiti richiesti nel comma 2 a stare in giudizio personalmente senza l'assistenza di altri difensori.
Nel dettaglio, la lettera a) del comma 4 dispone che, al comma 2 dell’articolo 12 del decreto legislativo n. 546 del 1992, il primo periodo è sostituito dal seguente: ”Sono abilitati all’assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie, se iscritti nei relativi albi professionali, gli avvocati, i dottori commercialisti, i ragionieri e i periti commerciali nonché i consulenti del lavoro”.
Con tale disposizione, per un verso, si facoltizzano i consulenti del lavoro a prestare assistenza tecnica senza l’attuale limitazione alle materie concernenti le ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente e assimilati e agli obblighi di sostituto d’imposta relativi alle ritenute medesime.
Per altro verso, si elimina il riferimento ai “procuratori legali”, termine che deve intendersi sostituito e assorbito da quello di “avvocato” per effetto del disposto dell'articolo 3 della legge 24 febbraio 1997, n. 27, in seguito alla soppressione dell'albo dei procuratori legali, stabilita dalla stessa legge.
La lettera b) del comma 4, di conseguenza, sopprime, al comma 2, secondo periodo, la limitazione, per i consulenti del lavoro, a prestare assistenza tecnica solo in determinate materie (concernenti, in particolare, le ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente e assimilati e gli obblighi di sostituto di imposta relativi alle ritenute medesime).
Articolo 2, comma 5
(Consorzi sviluppo industriale)
5. Al comma 3 dell'articolo 23 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, anche avvalendosi delle strutture tecnico-organizzative dei consorzi di sviluppo industriale di cui all'articolo 36, comma 4, della legge 5 ottobre 1991, n. 317».
Il comma 5 novella il comma 3 dell’articolo 23 del D.Lgs. 112 del 31 marzo 1998, al fine di specificare che le funzioni di assistenza alle imprese sono esercitate prioritariamente attraverso gli sportelli unici per le attività produttive, “anche avvalendosi delle strutture tecnico-organizzative dei Consorzi di sviluppo industriale”, di cui all’art. 36, comma 4, della legge 5 ottobre 1991, n. 317.
Si ricorda che la previsione dell’istituzione di uno sportello unico per le attività produttive presso ogni comune è stata introdotta dal decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 112 "Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59", agli artt. 23, 24 e 25.
L'articolo 23 del D.Lgs. 112 ha attribuito ai comuni le funzioni amministrative concernenti la realizzazione, l'ampliamento, la cessazione, la riattivazione, la localizzazione e la rilocalizzazione di impianti produttivi, ivi incluso il rilascio delle concessioni o autorizzazioni edilizie (comma 1). Le regioni, nell’ambito delle funzioni conferite in materia di industria dal D.Lgs. n. 112, provvedono al coordinamento e al miglioramento dei servizi e dell'assistenza alle imprese, con particolare riferimento alla localizzazione e autorizzazione degli impianti produttivi e alla creazione di aree industriali (comma 2) [16]. Le funzioni di assistenza sono esercitate prioritariamente attraverso gli sportelli unici per le attività produttive (comma 3).
Per quanto concerne i consorzi di sviluppo industriale, si ricorda che il citato articolo 36 della legge n. 317 del 5 ottobre 1991, al comma 4, qualifica tali consorzi, costituiti ai sensi della vigente legislazione nazionale e regionale [17], come enti pubblici economici e demanda alle regioni il controllo sui piani economici e finanziari degli stessi.
Il comma 5 ne disciplina invece l’attività, prevedendo che i consorzi promuovano, nell'ambito degli agglomerati industriali da essi attrezzati, le condizioni necessarie per la creazione e lo sviluppo di attività produttive nei settori dell'industria e dei servizi. A tale fine, i consorzi realizzano e gestiscono, in collaborazione con le associazioni imprenditoriali e con le camere di commercio, infrastrutture per l'industria, rustici industriali, servizi reali alle imprese, iniziative per l'orientamento e la formazione professionale dei lavoratori, dei quadri direttivi e intermedi e dei giovani imprenditori, e ogni altro servizio sociale connesso alla produzione industriale.
6. All'articolo 39 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1:
1) alla lettera a), primo periodo, le parole: «da lire cinquecentomila a lire cinque milioni» sono sostituite dalle seguenti: «da euro 258 ad euro 2.582», e il secondo periodo è sostituito dal seguente: «La violazione è punibile solamente in caso di rettifica della dichiarazione ai sensi dell'articolo 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e, comunque, a condizione che non debba trovare applicazione l'articolo 12-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. In caso di ripetute violazioni, ovvero di violazioni particolarmente gravi, è disposta a carico dei predetti soggetti la sospensione dalla facoltà di rilasciare il visto di conformità e l'asseverazione, per un periodo da uno a tre anni; si considera violazione particolarmente grave il mancato pagamento della suddetta sanzione»;
2) alla lettera b), le parole: «da lire un milione a lire dieci milioni» sono sostituite dalle seguenti: «da euro 516 ad euro 5.165»;
b) dopo il comma 1, è inserito il seguente:
«1-bis. Nei casi di violazioni commesse ai sensi del comma 1, del comma 3 e dell'articolo 7-bis, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. In ogni caso, alle violazioni della stessa natura commesse ai sensi delle disposizioni di cui al precedente periodo, si applica una sanzione calcolata con le modalità previste dall'articolo 12 del citato decreto legislativo n. 472 del 1997. Il centro di assistenza fiscale per il quale abbia operato il trasgressore è obbligato solidalmente con il trasgressore stesso al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata»;
c) il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. Le sanzioni per le violazioni dei commi 1 e 3 del presente articolo e dell'articolo 7-bis sono irrogate dalla direzione regionale dell'Agenzia delle entrate competente in ragione del domicilio fiscale del trasgressore, sulla base delle segnalazioni inviate dagli uffici locali della medesima Agenzia. L'atto di contestazione è unico per ogni anno solare di riferimento ma, fino al compimento dei termini di decadenza, può essere integrato o modificato dalla direzione regionale in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. I provvedimenti ivi previsti sono trasmessi agli Ordini di appartenenza dei soggetti che hanno commesso la violazione per l'eventuale adozione di ulteriori provvedimenti»;
d) al comma 3, le parole: «da lire cinquecentomila a lire cinque milioni» sono sostituite dalle seguenti: «da euro 258 ad euro 2.582».
7. Salva l'applicazione dell'articolo 3, comma 3, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, le disposizioni del comma 6 si applicano alle violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione non sia ancora stata irrogata alla data di entrata in vigore della presente legge.
Il comma 6 dell’articolo 2 modifica la disciplina sanzionatoria prevista dall’articolo 39 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, per il rilascio di visti di conformità, asseverazioni ovvero di certificazioni tributarie infedeli da parte, rispettivamente, dei responsabili dell’assistenza fiscale dei centri di assistenza fiscale e dei professionisti abilitati a quest’effetto.
L’articolo 35 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni) conferisce:
1) al responsabile dell'assistenza fiscale dei centri costituiti da associazioni sindacali di categoria fra imprenditori, presenti nel Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, istituite da almeno dieci anni, ovvero riconosciute con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, o da organizzazioni aderenti alle predette associazioni il potere di rilasciare, su richiesta del contribuente:
a) un visto di conformità dei dati delle dichiarazioni predisposte dal centro alla relativa documentazione e alle risultanze delle scritture contabili, nonché di queste ultime alla relativa documentazione contabile;
b) l’asseverazione della corrispondenza tra gli elementi contabili ed extracontabili comunicati all'amministrazione finanziaria e rilevanti ai fini dell'applicazione degli studi di settore e quelli risultanti dalle scritture contabili e da altra documentazione idonea.
2) al responsabile dell'assistenza fiscale dei centri costituiti da organizzazioni sindacali dei lavoratori dipendenti e pensionati od organizzazioni territoriali da esse delegate, aventi complessivamente almeno cinquantamila aderenti, ovvero da sostituti d’imposta di cui all'articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, aventi complessivamente almeno cinquantamila dipendenti, o da associazioni di lavoratori promotrici di istituti di patronato riconosciuti ai sensi del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 29 luglio 1947, n. 804, aventi complessivamente almeno cinquantamila aderenti il potere di rilasciare:
a) su richiesta del contribuente, un visto di conformità dei dati delle dichiarazioni unificate alla relativa documentazione;
b) a seguito della attività di verifica della conformità tra i dati esposti nelle dichiarazioni e la relativa documentazione, un visto di conformità dei medesimi.
3) agli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro e ai periti ed esperti iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di tenuti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la sub-categoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o diploma di ragioneria, abilitati alla trasmissione telematica delle dichiarazioni, il potere di rilasciare, su richiesta dei contribuenti, il visto di conformità e l'asseverazione relativamente alle dichiarazioni da loro predisposte.
In particolare, la lettera a), numero 1), del comma 6 del presente articolo esprime in euro la misura della sanzione amministrativa attualmente prevista dal comma 1, lettera a), del suddetto articolo 39 per i soggetti indicati nell’articolo 35. Inoltre, esclude la punibilità delle violazioni che non abbiano comportato rettifica della dichiarazione ai sensi dell'articolo 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e, comunque, a condizione che non debba trovare applicazione l'articolo 12-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (ossia che il maggiore importo risultante sia inferiore a euro 10,33).
L’articolo 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi) disciplina il controllo formale delle dichiarazioni presentate dai contribuenti e dai sostituti d'imposta, cui gli uffici periferici dell'amministrazione finanziaria debbono procedere, entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione, sulla base dei criteri selettivi fissati dal Ministro delle finanze tenendo anche conto delle capacità operative dei medesimi uffici.
Attraverso tale controllo, senza pregiudizio dell'azione accertatrice a norma degli articoli 37 e seguenti, gli uffici possono:
a) escludere in tutto o in parte lo scomputo delle ritenute d'acconto non risultanti dalle dichiarazioni dei sostituti d'imposta o dalle certificazioni richieste ai contribuenti, ovvero delle ritenute risultanti in misura inferiore a quella indicata nelle dichiarazioni dei contribuenti stessi;
b) escludere in tutto o in parte le detrazioni d'imposta non spettanti in base ai documenti richiesti ai contribuenti o agli elenchi trasmessi all’anagrafe tributaria dai soggetti che erogano mutui agrari e fondiari, dalle imprese assicuratrici e dagli enti previdenziali a norma dell'articolo 78, comma 25, della legge 30 dicembre 1991, n. 413;
c) escludere in tutto o in parte le deduzioni dal reddito non spettanti in base ai documenti richiesti ai contribuenti o agli elenchi menzionati nella lettera b);
d) determinare i crediti d'imposta spettanti in base ai dati risultanti dalle dichiarazioni e ai documenti richiesti ai contribuenti;
e) liquidare la maggiore imposta sul reddito delle persone fisiche e i maggiori contributi dovuti sull'ammontare complessivo dei redditi risultanti da più dichiarazioni o certificati presentati per lo stesso anno dal medesimo contribuente;
f) correggere gli errori materiali e di calcolo commessi nelle dichiarazioni dei sostituti d'imposta.
L'esito del controllo formale può dar luogo alla rettifica degli imponibili, delle imposte, delle ritenute alla fonte, dei contributi e dei premi dichiarati. La rettifica operata è comunicata al contribuente o al sostituto d'imposta con l'indicazione dei motivi, che, entro i trenta giorni successivi al ricevimento della comunicazione, può segnalare eventuali dati ed elementi non considerati o valutati erroneamente in sede di controllo formale.
L’articolo 12-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito) dispone che non si proceda ad iscrizione a ruolo per somme inferiori a lire ventimila (pari a euro 10,33).
La formulazione della disposizione – ferme restando l’eventuale responsabilità penale e le sanzioni per violazioni tributarie – esclude l’applicabilità della sanzione amministrativa pecuniaria quando la rettifica della dichiarazione consegua agli accertamenti operati a norma degli articoli da 37 a 40 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973.
Si segnala in particolare l’ipotesi in cui, a norma dell’articolo 39 del medesimo decreto n. 600 del 1973, la rettifica sia disposta per difformità tra gli elementi indicati nella dichiarazione e quelli del bilancio, del conto dei profitti e delle perdite, che dovrebbero costituire oggetto del visto di conformità. In tal caso, per altro, dovrebbe applicarsi la disposizione del comma 4 dell’articolo 39 del decreto legislativo n. 241 del 1997 qui novellato, che prevede la revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’assistenza fiscale qualora gli elementi forniti all’amministrazione finanziaria risultino falsi o incompleti rispetto alla documentazione fornita dal contribuente.
Viene altresì stabilito che in caso di violazioni ripetute o particolarmente gravi sia disposta la sospensione della facoltà di rilasciare il visto di conformità o l’asseverazione per un periodo da uno a tre anni.
La disposizione vigente stabilisce che in tali casi sia “inibita” la facoltà di rilasciare il visto o l’asseverazione. Non essendo stabilito un termine, sembra doversi ritenere che la sanzione abbia carattere definitivo.
Rimane confermato – come nel testo attualmente in vigore – che il mancato pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria prevista dalla medesima lettera a) costituisce violazione particolarmente grave agli effetti della sospensione dall’esercizio della facoltà di rilasciare il visto o l’asseverazione.
La lettera a), numero 2), del medesimo comma 6 esprime in euro la misura della sanzione amministrativa attualmente prevista dal comma 1, lettera b), del suddetto articolo 39 a carico dei professionisti indicati nell’articolo 36 che rilascino una certificazione tributaria infedele.
L’articolo 36 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, facoltizza i revisori contabili iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali e dei consulenti del lavoro che hanno esercitato la professione per almeno cinque anni a rilasciare ai contribuenti titolari di redditi d'impresa in regime di contabilità ordinaria, per i soli fini fiscali, la certificazione relativa all'esatta applicazione delle norme tributarie sostanziali e all’esecuzione degli adempimenti, dei controlli e delle attività indicati annualmente con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze. La certificazione può essere rilasciata dal professionista che abbia tenuto le scritture contabili del contribuente nel corso del periodo d'imposta cui essa si riferisce, a condizione che nei confronti del contribuente stesso siano stati altresì rilasciati il visto di conformità e, qualora siano applicabili le disposizioni concernenti gli studi di settore, l'asseverazione.
La certificazione tributaria regolare esclude fra l’altro l’applicabilità delle disposizioni in materia di accertamenti induttivi, impone che gli accertamenti basati sugli studi di settore debbano essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui le dichiarazioni sono state presentate.
La lettera b) del comma 6 inserisce nell’articolo 39 del decreto legislativo n. 241 del 1997 un nuovo comma 1-bis, il quale prevede, per i casi di violazione contemplati dai commi 1 e 3 dello stesso articolo 39 e dall'articolo 7-bis, l’applicazione delle disposizioni del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, contenente le disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, in quanto compatibili.
Il comma 1 dell’articolo 39, come esposto sopra, sanziona il rilascio del visto di conformità, dell’asseverazione o della certificazione tributaria infedele.
Il comma 3 sanziona la violazione degli obblighi spettanti ai sostituti d’imposta che prestano assistenza fiscale a norma dell’articolo 37, comma 2 (ricevere le dichiarazioni e le schede per la scelta della destinazione del quattro e dell'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche; elaborare le dichiarazioni, consegnare al contribuente copia della dichiarazione elaborata e del prospetto di liquidazione delle imposte, effettuare le operazioni di conguaglio e inviare le dichiarazioni dei redditi e le schede relative alle scelte) e comma 4 (tenere conto del risultato contabile delle dichiarazioni dei redditi elaborate dai centri per il calcolo delle ritenute d'acconto).
L’articolo 7-bis sanziona la tardiva od omessa trasmissione delle dichiarazioni da parte dei soggetti di essa incaricati a norma del comma 3 dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322.
Viene stabilito inoltre che per più violazioni delle suddette disposizioni [nel testo: “violazioni (....) commesse ai sensi delle disposizioni”], quando siano della stessa natura, si applica una sanzione calcolata con le modalità previste dall'articolo 12 del medesimo decreto legislativo.
L’articolo 12 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, disciplina le ipotesi di concorso di violazioni e di continuazione.
A norma del comma 1 è punito con la sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio, chi, con una sola azione od omissione, vìola diverse disposizioni anche relative a tributi diversi ovvero commette, anche con più azioni od omissioni, diverse violazioni formali della medesima disposizione. Il comma 2 sottopone alla stessa sanzione chi, anche in tempi diversi, commette più violazioni che, nella loro progressione, pregiudicano o tendono a pregiudicare la determinazione dell'imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo. In tutti questi casi, a norma del comma 3, se le violazioni rilevano ai fini di più tributi, si considera quale sanzione base cui riferire l'aumento la sanzione più grave, aumentata di un quinto. Il comma 4 dispone che le previsioni dei commi 1, 2 e 3 si applicano separatamente rispetto ai tributi erariali e ai tributi di ciascun altro ente impositore e, tra i tributi erariali, alle imposte doganali e alle imposte sulla produzione e sui consumi.
Il comma 5 disciplina l’ipotesi di più violazioni della stessa indole commesse in periodi d’imposta diversi: in questi casi si applica la sanzione base aumentata dalla metà al triplo.
Il comma 6 precisa che il concorso e la continuazione sono interrotti dalla constatazione della violazione.
Il comma 7 dispone comunque che nei casi previsti dal presente articolo la sanzione non possa superare a quella risultante dal cumulo delle sanzioni previste per le singole violazioni.
Il comma 8 riguarda i casi di accertamento con adesione.
La disposizione qui commentata prescrive infine che il centro di assistenza fiscale per il quale abbia operato il trasgressore è obbligato solidalmente con quest’ultimo al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata.
La lettera c) del comma 6 sostituisce il comma 2 del medesimo articolo 39 del decreto legislativo n. 241 del 1997, estendendo la disciplina relativa all’irrogazione delle sanzioni, ivi contenuta, alle sanzioni previste, oltre che dal comma 1, anche dal comma 3 dello stesso articolo 39 e dall’articolo 7-bis [il cui contenuto è esposto sopra, nel commento alla lettera b)], e aggiornando la determinazione della competenza a seguito dell’istituzione delle Agenzie fiscali.
Viene pertanto previsto che le sanzioni siano irrogate dalla direzione regionale dell'Agenzia delle entrate competente in ragione del domicilio fiscale del trasgressore, sulla base delle segnalazioni inviate dagli uffici locali della medesima Agenzia. L'atto di contestazione è unico per ogni anno solare di riferimento, ma, fino al compimento dei termini di decadenza, può essere integrato o modificato dalla direzione regionale, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.
Rimane ferma la disposizione, già contenuta nel testo vigente, secondo cui i provvedimenti ivi previsti sono trasmessi agli ordini professionali cui appartengono i soggetti che hanno commesso la violazione, per l'eventuale adozione di ulteriori provvedimenti.
A seguito dell’inserimento di un secondo periodo, non risulta del tutto perspicuo, nel successivo, il riferimento ai “provvedimenti ivi previsti”, che richiama i provvedimenti sanzionatorî contemplati dalle disposizioni citate nel primo periodo.
La lettera d) del comma 6 esprime in euro la misura della sanzione amministrativa attualmente prevista dal comma 3 del suddetto articolo 39 per la violazione degli obblighi spettanti ai sostituti d’imposta che prestano assistenza fiscale [secondo quanto esposto sopra, nell’illustrazione della lettera b), capoverso 1-bis].
D.Lgs. 241/1997 |
Proposta di modificazione |
Art. 39 |
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1. Salvo che il fatto costituisca reato e ferma restando l'irrogazione delle sanzioni per le violazioni di norme tributarie: |
1. Identico. |
a) ai soggetti indicati nell'articolo 35 che rilasciano il visto di conformità, ovvero l'asseverazione, infedele si applica, la sanzione amministrativa da lire cinquecentomila a lire cinque milioni. In caso di ripetute violazioni ovvero di violazioni particolarmente gravi ai predetti soggetti è inibita la facoltà di rilasciare il visto di conformità ovvero l'asseverazione; si considera violazione particolarmente grave il mancato pagamento della suddetta sanzione; |
a) ai soggetti indicati nell'articolo 35 che rilasciano il visto di conformità, ovvero l'asseverazione, infedele si applica, la sanzione amministrativa da euro 258 ad euro 2.582. La violazione è punibile solamente in caso di rettifica della dichiarazione ai sensi dell'articolo 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e, comunque, a condizione che non debba trovare applicazione l'articolo 12-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. In caso di ripetute violazioni, ovvero di violazioni particolarmente gravi, è disposta a carico dei predetti soggetti la sospensione dalla facoltà di rilasciare il visto di conformità e l'asseverazione, per un periodo da uno a tre anni; si considera violazione particolarmente grave il mancato pagamento della suddetta sanzione; |
b) al professionista che rilascia una certificazione tributaria di cui all'articolo 36 infedele, si applica la sanzione amministrativa da lire un milione a lire dieci milioni. In caso di accertamento di tre distinte violazioni commesse nel corso di un biennio, è disposta la sospensione dalla facoltà di rilasciare la certificazione tributaria per un periodo da uno a tre anni. La medesima facoltà è inibita in caso di accertamento di ulteriori violazioni ovvero di violazioni di particolare gravità; si considera violazione particolarmente grave il mancato pagamento della suddetta sanzione. |
b) al professionista che rilascia una certificazione tributaria di cui all'articolo 36 infedele, si applica la sanzione amministrativa da euro 516 ad euro 5.165. In caso di accertamento di tre distinte violazioni commesse nel corso di un biennio, è disposta la sospensione dalla facoltà di rilasciare la certificazione tributaria per un periodo da uno a tre anni. La medesima facoltà è inibita in caso di accertamento di ulteriori violazioni ovvero di violazioni di particolare gravità; si considera violazione particolarmente grave il mancato pagamento della suddetta sanzione. |
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1-bis. Nei casi di violazioni commesse ai sensi del comma 1, del comma 3 e dell'articolo 7-bis, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. In ogni caso, alle violazioni della stessa natura commesse ai sensi delle disposizioni di cui al precedente periodo si applica una sanzione calcolata con le modalità previste dall'articolo 12 del citato decreto legislativo n. 472 del 1997. Il centro di assistenza fiscale per il quale abbia operato il trasgressore è obbligato solidalmente con il trasgressore stesso al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata. |
2. Le sanzioni previste dalle lettere a) e b) del comma 1 sono irrogate con provvedimento della direzione regionale delle entrate competente in ragione del domicilio fiscale del trasgressore. I provvedimenti ivi previsti sono trasmessi agli ordini di appartenenza dei soggetti che hanno commesso la violazione per l'eventuale adozione di ulteriori provvedimenti. |
2. Le sanzioni per le violazioni dei commi 1 e 3 del presente articolo e dell'articolo 7-bis sono irrogate dalla direzione regionale dell'Agenzia delle entrate competente in ragione del domicilio fiscale del trasgressore, sulla base delle segnalazioni inviate dagli uffici locali della medesima Agenzia. L'atto di contestazione è unico per ogni anno solare di riferimento, ma, fino al compimento dei termini di decadenza, può essere integrato o modificato dalla direzione regionale, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. I provvedimenti ivi previsti sono trasmessi agli ordini di appartenenza dei soggetti che hanno commesso la violazione per l'eventuale adozione di ulteriori provvedimenti. |
3. In caso di inosservanza delle disposizioni di cui all'articolo 37, commi 2 e 4, ai sostituti di imposta si applica la sanzione amministrativa da lire cinquecentomila a lire cinque milioni. |
3. In caso di inosservanza delle disposizioni di cui all'articolo 37, commi 2 e 4, ai sostituti di imposta si applica la sanzione amministrativa da euro 258 ad euro 2.582. |
4. L'autorizzazione all'esercizio dell'attività di assistenza fiscale di cui all'articolo 33, comma 3, è revocata quando sono commesse gravi e ripetute violazioni di norme tributarie e delle disposizioni di cui agli articoli 34 e 35, nonché quando gli elementi forniti all'amministrazione finanziaria risultano falsi o incompleti rispetto alla documentazione fornita dal contribuente; nei casi di particolare gravità è disposta la sospensione cautelare. |
4. Identico. |
Il comma 7 dell’articolo 2 stabilisce che, salva l’applicazione dell’articolo 3, comma 3, del decreto legislativo 18 dicembre1997, n. 472, le disposizioni del comma 6 si applicano alle violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione non sia stata ancora irrogata alla data di entrata in vigore della presente legge.
L’articolo 3, comma 3, del decreto legislativo 18 dicembre1997, n. 472, prescrive che, se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo.
Articolo 3
(Fermo amministrativo)
1. Le disposizioni contenute nell'articolo 69, ultimo comma, del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, si interpretano nel senso che, successivamente all'istituzione delle agenzie fiscali previste dall'articolo 57, comma 1, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, il potere di cui allo stesso articolo 69, ultimo comma, può essere esercitato anche da tali agenzie.
L’articolo 3 – con norma interpretativa dell’articolo 69, ultimo comma, del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440 – stabilisce che la sospensione del pagamento di somme dovute da amministrazioni dello Stato nei riguardi di soggetti debitori verso un’altra amministrazione possa venire richiesta anche dalle agenzie fiscali istituite a norma dell’articolo 57, comma 1, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.
L’articolo 69, ultimo comma, del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440 (Nuove disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato) dispone che, qualora un'amministrazione dello Stato che abbia, a qualsiasi titolo ragione di credito verso aventi diritto a somme dovute da altre amministrazioni, richieda la sospensione del pagamento, questa deve essere eseguita in attesa del provvedimento definitivo[18].
Secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza, il provvedimento di sospensione del pagamento (cosiddetto fermo amministrativo) costituisce una misura cautelare, espressione del potere di autotutela della pubblica amministrazione, rivolto a sospendere, in presenza di una "ragione di credito" della pubblica amministrazione stessa, un eventuale pagamento dovuto, a salvaguardia dell'eventuale compensazione legale dello stesso con un credito, anche se non attualmente liquido ed esigibile, che l'amministrazione abbia, ovvero pretenda di avere, nei confronti del suo creditore. L'adozione del provvedimento richiede, pertanto, soltanto il fumus boni iuris della ragione di credito vantata dall'amministrazione (ossia il presupposto della non irragionevolezza della pretesa stessa), restando, invece, estranea alla natura e alla funzione del provvedimento qualsiasi considerazione di un eventuale periculum in mora[19]. Stante la sua natura cautelare e intrinsecamente provvisoria, esso può quindi venire adottato anche quando il credito dell'Amministrazione sia contestato, ma sia ragionevole ritenerne l'esistenza, posto che suo presupposto normativo è non già la provata esistenza del credito, ma la mera ragione di credito[20]. Il provvedimento presuppone, non solo per la sua adozione, ma anche per la sua conservazione nel tempo, che ricorrano e perdurino esigenze cautelari effettive e attuali, sicché esso dev’essere revocato allorché queste vengano meno[21].
Oggetto del provvedimento possono essere soltanto i crediti certi e liquidi dell'amministrazione[22].
La disposizione è stata considerata conforme ai princìpi costituzionali in quanto "non configura un irrazionale privilegio ma uno strumento necessario alla protezione del pubblico interesse connesso alle esigenze finanziarie dello Stato"[23], "in base ad una valutazione della predominanza di esigenze erariali sul diritto soggettivo del creditore"[24], senza pregiudizio del diritto, spettante a quest’ultimo, di adire il giudice per conseguire la tutela delle proprie situazioni soggettive.
Un istituto analogo è previsto dall’articolo 23 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie), secondo il quale, nei casi in cui l'autore della violazione di una norma tributaria o i soggetti obbligati in solido vantano un credito nei confronti dell'amministrazione finanziaria, il pagamento può essere sospeso se è stato notificato atto di contestazione o di irrogazione della sanzione, ancorché non definitivo. La sospensione opera nei limiti della somma risultante dall'atto o dalla decisione della commissione tributaria ovvero dalla decisione di altro organo. In presenza di provvedimento definitivo, l'ufficio competente per il rimborso pronuncia la compensazione del debito.
La disposizione qui commentata chiarisce che, agli effetti dell’applicazione della descritta norma del regio decreto n. 2440 del 1923, nella nozione di amministrazione dello Stato sono comprese le agenzie fiscali istituite dell’articolo 57, comma 1, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.
L’articolo 57, comma 1, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, ha istituito l'Agenzia delle entrate, l'Agenzia delle dogane, l'Agenzia del territorio e l'Agenzia del demanio, complessivamente denominate agenzie fiscali, attribuendo ad esse la gestione delle funzioni già esercitate dai Dipartimenti delle entrate, delle dogane, del territorio e di quelle connesse svolte da altri uffici del Ministero delle finanze. Alle agenzie fiscali sono stati trasferiti i relativi rapporti giuridici, poteri e competenze.
I successivi articoli 62, 63, 64 e 65 hanno determinato le competenze rispettive di ciascuna agenzia.
1. All'articolo 109 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, dopo il comma 3 sono inseriti i seguenti:
«3-bis. Ferma restando l'applicazione dell'articolo 37-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, le minusvalenze realizzate ai sensi dell'articolo 101 sulle azioni, quote e strumenti finanziari similari alle azioni che non possiedono i requisiti di cui all'articolo 87 non rilevano fino a concorrenza dell'importo non imponibile dei dividendi percepiti nel periodo di imposta di realizzo e in quello precedente. Tale disposizione si applica anche alle differenze negative tra i ricavi dei beni di cui all'articolo 85, comma 1, lettere c) e d), e i relativi costi.
3-ter. Le disposizioni del comma 3-bis si applicano con riferimento alle partecipazioni acquisite presso società che direttamente o indirettamente controllano la società acquirente, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla la società acquirente, nonché società a questa collegate. Ai fini della determinazione del requisito di controllo e del collegamento si applica l'articolo 2359 del codice civile».
L’articolo 4 modifica la disciplina relativa ai componenti del reddito d’impresa agli effetti dell’imposta sui redditi delle società, introducendo nell’articolo 109 del D.P.R. n. 917 del 1986 (Testo unico delle imposte sui redditi - di seguito: TUIR) i nuovi commi 3-bis e 3-ter.
L’articolo 109 del TUIR, concernente “norme generali sui componenti del reddito d’impresa”, è stato introdotto, con decorrenza 1° gennaio 2004, dal D.Lgs. n. 344/2003[25]. L’articolo 109, riformulando il precedente articolo 75, ha confermato, in linea generale, l’applicazione dei princìpi della competenza e dell’oggettiva certezza dei componenti economici ai fini della concorrenza alla determinazione del reddito d’esercizio. Per quanto concerne, invece, il principio dell’inerenza dei costi, il comma 5 dispone che “le spese e gli altri componenti negativi (…) sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi”. In riferimento ai redditi di natura finanziaria, pertanto, sono da ritenersi deducibili, in linea generale, i costi relativi alla gestione della partecipazione (in quanto i dividendi sono “esclusi”), mentre non sono deducibili i costi correlati alle plusvalenze “esenti” realizzate dalla cessione di partecipazioni[26].
Lo stesso articolo, tenendo conto delle nuove disposizioni civilistiche sul bilancio (articolo 2426 del codice civile) disciplinate dal D.Lgs. n. 6/2003[27] e relative alla eliminazione delle “interferenze” fiscali, ha introdotto uno specifico prospetto extracontabile, che consente la deducibilità, a fini fiscali, di determinati costi[28] anche se non imputati nel conto economico (c.d. "disinquinamento fiscale"). In questo modo, il patrimonio netto risultante dal bilancio civilistico include una quota di utili in sospensione d’imposta (corrispondente ai costi dedotti fiscalmente e non imputati ai fini civilistici) i quali, in caso di distribuzione, dovranno essere soggetti a tassazione.
Il comma 3-bisreca disposizioni dirette a rendere indeducibili le minusvalenze e le differenze negative derivanti dalla cessione di partecipazioni societarie o di strumenti finanziari similari alle azioni fino a concorrenza dell’importo non imponibile dei dividendi percepiti nel periodo di imposta di realizzo e nel precedente.
La disposizione indicata nel comma 3-bis si applica, ai sensi del comma 3-ter, alle sole operazioni di cessione intragruppo.
Appare opportuno segnalare che la proposta di inserire il medesimo comma 3-bis è già contenuta nello “Schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo n. 344 del 2003, recante riforma dell’imposizione del reddito sulle società” (c.d. correttivo IRES)[29]. In proposito, la Commissione finanze della Camera dei deputati, nel parere approvato il 26 maggio 2005, ha proposto di sopprimere tale disposizione, in quanto la sua applicazione indiscriminata a tutte le tipologie di partecipazioni societarie e di strumenti finanziari similari alle azioni “si pone in chiaro contrasto con i princìpi ispiratori della riforma, poiché determina indirettamente l’integrale tassazione dei dividendi percepiti, già assoggettati al tributo personale in capo alla società la cui partecipazione è oggetto di scambio”. In presenza di un comportamento elusivo, infatti, rimarrebbe comunque applicabile la norma anti-elusiva contenuta nell’articolo 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 (v. infra). In alternativa, la Commissione propone di limitare l’ambito di applicazione ai trasferimenti intragruppo, escludendo, in ogni caso, le transazioni relative ai titoli quotati nei mercati regolamentati.
L’ambito oggettivo interessato dalla norma qui commentata riguarda sia le minusvalenze realizzate ai sensi dell’articolo 101 del TUIR sulle partecipazioni e sugli strumenti finanziari similari alle azioni iscritti tra le immobilizzazioni finanziarie, sia le differenze negative tra i ricavi di cui all’articolo 85, comma 1, lettere c) e d), del TUIR e i relativi costi, per quanto riguarda le partecipazioni e gli strumenti finanziari similari alle azioni non iscritti tra le immobilizzazioni finanziarie.
L’articolo 101 del TUIR reca disposizioni concernenti “minusvalenze patrimoniali, sopravvenienze passive, e perdite”. In particolare sono deducibili le minusvalenze relative a beni diversi da quelli indicati nell’articolo 85, comma 1 (che determinano ricavi di esercizio) e nell’articolo 87 (che determinano plusvalenze esenti), purché realizzate mediante cessione a titolo oneroso, risarcimento per perdita o danneggiamento dei beni, assegnazione ai soci o destinazione dei beni a finalità estranee all’attività di impresa ovvero avviamento per cessione di azienda (comma 1). Sono inoltre deducibili le minusvalenze relative ai beni di cui all’articolo 85, comma 1, lettera e), del TUIR (obbligazioni e altri titoli in serie o di massa diversi da azioni, partecipazioni o strumenti finanziari similari alle azioni) che costituiscono immobilizzazioni finanziarie, in misura non superiore alla differenza tra il valore fiscale e quello determinato in base alla media aritmetica dei prezzi rilevati nell’ultimo semestre (comma 2).
L’articolo 85 del TUIR individua l’elenco dei componenti positivi che concorrono alla formazione del reddito in quanto ricavi di esercizio. In particolare, ai sensi del comma 1, lettere c) e d), sono considerati ricavi i corrispettivi delle cessioni di azioni, strumenti finanziari similari alle azioni, ovvero quote di partecipazioni al capitale relative a società ed enti assoggettati al regime IRES che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie, e che non sono considerate esenti ai sensi dell'articolo 87, anche se non rientrano fra i beni al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa.
Per quanto riguarda gli strumenti similari alle azioni, si ricorda che ai sensi dell’articolo 44, comma 2, lettera a) del TUIR “si considerano similari alle azioni, i titoli e gli strumenti finanziari la cui remunerazione è costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altre società appartenenti allo stesso gruppo o dell'affare in relazione al quale i titoli e gli strumenti finanziari sono stati emessi”. La circolare dell’Agenzia delle entrate n. 26/E del 2004 ha precisato, inoltre, che l'assimilazione alle azioni riguarda esclusivamente gli strumenti finanziari rappresentati da titoli o certificati e non interessa, invece, i contratti (non cartolarizzati), quali, ad esempio, quelli di associazione in partecipazione e di cointeressenza.
In applicazione alla nuova disciplina proposta, le minusvalenze e le differenze negative saranno quindi indeducibili fino a concorrenza dell’importo dei dividendi, esclusi da imposizione fiscale, percepiti nel periodo di imposta di realizzo e in quello precedente.
L’esclusione parziale dall’imposizione dei dividendi distribuiti ai soci è stata introdotta con la riforma del sistema fiscale disciplinata dal già richiamato D.Lgs. n. 344/2003, emanato in attuazione della legge n. 80/2003, ed è entrata in vigore il 1° gennaio 2004[30].
La misura della esclusione dipende, tra l’altro, dalla natura del soggetto percipiente. In particolare, ai sensi dell’articolo 89 del TUIR, l’esclusione è fissata nella misura del 95% per i dividendi percepiti da soggetti IRES, mentre l’articolo 47 fissa al 60% l’esclusione per i dividendi percepiti da altri soggetti[31].
In altre parole, nel caso in cui l’ammontare delle minusvalenze (relative alle immobilizzazioni finanziarie) o delle differenze negative (relative ai beni non iscritti tra le immobilizzazioni finanziarie) sia maggiore di quello dei dividendi percepiti e non assoggettati a tassazione, la parte eccedente è deducibile ai fini della determinazione del reddito imponibile.
Il valore iscritto nelle immobilizzazioni finanziarie evidenzia, in linea generale, il costo sostenuto per l’acquisto del titolo. Tale importo subisce variazioni esclusivamente in presenza di particolari operazioni straordinarie di rivalutazione o svalutazione.
Per quanto riguarda, invece, le partecipazioni e gli strumenti non iscritti tra le immobilizzazioni finanziarie, il costo di acquisto viene imputato nel conto economico quale componente negativo. Se la cessione avviene nello stesso esercizio in cui il titolo è stato acquistato, il saldo economico (positivo o negativo) sarà determinato dalla differenza tra il prezzo di cessione e il costo di acquisto aumentato degli eventuali oneri accessori quali, ad esempio, gli oneri in favore di intermediari. Nel caso in cui la cessione avvenga in un esercizio successivo, il costo di acquisto sostenuto deve essere aggiornato alla fine di ciascun periodo d’imposta attraverso i criteri di valutazione indicati nell’articolo 94 del TUIR e le variazioni di valore del titolo, sia in positivo che in negativo, concorrono a formare il reddito di ciascun esercizio. Pertanto, al momento della cessione il saldo economico effettivamente realizzato è rappresentato dalla differenza tra il prezzo di cessione e il costo di acquisto aumentato degli eventuali oneri accessori. Tuttavia, sul piano contabile, il componente negativo è rappresentato dal valore della rimanenza alla fine dell’esercizio precedente mentre le differenze tra il costo originario e il valore delle rimanenze hanno concorso, in ciascun esercizio, alla formazione del reddito.
Gli effetti complessivi sono differenti a seconda che la valutazione delle rimanenze effettuata alla fine di ciascun esercizio evidenzi un incremento di valore o un decremento dello stesso.
Nel primo caso, ipotizzando un costo di acquisto pari a 100 e un valore di rimanenza pari a 102, l’incremento di valore concorre alla formazione del reddito ed è pertanto soggetto a tassazione. Se la vendita nell’esercizio successivo è effettuata ad un prezzo di cessione pari a 97, si avrà una perdita effettiva pari a 3, tuttavia in bilancio appare una perdita pari a 5 e sono state pagate imposte su 2.
Nel secondo caso, si suppone una valutazione finale della rimanenza pari a 98. Il minor valore concorre alla formazione del reddito quale componente negativo e comporta un risparmio d’imposta. Se nell’esercizio successivo si percepisce dalla cessione un corrispettivo pari a 97, si avrà una perdita effettiva uguale a 3, tuttavia in bilancio appare una perdita pari a 1, e, inoltre, sono state risparmiate imposte su 2.
Sarebbe opportuno chiarire, al fine di evitare dubbi interpretativi, se il riferimento ai “relativi costi” include gli eventuali oneri accessori.
Inoltre, nel caso di titoli ceduti in un esercizio successivo a quello di acquisto e pertanto iscritti al valore di rimanenza, sarebbe opportuno indicare se debba essere considerato il costo originario di acquisto ovvero l’importo della rimanenza valutata e iscritta in bilancio.
Ai fini della determinazione dell’importo indeducibile, il comma 3-bis fa riferimento ai dividendi esclusi dalla tassazione percepiti nell’esercizio in corso al momento del realizzo e in quello precedente.
La predetta limitazione ai soli ultimi due esercizi potrebbe influenzare le scelte dei gruppi di impresa in merito alla distribuzione dei dividendi incentivandone la distribuzione entro la data di chiusura dell’esercizio.
Infatti, a titolo esemplificativo, per le cessioni realizzabili nel 2006, la determinazione dell’importo indeducibile delle eventuali minusvalenze o differenze negative non terrebbe conto dei dividendi esclusi da tassazione percepiti nel 2004.
La norma in commento sembrerebbe avere finalità anti-elusive, in quanto intende evitare che alla esenzione parziale dall’imposizione dei dividendi percepiti si accompagnino ulteriori benefici legati ad una cessione a basso prezzo.
Le richiamate operazioni effettuate con finalità elusive sembrerebbero, tuttavia, attribuibili ad operazioni intragruppo.
Infatti, per le operazioni effettuate al di fuori del gruppo, l’applicazione della disposizione comporterebbe, di fatto, una piena tassazione dei dividendi percepiti, in quanto l’importo non soggetto a tassazione al momento della percezione verrebbe recuperato a tassazione (attraverso l’indeducibilità della minusvalenza o della differenza negativa) al momento della cessione del titolo.
Pertanto, in primo luogo, il comma 3-bis conferma, in ogni caso, l’applicazione delle disposizioni antielusive contenute nell’articolo 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973.
L’articolo 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, concernente “Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi”, dispone una disciplina antielusiva di carattere generale la quale prevede l’inopponibilità all’amministrazione finanziaria degli atti, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi previsti dall’ordinamento tributario allo scopo di ottenere riduzioni di imposte o rimborsi.
Inoltre, ai sensi del comma 3-ter, la disposizione in commento si applica alle transazioni di partecipazioni tra società che, direttamente o indirettamente, sono controllate o collegate.
Il termine “partecipazioni” impiegato nel comma 3-ter sembrerebbe riguardare le azioni, quote e strumenti finanziari similari alle azioni indicate nel comma 3-bis.
Per quanto riguarda la definizione di controllo o di collegamento la norma fa espresso richiamo ai requisiti indicati nell’articolo 2359 del codice civile. Ai sensi del richiamato articolo 2359, sono considerate società controllate: 1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria; 2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa. Sono considerate collegate le società sulle quali un'altra società esercita un'influenza notevole. L'influenza si presume quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Il Consiglio ECOFIN dell’11 settembre 2004, facendo seguito alla presentazione, il 7 luglio 2004, di una comunicazione della Commissione europea, ha deliberato l’istituzione di un gruppo di lavoro per approfondire il tema della creazione di una base imponibile comune consolidata per la tassazione delle società.
Tale gruppo di lavoro, che ha avviato la sua attività nel novembre 2004, ha il compito di esaminare in particolare i seguenti profili:
· principi generali fiscali in materia di tassazione delle società;
· elementi strutturali tradizionali della base imponibile delle imposte sulle società;
· elementi addizionali di una base imponibile comune consolidata;
· applicazione della base imponibile comune consolidata.
Nel programma legislativo e di lavoro per il 2005 la Commissione europea sottolinea che concentrerà i propri sforzi per l’avanzamento dei lavori relativi ad una base imponibile comune per la tassazione delle imprese.
1. Il comma 44 dell'articolo 1 della legge 23 agosto 2004, n. 239, è sostituito dai seguenti:
«44. Entro il 31 dicembre 2005 il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, uno o più decreti legislativi, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) riordino delle disposizioni in materia di attività di installazione degli impianti all'interno degli edifici;
b) definizione di un reale sistema di verifiche degli impianti di cui alla lettera a) con l'obiettivo primario di tutelare gli utilizzatori degli impianti garantendo una effettiva sicurezza;
c) determinazione delle competenze dello Stato, delle regioni e degli enti locali secondo i princìpi di sussidiarietà e di leale collaborazione, anche tramite lo strumento degli accordi in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;
d) previsione di sanzioni in caso di violazione degli obblighi stabiliti ai sensi del presente comma.
44-bis. Le disposizioni del capo V della parte II del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, hanno effetto, se compatibili, a decorrere dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 44».
L’articolo 5 sostituisce, inserendovi anche un comma aggiuntivo, il comma 44 dell’articolo unico della legge 23 agosto 2004, n. 239, di riordino del settore energetico, recante una delega al Governo per l’emanazione di un decreto legislativo di riordino delle norme concernenti la sicurezza degli impianti, che avrebbe dovuto esercitarsi entro il 28 marzo 2005.
In virtù della novella in oggetto, il Governo è delegato ad adottare, entro il 31 dicembre 2005, su proposta del Ministro delle attività produttive di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, uno o più decreti legislativi di riordino delle norme concernenti la sicurezza degli impianti, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) riordino delle disposizioni in materia di attività di installazione degli impianti all'interno degli edifici;
b) definizione di un reale sistema di verifiche degli impianti di cui alla lettera a) con l'obiettivo primario di tutelare gli utilizzatori degli impianti garantendo una effettiva sicurezza;
c) determinazione delle competenze dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali secondo i principi di sussidiari età e di leale collaborazione, anche tramite lo strumento degli accordi in sede di Conferenza Unificata di cui al D.Lgs. n. 281 del 1997;
Si segnala che il comma 7, lettera r), dell’articolo 1 della l. n. 239, richiamato anche dal comma 44 in oggetto, dispone che siano esercitati dallo Stato, anche avvalendosi dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, i compiti e le funzioni amministrative concernenti la determinazione dei criteri generali a garanzia della sicurezza degli impianti utilizzatori all'interno degli edifici, ferma restando la competenza del Ministero dell'interno in ordine ai criteri generali di sicurezza antincendio.
d) previsione di sanzioni in caso di violazione degli obblighi stabiliti alle lettere a) e b).
Si ricorda che tra i criteri direttivi della vigente norma di delega di cui al citato comma 44, oltre al richiamo al “rispetto delle prerogative costituzionali delle regioni”, sono contemplati i seguenti principi e criteri direttivi:
a) riordino della normativa tecnica impiantistica all'interno degli edifici;
b) promozione di un reale sistema di verifica degli impianti di cui alla lettera a) per accertare il rispetto di quanto previsto dall'attuale normativa in materia con l'obiettivo primario di tutelare gli utilizzatori degli impianti garantendo un'effettiva sicurezza.
Rispetto alla norma di delega vigente, le disposizioni in commento recano, oltre al differimento del termine per l’esercizio della delega al 31 dicembre 2005: alla lettera a), una diversa formulazione dell’oggetto della delega, non più riferito al riordino della “normativa tecnica impiantistica” all'interno degli edifici, bensì al riordino delle disposizioni in materia di “attività di installazione degli impianti all'interno degli edifici”; alla lettera c), un più puntuale criterio direttivo volto alla “determinazione delle competenze in materia dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali”, e alla lettera d) un nuovo criterio direttivo a sanzionare le violazioni degli obblighi introdotti ai sensi delle lettere a) e b).
In via generale, si ricorda come la materia oggetto della delega in esame presenti profili di stretta attinenza con lo schema di decreto legislativo (doc. 500) - attualmente all’esame del Parlamento - recante l’attuazione della direttiva 2002/91/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2002 sul rendimento energetico nell'edilizia, sulla base della delega conferita dalla legge 31 ottobre 2003, n. 306, "Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2003".
In proposito, si osserva come il citato schema di decreto rechi, in particolare agli articoli 4 e 12, disposizioni in materia di accertamenti e ispezioni periodiche sugli impianti; al riguardo, nella relativa relazione di accompagnamento il Governo ha fatto presente che le norme inserite nello schema di decreto relativamente agli impianti termici rifletterebbero lo stato dei lavori di predisposizione del decreto legislativo da adottare ai sensi del comma 44 in oggetto, e sarebbero necessarie per il completo recepimento della direttiva 2002/91/CE.
Alla luce di tali considerazioni, si segnala l’opportunità di richiamare, tra i principi direttivi della delega in oggetto, anche il rispetto della disciplina comunitaria sopra menzionata in materia di obbligo di verifica periodica degli impianti, ferma restando l’esigenza di un coordinamento sistematico degli emanandi decreti legislativi di riordino delle norme concernenti la sicurezza degli impianti, con il citato schema di decreto legislativo in materia di prestazione energetica degli edifici.
Da ultimo, in relazione alla lettera d), si valuti l’opportunità di meglio specificare la tipologia e l’entità minima e massima delle sanzioni che possono essere previste per la violazione degli obblighi introdotti ai sensi delle precedenti lettere a) e b), tenendo peraltro presente che l’articolo 15 del suddetto schema di decreto legislativo, nel prevedere la disciplina sanzionatoria per l’inadempienza agli obblighi previsti dal decreto legislativo medesimo - a carico dei progettisti, dei direttori lavori, proprietari di immobili, occupanti, amministratori di condominio, nonché degli operatori incaricati del controllo e manutenzione degli impianti termici - dispone alcuni aggiornamenti delle sanzioni per gli illeciti amministrativi contemplate dall’articolo 34 della legge n. 10/1991, introducendo altresì una sanzione penale a carico del direttore dei lavori che presenta al Comune una perizia nella quale attesta falsamente la conformità delle opere realizzate alle norme del decreto[32].
Il nuovo comma 44-bisprevede che le norme per la sicurezza degli impianti, contenute nel capo V della parte seconda del T:U. in materia edilizia, approvato con D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, hanno effetto, se compatibili, a decorrere dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma precedente.
Si ricorda che l’entrata in vigore delle norme per la sicurezza degli impianti (artt. 107-121) del T.U. in materia di edilizia è stata differita più volte attraverso disposizioni specifiche contenute in successivi decreti legge[33], l’ultima delle quali è contenuta nell’art. 19-quater del decreto legge 9 novembre 2004, n. 266.
L’articolo 19-quater ha disposto la proroga del termine di entrata in vigore delle norme per la sicurezza degli impianti al 1° luglio 2005. Si ricorda che tale proroga non si applica agli edifici scolastici di ogni ordine e grado.
Si ricorda che la maggior parte delle disposizioni contenute negli articoli da 107 a 121 (che costituiscono appunto il Capo V della parte seconda del D.P.R. n. 380 del 2001) riprendono il contenuto di quelle della legge 5 marzo 1990, n. 46, che ha dettato l’insieme delle regole in tema di sicurezza degli impianti che devono essere rispettate dalle imprese installatrice e dagli stessi committenti.
Una delle novità più rilevanti introdotte dal T.U. è contenuta nell’art. 107 che estende il campo d’applicazione della legge n. 46 agli impianti relativi agli edifici “quale che ne sia la destinazione d’uso”, annullando la distinzione prevista dalla normativa vigente prima dell’entrata in vigore del TU - tra “edifici ad uso civile” ed edifici destinati ad altri usi (industriale, commerciale, terziario, ecc.).
Gli impianti interessati dalle disposizioni recate dal Capo V in esame sarebbero pertanto:
§ gli impianti di produzione, di trasporto, di distribuzione e di utilizzazione dell’energia elettrica all’interno degli edifici a partire dal punto di consegna dell’energia fornita dall’ente distributore;
§ gli impianti radiotelevisivi ed elettronici in genere, le antenne e gli impianti di protezione da scariche atmosferiche;
§ gli impianti di riscaldamento e di climatizzazione azionati da fluido liquido, aeriforme, gassoso e di qualsiasi natura o specie;
§ gli impianti idrosanitari nonché quelli di trasporto, di trattamento, di uso, di accumulo e di consumo di acqua all’interno degli edifici a partire dal punto di consegna dell’acqua fornita dall’ente distributore;
§ gli impianti per il trasporto e l’utilizzazione di gas allo stato liquido o aeriforme all’interno degli edifici a partire dal punto di consegna del combustibile gassoso fornito dall’ente distributore;
§ gli impianti di sollevamento di persone o di cose per mezzo di ascensori, di montacarichi, di scale mobili e simili;
§ gli impianti di protezione antincendio.
Sono altresì previste norme in materia di progettazione e di collaudo (artt. 110 e 111), che tuttavia non si applicano ai lavori concernenti l’ordinaria manutenzione nonché per le installazioni di apparecchi per usi domestici e la fornitura provvisoria di energia elettrica per gli impianti di cantiere e similari, fermo restando l’obbligo del rilascio della dichiarazione di conformità (art. 116).
Sono infine previste norme in tema di verifiche degli impianti (art. 118) da parte dei comuni, delle unità sanitarie locali, dei comandi provinciali dei vigili del fuoco e dell’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (ISPESL), nonché disposizioni sanzionatorie a carico del committente o del proprietario (art. 120).
1. La denaturazione di cui al comma 4 dell'articolo 5 del decreto-legge 30 settembre 2000, n. 268, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2000, n. 354, si effettua solo a seguito di specifica determinazione del Direttore dell'Agenzia delle dogane, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, che attesta la vigenza di un'aliquota di accisa per il gasolio usato come combustibile per riscaldamento inferiore nella misura percentuale di almeno il 10 per cento rispetto a quella prevista per il gasolio usato come carburante. Con la medesima determinazione sono fissati i tempi, la formula e le modalità della denaturazione.
L’articolo 6 stabilisce che la denaturazione del gasolio da riscaldamento mediante aggiunta di colorante, prescritta dall’articolo 5, comma 4, del decreto-legge n. 268 del 2000 ogniqualvolta l'aliquota d'accisa per esso vigente sia inferiore a quella prevista per il gasolio usato come carburante, sia obbligatoria soltanto qualora la differenza tra le aliquote sia almeno pari al 10 per cento.
La circostanza dev’essere accertata mediante determinazione del direttore dell’Agenzia delle dogane, pubblicata nella Gazzetta ufficiale, che stabilisce altresì tempi, formula e modalità della denaturazione.
Il decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato 15 aprile 1997 (Disposizioni in materia di colorazione del gasolio per riscaldamento)[34] ha prescritto che al gasolio per uso di riscaldamento, con tenore di zolfo uguale o inferiore allo 0,2% ma superiore allo 0,05% in peso, sia aggiunto, prima dell'immissione in consumo, un colorante rosso avente le caratteristiche stabilite dall’articolo 1 del decreto medesimo, in misura compresa fra 2 e 4 grammi per quintale. A norma dell’articolo 2, le operazioni di colorazione possono essere effettuate all'interno dei depositi fiscali di produzione o di stoccaggio, ovvero anche nei depositi liberi collegati mediante oleodotto ai suddetti depositi fiscali, secondo modalità stabilite d'intesa con gli uffici tecnici di finanza territorialmente competenti.
Secondo quanto dichiarato nelle premessa del decreto, la disposizione è stata adottata, su richiesta di alcune associazioni di categoria del settore petrolifero, a seguito dell’introduzione del divieto di immettere sul mercato gasolio con contenuto di zolfo superiore a 0,2% in peso e di gasolio per autotrazione con contenuto di zolfo superiore a 0,05% in peso, secondo quanto previsto dall’articolo 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 novembre 1995, con il quale è stata recepita la direttiva 93/12/CEE relativa al tenore dello zolfo in taluni combustibili liquidi. La colorazione ha lo scopo di differenziare il gasolio per autotrazione da quello per riscaldamento a tutela dei consumatori e per la prevenzione delle frodi, senza alcuna implicazione di carattere fiscale e senza alterazione delle caratteristiche merceologiche del prodotto.
L’articolo 5, comma 4, primo periodo, del decreto-legge 30 settembre 2000, n. 268 (Misure urgenti in materia di imposta sui redditi delle persone fisiche e di accise), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2000, n. 3, ha determinato la misura dell’addizione di colorante in 4 grammi per quintale.
Esso ha altresì prescritto, al secondo periodo, che, quando per il gasolio usato come combustibile per riscaldamento sia in vigore un'aliquota d'accisa inferiore a quella prevista per il gasolio usato come carburante, oltre al suddetto colorante vengano aggiunti al gasolio per riscaldamento 3 grammi di 2-etil-antrachinone (tracciante RS) per quintale di prodotto (secondo periodo). Agli effetti fiscali, quest’addizione è equiparata ad un’operazione di denaturazione ed è praticata indipendentemente dal tenore di zolfo del gasolio, secondo modalità stabilite dall'amministrazione finanziaria. Con decreto dirigenziale del Ministero delle finanze può essere stabilita una diversa formula di denaturazione. Resta ferma la possibilità di effettuare la denaturazione, oltre che nei depositi fiscali, anche nei depositi liberi collegati agli stessi mediante oleodotto.
L'articolo 1, comma 9, del decreto-legge 21 febbraio 2005, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 aprile 2005, n. 58, ha aumentato l'aliquota di accisa sulla benzina e sulla benzina senza piombo e l'aliquota dell'accisa sul gasolio usato come carburante rispettivamente a euro 564 e a euro 413 per mille litri. Essendosi così realizzata la differenza di aliquota rispetto al gasolio per riscaldamento (rimasta fissata in euro 403,21 per mille litri), la stessa disposizione ha prescritto che, a decorrere dal novantesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore del decreto-legge medesimo, il gasolio usato come combustibile per il riscaldamento, indipendentemente dal tenore di zolfo, sia denaturato secondo la formula e le modalità stabilite dall’Agenzia delle dogane.
L’Agenzia delle dogane, con provvedimento del 13 maggio 2005[35] ha previsto, in conformità con le normative europee per la marcatura di tutti i gasoli di cui ai codici NC 27100066, 27100067 e 27100068 impiegati negli usi diversi dalla carburazione, che, oltre all’aggiunta di 4 grammi di solvent red 161, a norma del decreto ministeriale 15 aprile 1997, si dia luogo all’aggiunta di 0,95 grammi di solvent yellow 124 per quintale, unitamente a 0,51 grammi di nafta solvente da petrolio.
La disposizione qui commentata, in considerazione dell’onere derivante agli operatori dall’obbligo di denaturazione e del conseguente incremento del costo del prodotto, limita l’applicazione dell’obbligo ai soli casi in cui, sussistendo rilevante differenza fra l’aliquota applicata al gasolio da riscaldamento e quella cui è soggetto il gasolio per autotrazione, possano fondatamente paventarsi rischi di frode e quindi appaia giustificato imporre l’aggiunta di colorante per distinguere i prodotti aventi natura e destinazione diversa.
La disposizione potrebbe essere più opportunamente formulata come modificazione testuale dell’articolo 5, comma 4, del decreto-legge 30 settembre 2000, n. 268.
In ogni caso, deve osservarsi che l’articolo 5, comma 4, del decreto-legge n. 268 del 2000, richiamato nella disposizione qui illustrata, fa riferimento a due diverse pratiche di aggiunta di sostanze denaturanti al gasolio per riscaldamento: il primo periodo reca infatti determinazioni relative all’aggiunta prescritta, in via generale, dal decreto ministeriale 15 aprile 1997; il secondo periodo dispone invece una nuova formula di denaturazione da applicarsi soltanto in presenza di aliquote diverse. Poiché la disposizione qui illustrata riguarda quest’ultima, sarebbe opportuno specificare il richiamo con l’indicazione del “secondo periodo”.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Il 24 luglio 2002 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva che modifica la direttiva 92/81/CEE e la direttiva 92/82/CEE al fine di istituire un regime fiscale specifico per il gasolio utilizzato come carburante per fini professionali e al ravvicinamento dell'accisa sulla benzina e sul gasolio (COM(2002)410), procedura di consultazione).
La proposta definisce le condizioni di tassazione del gasolio professionale, distinguendo l’imposizione sui combustibili a uso professionale da quella sui combustibili a uso privato (gli Stati membri che lo desiderano possono così aumentare più facilmente le accise sul gasolio a uso privato per avvicinarle a quelle applicate alla benzina). In particolare, la proposta prospetta l’innalzamento delle aliquote minime di accisa sul gasolio professionale utilizzato per gli autoveicoli di peso superiore alle 16 tonnellate.
Il 17 dicembre 2003 il Parlamento europeo ha espresso parere contrario sulla proposta, sottolineando che non sarebbe giustificata né sotto il profilo ambientale né sotto quello della concorrenza. La proposta, che segue la procedura di consultazione, deve ancora essere esaminata dal Consiglio.
Articolo 7
(Semplificazione dei procedimenti per il
rilascio delle autorizzazioni alla costruzione e all’esercizio dei gasdotti
facenti parte della rete nazionale di trasporto del gas e dei nuovi gasdotti di
interconnessione con l’estero)
1. Al fine di garantire la sicurezza del sistema energetico e di promuovere la concorrenza nei mercati del gas naturale, la costruzione e l'esercizio dei gasdotti facenti parte della rete nazionale di trasporto del gas e dei nuovi gasdotti di interconnessione con l'estero sono attività di preminente interesse statale e sono soggetti a un'autorizzazione unica, rilasciata dal Ministero delle attività produttive, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, previa intesa con la regione o le regioni interessate, la quale sostituisce autorizzazioni, concessioni, nulla osta e atti di assenso comunque denominati previsti dalla normativa vigente, costituendo titolo a costruire e ad esercire tali infrastrutture in conformità al progetto approvato.
2. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio provvede alla valutazione di impatto ambientale e alla verifica della conformità delle opere al progetto autorizzato. Restano ferme, nell'ambito del procedimento unico di cui al presente articolo, le competenze del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in merito all'accertamento delle conformità delle opere alle prescrizioni delle norme di settore e dei piani urbanistici ed edilizi.
3. Il Ministro delle attività produttive adotta, con proprio decreto, entro il termine di novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, le norme atte a regolare il procedimento per il rilascio dell'autorizzazione unica di cui al presente articolo, nel rispetto del principio di semplificazione, e con le modalità di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.
L’articolo 7 - analogamente a quanto previsto dalla legge n. 239/04 di riordino del settore energetico (cfr. oltre)in materia di costruzione ed esercizio degli elettrodotti facenti parte della rete nazionale di trasporto dell’energia elettrica - prevede un’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio dei gasdotti facenti parte della rete nazionale di trasporto del gas e dei nuovi gasdotti di interconnessione con l’estero.
Si ricorda, come accennato, che i commi da 24 a 27, dell’articolo unico della legge 23 agosto 2004, n. 239, recante "Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia" recano modifiche al decreto-legge 29 agosto 2003, n. 239, convertito con modificazioni, dalla legge 27 ottobre 2003, n. 290, mediante le quali si novellano, tra l’altro, le disposizioni in materia di semplificazione dei procedimenti di autorizzazione per la costruzione e l’esercizio degli elettrodotti facenti parte della rete nazionale di trasporto dell’energia elettrica, attraverso l’introduzione di un procedimento unico, svolto entro il termine di 180 giorni dalla domanda, a seguito del quale è rilasciata - dal Ministero delle attività produttive, di concerto con il Ministero dell’ambiente, previa intesa con la regione o le regioni interessate - un’autorizzazione unica che sostituisce autorizzazioni, concessioni, nulla osta e atti di assenso comunque denominati previsti dall’ordinamento vigente, comprendendo altresì la dichiarazione di pubblica utilità e l’eventuale effetto di variante urbanistica.
L’autorizzazione in oggetto è rilasciata dal Ministero delle attività produttive, di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, previa intesa con la Regione o le Regioni interessate. Essa sostituisce autorizzazioni, concessioni, nulla osta e atti di assenso comunque denominati previsti dalle norme vigenti, e costituisce titolo a costruire ed esercitare tali infrastrutture conformemente al progetto approvato (comma 1).
Il Ministero dell’ambiente provvede alla valutazione di impatto ambientale e alla verifica di conformità delle opere al progetto autorizzato. Sono mantenute ferme, nell’ambito di tale procedimento unico, le competenze del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in merito all’accertamento di conformità delle opere alle prescrizioni delle norme di settore e dei piani urbanistici ed edilizi (comma 2).
Al Ministero delle attività produttive è demandata l’emanazione, con proprio decreto, di norme regolanti il procedimento per il rilascio dell’autorizzazione unica di cui sopra, nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241 (comma 3) .Tale decreto deve essere emanato entro 90 giorni a decorrere dall’entrata in vigore del provvedimento in commento.
In relazione alla semplificazione procedurale delineata dalle disposizioni in oggetto, si osserva come nelle considerazioni contenute nel documento conclusivo dell’istruttoria conoscitiva congiunta dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas e dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, sullo stato della liberalizzazione del settore del gas, conclusasi il 17 giugno 2004, nonché nella segnalazione del 27 gennaio 2005 dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas al Parlamento e al Governo in materia di terzietà della rete nazionale, degli stoccaggi e di sviluppo concorrenziale del mercato del gas naturale, si sottolinei come, in tutte le fasi della filiera del gas, ed in particolare nell’approvvigionamento (importazioni e produzione nazionale) nel trasporto, nello stoccaggio, nonché nella vendita, permanga la posizione dominante dell’ENI, rilevandosi in particolare come l’attuale limitata capacità di importazione e di stoccaggio, così come la dichiarata congestione dei metanodotti di importazione, risulterebbero funzionali al mantenimento di tale posizione dominante complessiva nel mercato nazionale. Lo sviluppo della concorrenza nel settore del gas è, infatti, condizionato dall’ingresso di nuovi operatori indipendenti dall’ENI nell’approvvigionamento di gas a condizioni competitive e il presupposto per evitare una mera spartizione del mercato tra i diversi operatori è rinvenibile nella presenza di una sufficiente abbondanza e flessibilità dell’offerta rispetto alle variazioni della domanda, garantita da una adeguata disponibilità di capacità di approvvigionamento e trasporto e, quindi, da un maggior numero di imprese dal lato dell’offerta in grado di innescare una effettiva concorrenza. In tale contesto, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas ritiene pertanto che la realizzazione di nuovi investimenti infrastrutturali idonei ad attivare nuove fonti di gas sia una condizione da cui non è possibile prescindere per favorire la creazione di quel “fisiologico” eccesso di offerta tipico di tutti i mercati concorrenziali e in grado di contenere gli aumenti dei prezzi del gas.
In questa prospettiva si collocano anche le disposizioni in esame, le quali, attraverso semplificazioni procedurali analoghe a quelle già previste in materia di costruzione ed esercizio degli elettrodotti (cfr. sopra), sembrano dirette proprio all’obiettivo di rendere più spedito l’iter autorizzativo per la realizzazione di nuovi investimenti infrastrutturali nel settore del gas naturale, ivi compresi quelli relativi ai gasdotti di interconnessione con l’estero, che assumono un peculiare rilievo ai fini del completamento del processo di liberalizzazione del settore[36].
Si segnala, in via preliminare, che l’articolo 9 del D.Lgs. 23 maggio 2000, n. 164, “Attuazione della direttiva 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell'articolo 41 della L. 17 maggio 1999, n. 144” definisce rete nazionale di gasdotti la rete costituita dai gasdotti ricadenti in mare, dai gasdotti di importazione ed esportazione e le relative linee collegate necessarie al loro funzionamento, dai gasdotti interregionali, dai gasdotti collegati agli stoccaggi, nonché dai gasdotti funzionali direttamente e indirettamente al sistema nazionale del gas [37].
Con D.M. 22 dicembre 2000, modificato da ultimo dal D.M. 30 giugno 2004, è stata individuata la Rete nazionale dei gasdotti [38].
L’articolo 52 quinquies del “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità”, D.P.R 327 dell’8 giugno 2001, come introdotto dall’ art. 1, comma 1, lett. c) del D.Lgs. n. 330 del 27 dicembre 2004 [39], prevede disposizioni particolari concernenti l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio delle infrastrutture lineari energetiche facenti parte delle reti energetiche nazionali (e degli oleodotti facenti parte delle reti nazionali di trasporto).
Tale articolo dispone, nello specifico, per le sopra citate infrastrutture, che l'autorizzazione alla costruzione delle stesse e al loro esercizio rilasciata dalla stessa amministrazione, sia comprensiva della dichiarazione di pubblica utilità dell'opera, della valutazione di impatto ambientale, ove prevista dalla normativa vigente, ovvero della valutazione di incidenza naturalistico - ambientale di cui al D.P.R 8 settembre 1997, n. 357 [40], dell'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio dei beni in essa compresi e della variazione degli strumenti urbanistici. L'autorizzazione inoltre sostituisce, anche ai fini urbanistici ed edilizi, ogni altra autorizzazione, concessione, approvazione, parere, atto di assenso e nulla osta comunque denominati, previsti dalle norme vigenti, costituendo titolo a costruire e ad esercire tutte le opere e tutte le attività previste nel progetto approvato, fatti salvi gli adempimenti previsti dalle norme di sicurezza vigenti. Per il rilascio dell'autorizzazione, ai fini della verifica della conformità urbanistica dell'opera, e' fatto obbligo di richiedere il parere motivato degli enti locali nel cui territorio ricadano le opere da realizzare. Il rilascio del parere non può incidere sul rispetto del termine entro il quale e' prevista la conclusione del procedimento. Al procedimento partecipano i soggetti preposti ad esprimersi in relazione a eventuali interferenze con altre infrastrutture esistenti. Il procedimento si conclude, in ogni caso, entro il termine di nove mesi dalla data di presentazione della richiesta, o di sei mesi dalla stessa data, ove non sia prescritta la procedura di valutazione di impatto ambientale. Il provvedimento finale comprende anche l'approvazione del progetto definitivo e determina l'inizio del procedimento di esproprio di cui al Capo IV del titolo II del D.P.R n. 327.
Si ricorda, inoltre, che il D.Lgs. 164/2000, all’articolo 30 [41] dispone in via generale che le opere necessarie per l'importazione, il trasporto, lo stoccaggio di gas naturale, e per i terminali di GNL, compresi gli impianti di rigassificazione, con esclusione di quelle da realizzare nelle zone di demanio marittimo e nelle zone indicate nell'articolo 55 del Codice della navigazione[42], sono dichiarate, con provvedimento del Ministero delle attività produttive o, per i gasdotti di distribuzione, della competente Autorità della regione interessata, ed a seguito dell'approvazione del relativo progetto, di pubblica utilità, nonché urgenti e indifferibili agli effetti della legge 25 giugno 1865, n. 2359, e successive modifiche e integrazioni [43].
L’articolo 31 del sopra citato D.Lgs. n. 164 prevede, per le opere necessarie al trasporto e alla distribuzione del gas, che la dichiarazione di pubblica utilità di cui all'articolo 30, sopra commentato, è disposta nel caso in cui non sia possibile effettuare l'attività di trasporto e di distribuzione a mezzo delle reti di trasporto e distribuzione esistenti a causa di mancanza di capacità delle stesse o, nel caso l'opera sia necessaria per rifornire un cliente idoneo, a causa di intervenuto rifiuto di accesso al sistema. Negli altri il Ministero delle attività produttive, ovvero, per i gasdotti di distribuzione, la regione competente possono comunque disporre con atto motivato la dichiarazione di pubblica utilità ove ritengano la realizzazione delle opere necessaria alla sicurezza del sistema del gas [44]. Il proponente la realizzazione delle opere di trasporto e distribuzione, ai fini dell'approvazione del progetto, trasmette all'Autorità competente una dichiarazione, firmata dal legale rappresentante, attestante le condizioni sopra indicate, corredata da idonea documentazione.
Si rileva l’opportunità di coordinare l’art. 7 in esame con quanto attualmente previsto dall’art. 52-quinquies del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità.
Per ciò che concerne la disciplina relativa alla valutazione di impatto ambientale (VIA), si ricorda innanzitutto che gli oleodotti e gasdotti di lunghezza superiore a 40 km e diametro superiore o uguale a 800 mm, rientrano tra le categorie di opere sottoposte a procedura di VIA nazionale obbligatoria ai sensi della lett. n)[45] dell’art. 1, comma 1, del D.P.C.M. 10 agosto 1988, n. 377.
I gasdotti, gli oleodotti o conduttore per prodotti chimici, di diametro superiore a 800 mm e di lunghezza superiore a 40 km rientrano, infatti, tra le opere dell’Allegato 1 della direttiva 85/337/CEE, come modificata dalla direttiva 97/11/CE, per le quali è prevista la procedura obbligatoria di VIA a livello nazionale.
Ai fini di un sintetico richiamo alla normativa vigente che prescrive quali siano gli interventi sottoposti a valutazione di impatto ambientale, si ricorda in primo luogo che nell’attuale contesto normativo italiano si presentano sostanzialmente due livelli:
§ procedura di VIA a livello nazionale per opere/interventi a rilevante impatto e/o di interesse nazionale;
§ procedura di VIA a livello di Enti Locali per opere/interventi di minore rilevanza[46].
Nel primo caso l’Autorità competente è il Ministero dell’Ambiente, nel secondo caso gli Enti Locali.
I progetti sottoposti a procedura statale di V.I.A. sono individuati dal D.P.C.M. 377/1988 integrato del D.P.R. 11/02/1998. La valutazione di compatibilità ambientale è compiuta dal Ministero dell'Ambiente in applicazione del D.P.R. sopracitato e sulla base delle norme tecniche contenute nel D.P.C.M. 27/12/1988 integrate dal DPR 2/9/1999 n. 348.
Decorso tale termine la procedura di approvazione del progetto riprende il suo corso, salvo proroga deliberata dal Consiglio dei ministri in casi di particolare rilevanza. Si ricorda che il termine è considerato ordinatorio, sia in virtù del principio generale di non applicabilità del silenzio-assenso in caso di pareri che debbano essere rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini (art. 16, comma 3, della legge n. 241 del 1990), sia a seguito di convergenti pronunce giurisprudenziali[47].
Articolo
8, commi 1 e 2
(Riserva premiale del Fondo aree
sottoutilizzate
destinata al servizio idrico integrato)
1. Al fine di promuovere l'attuazione di investimenti e la gestione unitaria del servizio idrico integrato sul complesso del territorio di ciascun ambito territoriale ottimale nelle aree sottoutilizzate del Mezzogiorno, il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), in sede di riparto della dotazione aggiuntiva del Fondo per le aree sottoutilizzate di cui all'articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, accantona un'apposita riserva premiale, pari a 300 milioni di euro, da riconoscere per spese in conto capitale, proporzionalmente alla popolazione, ai comuni e alle province che, consorziati o associati per la gestione degli ambiti territoriali ottimali di cui all'articolo 8 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, risultino avere affidato e reso operativo il servizio idrico integrato a un soggetto gestore individuato in conformità alle disposizioni dell'articolo 113 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni.
2. Il CIPE, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con successiva delibera, su proposta dei Ministri dell'economia e delle finanze e dell'ambiente e della tutela del territorio, determina i criteri di riparto e di assegnazione della riserva premiale ai comuni e alle province le cui gestioni risultino affidate entro il 30 giugno 2006 secondo le disposizioni di cui al comma 1, favorendo criteri di mercato e tempestività.
Le disposizioni in commento autorizzano il CIPE ad accantonare – nell’ambito delle risorse aggiuntive del Fondo per le aree sottoutilizzate di cui all'articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 - una quota pari a 300 milioni di euro, destinata a “premiare” i comuni e le province che, consorziati o associati per la gestione degli ambiti territoriali ottimali di cui all'articolo 8 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, risultino avere affidato entro il 30 giugno 2006 il servizio idrico integrato a un soggetto gestore individuato in conformità alle disposizioni dell'articolo 113 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni.
Non è peraltro sufficiente che il servizio sia stato affidato secondo le modalità appena citate, per poter concorrere al riparto delle risorse premiali previste, ma è necessario altresì che il servizio sia anche operativo.
La finalità delle disposizioni è quella di promuovere l'attuazione di investimenti e la gestione unitaria del servizio idrico integrato nelle aree sottoutilizzate[48] del Mezzogiorno.
L’articolo 8 della legge n. 36 del 1994 dispone al comma 1 che i servizi idrici siano riorganizzati sulla base di ambiti territoriali ottimali (ATO) delimitati secondo i seguenti criteri: rispetto dell'unità del bacino idrografico o del sub-bacino o dei bacini idrografici contigui, tenuto conto delle previsioni e dei vincoli contenuti nei piani regionali di risanamento delle acque di cui alla legge 10 maggio 1976, n. 319, e successive modificazioni, e nel piano regolatore generale degli acquedotti, nonché della localizzazione delle risorse e dei loro vincoli di destinazione, anche derivanti da consuetudine, in favore dei centri abitati interessati; superamento della frammentazione delle gestioni; conseguimento di adeguate dimensioni gestionali, definite sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici e sulla base delle ripartizioni politico-amministrative Il comma 2 prevede che le regioni, sentite le province interessate, nonché le province autonome di Trento e di Bolzano, nell'ambito delle attività di programmazione e di pianificazione previste dagli articoli 3 e 17 della legge 18 maggio 1989, n. 183 e successive modificazioni, entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, provvedono alla delimitazione degli ambiti territoriali ottimali. L’articolo 9 della legge n. 36 del 1994 dispone invece che i comuni e le province di ciascun ambito territoriale ottimale di cui all'articolo 8, entro il termine perentorio di sei mesi dalla delimitazione dell'ambito medesimo, organizzano il servizio idrico integrato, come definito dall'articolo 4, comma 1, lettera f), al fine di garantirne la gestione secondo criteri di efficienza, di efficacia e di economicità. I comuni e le province provvedono alla gestione del servizio idrico integrato mediante le forme, anche obbligatorie, previste dalla legge 8 giugno 1990, n. 142 .Gli articoli 25 e 26-bis della legge 8 giugno 1990, n. 142 prevedono la possibilità per i comuni e le province di esercitare loro funzione attraverso consorzi o associati tra loro.
La quota prevista dovrà riguardare spese in conto capitale e dovrà essere assegnata dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) in sede di riparto della dotazione aggiuntiva del Fondo per le aree sottoutilizzate.
Secondo quanto stabilito dal comma 2, i criteri per il riparto e l’assegnazione della riserva premiale sono fissati dal CIPE, su proposta dei Ministri dell’economia e finanze e dell’ambiente, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del disegno di legge in esame.
Un criterio è peraltro già indicato dal comma 1 e riguarda la necessità di assegnare i contributi in proporzione alla popolazione dei comuni e delle province.
Si osserva che la finalità dell’articolo è di promuovere l'attuazione di investimenti e la gestione unitaria del servizio idrico integrato nelle aree sottoutilizzate del Mezzogiorno. Sembrerebbe pertanto che il riparto delle risorse debba riguardare i comuni e le province delle aree sottoutilizzate situate esclusivamente nel Mezzogiorno. Al fine di evitare dubbi interpretativi, si valuti l’opportunità di un chiarimento al riguardo.
Per quanto riguarda i soggetti beneficiari delle disposizioni in commento, occorre chiarire che l’articolo 113 del decreto legislativo n. 267 del 2000 prevede che i servizi pubblici siano affidati tendenzialmente attraverso gare ad evidenza pubblica. A ciò è collegata la previsione della cessazione delle concessioni che non sono state rilasciate attraverso gare ad evidenza pubblica. Sono peraltro fatte salve una serie di ipotesi di concessioni.
In ogni caso, ciò che appare fondamentale, ai fini dell’assegnazione di una quota della riserva premiale, è che i comuni e le province abbiano affidato ad un unico soggetto gestore il servizio idrico.
L’articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni. disciplina le modalità per la gestione delle reti e l’erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica Il comma 5 prevede, in particolare che l'erogazione del servizio avvenga secondo le discipline di settore e nel rispetto della normativa dell'Unione europea, con conferimento della titolarità del servizio: a società di capitali individuate attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica; a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche; a società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano. Il comma 5-bis prevede peraltro che le normative di settore, al fine di superare assetti monopolistici, possono introdurre regole che assicurino concorrenzialità nella gestione dei servizi da esse disciplinati prevedendo, nel rispetto delle disposizioni di cui al comma 5, criteri di gradualità nella scelta della modalità di conferimento del servizio. Il comma 15-bis prevede che nel caso in cui le disposizioni previste per i singoli settori non stabiliscano un congruo periodo di transizione, ai fini dell'attuazione delle disposizioni previste nell’articolo 113, le concessioni rilasciate con procedure diverse dall'evidenza pubblica cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2006, senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante. Sono escluse peraltro dalla cessazione le concessioni affidate a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato sia stato scelto mediante procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza, nonché quelle affidate a società a capitale interamente pubblico a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano. Sono altresì escluse dalla cessazione le concessioni affidate alla data del 1º ottobre 2003 a società già quotate in borsa e a quelle da esse direttamente partecipate a tale data a condizione che siano concessionarie esclusive del servizio, nonché a società originariamente a capitale interamente pubblico che entro la stessa data abbiano provveduto a collocare sul mercato quote di capitale attraverso procedure ad evidenza pubblica, ma, in entrambe le ipotesi indicate, le concessioni cessano comunque allo spirare del termine equivalente a quello della durata media delle concessioni aggiudicate nello stesso settore a seguito di procedure di evidenza pubblica, salva la possibilità di determinare caso per caso la cessazione in una data successiva qualora la stessa risulti proporzionata ai tempi di recupero di particolari investimenti effettuati da parte del gestore.
Si segnala che nell’ultima relazione del Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche (per l’anno 2003) , trasmessa alla Presidenza della Camere il 21 luglio 2004, emerge che gli ATO che hanno affidato il servizio idrico integrato sono 38. Di questi 38, sottolinea la relazione, la gran maggioranza(25) ha scelto la formula del partenariato pubblico-privato, affidando il servizio a una s.p.a mista. Dei 13 ATO restanti, 12 hanno optato per un affidamento a s.p.a pubblica e solo l’ATO di Frosinone, che ha proceduto all’affidamento da anni, ha aggiudicato il servizio sulla base di una gara
Considerata l’ampia gamma di ipotesi di affidamento del servizio idrico disciplinate dall’articolo 113 , si osserva peraltro con riferimento al comma 1 che sarebbe opportuno meglio specificare quali sono le modalità di affidamento previste dall’articolo 113 che giustificano l’assegnazione delle risorse premiali.
Sembrerebbe comunque, che stante la genericità del richiamo alle disposizioni contenute nell’articolo 113, le disposizioni in commento possono applicarsi a tutti gli ATO che hanno affidato il servizio idrico integrato a un unico soggetto, cioè i 38 a cui fa riferimento la relazione del Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche e gli altri eventuali che hanno provveduto a fare ciò successivamente alla trasmissione della relazione da parte del Comitato
Per quel che riguarda il Fondo per le aree sottoutilizzate, la legge finanziaria per il 2003 (legge n. 289/2002) ha concentrato le risorse destinate agli interventi nelle aree sottoutilizzate in due fondi di carattere generale, di competenza, rispettivamente, del Ministero dell'economia e delle finanze (articolo 61, co. 1) e del Ministero delle attività produttive (articolo 60, co. 3)[49].
In particolare, ai sensi dell’Allegato 1 della legge n. 289/2002, il Fondo per le aree sottoutilizzate del Ministero dell’economia, di cui all’art. 61 della legge n. 289/2002 (c.d. Fondo MEF), è costituito dall’insieme delle risorse relative alle seguenti leggi:
- legge n. 64 /1986, Intervento straordinario nel Mezzogiorno;
- legge n. 208/1998, art. 1, co. 1, Intervento ordinario nelle aree depresse (istitutiva del Fondo aree depresse);
- legge n. 488/1999, art. 27, co. 11, Fondo per l’imprenditoria giovanile;
- legge n. 388/2000, art. 8, Credito di imposta per investimenti;
- legge n. 388/2000, art. 7, Credito di imposta per nuovi assunti.
Ai sensi del comma 217 dell’articolo 1 della legge n. 311/2004, l’elenco degli strumenti che confluiscono nel Fondo per le aree sottoutilizzate, di cui all’Allegato 1 della legge n. 289/2002, è stato esteso anche:
- alle agevolazioni concesse ai sensi dei commi 215-216 dell’art. 1 della medesima legge n. 311/2004, per favorire l’attrazione degli investimenti nelle aree sottoutilizzate;
- agli interventi previsti dai commi da 219-220 della legge n. 311/2004, che dispongono finanziamenti all'Istituto italiano per gli studi storici e all'Istituto italiano per gli studi filosofici per attività di ricerca e formazione per la promozione dell'integrazione europea e mediterranea del Mezzogiorno
Il Fondo per le aree sottoutilizzate, allocato nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, nella U.P.B. 4.2.3.27, capitolo 7576, è annualmente rifinanziato dalla Tabella D della legge finanziaria.
La disciplina in materia di Fondi per le aree sottoutilizzate attribuisce al CIPE la facoltà, con proprie deliberazioni, di ripartire la dotazione aggiuntiva annuale di ciascuno dei due Fondi tra gli interventi in essi compresi[50].
Ai sensi del comma 4 dell’articolo 61 della legge n. 289/2002, le risorse assegnate dal CIPE ai diversi settori di intervento costituiscono limiti massimi di spesa, come previsto dall’articolo 11-ter, comma 6-bis, della legge n. 468/1978.
Il CIPE può altresì modificare l’allocazione degli stanziamenti relativi ai due Fondi, trasferendo risorse dall’uno all’altro. In tal caso, il CIPE deve essere presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
La diversa allocazione delle risorse tra i due fondi deve essere deliberata dal CIPE in relazione allo stato di attuazione degli interventi finanziari e alle esigenze espresse dal mercato in merito alle singole misure di incentivazione, tenendo, altresì conto, ai sensi dell’articolo 4, comma 130, lettera a), della legge finanziaria per il 2004 (legge n. 350/2003), della finalità di accelerazione della spesa in conto capitale.
Per quanto concerne le risorse aggiuntive per il 2005, la legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria per il 2005) ha previsto nella Tabella D il rifinanziamento del Fondo per le aree sottoutilizzate per importi pari a 68 milioni di euro per il 2005, 48 milioni per il 2006 e 7.728 milioni di euro per il 2007.
Le disposizioni in commento definiscono una ulteriore finalità (riserva premiale per spese di conto capitale a favore degli enti locali che hanno affidato il servizio idrico integrato) di cui il CIPE deve tener conto nella ripartizione delle risorse aggiuntive del Fondo per le aree sottoutilizzate.
Non viene peraltro specificato a quale esercizio finanziario si riferisce l’assegnazione della riserva premiale da parte del CIPE.
Più in particolare, considerato che la riserva premiale sarà assegnata ai soggetti che avranno affidato la gestione del servizio idrico entro il 30 giugno 2006 secondo le modalità previste, le disposizioni in esame potranno applicarsi a valere sulle risorse aggiuntive stanziate per gli anni successivi al 2005.
Sulla base delle disposizioni contenute nella legge finanziaria per il 2005, il Fondo per le aree sottoutilizzate risulta avere una dotazione complessiva pari a 2.969,1 milioni di euro per il 2005, 7.207,9 milioni di euro per il 2006, 6.778 milioni di euro per il 2007 e 6.800 milioni di euro per il 2008.
Nel fondo confluiscono altresì le risorse relative alla legge n. 64/1986 (Intervento straordinario nel Mezzogiorno), che risultano pari a 474,7 milioni di euro per il 2005, a 400 milioni di euro per il 2006 e a 100 milioni di euro per il 2007[51].
Le disponibilità del Fondo per le aree sottoutilizzate, come determinate dalla legge finanziaria per il 2005, risultano peraltro ridotte a seguito delle disposizioni contenute nei provvedimenti indicati nella tabella seguente:
Fondo per le aree sottoutilizzate |
2005 |
2006 |
2007 |
2008 |
|
D.L. n. 35/2005, Art. 8-bis |
Copertura degli oneri derivanti dall’aumento dello stanziamento in favore della società controllata da Sviluppo Italia che dovrà costituirsi per il coordinamento delle iniziative finalizzate ad un più efficace inserimento nel contesto territoriale dei compiti e delle attività svolte dal Comitato organizzatore dei Giochi olimpici |
-10.000 |
-10.000 |
-30.000 |
0 |
D.L. n. 35/2005, Art. 11, co. 14-ter |
Copertura degli oneri previsti dai commi 8-9 dell’art. 11 (estensione dell’ambito territoriale di applicazione degli interventi di reindustrializzazione e di promozione industriale previsti dal D.L. n. 120/1989) e dal comma 14-bis (proroga della gestione temporanea delle miniere carbonifere del Sulcis fino al 31 dicembre 2006) |
-65.000 |
-65.000 |
-85.000 |
-65.000 |
D.L. n. 35/2005, Art. 11-ter,
co. 2 |
Copertura degli oneri derivanti dalla intensificazione della deduzione ai fini IRAP dei costi relativi a nuove assunzioni nel Mezzogiorno e nelle aree svantaggiate del Centro-nord. |
-15.000 |
-183.000 |
-282.000 |
-366.000 |
D.L. n. 35/2005, Art. 11-ter,
co. 5 |
Modifica della norma di copertura contenuta al comma 361 della legge n. 311/2004. |
0 |
0 |
0 |
-100.000 |
D.L. n. 22/2005, Art. 1, co. 3-ter
|
Copertura degli oneri derivanti dall’aumento del Fondo di solidarietà nazionale – interventi indennizzatori, per le imprese agricole colpite da calamità naturali |
-120.000 |
- |
- |
- |
Disponibilità |
|
2.759.116 |
6.949.900 |
6.411.000 |
6.269.000 |
Il principio della premialità è stato introdotto dal Regolamento (CE) n. 1260/1999 sui Fondi strutturali (art. 7, § 5), come meccanismo di incentivazione per innalzare la qualità della programmazione e della gestione dei programmi.
A tal fine, la Commissione europea ha definito una “riserva di efficacia e di efficienza”, calcolata nella misura del 4% degli stanziamenti d'impegno previsti dal Reg. n. 1260/1999 in ciascuna ripartizione indicativa nazionale (circa 996 milioni di euro), da assegnare in base ai criteri dettati dall’articolo 44 del regolamento medesimo[52].
A livello nazionale, con deliberazione del 14 maggio 1999, n. 71, il CIPE ha definito una ulteriore riserva premiale nell’ambito dell’attuazione del QCS dell’obiettivo 1, nella misura del 6% (circa 1.325 milioni di euro), quale ulteriore sistema incentivante, in grado di premiare le situazioni di maggiore efficienza ed efficacia nella realizzazione, scoraggiando situazioni di mancata realizzazione degli interventi, sia rispetto agli obiettivi che alla tempistica di attuazione.
Nell’ambito dell’ordinamento nazionale, il criterio della premialità in sede di ripartizione dei fondi per le aree depresse è stato introdotto l’articolo 73 della legge n. 448 del 2001 (legge finanziaria per il 2002).
In particolare, la norma prevede che le risorse di cui alla legge n. 208 del 1998 siano assegnate a progetti selezionati secondo criteri di avanzamento progettuale e di coerenza programmatica, con particolare riferimento alle priorità della programmazione comunitaria 2000-2006, prevedendo altresì il ricorso a metodi premiali, come peraltro già stabilito dalla disciplina comunitaria, per la ripartizione delle risorse tra i programmi di attuazione dei Quadri comunitari di sostegno.
Una analoga riserva è prevista nell’articolo 51 del D.L. n. 269/2003, che dispone l’accantonamento di una quota del Fondo per le aree sottoutilizzate come riserva premiale destinata alle aree sottoutilizzate delle regioni che conseguono gli obiettivi di riequilibrio del deficit della spesa sanitaria corrente.
L’accantonamento complessivo è pari a 350 milioni di euro ripartiti in: 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2004 e 2005, 330 milioni per l’anno 2006.
3. Il parametro di remunerazione dell'energia riconosciuta al produttore che cede l'energia elettrica di cui all'articolo articolo 20, comma 1, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, è il prezzo definito nell'allegato A, articolo 30, comma 30.1, lettere a) e b), della delibera dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas n. 5/04 del 30 gennaio 2004, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 83 dell'8 aprile 2004.
4. Il parametro di remunerazione dell'energia riconosciuta al produttore che cede l'energia elettrica di cui all'articolo 13, comma 3, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, è una tariffa unica determinata dalla media ponderata delle fasce orarie, del prezzo definito nell'allegato A, articolo 30, comma 30.1, lettere a) e b), della citata delibera dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas n. 5/04.
5. Fermo restando il principio dell'imprescindibile riconoscimento di una tariffa unica e non differenziata per fasce derivante dalla specificità degli impianti in oggetto, il parametro indicato al comma 4, qualora dovesse essere modificato o venire a mancare ai sensi della normativa vigente, verrà automaticamente sostituito con la migliore alternativa tariffaria possibile, facendo sempre riferimento alle condizioni economiche del mercato, ma nel rispetto dei princìpi e delle finalità determinati dalla normativa comunitaria e nazionale di promozione dell' energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili.
6. La misura dell'energia ritirata ai sensi dell'articolo 13, comma 3, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, viene effettuata dal gestore di rete competente, al netto dei consumi per usi di centrale, senza necessità per il soggetto produttore di stipula del contratto di consumo di detta energia con il distributore locale e senza oneri aggiuntivi per il produttore medesimo.
7. Le direttive, delibere o disposizioni comunque emanate dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas, dal Gestore della rete di trasmissione nazionale, dal Gestore del mercato elettrico, dall'Acquirente unico e dai gestori di rete, nel campo delle energie rinnovabili, del risparmio e dell'efficienza energetica dovranno conformarsi ai princìpi ed alla disciplina di cui ai commi da 3 a 6.
I commi 3 e 4 fissano nuovi parametri di remunerazione dell’energia riconosciuta al produttore che cede energia elettrica da fonti rinnovabili, di cui all’articolo 20, comma 1, del D.Lgs. n. 387/2003 e all’articolo 13, comma 3 dello stesso D.Lgs. n. 387.
Si ricorda che, ai sensi della disciplina vigente, di cui al citato articolo 20, comma 1, del D.Lgs. n. 387, dal 1° gennaio 2004 e fino alla data di entrata a regime del mercato elettrico[53], al produttore che cede l'energia elettrica da fonti rinnovabili - di cui all'articolo 13, comma 3 del medesimo D.Lgs - è riconosciuto il prezzo fissato dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas per l'energia elettrica all'ingrosso ceduta alle imprese distributrici per la vendita ai clienti del mercato vincolato.
Tale prezzo, individuato con riferimento al prezzo dell’energia elettrica all’ingrosso in vigore nello stesso anno, come definito dall’articolo 26 dell’Allegato A alla delibera n. 228/01 dell’Autorità, è pari alla somma delle seguenti due componenti:
§ una componente a copertura dei costi fissi di produzione di energia elettrica, differenziata per le fasce orarie F1, F2, F3 e F4, determinata dall’Autorità;
§ una componente a copertura dei costi variabili di produzione di energia elettrica, non differenziata per fascia oraria, pari, in ciascun trimestre, al parametro Ct.
Entrambe le componenti del prezzo dell’energia elettrica all’ingrosso sono riferite ai soli costi di produzione dell’energia elettrica, al netto delle componenti a remunerazione della riserva e del bilanciamento.
Dall’1 aprile 2004, a seguito dell’entrata in operatività dell’Acquirente unico, il prezzo di cui al citato articolo 20, comma 1, è diventato il prezzo di cessione dall’Acquirente unico alle imprese distributrici per la vendita al mercato vincolato, definito dall’articolo 30, comma 30.1, dell’Allegato A alla delibera dell’Autorità n. 5/04 (Cfr. oltre), limitatamente alla lettera a), in quanto le componenti b) e c) sono destinate alla remunerazione di servizi svolti dall’Acquirente unico e sono indipendenti dai costi specifici di generazione elettrica.
Rispetto alla disciplina vigente, il comma 3 in esame dispone che il parametro di remunerazione dell’energia elettrica ceduta ai sensi dell’articolo 20, comma 1, del D.Lgs. n. 387/03 è il prezzo derivante dalla somma delle componenti definite all’articolo 30, lettere a) e b), dell’Allegato A alla delibera dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas (di seguito Autorità) n. 5/04.
La delibera dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas 30 gennaio 2004, n. 5, reca l’approvazione, ai sensi dell’articolo 2, comma 12, lettere d) ed e), della legge 14 novembre 1995, n. 481, del “Testo integrato delle disposizioni dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas per l’erogazione dei servizi di trasmissione, distribuzione, misura e vendita dell’energia elettrica per il periodo di regolazione 1 febbraio 2004 - 31 dicembre 2007” (allegato A)[54]. In particolare, all’articolo 30 di tale testo viene definito il prezzo di cessione dell’energia elettrica dall’Acquirente unico alle imprese distributrici per la vendita almercato vincolato, facendolo corrispondere, in ciascuna delle fasce orarie F1, F2, F3 e F4 di un mese, alla somma in centesimi di euro/kWh, di tre componenti:
a) la media, ponderata per le rispettive quantità di energia elettrica, dei costiunitari sostenuti dall’Acquirente unico nelle ore comprese in detta fasciaoraria:
i) per l’acquisto dell’energia elettrica nel mercato del giorno prima e nelmercato di aggiustamento;
ii) per l’acquisto dell’energia elettrica attraverso contratti di compravendita di energia elettrica conclusi al di fuori del sistema delle offerte;
iii) per la copertura dei rischi connessi all’oscillazione dei prezzi dell’energia elettrica, attraverso contratti differenziali o ad altre tipologie di contratto;
b) il costo unitario sostenuto dall’Acquirente unico in qualità di utente del dispacciamento per il mercato vincolato nelle ore comprese in detta fascia oraria;
c) il corrispettivo unitario riconosciuto all’Acquirente unico per l’attività di acquisto e vendita dell’energia elettrica per il mercato vincolato.
Con la disposizione in esame viene pertanto introdotta, quale parametro di remunerazione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, una componente – quella di cui alla citata lettera b) dell’articolo 30, comma 30.1, dell’allegato A alla delibera dell’Autorità n. 5/04 - non rappresentativa dei costi specifici di generazione dell’energia elettrica; la componente in oggetto - che la norma intende includere nel prezzo di ritiro dell’energia di cui all’art. 20 del D.Lgs. n. 387/03 - rappresenta infatti il costo sostenuto dall’Acquirente Unico, in qualità di utente del dispacciamento per il mercato vincolato, ed è destinata alla remunerazione del servizio di dispacciamento dell’energia elettrica erogato dal Gestore della rete di trasmissione nazionale e dunque alla copertura dei costi relativi a servizi svolti per i clienti del mercato vincolato indipendenti dalla fase di produzione dell’energia elettrica.
Il comma 4, intervenendo nella medesima materia, dispone che il parametro di remunerazione dell’energia riconosciuta al produttore che cede l’energia da fonti rinnovabili di cui all’articolo 13, comma 3, del cit. D.Lgs. n. 387 è una tariffa unica determinata dalla media ponderata delle fasce orarie, del prezzo definito nell'allegato A, articolo 30, comma 30.1, lettere a) e b), della sopra citata delibera.
Si ricorda che l’articolo 13, comma 3 del D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387[55] prevede che l'energia elettrica prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili di potenza inferiore a 10 MVA, nonché da impianti di potenza qualsiasi alimentati dalle fonti rinnovabili eolica, solare, geotermica, del moto ondoso, maremotrice ed idraulica - limitatamente, per quest'ultima fonte, agli impianti ad acqua fluente e ad eccezione di quella ceduta al Gestore della rete nell'ambito delle convenzioni in essere stipulate ai sensi dei provvedimenti Cip 12 luglio 1989, n. 15/89, 14 novembre 1990, n. 34/90, 29 aprile 1992, n. 6/92, nonché della deliberazione dell'Autorità per l'energia elettrica ed il gas 28 ottobre 1997, n. 108/97, limitatamente agli impianti nuovi, potenziati o rifatti, come definiti dagli articoli 1 e 4 della medesima deliberazione - è ritirata, su richiesta del produttore, dal gestore di rete alla quale l'impianto è collegato. Ai sensi dell’ultimo periodo della disposizione, l'Autorità per l'energia elettrica ed il gas determina le modalità per il ritiro dell'energia elettrica di cui al comma in oggetto “facendo riferimento a condizioni economiche di mercato”.
Si ricorda, inoltre, che ai sensi dell’articolo 1, comma 41 della legge 23 agosto 2004 n. 239, “Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia”, il GRTN, se si tratta di rete di trasmissione nazionale, o l’impresa distributrice, se si tratta di rete di distribuzione, ritiri, previa richiesta del produttore, l’energia prodotta da impianti di potenza inferiore a 10 MVA, l’energia da fonti rinnovabili di cui al secondo periodo del comma 12, art. 3 del D.Lgs. 79/99, nonché l’energia prodotta da impianti entrati in esercizio dopo il 1° aprile 1999, alimentati da fonti di energia rinnovabili: eolica, solare, geotermica, del moto ondoso, maremotrice ed idraulica dei soli impianti ad acqua fluente.
L'Autorità per l'energia elettrica e il gas determina le modalità per il ritiro della suddetta energia elettrica da fonti rinnovabili (di cui al primo periodo del comma 41) facendo riferimento a condizioni economiche di mercato.
Ai sensi della medesima disposizione, l’energia prodotta da operatori diversi dall’ENEL, e l’energia prodotta da fonti rinnovabili che gode del regime tariffario agevolato di cui al provvedimento CIP/6 (ai sensi dell’art. 3, comma 12, primo e terzo periodo, del D.Lgs. n. 79/99) continua ad essere ritirata dal Gestore della rete di trasmissione nazionale. Dopo la scadenza delle convenzioni in essere, l'energia elettrica di cui al primo e al terzo periodo del comma 12 dell'articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, esclusa quella prodotta da fonti rinnovabili di cui al primo periodo del comma in oggetto, viene ceduta al mercato.
In relazione alla disposizione in oggetto, si segnala che l’Autorità, per l’energia elettrica e il gas, con la delibera n. 34/05 del 23 febbraio 2005, recante “Modalità e condizioni economiche per il ritiro dell'energia elettrica di cui all'articolo 13, commi 3 e 4, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, e al comma 41 della legge 23 agosto 2004, n. 239”[56], ha già previsto, per la fattispecie in esame, oltre al prezzo differenziato per fasce, anche il prezzo di cessione unico e indifferenziato per fasce orarie di cui al comma 4 in esame, a scelta del produttore, ciò verosimilmente al fine di conformarsi al criterio delle condizioni economiche di mercato tenendo conto delle peculiarità di alcuni impianti alimentati da fonti rinnovabili non programmabili.
La disposizione in esame, attraverso norme di rango legislativo, innova quanto disposto in tale delibera dell’Autorità, prevedendo, come accennato, quale parametro di remunerazione esclusivamente una “tariffa unica determinata dalla media ponderata delle fasce orarie”, del prezzo definito come sopra.
Il riconoscimento di una tariffa unica e non differenziata per fasce orarie, è inoltre definito, ai sensi del successivo comma 5, come un principio imprescindibile, cui dovranno conformarsi, ai sensi del comma 7, le future direttive e delibere dell’Autorità (cfr. oltre).
Al riguardo, oltre a quanto sopra evidenziato in ordine all’inclusione della componente di cui all’articolo 30, comma 30.1, lettera b), dell’allegato A alla delibera dell’Autorità n. 5/04, si rileva come la previsione in oggetto possa determinare un trattamento differenziato nei confronti delle diverse tipologie di impianti ammessi ai benefici previsti dal decreto legislativo n. 387/03 e dalla legge n. 239/04, posto che esistono sia impianti in grado di modulare la propria produzione di energia elettrica in funzione della domanda, sia impianti non programmabili (ovvero non in grado di modulare la propria produzione, in quanto alimentati da fonti rinnovabili, quali la solare, la eolica o la idrica fluente, la cui disponibilità non dipende dalla volontà del produttore). Il prezzo di ritiro unico, stabilito nel comma, indifferenziato per fasce orarie, potrebbe in particolare riflettersi nei confronti degli impianti alimentati da fonti rinnovabili in grado di modulare, seppur parzialmente, la loro produzione, contribuendo in tal modo all’equilibrio tra domanda e offerta di energia elettrica per la sicurezza del sistema elettrico nazionale.
Al riguardo, andrebbe valutato se l’utilizzo di un solo parametro, ossia di una tariffa unica indifferenziata per fasce orarie (e non anche, come previsto nella suddetta delibera dell’Autorità, di una remunerazione esclusiva per fascia oraria, a scelta del produttore ) da applicarsi a tutte le tipologie di impianto, possa porsi in contrasto con l’obbligo per l’Autorità di tener conto delle condizioni economiche di mercato, di cui al citato art. 13 del D.Lgs. 387. Ciò in quanto nella fase di approvvigionamento dell’energia elettrica, le “condizioni economiche di mercato” dovrebbero in linea di principio implicare il riferimento al valore d’uso dell’energia elettrica consumata, secondo criteri di valorizzazione dell’energia in funzione delle ore in cui la si consuma e la si produce, ai quali risponde la previsione di una remunerazione anche “differenziata” per fasce orarie.
Il comma 5, come accennato, dispone che, fermo il “principio dell’imprescindibile riconoscimento di una tariffa unica e non differenziata per fasce”, qualora sia modificato o venga a mancare il suddetto parametro di remunerazione di cui al comma 4, esso dovrà essere automaticamente sostituito con la migliore alternativa tariffaria possibile, “facendo sempre riferimento alle condizioni economiche del mercato, ma nel rispetto dei principi e delle finalità determinati dalla normativa comunitaria e nazionale di promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili”.
In proposito, oltre a quanto sopra evidenziato, si rileva l’opportunità di verificare come la previsione del riconoscimento per gli impianti in oggetto della “miglior alternativa tariffaria possibile” possa coniugarsi con l’obbligo per l’Autorità, ribadito dalla norma, di continuare a fare riferimento alle “condizioni economiche del mercato”. Si osserva, inoltre, come la previsione di una “tariffa ad hoc” che consenta il necessario sviluppo delle fonti rinnovabili è prerogativa delle misure di promozione e incentivazione di cui ai decreti di attuazione dell’articolo 11 del D.Lgs. n. 79/1999, e del D.Lgs. 387/03, (certificati verdi, solare, altri contributi regionali) e non dell’Autorità, alla quale l’articolo 13, commi 3 e 4, del medesimo decreto legislativo n. 387/03, e il citato comma 41 della legge 23 agosto 2004, n. 239, assegna il compito di definire le modalità di ritiro facendo riferimento unicamente a condizioni economiche di mercato. Va inoltre considerato come gli incentivi alla produzione da fonti rinnovabili siano attualmente previsti nel meccanismo dei c.d. certificati verdi[57], mentre con le disposizioni in esame essi vengono definiti anche in relazione alle modalità di ritiro dell’energia.
E’ inoltre opportuno ricordare, al riguardo, come l’Autorità per l’energia elettrica e il gas, con la citata delibera n. 34/05, abbia previsto semplificazioni ed esenzioni dagli oneri di sbilanciamento per l’energia elettrica ritirata dai gestori di rete ai sensi dell’articolo 13, commi 3 e 4 del decreto legislativo e del comma 41 della legge n. 239/04; al riguardo si ricorda che per quanto riguarda il corrispettivo per l’assegnazione dei diritti di utilizzo della capacità di trasporto, limitatamente agli impianti fino ad 1 MW, l’esenzione è totale, mentre per gli impianti alimentati a fonti rinnovabili tra 1 e 5 MW l’esenzione è parziale.
Il comma 6 prevede che la misura dell’energia da fonti rinnovabili ritirata ai sensi dell’art. 13, comma 3 del D.Lgs. 387/ 03 sia effettuata dal gestore di rete competente, al netto dei consumi per usi di centrale, senza la necessità per il produttore di stipulare, per tali consumi, un contratto con il distributore locale e senza oneri aggiuntivi per lo stesso produttore.
Il comma 7, come accennato, qualifica le disposizioni di cui ai commi da 3 a 6 come principi ai quali dovranno conformarsi le delibere o le disposizioni relative alle energie rinnovabili, al risparmio e all'efficienza energetica, che saranno emanate dall’Autorità per l’energia elettrica ed il gas, dal Gestore della rete di trasmissione nazionale, dal Gestore del mercato elettrico, dall’Acquirente unico e dai gestori di rete.
In proposito, si osserva come la norma possa apparire pleonastica, in quanto, in base alla gerarchia delle fonti normative, i suddetti organismi sono comunque tenuti ad attenersi, nelle proprie determinazioni, alle disposizioni dettate con fonte legislativa di rango primario.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Sicurezza degli approvvigionamenti energetici
II 10 dicembre 2003 la Commissione ha presentato un pacchetto di misurein materia di infrastrutture energetiche e di sicurezza dell'approvvigionamento.
Il pacchetto comprende:
- una comunicazione sulle infrastrutture energetiche e la sicurezza degli approvvigionamenti(COM(2003)743);
- una proposta di direttiva relativa all'efficienza energetica nelle utilizzazioni finali e ai servizi energetici (COM(2003)739) (v. infra).
La proposta, che segue la procedura di codecisione, è stata approvata in prima lettura dal Parlamento europeo il 6 giugno 2005 ed è in attesa della prima lettura del Consiglio;
- una proposta di direttiva relativa alle misure volte a garantire la sicurezza degli approvvigionamenti di elettricità e gli investimenti nelle infrastrutture(COM(2003)740).
La proposta, che segue la procedura di codecisione, dovrebbe essere esaminata in prima lettura dal Parlamento europeo nella plenaria del 4 luglio 2005. Il 27 giugno 2005 il Consiglio dovrebbe raggiungere l'accordo politico sulla posizione comune;
- una proposta di regolamento relativo alle condizioni di accesso alle reti di trasporto di gas (COM(2003)741).
La proposta è stata esaminata in prima lettura dal Parlamento europeo il 20 aprile 2004, nell’ambito della procedura di codecisione. Il 12 novembre 2004 il Consiglio ha adottato la posizione comune, che è stata esaminata in seconda lettura dal Parlamento europeo l’8 marzo 2005. La proposta dovrebbe essere esaminata in seconda lettura dal Consiglio presumibilmente il 27 giugno 2005;
- una proposta di decisione relativa agli orientamenti delle reti transeuropee dell'energia (COM(2003)742).
Sulla proposta, che segue la procedura di codecisione, il 10 giugno 2004 il Consiglio ha adottato un orientamento generale, in vista della posizione comune in prima lettura. IlConsiglio, in particolare, ha deciso di eliminare dal testo della proposta gli articoli relativi all'attribuzione della dichiarazione di interesse europeo ad alcuni progetti particolarmente rilevanti per l'integrazione delle reti e alla nomina di coordinatori europei per progetti prioritari specifici. La proposta è stata esaminata dal Parlamento europeo in prima lettura il 7 giugno 2005.
Il 14 luglio 2004 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento volta a modificare il regolamento (CE) n. 2236/95 che stabilisce le regole generali per la concessione di un contributo finanziario comunitario nel settore delle reti transeuropee dei trasporti e dell'energia(COM(2004)475). Questa proposta è stata presentata nell'ambito delle misure volte a dare attuazione alle prossime prospettive finanziarie[58] per il periodo 2007-2013.
Le principali modifiche proposte riguardano:
- la selettività dei progettial fine di concentrare le risorse finanziarie su un numero limitato di progetti, in particolare sui progetti prioritari individuati nella decisione n. 1229/2003/CE. II sostegno riguarderà essenzialmente la fase di sviluppo dei progetti (studi di fattibilità, tecnici e di impatto ambientale); i contributi saranno erogati solo eccezionalmente nella fase di costruzione, in particolare qualora si tratti di progetti a forte valore aggiunto come nel caso dei progetti transfrontalieri o di quelli relativi alle interconnessioni con i paesi limitrofi. Gli stanziamenti proposti per il periodo 2007-2013 dovrebbero ammontare a circa 340 milioni di euro;
- la semplificazione delle proceduremediante il passaggio dalla codecisione alla comitatologia[59];
- la subordinazione della concessione degli aiutial rispetto dei principi della politica comune dell'energia, in particolare per quanto riguarda la continuità delle forniture e l'interoperabilità delle reti;
- la creazione di uno strumento di garanzia che copra i rischi specifici legati alla fase di post-costruzione dei progetti prioritari al fine di attirare gli investimenti privati.
L’esame della proposta, che segue la procedura di codecisione, sarà avviato dalla Commissione per i bilanci del Parlamento europeo il 13 luglio 2005. L’esame in plenaria dovrebbe svolgersi in occasione della sessione del 5 settembre 2005.
La sicurezza dell’approvvigionamento energetico e la realizzazione delle infrastrutture energetiche e delle reti transeuropee nel settore dell’energia rientrano fra le priorità del programma operativo del Consiglio per il 2005.
Nel programma di lavoro per il 2005la Commissione ha preannunciato la presentazione di una comunicazione relativa all’attuazione del libro verde (COM(2000)769) in materia di sicurezza degli approvvigionamenti energetici. La Commissione, inoltre, dovrebbe presentare una proposta legislativa riguardante le condizioni di accesso agli impianti sotterranei di stoccaggio di gas nel mercato interno dell’energia.
Efficienza energetica
Il 10 dicembre 2003 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva relativa all'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici(COM(2003)739).
La proposta, che è intesa a configurare l'efficienza energetica quale parte integrante del mercato interno dell'energia, fissa, in particolare, l’obbligo per gli Stati membri di raggiungere obiettivi di risparmio energetico pari all'1% annuo. Essa prevede anche un obiettivo di risparmio energetico da realizzare nel settore pubblico pari all'1,5% cumulativo annuo da raggiungere mediante la realizzazione di servizi energetici e di programmi per l'efficienza energetica.
Il Consiglio trasporti del 29 novembre 2004 ha svolto un dibattito orientativo durante il quale le delegazioni, pur sostenendo l’obiettivo della proposta, importante sia per l’economia sia per l’ambiente, hanno sottolineato la necessità di un’impostazione flessibile che rispecchi le peculiarità nazionali e assicuri la coerenza con il quadro legislativo esistente. Il Parlamento europeo ha esaminato la proposta in prima lettura il 6 giugno 2005, nell’ambito della procedura di codecisione. La proposta è in attesa della prima lettura del Consiglio.
Come preannunciato nel programma di lavoro per il 2005, la Commissione ha presentato, il 10 giugno 2005, un Libro verde sull'efficienza energetica (COM(2005)265).
L'obiettivo del documento è quello di fare in modo che il risparmio energetico diventi una delle massime priorità delle politiche comunitarie ed individua a tal fine una serie di misure intese a consentire un risparmio energetico del 20% entro il 2020 grazie ad un cambiamento del comportamento dei consumatori e delle tecnologie ad alta efficienza energetica. Secondo la Commissione, l'attuazione di tali misure permetterebbe di ridurre la bolletta energetica dell'UE di 60 miliardi di euro, contribuendo al contempo al rispetto degli impegni di Kyoto. Con il Libro verde la Commissione avvia una consultazione pubblica che si concluderà alla fine del 2005. Nel 2006, alla luce dei risultati della consultazione, la Commissione elaborerà un piano di azione al fine di individuare le azioni specifiche da intraprendere a livello europeo e nazionale.
La sostenibilità energetica figura fra le priorità del programma operativo del Consiglio per il 2005, in particolare per quanto riguarda gli aspetti relativi alla promozione dell’efficienza energetica. Il Consiglio, inoltre, intende avviare i lavori sulla proposta di direttiva relativa alla promozione degli autoveicoli a basso consumo energeticoe a basso livello di emissioni e sulla proposta di direttiva relativa alle energie rinnovabili che dovrebbero essere presentate dalla Commissione. Il Consiglio, infine, intende prestare particolare attenzione all’integrazione delle considerazioni ambientali nel settore dell’energia in occasione della revisione intermedia[60] della strategia dell’Unione europea per lo sviluppo sostenibile.
Procedure di contenzioso
Il 13 dicembre 2004 la Commissione ha inviato una lettera di messa in mora all’Italia per non aver comunicato le misure di recepimento della direttiva 2003/66/CE relativa all'etichettatura indicante il consumo di energia dei frigoriferi elettrodomestici, dei congelatori elettrodomestici e delle relative combinazioni.
Il termine ultimo di recepimento era il 30 giugno 2004.
Articolo 8, commi 8 e 9
(Segreteria tecnica per le azioni in
materia di inquinamento marino accidentale e sicurezza ambientale della
navigazione)
8. Al fine di assicurare al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio la partecipazione costante ed efficiente a livello nazionale ed internazionale in materia di lotta all'inquinamento marino accidentale la Segreteria tecnica per la sicurezza ambientale della navigazione e del trasporto marittimi, di cui all'articolo 14, comma 2, della legge 23 marzo 2001, n. 93, è soppressa e sostituita, a decorrere dal 1o gennaio 2006, dalla Segreteria tecnica per le azioni nazionali ed internazionali in materia di inquinamento marino accidentale e per la sicurezza ambientale della navigazione. La Segreteria dura in carica quattro anni e i membri possono essere rinnovati.
9. La Segreteria tecnica opera presso la competente Direzione generale per la protezione della natura del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio ed è composta da un numero massimo di dieci esperti in materia di lotta all'inquinamento marino e sicurezza della navigazione, nominati con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio. La Segreteria fornisce il supporto tecnico alle politiche del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio per quanto concerne la fissazione degli standard normativi, di metodi e tecnologie di sviluppo sostenibile e per la partecipazione del Ministero alle varie commissioni, gruppi di studio e di lavoro istituiti in esecuzione ovvero in preparazione della stipula di accordi internazionali riguardanti le medesime materie. Fornisce, altresì, al competente Direttore generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio elementi tecnici in merito alle attività di sorveglianza, monitoraggio e disinquinamento del mare territoriale.
I commi 8 e 9 provvedono a riorganizzare la Segreteria tecnica per la sicurezza ambientale della navigazione e del trasporto marittimi presso il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio.
Si ricorda preliminarmente che i commi riproducono sostanzialmente le disposizioni contenute nell’originario disegno di legge finanziaria per il 2005, A.C. 5310, art. 18, commi 1 e 2, successivamente stralciate dal Presidente della Camera e confluite nell’AC 5310-quater “Disposizioni in campo ambientale”.
Con il comma 8 viene disposta la soppressione della Segreteria tecnica per la sicurezza ambientale della navigazione e del trasporto marittimo istituita con l’art. 14 della legge 23 marzo 2001, n. 93, e l’istituzione di una Segreteria tecnica per le azioni nazionali ed internazionali in materia di inquinamento marino accidentale e per la sicurezza ambientale della navigazione, al fine di garantire una partecipazione continua e fattiva, sia a livello nazionale che internazionale, del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio in tema di lotta all’inquinamento marino accidentale.
Il nuovo organo dovrà sostituire il precedente a partire dal 1° gennaio 2006, avrà una durata di quattro anni e la nomina dei suoi componenti potrà essere rinnovata.
Si ricorda che l’art. 14 della legge 23 marzo 2001, n. 93 recante ”Disposizioni in campo ambientale”, aveva previsto, al fine di realizzare il supporto tecnico al Ministero dell'ambiente in materia di prevenzione e mitigazione degli impatti prodotti dalla navigazione e dal trasporto marittimi sugli ecosistemi marini e costieri, l’istituzione, dal 1º luglio 2001, di una Segreteria tecnica per la sicurezza ambientale della navigazione e del trasporto marittimi presso il competente Servizio difesa del mare, composta da dieci esperti nominati con decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, che ne stabilisce il funzionamento. La segreteria tecnica fornisce supporto alle politiche del Ministero dell'ambiente, nazionali ed internazionali, per standard normativi, tecnologie e per attuare pratiche ambientali e sostenibili in campo marittimo nel bacino mediterraneo. A tale fine era stata autorizzata la spesa di lire 450 milioni per l'anno 2001 e di lire 900 milioni a decorrere dall'anno 2002.
Il comma 9 definisce la collocazione operativa della nuova Segreteria all’interno del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio. La Direzione generale presso la quale collocare la nuova Segreteria è quella denominata “Protezione della natura”.
Si ricorda che, a seguito dell’emanazione del nuovo Regolamento di organizzazione (D.P.R. 17 giugno 2003, n. 261), alla Direzione generale per la protezione della natura, sono attribuite, tra l’altro - ai sensi dell’art. 2, comma 1 - competenze relative:
§ al monitoraggio dello stato dell'ambiente marino
§ alla promozione della sicurezza in mare con riferimento al rischio di incidenti marini;
§ alla pianificazione e coordinamento degli interventi in caso di inquinamento marino;
§ alle autorizzazioni agli scarichi in mare da nave o da piattaforma;
§ alla difesa e gestione integrata della fascia costiera marina.
In relazione alla composizione della nuova Segreteria, essa dovrà essere composta da dieci esperti, come la precedente, in materia di lotta all’inquinamento marino e sicurezza della navigazione, nominati dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio. Per la precedente Segreteria era invece previsto il concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e in relazione alle competenze dei suoi membri si faceva solo un generico riferimento a componenti “esperti”.
Si ricorda, al riguardo che il problema di una maggiore competenza dei componenti la Segreteria era stato sollevato nel corso di un dibattito parlamentare svoltosi presso il Senato della Repubblica[61] su due mozioni (1-00108 e 1-00117) sulla sicurezza ambientale dei trasporti marittimi, tra l’altro approvate dall’Assemblea, durante il quale era stata richiamata l’urgenza, in occasione del naufragio della vecchia petroliera monoscafo Prestige al largo delle coste della Galizia, dell'adozione di misure immediatamente efficaci per ridurre i forti rischi derivanti all'ecosistema dal traffico delle petroliere nel Mediterraneo. In tale contesto era stato sottolineato che “le strutture tecniche ministeriali che erano state previste risultano fortemente indebolite, da un lato per il trasferimento ad altri incarichi dei tecnici ministeriali impegnati su questo argomento nelle sedi comunitarie e internazionali (IMO[62]), e dall'altro per l'esiguità del personale della Segreteria tecnica per la sicurezza ambientale dei trasporti marittimi, che da più parti si rileva come non abbia spesso neppure le sufficienti competenze tecniche curriculari”. La mozione aveva impegnato il Governo anche “a verificare la professionalità tecnica degli organismi ministeriali preposti alla sicurezza ambientale dei trasporti marittimi, assicurando un adeguato assetto delle politiche di difesa del mare nell'ambito dell'organizzazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e rilanciando anche il ruolo dell'ICRAM in questa materia”[63]. Nella mozione 1-00117[64] si sottolineava come la Segreteria Tecnica per la sicurezza ambientale della navigazione e del trasporto marittimi fosse stata istituita con oltre un anno di ritardo e “in più con alcuni esperti che non sembrano possedere i requisiti richiesti”. Nel dispositivo della mozione si impegnava quindi il Governo “ad acquisire dalla Segreteria Tecnica per la sicurezza ambientale della navigazione e del trasporto marittimi una relazione aggiornata sulle attività istruttorie e conoscitive sin qui svolte, ove sia anche evidenziata la specifica caratura professionale di ciascuno dei componenti designati a farne parte”.
Il comma 9 definisce altresì le competenze attribuite alla Segreteria. Esse ricalcano, in parte, quelle attribuite alla precedente Segreteria, e consistono nel fornire:
§ supporto alle politiche del Ministero dell'ambiente, sia nazionali che internazionali, per la determinazione di standard normativi e tecnologie e per l’attuazione di pratiche ambientali e sostenibili in campo marittimo;
§ supporto tecnico al Ministro stesso nel caso di una sua partecipazione a varie commissioni, gruppi di studio e di lavoro istituiti in esecuzione o in preparazione della stipula di accordi internazionali relativi alle materie indicate.
§ supporto al Direttore generale della protezione della natura, presso la quale viene appunto incardinata, in relazione agli elementi tecnici sull’attività di sorveglianza, monitoraggio e disinquinamento del mare territoriale.
Si osserva che le disposizioni relative all’istituzione della nuova struttura ministeriale non prevedono oneri. Dovrebbe, pertanto, presumersi che il funzionamento di tale struttura sarà assicurato a valere sulle risorse attualmente destinate alla Segreteria tecnica per la sicurezza ambientale della navigazione e del trasporto marittimi.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Inquinamento marino
Il 5 marzo 2003 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni, anche di natura penale, per i reati di inquinamento (COM(2003)92).
La proposta riguarda specificamente gli scarichi delle navi ed è volta ad armonizzare l’applicazione delle norme internazionali sugli scarichi in mare a livello comunitario e a completare la normativa comunitaria esistente. Essa incorpora nel diritto comunitario le norme internazionali applicabili sugli scarichi per l’inquinamento causato dalle navi e regolamenta dettagliatamente le modalità per garantire l’osservanza di queste norme.
La proposta, che segue la procedura di codecisione, è stata esaminata in prima lettura dal Parlamento europeo il 13 gennaio 2004. In quella sede il Parlamento europeo ha adottato alcuni emendamentiche non sono stati recepiti nella posizione comune adottata dal Consiglio trasporti del 7 ottobre 2004.Al fine di evitarela procedura di conciliazione, il Parlamento europeo e il Consiglio hanno negoziato un testo di compromesso che è stato adottato in seconda lettura dal Parlamento europeo il 22 febbraio 2005 ed è in attesa della seconda lettura del Consiglio. Il compromesso prevede, in particolare, che le sanzioni siano proporzionate alla gravità dell’infrazione e che quelle più gravi siano considerate reati in conformità alle disposizioni di una futura decisione-quadro (vedi infra) volta a completare questa direttiva. La Commissione, entro la fine del 2006, dovrà predisporre uno studio di fattibilità riguardo alla creazione di un servizio di guardacoste europeo, presentando eventualmente una proposta a tal riguardo. Il compromesso prevede, infine, che l‘Agenzia europea per la sicurezza marittima[65] cooperi con gli Stati membri per l’attuazione di questa direttiva e per la realizzazione di altre azioni quali l’individuazione degli scarichi mediante il ricorso al monitoraggio e alla sorveglianza satellitare.
La lotta contro l’inquinamento marino rientra fra le priorità della Presidenza lussemburghese che intende adoperarsi al fine di raggiungere un accordo con il Parlamento europeo sulla suddetta proposta.
Il 2 maggio 2003 la Commissione ha presentato una proposta di decisione quadro intesa a rafforzare la cornice penale per la repressione dell'inquinamento provocato dalle navi (COM(2003)227), completando la proposta di direttiva relativa all’inquinamento provocato dalle navi precedentemente descritta.
La proposta mira a rafforzare le misure di diritto penale volte a ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri applicabili ai reati di inquinamento provocato dalle navi, nonché a facilitare e ad incoraggiare la cooperazione tra gli Stati membri ai fini della repressione dei reati in questione.
Sulla proposta, che segue la procedura di consultazione, il Parlamento europeo ha espresso il proprio parere il 13 gennaio 2004. Il Consiglio sta esaminando la proposta, sulla base di un testo di compromesso della Presidenza olandese. Si segnala che la proposta di decisione-quadro, avendo carattere complementare rispetto alla proposta di direttiva relativa all’inquinamento provocato dalle navi precedentemente descritta, non potrà essere adottata prima dell’adozione della medesima direttiva.
Il 2 marzo 2005 la Commissione ha presentato una comunicazione riguardante l’elaborazione di una futura politica marittima dell’Unione europea. L’intento della Commissione è quello di elaborare un approccio integrato volto ad ottimizzare le sinergie fra le varie attività legate al mare, aumentandone il potenziale economico e proteggendo l’ambiente. La Commissione intende avviare, entro la metà del 2006, una consultazione pubblica i cui risultati saranno presi in considerazione per la preparazione delle proposte necessarie alla realizzazione della politica marittima comune. Al fine di preparare i documenti su cui si dovrà svolgere la consultazione, la Commissione ha deciso di istituire una task force presieduta dal commissario Borg, responsabile per la pesca e gli affari marittimi, e alla quale parteciperanno anche i commissari responsabili per le imprese e l’industria, per i trasporti, per l’ambiente, per la politica regionale, per la ricerca e per l’energia. Non è esclusa la partecipazione di altri commissari qualora vengano trattate questioni specifiche inerenti ad altri settori di competenza.
Il 25 maggio 2005 la Commissione ha proposto di stanziare 154 milioni di euro per il finanziamento pluriennale delle funzioni di lotta all’inquinamento dell’Agenzia europea per la sicurezza marittima. Il contributo finanziario, valido per un periodo uguale a quello delle nuove prospettive finanziarie (2007-2013), sarà suscettibile di essere rivisto in seguito alle conclusioni del Consiglio europeo del 16-17 giugno che fisserà i massimali per le diverse rubriche delle nuove prospettive finanziarie.
Nel programma di lavoro per il 2005la Commissione ha preannunciato la presentazione, nel mese di giugno 2005, del terzo pacchetto sulla sicurezza marittima (Erika III) che dovrebbe comprendere, fra l’altro:
§ una proposta di direttiva che modifica la direttiva 95/21/CE relativa all'attuazione di norme internazionali per la sicurezza delle navi, la prevenzione dell'inquinamento e le condizioni di vita e di lavoro a bordo, per le navi che approdano nei porti comunitari e che navigano nelle acque sotto la giurisdizione degli Stati Membri (controllo dello Stato di approdo) nonché una proposta di regolamento nel settore dell’assicurazione e della responsabilità civile per l’inquinamento provocato dalle navi;
§ una proposta di regolamento sull’ispezione, la visita e la certificazione delle navi al fine di conformarsi alle convenzioni internazionali in materia di sicurezza marittima e di prevenzione dell’inquinamento marino.
Procedure di contenzioso
Il 7 luglio 2004 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato per non aver comunicato le misure di recepimento della direttiva 2002/84/CEche modifica le direttive in materia di sicurezza marittima e di prevenzione dell'inquinamento provocato dalle navi. Il termine ultimo di recepimento era il 23 novembre 2003.
La direttiva figura nell’allegato B alla legge 31 ottobre 2003, n. 306 (legge comunitaria per il 2003).
10. Nei limiti dello stanziamento di cui all'articolo 16, comma 6, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabiliti i compensi per i membri dell'Osservatorio nazionale sulle fonti rinnovabili e l'efficienza negli usi finali dell'energia.
Il comma 10 riguarda il funzionamento dell’Osservatorio nazionale sulle fonti rinnovabili e l’efficienza negli usi finali dell’energia.
Si fa presente, innanzitutto, che il comma riproduce le disposizioni contenute nell’originario disegno di legge finanziaria per il 2005, AC 5310, art. 18, comma 3, successivamente stralciate dal Presidente della Camera e confluite nell’AC 5310-quater “Disposizioni in campo ambientale”.
Si ricorda, inoltre, che la nomina dei componenti dell’Osservatorio, nonché l’organizzazione della sua attività, sono contenute nel decreto del Ministero delle attività produttive e dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e per gli affari regionali, del 16 dicembre 2004, che attua l’art. 16 del decreto legislativo 29 dicembre 2003 n. 387[66].
Il comma in esame prevede che si fissino, con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze ed entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, i compensi spettanti ai suoi componenti. Viene indicato quale limite di spesa quello stabilito dal comma 6 del citato art. 16 che aveva disposto un limite massimo di spese di funzionamento pari a 750.000 euro all'anno, aggiornato annualmente in relazione al tasso di inflazione.
Si ricorda che ai sensi del citato art. 16 del decreto legislativo n. 387 del 2003, l'Osservatorio nazionale sulle fonti rinnovabili e l'efficienza negli usi finali dell'energia svolge attività di monitoraggio e consultazione sulle fonti rinnovabili e sull'efficienza negli usi finali dell'energia, è composto da non più di venti esperti della materia di comprovata esperienza, che durano in carica per cinque anni dalla data di emanazione del decreto di nomina dei componenti (del Ministro delle attività produttive e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e degli Affari regionali, sentita la Conferenza unificata, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo).
Il comma 6 dello stesso art. 16 dispone che “le spese per il funzionamento dell'Osservatorio, trovano copertura, nel limite massimo di 750.000 euro all'anno, aggiornato annualmente in relazione al tasso di inflazione, sulle tariffe per il trasporto dell'energia elettrica, secondo modalità stabilite dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas, fatta salva la remunerazione del capitale riconosciuta al Gestore della rete dalla regolazione tariffaria in vigore, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo.
Si sottolinea, infine, che il comma 3 dell’art. 16 del decreto legislativo n. 387 del 2003 prevede che sia il Ministro delle attività produttive e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e per gli Affari regionali, sentita la Conferenza unificata, a emanare il decreto di nomina dei membri dell'Osservatorio. Il decreto recentemente emanato del 16 dicembre 2004 ha, infatti, rispettato il dettato normativo.
Pertanto, sembrerebbe opportuno, ai fini del coordinamento con la norma appena citata, valutare l’ipotesi di coinvolgere nella procedura per l’’emanazione del decreto con cui vengono stabiliti i compensi dei suoi membri anche il Ministero delle attività produttive e il Ministero per gli affari regionali.
Tra l’altro anche l’art. 7, comma 3, del decreto di nomina dei componenti del 16 dicembre 2004, precisa che dovrà essere un successivo decreto del Ministro delle attività produttive e del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, a determinare l’ammontare delle spese correnti necessarie per l’espletamento delle proprie attività.
Articolo 8, comma 11
(Stipula di convenzioni per le attività
di difesa del suolo e dissesto idrogeologico)
11. Al fine di ottimizzare le risorse finanziarie destinate allo svolgimento delle attività in materia di difesa del suolo previste dal testo unico di cui al regio decreto 25 luglio 1904, n. 523, dal decreto legislativo 12 aprile 1948, n. 1010, dalla legge 5 marzo 1963, n. 366, dal decreto-legge 11 giugno 1998, n. 180, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 1998, n. 267, e dalle leggi 18 maggio 1989, n. 183, e 28 dicembre 2001, n. 448, e di uniformare le relative procedure di spesa, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e dell'economia e delle finanze, con uno o più decreti da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, adotta apposite procedure per l'utilizzo delle predette risorse finanziarie.
Il comma 11 prevede che al fine di ottimizzare le risorse finanziarie destinate allo svolgimento delle attività previste dal regio decreto 25 luglio 1904, n. 523, dal decreto legislativo 12 aprile 1948, n. 1010, dalla legge 5 marzo 1963, n. 366, dal decreto-legge 11 giugno 1998, n. 180, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 1998, n. 267, e dalle leggi 18 maggio 1989, n. 183, e 28 dicembre 2001, n. 448 e di uniformare le relative procedure di spesa, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e dell'economia e delle finanze, con uno o più decreti da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, adotta apposite procedure per l'utilizzo delle predette risorse finanziarie.
Quanto alle risorse complessivamente assegnate agli interventi di difesa del suolo, può essere utile richiamare i dati recentemente comunicati al Parlamento in occasione della trasmissione della Relazione per la ripartizione del nel Fondo per gli investimenti nel settore della difesa del suolo e tutela ambientale (relativamente all’esercizio finanziario 2004), iscrittenell’ambito dello stato di previsione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio. Tale fondo è stato istituito ai sensi dell’articolo 46 della legge finanziaria 2002 (legge n. 448/2001), che ha disposto l’istituzione, nello stato di previsione della spesa di ciascun Ministero, di Fondi unici per gli investimenti per ogni comparto omogeneo di spesa. Nel fondo confluiscono le risorse relative ad autorizzazioni di spesa per nuovi investimenti, nonché gli stanziamenti disposti in bilancio relativamente ad investimenti già autorizzati.
Per quanto riguarda il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, il Fondo unico degli investimenti è iscritto nel centro di responsabilità n. 1 “Gabinetto e uffici di diretta collaborazione all’opera del Ministro”, nell’U.P.B. 1.2.3.6, che si compone di un unico capitolo (7090) la cui dotazione – per il 2004 - è di 578.995.772, costituita dagli stanziamenti in bilancio relativi alle autorizzazioni di spesa in esso confluite. Nella Relazione si specifica che una quota pari al 38,35 dell’intero Fondo (222,04 milioni di euro totali) è attribuita agli interventi di difesa del suolo.
La disposizione si riferisce quindi:
§ al R.D. 25 luglio 1904, n. 523, Testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie. Il TU del 1904ha recato la classificazione delle opere intorno alle acque pubbliche, le norme per la costituzione e l’organizzazione dei consorzi, le disposizioni tecniche sugli argini, gli scoli artificiali e le altre opere che attengono alle acque pubbliche, la normativa sulla polizia sulle acque pubbliche.In particolare spetta allo Stato (oltre che l’esecuzione) il mantenimento delle opere idrauliche della prima[67] e della seconda categoria[68];
§ al decreto legislativo 12 aprile 1948 n. 1010, Autorizzazione al Ministero dei lavori pubblici a provvedere, a sua cura e spese, ai lavori di carattere urgente ed inderogabile dipendenti da necessità di pubblico interesse determinate da eventi calamitosi, che – nell’ordinamento vigente - disciplina il regime derogatorio per i lavori di carattere urgente ed inderogabile dipendenti da necessità di pubblico interesse, determinate da eventi calamitosi, quali scosse telluriche, eruzioni vulcaniche, alluvioni, frane, nubifragi, mareggiate, valanghe ed altre calamità naturali;
§ alla legge 1° gennaio 1963, n. 366, Nuove norme relative alle lagune di Venezia e di Marano-Grado, che ha introdotto norme speciali per la laguna di Venezia (bacino demaniale marittimo di acqua salsa che si estende dalla foce del Sile alla foce del Brenta) e la laguna di Marano-Grado (bacino demaniale marittimo d'acqua salsa che si estende dalla foce del Tagliamento alla foce del canale Primero) - relativamente alle opere, agli scarichi, al trasporto di rifiuti, alla manutenzione dei canali e degli argini, alla concessione dei beni demaniali - ha disciplinato le funzioni del Magistrato alle acque, ha definito un regime sanzionatorio speciale;
§ alla legge 18 maggio 1989, n. 183, Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo, che ha riformato e unificato il sistema amministrativo degli interventi in materia di difesa del suolo, improntandolo al principio della pianificazione. La legge ha, in primo luogo, definito il quadro delle competenze in materia, introducendo il criterio (confermato dal successivo decreto legislativo n. 112 del 1998, artt. 87-89) della prevalenza dell’ambito territoriale naturale su quello amministrativo in tutte le competenze di tipo pianificatorio in materia di dissesto idrogeologico. Com’è noto, la legge n. 183 del 1989 ha previsto la ripartizione del territorio in bacini idrografici di rilievo nazionale, interregionale e regionale. Lo strumento della riforma è quindi individuato nel piano di bacino, anch’esso di rilievo nazionale, interregionale e regionale, che ha valore di piano territoriale di settore contenente i criteri, gli indirizzi, le norme e gli interventi finalizzati alla conservazione e gestione delle risorse del bacino idrografico;
§ alla legge 3 agosto 1998, n. 267, Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 11 giugno 1998, n. 180, recante misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico ed a favore delle zone colpite da disastri franosi nella regione Campania. Si tratta del cd “decreto Sarno”, intervenuto a seguito dei disastri idrogeologici verificatisi in Campania il 5 e 6 maggio 1998, che ha introdotto disposizioni per l’armonizzazione della normativa ordinaria sulla pianificazione (legge n. 183) con la individuazione e selezione degli interventi di maggiore urgenza (misure urgenti per le aree a rischio);
§ alla legge 28 dicembre 2001, n. 448, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002). Il riferimento è all’articolo 9, comma 6 della legge, che ha disposto che - ai fini dell'adozione urgente di misure di tutela ambientale e di difesa del territorio e del suolo dai rischi di dissesto geologico possono essere adottate misure di manutenzione e salvaguardia dei boschi con applicazione dell'incentivo previsto dall'articolo 1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, (si tratta delle agevolazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie, cd 36%). Inoltre, nella stessa legge, il comma 51 dell’art. 52 ha autorizzatoil Dipartimento della protezione civile a provvedere con contributi quindicennali ai mutui che la regione Piemonte stipula per il completamento degli interventi urgenti per le opere pubbliche e la loro messa in sicurezza a seguito degli eventi alluvionali verificatisi negli anni 1994, 2000 e 2002 (autorizzando a tal fine due limiti di impegno di 10 milioni di euro a decorrere dall'anno 2002 e di 10 milioni di euro a decorrere dall'anno 2003);
Si osserva che, fra le norme citate, non compare la legge 11 dicembre 2000, n. 365, che ha convertito il decreto legge n. 279 del 2000, Interventi urgenti per le aree a rischio idrogeologico molto elevato e in materia di protezione civile, nonché a favore di zone colpite da calamità naturali, che rappresenta invece un atto normativo che apparirebbe opportuno considerare in un quadro della normativa vigente in materia di interventi per il superamento delle situazioni di dissesto idrogeologico, in quanto l’art. 2 ha definito scopi e modalità di un’attività straordinaria di controllo dell’assetto idrogeologico del territorio, cui concorrono una pluralità di soggetti.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
La Commissione ha presentato, il 12 luglio 2004, una comunicazione sulla gestione dei rischi legati alle inondazioni (COM(2004)472), nella quale propone che gli Stati membri e la Commissione lavorino insieme per sviluppare ed attuare un programma d’azione coordinato per la prevenzione, la protezione e il contenimento delle inondazioni.
La Commissione propone che il programma comprenda le seguenti linee principali:
§ miglioramento della cooperazione e della coordinazione mediante l’elaborazione e l’attuazione di piani di gestione dei rischi per ciascun bacino idrografico e zona costiera in cui la salute umana, l’ambiente, le attività economiche o la qualità della vita possano essere danneggiate dalle inondazioni;
§ elaborazione e sfruttamento della mappatura delle zone di rischio come strumento per la pianificazione e la comunicazione;
§ miglioramento dello scambio di informazioni, esperienze, buone pratiche;
§ creazione di collegamenti più solidi tra la comunità di ricerca e le autorità competenti in materia di gestione delle acque e protezione dalle inondazioni;
§ miglioramento del coordinamento tra le pertinenti politiche comunitarie;
§ maggiore sensibilizzazione al rischio di inondazioni con più ampia partecipazione delle parti interessate e comunicazione più efficace.
Il 14 ottobre 2004 il Consiglio ambiente ha adottato conclusioni sulla comunicazione nelle quali invita la Commissione a presentare un'adeguata proposta per un programma d’azione europeo sulla gestione dei rischi di inondazioni, preferibilmente entro il primo semestre del 2005.
Il 23 luglio 2004 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva relativa all’istituzione di un’infrastruttura per l’informazione territoriale nella Comunità (INSPIRE) COM(2004)516). Il programma operativo del Consiglio ed il programma di lavoro della Commissione per il 2005 richiamano l’attenzione su tale proposta di direttiva.
Obiettivo della proposta è creare un quadro giuridico per la realizzazione e l’attivazione di un’infrastruttura per l’informazione territoriale in Europa, al fine di formulare, attuare, monitorare e valutare le politiche comunitarie a tutti i livelli e di fornire informazioni al cittadino. INSPIRE è incentrata in particolare sulla politica ambientale, ma potrà essere estesa a settori quali l’agricoltura, i trasporti e l’energia.
La proposta di direttiva, che segue la procedura di codecisione, è stata esaminata in prima lettura dal Parlamento europeo il 7 giugno 2005. Il 24 giugno il Consiglio ambiente ha raggiunto l’accordo politico sulla proposta di direttiva, in vista della posizione comune.
La Commissione, nel suo programma di lavoro per il 2005, annuncia la presentazione, per novembre 2005, delle seguenti iniziative:
§ una proposta di direttiva sulla gestione dei rischi di inondazioni e programma d’azione per la gestione dei rischi di inondazioni;
§ una proposta di decisione relativa all’istituzione di un programma di protezione civile in materia di prevenzione e mitigazione, di preparazione e di risposta ai disastri su terra e in mare;
§ una strategia tematica sulla protezione del suolo[69].
Il programma operativo del Consiglio considera prioritaria la discussione sulle strategie tematiche[70] che la Commissione intende presentare, tra le quali quella relativa alla protezione del suolo.
12. All'articolo 144, comma 17, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, le parole da: «, attraverso il finanziamento» fino alla fine del comma, sono sostituite dalle seguenti: «. La ripartizione dei predetti limiti di impegno è disposta con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. L'utilizzo di tali risorse avviene mediante accordi di programma quadro per la tutela delle acque e la gestione delle risorse idriche sottoscritti nell'ambito delle intese istituzionali di programma di cui alla legge 23 dicembre 1996, n. 662. A tale fine il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio concorre con contributi quindicennali al finanziamento degli interventi contenuti nei predetti accordi di programma quadro e realizzati da soggetti privati attuatori».
13. Per l'utilizzo dei limiti d'impegno quindicennali di cui all'articolo 4, comma 176, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, in materia di risorse idriche, iscritti a decorrere dall'anno 2005 nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, sono applicate le procedure di cui all'articolo 144, comma 17, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, come modificato dal comma 12.
I commi 12 e 13 definiscono una nuova procedura per l’utilizzo di limiti d’impegno già stanziati da precedenti leggi in materia di risorse idriche[71].
In particolare, il comma 12 reca una modifica dell’art. 144, comma 17, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (finanziaria 2001), che ha autorizzato limiti di impegno quindicennali di 20 miliardi di lire (10,329 milioni di euro) a decorrere dal 2002 e di 15 miliardi di lire (7,747 milioni di euro) a decorrere dal 2003, destinati all’avvio della gestione del sistema idrico integrato, di cui alla legge n. 36 del 1994, “Disposizioni in materia di risorse idriche",attraverso il finanziamento di interventi diretti all’ottimizzazione dell’uso idropotabile di invasi artificiali e di reti.
Il limite di impegno decorrente dal 2002 è peraltro stato ridotto di 2,5 milioni di euro, ai sensi dell’articolo 13, comma 4-octies, del D.L. n. 138/2002, venendo a determinarsi, quindi, in 7,829 milioni di euro.
La novella introdotta dal comma in esame prevede:
a) che la ripartizione dei limiti di impegno sia disposta con decreto interministeriale (Ministro dell’ambiente di concerto con il Ministro dell’economia e finanze), previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni;
b) che l’utilizzo delle risorse avvenga attraverso accordi di programma quadro per la tutela delle acque e la gestione delle risorse idriche, sottoscritti nell’ambito delle intese istituzionali di programma (ex legge n. 662/1996, art. 2, comma 203).
L’art. 144, comma 17, della legge n. 388/2000, nel testo vigente prevede, invece, il che finanziamento sia riferito a progetti compresi nel programma e nel piano finanziario di cui all'articolo 11, comma 3, della legge n. 36 del 1994[72], approvati dal soggetto competente per l'ambito territoriale ottimale, per i quali il soggetto gestore si impegni ad anticipare almeno il 30% dell'investimento necessario. Le richieste di finanziamento sono predisposte dalle regioni interessate ed indicano i benefici prodotti sulla dinamica tariffaria contemplata nel piano dell'ambito territoriale ottimale.
Il finanziamento delle opere è approvato con decreto del Ministero dell’ambiente, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e sentita l'Unità tecnica-finanza di progetto presso il Ministero dell’Economia (di cui all'articolo 7 della legge 17 maggio 1999, n. 144).
L’ultimo periodo del comma 13 precisa che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio concorre con contributi quindicennali al finanziamento degli interventi contenuti nei predetti accordi di programma quadro e realizzati da soggetti privati attuatori.
La disposizione sembra implicare che l’utilizzo dei fondi destinati all’avvio della gestione del servizio idrico integrato (i limiti di impegno quindicennali di 20 miliardi di lire autorizzati a decorrere dal 2002 e di 15 miliardi di lire a decorrere dal 2003) abbia luogo nella forma di contributi pluriennali, in conformità con quanto disposto in via generale dall’articolo 4, comma 177, della legge n. 350/2003 (legge finanziaria per il 2004).
Il citato comma 177 ha introdotto un’importante innovazione nella disciplina dei limiti di impegno, stabilendo che i limiti di impegno iscritti nel bilancio dello Stato sulla base di specifiche disposizioni legislative devono intendersi:
a) quale contributo pluriennale dello Stato per la realizzazione di investimenti di forniture di interesse nazionale e di azioni mirate a favorire il trasporto delle merci con modalità alternative, includendo nel costo degli stessi anche gli oneri derivanti dagli eventuali finanziamenti necessari;
b) quale concorso dello Stato al pagamento di una quota degli oneri derivanti dai mutui o da altre operazioni finanziarie che i soggetti interessati sono autorizzati ad effettuare per la realizzazione di investimenti, nel caso in cui il soggetto beneficiario non sia compreso nel settore delle amministrazioni pubbliche, come definito sulla base delle regole comunitarie di contabilità nazionale.
Il concorso parziale al finanziamento degli oneri derivanti da mutui o prestiti, pertanto, si applica solo ai casi in cui il beneficiario del finanziamento sia un soggetto che non appartiene al settore delle amministrazioni pubbliche. La determinazione della quota di concorso è demandata ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare di concerto con il Ministro competente.
In relazione alle finalità della disposizione in esame, possono risultare rilevanti sia il profilo relativo alle modalità di impiego dei limiti di impegno mediante accensione di mutui, con conseguente incremento del debito pubblico, sia quello relativo al mantenimento in bilancio dei limiti di impegno.
Nel caso specifico, infatti, i limiti di impegno previsti dalle disposizioni novellate dal comma 12 in esame erano destinati ad attivare mutui per finanziare interventi di avvio del sistema idrico integrato.
Al riguardo occorre considerare, che, nel caso in cui il mutuo sia interamente finanziato dallo Stato o da una amministrazione pubblica, in base alle regole del sistema europeo di contabilità nazionale SEC 95, l’importo del mutuo va ad incrementare lo stock del debito delle amministrazioni pubbliche.
L’utilizzo di quote di limiti di impegno come contributi pluriennali potrebbe pertanto essere riconducibile alla finalità di non determinare un aumento dell’entità complessiva del debito delle amministrazioni pubbliche.
Riguardo a questo profilo, occorre tener conto, inoltre, che nel caso delle regioni e degli enti locali l’eventuale utilizzo dei contributi ad essi concessi per accendere mutui è, in ogni caso, sottoposto ai limiti derivanti dalla previsione di cui all’articolo 119, sesto comma, della Costituzione in base alla quale le regioni e gli enti locali possono ricorrere all’indebitamento soltanto per finanziare spese di investimento, e dalla relativa disciplina di attuazione[73].
In relazione al mantenimento in bilancio dei limiti di impegno, si segnala che, ai sensi della disciplina contabile prevista dall’articolo 54, comma 16, della legge n. 449/1997, come modificato dall’articolo 1, comma 7, del D.L. n. 194/2002 (legge n. 246/2002), le annualità non utilizzate dei limiti di impegno vengono eliminate dal conto residui e reiscritte in conto competenza alla fine del periodo di ammortamento, purché l’impegno formale avvenga entro l’esercizio finanziario successivo a quello della prima iscrizione in bilancio. Pertanto ciascun limite di impegno può essere mantenuto in bilancio, prima della sua effettiva attivazione, per un solo esercizio successivo a quello di prima iscrizione (con conseguente slittamento di un anno del periodo cui si riferisce).
Peraltro, il D.L. n. 269/2002, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326/2003, ha previsto, all’articolo 32, comma 49-bis, una disciplina transitoria relativamente alla conservazione in bilancio degli stanziamenti relativi a limiti di impegno iscritti per la prima volta negli esercizi finanziari 2002 e 2003. Per tali spese, ai fini della reiscrizione delle annualità non utilizzate nella competenza degli esercizi finanziari successivi a quello terminale, è richiesto che l’impegno formale venga assunto entro il secondo esercizio finanziario successivo alla prima iscrizione in bilancio.
I limiti di impegno considerati dal comma in esame, poiché sono stati iscritti negli esercizi 2002 e 2003, costituirebbero economie di spesa a conclusione del secondo esercizio successivo alla loro prima iscrizione in bilancio, se entro questo termine non ne risultasse avviato l’utilizzo.
Per quanto concerne la conservazione in bilancio dei limiti di impegno di cui al comma in esame, peraltro, si osserva che le somme relative risultano impegnate a partire dagli esercizi finanziari di prima iscrizione in bilancio (2002 e 2003) e iscritte in conto residui, a titolo di residui propri, nell’esercizio successivo.
Non sembra, peraltro, che i limiti di impegno siano stati ripartiti (dal momento che la disposizione in esame modifica le modalità di ripartizione), né, di conseguenza che siano stati accesi i mutui ai quali i medesimi limiti di impegno erano destinati (non risultano, infatti, essere state effettuate erogazioni).
Sarebbe pertanto opportuno un chiarimento del Governo in ordine alle ragioni per cui queste somme risultano impegnate.
Si osserva inoltre che non è chiara la portata della disposizione contenuta nell’ultimo periodo, con cui si prevede che il Ministero dell’ambiente concorra con contributi quindicennali al finanziamento degli interventi inseriti negli accordi di programma quadro. Non viene infatti specificato se la disposizione si riferisca a ulteriori contributi rispetto a quelli finanziati a valere sui limiti di impegno già autorizzati o invece sia volta a indicare le modalità di utilizzo di tali limiti di impegno.
Il comma 13 estende la disciplina introdotta dal precedente comma 12 con riferimento ai limiti di impegno autorizzati dall’articolo 144, comma 17, della legge n. 388/2000, anche ai limiti d’impegno previsti dall’art. 4, comma 176 della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (finanziaria per il 2004), autorizzati a decorrere dall’anno 2005, in materia di risorse idriche.
Si tratta, anche in questo caso, di risorse assegnate alla legge n. 36 del 1994. In particolare, con quella disposizione è stato autorizzato un limite di impegno quindicennale con decorrenza 2005 (scadenza 2019) di 20 milioni di euro.
14. All'articolo 2, comma 1, del decreto-legge 20 settembre 1996, n. 486, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 novembre 1996, n. 582, le parole da: «, a seguito dell'approvazione» fino a: «delle aree» sono soppresse e dopo le parole: «gli interventi della bonifica» sono inserite le seguenti: «di interesse pubblico». Dopo il comma 1-ter del medesimo articolo 2 è inserito il seguente:
«1-ter.1. Per l'attuazione della bonifica di cui al comma 1 si applica la procedura di cui all'articolo 15 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'ambiente 25 ottobre 1999, n. 471, e al regolamento di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio 18 settembre 2001, n. 468».
Il comma 14 reca disposizioni in materia di bonifica del siti inquinati di interesse nazionale, nello specifico del sito di Sesto San Giovanni.
Si ricorda preliminarmente che il comma riproduce le disposizioni contenute nell’originario disegno di legge finanziaria per il 2005, AC 5310, art. 25, comma 10, successivamente stralciate dal Presidente della Camera e confluite nell’AC 5310-quater “Disposizioni in campo ambientale”.
Il comma in esame dispone, attraverso una novella all’art. 2, comma 1, del decreto legge 29 settembre 1996, n. 486[74], che l’approvazione del progetto di bonifica segua le attuali procedure previste dalla vigente normativa per i siti inquinati di interesse nazionale, e non sia più necessaria l’approvazione del progetto per stati di avanzamento da parte del CIPE[75].
Conseguentemente il comma in esame aggiunge all’art. 2 del decreto legge n. 486 del 1996, - comma 1-ter1 - con cui si dispone, per l’appunto, il ricorso alle procedure previste dalla normativa vigente in materia di bonifica di siti inquinati: l’art. 15 del D.M. 25 ottobre 1999, n. 471 e il D. M. 18 settembre 2001, n. 468.
Successivamente all’emanazione del decreto-legge n. 486 del 1986 è infatti intervenuta una disciplina generale in materia di bonifica dei siti inquinati dettata dall'art. 17 del decreto legislativo n. 22 del 1997 e dalla legge 9 dicembre 1998, n. 426. In particolare, la legge n. 426 ha individuato dei siti di interesse nazionale da bonificare. L’art. 114 della legge n. 388 del 2000 ha successivamente disposto l’inserimento del sito di Sesto San Giovanni tra quelli di interesse nazionale. , mentre la disciplina specifica relativa alla bonifica dei siti inquinati e quindi anche di quelli di interesse nazionale è contenuta D.M. 25 ottobre 1999 n. 471 e nel D. M. 18 settembre 2001, n. 468.
Con l’art. 17 del decreto legislativo n. 22 del 1997 vengono fissati gli obblighi dei soggetti titolari dei siti, le competenze in materia di approvazione e controllo degli interventi, le responsabilità patrimoniali, penali e amministrative per la bonifica di un sito nonché un compiuto sistema di garanzie di natura reale e patrimoniale che assistono le spese eventualmente sostenute dalla pubblica amministrazione nel caso di esercizio del potere sostitutivo nell’attuazione degli interventi. Nello stesso art. 17 viene previsto che, con successiva decretazione, siano disciplinati gli aspetti tecnici delle attività di bonifica definendo, in primo luogo, i limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli, delle acque superficiali e delle acque sotterranee, in relazione alla specifica destinazione d’uso dei siti. Vengono anche affrontati gli aspetti finanziari disponendo che, qualora sussistano preminenti interessi pubblici connessi a esigenze di tutela igienico-sanitaria e ambientale o occupazionali, gli interventi di bonifica possono, sulla base di apposita disposizione legislativa di finanziamento, essere assistiti da contributo pubblico entro il limite massimo del 50% delle relative spese.
L'art. 1 della legge n. 426 del 1998, ha quindi contribuito alla creazione di un quadro complessivo e nazionale di riferimento, nell'attuazione di una politica di bonifica di ampio raggio ed individuando, al riguardo, gli interventi di maggiore rilevanza, le fonti di finanziamento, le modalità per il monitoraggio e il controllo, con la partecipazione delle regioni interessate, delle attività di realizzazione delle opere e degli interventi previsti. E’ stata prevista una prima forma di concorso pubblico agli interventi di ripristino ambientale, identificando un primo elenco di interventi di bonifica di importanza nazionale e rinviando a successivi decreti del Ministro dell'ambiente, sentiti i comuni interessati, la perimetrazione degli ambiti interessati agli interventi stessi. A tale elenco di zone da risanare, la legge 23 dicembre del 2000, n. 388 (legge finanziaria del 2001) ha aggiunto altri tre siti, tra cui figura quello di Sesto S. Giovanni[76], la cui perimetrazione è stata quindi attuata con D.M. 31 agosto 2001.
Con il successivo D.M. 25 ottobre 1999 n. 471 è stato quindi emanato il “Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell'articolo 17 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni”.
In relazione ai siti di interesse nazionale, il citato regolamento prevede, all’art. 15, una particolare procedura di bonifica che dispone che il responsabile presenti al Ministero dell'Ambiente il Piano di caratterizzazione, il Progetto preliminare e il Progetto definitivo predisposti secondo determinati criteri e nei termini indicati nel decreto stesso (allegato 4[77] e art. 10[78]). Nel caso in cui il responsabile non provveda o non sia individuabile e non provveda il proprietario del sito inquinato né altro soggetto interessato, i progetti sono predisposti dal Ministero dell'ambiente, che si avvale dell'A.N.P.A, dell'Istituto Superiore di Sanità e dell'E.N.E.A.
Sarà quindi il Ministro dell'Ambiente, di concerto con i Ministri dell'industria, del commercio e dell'artigianato e della sanità, d'intesa con la regione territorialmente competente, ad approvare il progetto definitivo, tenendo conto delle conclusioni dell'istruttoria tecnica e ad autorizzare la realizzazione dei relativi interventi (comma 4).
Dopo l’entrata in vigore del D.M. n. 471 del 1999 e a seguito della perimetrazione degli interventi di interesse nazionale, il Ministero dell’Ambiente ha quindi avviato le procedure amministrative previste per l’approvazione dei progetti, assorbendo nella nuova procedura le attività già in essere su alcuni dei siti oggetto di detti interventi e non ancora contemplati nel provvedimento autorizzatorio definitivo.
Con D.M. 18 settembre 2001, n. 468, “Regolamento recante: «Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale”, si è quindi provveduto a definire il contenuto del Programma nazionale, ai sensi del comma 3 dell’art. 1 della legge n. 426 del 1998, individuando gli ulteriori interventi di bonifica di interesse nazionale, gli interventi prioritari, i soggetti beneficiari, i criteri di finanziamento dei singoli interventi, le modalità ed il trasferimento delle relative risorse, le modalità di monitoraggio e il controllo delle attività di realizzazione degli interventi previsti, i presupposti e le procedure di revoca dei finanziamenti con il relativo riutilizzo delle risorse resesi disponibili.
Articolo
8, comma 15
(Energia idroelettrica)
15. All'articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, dopo il comma 10 è aggiunto il seguente:
«10-bis. Ai fini del rilascio della concessione di derivazione di acque pubbliche, l'attività di produzione di energia idroelettrica è considerata servizio pubblico essenziale».
La norma ha la finalità di agevolare la concessione di derivazione di acque pubbliche nel caso in cui la stessa è richiesta al fine di produrre energia idroelettrica. Si prevede, a tal fine, che la produzione di energia idroelettrica è considerata servizio pubblico essenziale.
L’articolo in commento apporta quindi una modifica all’articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 recante attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità. Tale articolo razionalizza e semplifica le procedura autorizzatorie per l’esercizio di impianti derivanti da fonti rinnovabili.
Sembra che il riferimento normativo corretto sia quello al Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici di cui al regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775. Nel testo unico citato sono contenute infatti negli articoli da 7 a 14 le norme relative al procedimento per la concessione della derivazione di acque pubbliche. Vengono fissati, tra l’altro, una serie di parametri che devono guidare l’amministrazione, quando deve scegliere quale tra più domande deve essere preferita, nel caso in cui non sia possibile accoglierle tutte. Si osserva che tali norme non prevedono peraltro che sia data precedenza, nell’assegnazione delle concessioni ad attività che costituiscono “servizio pubblico essenziale”.
Sembrerebbe pertanto opportuno, al fine di fare in modo che la norma possa raggiungere l’obiettivo ad essa sotteso, inserire esplicitamente nel regio decreto in questione una norma che privilegi le domande di concessione relative alla produzione di energia idroelettrica.
1. Il Governo, per promuovere lo sviluppo economico, individua gli ambiti urbani e territoriali di area vasta, strategici e di preminente interesse nazionale, ove attuare un programma di interventi in grado di accrescerne le potenzialità competitive a livello nazionale ed internazionale, con particolare riferimento al sistema europeo delle città.
2. In sede di predisposizione del programma di cui al comma 1, il Governo procede secondo finalità di riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale, perseguendo i seguenti obiettivi:
a) sostenere iniziative di valorizzazione degli ambiti urbani e territoriali di area vasta, anche attraverso l'incremento della dotazione di infrastrutture anche immateriali e servizi, ottimizzando le esternalità generate dai processi di potenziamento infrastrutturali del territorio;
b) rafforzare i sistemi urbani e territoriali di area vasta anche attraverso la risoluzione dei problemi di mobilità conseguenti al traffico urbano e di attraversamento di merci e passeggeri;
c) ottimizzare le opportunità offerte dalla presenza di assi infrastrutturali transnazionali per caratterizzare gli ambiti territoriali come elementi di connessione transfrontaliera;
d) configurare un insieme di interventi, di funzioni e di attrezzature capaci di assicurare processi economici di sviluppo sostenibile e coniugare una molteplicità di soggetti pubblici e privati, attese sociali e interessi economici anche differenziati, assegnando priorità ai progetti di miglioramento della mobilità urbana ad alto contenuto tecnologico e di minore impatto ambientale;
e) perseguire, secondo il principio di sussidiarietà, l'efficienza allocativa delle risorse statali investite attraverso l'implementazione delle fonti finanziarie dei soggetti che partecipano alla realizzazione degli interventi.
3. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti elabora le linee guida per la predisposizione del piano degli interventi di cui al comma 4, acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari. Le linee guida sono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale.
4. Al fine della predisposizione del programma, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, entro sessanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle linee guida di cui al comma 3, d'intesa con ogni singola regione ovvero con le regioni interessate individua gli ambiti urbani e territoriali di area vasta strategici e di preminente interesse nazionale. L'elenco dei comuni abilitati a presentare proposte di piano è pubblicato, nei successivi trenta giorni, nella Gazzetta Ufficiale. Entro i successivi centoventi giorni i comuni abilitati trasmettono le proposte di piano al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed alla regione ovvero alle regioni competenti. Qualora il piano di interventi riguardi più comuni, gli stessi si impegnano ad attivare ogni utile forma di coordinamento, individuando un soggetto promotore dell'iniziativa. Nella fase di attuazione del piano, i comuni si associano ai sensi di quanto previsto dal testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ovvero possono costituire una società ai sensi del comma 8.
5. Il piano degli interventi, al fine del perseguimento degli obiettivi di cui al comma 2, può anche prevedere l'adozione dei seguenti strumenti:
a) trasferimento di diritti edificatori e istituzione di apposito registro;
b) incrementi premiali di diritti edificatori finalizzati alla dotazione di servizi, spazi pubblici e di miglioramento della qualità urbana, previa valutazione del rapporto costo-benefici;
c) misure fiscali di competenza comunale sugli immobili e strumenti di incentivazione del mercato della locazione;
d) costituzione delle società di cui al comma 8.
6. Ai piani, trasmessi, entro sessanta giorni, dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti al CIPE che li approva nei successivi sessanta giorni, è assicurata ogni idonea forma di pubblicità al fine di consentire la formulazione di osservazioni e pareri finalizzati al miglioramento dei piani medesimi. Le forme di pubblicità ed i soggetti legittimati alla formulazione di osservazioni e pareri sono indicati nelle linee guida di cui al comma 3.
7. I comuni, individuati ai sensi del comma 4, predispongono il piano definitivo degli interventi, anche attivando la partecipazione di proposte private e secondo l'intesa sottoscritta dalla Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Il piano è trasmesso al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che ne verifica le conformità rispetto al piano approvato dal CIPE.
8. Per progettare, realizzare e gestire i piani di cui alla presente legge, i comuni possono costituire società per azioni anche con la partecipazione della provincia, della regione, di altri enti ed amministrazioni pubblici e di soggetti privati secondo le disposizioni recate dal titolo V della parte I del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
9. I piani si attuano con la sottoscrizione di un accordo di programma quadro da parte dei soggetti competenti per l'attuazione.
10. Le attività di accompagnamento, controllo e monitoraggio relative all'avanzamento fisico, finanziario e procedurale dei piani sono assicurate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che predispone una relazione annuale al Parlamento.
11. All'attuazione delle disposizioni del presente articolo si fa fronte mediante parziale utilizzo delle risorse per le infrastrutture strategiche di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443. Con la legge finanziaria, in coerenza con quanto previsto dal Documento di programmazione economico-finanziaria, è individuata la quota parte delle risorse di cui alla citata legge n. 443 del 2001, da destinare agli interventi di cui al presente articolo.
L’articolo in esame disciplina una procedura volta a definire l’attuazione di interventi di riqualificazione in ambiti urbani e territoriali di area vasta, strategici e di preminente interesse nazionale attraverso l’approvazione di piani presentati dai Comuni. La finalità è quella di aumentare le potenzialità competitive a livello nazionale ed internazionale degli ambiti stessi (comma 1).
Tale procedura, che deve avere come punto di riferimento il sistema europeo delle città, prevede come primo passo, la definizione, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del disegno di legge in esame, di linee guida da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentite le competenti commissioni parlamentari. Tali linee guida sono pubblicate nella Gazzette ufficiale (comma 3).
Il secondo momento della procedura è invece individuato dal comma 4, che prevede che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, entro sessanta giorni dalla data di pubblicazione delle linee guida di cui al comma 3, individui d’intesa con le Regioni interessate gli ambiti di cui al comma 1. Il Ministero, d’intesa con le Regioni, individua, inoltre, all’interno di tali ambiti, i comuni abilitati a presentare proposte di piano. L’elenco di tali Comuni è pubblicato nella Gazzetta ufficiale nei successivi trenta giorni. Entro i centoventi giorni successivi a tale pubblicazione, i comuni abilitati trasmettono quindi le proposte di piano al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e alle Regioni interessate. Qualora il piano di interventi riguardi più Comuni, gli stessi si impegnano ad attivare ogni utile forma di coordinamento, individuando un soggetto promotore dell’iniziativa.
Con riferimento al comma 4, si osserva che sembrerebbe opportuno prevedere un meccanismo decisionale alternativo nel caso in cui la Regione interessata non concordi con il Ministero riguardo l’individuazione di un comune.
Potrebbe, inoltre, essere utile prevedere il meccanismo in base al quale più comuni presentatori di un piano individuano il soggetto promotore dell’iniziativa.
L’iter procedurale prevede, quindi, al comma 6, che le proposte di piano siano trasmesse nei sessanta giorni successivi dal Ministero delle infrastrutture e trasporti al CIPE, che le approva entro sessanta giorni. Il comma 6 dispone inoltre, che ai piani è assicurata ogni idonea forma di pubblicità al fine di consentire la formulazioni di osservazioni e pareri finalizzati al miglioramento dei piani medesimi. Le forme di pubblicità e i soggetti legittimati alla formulazione di osservazioni e pareri sono indicati nelle linee guida di cui al comma 3.
Successivamente all’approvazione dei piani da parte del CIPE, i Comuni, presentatori dei piani, predispongono, ai sensi del comma 7, un piano definitivo di attuazione degli interventi, anche attivando la partecipazione di proposte private e secondo l’intesa sottoscritta dalla Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Il piano definitivo è trasmesso al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che ne verifica la conformità rispetto al piano approvato dal CIPE.
Si osserva con riferimento a tale comma che nella relazione di accompagnamento al disegno di legge in sede di commento del comma 7, si fa riferimento ad “intese sottoscritte da un nuovo organismo interistituzionale presente in ciascuna circoscrizione regionale, la Conferenza per le città”.
Il disegno di legge fa invece riferimento alla “Conferenza Stato-città ed autonomie locali”, che è stata istituita con DPCM 2 luglio 1996 (G.U. 27 gennaio 1997, n. 21)ed è disciplinata dal D.Lgs 28 agosto 1997, n. 281 (G.U. 30 agosto 1997, n. 202).
I commi 8 e 9 prevedono altre disposizioni di carattere procedurale.
Il comma 8 prevede che per progettare, realizzare e gestire i piani, i comuni possono costituire società per azioni anche con la partecipazione della provincia, della regione, di altri enti ed amministrazione pubbliche e di soggetti privati secondo le disposizioni recate dal titolo V del decreto legislativo 18 agosto 2000, n .267. Tale disposizione sembra quindi fare riferimento sia alla fase di predisposizione da parte dei Comuni dei piani ai sensi del comma 4 sia alla fase in cui i Comuni, successivamente all’approvazione da parte del CIPE, formano il piano definitivo. Si ricorda, inoltre, che l’ultimo periodo del comma 4, con riferimento alla fase attuativa del piano, prevede che i Comuni possano “associarsi” ai sensi di quanto previsto dal decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
Per quel che riguarda il riferimento alla possibilità di associazione da parte dei Comuni, si ricorda che l’articolo 33 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n .267prevede al comma 1 che le Regioni, nell'emanazione delle leggi di conferimento delle funzioni ai comuni, attuano il trasferimento delle funzioni nei confronti della generalità dei comuni. Il comma 2 di tale articolo prevede che al fine di favorire l'esercizio associato delle funzioni dei comuni di minore dimensione demografica, le regioni individuano livelli ottimali di esercizio delle stesse, concordandoli nelle sedi concertative di cui all'articolo 4. e che nell'àmbito della previsione regionale, i comuni esercitano le funzioni in forma associata, individuando autonomamente i soggetti, le forme e le metodologie, entro il termine temporale indicato dalla legislazione regionale. Il comma 3 prevede che le regioni predispongono, concordandolo con i comuni nelle apposite sedi concertative, un programma di individuazione degli ambiti per la gestione associata sovracomunale di funzioni e servizi, realizzato anche attraverso le unioni, che può prevedere altresì la modifica di circoscrizioni comunali e i criteri per la corresponsione di contributi e incentivi alla progressiva unificazione. Tale programma è aggiornato ogni tre anni, tenendo anche conto delle unioni di comuni regolarmente costituite. Il comma 4 prevede infine che al fine di favorire il processo di riorganizzazione sovracomunale dei servizi, delle funzioni e delle strutture, le regioni provvedono a disciplinare, con proprie leggi, nell'àmbito del programma territoriale di cui al comma 3, le forme di incentivazione dell'esercizio associato delle funzioni da parte dei comuni, con l'eventuale previsione nel proprio bilancio di un apposito fondo e che a tale fine, oltre a quanto stabilito dal comma 3 e dagli articoli 30 e 32, le regioni si attengono ai seguenti princìpi fondamentali: a)nella disciplina delle incentivazioni: 1. favoriscono il massimo grado di integrazione tra i comuni, graduando la corresponsione dei benefìci in relazione al livello di unificazione, rilevato mediante specifici indicatori con riferimento alla tipologia ed alle caratteristiche delle funzioni e dei servizi associati o trasferiti in modo tale da erogare il massimo dei contributi nelle ipotesi di massima integrazione; 2. prevedono in ogni caso una maggiorazione dei contributi nelle ipotesi di fusione e di unione, rispetto alle altre forme di gestione sovracomunale; b) promuovono le unioni di comuni, senza alcun vincolo alla successiva fusione, prevedendo comunque ulteriori benefìci da corrispondere alle unioni che autonomamente deliberino, su conforme proposta dei consigli comunali interessati, di procedere alla fusione
Il riferimento alla possibilità di costituire società per azioni secondo le disposizioni recate dal titolo V del decreto legislativo 18 agosto 2000, n .267 appare riguardare in particolare le disposizioni contenute negli articoli 116 e 120 L’articolo 116 prevede che gli enti locali possono, per l'esercizio di servizi pubblici di cui all'articolo 113-bis e per la realizzazione delle opere necessarie al corretto svolgimento del servizio nonché per la realizzazione di infrastrutture ed altre opere di interesse pubblico, che non rientrino, ai sensi della vigente legislazione statale e regionale, nelle competenze istituzionali di altri enti, costituire apposite società per azioni senza il vincolo della proprietà pubblica maggioritaria anche in deroga ai vincoli derivanti da disposizioni di legge specifiche. Lo stesso comma 1 dispone che gli enti interessati provvedono alla scelta dei soci privati e all'eventuale collocazione dei titoli azionari sul mercato con procedure di evidenza pubblica, che l'atto costitutivo delle società deve prevedere l'obbligo dell'ente pubblico di nominare uno o più amministratori e sindaci e che nel caso di servizi pubblici locali una quota delle azioni può essere destinata all'azionariato diffuso e resta comunque sul mercato. Il comma 2 prevede che la costituzione di società miste con la partecipazione non maggioritaria degli enti locali è disciplinata da apposito regolamento adottato ai sensi dell'articolo 4, comma 1, del decreto-legge 31 gennaio 1995, n. 26, convertito, con modificazioni dalla legge 29 marzo 1995, n. 95, e successive modifiche e integrazioni. Ai sensi del comma 3, per la realizzazione delle opere di qualunque importo si applicano le norme vigenti di recepimento delle direttive comunitarie in materia di lavori pubblici. Il comma 4 dispone che fino al secondo esercizio successivo a quello dell'entrata in funzione dell'opera, l'ente locale partecipante potrà rilasciare garanzia fidejussoria agli istituti mutuanti in misura non superiore alla propria quota di partecipazione alla società di cui all’articolo 116 stesso. Infine, il comma 5 prevede che per i conferimenti di aziende, di complessi aziendali o di rami di essi e di ogni altro bene effettuati dai soggetti di cui al comma 1, anche per la costituzione con atto unilaterale delle società di cui al medesimo comma, si applicano le disposizioni dell'articolo 7, commi 1 e 2, della legge 30 luglio 1990, n. 218, e successive modificazioni L’articolo 120 prevede al comma 1 che le città metropolitane e i comuni, anche con la partecipazione della provincia e della Regione, possono costituire società per azioni per progettare e realizzare interventi di trasformazione urbana, in attuazione degli strumenti urbanistici vigenti. A tal fine le deliberazioni dovranno in ogni caso prevedere che gli azionisti privati delle società per azioni siano scelti tramite procedura di evidenza pubblica. Ai sensi del comma 2, le società di trasformazione urbana provvedono alla preventiva acquisizione degli immobili interessati dall'intervento, alla trasformazione e alla commercializzazione degli stessi e le acquisizioni possono avvenire consensualmente o tramite ricorso alle procedure di esproprio da parte del comune. Il comma 3 dispone che gli immobili interessati dall'intervento di trasformazione sono individuati con delibera del consiglio comunale. Sempre ai sensi del comma 3, l'individuazione degli immobili equivale a dichiarazione di pubblica utilità, anche per gli immobili non interessati da opere pubbliche e gli immobili di proprietà degli enti locali interessati dall'intervento possono essere conferiti alla società anche a titolo di concessione. Infine, il comma 4 prevede che i rapporti tra gli enti locali azionisti e la società per azioni di trasformazione urbana sono disciplinati da una convenzione contenente, a pena di nullità, gli obblighi e i diritti delle parti.
Il comma 9 si riferisce invece alla sola fase dell’attuazione e prevede che i piani si attuino con la sottoscrizione da parte dei soggetti competenti per l’attuazione di un accordo di programma quadro.
Il riferimento sembra richiamare gli accordi di programma previsti dall’articolo 34 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
Il comma 1 di tale articolo prevede che per la definizione e l'attuazione di opere, di interventi o di programmi di intervento che richiedono, per la loro completa realizzazione, l'azione integrata e coordinata di comuni, di province e regioni, di amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici, o comunque di due o più tra i soggetti predetti, il presidente della Regione o il presidente della provincia o il sindaco, in relazione alla competenza primaria o prevalente sull'opera o sugli interventi o sui programmi di intervento, promuove la conclusione di un accordo di programma, anche su richiesta di uno o più dei soggetti interessati, per assicurare il coordinamento delle azioni e per determinarne i tempi, le modalità, il finanziamento ed ogni altro connesso adempimento. Il comma 2 prevede che l'accordo può prevedere altresì procedimenti di arbitrato, nonché interventi surrogatori di eventuali inadempienze dei soggetti partecipanti., mentre il comma 3 dispone che per verificare la possibilità di concordare l'accordo di programma, il presidente della Regione o il presidente della provincia o il sindaco convoca una conferenza tra i rappresentanti di tutte le amministrazioni interessate. Ai sensi del comma 4, l'accordo, consistente nel consenso unanime del presidente della Regione, del presidente della provincia, dei sindaci e delle altre amministrazioni interessate, è approvato con atto formale del presidente della Regione o del presidente della provincia o del sindaco ed è pubblicato nel bollettino ufficiale della Regione. Sempre ai sensi del comma 4, l'accordo, qualora adottato con decreto del presidente della Regione, produce gli effetti della intesa di cui all'articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, determinando le eventuali e conseguenti variazioni degli strumenti urbanistici e sostituendo le concessioni edilizie, sempre che vi sia l'assenso del comune interessato. Il comma 5 prevede invece che ove l'accordo comporti variazione degli strumenti urbanistici, l'adesione del sindaco allo stesso deve essere ratificata dal consiglio comunale entro trenta giorni a pena di decadenza. Il comma 6 specifica che per l'approvazione di progetti di opere pubbliche comprese nei programmi dell'amministrazione e per le quali siano immediatamente utilizzabili i relativi finanziamenti si procede a norma dei precedenti commi e che l'approvazione dell'accordo di programma comporta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle medesime opere; tale dichiarazione cessa di avere efficacia se le opere non hanno avuto inizio entro tre anni. Il comma 7 prevede che la vigilanza sull'esecuzione dell'accordo di programma e gli eventuali interventi sostitutivi sono svolti da un collegio presieduto dal presidente della Regione o dal presidente della provincia o dal sindaco e composto da rappresentanti degli enti locali interessati, nonché dal commissario del Governo nella Regione o dal prefetto nella provincia interessata se all'accordo partecipano amministrazioni statali o enti pubblici nazionali. Il comma 8 prevede, infine, che allorché l'intervento o il programma di intervento comporti il concorso di due o più regioni finitime, la conclusione dell'accordo di programma è promossa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, a cui spetta convocare la conferenza di cui al comma 3. Il collegio di vigilanza di cui al comma 7 è in tal caso presieduto da un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei Ministri ed è composto dai rappresentanti di tutte le regioni che hanno partecipato all'accordo. La Presidenza del Consiglio dei Ministri esercita le funzioni attribuite dal comma 7 al commissario del Governo ed al prefetto
Per quel che riguarda invece il monitoraggio dell’esecuzione dei piani, il comma 10 prevede che le attività di accompagnamento, controllo e monitoraggio relative all’avanzamento fisico, finanziario e procedurale dei piani sono assicurate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che predispone una relazione annuale al Parlamento.
Si osserva che sembrerebbe opportuno specificare meglio i contenuti della relazione ministeriale
Per quel che riguarda i contenuti dei piani, il comma 2 dispone chei piani sono destinati a perseguire, oltre che più generali finalità di equilibrio socio-economico tra le aree del territorio nazionale, i seguenti obiettivi:
a) sostenere iniziative di valorizzazione degli ambiti urbani e territoriali di area vasta, anche attraverso l’incremento della dotazione di infrastrutture anche immateriali e servizi, ottimizzando le esternalità generate dai processi di potenziamento infrastrutturali del territorio;
b) rafforzare i sistemi urbani e territoriali di area vasta anche attraverso la risoluzione dei problemi di mobilità conseguenti al traffico urbano e di attraversamento di merci e di passeggeri;
c) configurare un insieme di interventi, di funzioni e di attrezzature capaci di assicurare processi economici di sviluppo sostenibile e coniugare una molteplicità di soggetti pubblici e privati, attese sociali e interessi economici anche differenziati;
d) perseguire, secondo il principio di sussidiarietà, l’efficienza allocativa delle risorse statali investite attraverso l’implementazione delle fonti finanziarie dei soggetti che partecipano alla realizzazione degli interventi, assegnando priorità ai progetti di miglioramento di mobilità urbana ad alto contenuto tecnologico e di minor impatto ambientale
Sempre per quel che riguarda il contenuto dei piani, il comma 5 prevede che il piano degli interventi, al fine del perseguimento degli obiettivi di cui al comma 2, può anche prevedere l’adozione dei seguenti strumenti:
a) trasferimento di diritti edificatori e istituzione di apposito registro;
b) incrementi premiali di diritti edificatori finalizzati alla dotazione di servizi, spazi pubblici e di miglioramento della qualità urbana, previa valutazione del rapporto costi-benefici;
c) misure fiscali di competenza comunale sugli immobili e strumenti di incentivazione del mercato della locazione;
d) costituzione delle società di cui al comma 8
Si osserva che sarebbe opportuno meglio definire gli strumenti di cui alle lettere a) e b).
Il comma 11 prevede che si provveda all’attuazione delle disposizioni dell’articolo mediante parziale utilizzo delle risorse per le infrastrutture strategiche di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443. Si prevede inoltre che con la legge finanziaria, in coerenza con quanto previsto dal documento di programmazione economico-finanziaria, è individuata la quota delle risorse di cui alla legge n. 443 del 2001 da destinare agli interventi previsti dall’articolo.
Si osserva che il decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante “Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale” contiene ai commi 2 e 3 dell’articolo 5disposizioni che riguardano la stessa materia trattata dall’articolo in commento.
In particolare, il comma 2, prevede che il CIPE destina una quota del Fondo per le aree sottoutilizzate di cui agli articoli 60 e 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, al finanziamento di interventi che, in coerenza con le priorità strategiche e i criteri di selezione previsti dalla programmazione comunitaria per le aree urbane, consentano di riqualificare e migliorare la dotazione di infrastrutture materiali e immateriali delle città e delle aree metropolitane in grado di accrescerne le potenzialità competitive.
Il comma 3 dispone invece che l’individuazione degli interventi strategici di cui al comma 2, da inserire in apposito programma regionale,è effettuata, valorizzando la capacità propositiva dei comuni, sulla base dei criteri e delle intese raggiunte dai Ministeri dell’economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei trasporti, da tutte le regioni interessate, da rappresentanti dei Comuni e del partenariato istituzionale ed economico-sociale a livello nazionale, come previsto dal punto 1.1 della delibera CIPE n. 20/2004 del 29 settembre 2004, pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 265 dell’11 novembre 2004.
Sembrerebbe pertanto opportuno coordinare tali disposizioni con quelle dell’articolo in commento.
L’articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 prevede che a decorrere dall'anno 2003 è istituito il fondo per le aree sottoutilizzate, coincidenti con l'àmbito territoriale delle aree depresse di cui alla legge 30 giugno 1998, n. 208, al quale confluiscono le risorse disponibili autorizzate dalle disposizioni legislative, comunque evidenziate contabilmente in modo autonomo, con finalità di riequilibrio economico e sociale di cui all'allegato 1, nonché la dotazione aggiuntiva di 400 milioni di euro per l'anno 2003, di 650 milioni di euro per l'anno 2004 e di 7.000 milioni di euro per l'anno 2005 Il fondo è ripartito con apposite delibere del CIPE adottate sulla base del criterio generale di destinazione territoriale delle risorse disponibili e per finalità di riequilibrio economico e sociale, nonché: a) per gli investimenti pubblici, ai quali sono finalizzate le risorse stanziate a titolo di rifinanziamento degli interventi di cui all'articolo 1 della citata legge n. 208 del 1998, e comunque realizzabili anche attraverso le altre disposizioni legislative di cui all'allegato 1, sulla base, ove applicabili, dei criteri e dei metodi indicati all'articolo 73 della legge 28 dicembre 2001, n. 448; b) per gli incentivi, secondo criteri e metodi volti a massimizzare l'efficacia complessiva dell'intervento e la sua rapidità e semplicità, sulla base dei risultati ottenuti e degli indirizzi annuali del Documento di programmazione economico-finanziaria, e a rispondere alle esigenze del mercato
Si osserva infine che sarebbe opportuno coordinare le disposizioni contenute nell’articolo in commento con quelle dettate dall’articolo 11 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398, convertito in legge con modificazioni dalla legge 4 dicembre 1993, n. 493 e dall’articolo 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179, che prevedono l’adozione da parte dei comuni rispettivamente di programmi integrati di intervento e di programmi di recupero urbano e con gli articoli da 27 a 34 della legge n. 457 del 1978 che disciplinano l’adozione di piani di recupero. Si tratta infatti di strumenti normativi attraverso i quali è possibile porre in essere opere pubbliche e che quindi si presentano come strettamente collegati alle disposizioni dell’articolo in commento.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Strategia sull’ambiente urbano
L’11 febbraio 2004 la Commissione ha presentato la comunicazione “Verso una strategia tematica sull’ambiente urbano” (COM(2004)60), prima fase nell’elaborazione della strategia (prevista per l’estate 2005) volta a migliorare la qualità e le prestazioni ambientali delle aree urbane.
L’obiettivo è contribuire a livello comunitario alla definizione di un solido quadro di riferimento per promuovere iniziative locali basate sulle migliori pratiche, lasciando la scelta delle soluzioni e degli obiettivi ai responsabili locali. L’elemento fondamentale di questo quadro di riferimento è l’obbligo per le capitali e gli agglomerati urbani con popolazione superiore a 100 mila abitanti (ossia le 500 maggiori città dell’UE) di adottare un piano di gestione dell’ambiente urbano che stabilisca gli obiettivi da conseguire per dar vita ad un ambiente urbano sostenibile, e di introdurre un apposito sistema di gestione ambientale per assicurare l’esecuzione del piano. Tali città dovranno inoltre elaborare e attuare un piano di trasporto urbano sostenibile. A tal fine la Commissione ritiene che possano essere stabiliti specifici obblighi a livello comunitario.
La comunicazione richiama l’attenzione sull’edilizia sostenibile, che considera una priorità[79], preannunciando che la Commissione metterà a punto una metodologia comune per valutare la sostenibilità complessiva degli edifici e dell’ambiente costruito, che si applicherà anche ai progetti relativi alla costruzione di nuovi edifici o a ristrutturazioni importanti degli edifici esistenti.
Il Consiglio ambiente ha adottato, il 14 ottobre 2004, delle conclusioni sulla comunicazione nelle quali, fra l’altro:
· ritiene che le azioni nell’ambito della strategia sull’ambiente urbano dovrebbero contribuire alla riduzione dell’inquinamento dell’aria e dell’inquinamento sonoro;
· invita la Commissione:
- a riesaminare la giustificazione per i proposti obblighi relativi ad un piano di gestione ambientale, ad un sistema di gestione ambientale e ad un piano di trasporto urbano sostenibile, alla luce del principio di sussidiarietà e delle attuali legislazioni e procedure a livello comunitario e nazionale;
- a considerare ulteriormente la proposta applicazione di questi eventuali obblighi alle capitali e alle città con più di 100 mila abitanti;
- a esaminare il “metodo di coordinamento aperto” al fine di assicurarne la fattibilità per l’attuazione della strategia tematica sull’ambiente urbano.
La Commissione, nel suo programma di lavoro per il 2005, annuncia la presentazione della strategia tematica sull’ambiente urbano e le zone di consumo e produzione sostenibili ad esso correlate.
Riforma della politica di coesione
Il 14 luglio 2004 la Commissione ha presentato un pacchetto di cinque proposte[80] relative al rinnovo del quadro legislativo per la riforma della politica di coesione nel periodo di programmazione 2007-2013[81].
Le proposte prospettano la concentrazione degli interventi strutturali su un numero limitato di priorità (rispetto al periodo di programmazione attuale) in relazione soprattutto con gli impegni di Lisbona (in materia di competitività) e di Göteborg (in materia di sviluppo sostenibile).
Per tale ragione la Commissione propone di organizzare le risorse attorno ai seguenti tre nuovi obiettivi:
· obiettivo “Convergenza”.
· obiettivo “Competitività e occupazione regionale”.
· obiettivo “Cooperazione territoriale”.
Nel corso del Consiglio informale dei ministri responsabili della politica regionale e della coesione territoriale dell’UE, tenutosi a Lussemburgo il 20 e 21 maggio, la Commissione ha presentato gli Orientamenti strategici comunitari 2007-2013.
Il documento, su cui si è registrato un ampio consenso da parte degli Stati membri, sarà sottoposto ad una revisione finale nelle prossime settimane per essere presentato ufficialmente a giugno. Illustrando gli “Orientamenti”, il commissari Danuta Hübner ha richiamato le tre priorità su cui le risorse della politica di coesione dovrebbero essere incentrate: il miglioramento dell’attrattiva delle regioni e delle città (favorendone l’accessibilità, preservando l’ambiente e garantendo un livello adeguato di servizi); l’incoraggiamento della innovazione, dell’imprenditorialità e della crescita economica; la creazione di impieghi di qualità.
Alla luce del dibattito sul documento, il commissario Hübner ha proposto l’aggiunta di un quarto obiettivo: la dimensione territoriale e del ruolo delle città.
In questo nuovo quadro legislativo, il campo di intervento delle attuali iniziative, tra cui l’iniziativa URBAN[82] sarà integrato nelle priorità dei suddetti nuovi obiettivi. In particolare il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), i cui interventi saranno concentrati sugli obiettivi “Competitività e occupazione regionale” e “Cooperazione territoriale”, riserverà una particolare attenzione alle specificità territoriale delle zone urbane, soprattutto quelle relative alle cittadine di medie dimensioni il cui ruolo nel promuovere lo sviluppo regionale sarà valorizzato mediante aiuti alla riqualificazione urbana. Inoltre a tali zone potrebbero essere delegati poteri diretti[83].
Le proposte verranno esaminate dal Parlamento europeo in prima lettura nella sessione del 5 luglio 2005. Il Consiglio non ne ha ancora iniziato l’esame.
La Commissione auspica l’approvazione definitiva delle proposte entro la fine del 2005, garantendo agli Stati membri e alle regioni tempo sufficiente per la preparazione dei nuovi programmi e per la loro messa in opera entro l’inizio del 2007.
12. Per il perseguimento degli obiettivi di cui al comma 2, lettera b), e al fine di incentivare modalità di trasporto alternative a quella privata, gli enti locali possono escludere dall'imposta comunale sulla pubblicità e dal diritto sulle pubbliche affissioni di cui al decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, i manifesti collocati sui mezzi di trasporto pubblici volti a pubblicizzare esclusivamente i servizi e l'offerta delle medesime imprese di trasporto pubblico locale.
Il comma 12 dell’articolo 9 facoltizza gli enti locali a escludere dall’imposta comunale sulla pubblicità e dal diritto sulle pubbliche affissioni di cui al decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, i manifesti collocati sui mezzi di trasporto pubblici volti a pubblicizzare i servizi e l’offerta delle medesime imprese di trasporto pubblico locale.
La finalità della norma è espressamente individuata nell’intendimento di rafforzare i sistemi urbani e territoriali di area vasta anche attraverso la risoluzione dei problemi di mobilità conseguenti al traffico urbano e di attraversamento di merci e passeggeri – secondo quanto indicato dal disposto del comma 2, lettera b) del presente articolo, qui richiamato – e di incentivare modalità di trasporto alternative a quella privata.
La disciplina vigente
La disciplina dell'imposta comunale sulla pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni è contenuta nel capo I (articoli 1-37: Imposta comunale sulla pubblicità e diritto sulle pubbliche affissioni) del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, recante revisione e armonizzazione dell'imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l'occupazione di spazi e aree pubbliche dei comuni e delle province nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma dell'articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, concernente il riordino della finanza territoriale.
Pubblicità e pubbliche affissioni
L’articolo 1 del citato decreto legislativo n. 507 del 1993 stabilisce che la pubblicità esterna e le pubbliche affissioni sono soggette rispettivamente a un’imposta ovvero a un diritto a favore del comune nel cui territorio sono effettuate.
L’articolo 11, comma 10, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, consente agli enti locali di aumentare le tariffe e i diritti fino ad un massimo del 20 per cento a decorrere dal 1° gennaio 1998 e fino ad un massimo del 50 per cento a decorrere dal 1° gennaio 2000 per le superficie superiori al metro quadrato, con arrotondamento delle frazioni di esso al mezzo metro quadrato.
Per l’applicazione del tributo, l’articolo 2 ripartisce i comuni in cinque classi di popolazione. I comuni capoluogo di provincia non possono comunque essere collocati in una classe inferiore alla terza.
L’articolo 3 prescrive l’adozione di apposito regolamento comunale per l'applicazione dell'imposta sulla pubblicità e per l'effettuazione del servizio delle pubbliche affissioni, indicandone il contenuto.
Il regolamento disciplina le modalità di effettuazione della pubblicità (tipologia e quantità degli impianti pubblicitari, emanazione del provvedimento per l'installazione, criteri per la realizzazione del piano generale degli impianti, ripartizione delle superficie da destinare alle affissioni di natura istituzionale, sociale o comunque prive di rilevanza economica e alle affissioni di natura commerciale, e superficie degli impianti da attribuire a soggetti privati per l'effettuazione di affissioni dirette). Può inoltre stabilire limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie in relazione a esigenze di pubblico interesse.
Sono ammesse maggiorazioni di tariffa in relazione a rilevanti flussi turistici, per un periodo complessivo nel corso dell'anno non superiore a quattro mesi.
L’articolo 4 consente inoltre ai comuni di suddividere le località del proprio territorio in due categorie in relazione alla loro importanza, applicando alla categoria speciale una maggiorazione fino al 150 per cento della tariffa normale, limitatamente alle affissioni di carattere commerciale.
a) L’imposta sulla pubblicità
A norma dell’articolo 5 del citato decreto legislativo n. 507 del 1993, è soggetta all'imposta sulla pubblicità la diffusione di messaggi pubblicitari effettuata attraverso forme di comunicazione visive o acustiche, diverse da quelle assoggettate al diritto sulle pubbliche affissioni, in luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali luoghi percepibile. Si considerano rilevanti i messaggi diffusi nell'esercizio di una attività economica allo scopo di promuovere la domanda di beni o servizi, ovvero finalizzati a migliorare l'immagine del soggetto pubblicizzato.
L’articolo 6 individua il soggetto passivo dell'imposta sulla pubblicità in colui che dispone a qualsiasi titolo del mezzo attraverso il quale il messaggio pubblicitario viene diffuso. Al pagamento è solidalmente obbligato colui che produce o vende la merce o fornisce i servizi oggetto della pubblicità.
Non sono comunque soggetti all'imposta lo Stato e gli enti pubblici territoriali, comitati, le associazioni, fondazioni ed enti che non abbiano scopo di lucro, i soggetti che organizzano attività politiche, sindacali e di categoria, culturali, sportive, filantropiche e religiose, con il patrocinio o la partecipazione degli enti pubblici territoriali, gli organizzatori di festeggiamenti patriottici, religiosi, a spettacoli viaggianti e di beneficenza, né i soggetti che affiggono annunzi mortuari.
L’articolo 7 disciplina l’applicazione dell'imposta, determinata in base alla superficie del mezzo pubblicitario, con maggiorazione per la pubblicità effettuata in forma luminosa o illuminata.
È previsto che siano cumulabili le maggiorazioni d’imposta, non le riduzioni.
A norma dell’articolo 8, il soggetto passivo, prima di iniziare la pubblicità e in caso di variazione o di cessazione, è tenuto a presentare al comune apposita dichiarazione, anche cumulativa.
L’articolo 9 prevede il pagamento dell'imposta per anno solare, salvi i casi in cui sia stabilito un diverso periodo d’imposta. Il pagamento deve essere effettuato mediante versamento a mezzo di conto corrente postale intestato al comune ovvero direttamente presso le tesorerie comunali o, in caso di affidamento in concessione, al concessionario. Il comune, per particolari esigenze organizzative, può consentire il pagamento diretto del diritto relativo ad affissioni non aventi carattere commerciale. La riscossione coattiva è effettuata mediante ruoli.
L’articolo 10 disciplina le forme di rettifica delle dichiarazioni e di accertamento d'ufficio.
L’articolo 12 stabilisce la tariffa per la pubblicità ordinaria effettuata mediante insegne, cartelli, locandine, targhe, stendardi o qualsiasi altro mezzo non previsto dai successivi articoli. La tariffa è determinata per ogni metro quadrato di superficie del mezzo pubblicitario e per anno solare, con importi diversi per i comuni appartenenti alle diverse classi di popolazione. Sono previste maggiorazioni per gli impianti di grandi dimensioni.
L’articolo 13 stabilisce la tariffa per la pubblicità effettuata all'interno e all'esterno di veicoli, in ragione della loro natura e portata. Non è dovuta l'imposta per l'indicazione del marchio, della ragione sociale e dell'indirizzo dell'impresa, purché sia apposta sul veicolo non più di due volte e ciascuna iscrizione non sia di superficie superiore a mezzo metro quadrato[84].
L’articolo 14 stabilisce la tariffa per la pubblicità effettuata con insegne o pannelli luminosi e per quella realizzata con diapositive o proiezioni.
L’articolo 15 determina la tariffa per le forme di pubblicità varia effettuate mediante strumenti particolari (striscioni, aeromobili, palloni frenati, distribuzione di manifestini o persone circolanti con cartelli, apparecchi amplificatori).
L’articolo 16 prevede riduzioni dell'imposta per la pubblicità effettuata da comitati, associazioni, fondazioni ed enti che non abbiano scopo di lucro, per la pubblicità relativa a manifestazioni politiche, sindacali e di categoria, culturali, sportive, filantropiche e religiose, da chiunque realizzate, con il patrocinio o la partecipazione degli enti pubblici territoriali, e per la pubblicità relativa a festeggiamenti patriottici, religiosi, a spettacoli viaggianti e di beneficenza.
L’articolo 17. dichiara esenti dall'imposta alcune forme di pubblicità realizzata nei locali commerciali e nelle vetrine degli stessi quando si riferisca all'attività negli stessi esercitata, escluse le insegne; gli avvisi riguardanti la localizzazione e l'utilizzazione dei servizi di pubblica utilità, e quelli riguardanti la locazione o la compravendita degli immobili sui quali sono affissi; la pubblicità effettuata all'interno o all’esterno dei locali di pubblico spettacolo qualora si riferisca alle rappresentazioni in programmazione; la pubblicità relativa ai giornali e alle pubblicazioni periodiche, esposta nei punti di vendita; alcuni tipi di pubblicità e avvisi relativi ai servizi di trasporto pubblico; la pubblicità esposta all'interno delle vetture ferroviarie, degli aerei e delle navi; la pubblicità comunque effettuata in via esclusiva dallo Stato e dagli enti pubblici territoriali; le insegne delle sedi di comitati, associazioni, fondazioni ed ogni altro ente che non persegua scopo di lucro; le insegne la cui esposizione sia obbligatoria per legge o regolamento.
L'imposta non è altresì dovuta per le insegne di esercizio di attività commerciali e di produzione di beni o servizi che contraddistinguono la sede ove si svolge l'attività cui si riferiscono, di superficie complessiva fino a 5 metri quadrati (o anche superiore, se previsto dal regolamento comunale).
b)Il diritto sulle pubbliche affissioni
L’articolo 18 del medesimo decreto legislativo n. 507 del 1993 disciplina il servizio delle pubbliche affissioni, obbligatoriamente istituito nei comuni che abbiano una popolazione residente superiore a tremila abitanti.
L’articolo 19 regola il diritto sulle pubbliche affissioni. Esso comprende l’imposta sulla pubblicità ed è dovuto, in solido, da chi richiede il servizio e da colui nell'interesse del quale il servizio stesso è richiesto, a favore del comune che provvede alla loro esecuzione.
La misura del diritto è determinata per ciascun foglio in ragione delle dimensioni e della durata dell’affissione. Maggiorazioni sono previste per i manifesti composti da più di otto fogli e per l'affissione in spazi determinati prescelti dal committente.
L’articolo 20 disciplina le ipotesi di riduzione del diritto.
L’articolo 20-bis dispone la riserva del 10 per cento degli spazi totali per l'affissione di manifesti effettuata direttamente da determinati soggetti, previa richiesta, con esenzione dal diritto.
L’articolo 21 disciplina gli altri casi di esenzione dal diritto per particolari manifesti di pubblico interesse.
L’articolo 22 regola le modalità per le pubbliche affissioni, rimettendo al regolamento comunale il potere di dettare disposizioni integrative.
Gli articoli 23 e 24 determinano le sanzioni e gli interessi per le violazioni della disciplina delle affissioni e prescrivono l’adozione di un piano di repressione dell'abusivismo.
L’articolo 35 attribuisce alla direzione centrale per la fiscalità locale del Ministero delle finanze la funzione di vigilanza sulle gestioni dirette o in concessione dell'imposta sulla pubblicità e del servizio delle pubbliche affissioni, disciplinandone l’esercizio e rimettendo a decreto del Ministro dell’economia e delle finanze l’emanazione delle disposizioni riguardanti la gestione contabile dell'imposta sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni.
L’articolo 62 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’IRPEF e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), modificato dall’articolo 10, comma 5, lettera b), della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria 2002), ha consentito ai comuni di escludere, mediante regolamento[85], l’applicazione, nel proprio territorio, dell’imposta comunale sulla pubblicità, sottoponendo le iniziative pubblicitarie che incidono sull’arredo urbano o sull’ambiente a un regime autorizzatorio e assoggettandole al pagamento di un canone in base a tariffa.
Il regolamento comunale deve:
a) individuare la tipologia dei mezzi di effettuazione della pubblicità esterna che incidono sull’arredo urbano o sull’ambiente;
b) prevedere le procedure per il rilascio e per il rinnovo dell’autorizzazione;
c) indicare le modalità d’impiego dei mezzi pubblicitari nonché le modalità e i termini di pagamento del canone;
d) determinare la tariffa con criteri di ragionevolezza e gradualità tenendo conto della popolazione residente, della rilevanza dei flussi turistici presenti nel comune, delle caratteristiche urbanistiche delle diverse zone del territorio comunale e dell’impatto ambientale, in modo che la tariffa stessa, comprensiva dell’eventuale uso di aree comunali, non ecceda di oltre il 25 per cento le corrispondenti tariffe stabilite ai sensi del decreto legislativo n. 507 del 1993 per l’imposta comunale sulla pubblicità e deliberate dall’amministrazione comunale nell’anno solare antecedente l’adozione della delibera di sostituzione dell’imposta comunale sulla pubblicità con il canone;
e) equiparare, ai soli fini del pagamento del canone, i mezzi pubblicitari installati senza la preventiva autorizzazione a quelli autorizzati, e prevedere sanzioni amministrative pecuniarie per l’installazione dei mezzi pubblicitari non autorizzati, determinandole in misura non inferiore all’importo della relativa tariffa, né superiore al doppio della stessa tariffa;
f) determinare la tariffa per i mezzi pubblicitari installati su beni privati in misura inferiore di almeno un terzo rispetto agli analoghi mezzi pubblicitari installati su beni pubblici.
Il regolamento può anche prevedere divieti, limitazioni e agevolazioni di carattere generale.
Da ultimo, l’articolo 7-octies del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43, ha previsto che, entro due mesi dalla data di entrata in vigore della stessa legge di conversione e con effetto per l'esercizio 2005, i comuni con proprie deliberazioni rideterminino, ove occorra, la misura del canone per l'installazione di mezzi pubblicitari secondo le disposizioni contenute nel citato articolo 62 del decreto legislativo n. 446 del 1997, e in base ai criteri ivi stabiliti. A decorrere dall'esercizio di bilancio 2006 la determinazione dovrà altresì tener conto della rivalutazione annuale sulla base dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati rilevato dall'ISTAT.
1. Il Fondo speciale rotativo per l'innovazione tecnologica di cui all'articolo 14 della legge 17 febbraio 1982, n. 46, nel limite delle disponibilità destinate a contributi a fondo perduto, può concedere agevolazioni a favore dei programmi finalizzati allo svolgimento di attività di sviluppo precompetitivo di cui al punto 2 della circolare del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato 11 maggio 2001, n. 4240, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 133 dell'11 giugno 2001, anche nella forma del contributo in conto interessi su finanziamenti bancari concessi a condizioni liberamente concordate tra le parti secondo modalità regolate con decreto del Ministero delle attività produttive.
2. Al fine di favorire lo sviluppo di idee innovative realizzate da aggregazioni di piccole e medie imprese, una quota delle risorse del Fondo di cui all'articolo 14 della legge 17 febbraio 1982, n. 46, è destinata alla realizzazione di nuovi prodotti e servizi nei settori del tessile, dell'alimentare, delle nanotecnologie, delle tecnologie dell'idrogeno applicate al trasporto e alla produzione di energia, delle biotecnologie in ambito farmaceutico e sanitario, delle tecnologie della comunicazione e delle tecnologie spaziali, anche mediante interazione e collaborazione tra il settore pubblico e quello privato della ricerca. Con decreto del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro per l'innovazione e le tecnologie e con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sentita la Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI) sono stabiliti i criteri per la selezione dei progetti, le modalità di presentazione della relativa relazione tecnica, dello studio di fattibilità dell'eventuale prototipo, le forme dell'eventuale revoca dei contributi assegnati e le modalità di costituzione di dette aggregazioni. Entro il 31 dicembre di ogni anno, il Ministro delle attività produttive, con proprio decreto, emanato di concerto con i Ministri per l'innovazione e le tecnologie e dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sentita la CRUI, e d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, provvede alla ripartizione delle risorse di cui al presente comma tra le regioni, sulla base di indicatori demografici e socio-economici, nel pieno rispetto della potestà regolamentare delle regioni, delle province, dei comuni e delle città metropolitane in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite in materia di ricerca scientifica e tecnologica e di sostegno all'innovazione per i settori produttivi. In fase di prima applicazione il decreto è emanato entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
3. Una quota delle risorse del Fondo di cui all'articolo 14 della legge 17 febbraio 1982, n. 46, è destinata alla concessione di agevolazioni alle imprese, nei limiti consentiti dalla vigente normativa comunitaria per gli aiuti di Stato alla ricerca e allo sviluppo, volti alla copertura dei costi, non superiori a 500.000 euro, sostenuti per lo studio e la valorizzazione di brevetti commissionati ad università o enti di ricerca pubblici e privati senza scopo di lucro. Con decreto del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro per l'innovazione e le tecnologie, sono determinate le modalità di attuazione dell'intervento e le tipologie di aiuto che dovranno prevedere una quota di contributo non superiore al 50 per cento dei costi sostenuti dall'impresa.
4. Le domande di finanziamento a valere sul Fondo di cui al comma 1 sono valutate entro tre mesi dalla presentazione e i contributi sono erogati entro i tre mesi successivi alla data di approvazione.
5. Una quota non inferiore al 30 per cento delle risorse del Fondo di cui al comma 1 è destinata alla concessione di agevolazioni a favore dei programmi finalizzati allo svolgimento di attività di sviluppo precompetitivo svolti dalle piccole e medie imprese localizzate nelle aree ammissibili alla deroga prevista dall'articolo 87, paragrafo 3, lettera a), del Trattato che istituisce la Comunità europea, individuate dalla Carta italiana degli aiuti a finalità regionale per il periodo 2000-2006 e da quella che verrà approvata per il successivo periodo.
6. Con decreto del Ministro delle attività produttive sono determinate annualmente le quote di risorse del Fondo rotativo di cui all'articolo 14 della legge 17 febbraio 1982, n. 46, da destinare agli interventi di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo, nonché al comma 270 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311.
L’articolo 10, ai commi 1-6, contiene disposizioni relative all’utilizzo del Fondo speciale rotativo per l’innovazione tecnologica (FIT).
L’intervento normativo si fonda sulla necessità, evidenziata nella relazione governativa che accompagna il ddl in esame - di predisporre mezzi e strumenti appropriati per favorire lo sviluppo della ricerca e dell’innovazione tecnologica, che costituisce un tema prioritario ai fini dell’adeguamento della realtà socio-economica italiana a quella dei paesi più avanzati.
A tale fine, il comma 1 prevede che le agevolazioni del FIT a programmi finalizzati allo svolgimento di attività di sviluppo precompetitivo - previsti al punto 2 della circolare del Ministero dell’industria (ora delle attività produttive) dell’11 maggio 2001, n. 1034240 - possono essere fruite – entro i limiti delle disponibilità destinate a contributi a fondo perduto - anche nella forma di contributo in conto interessi su finanziamenti bancari, concessi sulla base di condizioni economiche concordate liberamente tra le parti, secondo modalità alla cui determinazione si provvederà con decreto del Ministero delle attività produttive.
Si ricorda che la legge n. 46/1982 (“Interventi per i settori dell’economia di rilevanza nazionale”), all’articolo 14 (successivamente sostituito dall'articolo 2 della legge 273/2002) ha istituito, presso il Ministero dell’industria (ora delle attività produttive) il «Fondo speciale rotativo per l'innovazione tecnologica».
Le direttive per la concessione delle agevolazioni del FIT sono state definite con la Dir.Min. 16 gennaio 2001 del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato ("Direttive per la concessione delle agevolazioni del fondo speciale rotativo per l'innovazione tecnologica di cui all'art. 14 della L. 17 febbraio 1982, n. 46") che ha introdotto un nuovo regime di aiuto (approvato dalla Commissione dell’UE con decisione del 21 dicembre 2000, comunicata con nota del 18-1-2001), in sostituzione del precedente regime previsto dall’ art. 14 e seguenti della legge 46/82 cit.
In tale contesto, le disponibilità del fondo sono state destinate al sostegno di programmi relativi ad attività di sviluppo precompetitivo, che possono comprendere anche attività non preponderanti di ricerca industriale. Ai sensi dell'art. 2 della direttiva ministeriale le attività di ricerca industriale e di sviluppo precompetitivo, sono definite, rispettivamente, come attività rivolte: a) all'acquisizione di nuove conoscenze finalizzate alla messa a punto di nuovi prodotti, processi produttivi o servizi ovvero al notevole miglioramento dei prodotti, processi produttivi o servizi esistenti; ovvero b) alla concretizzazione dei risultati della ricerca industriale mediante le fasi di progettazione e realizzazione di progetti pilota e dimostrativi, nonché di prototipi non commercializzabili, finalizzate a nuovi prodotti, processi o servizi ovvero ad apportare modifiche sostanziali a prodotti, linee di produzione e processi produttivi purché tali interventi comportino sensibili miglioramenti delle tecnologie esistenti.
Non sono invece comprese fra le attività suscettibili di ottenere il sostegno le modifiche di routine o le modifiche periodiche apportate a prodotti, linee di produzione, processi di fabbricazione, servizi esistenti e altre operazioni in corso, anche quando tali modifiche possano comportare miglioramenti.
Gli interventi del Fondo hanno attualmente ad oggetto programmi di imprese destinati ad introdurre rilevanti avanzamenti tecnologici finalizzati a nuovi prodotti o processi produttivi o al miglioramento di prodotti o processi produttivi già esistenti, oppure rilevanti innovazioni di contenuto stilistico e qualitativo del prodotto. Tali programmi riguardano le attività di progettazione, sperimentazione, sviluppo, preindustrializzazione e i processi realizzativi di campionatura innovativa, unitariamente considerati. Il Ministro delle attività produttive provvede con proprio decreto, adottato previo parere delle regioni interessate, a stabilire annualmente la percentuale delle risorse riservata in via prioritaria ai programmi di sviluppo precompetitivo presentati dalle piccole e medie imprese, quota che non può essere inferiore al 25 per cento delle riserve annuali disponibili.
Recentemente, la legge n. 311/2004 (finanziaria per il 2005) all’art. 1 comma 270, ha esteso gli interventi del FIT anche ai programmi di investimento delle imprese commerciali, turistiche e di servizi, aventi determinate finalità.
Quanto alla circolare n. 1034240, cui rinvia il comma in esame, si ricorda che il citato punto 2 definisce l’ambito di applicazione delle agevolazioni del FIT richiamandosi a quanto già stabilito dal citato art. 2 della direttiva ministeriale del 2001.
Il comma 2, sostituito nel corso dell’esame presso la Commissione Bilancio, destina una quota delle risorse del FIT alla realizzazione di nuovi prodotti e servizi nei seguenti settori: tessile, alimentare, nanotecnologie, tecnologie dell’idrogeno (applicate al trasporto e alla produzione energetica), biotecnologie in ambito farmaceutico e sanitario, tecnologie della comunicazione e tecnologie spaziali.
A tal fine la disposizione in esame prevede la possibilità di interazione e di collaborazione tra il settore pubblico e quello privato della ricerca.
L’intervento è volto a favorire lo sviluppo di idee innovative da parte di aggregazioni di PMI.
La definizione dei criteri per la selezione dei progetti, delle modalità di presentazione della relativa relazione tecnica, dello studio di fattibilità e dell’ eventuale prototipo, delle forme di eventuale revoca del contributo, nonché delle modalità di costituzione dei suddetti aggregati, sono demandate ad un decreto del Ministro delle attività produttive, da adottarsi di concerto con il Ministro per l’innovazione e le tecnologie e il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentita la Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI).
Al Ministro delle attività produttive è assegnato il compito di ripartire tra le regioni le risorse previste dal presente comma.
La ripartizione, cui il Ministro provvederà annualmente con proprio decreto entro la data del 31 dicembre, sarà effettuata sulla base di indicatori demografici e socioeconomici, nel rispetto della potestà regolamentare di regioni e province, comuni ed e città metropolitane in materia di ricerca scientifica e tecnologica e di sostegno all’innovazione.
A tale ultimo riguardo si segnala che l’articolo 117 della Costituzione, modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, "Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione", include la materia della “ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi” tra quelle di legislazione concorrente.
In proposto, si ricorda che l’art. 117 Cost., al terzo comma, ultimo periodo, dispone che nelle materie di legislazione concorrente spetti alle regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata allo Stato. La riserva allo Stato dei soli principi fondamentali determina inoltre l’attribuzione della potestà regolamentare in materia alle regioni. Infatti, ai sensi del quinto comma dell’art. 117 Cost, la potestà regolamentare spetta allo Stato solo nelle materie di legislazione esclusiva, risultando rimessa alle regioni in ogni altra materia.
Quanto poi agli strumenti agevolativi a favore della ricerca e dell’innovazione, si ricorda che in base all'art. 18, comma 1, del D.Lgs. n. 112/98, continuano ad essere gestiti dallo Stato i seguenti strumenti agevolativi:
- le agevolazioni per attività di ricerca nelle aree depresse (lett. p);
- i fondi speciali per la ricerca applicata (FRA) (ora Fondo per le agevolazioni alla ricerca, ex D.Lgs. n. 279/99) e per l'innovazione tecnologica (FIT), ex legge n. 46/82 (lett. q);
Risulta meno agevole la ricostruzione degli strumenti agevolativi conferiti alle regioni, dato che la formulazione adottata dall’art. 19 del D.Lgs. 112/98 non può essere considerata esaustiva (pur rinviando implicitamente ad alcune importanti leggi di sostegno pubblico alle imprese: tra le quali rientra la L. n. 317/91, per l’innovazione tecnologica nelle PMI; e la legge Sabatini - L. 1329/65 - per l’acquisto di macchine utensili), in quanto stabilisce che siano conferite alle regioni le funzioni relative alla concessione di agevolazioni non espressamente riservate allo Stato ai sensi dell’articolo 18 (comma 2).
Si ricorda, comunque, che nella relazione di accompagnamento allo schema di decreto ministeriale per la ripartizione del Fondo unico degli incentivi alle imprese per il 2000, presentato alle Camere per il previsto parere, è contenuto un allegato che individua una serie di agevolazioni, di competenza dell'ex Ministero dell’industria (ora delle attività produttive), da conferire alle regioni. L’elenco, che peraltro non riveste carattere di ufficialità, per quanto concerne gli incentivi relativi al settore industriale destinati all’innovazione richiama a tra gli altri:
- gli incentivi fiscali per l’innovazione (D.L. n. 79/97, art. 13);
- i diversi interventi per l’innovazione e lo sviluppo delle PMI, recati da vari articoli della L. n. 317/91.
L’ultimo periodo del comma stabilisce che, in fase di prima applicazione, il citato decreto di riparto, per la cui emanazione si richiede il concerto con i Ministri per l’innovazione e le tecnologie e dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentita la Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI) e d’intesa con la Conferenza unificata Stato città ed autonomie locali, di cui all’art. 8 del D.Lgs. 281/1997, venga emanato entro 60 giorni dall’entrata in vigore del presente provvedimento.
Il comma 3 destina una quota del FIT alla concessione di agevolazione a copertura dei costi sostenuti dalle imprese per lo studio e valorizzazione di brevetti commissionati a università o enti di ricerca, sia pubblici che privati, senza fini di lucro.
Per quanto concerne l’entità dell’agevolazione, essa non dovrà superare il tetto di 500 mila euro e dovrà essere concessa nel rispetto dei limiti fissati dalla normativa comunitaria vigente in materia di aiuti di Stato alla ricerca e allo sviluppo. Con apposito decreto del Ministro delle attività produttive, da emanarsi di concerto con il Ministro per l’innovazione e le tecnologie, saranno determinate nel dettaglio le modalità attuative dell’intervento e le tipologie di aiuto, le quali dovranno comunque prevedere una quota di contributo non superiore al 50% dei costi sostenuti dall’impresa.
La disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato a favore della ricerca e dello sviluppo è contenuta nella Comunicazione della Commissione UE 96/C, DEL 27 FEBARIO 1996, successivamente modificata dalla comunicazione 98/C 48/02. In data 28 febbraio 2001, la Commissione ha deciso di prorogare il periodo di validità dell'applicazione dell'attuale disciplina degli aiuti destinati alla ricerca e allo sviluppo fino al 30 giugno 2002 (GU C 78 del 10 marzo 2001). Infine, in data 8 maggio 2002, la Commissione ha disposto una ulteriore proroga della disciplina suddetta al 31 dicembre 2005 (GU C 111 dell'8 maggio 2002).
Ai sensi di detta disciplina non rientrano tra gli aiuti di Stato:
a) gli aiuti alle attività di R&S da parte di istituti di istruzione superiore e di enti pubblici di ricerca non aventi scopo di lucro;
b) le attività di R&S commissionate alle imprese da autorità pubbliche a condizioni di mercato. Disposizioni particolari si applicano a: costruzioni navali, industria siderurgica e automobilistica.
La comunicazione fissa anche le definizioni relative a: ricerca fondamentale (attività che mira all'ampliamento delle conoscenze non connesse ad obiettivi industriali e commerciali); ricerca industriale (ricerca pianificata mirante ad acquisire nuove conoscenze utili per la messa a punto di nuovi prodotti, processi produttivi o servizi e comportare in miglioramento di essi); attività di sviluppo precompetitivo (concretizzazione dei risultati della ricerca industriale in un piano o progetto o disegno per prodotti nuovi, modificati o migliorati).
Tra i costi ammissibili sono compresi: le spese per il personale adibito esclusivamente all'attività di ricerca; i costi di attrezzature, strumenti, terreni, edifici, utilizzati esclusivamente e permanentemente per l'attività di ricerca; costi di servizi di consulenza esterni; spese supplementari e altri costi d'esercizio imputabili direttamente all'attività di ricerca. La comunicazione fissa anche il massimale d'aiuto, e stabilisce che in caso di aiuti alle grandi imprese occorre dimostrare che esso ha un reale effetto di incentivazione sull'attività di ricerca e sviluppo dell'impresa. Infine, per ciascun regime di aiuto si richiede una relazione annuale di attuazione.
Da ultimo, si segnala che il regolamento (CE) n. 364/2004 (pubblicato in GUCE L 63 del 28 febbraio 2004), recante modifica del regolamento (CE) n. 70/2001 (relativo all'applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti di Stato a favore delle piccole e medie imprese) ha disposto l'estensione del campo d'applicazione di tale regolamento agli aiuti alla ricerca e sviluppo.
Il provvedimento si colloca nel quadro fissato dal Consiglio europeo di Barcellona, volto a raggiungere entro il 2010 l'obiettivo del 3% del PIL in investimenti in Ricerca e Sviluppo, a fine di rendere l'economia europea la più competitiva e dinamica del mondo.
Con il regolamento in oggetto si è provveduto pertanto ad estendere l'esenzione dell'obbligo di notifica a tutti gli aiuti di Stato disposti a favore delle PMI che investano in ricerca. Tale esenzione è giustificata dalle caratteristiche peculiari del settore e dalle disparità strutturali esistenti tra le varie Regioni in seno all'UE, nonché dall'esigenza di apportare gli opportuni adeguamenti in direzione di uno sviluppo improntato al progresso dell'economia nel suo complesso. Nella vigente disciplina comunitaria, quindi, la Commissione, ritenendo che gli aiuti alla ricerca e sviluppo incentivino le PMI ad investire maggiormente nella R&S, ha deciso di esentare, a talune condizioni, tali aiuti di Stato dall’obbligo di notifica preventiva, tenuto anche conto del fatto che tali sussidi comportano effetti negativi trascurabili in termini di effetti concorrenziali distorsivi. Ciò vale anche per gli aiuti a favore degli studi di fattibilità e per gli aiuti a copertura dei costi di brevetto, nonché per i singoli aiuti che non superano determinati massimali.
Non tutti gli aiuti alla ricerca e sviluppo a favore delle PMI possono tuttavia essere esentati a norma del regolamento (CE) n. 70/2001.
L’art. 5 bis, dispone, in particolare, che gli aiuti alla ricerca e sviluppo sono compatibili con il mercato comune e non sono soggetti all'obbligo di notificazione quando soddisfano le seguenti condizioni:
a) il progetto sovvenzionato deve rientrare interamente nelle fasi della ricerca e sviluppo definite dal citato articolo 2, lettere h), i) e j).;
b) l'intensità lorda dell'aiuto, calcolata sulla base dei costi ammissibili del progetto, non deve superare: il 100% per la ricerca fondamentale; il 60% per la ricerca industriale; il 35% per l'attività di sviluppo precompetitivo.
Peraltro, qualora un progetto comprenda diverse fasi di ricerca e sviluppo, l'intensità consentita dell'aiuto è stabilita sulla base della media ponderata delle rispettive intensità di aiuto consentite, calcolate sulla base dei costi ammissibili sostenuti. In caso di progetti di collaborazione, l'importo massimo degli aiuti per ciascun beneficiario non deve superare l'intensità consentita calcolata in base ai costi ammissibili sostenuti dal beneficiario in questione.
I citati massimali possono essere aumentati, a concorrenza massima di un'intensità lorda dell'aiuto del 75% per la ricerca industriale e del 50% per l'attività di sviluppo precompetitivo, nei seguenti casi:
a) quando il progetto è realizzato in una regione che, all'epoca della concessione dell'aiuto, è ammessa a beneficiare degli aiuti a finalità regionale;
b) quando il progetto è finalizzato alla realizzazione di ricerche aventi possibili applicazioni multisettoriali ed è centrato su un approccio multidisciplinare conformemente agli obiettivi di un progetto o di un programma specifici avviati in conformità al sesto programma quadro di azioni comunitarie di ricerca e sviluppo tecnologico, di cui alla decisione n. 1513/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio.
L’intensità massima dell'aiuto può essere aumentata di 10 punti percentuali purché il progetto comporti una collaborazione transfrontaliera effettiva tra almeno due partner indipendenti di due Stati membri, oppure qualora il progetto comporti una collaborazione effettiva tra un'impresa ed un ente pubblico di ricerca, in particolare nel contesto del coordinamento delle politiche nazionali in materia di R & S, laddove l'ente pubblico di ricerca sostiene almeno il 10% dei costi ammissibili del progetto e ha il diritto di pubblicare i risultati nella misura in cui derivino dall'attività di ricerca effettuata da tale ente; oppure i risultati del progetto sono oggetto di ampia diffusione o sono pubblicati in riviste scientifiche e tecniche specializzate.
I costi del progetto considerati ammissibili sono definiti dal comma 5 del citato art. 5 bis, e tra essi rientrano le spese di personale, i costi della strumentazione e dei fabbricati e dei terreni utilizzati per il progetto di ricerca, nonché i costi dei servizi di consulenza e i costi d'esercizio, inclusi quelli dei materiali, delle forniture e di prodotti analoghi, direttamente imputabili all'attività di ricerca.
L’articolo 5-ter reca la specifica disciplina degli aiuti per gli studi di fattibilità tecnica, disponendo che tali studi, compiuti in preparazione delle attività di ricerca industriale o delle attività di sviluppo precompetitivo, sono compatibili con il mercato comune e non sono soggetti all'obbligo di notificazione quando l'intensità lorda dell'aiuto, calcolata sulla base dei costi degli studi, non supera il 75%.
Ai sensi del comma 4, le domande di finanziamento a valere sui fondi di cui ai commi precedenti, debbono essere valutate entro 3 mesi (anziché sei come previsto nel testo originario) dalla presentazione ed i relativi contributi sono erogati entro tre mesi dalla data di approvazione (anche questo termine è stato ridotto dalla Commissione Bilancio).
Il comma 5 destina una quota non inferiore al 30% delle risorse del FIT alla concessione di agevolazione a favore di programmi per lo svolgimento di attività di sviluppo precompetitivo svolti da PMI localizzate nelle aree in ritardo di sviluppo ammissibili alla deroga di cui all’art. 87, par. 3, lett. a) del Trattato istitutivo della Comunità europea, individuate dalla Carta italiana degli aiuti a finalità regionale per il periodo 2000-2006 e dalla Carta che sarà approvata per il periodo successivo.
Fermo restando quanto evidenziato in ordine agli aiuti di stato alle PMI per le attività di ricerca e sviluppo, si ricorda, in via generale, che l'art. 87, paragrafo 1, del Trattato ritiene "incompatibili con il mercato comune, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza". Rispetto a tale divieto generale, sono tuttavia ammesse alcune deroghe di pieno diritto (paragrafo 2) ovvero deroghe eventuali (paragrafo 3). Queste ultime possono riguardare in particolare: regioni in ritardo di sviluppo (lett. a) e lo sviluppo di talune attività o regioni (lett. c).
Segnatamente, l’art. 87, paragrafo 3, lettera a), riguarda “gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione”.
Per quanto riguarda l'articolo 87, paragrafo 3, lettera a), la deroga si applica a regioni del livello II della NUTS[86] con un Prodotto Interno Lordo (PIL) pro capite calcolato in standard di potere d'acquisto inferiore al 75% della media UE. Si tratta quindi di regioni svantaggiate rispetto alla media europea. In questo senso, esse corrispondono alle regioni individuate dall'Obiettivo 1 dei Fondi strutturali.
Per quanto riguarda l’Italia, la Carta degli aiuti a finalità regionale relativa alle regioni meridionali ammesse alla deroga di cui all’articolo 87.3.a) (Basilicata, Campania, Puglia, Calabria, Sardegna e Sicilia) è stata approvata dalla Commissione con la decisione del 13 marzo 2000 (GUCE 24 giugno 2000, C 175).
Il comma 6 rinvia ad un decreto del Ministro delle attività produttive la determinazione, con cadenza annuale, delle quote del FIT da destinare agli interventi previsti dai precedenti commi 2 e 3 dell’articolo in esame. Lo stesso decreto provvederà, altresì, a determinare la quota da destinare agli interventi previsti dal comma 270, art. 1, della legge 311/04 (legge finanziaria 2005) il quale, come accennato, estende il campo d’intervento del Fondo speciale rotativo per l'innovazione tecnologica alle imprese operanti nel settore del commercio, del turismo e dei servizi, a sostegno dei relativi processi di innovazione.
Si segnala che nell’ambito degli interventi recentemente adottati al fine di promuovere la ricerca e lo sviluppo si collocano le disposizioni di cui all’art. 6 (commi 1-5) del decreto legge n. 35/2005, recante “Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale”, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80 del 2005.
Le disposizioni citate destinano ai fini del sostegno alle attività di ricerca una specifica una quota del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese, istituito dalla legge finanziaria per il 2005 (L. n. 311/05, art. 1, co. 354-361), il quale, a seguito di modifiche previste dallo stesso articolo 6, ha assunto la denominazione di “Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e agli investimenti alla ricerca”.
In particolare, il comma 1 del citato articolo 6 destina una quota pari ad almeno il trenta per cento del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese al sostegno di attività, programmi e progetti strategici di ricerca e sviluppo delle imprese, da realizzare anche congiuntamente a soggetti della ricerca pubblica, ivi compresi l'Istituto superiore di sanità, l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro e gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) pubblici e privati, nonché gli IRCCS trasformati in fondazioni.
Inoltre, il comma 3 del medesimo articolo, novellando alcuni commi dell'articolo 1 della legge finanziaria 2005, interviene sull’utilizzo complessivo del Fondo citato, individuando come prioritari i progetti di investimento relativi: agli interventi finalizzati a innovazioni, attraverso tecnologie digitali, di prodotti, servizi e processi aziendali; a programmi di innovazione ecocompatibile finalizzati al risparmio energetico; alla realizzazione dei corridoi multimodali transeuropei e delle reti infrastrutturali marittime, logistiche ed energetiche a essi collegate.
Va infine ricordato, per la stretta attinenza con le disposizioni in esame, come ai sensi del successivo comma 4 le risorse finanziarie di cui al comma 1 debbano essere destinate prioritariamente a favorire:
§ la realizzazione di programmi strategici di ricerca, che coinvolgano prioritariamente imprese, università ed enti pubblici di ricerca, a sostegno sia della produttività dei settori industriali a maggiore capacità di esportazione o ad alto contenuto tecnologico, sia della attrazione di investimenti dall'estero e che comprendano attività di formazione per almeno il dieci per cento delle risorse;
§ la realizzazione o il potenziamento di distretti tecnologici, da sostenere congiuntamente con le regioni e gli altri enti nazionali e territoriali;
§ gli investimenti in ricerca delle imprese, con particolare riferimento alle imprese di piccola e media dimensione, per il sostegno di progetti di ricerca industriale e sviluppo precompetitivo proposti dalle imprese stesse.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Nell’ambito della revisione intermedia della strategia di Lisbona, il 6 aprile 2005 la Commissione europea ha presentato una proposta di decisione recante un programma quadro per l’innovazione e la competitività (2007-2013) (COM(2005)121) che raggruppa alcuni programmi specifici preesistenti in un’unica struttura a tre pilastri:
- programma per l’innovazione e l’imprenditorialità;
- programma “Sostegno alla politica in materia di TIC” (tecnologie dell’informazione e della comunicazione);
- programma “Energia intelligente per l’Europa”, volto a sostenere lo sviluppo delle tecnologie dell’ambiente.
Il programma (PIC) introduce nuove azioni di sostegno volte a rafforzare la produttività, la capacità di innovazione e la crescita durevole, la ricerca e lo sviluppo tecnologico. Per quanto concerne, in particolare, le piccole e medie imprese, prevede:
- iniziative per favorire la cooperazione con imprese straniere in tema di innovazione e, in particolare, di eco-innovazione;
- uno strumento di capitale di rischio per le imprese innovative a forte crescita (SIC2);
- la cartolarizzazione del portafoglio dei crediti delle banche a favore delle PMI.
La dotazione finanziaria proposta dalla Commissione è pari a più di quattro miliardi di euro per il periodo considerato.
Il PIC sarà aperto alla partecipazione dei paesi dell’EFTA membri dello Spazio economico europeo (Islanda, Liechtenstein, Norvegia), dei paesi candidati - nei cui confronti si applichi una strategia di preadesione - e dei paesi dei Balcani occidentali. Gli altri paesi terzi, in particolare i paesi vicini e i paesi interessati a una cooperazione con l’Unione europea nelle attività inerenti l’innovazione, potranno partecipare al programma quadro purché sia previsto negli accordi bilaterali.
La proposta, trasmessa al Consiglio e al Parlamento europeo, sarà esaminata secondo la procedura di codecisione. Il Consiglio competitività del 18 aprile 2005 ha preso atto della presentazione del programma; il Consiglio del 10 maggio ha effettuato uno scambio di opinioni invitando il Comitato dei rappresentanti permanenti a continuare l’esame dettagliato della proposta e a riferire sull’andamento dei lavori in una delle prossime riunioni.
Il Parlamento europeo inizierà l’esame in prima lettura nell’ambito della sessione del 13 dicembre 2005.
L’8 febbraio 2005 la Commissione ha presentato la quinta relazione sull’attuazione della Carta europea per le piccole imprese (COM(2005)30) nella quale si individuano i punti di forza e le carenze del settore sia nei paesi dell’UE sia in quelli limitrofi e si fornisce un quadro delle misure di attuazione della Carta.
La Carta europea per le piccole imprese, adottata dal Consiglio affari generali del 13 giugno 2000, ha richiamato gli Stati membri e la Commissione a intraprendere azioni in vari settori per incoraggiare e sostenere le piccole imprese. Sull’attuazione data alle raccomandazioni contenute nella Carta, la Commissione adotta una relazione annuale.
Sulla base della presentazione della citata relazione, il Consiglio competitività del 7 marzo 2005 ha proceduto ad uno scambio di opinioni sull'incentivazione dell'imprenditorialità e ha dichiarato che la relazione contribuisce agli obiettivi della strategia di Lisbona, tenuto conto del ruolo fondamentale che le piccole imprese svolgono nell'accrescere la competitività europea.
7. Per fare fronte alle esigenze relative all'attività amministrativa in materia di proprietà industriale, con particolare riguardo all'evoluzione del sistema nazionale ed internazionale di tutela dei brevetti, nonché alle programmate modifiche di riassetto normativo, per l'anno 2005 è autorizzata la spesa di 2 milioni di euro, da utilizzare secondo criteri e modalità determinati dal Ministro delle attività produttive.
Il comma 7 prevede una autorizzazione di spesa per l’anno 2005, pari a 2 milioni di euro, da destinareal sostegno dell’attività amministrativa svolta nel settore della proprietà industriale, con particolare riferimento all’evoluzione del sistema della tutela brevettale sia a livello internazionale che nazionale e alle “programmate modifiche di riassetto normativo”.
All’utilizzo della somma si provvederà sulla base di criteri e modalità stabiliti dal Ministero delle attività produttive.
Quanto al richiamo alle “programmate” modifiche di riassetto normativo in materia di proprietà industriale, si ricorda la recente entrata in vigore - il 19 marzo 2005 - del “Codice della proprietà industriale” - di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, adottato ai sensi dell’articolo 15 della legge n. 273/02. Il Codice, che ricalca, nella sua struttura, lo schema dell’Accordo Trips (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights), ossia la più estesa convenzione multilaterale che fissa uno standard minimo di tutela della proprietà industriale a livello internazionale, è articolato in 8 Capi, di norma suddivisi in sezioni, e consta complessivamente di 245 articoli, destinati a sostituire, abrogandole in blocco, numerosi leggi e provvedimenti di diverso tipo.
Il Capo VII del Codice è dedicato, in particolare, alla "gestione dei servizi", ed ai "diritti", sia di concessione, sia di mantenimento dei titoli di proprietà industriale, da parte dell'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi. Il riassetto complessivo del sistema della proprietà industriale ha investito dunque anche la struttura istituzionalmente preposta alla gestione dei diritti di proprietà in questione, conformemente a quanto disposto dalla lettera f) dell’articolo 15 della legge di delega, in base al quale il potenziamento di tale struttura comporta altresì l’attribuzione di una autonomia amministrativa, finanziaria e gestionale. In attuazione di tale criterio di delega, il citato Capo VII (artt. 223-230) reca la disciplina della gestione dei servizi diretti a garantire un efficace sistema di tutela della proprietà industriale e dei diritti posti a carico degli utenti dei servizi, definendo i compiti dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi e contemplando una ampia autonomia finanziaria e contabile, fondata sulla percezione di diritti per il compimento di ogni attività prevista nel Codice a tutela della proprietà industriale (conseguimento dei titoli di proprietà, concessioni, opposizioni, trascrizioni, rinnovo e mantenimento in vita dei titoli).
Tra i compiti assegnati all’Ufficio rientrano anche :
a) creazione e gestione di banche dati e diffusione delle informazioni brevettali;
b) promozione della preparazione tecnico-giuridica del personale della PA operante nel campo della proprietà industriale e della innovazione tecnologica e di coloro che svolgono o intendono svolgere la professione di consulente in materia;
c) promozione della cultura e dell'uso della proprietà industriale presso i potenziali utenti, con particolare riferimento alle PMI e alle zone in ritardo di sviluppo;
d) effettuazione di studi, ricerche, indagini e pubblicazioni in materia di proprietà industriale e sviluppo di indicatori brevettuali per l'analisi competitiva dell'Italia, in proprio o in collaborazione con amministrazioni pubbliche, istituti di ricerca, associazioni, organismi internazionali;
e) effettuazione di prestazioni a titolo oneroso di servizi non istituzionali a richiesta di privati, a purché compatibili con la funzione.
L’entità dei diritti è determinata con provvedimento del Ministro per le Attività Produttive di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze.
Nella relazione governativa che accompagna il disegno di legge si sottolinea lo stretto collegamento tra i possibili investimenti in ricerca ed innovazione tecnologica e la tutela giuridica dei risultati, che costituisce l’equa ricompensa delle risorse finanziarie e intellettuali investite, lamentando, al contempo, l’assenza di una vera “cultura brevettale“ presso le imprese italiane, legata spesso alle dimensioni imprenditoriali. Da ciò discenderebbe la scarsa propensione alla ricerca e la limitata brevettazione dei relativi risultati, con le conseguenti ricadute negative in termini di difesa della proprietà industriale, a cui la disposizione in esame intende provvedere con lo stanziamento aggiuntivo di 2 milioni di euro.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Brevetti comunitari
Tra le priorità della Commissione e del Consiglio rientra l’approvazione della proposta di regolamento sul brevetto comunitario (COM(2000)412), del 1° agosto 2000, che mira alla creazione di un sistema di brevetto unico valido in tutta l’Unione europea, rilasciato dall’Ufficio europeo dei brevetti, al fine di ridurre i costi per le imprese e incoraggiare l’innovazione.
La proposta, che segue la procedura di consultazione, è stata esaminata dal Parlamento europeo il 10 aprile 2002. Dopo aver raggiunto un accordo politico di massima il 3 marzo 2003, il 26 novembre 2003 il Consiglio ha esaminato il testo di compromesso presentato dalla Presidenza italiana. L’ampio accordo raggiunto su questo testo non era tuttavia completo, essendo rimasta in sospeso una specifica disposizione relativa al regime linguistico. Anche il Consiglio Competitività del 17 e 18 maggio 2004 non è riuscito a raggiungere un accordo.
Il 20 febbraio 2000 la Commissione ha presentato la proposta di direttiva sulla brevettabilità delle invenzioni attuate mediante elaboratori elettronici (COM(2002)92) intesa ad armonizzare le normative nazionali in materia di brevetti nel campo informatico. La disciplina, da cui sono esclusi i programmi informatici (protetti dal diritto d’autore), si applica ai “contributi tecnici”, ovvero a quelle invenzioni che migliorano lo stato della tecnica in un determinato settore. La proposta figura tra le priorità per il 2005 della Commissione e del Consiglio, che punta a trovare un accordo finale.
La proposta, che segue la procedura di codecisione, è stata esaminata dal Parlamento europeo in prima lettura il 24 settembre 2003.
Il Consiglio del 7 marzo 2005 ha adottato, a maggioranza qualificata, la posizione comune sulla quale la delegazione spagnola ha espresso voto contrario, mentre le delegazioni austriaca, italiana e belga si sono astenute. La posizione comune è stata trasmessa al Parlamento europeo che dovrebbe esaminare la proposta in seconda lettura nell’ambito della sessione del 6 luglio 2005.
La proposta di direttiva è all’esame, ai sensi dell’art. 126-bis del Regolamento della Camera, delle Commissioni X (Attività produttive) e XIV (Politiche dell’Unione europea).
Articolo 11
(Convenzioni per la gestione di
interventi in favore
delle imprese artigiane)
1. Le convenzioni di cui all'articolo 3, comma 1, della legge 26 novembre 1993, n. 489, e all'articolo 15 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, in essere alla data di entrata in vigore della presente legge, sono prorogate, con atti integrativi delle convenzioni stesse, per un periodo di tempo non superiore alla metà dell'originaria durata.
L’articolo 11 dispone la proroga delle convenzioni, attualmente in vigore, per la gestione di interventi a favore delle imprese artigiane, previste dall’articolo 3, comma 1, della legge n. 489/1993, recante la disciplina della la ristrutturazione degli enti creditizi e dall’art. 15 del D.Lgs 112/98[87].
La proroga è disposta mediante atti integrativi delle stesse convenzioni e la sua durata non può eccedere la metà di quella originariamente fissata.
La legge n. 489/1993 (“Proroga del termine di cui all'articolo 7, comma 6, della legge 30 luglio 1990, n. 218, recante disposizioni per la ristrutturazione e la integrazione del patrimonio degli istituti di credito di diritto pubblico, nonché altre norme sugli istituti medesimi”) che all'articolo 2, comma 1, ha previsto la trasformazione obbligatoria in spa entro il 30 giugno 1994, degli enti creditizi pubblici, all’articolo 3 contiene una disciplina della successione nei rapporti giuridici tra Mediocredito centrale e Artigiancassa e le società per azioni derivanti dalla trasformazione obbligatoria. In particolare, il comma 1 [88]dell’articolo citato, cui rinvia la disposizione in esame, nello stabilire che le spa società derivanti dalla trasformazione succedano nei diritti, nelle attribuzioni e nelle situazioni giuridiche assunti da dagli enti originari, in forza di leggi, provvedimenti amministrativi e contratti, prevede anche che dette società stipulino apposite convenzioni con le amministrazioni competenti, per concessioni decennali, dotandosi, altresì, di distinti organi deliberativi e separate contabilità concernenti tali concessioni. Alla scadenza della concessione, tuttavia, l’amministrazione statale competente non sarà obbligata ad affidare la gestione dei provvedimenti agevolativi esclusivamente ai due istituti, ma dovrà affidarla anche ad una o più società che presentino adeguati requisiti di affidabilità imprenditoriale.
Le suddette provvederanno, altresì, a determinare i compensi e i rimborsi spettanti per la gestione dei provvedimenti agevolativi.
Il D.Lgs 112/1998 (“Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59”), all’art. 15, relativo alle “Agevolazioni alle imprese artigiane”, prevede che le regioni, che provvedono ad incentivare le imprese artigiane sulla base di leggi regionali, subentrino alle amministrazioni dello Stato nei diritti e negli obblighi derivanti dalle convenzioni vigenti alla data di emanazione del medesimo D.Lgs n. 112, stipulate dalle stesse regioni in forza di leggi. L’articolo prevede, altresì che, se necessario, le regioni provvedono alla stipula di atti integrativi alle convenzioni stesse per i necessari adeguamenti (comma 1).
1. A valere sul fondo rotativo di cui all'articolo 2 del decreto-legge 28 maggio 1981, n. 251, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 1981, n. 394, una quota fino a 30 milioni di euro è destinata alla concessione di finanziamenti a piccole imprese, anche artigiane, e loro consorzi, come definite dalla normativa comunitaria in vigore. Le tipologie delle iniziative, volte a sostenere l'internazionalizzazione delle imprese senza prevedere la presenza stabile all'estero con strutture o personale, sono stabilite con delibera del CIPE. I finanziamenti sono concessi per importi fino al 50 per cento del valore dell'iniziativa finanziata e comunque per un valore unitario non superiore a 50 mila euro. Le condizioni dei finanziamenti sono quelle applicate alle operazioni di cui all'articolo 2, comma 1, lettere b) e c), del regolamento di cui al decreto del Ministro del commercio con l'estero 23 marzo 2000, n. 136. Il CIPE può modificare l'importo complessivo destinato al finanziamento delle operazioni di cui al presente comma, in funzione dell'operatività dello strumento.
2. In attesa della unificazione dei fondi rotativi destinati ad operazioni di venture capital di cui all'articolo 9, comma 1-ter, lettera d), della legge 29 luglio 2003, n. 229, introdotto dall'articolo 6 della legge 31 marzo 2005, n. 56, il Comitato di indirizzo e rendicontazione di cui all'articolo 5 del decreto del Vice Ministro delle attività produttive 3 giugno 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 146 del 26 giugno 2003, può, in caso di esaurimento dei fondi destinati ad un'area geografica o a determinate categorie di imprese, autorizzare l'imputazione di singole operazioni su fondi destinati ad altra area geografica o ad altra categoria di imprese.
L’articolo in esame, recante disposizioni in materia di internazionalizzazione delle imprese, dispone, ai sensi del comma 1, che una quota fino a 30 milioni di euro, a valere sul fondo rotativo di cui all’articolo 2 del decreto-legge 28 maggio 1981, n. 251, conv. con modif. dalla legge n. 394/81, sia destinata alla concessione di finanziamenti a piccole imprese, anche artigiane e loro consorzi, così come definite dalla normativa comunitaria.
Si ricorda che l’articolo 2 del D.L. 251/81, recante provvedimenti per il sostegno delle esportazioni italiane, convertito in legge con modificazioni, dalla L. 29 luglio 1981, n. 394 ha istituito presso il Mediocredito centrale un fondo a carattere rotativo destinato alla concessione di finanziamenti a tasso agevolato alle imprese esportatrici a fronte di programmi di penetrazione commerciale in Paesi diversi da quelli delle Comunità europee
Il fondo era originariamente amministrato da un comitato di nomina ministeriale, successivamente soppresso dal comma 7 dell’art. 25 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 143, il quale ha disposto, tra l’altro, che a decorrere dal 1° gennaio 1999, la gestione degli interventi di sostegno finanziario all'internazionalizzazione del sistema produttivo di cui al suddetto decreto-legge 28 maggio 1981, n. 251 è attribuita alla SIMEST S.p.a.
Per quanto concerne le tipologie e le modalità delle garanzie a copertura dei rimborsi del capitale, dei relativi interessi e di altri oneri accessori relativi ai finanziamenti, è intervenuto di recente il comma 6 dell'art. 7, della legge 31 marzo 2005, n. 56, il quale, novellando l’articolo 2, terzo comma, del decreto-legge n. 251/81 in oggetto, ha stabilito che tali tipologie e modalità di garanzia siano determinate dal comitato di cui alla convenzione del 16 ottobre 1998 tra il Ministero del commercio con l'estero e la SIMEST Spa, stipulata ai sensi del citato articolo 25 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143. Le condizioni per la concessione dei finanziamenti di cui all’articolo in esame sono state stabilite con D.M. 22 settembre 1999, n. 467, recante il regolamento in ordine ai criteri e le modalità per la concessione di finanziamenti a tasso agevolato per la realizzazione di programmi di penetrazione commerciale in Paesi diversi da quelli membri dell'Unione europea.
Ai sensi dell’articolo 11 del citato D.M. n. 467, per garantire il rimborso del capitale, dei relativi interessi e di altri oneri accessori, l'impresa beneficiaria del finanziamento, a copertura dei singoli importi da erogare, deve prestare al soggetto gestore una o più delle seguenti tipologie di garanzia, da sottoporre, unitamente alla richiesta di finanziamento, all'approvazione del comitato: fideiussione bancaria, assicurativa, pegno su titoli, o fideiussione dei consorzi di garanzia collettiva fidi convenzionati con il soggetto gestore.
Da ultimo, si ricorda come ai sensi dell’articolo 2, comma 3, del D.L. 251/81, sono ammesse con priorità ai benefici del fondo le richieste relative alle piccole e medie imprese comprese quelle agricole, ai consorzi e raggruppamenti fra le stesse costituiti, e alle società a prevalente capitale pubblico che operano per la commercializzazione all'estero dei prodotti delle piccole e medie imprese del Mezzogiorno. La disposizione dell’articolo in esame si applicano peraltro anche alle imprese alberghiere e turistiche limitatamente alle attività volte ad incrementare la domanda estera del settore.
Per quanto concerne la definizione di piccole e medie imprese, si ricorda come a livello comunitario, a decorrere dal 1º gennaio 2005, sono entrate in vigore le nuove definizioni fissate con la Raccomandazione 2003/361/CE, del 6 maggio 2003, la quale ha sostituito la previgente Raccomandazione 96/280/CE, recepita nel nostro ordinamento con il D.M. 18 settembre 1997. La nuova raccomandazione comunitaria estende il concetto d’impresa ad ogni entità che svolga attività economica, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, incluse dunque le entità che svolgono attività artigianale o altre attività a titolo individuale o familiare, le società di persone o le associazioni che svolgono con regolarità un’attività economica.
La raccomandazione conferma i precedenti limiti dimensionali per quanto riguarda il numero dei dipendenti, provvedendo, invece, a modificare la soglia del fatturato e del totale di bilancio che, per la prima volta, viene indicata anche per le aziende più piccole.
Per essere riconosciuta come PMI l'impresa deve rispettare le soglie relative agli effettivi e quelle relative al totale di bilancio fissate dalla raccomandazione. I nuovi effettivi e soglie finanziarie che definiscono PMI e microimprese sono i seguenti:
- media impresa: occupa meno di 250 persone, realizza un fatturato annuo non superiore ai 50 milioni di euro oppure un totale di bilancio annuo non superiore ai 43 milioni di euro;
- piccola impresa: occupa meno di 50 persone, realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore ai 10 milioni di euro;
- microimpresa: occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di euro
L’art. 2 della raccomandazione consente agli Stati membri di stabilire, in alcuni casi, soglie inferiori rispetto ai valori massimi fissati dalla raccomandazione.
Le tipologie delle iniziative volte a sostenere l’internazionalizzazione delle imprese senza la previsione di una presenza stabile all’estero con strutture o personale, sono rimesse ad una delibera del CIPE.
I finanziamenti sono concessi per importi fino al 50% del valore dell’iniziativa finanziata e comunque per un valore unitario non superiore a € 50.000.
Le condizioni dei finanziamenti sono stabilite con i decreti di cui all’articolo 2, lettere b) e c) del D.M. 136 del 23 marzo 2000, recante il regolamento in ordine ai criteri e alle modalità per la concessione di finanziamenti a tasso agevolato per la realizzazione di studi di prefattibilità e di assistenza tecnica, ai sensi dell'articolo 22, comma 5, lettere a) e b), del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 143.
Il regolamento citato, adottato in attuazione dell'articolo 22, comma 6, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143, fissa la disciplina relativa al finanziamento agevolato delle spese derivanti dalla realizzazione:
a) di studi di prefattibilità e di fattibilità connessi all'aggiudicazione di commesse, comunque denominate, ed eventualmente comprensive delle operazioni di finanziamento, in cui il corrispettivo è costituito, in tutto o in parte, dal diritto di gestire l'opera;
b) di programmi di assistenza tecnica e di studi di fattibilità, collegati ad esportazioni o ad investimenti italiani all'estero.
L’articolo 2 del D.M. n. 136, richiamato dalla disposizione in esame, reca le definizioni; in particolare, la richiamata lettera b) definisce gli studi di prefattibilità, quali valutazioni e analisi i cui costi sono sostenuti dalle imprese allo scopo di definire e selezionare preliminarmente progetti di investimento in Paesi non appartenenti all'Unione europea connessi all'aggiudicazione di commesse, comunque denominate, in cui il corrispettivo è costituito, in tutto o in parte, dal diritto di gestire l'opera; la successiva lettera c) definisce invece gli studi di fattibilità, quali analisi, indagini e valutazioni, i cui costi sono sostenuti dalle imprese allo scopo di elaborare un progetto di esportazione di beni o di servizi, un piano di investimento o di trasferimento di tecnologia, ovvero in relazione all'aggiudicazione di commesse in Paesi non appartenenti all'Unione europea, il cui corrispettivo consiste in tutto o in parte nel diritto di gestire l'opera.
Si osserva come il riferimento contenuto nella norma, ai fini dell’individuazione delle condizioni dei finanziamenti, ai “decreti” di cui all’articolo 2, lettere b) e c) del D.M. n. 136/2000, non appaia congruo, posto che le suddette lettere b) e c) recano esclusivamente talune definizioni adottate ai fini del regolamento, senza fare riferimento ad alcuna tipologia di decreto.
L’ultimo periodo del comma in esame autorizza il CIPE a modificare l’importo complessivo destinato al finanziamento delle operazioni in funzione dell’operatività dello strumento.
Il comma 2 dispone che, in attesa della unificazione dei fondi rotativi destinati ad operazioni di venture capital di cui all’articolo 6, comma 1, lettera d) della legge n. 56 del 31 marzo 2005, il Comitato di indirizzo e rendicontazione, di cui all’articolo 5 del Decreto del Ministero delle Attività Produttive n. 397 del 3 giugno 2003[89] - costituito presso il Ministero delle Attività produttive e avente il compito di definire i criteri generali per l’operatività del fondo rotativo, gestito dalla Simest S.p.a., per il sostegno degli interventi delle piccole e medie imprese italiane nella Repubblica federale di Jugoslavia (ora Stato di Serbia e Montenegro), in Albania, Bosnia e Macedonia - possa, in caso di esaurimento dei fondi destinati ad un’area geografica o a determinate categorie di imprese, autorizzare l’imputazione di singole operazioni su fondi destinati ad altra area geografica o ad altra categoria di imprese.
Si ricorda che il D.M. 31 gennaio 2001 – il quale, ai sensi del citato articolo 5 del D.M. 3 giugno 2003, rimante operante in attesa dell’adozione di un apposito decreto regolante la composizione e i compiti del suddetto comitato - ha previsto, all’articolo 6, la costituzione, presso il Ministero delle attività produttive, di un comitato di indirizzo e rendicontazione, di cui fanno parte un Dirigente del Servizio coordinamento strumenti e studi del Ministero delle attività produttive, che lo presiede, ed altri due dirigenti del Ministero designati dal Ministro e al quale sono invitati a partecipare ai lavori un rappresentante della Simest S.p.a. ed un rappresentante della Finest S.p.a.
Tale comitato, con proprie direttive indirizzate al soggetto gestore (la Simest S.p.a.), definisce i criteri generali per l'operatività del Fondo rotativo destinato alle piccole e medie imprese italiane - ovvero PMI aventi stabile organizzazione in uno Stato dell'Unione europea, controllate da imprese italiane - che acquisiscono quote di capitale di rischio in società o imprese costituite o da costituire nella Repubblica Federale Jugoslava (ora Stato di Serbia e Montenegro), in Albania, Bosnia e Macedonia. Il comitato, inoltre, valuta, e se del caso approva, le proposte del soggetto gestore in merito agli interventi; questi ultimi consistono nell’acquisizione, da parte della Simest S.p.a., a valere sul fondo rotativo, in nome e per conto del Ministero, Dipartimento per l'internazionalizzazione, di una quota fino al ventiquattro per cento del capitale di rischio dell'investimento.
Si ricorda, inoltre, che la citata legge n. 56/05 reca, all’articolo 6, una delega al Governo per il riordino degli enti operanti nel settore dell'internazionalizzazione delle imprese; il comma 1, lettera d) di tale articolo, richiamato dalla disposizione in esame, prevede, tra l’altro, quale criterio direttivo per il suddetto riordino, che tutti i fondi rotativi gestiti dalla SIMEST S.p.a., destinati ad operazioni di venture capital in Paesi non aderenti all'Unione europea, siano unificati in un unico fondo e disciplinati in analogia ai fondi mobiliari chiusi. In attesa dell’esercizio della delega, il comma in esame reca pertanto una disciplina a carattere transitorio, in base alla quale il suddetto Comitato di rendicontazione, in caso di esaurimento dei fondi destinati ad un’area geografica o a determinate categorie di imprese, può autorizzare l’imputazione di singole operazioni su fondi destinati ad altra area geografica o ad altra categoria di imprese.
1. Le disposizioni in materia di reindustrializzazione e di promozione industriale, di cui al decreto-legge 1o aprile 1989, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 maggio 1989, n. 181, e al comma 8 dell'articolo 11 del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, trovano applicazione nei comuni nei cui territori hanno sede gli stabilimenti industriali interessati e nei comuni confinanti, fermo restando che, in ogni caso, gli ambiti territoriali non possono eccedere il territorio della provincia di appartenenza.
L’articolo in esame precisa l’ambito territoriale di applicazione delle disposizioni in materia di reindustrializzazione e di promozione industriale recate dal D.L. n. 120/89 ("Misure di sostegno e di reindustrializzazione in attuazione del piano di risanamento della siderurgia"), convertito con modificazioni dalla legge n. 181/89, e dall’art. 11, comma 8, del D.L. n. 35/05 (conv. con modif. dalla L. n. 80/05).
Si ricorda che il D.L. 1° aprile 1989, n. 120, agli artt. 5-8, ha previsto la realizzazione di un programma speciale di reindustrializzazione delle aree di crisi siderurgica, attuato dalle aziende del gruppo IRI e specificamente rivolto alle zone di Napoli, Taranto, Genova e Terni (aree prioritarie), nonché un programma di promozione industriale esteso anche ad altre aree di crisi siderurgica (Massa, Piombino, Trieste, Lovere, Villadossola), predisposto dalla SPI, società di promozione imprenditoriale controllata dall’IRI, ora confluita in Sviluppo Italia S.p.A. e relativo ad iniziative imprenditoriali nei settori dell'industria e dei servizi, con particolare riferimento a quelle da realizzare in collaborazione con imprenditori privati e con cooperative o loro consorzi [90].
Con l'articolo 73, comma 1, della legge finanziaria 2003 (L. 289/02), si è prevista la possibilità di estendere le misure di cui all'art. 5 del D.L. 120/89 anche ad aree diverse da quelle individuate dallo stesso decreto-legge, nonché alle aree industriali comprese nei territori per i quali sia stato dichiarato o prorogato lo stato di emergenza con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri.
In tale contesto, il comma 265 della legge n. 311/04 cit. (legge finanziaria 2005) ha esteso le misure di reindustrializzazione e di promozione industriale previste dal D.L. n. 120/89, anche ai territori dei comuni di Arese, Rho, Garbagnate Milanese e Lainate (limitatamente, tuttavia, alle aree individuate nell’accordo di programma per la reindustrializzazione dell’area Fiat-Alfa Romeo richiamato nel testo con il rinvio ad un decreto del Presidente della Giunta regionale della Lombardia), nonché al comune di Marcianise (Caserta) e al distretto di Brindisi.
Il comma 266 della legge n. 311 cit., ha previsto inoltre che il programma di reindustrializzazione di cui al precedente comma 265 sia proposto e attuato dal Sviluppo Italia S.p.a., in accordo con le rispettive regioni. Lo stesso comma ha, inoltre, individuato ulteriori tipologie di interventi che dovranno essere ricomprese nel programma. Si tratta di interventi di acquisizione, bonifica e infrastrutture di aree industriali dimesse. (Per quanto concerne Sviluppo Italia Spa, si rinvia alla scheda di commento al precedente comma 5). Ai sensi del successivo comma 267, il programma di reindustrializzazione deve prevedere interventi per la promozione imprenditoriale e per l’attrazione degli investimenti nel settore delle industrie e dei servizi, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 5 del decreto-legge n. 120/89[91]. Si ricorda infine che il comma 268 la legge n. 311/04 ha disposto la concessione di un contributo straordinario per gli interventi di cui ai citati commi da 265 a 267, di 32 milioni di euro per il 2005, 52 milioni per il 2006 e 72 milioni per il 2007.
Il D.L. 14 marzo 2005, n. 35 (Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale), convertito con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80 all’articolo 11, comma 8, richiamato dalla norma in esame, ha previsto l’estensione dell’ambito di applicazione degli interventi di reindustrializzazione e di promozione industriale per le aree in crisi del settore siderurgico, di cui al dal decreto-legge n. 120/89, alle aziende operanti nelle aree di crisi del comparto degli elettrodomestici, nonché ai territori dei comuni individuati con DPCM. L’ampliamento della platea dei soggetti destinatari dei suddetti interventi – volto a concorrere alla soluzione delle crisi industriali - viene effettua entro i limiti del contributo straordinario previsto dal comma 9 dello stesso articolo (50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2005 e 2006, di 85 milioni di euro per il 2007 e di 65 milioni di euro per il 2008), mentre l’estensione ad altri ambiti territoriali dovrà avvenire nel rispetto delle procedure stabilite all'articolo 1, commi 266 e 267, della legge n. 311/04 (L. finanziaria 2005), che hanno affidato a Sviluppo Italia, in accordo con le regioni, la promozione e l’attuazione dei programmi di reindustrializzazione. Ai fini dell'adozione del DPCM si dovrà tener conto degli accordi intervenuti tra Governo, enti territoriali interessati e parti economiche e sociali.
L’articolo in commento stabilisce, in particolare, che l’ambito di applicazione delle citate disposizioni del D.L. n. 120/89 e del D.L. n. 35/05 è circoscritto ai comuni nel cui territorio si trova la sede degli stabilimenti industriali interessati, nonché ai comuni che con essi confinano, purché questi rientrino nella medesima provincia. La disposizione in commento precisa, infatti, che in ogni caso, l’ambito di applicazione degli interventi illustrati non può eccedere il territorio della provincia di appartenenza (dei comuni in cui ha sede lo stabilimento).
1. Le cessioni a titolo gratuito da parte delle imprese di personal computer con eventuali relativi programmi di funzionamento, già interamente ammortizzati e utilizzati da non più di cinque anni come beni strumentali, se effettuate in favore di associazioni e altre organizzazioni non lucrative con scopi solidaristici o sociali, non danno luogo ai fini delle imposte sul reddito a destinazione dei beni a finalità estranee all'esercizio dell'impresa. Possono beneficiare delle donazioni previste dal presente articolo, alle condizioni previste, le organizzazioni non lucrative di utilità sociale di cui all'articolo 10, comma 1, del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, le organizzazioni di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, le organizzazioni non governative riconosciute idonee ai sensi dell'articolo 28 della legge 26 febbraio 1987, n. 49, le società cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, le fondazioni e le associazioni riconosciute aventi per oggetto statutario lo svolgimento o la pro mozione di attività di ricerca scientifica e le associazioni di promozione sociale iscritte nei registri previsti dalla legge 7 dicembre 2000, n. 383, nonché le associazioni di protezione ambientale riconosciute ai sensi dell'articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349.
Il comma 1 dell’articolo 14 esenta dalle imposte sui redditi, dovute dall’impresa cedente, le cessioni a titolo gratuito di elaboratori elettronici (personal computer) con eventuali relativi programmi di funzionamento, già interamente ammortizzati e utilizzati da non più di cinque anni come beni strumentali, se effettuate in favore dei seguenti soggetti:
§ organizzazioni non lucrative di utilità sociale, di cui all'articolo 10, comma 1, del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460;
§ organizzazioni di volontariato, di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266;
§ organizzazioni non governative, riconosciute idonee ai sensi dell'articolo 28 della legge 26 febbraio 1987, n. 49;
§ società cooperative sociali, di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381;
§ fondazioni e le associazioni riconosciute, aventi per oggetto statutario lo svolgimento o la promozione di attività di ricerca scientifica;
§ associazioni di promozione sociale, iscritte nei registri previsti dalla legge 7 dicembre 2000, n. 383;
§ associazioni di protezione ambientale, riconosciute ai sensi dell'articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349.
Ai sensi dell’articolo 86, comma 1, lett. c), e comma 3, del TUIR, le plusvalenze dei beni relativi all'impresa, diversi da quelli al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa, concorrono alla formazione del reddito se i beni vengono destinati a finalità estranee all'esercizio dell'impresa. In tale ipotesi la plusvalenza è costituita dalla differenza tra il valore normale e il costo non ammortizzato dei beni. Pertanto la cessione di un bene già interamente ammortizzato dà luogo ad una plusvalenza pari al valore di mercato del bene al momento della cessione, anche se questa avviene a titolo gratuito.
Questa disposizione potrebbe essere più opportunamente collocata nel TUIR, trattandosi disposizione non transitoria ma destinata a operare permanentemente.
2. Le pubbliche amministrazioni statali, nei rapporti con i cittadini e con le imprese, sono tenute a ricevere, nonché inviare se richiesto, anche in via telematica, nel rispetto della normativa vigente, la corrispondenza, i documenti e tutti gli atti relativi ad ogni adempimento amministrativo che non sia già oggetto di specifica e dedicata procedura informatizzata. A tale fine le pubbliche amministrazioni si avvalgono di beni e servizi informatici e telematici che assicurino l'integrità del messaggio nella fase di trasmissione informatica attraverso la certificazione tramite firma digitale, e la conformità dello stesso all'originale mediante tecnologie che conferiscono validità legale al processo di trasferimento da un supporto all'altro nel rispetto delle vigenti regole tecniche. Le copie su supporto cartaceo, generate mediante l'impiego di mezzi informatici, sostituiscono ad ogni effetto di legge l'originale da cui sono tratte se la conformità all'originale è assicurata dal soggetto incaricato del trasferimento da un supporto all'altro mediante l'utilizzazione di tecnologie che conferiscono validità legale al processo di trasferimento nel rispetto delle regole tecniche di cui all'articolo 71 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.
3. L'obbligo di cui al comma 2 decorre, per ciascuna pubblica amministrazione centrale, dalla data stabilita con decreto del Ministro per l'innovazione e le tecnologie, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro per la funzione pubblica e con il Ministro interessato.
4. Le concessioni di pubblici servizi sono integrate con quanto previsto dalle disposizioni contenute ai commi 2 e 3 a decorrere dalla data stabilita con decreto del Ministro per l'innovazione e le tecnologie, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.
5. Le pubbliche amministrazioni statali, che ancora non ne dispongono, attivano tempestivamente il servizio di ricezione delle trasmissioni telematiche, utilizzando allo scopo le risorse finanziarie già disponibili per le esigenze informatiche.
6. Le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, adottano disposizioni coerenti con quanto previsto nei commi da 2 a 5 nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 29, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241. Dalle disposizioni dei predetti commi non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
I commi da 2 a 6 dell’articolo 14 intervengono su quegli aspetti della politica d’innovazione digitale propugnata dal Governo più strettamente connessi all’attività delle pubbliche amministrazioni, con l’obiettivo di semplificare e accelerare le comunicazioni tra le stesse e i soggetti privati (in particolare: cittadini e imprese).
Il comma 2 dispone infatti che le pubbliche amministrazioni statali intraprendano lo scambio telematico di documenti e atti amministrativi con cittadini e imprese.
Tale previsione si sostanzia in un obbligo di ricevere – e, se richiesto, di inviare – anche per via telematica la corrispondenza, i documenti e tutti gli atti relativi ad ogni adempimento amministrativo.
La disposizione (come peraltro ricordato anche nella relazione governativa al disegno di legge) anticipa quanto previsto nel recente D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, recante il “Codice dell’amministrazione digitale”, adottato sulla base della norma di delega contenuta nell’art. 10 della legge di semplificazione 2001[92] e finalizzato al coordinamento e al riassetto delle disposizioni vigenti in materia di società dell’informazione[93].
Oggetto primario del Codice è costituito dall’uso appropriato, da parte delle pubbliche amministrazioni centrali e locali, delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione al fine di assicurare “la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale”.
In particolare, nel capo I, sezioneII (Diritti dei cittadini e delle imprese), si pone in capo a cittadini e imprese il diritto soggettivo a richiedere ed ottenere l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nei rapporti con le pubbliche amministrazioni centrali e con i gestori di pubblici servizi statali, entro i limiti posti dal codice. Il concetto è ribadito con particolare riguardo alla partecipazione al procedimento amministrativo e al diritto di accesso ai documenti amministrativi, sanciti dalla L. 241/1990, nonché all’invio di atti e documenti: a tale ultimo riguardo si stabilisce che “ogni atto e documento può essere trasmesso alle pubbliche amministrazioni con l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione se formato ed inviato nel rispetto della vigente normativa”(art. 4, co. 2).
Si rinviene, pertanto, un’analogia di disposti normativi tra quest’ultima norma e il testo in commento, al cui riguardo si possono evidenziare le seguenti differenze:
§ il Codice non contempla vincoli o adempimenti ulteriori cui subordinare l’efficacia della previsione di comunicazione telematica con i privati, laddove nel testo in esame essa è condizionata all’adozione di successivi decreti ministeriali (vedi infra);
§ d’altra parte, ai sensi delle disposizioni transitorie e finali in esso contenute (art. 76) l’entrata in vigore del Codice è differita al 1° gennaio 2006.
Si ricorda inoltre che, seppur più genericamente, anche l’art. 3-bis della L. 241/1990[94], recentemente introdotto dalla legge di novella n. 15 del 2005[95], prevede che per conseguire maggiore efficienza nella loro attività, le amministrazioni pubbliche incentivino l’uso della telematica, nei rapporti interni, tra le diverse amministrazioni e tra queste e i privati.
L’accoglimento di due proposte emendative nel corso dell’esame in sede referente[96] ha integrato il comma 2 in esame con alcune precisazioni.
In primo luogo, l’obbligo generale di ricevere e, se richiesto, inviare anche per via telematica gli atti relativi ad ogni adempimento amministrativo fa salve le normative speciali che già prevedano, per determinati adempimenti, una “specifica e dedicata procedura informatizzata” (come avviene, ad es., in materia di adempimenti fiscali).
In secondo luogo, si dispone che le pubbliche amministrazioni si avvalgano, al fine di adempiere all’obbligo di comunicazione per via telematica, di beni e servizi informatici e telematici che assicurino, nella fase di trasmissione informatica:
§ l’integrità del messaggio, attraverso la certificazione tramite firma digitale;
§ la conformità del messaggio all’originale, mediante “tecnologie che conferiscono validità legale” al processo di trasferimento da un supporto all’altro nel rispetto delle vigenti regole tecniche.
La definizione di firma digitale è contenuta nell’art. 1, co. 1, lett. s), del citato Codice dell’amministrazione digitale (peraltro, come si è detto, non ancora entrato in vigore): si tratta di “un particolare tipo di firma elettronica qualificata basata su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, correlate tra loro, che consente al titolare tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l’integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici”.
Si aggiunge infine che le copie su supporto cartaceo, generate mediante l’impegno di mezzi informatici, sostituiscono ad ogni effetto di legge l’originale da cui sono tratte se la conformità all’originale è assicurata dal soggetto incaricato del trasferimento da un supporto all’altro mediante l’utilizzazione di “tecnologie che conferiscono validità legale” al processo di trasferimento, nel rispetto delle regole tecniche di cui all’art. 71 del Codice dell’amministrazione digitale di cui al citato D.Lgs. 82/2005.
Dalla formulazione del comma non emerge con immediatezza se la disposizione è riferita alle sole copie di documenti generate dalle pubbliche amministrazioni o anche a quelle prodotte da privati.
Si pone in ogni caso un’esigenza di coordinamento con quanto già oggi prevede sul punto la disciplina vigente o destinata ad entrare in vigore in materia.
Si ricorda al riguardo che sia il Codice dell’amministrazione digitale (che entrerà in vigore il 1° gennaio 2006) sia il Testo unico in materia di documentazione amministrativa[97] (le cui disposizioni in materia sono destinate a rimanere in vigore sino all’entrata in vigore del Codice) già dispongono, tra l’altro, con formulazione pressoché identica, che “gli atti formati con strumenti informatici, i dati e i documenti informatici delle pubbliche amministrazioni costituiscono informazione primaria ed originale da cui è possibile effettuare, su diversi tipi di supporto, riproduzioni e copie per gli usi consentiti dalla legge” (art. 22, co. 1, Codice; cfr. art. 9, co. 1, T.U.), e che “i duplicati, le copie, gli estratti del documento informatico, anche se riprodotti su diversi tipi di supporto, sono validi a tutti gli effetti di legge, se conformi alle vigenti regole tecniche” (art. 23, co. 2, Codice; cfr. art. 20, co. 1, T.U.).
Ai fini della miglior formulazione del testo, sembra infine opportuno un approfondimento in ordine al significato da attribuire all’espressione “tecnologie che conferiscono validità legale”, considerato che la validità ai fini di legge di un documento non è conferita dal ricorso ad una particolare tecnologia, bensì dal rispetto di requisiti (concernenti la certezza in ordine all’integrità ed alla provenienza del documento) che spetta alla legge medesima fissare, eventualmente anche mediante rinvio all’adozione di determinate regole tecniche.
Quanto al rinvio alle regole tecniche di cui all’art. 71 del Codice dell’amministrazione digitale, si segnala che il co. 1 di tale articolo prevede l’adozione di tali regole con decreti del Presidente del Consiglio o del ministro per l’innovazione e le tecnologie, di concerto con il ministro per la funzione pubblica e con le amministrazioni di volta in volta interessate, sentita la Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali ed il Garante per la protezione dei dati personali. Il comma 2 dell’articolo dispone in via transitoria che, in attesa dell’adozione delle regole tecniche di cui al co. 1, restano in vigore quelle in precedenza adottate nelle materie oggetto del codice.
Ai sensi del comma 3, l’obbligo di trasmissione telematica dei documenti relativi ad adempimenti amministrativi decorrerà, per ciascuna amministrazione centrale, dalla data che sarà fissata dal Ministro per l’innovazione e le tecnologie con proprio decreto, adottato di concerto con il ministro per la funzione pubblica, il ministro dell’economia e delle finanze e il ministro di volta in volta interessato, il quale evidentemente dovrà dar conto dell’effettiva adeguatezza alle trasmissioni telematiche della struttura amministrativa cui è preposto.
Il medesimo obbligo si estende anche ai soggetti concessionari di servizi pubblici: il comma 4 prevede infatti un’integrazione in tal senso delle concessioni di pubblico servizio, a decorrere dalla data che sarà fissata con decreto del ministro per l’innovazione di concerto con quello dell’economia e delle finanze.
L’intervento in esame non dovrà comportare oneri per la finanza pubblica (comma 6, ultimo periodo) per quanto il comma 5 imponga alle amministrazioni statali ancora non attrezzate di attivare celermente il servizio di trasmissione telematica, tale adempimento dovrà essere soddisfatto con le risorse finanziarie già disponibiliper le esigenze informatiche.
Il comma 6 stabilisce che anche le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, dispongano in coerenza con il contenuto dei commi appena esposti.
Tale disposizione potrebbe giustificarsi – ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. l), della Costituzione – qualora fosse intesa quale espressione della competenza statale a determinare i livelli essenziali delle prestazioni pubbliche atti a garantire un adeguato soddisfacimento dei diritti civili e sociali dei cittadini, indipendentemente dal livello di governo territoriale di riferimento.
Lo stesso comma 6, inoltre, richiama espressamente quanto previsto nell’art. 29, co. 2, della L. 241/1990, ovvero l’indicazione che regioni ed enti locali regolino le materie disciplinate dalla L. 241 nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa.
Si ricorda che quanto disposto nei testé descritti commi 2, 3 e 5 dell’art. 14 del testo in esame è stato almeno in parte sostanzialmente riprodotto nel comma 3-quater dell’art. 7 del D.L. 35/2005[98] (convertito in L. 80/2005), comma introdotto nel corso dell’esame parlamentare del relativo disegno di legge di conversione (non sono invece presenti nel decreto-legge le disposizioni recate dai commi 4 e 6, anch’essi sopra illustrati, né quelle oggetto degli emendamenti che hanno integrato il contenuto del comma 2).
È pertanto motivata da finalità di coordinamento normativo la disposizione che, al comma 12 dell’articolo in esame, abroga il citato art. 7, co. 3-quater, del D.L. 35/2005 (cfr relativa scheda di lettura).
7. Il concessionario del servizio postale universale, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, ha facoltà di dematerializzare, nel rispetto delle vigenti regole tecniche, i documenti cartacei attestanti i pagamenti in conto corrente; a tale fine individua i dirigenti preposti alla certificazione di conformità del documento informatico riproduttivo del documento originale cartaceo.
La disposizione in esame consente al concessionario del servizio postale universale di convertire in supporto informatico i documenti cartacei attestanti i pagamenti in conto corrente. Il concessionario è tenuto inoltre ad individuare il responsabile della certificazione di conformità del documento informatico con quello cartaceo.
Il processo deve avvenire senza oneri aggiuntivi per lo Stato.
Com’è noto la società Poste Italiane S.p.A è concessionaria del servizio postale universale, a seguito dell’affidamento operato in tal senso dal D.Lgs. 261/1999[99].
Si ricorda che il D.Lgs. 22 luglio 1999, n. 261 ha disposto che il servizio universale sia affidato alla società Poste Italiane Spa per un periodo, comunque non superiore a quindici anni, da determinarsi dall'autorità di regolamentazione, compatibilmente con il processo di liberalizzazione in sede comunitaria. In attuazione di tale norma, con D.M. 17 aprile 2000 – emanato dal Ministro quale autorità di regolamentazione - è stata confermata la concessione alla società Poste Italiane Spa per un periodo massimo di quindici anni (a decorrere dal 6 agosto 1999).
Con riguardo al processo di informatizzazione nella pubblica amministrazione, si ricorda che con D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 è stato approvato il Codice dell’amministrazione digitale in attuazione della delega contenuta nell’art. 10 della L. 229/2003 (legge di semplificazione 2001). Esso opera una semplificazione e un riassetto della normativa in materia di documento informatico, di firme elettroniche, di pagamenti informatici, prevedendo la facoltà di formare e conservare su supporto informatico libri e scritture.
Articolo 14, commi 8-11
(Trasmissione telematica dei dati
catastali e immobiliari ai comuni ai fini ICI e dell’imposta di bollo)
8. Dopo il comma 6 dell'articolo 10 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, è aggiunto il seguente:
«6-bis. A decorrere dal 1o gennaio 2006, nel caso in cui gli elementi rilevanti ai fini dell'imposta dipendano da atti che hanno dato luogo a registrazione, trascrizione e voltura con le procedure telematiche previste dall'articolo 3-bis del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 463, concernente la disciplina del modello unico informatico, ovvero dipendano da atti e dichiarazioni che hanno dato luogo a trascrizione e voltura automatica o a variazioni catastali nello stato dei beni, i soggetti passivi sono esonerati dall'obbligo di presentazione della dichiarazione o comunicazione, di cui all'articolo 59, comma 1, lettera l), numero 1), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446. Con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per l'innovazione e le tecnologie, d'intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono stabiliti tipologia, termini e modalità di trasmissione telematica dei dati ai comuni interessati, a cura dell'Agenzia del territorio. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, adottato d'intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, sono stabilite le modalità di rimborso da parte dei comuni dei costi sostenuti per la trasmissione telematica dei dati. Con provvedimento del direttore dell'Agenzia del territorio, sono stabilite, sentiti il Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione e l'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), le specifiche tecniche per la trasmissione telematica di dati ai comuni».
9. Al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 463, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) l'articolo 3-bis è sostituito dal seguente:
«Art. 3-bis. - (Procedure telematiche, modello unico informatico e autoliquidazione). - 1. Alla registrazione di atti e denunce, alla presentazione di dichiarazioni di successione, nonché alla trascrizione, all'iscrizione ed all'annotazione nei registri immobiliari ed in altri pubblici registri ed alla voltura catastale, si provvede con procedure telematiche. Con uno o più decreti di natura non regolamentare del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero della giustizia e con il Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie della Presidenza del Consiglio dei ministri, è fissata la progressiva decorrenza dell'applicabilità del primo periodo; la decorrenza è fissata anche con riferimento a determinati soggetti, a specifiche aree geografiche ed a particolari tipologie di atti o fattispecie, tenendo conto dell'effettiva possibilità di utilizzo degli strumenti telematici da parte dei soggetti interessati. Con i medesimi decreti si può provvedere all'eventuale attribuzione di un codice unico immobiliare.
2. Le richieste di registrazione, le note di trascrizione e di iscrizione, le domande di annotazione e di voltura catastale, nonché le denunce, le dichiarazioni ed ogni altra formalità, relative ad atti o fattispecie per i quali è applicabile la procedura telematica, a seguito dell'adozione dei decreti di cui al comma 1, sono presentate su un modello unico informatico da trasmettere per via telematica unitamente a tutta la documentazione necessaria; con i medesimi decreti di cui al comma 1 può essere prevista la presentazione del predetto modello unico su supporto informatico; con lo stesso decreto può essere altresì prevista la data a decorrere dalla quale il titolo è trasmesso per via telematica, anche al fine della presentazione al conservatore dei registri immobiliari, per l'esecuzione delle relative formalità.
3. In caso di presentazione del modello unico informatico per via telematica effettuata dai soggetti di cui all'articolo 10, comma 1, lettera b), del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, le formalità di cui al comma 2 sono eseguite previo pagamento dei tributi dovuti in base ad autoliquidazione. In caso di irregolare funzionamento del collegamento telematico, fermo il predetto obbligo di pagamento, la trasmissione per via telematica è sostituita dalla presentazione su supporto informatico.
4. In caso di presentazione del modello unico informatico per via telematica effettuata da soggetti diversi da quelli di cui all'articolo 10, comma 1, lettera b), del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, le formalità di cui al comma 2 sono eseguite previo pagamento, anche mediante autoliquidazione, dei tributi dovuti, con le modalità da stabilire con decreto di natura non regolamentare del Ministero dell'economia e delle finanze.
5. Per gli atti comportanti annotazione nei registri immobiliari, la presentazione del modello unico informatico può avere ad oggetto, oltre alla eventuale voltura catastale ad essi collegata, la richiesta di registrazione e, anche separatamente, la domanda di annotazione. La formalità di annotazione ed il pagamento dei relativi tributi e diritti vengono eseguiti con le modalità stabilite nel decreto di cui al comma 4.
6. Nell'ipotesi di formalità da eseguire con il sistema del libro fondiario di cui al regio decreto 28 marzo 1929, n. 499, la presentazione del modello unico informatico può avere ad oggetto anche tutte le domande ed istanze finalizzate all'esecuzione di dette formalità, nonché la trasmissione della documentazione necessaria ai fini dell'intavolazione. In tale ipotesi il decreto di cui al comma 1 è adottato anche di concerto con gli enti pubblici territoriali responsabili della tenuta del libro fondiario»;
b) all'articolo 3-ter, comma 1, primo periodo, le parole: «e del versamento» sono sostituite dalle seguenti: «degli atti trasmessi con le procedure telematiche di cui all'articolo 3-bis, nonché del versamento».
10. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di natura non regolamentare sono individuate le voci di tariffa e sono determinati in misura forfetaria gli importi dell'imposta di bollo dovuta sugli atti di cui all'articolo 3-bis del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 463, come sostituito dal comma 9, lettera a), anche tenuto conto degli adempimenti correlati. Il decreto di cui al presente comma deve garantire l'invarianza di gettito complessiva per l'erario.
11. Per l'attuazione del presente articolo è autorizzata la spesa di 3,4 milioni di euro per ciascuno degli anni 2005 e 2006, e 1,8 milioni di euro a decorrere dall'anno 2007.
Il comma 8 dell’articolo 14, introducendo il comma 6-bis nell’articolo 10 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, prevede, con decorrenza dal 1° gennaio 2006, per i soggetti passivi (cittadini e imprese) l’esonero dall’obbligo della presentazione della dichiarazione o della comunicazione airispettivi comuni relativa agli immobili posseduti ai fini della determinazione dell’ICI (imposta comunale sugli immobili).
L’articolo 10 del decreto legislativo n. 504 del 1992, istituivo dell’ICI, stabilisce, al comma 4, che i soggetti passivi devono dichiarare gli immobili posseduti nel territorio dello Stato, con esclusione di quelli esenti dall'imposta, su apposito modulo, entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all'anno in cui il possesso ha avuto inizio; tutti gli immobili il cui possesso è iniziato antecedentemente al 1° gennaio 1993 devono essere dichiarati entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all'anno 1992. La dichiarazione ha effetto anche per gli anni successivi sempreché non si verifichino modificazioni dei dati ed elementi dichiarati cui consegua un diverso ammontare dell'imposta dovuta; in tal caso il soggetto interessato è tenuto a denunziare nelle forme sopra indicate le modificazioni intervenute, entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all'anno in cui le modificazioni si sono verificate.
Successivamente l’articolo 59 del decreto legislativo n. 446 del 1997 ha stabilito che i comuni possono, con proprio regolamento, semplificare e razionalizzare il procedimento di accertamento dell’ICI anche al fine di ridurre gli adempimenti dei contribuenti e potenziare l'attività di controllo sostanziale, prevedendo, tra l’altro, l’eliminazione delle operazioni di controllo formale sulla base dei dati ed elementi dichiarati, con conseguente soppressione dell'obbligo di presentazione della dichiarazione o denunzia, e introduzione dell'obbligo della comunicazione, da parte del contribuente al comune competente, entro un termine prestabilito dal comune stesso, degli acquisti, cessazioni o modificazioni di soggettività passiva, con la sola individuazione dell'unità immobiliare interessata (comma 1, lettera l).
In caso di omessa comunicazione è prevista una sanzione compresa tra 103,29 e 516,46 euro (lire 200.000-1.000.000) per ciascuna unità immobiliare.
Il comma 8 qui commentato prevede l’esonero dalla dichiarazione in caso di:
§ atti soggetti a registrazione, trascrizione e voltura con le procedure telematiche previste dall’articolo 3-bis del decreto legislativo n. 463 del 1997 (c.d. adempimento unico);
§ atti e dichiarazioni che hanno dato luogo a trascrizione e voltura automatica o a variazioni catastali nello stato dei beni.
A tal fine è prevista l’emanazione di un decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per l’innovazione e le tecnologie, d’intesa con la Conferenza Stato-Città, da adottare entro 120 giorni dall’entrata in vigore della presente legge.
Il decreto dovrà stabilire tipologie, termini e modalità di trasmissione telematica dei dati da parte dell’Agenzia del territorio ai comuni interessati.
Un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza Stato-Città, stabilirà le modalità per il rimborso, da parte dei comuni, dei costi sostenuti per la trasmissione telematica dei dati.
Un provvedimento del direttore dell’Agenzia del territorio, sentiti il Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA) e l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), stabilirà le caratteristiche tecniche del sistema per la trasmissione dei dati ai comuni.
Il comma 9 dell’articolo in esame sostituisce l’articolo 3-bis del decreto legislativo n. 463 del 1997[100], recante disposizioni circa le procedure telematiche, modello unico informatico e autoliquidazione.
In particolare il citato articolo 3-bis stabilisce che alla registrazione di atti relativi a diritti sugli immobili, alla trascrizione, all'iscrizione e all'annotazione nei registri immobiliari, nonché alla voltura catastale, si provvede, a decorrere dal 30 giugno 2000, con procedure telematiche.
lI comma 1 ha previsto l’emanazione di un decreto del Ministero delle finanze, di concerto con il Ministero della giustizia, per la progressiva attivazione del servizio, anche limitatamente a determinati soggetti, a specifiche aree geografiche, e a particolari tipologie di atti, nonché l'eventuale attribuzione di un codice unico immobiliare.
Il comma 2 dispone che le richieste di registrazione, le note di trascrizione e di iscrizione nonché le domande di annotazione e di voltura catastale, relative agli atti per i quali è attivata la procedura telematica, sono presentate su un modello unico informatico da trasmettere per via telematica unitamente a tutta la documentazione necessaria. Con lo stesso decreto può essere prevista la presentazione del predetto modello unico su supporto informatico, nonché determinata la data a decorrere dalla quale il titolo è trasmesso per via telematica.
In caso di presentazione del modello unico informatico per via telematica, le formalità sono eseguite previo pagamento dei tributi dovuti in base ad autoliquidazione. In caso di irregolare funzionamento del collegamento telematico, fermo il predetto obbligo di pagamento, la trasmissione per via telematica è sostituita dalla presentazione su supporto informatico (comma 3).
Infine il comma 4 dispone che nei comuni nei quali vige il sistema del libro fondiario di cui al regio decreto 28 marzo 1929, n. 499, la presentazione del modello unico informatico rileva unicamente per gli adempimenti connessi alla registrazione e alla voltura catastale.
In attuazione di tale disposizione è stato emanato il decreto interministeriale 13 dicembre 2000, con cui è stato approvato il modello unico informatico e sono state disciplinate le modalità tecniche necessarie per la trasmissione dei dati per gli adempimenti in materia di atti immobiliari. Con successivi provvedimenti interministeriali del 1° agosto 2002, del 18 aprile 2003 e del 9 giugno 2004 è stata disposta la progressiva estensione del regime di obbligatorietà a tutti i distretti notarili relativamente agli atti di compravendita di immobili (registrazione, trascrizione e voltura) e l’estensione del regime di facoltatività del modello unico informatico ad ulteriori tipologie di atti.
Il comma 9 in esame, alla lettera a), sostituisce l’articolo 3-bisdel decreto legislativo n. 463 del 1997, estendendo l’utilizzo delle procedure telematiche attraverso il modello unico informatico anche ad altri pubblici registri, oltre a quelli immobiliari.
A tal fine è prevista l’emanazione di uno o più decreti di natura non regolamentare del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero della giustizia e con il Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie della Presidenza del Consiglio dei ministri, che fisseranno la progressiva decorrenza dell'applicabilità anche con riferimento a determinati soggetti, a specifiche aree geografiche e a particolari tipologie di atti o fattispecie, tenendo conto dell'effettiva possibilità di utilizzo degli strumenti telematici da parte dei soggetti interessati.
I medesimi decreti potranno anche provvedere all'eventuale attribuzione di un codice unico immobiliare (comma 1).
A seguito dell'adozione di tali decreti, il comma 2 del nuovo articolo 3-bis estende l’utilizzo del modello unico informatico da trasmettere per via telematica (e anche su supporto informatico) unitamente a tutta la documentazione necessaria alle denunzie, dichiarazioni e ogni altra formalità relative ad atti o fattispecie per i quali è applicabile la procedura telematica (oltre alle richieste di registrazione, note di trascrizione e di iscrizione, domande di annotazione e di voltura catastale, per le quali è già prevista tale procedura).
Inoltre il comma 2 prevede la possibilità che i decreti fissino la data a decorrere dalla quale il titolo è trasmesso per via telematica, anche al fine della presentazione al conservatore dei registri immobiliari, per l'esecuzione delle relative formalità.
Rispetto alla legislazione vigente, il successivo comma 3 prevede il pagamento dei tributi dovuti in base ad autoliquidazione in caso di presentazione del modello unico informatico per via telematica effettuata da notai, ufficiali giudiziari, segretari o delegati della pubblica amministrazione e altri pubblici ufficiali per gli atti da essi redatti, ricevuti o autenticati (soggetti indicati all'articolo 10, comma 1, lettera b), del D.P.R. n. 131 del 1986). In caso di irregolare funzionamento del collegamento telematico, fermo il predetto obbligo di pagamento, la trasmissione per via telematica è sostituita dalla presentazione su supporto informatico.
Ai sensi del comma 4, qualora la presentazione del modello unico informatico per via telematica viene effettuata da altri soggetti, è prevista l’emanazione di un decreto di natura non regolamentare del Ministero dell'economia e delle finanze che definirà le modalità di pagamento dei tributi dovuti, anche mediante autoliquidazione.
Il comma 5 stabilisce che per gli atti comportanti annotazione nei registri immobiliari, la presentazione del modello unico informatico può avere ad oggetto, oltre alla eventuale voltura catastale ad essi collegata, la richiesta di registrazione e, anche separatamente, la domanda di annotazione. La formalità di annotazione ed il pagamento dei relativi tributi e diritti vengono eseguiti con le modalità stabilite nel decreto previsto dal precedente comma 4.
Il comma 6 del nuovo articolo 3-bis sostituisce le disposizioni contenute al comma 4 del testo vigente relativamente alle formalità da eseguire con il sistema del libro fondiario (regio decreto n. 499 del 1929). In tal caso la presentazione del modello unico informatico può avere ad oggetto anche tutte le domande ed istanze finalizzate all'esecuzione di dette formalità, nonché la trasmissione della documentazione necessaria ai fini dell'intavolazione. In tale ipotesi il decreto di cui al comma 1 è adottato anche di concerto con gli enti pubblici territoriali responsabili della tenuta del libro fondiario.
La lettera b) del comma 9 in esame modifica l’articolo 3-ter del decreto legislativo n. 463 del 1997 relativo alle procedure di controllo sulle autoliquidazioni, ricomprendendovi anche gli atti trasmessi con le procedure telematiche previste dal precedente articolo 3-bis, come modificato dal disegno di legge in esame.
Il comma 10 dell’articolo in esame prevede l’emanazione di un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di natura non regolamentare che individua le voci di tariffa e determina in misura forfetaria gli importi dell'imposta di bollo dovuta sugli atti di cui all'articolo 3-bis del decreto legislativo n. 463 del 1997, come sostituito dal precedente comma 9, anche tenuto conto degli adempimenti correlati.
Il decreto deve garantire l'invarianza di gettito complessiva per l'erario.
Infine, il comma 11 reca l’autorizzazione di spesa per gli interventi attuativi del presente articolo.
La spesa autorizzata è di 3,4 milioni di euro per ciascuno degli anni 2005 e 2006, e di 1,8 milioni di euro a decorrere dall'anno 2007.
Articolo 14, comma 12
(Abrogazione di disposizioni del D.L. n.
35 del 2005)
12. I commi 3-ter e 3-quater dell'articolo 7 del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, sono abrogati.
Il comma 12 dell’articolo 14 abroga i commi 3-ter e 3-quater dell’articolo 7 del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.
Il comma 3-ter, che si prevede di abrogare, concede esenzione fiscale per la cessione di elaboratori elettronici (personal computer) da parte delle imprese a loro dipendenti, escludendo che questa dia luogo a reddito per il dipendente.
L’articolo 7, comma 3-ter, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, prevede che non dà luogo a reddito in natura[101], ai fini delle imposte sui redditi, la cessione di personal computer, e degli eventuali relativi programmi di funzionamento, da parte di imprese ed enti, soggetti all’imposta sul reddito delle società (IRES)[102], in favore di lavoratori dipendenti.
La cessione deve avvenire nello stesso esercizio nel quale i beni ceduti sono stati acquistati e il corrispettivo della cessione deve essere pari al prezzo di acquisto (prezzo che si suppone inferiore a quello di mercato). La norma non richiede espressamente che tra l’impresa o l’ente e il lavoratore dipendente intercorra un rapporto di lavoro subordinato, ma la necessità di escludere l’esistenza di un reddito in natura sorge esclusivamente in presenza di tale tipo di rapporto[103].
Il riferimento ai soggetti IRES esclude l’applicabilità della disposizione ai lavoratori dipendenti dallo Stato e dagli enti pubblici, di cui all’articolo 74, comma 1, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR)[104].
Il presente articolo 14, al comma 1 del testo base, riproduceva testualmente la disposizione testé illustrata, abrogando, al comma 14 (ora comma 12 in esame), la corrispondente norma del decreto-legge n. 35 del 2005, senza quindi apportare sostanziali modificazioni all’ordinamento. Poiché il comma 1 è stato soppresso in seguito all’approvazione di un emendamento nel corso dell’esame da parte delle Commissioni riunite I e V della Camera dei deputati, mentre è stata mantenuta la disposizione abrogativa contenuta nel presente comma, ne consegue che, all’entrata in vigore del disegno di legge, l’esenzione fiscale prevista cesserà di avere efficacia.
Potrebbe essere opportuno valutare la previsione di disposizioni transitorie per le imprese che, facendo affidamento sull’agevolazione introdotta, abbiano assunto impegni contrattuali per l’acquisto di elaboratori da cedere ai propri dipendenti ma non abbiano compiuto la cessione a questi ultimi alla data in cui la norma agevolativa cesserà di avere efficacia.
Il comma 3-quater dello stesso articolo 7 del decreto-legge n. 35 del 2005, che si prevede parimenti di abrogare, contiene disposizioni riguardanti la stessa materia disciplinata dai commi 2, 3 e 5 dell’articolo 14 del progetto di legge (si veda la relativa scheda di lettura), concernenti il ricorso allo strumento informatico per semplificare le comunicazioni tra le pubbliche amministrazioni e tra queste e i cittadini.
Articolo 14, comma 13
(Rimborso IVA per i soggetti operanti con
regime monofase)
13. Ai fini di cui all'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, i soggetti operanti con regime monofase si intendono ricompresi nell'ambito di cui alla lettera a) del secondo comma del predetto articolo 30.
Il comma 13 dell’articolo 14 riguarda il campo di applicazione dell’articolo 30, secondo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, il quale individua le fattispecie nelle quali il contribuente può chiedere, in tutto o in parte, il rimborso dell’eccedenza di IVA detraibile, anziché computare l’importo in detrazione per l’anno successivo, come previsto in via generale dal primo comma dello stesso articolo 30.
Ai sensi del citato articolo 30, secondo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, il rimborso dell’IVA risultante a credito può essere richiesto, all’atto di presentazione della dichiarazione annuale, solamente se di ammontare superiore a 5 milioni di lire (pari a 2.582,28 euro) e se derivante da una delle seguenti situazioni:
a) esercizio, esclusivo o prevalente, di attività che comportano l'effettuazione di operazioni soggette ad imposta con aliquote inferiori a quelle dell'imposta relativa agli acquisti e alle importazioni[105]. L’articolo 3, comma 6, del D.L. 28 giugno 1995, n. 250, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1995, n. 349, ha specificato che il rimborso può essere richiesto se l'aliquota mediamente applicata su tutti gli acquisti e su tutte le importazioni, supera quella mediamente applicata su tutte le operazioni effettuate, maggiorata del 10 per cento;
b) effettuazione di operazioni non imponibili, di cui agli articoli 8, 8-bis e 9 del D.P.R. n. 633 del 1972, per un ammontare superiore al 25 per cento dell'ammontare complessivo di tutte le operazioni effettuate;
c) acquisto o importazione di beni ammortizzabili, nonché di beni e servizi per studi e ricerche, limitatamente all’imposta relativa a tali acquisti;
d) effettuazione prevalente di operazioni non soggette all’imposta per mancanza del requisito della territorialità di cui all’articolo 7 del D.P.R. n. 633 del 1972;
e) nomina, ai sensi dell’articolo 17, secondo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, da parte di un soggetto non residente, di un proprio rappresentante fiscale residente nello Stato, per l’assolvimento di tutti gli adempimenti in materia di IVA
Al di fuori delle ipotesi sopra elencate, il contribuente può chiedere il rimborso se dalle dichiarazioni dei due anni precedenti risultano eccedenze detraibili; in tal caso il rimborso può essere richiesto per un ammontare comunque non superiore al minore degli importi delle predette eccedenze.
Il rimborso può infine essere richiesto, senza limiti di importo, in caso di cessazione dell’attività (articolo 30, comma primo, del D.P.R. n. 633 del 1972).
La norma qui illustrata ammette comunque al rimborso dell’eccedenza di IVA detraibile, se di importo superiore a 5 milioni di lire (pari a 2.582,28 euro), i soggetti nei confronti dei quali l'applicazione dell'IVA avviene con regime monofase.
Il regime c.d. monofase[106] è disciplinato dai primi tre commi dell’articolo 74 del D.P.R. n. 633 del 1972, che prevedono l’assolvimento dell’IVA direttamente alla fonte, sul prezzo di vendita al pubblico del bene e servizio, senza ulteriore applicazione dell’imposta stessa nelle fasi successive, le quali sono pertanto equiparate (secondo comma) alle operazioni non imponibili[107] di cui all’articolo 3, secondo comma, dello stesso D.P.R. n. 633 del 1972.
Il suddetto regime si applica in alcuni specifici settori, elencati al primo comma del citato articolo 74:
a) sali e tabacchi;
b) fiammiferi;
c) editoria;
d) servizi di telecomunicazione;
e) vendita al pubblico di biglietti dei trasporti pubblici urbani e di documenti di sosta relativi ai parcheggi veicolari.
L’applicazione di questo regime è stata disciplinata, per gli specifici settori indicati, da atti normativi subordinati:
D.M. 6 luglio 1993 (Disciplina, agli effetti dell'imposta sul valore aggiunto, del commercio dei generi da parte dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato – pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 190 del 14 agosto 1993);
D.M. 28 dicembre 1972 (Disciplina agli effetti dell'imposta sul valore aggiunto del commercio dei fiammiferi - pubblicato nel suppl. ord. alla Gazzetta Ufficiale n. 337 del 30 dicembre 1972), e D.M. 4 luglio 1994(Condizioni e modalità di applicazione dell'imposta di fabbricazione sui fiammiferi di provenienza comunitaria – pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 216 del 15 settembre 1994);
D.M. 9 aprile 1993 (Modalità applicative dell'imposta sul valore aggiunto per il commercio di quotidiani, di periodici, di supporti integrativi e di libri – pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 86 del 14 aprile 1993);
D.M. 24 ottobre 2000, n. 366 (Applicazione dell'imposta sul valore aggiunto relativa alle operazioni effettuate nel settore delle telecomunicazioni);
D.M. 5 maggio 1980 (Particolari modalità di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto per la vendita al pubblico, da parte di rivenditori autorizzati, di documenti di viaggio relativi a trasporti pubblici urbani di persone – pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 123 del 7 maggio 1980).
Le predette operazioni non soggette all'imposta sono equiparate agli effetti della disciplina dell’IVA alle operazioni non imponibili [rectius: "non soggette"] ai sensi del terzo comma dell'articolo 2.
Le operazioni non imponibili non rilevano per il computo dell'aliquota media agli effetti della domanda di rimborso, in quanto a tali operazioni non viene applicata alcuna aliquota IVA, mancando alle stesse uno dei presupposti per l'applicazione dell'imposta[108]
Una formulazione più chiara e organica della disposizione potrebbe ottenersi mediante la diretta modificazione del citato articolo 30 del D.P.R. n. 633 del 1972.
1. Le garanzie finanziarie previste dal comma 3 dell'articolo 16, dal comma 4 dell'articolo 17, dal comma 1 dell'articolo 28 e dal comma 5 dell'articolo 30 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni, sono ridotte del 50 per cento per le imprese registrate ai sensi del regolamento (CE) n. 761/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2001, (EMAS) e del 40 per cento nel caso di imprese in possesso della certificazione ambientale ai sensi della norma UNI EN ISO 14001.
2. È fatto salvo l'obbligo da parte delle imprese interessate di integrare le garanzie finanziarie di cui al comma 1 qualora si verifichi una sospensione definitiva della registrazione EMAS o della certificazione ISO 14000.
Il comma 1 dell’articolo 15 dispone la riduzione delle garanzie finanziarie previste nei confronti di determinate categorie di imprese (cosiddette ecocertificate) da alcune disposizioni del decreto legislativo n. 22 del 1997.
Il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 reca disposizioni per l’attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio.
In particolare l’articolo 16, stabilendo che le spedizioni transfrontaliere dei rifiuti sono disciplinate dal regolamento CEE n. 259/93 del Consiglio del 1° febbraio 1993, prevede l’emanazione di un decreto ministeriale che stabilisca, tra l’altro, i criteri per il calcolo degli importi minimi delle garanzie finanziarie da prestare per le spedizioni dei rifiuti, di cui all'articolo 27 del regolamento stesso. A tal fine è stato emanato il decreto del Ministro dell’ambiente del 3 settembre 1998, n. 370, “Regolamento recante norme concernenti le modalità di prestazione della garanzia finanziaria per il trasporto transfrontaliero di rifiuti”.
In particolare l’articolo 1, comma 1, del regolamento stabilisce che le spedizioni di rifiuti comprese nel campo di applicazione del regolamento CEE n. 259/93 e successive modificazioni sono garantite da fidejussione rilasciata a favore dello Stato italiano da aziende di credito o da imprese debitamente autorizzate all'esercizio del ramo cauzioni. La garanzia è finalizzata alla copertura delle eventuali spese sostenute dalla pubblica amministrazione per il trasporto dei rifiuti, comprese le responsabilità derivanti dagli articoli 25 e 26 del regolamento (CEE) n. 259/93, il loro recupero o smaltimento e per i costi diretti ed indiretti per la bonifica dei siti inquinati connessi alle predette operazioni.
Tale previsione era esplicitamente contenuta nell'articolo 27 del regolamento CEE n. 259/93, il quale stabilisce che tutte le spedizioni di rifiuti comprese nel campo di applicazione del regolamento medesimo sono soggette al deposito di una garanzia finanziaria che copra le spese di trasporto nonché le spese di smaltimento o di recupero.
Gli importi minimi di garanzia fidejussoria da prestare a favore dello Stato per le esportazioni di rifiuti sono indicati nell’allegato 3 del decreto ministeriale n. 370 del 1998.
La legge 10 giugno 1982, n. 348 disciplina la costituzione di cauzioni con polizze fidejussorie a garanzia di obbligazioni verso lo Stato ed altri enti pubblici. In particolare si stabilisce che in tutti i casi in cui è prevista la costituzione di una cauzione a favore dello Stato o altro ente pubblico, questa può essere costituita in uno dei seguenti modi:
a) da reale e valida cauzione, ai sensi dell'articolo 54 del regolamento per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato (regio decreto n. 827 del 1924);
b) la fidejussione bancaria rilasciata da aziende di credito;
c) da polizza assicurativa rilasciata da imprese di assicurazione debitamente autorizzata all'esercizio del ramo cauzioni ed operante nel territorio della Repubblica in regime di libertà di stabilimento o di libertà di prestazione di servizi.
Il successivo articolo 17 prevede il ricorso a garanzie finanziarie che devono essere prestate a favore della Regione per la realizzazione e l'esercizio degli impianti previsti dal progetto di bonifica, di messa in sicurezza e ripristino ambientale nel caso di superamento dei limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli, delle acque superficiali e delle acque sotterranee in relazione alla specifica destinazione d'uso dei siti.
Il richiamato comma 5 dell’articolo 30 riguarda le garanzie finanziarie (fidejussione bancaria o polizza fidejussoria assicurativa) prestate per l’iscrizione all'Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti, disciplinata dall’articolo 14 del decreto del Ministro dell’ambiente del 28 aprile 1998, n. 406.
Le indicate garanzie vengono ridotte del 50% per le imprese registrate ai sensi del Regolamento Comunitario 761/2001 (EMAS) e del 40% nel caso di imprese in possesso della certificazione ambientale ai sensi della norma Uni 14001.
Si ricorda che, al fine di favorire il costante miglioramento delle prestazioni ambientali delle imprese e di ridurre il loro impatto ambientale, le imprese possono uniformarsi o alle disposizioni del Regolamento Comunitario 761/2001 (EMAS) sull'adesione volontaria delle imprese del settore industriale a un sistema comunitario di ecogestione e audit oppure adottare, sempre volontariamente, lo standard internazionale ISO sul sistema di gestione ambientale ISO 14001(documento UNI EN ISO 14001, 1996, della quale è stata pubblicata, nel dicembre 2004, la nuova edizione ISO 14001:2004 della norma). L'ISO, (International Standards Organisation) ha, infatti, sviluppato una serie di standard e linee guida nel campo dell'ambiente che sono raggruppate sotto il nome di serie ISO 14000.
L'obiettivo di entrambi gli strumenti di audit ambientale - Regolamento EMAS e il sistema di gestione ambientale ISO 14001 - consiste quindi nel promuovere continui miglioramenti dell'efficienza ambientale delle imprese, mediante:
- la definizione e attuazione di una politica, un programma e un sistema di gestione ambientale in relazione ad un sito;
- la valutazione sistematica, obiettiva e periodica dell'efficienza ambientale (auditing);
- l'informazione al pubblico di questa efficienza ambientale tramite una dichiarazione che contiene informazioni sulle prestazioni ambientali dell'impresa, convalidata da un soggetto o organizzazione indipendente e accreditato esterno all'impresa[109].
In relazione alle norme ISO (norma internazionale) si ricorda, inoltre, che esse, una volta elaborate da uno specifico Comitato Tecnico ISO, il TC 207, vengono adottate dal CEN a livello europeo (norma europea EN). La partecipazione italiana a queste attività è garantita dagli esperti della Commissione Ambiente dell'UNI (Ente Nazionale Italiano di Unificazione), ed in particolare del GL1 "Sistemi di gestione ambientale" per tutte le tematiche relative a sistemi di gestione, audit, prestazioni e comunicazione ambientale e del GL10 "Gestione ambientale di prodotto" per ciò che concerne valutazione del ciclo di vita, etichettatura e progettazione ambientale dei prodotti. Una volta adottata a livello nazionale la norma diventa così anche norma UNI, vale a dire norma nazionale. Tra le norme della serie ISO 14000, troviamo quindi, a livello nazionale, la norma UNI EN ISO 14001 specificatamente riferita ai sistemi di gestione ambientale.
Il comma 2 dispone che viene fatto salvo l’obbligo da parte delle imprese interessate di integrare le garanzie finanziarie previste dal comma precedente, nel caso in cui si debba verificare una sospensione definitiva della registrazione EMAS o della certificazione ISO 14000.
Si ricorda che l’art. 5 del Regolamento EMAS prevede che in ogni Stato membro venga individuato un organismo competente responsabile delle modalità e dei criteri della registrazione EMAS, nonché della relativa cancellazione o la sospensione delle organizzazioni dalla registrazione stessa. Il regolamento prevede infatti che, durante il periodo di validità del certificato EMAS, a seguito di violazioni al regolamento stesso, delle pertinenti disposizioni normative in campo ambientale, o ancora qualora l’azienda utilizzi la dichiarazione ambientale o il logo EMAS a scopi pubblicitari, l’organismo competente a livello nazionale possa deliberare la sospensione o la cancellazione dell’azienda dal Registro. In caso di sospensione vengono fissati i termini entro i quali l’azienda deve adottare le necessarie misure correttive, ed in caso mancata rimozione delle cause che hanno portato alla sospensione o di grave violazione del Regolamento l’organismo delibera la cancellazione del sito dal Registro Emas.
Per l’Italia l'organismo competente per l'esecuzione dei compiti previsti dal Regolamento EMAS è il Comitato Ecolabel-Ecoaudit, istituito con D.M. 2 agosto 1995, n. 413.
Si ricorda, infine, che è all’esame della VIII Commissione (Ambiente) della Camera dei Deputati, la proposta di legge AC 5319, che si propone l’obiettivo di incentivare lo sviluppo e la diffusione delle certificazioni EMAS-ISO14001.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Il 9 novembre 2004 la Commissione ha presentato una relazione (COM(2004) 745) sugli incentivi a favore delle organizzazioni aderenti al sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS). La relazione si prefigge il duplice scopo di informare il Parlamento europeo e il Consiglio sugli incentivi attualmente esistenti negli Stati membri a favore delle organizzazioni aderenti ad EMAS e di far conoscere alle autorità nazionali le diverse prassi seguite nei vari paesi. Inoltre le informazioni contenute nella relazione verranno utilizzate dalla Commissione in occasione della prossima revisione del regolamento (CE) 761/2001 (EMAS), che comporterà fra l’altro l’esame delle disposizioni in materia di incentivi, al fine di ampliarne l’ambito di applicazione e di accrescerne l’efficacia.
Nella prima parte della relazione sono descritti il contesto in cui si iscrive EMAS e i problemi che ancora rimangono da affrontare; successivamente sono elencate le misure incentivanti previste dalle autorità nazionali.
Articolo 16, comma 1, lettera a), numero 1
(Riordino procedure di sdoganamento
delle merci)
1. Al decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 1:
1) al comma 1, dopo le parole: «con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri,» sono inserite le seguenti: «su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le associazioni imprenditoriali,»;
La disposizione in esame modifica il comma 1 dell’articolo 1 del decreto-legge n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni dalla legge n. 80 del 2005, prevedendo che il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di riordino delle procedure amministrative di sdoganamento delle merci, nel rispetto della normativa vigente in materia di servizi di polizia doganale, sia adottato su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le Associazioni imprenditoriali.
Il citato comma 1 prevedeva l’adozione deI decreto entro un mese dalla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 35 del 2005 (17 marzo 2005).
Il decreto dovrà individuare forme di semplificazione e di coordinamento operativo che saranno affidate all'Agenzia delle dogane per le procedure di competenza di altre amministrazioni, salva la disciplina in materia di circolazione in ambito internazionale dei beni culturali prevista dal decreto legislativo n. 42 del 2004.
Le misure di semplificazione dovranno in ogni caso essere informate all'armonizzazione delle metodologie, all'uniformazione o all’unificazione dei procedimenti analoghi, all'informatizzazione delle procedure e al più ampio ricorso alle forme di autocertificazione, in osservanza delle disposizioni vigenti in materia. L’agenzia delle dogane assolverà una funzione di coordinamento delle operazioni che coinvolgono più amministrazioni, anche al fine di ridurre i termini di conclusione dei procedimenti.
1. Al decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 1:
omissis
2) dopo il comma 4 è inserito il seguente:
«4-bis. Nello svolgimento delle attività di sorveglianza del mercato e di lotta alla contraffazione, l'Agenzia delle dogane può effettuare, nell'ambito degli ordinari stanziamenti di bilancio, un monitoraggio a campione sull'importazione in Italia di prodotti fabbricati con metalli preziosi provenienti da Paesi non appartenenti all'Unione europea. Tale monitoraggio si esplica, in particolare, tramite un controllo formale del rispetto del decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 251, e del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 150, e successive modificazioni, verificando che non sia già presente, al momento della importazione, un marchio di identificazione italiano»;
La disposizione in esame prevede l’inserimento di un nuovo comma 4-bis, dopo il comma 4 dell’articolo 1 del DL n. 35/05, diretto a consentire all’Agenzia delle dogane di effettuare, nell’ambito degli ordinari stanziamenti di bilancio, un monitoraggio a campione sull’importazione di prodotti fabbricati con metalli preziosi (platino, palladio, oro e argento), provenienti da paesi extra UE.
Il monitoraggio, svolto nell’ambito delle attività di sorveglianza del mercato e della lotta alla contraffazione, sarà effettuato attraverso un controllo formale del rispetto delle disposizioni del D.Lgs n. 251/99 e del relativo DPR di attuazione n. 150/02, recanti la disciplina attualmente in vigore in materia di titoli e marchi di identificazione dei metalli preziosi, e verificando, altresì, che al momento dell’importazione non risulti già impresso sul prodotto importato un marchio di identificazione italiano.
La disposizione sembra diretta ad intervenire a difesa delle imprese italiane e del c.d. Made in Italy, al fine di tutelare l'arte orafa nazionale e impedire il fenomeno connesso all'importazione di prodotti impropriamente muniti della marchiatura peculiare degli oggetti fabbricati in Italia, ma che, in realtà, risultano realizzati, in imitazione, in Paesi extra Ue.
Come indicato, il decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 251 (di seguito D.Lgs) – adottato sulla base della delega conferita dall'articolo 42 della legge 24 aprile 1998, n. 128[110], – e il decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 150 (di seguito DPR), recante il relativo regolamento di attuazione,[111] costituiscono la disciplina vigente dei titoli e dei marchi di identificazione dei metalli preziosi.
La suddetta disciplina identifica come metalli definiti preziosi sono il platino, il palladio, l’oro e l’argento. Gli oggetti in metallo prezioso e le loro leghe, fabbricati e posti in commercio nel territorio della Repubblica italiana, debbono essere a titolo legale e portare impresso, prima di essere posti in commercio:
§ • il titolo in millesimi del fino contenuto;
§ • il marchio di identificazione dell'azienda produttrice;
E’ vietato l’uso di marchi di identificazione diversi da quelli recati dalle disposizioni in esame (artt. 2 e 4 del D.Lgs.).
Gli oggetti in metallo prezioso legalmente prodotti e commercializzati nei Paesi membri dell'Unione Europea o dello Spazio Economico Europeo, per esser posti in commercio sul territorio della Repubblica Italiana, sono esentati dall'obbligo di recare il marchio di identificazione dell'importatore a condizione che rechino l'indicazione del titolo in millesimi e del marchio di responsabilità previsto dalla normativa del Paese di provenienza o, in sostituzione di quest'ultimo, di una punzonatura avente un contenuto informativo equivalente a quello prescritto dalla norma italiana e che sia comprensibile per il consumatore finale.
Gli oggetti in metallo prezioso importati da Paesi che non siano membri dell'Unione Europea o dello Spazio Economico Europeo, per essere posti in commercio nel territorio della Repubblica Italiana, devono essere a titolo legale, recare l'indicazione in millesimi, riportare il marchio di responsabilità del fabbricante estero ed il marchio di identificazione dell'importatore[112] (art. 5 D.Lgs.).
Il titolo del metallo prezioso contenuto nell'oggetto deve essere espresso in millesimi. I titoli legali da garantire a fusione per ogni parte degli oggetti sono i seguenti:
§ Oro Au 750 - 585 - 375
§ Argento Ag 925 - 800
§ Platino Pt 950 - 900 - 850
§ Palladio Pd 950 - 500
E' consentita la produzione di oggetti con titoli diversi da quelli stabiliti, ai fini sia dell'esportazione fuori dello Spazio economico europeo (paesi UE più Islanda, Norvegia, Liechtenstein), sia di commercializzazione nei Paesi dello Spazio economico europeo, purché tali titoli siano previsti dalla normativa del paese di esportazione (art. 6 del D.Lgs.)
Per ottenere il marchio di identificazione, i fabbricanti, gli importatori ed i venditori di metalli preziosi ne fanno domanda alla Camera di commercio competente in base al territorio in cui la aziende hanno sede legale, la quale tiene il "Registro degli assegnatari dei marchi di identificazione" al quale devono iscriversi:
a) coloro che vendono oro, argento, platino e palladio in lingotti, verghe, laminati, profilati e semilavorati in genere;
b) coloro che fabbricano od importano oggetti contenenti i metalli di cui alla lettera a) (artt. 7 e 14 D.Lgs.)[113].
Il “Registro” trova puntuale disciplina nel capo IV del D.P.R.
La Camera di commercio, non oltre due mesi dalla data di presentazione della richiesta, assegna al richiedente il numero caratteristico del marchio e fa eseguire le matrici recanti le impronte del marchio stesso (art. 10 D.Lgs.). Le matrici sono depositate presso le Camere di Commercio competenti per territorio.
Le aziende assegnatarie del marchio sono tenute ad imprimere sugli oggetti realizzati in metallo prezioso il proprio marchio di identificazione, oltre a quello indicante il titolo del metallo.
Le indicazioni del titolo ed il marchio sono obbligatorie per gli oggetti costituiti in parte di metalli preziosi, ed in parte di sostanze o metalli non preziosi. In questo caso, su questi ultimi devono essere apposte sigle od iscrizioni adatte ad identificarli, secondo quanto stabilito dal regolamento di attuazione (art. 15, co. 2 e artt. 36 e 37 del D.P.R).
E’ vietato comunque imprimere indicazioni di titoli in millesimi ed in carati, nonché altre indicazioni che possano ingenerare equivoci, sugli oggetti di metalli differenti da quelli preziosi, anche se dorati argentati, ovvero placcati (art. 15, co. 1 del D.Lgs.).
I commercianti all'ingrosso e al dettaglio hanno l'obbligo di controllare che la merce acquistata sia rispondente alle indicazioni riportate nei documenti di trasporto o similari, nonché devono accertare la presenza e la leggibilità del marchio d'identificazione e del titolo impressi sugli oggetti (art. 41 DPR). Il rivenditore risponde comunque verso il compratore dell’esattezza del titolo dichiarato, salvo l’azione di rivalsa (art. 16 D.Lgs.).
Marchi tradizionali di fabbrica, o sigle particolari, sono ammessi in aggiunta al marchio di identificazione, ma non devono contenere indicazioni atte ad ingenerare equivoci con il marchio ed il titolo stesso (art. 9 D.Lgs.). Inoltre, a richiesta degli interessati, i metalli e gli oggetti contenenti metalli preziosi possono essere sottoposti a saggio da parte delle Camere di commercio, le quali appongono, sul metallo o sull'oggetto saggiato, apposito marchio per il saggio facoltativo (art. 13 D.Lgs.).
I titolari di marchio provvedono a far fabbricare i punzoni contenenti le impronte dei marchi stessi nelle quantità, misure e tipi loro occorrenti, ricavandoli dalle matrici; i punzoni saranno poi muniti, da parte della Camera di commercio, di uno speciale bollo di autenticazione (art. 11 D.Lgs.; art. 15, co. 1 e 7 e all.to VI del D.P.R.).
Non sono soggetti all'obbligo di apposizione del marchio e del titolo, pur essendo garantiti con modalità previste dal regolamento (artt. 19 e 23 del D.P.R):
a) oggetti di peso inferiore a 1 grammo;
b) semilavorati e lavorati in metalli preziosi e loro leghe per odontoiatria;
c) oggetti di antiquariato (riconosciuti da esperti iscritti nei Ruoli periti ed esperti delle CCIAA);
d) semilavorati e loro leghe, oggetti e strumenti per usi industriali;
e) strumenti ed apparecchi scientifici;
f) monete;
g) medaglie e altri oggetti preziosi fabbricati dalla Zecca dello Stato (che appone un suo marchio speciale);
h) oggetti usati in possesso delle aziende commerciali (descritti nel Registro delle operazioni previsto dall'art. 128 del TULPS[114]);
i) residui di lavorazione;
j) leghe saldanti a base di argento, platino o palladio (art. 12 D.Lgs.).
La vigilanza sulla produzione e sul commercio dei metalli preziosi è esercitata dal personale delle Camere di commercio anche nei confronti di coloro che producono, importano o rivendono oggetti placcati, argentati o rinforzati o di fabbricazione mista (art. 42, co. 1, del DPR).
Il suddetto personale, agli effetti dell'articolo 57 c.p.p.[115], durante l'espletamento e nei limiti del servizio di controllo per l'applicazione delle norme del decreto in commento, è qualificato ufficiale e agente di polizia giudiziaria. Per esercitare le funzioni di agenti e ufficiali di polizia giudiziaria deve comunque aver frequentato con esito positivo un apposito corso teorico-pratico di formazione e, nell'esercizio dell’azione di vigilanza, è tenuto ad esibire una speciale tessera munita di fotografia rilasciata dalla Camera di commercio di appartenenza (art. 42, co. 2 D.P.R; art. 20 D.Lgs.)
Per quanto concerne i laboratori che effettuano il saggio degli oggetti in metallo prezioso e rilasciano le relative certificazioni del titolo, questi devono essere abilitati dalle Camere di commercio [116], o appartenere alle stesse o a loro aziende speciali; devono inoltre offrire garanzie di indipendenza e di qualificazione tecnico professionale, con particolare riferimento al settore orafo argentiero, per la determinazione del titolo dei metalli preziosi.
La vigilanza ed il controllo sui laboratori abilitati sono esercitati dalle Camere di commercio competenti per territorio, secondo le modalità stabilite nel regolamento (art. 18, co. 1, 2 e 5 D.Lgs.).
Al fabbricante o al suo mandatario è data facoltà di chiedere una certificazione aggiuntiva rilasciata dai laboratori suddetti, oppure da un organismo di certificazione accreditato a livello comunitario in base alle normative tecniche vigenti, che risulti rivolto al settore produttivo dei metalli preziosi (art. 19 D.Lgs.).
Ai produttori, importatori e commercianti è fatto divieto di vendere oggetti in metalli preziosi sprovvisti di marchio di identificazione e di titolo legale.
Ai commercianti è inoltre fatto divieto di detenere oggetti di metalli preziosi pronti per la vendita sprovvisti di marchio e del titolo legale. Il divieto non riguarda i prodotti commercializzati nei Paesi membri dell'Unione europea o dello Spazio economico europeo, i prodotti importati da paesi non siano membri dell'Unione europea o dello Spazio economico europeo, nonché i prodotti non soggetti all’obbligo di marchio di identificazione. Per tali prodotti vigono specifiche disposizioni.
I semilavorati su cui non è possibile effettuare la punzonatura del marchio di identificazione e del titolo potranno formare oggetto di scambio solo tra operatori muniti di marchio di identificazione, purché siano contenuti in involucri sigillati portanti il marchio di identificazione e l'indicazione del titolo (art. 24 D.Lgs).
Infine, il quadro sanzionatorio delineato dall’articolo 25 del decreto legislativo risulta incentrato su sanzioni amministrative pecuniarie.
Si ricorda, in relazione alla materia in oggetto, come sia attualmente all’esame in sede referente presso la X Commissione Attività produttive la proposta di legge C. 5383, recante una nuova disciplina dei titoli e dei marchi di identificazione dei metalli preziosi la quale, nella medesima logica sottesa alla disposizione in esame, intende tutelare l'arte orafa nazionale impedendo, tra l’altro, anche il fenomeno connesso all'esportazione di prodotti impropriamente muniti della marchiatura peculiare degli oggetti fabbricatI in Italia, ma che, in realtà, risultano realizzati in Paesi fuori dallo Spazio economico europeo[117].
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Il 6 aprile 2005 la Commissione europea ha avviato una consultazione on line per acquisire le opinioni dei soggetti interessati – privati cittadini ed organizzazioni – in materia di marchi di origine (“Made in”), in vista di un’iniziativa legislativa sull’argomento.
Attualmente sulla maggior parte dei prodotti commercializzati nell’Unione europea non vi è l’obbligo di indicare il nome del paese di origine. Da qualche tempo tuttavia la Commissione europea sta esaminando la possibilità di elaborare in materia una normativa comunitaria. A questo scopo nel dicembre 2003 i servizi della Commissione hanno predisposto un documento di lavoro in cui, dopo aver esaminato la regolamentazione vigente negli Stati membri e nei principali partner commerciali dell’UE, proponevano quattro opzioni: mantenere lo status quo; introdurre una regolamentazione su base volontaria dei marchi d’origine sia per i beni importati sia per i beni prodotti nel territorio dell’UE; introdurre una regolamentazione obbligatoria per tutti i beni (importati o prodotti in casa); introdurre una regolamentazione dei marchi d’origine obbligatoria per i beni importati e volontaria per i beni prodotti in casa. Su queste diverse opzioni si è svolta, tra gennaio e maggio 2004, un’ampia consultazione dei principali soggetti interessati: industrie, associazioni di consumatori, sindacati e organizzazioni non governative. Dopo aver analizzato le diverse indicazioni fornite nel corso del processo di consultazione, nel luglio 2004 la Commissione ha concluso che:
· non sembra esserci un sufficiente sostegno all’introduzione di un marchio d’origine obbligatorio per i beni prodotti nel territorio dell’UE;
· per quanto riguarda i beni importati, si riscontra un’ampia differenza di vedute a seconda del settore manifatturiero: alcuni settori - quali tessile, calzaturiero, abbigliamento, pelletteria, ceramica - manifestano un forte interesse per l’introduzione del marchio d’origine; altri settori esprimono la loro preferenza per il mantenimento dello status quo.
Su questa base la Commissione ha dunque individuato una soluzione di compromesso tra le diverse posizioni manifestate, ipotizzando una normativa comunitaria che imporrebbe un marchio obbligatorio indicante il paese d’origine soltanto per i beni importati nel territorio dell’UE e relativi a specifici settori; l’apposizione del marchio d’origine per i beni prodotti nell’UE avverrebbe, invece, su base volontaria.
La Commissione ha ritenuto comunque di sottoporre l’approccio settoriale così individuato ad un’ulteriore consultazione che, avviata il 6 aprile 2005, si è conclusa il 30 aprile 2005. La consultazione è stata organizzata in tre diversi questionari, a seconda che si rispondesse in qualità di consumatore, di produttore o di dettagliante.
1. Al decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 1:
omissis
3) il comma 6 è sostituito dal seguente:
«6. Il limite massimo di partecipazione della Simest Spa, ai sensi della legge 24 aprile 1990, n. 100, e successive modificazioni, è elevato al 49 per cento per gli investimenti all'estero delle imprese italiane, dai quali derivino la creazione, l'acquisizione di imprese, joint-venture, e che si configurino quali attività aggiuntive a quelle nazionali, accompagnati dall'impegno al mantenimento delle capacità produttive interne. Resta ferma la facoltà del CIPE di variare, con proprio provvedimento, la percentuale della predetta partecipazione»;
La disposizione in esame novella l’articolo 1, comma 6,del recente D.L. n. 35/05, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 80/05, al fine di meglio precisare i presupposti in base ai quali il limite massimo di intervento della Simest S.p.a. per gli investimenti all’estero è elevato al 49 per cento.
In base alla nuova formulazione della norma, al fine di poter fruire dell’incremento del limite di intervento della Società, gli investimenti all’estero “delle imprese italiane” – come specificato dalla disposizione - devono congiuntamente:
a) comportare la creazione, l'acquisizione di imprese, joint-venture;
b) configurarsi quali attività delle imprese aventi carattere aggiuntivo rispetto a quelle nazionali;
c) essere accompagnati “dall’impegno” al mantenimento delle capacità produttive interne.
Come già disposto dalla disciplina vigente, è fatta salva la facoltà del CIPE di variare, con proprio provvedimento, la percentuale della partecipazione della Simest.
Istituita come società per azioni nel 1990 sulla base di quanto previsto dalla legge n. 100 del 1990, la SIMEST - Società italiana per le imprese all'estero - ha iniziato ad essere operativa nel 1991, ed è controllata dallo Stato, che ne detiene il 76 per cento del pacchetto azionario (le quote rimanenti fanno capo a banche, imprese, associazioni imprenditoriali e di categoria).
La missione della Società è la promozione del processo di internazionalizzazione delle imprese italiane e l’assistenza degli imprenditori nelle loro attività all’estero, mediante la partecipazione alle società estere partecipate da imprese italiane (c.d. joint-ventures) ovvero ai consorzi che prestano servizi alle imprese, nonché l’offerta di servizi di assistenza e consulenza e la concessione di garanzie a favore delle imprese presso gli intermediari finanziari.
L'attività della SIMEST è stata potenziata dal decreto legislativon. 143 del 1998, recante "Disposizioni in materia di commercio coi l'estero, a norma dell'articolo 4, comma 4, lettera c), e dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59", attraverso l'introduzione di modifiche alla stessa legge istitutiva che, tra l’altro, hanno riguardato: l’estensione dell’intervento di partecipazione della SIMEST alle società a capitale interamente italiano operanti all’estero e alle imprese con stabile organizzazione in uno Stato UE controllate da imprese italiane; l’aumento della quota di partecipazione ordinaria assumibile dalla SIMEST dal 15 al 25% del capitale sociale; l’attribuzione al CIPE della facoltà di individuare le ipotesi in cui possono essere derogati i limiti massimi indicati dalla legge in relazione alla quota di partecipazione e al termine per la cessione delle partecipazioni; la possibilità per la SIMEST di erogare finanziamenti diretti alle imprese partecipate (anche in cooperazione con istituzioni finanziarie internazionali) ed acquisire partecipazioni in società finanziarie, assicurative, di leasing e di factoring; la trasformazione dell’intervento di credito agevolato in contributo sugli interessi.
In particolare, ai sensi dell’articolo1, comma 2, della legge n. 100/99 la Simest Spa è autorizzata:
a) a promuovere la costituzione di società all'estero da parte di società ed imprese, anche cooperative, e loro consorzi e associazioni, cui possono partecipare enti pubblici economici ed altri organismi pubblici e privati;
b) a partecipare, con quote di minoranza, nel limite del 25 per cento del capitale o fondo sociale della società o impresa oggetto della partecipazione a società ed imprese all'estero, anche già costituite (limite ora elevato, come si è appena visto, al 49 per cento);
c) a sottoscrivere obbligazioni convertibili in azioni e acquistare certificati di sottoscrizione e diritti di opzione di quote o azioni delle società ed imprese di cui alle lettere a) e b), con il limite previsto alla lettera b);
d) a partecipare ad associazioni temporanee di imprese e ad altri accordi di cooperazione tra società ed imprese all'estero, ancora con il limite previsto alla lettera b);
e) ad effettuare, a favore delle società ed imprese partecipate, ogni altra operazione di assistenza tecnica, amministrativa, organizzativa e finanziaria;
f) ad effettuare ricerche di mercato, sondaggi e studi di fattibilità, anche mediante apposite convenzioni, preordinate alla costituzione di società ed imprese all'estero, anche d'intesa con l'Istituto nazionale per il commercio estero (ICE);
g) a rilasciare garanzia in favore di aziende ed istituti di credito italiani o esteri per finanziamenti a soci esteri locali a fronte della loro partecipazione nelle società ed imprese, sempre nel rispetto del limite di cui alla lettera b);
h) a partecipare, in posizione di minoranza, a consorzi e società consortili, fra piccole e medie imprese che abbiano come scopo la prestazione di servizi reali a favore di imprese all'estero ed usufruiscano dei contributi o di altre agevolazioni del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato;
h-bis)a concedere finanziamenti, di durata non superiore ad otto anni, alle imprese o società estere di cui alla lettera b), in misura non eccedente il 25 per cento dell'impegno finanziario previsto dal programma economico dell'impresa o società estera. Tale limite è aumentato al 50% dell'impegno finanziario nel caso in cui i finanziamenti siano erogati a favore delle piccole e medie imprese, come definite dalla Raccomandazione 200/361/CE della Commissione del 6 maggio 2003, recante "Definizione delle microimprese, piccole e medie imprese; le operazioni effettuate su provvista fornita dalla BERS, dalla BEI, dalla IFC o da altri enti sopranazionali sono escluse dall’applicazione dei limiti stabiliti dalla stessa norma con riferimento: alla durata del finanziamento, ai soggetti destinatari e all’impegno previsto dal programma economico dell’impresa o della società estera (lettera così modificata dalla recente legge n. 56/2005, art. 7, co. 1[118]);
h-ter) a partecipare a società italiane o estere che abbiano finalità strumentali correlate al perseguimento degli obiettivi di promozione e di sviluppo delle iniziative di imprese italiane di investimento e di collaborazione commerciale ed industriale all'estero, quali società finanziarie, assicurative, di leasing, di factoring e di general trading;
h-quater) a costituire uno o più patrimoni ciascuno dei quali destinato in via esclusiva ad uno specifico affare (lettera aggiunta dalla legge n. 56/2005, art. 7, co. 2);
h-quinquies) a gestire - in base ad apposite convenzioni con il Ministero delle attività produttive - i fondi di cui al comma 1, art. 25 del D.Lgs. n. 143/98, nonché i fondi rotativi di cui al citato articolo 5, comma 2, lettera c), della legge 21 marzo 2001, n. 84, e quelli istituiti ai sensi dell'articolo 46 della legge 12 dicembre 2002, n. 273 (lettera aggiunta dalla citata legge n. 56/2005, art. 7, co. 2).
L’articolo 25, comma 1, del citato D.Lgs. n. 143/98, ha affidato alla SIMEST, con decorrenza 1° gennaio 1999, la gestione degli interventi di sostegno finanziario all'internazionalizzazione del sistema previste dalle varie leggi di settore (L. 24 n. 227/77; DL n. 251/81, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 394/81; L. n. 304/90; L. n. 100/90; art. 14 della L n. 317/91). La Simest, quale gestore unico di fondi pubblici, corrisponde, direttamente alle imprese italiane, contributi agli interessi (nella misura massima del 50% del tasso di riferimento) a fronte di finanziamenti concessi da banche, italiane o estere, della quota di capitale di rischio nelle società estere partecipate dalla stessa SIMEST.
Si ricorda, infine, che la citata legge n. 84/01, all’articolo 5, co. 2,lettera c), prevede, in particolare, l'istituzione presso la SIMEST Spa di un fondo autonomo e distinto dal patrimonio della società medesima con finalità di capitale di rischio (venture capital), per l'acquisizione, da parte di quest'ultima, di partecipazioni societarie fino al 40 per cento del capitale o fondo sociale delle società o imprese partecipare. Ciascun intervento non può essere superiore ad 1 miliardo di lire e, comunque, le partecipazioni devono essere cedute, a prezzo non inferiore a valori correnti, entro otto anni dall'acquisizione.
L'elevazione al 49 per cento del limite massimo d'intervento della SIMEST sembra da ritenersi applicabile a tutte le tipologie di intervento sopra richiamate, ivi comprese quelle che si risolvono in una partecipazione diretta al capitale o fondo sociale della società o impresa, e non si esauriscono nella concessione di sostegno finanziario alle imprese che intendono effettuare l'investimento all'estero, purché ricorrano le condizioni, indicate all'inizio del presente commento alle lettere a), b) e c).
Si rileva, inoltre, che l’innalzamento del limite massimo di intervento della Simest è stato di recente disposto anche dall’art. 7, della legge 31 marzo 2005, n. 56, recante " Misure per l’internazionalizzazione delle imprese, nonché delega al Governo per il riordino degli enti operanti nel medesimo settore”, il quale, novellando la legge n. 100 del 1990, ha disposto, tra l’altro, l’aggiunta di un nuovo comma 1-bis dopo il comma 1 dell'art. 3 della citata legge n. 100/99, in base al quale le partecipazioni acquisite dalla SIMEST S.p.a. possono essere aumentate sino ad una quota del 49% del capitale qualora l'oggetto delle partecipazioni medesime sia la costituzione di parchi industriali, destinati a promuovere e accogliere in forma organizzata gli investimenti all'estero delle imprese italiane.
Testo a fronte |
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D.L. 35/2005 |
D.L.
35/2005 |
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Art. 1 |
Art. 1 |
Rafforzamento del sistema doganale, lotta alla contraffazione e sostegno all'internazionalizzazione del sistema produttivo. |
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6. Il limite massimo di intervento della Simest S.p.a., come previsto dalla legge 24 aprile 1990, n. 100, è elevato al 49 per cento per gli investimenti all'estero che riguardano attività aggiuntive delle imprese, derivanti da acquisizioni di imprese, «joint-venture» o altro e che garantiscano il mantenimento delle capacità produttive interne. Resta ferma la facoltà del CIPE di variare, con proprio provvedimento, la percentuale della predetta partecipazione. |
6. Il limite massimo di partecipazione della Simest Spa, ai sensi della legge 24 aprile 1990, n. 100, e successive modificazioni, è elevato al 49 per cento per gli investimenti all’estero delle imprese italiane, dai quali derivino la creazione, l’acquisizione di imprese, joint-venture, e che si configurino quali attività aggiuntive a quelle nazionali, accompagnati dall’impegno al mantenimento delle capacità produttive interne. Resta ferma la facoltà del CIPE di variare, con proprio provvedimento, la percentuale della predetta partecipazione. |
1. Al decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 1:
omissis
4) al comma 7, al primo periodo, dopo le parole: «sanzione amministrativa pecuniaria» sono inserite le seguenti: «da 100 euro» e sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Le sanzioni sono applicate ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni. Fermo restando quanto previsto in ordine ai poteri di accertamento degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria dall'articolo 13 della citata legge n. 689 del 1981, all'accertamento delle violazioni provvedono, d'ufficio o su denunzia, gli organi di polizia amministrativa»;
5) al comma 8 è aggiunto il seguente periodo: «Nel caso di sanzioni applicate da organi di polizia locale, le somme sono destinate per il 50 per cento all'ente locale competente e per il restante 50 per cento allo Stato, secondo le modalità definite al periodo precedente»;
L’articolo 16, comma 1, lettera a), numero 4), modifica l’articolo 1, comma 7, del D.L. n. 35 del 2005, individuando in 100 euro la misura minima della sanzione amministrativa pecuniaria prevista per chi acquista o accetta, a qualsiasi titolo, senza averne prima accertata la legittima provenienza, cose che per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l’entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà intellettuale. L’ammontare massimo della sanzione amministrativa resta stabilito in 10.000 euro.
Inoltre, la disposizione effettua un rinvio espresso a quanto stabilito dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, precisando che l’accertamento delle violazioni compete agli organi di polizia amministrativa. Tale accertamento potrà aver luogo dietro denunzia ovvero d’ufficio.
Si ricorda che la legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) definisce la sanzione amministrativa pecuniaria dichiarando che consiste “nel pagamento di una somma di denaro non inferiore a 6 euro e non superiore a 10.329 euro”, tranne che per le sanzioni proporzionali, che non hanno limite massimo; nel determinarne l'ammontare, l'autorità amministrativa deve valutare la gravità della violazione, l'attività svolta dall'autore per eliminare o attenuarne le conseguenze, le sue condizioni economiche e la sua personalità (artt. 10 e 11)[119].
L'applicazione della sanzione avviene secondo il seguente schema:
- accertamento, contestazione notifica al trasgressore;
- pagamento in misura ridotta o inoltro di memoria difensiva all’autorità amministrativa:
- archiviazione o emanazione di ordinanza ingiunzione di pagamento da parte dell’autorità amministrativa;
- opposizione all’ordinanza ingiunzione davanti all’autorità giudiziaria (giudice di pace o tribunale);
- accoglimento dell’opposizione, anche parziale o rigetto (sentenza ricorribile per cassazione);
- esecuzione forzata per la riscossione delle somme.
Dal punto di vista procedimentale, occorre innanzitutto che essa sia accertata dagli organi di controllo competenti o dalla polizia giudiziaria (art. 13). L'attività di accertamento può consistere nell'assunzione di informazioni, nell'ispezione della dimora privata, in rilievi segnaletici, fotografici e nel sequestro cautelare della cosa che è stata utilizzata per commettere l'illecito o che ne costituisce il prezzo o il profitto (come avviene in caso di guida di autoveicolo non coperto da assicurazione obbligatoria o senza documento di circolazione). In particolare, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, oltre che esercitare i poteri indicati, possono procedere, quando non sia possibile acquisire altrimenti gli elementi di prova, a perquisizioni in luoghi diversi dalla privata dimora, previa autorizzazione motivata del competente tribunale territoriale.
È fatto salvo l'esercizio degli specifici poteri di accertamento previsti dalle leggi vigenti.
La violazione dev'essere immediatamente contestata o comunque notificata al trasgressore entro 90 gg. (art. 14); entro i successivi 60 giorni l'autore può conciliare pagando una somma ridotta pari alla terza parte del massimo previsto o pari al doppio del minimo (cd. oblazione o pagamento in misura ridotta, art. 16). In caso contrario, egli può, entro 30 giorni, presentare scritti difensivi all'autorità competente. Quest'ultima, dopo aver esaminato i documenti e le eventuali memorie presentate, se ritiene sussistere la violazione contestata determina l'ammontare della sanzione con ordinanza motivata e ne ingiunge il pagamento (art. 18).
Entro 30 giorni dalla sua notificazione l'interessato può presentare opposizione all’ordinanza ingiunzione (che, salvo eccezioni, non sospende il pagamento), inoltrando ricorso al giudice di pace (art. 22, 22-bis); fatte salve le diverse competenze stabilite da disposizioni di legge, l’opposizione si propone, invece, davanti al tribunale ratione materiae (materia di lavoro, edilizia, urbanistica ecc.) o per motivi di valore o di natura della sanzione (sanzione superiore nel massimo a 15.493 euro o applicazione di sanzione non pecuniaria, sola o congiunta a quest’ultima, fatta eccezione per violazioni previste da specifiche leggi speciali): l'esecuzione dell'ingiunzione non viene sospesa e il giudizio che con esso si instaura si può concludere o con un'ordinanza di convalida del provvedimento o con sentenza di annullamento o modifica del provvedimento; contro tale sentenza è ammesso solo ricorso per cassazione (art. 23). Il giudice ha piena facoltà sull'atto, potendo o annullarlo o modificarlo, sia per vizi di legittimità che di merito.
In caso di condizioni economiche disagiate del trasgressore, l’autorità che ha applicato la sanzione può concedere la rateazione del pagamento (art. 26)
Decorso il termine fissato dall’ordinanza ingiunzione, in assenza del pagamento, l’autorità che ha emesso il provvedimento procede alla riscossione delle somme dovute con esecuzione forzata in base alle norme previste per l’esazione delle imposte dirette (art. 27). Il termine di prescrizione delle sanzioni amministrative pecuniarie è di 5 anni dal giorno della commessa violazione (art. 28).
L’articolo 16, comma 1, lettera a), numero 5), novella l’art. 1, comma 8, del D.L. n. 35/2005, che stabilisce che le somme derivanti dall’applicazione delle sanzioni per gli illeciti amministrativi connessi alla contraffazione di cui al comma 7 (su cui v. sopra) sono destinate alla lotta alla contraffazione, essendo assegnate ad appositi capitoli, anche di nuova istituzione, dello stato di previsione del Ministero delle attività produttive e del Ministero degli affari esteri.
La modifica prevista al comma in esame prevede che, nel caso in cui la sanzione sia applicata da organi di polizia locale, le somme sono attribuite per il 50 per cento all’ente locale e per il restante 50 per cento allo Stato, secondo le modalità previste dal medesimo comma 8, primo periodo.
Si ricorda che la precedente formulazione del comma in esame, contenuta nel testo base, eliminava la partecipazione del Ministero degli esteri.
Testo a fronte |
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D.L. 35/2005 |
D.L.
35/2005 |
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Art. 1 |
Art. 1 |
Rafforzamento del sistema doganale, lotta alla contraffazione e sostegno all'internazionalizzazione del sistema produttivo. |
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7. Salvo che il fatto costituisca reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria fino a 10.000 euro l'acquisto o l'accettazione, senza averne prima accertata la legittima provenienza, a qualsiasi titolo di cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l'entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà intellettuale. La sanzione di cui al presente comma si applica anche a coloro che si adoperano per fare acquistare o ricevere a qualsiasi titolo alcuna delle cose suindicate, senza averne prima accertata la legittima provenienza. In ogni caso si procede alla confisca amministrativa delle cose di cui al presente comma. Restano ferme le norme di cui al decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70. |
7. Salvo che il fatto costituisca reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 euro fino a 10.000 euro l'acquisto o l'accettazione, senza averne prima accertata la legittima provenienza, a qualsiasi titolo di cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l'entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà intellettuale. La sanzione di cui al presente comma si applica anche a coloro che si adoperano per fare acquistare o ricevere a qualsiasi titolo alcuna delle cose suindicate, senza averne prima accertata la legittima provenienza. In ogni caso si procede alla confisca amministrativa delle cose di cui al presente comma. Restano ferme le norme di cui al decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70. Le sanzioni sono applicate ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689. Fermo restando quanto previsto in ordine ai poteri di accertamento degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria dall'articolo 13 della citata legge 24 novembre 1981, n. 689, all'accertamento delle violazioni provvedono, d'ufficio o su denunzia, gli organi di polizia amministrativa. |
8. Le somme derivanti dall'applicazione delle sanzioni previste dal comma 7 sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate ad appositi capitoli, anche di nuova istituzione, dello stato di previsione del Ministero delle attività produttive e del Ministero degli affari esteri, da destinare alla lotta alla contraffazione. |
8. Le somme derivanti dall'applicazione delle sanzioni previste dal comma 7 sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate ad appositi capitoli, anche di nuova istituzione, dello stato di previsione del Ministero delle attività produttive e del Ministero degli affari esteri, da destinare alla lotta alla contraffazione. Nel caso di sanzioni applicate da organi di polizia locale, le somme sono destinate per il 50 per cento all’ente locale competente e per il restante 50 per cento allo Stato, secondo le modalità definite al periodo precedente. |
Articolo 16, comma 1, lettera a), numeri 6) e 7)
(Agevolazioni alle imprese che operano
nel territorio nazionale
e investono in ricerca)
1. Al decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 1:
omissis
6) il comma 12 è sostituito dal seguente:
«12. Gli strumenti partecipativi e finanziari introdotti ai sensi della legge 24 aprile 1990, n. 100, e successive modificazioni, dell'articolo 22, comma 5, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143, e dell'articolo 46 della legge 12 dicembre 2002, n. 273, non si applicano ai progetti delle imprese che, investendo all'estero, non prevedono, nel piano dell'investimento, il mantenimento sul territorio nazionale delle attività di ricerca, sviluppo, ove esistenti, delle funzioni direzionali, nonché di una parte sostanziale dell'attività produttiva»;
7) il comma 14 è sostituito dal seguente:
«14. Allo scopo di favorire l'attività di ricerca e innovazione delle imprese italiane ed al fine di migliorarne l'efficienza nei processi di internazionalizzazione, il limite di partecipazione della Simest Spa, come previsto dalla legge 24 aprile 1990, n. 100, e successive modificazioni, è elevato al 49 per cento del capitale o fondo sociale della società nel caso in cui le imprese italiane che investono all'estero in impianti produttivi non incorrano nelle condizioni di esclusione ai sensi del comma 12 e intendano altresì effettuare in Italia investimenti in ricerca e innovazione nel periodo di durata dell'intervento della Simest Spa»;
La lettera a), numero 6, novella la disposizione di cui all’articolo 1, comma 12, del citato D.L. n. 35/2005, la quale - al fine di disincentivare talune tipologie di delocalizzazioni produttive - esclude dall'applicazione di taluni benefici previsti a favore delle iniziative di internazionalizzazione, gli investimenti effettuati all'estero da imprese italiane che non prevedano il mantenimento nel territorio nazionale delle attività di ricerca, sviluppo e direzione commerciale, e al contempo non garantiscano il mantenimento in Italia di una parte sostanziale dell'attività produttiva.
Rispetto al testo vigente, la novella in esame, anziché fare genericamente riferimento a tutti i benefici e le agevolazioni contemplate dalla legge n. 100/90, dal D.Lgs. n. 143/1998 e dalla legge n. 273/2002, fa un più puntuale riferimento agli strumenti partecipativi e finanziari introdotti ai sensi:
§ della legge 24 aprile 1990, n. 100, concernente gli interventi della Simest Spa (per la cui descrizione si rinvia a quanto richiamato nella scheda relativa al comma 1, lettera a) numero 1 del presente articolo);
§ dell’articolo 22, comma 5, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143 ("Disposizioni in materia di commercio con l'estero, a norma dell'articolo 4, comma 4, lettera c), e dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59");
Si ricorda che l’articolo 22 del D.Lgs n. 143, reca disposizioni in materia di contributi e di finanziamenti per lo sviluppo delle esportazioni; in particolare, ai sensi del richiamato comma 5 dell’articolo, sono ammesse al finanziamento, ai sensi dell'articolo 3, della legge 20 ottobre 1990, n. 304 ( che disciplina i finanziamenti agevolati a fronte di spese da sostenere da parte di imprese italiane per la partecipazione all'estero a gare internazionali) le spese - nei limiti del 50 per cento dell'importo - relative a studi di prefattibilità e di fattibilità connessi all'aggiudicazione di commesse, comunque denominate, ed eventualmente comprensive delle operazioni di finanziamento, in cui il corrispettivo è costituito, in tutto o in parte, dal diritto di gestire l'opera (lett. a), nonché le spese relative a programmi di assistenza tecnica e studi di fattibilità collegati alle esportazioni ed agli investimenti italiani all'estero (lett. b). ai sensi del successivo comma 6, modalità e criteri di concessione e di restituzione del finanziamento di cui al comma 5 sono fissati con decreto del Ministro del commercio con l'estero (ora delle attività produttive), di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica (ora dell’economia e delle finanze).
§ dell’articolo 46 della legge 12 dicembre 2002, n. 273 ("Misure per favorire l'iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza").
L'articolo 46della suddetta legge n. 273 ha autorizzato il Ministero delle attività produttive a costituire, ai sensi e per le finalità di cui alla legge 24 aprile 1990, n. 100, fondi rotativi per la gestione delle risorse deliberate dal CIPE per il sostegno degli investimenti delle piccole e medie imprese nella Repubblica Federale di Jugoslavia, per il finanziamento di operazioni di venture capital nei Paesi del Mediterraneo e per favorire il processo di internazionalizzazione delle imprese italiane.
In ordine alla fattispecie che esclude l’applicazione dei suddetti strumenti partecipativi e finanziari a favore dell’internazionalizzazione delle imprese, la novella in esame prevede che tali strumenti non si applichino ai progetti delle imprese che, investendo all’estero, non prevedano, nel piano di investimento, il mantenimento sul territorio nazionale:
§ delle attività di ricerca e sviluppo, solo tuttavia ove tali attività esistano effettivamente (verosimilmente al momento della domanda di agevolazione);
§ delle funzioni direzionali (la norma vigente fa invece riferimento alle attività di “direzione commerciale”) ;
§ di una parte sostanziale dell’attività produttiva (come già previsto dalla disciplina vigente).
In merito alle fattispecie che danno luogo all'esclusione dai benefici sopra richiamati, si rileva come il criterio del mantenimento di una parte "sostanziale" dell’attività produttiva sul territorio nazionale possa dare adito a controversie interpretative sul piano applicativo, che potrebbero peraltro essere fugate mediante l’adozione di una disciplina di dettaglio di rango secondario, atta a specificare, ad esempio, che il presupposto in oggetto ricorre qualora una certa quota di fatturato o di valore aggiunto dell’impresa è prodotta nel territorio nazionale.
La lettera a), numero 7, novella la disposizione di cui all’articolo 1, comma 14, del citato D.L. n. 35/2005, la quale prevede la possibilità di superamento della quota del 25% di partecipazione della Simest al capitale o fondo sociale della società partecipata, nel caso in cui le imprese italiane intendano effettuare investimenti in ricerca e innovazione nel periodo di durata del contratto. La finalità è quella di favorire l’attività di ricerca e innovazione per migliorare l’efficienza nei processi di internazionalizzazione.
Rispetto al testo vigente, la novella in esame specifica che:
§ il limite di partecipazione della Simest SpA, come previsto dalla legge 24 aprile 1990, n. 100, e successive modificazioni, è elevato al 49 per cento del capitale o fondo sociale della società (il testo vigente si limita a prevedere che le partecipazioni acquisite dalla Simest possono superare la quota del 25 per cento del capitale o fondo sociale della società, senza dunque indicare un limite massimo di intervento);
§ ai fini dell’elevazione del limite di intervento della società, le imprese beneficiarie investendo all’estero in impianti produttivi non debbono incorrere nelle condizioni di esclusione di cui al sopra illustrato comma 12 (ossia attività di R&S, funzioni direzionali e parte sostanziale dell’attività produttiva devono essere mantenute sul territorio nazionale) e debbono invece effettuare in Italia investimenti in ricerca e innovazione nel periodo di durata dell’intervento della Simest.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Il 20 aprile 2004 la Commissione europea ha presentato la comunicazione intitolata “Accompagnare le trasformazioni strutturali: una politica industriale per l’Europa allargata” (COM(2004)274).
La comunicazione esamina le trasformazioni strutturali in atto nel comparto industriale, i risultati poco soddisfacenti nell’ambito della ricerca e dell’innovazione, il fenomeno della delocalizzazione di attività industriali; valutando inoltre le opportunità offerte dall’allargamento dell’Unione.
Nella riunione del 18 maggio 2004 il Consiglio ha adottato conclusioni nelle quali ha sottolineato, tra l’altro, l’urgenza di azioni che incentivino maggiori investimenti nella ricerca e ha invitato la Commissione e gli Stati membri a: realizzare politiche e misure volte a stimolare gli investimenti privati nella ricerca; rafforzare l'eccellenza nella ricerca pubblica; aumentare l'offerta di risorse umane qualificate; stimolare e consentire alle imprese di collegarsi in una rete con le università, al fine di sfruttare pienamente i vantaggi economici della conoscenza.
Nella riunione del 24 settembre 2004 il Consiglio ha adottato conclusioni su politica industriale e trasformazioni strutturali nelle quali chiede di favorire le trasformazioni strutturali e una maggiore crescita della produttività.
Nell’ambito della revisione intermedia della strategia di Lisbona, il 6 aprile 2005 la Commissione europea ha presentato una proposta di decisione recante un programma quadro per l’innovazione e la competitività (2007-2013) (COM(2005)121) (per approfondimenti vedi scheda relativa all’ articolo 6).
Il programma (PIC) introduce nuove azioni di sostegno volte a rafforzare la produttività, la capacità di innovazione e la crescita durevole, la ricerca e lo sviluppo tecnologico.
In particolare tra gli strumenti in favore delle imprese rientrano le misure rivolte alle piccole e medie imprese con un potenziale di crescita elevato, con particolare riguardo a quelle che mettono in atto progetti di ricerca, sviluppo e innovazione.
La proposta, trasmessa al Consiglio e al Parlamento europeo, sarà esaminata secondo la procedura di codecisione. Il Consiglio competitività del 18 aprile 2005 ha preso atto della presentazione del programma; il Consiglio del 10 maggio ha effettuato uno scambio di opinioni invitando il Comitato dei rappresentanti permanenti a continuare l’esame dettagliato della proposta e a riferire sull’andamento dei lavori in una delle prossime riunioni. Il Parlamento europeo inizierà l’esame in prima lettura nell’ambito della sessione del 13 dicembre 2005.
Il 6 aprile 2005 la Commissione ha adottato una proposta di decisione relativa al settimo programma quadro della ricerca 2007-2013, la cui approvazione rientra tra le priorità del programma di lavoro della Commissione e del programma operativo del Consiglio per il 2005.
La proposta comprende, tra l’altro, azioni volte a rafforzare le strutture di ricerca delle imprese, a sostenere la competitività industriale tramite iniziative tecnologiche congiunte, a garantire una migliore implicazione delle piccole e medie imprese.
Il Consiglio competitività del 18 aprile 2005 ha iniziato un primo dibattito sulla proposta, in particolare sulla struttura generale, sulle ricerche in collaborazione, sul potenziale umano e sulla semplificazione del programma. Ha inoltre sottolineato come essa si ponga in linea di continuità con il sesto programma quadro in vigore, introducendo alcuni elementi innovativi tra i quali il sostegno alle nuove infrastrutture, il coordinamento dei programmi di ricerca nazionali su vasta scala.
Il Consiglio competitività del 6 e 7 giugno 2005, ferma restando una riserva in relazione alle discussioni in atto sulle prospettive finanziarie, ha proceduto ad un dibattito approfondito su alcune questioni in merito alla “collaborazione” e alle “risorse umane” e ha invitato il Comitato dei rappresentanti permanenti a continuare l’esame nel quadro della procedura di codecisione con il Parlamento europeo.
La dotazione finanziaria per il 2007-2013 è pari a più di 73 miliardi di euro; il sesto programma attualmente in corso (2003-2006) ha una dotazione di 17,5 miliardi di euro pari al 3,9% del bilancio dell’Unione europea.
Il 7 giugno 2005 la Commissione ha avviato una consultazione su piano d’azione nel settore degli aiuti di Stato – Aiuti di Stato meno numerosi e più mirati: itinerari di riforma degli aiuti di Stato 2005-2009 (COM(2005)107), mediante il quale si intenderebbe indurre gli Stati membri a contribuire alla strategia di Lisbona concentrando gli aiuti sull’accrescimento della competitività e dell’occupazione. Le parti interessate sono invitate a presentare osservazioni sul piano entro il prossimo 15 settembre.
Il piano delinea i seguenti principi:
- gli aiuti di Stato devono provocare meno distorsione nella concorrenza ed essere più mirati;
- le modalità di approvazione devono essere più semplici e rapide per gli aiuti che provocano meno distorsioni, specialmente se i fondi sui mercati finanziari sono meno facilmente disponibili;
- nell’ottica di semplificare le procedure e renderle più efficienti, un numero maggiore di misure dovrebbero essere esentate dall’obbligo di notifica;
- coinvolgere di più gli Stati membri nell’impegno a rispettare dell’obbligo di notifica degli aiuti.
Il documento indica tra le priorità fondamentali la necessità di puntare sull’innovazione e sulle attività di ricerca e sviluppo per rafforzare la società della conoscenza; preannuncia inoltre la volontà della Commissione di adottare nel corso del 2005 una comunicazione sugli aiuti di Stato e l’innovazione, nonché di apportare modifiche al programma quadro comunitario di ricerca e sviluppo, anche allo scopo di promuovere la cooperazione transfrontaliera e i partenariati pubblico-privato nel settore della ricerca.
Il 6 aprile 2005 la Commissione ha presentato la comunicazione “Costruire lo Spazio europeo della ricerca (SER) della conoscenza al servizio della crescita” (COM(2005)118) che esamina i punti di forza e le opportunità dell’UE per conseguire gli obiettivi di Lisbona, far funzionare il triangolo della conoscenza costituito da ricerca, istruzione e innovazione e mobilitare gli strumenti finanziari dell’UE per sostenere la conoscenza al servizio della crescita.
La comunicazione è stata trasmessa al Consiglio e al Parlamento europeo.
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D.L. 35/2005 |
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Art. 1 |
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Rafforzamento del sistema doganale, lotta alla contraffazione e sostegno all'internazionalizzazione del sistema produttivo. |
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12. I benefìci e le agevolazioni previsti ai sensi della legge 24 aprile 1990, n. 100, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143, e della legge 12 dicembre 2002, n. 273, non si applicano ai progetti delle imprese che, investendo all'estero, non prevedano il mantenimento sul territorio nazionale delle attività di ricerca, sviluppo, direzione commerciale, nonché di una parte sostanziale delle attività produttive |
“12. Gli strumenti partecipativi e finanziari introdotti ai sensi della legge 24 aprile 1990, n. 100, dell’articolo 22, comma 5, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143 e dell’articolo 46 della legge 12 dicembre 2002, n. 273, non si applicano ai progetti delle imprese che, investendo all’estero, non prevedono, nel piano dell’investimento, il mantenimento sul territorio nazionale delle attività di ricerca, sviluppo, ove esistenti, delle funzioni direzionali, nonché di una parte sostanziale dell’attività produttiva. |
13. Le imprese italiane che hanno trasferito la propria attività all'estero in data antecedente alla data di entrata in vigore del presente decreto e che intendono reinvestire sul territorio nazionale, possono accedere alle agevolazioni e agli incentivi concessi alle imprese estere sulla base delle previsioni in materia di contratti di localizzazione, di cui alle delibere CIPE n. 130/02 del 19 dicembre 2002, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 103 del 6 maggio 2003, e n. 16/03 del 9 maggio 2003, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 156 dell'8 luglio 2003.
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14. Allo scopo di favorire l'attività di ricerca e innovazione delle imprese italiane ed al fine di migliorarne l'efficienza nei processi di internazionalizzazione, le partecipazioni acquisite dalla Simest S.p.a ai sensi dell'articolo 1 della legge 24 aprile 1990, n. 100, possono superare la quota del 25 per cento del capitale o fondo sociale della società nel caso in cui le imprese italiane intendano effettuare investimenti in ricerca e innovazione nel periodo di durata del contratto. |
14. Allo scopo di favorire l’attività di ricerca e innovazione delle imprese italiane ed al fine di migliorarne l’efficienza nei processi di internazionalizzazione, il limite di partecipazione della Simest SpA, come previsto dalla legge 24 aprile 1990, n. 100, e successive modificazioni, è elevato al 49 per cento del capitale o fondo sociale della società nel caso in cui le imprese italiane che investono all’estero in impianti produttivi non incorrano nelle condizioni di esclusione ai sensi del comma 12 e intendano altresì effettuare in Italia investimenti in ricerca e innovazione nel periodo di durata del dell’intervento della Simest Spa. |
Articolo 16, comma 1, lettera b)
(Infrastrutture aree sottoutilizzate)
1. Al decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, sono apportate le seguenti modificazioni:
b) all'articolo 5, comma 1, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, nonché gli interventi previsti dall'articolo 86, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289»;
La norma in esame modifica il comma 1 dell’articolo 5 del decreto-legge 14 marzo 205, n. 35, convertito con modificazioni nella legge 14 maggio 2005, n. 80, ricomprendendo tra gli interventi che il CIPE finanzia in via prioritaria anche gli interventi previsti dall’articolo 86 comma 1 della legge 27 dicembre 2002, n. 289
L’articolo 86 citato reca disposizioni volte all’accelerazione delle procedure relative alla chiusura degli interventiper la ricostruzione previsti dalla legge n. 219 del 1981 nei comuni colpiti da eventi sismici del novembre 1980 e febbraio 1981 nelle aree della Campania, Basilicata, Calabria e Puglia.
I comuni sono stati indicati da una serie di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri: DPCM 30 aprile 1981, relativo ai comuni disastrati delle regioni Basilicata e Campania, integrato con il DPCM 14 settembre 1983; DPCM 22 maggio 1981, riguardante i comuni gravemente danneggiati delle predette regioni e i comuni danneggiati delle stesse e della regione Puglia, e DPCM 7 novembre 1984, relativo alla riclassificazione del comune di Grottolella; DPCM 13 novembre 1981, recante una ulteriore individuazione di comuni danneggiati della provincia di Potenza; DPCM 30 aprile 1982, riguardante i comuni danneggiati dal sisma del 21 marzo 1982 delle regioni Basilicata, Calabria e Campania; DPCM 30 aprile 1987, relativo al comune gravemente danneggiato di Teana (Potenza).
In particolare, il comma 1 dell’articolo 86 prevede la nomina, con decreto del Ministro delle attività produttive, di un commissario ad acta, cui viene riconosciuta la facoltà di valutare la realizzazione, in regime di concessione, di ogni ulteriore intervento necessario al completamento del programma, le cui opere siano state già individuate e la cui progettazione era già stata affidata alla data del 28 febbraio 1991[120].
Il commissario provvede altresì alla realizzazione degli interventi resi necessari da eventi naturali eccezionali e riferiti ad opere non ancora consegnate in via definitiva, nonché alla consegna definitiva delle opere collaudate agli enti preposti alla gestione delle stesse.
Il comma 2 dell’articolo 86 dispone la revoca delle concessioni per la realizzazione di quelle opere di viabilità, finanziate ai sensi della legge n. 219 del 1981, i cui lavori alla data del 31 dicembre 2001 non abbiano conseguito significativi avanzamenti da almeno tre anni. Il commissario ad acta, in questo caso, può affidarne il completamento con le modalità ritenute più vantaggiose per la pubblica amministrazione.
Il comma 3 prevede infine che sia il commissario ad acta a valutare l’onere derivante dal completamento delle opere suindicate, informandone il CIPE ai fini dell’individuazione delle risorse finanziarie, d’intesa con le regioni destinatarie degli interventi e a valere sui trasferimenti ad esse assegnati.
Nonostante anche il comma 2 dell’articolo 86 citato prevede la realizzazione di opere, la disposizione in commento prevede quindi che il CIPE finanzi prioritariamente solamente le opere di cui al comma 1 dell’articolo 86
Il comma 1 dell’articolo 5 del decreto-legge n. 35 autorizza il CIPE a finanziare, in via prioritaria, gli interventi inclusi nel programma per le infrastrutture strategiche, di cui alla legge n. 443/2001, al fine di accelerare la spesa in conto capitale a valere sugli stanziamenti dei fondi per le aree sottoutilizzate, ai sensi all’articolo 60, comma 1, della legge n. 289/2002 (legge finanziaria per il 2003).
Il finanziamento in via prioritaria deve pertanto rispondere a finalità di accelerazione della spesa in conto capitale, contemplate dal citato articolo 60, comma 1, come modificato dall’articolo 4, comma 130, della legge n. 350/2003 (legge finanziaria per il 2004).
Il comma 1 citato dispone altresì che gli interventi ai quali è riconosciuta la priorità nel finanziamento dovranno essere selezionati secondo i principi adottati dalla delibera CIPE n. 21 del 29 settembre 2004.
L’articolo 60, comma 1, della legge n. 289/2002 ha previsto l’istituzione di due Fondi per le aree sottoutilizzate, di carattere generale, di competenza, rispettivamente, del Ministero dell’economia e delle finanze (Fondo MEF) e del Ministero delle attività produttive (Fondo MAP) e ha disciplinato le modalità con cui il CIPE provvede ad allocare le risorse tra i due Fondi e tra i diversi strumenti di intervento finanziati a valere su di essi.
Il medesimo articolo 60, comma 1 ha altresì individuato i criteri in base ai quali il CIPE può procedere alla riallocazione delle risorse tra le diverse forme di intervento.
La diversa allocazione delle risorse tra i due fondi deve essere deliberata in relazione allo stato di attuazione degli interventi finanziari e alle esigenze espresse dal mercato in merito alle singole misure di incentivazione, tenendo, altresì conto, ai sensi dell’articolo 4, comma 130, lettera a), della legge finanziaria per il 2004 (legge n. 350/2003), della finalità di accelerazione della spesa in conto capitale[121].
In attuazione della normativa prevista dall’articolo 60, comma 1, della legge n. 289/2002, la delibera CIPE n. 19 del 29 settembre 2004 ha proceduto al riparto per il periodo 2004-2007 delle risorse aggiuntive del Fondo per le aree sottoutilizzate, come determinate dalla legge finanziaria per il 2004 (legge n. 350/2003), riservando specifiche disponibilità alle finalità di accelerazione della spesa di cui all’articolo 4, comma 130, della legge n. 350/2003. In particolare, è stata riservata una quota pari a 1.130 milioni di euro all’accelerazione del programma delle infrastrutture strategiche di cui alla legge n. 443 del 2001 (cd “legge obiettivo”). Tale importo è stato articolato nel quadriennio 2004-2007, deliberando altresì di concentrare tali risorse nei settori dei trasporti e dell’acqua ed attribuendo alle risorse stesse carattere di aggiuntività rispetto alla dotazione finanziaria per l’attuazione del programma stesso.
Con la contestuale delibera CIPE n. 21 del 29 settembre 2004, è stata formalizzata la graduatoria degli interventi selezionati in base al criterio di "accelerazione della spesa", assegnando a tali interventi le risorse previste dalla delibera n. 19 nonché l’importo aggiuntivo di 200 milioni di euro reso disponibile dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Ai fini della selezione, come stabilito dalla delibera CIPE n. 21, il Ministero dell’economia e delle finanze ed il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti hanno convenuto di affidare all’UVER (l’Unità di verifica degli investimenti pubblici) una ricognizione degli interventi previsti nel Programma di infrastrutture strategiche finalizzata a identificare, nell’ambito degli interventi localizzati nel Mezzogiorno, quelli suscettibili di registrare un avanzamento e una capacità di spesa significativa nel biennio 2004-2005 e pertanto da considerarsi eleggibili a finanziamento con le risorse aggiuntive del Fondo per le aree sottoutilizzate.
La valutazione sull’eleggibilità degli interventi localizzati nel Mezzogiorno è stata espressa nel concorso delle seguenti condizioni:
§ rispondenza degli interventi stessi ai due criteri automatici della:
a) necessità di risorse finanziarie aggiuntive per la completa realizzazione del progetto,
b) capacità di produrre spesa negli anni 2004–2005 pari ad almeno un terzo del costo totale del progetto;
§ formulazione, da parte dell’UVER, di un giudizio positivo sul grado di affidabilità della stima delle spese.
Dalla relazione predisposta dell’UVER risultano eleggibili al finanziamento n. 27 interventi.
La graduatoria degli interventi è stata stabilita prendendo a riferimento un indicatore composito di accelerazione, appositamente elaborato, ottenuto come media ponderata di un indicatore di “redditività” (inteso quale rapporto tra la somma delle previsioni di spesa per gli anni 2004-2005 e il complesso delle risorse mancanti all’intervento), di un indicatore di “anticipazione” (inteso quale rapporto tra la spesa prevista nel 2004 e il totale della spesa prevista nel biennio 2004-2005) e di un indicatore di “spesa” (inteso quale logaritmo del valore assoluto della spesa totale prevista nel biennio 2004-2005), con pesi pari rispettivamente al 70%, al 10% e al 20%.
Il comma 1 citato prevede altresì che per il finanziamento degli interventi inclusi nel programma per le infrastrutture strategiche possano essere utilizzate anche le risorse della legge n. 488/1992, che si rendono disponibili per effetto della revisione dei meccanismi di attribuzione e concessione delle agevolazioni alle attività produttive, di cui alla legge n. 488, apportate dall’articolo 8 del decreto-legge in questione.
Il comma 6 dell’articolo 8 del decreto-legge n. 35 quantifica in complessivi 750 milioni di euro, di cui 225 milioni nel 2005, 355 milioni nel 2006 e 170 milioni nel 2007, le risorse derivanti dalla riforma degli incentivi alle imprese, che vengono destinate alla copertura degli interventi di cui all'articolo 5, comma 1 del decreto stesso.
Si osserva che la norma in commento stabilisce che gli interventi di cui all’articolo 86 comma 1 della legge n. 289 del 2002 sono finanziati prioritariamente dal CIPE, così come gli interventi inclusi nel programma per le infrastrutture strategiche, di cui alla legge n. 443/2001, senza stabilire quale tra i due tipi di interventi ha la precedenza nell’assegnazione delle risorse.
Articolo 16, comma 1, lettera c), numero1
(Interventi a sostegno di attività e
programmi di ricerca
da parte delle imprese)
1. Al decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, sono apportate le seguenti modificazioni:
c) all'articolo 6:
1) al comma 1, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Almeno la metà della quota di cui al periodo precedente è destinata al finanziamento di progetti promossi da micro e piccole imprese, in forma singola o associata, ed è gestita dal soggetto gestore di cui all'articolo 14, comma 1, della legge 5 marzo 2001, n. 57, che può avvalersi degli interventi di controgaranzia del Fondo di cui all'articolo 2, comma 100, lettera b), della legge 23 dicembre 1996, n. 662»;
Il comma 1, lettera c), numero 1, novella la disposizione di cui all’articolo 6, comma 1, del citato D.L. n. 35/2005, la quale, al fine di favorire la crescita del sistema produttivo nazionale e di rafforzare le azioni volte alla promozione di un'economia basata sulla conoscenza, interviene sull’utilizzo del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese (che viene rinominato "Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca) istituito dall’art. 1, comma 354 dalla legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria 2005), destinando una quota pari ad almeno il 30 per cento della dotazione finanziaria di detto fondo al sostegno di attività, programmi e progetti strategici di ricerca e sviluppo delle imprese, da realizzare anche congiuntamente a soggetti della ricerca pubblica.
In particolare, la disposizione in esame aggiunge un periodo alla fine del citato articolo 6, comma 1, il quale dispone che almeno la metà della quota del 30% per cento del fondo sia destinata al finanziamento di progetti promossi da micro e piccole imprese, in forma singola o associata.
A seguito di una integrazione disposta nel corso dell’esame presso le Commissione riunite Affari Costituzionali e Bilancio, la gestione di detta quota di risorse del Fondo è affidata all’ente gestore del fondo di cui all’art. 14, comma 1, della legge n. 57 del 2001[122], ossia l’Artigiancassa.
L’articolo 14, comma 1, della legge n. 57/01 fa riferimento al “Fondo per il concorso nel pagamento degli interessi sulle operazioni di credito a favore delle imprese artigiane”, istituito presso la Cassa per il credito alle imprese artigiane (Artigiancassa) ai sensi dell’art. 37 della legge n. 949 del 1952 (“"Provvedimenti per lo sviluppo dell'economia e incremento dell'occupazione". Le dotazioni finanziarie del Fondo sono costituite da conferimenti dello Stato e delle Regioni.
A seguito della medesima integrazione introdotta dal e Commissione riunite Affari Costituzionali e Bilancio, è stato inoltre specificato che l’Artigiancassa può avvalersi degli interventi di controgaranzia del Fondo centrale di garanzia, di cui all’art. 2, comma 100, lett. b), della legge n. 662/96.
Il “Fondo centrale di garanzia” è stato istituito presso l’Artigiancassa S.p.a. dalla legge 14 ottobre 1964, n. 1068, per la copertura dei rischi derivanti dalle operazioni di credito a medio termine a favore delle imprese artigiane, effettuate ai sensi della legge 25 luglio 1962, n. 949.
Il comma 101 della medesimo art. 2 della legge n. 662/96 ha modificato la disciplina del fondo di garanzia dell’Artigiancassa, disponendo la trasformazione della garanzia del fondo da sussidiaria (co. 2 dell’art. 1 della legge n. 1068/64) ad integrativa, allo scopo - si
deve ritenere - di sollecitare una maggiore attenzione del creditore sulla figura del debitore principale. Detta garanzia può essere concessa su operazioni effettuate da banche e da altri intermediari finanziari, tra i quali anche i Confidi operanti nel settore dell’artigianato, a favore di imprese artigiane. Ferma restando la non cumulabilità degli interventi - già prevista dalla legge n. 1068 - e sempre a valere sul fondo centrale di garanzia, all’Artigiancassa viene concessa “anche la possibilità di prestare fideiussioni”. Spetta poi al Ministro del tesoro, con proprio decreto emanato di concerto con il Ministro dell’industria, come specificato successivamente con una integrazione disposta con l’art. 15 della legge n. 266/97 (“Interventi urgenti per l’economia”), modalità e condizioni di disciplina degli interventi del fondo, che garantisce fino all’ammontare del 70 per cento della perdita che gli istituti ed aziende di credito dimostrino di aver sofferto dopo l’esperimento delle procedure di riscossione coattiva sui beni che comunque garantiscono il credito (DM 6 luglio 1999, n. 335 “Regolamento recante condizioni e modalità di concessione della garanzia e di prestazione di fidejussioni a valere sul Fondo centrale di cui alla L. 14 ottobre 1964, n. 1068”), in relazione ad operazioni a favore delle imprese artigiane. L’amministrazione dei versamenti è affidata all’Artigiancassa S.p.A., che vi provvede con contabilità separata. La garanzia è di natura sussidiaria e si esplica fino all'ammontare del 70% della perdita che gli istituti ed aziende di credito dimostrino di aver sofferto dopo l'esperimento delle procedure di riscossione coattiva sui beni che comunque garantiscono il credito. La predetta garanzia ha efficacia, a tutti gli effetti, entro i limiti delle disponibilità del Fondo e non è cumulabile con altri analoghi benefici previsti dalie leggi dello Stato o delle Regioni.
In ordine alla disposizione in esame, si valuti l’opportunità di fare riferimento, ai fini dell’individuazione delle micro e piccole imprese, alla relativa definizione adottata a livello comunitario.
Per quanto concerne la definizione di micro e piccole imprese, si ricorda come a livello comunitario, a decorrere dal 1º gennaio 2005, siano entrate in vigore le nuove definizioni fissate con la Raccomandazione 2003/361/CE, del 6 maggio 2003, la quale ha sostituito la previgente Raccomandazione 96/280/CE, recepita nel nostro ordinamento con il D.M. 18 settembre 1997. La raccomandazione conferma i precedenti limiti dimensionali per quanto riguarda il numero dei dipendenti, provvedendo, invece, a modificare la soglia del fatturato e del totale di bilancio che, per la prima volta, viene indicata anche per le aziende più piccole.
Per essere riconosciuta come PMI l'impresa deve rispettare le soglie relative agli effettivi e quelle relative al totale di bilancio fissate dalla raccomandazione. I nuovi effettivi e soglie finanziarie che definiscono PMI e microimprese sono i seguenti:
- media impresa: occupa meno di 250 persone, realizza un fatturato annuo non superiore ai 50 milioni di euro oppure un totale di bilancio annuo non superiore ai 43 milioni di euro;
- piccola impresa: occupa meno di 50 persone, realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore ai 10 milioni di euro;
- microimpresa: occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di euro.
L’art. 2 della raccomandazione consente agli Stati membri di stabilire, in alcuni casi, soglie inferiori rispetto ai valori massimi fissati dalla raccomandazione. Il termine ultimo per l’adozione da parte degli Stati membri delle misure atte a conformarsi alla raccomandazione è fissato al 30 settembre 2005.
Per quanto concerne il suddetto Fondo rotativo, si ricorda, brevemente, che il citato art. 1, comma 354, della legge finanziaria per il 2005 ha disposto l’istituzione, presso la gestione separata della Cassa depositi e prestiti Spa, di un apposito Fondo rotativo, denominato “Fondo rotativo per il sostegno alle imprese“, finalizzato alla concessione di finanziamenti agevolati alle imprese in forma di anticipazione di capitali rimborsabile secondo un piano di rientro pluriennale.
La dotazione iniziale del Fondo è stabilita in 6 miliardi di euro, da finanziare con le risorse del risparmio postale. In seguito, la Cassa depositi e prestiti S.p.a potrà disporre variazioni a tale cifra, in ragione delle dinamiche di erogazione e di rimborso delle somme concesse, purché nel rispetto dei limiti di spesa annuale sul bilancio dello Stato stabiliti dal comma 361.
La ripartizione del Fondo è rimessa a delibere del CIPE - presieduto dal Presidente del Consiglio in maniera non delegabile - sottoposte al controllo preventivo della Corte dei conti: il Fondo è ripartito per essere destinato ad interventi agevolativi alle imprese, individuati dalle stesse delibere sulla base degli interventi già disposti a legislazione vigente e per i quali sussiste apposito stanziamento di bilancio (comma 355).Le competenze del CIPE nell'ambito di quanto afferente al Fondo rotativo sono fissate dal comma 356.A tale riguardo, il comma citato dispone che il CIPE, con una o più delibere:
a) stabilisce i criteri generali di erogazione dei finanziamenti agevolati;
b) approva una convenzione tipo che regola i rapporti tra la Cassa depositi e prestiti Spa e i soggetti abilitati a svolgere le istruttorie dei finanziamenti, stabilendo le modalità per assicurare che l'importo complessivo dei finanziamenti erogati non superi l'importo assegnato dal CIPE e che vengano comunque rispettati i limiti annuali di spesa a carico del bilancio dello Stato stabiliti ai sensi del comma 361;
c) prevede la misura minima del tasso di interesse da applicare;
d) stabilisce la durata massima del piano di rientro;
e) prevede che le nuove modalità di attuazione ed erogazione delle misure agevolative previste dai commi da 354 a 361 si applichino a programmi di investimento per i quali, alla data di pubblicazione del decreto di cui al comma 357, non è stata ancora presentata richiesta di erogazione relativa all'ultimo stato di avanzamento e non sono stati adottati provvedimenti di revoca totale o parziale, a condizione che l'impresa agevolata manifesti formale opzione e comunque previo parere conforme del soggetto responsabile dell'istruttoria.
Al Ministro competente è attribuita la funzione di stabilire, con decreto di natura non regolamentare - da adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze - quali siano, in relazione ai singoli interventi previsti dal comma 355, i requisiti e le condizioni per l'accesso ai finanziamenti agevolati (comma 357).
Al Ministro dell'economia e delle finanze è attribuita, invece, la competenza a determinare il tasso di interesse - da disporre con decreto di natura non regolamentare - da applicare alle somme erogate in anticipazione. La differenza risultante tra il tasso così fissato e quello di finanziamento agevolato è posta a carico del bilancio statale, a valere sull’autorizzazione di spesa di cui al comma 361, come pure a carico dello Stato risultano gli oneri riferiti alle spese gestionali del Fondo sostenuti dalla stessa Cassa depositi e prestiti (comma 358).
E possibile prevedere la garanzia dello Stato sull'obbligo di rimborso al Fondo per le somme ricevute dalle imprese in forma di finanziamento agevolato, ivi compresi i relativi interessi. I criteri, le condizioni e le modalità di stesura di tale clausola di garanzia sono da stabilire con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze (comma 359).
Alla Cassa depositi e prestiti S.p.a. è riconosciuto il diritto ad un rimborso pari allo 0,40 per cento complessivo delle somme erogate in anticipazione per finanziamenti agevolati (comma 360).
Per le più recenti modifiche in ordine al funzionamento del Fondo rotativo in oggetto si rinvia la dossier del Servizio Studi n. 182/04 predisposto sul testo del decreto legge n. 35/2005, coordinato con le modifiche introdotte in sede di conversione dalla legge n. 80/2005.
Da ultimo, si ricorda che tra i soggetti della ricerca pubblica con i quali possono essere realizzati i programmi e i progetti di ricerca delle imprese destinatari della predetta quota del Fondo rotativo vengono richiamati espressamente: l'Istituto superiore di sanità (ISS), l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (ISPESL) nonché gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici e privati (IRCCS), compresi quelli trasformati in fondazioni.
Testo a fronte |
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D.L. 35/2005 |
D.L.
35/2005 |
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Art. 6 |
Art. 1 |
Destinazione di quota parte del Fondo rotativo per investimenti in ricerca svolti congiuntamente da imprese e università o enti pubblici di ricerca e per altre finalità di pubblico interesse. |
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1. Al fine di favorire la crescita del sistema produttivo nazionale e di rafforzare le azioni dirette a promuovere un'economia basata sulla conoscenza, una quota pari ad almeno il trenta per cento del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese, di cui all'articolo 1, comma 354, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, nel rispetto di quanto previsto dal comma 361 del citato articolo 1, è destinata al sostegno di attività, programmi e progetti strategici di ricerca e sviluppo delle imprese da realizzare anche congiuntamente a soggetti della ricerca pubblica, ivi compresi l'Istituto superiore di sanità, l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro e gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) pubblici e privati, nonché gli IRCCS trasformati in fondazioni ai sensi del decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288. |
1. Al fine di favorire la crescita del sistema produttivo nazionale e di rafforzare le azioni dirette a promuovere un'economia basata sulla conoscenza, una quota pari ad almeno il trenta per cento del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese, di cui all'articolo 1, comma 354, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, nel rispetto di quanto previsto dal comma 361 del citato articolo 1, è destinata al sostegno di attività, programmi e progetti strategici di ricerca e sviluppo delle imprese da realizzare anche congiuntamente a soggetti della ricerca pubblica, ivi compresi l'Istituto superiore di sanità, l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro e gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) pubblici e privati, nonché gli IRCCS trasformati in fondazioni ai sensi del decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288. Almeno la metà della quota di cui al periodo precedente è destinata al finanziamento di progetti promossi da micro e piccole imprese, in forma singola o associata, ed è gestita dal soggetto gestore di cui all'articolo 14, comma 1, della legge 5 marzo 2001, n. 57, che può avvalersi degli interventi di controgaranzia del Fondo di cui all'articolo 2, comma 100, lettera b), della legge 23 dicembre 1996, n. 662. |
Articolo 16, comma 1, lettera c), numero 2
(Settori ad alta tecnologia)
1. Al decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, sono apportate le seguenti modificazioni:
c) all'articolo 6:
omissis
2) al comma 4, lettera c), sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «in particolare nei settori ad alta tecnologia»;
La disposizione del comma 1, lett. c), numero 2, provvede ad integrare l’articolo 6 del DL n. 35/05, con particolare riferimento al comma 4, lett. c), al fine di specificare che i progetti di ricerca industriale e di sviluppo precompetitivo proposti dalle imprese, cui sono destinate prioritariamente le risorse finanziarie Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca, istituito dalla legge finanziaria per il 2005, devono riguardare in particolare “i settori ad alta tecnologia”.
Si ricorda, brevemente, che il citato articolo 6, ai commi 1-4,interviene sull’utilizzo del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese istituito dalla legge finanziaria 2005 (legge n. 311/04), destinando una quota pari ad almeno il 30 per cento delle risorse finanziarie del fondo (pari, complessivamente, a 6000 milioni di euro finanziati attingendo alle risorse del risparmio postale) a sostegno di attività, programmi e progetti strategici di ricerca e sviluppo delle imprese, da realizzare anche congiuntamente a soggetti della ricerca pubblica (comma 1). L’individuazione degli obiettivi e delle modalità di utilizzo è affidata al Programma Nazionale della Ricerca (PNR), approvato annualmente dal CIPE (comma 2). Il citato comma 4 individua alcuni obiettivi cui destinare, in via prioritaria, la quota di risorse finanziarie del Fondo indicata al comma 1, quali:favorire la realizzazione di programmi strategici di ricerca, che coinvolgano prioritariamente imprese, università ed enti pubblici di ricerca, a sostegno sia della produttività dei settori industriali a maggiore capacità di esportazione o ad alto contenuto tecnologico, sia della attrazione di investimenti dall'estero e che comprendano attività di formazione per almeno il dieci per cento delle risorse (lett. a); favorire la realizzazione o il potenziamento di distretti tecnologici, da sostenere congiuntamente con le regioni e gli altri enti nazionali e territoriali (lett. b). L’obiettivo indicato, in particolare alla richiamata lettera c) consiste nello stimolare l’incentivazione degli investimenti in ricerca delle imprese, con particolare riferimento alle PMI, per il sostegno di progetti di ricerca industriale e di sviluppo precompetitivo proposti dalle stesse imprese.
Articolo 16, comma 1, lettera d)
(Riforma degli incentivi alle imprese)
1. Al decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, sono apportate le seguenti modificazioni:
d) all'articolo 8, comma 3, le parole: «alla stessa data» sono sostituite dalle seguenti: «alla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 2»;
La lettera d) del comma 1 modifica il comma 3 dell’articolo 8 del decreto-legge n. 35 del 2005, convertito con modificazioni dalla legge n. 80 del 2005, che individua l’ambito di applicazione della nuova disciplina in materia di concessione degli incentivi alle imprese nelle aree sottoutilizzate, come definiti dalla legge n. 488/1992 ovvero disposti nell’ambito dalla programmazione negoziata.
L'articolo 8 opera la revisione dei meccanismi che presiedono alla concessione degli incentivi alle imprese nelle aree sottoutilizzate, così come definiti dal decreto-legge 22 ottobre 1992, n. 415, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1992, n. 488, ovvero come disposti nell’ambito degli strumenti della programmazione negoziata, e più precisamente di patti territoriali, contratti di programma e contratti d’area, di cui all'articolo 2, comma 203, della legge 23 dicembre 1996, n. 662.
I nuovi principi dettati per la concessione delle agevolazioni per investimenti in attività produttive sono volti alla sostituzione dei finanziamenti a fondo perduto con prestiti agevolati, promuovendo al tempo stesso il coinvolgimento degli istituti bancari nel finanziamento degli investimenti oggetto di agevolazioni.
Il comma 1 prevede infatti che il finanziamento in conto capitale, vale a dire a fondo perduto, non possa superare la metà del finanziamento complessivo. Almeno il restante 50% del finanziamento dovrà essere dunque costituito da un prestito, con obbligo di restituzione.
La restante quota erogata in forma di prestito dovrà constare, a sua volta, di due voci, di pari importo:
§ un prestito agevolato, alle condizioni che saranno fissate dal CIPE, e comunque ad un tasso d’interesse annuo non inferiore allo 0,50%;
§ un prestito bancario ordinario a tasso di mercato.
La disciplina di attuazione in materia di incentivi alle imprese è demandata, ai sensi del comma 2 dell’articolo 8, a un decreto del Ministro delle attività produttive da adottare entro 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto legge n. 35/2005 medesimo.
Con il decreto, in particolare, dovranno essere determinate: le attività ammissibili; i limiti degli investimenti ammissibili alle agevolazioni; le modalità di valutazione delle domande; gli indicatori per la formazione delle graduatorie settoriali e territoriali; la misura dell’intervento agevolativo, in modo da rispettare i limiti dell’intensità massima di aiuto prevista dalla normativa comunitaria; il rapporto massimo tra contributo in conto capitale e finanziamento mediante credito, assicurando in ogni caso che il contributo in conto capitale non sia superiore al finanziamento mediante credito; le modalità e i contenuti dell’istruttoria sulle domande di agevolazione.
Il comma 3 che viene novellato dalla disposizione in esame limita l’ambito di applicazione dei nuovi e più rigorosi meccanismi che presiedono alla concessione degli incentivi alle imprese nelle aree sottoutilizzate, in relazione alle procedure di concessione degli incentivi già avviate.
In particolare, il comma 3 prevede che la nuova disciplina non si applica:
§ agli incentivi assegnati in attuazione di bandi già emessi alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge n. 35 del 2005;
§ agli incentivi compresi nell’ambito di contratti di programma per i quali il Ministro delle attività produttive, alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 35 del 2005, vale a dire il 17 marzo 2005, abbia presentato al CIPE la proposta di adozione della relativa delibera di approvazione, secondo quanto stabilito dal punto 7.2 della delibera CIPE n. 26 del 25 luglio 2003, ossia quando il CIPE abbia acquisito la formale proposta del contratto di programma da parte del Ministro delle attività produttive.
La novella disposta dalla lettera d) in esame modifica la data di riferimento per l’individuazione dei contratti di programma esclusi dal nuovo e più rigoroso meccanismo di concessione degli incentivi, cui pertanto continua ad applicarsi la precedente disciplina.
In base alla novella in esame, l’esclusione dall’applicazione della nuova disciplina di concessione degli incentivi riguarda i contatti di programma per i quali il Ministro delle attività produttive abbia presentato al CIPE la proposta di adozione della delibera di approvazione alla data di entrata in vigore del decreto di attuazione della disciplina medesima, anziché dalla data di entrata in vigore del decreto legge n. 35/2005 (17 marzo 2005).
Il comma 2 dell’articolo 8 del D.L. n. 35/2005 fissava l’emanazione del decreto attuativo da parte del Ministro delle attività produttive entro 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto legge n. 35/2005 medesimo.
Alla data attuale, tuttavia, il decreto non risulta ancora emanato.
Si osserva che non appare indicata alcuna copertura per gli oneri derivanti dalla disposizione in esame.
1. Al decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, sono apportate le seguenti modificazioni:
e) all'articolo 9:
1) al comma 1, alinea, dopo le parole: «studi e consulenze» sono inserite le seguenti: «di natura legale, fiscale, contabile, giuslavoristica, necessarie ai fini della valutazione e realizzazione dell'operazione, e perizie direttamente connesse,»;
2) al comma 1, dopo la lettera c) è aggiunta la seguente:
«c-bis) indipendentemente dall'importo complessivo delle spese sostenute per studi e consulenze, l'ammontare del credito d'imposta non può superare 30.000 euro»
3) dopo il comma 2 sono inseriti i seguenti:
«2-bis. Il contributo di cui al comma 1 è destinato prioritariamente alle forme di aggregazione su base contrattuale e consortile fra micro e piccole imprese, come definite dalla citata raccomandazione n. 2003/361/CE, di cui alle lettere c) e d) del comma 1-bis.
2-ter. Per le imprese che rispettano tutte le condizioni di cui al comma 1, e che hanno più di cinque dipendenti prima del processo di concentrazione o aggregazione, è riconosciuto, per l'anno 2005, un credito d'imposta addizionale in misura pari:
a) al 7,5 per cento e al 15 per cento dei costi dei nuovi investimenti collegati o sostenuti a seguito del processo di aggregazione o concentrazione rispettivamente dalle imprese di medie e di piccole dimensioni. Il credito è attribuito nel rispetto delle condizioni previste nel citato regolamento (CE) n. 70/2001. Nelle aree ammissibili alla deroga prevista dall'articolo 87, paragrafo 3, lettera a) e lettera c), del Trattato istitutivo della Comunità europea, fermo restando il rispetto delle condizioni previste dal citato regolamento (CE) n. 70/2001, la misura del credito d'imposta è aumentata fino al massimale degli aiuti all'investimento a finalità regionale fissato nella Carta italiana degli aiuti a finalità regionale per il periodo 2000-2006 e in quella che sarà approvata per il successivo periodo;
b) al 50 per cento dei costi per la promozione all'estero collegati o sostenuti a seguito del processo di aggregazione o concentrazione, nel rispetto delle condizioni previste nel citato regolamento (CE) n. 70/2001. Sono agevolabili i costi sostenuti per la locazione, installazione e gestione dello stand per la prima partecipazione ad una fiera o esposizione, in Italia o all'estero, nonché i costi per studi e consulenze per il lancio di un prodotto su un nuovo mercato. Sono esclusi gli aiuti all'esportazione vietati dalla disciplina comunitaria;
c) al 35 per cento dei costi per la formazione collegati o sostenuti a seguito del processo di aggregazione o concentrazione, nel rispetto delle condizioni previste nel regolamento (CE) n. 68/2001 della Commissione, del 12 gennaio 2001. La misura dell'incentivo è aumentata al 70 per cento in caso di formazione generale, ovvero di formazione che fornisca qualifiche ampiamente trasferibili e migliori significativamente la possibilità di collocamento del lavoratore;
d) al 35 per cento dei costi per la ricerca collegati o sostenuti a seguito del processo di aggregazione o concentrazione, nel rispetto delle condizioni previste nel citato regolamento (CE) n. 70/2001, come modificato dal regolamento (CE) n. 364/2004 della Commissione, del 25 febbraio 2004. La misura dell'incentivo è aumentata:
1) del 5 per cento nelle aree ammissibili alla deroga prevista dall'articolo 87, paragrafo 3, lettera c), del Trattato istitutivo della Comunità europea, e del 10 per cento nelle aree ammissibili alla deroga prevista dal medesimo articolo 87, paragrafo 3, lettera a), del Trattato;
2) del 10 per cento in caso di collaborazione con almeno due partner indipendenti di due Stati membri o con istituti di ricerca pubblici, oppure se i risultati del progetto sono pubblicizzati;
3) del 15 per cento in caso di ricerche multisettoriali in conformità con un progetto avviato ai sensi di un programma quadro di azioni comunitarie o del programma Eureka;
4) fino al 75 per cento limitatamente ai costi degli studi di fattibilità tecnica in preparazione dell'attività di ricerca.
2-quater. Il contributo di cui al comma 2-ter è riconosciuto nel limite massimo di spesa di 26 milioni di euro per l'anno 2005. Al relativo onere, pari a 26 milioni di euro per l'anno 2005, si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 9-ter della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, come rideterminata dalla tabella C della legge 30 dicembre 2004, n. 311»;
4) al comma 3, primo periodo, le parole: «Per fruire del contributo» sono sostituite dalle seguenti: «Per fruire dei contributi di cui ai commi 1 e 2-ter» ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Coloro che, presentata l'istanza, non ne hanno ottenuto l'accoglimento per esaurimento delle risorse finanziarie disponibili per l'anno e che, comunque, intendono conseguire il credito d'imposta, possono rinnovare l'istanza a decorrere dal 1o gennaio dell'anno successivo conservando l'ordine di priorità conseguito con la precedente istanza non accolta»;
Il comma 1, lettera e), novella la disposizione di cui all’articolo 9 del citato D.L. n. 35/05, la quale ha disposto, in favore delle microimprese e delle piccole e medie imprese, definite secondo i criteri dell’Unione europea, che partecipino a processi di concentrazione, l'erogazione di un credito d’imposta – utilizzabile esclusivamente in compensazione – pari al 50 per cento delle spese sostenute per studi e consulenze relativi alle operazioni di concentrazione.
Si ricorda che il comma 1 del citato articolo 9 individua i soggetti che possono usufruire del cosiddetto "premio di concentrazione", consistente in un contributo, in forma di credito d’imposta, pari al 50 per cento delle spese sostenute per effettuare studi e consulenze a ciò inerenti, e specifica le condizioni che devono verificarsi affinché possa essere erogato detto premio. Per quanto concerne l'ambito soggettivo di applicazione, esso viene individuato nelle imprese, partecipanti a processi di concentrazione, che rientrano nella definizione comunitaria di microimprese e di piccole e medie imprese, secondo la raccomandazione della Commissione europea n. 2003/361/CE del 6 maggio 2003. Il contributo viene altresì erogato nel rispetto delle condizioni previste nel regolamento CE n. 70/2001 della Commissione europea del 12 gennaio 2001, relativo all'applicazione degli articoli 87 e 88 del Trattato CE agli aiuti di Stato a favore delle piccole e medie imprese, il cui obiettivo è quello di esentare dall'obbligo di notifica gli aiuti di Stato alle suddette PMI compatibili con le regole di concorrenza.
Ai fini dell'attribuzione del contributo sono necessarie le seguenti condizioni:
- l'operazione di concentrazione deve essere effettivamente realizzata;
- il processo di concentrazione deve essere completato, avuto riguardo agli effetti civili, entro i ventiquattro mesi successivi alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge (ossia tra il 17 marzo 2005 e il 16 marzo 2007);
- l'impresa risultante dal processo di concentrazione ovvero l’aggregazione fra singole imprese deve rientrare comunque nella definizione comunitaria di piccola e media impresa di cui alla raccomandazione n. 2003/361/CE sopra menzionata;
- tutte le imprese partecipanti al processo di concentrazione devono avere esercitato attività omogenee nel precedente periodo d’imposta alla data in cui è ultimato il processo stesso;
- tutte le imprese partecipanti al processo di concentrazione devono essere residenti in Stati membri dell'Unione europea ovvero dello Spazio economico europeo.
Per quanto concerne la definizione di piccole e medie imprese, si ricorda come a livello comunitario, a decorrere dal 1º gennaio 2005, sono entrate in vigore le nuove definizioni fissate con la Raccomandazione 2003/361/CE, del 6 maggio 2003, la quale ha sostituito la previgente Raccomandazione 96/280/CE, recepita nel nostro ordinamento con il D.M. 18 settembre 1997. La nuova raccomandazione comunitaria estende il concetto d’impresa ad ogni entità che svolga attività economica, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, incluse dunque le entità che svolgono attività artigianale o altre attività a titolo individuale o familiare, le società di persone o le associazioni che svolgono con regolarità un’attività economica.
La raccomandazione conferma i precedenti limiti dimensionali per quanto riguarda il numero dei dipendenti, provvedendo, invece, a modificare la soglia del fatturato e del totale di bilancio che, per la prima volta, viene indicata anche per le aziende più piccole.
Per essere riconosciuta come PMI l'impresa deve rispettare le soglie relative agli effettivi e quelle relative al totale di bilancio fissate dalla raccomandazione. I nuovi effettivi e soglie finanziarie che definiscono PMI e microimprese sono i seguenti:
- media impresa: occupa meno di 250 persone, realizza un fatturato annuo non superiore ai 50 milioni di euro oppure un totale di bilancio annuo non superiore ai 43 milioni di euro;
- piccola impresa: occupa meno di 50 persone, realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore ai 10 milioni di euro;
- microimpresa: occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di euro
L’art. 2 della raccomandazione consente agli Stati membri di stabilire, in alcuni casi, soglie inferiori rispetto ai valori massimi fissati dalla raccomandazione. Il termine ultimo per l’adozione da parte degli Stati membri delle misure atte a conformarsi alla raccomandazione è fissato al 30 settembre 2005.
La lettera e) in esame, reca, al numero 1 – introdotto nel corso dell’esame presso le Commissione riunite Affari Costituzionali e Bilancio - una novella al comma 1, primo periodo, del citato articolo 9, diretta a specificare che le consulenze per le operazioni di concentrazione oggetto di agevolazione tributaria sono di natura legale, fiscale, contabile, giuslavoristica e devono risultare necessarie ai fini della valutazione e realizzazione dell'operazione; la novella amplia, inoltre, l’ambito dell’agevolazione, includendo tra le spese per le quali si può fruire del credito di imposta anche quelle relative alle perizie direttamente connesse con l’operazione di concentrazione.
Il successivo numero 2 della lettera e), introduce una nuova lettera c-bis) alla fine del comma 1 dell’articolo 9, la quale dispone un tetto massimo per la fruizione del citato credito di imposta; quest’ultimo, indipendentemente dall’importo complessivo delle spese sostenute per studi e consulenze, non potrà superare 30.000 euro.
Il numero 3 della medesima lettera e), inserisce, dopo il comma 2 dell’articolo 9 in oggetto, alcuni commi aggiuntivi diretti ad indicare una destinazione prioritaria del premio di concertazione di cui al comma 1alle forme di aggregazione su base contrattuale e consortile fra micro e piccole imprese, nonché a prevedere un credito di imposta addizionale a parziale copertura dei costi dei nuovi investimenti, dei costi per la promozione all’estero e dei costi per la formazione, comunque collegati o sostenuti a seguito del processo di aggregazione o concentrazione.
Segnatamente, il nuovo comma 2-bis dispone che il contributo di cui al citato comma 1 sia destinato prioritariamente alle forme di aggregazione su base contrattuale e consortile fra le micro e piccole imprese - come definite dalla normativa comunitaria (per la definizione comunitaria di micro e piccole imprese cfr. sopra) - di cui alle lettere c) e d) del comma 1-bis del predetto articolo 9 (ossia le aggregazioni su base contrattuale fra imprese che organizzano in comune attività imprenditoriali rilevanti e i consorzi mediante i quali più imprenditori istituiscono una organizzazione comune per lo svolgimento di fasi rilevanti delle rispettive imprese).
Ai sensi del nuovo comma 2-ter, per le imprese che rispettano tutte le condizioni di cui al comma 1 (cfr. sopra), e che hanno più di cinque dipendenti prima del processo di concentrazione o aggregazione, è riconosciuto, per l’anno 2005, un ulteriore credito d’imposta, addizionale rispetto a quello sopra indicato, in misura pari:
a) al 7,5% e al 15% dei costi dei nuovi investimenti collegati o sostenuti a seguito del processo di aggregazione o concentrazione rispettivamente dalle imprese di medie e di piccole dimensioni.
Il credito è attribuito nel rispetto delle condizioni previste nel Regolamento CE n. 70/2001 della Commissione, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee L 10 del 13 gennaio 2001. Nelle aree ammissibili alla deroga prevista dall’articolo 87, paragrafo 3, lettera a) e lettera c) del Trattato, fermo restando il rispetto delle condizioni previste dal Regolamento CE n. 70/2001 citato, la misura del credito d’imposta è aumentata fino al massimale degli aiuti all’investimento a finalità regionale fissato nella Carta italiana degli aiuti a finalità regionale per il periodo 2000-2006 e da quella che sarà approvata per il successivo periodo;
Si ricorda, brevemente, come l’art. 87 del Trattato che istituisce la Comunità europea vieti gli aiuti pubblici alle imprese che favorendo determinate imprese o produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza, incidendo sugli scambi tra gli Stati membri. Rispetto al divieto generale, sono ammesse deroghe di pieno diritto (Art.- 87, par. 2): aiuti per contrastate danni da calamità naturale o eventi eccezionali e aiuti a carattere sociale per singoli consumatori; e deroghe eventuali (Art. 87, par. 3): regioni in ritardo di sviluppo (lett. a), progetti di interesse comune o situazioni di grave turbamento nell’economia di uno Stato membro (lett. b), sviluppo di talune attività o regioni (lett. c), promozione della cultura e conservazione del patrimonio (lett. d).
La Commissione, nel corso degli anni, ha definito le modalità di concessione degli aiuti di Stato in deroga ai sensi dell’art. 87, sia per quanto riguarda gli obiettivi “orizzontali” che per quelli regionali e settoriali. Per quanto riguarda gli aiuti orizzontali, con il regolamento 98/994/CE del 7 maggio 1998, il Consiglio ha stabilito che la Commissione può adottare norme di deroga per gli aiuti destinati a specifici obiettivi che interessano tutti i settori economici (piccole e medie imprese, ricerca e allo sviluppo, tutela dell’ambiente, occupazione e formazione), nonché per quelli che non superino determinati importi (c.d. aiuti de minimis). Il rispetto di tali norme esenta dall’obbligo di comunicare i regimi di aiuto alla Commissione, e quindi ne assicura l’ammissibilità.
Su queste basi, la Commissione ha adottato tre regolamenti, rispettivamente sugli aiuti de minimis, su quelli destinati alla formazione e su quelli destinati alle PMI : il regolamento CE n. 69/2001, n. 68/2001 e n. 70/2001. Si ricorda che il Reg. (CE) n. 364/2004 del 25 febbraio 2004 ha modificato il Regolamento (CE) n. 70/2001, estendendone il suo campo d'applicazione agli aiuti alla ricerca e sviluppo.
Il Regolamento (CE) N. 70/2001 della Commissione del 12 gennaio 2001, relativo all'applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti di Stato a favore delle piccole e medie imprese si applica, in particolare, agli aiuti concessi da uno Stato membro a una PMI e fa salve le speciali disposizioni stabilite dai regolamenti e dalle direttive in materia di aiuti di Stato in settori specifici, quali la costruzione navale e la siderurgia, i settori dell'agricoltura e della pesca.
Per ciò che concerne gli aiuti all'investimento, le PMI sono ammesse a questi:
§ in regioni che non possono beneficiare di quelli a carattere regionale in virtù dell'articolo 87, paragrafo 3, lettere a) e c) del trattato CE. In questo caso, l'intensità dell'aiuto non deve superare il 15% per le piccole imprese, e il 7,5% per le medie imprese.
§ in regioni che possono beneficiare di aiuti a carattere regionale in virtù dell'articolo 87, paragrafo 3, lettera c) del trattato CE. L'importo massimo degli aiuti all'investimento deve tener conto della mappa regionale approvata dalla Commissione, aumentato di 10 punti percentuali, a condizione che l'intensità netta totale dell'aiuto non superi il 30%;
§ in regioni che possono beneficiare di aiuti a carattere regionale in virtù dell'articolo 87, paragrafo 3, lettera a) del trattato CE. Nel caso delle regioni più povere dell'Unione europea, l'importo massimo degli aiuti all'investimento deve tener conto della mappa regionale approvata dalla Commissione, aumentato di 15 punti percentuali, purché l'intensità netta totale dell'aiuto non superi il 75%.
L'importo dell'aiuto, calcolato in percentuale dei costi di investimento ammissibili ovvero sulla base dei costi salariali connessi ai posti di lavoro creati, può essere aumentato se l'investimento è conservato nella regione beneficiaria per almeno 5 anni e il contributo del beneficiario non è inferiore al 25% del finanziamento ottenuto.
Ai fini del Reg. n. 70/2001 e ss. modificazioni, le PMI possono beneficiare di aiuti per consulenza e altri servizi (che non devono essere continuativi o periodici, né essere connessi alle normali spese di funzionamento dell'impresa) e attività (partecipazione a fiere ed esposizioni) per un importo inferiore al 50% dei costi.
Gli aiuti concessi non possono essere cumulati ad altri aiuti di Stato. Inoltre, le percentuali consentite includono l'insieme degli aiuti nazionali o eventualmente comunitari. Gli aiuti che oltrepassano i massimali o gli importi citati devono essere notificati alla Commissione.
Per quanto concerne le disposizioni di cui all'articolo 87, paragrafo 3, lettera a) e lettera c), esse individuano i cosiddetti aiuti di Stato a finalità regionale.
Come è rilevato negli Orientamenti comunitari (Comunicazione della Commissione 98/C 74/06 del 10 marzo 1998), gli aiuti a finalità regionale si distinguono dalle altre categorie degli aiuti pubblici perché sono riservati ad alcune aree territoriali particolari e hanno come obiettivo specifico il loro sviluppo.
In particolare, possono essere considerati ammissibili (paragrafo 3):
lett. a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione;
lett. c) gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse.
b) al 50% dei costi per la promozione all’estero collegati o sostenuti a seguito del processo di aggregazione o concentrazione, nel rispetto delle condizioni previste nel Regolamento CE n. 70/2001 della Commissione, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee L 10 del 13 gennaio 2001. Sono agevolabili i costi sostenuti per la locazione, installazione e gestione dello stand per la prima partecipazione ad una fiera o esposizione, in Italia o all’estero, nonché i costi per studi e consulenze per il lancio di un prodotto su un nuovo mercato, mentre sono esclusi gli aiuti all’esportazione vietati dalla disciplina comunitaria;
Si ricorda che il citato Regolamento (CE) n. 70/2001 non esenta gli aiuti all'esportazione né quelli che favoriscono la produzione interna rispetto ai prodotti importati. Al riguardo, va peraltro considerato come ai sensi della suddetta disciplina comunitaria non costituiscono normalmente aiuti all'esportazione le fattispecie richiamate dalla norma in commento, ossia gli aiuti inerenti ai costi di partecipazione a fiere commerciali né quelli per studi di consulenza necessari per il lancio di un nuovo prodotto o di un prodotto già esistente su un nuovo mercato.
c) al 35% dei costi per la formazione collegati o sostenuti a seguito del processo di aggregazione o concentrazione, nel rispetto delle condizioni previste nel Regolamento CE n. 68/2001 della Commissione, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee L 10 del 13 gennaio 2001. La misura dell’incentivo è aumentata al 70% in caso di formazione generale, ovvero di formazione che fornisca qualifiche ampiamente trasferibili e migliori significativamente la possibilità di collocamento del lavoratore;
Riguardo alla formazione si ricorda che la specifica disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato, è contenuta nel Regolamento CE n. 68/2001 del 12 gennaio 2001, di recente modificato dal Regolamento (CE) n. 363/2004.
Il Regolamento,relativo all'applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti destinati alla formazione, sancisce l’esenzione dall’obbligo della notifica per tutti gli aiuti concessi alle imprese, siano essi erogati nell’ambito di un regime, oppure ad hoc.
Il regolamento si applica a tutti gli aiuti pubblici alla formazione che favoriscono una o più imprese o settori, in quanto riducono i costi che dovrebbero normalmente sostenere per permettere ai dipendenti di acquisire nuove competenze. Si applica agli aiuti alla formazione, sia dispensata dalle stesse imprese che impartita da centri di formazione pubblici o privati. La formazione può intervenire in tutti i settori. E' detta "specifica" nel caso in cui sia prevalentemente applicabile alla posizione attuale o futura occupata dal dipendente presso l'impresa beneficiaria; "generale" se in grado di fornire qualifiche ampiamente trasferibili ad altre imprese o altri settori di occupazione. Il primo tipo di azione di formazione comporta un rischio di distorsione della concorrenza maggiore rispetto alle azioni di formazione generale.
Gli aiuti alla formazione sono esenti da notifica se l'intensità dell'aiuto non supera le seguenti percentuali dell'importo globale del progetto:
§ nel caso di un progetto di formazione specifica, l'intensità degli aiuti non deve superare il 25% per le grandi imprese e il 35% per le PMI;
§ nel caso di "formazione generale", il massimale degli aiuti non deve superare il 50% per le grandi imprese e il 70% per le PMI;
§ nel caso intervengano entrambe, l'intensità degli aiuti non deve superare il 25% per le grandi imprese e il 35% per le PMI.
Tali intensità sono maggiorate da 10 a 20 punti percentuali per le PMI, da 5 a 10 punti percentuali se la formazione è destinata alle regioni più povere dell'Unione europea e di 10 punti percentuali se essa è dispensata a lavoratori svantaggiati.
Tra i costi ammissibili di un progetto di formazione rientrano:
§ la retribuzione del personale docente;
§ le spese di trasferta del personale docente;
§ le spese dei partecipanti alla formazione;
§ i costi di fornitura e materiali;
§ l'ammortamento dei beni e delle attrezzature;
§ i costi dei servizi di consulenza;
§ le retribuzioni dei partecipanti al progetto di formazione.
L'esenzione non si applica ai progetti individuali di formazione che superano il budget di un milione di euro. Gli aiuti esentati non possono essere cumulati con altri aiuti di Stato. Inoltre, le percentuali accordate comprendono l'insieme degli aiuti nazionali o eventualmente comunitari.
Al fine di assicurare un controllo adeguato e un livello di trasparenza sufficiente, la Commissione richiede agli Stati membri:
§ di comunicarle entro un termine di venti giorni una sintesi delle informazioni relative a questo regime di aiuti (allegato II);
§ di conservare registri dettagliati relativi ai regimi di aiuti esentati dal presente regolamento;
§ di redigere una relazione annuale sull'applicazione del presente regolamento (allegato III).
d) al 35% dei costi per la ricerca collegati o sostenuti a seguito del processo di aggregazione o concentrazione, nel rispetto delle condizioni previste nel citato Regolamento CE n. 70/2001, come modificato dal Regolamento CE n. 364/2004 della Commissione pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee L 63 del 28 febbraio 2004.
Si ricorda che ai sensi del Regolamento (CE) n. 70/2001, come modificato dal Reg. (CE) n. 364/2004 del 25 febbraio 2004, gli aiuti alla ricerca e allo sviluppo sono esentati dalla notificazione preventiva se l'intensità dell'aiuto, calcolato sulla base dei costi ammissibili del progetto, non supera:
§ il 100% per la ricerca fondamentale;
§ il 60% (75% massimo se sussistono condizioni particolari) per la ricerca industriale;
§ il 35% (50% massimo se sussistono condizioni particolari) per attività di sviluppo precompetitivo.
L'importo dell'aiuto, che copre fra l'altro le spese di personale e i costi della strumentazione e delle attrezzature di ricerca, può a talune condizioni specifiche essere maggiorato del 10%.
In particolare, si ricorda che, qualora un progetto comprenda diverse fasi di ricerca e sviluppo, l'intensità consentita dell'aiuto è stabilita sulla base della media ponderata delle rispettive intensità di aiuto consentite, calcolate sulla base dei costi ammissibili sostenuti.
In caso di progetti di collaborazione, l'importo massimo degli aiuti per ciascun beneficiario non deve superare l'intensità consentita calcolata in base ai costi ammissibili sostenuti dal beneficiario in questione.
I citati massimali possono essere aumentati, a concorrenza massima di un'intensità lorda dell'aiuto del 75% per la ricerca industriale e del 50% per l'attività di sviluppo precompetitivo, nei seguenti casi:
a) quando il progetto è realizzato in una regione che, all'epoca della concessione dell'aiuto, è ammessa a beneficiare degli aiuti a finalità regionale;
b) quando il progetto è finalizzato alla realizzazione di ricerche aventi possibili applicazioni multisettoriali ed è centrato su un approccio multidisciplinare conformemente agli obiettivi di un progetto o di un programma specifici avviati in conformità al sesto programma quadro di azioni comunitarie di ricerca e sviluppo tecnologico, di cui alla decisione n. 1513/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio.
L’intensità massima dell'aiuto può essere aumentata di 10 punti percentuali purché il progetto comporti una collaborazione transfrontaliera effettiva tra almeno due partner indipendenti di due Stati membri, oppure qualora il progetto comporti una collaborazione effettiva tra un'impresa ed un ente pubblico di ricerca, in particolare nel contesto del coordinamento delle politiche nazionali in materia di R & S, laddove l'ente pubblico di ricerca sostiene almeno il 10% dei costi ammissibili del progetto e ha il diritto di pubblicare i risultati nella misura in cui derivino dall'attività di ricerca effettuata da tale ente; oppure quando i risultati del progetto sono oggetto di ampia diffusione o sono pubblicati in riviste scientifiche e tecniche specializzate.
I costi del progetto considerati ammissibili sono definiti dal comma 5 dell’art. 5-bis del reg. 70/2001, e tra essi rientrano le spese di personale, i costi della strumentazione e dei fabbricati e dei terreni utilizzati per il progetto di ricerca, nonché i costi dei servizi di consulenza e i costi d'esercizio, inclusi quelli dei materiali, delle forniture e di prodotti analoghi, direttamente imputabili all'attività di ricerca.
Da ultimo, l’articolo 5-ter reca la specifica disciplina degli aiuti per gli studi di fattibilità tecnica, la quale dispone che tali studi, compiuti in preparazione delle attività di ricerca industriale o delle attività di sviluppo precompetitivo, sono compatibili con il mercato comune e non sono soggetti all'obbligo di notificazione quando l'intensità lorda dell'aiuto, calcolata sulla base dei costi degli studi, non supera il 75%.
Gli aiuti per i costi connessi con l'ottenimento e la validazione di brevetti e di altri diritti di proprietà industriale sono esentati dall'obbligo di notificazione a concorrenza degli stessi livelli di aiuto che sarebbero stati considerati aiuti alla R & S per quanto riguarda le attività di ricerca all'origine di tali diritti di proprietà industriale.
Il regolamento n. 70/2001 non si applica agli aiuti che raggiungono le seguenti soglie:
§ un totale di costi ammissibili superiore a 25 milioni di EUR per gli aiuti all'investimento, gli aiuti alla consulenza, gli aiuti alla ricerca e allo sviluppo, gli aiuti per gli studi di fattibilità tecnica e gli aiuti per i costi di brevetto;
§ un importo totale lordo dell'aiuto superiore a 15 milioni di EUR per gli aiuti all'investimento e gli aiuti alla consulenza;
§ un importo totale lordo dell'aiuto superiore a 15 milioni di EUR per gli aiuti alla ricerca e allo sviluppo, gli aiuti per gli studi di fattibilità tecnica e gli aiuti per i costi di brevetto;
§ un totale di costi ammissibili superiore a 40 milioni di EUR e una sovvenzione lorda superiore a 10 milioni di EUR per i progetti Eureka.
La misura del suddetto incentivo è aumentata:
- del 5% nelle aree ammissibili alla deroga prevista dall’articolo 87, paragrafo 3, lettera c) del Trattato, e del 10% nelle aree ammissibili alla deroga prevista dall’articolo 87, paragrafo 3, lettera a) del Trattato;
Come accennato, disposizioni di cui all'articolo 87, paragrafo 3, lettera a) e lettera c) individuano i cosiddetti aiuti di Stato a finalità regionale.
Come è rilevato negli Orientamenti comunitari (Comunicazione della Commissione 98/C 74/06 del 10 marzo 1998), gli aiuti a finalità regionale si distinguono dalle altre categorie degli aiuti pubblici perché sono riservati ad alcune aree territoriali particolari e hanno come obiettivo specifico il loro sviluppo.
In particolare, possono essere considerati ammissibili (paragrafo 3):
lett. a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione;
lett. c) gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse.
- del 10% in caso di collaborazione con almeno due partner indipendenti di due Stati membri o con istituti di ricerca pubblici, oppure se i risultati del progetto sono pubblicizzati;
Come accennato, ai sensi del citato Regolamento (CE) n. 70/2001, l’intensità massima dell'aiuto può essere aumentata di 10 punti percentuali purché il progetto comporti una collaborazione transfrontaliera effettiva tra almeno due partner indipendenti di due Stati membri, oppure qualora il progetto comporti una collaborazione effettiva tra un'impresa ed un ente pubblico di ricerca, in particolare nel contesto del coordinamento delle politiche nazionali in materia di R & S, laddove l'ente pubblico di ricerca sostiene almeno il 10% dei costi ammissibili del progetto e ha il diritto di pubblicare i risultati nella misura in cui derivino dall'attività di ricerca effettuata da tale ente; oppure quando i risultati del progetto sono oggetto di ampia diffusione o sono pubblicati in riviste scientifiche e tecniche specializzate.
- del 15% in caso di ricerche multisettoriali in conformità con un progetto avviato ai sensi di un programma quadro di azioni comunitarie o di Eureka;
Si ricorda che l'Iniziativa Eureka è una iniziativa internazionale, il cui principale obiettivo consiste nell’aumentare, attraverso una più stretta cooperazione tra le imprese e gli istituti di ricerca nel campo delle tecnologie avanzate, la produttività e la competitività dell'economia e dell'industria europea [123].
La regola fondamentale caratterizzante l’iniziativa Eureka è data dal principio del “bottom–up”, in base al quale i partecipanti hanno la possibilità di lanciare progetti europei di ricerca e sviluppo di propria iniziativa e in base alle proprie necessità, senza bandi, scadenze o settori tecnologici privilegiati. Tale principio lascia ai partecipanti l’intera responsabilità della definizione ed attuazione del loro progetto e garantisce che tutti i progetti ammessi al label Eureka siano fondati su una solida motivazione commerciale e tecnologica[124]. I risultati delle ricerche condotte con il riconoscimento Eureka sono di esclusiva proprietà dei partecipanti. Tale elemento è, tra l’altro, ciò che differenzia l’iniziativa Eureka rispetto ai programmi di ricerca dell’Unione Europea [125]. Va inoltre rilevato come non esista un fondo comune centralizzato per il finanziamento dei progetti Eureka. Ciascun partecipante deve pertanto, sulla base degli specifici quadri normativi predisposti dai paesi membri, ricercare all'interno del proprio sistema nazionale, possibili supporti finanziari allo sviluppo del progetto. In Italia, allo stato, il finanziamento dei progetti Eureka non è legato a nessuno strumento specifico, ma la partecipazione da parte delle imprese italiane ad Eureka trova comunque, nella maggioranza dei casi, nel Decreto legislativo n. 297 del 27 luglio 1999, di riordino della disciplina per il sostegno della ricerca scientifica e tecnologica, uno specifico strumento di intervento che prevede la disponibilità del Fondo per le Agevolazioni alla Ricerca (FAR) gestito dal MIUR. In particolare, il D.M. 8 agosto 2000, attuativo del D.Lgs. n. 297 sopra citato, prevede la concessione ai progetti Eureka, in quanto “progetti autonomamente presentati per la realizzazione di attività di ricerca nell'ambito di programmi o di accordi intergovernativi di cooperazione” (art. 7) di un finanziamento aggiuntivo del 10%. L'intero finanziamento, inoltre, è concesso nella forma del contributo alla spesa (a fondo perduto) .
Appare utile ricordare quanto evidenziato nella nota introduttiva del Dossier predisposto dall’Ufficio Eureka – Enea italiano, presso il MIUR, in occasione dell’ultima Conferenza Ministeriale, svoltasi a Parigi del 18 giugno 2004 , circa la partecipazione italiana al progetto Eureka: per essa, secondo la nota governativa, si prospetterebbe una “situazione caratterizzata da elementi di crisi”.
Al riguardo, si ricorda che un primo ridimensionamento della partecipazione italiana si era già verificato con il Decreto del MIUR del 12 dicembre 2002, che limitava la finanziabilità dei progetti a valere sul decreto legislativo n. 297/99 a quelli provenienti da regioni “obiettivo 1”.
Il decreto MIUR del 26 febbraio 2004 ha poi esteso la non ricevibilità delle domande di finanziamento a tutto il territorio nazionale, annullando di fatto la possibilità di lanciare nuovi progetti di ricerca industriale.
Allo stato attuale, dunque, tranne alcuni casi pregressi, in Italia sono sostenuti sotto il label “Eureka” solo progetti “autofinanziati”.
- fino al 75% limitatamente ai costi degli studi di fattibilità tecnica in preparazione dell’attività di ricerca.
Come accennato, ai sensi della disciplina comunitaria gli aiuti per gli studi di fattibilità tecnica in preparazione delle attività di ricerca industriale o delle attività di sviluppo precompetitivo non sono soggetti all'obbligo di notificazione quando l'intensità lorda dell'aiuto, calcolata sulla base dei costi degli studi, non supera il 75%.
Ai sensi del nuovo comma 2-quater,il contributo di cui al precedente comma 2-ter è riconosciuto nel limite massimo di spesa di 26 milioni di euro per l’anno 2005.
Al relativo onere, pari a 26 milioni di euro per l’anno 2005, si provvede mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 9-ter, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, come determinata dalla tabella C della legge 30 dicembre 2004, n. 311.
L’articolo 9-ter della legge n. 468 del 1978, introdotto dall’articolo 2 della legge n. 208 del 1999, stabilisce l’istituzione nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze di un “Fondo di riserva per l'integrazione delle autorizzazioni di spesa delle leggi permanenti di natura corrente”, previste dall'articolo 11, comma 3, lettera d), della medesima legge, il cui ammontare è annualmente determinato dalla legge finanziaria. Si tratta , in sostanza, di un Fondo, presente nella tabella C della legge finanziaria, destinato a integrare le dotazioni dei capitoli la cui dotazione è rimessa alla medesima tabella C. Il trasferimento di risorse a favore di unità previsionali di base, al fine di provvedere ad eventuali deficienze delle dotazioni delle unità medesime, è disposto con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, su proposta del Ministro interessato, che ne dà contestuale comunicazione alle Commissioni parlamentari competenti.
Da ultimo, il numero 3 della lettera d) in esame novella il comma 3 del citato articolo 9, sia includendovi il riferimento alla nuova tipologia di contributi introdotta ai sensi del citato nuovo comma 2-ter, sia aggiungendovi un periodo diretto a specificare che i soggetti che non hanno ottenuto l’accoglimento dell’istanza per la concessione dei contributi a causa dell’esaurimento delle risorse finanziarie disponibili per l’anno e che, comunque, intendono conseguire il credito d’imposta, possono rinnovare l’istanza a decorrere dal 1 gennaio dell’anno successivo conservando l’ordine di priorità conseguito con la precedente istanza non accolta.
Si ricorda che ai sensi del comma 3 del vigente articolo 9 la procedura per l'erogazione dei contributi si compone dei seguenti passaggi:
1. l'impresa concentrataria, una volta portato a termine il processo di concentrazione, deve inoltrare apposita istanza, in via telematica, al Centro operativo di Pescara dell'Agenzia delle entrate;
2. l'Agenzia delle entrate – che provvede a rilasciare, sempre in via telematica, certificazione della data di avvenuta presentazione – esamina le istanze secondo l'ordine cronologico di presentazione;
3. la stessa Agenzia deve infine comunicare, sempre telematicamente, l'esito dell’istanza, entro il termine di trenta giorni dalla sua presentazione.
Il contributo può essere negato sia per carenza dei presupposti desumibili dall'istanza, sia per l'esaurimento dei fondi stanziati, che sono pari a 34 milioni di euro per l'anno 2005, 110 milioni di euro per l'anno 2006 e 57 milioni di euro per l'anno 2007.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Il 18 novembre 2003 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva sulle fusioni transfrontaliere delle società di capitali (COM(2003)703).
La proposta intende facilitare le fusioni transfrontaliere delle società commerciali eliminando gli ostacoli che potrebbero essere rappresentati dalle legislazioni nazionali competenti. Per quanto riguarda la procedura di fusione, la Commissione formula un principio di base secondo il quale si applicano, in ogni Stato membro, i principi e le modalità che disciplinano le fusioni tra società soggette esclusivamente alla legislazione di quello Stato membro, fatte salve eventuali disposizioni contrarie della direttiva motivate dalla natura transfrontaliera dell'operazione. D'altra parte, poiché la nuova entità si troverebbe, in base ai termini della proposta, soggetta alla legge del Paese della sua sede sociale, per prevenire l'elusione delle norme sulla partecipazione dei lavoratori agli organi decisionali dell'azienda all'interno della società risultante dalla fusione, la Commissione prevede diestendere la protezione dei diritti acquisiti dai lavoratori: quando una delle società che partecipano alla fusione transfrontaliera è governata da norme, volontarie o meno, che prevedono la partecipazione dei lavoratori, mentre la legislazione dello Stato membro in cui è registrata la società nata dalla fusione non prevede tali regole. In mancanza di una soluzione negoziata al riguardo, si applica, in ogni caso, la legge dello Stato membro che autorizza o che impone la partecipazione.
Il 10 maggio 2005 il Parlamento europeo ha esaminato in prima lettura la proposta, che segue la procedura di codecisione. Il PE ha approvato una serie di emendamenti volti a chiarire il campo d'applicazione della direttiva, precisare i limiti delle eventuali restrizioni previste dalle legislazioni nazionali e, soprattutto, garantire una più elevata protezione dei lavoratori delle società in procinto di fondersi. Considerato che tali emendamenti corrispondono quasi integralmente alla posizione del Consiglio, non è escluso che l'iter legislativo possa concludersi già in prima lettura della procedura di codecisione. Si ricorda che. il 25 novembre 2004 il Consiglio aveva concordato ad ampia maggioranza un approccio generale sulla proposta, con il voto contrario dell’Italia[126] (la Francia e la Danimarca, per parte loro, hanno sollevato una riserva d’esame parlamentare).
Testo a fronte |
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D.L. 35/2005 |
D.L.
35/2005 |
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Art. 9 |
Art. 1 |
Dimensione europea per la piccola impresa e premio di concentrazione |
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1. Alle imprese rientranti nella definizione comunitaria di microimprese, piccole e medie imprese, di cui alla raccomandazione n. 2003/361/CE della Commissione, del 6 maggio 2003, che prendono parte a processi di concentrazione è attribuito, nel rispetto delle condizioni previste nel regolamento (CE) n. 70/2001 del 12 gennaio 2001 della Commissione, un contributo nella forma di credito di imposta pari al cinquanta per cento delle spese sostenute per studi e consulenze, inerenti all'operazione di concentrazione e comunque in caso di effettiva realizzazione dell'operazione, secondo le condizioni che seguono:
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1. Alle imprese rientranti nella definizione comunitaria di microimprese, piccole e medie imprese, di cui alla raccomandazione n. 2003/361/CE della Commissione, del 6 maggio 2003, che prendono parte a processi di concentrazione è attribuito, nel rispetto delle condizioni previste nel regolamento (CE) n. 70/2001 del 12 gennaio 2001 della Commissione, un contributo nella forma di credito di imposta pari al cinquanta per cento delle spese sostenute per studi e consulenze, di natura legale, fiscale, contabile, giuslavoristica, necessarie ai fini della valutazione e realizzazione dell’operazione, e perizie direttamente connesse, inerenti all'operazione di concentrazione e comunque in caso di effettiva realizzazione dell'operazione, secondo le condizioni che seguono: |
a) il processo di concentrazione deve essere ultimato, avuto riguardo agli effetti civili, nel periodo compreso tra la data di entrata in vigore del presente decreto e i ventiquattro mesi successivi; |
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b) l'impresa risultante dal processo di concentrazione, comunque operata, ovvero l'aggregazione fra singole imprese, deve rientrare nella definizione di piccola e media impresa di cui alla raccomandazione della Commissione europea del 6 maggio 2003; |
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c) tutte le imprese che partecipano al processo di concentrazione devono aver esercitato attività omogenee nel periodo d'imposta precedente alla data in cui è ultimato il processo di concentrazione o aggregazione ed essere residenti in Stati membri dell'Unione europea ovvero dello Spazio economico europeo. |
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c-bis) indipendentemente dall’importo complessivo delle spese sostenute per studi e consulenze, l’ammontare del credito d’imposta non può superare 30.000 euro.
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1-bis. Ai fini del presente articolo per concentrazione si intende: a) la costituzione di un'unica impresa per effetto dell'aggregazione di più imprese mediante fusione; |
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b) l'incorporazione di una o più imprese da parte di altra impresa; |
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c) la costituzione di aggregazioni su base contrattuale fra imprese che organizzano in comune attività imprenditoriali rilevanti; |
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d) la costituzione di consorzi mediante i quali più imprenditori istituiscono una organizzazione comune per lo svolgimento di fasi rilevanti delle rispettive imprese; |
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e) ulteriori forme che favoriscano la crescita dimensionale delle imprese. |
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1-ter. La concentrazione di cui al comma 1-bis non può avere durata inferiore a tre anni; |
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1-quater. Tutte le imprese di cui al comma 1-bis iscrivono al registro delle imprese l'avvenuta concentrazione ai sensi del presente articolo |
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2. Il contributo di cui al comma 1 non compete se il processo di concentrazione interessa imprese tra le quali sussiste il rapporto di controllo di cui all'articolo 2359 del codice civile ovvero che sono direttamente o indirettamente controllate dalla stessa persona fisica, tenuto conto anche delle partecipazioni detenute dai familiari di cui all'articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni. |
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“2-bis. Il contributo di cui al comma 1 è destinato prioritariamente alle forme di aggregazione su base contrattuale e consortile fra micro e piccole imprese, come definite dalla Raccomandazione n. 2003/361/CE della Commissione del 6 maggio 2003, di cui alle lettere c) e d) del comma 1-bis. |
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2-ter. Per le imprese che rispettano tutte le condizioni di cui al comma 1, e che hanno più di cinque dipendenti prima del processo di concentrazione o aggregazione, è riconosciuto, per l’anno 2005, un credito d’imposta addizionale in misura pari: |
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a) al 7,5% e al 15% dei costi dei nuovi investimenti collegati o sostenuti a seguito del processo di aggregazione o concentrazione rispettivamente dalle imprese di medie e di piccole dimensioni. Il credito è attribuito nel rispetto delle condizioni previste nel Regolamento CE n. 70/2001 della Commissione, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee L 10 del 13 gennaio 2001. Nelle aree ammissibili alla deroga prevista dall’articolo 87, paragrafo 3, lettera a) e lettera c) del Trattato, fermo restando il rispetto delle condizioni previste dal Regolamento CE n. 70/2001 citato, la misura del credito d’imposta è aumentata fino al massimale degli aiuti all’investimento a finalità regionale fissato nella Carta italiana degli aiuti a finalità regionale per il periodo 2000-2006 e da quella che sarà approvata per il successivo periodo; |
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b) al 50% dei costi per la promozione all’estero collegati o sostenuti a seguito del processo di aggregazione o concentrazione, nel rispetto delle condizioni previste nel Regolamento CE n. 70/2001 della Commissione, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee L 10 del 13 gennaio 2001. Sono agevolabili i costi sostenuti per la locazione, installazione e gestione dello stand per la prima partecipazione ad una fiera o esposizione, in Italia o all’estero; nonché i costi per studi e consulenze per il lancio di un prodotto su un nuovo mercato. Sono esclusi gli aiuti all’esportazione vietati dalla disciplina comunitaria; |
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c) al 35% dei costi per la formazione collegati o sostenuti a seguito del processo di aggregazione o concentrazione, nel rispetto delle condizioni previste nel Regolamento CE n. 68/2001 della Commissione, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee L 10 del 13 gennaio 2001. La misura dell’incentivo è aumentata al 70% in caso di formazione generale, ovvero di formazione che fornisca qualifiche ampiamente trasferibili e migliori significativamente la possibilità di collocamento del lavoratore; |
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d) al 35% dei costi per la ricerca collegati o sostenuti a seguito del processo di aggregazione o concentrazione, nel rispetto delle condizioni previste nel citato Regolamento CE n. 70/2001, come modificato dal Regolamento CE n. 364/2004 della Commissione pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee L 63 del 28 febbraio 2004. La misura dell’incentivo è aumentata: |
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- del 5% nelle aree ammissibili alla deroga prevista dall’articolo 87, paragrafo 3, lettera c) del Trattato, e del 10% nelle aree ammissibili alla deroga prevista dall’articolo 87, paragrafo 3, lettera a) del Trattato; |
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- del 10% in caso di collaborazione con almeno due partner indipendenti di due Stati membri o con istituti di ricerca pubblici, oppure se i risultati del progetto sono pubblicizzati; |
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- del 15% in caso di ricerche multisettoriali in conformità con un progetto avviato ai sensi di un programma quadro di azioni comunitarie o di Eureka; |
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- fino al 75% limitatamente ai costi degli studi di fattibilità tecnica in preparazione dell’attività di ricerca. |
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2-quater Il contributo di cui al comma 2-ter è riconosciuto nel limite massimo di spesa di 26 milioni di euro per l’anno 2005. Al relativo onere, pari a 26 milioni di euro per l’anno 2005, si provvede mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 9-ter, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, come determinata dalla tabella C della legge 30 dicembre 2004, n. 311.
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3. Per fruire del contributo, l'impresa concentrataria inoltra, a decorrere dalla data di ultimazione del processo di concentrazione, un'apposita istanza in via telematica al Centro operativo di Pescara dell'Agenzia delle entrate, che ne rilascia, in via telematica, certificazione della data di avvenuta presentazione. L'Agenzia delle entrate esamina le istanze secondo l'ordine cronologico di presentazione, e comunica, in via telematica, entro trenta giorni dalla presentazione dell'istanza, il riconoscimento del contributo ovvero il diniego del contributo stesso per carenza dei presupposti desumibili dall'istanza ovvero per l'esaurimento dei fondi stanziati, pari a 34 milioni di euro per l'anno 2005, 110 milioni di euro per l'anno 2006 e 57 milioni di euro per l'anno 2007. |
3. Per fruire dei contributi di cui ai commi 1 e 2-ter, l'impresa concentrataria inoltra, a decorrere dalla data di ultimazione del processo di concentrazione, un'apposita istanza in via telematica al Centro operativo di Pescara dell'Agenzia delle entrate, che ne rilascia, in via telematica, certificazione della data di avvenuta presentazione. L'Agenzia delle entrate esamina le istanze secondo l'ordine cronologico di presentazione, e comunica, in via telematica, entro trenta giorni dalla presentazione dell'istanza, il riconoscimento del contributo ovvero il diniego del contributo stesso per carenza dei presupposti desumibili dall'istanza ovvero per l'esaurimento dei fondi stanziati, pari a 34 milioni di euro per l'anno 2005, 110 milioni di euro per l'anno 2006 e 57 milioni di euro per l'anno 2007. Coloro che, presentata l’istanza, non ne hanno ottenuto l’accoglimento per esaurimento delle risorse finanziarie disponibili per l’anno e che, comunque, intendono conseguire il credito d’imposta, possono rinnovare l’istanza a decorrere dal 1 gennaio dell’anno successivo conservando l’ordine di priorità conseguito con la precedente istanza non accolta. |
4. Con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate è approvato il modello da utilizzare per la redazione dell'istanza e sono stabiliti i dati in esso contenuti, nonché i termini di presentazione delle istanze medesime. Dell'avvenuto esaurimento dei fondi stanziati è data notizia con successivo provvedimento del direttore della medesima Agenzia. |
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5. Per le modalità di presentazione telematica si applicano le disposizioni contenute nell'articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, e successive modificazioni. |
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6. Il credito d'imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione ai sensi del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, successivamente alla comunicazione di avvenuto riconoscimento del contributo. Il credito d'imposta non è rimborsabile, non concorre alla formazione del valore della produzione netta di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, né dell'imponibile agli effetti delle imposte sui redditi e non rileva ai fini del rapporto di cui all'articolo 96 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni. |
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7. Resta ferma l'applicazione delle disposizioni antielusive di cui all'articolo 37-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni. |
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1. Al decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, sono apportate le seguenti modificazioni:
f) all'articolo 13:
1) al comma 13, la lettera a) è sostituita dalla seguente:
«a) al comma 1, il sesto periodo è sostituito dai seguenti: "Ai fini del raccordo della programmazione della formazione professionale continua, nell'ambito della concertazione prevista in sede regionale, le regioni, le province autonome e le articolazioni regionali dei fondi interprofessionali o i rappresentanti designati dai fondi stessi provvederanno al reciproco scambio di dati ed informazioni relativi alle iniziative in materia di formazione continua. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nell'ambito dell'Osservatorio nazionale per la formazione continua, definisce, d'intesa con regioni e parti sociali, tempi e modalità attraverso i quali facilitare il trasferimento delle predette informazioni, utiliz-zando il sistema informativo di monitoraggio delle attività"»;
La disposizione in esame modifica il comma 13 dell’articolo 13 del D.L. n. 35/2005, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 80/2005 che, a sua volta, ha recato alcune modifiche all’articolo 118, comma 1, della legge finanziaria per il 2001 (L. 23 dicembre 2000, n. 388), così come modificato dall’articolo 48 della legge finanziaria per il 2003 (L. 27 dicembre 2002, n. 289), recante disposizioni tese a promuovere lo sviluppo della formazione professionale continua, attraverso la costituzione di appositi fondi interprofessionali, e il funzionamento e l’utilizzo delle risorse dei fondi comunitari e del Fondo sociale europeo.
I richiamati fondi interprofessionali sono costituiti, sulla base di accordi interconfederali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori e dei lavoratori “maggiormente rappresentative sul piano nazionale”, per ciascuno dei seguenti settori economici (salva la possibilità che gli stessi accordi prevedano la costituzione di fondi anche per settori diversi): industria; agricoltura; terziario; artigianato[127].
I fondi finanziano, in tutto o in parte, piani formativi aziendali, territoriali, settoriali o individuali, concordati tra le parti sociali, "nonché eventuali ulteriori iniziative propedeutiche e comunque direttamente connesse a detti piani concordate tra le parti".
I fondi - che, previo accordo tra le parti, si possono articolare su scala regionale o, in ogni caso, territoriale - sono attivati previa autorizzazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il quale esercita altresì la vigilanza sulla gestione. L'autorizzazione è subordinata alla verifica della conformità dei criteri di gestione, degli organi, delle strutture di funzionamento e della professionalità dei gestori rispetto alle finalità dei fondi.
Con riferimento ai datori che aderiscono ai medesimi fondi, le entrate derivanti dall'addizionale contributiva dello 0,30%[128] - addizionale destinata, in via generale, al finanziamento del sistema della formazione professionale (cfr. infra) - sono trasferite, da parte dell'INPS, al fondo indicato dal datore, nei seguenti termini e limiti:
§ le entrate corrispondenti alla quota - pari ad un terzo (cioè, a 0,1 punti percentuali) - dell'addizionale che spetterebbe, in via ordinaria[129], al Fondo di rotazione per la formazione professionale e per l'accesso al Fondo sociale europeo[130] sono attribuite in misura integrale al fondo indicato dal datore - in caso, ovviamente, di adesione da parte del medesimo -;
§ le entrate corrispondenti alla restante quota (cioè, ai due terzi) sono anch'esse destinate al fondo prescelto, nel limite, tuttavia, di un importo pari a circa 103,291 milioni di euro[131]. Si ricorda che tale quota spetta, in assenza di adesione - nonché, in ogni caso, per la misura eccedente il suddetto importo - al Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie[132] (ai fini del cofinanziamento degli interventi del Fondo sociale europeo).
Le suddette norme finanziarie trovano applicazione a decorrere dal 2004, mentre per il precedente triennio 2001-2003 era prevista una disciplina transitoria, che contemplava una progressiva attribuzione ai fondi delle summenzionate risorse, ai sensi dei commi 10 e 12 dell'art. 118 della L. n. 388[133].
Si ricorda poi che l’articolo 1, comma 151, della legge finanziaria per il 2005 (L. 311 del 2004) ha introdotto, tra gli altri, una parziale revisione della disciplina relativa ai citati fondi: le modifiche attengono eminentemente ai profili del finanziamento dei fondi nonché, in generale, alla destinazione del gettito proveniente dalla suddetta addizionale.
La materia è stata oggetto della recente sentenza della Corte costituzionale n. 51 del 13-28 gennaio 2005[134], con la quale la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale - alla luce del riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni dettato dal titolo V della Costituzione - dell’art. 48 della legge finanziaria per il 2003 (legge 27 dicembre 2002, n. 289), che ha da ultimo modificato la disciplina dei fondi paritetici interprofessionali nazionali per la formazione continua, di cui al citato art. 118 della legge finanziaria per il 2001, «nella parte in cui non prevede strumenti idonei a garantire una leale collaborazione fra Stato e Regioni.»[135]
Le censure di incostituzionalità della Corte possono intendersi riferibili anche al testo dell’articolo 118 della legge finanziaria per il 2001, come da ultimo modificato dal richiamato articolo 1, comma 151.
Al fine di dare attuazione alla citata sentenza della Corte costituzionale, il comma 13 dell’articolo 13 del citato decreto legge 35, mediante una novella al comma 1, sesto periodo, dell’art. 118 della Legge n. 388/2000, ha disposto che i piani formativi aziendali, territoriali o settoriali - finanziati in base ai suddetti fondi – siano stabiliti dalle relative parti sociali, sentite le regioni e le province autonome territorialmente interessate.
Inoltre i progetti relativi ai piani individuali ed alle eventuali ulteriori iniziative propedeutiche e direttamente connesse ai piani medesimi, devono essere trasmessi alle regioni ed alle province autonome territorialmente interessate, affinché esse ne possano tenere conto nell'ambito delle rispettive programmazioni.
Viene così salvaguardata la partecipazione delle regioni o delle province autonome ai piani per la formazione professionale continua.
La disposizione in esame, mediante una novella al comma 13 dell’articolo 13 del D.L. n. 35/2005 che modifica il sesto periodo del comma 1 dell’art. 118 della Legge n. 388/2000, prevede – ai fini del raccordo della programmazione della formazione professionale continua - uno scambio di dati ed informazioni tra le regioni, le province autonome, le articolazioni regionali dei Fondi interprofessionali o i rappresentanti designati dai medesimi Fondo, nell’ambito della concertazione prevista in sede regionale.
La definizione dei tempi e delle modalità per lo scambio di tali informazioni sarà definita dal Ministero del Lavoro, mediante l’Osservatorio nazionale per la formazione continua[136], d’intesa con le Regioni e le parti sociali.
Si osserva che la novella al comma 13 dell’articolo 13 del D.L. n. 35/2005 potrebbe determinare un regresso per quanto riguarda il coinvolgimento delle regioni e delle province autonome nella redazione dei piani relativi alla formazione continua. Difatti il “reciproco scambio di dati ed informazioni relativi alle iniziative in materia di formazione continua”, volto al raccordo della programmazione della formazione continua, non sembra confermare il ruolo consultivo delle Regioni sui piani formativi.
Si valuti l’opportunità di confermare, rispetto al testo vigente, la previsione secondo cui i piani aziendali, territoriali o settoriali sono stabiliti sentite le Regioni o le province autonome territorialmente interessate.
Testo a fronte |
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D.L. 35/2005 |
D.L.
35/2005 |
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Art. 13. |
Art. 1 |
(Disposizioni in materia di previdenza complementare, per il potenziamento degli ammortizzatori sociali e degli incentivi al reimpiego nonché conferma dell'indennizzabilità della disoccupazione nei casi di sospensione dell'attività lavorativa) |
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13. All'articolo 118 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: |
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a) al comma 1, il sesto periodo è sostituito dai seguenti: «I piani aziendali, territoriali o settoriali sono stabiliti sentite le regioni e le province autonome territorialmente interessate. I progetti relativi ai piani individuali ed alle iniziative propedeutiche e connesse ai medesimi sono trasmessi alle regioni ed alle province autonome territorialmente interessate, affinché ne possano tenere conto nell'ambito delle rispettive programmazioni;»; |
a) al comma 1, il sesto periodo è sostituito dai seguenti: «Ai fini del raccordo della programmazione della formazione professionale continua, nell'ambito della concertazione prevista in sede regionale, le Regioni, le province autonome e le articolazioni regionali dei Fondi interprofessionali o i rappresentanti designati dai Fondi stessi provvederanno al reciproco scambio di dati ed informazioni relativi alle iniziative in materia di formazione continua. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nell'ambito dell'Osservatorio nazionale per la Formazione continua, definisce, d'intesa con Regioni e parti sociali, tempi e modalità attraverso le quali facilitare il trasferimento delle predette informazioni, utilizzando il sistema informativo di monitoraggio delle attività; |
b) al comma 2, le parole: «da due rappresentanti delle regioni» sono sostituite dalle seguenti: «da quattro rappresentanti delle regioni». |
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1. Al decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, sono apportate le seguenti modificazioni:
f) all'articolo 13:
omissis
2) il comma 13-bis è sostituito dal seguente:
«13-bis. All'articolo 49 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, dopo il comma 5 è aggiunto il seguente:
"5-bis. Fino all'entrata in vigore della legge regionale o provinciale prevista dal comma 5, la disciplina dell'apprendistato professionalizzante è rimessa ai contratti collettivi o accordi conclusi a livello nazionale tra le organizzazioni sindacali nazionali comparativamente più rappresentative e le associazioni nazionali dei datori di lavoro firmatarie di contratti collettivi nazionali di lavoro. I relativi profili formativi possono essere definiti, con l'assistenza dell'ISFOL se richiesta dalle parti, anche per il tramite di enti bilaterali per la formazione"».
La disposizione in esame modifica il comma 13-bis dell’articolo 13 del D.L. n. 35/2005, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 80/2005 che, a sua volta, ha aggiunto il comma 5-bis all’articolo 49 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, concernente il contratto di apprendistato professionalizzante.
Il Titolo VI, Capo I (articoli 47-53), del D.Lgs. n. 276 del 2003 ha modificato la normativa sull’apprendistato, al fine di renderlo un strumento idoneo a costruire un percorso di alternanza tra formazione e lavoro.
A tal fine, sono state introdotte tre differenti tipologie:
- il contratto di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione;
- il contratto di apprendistato professionalizzante per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e un apprendimento tecnico-professionale;
- contratto di apprendistato per percorsi di alta formazione.
In particolare, l’articolo 49 stabilisce che possono essere assunti con contratto di apprendistato professionalizzante, per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e l’acquisizione di competenze di base, trasversali e tecnico-professionali, in tutti i settori produttivi e da tutti i datori di lavoro, comprese le associazioni sindacali, i soggetti di età compresa tra diciotto e ventinove anni.
Tuttavia per i soggetti in possesso di una qualifica conseguita ai sensi della L. n. 53 del 2003, recante la delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale, il limite minimo di età è ridotto a diciassette anni.
E’ rimesso ai contratti collettivi stabilire la durata del contratto di apprendistato professionalizzante, che in ogni caso non può essere inferiore a due anni e superiore a sei anni.
La regolamentazione dei profili formativi del contratto di apprendistato professionalizzante - disciplinato in base a specifici principi[137] - è rimessa, ai sensi del comma 5 dell’art. 49 del Decreto 276, alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, d'intesa con le associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano regionale e nel rispetto di una serie di principi[138].
Con la circolare n. 40 del 14 ottobre 2004, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha definito i chiarimenti operativi del contratto di apprendistato. In particolare, per quanto concerne l’apprendistato professionalizzante, la circolare ha sottolineato che lo stesso “non è oggi pienamente operativo, in quanto presuppone una disciplina regionale dei profili formativi, da definirsi d'intesa con le parti sociali, a cui è subordinata l'applicabilità dei profili normativi definiti a livello nazionale, come legislazione di cornice, nell'ambito del decreto legislativo n. 276 del 2003. Pienamente operativa è pertanto da considerarsi unicamente la disciplina dell'apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione, rispetto al quale è possibile avviare le prime sperimentazioni nei limiti e alle condizioni di cui all'articolo 50 del decreto legislativo n. 276 del 2003. Le Regioni, nell'ambito delle competenze a loro attribuite, potranno peraltro rendere agevolmente operativo anche l'apprendistato professionalizzante dando luogo a quelle regolamentazioni, non necessariamente nella forma della legge regionale, che consentono di definire i profili formativi dell'istituto”.
La mancata attuazione della regolamentazione regionale comporta, come prima conseguenza, la vigenza transitoria della vecchia disciplina, ai sensi dell’articolo 47, comma 3, del richiamato D.Lgs. 276.
Pertanto, i nuovi patti che hanno fissato nuovi limiti di età e durata non possono avere una efficacia immediata. Tale situazione assume una particolare importanza, dal momento che in questo caso i benefici economici dell’apprendistato non possono essere riconosciuti al di fuori dei limiti stabiliti dall’articolo 16 della L. 196 del 1997 (cd. legge Treu), concernente appunto la disciplina dell’apprendistato. Ciò potrebbe comportare, soprattutto per quanto concerne l’apprendistato professionalizzante, il disconoscimento, in casi di visita ispettiva, del rapporto formativo per la mancata sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi con conseguente trasformazione del contratto.
Sulla materia è intervenuto di recente il D.L. n. 35/2005 che, con l’inserimento del nuovo comma 5-bis all’art. 49 del Decreto 276, ha stabilito che - fino all’approvazione delle leggi regionali relative ai profili formativi - la disciplina dell’apprendistato professionalizzante fosse rimessa ai contratti collettivi nazionali di categoria stipulati dalle associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
La novella in esame, modificando il comma 5-bis dell’art. 49 del Decreto 276, prevede invece che, in assenza di leggi regionali, la disciplina dell’apprendistato professionalizzante venga rinviata ai contratti collettivi, o agli accordi conclusi a livello nazionale tra le organizzazioni sindacali nazionali comparativamente più rappresentative e le associazioni nazionali dei datori di lavoro firmatarie di contratti collettivi nazionali di lavoro.
Viene inoltre inserito un ultimo periodo al citato comma 5-bis con il quale si stabilisce che i profili formativi possano essere definiti anche con tramite gli enti bilaterali per la formazione e, se richiesta dalle parti, con l’assistenza dell’ISFOL.
Si ricorda che l'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (ISFOL) è un ente nazionale di ricerca, istituito con D.P.R. 30 giugno 1973, n. 478, che opera nel campo della formazione, delle politiche sociali e del lavoro al fine di contribuire alla crescita dell'occupazione, al miglioramento delle risorse umane, all'inclusione sociale e allo sviluppo locale. Ai sensi dell’articolo 1 dello Statuto, approvato con DPCM 19 marzo 2003, l’ente è dotato di indipendenza di giudizio e di autonomia scientifica, metodologica, organizzativa, amministrativa e contabile.
Si ricorda inoltre che gli enti bilaterali (costituiti dalle organizzazioni sindacali e datoriali), inizialmente previsti dalla contrattazione collettiva quale fonte primaria di regolazione e indirizzo, sono stati codificati dal decreto legislativo n. 276 del 2003. In particolare l’articolo 2 definisce gli enti bilaterali come organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei lavoratori comparativamente più rappresentative, quali sedi privilegiate per la regolazione del mercato del lavoro attraverso, in particolare, la promozione di una occupazione regolare e di qualità, l’intermediazione nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, la programmazione e le modalità di attuazione di attività formative, la gestione mutualistica di fondi per la formazione e l’integrazione del reddito, la certificazione dei contratti di lavoro e lo sviluppo di azioni inerenti la salute e la sicurezza sul lavoro. Per quel che riguarda le competenze, le innovazioni più rilevanti concernono la regolazione del mercato del lavoro e la certificazione dei contratti di lavoro, al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro.
2. All'articolo 1, terzo comma, del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950, n. 180, come modificato, da ultimo, dall'articolo 13-bis del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Le condizioni contrattuali sono determinate sulla base di convenzioni stipulate con le banche e gli intermediari finanziari indicati al precedente periodo dal Ministero dell'economia e delle finanze o dagli enti che erogano le pensioni e gli altri assegni di cui al quarto comma, secondo le procedure e nel rispetto dei criteri stabiliti dal regolamento di attuazione previsto dall'articolo 13-bis, comma 2, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80».
3. All'articolo 13-bis, comma 2, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il decreto stabilisce le procedure e i criteri per la stipula delle convenzioni previste dall'articolo 1, terzo comma, del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950, n. 180, e successive modificazioni.
Il comma 2 dell’articolo 16, introdotto in seguito all’approvazione di un articolo aggiuntivo nel corso dell’esame del provvedimento presso le Commissioni riunite I e V, reca disposizioni in materia di sequestro, pignoramento e cessione di stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, di cui al D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180.
Si ricorda che importanti modifiche al richiamato D.P.R. 180 del 1950 sono state apportate dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, recante il piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale (cd. decreto competitività).
Il D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, stabilisce (articolo 1) che non possono essere sequestrati, pignorati o ceduti (salve le eccezioni stabilite negli articoli successivi)[139], gli stipendi, i salari, le paghe, le mercedi, gli assegni, le gratificazioni, le pensioni, le indennità, i sussidi ed i compensi di qualsiasi specie che lo Stato, le province, i comuni, le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza e qualsiasi altro ente od istituto pubblico sottoposto a tutela, od anche a sola vigilanza dell'amministrazione pubblica (comprese le aziende autonome per i servizi pubblici municipalizzati) e le imprese concessionarie di un servizio pubblico di comunicazioni o di trasporto corrispondono ai loro impiegati, salariati e pensionati ed a qualunque altra persona, “per effetto ed in conseguenza dell'opera prestata nei servizi da essi dipendenti”. Nel personale dipendente dallo Stato è compreso espressamente anche il personale dipendente dal Segretario generale della Presidenza della Repubblica e delle Camere del Parlamento.
Si ricorda, al riguardo, che i commi 137 e 138 della Legge n. 311/2004 (legge finanziaria 2005) - novellando il disposto dell’articolo 1, primo comma, del D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 - hanno esteso la disciplina concernente il sequestro, pignoramento e cessione di stipendi, salari e pensioni dei dipendenti pubblici ai dipendenti delle aziende private.
Il comma 1 dell’articolo 13-bis del D.L. 35 del 2005[140] ha apportato specifiche modifiche all’articolo 1 del D.P.R. 180/1950.
In primo luogo, attraverso l’inserimento della locuzione “ed in altre disposizioni di legge” è stato specificato che le deroghe al divieto di sequestro, di pignoramento e di cessione dei trattamenti erogati ai dipendenti pubblici possono essere previste non solo dal Testo Unico, ma anche da altre disposizioni di legge.
Sono inoltre state apportate le seguenti modifiche:
§ viene consentita, a tutti i titolari di trattamento pensionistico (e non solo ai soggetti che abbiano lavorato presso pubbliche amministrazioni) la stipula di prestiti - mediante la cessione di una quota del trattamento previdenziale non superiore ad un quinto, calcolato al netto delle ritenute fiscali - con le banche e gli intermediari finanziari che, ai sensi dell’articolo 106 del D.Lgs. 385 del 1993 (TUB)[141], sono iscritti in un apposito elenco tenuto dall'UIC. La durata del prestito non potrà superare i dieci anni (nuovo comma terzo dell’articolo 1 del D.P.R: 180);
§ possono essere dati in cessione i seguenti trattamenti:
- pensioni e indennità che tengono luogo di pensione corrisposte dallo Stato o da altri enti;
- assegni “equivalenti” a carico di speciali casse di previdenza;
- pensioni ed assegni di invalidità e vecchiaia corrisposti dall’INPS;
- assegni vitalizi e capitali a carico di istituti e fondi in dipendenza del rapporto di lavoro.
- i prestiti devono essere garantiti da un’assicurazione sulla vita del beneficiario che assicuri il recupero del credito residuo in caso di decesso del mutuatario (nuovo comma quarto dell’articolo 1 del D.P.R. 180)[142].
L’art. 5 del Testo Unico prevede la possibilità di contrarre prestiti, da estinguersi con cessione di quote dello stipendio o del salario fino ad un quinto dell’ammontare, calcolato al netto delle ritenute e per periodi non superiori a 10 anni, per gli impiegati ed i salariati dello Stato e degli altri enti, aziende ed imprese indicati nell’art. 1 del medesimo T.U..
Il Titolo II (articoli 6-50) del D.P.R. 180 disciplina le modalità inerenti la cessione degli stipendi e dei salari degli impiegati civili e militari e dei salariati dello Stato, ovvero delle Amministrazioni statali anche ad ordinamento autonomo. Le disposizioni del Titolo II si applicano anche al personale dipendente del Segretario generale della Presidenza della Repubblica, del Consiglio nazionale delle ricerche, dell’Accademia nazionale dei Lincei, dell’ISTAT, degli Archivi notarili ed ai segretari comunali e provinciali che sono equiparati a tutti gli effetti agli impiegati dello Stato (art. 9), nonché al personale retribuito sui bilanci propri degli istituti governativi di istruzione superiore e di istruzione classica, scientifica, magistrale tecnica ed artistica costituiti in enti autonomi qualora nei loro statuti o regolamenti sia stabilito l’obbligo al personale dipendente di contribuire al Fondo per il credito ai dipendenti dello Stato (art. 10). Per il personale delle Ferrovie dello Stato la facoltà di contrarre prestiti dietro cessione di quote di stipendio o salario è regolata da leggi speciali.
Si segnala che il disposto originario dell’art. 16 del testo Unico aveva istituito presso il Ministero del tesoro il Fondo per il credito che, oltre ad concedere i prestiti ai dipendenti statali, garantiva gli altri istituti che potevano concedere prestiti contro i rischi derivanti dalla operazioni di prestito. Il Fondo è stato poi soppresso dall’art. 1 della Legge n. 1139/1957 e le sue attribuzioni sono state trasferite prima all’Ente nazionale di previdenza ed assistenza per i dipendenti statali (ENPAS) e, successivamente, all’INPDAP .
Il Titolo III (articoli 51-57) disciplina le modalità inerenti la cessione degli stipendi e salari degli altri dipendenti pubblici (non statali) e dei dipendenti di soggetti privati.
In merito al Titolo III, si ricorda che l’articolo 52, così come modificato dal decreto legge n. 35/2005, consente agli impiegati e salariati delle pubbliche amministrazioni ed ai dipendenti delle aziende private assunti a tempo indeterminato, di cedere quote della retribuzione per un importo non superiore al quinto, per un periodo non superiore a dieci anni, a condizione che siano addetti a servizi di carattere permanente e siano provvisti di stipendio o salario fisso e continuativo. Inoltre, si consente anche agli impiegati e salariati delle pubbliche amministrazioni ed ai dipendenti delle aziende private assunti con contratto a tempo determinato di poter usufruire della cessione del quinto, a condizione che la durata di tale cessione non superi il periodo di tempo che, al momento dell’operazione, manca alla scadenza del rapporto di lavoro, e si prevede la non applicazione del limite del quinto alla cessione del trattamento di fine rapporto riguardante questi soggetti[143]. Inoltre, viene disciplinata la possibilità di cessione del quinto per i titolari di rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale e di altri rapporti di collaborazione che si concretizzino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato (di cui all'articolo 409, primo comma, numero 3), del codice di procedura civile), a condizione che il relativo contratto di lavoro abbia una durata non inferiore a 12 mesi e che il relativo compenso abbia un carattere certo e continuativo[144]. Viene inoltre precisato che le somme corrisposte potranno essere sequestrate e pignorate entro i limiti stabiliti dall’art. 545 c.p.c.[145]
Si ricorda inoltre che l’art. 55 del D.P.R. n. 180/1950, così come modificato dal decreto legge n. 35/2005, stabilisce che per le operazioni di prestito dietro cessione di quote di stipendio o di salario degli altri dipendenti pubblici (non statali) e dei dipendenti di soggetti privati, si applicano – qualora non sia diversamente disposto – alcune norme contenute nel Titolo II sostituendo all’Amministrazione dello Stato quella alle cui dipendenze presta servizio il soggetto interessato.
Da ultimo, si segnala che la L. 311 del 2004 (legge finanziaria 2005) ha provveduto, con il disposto dell’articolo 1, comma 137, ad abrogare l’articolo 34 del citato D.P.R. 180, che stabiliva che le cessioni di stipendio e di salario da parte dei dipendenti e salariati statali non potevano avere altra garanzia che quella del Fondo per il credito ai dipendenti dello Stato, essendo ogni diversa garanzia, sotto qualsiasi forma anche assicurativa, da considerarsi nulla sia nei rapporti con le amministrazioni dalle quali i cedenti dipendono, sia nei rapporti delle stesse parti contraenti. Il comma 138 dell’art. 1 della medesima L. 311 del 2004 ha conseguentemente abrogato l’articolo 47 del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, il quale stabiliva che i prestiti erogati verso cessione di quote di retribuzione dal Fondo di previdenza e credito per i dipendenti civili e militari dello Stato e per i loro superstiti, ai sensi del combinato disposto degli articoli 32 e 33 del testo unico, non potevano avere altra garanzia che quella dell'Ente nazionale di previdenza ed assistenza per i dipendenti statali.
Il comma 2, aggiungendo un periodo al terzo comma dell’articolo 1 del D.P.R. 180 del 1950 (vedi supra), specifica che le condizioni contrattuali dei prestiti da estinguersi con cessione di quote della pensione debbano essere determinate sulla base di convenzioni stipulate, con le banche e gli intermediari finanziari indicati in precedenza, dal Ministero dell’economia o dagli enti eroganti le pensioni e gli altri assegni (indicati all’articolo 1, comma quarto, del D.P.R. 180: vedi supra), secondo le procedure e nel rispetto dei criteri stabiliti dal regolamento di attuazione di cui all’articolo 13-bis, comma 2 del citato D.L. 35 del 2005,che appunto rimette ad un decreto del Ministro dell’economia, sentite le organizzazioni di categoria interessate, l’attuazione delle disposizioni dell’articolo stesso.
Il successivo comma 3, anch’esso introdotto in seguito all’approvazione di un articolo aggiuntivo nel corso dell’esame del provvedimento presso le Commissioni riunite I e V, ai fini di coordinamento normativo, aggiunge un periodo al citato comma 2 dell’articolo 13-bis, specificando che nel regolamento di attuazione debbano essere altresì stabilite le procedure e i criteri per la stipula delle convenzioni in precedenza richiamate.
1. Allo scopo di incentivare l'attività dei centri fieristici, per l'esercizio in corso alla data del 1o gennaio 2006 e per i cinque successivi, è consentito ai soggetti previsti dal comma 1 dell'articolo 73 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, proprietari o gestori di centri fieristici, di escludere dal reddito imponibile ai fini dell'IRES e dell'IRAP una quota, comunque non superiore al 70 per cento, degli utili dichiarati impiegata nell'investimento in beni strumentali, materiali ed immateriali, effettuato nell'esercizio stesso e nei tre successivi.
2. L'agevolazione di cui al comma 1 compete, in ogni caso, fino alla concorrenza degli investimenti effettuati ai sensi del medesimo comma 1, non può eccedere il reddito imponibile, al netto degli ammortamenti calcolati con l'aliquota massima, e deve essere richiesta espressamente in sede di dichiarazione annuale dei redditi con l'indicazione della parte di utili destinata al reinvestimento. Alla dichiarazione deve essere unito un progetto di massima degli investimenti.
3. Ai fini di cui al presente articolo, per investimenti si intende la realizzazione nel territorio dello Stato di nuovi impianti, il completamento di opere sospese, l'ampliamento, la riattivazione, l'ammodernamento di impianti esistenti e l'acquisto di beni strumentali nuovi, anche mediante contratti di locazione finanziaria. L'investimento immobiliare è limitato ai beni strumentali per natura.
4. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono adottate le disposizioni attuative del presente articolo ed è stabilita la quota dell'esclusione di cui al comma 1, in ogni caso entro il limite di spesa di cui al comma 5.
5. Per l'attuazione del presente articolo è autorizzata ala spesa di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2006, 2007, 2008, 2009, 2010 e 2011. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 9-ter della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, come rideterminata dalla tabella C allegata alla legge 30 dicembre 2004, n. 311.
6. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
L’articolo 17 introduce benefici fiscali, di natura temporanea, diretti ad incentivare nuovi investimenti nell’attività svolta dai centri fieristici.
La Legge 11 gennaio 2001, n. 7, “Legge quadro sul settore fieristico”, recante la disciplina, a livello statale, dei principi fondamentali che regolamentano l’attività fieristica, in esecuzione della sentenza della Corte di Giustizia del 15 gennaio 2002 (v. infra), è stata abrogata dall’articolo 6 della Legge n. 62 del 18 aprile 2005 (Legge comunitaria 2004).
Si ricorda che la materia, oggetto della legge, che in base al vecchio articolo 117 Cost. rientrava nell’ambito della competenza legislativa concorrente, sembra ora rientrare nella competenza residuale delle regioni in base all’articolo 117, quarto comma, Cost.
Sulla questione è intervenuta la Corte Costituzionale, la quale, con sentenza 1/2004, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 52, comma 17, della legge 28 dicembre 2001 n. 448, che prevede l’esclusione dell’applicabilità “delle disposizioni di cui alla legge 11 giugno 1971, n. 426 e successive modificazioni” (Disciplina del commercio) alle sagre, fiere e manifestazioni a carattere religioso, benefico o politico, riconoscendo tale disposizione come inerente alla potestà legislativa “residuale” riconosciuta dall’art. 117, quarto comma, della Costituzione alle Regioni, le quali possono autonomamente valutare l’opportunità di esercitare in tale materia la propria competenza legislativa.
Ai sensi del comma 1, possono fruire del beneficio i soggetti passivi IRES indicati nel comma 1 dell’articolo 73 del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR) che risultino proprietari o gestori di centri fieristici.
L’articolo 73 del TUIR individua i soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società. Ai sensi del comma 1 dell’articolo 73 sono soggetti passivi IRES:
- se residenti nel territorio dello Stato, le società per azioni, le società in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative, le società di mutua assicurazione nonché gli enti pubblici e privati diversi dalle società;
- se non residenti, le società e gli enti di ogni tipo, indipendentemente dal possesso o meno della personalità giuridica.
Appare opportuno segnalare che il comma 2 del richiamato articolo 73 del TUIR precisa che tra gli enti pubblici e privati diversi dalle società indicati nel comma 1 “si comprendono, oltre alle persone giuridiche, le associazioni non riconosciute, i consorzi e le altre organizzazioni non appartenenti ad altri soggetti passivi, nei confronti delle quali il presupposto dell'imposta si verifica in modo unitario e autonomo”.
L’ambito oggettivo della disposizione è rappresentato, come indicato nel comma 1, dagli investimenti in beni strumentali siano essi materiali od immateriali.
Più dettagliatamente, il comma 3 precisa che, ai fini dell’articolo in commento, per investimento si intende:
- la realizzazione nel territorio dello Stato di nuovi impianti;
- il completamento di opere sospese;
- l’ampliamento, la riattivazione, l’ammodernamento di impianti esistenti;
- l’acquisto di beni strumentali nuovi anche mediante contratti di locazione finanziaria (leasing).
Il contratto di leasing si configura come un contratto con il quale un soggetto economico (locatore), concede in locazione, dietro corresponsione di un canone, un bene, mobile o immobile, ad un altro soggetto economico (locatario od utilizzatore), al quale viene assicurato il diritto di riscatto del bene, dopo un determinato periodo di tempo, a determinate condizioni.Caratteristiche del contratto di leasing sono la struttura trilaterale[146], l’opzione di acquisto del bene, la finalità di finanziamento, l’accollo delle spese e dei rischi a carico del conduttore.
Nel caso in investimenti immobiliari, il comma 3 dispone che il beneficio è fruibile solo se si tratta di beni strumentali per natura.
Si intendono, generalmente, strumentali gli immobili impiegati direttamente nell'attività produttiva ovvero quelli il cui utilizzo è riferibile all'attività stessa. Gli immobili possono essere strumentali per natura o per destinazione. Si intendono strumentali per natura quando hanno le caratteristiche tipiche che impongono esclusivamente una determinata utilizzazione. Si intendono, invece, strumentali per destinazione quando l'impiego è volutamente attinente all'attività dell'impresa.
L’agevolazione fiscale consiste, ai sensi del comma 1, nella esclusione dalla base imponibile fiscale, determinata sia ai fini IRES che ai fini IRAP, di una quota degli utili dichiarati impiegata nell’investimento in beni strumentali.
Si segnala, con riferimento all’imposta regionale sulle attività produttive, che la disposizione potrebbe comportare variazioni di gettito per le regioni.
Per la determinazione della predetta quota di esclusione, che, in ogni caso, non può essere superiore al 70 per cento degli utili dichiarati, il comma 4 rinvia ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze da emanare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge in esame. Ai sensi del comma 4, inoltre, la richiamata percentuale dovrà essere determinata anche tenendo conto del limite di spesa di cui al comma 5.
L’onere finanziario previsto nel comma 5, è pari a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni compresi tra il 2006 e il 2011.
Poiché la fruizione dell’agevolazione da parte di ogni singolo contribuente non è subordinata ad una preventiva autorizzazione da parte dell’Amministrazione, non appare chiaro in quale modo la determinazione della quota potrà tener conto dell’onere complessivo che ne deriva.
Ai sensi del comma 2, l’importo deducibile, prima dell’applicazione dell’aliquota IRES o dell’aliquota IRAP per la determinazione dell’imposta dovuta dal contribuente, è soggetto ad alcuni limiti.
In particolare, la deduzione:
a) compete fino a concorrenza degli investimenti effettuati;
b) non può eccedere il reddito imponibile al netto degli ammortamenti calcolati con l’aliquota massima.
Con la procedura dell’ammortamento l’impresa distribuisce, da un punto di vista fiscale, il costo di una immobilizzazione in più esercizi. La quota di ammortamento rappresenta, pertanto, il costo fiscale deducibile in ciascun esercizio dal reddito.
L’articolo 102 del TUIR, recante disposizioni in materia di “ammortamento dei beni materiali”, rinvia ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze la determinazione della misura massima delle quote di ammortamento. Precisa, inoltre, che nel primo periodo di utilizzazione del bene, la quota annua è ridotta alla metà. Con D.M. 31 dicembre 1988, sono state individuate le aliquote di ammortamento da applicare al costo dei beni strumentali entrati in funzione nei periodi di imposta iniziati in data successiva al 31 dicembre 1988. Le aliquote di ammortamento variano in funzione sia dell’attività esercitata dall’impresa sia della natura del cespite. Ai sensi del comma 3 del richiamato articolo 102, le imprese (sono esclusi i professionisti e gli artisti) possono applicare, nei primi tre esercizi a decorrere da quello dell’acquisto del bene, un coefficiente di ammortamento pari al doppio di quello ordinario (ammortamento anticipato) ovvero possono superare la misura massima di ammortamento previsto nel caso di più intensa utilizzazione dei beni rispetto a quella normale del settore (ammortamento accelerato).
Nel caso di beni in locazione finanziaria (leasing) il comma 7 dell’articolo 102 ammette la deduzione dei canoni di locazione a condizione che la durata del contratto non sia inferiore a otto anni, se questo ha per oggetto beni immobili, e alla metà del periodo di ammortamento ordinario se il contratto ha per oggetto beni mobili.
Per quanto concerne i beni immateriali, il TUIR dispone per ciascuna tipologia di cespite, la quota deducibile attraverso la procedura di ammortamento (articoli 103 e 108).
In riferimento alla lettera sub b), in altre parole, nel caso in cui l’impresa abbia applicato dei coefficienti di ammortamento inferiori a quelli massimi previsti dalla normativa dovrà, al fine di determinare il limite massimo dell’agevolazione in parola, ridurre gli utili dichiarati della quota di ammortamento non portata in deduzione. La disposizione sembrerebbe finalizzata ad evitare comportamenti elusivi diretti ad aumentare il limite massimo di importo di agevolazione fruibile.
L’agevolazione può essere fruita, ai sensi del comma 1, per gli investimenti effettuati nell’esercizio in corso al 1° gennaio 2006 e nei tre successivi.
Pertanto, relativamente ai soggetti che hanno l’esercizio coincidente con l’anno solare, sono interessati gli investimenti effettuati nel quadriennio 2006-2009.
Il medesimo comma 1 dispone, inoltre, che la deduzione è consentita “per l’esercizio in corso alla data del 1° gennaio 2006 e per i cinque successivi”.
In assenza di ulteriori precisazione, la previsione di un arco temporale utile per la deduzione dall’imponibile (sei esercizi) superiore a quello previsto per l’effettuazione degli investimenti agevolabili (quattro esercizi) sembrerebbe riconducibile alle ipotesi in cui si verifichi incapienza.
Si può ritenere, infatti, che nel caso in cui gli investimenti da realizzare consentano una deduzione dall’imponibile maggiore degli utili dichiarati, l’importo non dedotto possa essere rinviato all’esercizio successivo e, comunque, non oltre quello in corso al 1° gennaio 2011. Tale interpretazione si renderebbe applicabile, inoltre, anche alle ipotesi in cui la società realizzi, in luogo di un utile, una perdita di esercizio.
Il comma 2 contiene disposizioni in merito alle modalità di richiesta del beneficio fiscale in argomento.
Viene previsto, in primo luogo, che l’agevolazione sia espressamente richiesta “in sede di dichiarazione annuale dei redditi” e che nella stessa, debba essere indicata la parte di utili “destinata” al reinvestimento.
Infine, si richiede la predisposizione di un “progetto di massima degli investimenti” da allegare alla medesima dichiarazione.
La norma non indica in quale dichiarazione annua debba essere richiesta l’agevolazione e in quale dichiarazione il contribuente possa effettuare la deduzione in parola.
In assenza di ulteriori precisazioni, tenuto conto che il comma 2 fa riferimento ad un “progetto” di investimento e alla parte di utili “destinata” al reinvestimento, sembrerebbe doversi ritenere che sia la richiesta debba avvenire in un periodo di imposta antecedente a quello in cui l’impresa effettua l’investimento. Per quanto concerne, invece, la fruizione del beneficio, poiché il comma 1 si riferisce alla quota degli utili dichiarati impiegata nell’”investimento effettuato nell’esercizio stesso e nei tre successivi”, sembrerebbe doversi ritenere che la deduzione debba avvenire nella dichiarazione dei redditi relativa all’esercizio in cui l’investimento è stato effettuato.
Per quanto riguarda il “progetto di massima”, al fine di evitare comportamenti elusivi, potrebbe risultare utile una migliore specificazione delle indicazioni che lo stesso progetto deve contenere. Ciò anche in quanto il comma 2 prevede una “richiesta” da parte del contribuente, mentre non reca disposizioni in merito a successive verifiche o controlli concernenti l’effettuazione dell’investimento stesso.
1. Ai fini dell'attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 245, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, le imprese operanti nel comparto della pesca interessate alla concessione dei contributi per favorire l'ammodernamento e il potenziamento del comparto stesso, di cui al predetto comma, presentano, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, apposita istanza al Ministero delle politiche agricole e forestali.
2. Il Ministro delle politiche agricole e forestali, nei successivi trenta giorni, provvede all'erogazione dei contributi.
3. I contributi di cui al comma 1 sono riconosciuti nella misura massima di 2.500 euro per ciascuna delle imprese interessate e comunque entro il limite delle risorse stanziate dal citato articolo 1, comma 245, della legge 30 dicembre 2004, n. 311.
L’articolo 18 definisce le modalità applicative per la concessione dei contributi previsti dall’articolo 1, comma 245, della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria per il 2005) per favorire il potenziamento e l’ammodernamento del comparto della pesca.
A tal fine la disposizione prevede che le istanze debbano essere inoltrate al Ministero delle politiche agricole entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, che l’erogazione dei contributi debba avvenire entro i successivi 30 giorni e che il contributo massimo sia fissato in 2.500 euro per impresa.
L’articolo 1, comma 245, della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria per il 2005) prevede contributi finalizzati all'ammodernamento e al potenziamento del comparto della pesca, destinati alle piccole e medie imprese la cui attività venga limitata dal varo di misure di fermo obbligatorio delle attività di cattura. A tal fine è autorizzata la spesa di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio 2005-2007.
In merito alla interruzione obbligatoria dell’attività di pesca si rammenta, a livello comunitario, il regolamento CE n. 2792/1999, che nel definire le modalità e le condizioni dell’intervento strutturale nel settore della pesca, ha previsto (articolo 12) che gli Stati membri possano varare misure di accompagnamento a carattere sociale per i pescatori, che godano di finanziamenti a livello nazionale, per promuovere l'interruzione temporanea dell'attività di pesca, a condizione che vengano disposte nel quadro di appositi Piani nazionali di protezione delle risorse acquatiche.
Tra i provvedimenti assunti a livello nazionale, merita ricordare, da ultimo, il decreto ministeriale 2 luglio 2004[147], con cui sono state definite le misure di interruzione temporanea della pesca per il 2004, misure che tuttavia si qualificano come parte di un piano triennale di tutela riferito al triennio 2004-2006. Con riferimento a detto arco temporale infatti non si è proceduto alla elaborazione di un documento di pianificazione unico valido per l’intero triennio, ma si è preferito optare per una definizione di misure valide su base annuale, passibili quindi di una successiva revisione “sulla base dei risultati scientifici conseguiti”
Destinatarie delle misure interdittive in questione sono le imprese armatrici di navi da pesca abilitate ai sistemi di pesca a strascico e/o volante, che operano entro gli stretti, che non siano iscritte nei compartimenti marittimi delle regioni Sicilia e Sardegna alle quali spetta di regolare autonomamente la materia provvedendo nel contempo alle eventuali misure sociali di accompagnamento con risorse attinte dai propri bilanci.
L’interruzione è articolata nel seguente modo:
§ per le imbarcazioni iscritte nei compartimenti marittimi dell'Adriatico e dello Ionio, da Trieste a Crotone compresi, è disposta un'interruzione temporanea obbligatoria della pesca di trentacinque giorni consecutivi, che per i compartimenti compresi tra Trieste a Bari va dal 2 agosto al 5 settembre; e da Brindisi a Crotone dal 6 settembre al 10 ottobre.
§ dal 5 luglio al 1° agosto 2004 è altresì stabilita una ulteriore interruzione temporanea facoltativa per tutte le unità da pesca iscritte nei compartimenti marittimi dell'Adriatico e dello Ionio escluse le turbosoffianti, previa comunicazione scritta dell'armatore all'ufficio di iscrizione della nave e/o consegna dei documenti di bordo entro il giorno precedente all'interruzione;
§ sempre con carattere facoltativo è prevista l'interruzione della pesca nel Tirreno (compartimenti marittimi da Reggio Calabria ad Imperia compresi), per un periodo di trentacinque giorni consecutivi, nell'arco temporale dal 5 luglio al 10 ottobre 2004.
Per i periodi di interruzione temporanea, sia obbligatoria che facoltativa, sono corrisposte misure sociali di accompagnamento, consistenti:
a) nella corresponsione di un minimo monetario garantito, previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro vigente, a ciascun marittimo che risulti dal ruolino d'equipaggio imbarcato alla data di inizio dell'interruzione tecnica;
b) nel versamento degli oneri previdenziali ed assistenziali dovuti per i marittimi di cui alla precedente lettera.
Merita ricordare, infine, il Regolamento (CE) n. 1860/2004 della Commissione relativo all'applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti de minimis nei settori dell'agricoltura e della pesca che è entrato in vigore il 1° gennaio 2005. Il suddetto regolamento dispone che gli aiuti di importo limitato (fino ad un massimo di 3000 euro per impresa e per triennio) non debbano essere notificati alla Commissione, sempre che l'importo cumulativo corrisposto alle imprese del settore della pesca non superi nel triennio il valore indicato per ciascuno Stato membro nell'allegato II del regolamento (per l’Italia il limite è di euro 9.413.400).
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Nell’ambito delle proposte per la riforma della politica di coesione per il periodo di programmazione 2007-2013[148], la Commissione ha presentato, il 14 luglio 2004, una proposta di regolamento che istituisce il nuovo Fondo europeo per la pesca (FEP) relativo al periodo di programmazione 2007-2013 (COM(2004)497).
Il Fondo è volto a facilitare, in conformità alla riforma del settore della pesca adottata nel 2002, la messa in opera di misure destinate ad assicurare una pesca sostenibile e la diversificazione economica delle zone di pesca. Obiettivo principale del Fondo sarà quello di contribuire a ridurre la pressione esercitata dalle attività di pesca in modo da consentire la ricostituzione degli stock ittici, e di incoraggiare l’utilizzazione di attrezzature e pratiche più ecologiche nel settore della pesca e dell’acquacoltura. Il FEP sostituirà l’attuale Strumento finanziario di orientamento per la pesca (SFOP) e, a differenza di quest’ultimo, non farà parte dei fondi strutturali veri e propri[149]. Il FEP disporrà di una dotazione di 700 milioni di euro per ciascuno degli anni del periodo di programmazione, con un totale per l’intero settennio di 4,96 miliardi di euro. Le misure del FEP saranno riconducibili a cinque assi prioritari: 1) misure a favore dell’adattamento delle capacità della flotta peschereccia comunitaria; 2) acquicoltura e trasformazione e commercializzazione dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura; 3) misure d’interesse collettivo; 4) sviluppo sostenibile delle zone costiere; 5) assistenza tecnica.
La proposta verrà esaminata, secondo la procedura di consultazione, dal Parlamento europeo presumibilmente nella sessione del 5 luglio 2005. Il Consiglio, che ne ha iniziato l’esame il 22 novembre 2004, non è riuscito a raggiungere un accordo politico nella seduta del 22 giugno 2005 per le difficoltà emerse soprattutto a proposito della possibilità di continuare ad erogare, dal 2007 in poi, gli aiuti per il rinnovamento e ammodernamento dei pescherecci. Alcuni Stati membri – Italia, Francia, Spagna, Grecia, Portogallo e Polonia – vorrebbe estendere la possibilità di erogare tali aiuti; al contrario la Commissione, appoggiata da Regno Unito, Svezia, Paesi Bassi e Germania, chiede la cessazione degli aiuti alla costruzione di nuovi pescherecci e la restrizione degli aiuti all’ammodernamento degli stessi. Una posizione di compromesso è stata avanzata dalla Commissione che ha rivisto la propria posizione su alcune forme di aiuti alla piccola pesca (la possibilità di sostituire i motori per i pescherecci inferiori ai 12 metri), per l’ammodernamento dei pescherecci (che sarebbe consentito a patto di non aumentare le attività di pesca) e ai giovani pescatori per l’acquisto di pescherecci usati. Sulle proposte di compromesso della Commissione, non essendo gli Stati membri riusciti a trovare un accordo, i negoziati sono stati rinviati ad ulteriori sedute.
1. Ai fini dell'attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 248, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, i soggetti interessati alla concessione dei finanziamenti per incentivare lo sviluppo delle energie prodotte da fonti rinnovabili di cui al predetto comma, presentano, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, al Ministero dell'economia e delle finanze apposita istanza corredata dai relativi progetti.
2. Il Ministro dell'economia e delle finanze, nei successivi trenta giorni, provvede all'erogazione dei finanziamenti.
3. I finanziamenti di cui al comma 1 sono riconosciuti nella misura massima di 100.000 euro per ciascuno dei soggetti interessati e comunque entro il limite delle risorse stanziate dal citato articolo 1, comma 248, della legge 30 dicembre 2004, n. 311.
L’articolo in esame dispone in merito all’attuazione di quanto stabilito dall’articolo 1, comma 248, della legge n. 311/04 (finanziaria 2005), che ha previsto l’istituzione, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, di un Fondo per la promozione delle risorse rinnovabili, finalizzato, in particolare, al cofinanziamento di studi e di ricerche nel campo delle fonti di energia rinnovabile destinate all'utilizzo per i mezzi di locomozione.
Il citato comma 248, fine di incentivare lo sviluppo delle energie prodotte da fonti rinnovabili, con particolare attenzione alle potenzialità di produzione dell'idrogeno da fonti di energia rinnovabile solare, eolica, idraulica o geotermica, ha istituito un Fondo per la promozione delle risorse rinnovabili, con una dotazione finanziaria, per il 2005, di 10 milioni di euro, finalizzato, come accennato, al cofinanziamento di studi e di ricerche nel campo ambientale e delle fonti di energia rinnovabile destinate in particolare all'utilizzo per i mezzi di locomozioneai fini del miglioramento della qualità ambientale all'interno dei centri urbani.
Sono ammessi al finanziamento gli studi e le ricerche che presentino una partecipazione al finanziamento non inferiore alla metà del costo totale del singolo progetto di ricerca da parte di università, laboratori scientifici, enti o strutture di ricerca ovvero imprese per il successivo diretto utilizzo industriale e commerciale dei risultati di tale attività di ricerca e progettuale.
Il Fondo sembra pertanto destinato a cofinanziare attività di ricerca applicata e sviluppo precompetitivo, prioritariamente dirette all’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili, e, segnatamente, all’utilizzo del vettore idrogeno, prodotto con fonti rinnovabili, nell’ambito di nuovi sistemi di locomozione – come ad esempio i veicoli dotati di celle combustibili - atti a ridurre, nella logica dello sviluppo sostenibile, le emissioni inquinanti al fine del miglioramento della qualità ambientale, in particolare all’interno dei centri urbani.
Quanto alle fonti rinnovabili, l’importanza strategica del ruolo che esse rivestono nello sviluppo futuro del sistema energetico, con riferimento ai problemi di diversificazione dell’offerta energetica e di sicurezza degli approvvigionamenti, viene sottolineata in diversi rapporti di istituzioni internazionali[150], anche in connessione alle politiche internazionali per la riduzione delle emissioni dei gas serra (Protocollo di Kyoto). Molti piani varati dagli Stati membri per l’attuazione del Protocollo di Kyoto considerano l’opzione verso le energie rinnovabili come una delle più importanti tra quelle possibili.
Con riferimento, in particolare all’utilizzo dell’idrogeno, si segnala che il 20 gennaio 2004 la Commissione europea ha lanciato la piattaforma tecnologica europea per l’idrogeno e le celle a combustibile, al fine di favorire la transizione dell’UE da un'economia basata sui combustibili fossili a un'economia basata sull'idrogeno[151].
Ai sensi del comma 1, l’istanza di concessione dei finanziamenti previsti dal citato comma 248 deve essere presentata dai soggetti interessati - entro 30 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento in esame, al Ministero dell’economia e delle finanze e dovrà, inoltre, essere corredata dai relativi progetti di ricerca e sviluppo precompetitivo.
All’erogazione dei finanziamenti provvederà il Ministro dell’economia nei successivi trenta giorni (comma 2).
La misura massima di finanziamenti riconosciuta a ciascuno dei soggetti interessati - comunque entro il limite delle risorse stanziate dal citato comma 248 (10 milioni di euro per l’anno 2005 ) - è fissata in 100 mila euro (comma 3).
1. All'articolo 5, comma 1, alinea, della legge 29 luglio 2003, n. 229, le parole: «due anni» sono sostituite dalle seguenti: «trenta mesi».
2. All'articolo 8, comma 1, alinea, della legge 29 luglio 2003, n. 229, le parole; «ventiquattro mesi» sono sostituite dalle seguenti: «trenta mesi».
L’articolo in esame introduce una novella agli articoli 5, comma 1, e 8, comma 1, della legge 29 luglio 2003, n. 229[152], finalizzata a differire i termini per l’esercizio di due deleghe al Governo per l’adozione di uno o più decreti legislativi diretti al riassetto delle disposizioni vigenti in materia, rispettivamente, di sostegno pubblico per lo sviluppo delle attività produttive e di metrologia legale.
Con la disposizione in esame i termini di esercizio delle deleghe, attualmente fissati, entrambi, in due anni dalla data di entrata in vigore della suddetta legge n. 229/03, (ossia alla data del 9 settembre 2005) sono prorogati di ulteriori sei mesi (per entrambe le deleghe si prevede un termine di “trenta mesi” dall’entrata in vigore della legge ).
Pertanto, la data di scadenza per l’esercizio delle suddette deleghe è fissata al 9 marzo 2006.
Si ricorda, in particolare, come i termini di esercizio della delega in materia di sostegno alle attività produttive, di cui all'art. 5, co. 1, originariamente fissato al 9 settembre 2004 (entro 1 anno dalla entrata in vigore della legge), è stato prorogato al 9 settembre 2005, dall'art. 2, comma 7, lettera a), della L. 27 luglio 2004, n. 186, di conversione del D.L. 28 maggio 2004, n. 136, mentre la delega di cui di cui all'art. 8, co. 1, originariamente fissato al 9 marzo 2004 (entro 6 mesi dalla entrata in vigore della legge), è stato differito (una volta scaduto) di 12 mesi, al 9 marzo 2005, dall'art. 2, comma 7, lettera c), della L. 27 luglio 2004, n. 186, di conversione del D.L. 28 maggio 2004, n. 136, e da ultimo prorogato al 9 settembre 2005 dall'art. 7, co. 1, della L. 27 dicembre 2004, n. 306, di conversione del D.L. 9 novembre 2004, n. 266.
Quanto all’oggetto delle deleghe, si ricorda, brevemente, che alla categoria degli interventi di sostegno pubblico per lo sviluppo delle attività produttive sono da ricondurre gli incentivi, i contributi, le agevolazioni, le sovvenzioni ed i benefici destinati alle imprese comunque denominati. Le disposizioni di legge vigenti in materia sono contenute in una pluralità di provvedimenti legislativi e risultano redatte con criteri alquanto diversificati, recando prevalentemente norme di carattere generale e rinviando per la disciplina di dettaglio degli interventi a fonti di livello inferiore. A quest’ultimo proposito va peraltro ricordato come il D.Lgs. n. 123/1998[153] abbia disciplinato in via generale le diverse tipologie di procedimenti amministrativi che possono essere adottati per gli interventi di sostegno alle attività produttive.
Quanto alla ratio del differimento del termine di scadenza per l’esercizio della delega in oggetto, si osserva come questa possa rinvenirsi nel fatto che prima la legge finanziaria per il 2005 (L. n. 311/04) e poi il D.L.. n. 35/05 (conv. con modif. dalla L. n. 80/05)- oggetto peraltro di novella da parte del provvedimento in esame - hanno introdotto una significativa riforma del sistema degli incentivi alle imprese, della quale si dovrà tenere conto in sede di esercizio della delega.
Con riferimento alla delega in materia di metrologia legale, si ricorda come tale materia preveda una serie di controlli sugli strumenti di misurazione delle merci, al fine di garantire la legalità della misura dei beni nelle transazioni commerciali. In Italia, il sistema di metrologia legale, istituito per fissare e mantenere unità di misura e peso legalmente obbligatorie, è stato introdotto dalla prima legge organica di unificazione del sistema di pesi e misure, adottata nel 1861 (legge n. 837 del 28 luglio 1891). La disciplina attuale in materia è contenuta nel testo unico n. 7088 del 23 agosto 1890 e successive modificazioni, seguito dal regolamento esecutivo approvato con regio decreto n. 776 del 1907 e dal regolamento n. 747 del 1909, che organizza il servizio metrico statale.
1. Per la realizzazione, l'acquisizione e l'adeguamento di opere pubbliche, le amministrazioni pubbliche possono sottoscrivere contratti di locazione finanziaria (leasing), previo espletamento di procedura ad evidenza pubblica ai sensi del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157, e successive modificazioni.
2. Le attività di progettazione, esecuzione e collaudo delle opere acquisite dalle amministrazioni pubbliche mediante contratti di locazione finanziaria (leasing) sono realizzate, in deroga alle disposizioni di cui alla legge 11 febbraio 1994, n. 109, e al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554, ai sensi del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157, e successive modificazioni, fatta eccezione per quanto espressamente disposto dal presente articolo.
3. Ai fini del presente articolo, si intendono per opere pubbliche gli edifici, gli impianti, le infrastrutture e qualsiasi altro tipo di costruzione di cui le amministrazioni necessitino per lo svolgimento delle proprie funzioni.
4. Ai fini del presente articolo, si intendono per amministrazioni aggiudicatrici i soggetti individuati nell'articolo 2 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157, e successive modificazioni.
5. Le opere pubbliche da realizzare mediante ricorso allo strumento della locazione finanziaria sono inserite nell'elenco delle opere pubbliche predisposto dalle amministrazioni aggiudicatrici ai sensi dell'articolo 14 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni.
6. Le opere pubbliche sono realizzate a cura e spese di un soggetto finanziatore iscritto nell'elenco degli intermediari finanziari previsto dal testo unico di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, e al decreto del Ministro del tesoro 6 luglio 1994, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 170 del 22 luglio 1994.
7. La progettazione definitiva delle opere pubbliche è a cura e spese delle amministrazioni aggiudicatrici, che vi provvedono secondo le modalità previste dall'articolo 17 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554, e successive modificazioni, nonché in conformità al capitolato di gara e alle prescrizioni della normativa vigente in materia.
8. Il soggetto finanziatore, in sede di partecipazione alla gara ai sensi del comma 1, indica le imprese in possesso dei requisiti di qualificazione di cui all'articolo 8 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 25 gennaio 2000, n. 34, e successive modificazioni, alle quali intende affidare l'esecuzione dei lavori. In sede di partecipazione alla gara, il soggetto finanziatore indica altresì il direttore dei lavori in possesso dei requisiti richiesti dalla citata legge n. 109 del 1994, e, nei casi previsti dal decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 494, e successive modificazioni, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori.
9. L'amministrazione aggiudicatrice, ferme restando le competenze del direttore dei lavori di cui al comma 8, nomina uno o più verificatori delle opere con il potere di accedere al cantiere senza limitazioni e senza preavviso. Il verificatore è competente all'accertamento della regolare e tempestiva esecuzione delle opere in relazione a ciascun singolo stato di avanzamento dei lavori.
L’articolo in esame autorizza le pubbliche amministrazioni ad utilizzare contratti di locazione finanziaria (leasing). ai fini della realizzazione, acquisizione od adeguamento di opere pubbliche.
Il contratto di leasing
Il contratto di leasing è un negozio giuridico non disciplinato da una normativa specifica che riunisce in sé elementi propri della locazione e dell’acquisto.
La tipologia più nota del negozio è il leasing finanziario[154] alla base del quale stanno le note ragioni di carattere economico consistenti nella necessità di disporre di beni strumentali all’attività d’impresa (impianti, immobili, autoveicoli, ecc.). Con il termine leasing finanziario si intende la cessione d’uso per un certo periodo di tempo (generalmente medio-lungo) di beni strumentali e di beni di consumo durevoli, a fronte del pagamento di una rata periodica. Per tutta la durata del contratto (la cui qualificazione giuridica è, quindi, essenzialmente di locazione finanziaria) l’oggetto rimane di proprietà della società di leasing mentre l’utilizzatore del bene è il locatario, sul quale, a differenza delle forme “tradizionali” di affitto, incombono però gli obblighi tipici del proprietario, quali la manutenzione o i rischi legati al bene e al suo utilizzo. Per godere del bene, l’utilizzatore del leasing corrisponde, come accennato, le rate di leasing che, oltre al canone, comprendono anche una quota di ammortamento del capitale, calcolata in funzione della durata del contratto. Allo scadere del periodo contrattuale concordato, normalmente la società di leasing offre al cliente di acquistare l’oggetto contro il pagamento del valore residuo calcolato; ulteriori possibilità sono la restituzione del bene, la sua sostituzione, la prosecuzione del leasing, ovvero le altre eventuali possibilità previste dal contratto.
Con il termine di leasing pubblico viene delineato un ambito disciplinare dato dall’incrocio della normativa di stampo privatistico propria del contratto di leasing e di quella pubblicistica derivante dal contesto in cui il leasing viene utilizzato.
Il suo utilizzo, infatti, si inquadra nell’ambito della recente tendenza volta a trasporre gli strumenti contrattuali e organizzativi di stampo privatistico nel settore pubblico.
Una particolare categoria di leasing pubblico è rappresentata dal leasing dei beni immobili da costruire (locazione finanziaria in costruendo).In tale fattispecie la P.A. sposta l’onere della realizzazione dell’opera sull’intermediario finanziario. In questa ipotesi l’ente pubblico stipula, con l’impresa di leasing, un contratto avente ad oggetto la cessione in godimento di un immobile ancora da costruire; l’impresa di leasing si assume l’obbligo di finanziare la costruzione dell’immobile, di costruirlo e di consegnarlo all’ente che da parte sua si obbliga ad utilizzarlo per un certo periodo di tempo (dai cinque ai novantanove anni) pagando un canone e con la possibilità di riscattarlo scaduto il termine previsto dal contratto. Il locatario ha in genere l’iniziativa dell’operazione; quindi si procura il terreno adatto alla costruzione dell’immobile oppure lo indica alla società di leasing e spesso predispone il progetto dell’intervento edilizio, si incarica del controllo dei lavori ed espleta le formalità burocratiche necessarie.
Le disposizioni in commento sembrano riferirsi alla locazione finanziaria in costruendo, anche se il riferimento all’adeguamento oltre che alla realizzazione e all’acquisizione, può far pensare che ci si riferisca anche ad un altro tipo di leasing., dato che nel caso dell’adeguamento non ci si trova in presenza di un immobile da costruire.
Si osserva quindi, che data la natura atipica del contratto di leasing e considerate l’esistenza di molte clausole diverse a seconda del tipo di leasing prescelto, sembrerebbe opportuno specificare a quale tipo di leasing ci si riferisce con le disposizioni in commento.
Il comma in esame, prevede, inoltre, che la sottoscrizione dei citati contratti di leasing da parte delle amministrazioni pubbliche, debba avvenire previo espletamento di procedura ad evidenza pubblica ai sensi del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157.
Si ricorda che il leasing finanziario va ricondotto alla categoria dei servizi finanziari di cui all’Allegato II-A della recente direttiva unica in tema di appalti 2004/18/CE, che sul punto nulla innova rispetto alla direttiva 97/52 relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione rispettivamente degli appalti pubblici di servizi, degli appalti pubblici di forniture e degli appalti pubblici di lavori. (che sostituisce), la quale analogamente ricomprendeva i servizi finanziari (tra cui anche locazioni finanziarie) e bancari tra i “servizi finanziari” di cui al punto 6 dell’Allegato 1.
Fino al recepimento della direttiva 2004/18, che dovrà avvenire entro il 31 gennaio 2006, il quadro normativo di riferimento rimane quindi quello delineato dal decreto legislativo n. 157 del 1995, di attuazione della direttiva 97/52 che, riportando anche i servizi finanziari nel novero degli appalti di servizi di rilevanza comunitaria, ha sgombrato il campo da ogni dubbio circa l’applicazione delle norme ad evidenza pubblica.
Tale normativa richiama l’attenzione delle strutture pubbliche sulla necessità di applicare le disposizioni comunitarie aprendo alla concorsualità anche quelle tipologie di appalti di servizi caratterizzati dal ricorso a rapporti instaurati su base esclusivamente fiduciaria e con esclusione di forme di pubblicità.
Si ricorda che ai sensi dell’art. 1 del decreto legislativo n. 157 del 1995, che individua l’ambito oggettivo del decreto, per appalti di servizi si intendono quelli di cui all'allegato 1, il cui valore di stima, al netto dell'IVA, al momento della pubblicazione del bando, è uguale o superiore al controvalore in euro di 200.000 diritti speciali di prelievo (DPS). Sono soggetti alle disposizioni del decreto anche gli appalti di servizi di cui al comma 1 il cui valore di stima, al netto dell'IVA, è uguale o superiore al controvalore in euro di 130.000 DSP, se sono indetti dalle amministrazioni di cui all'allegato 8 (vale a dire per la Presidenza del Consiglio dei Ministri e per i Ministeri).
Il decreto legislativo n. 157, all’art. 3, fornisce una definizione molto ampia dell’appalto di servizi - “contratti a titolo oneroso conclusi per iscritto tra un prestatore di servizi e una pubblica amministrazione aventi ad oggetto la prestazione dei servizi elencati negli allegati 1 e 2” - ma precisa che, per i servizi di cui all’allegato 2, la normativa comunitaria si applica solo in parte, mentre trova integrale applicazione nel caso di servizi di cui all’allegato 1.
Si ricorda, inoltre, che il decreto prevede, all’allegato 1, categoria 6, i servizi finanziari, distinti in servizi assicurativi, bancari e finanziari; categoria, quest’ultima, in cui rientra il contratto di leasing, giacché in esso si rinviene la causa del finanziamento.
Si ricorda peraltro che l’art. 5 del decreto, cita tra i contratti esclusi dall’applicazione del decreto “i contratti aventi per oggetto l’acquisizione o la locazione, indipendentemente dalle modalità finanziarie, di terreni, edifici esistenti o altri immobili, o comunque riguardanti diritti inerenti a tali beni; i contratti di servizi finanziari conclusi precedentemente, contestualmente o successivamente al contratto di acquisizione o locazione rientrano, tuttavia, indipendentemente dalla forma, nel campo di applicazione del presente decreto” (art 5, comma 2, lett. a), il contratto di locazione finanziaria immobiliare non è propriamente un contratto avente ad oggetto l’acquisizione o la locazione di un bene immobile, bensì un contratto per l’acquisizione di servizi finanziari che viene concluso precedentemente, contestualmente o, più raramente, successivamente al contratto di acquisto dell’immobile, rientra pertanto nell’ambito dei contratti accessori rispetto a quelli propriamente immobiliari di cui al secondo capoverso della sopra riportata lett. a, del comma 2 dell’art. 5 e, di conseguenza, nel campo di applicazione del decreto.
Attesa l’applicabilità della disciplina in materia di appalti di servizi ai contratti di locazione finanziaria, non si può che concludere per la soggezione alla procedura concorsuale dell’affidamento di servizi finanziari a società di leasing.
In relazione, infine, alle procedure di aggiudicazione, l’art. 6, comma 1, dispone quindi che l'amministrazione aggiudicatrice debba indicare, nel bando di gara, quale delle seguenti procedure intende utilizzare per l'aggiudicazione dell'appalto:
a) il pubblico incanto;
b) la licitazione privata;
c) l'appalto concorso, per settori diversi da quelli indicati all'art. 26.2;
d) la trattativa privata.
Il comma 2 dispone che le attività di progettazione, esecuzione e collaudo delle opere acquisite dalle amministrazioni pubbliche mediante contratti di leasing siano realizzate, in deroga alle disposizioni di cui alla legge 11 febbraio 1994, n. 109 e al DPR 21 dicembre 1999, n. 554[155], ed ai sensi del decreto legislativo n. 157 del 1995, fatta eccezione per quanto espressamente disposto dal presente articolo.
Si fa notare in proposito che da più parti[156] sono state sollevate delle perplessità circa la possibilità di derogare alle procedure previste dalla legge n. 109 del 1994: «Nel caso del leasing pubblico … l’Autorità di vigilanza dei lavori pubblici nella deliberazione n. 337 del 4 dicembre 2002, ha ribadito l’obbligatorietà del ricorso alle procedure previste dalla L. 109/94 (L. Merloni).
L’Autorità ha precisato che “anche a volere ipoteticamente considerare che …l’oggetto diretto del rapporto sia il finanziamento, resta fermo che nella specie deve applicarsi la legge n. 109/94 (e non già il D.Lgs. n. 157/95 sui servizi) in quanto quest’ultima si impone allorché una P.A. commissioni in qualsiasi modo l’esecuzione dei lavori, verso qualsiasi forma di corrispettivo, indipendentemente dall’assetto complessivo del rapporto. In tal senso l’art. 19 della L 109/94 stabilisce che i lavori pubblici possono essere realizzati esclusivamente mediante appalti o concessioni di lavori (imponendo le procedure di gara previste per i lavori pubblici anche nel caso in cui il soggetto affidatario sia un concessionario di lavori, cioè un soggetto al quale come nella specie si fa ricorso per ottenere un finanziamento privato diretto a realizzare lavori rispondenti ad esigenze specificamente indicate dalla P.A. committente, sebbene il concessionario possa eseguire tutti i lavori mediante imprese terze e con finanziamenti propri e riferisca la titolarità dell’opera alla P.a. solo dopo l’esecuzione dei lavori). La circostanza che la P.A. non paghi un corrispettivo o prezzo di appalto non è decisiva, infatti, per escludere l’assoggettamento alla normativa sui lavori, in quanto è sufficiente il carattere di onerosità o l’esistenza di una controprestazione a carico della P. A. per essere ricondotti a tale obbligo”.
Inoltre, partendo dal confronto con la fattispecie della vendita di cosa futura, ha anche chiarito che “…non può ammettersi la natura privata della realizzanda costruzione o l’ esclusione dall’ambito di operatività della legge Merloni invocando l’orientamento che ammette, in via del tutto eccezionale, la vendita-locazione di cosa futura, non ricorrendone i presupposti in punto di fatto”[157].
In argomento l’Autorità di vigilanza si è pronunciata nuovamente con la recente Deliberazione n. 145 del 23 settembre 2004 in tema di lavori pubblici. In questa occasione l’Autorità, nell’ambito dell’espletamento dei compiti di vigilanza ad essa attribuiti dalla L. 109/94, ha proceduto all’esame di un bando di gara indetto dal Ministero della Giustizia, concernente “l’affidamento del servizio di locazione finanziaria immobiliare in costruendo finalizzato all’acquisizione di un istituto penitenziario nel comune di Pordenone”, ed ha stabilito che “fermo restando il principio generale di tassatività delle procedure previste dalla L. 109/94 e ss.mm., per la realizzazione di opere pubbliche, appare configurarsi una deroga a tali procedure ove norme speciali dettate per far fronte a situazioni di necessità e di urgenza (“l’inefficienza e la vetustà degli istituti penitenziari ed il loro sovraffollamento”), prevedano l’uso, in via prioritaria, di strumenti alternativi, ivi incluso il leasing immobiliare”[158]. In concreto l’Autorità ha ritenuto legittimo il bando di gara con il quale si appaltava ai sensi del decreto legislativo 157/1995 per la prevalenza dell’aspetto finanziario, che si desumeva - a detta dell’Autorità- anche dalle modalità di applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Nel caso di specie l’Autorità precisava inoltre che sussistevano le necessarie e opportune tutele sia per l’affidamento del progetto (i progettisti dovevano essere qualificati ai sensi della legge quadro sui lavori pubblici) sia per la realizzazione dei lavori (attestazioni SOA), con l’ulteriore previsione di indicazione in sede di offerta dei nominativi stessi da parte dell’offerente. Tale previsione unita al ricorso alla procedura comunitaria a evidenza pubblica, garantiva da una scelta discrezionale ex post da parte dell’istituto finanziario offerente.
In definitiva, ciò che può trarsi dagli interventi sopra citati è che quando l’oggetto del leasing in concreto non è costituito da servizi finanziari bensì da veri e propri lavori pubblici, ovvero qualora lavori dedotti nel rapporto PA privato non abbiano una valenza meramente strumentale o indiretta o accessoria, ma rappresentino l’interesse concreto che la PA intende conseguire dal rapporto, si impone il rispetto della Merloni: sotto questo profilo concordano l’Autorità di vigilanza e l’Adunanza Generale del Consiglio di Stato e ben pochi spazi di intervento alternativo residuano. Diversamente, laddove il profilo economicamente e qualitativamente prevalente consiste nella prestazione di servizi finanziari, troverà applicazione sic et simpliciter il D.Lgs. 157/95 per la scelta della società di leasing».
Il comma 3 definisce l’ambito oggettivo dell’articolo in esame attraverso la definizione di opere pubbliche.
Vengono considerate opere pubbliche tutti gli edifici, gli impianti, le infrastrutture e qualsiasi altro tipo di costruzione necessarie alle amministrazioni per lo svolgimento delle proprie funzioni.
In altre parole ciò che contraddistingue la tipologia di opere pubbliche non è tanto la tipologia di opera, bensì la sua intrinseca funzionalità.
Il comma 4 individua, quindi, l’ambito soggettivo delle disposizioni in esame, intendendo per amministrazioni aggiudicatrici i soggetti individuati nell'art. 2 dl decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157, e successive modificazioni e integrazioni, vale a dire le amministrazioni dello Stato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti pubblici territoriali e le loro unioni, consorzi o associazioni, gli altri enti pubblici non economici e gli organismi di diritto pubblico.
Si ricorda, infatti, che il decreto legislativo n. 157 del 1995, all’art. 2, indica quali amministrazioni aggiudicatici:
a) le amministrazioni dello Stato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti pubblici territoriali e le loro unioni, consorzi o associazioni, gli altri enti pubblici non economici;
b) gli organismi di diritto pubblico; sono tali gli organismi, dotati di personalità giuridica, istituiti per soddisfare specifiche finalità d'interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale, la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dalle regioni, dagli enti locali, da altri enti pubblici o organismi di diritto pubblico, o la cui gestione è sottoposta al loro controllo o i cui organi d'amministrazione, di direzione o di vigilanza sono costituiti, almeno per la metà, da componenti designati dai medesimi soggetti pubblici.
L’allegato 7 del decreto legislativo elenca, quindi, in modo non esaustivo, i predetti organismi di diritto pubblico[159].
Il comma 5 prevede l’inserimento delle opere pubbliche da realizzare mediante ricorso allo strumento del leasing nell'elenco delle opere pubbliche predisposto dalle amministrazioni aggiudicatrici ai sensi dell’art. 14 della legge n. 109 del 1994 relativo alla programmazione dei lavori pubblici.
Si ricorda che, secondo l’art. 14, comma 1, della legge quadro, l’attività di realizzazione dei lavori pubblici, di singolo importo superiore a 100.000 euro, si svolge sulla base di una programmazione obbligatoria e vincolante, cioè sulla base di un programma triennale, aggiornato annualmente, che viene approvato nei modi di legge, unitamente all’elenco dei lavori da realizzare nell’anno stesso.
Ai sensi del dell’art. 14, comma 9, le amministrazioni aggiudicatici sono tenute a predisporre un elenco annuale delle opere da realizzare che deve essere approvato unitamente al bilancio preventivo, e di cui costituisce parte integrante. Esso deve contenere anche l'indicazione dei mezzi finanziari stanziati sullo stato di previsione o sul proprio bilancio, ovvero disponibili in base a contributi o risorse dello Stato, delle regioni a statuto ordinario o di altri enti pubblici, già stanziati nei rispettivi stati di previsione o bilanci. Il carattere obbligatorio delle scelte programmatiche si traduce, attraverso tale disposizione, in un vincolo di bilancio attraverso uno specifico documento, l’elenco annuale dei lavori da eseguire, che deve essere approvato, appunto, unitamente al bilancio preventivo di cui ne costituisce parte integrante. La finalità è pertanto duplice: per un verso alleggerire e rendere più flessibile il programma triennale e, per l’altro, rendere più stringente e concreto l’impegno delle singole amministrazioni a realizzare i lavori eseguibili nell’ambito di ciascun esercizio finanziario.
Il successivo comma 10 dispone, inoltre, che i lavori non ricompresi nell'elenco annuale o non ricadenti nelle ipotesi di cui al comma 5, secondo periodo (eventi imprevedibili o calamitosi), non possono ricevere alcuna forma di finanziamento da parte di pubbliche amministrazioni.
Si ricorda, infine, che l’entrata a regime di tali disposizioni sulla programmazione è avvenuta solo recentemente con l’emanazione del D.M. 22 giugno 2004 “Procedura e schemi-tipo per la redazione e la pubblicazione del programma triennale, dei suoi aggiornamenti annuali e dell'elenco annuale dei lavori pubblici, ai sensi dell'art. 14, comma 11, della L. 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni ed integrazioni”. Infatti, il comma 11 dell’art. 14 prevedeva l’emanazione di un decreto ministeriale per la definizione degli schemi-tipo del programma triennale e dell’elenco annuale dei lavori.
Il comma 6 prevede quindi che le opere pubbliche inserite nell’elenco dei lavori da realizzare siano realizzate a cure e spese di un soggetto finanziatore che dovrà essere iscritto nell'elenco degli intermediari finanziari di cui al decreto legislativo 14 settembre 1993, n. 385 e successive modificazioni e integrazioni, e al D.M. 6 luglio 1994.
Si ricorda, infatti, che il decreto legislativo n. 385 del 1993 (come modificato dai decreti legislativi n. 342 del 1999 e n. 6 del 2003), ove viene nominato espressamente il leasing finanziario annoverandolo tra le attività finanziarie ammesse al mutuo riconoscimento, ha previsto, all’art. 106, l'obbligo dell'iscrizione nell'«elenco generale» dei soggetti operanti nel settore finanziario. Ai sensi di tale articolo, l'esercizio nei confronti del pubblico delle attività di assunzione di partecipazioni, di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, di prestazione di servizi di pagamento e di intermediazione in cambi è riservato a intermediari finanziari iscritti in un apposito elenco tenuto dall'UIC. L'iscrizione nell'elenco è inoltre subordinata al ricorrere di determinate condizioni, quali:
a) forma di società per azioni, di società in accomandita per azioni, di società a responsabilità limitata o di società cooperativa;
b) oggetto sociale conforme al disposto del comma 2;
c) capitale sociale versato non inferiore a cinque volte il capitale minimo previsto per la costituzione delle società per azioni;
d) possesso, da parte dei titolari di partecipazioni e degli esponenti aziendali, dei requisiti previsti dagli artt. 108 e 109.
Con successivo D.M. 6 luglio 1994 sono state quindi determinale le modalità di iscrizione dei soggetti che operano nel settore finanziario di cui agli articoli 106, 113 e 155, commi 3 e 4, del decreto legislativo n. 385 del 1993.
Ciò premesso, si osserva che sembrerebbe opportuno riformulare l’articolo riferendosi esattamente all’articolo del decreto legislativo n. 385 del 1993 relativo alla disciplina dell’elenco degli intermediari finanziari, vale a dire l’art. 106.
Il comma 7 dispone che la progettazione definitiva delle opere pubbliche sia a cura e spese delle Amministrazioni aggiudicatici, che vi provvedono secondo le modalità previste dall’art. 17 della legge n. 109 del 1994 e dal relativo regolamento di attuazione, D.P.R. n. 554 del 1999, nonché in conformità al capitolato di gara e alle prescrizioni della normativa vigente in materia.
I livelli di progettazione
Per quanto riguarda le norme poste in via generale dalla legge quadro per le attività di progettazione, si ricorda innanzitutto che l’art. 16 distingue tre livelli di progettazione –preliminare, definitiva, esecutiva. In particolare, il successivo comma 4, in merito alla progettazione definitiva, stabilisce le caratteristiche peculiari del progetto definitivo, quali l’individuazione compiuta dei lavori da realizzare, nel rispetto delle esigenze, dei criteri, dei vincoli, degli indirizzi e delle indicazioni stabiliti nel progetto preliminare e l’inclusione di tutti gli elementi necessari ai fini del rilascio delle prescritte autorizzazioni ed approvazioni.
Le norme della legge devono essere quindi lette congiuntamente con quelle del D.P.R. n. 554 del 1999 sulla progettazione (dall’art. 15 al 49) e, in particolare, a quelle sulla progettazione definitiva (Titolo III, Capo II, Sezione terza, artt. da 25 a 34). Il progetto definitivo, ai sensi dell’art. 25, dovrà essere redatto sulla base delle indicazioni del progetto preliminare approvato e di quanto emerso in sede di eventuale conferenza di servizi, e contenere tutti gli elementi necessari ai fini del rilascio della concessione edilizia, dell'accertamento di conformità urbanistica o di altro atto equivalente. Esso dovrà comprendere una serie di specifici documenti, le cui caratteristiche sono analiticamente elencate negli art. 26 e segg. dello stesso D.P.R:
Gli oneri della progettazione
Sempre l’art. 16, al comma 7 prevede, quindi, che gli oneri inerenti alla progettazione, alla direzione dei lavori, alla vigilanza e ai collaudi, nonché … gli oneri relativi alle prestazioni professionali e specialistiche atte a definire gli elementi necessari a fornire il progetto esecutivo completo in ogni dettaglio… fanno carico agli stanziamenti previsti per la realizzazione dei singoli lavori negli stati di previsione della spesa o nei bilanci delle amministrazioni aggiudicatrici, nonché degli altri enti aggiudicatori o realizzatori.
La progettazione interna alla P.A.
E’ nel successivo art. 17, comma 1, che sono quindi indicate le diverse modalità di redazione dei progetti (preliminare, definitiva ed esecutiva), vale a dire progettazione "interna" ed "esterna".
I progettisti "pubblici" (progettazione interna) sono quindi:
§ gli uffici tecnici delle stazioni appaltanti;
§ gli uffici consortili per la progettazione e la direzione dei lavori appositamente costituiti da amministrazioni locali ai sensi degli artt. 24-26 della legge n. 142 del 1990;
§ gli organismi di altre pubbliche amministrazioni di cui le amministrazioni aggiudicatrici possono avvalersi per legge. In quest'ultimo caso la norma concerne i cosiddetti affidamenti "infra-amministrazioni"[160].
La progettazione esterna alla P.A.
Tornando all'elencazione di cui all'art. 17, comma 1[161], la norma, dopo avere indicato i soggetti pubblici che possono svolgere le attività tecniche previste dalla legge, passa ai soggetti che, nei casi previsti dall'art. 17, comma 4, - cioè in caso di accertata carenza di organico specializzato nella pubblica amministrazione…, nonché di difficoltà di rispettare i tempi della programmazione o di svolgere le funzioni di istituto, o ancora in caso di complessità delle opere o di loro particolare rilevanza architettonica o ambientale o per progetti "integrali" - possono risultare affidatari di incarichi a (in questo caso si parla di "progettazione esterna"):
§ liberi professionisti, singoli o associati nelle forme previste dalla legge 1815 del 1939, e, come precisa la legge 166 del 2002, limitatamente agli interventi nel settore dei beni culturali, anche a soggetti con qualifica di restauratore dei beni culturali;
§ società di professionisti;
§ società di ingegneria;
§ raggruppamenti temporanei fra i predetti soggetti cui si applicano, "in quanto compatibili" le norme di cui all'art. 13 della legge quadro (riunioni di concorrenti);
§ consorzi stabili di società professionali e di società di ingegneria.
Ciò premesso, si osserva che sembrerebbe opportuno richiamare, nel comma in esame, oltre all’art. 17 della legge 109, anche l’art. 16. Andrebbero, inoltre, indicati, eventualmente, anche gli articoli dal 25 al 34 del D.P.R. n. 554 del 1999 relativi alla progettazione definitiva.
Si fa notare che la formulazione del comma in esame consente di evitare eventuali problemi che potrebbero insorgere qualora la progettazione definitiva fosse affidata alla società di leasing. In tal caso, infatti, si porrebbe il problema del “coinvolgimento dell’ente pubblico, che dev’essere sempre garantito attraverso la previsione che la società di leasing deve sottoporre all’approvazione dell’amministrazione stessa il progetto e il contratto con la ditta appaltatrice (la mancata approvazione comporta la risoluzione del contratto)”[162].
Si ricorda, infine, che la previsione del comma in esame relativa alla conformità del progetto definitivo anche al capitolato di garaed alle prescrizioni della normativa vigente in materia fa riferimento innanzitutto al comma 5 dell’art. 3 della legge n. 109 del 1994 che prevede che i soggetti di cui all'art. 2, comma 2, lettera a), della stessa legge quadro - amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, enti pubblici, compresi quelli economici, agli enti ed alle amministrazioni locali, loro associazioni e consorzi nonché altri organismi di diritto pubblico – applichino, ai lavori affidati, il nuovo capitolato generale d'appalto, adottato con D.M. 19 aprile 2000, n. 145. Peraltro, tali soggetti corrispondono, in parte, a quelli indicati dall’art. 2 della decreto legislativo n. 157 del 1995, ed ai quali il comma 4 in esame fa riferimento quali amministrazioni aggiudicatici.
Peraltro il riferimento riguarda anche il capitolato speciale di appaltoprevisto dall’art. 25, comma 3, del D.P.R. n. 554 del 1999. Tale comma prevede, infatti, che, nel caso in cui il progetto definitivo è posto a base di gara ai sensi dell’art. 19, comma 1, lettera b), della legge quadro, il progetto venga corredato dallo schema di contratto e dal capitolato speciale d’appalto redatti con le modalità indicate al successivo art. 43. Il capitolato prevede, inoltre, la sede di redazione e tempi della progettazione esecutiva, nonché le modalità di controllo del rispetto da parte dell'affidatario delle indicazioni del progetto definitivo.
Il comma 8 dispone che il soggetto finanziatore, in sede di partecipazione alla gara ai sensi del comma 1, indichi:
§ le imprese alle quali affidare l’esecuzione dei lavori;
§ il direttore dei lavori;
§ il coordinatore per l’esecuzione dei lavori, nei casi previsti dal decreto legislativo n. 494 del 1996.
Le imprese alle quali intende affidare l'esecuzione dei lavori dovranno essere in possesso dei requisiti di qualificazione ai sensi dell'art. 8 della legge n. 109 del 1994 e al relativo D.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34,.
Si ricorda, infatti, che l’art. 8 della legge n. 109 del 1994 ha istituito un nuovo sistema di qualificazione e di certificazione delle imprese ai fini della loro partecipazione alle procedure per l'affidamento dei lavori pubblici attuato da specifici organismi di diritto privato di attestazione (SOA) con il compito di attestare i requisiti richiesti. Lo stesso art. 8 ha demandato quindi allo strumento regolamentare il compito di stabilire la disciplina completa del nuovo sistema di qualificazione delle imprese sia sotto il profilo oggettivo che sotto il profilo soggettivo, con particolare riguardo alla fissazione dei requisiti che devono avere i soggetti privati cui è demandata l'attestazione della qualificazione in capo alle imprese, alla previsione delle modalità dell'accertamento dei requisiti di qualificazione, al contenuto e all'estensione dei requisiti stessi e alla determinazione dei criteri di gradualità per l'entrata in vigore della certificazione obbligatoria di qualità. Una volta definite le linee generali del previsto sistema di qualificazione dall’art. 8 è stato quindi emanato il regolamento n. 34 del 25 gennaio 2000 con il quale è stato istituito il sistema di qualificazione per gli esecutori di lavori pubblici, recentemente modificato dal D.P.R. 10 marzo 2004, n. 93.
Il direttore dei lavori indicato dal soggetto finanziatore dovrà essere in possesso dei requisiti richiesti dalla legge n. 109 del 1994.
Si ricorda, innanzitutto, che ai sensi dell’art. 17 della legge quadro le funzioni di direzione dei lavori possono essere svolte sia da un soggetto interno alla stazione appaltante che esterno. In tale ultimo caso, il comma 14, prevede che l’attività di direzione venga affidata con priorità al progettista incaricato. Il successivo art. 27prevede che, per l'esecuzione di lavori pubblici affidati in appalto, le amministrazioni aggiudicatrici sono obbligate ad istituire un ufficio di direzione dei lavori costituito da un direttore dei lavori ed eventualmente da assistenti. Le funzioni dell’ufficio di direzione dei lavori e del direttore dei lavori sono quindi indicate nel Titolo IX, Capo I, artt. dal 123 al 127) del D.P.R. n. 554 del 1999.
Infine il soggetto finanziatore dovrà nominare, nei casi previsti dal decreto legislativo 14 agosto del 1996, n. 494, anche il coordinatore per l'esecuzione dei lavori.
Il decreto legislativo n. 494 del 1996 “Attuazione della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili”, come modificato dal decreto legislativo 19 novembre 1999, n. 528, ha previsto, all’art. 3, comma 3, che il committente o il responsabile dei lavori, designi -prima dell'affidamento dei lavori - nei cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese, anche non contemporanea, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, i cui obblighi sono elencati nell’art. 5, ed in possesso dei requisiti indicati nel successivo art. 10.
Il principio sotteso alla scelta legislativa del D.Lgs. n. 494 del 1996 è stato quindi quello di ricondurre l'obbligo di gestione dei fattori di rischio "aggiuntivi" ed "interferenziali" presenti nel cantiere all'area funzionale della committenza: l'unica che avrebbe potuto prenderli su di sé, in ragione della titolarità di un interesse economico alla realizzazione dell'opera.
Si ricorda, inoltre, che l’art. 127 del DPR n. 554 del 1999 dispone che, in materia di appalti di opere pubbliche, le funzioni del coordinatore per l'esecuzione dei lavori in materia di sicurezza nei cantieri, previste dal decreto legislativo n. 494 del 1996, sono svolte dal direttore lavori, e che, ove questi sia sprovvisto dei requisiti previsti dalla legge, il committente deve prevedere la presenza di almeno un direttore operativo qualificato per l'esercizio delle funzioni di coordinatore. Si fa osservare che tale previsione normativa di una figura unica (DL/CSE) prevista dall’art. 127 del DPR n. 554 del 1999 ha suscitato problemi di identità funzionale, ritenendosi necessarie due figure ben distinte per la gestione sicura di un cantiere[163].
Le disposizioni del comma 8 sembrano trovare giustificazione- in analogia a quanto affermato dall’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici – nella necessità di applicare al leasing il maggior numero di norme possibile della “legge Merloni”.
Il comma 9 prevede, infine, chel’amministrazione aggiudicatrice, ferme restando le competenze dei Direttore dei lavori di cui al precedente comma 8, nomini uno o più verificatori delle opere con il potere di accedere al cantiere senza limitazioni e senza preavviso.
Il verificatore è altresì competente all'accertamento della regolare e tempestiva esecuzione delle opere in relazione a ciascun singolo stato di avanzamento dei lavori.
1. Al fine di promuovere lo sviluppo del turismo di qualità, i soggetti di cui al comma 4, di seguito denominati «promotori», possono presentare alla regione interessata proposte relative alla realizzazione di insediamenti turistici di qualità di interesse nazionale, anche tramite concessione di beni demaniali marittimi e anche mediante la riqualificazione di insediamenti e impianti preesistenti.
2. Ai canoni di concessione per gli insediamenti di cui al comma 1 non si applicano le disposizioni di cui al decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494. La misura del canone è determinata dall'atto di concessione. Una quota degli introiti dei canoni è attribuita, nella misura del 20 per cento alla regione interessata e nella misura del 20 per cento al comune o ai comuni interessati, proporzionalmente al territorio compreso nell'insediamento. Per quanto non determinato dal presente articolo, si applicano le disposizioni di cui agli articoli da 36 a 49 del codice della navigazione.
3. Gli insediamenti turistici di qualità di cui al presente articolo sono caratterizzati dalla compatibilità ambientale, dalla capacità di tutela e di valorizzazione culturale del tessuto circostante e dei beni presenti sul territorio, dall'elevato livello dei servizi erogati e dalla idoneità ad attrarre flussi turistici anche internazionali. In ogni caso gli insediamenti turistici di cui al presente articolo devono assicurare un ampliamento della base occupazionale mediante l'assunzione di un numero di addetti non inferiore a 250 unità. La realizzazione e la gestione degli insediamenti per il turismo di qualità sono effettuate secondo le procedure di cui ai seguenti commi.
4. Possono presentare le proposte di cui al comma 1 gli enti locali territorialmente competenti, anche associati, i soggetti di cui all'articolo 10 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni, associati con gestori di servizi ed eventualmente consorziati e associati con enti finanziatori, nonché i soggetti dotati di idonei requisiti tecnici, organizzativi e finanziari, definiti da apposito regolamento da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge con decreto del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio.
5. Le proposte devono comprendere lo studio di fattibilità ambientale, il piano finanziario degli investimenti, l'adeguamento del sistema complessivo dei servizi che interessano l'area, in particolare nel settore della mobilità, nonché la previsione di eventuali infrastrutture e opere pubbliche connesse, e sono redatte secondo modelli definiti dal regolamento di cui al comma 4. La realizzazione di infrastrutture e di servizi connessi può essere affidata allo stesso soggetto realizzatore dell'insediamento turistico. In tale caso si applicano le disposizioni stabilite dall'articolo 104, comma 4, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni.
6. Le proposte sono valutate dalla regione sotto il profilo della fattibilità e della qualità costruttiva, urbanistica e ambientale, nonché della qualità progettuale, della funzionalità, del costo di gestione e di manutenzione, dei tempi di ultimazione dei lavori per la realizzazione degli impianti e delle infrastrutture e opere pubbliche connesse. Sono comunque valutate in via prioritaria le proposte che prevedono il recupero e la bonifica di aree compromesse sotto il profilo ambientale e di impianti industriali dismessi.
7. La regione, entro trenta giorni dalla presentazione, verifica l'assenza di elementi ostativi e, esaminate le proposte stesse, anche comparativamente, e sentiti i promotori che ne facciano richiesta, provvede, entro i successivi sessanta giorni, ad individuare quelle che ritiene di pubblico interesse e a trasmetterne documentazione ai comuni e alle province competenti per territorio, al Ministero dell'economia e delle finanze, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministero delle attività produttive, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministero per i beni e le attività culturali e a tutte le ulteriori amministrazioni competenti a rilasciare permessi e autorizzazioni di ogni genere e tipo.
8. Le amministrazioni interessate rimettono le proprie valutazioni alla regione entro il termine perentorio di trenta giorni dalla ricezione della documentazione relativa alla proposta, ovvero, in caso di procedura di evidenza pubblica ai sensi del comma 10, entro trenta giorni dalla aggiudicazione. Entro lo stesso termine le amministrazioni interessate possono presentare motivate proposte di adeguamento o richieste di prescrizioni. La mancata presentazione, entro il termine previsto, di osservazioni o richieste di prescrizione ha l'effetto di assenso alla proposta. La regione promuove, entro i successivi quarantacinque giorni, la stipula fra le amministrazioni interessate di un accordo di programma, ai sensi dell'articolo 34 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
9. La stipula dell'accordo di programma sostituisce ogni altra autorizzazione, approvazione e parere comunque denominato, consente la realizzazione e l'esercizio di tutte le opere, prestazioni e attività previste nella proposta approvata, e ha l'effetto di determinare le eventuali e conseguenti variazioni degli strumenti urbanistici e di sostituire le concessioni edilizie, nel rispetto delle condizioni di cui al citato articolo 34 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000. Restano comunque ferme le disposizioni di cui al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
10. Nel caso di più proposte relative alla stessa concessione di beni demaniali la regione, prima della stipula dell'accordo di programma, indice una gara da svolgere con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, ponendo a base di gara la proposta presentata dal promotore, secondo le procedure di cui all'articolo 37-quater della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni.
11. Per promuovere la realizzazione degli insediamenti di cui al presente articolo, i comuni interessati possono prevedere l'applicazione di regimi agevolati ai fini del contributo di cui all'articolo 16 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, nonché l'esenzione, ovvero l'applicazione di riduzioni o detrazioni, dall'imposta comunale sugli immobili di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504.
12. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono individuati tre siti di preminente interesse paesaggistico in cui sono ubicati insediamenti industriali dismessi, nei quali effettuare un intervento integrato di recupero e bonifica ambientale e realizzare un insediamento turistico di qualità, secondo le modalità del presente articolo, sulla base di un concorso di idee, ai sensi dell'articolo 17, comma 13, della legge 11 febbraio 1994, n. 109. Per l'attuazione del presente comma è autorizzata la spesa di 10 milioni di euro per l'anno 2005. Al relativo onere si provvede a valere sulle risorse di cui all'articolo 5, comma 1, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.
L’articolo in commento prevede una procedura per l’esecuzione di progetti volti alla realizzazione di insediamenti turistici di qualità di interesse nazionale. Tali progetti possono prevedere anche la riqualificazione di insediamenti e impianti preesistenti. (comma 1).
A tal fine, il comma 2 prevede che ai canoni di concessione per gli insediamenti di cui al comma 1 non si applicano le disposizioni di cui al decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400. La misura del canone è infatti determinata dall'atto di concessione. Una quota degli introiti dei canoni è attribuita, nella misura del 20 per cento alla regione interessata e nella misura del 20 per cento al comune o ai comuni interessati, proporzionalmente al territorio compreso nell'insediamento. Il comma 2 prevede inoltre che per quanto non determinato dalla presente legge, si applicano le disposizioni di cui agli articoli 36 a 49 del regio decreto 30 marzo 1942, n. 327.
Il decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 440, convertito in legge con modificazioni dall’ dall'articolo 1, comma 1 della legge 4 dicembre 1993, n. 494 reca disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime.
Gli articoli 36 e seguenti del regio decreto 30 marzo 1942, n. 327 (codice della navigazione) contengono norme riguardanti l’uso del demanio marittimo.
Ai sensi del comma 3, gli insediamenti turistici di qualità sono caratterizzati dalla compatibilità ambientale, dalla capacità di tutela e di valorizzazione culturale del tessuto circostante, nonché dei beni presenti sul territorio, dall’elevato livello dei servizi erogati, dalla idoneità ad attrarre flussi turistici internazionali. E’ inoltre specificato che gli insediamenti turistici di cui all’articolo in commento devono assicurare un ampliamento della base occupazionale mediante l’assunzione di un numero di addetti non inferiore a 250 unità.
La realizzazione e la gestione degli insediamenti per il turismo di qualità è effettuata secondo la seguente procedura:
Possono presentare proposte ai sensi del comma 4 i “promotori”, cioè gli enti locali territorialmente competenti, anche associati, nonché i soggetti di cui all’articolo 10 della legge n. 109 del 1994 associati con gestori di servizi ed eventualmente consorziati e associati con enti finanziatori, nonché i soggetti dotati di idonei requisiti tecnici, organizzativi, finanziari, definiti da apposito regolamento da emanarsi entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge dal Ministro delle attività produttive di concerto Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio
L’articolo 10 della legge n. 109 del 1994 prevede al comma 1 che sono ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei lavori pubblici i seguenti soggetti:
a) le imprese individuali, anche artigiane, le società commerciali, le società cooperative, secondo le disposizioni di cui agli articoli 8 e 9;
b) i consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro costituiti a norma della legge 25 giugno 1909, n. 422, e successive modificazioni, e i consorzi tra imprese artigiane di cui alla legge 8 agosto 1985, n. 443, sulla base delle disposizioni di cui agli articoli 8 e 9 della stessa legge n. 109;
c) i consorzi stabili costituiti anche in forma di società consortili ai sensi dell'articolo 2615-ter del codice civile, tra imprese individuali, anche artigiane, società commerciali, società cooperative di produzione e lavoro, secondo le disposizioni di cui all'articolo 12 della presente legge;
d) le associazioni temporanee di concorrenti, costituite dai soggetti di cui alle lettere a), b) e c), i quali, prima della presentazione dell'offerta, abbiano conferito mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno di essi, qualificato capogruppo, il quale esprime l'offerta in nome e per conto proprio e dei mandanti;
e) i consorzi di concorrenti di cui all'articolo 2602 del codice civile, costituiti tra i soggetti di cui alle lettere a), b) e c) del presente comma anche in forma di società ai sensi dell'articolo 2615-ter del codice civile;
e-bis) i soggetti che abbiano stipulato il contratto di gruppo europeo di interesse economico (GEIE) ai sensi del decreto legislativo 23 luglio 1991, n. 240;
Ai sensi del comma 1-bis non possono partecipare alla medesima gara imprese che si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo di cui all'articolo 2359 del codice civile.
Con riferimento al comma 4 si osserva che sembrerebbe opportuno assegnare al regolamento il compito di individuare altresì le nozioni di “gestori di servizi” ed “enti finanziatori”.
Per quel che riguarda il contenuto delle proposte, il comma 5 prevede che le proposte sono redatte secondo modelli definiti dal regolamento di cui al comma 4. Esse devono inoltre comprendere lo studio di fattibilità ambientale, il piano finanziario degli investimenti, l'adeguamento del sistema complessivo dei servizi che interessano l'area, in particolare nel settore della mobilità, nonché la previsione di eventuali infrastrutture ed opere pubbliche connesse.
Il comma 5 prevede inoltre che la realizzazione di infrastrutture e servizi connessi può essere affidata allo stesso soggetto realizzatore dell'insediamento turistico. In tal caso si applicano le disposizioni di cui all'articolo 104, comma 4, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni.
L’articolo 104 comma 4 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modificazioni, prevede che per le concessioni relative alla costruzione e all'esercizio di opere pubbliche sono ammesse in deduzione quote di ammortamento finanziario differenziate da calcolare sull'investimento complessivo realizzato. Le quote di ammortamento sono determinate nei singoli casi con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze in rapporto proporzionale alle quote previste nel piano economico-finanziario della concessione, includendo nel costo ammortizzabile gli interessi passivi anche in deroga alle disposizioni del comma 1 dell'articolo 110.
Ai sensi del comma 1 la proposta va presentata alla regione interessata.
Come già accennato le proposte non devono essere necessariamente collegate ad una domanda di concessione demaniale. Di conseguenza, sono previste due procedure di valutazione delle proposte: una, quella normale, si applica nel caso in cui non vi siano domande di concessione demaniale o nel caso in cui vi sia una sola domanda di concessione demaniale, l’altra si applica nel caso in cui vi siano più domande di concessione demaniale.
La prima procedura prevede come fase iniziale che la regione, entro trenta giorni dalla presentazione delle proposte verifichi l'assenza di elementi ostativi e, esaminate le proposte stesse anche comparativamente, sentiti i promotori che ne facciano richiesta, provvede, entro i successivi sessanta giorni, ad individuare quelle che ritiene di pubblico interesse e a trasmetterne documentazione ai comuni e alle province competenti per territorio, al Ministero dell'economia e delle finanze, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministero delle attività produttive, al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, al Ministero per i beni e le attività culturali e a tutte le ulteriori amministrazioni competenti a rilasciare permessi ed autorizzazioni di ogni genere e tipo (comma 7).
Il comma 6 prevede che le proposte siano valutate dalla regione sotto il profilo della fattibilità e della qualità costruttiva, urbanistica ed ambientale, nonché della qualità progettuale, della funzionalità, del costo di gestione e di manutenzione, dei tempi di ultimazione dei lavori per la realizzazione degli impianti e delle infrastrutture e opere pubbliche connesse E’ inoltre previsto che sono comunque valutate in via prioritaria le proposte che prevedono il recupero e la bonifica di aree compromesse sotto il profilo ambientale e di impianti industriali dismessi.
La fase successiva prevede che le amministrazioni interessate rimettano le proprie valutazioni, motivate proposte di adeguamento o richieste di prescrizione alla regione entro il termine perentorio di trenta giorni dalla ricezione della documentazione relativa alla proposta. La mancata presentazione, entro il termine previsto, di osservazioni o richieste di prescrizione ha l'effetto di assenso alla proposta. La proposta quindi acquista carattere di esecutività nel caso in cui non vi siano osservazioni o richieste di prescrizione.
Qualora invece vi siano proposte o richieste, esse sono acquisite dalla regione che promuove entro i successivi quarantacinque giorni la stipula fra le amministrazioni interessate di un accordo di programma, ai sensi dell'articolo 34 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.(comma 8).
L’articolo 34 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 prevede che per la definizione e l'attuazione di opere, di interventi o di programmi di intervento che richiedono, per la loro completa realizzazione, l'azione integrata e coordinata di comuni, di province e regioni, di amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici, o comunque di due o più tra i soggetti predetti, il presidente della Regione o il presidente della provincia o il sindaco, in relazione alla competenza primaria o prevalente sull'opera o sugli interventi o sui programmi di intervento, promuove la conclusione di un accordo di programma, anche su richiesta di uno o più dei soggetti interessati, per assicurare il coordinamento delle azioni e per determinarne i tempi, le modalità, il finanziamento ed ogni altro connesso adempimento. L'accordo può prevedere altresì procedimenti di arbitrato, nonché interventi surrogatori di eventuali inadempienze dei soggetti partecipanti. Per verificare la possibilità di concordare l'accordo di programma, il presidente della Regione o il presidente della provincia o il sindaco convoca una conferenza tra i rappresentanti di tutte le amministrazioni interessate. L'accordo, consistente nel consenso unanime del presidente della Regione, del presidente della provincia, dei sindaci e delle altre amministrazioni interessate, è approvato con atto formale del presidente della Regione o del presidente della provincia o del sindaco ed è pubblicato nel bollettino ufficiale della Regione. L'accordo, qualora adottato con decreto del presidente della Regione, produce gli effetti della intesa di cui all'articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, determinando le eventuali e conseguenti variazioni degli strumenti urbanistici e sostituendo le concessioni edilizie, sempre che vi sia l'assenso del comune interessato. Allorché l'intervento o il programma di intervento comporti il concorso di due o più regioni finitime, la conclusione dell'accordo di programma è promossa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, a cui spetta convocare la conferenza di cui al comma 3. Il collegio di vigilanza di cui al comma 7 è in tal caso presieduto da un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei Ministri ed è composto dai rappresentanti di tutte le regioni che hanno partecipato all'accordo. La Presidenza del Consiglio dei Ministri esercita le funzioni attribuite dal comma 7 al commissario del Governo ed al prefetto.
A tal proposito si osserva che sarebbe opportuno chiarire se un’amministrazione, che ha ricevuto la proposta, ma non ha presentato osservazioni entro il termine previsto, deve essere coinvolta nella procedura per la conclusione dell’accordo di programma.
Nel caso in cui, invece, vi siano più proposte relative a una stessa concessione demaniale, la regione, ai sensi del comma 10, indice una gara da svolgere con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, ponendo a base di gara la proposta presentata dal promotore, secondo le procedure di cui all'articolo 37-quater della legge 11 febbraio 1994, n. 109.
Una volta aggiudicata la proposta, le amministrazioni interessate presentano le loro osservazioni entro 30 giorni dall’aggiudicazione. Nel caso in cui vi siano osservazioni, viene promossa la conclusione di un accordo di programma da parte degli stessi soggetti che la promuovono nella procedura principale. Nel caso in cui non vi siano osservazioni, la proposta acquista carattere di esecutività.
Si ricorda che la disciplina del project financing, introdotta nel nostro ordinamento nel 1998 (legge n. 415/1998, cd “Merloni-ter” che ha introdotto gli artt. 37-bis–37-quater della legge n. 109/1994), ha lo scopo di favorire il ricorso alla particolare forma di realizzazione di lavori pubblici denominata concessione di costruzione e gestione di lavori pubblici quale strumento attraverso cui convogliare capitali privati nella realizzazione di opere pubbliche[164].
Le disposizioni sulla finanza di progetto, in particolare, intervengono sulla fase dell’iniziativa del procedimento (prima dell’innovazione normativa introdotta dalla legge n. 415 era infatti solo l’amministrazione aggiudicatrice che dava avvio alla procedura che si concludeva con il contratto di concessione di costruzione e gestione).
Le nuove regole sul project financing hanno attribuito al privato – che nello schema del contratto di concessione di costruzione e gestione copre i costi di realizzazione dell’opera - anche una funzione decisiva di individuazione e di proposta di opere pubbliche (o di pubblica utilità) realizzabili attraverso il ricorso alla concessione di costruzione e gestione. L’articolo 37-bis disciplina, infatti, la figura del “promotore”, quale soggetto privato che presenta alle amministrazioni aggiudicatrici proposte relative alla realizzazione di lavori pubblici o di lavori di pubblica utilità (che comunque devono essere stati previamente inseriti nella programmazione triennale delle opere effettuata dalla stessa amministrazione). Le proposte devono contenere uno studio di inquadramento territoriale e ambientale, uno studio di fattibilità, un progetto preliminare, una bozza di convenzione, un piano economico-finanziario asseverato da un istituto di credito. Tale presentazione non determina, in capo alle amministrazioni, alcun obbligo di esame e valutazione, né (ovviamente) di realizzazione dell’opera. Le amministrazioni – tuttavia - possono adottare, nell'ambito dei propri programmi, le proposte di intervento e gli studi ritenuti di pubblico interesse. Per le proposte valutate di pubblico interessel’amministrazione procede all’avvio di una procedura di aggiudicazione in concessione di costruzione e gestione mediante gara (art. 37-quater), con il solo obbligo (nei confronti del promotore) di porre la proposta dello stesso a base di gara.
Il comma 9 prevede che la stipula dell'accordo di programma, sostituisce ogni altra autorizzazione, approvazione e parere comunque denominato e consente la realizzazione e l'esercizio di tutte le opere, prestazioni e attività previste nella proposta approvata ed ha l’effetto di determinare le eventuali e conseguenti variazioni degli strumenti urbanistici e di sostituire le concessioni edilizie, nel rispetto delle condizioni di cui all’articolo 34 del decreto legislativo n. 267 del 2000. Viene comunque fatte salve dal comma 9 le disposizioni di cui al codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
L’articolo in commento prevede inoltre, al comma 11, che per promuovere la realizzazione degli insediamenti in questione, i comuni interessati possono prevedere l’applicazione di regimi agevolati ai fini del contributo di cui all’articolo 16 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al DPR 6 giugno 2001, n. 380, nonché l’esenzione, ovvero l’applicazione di riduzioni o detrazioni dall’imposta comunale sugli immobili di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504.
L’articolo 16 del D.P.R . 6 giugno 2001, n. 380 prevede al comma 1 che il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo. Il comma 2 prevede che la quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune all'atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell'interessato, può essere rateizzata. A scomputo totale o parziale della quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, nel rispetto dell'articolo 2, comma 5, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del comune. Il comma 3 prevede che la quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all'atto del rilascio, è corrisposta in corso d'opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione della costruzione. Il comma 4 prevede che l'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni in relazione:
a) all'ampiezza ed all'andamento demografico dei comuni; b) alle caratteristiche geografiche dei comuni; c) alle destinazioni di zona previste negli strumenti urbanistici vigenti; d) ai limiti e rapporti minimi inderogabili fissati in applicazione dall'articolo 41-quinquies, penultimo e ultimo comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modifiche e integrazioni, nonché delle leggi regionali. Il comma 5 prevede che nel caso di mancata definizione delle tabelle parametriche da parte della regione e fino alla definizione delle tabelle stesse, i comuni provvedono, in via provvisoria, con deliberazione del consiglio comunale. Il comma 6 prevede che ogni cinque anni i comuni provvedono ad aggiornare gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, in conformità alle relative disposizioni regionali, in relazione ai riscontri e prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale.
I commi 7, 7-bis e 8 stabiliscono quali sono gli oneri di urbanizzazione. Il comma 9 prevede che il costo di costruzione per i nuovi edifici è determinato periodicamente dalle regioni con riferimento ai costi massimi ammissibili per l'edilizia agevolata, definiti dalle stesse regioni a norma della lettera g) del primo comma dell'articolo 4 della legge 5 agosto 1978, n. 457. Con lo stesso provvedimento le regioni identificano classi di edifici con caratteristiche superiori a quelle considerate nelle vigenti disposizioni di legge per l'edilizia agevolata, per le quali sono determinate maggiorazioni del detto costo di costruzione in misura non superiore al 50 per cento. Nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali, ovvero in eventuale assenza di tali determinazioni, il costo di costruzione è adeguato annualmente, ed autonomamente, in ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT). Il contributo afferente al permesso di costruire comprende una quota di detto costo, variabile dal 5 per cento al 20 per cento, che viene determinata dalle regioni in funzione delle caratteristiche e delle tipologie delle costruzioni e della loro destinazione ed ubicazione. Il comma 10 prevede che nel caso di interventi su edifici esistenti il costo di costruzione è determinato in relazione al costo degli interventi stessi, così come individuati dal comune in base ai progetti presentati per ottenere il permesso di costruire. Al fine di incentivare il recupero del patrimonio edilizio esistente, per gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), i comuni hanno comunque la facoltà di deliberare che i costi di costruzione ad essi relativi non superino i valori determinati per le nuove costruzioni ai sensi del comma 6
L’articolo 6 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, che istituisce l’ICI, prevede che l'aliquota è stabilita dal comune, con deliberazione da adottare entro il 31 ottobre di ogni anno, con effetto per l'anno successivo. Se la delibera non è adottata entro tale termine, si applica l'aliquota del 4 per mille, ferma restando la disposizione di cui all'articolo 84 del decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77, come modificato dal decreto legislativo 11 giugno 1996, n. 336. L'aliquota deve essere deliberata in misura non inferiore al 4 per mille, né superiore al 7 per mille e può essere diversificata entro tale limite, con riferimento ai casi di immobili diversi dalle abitazioni, o posseduti in aggiunta all'abitazione principale, o di alloggi non locati; l'aliquota può essere agevolata in rapporto alle diverse tipologie degli enti senza scopi di lucro . L'imposta è determinata applicando alla base imponibile l'aliquota vigente nel comune di cui all'articolo 4. Restano inoltre ferme le disposizioni dell'articolo 4, comma 1, del decreto-legge 8 agosto 1996, n. 437, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 ottobre 1996, n. 556.
L’articolo 7 dello stesso decreto legislativo disciplina le ipotesi di esenzione dall’imposta. L’articolo 8 disciplina le riduzioni d’imposta e le detrazioni, prevedendo, per talune di esse, l’esercizio di un potere discrezionale da parte dei comuni.
La disposizione qui illustrata interviene sulla disciplina di diritti o tributi la cui regolazione è contenuta unitariamente in specifici atti normativi (testo unico delle disposizioni in materia edilizia e decreto legislativo n. 504 del 1992). Per mantenere l’unitarietà della materia, sarebbe opportuno collocare le norme pertinenti nei medesimi corpora normativi mediante apposite novelle.
Infine, il comma 12 prevede che con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono individuati tre siti di preminente interesse paesaggistico in cui sono ubicati insediamenti industriali dimessi, nei quali effettuare un intervento integrato di recupero e bonifica ambientale e di realizzazione di un insediamento turistico di qualità, secondo le modalità del presente articolo, sulla base di un concorso di idee, ai sensi dell'articolo 17, comma 13, della legge 11 febbraio 1994, n. 109. Per l'attuazione di tale comma è autorizzata la spesa di 10 milioni di euro per l'anno 2005. Al relativo onere si provvede a valere sulle risorse di cui all'articolo 5, comma 1, del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.
Sembra quindi che si applichi la seconda delle procedure previste dall’articolo in commento, cioè quella prevista per il caso di più proposte relative alla stessa concessione di beni demaniali.
Gli articoli 57 e 58 del D.P.R 21 dicembre 1999, n. 554 prevedono la disciplina del concorso di idee
Il comma 1 dell’articolo 5 del decreto-legge n. 35 autorizza il CIPE a finanziare, in via prioritaria, gli interventi inclusi nel programma per le infrastrutture strategiche, di cui alla legge n. 443/2001, al fine di accelerare la spesa in conto capitale a valere sugli stanziamenti dei fondi per le aree sottoutilizzate, ai sensi all’articolo 60, comma 1, della legge n. 289/2002 (legge finanziaria per il 2003).nonché gli interventi previsti dall'articolo 86, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289
Il finanziamento in via prioritaria deve pertanto rispondere a finalità di accelerazione della spesa in conto capitale, contemplate dal citato articolo 60, comma 1, come modificato dall’articolo 4, comma 130, della legge n. 350/2003 (legge finanziaria per il 2004).
Il comma 1 citato dispone altresì che gli interventi inclusi nel programma per le infrastrutture strategiche ai quali è riconosciuta la priorità nel finanziamento dovranno essere selezionati secondo i principi adottati dalla delibera CIPE n. 21 del 29 settembre 2004.
Il comma 1 citato prevede altresì che per il finanziamento di tutti gli interventi citati nel possano essere utilizzate anche le risorse della legge n. 488/1992, che si rendono disponibili per effetto della revisione dei meccanismi di attribuzione e concessione delle agevolazioni alle attività produttive, di cui alla legge n. 488, apportate dall’articolo 8 del decreto-legge in questione.
Il comma 6 dell’articolo 8 del decreto-legge n. 35 quantifica in complessivi 750 milioni di euro, di cui 225 milioni nel 2005, 355 milioni nel 2006 e 170 milioni nel 2007, le risorse derivanti dalla riforma degli incentivi alle imprese, che vengono destinate alla copertura degli interventi di cui all'articolo 5, comma 1 del decreto stesso.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
La Commissione europea ha presentato il 21 novembre 2003 una comunicazione relativa agli orientamenti di base per la sostenibilità del turismo europeo (COM (2003)716).
La Commissione ritiene che per assicurare la sostenibilità del turismo europeo – ossia di un turismo che pur raggiungendo obiettivi di economici e sociali non comporti il degrado dell’ambiente e l’impoverimento della cultura locale - occorra rafforzare il quadro d’azione esistente in materia a livello comunitario. Nel contesto internazionale, l’approccio dell’UE dovrebbe essere quello di continuare la politica volta a promuovere la sostenibilità del turismo come una problematica connessa al commercio e all’assistenza ai paesi in via di sviluppo (PVS). Si dovrà inoltre perseguire il rafforzamento della cooperazione a favore del turismo sostenibile con gli organismi dell’ONU e di altre organizzazioni internazionali. La Commissione propone, inoltre, di potenziare la cooperazione con l’Organizzazione mondiale del turismo (OMT) e tra tutte le parti interessate del settore turistico in Europa ed intende istituire un gruppo per la sostenibilità del turismo composto dai rappresentanti delle varie categorie interessate.
Nell’autunno 2005, la Commissione intende presentare al Consiglio e alle altre istituzioni comunitarie una relazione sullo stato di attuazione delle iniziative previste al fine di poter preparare una “Agenda 21 per il turismo europeo”[165] non oltre il 2007.
Il Consiglio competitività ha esaminato la comunicazione della Commissione europea nella riunione del 18 aprile 2005, adottando conclusioni sulla sostenibilità del turismo europeo nelle quali, invita:
§ gli Stati membri a partecipare all'attuazione di un approccio cooperativo tra gli operatori turistici al fine di contribuire ai lavori del gruppo per la sostenibilità del turismo, e ad incoraggiare gli organismi esistenti specializzati nelle questioni relative al turismo sostenibile per creare una rete di contatti a livello europeo per facilitare lo scambio di informazioni tra destinazioni turistiche;
§ la Commissione europea ad informare gli Stati membri sulle attività del gruppo per la sostenibilità del turismo nella prima metà del 2006, e trasmettere entro il 2007 al Consiglio una comunicazione su un'Agenda europea 21 per il turismo, recante raccomandazioni di azioni concrete da parte degli operatori pubblici e privati.
Il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, prevede disposizioni specifiche relative al turismo.
L’articolo I-17 inserisce il turismo tra i settori per i quali l'Unione ha competenza per svolgere azioni di sostegno, di coordinamento o di complemento rispetto alle azioni condotte dagli Stati membri, senza tuttavia potersi sostituire alla loro competenza.
L’articolo III-281 dispone che l'Unione completi l'azione degli Stati membri nel settore del turismo, in particolare promuovendo la competitività delle imprese dell'Unione in tale settore.
L’articolo prevede che una legge o legge quadro europea stabilisca misure specifiche destinate a completare le azioni svolte negli Stati membri al fine di realizzare tali obiettivi, escludendo però qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri.
1. Il comma 1 dell'articolo 53 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, è sostituito dal seguente:
«1. Salve specifiche previsioni di legge o di contratto collettivo stipulato da associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, durante il rapporto di apprendistato la categoria di inquadramento del lavoratore non può essere inferiore, per più di due livelli, alla categoria spettante, in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al conseguimento delle quali è finalizzato il contratto».
Nel corso dell’esame del provvedimento da parte delle Commissioni Riunite I e V è stato approvato un emendamento che sostituisce il comma 1 dell’articolo 53 del D.Lgs. n. 276/2003 in materia di inquadramento dei lavoratori nel contratto di apprendistato.
Il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, emanato in attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla Legge 30 del 2003[166], ed entrato in vigore il 24 ottobre 2003, ha delineato la nuova organizzazione del mercato del lavoro e la relativa disciplina legale, con lo scopo di realizzare un sistema efficace e coerente di strumenti volti a garantire trasparenza ed efficienza al mercato del lavoro ed a migliorare le capacità di inserimento professionale dei disoccupati e di quanti sono in cerca di prima occupazione, con particolare riguardo alle fasce più deboli.
Per quanto concerne in particolare la formazione professionale, il Titolo VI (articoli 47-60) del citato Decreto 276 ha provveduto a disciplinare sia il contratto di apprendistato sia quello di inserimento, che sostituisce il contratto di formazione e lavoro.
Vengono così introdotte tre differenti tipologie di contratto di apprendistato (articolo 47)[167]:
a) il contratto di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione (art. 48);
b) il contratto di apprendistato professionalizzante (art. 49), volto a garantire il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e l’acquisizione di competenze di base, trasversali e tecnico-professionali, indirizzato a soggetti di età compresa tra diciotto e ventinove anni[168]. La determinazione della durata del contratto di apprendistato professionalizzante, che in ogni caso non può essere inferiore a due anni e superiore a sei, viene rimessa ai contratti collettivi, mentre spetta alle regioni la regolamentazione del contratto, d’intesa con le organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano regionale, nel rispetto di principi e criteri direttivi per la maggior parte coincidenti con quelli di cui al contratto di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione. Le differenze rispetto a quest’ultimo consistono nel mancato riferimento alla qualifica professionale e per la previsione di un monte ore di formazione di almeno 120 ore per anno;
c) apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione (art. 50), rivolto a soggetti di età compresa tra 18 e 29 anni; il limite di età minimo si abbassa a 17 anni per i soggetti in possesso di una qualifica professionale. La disciplina e la durata del contratto è rimessa alle regioni, in accordo con le associazioni territoriali dei datori di lavoro, le università e le altre istituzioni formative. La qualifica professionale conseguita attraverso questo tipo di contratto costituisce credito formativo per il proseguimento nei percorsi di istruzione e istruzione e formazione professionale.
L’articolo 53 del citato Decreto 276 specifica poi, nel testo attualmente vigente, che la categoria di inquadramento dei soggetti interessati da tutti i contratti di apprendistato sopra descritti non può essere inferiore, per più di due livelli, alla categoria spettante – in base al contratto collettivo nazionale di lavoro - ai lavoratori che svolgono mansioni o funzioni con qualifiche corrispondenti a quelle al cui conseguimento è finalizzato il contratto.
Con la modifica introdotta dal comma in esame all’articolo 53 viene premesso un periodo che fa salve le specifiche previsioni di legge e di contratto collettivo (dovrebbe intendersi: nazionale o territoriale) sottoscritto dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale. Tali specifiche previsioni potranno quindi permettere l’ inquadramento degli apprendisti in una categoria inferiore per più di due livelli alla categoria spettante secondo il CCNL.
Si ricorda che l’art. 1 del D.L. n. 35/2005, convertito, con modificazioni dalla legge n. 80/2005, ha previsto che le disposizioni di cui all’art. 59, comma 1, del D.Lgs. n. 276/2003 - in materia di sottoinquadramento nel contratto di inserimento - non valgono in caso di assunzione di donne residenti in zone con tasso di occupazione o di disoccupazione femminile che si discosti da quello maschile in maniera rilevante, salvo non esista diversa previsione da parte dei contratti collettivi nazionali o territoriali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Si osserva che sarebbe opportuno un coordinamento con quanto previsto dall’articolo 59, comma 1, del decreto legislativo n. 276/2003, in materia di sottoinquadramento nel rapporto di inserimento. In particolare, come sopra detto, anche nel caso di divieto di sottoinquadramento per il contratto di inserimento si attribuisce alla contrattazione collettiva una possibilità di deroga. Tuttavia all’articolo 59, comma 1, diversamente rispetto all’articolo 53, comma 1 (così come modificato dall’articolo in esame) si specifica che può trattarsi, oltre che di contratti collettivi nazionali, anche di contratti collettivi territoriali; inoltre, specularmente, l’articolo 59, comma 1, attribuisce la possibilità di deroga solamente ai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni più rappresentative sul piano nazionale, mentre la disposizione in esame si riferisce anche alle associazioni più rappresentative sul piano territoriale. Si ritiene più corretta la formulazione del vigente articolo 59, comma 1, poiché, se da una parte appare improprio fare riferimento ad una maggiore rappresentatività sindacale a livello territoriale, ben potrebbe la contrattazione nazionale delegare a quella territoriale la disciplina in questione.
Articolo 23, comma 2
((Modifiche all’art. 70 del D.Lgs. n.
276/2003 in materia di lavoro accessorio)
2. All'articolo 70, comma 1, lettera e-bis), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, come modificato dall'articolo 1-bis, comma 1, lettera d), del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, dopo la parola: «limitatamente» sono inserite le seguenti: «all'artigianato,».
La disposizione in esame estende l’istituto del lavoro accessorio, previsto dall’articolo 70 del D.Lgs. n. 276/2003, alle imprese familiari che esercitano l’artigianato.
Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative di natura meramente occasionale rese da soggetti a rischio di esclusione sociale o non ancora entrati nel mercato del lavoro (disoccupati da oltre un anno; le casalinghe, studenti e pensionati; disabili e soggetti in comunità di recupero; lavoratori extracomunitari, regolarmente soggiornanti in Italia, nei sei mesi successivi alla perdita del lavoro) nell'ambito di attività specificamente determinate, caratterizzate dallo svolgimento in ambito prevalentemente domestico o dalla connessione ad eventi di rilievo culturale o a lavori di emergenza o solidarietà, indicate al comma 1 dell’art. 70 del Decreto 276.
Tali attività lavorative, anche se svolte a favore di più beneficiari, configurano rapporti di natura meramente occasionale e accessoria, intendendosi per tali le attività che – con riferimento al medesimo committente - non danno complessivamente luogo a compensi superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare art. 70, comma 2). Le imprese familiari possono poi utilizzare prestazioni di lavoro accessorio per un importo complessivo non superiore a 10.000 euro nel corso di ciascun anno fiscale (art. 70, comma 2-bis)[169]
L’elemento innovativo della disciplina del lavoro accessorio è costituito dalle modalità di assolvimento dell’obbligo retributivo e contributivo connesso alle prestazioni, che avviene attraverso l’acquisto presso le rivendite autorizzate, da parte dei datori di lavoro, di uno o più carnet di buoni per prestazioni di lavoro accessorio da consegnare al prestatore di lavoro accessorio. Quest’ultimo riceve il proprio compenso all’atto della restituzione dei buoni al concessionario del servizio, da individuarsi con decreto ministeriale. Il compenso è esente da qualsiasi imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato del prestatore di lavoro accessorio.
Il concessionario, oltre provvedere al pagamento delle spettanze alla persona che presenta i buoni, effettua il versamento dei contributi per fini previdenziali all'INPS e per fini assicurativi contro gli infortuni all'INAIL.
Si ricorda che l’art. 1-bis, comma 1, lettera d), della legge n. 80/2005, di conversione del D.L. n. 35/2005, ha inserito una nuova lettera e-bis) al comma 1 dell’articolo 70 del citato Decreto 276, comprendendo così nel novero delle prestazioni di lavoro accessorio, le attività lavorative di natura occasionale rese da soggetti svantaggiati o non ancora entrati nel mercato del lavoro nell’ambito dell’impresa familiare di cui all’art. 230-bis del codice civile, operante nel settore del commercio, del turismo o dei servizi.
Con la disposizione in esame si provvede ad inserire anche l’artigianato tra i settori nei quali, nell’ambito dell’impresa familiare, possono essere effettuate prestazioni di lavoro accessorio.
Si ricorda che l'istituto dell'impresa familiare, disciplinato dall'art. 230-bis c.c., è stato introdotto nel nostro ordinamento dall'articolo 89 della legge di riforma del diritto di famiglia (L. 19 maggio 1975, n. 151), allo scopo di tutelare il lavoro familiare, che, in passato, si riteneva prestato a titolo gratuito e in adempimento di un dovere di solidarietà sociale.
Salvo l'ipotesi in cui sia configurabile un diverso rapporto, al familiare che presta in modo continuativo la sua attività lavorativa nella famiglia o nell'impresa familiare sono attribuiti specifici diritti e poteri (quali, tra gli altri, il diritto al mantenimento, la partecipazione agli utili, il diritto agli incrementi di valore dell’azienda, il potere di concorrere alle decisioni relative all’impiego degli utili).
Ai sensi del terzo comma dell’articolo 230-bis del c.c., è impresa familiare quella nella quale collaborano il coniuge dell'imprenditore, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo.
Articolo 24
(Avvio dei fondi di previdenza
complementare dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche)
1. Le risorse di cui all'articolo 74, comma 1, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, limitatamente allo stanziamento relativo all'anno 2005, possono essere utilizzate anche ai fini del finanziamento delle spese di avvio dei Fondi di previdenza complementare dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche.
L’articolo 24 in esame reca disposizioni volte a favorire l’avvio della previdenza complementare per i dipendenti pubblici destinando, limitatamente al 2005, al finanziamento delle spese di avvio dei Fondi di previdenza le risorse finanziarie previste dall’art. 74, comma 1, della legge n. 388/2000 (legge finanziaria 2001).
Si ricorda che il comma 1 dell’art. 74 della legge n. 388/2000 ha definito il quadro delle risorse destinate alla copertura degli oneri gravanti sui datori di lavoro pubblici per la costituzione dei fondi di previdenza complementare per i dipendenti pubblici. Tali risorse (la cui concreta utilizzazione appare peraltro condizionata alla destinazione delle corrispondenti risorse da parte dei lavoratori, sulla base delle intese contrattuali) sono costituite per gli anni 2001, 2002 e 2003, da 100 miliardi per ciascuno degli anni.
Per gli anni successivi al 2003 si provvede con le risorse annualmente determinate mediante lo stanziamento iscritto nella tabella C della legge finanziaria.
Ai sensi del comma 2 del citato articolo 74 le risorse (comprese quelle stanziate per il 1999 ed il 2000 con l'art. 26, comma 18, della legge n. 448/1998) sono trasferite all'INPDAP, per essere successivamente versate ai fondi gestori di previdenza complementare con le modalità ed i criteri definiti in un DPCM da emanarsi successivamente su proposta del Ministro per la funzione pubblica di concerto con il Ministro del tesoro.
La Tabella C della legge finanziaria 2005 (legge n. 311/2004) prevede per l’anno 2005 uno stanziamento di 144,944 milioni di euro.
La disposizione recata dall’articolo in esame è conforme a quanto previsto dall’art. 1, comma 42, della legge 23 agosto 2004, n. 243[170], di modifica del sistema previdenziale, il quale prevede che i decreti legislativi di attuazione della medesima legge, dalla cui attuazione derivino nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica – quindi anche quelli relativi all’avvio della previdenza complementare per i pubblici dipendenti - possano essere emanati solo successivamente all’entrata in vigore di atti di carattere legislativo che provvedano a stanziare le risorse finanziarie necessarie.
Si segnala che l’art. 2 della legge 25 giugno 2005, n. 109, di conversione del D.L. n. 63/2005 prevede l’emanazione di uno o più decreti legislativi contenenti testi unici concernenti sia il riordino del sistema della previdenza obbligatoria sia del sistema della previdenza complementare.
1. Al testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 10, comma 1, dopo la lettera l-quater) è aggiunta la seguente:
«l-quinquies) le erogazioni liberali in denaro a favore dello Stato, delle regioni, degli enti locali territoriali, di enti o istituzioni pubbliche, di comitati organizzatori appositamente istituiti con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, di fondazioni e associazioni legalmente riconosciute senza scopo di lucro, per il perseguimento dei loro scopi istituzionali concernenti lo svolgimento o la promozione di attività culturali, nonché per la realizzazione di interventi specifici nei settori dei beni culturali e dello spettacolo. Qualora siano fatte a favore dello Stato, delle regioni, degli enti locali territoriali, di enti o istituzioni pubbliche, di comitati organizzatori oppure fondazioni e associazioni, costituite o partecipate in misura prevalente dal Ministero per i beni e le attività culturali, le erogazioni liberali possono assumere la forma dell' accollo di debito, con le modalità stabilite con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentito il Ministro dell'economia e delle finanze. Negli altri casi il Ministro per i beni e le attività culturali individua a cadenza biennale, con proprio decreto, le categorie dei soggetti che possono beneficiare delle erogazioni, sulla base dei criteri stabiliti previo parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281; stabilisce i tempi necessari affinché le erogazioni siano utilizzate per gli scopi previsti e vigila sull'impiego dei fondi erogati. Detti termini possono, per causa non imputabile al beneficiario, essere prorogati per una sola volta. Le erogazioni liberali non integralmente utilizzate nei termini assegnati affluiscono all'entrata del bilancio dello Stato. Il Ministero per i beni e le attività culturali certifica, a richiesta del soggetto erogante e sulla base delle informazioni acquisite al riguardo dal beneficiario, l'ammontare dell' erogazione e la sua utilizzazione; entro il 31 marzo dell'anno successivo a quello di riferimento comunica al Ministero dell' economia e delle finanze le informazioni acquisite in merito alle erogazioni effettuate entro il 31 dicembre dell'anno precedente»;
b) all'articolo 100, comma 1, dopo le parole: «per specifiche finalità di», è inserita la seguente: «cultura»;
c) all'articolo 100, comma 2, lettera a), dopo le parole: «perseguono esclusivamente», sono inserite le seguenti: «o prevalentemente»;
d) all'articolo 100, comma 2, le lettere f) e g) sono abrogate;
e) all'articolo 100, comma 2, la lettera m) è sostituita dalla seguente:
«m) le erogazioni liberali in denaro a favore dello Stato, delle regioni, degli enti locali territoriali, di enti o istituzioni pubbliche, di comitati organizzatori appositamente istituiti con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, di fondazioni e associazioni legalmente riconosciute senza scopo di lucro, per il perseguimento dei loro scopi istituzionali concernenti lo svolgimento o la promozione di attività culturali, nonché per la realizzazione di interventi specifici nei settori dei beni culturali e dello spettacolo. Qualora siano fatte a favore dello Stato, delle regioni, degli enti locali territoriali, di enti o istituzioni pubbliche, di comitati organizzatori oppure di fondazioni e associazioni, costituite o partecipate in misura prevalente dal Ministero per i beni e le attività culturali, le erogazioni liberali possono assumere la forma dell'accollo di debito, con le modalità stabilite con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentito il Ministro dell'economia e delle finanze. Negli altri casi, il Ministro per i beni e le attività culturali individua a cadenza biennale, con proprio decreto, le categorie dei soggetti che possono beneficiare delle erogazioni, sulla base dei criteri stabiliti previo parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281; stabilisce i tempi necessari affinché le erogazioni siano utilizzate per gli scopi previsti e vigila sull'impiego dei fondi erogati. Detti termini possono, per causa non imputabile al beneficiario, essere prorogati per una sola volta. Le erogazioni liberali non integralmente utilizzate nei termini assegnati affluiscono all'entrata del bilancio dello Stato. Il Ministero per i beni e le attività culturali certifica, a richiesta del soggetto erogante e sulla base delle informazioni acquisite al riguardo dal beneficiario, l'ammontare dell' erogazione e la sua utilizzazione; entro il 31 marzo dell'anno successivo a quello di riferimento comunica al Ministero dell' economia e delle finanze le informazioni acquisite in merito alle erogazioni effettuate entro il 31 dicembre dell'anno precedente»;
f) all'articolo 146, comma 1, le parole: «gli oneri indicati alle lettere a), f) e g)» sono sostituite dalle seguenti: «gli oneri indicati alle lettere a), f), g) e l-quinquies)».
L’articolo 25 ridefinisce il trattamento fiscale delle erogazioni liberali per lo svolgimento o la promozione di attività culturali e per la realizzazione di interventi specifici nei settori dei beni culturali e dello spettacolo. La norma si applica sia alle erogazioni effettuate da persone fisiche, sia a quelle effettuate da soggetti all’imposta sul reddito delle società (IRES).
La lettera a) del comma 1 novella l’articolo 10 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, recante il Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), relativo agli oneri deducibili dal reddito complessivo delle persone fisiche, inserendo un’ulteriore ipotesi di deducibilità relativa alle erogazioni liberali per attività culturali e per lo spettacolo.
Si ricorda che il riconoscimento della deducibilità di determinati oneri ha la funzione di ridurre il carico fiscale gravante sul contribuente. Gli oneri deducibili, di cui all’articolo 10 del TUIR, sono rappresentati da fattispecie, non aventi un denominatore comune (vi sono infatti ricompresi, fra l’altro, alcune tipologie di spese mediche, i contributi previdenziali e assistenziali, gli assegni di mantenimento), le quali possono essere portate in diminuzione dal reddito complessivo del soggetto, operando una riduzione della base imponibile, sulla quale si applica l’imposta.
La nuova lettera l-quinquies) dell’articolo 10, comma 1, del TUIR, introdotta dalla lettera a) in esame, consente la deducibilità delle erogazioni liberali in denaro effettuate in favore dei seguenti soggetti:
§ Stato;
§ regioni;
§ enti locali territoriali;
§ enti o istituzioni pubbliche;
§ comitati organizzatori appositamente istituiti con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali;
§ fondazioni e associazioni legalmente riconosciute senza scopo di lucro.
Le erogazioni devono inoltre essere dirette alle seguenti finalità:
§ perseguimento degli scopi istituzionali dei soggetti beneficiari concernenti lo svolgimento o la promozione di attività culturali;
§ realizzazione di interventi specifici nei settori dei beni culturali e dello spettacolo.
Con cadenza biennale, il Ministro per i beni e le attività culturali, con proprio decreto, individua, sulla base dei criteri stabiliti previo parere della Conferenza Stato - città ed autonomie locali, di cui all’articolo 8 del D.Lgs. n. 281 del 1997, le categorie di fondazioni e associazioni, non costituite o non partecipate in misura prevalente dal Ministero stesso, che possono beneficiare delle erogazioni, nonché i tempi entro i quali le erogazioni devono essere utilizzate per gli scopi previsti. Tali termini possono essere prorogati una sola volta, per causa non imputabile al beneficiario. Le erogazioni liberali non interamente utilizzate nei termini assegnati affluiscono all’entrata del bilancio dello Stato.
Qualora le erogazioni liberali siano effettuate in favore dello Stato, delle regioni, degli enti locali territoriali, di enti o istituzioni pubbliche, di comitati organizzatori o di fondazioni e associazioni, costituite o partecipate in misura prevalente dal Ministero per i beni e le attività culturali, possono assumere la forma dell’accollo di debito. Le modalità di utilizzazione di questo strumento saranno definite con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentito il Ministro dell’economia e delle finanze.
Ai sensi dell’articolo 1273 del codice civile, l’accollo è una convenzione tra il debitore e un terzo, con la quale il terzo assume a suo carico l’obbligo nei confronti del creditore. Tale convenzione è resa irrevocabile dall’eventuale adesione del creditore. Quest’ultima comporta la liberazione del debitore originario solo se ciò costituisce condizione espressa della stipulazione o se il creditore dichiara espressamente di liberarlo. Qualora ciò non avvenga, il debitore rimane obbligato in solido con il terzo.
La relazione illustrativa al testo originario presentato dal Governo (articolo 16 dell’A.C. 5736) osserva che l’introduzione dell’accollo quale sistema di erogazione di liberalità consente di indirizzare puntualmente l’erogazione a favore del bene o dell’attività prescelta e di rapportare con esattezza lo sforzo economico del soggetto all’entità del fabbisogno necessario.
La lettera l-quinquies) prevede infine che, su richiesta da parte del soggetto erogante, il Ministero per i beni e le attività culturali, sulla base delle informazioni acquisite al riguardo dal beneficiario, certifichi l’ammontare dell’erogazione e la sua utilizzazione. Inoltre, entro il 31 marzo dell’anno successivo a quello di riferimento, il Ministero per i beni e le attività culturali comunica al Ministero dell’economia e delle finanze le informazioni acquisite in merito alle erogazioni effettuate entro il 31 dicembre dell’anno precedente.
La disciplina contenuta nella sopra illustrata lettera l-quinquies), relativa all’imposta sul reddito delle persone fisiche, è identica a quella contenuta nella lettera m) dell’articolo 100, comma 2, del TUIR, come modificata dalla successiva lettera e) dell’articolo 25, comma 1, in esame, relativa all’imposta sul reddito delle società.
Si segnala che l’articolo 15, comma 1, del TUIR già prevede, sempre per le persone fisiche, la detraibilità dall’imposta lorda, nella misura del 19 per cento, di oneri per erogazioni liberali in favore di soggetti e per finalità parzialmente coincidenti con quelli per i quali la nuova lettera l-quinquies) prevede la deducibilità.
In particolare la lettera h) dell’articolo 15, comma 1, si applica alle erogazioni liberali in denaro a favore dello Stato, delle regioni, degli enti locali territoriali, di enti o istituzioni pubbliche, di comitati organizzatori appositamente istituiti con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, di fondazioni e associazioni legalmente riconosciute senza scopo di lucro, che svolgono o promuovono attività di studio, di ricerca e di documentazione di rilevante valore culturale e artistico o che organizzano e realizzano attività culturali, effettuate in base ad apposita convenzione, per l'acquisto, la manutenzione, la protezione o il restauro dei beni culturali, ivi comprese le erogazioni effettuate per l'organizzazione in Italia e all'estero di mostre ed esposizioni di rilevante interesse scientifico-culturale delle cose anzidette, e per gli studi e le ricerche eventualmente a tal fine necessari, nonché per ogni altra manifestazione di rilevante interesse scientifico-culturale anche ai fini didattico-promozionali, ivi compresi gli studi, le ricerche, la documentazione e la catalogazione, e le pubblicazioni relative ai beni culturali.
La successiva lettera i) dello stesso articolo si applica invece alle erogazioni liberali in denaro a favore di enti o istituzioni pubbliche, fondazioni e associazioni legalmente riconosciute che, senza scopo di lucro, svolgono esclusivamente attività nello spettacolo, effettuate per la realizzazione di nuove strutture, per il restauro ed il potenziamento delle strutture esistenti, nonché per la produzione nei vari settori dello spettacolo.
Per prevenire dubbi interpretativi, sarebbe, quindi, opportuno prevedere espressamente l’alternatività dei due benefici relativamente alle fattispecie cui risultino applicabili entrambi.
Le lettere da b) a e)novellano l’articolo 100 del TUIR, relativo agli oneri deducibili dal reddito dei seguenti soggetti:
§ persone fisiche titolari di reddito di impresa (art. 56 del TUIR);
§ società per azioni e in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, società cooperative e di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato (art. 73, co. 1, lett. a), del TUIR);
§ enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali (art. 73, co. 1, lett. b), del TUIR);
§ enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali, limitatamente alla determinazione del reddito di impresa eventualmente posseduto (art. 73, co. 1, lett. c), del TUIR)[171];
§ società ed enti commerciali, non residenti nel territorio dello Stato, ma con stabile organizzazione nel suddetto territorio (art. 73, co. 1, lett. d), e art. 152, co. 1, del TUIR);
§ società ed enti commerciali, non residenti nel territorio dello Stato e senza stabile organizzazione nel suddetto territorio, limitatamente alla determinazione del reddito di impresa posseduto (art. 73, co. 1, lett. d), e art. 152, co. 2, del TUIR);
§ società ed enti non commerciali, non residenti nel territorio dello Stato, limitatamente alla determinazione del reddito di impresa eventualmente posseduto (art. 73, co. 1, lett. d), e art. 154, co. 1, del TUIR).
La lettera b) novella il comma 1 dell’articolo 100 del TUIR. Tale comma prevede che le spese relative a opere e servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti, o da specifiche categorie, sostenute volontariamente e volte alle finalità espressamente indicate dalla norma stessa, sono deducibili per un ammontare complessivo non superiore al 5 per mille dell'ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi del soggetto IRES. Attualmente le spese in esame sono deducibili se volte alle seguenti finalità:
- educazione;
- istruzione;
- ricreazione;
- assistenza sociale e sanitaria;
- culto.
La lettera b) in esame aggiunge alle sopra indicate finalità anche quelle di cultura, ferme restando le altre condizioni alle quali è subordinata la deducibilità delle spese.
La lettera c) novella la lettera a) del comma 2 del citato articolo 100 del TUIR. Tale lettera a) prevede attualmente la deducibilità, tra le altre, delle erogazioni liberali in favore di persone giuridiche che perseguono esclusivamente finalità comprese fra quelle indicate nel comma 1 dello stesso articolo 100 (per l’elenco delle quali si rinvia al commento alla precedente lettera b) del presente articolo 25).
La modifica proposta dalla lettera c) in esame estende la deducibilità anche alle erogazioni liberali in favore di persone giuridiche che perseguono prevalentemente tali finalità.
La lettera d) sopprime le lettere f) e g) del comma 2 del citato articolo 100 del TUIR, mentre la successiva lettera e) sostituisce la lettera m) del comma 2 dello stesso articolo 100.
Le ipotesi di deducibilità contenute nelle citate lettere f), g) e m) confluiscono ora, con alcune modifiche, nella nuova lettera m) dell’articolo 100, comma 2, del TUIR. Per l’illustrazione delle modifiche si ritiene opportuno mettere a confronto la disciplina attuale e quella proposta.
I soggetti menzionati dalla normativa vigente, in favore dei quali possono essere effettuate le erogazioni liberali, rientrano tra quelli indicati nella nuova versione della lettera m), la quale si applica anche a comitati organizzatori, appositamente istituiti con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali.
La nuova determinazione dei soggetti beneficiari è la seguente:
§ Stato, regioni, enti locali territoriali, enti o istituzioni pubbliche, comitati organizzatori appositamente istituiti con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, fondazioni e associazioni legalmente riconosciute senza scopo di lucro. Il Ministro per i beni e le attività culturali individua a cadenza biennale, con proprio decreto, le categorie di fondazioni e associazioni non costituite o non partecipate in misura prevalente dal Ministero stesso che possono beneficiare delle erogazioni, sulla base dei criteri stabiliti previo parere della Conferenza Stato - città ed autonomie locali, di cui all’articolo 8 del D.Lgs. n. 281 del 1997. Lo stesso decreto determina inoltre i tempi entro i quali le erogazioni devono essere utilizzate per gli scopi previsti. Tali termini possono essere prorogati una sola volta, per causa non imputabile al beneficiario (nuova lett. m).
Pertanto, la nuova disciplina limita la necessità di individuazione, mediante un decreto ministeriale, dei soggetti beneficiari delle erogazioni liberali alle fondazioni e associazioni non costituite o non partecipate in misura prevalente dal Ministero per i beni e le attività culturali.
Possono attualmente beneficiare delle erogazioni liberali, secondo le lettere f), g) e m) dell’articolo 100, comma 2, del TUIR:
§ Stato, enti o istituzioni pubbliche, fondazioni e associazioni legalmente riconosciute che, senza scopo di lucro, svolgono o promuovono attività di studio, di ricerca e di documentazione di rilevante valore culturale e artistico (lett. f);
§ enti o istituzioni pubbliche, fondazioni e associazioni legalmente riconosciute che, senza scopo di lucro, svolgono esclusivamente attività nello spettacolo (lett. g);
§ Stato, regioni, enti locali territoriali, enti o istituzioni pubbliche, fondazioni e associazioni legalmente riconosciute. Il Ministro per i beni e le attività culturali individua periodicamente con proprio decreto, sulla base di criteri definiti sentita la Conferenza Stato - città ed autonomie locali, di cui all'articolo 8 del D.Lgs. n. 281 del 1997, i soggetti e le categorie di soggetti che possono beneficiare delle erogazioni liberali. Con lo stesso decreto determina inoltre, a valere sulla somma allo scopo indicata, le quote assegnate a ciascun ente o soggetto beneficiario, e definisce gli obblighi di informazione da parte dei soggetti erogatori e dei soggetti beneficiari (lett. m), nel testo vigente).
Anche per quanto riguarda le finalità dell’erogazione liberale, la versione proposta della lettera m) comprende le ipotesi precedentemente disciplinate dalle lettere f), g) e m), nella formulazione attualmente vigente:
§ destinazione dell’erogazione al perseguimento degli scopi istituzionali dei beneficiari concernenti lo svolgimento o la promozione di attività culturali, nonché realizzazione di interventi specifici nei settori dei beni culturali e dello spettacolo (nuova lett. m).
Le finalità alle quali devono essere dirette le erogazioni liberali ai sensi delle lettere f), g) e m) dell’articolo 100, comma 2, del TUIR sono:
§ acquisto, manutenzione, protezione o restauro delle cose indicate nell'articolo 2 del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490[172], e nel D.P.R. 30 settembre 1963, n. 1409[173], comprese l'organizzazione di mostre e di esposizioni, di rilevante interesse scientifico o culturale, delle cose anzidette, e gli studi e le ricerche eventualmente a tal fine necessari. Le mostre, le esposizioni, gli studi e le ricerche devono essere autorizzati, previo parere del competente comitato di settore del Consiglio nazionale per i beni culturali e ambientali, dal Ministero per i beni e le attività culturali, che dovrà approvare la previsione di spesa e il conto consuntivo (lett. f);
§ realizzazione di nuove strutture nel campo dello spettacolo, restauro e potenziamento delle strutture esistenti, nonché produzione nei vari settori dello spettacolo (lett. g);
§ svolgimento dei compiti istituzionali dei beneficiari e realizzazione di programmi culturali nei settori dei beni culturali e dello spettacolo (lett. m), nel testo vigente).
Ulteriore elemento comune alle varie ipotesi di deducibilità è il controllo, da parte del Ministero per i beni e le attività culturali, sull’effettiva utilizzazione delle erogazioni liberali da parte dei beneficiari, con la previsione del loro afflusso all’entrata del bilancio dello Stato in caso di mancato utilizzo nei tempi previsti o in conformità allo loro destinazione.
La lettera f) del comma 2 dell’articolo 100 del TUIR prevede che il Ministero stabilisca, limitatamente alle erogazioni in favore delle associazioni legalmente riconosciute, delle istituzioni e delle fondazioni, i tempi necessari affinché le erogazioni stesse siano utilizzate per gli scopi indicati, e controlla l'impiego delle erogazioni stesse. Le erogazioni non integralmente utilizzate nei termini assegnati ovvero utilizzate in difformità dalla destinazione affluiscono, nella loro totalità, all'entrata dello Stato.
La lettera g) del comma 2 dell’articolo 100 del TUIR prevede che le erogazioni non utilizzate per le finalità alle quali sono destinate entro il termine di due anni dalla data del ricevimento affluiscono, nella loro totalità, all'entrata dello Stato.
La formulazione attualmente vigente della lettera m) del comma 2 dell’articolo 100 del TUIR detta una disciplina piuttosto complessa in base alla quale il Ministero per i beni e le attività culturali vigila sull'impiego delle erogazioni e comunica all'Agenzia delle entrate, entro il 31 marzo dell'anno successivo a quello di riferimento, l'elenco dei soggetti erogatori e l'ammontare delle erogazioni liberali da essi effettuate. Nel caso che, in un dato anno, le somme complessivamente erogate abbiano superato la somma allo scopo indicata o determinata, i singoli soggetti beneficiari che abbiano ricevuto somme di importo maggiore della quota assegnata dal Ministero per i beni e le attività culturali versano all'entrata dello Stato un importo pari al 37 per cento della differenza.
Ferma restando la vigilanza del Ministero per i beni e le attività culturali sull’impiego dei fondi erogati, la nuova versione della lettera m) del comma 2 dell’articolo 100 del TUIR – semplificando la procedura indicata dalla stessa lettera m), nel testo attualmente vigente – si limita a prevedere che le erogazioni liberali non integralmente utilizzate nei termini assegnati dal decreto ministeriale previsto dalla norma stessa affluiscono all’entrata del bilancio dello Stato.
La nuova formulazione della lettera m) del comma 2 dell’articolo 100 del TUIR contiene inoltre due previsioni innovative rispetto alla disposizione che sostituisce.
Il secondo periodo consente infatti che le erogazioni liberali in favore dello Stato, delle regioni, degli enti locali territoriali, di enti o istituzioni pubbliche, di comitati organizzatori o di fondazioni e associazioni, costituite o partecipate in misura prevalente dal Ministero per i beni e le attività culturali, assumano la forma dell’accollo di debito. Le modalità di utilizzazione di questo strumento saranno definite con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentito il Ministro dell’economia e delle finanze.
L’ultimo periodo stabilisce che il Ministero per i beni e le attività culturali certifichi, a richiesta del soggetto erogante e sulla base delle informazioni acquisite presso il beneficiario, l’ammontare dell’erogazione liberale e la sua utilizzazione. Entro il 31 marzo dell’anno successivo a quello di riferimento il Ministero per i beni e le attività culturali deve infine comunicare al Ministero dell’economia e delle finanze le informazioni acquisite in merito alle erogazioni effettuate entro il 31 dicembre dell’anno precedente.
La lettera f) del comma 1 dell’articolo 25 in esame novella l’articolo 146 del TUIR, relativo alla deducibilità degli oneri sostenuti dagli enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale.
Poiché per la determinazione del reddito complessivo di tali enti l’articolo 143 del TUIR rinvia alle disposizioni relative alla determinazione dei singoli redditi (fondiari, di capitale, d’impresa e diversi) che lo compongono, gli oneri sostenuti nell’esercizio d’impresa sono deducibili ai sensi dell’articolo 100 del TUIR, come novellato dalle precedenti lettere da b) a e) del comma 1 dell’articolo 25 in esame.
Il citato articolo 146 del TUIR consente inoltre la deducibilità dei seguenti oneri, anche se gli stessi non sono deducibili nella determinazione del reddito d’impresa, che concorre a formare il reddito complessivo dell’ente:
§ canoni, livelli, censi e altri oneri gravanti sui redditi degli immobili che concorrono a formare il reddito complessivo, compresi i contributi ai consorzi obbligatori per legge o in dipendenza di provvedimenti della pubblica amministrazione, esclusi i contributi agricoli unificati (articolo 10, comma 1, lett. a), del TUIR);
§ somme corrisposte ai dipendenti, chiamati ad adempiere funzioni presso gli uffici elettorali (articolo 10, comma 1, lett. f), del TUIR);
§ contributi, donazioni ed oblazioni erogati in favore delle organizzazioni non governative (ONG) idonee ai sensi dell'articolo 28 della legge 26 febbraio 1987, n. 49[174], per un importo non superiore al 2 per cento del reddito complessivo dichiarato (articolo 10, comma 1, lett. g), del TUIR).
La somme rimborsate ai sensi dell’articolo 146 del TUIR concorrono a formare il reddito complessivo del periodo di imposta nel quale l'ente ha conseguito il rimborso.
Ferme restando le sopra illustrate ipotesi di deducibilità disciplinate dall’articolo 146 del TUIR, la lettera f) in esame consente inoltre la deducibilità degli oneri di cui all’articolo 10, comma 1, lettera l-quinquies).
Per quanto riguarda la parziale identità fra gli oneri deducibili a norma della lettera l-quinquies) del comma 1 dell’articolo 10, e gli oneri relativamente ai quali è ammessa la detrazione a norma dell’articolo 15, comma 1, lettere h) e i), richiamate per gli enti non commerciali dall’articolo 147, comma 1, si veda, sopra, il commento alla lettera a) del presente comma.
1. Alla legge 11 agosto 1991, n. 266, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 15, la rubrica è sostituita dalla seguente: «Fondi speciali di ambito territoriale regionale»;
b) all'articolo 15, comma 1, le parole da: «fondi speciali presso le regioni» fino alla fine del comma sono sostituite dalle seguenti: «fondi speciali di ambito territoriale e regionale per gli scopi di cui all'articolo 15-bis»;
c) all'articolo 15, il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. Gli enti di cui al comma 1, in sede di approvazione dei bilanci consuntivi, ripartiscono le somme:
a) nella misura del 50 per cento in favore del fondo speciale di cui all'articolo 15-bis, costituito presso l'ambito territoriale regionale in cui gli enti hanno sede legale;
b) nella misura del 30 per cento in favore di uno o più fondi speciali, scelti liberamente dai suddetti enti;
c) nella misura del 20 per cento in favore della costituzione di un fondo perequativo nazionale presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, finalizzato ad integrare i fondi speciali costituiti presso ciascun ambito territoriale regionale, destinatari di accantonamenti di minore entità effettuati ai sensi delle lettere a) e b). Con proprio decreto, sentiti l'Osservatorio nazionale per il volontariato e l'Associazione delle casse di risparmio italiane, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali stabilisce annualmente la ripartizione del fondo perequativo fra i fondi speciali costituiti nell'ambito territoriale regionale, tenuto conto, tra l'altro, della dotazione dei fondi costituiti nell'ambito territoriale regionale, della popolazione residente e del numero di organizzazioni di volontariato iscritte nei registri di ciascuna regione»;
d) all'articolo 15, il comma 3 è abrogato;
e) dopo l'articolo 15 sono inseriti i seguenti:
«Art. 15-bis. - (Comitati di gestione). - 1. Per ogni ambito regionale è istituito un fondo speciale, nel quale sono contabilizzati gli importi segnalati ai comitati di gestione dagli enti di cui all'articolo 15, nonché gli importi attribuiti sulla base della ripartizione annuale del fondo perequativo di cui all'articolo 15, comma 2, lettera c). Tali somme costituiscono patrimonio separato avente speciale destinazione di pertinenza degli stessi enti. Esse sono disponibili in misura non inferiore al 50 per cento per i centri di servizio di cui all'articolo 15-ter, e nella misura restante per le spese di attività di cui al comma 4, lettere g) e h), e di funzionamento del comitato di gestione.
2. Ogni fondo speciale è amministrato da un comitato di gestione, organismo di natura privatistica, composto da:
a) un membro in rappresentanza della regione competente, designato secondo le previsioni delle disposizioni regionali in materia;
b) quattro rappresentanti delle organizzazioni di volontariato iscritte nei registri regionali, eletti da assemblee elettive delle organizzazioni di volontariato iscritte nei registri regionali o delle province autonome, ovvero, ove queste non siano operanti, nominati secondo le previsioni delle disposizioni regionali o delle province autonome in materia;
c) un membro nominato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali;
d) sette membri nominati dagli enti di cui all'articolo 15;
e) un membro nominato dall'Associazione delle casse di risparmio italiane;
f) un membro in rappresentanza degli enti locali della regione, nominato secondo le previsioni delle disposizioni regionali in materia.
3. Il comitato di gestione resta in carica tre anni, che decorrono in ogni caso dal giorno successivo alla scadenza del mandato previsto per il comitato precedente. I membri nominati in sostituzione di altri membri cessati nel corso del mandato restano in carica per la durata residua di tempo previsto per il membro così sostituito. La carica di membro del comitato di gestione è gratuita e consente solo il rimborso delle spese effettivamente sostenute per partecipare alle riunioni. Il comitato di gestione può deliberare quando sia stata nominata la metà più uno dei componenti.
4. Il comitato di gestione:
a) istituisce, con provvedimento motivato, i centri di servizio di cui all'articolo 15-ter nella regione, sulla base di criteri adeguatamente pubblicizzati;
b) istituisce l'elenco regionale dei centri di servizio, e ne pubblicizza l'esistenza;
c) iscrive i centri di servizio sulla base dei criteri di cui alla lettera a) e cancella con provvedimento motivato i centri di servizio in caso di svolgimento di attività in modo difforme dai propri regolamenti o in caso di gravi inadempienze o irregolarità di gestione;
d) esercita il controllo e adotta sanzioni nei loro confronti;
e) nomina un membro degli organi deliberativi e un membro degli organi di controllo dei centri di servizio;
f) ripartisce annualmente, tra i centri di servizio istituiti presso la regione, una quota non inferiore al 50 per cento delle somme scritturate nel fondo speciale di cui al presente articolo; la misura di tale quota deve, in ogni caso, permettere ai centri di servizio lo svolgimento dei propri compiti ed è determinata d'intesa con i centri di servizio, tenendo conto delle proposte di programmazione elaborate dai medesimi centri di servizio;
g) ripartisce annualmente tra le organizzazioni di volontariato, sentiti i centri di servizio, sulla base di programmi di attività presentati dalle organizzazioni di volontariato iscritte nei registri regionali, anche in forma associata, tramite i centri di servizio, le somme iscritte nel fondo speciale di cui al presente articolo, dedotti l'importo di cui alla lettera f) e la quota destinata alla copertura delle spese per il proprio funzionamento. Il comitato di gestione ripartisce la quota con riferimento agli ambiti di intervento individuati dai centri di servizio nei loro programmi annuali;
h) assegna le somme iscritte nel fondo speciale di cui al presente articolo, dedotti l'importo di cui alle lettere f) e g) e la quota destinata alla copertura delle spese per il proprio funzionamento, al fondo nazionale per il servizio civile di cui all'articolo 11 della legge 6 marzo 2001, n. 64, per la realizzazione, nel proprio ambito territoriale, di progetti presentati dagli enti e dalle organizzazioni privati di cui all'articolo 3 della legge 6 marzo 2001, n. 64, iscritti nei registri di cui all'articolo 6 della presente legge, ed approvati dall'Ufficio nazionale del servizio civile o dalle regioni o dalle province autonome.
Art. 15-ter. - (Centri di servizio per il volontariato). - 1. Le organizzazioni di volontariato, anche tramite istanza congiunta con gli enti locali e gli enti di cui al comma 1 dell'articolo 15, possono richiedere al comitato di gestione la costituzione di centri di servizio, a disposizione delle organizzazioni di volontariato, e da queste gestiti, con la funzione di sostenerne e qualificarne l'attività.
2. I centri di servizio hanno lo scopo di sostenere e qualificare l'attività di volontariato. A tal fine erogano le proprie prestazioni sotto forma di servizi a favore delle organizzazioni di volontariato iscritte e non iscritte nei registri regionali.
3. Le modalità di attuazione delle norme di cui agli articoli 15, 15-bis e al presente articolo sono stabilite con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro delegato al coordinamento del Servizio civile nazionale, sentito l'Osservatorio nazionale del volontariato, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. Nel decreto sono indicate le modalità con le quali i comitati di gestione assicurano la pubblicazione dei rendiconti delle spese sostenute e l'obbligatorietà della loro comunicazione all'Osservatorio nazionale del volontariato e agli organismi regionali previsti dalle leggi regionali per il rapporto tra volontariato e regioni.
4. Alle spese per il funzionamento dei comitati di gestione e dei centri di servizio si provvede con le risorse individuate con il decreto del Ministro del tesoro, di concerto con il Ministro per la solidarietà sociale, in data 8 ottobre 1997, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 241 del 15 ottobre 1997».
2. L'esenzione disposta dall'articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, si intende applicabile alle attività indicate nel medesimo articolo a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse.
Le norme in esame, nel testo approvato in Commissione, dettano una serie di modifiche alla legge–quadro sul volontariato(legge 11 agosto 1991, n. 266)[175] - in attesa di una riforma complessiva della medesima legge n. 266/1991 - con riferimento ai seguenti aspetti:
- natura e composizione dei fondi speciali presso le regioni;
- ruolo e poteri dei comitati di gestione;
- centri di servizio per il volontariato.
Inoltre è introdotta una norma interpretativa sull’esenzione dal pagamento dell’ICI per gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali.
Si ricorda che tali fondi (disciplinati dall’art. 15 della legge n. 266/1991) sono stati costituiti con risorse delle Fondazioni bancarie e delle allora operanti casse di risparmio, per finanziare l’attività dei centri di servizio per le associazioni di volontariato.
Le modifiche intervengono sui seguenti aspetti:
¨ Denominazione dei fondi (comma 1, lettera a))
Con una modifica della rubrica dell’art. 15, i fondi in esame sono denominati “Fondi speciali di ambito territoriale regionale” anziché “Fondi speciali presso le regioni”.
La relazione di accompagnamento al disegno di legge del Governo precisa che la norma in esame è volta a chiarire che tali fondi non sono di competenza regionale e che il rinvio alla regione è utile solo a definire il carattere territoriale degli stessi.
¨ Caratteristiche dei fondi (comma 1, lettera b))
Il comma 1 dell’art. 15 precisa le caratteristiche dei Fondi, volti a “istituire, per il tramite degli enti locali, centri di servizio a disposizione delle organizzazioni di volontariato, e da queste gestiti, con la funzione di sostenerne e qualificarne l'attività”.
La modifica (introdotta in Commissione) sopprime tale inciso, rinviando direttamente all’art. 15 bis, sotto descritto.
¨ Composizione dei fondi (comma 1, lettera c))
Con la sostituzione del comma 2 dell’articolo 15[176], in sede di approvazione dei bilanci consuntivi da parte degli enti creditizi pubblici, delle casse comunali di credito agrario e dei monti di credito su pegno di seconda categoria che non raccolgono risparmio tra il pubblico[177], si opera la seguente ripartizione delle somme previste:
1. nella misura del 50%, in favore del fondo speciale costituito nella regione in cui è presente la sede legale dello stesso ente;
2. nella misura del 30%, in favore di uno o più fondi speciali scelti liberamente dai suddetti enti;
3. nella misura del 20% in favore della costituzione di un fondo perequativo nazionale presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, finalizzato ad integrare i fondi speciali costituiti presso ciascuna regione, destinatari di accantonamenti di minore entità effettuati ai sensi delle lettere a) e b) citate. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sentito l’Osservatorio nazionale per il volontariato e l’Associazione delle casse di risparmio italiane, provvede annualmente al riparto di tali risorse, sulla base, tra l’altro, della dotazione degli stessi fondi speciali, della popolazione esistente e del numero di organizzazioni di volontariato iscritte presso i registri di ogni regione.
E’ conseguentemente soppresso il comma 3 dell’articolo 15, che demanda ad un decreto ministeriale il riparto delle somme disponibili tra i Fondi regionali (comma 1, lettera d)).
La legislazione vigente. L’art. 1 del D.M. 8 ottobre 1997, emanato in attuazione del comma 3 dell’art. 15 delle citata legge n. 266/1991, così disciplina la destinazione delle somme disponibili:
a) il 50% al fondo speciale costituito presso la regione ove i predetti enti e casse hanno sede legale;
b) il restante 50% ad uno o a più altri fondi speciali, scelti liberamente dai suddetti enti e casse.
La relazione di accompagnamento al disegno di legge del Governo sottolinea, in particolare, la novità dell’istituzione del fondo perequativo nazionale, il cui scopo è quello di omogeneizzare i finanziamenti su tutto il territorio nazionale, dal momento che la perequazione volontaristica affidata agli enti non si è rivelata efficace.
Sulla possibilità di introdurre nuovi meccanismi, volti a destinare una quota maggiore delle risorse delle fondazioni bancarie al sud, anche in ragione della scarsa presenza di fondazioni nel territorio meridionale, cfr. la discussione svolta presso le commissioni riunite I e V in data 24 giugno 2005 [178].
L’articolo 18, comma 1, lettera e) del provvedimento in esame, introducendo l’articolo 15-bis nella legge n. 266/1991, detta nuove norme sui comitati di gestione, già disciplinati dal citato D.M. 8 ottobre 1997. In particolare, il testo in esame introduce le seguenti innovazioni:
§ Il comitato di gestione ripartisce una quota non inferiore al 50% delle somme disponibili a favore dei centri di servizio, in modo da permettere in ogni caso ai centri di servizio lo svolgimento dei propri compiti; la parte restante delle medesime somme, dedotto l'importo a favore dei centri di servizio e la quota destinata alla copertura delle spese per il proprio funzionamento, è destinata in favore del fondo nazionale per il servizio civile e delle organizzazioni di volontariato (art. 15-bis, co. 1)[179]; in base al D.M. 8 ottobre 1997, quest’ultima destinazione non era prevista, così come non era indicata una quota (minima o massima) da destinare ai centri di servizio[180];
§ non sono più previsti specifici criteri di nomina per la scelta dei membri del comitato di gestione da parte delle fondazioni e delle casse di risparmio; inoltre il testo approvato in commissione precisa che i rappresentanti delle organizzazioni di volontariato sono elette in assemblee delle organizzazioni medesime iscritte nei registri regionali o delle province autonome (art. 15 bis, co. 2)[181];
§ il comitato di gestione resta in carica tre anni, anziché due (art. 15-bis, co. 3)[182];
§ è inserita anche la possibilità per il comitato di gestione di adottare sanzioni nei confronti dei centri di servizio; inoltre il testo approvato in commissione prevede che la cancellazione dei centri di servizio avvenga in caso di infrazione dei regolamenti o di “gravi inadempienze o irregolarità di gestione” (art. 15 bis, co. 4).
La relazione di accompagnamento al disegno di legge del Governo sottolinea, per quanto concerne il meccanismo di ripartizione delle risorse disponibili, i vantaggi per i centri di servizio determinati dalla variabilità della quota, non inferiore al 50%, calibrata sulle esigenze del territorio e dei centri stessi, in ogni caso sufficiente affinché possano svolgersi i compiti previsti e dal parere fornito dai centri di servizio sulla ripartizione delle risorse.
In merito alla composizione dei comitati di gestione, si evidenzia la volontà di “correggere alcune storture”, portando la durata del comitato ad un triennio e prevedendo “un meccanismo funzionale e decisionale volto ad evitare comportamenti dilatori per la sua costituzione”.
Per quanto riguarda, infine, i compiti dello stesso comitato, si dà rilievo al rafforzamento dei poteri di controllo, attraverso la possibilità di adottare sanzioni nei confronti dei centri di servizio.
L’articolo 18, comma 1, lettera e) del testo in esameintroduce anche l’articolo 15-ter nella legge n. 266/1991, che disciplina i centri di servizio per il volontariato, già previsti dalla legge e disciplinati dal citato D.M. 8 ottobre 1997. In particolare, si stabilisce:
§ l’avvio da parte delle organizzazioni di volontariato della procedura per la costituzione di centri di servizio, anche tramite istanza congiunta con gli enti locali e gli enti creditizi di cui sopra[183];
§ gli articoli 15, 15-bis e 15-tersaranno attuati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro delegato al coordinamento del Servizio civile nazionale, sentito l’Osservatorio nazionale del volontariato[184];
§ alle spese di funzionamento dei comitati di gestione e dei centri di servizio si provvede con le risorse individuate con il citato D.M. 8 ottobre 1997[185].
La relazione di accompagnamento al disegno di legge del Governo conferma la natura dei centri quali soggetti erogatori di servizi precisando che “la loro istituzione e composizione sono più direttamente collegate al mondo del volontariato”.
L’articolo 26, comma 2, stabilisce che l'esenzione dall'imposta comunale sugli immobili (ICI) per gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, rimane applicabile anche qualora questi svolgano anche attività di natura commerciale.
La relazione tecnica al disegno di legge del Governo non fornisce elementi al riguardo; la relazione di accompagnamento si limita a precisare che tale norma riveste natura interpretativa.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Il 19 maggio 2004 la Commissione ha presentato la comunicazione “Proposta di obiettivi comuni per le attività di volontariato dei giovani” (COM(2004) 337), che fa seguito al libro bianco sulla gioventù (COM(2001)681) e alla risoluzione del Consiglio del 27 giugno 2002 che definisce un nuovo quadro di cooperazione in tema di gioventù.
La Commissione si propone l’obiettivo globale di sviluppare, promuovere e riconoscere le attività di volontariato ad ogni livello per potenziare la cittadinanza attiva dei giovani e il loro senso di solidarietà.
Per conseguire questa finalità globale la comunicazione propone i seguenti obiettivi comuni:
La Commissione suggerisce linee d’azione relative a ciascun obiettivo e propone agli Stati membri di concordare sull’attuazione di tutti gli obiettivi comuni approvati, nonché di presentare entro la fine del 2006 relazioni sui contributi nazionali all’attuazione degli obiettivi comuni in tema di volontariato, dopo aver consultato, attraverso i canali ritenuti più opportuni, giovani, giovani volontari e rispettive organizzazioni, nonché, se del caso, i consigli nazionali e regionali della gioventù.
Il Consiglio occupazione ha adottato, il 15 novembre 2004, una risoluzione sull’attività di volontariato dei giovani nella quale, fra l’altro, invita gli Stati membri a presentare, entro la fine del 2006, relazioni sui contributi nazionali all’attuazione della priorità in materia di attività di volontariato e a consultare i giovani e le loro associazioni, i volontari e le organizzazioni di volontariato, nonché i consigli nazionali e regionali della gioventù, per l’elaborazione di dette relazioni.
Il 30 maggio 2005 la Commissione ha presentato una comunicazione sulle politiche europee relative ai giovani (COM(2005) 206), nella quale, fra l’altro, ribadisce l’importanza della promozione delle attività di volontariato, per favorire il rafforzamento della cittadinanza attiva dei giovani e del loro spirito di solidarietà.
La Commissione, con tale documento, propone come attuare il Patto europeo per la gioventù[186]; invita gli Stati membri a consultare i giovani sull’elaborazione delle misure di attuazione del Patto; annuncia il processo di consultazione sulla politica per la gioventù che verrà avviato in estate e vedrà come momento qualificante la convocazione degli “Stati generali della gioventù”, alla fine del 2005.
1. Dopo l'articolo 2645-bis del codice civile è inserito il seguente:
«Art. 2645-ter (Trascrizione di atti di destinazione) - Gli atti risultanti da atto pubblico, con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela ai sensi dell'articolo 1322, secondo comma, possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione; per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall'articolo 2915, primo comma, solo per debiti contratti per tale scopo».
L’articolo 27 inserisce un nuovo articolo, il 2645-ter nel codice civile; mediante tale disposizione si consente la trascrizione, a fini di opponibilità ai terzi, degli atti con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono sottoposti a vincolo di destinazione: la trascrizione può essere effettuata soltanto qualora i relativi atti rispondano ai seguenti requisiti:
§ siano risultanti da atto pubblico;
§ siano diretti alla costituzione di un vincolo di destinazione della durata non superiore ai novanta anni o analoga a quella della vita del beneficiario;
§ siano destinati al perseguimento di interessi meritevoli di tutela ai sensi dell’articolo 1322 del codice civile.
Si ricorda, in proposito, che, secondo la dottrina e la giurisprudenza dominanti, il giudizio di meritevolezza di cui al citato art. 1322 coincide sostanzialmente con l’accertamento di non contrarietà del negozio realizzato alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume e non implica, di conseguenza, alcuna valutazione circa l’utilità sociale dell’atto: è rimasta isolata la pronuncia giurisprudenziale di merito secondo cui, perché gli interessi perseguiti possano essere ritenuti non meritevoli, non è necessario che essi siano contrari a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume, bensì è sufficiente che non si prestino ad essere armonicamente integrati nella tavola dei valori dell’ordinamento.
La norma in esame, inoltre, dispone che per la realizzazione degli interessi
perseguiti mediante l’atto di destinazione possa agire tanto il conferente, quanto qualsiasi altro interessato ed attribuisce all’atto medesimo rilevanti effetti, stabilendo che i beni conferiti ed i relativi frutti:
§ possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione;
§ possono costituire oggetto di esecuzione solo per debiti contratti per la realizzazione del medesimo fine (è fatto salvo quanto previsto all’articolo 2915 c.c., in base al quale non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nella esecuzione gli atti che importano, come quelli in esame, vincoli di indisponibilità, se non sono trascritti prima del pignoramento)
La disciplina introdotta mediante il nuovo articolo 2645-ter concernente i beni conferiti (ed i relativi frutti) sembrerebbe modellata su quella di cui agli artt. 168 e ss. del codice civile riguardanti il fondo patrimoniale, anche se, rispetto ad essa, si differenzia per la previsione di una più piena ed efficace garanzia sui beni rispetto agli atti di esecuzione.
In particolare:
§ anche l’atto costitutivo del fondo patrimoniale è soggetto a pubblicità con effetto di opponibilità ai terzi, che deriva, però, non dalla trascrizione di cui agli artt. 2647 e 2685 (che ha valore di mera pubblicità notizia), ma dalla annotazione a margine dell’atto di matrimonio, di cui all’articolo 162, ultimo comma;
§ anche i beni (nonché i relativi frutti) costituenti il fondo patrimoniale devono essere impiegati esclusivamente per le finalità per cui il fondo stesso è costituito (ovvero per i bisogni della famiglia, v. art. 167, primo comma e art. 168, secondo comma);
§ mentre l’impignorabilità per debiti contratti per scopi estranei o differenti rispetto a quelli individuati nell’atto di destinazione dei beni (e dei relativi frutti) conferiti ai sensi del nuovo art. 2645-ter sembrerebbe assoluta, l’art. 170 assoggetta ad esecuzione i beni del fondo patrimoniale anche per debiti contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, a condizione che il creditore non sia a conoscenza di tale ultima circostanza: il coniuge o i coniugi che si oppongono alla esecuzione devono, pertanto, riuscire a provare l’effettiva conoscenza, da parte del creditore esecutante, della estraneità ai bisogni familiari del negozio con cui è stato assunto il debito.
In considerazione delle ampie possibilità applicative della norma (il riferimento all’articolo 1322 del codice ne consente l’utilizzo per il perseguimento delle più svariate finalità, purché non illecite) e degli effetti che da un uso strumentale della medesima potrebbero derivare (sottrazione dei beni ai creditori), andrebbe valutata l’opportunità di consentire, analogamente a quanto disposto dall’articolo 171 in materia di fondo patrimoniale, l’esecuzione sui beni anche per debiti contratti per finalità estranee o differenti rispetto a quelle risultanti dall’atto di conferimento, nella ipotesi in cui il creditore non sia a conoscenza di tale ultima circostanza.
La disposizione in esame andrebbe, altresì, valutata alla luce del generale principio di cui all’articolo 2740 c.c., in virtù del quale il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
1. Il secondo comma dell'articolo 9 della legge 7 marzo 1985, n. 76, come sostituito dal comma 6 dell'articolo 2 del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, in materia di imposizione fiscale sui tabacchi lavorati, è sostituito dal seguente:
«Per le sigarette le tabelle di cui al primo comma sono stabilite con riferimento alle sigarette della classe di prezzo più richiesta, determinate ogni tre mesi, secondo i dati rilevati al primo giorno di ciascun trimestre».
2. Il meccanismo di determinazione del prezzo di cui al comma 1 si applica a decorrere dal primo giorno del mese successivo alla data di entrata in vigore della presente legge.
Il comma 1 dell’articolo 28, sostituendo il secondo comma dell’articolo 9 della legge 7 marzo 1985, n. 76, stabilisce che la rilevazione della classe di prezzo più richiesta delle sigarette deve essere effettuata ogni tre mesi (il primo giorno di ciascun trimestre) anziché semestralmente (il 1° gennaio e il 1° luglio di ogni anno) come attualmente previsto. La rilevazione di tale classe di prezzo ha effetto sulla determinazione dell’imposta di consumo sulle sigarette.
Le tabelle di ripartizione dei prezzi di vendita al pubblico delle sigarette, di cui al citato articolo 9, secondo comma, sono fissate con decreti del Ministro delle finanze (oggi Ministro dell’economia e delle finanze) e indicano, per ciascuna fascia di prezzo di vendita delle sigarette al pubblico, l’importo richiesto dal fornitore, l’aggio spettante al rivenditore, l’importo dell’IVA e dell’imposta di consumo. Le tabelle sono stabilite con riferimento alle sigarette della classe di prezzo più richiesta; l’individuazione di questa classe di prezzo viene effettuata allo scopo di determinare l’imposta di consumo relativa a tutte le classi di prezzo.
Il meccanismo di determinazione dell’imposta di consumo sulle sigarette è disciplinato dall’articolo 6 della stessa legge 7 marzo 1985, n. 76. A tal fine si individua innanzitutto il c.d. importo di base (secondo comma dell’articolo 6) che corrisponde all’imposta di consumo sulle sigarette appartenenti alla classe di prezzo più richiesta ed è determinata dall’applicazione dell’aliquota di base, attualmente fissata al 58,5%[187], al prezzo di vendita al pubblico delle sigarette appartenenti alla suddetta classe di prezzo[188]. L’imposta sulle altre sigarette è costituita dalla somma dei seguenti due elementi (terzo comma dell’articolo 6):
§ un importo specifico fisso, corrispondente al 5% della somma di:
- importo di base,
- ammontare dell’IVA sulle sigarette appartenenti alla classe di prezzo più richiesta;
§ un importo risultante dall’applicazione di una aliquota proporzionale al prezzo di vendita al pubblico. Tale aliquota proporzionale corrisponde all’incidenza percentuale dell’importo di base, diminuito dell’importo specifico fisso, sul prezzo di vendita al pubblico delle sigarette della classe di prezzo più richiesta.
Con la modifica introdotta dall’articolo 4 del D.L. 30 gennaio 2004, n. 24, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2004, n. 87[189], l’ammontare dell’imposta di consumo, dovuta per le sigarette vendute ad un prezzo inferiore a quello delle sigarette appartenenti alla classe di prezzo più richiesta, è direttamente rapportato all’importo di base (come è già previsto per le sigarette appartenenti alla classe di prezzo più richiesta), mentre il sopra illustrato meccanismo di cui al terzo comma dell’articolo 6 della legge n. 76 del 1985 continua ad essere applicato solo alle sigarette vendute ad un prezzo superiore a quello delle sigarette appartenenti alla classe di prezzo più richiesta.
Si segnala infine che, ai sensi del successivo comma 2-bis dello stesso articolo 4, l’importo di base non può comunque essere inferiore a 60 euro per 1.000 sigarette. A decorrere dal 1° luglio 2006 tale importo minimo è elevato a 64 euro.
La periodicità della rilevazione, dapprima effettuata annualmente, è divenuta semestrale a seguito della modificazione operata dall’articolo 2, comma 6, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191.
Il testo originario del disegno di legge prevedeva una rilevazione mensile della classe di prezzo più richiesta delle sigarette. L’attuale fissazione di un termine trimestrale consegue all’approvazione di un emendamento proposto dallo stesso Governo nel corso dell’esame presso le Commissioni riunite I e V della Camera dei deputati.
La relazione tecnica del Governo al disegno di legge, con riferimento al testo originario (articolo 14, commi 9 e 10), osserva che la presente disposizione introduce un criterio di calcolo “mensile” nella determinazione della classe di prezzo delle sigarette più vendute, con riflessi positivi sulle entrate erariali, favorendo un più rapido adeguamento verso l’alto dei prezzi di vendita delle sigarette.
La citata relazione tecnica afferma inoltre che tale misura non si porrebbe in contrasto con le vigenti prescrizioni comunitarie[190], in quanto si tratterebbe di norma analoga a quelle esistenti in altri Paesi dove sono già in atto meccanismi più rapidi di determinazione della classe di prezzo più venduta.
Il comma 2 fissa nel primo giorno del mese successivo alla data di entrata in vigore del disegno di legge in esame la decorrenza dell’applicazione del nuovo meccanismo di determinazione del prezzo delle sigarette, disciplinato dal precedente comma 1.
La previsione del comma 2 implica che l’applicazione del nuovo meccanismo di determinazione del prezzo delle sigarette possa decorrere a partire da un mese che non è uno di quelli nei quali hanno inizio i trimestri dell’anno solare (gennaio, aprile, luglio e ottobre).
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Il 2 aprile 2004 la Commissione europea ha presentato una proposta di modifica della direttiva 92/12/CEE, relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa[191] (COM(2004)227).
La Commissione propone che tutti i movimenti di prodotti destinati all'uso di un privato effettuati da o per conto di un privato siano, per la loro natura non commerciale, esclusivamente soggetti all'imposizione nello Stato membro di acquisto. La Commissione tuttavia prevede un'eccezione a tale principio per i prodotti del tabacco[192], in considerazione della Convenzione quadro per la lotta contro il tabacco dell’Organizzazione mondiale della sanità, che raccomanda "l'applicazione di politiche fiscali e, se del caso, di politiche dei prezzi per i prodotti del tabacco, al fine di ridurre progressivamente il consumo del tabacco". In particolare, la Commissione propone che, salvo nel caso dei prodotti del tabacco materialmente trasportati dal privato stesso o oggetto di movimenti tra privati, e destinati all'uso del privato destinatario, il pagamento dell'accisa abbia luogo nello Stato membro di destinazione. In tal modo, l'efficacia delle misure introdotte da ciascuno Stato membro per conformarsi alle conclusioni della succitata convenzione quadro non rischia di essere compromessa dal fatto che un privato possa liberamente procurarsi prodotti del tabacco in Stati membri che pratichino una politica di prezzi inferiori rispetto a quelli in vigore nel suo Stato membro di residenza.
L’8 giugno 2005 il Parlamento europeo ha esaminato, in lettura unica, la proposta, che passa ora all’esame del Consiglio, nell’ambito della procedura di consultazione.
Articolo 29
(Abrogazione dell’esclusione dal patto di
stabilità delle spese sostenute dai comuni per la bonifica dei siti inquinati)
1. Al fine di assicurare la piena operatività del fondo di cui all'articolo 1, comma 27, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, la lettera f-quater) del comma 24 dell'articolo 1 della medesima legge n. 311 del 2004, introdotta dall'articolo 1-quater del decreto-legge 31 marzo 2005, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 maggio 2005, n. 88, e l'articolo 3-quinquies del citato decreto-legge n. 44 del 2005, sono abrogati.
L’articolo 29,introdotto nel corso dell’esame presso le Commissioni riunite I e V, abroga la disposizione che esclude dalla disciplina del patto di stabilità interno per gli enti locali le spese sostenute dai comuni per la bonifica dei siti inquinati, con azione sostitutiva dei diretti responsabili.
In particolare, l’articolo in esame modifica il comma 24 della legge finanziaria per il 2005 (legge 30 dicembre 2004, n. 311), recante l’indicazione delle tipologie di spese escluse dalle regole del patto di stabilità, abrogando la lettera f-quater) del comma 24. La lettera f-quater) è stata recentemente introdotta dall’articolo 1-quater del decreto-legge n. 44/2005, recante disposizioni urgenti in materia di enti locali, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 maggio 2005, n. 88. Essa esclude appunto dalla disciplina del Patto di stabilità le spese sostenute dai comuni per la bonifica dei siti inquinati, con azione sostitutiva dei diretti responsabili.
L’articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, disciplina le procedure per la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti inquinati.
Esso prevede che chiunque cagiona, anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli, delle acque superficiali e delle acque sotterranee – limiti definiti con decreto del Ministro dell’ambiente - ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti medesimi, è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento (comma 2). Qualora i responsabili non provvedano ovvero non siano individuabili, gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale sono realizzati d'ufficio dal Comune territorialmente competente e ove questo non provveda dalla Regione, che si avvale anche di altri enti pubblici. Al fine di anticipare le somme per i predetti interventi le Regioni possono istituire appositi fondi nell'àmbito delle proprie disponibilità di bilancio (comma 9).
L’articolo in esame abroga conseguentemente l’articolo 3-quinquies del decreto-legge n. 44/2005, relativo all’attuazione ed alla copertura finanziaria dell’esclusione disposta dalla citata lettera f-quater).
L’articolo 3-quinquies, in particolare, rimette la determinazione delle modalità attuative per la fruizione da parte degli enti locali dell’esclusione ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro il 1° luglio 2005 (trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 44/2005).
L’articolo 3-quinquies prevede inoltre che agli oneri derivanti dall’esclusione dal patto di stabilità delle spese per la bonifica dei siti inquinati si provvede.
§ perl'anno 2005, a valere sulle risorse di cui al comma 27 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2005, cioè utilizzando le risorse del Fondo istituito presso la gestione separata della Cassa depositi e prestiti per le anticipazioni agli enti locali delle spese di conto capitale eccedenti i limiti indicati dal Patto di stabilità;
§ nel limite di spesa di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2006 e 2007, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni per i predetti anni dello stanziamento iscritto nell'ambito dell'unita' previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2005, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio.
Le abrogazioni disposte dall’articolo in esame sono volte esplicitamente ad assicurare l’operatività del Fondo istituito presso la Cassa depositi e prestiti per le anticipazioni agli enti locali delle spese di conto capitale eccedenti i limiti del patto di stabilità interno.
Si ricorda che tale Fondo è dotato di 250 milioni di euro per l’anno 2005. Le anticipazioni sono versate dalla Cassa ai soggetti beneficiari secondo le indicazioni e le priorità dal CIPE. A tal fine gli enti locali sono tenuti a comunicare al CIPE e alla Cassa, entro il 30 aprile 2005 (termine così prorogato dall’articolo 1-bis del D.L. n. 314/2004), le spese che possono essere finanziate, con le indicazioni relative ai progetti cui si riferiscono, alle scadenze di pagamento e ai soggetti beneficiari. Le anticipazioni devono essere restituite dagli enti locali entro il 31 dicembre 2006. I relativi interessi, determinati nell’ammontare di 10 milioni di euro, sono a carico del bilancio dello Stato (art. 1, comma 27, legge n. 311/2004).
Le domande presentate dagli enti locali al 30 aprile 2005 ammontano a circa 1,5 miliardi di euro. La delibera del CIPE relativa ai criteri per l’ammissione al Fondo è intervenuta in data 27 maggio 2005 ed è attualmente in corso di registrazione.
L’articolo 3-quinquies del decreto-legge n. 44/2005 potrebbe compromettere l’operatività del Fondo, a causa delle difficoltà connesse con la quantificazione delle risorse del Fondo da destinare a copertura dell’esclusione dal patto di stabilità delle spese per la bonifica dei siti inquinati sostenute nel 2005, spese talora non prevedibili.
1. Le disposizioni della presente legge sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti e le relative norme di attuazione.
L’articolo 30 introduce nel disegno di legge in esame – con riferimento a tutte le sue disposizioni - la clausola di “compatibilità” conl’ordinamento delle regioni a statuto speciale e delle province autonome dettato dai rispettivi Statuti.
Le disposizioni del disegno di legge infatti, si applicano in quegli ordinamenti solo in quanto non contrastino con le speciali attribuzioni definite dagli statuti di quegli enti, che sono adottati con legge costituzionale.
L’esplicitazione di questo principio – che discende peraltro dall’ordinario rapporto tra le due fonti – è stata introdotta per evitare che regioni e province autonome, nel dubbio sull’effettiva estensione di disposizioni che incidono sulle materie di loro competenza, sollevassero la questione di fronte alla Corte costituzionale.
1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, ad esclusione dell'articolo 16, comma 1, lettera e), numero 3) capoverso 2-quater, e dell'articolo 17, pari a 9,43 milioni di euro per l'anno 2005, a 34,83 milioni di euro per l'anno 2006 ed a 21,33 milioni di euro a decorrere dall'anno 2007, si provvede, quanto a 9,43 milioni di euro per l'anno 2005, 30 milioni di euro per l'anno 2006 e 21,33 milioni di euro a decorrere dall'anno 2007, mediante utilizzo di parte delle maggiori entrate recate dall'articolo 28 e, quanto a 4,83 milioni di euro per il 2006, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa relativa al fondo per interventi strutturali di politica economica di cui al comma 5 dell'articolo 10 del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307.
2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
L’articolo 31 dispone in ordine alla copertura finanziaria degli oneri complessivi derivanti dal provvedimento in esame, con esclusione degli oneri relativi alle seguenti disposizioni, che recano apposite coperture finanziarie:
- articolo 16, comma 1, lettera e), numero 3, capoverso 2-quater (credito d’imposta per favorire la concentrazione di imprese che hanno più di cinque dipendenti prima del processo di concentrazione o aggregazione);
- articolo 17, concernente disposizioni per il potenziamento dei centri fieristici.
Gli oneri per i quali l’articolo 31 dispone la copertura finanziaria sono quantificati dal comma 1 in 9,43 milioni di euro per l’anno 2005, in 34,83 milioni di euro per l’anno 2006 e in 21,33 milioni di euro a decorrere dall’anno 2007.
La copertura finanziaria viene reperita:
- quanto a 9,43 milioni di euro per il 2005, 30 milioni per il 2006 e 21,33 milioni a decorrere dal 2007, a valere su una quota delle maggiori entrate derivanti dall’attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 28 del provvedimento in esame, che ha previsto una rilevazione trimestrale, anziché semestrale, della classe di prezzo delle sigarette più richieste (cfr. relativa scheda di lettura).
Si ricorda che nella formulazione originale dell’articolo 28 era prevista una rilevazione mensile della classe di prezzo delle sigarette. L’effetto positivo sulle entrate erariali derivante dall’applicazione della determinazione mensile della classe di prezzo delle sigarette maggiormente richieste veniva stimato, nella relazione tecnica del disegno di legge (A.C. 5736), in circa 15/20 milioni di euro per il 2005 e in circa 30 milioni di euro a decorrere dall’anno 2006.
- quanto a 4,83 milioni di euro per il 2006, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa relativa al fondo per interventi strutturali di politica economica di cui al comma 5 dell'articolo 10 del D.L. n. 282/2004.
L’articolo 10 del D.L. n. 282/2004 ha previsto l’istituzione nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze del “Fondo per interventi strutturali di politica economica”, con una dotazione di 2.215,5 milioni di euro per il 2005.
Tale dotazione corrisponde alle maggiori entrate che, nell’anno 2005, derivano dal differimento al 31 maggio 2005 e al 30 settembre 2005 dei termini di versamento della seconda e terza rata dell’oblazione connessa alla sanatoria edilizia, fissati inizialmente al 20 e al 30 dicembre 2004[193].
La dotazione del Fondo è stata peraltro ridotta di 2.000 milioni di euro dal comma 297 dell’articolo 1 della legge n. 311/2004 (legge finanziaria per il 2005)[194].
Per gli anni successivi, l’articolo 15, comma 2, del decreto-legge n. 35/2005 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80/2005) prevede una dotazione del Fondo pari a 15 milioni di euro per l’anno 2006, 20 milioni di euro per l’anno 2007 e a 1,5 milioni di euro a decorrere dall’anno 2008.
Le disponibilità relative all’anno 2006 sono peraltro state ridotte di 9.855 milioni di euro dall’articolo 9, comma 1, lettera c) del D.L. n. 45/2005 (Disposizioni urgenti per la funzionalità dell’amministrazione della pubblica sicurezza, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco). Per effetto di tale disposizione, la dotazione del Fondo per interventi strutturali di politica economica per l’anno 2006 risulta pertanto pari a 5,145 milioni di euro.
Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio (comma 2).
[1] Vedi dossier “Fonti e documenti” n. 103, a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea.
[2] L’Agenzia del demanio è stata trasformata in ente pubblico economico ai sensi dell’articolo 1 del D.Lgs 3 luglio 2003, n. 173.
[3] COM(2004)832.
[4] Al riguardo, si rileva che, in base all’articolo 4 del regolamento (CE) n. 3605/93, e successive modifiche, relativo all'applicazione del Protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi, gli Stati membri comunicano alla Commissione due volte l'anno, entro il 1° marzo ed entro il 1° settembre, i dati relativi ai propri disavanzi pubblici previsti ed effettivi, nonché all'ammontare del loro debito pubblico effettivo, per l’anno corrente. Tali dati sono quindi sottoposti da parte di Eurostat a controllo aritmetico e di qualità, nonché a verifica della loro coerenza con la metodologia ESA95 (sistema europeo dei conti nazionali e locali nella comunità.
[5] Come previsto dal codice delle migliori pratiche adottato dal Consiglio ECOFIN nel febbraio 2003.
[6] Il Comitato per le statistiche è un organo consultivo istituito con la decisione 91/115/CEE (modificata dalla decisione 96/174/CE) ed è composto da uno, due o tre rappresentanti per Stato membro, provenienti dalle principali istituzioni interessate alle statistiche finanziarie, monetarie e della bilancia dei pagamenti, da un massimo di tre rappresentanti della Commissione europea e da un massimo di tre rappresentanti della Banca centrale europea.
[7] Altri soggetti incaricati della trasmissione telematica delle dichiarazioni sono stati individuati con il decreto dirigenziale 18 febbraio 1999, e con i decreti ministeriali D.M. 12 luglio 2000, 21 dicembre 2000 e 19 aprile 2001.
[8] Si ricorda che il Catasto nazionale dei rifiuti è stato istituito dall’articolo 3 del decreto legge 9 settembre 1988, n. 397, convertito dalla legge 9 novembre 1988, n. 475, con lo scopo di raccogliere in un sistema unitario, articolato su scala regionale, i dati relativi ai soggetti produttori e smaltitori di rifiuti. Successivamente, il “decreto Ronchi” ha abrogato quasi integralmente la legge n. 475 del 1988 (fra gli articoli abrogati, sono stati inseriti anche quelli relativi al Catasto nazionale) ridisegnando – all’articolo 11 – le linee fondamentali del nuovo Catasto. In attuazione dell’articolo 11 del decreto n. 22 del 1997, la riorganizzazione del Catasto è stata disciplinata dal DM 4 agosto 1978, n. 372, Regolamento recante norme sulla riorganizzazione del catasto dei rifiuti.
[9] Gli spedizionieri doganali svolgono attività di rappresentanza per il compimento di operazioni doganali riguardanti le materie fiscale, merceologica, valutaria, e quante altre si riferiscano al campo doganale (art. 1 della legge n. 1612 del 1960 e art. 40 del D.P.R. n. 43 del 1973).
La nomina a spedizioniere doganale è conferita mediante il rilascio di apposita patente, di validità illimitata, previo superamento di un esame (articoli 47-48 del D.P.R. n. 43 del 1973). L'acquisto della patente di spedizioniere doganale dà diritto all'iscrizione nell'albo professionale (art. 2, comma 2, della legge n. 1612 del 1960) la quale costituisce a sua volta condizione per l'esercizio dell’attività.
[10] I CAD (centri di assistenza doganale), istituiti dal D.L. n. 417 del 1991, convertito dalla legge n. 66 del 1992, hanno il potere di riscuotere i diritti portuali e di svolgere attività ispettive per conto delle autorità comunitarie; hanno la facoltà di presentare le merci, oltre che negli spazi doganali e nei luoghi destinati all’esecuzione delle operazioni doganali, anche presso i magazzini e i depositi dei soggetti per conto dei quali essi operano e presso i quali le merci sono giacenti.
[11] Ai sensi dell’articolo 2, comma 2, della legge n. 213 del 2000, il direttore generale del dipartimento delle dogane e delle imposte dirette (attualmente il direttore generale dell’Agenzia delle dogane) può abilitare altri soggetti, in possesso dei necessari requisiti professionali, all’asseverazione dei dati disciplinata dallo stesso articolo 2.
[12] L'azione dello Stato per la riscossione dei diritti doganali si prescrive nel termine di tre anni, ai sensi dell’articolo 29, comma 1, della legge 29 dicembre 1990, n. 428.
[13] L’attuale testo degli articoli 357 e 358 del codice penale risulta dalla legge 26 aprile 1990, n. 86, che, agli articoli 17 e 18, ha riformulato le disposizioni del codice. In realtà, tale intervento normativo non ha introdotto sostanziali cambiamenti in relazione alle qualificazioni soggettive di "pubblico ufficiale" e di "incaricato di pubblico servizio", ma ha soltanto precisato i requisiti necessari ad integrare, secondo la concezione funzionale-oggettiva, le menzionate qualifiche soggettive, in maniera da fornire concrete indicazioni che consentano di rilevare, in primo luogo, la natura pubblica o privata di una determinata attività, e quindi, nell'ambito di attività sicuramente pubblica, di distinguere tra la figura del pubblico ufficiale e quella dell'incaricato di pubblico servizio.
[14] La Corte di cassazione ha stabilito: “Né ai fini della qualificazione come pubblico servizio di un'attività esercitata da soggetto privato è necessario che la stessa costituisca oggetto di un provvedimento amministrativo (es. concessione) che legittimi l'esercizio dell'attività stessa. È soltanto necessaria l'esistenza di un atto (normativo, ma anche di rango inferiore, quali i regolamenti e i provvedimenti amministrativi a contenuto generale o particolare) dello Stato o dell'ente pubblico, con il quale l'attività viene assunta come propria dagli stessi. È pertanto pubblico servizio l'attività, riconosciuta come funzionale ad uno specifico interesse pubblico, per il cui esercizio la legge prevede la costituzione di un apposito soggetto privato, quale ad esempio una società per azioni”. (Nella specie, la Corte ha riconosciuto che costituisce pubblico servizio, ai sensi dell'art. 358 cod. pen., l'attività della G.E.P.I. S.p.A. - Società di gestione e partecipazioni industriali) (cfr. Sez. VI, sent. n. 138 del 18 gennaio 1994, Salvatori).
[15] Cfr. Cass., S.U., sent. n. 7958 dell’11 luglio 1992, Delogu.
[16] L’articolo 23, al comma 2, specifica che l'assistenza alle imprese consiste, in particolare, nella raccolta e diffusione, anche in via telematica, delle informazioni concernenti l'insediamento e lo svolgimento delle attività produttive nel territorio regionale, con particolare riferimento alle normative applicabili, agli strumenti agevolativi e all'attività delle unità organizzative comunali disciplinate dall'articolo 24, nonché nella raccolta e diffusione delle informazioni concernenti gli strumenti di agevolazione contributiva e fiscale a favore dell'occupazione dei lavoratori dipendenti e del lavoro autonomo.
[17] Si ricorda brevemente che i consorzi di sviluppo industriale sono stati previsti in origine dall'art. 21 della L. 634/1957, recante interventi per il Mezzogiorno. In seguito, tutte le competenze esercitate dallo Stato nei confronti dei consorzi sono state trasferite alle regioni, ai sensi dell'articolo 65 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. Essi sono stati poi ridefiniti dall’art. 36, comma 4, della legge n. 317/1991.
[18] Per la prassi applicativa si confronti anche la circolare del Ministero del tesoro - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato 29 marzo 1999, n. 21.
[19] Cass., sez. V civ., sent. n. 4567 del 5 marzo 2004, Italkali Soc. Ital. Sali Alcalini S.p.a. c. Ministero dell'economia e delle finanze.
[20] Cass., Sez. I civ., sent. n. 8417 del 4 maggio 2004, soc. COMI s.r.l. c. Ministero della giustizia; Cons. di Stato, Sez. IV, sent. n. 350 del 27 febbraio 1998.
[21] Cass., Sez. I civ., sent. n. 8417 del 4 maggio 2004 cit.
[22] Corte dei conti, Sez. App. I, sent. n. 233 del 10 luglio 2002, Cariello.
[23] Corte cost., sent. 13-19 aprile 1972, n. 67.
[24] Cass. Sez. un. civ., sent. n. 1733 del 7 febbraio 2002.
[25] Il decreto legislativo n. 344 del 2003 è stato emanato in attuazione della legge 7 aprile 2003, n. 80 concernente “Delega al Governo per la riforma del sistema fiscale statale”.
[26] La riforma del sistema fiscale statale ha introdotto un criterio di tassazione dei redditi finanziari al momento della produzione (e quindi in capo alla società partecipata) in luogo del precedente che si riferiva, invece, al momento della distribuzione (ossia in capo ai soci). E’ stata, pertanto, disposta una nuova disciplina in merito alla tassazione dei dividendi e delle plusvalenze, nonché alla deducibilità delle minusvalenze.
[27] Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della L. 3 ottobre 2001, n. 366.
[28] Si tratta, in particolare, di maggiori accantonamenti, ammortamenti e rettifiche di valori specificatamente individuati.
[29] Atto n. 482.
[30] L’esclusione parziale è stata introdotta al fine di evitare la doppia tassazione (a carico della società e a carico del socio) e ha sostituito il precedente meccanismo del credito d’imposta sui dividendi.
[31] Le disposizioni in merito all’esclusione parziale non si applicano nei casi in cui il dividendo non sia assoggettato ad altro regime di imposizione quale, in particolare, quello dell’imposta sostitutiva.
[32] Per una disamina del citato schema di decreto legislativo in materia di rendimento energetico nell’edilizia, si veda il dossier pareri al Governo n. 433. predisposto dal Servizio Studi, Dipartimento attività produttive, in occasione dell’esame del provvedimento.
[33] L’art. 14 del decreto-legge n. 355 del 2003 convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2004, n. 47 aveva già disposto una proroga al 1° gennaio 2005 del termine in questione. La precedente proroga, al 1° gennaio 2004, delle disposizioni del capo V è stata introdotta, per la prima volta, dall’articolo 4 del decreto legge 24 giugno 2003, n. 147, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 200, sulla base del rilevante numero di unità immobiliari ancora da regolarizzare e delle problematiche presentate dal settore dell’impiantistica.
[34] Pubblicato nella Gazzetta ufficiale 26 aprile 1997, n. 96.
[35] Pubblicato nella Gazzetta ufficiale 20 maggio 2005, n. 116.
[36] Per un approfondimento della materia si rinvia al dossier Pareri al Governo n. 398, predisposto dal Servizio Studi, Dipartimento Attività produttive, in occasione dell’esame parlamentare dello schema di deliberazione del Consiglio dei Ministri in materia di definizione dei criteri di privatizzazione e delle modalità di dismissione della partecipazione detenuta da ENI S.p.A. nel capitale di Snam Rete Gas, società operante nell’ambito dell’attività di trasporto e dispacciamento del gas naturale.
[37] Tale definizione, per espressa previsione della norma in commento, vale anche ai fini di quanto previsto dall’articolo 29, comma 2, lett. g) del D.Lgs.112/1998, che riserva allo Stato le funzioni amministrative concernenti le reti di interesse nazionale di gasdotti ed oleodotti.
[38] Tale D.M è stato emanato in attuazione di quanto previsto dal sopra citato art. 9 del D.Lgs.164, il quale demanda ad un decreto del Ministero delle attività produttive, da adottarsi sentita la Conferenza unificata e l'Autorità per l'energia elettrica e il gas, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 164, l’individuazione della rete nazionale di gasdotti, inclusi i servizi accessori connessi. All’aggiornamento della rete si provvede con decreto, con cadenza annuale ovvero su richiesta di un'impresa che svolge attività di trasporto.
[39] D.Lgs. n. 330/2004, recante “Integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, in materia di espropriazione per la realizzazione di infrastrutture lineari energetiche”.
[40] D.P.R 357/2997, “Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche”.
[41] I commi 2, 3 e 5 dell'articolo 30 e il comma 2 dell'articolo 32 del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164 sono stati abrogati dall’art. 30 del D.P.R 327/2001, come modificato dall’art. 1 del D.Lgs.330/2004.
[42] L’articolo 55 del codice della navigazione, rubricato nuove opere in prossimità del demanio marittimo, prevede, al comma 1, che l’esecuzione di nuove opere entro una zona di trenta metri dal demanio marittimo o dal ciglio dei terreni elevati sul mare sia sottoposta all'autorizzazione del capo del compartimento. Per ragioni speciali, secondo il comma 2, in determinate località , la estensione della zona entro la quale l'esecuzione di nuove opere è sottoposta alla predetta autorizzazione può essere determinata in misura superiore ai trenta metri, con decreto del presidente della Repubblica, previo parere del Consiglio di Stato. Ai sensi del comma 3, l'autorizzazione si intende negata se entro novanta giorni l'amministrazione non ha accolta la domanda dell'interessato. Il comma 4 dispone che l'autorizzazione non è richiesta quando le costruzioni sui terreni prossimi al mare sono previste in piani regolatori o di ampliamento già approvati dall'autorità marittima. Quando siano abusivamente eseguite nuove opere entro la zona indicata dai primi due commi dell’articolo in commento, l'autorità marittima ingiunge la rimessione in pristino, ai senti di quanto previsto dall’art. 54 cod. nav.
[43] Si ricorda che la legge 2359/1965 è stata abrogata dall’art. 58 del D.P.R 327/2001.
[44] Per ciò che concerne le infrastrutture lineari energetiche, l’articolo 52 quinquies del D.P.R. 327/2001, come introdotto dal D.Lgs. n. 330/2004, dispone che entro il perimetro della concessione di coltivazione, le opere necessarie per il trasporto e la trasmissione dell’energia sono considerate di pubblica utilità.
[45] Lettera introdotta dall’art. 1 del D.P.R. 11 febbraio 1998.
[46] Quanto alla seconda tipologia di interventi, si ricorda che il DPR 12/4/96, recante: "Atto di indirizzo e coordinamento per l'attuazione dell'art. 40, comma 1, della legge 22 febbraio 1994, n. 146, concernente disposizioni in materia di valutazione d'impatto ambientale", ha conferito alle regioni ed alle province autonome il compito di attuare la direttiva 337/85/CEE in materia di VIA per tutte quelle categorie di opere, elencate in due allegati, A e B della direttiva stessa, non comprese nella normativa statale, ma previste dalla direttiva comunitaria. Le opere dell'allegato A sono sottoposte a VIA regionale obbligatoria (se queste sono localizzate in un parco, ai sensi della Legge 394/91, la soglia dimensionale è dimezzata); le opere dell'allegato B sono sottoposte a VIA regionale obbligatoria, con soglie dimezzate, solo nelle aree a parco, al di fuori dei parchi sono sottoposte ad una fase di verifica per stabilire se sia necessario effettuare la procedura di VIA. Si ricorda, infine, il DPCM 3 settembre 1999 in tema di VIA Regionale che introduce nuove opere (e ne modifica altre) da sottoporre alla procedura valutativa locale. Il provvedimento ha modificato gli allegati A e B del DPR 12 aprile 1996 introducendo 12 nuove categorie di opere e, tra esse, rientra anche l’installazione di oleodotti e gasdotti con la lunghezza complessiva superiore ai 20 km (allegato B).
Si ricorda, infatti, che la direttiva 85/337/CEE prevedeva, all’allegato II, alcune opere, tra le quali figura anche l’istallazione di oleodotti e gasdotti (progetti non compresi nell'allegato I), per le quali ai sensi dell’art. 4, par. 2, della direttiva stessa, spetta alla discrezionalità del singolo Stato decidere se e quale procedura di VIA applicare.
Quanto al termine entro il quale la procedura di VIA nazionale deve essere conclusa, si ricorda che, ai sensi dell’art. 6, comma 4, della legge 8 luglio 1986, n. 349, il Ministro dell'ambiente, sentita la regione interessata, di concerto con il Ministro per i beni culturali e ambientali, si pronuncia sulla compatibilità ambientale nei successivi novanta giorni. Le singole leggi regionali disciplinano, invece, i termini per la conclusione della VIA di competenza regionale.
[47] Cfr. in particolare: TAR Lazio, sez. I, 4 dicembre 1997, n. 2041; TAR Veneto, 22 giugno 2000, n. 1350; TAR Lazio, sez. II bis, 10 ottobre 2001, n. 8416.
[48] Con il termine aree sottoutilizzate viene indicato un ambito territoriale coincidente con quello delle aree depresse. Più precisamente sono comprese nelle aree sottoutilizzate:
1) le aree ammissibili agli interventi degli obiettivi 1 e 2 dei fondi strutturali;
2) le aree ammesse al sostegno transitorio per gli obiettivi 1 e 2;
3) le aree rientranti nelle fattispecie dell'articolo 87, paragrafo 3, lettera c), del trattato CE, vale a dire le aree ammesse al regime di deroga per gli aiuti di Stato a finalità regionale.
[49] Il Fondo per le aree sottoutilizzate (articolo 60, comma 3, legge n. 289/2002) di competenza del Ministero delle attività produttive (c.d. Fondo MAP), è costituito dalle risorse del Fondo unico per gli incentivi alle imprese destinate alle aree sottoutilizzate, relative:
- alle legge n. 488/1992, recante interventi di agevolazione alle attività produttive;
- agli strumenti della programmazione negoziata (contratti di programma, patti territoriali, contratti di area), finanziati a valere sulle risorse della legge n. 208/1998 (ex Fondo aree depresse).
[50] Da ultimo, con la delibera n. 19 del 29 settembre 2004 il CIPE ha stabilito il riparto per il periodo 2004-2007 delle risorse aggiuntive del Fondo per le aree sottoutilizzate come determinate dalla legge finanziaria per il 2004 (legge n. 350/2003).
[51] Lo stanziamento del Fondo nella legge di bilancio per il 2005 (legge n. 312/2004) è pari a 3.443,8 milioni, di cui 474,7 milioni relativi agli interventi di cui alla legge n. 64/1986.
[52] Nella verifica di metà percorso, la Commissione europea ha assegnato, in concertazione con lo Stato membro, per ogni obiettivo, tenendo conto delle sue caratteristiche istituzionali specifiche e della corrispondente sua programmazione, la riserva del 4% ai programmi operativi o ai documenti unici di programmazione che sono considerati efficaci ed efficienti.
[53] Si ricorda che il decreto del Ministro delle attività produttive del 20 aprile 2005 ha disposto che, ai soli fini del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, la data di entrata a regime del mercato elettrico di cui all'art. 5 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, e' fissata al 30 giugno 2005.
[54] Si ricorda che la Legge n. 481/95 “Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità” delinea il quadro generale e le funzioni assegnati all’Autorità per lo sviluppo dei propri interventi di regolazione tariffaria. In particolare, l’Autorità è chiamata a definire i meccanismi per la determinazione di tariffe, intese come prezzi massimi unitari dei servizi al netto delle imposte (articolo 2, comma 17, legge n. 481/95), da applicarsi in maniera uniforme sull’intero territorio nazionale (articolo 3, comma 2, legge n. 481/95). L’articolo 2, comma 12, lettera e), della legge n. 481/95 dispone che l’Autorità stabilisca ed aggiorni, in relazione all’andamento del mercato, la tariffa base, i parametri e gli altri elementi di riferimento per determinare le tariffe, in modo da assicurare la qualità, l’efficienza del servizio e l’adeguata diffusione del medesimo sul territorio nazionale. L’articolo 2, comma 12, lettera d), inoltre, specifica ulteriormente le funzioni di regolazione in capo all’Autorità, prevedendo che questa definisca le condizioni tecnico-economiche di accesso e di interconnessione alle reti.
[55] D.Lgs .n. 387/2003 “Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità”.
[56] Si ricorda che l'art. 10, punto 10.1, della citata deliberazione dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas 23 febbraio 2005, n. 34/05, stabilisce che il provvedimento si applica, per quanto riguarda l'energia elettrica di cui all'art. 13, commi 3 e 4, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, a decorrere dalla data di entrata a regime del mercato elettrico, come verrà individuata dal decreto del Ministro delle attività produttive di cui all'art. 20, comma 1, del medesimo decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387; come sopra accennato, tale ultimo decreto del Ministro delle attività produttive, adottato in data 20 aprile 2005, ha disposto che, ai soli fini del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, la data di entrata a regime del mercato elettrico di cui all'art. 5 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, e' fissata al 30 giugno 2005.
[57] Quanto ai meccanismi di incentivazione delle fonti rinnovabili, il nuovo strumento di incentivazione dell’elettricità prodotta da fonti rinnovabili (c.d. certificati verdi) è stato definito dall’art. 11 del decreto legislativo n. 79 del 16 marzo 1999, di recepimento della direttiva 96/92/CE sul mercato interno dell’energia elettrica, e perfezionato con i successivi decreti ministeriali 11 novembre 1999 e 18 marzo 2002.
Il nuovo criterio adottato per l’incentivazione delle fonti rinnovabili consiste nell’obbligo, a carico dei produttori ed importatori di energia elettrica prodotta da fonti non rinnovabili, di immettere nella rete elettrica, a decorrere dal 2002, una quota minima di elettricità prodotta da impianti alimentati a fonti rinnovabili entrati in esercizio dopo il primo aprile 1999. La quota, inizialmente fissata nel 2%, è applicata sulla produzione e sulle importazioni dell’anno precedente, decurtate dell’elettricità prodotta in cogenerazione, degli autoconsumi di centrale, delle esportazioni, con una “franchigia” di 100 GWh. I decreti 11 novembre 1999 e 18 marzo 2002 definiscono gli impianti che concorrono al conseguimento della quota come quegli impianti alimentati da fonti rinnovabili entrati in funzione dopo il 1 aprile 1999 a seguito di nuova costruzione, potenziamento, rifacimento totale o parziale, riattivazione. Concorre altresì la nuova produzione imputabile a fonte rinnovabile ottenuta, anche in impianti esistenti, mediante co-combustione, cioè combustione contemporanea di combustibili non rinnovabili e di combustibili, solidi, liquidi o gassosi, ottenuti da fonti rinnovabili. L’elettricità prodotta da fonti rinnovabili viene immessa in rete, godendo della precedenza nel dispacciamento. In aggiunta, il GRTN rilascia al produttore, su richiesta e previo riconoscimento all’impianto della qualifica di impianto alimentato da fonti rinnovabili (qualifica IAFR), i certificati verdi (CV), titoli comprovanti la produzione di elettricità da fonti rinnovabili, che costituiscono lo strumento con il quale i soggetti sottoposti all’obbligo della quota minima devono dimostrare di avervi adempiuto. Per i soggetti che non rispettano all’obbligo, la cui verifica di adempienza è affidata al GRTN, il decreto ministeriale 11 novembre 1999 stabilisce sanzioni consistenti nella limitazione dell’accesso al mercato complessivo dell’energia elettrica. I certificati verdi sono commerciabili in un mercato parallelo svincolato da quello dell’elettricità, attraverso la piattaforma di negoziazione (borsa dei CV) organizzata presso la società Gestore del Mercato (GME), oppure mediante contratti bilaterali. L’avvio della borsa dei CV è stato sancito dal decreto ministeriale 14 marzo 2003 . Nel mercato dei certificati verdi la domanda è formulata dai produttori ed importatori soggetti all’obbligo della quota minima; l’offerta è effettuata dai soggetti che producono elettricità da fonti rinnovabili con impianti come in precedenza descritti. Nella fase di avvio del nuovo meccanismo, si è stabilito che gli impianti Cip 6/92 entrati in esercizio dopo il 1 aprile1999 abbiano diritto ai certificati verdi: la proprietà di tali certificati è però attribuita al GRTN, che li immette sul mercato, esclusivamente attraverso la piattaforma del GME, ad un prezzo di offerta fisso, determinato in base alla differenza tra la l’onere di acquisto della relativa elettricità (limitatamente a quella che gode ancora della tariffa incentivante), ed i proventi della vendita della medesima elettricità.
Con questo meccanismo, il valore dell’incentivo, cioè il prezzo del certificato verde, si forma sul mercato. Poiché i certificati verdi non sono differenziati per tecnologia e fonte, vi è competizione non solo tra gli operatori, ma anche tra le diverse tecnologie di sfruttamento delle fonti rinnovabili, per cui ne risultano avvantaggiate le tecnologie a minor costo di produzione dell’energia. A compensazione parziale di questo effetto, sono stati introdotti specifici strumenti a sostegno delle tecnologie più costose: tra essi, si richiamano i programmi di diverse regioni per incentivi in conto capitale, nonché alcune iniziative governative, come quella del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio a sostegno della diffusione del fotovoltaico integrato nelle strutture edilizie.
Altri strumenti importanti per sostenere le rinnovabili meno competitive nell’ambito del meccanismo dei certificati verdi, sono stati introdotti con il decreto legislativo 387/03.
Proprio in virtù di quest’ultimo decreto legislativo, a partire dall'anno 2004 e fino al 2006, la quota d'obbligo è incrementata annualmente di 0,35 punti percentuali (art. 4 comma 1 del D.Lgs. n. 387/2003). Gli incrementi della quota minima d'obbligo per il triennio 2007-2009 e 2010-2012 verranno stabiliti con decreti del Ministero delle attività Produttive.
Tra le disposizioni transitorie e finali di cui all’art. 20 del D.Lgs. n. 387/2003, si conferma in otto anni il periodo di riconoscimento dei certificati verdi , al netto dei periodi di fermo degli impianti, a causa di eventi calamitosi dichiarati tali dalle autorità competenti. I certificati verdi rilasciati per la produzione di energia elettrica in un dato anno possono essere usati per ottemperare all’obbligo relativo anche per i successivi due anni . I soggetti che importano energia elettrica da Stati membri dell'Unione europea, sottoposti all'obbligo della quota minima, di cui all’articolo 11 del D.Lgs. n. 79/99, possono richiedere al Gestore della rete, relativamente alla quota di elettricità importata prodotta da fonti rinnovabili, l'esenzione dal medesimo obbligo.
[58] Vedi Bollettino “Prospettive finanziarie e risorse proprie (2007-2013)” del 27 luglio 2004 a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione europea.
[59] Con il termine comitatologia o comitologia si designano le procedure mediante le quali la Commissione, in base all’articolo 202 del Trattato CE, esercita i poteri ad essa delegati per l’attuazione degli atti comunitari “legislativi”, vale a dire adottati dal Parlamento e dal Consiglio o dal solo Consiglio secondo una delle procedure decisionali previste dal Trattato CE (consultazione, codecisione, cooperazione, parere conforme). Le quattro procedure di comitatologia (consultazione, gestione, regolamentazione e di salvaguardia), attualmente disciplinate dalla decisione del Consiglio n. 1999/468/CE, prevedono l’obbligo della Commissione di sottoporre i progetti di misure di attuazione a comitati composti da funzionari delle amministrazioni nazionali. L’efficacia del parere del comitato dipende dal tipo di procedura di cui l’atto legislativo dispone di volta in volta l’applicazione.
[60] Il 9 febbraio 2005 la Commissione ha presentato una comunicazione relativa alla revisione della strategia europea per lo sviluppo sostenibile. Tale strategiaè stata delineata dalla Commissione in una comunicazione (COM(2001)264)del 15 maggio 2001, presentata al Consiglio europeo di Göteborg (giugno 2001) (vedi il fascicolo relativo alla Commissione ambiente).
[61] Seduta antimeridiana del 6 febbraio 2003.
[62] L’International Maritime Organisation è l’Agenzia delle Nazioni Uniti per la tutela della sicurezza marittima e la difesa dall’inquinamento da navi.
[63] Mozione 1-00108 Turroni ed altri del 16 dicembre 2002.
[64] Mozione 1-00107 Dettori ed altri del 4 febbraio 2003.
[65] L’Agenzia europea per la sicurezza marittima è stata istituita dal regolamento (CE) n. 1406/2002 e avrà sede a Lisbona.
[66] “Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità”.
[67] Sono definite opere della prima categoria, ai sensi dell’art. 4 del R.D. n. 523 del 1904, le opere che hanno per unico oggetto la conservazione dell’alveo dei fiumi di confine.
[68] Appartengono alle opere della seconda categoria, ai sensi dell’art. 5 del R.D. n. 523 del 1904, “a) le opere lungo i fiumi arginati e loro confluenti parimente arginati dal punto in cui le acque cominciano a correre dentro argini o difese continue; e quando tali opere provvedono ad un grande interesse di una provincia; b) le nuove inalveazioni, rettificazioni ed opere annesse che si fanno al fine di regolare i medesimi fiumi.
[69] Il 16 aprile 2002 la Commissione ha presentato la comunicazione relativa alla futura strategia per la protezione del suolo (COM(2002) 179).
[70] La Commissione ha preannunciato la presentazione di sette strategie tematiche nel suo programma di lavoro, nel quadro del sesto programma comunitario d’azione in materia di ambiente: protezione del suolo; prevenzione e riciclaggio dei rifiuti; utilizzo sostenibile delle risorse naturali; utilizzo sostenibile dei pesticidi; qualità dell’aria; protezione e conservazione dell’ambiente marino; ambiente urbano.
[71] Si ricorda, inoltre, che le disposizioni introdotte dai commi 15 e 16 in esame riproducono le norme contenute nell’originario disegno di legge finanziaria per il 2005, A.C. 5310, art. 25, commi 6 e 7, successivamente stralciate dal Presidente della Camera ai sensi dell’articolo 120, comma 2, del Regolamento, e confluite nell’A.C. 5310-quater “Disposizioni in campo ambientale”.
[72] Si tratta del piano finanziario che i comuni e le province predispongono dopo avere operato la ricognizione delle opere di adduzione, di distribuzione, di fognatura e di depurazione esistenti e definito le procedure e le modalità, anche su base pluriennale, per assicurare il conseguimento degli obiettivi previsti dalla stessa legge n. 36. Il piano finanziario, sulla base dei criteri e degli indirizzi fissati dalle regioni, definisce un programma degli interventi necessari e dei relativi costi.
[73] La disciplina di interpretazione e attuazione della previsione costituzionale, ha individuato (comma 18 dell’articolo 3 della legge n. 350/2003), tra l’altro, le operazioni che costituiscono investimento e che, di conseguenza, possono essere finanziate mediante il ricorso all’indebitamento (anche nella forma di accensione di mutui). In base a tale disciplina le regioni e gli enti locali possono indebitarsi soltanto per investimenti da essi effettuati direttamente ovvero per trasferimenti in conto capitale ad altre amministrazioni pubbliche, ma non per trasferimenti in conto capitale a soggetti diversi dalle amministrazioni pubbliche. Su tali disposizioni è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale 16-29 dicembre 2004, n. 425, che ha in generale ritenuto la disciplina conforme al dettato della Costituzione. La Corte ha peraltro dichiarato incostituzionale l’ultimo periodo del comma 17 e il comma 20, laddove attribuiscono al Ministro dell'economia e delle finanze, sentito l'ISTAT, il potere di disporre con proprio decreto modifiche alle tipologie di "indebitamento" e di "investimenti".
Peraltro, l’articolo 3 del D.L. n. 168/2004 (legge n. 191/2004) ha inserito, nell’articolo 3 della legge n. 350/2003 i commi aggiuntivi 21-bis e 21-ter con i quali si prevede la possibilità, per le regioni e le province autonome, di finanziare attraverso l’indebitamento contributi agli investimenti a favore di soggetti privati:
a) corrispondenti ad impegni assunti al 31 dicembre 2003, derivanti da obbligazioni giuridicamente perfezionate e già finanziati con ricorso all’indebitamento; tali impegni devono risultare da apposito prospetto da allegare alla legge di assestamento del bilancio 2004;
b) corrispondenti ad impegni assunti nel corso dell’anno 2004, derivanti da obbligazioni giuridicamente perfezionate; in questo caso gli impegni devono risultare dalla elencazione effettuata nei prospetti dei mutui autorizzati alla data di approvazione della legge di bilancio per l’anno 2004; è esclusa ogni successiva variazione in aumento.
Pertanto se i finanziamenti ai quali erano destinati i limiti di impegno di cui all’articolo 144, comma 7, della legge n. 388/2000 non sono riconducibili alle fattispecie previste dai commi 18, 21-bis e 21-ter dell’articolo 3 della legge n. 350/2003 il finanziamento mediante limiti di impegno non risulta utilizzabile.
[74] Convertito, con modificazioni, dalla legge 18 novembre 1996. n. 582.
[75] Previa intesa di programma con il Ministro dell’ambiente, la regione Lombardia, l’amministrazione comunale competente ed i soggetti proprietari delle aree.
[76] L’art. 114 della legge n. 388 del 2000 (finanziaria per il 2001) ha introdotto anche rilevanti innovazioni alla disciplina generale (in particolare sulla natura contabile delle spese affrontate dall’imprenditore, sulle cause di non punibilità per i reati pregressi, sulla applicazione dell’articolo 9 del D.M. n. 471 del 1999), e l’art. 9 della legge 23 marzo 2001, n. 93, ha recato modifiche di portata più limitata alla disciplina generale delle bonifiche. Si ricorda che l’art. 18 della legge 31 luglio 2002, n. 179, contenente la recente innovazione normativa che disciplina un’alternativa alla procedura di bonifica per i siti “di importanza nazionale”, finalizzata ad attrarre investimenti di capitale privato negli interventi di bonifica.
[77] Il Progetto di bonifica, ai sensi dell’allegato 4, contenente le eventuali misure di sicurezza, è articolato secondo i seguenti tre livelli di successivi approfondimenti tecnici: I. Piano della caratterizzazione; II. Progetto preliminare e III. Progetto definitivo.
[78] Per l’esame e l’approvazione degli elaborati progettuali relativi agli interventi di messa in sicurezza d’emergenza, di caratterizzazione e di bonifica e ripristino ambientale definiti dalla legge n. 426 del 1998, l’art. 10 del D.M. n. 471 del 1999, fa riferimento alle procedure previste dall'art. 14 della legge n. 241 del 1990. L’approvazione del progetto definitivo avviene, invece, a seguito della Conferenza di servizi, con decreto del Ministro dell’Ambiente di concerto con i Ministri dell'industria, del commercio e dell'artigianato e della sanità, d'intesa con la regione territorialmente competente (art. 15, comma 4).
[79] La comunicazione individua quattro temi prioritari nell’ambito della futura strategia tematica sull’ambiente urbano: gestione urbana sostenibile; trasporto urbano sostenibile; edilizia sostenibile e progettazione urbana sostenibile.
[80] Le cinque proposte sono le seguenti:
- proposta di regolamento generale recante norme e principi comuni applicabili al Fondo europeo di sviluppo regionale, al Fondo sociale e al Fondo di coesione (COM(2004) 492, procedura di parere conforme);
- proposta di regolamento sul Fondo europeo di sviluppo regionale (EDER) (COM(2004)495, procedura di codecisione);
- proposta di regolamento sul Fondo sociale europeo (FSE) (COM(2004)493), procedura di codecisione);
- proposta di regolamento sul Fondo di coesione(COM(2004)494, procedura di consultazione);
- proposta di regolamento che istituisce un nuovo strumento giuridico denominato gruppo europeo di cooperazione transfrontaliera (GECT) (COM(2004)496, procedura di codecisione).
[81] Per una descrizione dettagliata delle proposte vedi il dossier n. 21 “I Fondi strutturali 2007-2013. Le proposte della Commissione” a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea.
[82] L’iniziativa comunitaria URBAN, introdotta per la prima volta nel 1994, ha riguardato nel periodo di programmazione 2000-2006 il 44% della popolazione dell’Unione residente in aree urbane con più di 50.000 abitanti e, con i fondi ad essa destinati, sono stati erogati circa 104 milioni di euro annui per progetti in 70 città.
[83] Vedi: Unione europea - Politica regionale “Inforegio - Nota sintetica 2004: La nuova politica di coesione a partire dal 2007”.
[84] Nel dettaglio, l’articolo 13 stabilisce, al comma 1, che per la pubblicità visiva effettuata per conto proprio o altrui all'interno e all'esterno di veicoli in genere, di vetture autofilotranviarie, battelli, barche e simili, di uso pubblico o privato, è dovuta l'imposta sulla pubblicità in base alla superficie complessiva dei mezzi pubblicitari installati su ciascun veicolo nella misura e con le modalità previste dall'art. 12, comma 1; per la pubblicità effettuata all'esterno dei veicoli suddetti sono dovute le maggiorazioni di cui all'art. 12, comma 4. Ai sensi del comma 2, per i veicoli adibiti ad uso pubblico l'imposta è dovuta al comune che ha rilasciato la licenza di esercizio; per i veicoli adibiti a servizi di linea interurbana l'imposta è dovuta nella misura della metà a ciascuno dei comuni in cui ha inizio e fine la corsa; per i veicoli adibiti ad uso privato l'imposta è dovuta al comune in cui il proprietario del veicolo ha la residenza anagrafica o la sede. Secondo il comma 3, per la pubblicità effettuata per conto proprio su veicoli di proprietà dell'impresa o adibiti ai trasporti per suo conto, l'imposta è dovuta per anno solare al comune ove ha sede l'impresa stessa o qualsiasi altra sua dipendenza, ovvero al comune ove sono domiciliati i suoi agenti o mandatari che alla data del primo gennaio di ciascun anno, o a quella successiva di immatricolazione, hanno in dotazione detti veicoli, secondo la seguente tariffa:
a) per autoveicoli con portata superiore a 3.000 kg: L. 144.000;
b) per autoveicoli con portata inferiore a 3.000 kg: 96.000;
c) per motoveicoli e veicoli non ricompresi nelle due precedenti categorie: 48.000. Per i veicoli circolanti con rimorchio la tariffa di cui al presente comma è raddoppiata.
Il comma 4 precisa che per i veicoli di cui al comma 3 non è dovuta l'imposta per l'indicazione del marchio, della ragione sociale e dell'indirizzo dell'impresa, purché sia apposta non più di due volte e ciascuna iscrizione non sia di superficie superiore a mezzo metro quadrato. Ai sensi del comma 4-bis, l'imposta non è dovuta altresì per l'indicazione, sui veicoli utilizzati per il trasporto, della ditta e dell'indirizzo dell'impresa che effettua l'attività di trasporto, anche per conto terzi, limitatamente alla sola superficie utile occupata da tali indicazioni. Il comma 5 fa obbligo di conservare l'attestazione dell'avvenuto pagamento dell'imposta e di esibirla a richiesta degli agenti autorizzati.
[85] L’esercizio della potestà regolamentare generale delle province e dei comuni relativamente alle loro entrate è disciplinato dall’articolo 52 del medesimo decreto legislativo n. 446 del 1997. Esso stabilisce che le province e i comuni possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, ad eccezione di ciò che attiene all’individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi, nel rispetto delle esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti. Per quanto non regolamentato si applicano le disposizioni di legge vigenti. I regolamenti sono approvati con deliberazione del comune o della provincia non oltre il termine di approvazione del bilancio di previsione e non hanno effetto prima del 1° gennaio dell’anno successivo. I regolamenti sulle entrate tributarie sono comunicati al Ministero delle finanze, unitamente alla relativa delibera comunale o provinciale, entro trenta giorni dalla data in cui sono divenuti esecutivi, e sono resi pubblici mediante avviso nella Gazzetta ufficiale. Nelle province autonome di Trento e di Bolzano, i regolamenti sono adottati in conformità alle disposizioni dello statuto e delle relative norme di attuazione. Il Ministero delle finanze può impugnare i regolamenti sulle entrate tributarie, per vizi di legittimità, avanti gli organi di giustizia amministrativa. Sono infine stabiliti criteri cui i regolamenti debbono attenersi nel disciplinare l’accertamento e la riscossione dei tributi e delle altre entrate.
[86] La Nuts (Nomenclature of territorial units for statistics) è una classificazione secondo la quale ogni Stato membro della UE viene ripartito in macroregioni di livello Nuts-1, a loro volta suddivise in un maggiore numero di aree di livello Nuts-2 e - ad un livello territoriale ancora più disaggregato - Nuts-3. L’ultima suddivisione Nuts (risalente al 2003) ha ripartito il territorio dell’Unione in 72 regioni al livello NUTS 1, in 213 regioni al livello NUTS 2 e in 1091 regioni al livello NUTS 3.
[87] Recante il “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59).
[88] Il comma è stato modificato dall’art. 156 del D.Lgs 385/93 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), successivamente integrato dall’art. 36 del D.Lgs. 342/99 (Modifiche al D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia).
[89] D.M. 3 giugno 2003, recante “Utilizzo dello stanziamento di € 10.329.137,98 (lire venti miliardi), di cui alla legge n. 266 del 1999, per il sostegno degli interventi delle piccole e medie imprese italiane nella Repubblica federale di Jugoslavia”; cfr, anche l'art. 1 del D.M. 27 gennaio 2004 e l'art. 1 del D.M. 9 giugno 2004.
[90] Gli oneri derivanti dall'applicazione del D.L. n. 120/89 gravano su una apposita sezione del Fondo speciale rotativo per l’innovazione tecnologica (FIT) istituita dall’articolo 1, comma 9, del D.L. n. 396 del 20 giugno 1994, recante “Disposizioni urgenti per l'attuazione del piano di ristrutturazione del comparto siderurgico”, sulla quale venivano fatte affluire le somme iscritte al capitolo 7063 dello stato di previsione della spesa del Ministero dell’industria (ora delle attività produttive) intestato al "Fondo speciale di reindustrializzazione", istituito dall’art. 7 del D.L., nonché le somme che a detto capitolo affluivano ai sensi del D.L. n. 410/93 ("Interventi a sostegno dell'occupazione nelle aree di crisi siderurgica"), conv. con modif. dalla legge 481 del 1994.
[91] Il citato articolo 5 del D.L. n. 120/89 contiene la previsione dei programmi di reindustrializzazione e promozione industriale nelle aree di crisi siderurgica e relative integrazioni e aggiornamenti (commi 1 e 2). Il comma 3 dell’articolo prevede che, ai fini dell'attribuzione delle agevolazioni, il programma speciale di reindustrializzazione indichi, con riferimento a ciascuna iniziativa produttiva da localizzare nei comuni interessati, la misura minima del personale siderurgico esuberante da assumere, pena la decadenza dal beneficio dell'incentivazione aggiuntiva di cui all'articolo. Infine, al comma 3-bis stabilisce che le opere occorrenti per il primo impianto e per l'ampliamento degli immobili aziendali relativi all'insediamento delle iniziative di cui al comma 1 siano dichiarate di pubblica utilità, urgenti e indifferibili.
[92] Legge 29 luglio 2003, n. 229, Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione – Legge di semplificazione 2001.
[93] Sullo schema di decreto legislativo recante il Codice dell’amministrazione digitale, La 1ª Commissione del Senato ha espresso parere favorevole condizionato, con osservazioni e raccomandazioni, il 23 febbraio 2005; la I Commissione della Camera ha espresso parere favorevole con osservazioni il 1° marzo 2005. Per approfondimenti sul contenuto dello schema si può consultare il Dossier pareri al Governo del Servizio studi n. 383 del 14 febbraio 2005. NeI dossier si rinviene anche un’ampia scheda sui contenuti e gli strumenti delle politiche di e-government e di sviluppo della società dell’informazione perseguite dal Governo nel corso della legislatura.
[94] Legge 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.
[95] Legge 11 febbraio 2005, n. 15, Modifiche ed integrazioni alla L. 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa.
[96] Si tratta degli identici emendamenti Ricciotti 8. 21, 8.24 del relatore per la I Commissione ed Alberto Giorgetti 8.26, nonché dell’emendamento Blasi 8.5.
[97] D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa (Testo A).
[98] D.L. 14 marzo 2005, n. 35, Disposizioni urgenti nell’àmbito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.
[99] Recante Attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio.
[100] Decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 463, recante “Semplificazione in materia di versamenti unitari per tributi determinati dagli enti impositori e di adempimenti connessi agli uffici del registro, a norma dell'articolo 3, comma 134, lettere f) e g), della legge 23 dicembre 1996, n. 662”. L’articolo 3-bis è stato aggiunto dall'articolo 1 del D.Lgs. 18 gennaio 2000, n. 9.
[101] L’espressione “reddito in natura” non compare nel D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, Testo unico delle imposte sui reddito - TUIR.
[102] Ai sensi dell’articolo 73 del TUIR sono soggetti all'imposta sul reddito delle società (IRES):
a) le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative e le società di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato;
b) gli enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali;
c) gli enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali;
d) le società e gli enti di ogni tipo, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato.
[103] Si ricorda infatti che, ai sensi dell’articolo 51, comma 1, del TUIR, tutte le somme e i valori percepiti, a qualunque titolo, dal lavoratore dipendente in relazione al rapporto di lavoro (c.d. fringe benefits) costituiscono reddito di lavoro dipendente e come tale sono soggetti ad imposizione. I successivi commi 2 e 2-bis dello stesso articolo 51 indicano le somme e i valori che non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente, mentre i commi da 3 a 9 dettano criteri per la determinazione in denaro dei valori di cui al comma 1.
In mancanza di espressa indicazione in senso contrario, la differenza tra il prezzo di mercato del personal computer e degli annessi programmi di funzionamento e il prezzo di cessione da parte del datore di lavoro, costituirebbe, per il lavoratore acquirente, reddito di lavoro dipendente da assoggettare a tassazione.
[104] L’imposta sul reddito delle società non si applica agli organi e alle amministrazioni dello Stato, compresi quelli ad ordinamento autonomo, anche se dotati di personalità giuridica, ai comuni, ai consorzi tra enti locali, alle associazioni e agli enti gestori di demanio collettivo, alle comunità montane, alle province e alle regioni.
[105] A tal fine devono essere computate anche le cessioni di oro, di cui all’articolo 17, quinto comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, mentre non si tiene conto degli acquisti, delle importazioni e delle cessioni di beni ammortizzabili (articolo 3, comma 6, del D.L. n. 250 del 1995, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 349 del 1995).
[106] Si rileva che il testo normativo non impiega mai l’espressione “monofase” con riferimento all’IVA. Tale espressione è invece utilizzata dalla dottrina, e particolarmente dalla scienza delle finanze. In tale ambito le imposte sui consumi sono definite monofase quando l’imposta si commisura al prodotto o servizio in una sola fase del processo produttivo, sull’intero suo valore. Sono invece plurifase le imposte pagate da tutte le imprese che partecipano al ciclo di produzione e distribuzione del bene e assolte ogni volta che il bene viene ceduto.
[107] Le operazioni non imponibili, rientrando nel campo di applicazione dell’imposta ed essendo soggette agli obblighi di fatturazione e registrazione, concorrono alla formazione del volume d’affari, ma non sono assoggettate all’imposta.
[108]Ministero delle finanze, Dir. AA.GG. e cont. trib., Ris. n. 17/E-12-19106 del 19 marzo 1998. Soluzioni diverse erano state prospettate dalla stessa direzione generale nella nota n. 1467 del 26 aprile 1994.
[109] Si osserva, inoltre, che un confronto tra i contenuti del Regolamento EMAS e quelli della norma ISO 14001 non può prescindere dagli aspetti di "immagine", in effetti l'unico punto su cui i due testi si differenziano.
La certificazione ISO 14001 è, infatti, uno standard internazionale, e come tale è riconosciuto praticamente ovunque, ma i consumatori o le pubbliche autorità non sono sempre informati e consapevoli di cosa significhi l'aver ottenuto una certificazione ISO 14001. L'EMAS, d'altro canto, è invece un regolamento europeo, quindi il campo di validità è teoricamente più ristretto, ma salvo per chi ha l'esigenza di avere rapporti commerciali al di fuori dell'Europa, presenta in termini di immagine un innegabile vantaggio.
[110] L’art. 42 della L. 128/1998 ha delegato il Governo ad emanare, entro un anno dalla data di entrata in vigore del provvedimento, un decreto legislativo per adeguare la legge 30 gennaio 1968, n. 46, recante la disciplina dei titoli e dei marchi di identificazione dei metalli preziosi, ai princìpi comunitari, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi: a) modificare e ampliare la gamma dei titoli legali dei metalli preziosi e delle loro leghe, tenuto conto di quelli riconosciuti ufficialmente negli altri Stati membri dell'Unione europea e della loro diffusione nella pratica commerciale; b) riconoscere validità alle marcature di contenuto equivalente a quelle nazionali, apposte conformemente alle normative di altri Stati membri dell'Unione europea; c) modificare e integrare la disciplina del marchio di responsabilità, prevedendo anche procedure di valutazione della conformità in linea con quelle previste in sede comunitaria, in modo da assicurare un elevato livello di tutela dei consumatori e di trasparenza nelle transazioni commerciali. Si ricorda che la L. n. 46/1968 è stata abrogata dall’art. 28 del D.Lgs. 251/1999.
[111] D.P.R. 150/2002 pubblicato sulla G.U. il 25 luglio 2002.
[112] Il D.Lgs. in commento, in deroga alla previsione sopra citata, per la quale gli oggetti in metallo prezioso importati da uno Stato estero non appartenente all’UE o allo Spazio economico europeo, debbono riportare tra l’altro il marchio di identificazione dell’importatore, prevede una norma di reciprocità per cui gli oggetti in metallo prezioso, quando rechino già l'impronta del marchio di responsabilità previsto dalla normativa di uno Stato estero non appartenente alla Unione europea o allo Spazio economico europeo, nel quale tale marchio sia obbligatorio e garantisca il titolo del metallo, e che sia depositato in Italia o nello Spazio economico europeo, possono non recare il marchio di identificazione dell'importatore, allorché risulti che lo Stato estero di provenienza accordi analogo trattamento agli oggetti fabbricati in Italia e in esso importati e sempre che i titoli garantiti ufficialmente siano corrispondenti o superiori a quelli previsti dal decreto in esame(art. 5, comma 3).
[113] Alla domanda è allegata copia della licenza all’esercizio dell’attività di fabbricazione di oggetti preziosi rilasciata dal questore, ex art. 127 T.U.L.P.S , r. d n. 773 del 18 giugno 1931. La licenza non è peraltro richiesta per coloro che sono iscritti all’albo delle imprese artigiane. Oltre a questa, il richiedente deve allegare la quietanza di versamento del diritto di saggio e marchio di euro 65,00 per aziende artigiane iscritte all'Albo Imprese Artigiane e per Laboratori annessi ad aziende commerciali; euro 258,00 per aziende industriali; euro 516,00 per aziende industriali con oltre 100 dipendenti. Il marchio viene dato in concessione ed è soggetto a rinnovo annuale previo pagamento di un diritto pari alla metà di quelli di cui sopra che deve essere versato entro il mese di gennaio di ciascun anno. Il registro degli assegnatari dei marchi di identificazione è pubblico ed è aggiornato a cura della camera di commercio competente e può essere consultato su tutto il territorio nazionale dalla pubblica amministrazione, anche per via telematica ed informatica (art. 14, co. 3 e 4).
[114] L’art. 128 T.U.L.P.S. prevede, in particolare, che i fabbricanti, i commercianti, i mediatori di oggetti preziosi debbano tenere un registro delle operazioni che compiono giornalmente, in cui sono annotate le generalità di coloro con i quali le operazioni sono compiute. Tale registro deve essere esibito agli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza, ad ogni loro richiesta. Le persone che compiono operazioni con gli esercenti sopraindicati, sono tenute a dimostrare la propria identità nei modi prescritti.
[115] L’art. 57 c.p.p definisce gli ufficiali e gli agenti polizia giudiziaria, prevedendo, al comma 3, che sono ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, nei limiti del servizio cui sono destinate e secondo le rispettive attribuzioni, le persone alle quali le leggi e i regolamenti attribuiscono le funzioni previste dall’art. 55 c.p.p.
[116] La domanda di abilitazione è presentata alla Camera di commercio competente per territorio, ed è corredata della documentazione comprovante:
a) la dotazione organica del personale addetto al laboratorio con le relative qualifiche professionali:
b) l'attrezzatura del laboratorio destinato alle operazioni di saggio dei singoli metalli preziosi, per i quali viene richiesta l'abilitazione.
Al personale del laboratorio abilitato è inoltre fatto divieto di : esercitare, sia in proprio, direttamente o indirettamente, sia alle dipendenze di terzi o in collaborazione o società con terzi, qualsiasi attività di commercio o lavorazione nel settore dei metalli preziosi; eseguire, in proprio, nel laboratorio al quale è addetto, analisi e ricerche che non siano per conto del laboratorio stesso. Il personale è inoltre tenuto al rispetto del segreto professionale (art. 18, co. 3 e 4).
[117] In occasione dell’avvio dell’esame della suddetta proposta di legge il Servizio studi ha predisposto il dossier “Progetti di legge” n. 755 del 23 maggio 2005, cui si rinvia per un approfondimento della tematica inerente i metalli preziosi.
[118] Legge 31 marzo 2005, n. 56, recante " Misure per l’internazionalizzazione delle imprese, nonché delega al Governo per il riordino degli enti operanti nel medesimo settore " (GUn. 91 del 20 aprile 2005 - SO n. 69). Il comma 2 dell’articolo 7 della legge dispone l’aggiunta di due ulteriori lettere (h-ter e h-quater) ad integrazione del comma 2, art. 1, della legge 100/90. Ulteriori modificazioni sono introdotte dai successivi commi 3-5 del citato articolo 7. In particolare, il comma 3 elimina il divieto che gli interventi della SIMEST riguardino i Paesi membri dell'Unione europea, abrogando al contempo la disposizione che obbligava tali interventi, per i primi due anni, a riguardare in via prioritaria le iniziative effettuate in Polonia, Ungheria e altri Paesi dell'Europa Orientale, ora membri dell'Unione Europea. La nuova previsione dispone, infine, che il CIPE possa individuare Paesi o aree geografiche di interesse prioritario ai fini degli interventi della SIMEST.Il comma 4, introduce un comma 1- bis all’articolo 3 della legge n. 100/99 diretto ad incrementare le quote di partecipazioni che possono essere acquisite dalla SIMEST sino al 49% del capitale qualora l'oggetto delle partecipazioni sia la costituzione di parchi industriali, destinati a promuovere e accogliere gli investimenti all'estero delle imprese italiane. Il comma 5, infine, prevede che per la corresponsione di contributi agli interessi agli operatori italiani a fronte di operazioni di finanziamento della loro quota di capitale di rischio nelle società o imprese all'estero partecipate dalla SIMEST Spa, da parte del soggetto gestore del fondo di cui all'art. 3 della L. n. 295/73 (Fondo del Mediocredito centrale),introduce il requisito della sede in Paesi non facenti parte dell'Unione Europea per le società o imprese partecipate dalla Simest. (Per un approfondimento del contenuto della legge si rinvia al dossier disposto dal Servizio studi in occasione dell’esame in seconda lettura del provvedimento presso la Camera dei deputati: “Progetti di legge” n. 550/1 30 novembre 2004).
[119] Le sanzioni amministrative possono anche non essere pecuniarie ma di tipo interdittivo: si pensi alla sospensione o decadenza da licenze o concessioni e, in genere, nella privazione di un diritto o di una capacità nei confronti di chi abbia trasgredito un precetto.
[120] Il comma fa specifico riferimento all’articolo 32 della legge n. 219 del 1981, con il quale si stabiliva che le regioni Basilicata e Campania, entro 60 giorni dall'entrata in vigore della stessa legge, per incentivare gli insediamenti industriali di media e piccola dimensione nonché quelli commerciali di ambito sovracomunale, individuassero le aree a tal fine destinate. Con il medesimo articolo si disponeva inoltre in ordine al finanziamento delle opere necessarie all’insediamento e ai servizi di impianti industriali, nonché alle agevolazioni per gli investimenti diretti alla realizzazione di nuovi stabilimenti.
[121] E’ stata prevista, a tal fine, una procedura di individuazione degli interventi da finanziare in via prioritaria, che coinvolge le amministrazioni regionali e centrali.
Tali amministrazioni, sulla base dello stato di impiego delle risorse loro assegnate, sono tenute ad evidenziare al CIPE gli interventi per i quali intendono accelerare l'iter di spesa, specificandone:
a) i risultati economici e sociali attesi;
b) la sequenza temporale dei relativi programmi di attività e di spesa.
[122] Recante ”Disposizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati”.
[123] I Paesi che aderiscono all'iniziativa Eureka attualmente sono l’Unione Europea ed i seguenti 35 paesi : Austria, Belgio, Cipro, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Islanda, Israele, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Russia, Serbia e Montenegro, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria, San Marino e il Principato di Monaco da gennaio 2005.
E’ paese associato il Marocco, e sono “national information point” l’Albania, la Bulgaria, l’Ucraina.
[124] In aggiunta a questi progetti tradizionali, nell’ambito dell’iniziativa Eureka, sono attivi i progetti Cluster dedicati ad attività strategiche. Inoltre, sono attivi, alcuni “progetti ombrello” che hanno la sola funzione di stimolare la generazione di progetti di ricerca e sviluppo per aree tematiche.
[125] Stando ai dati forniti in occasione dell’ultima Conferenza Ministeriale, svoltasi a Parigi il 18 giungo 2004, l’investimento globale in Eureka, a partire dal 1985, ha raggiunto 22 miliardi di euro (da finanziatori pubblici e privati). Dal dossier predisposto dall’Ufficio Eureka italiano, presso il MIUR, in occasione della suddetta Conferenza, è evidenziato come, all’inizio del giugno 2004, il portafoglio Eureka abbia raggiunto 2.172 progetti, di cui 1.455 finiti, 547 in corso e 170 in attesa di approvazione da parte degli Alti Rappresentanti Eureka. I progetti in corso vedono la partecipazione di circa 2.400 partners con il 65% di provenienza industriale, di cui circa 1000 PMI (cfr. documentazione allegata alla presente scheda). L’Italia partecipa a 416 progetti (in corso e finiti ) con un impegno finanziario di circa 2.600 Meuro.
[126] Il Governo italiano, nella relazione annuale sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea nel 2004, sottolinea che la proposta prevede, in certi casi, l’imposizione delle norme di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle società, norme che risultano estranee alla nostra legislazione.
[127] I fondi relativi ai dirigenti possono essere costituiti mediante accordi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori e dei dirigenti comparativamente più rappresentative oppure come apposita sezione all'interno dei fondi interprofessionali nazionali.
[128] L'addizionale è posta con riferimento ai contributi per l'assicurazione contro la disoccupazione.
[129] Per la disciplina in materia, cfr. - oltre al citato art. 118 della L. n. 388, e successive modificazioni - l'art. 9, comma 5, del D.L. 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, nella L. 19 luglio 1993, n. 236, e l'art. 1, comma 72, della L. 28 dicembre 1995, n. 549.
[130] Tale Fondo è istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
[131] Tale limite è previsto dal combinato disposto dei commi 3 e 10 del suddetto art. 118 della L. n. 388, e successive modificazioni.
[132] Tale Fondo è istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze.
[133] In attuazione dei suddetti commi è stato emanato il D.M. 23 aprile 2003.
[134] Pubblicata nella Gazzetta ufficiale del 2 febbraio 2005.
[135] La Corte ha rilevato come la disciplina dei fondi incida su diverse materie contemplate dall’art. 117 della Costituzione, alcune di competenza esclusiva dello Stato, altre di competenza residuale esclusiva delle Regioni. In particolare, tale disciplina incide sulle materie di competenza esclusiva statale dell’«ordinamento civile» (art. 117, secondo comma, lett. l), Cost.) - in ragione del carattere nazionale dei fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua e della natura nazionale dell’attività svolta dai soggetti privati che li istituiscono – e della «previdenza sociale» (art. 117, secondo comma, lett. o), Cost.) – in considerazione del fatto che i fondi gestiscono i contributi dovuti dai datori di lavoro ad essi aderenti, ai sensi della legislazione in materia di assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione. Essa incide peraltro con tutta evidenza sulla materia della «formazione professionale», di competenza residuale esclusiva delle Regioni. Secondo la Corte dunque, «la riserva alla competenza legislativa regionale residuale della “formazione professionale” non può precludere allo Stato la competenza di riconoscere a soggetti privati la facoltà di istituire, in tale materia, fondi operanti sull'intero territorio nazionale, di specificare la loro natura giuridica, di affidare ad autorità amministrative statali poteri di vigilanza su di essi, anche in considerazione della natura previdenziale dei contributi che vi affluiscono. E' evidente, peraltro, che un tale intervento legislativo dello Stato … deve rispettare la sfera di competenza legislativa spettante alle Regioni in via residuale (o, eventualmente, concorrente). Nella specie, viceversa, la normativa impugnata è strutturata come se dovesse disciplinare una materia integralmente devoluta alla competenza esclusiva dello Stato.» Il legislatore avrebbe dovuto invece «articolare siffatta normativa in modo da rispettare la competenza legislativa delle Regioni a disciplinare il concreto svolgimento sul loro territorio delle attività di formazione professionale, e in particolare prevedere strumenti idonei a garantire al riguardo una leale collaborazione fra Stato e Regioni.».
[136] Tale Osservatorio è istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ai sensi del comma 2 del citato art. 118 della L. n. 388.
[137] L’articolo 49, al riguardo, fa impropriamente riferimento a determinati principi, dettando di fatto la disciplina dell’apprendistato professionalizzante. Si ricorda, in proposito, che ai fini della validità del contratto è richiesta la forma scritta del contratto stesso; il divieto di stabilire il compenso dell’apprendista secondo tariffe di cottimo; la possibilità per il datore di lavoro di recedere dal rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato; la possibilità di sommare i periodi di apprendistato svolti nell’ambito del diritto-dovere di istruzione e formazione con quelli dell’apprendistato professionalizzante, rispettando il limite massimo di durata; il divieto, per il datore di lavoro, di recedere dal contratto di apprendistato in assenza di una giusta causa o di un giustificato motivo.
[138] Tali principi sono:
- previsione di un monte ore di formazione formale, interna o esterna alla azienda, di almeno centoventi ore per anno, per la acquisizione di competenze di base e tecnico-professionali;
- rinvio ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative per la determinazione, anche all'interno degli enti bilaterali, delle modalità di erogazione e della articolazione della formazione, esterna e interna alle singole aziende, anche in relazione alla capacità formativa interna rispetto a quella offerta dai soggetti esterni;
- riconoscimento sulla base dei risultati conseguiti all'interno del percorso di formazione, esterna e interna alla impresa, della qualifica professionale ai fini contrattuali;
- registrazione della formazione effettuata nel libretto formativo;
- presenza di un tutore aziendale con formazione e competenze adeguate.
[139] In particolare, eccezioni al regime della insequestrabilità sono dettate dall’articolo 2 del DPR 180, in base al quale gli stipendi, i salari e le retribuzioni equivalenti, nonché le pensioni, le indennità che tengono luogo di pensione e gli altri assegni di quiescenza corrisposti dallo Stato e dagli altri enti, aziende ed imprese indicati nell'art. 1, sono soggetti a sequestro ed a pignoramento nei seguenti limiti e per le seguenti cause:
1. fino alla concorrenza di un terzo valutato al netto di ritenute, per causa di alimenti dovuti per legge;
2. fino alla concorrenza di un quinto valutato al netto di ritenute, per debiti verso lo Stato e verso gli altri enti, aziende ed imprese da cui il debitore dipende, derivanti dal rapporto d'impiego o di lavoro;
3. fino alla concorrenza di un quinto valutato al netto di ritenute, per tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, facenti carico, fin dalla loro origine, all'impiegato o salariato.
Il sequestro ed il pignoramento, per il simultaneo concorso delle cause indicate ai numeri 2 e 3, non possono colpire una quota maggiore del quinto sopra indicato, e, quando concorrano anche le cause di cui al numero 1, non possono colpire una quota maggiore della metà, valutata al netto di ritenute, salve le disposizioni specifiche per il caso di concorso anche di vincoli per cessioni e delegazioni.
E’ opportuno ricordare, in proposito, che la Corte costituzionale, con sentenza 20 novembre-4 dicembre 2002, n. 506, ha dichiarato, tra l'altro, in applicazione dell'articolo 27, L. 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità degli articoli 1 e 2, primo comma, del D.P.R. 180 nella parte in cui escludono la pignorabilità per ogni credito dell'intero ammontare di pensione, indennità che ne tengono luogo ed altri assegni di quiescenza erogati ai dipendenti dai soggetti individuati dall'art. 1, anziché prevedere l'impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte delle pensioni, indennità o altri assegni di quiescenza necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte.
[140] Comma 1, lettera a).
[141] Ai sensi del richiamato articolo 106, l'esercizio nei confronti del pubblico delle attività di assunzione di partecipazioni, di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, di prestazione di servizi di pagamento e di intermediazione in cambi è riservato a intermediari finanziari iscritti in un apposito elenco tenuto dall'UIC. Gli intermediari finanziari indicati in precedenza possono svolgere esclusivamente attività finanziarie, fatte salve le riserve di attività previste dalla legge.
L'iscrizione nell'elenco è subordinata al ricorrere delle seguenti condizioni:
a) forma di società per azioni, di società in accomandita per azioni, di società a responsabilità limitata o di società cooperativa;
b) oggetto sociale conforme alle attività indicate;
c) capitale sociale versato non inferiore a cinque volte il capitale minimo previsto per la costituzione delle S.p.A.;
d) possesso da parte dei partecipanti al capitale e degli esponenti aziendali dei requisiti previsti dai successivi articoli 108 e 109.
[142] Si ricorda, inoltre, che l’art. 24 del Testo Unico, con riferimento agli impiegati e salariati statali dispone che non possono ottenere prestiti da estinguersi con quote dello stipendio o del salario, oltre a coloro che non comprovino di avere una sana costituzione fisica o siano ancora soggetti agli obblighi di leva, anche:
1. gli impiegati che abbiano compiuto il sessantacinquesimo anno di età o che lo compiano entro il mese successivo a quello in cui il prestito dovrebbe concedersi,
2. i salariati che abbiano compiuto, o compiano nello anzidetto termine, sessanta anni di età, se uomini e cinquantacinque, se donne;
3. coloro che non siano in attività di servizio.
Inoltre l’articolo 43 dispone che, qualora il dipendente sia cessato dal servizio prima di aver estinto la cessione del prestito, lo stesso potrà essere trattenuto sulla pensione o altro assegno continuativo equivalente in misura non superiore al quinto dell’importo. Nel caso in cui la cessazione dal servizio dia diritto, anziché alla pensione o all’assegno continuativo, ad una somma da erogarsi una tantum, tale somma potrà essere decurtata fino alla concorrenza dell’intero debito residuo per cessione.
Si ricorda che i pensionati delle pubbliche amministrazioni indicate nell’articolo 1 del D.P.R. 180 del 1950 possono rilasciare una delega per il pagamento di quote del prezzo o del canone di locazione per alloggi popolari o economici fino alla metà della pensione (articolo 58), e i pensionati dello Stato possono rilasciare delega agli istituti di credito per quote mensili di pensione entro il limite di un quinto per il pagamento di somme dovute in dipendenza di sottoscrizione rateale ai prestiti nazionali promossa dai medesimo enti creditizi (articolo 65).
Infine, l’articolo 54 del D.P.R. 180 del 1950 ha previsto che la cessione di quote di stipendio o salario effettuata ai sensi del Titolo II e del Titolo III debba essere garantita da un’assicurazione sulla vita che ne garantisca il recupero qualora, in caso di cessazione o riduzione dello stipendio o del salario o per un trattamento di quiescenza insufficiente, non sia possibile continuare l’ammortamento del prestito o il recupero del credito residuo
[143] Si ricorda che l’art. 13 del citato Testo Unico prevede la possibilità di contrarre prestiti da estinguersi con cessione di quote dello stipendio o salario solo per gli impiegati e salariati delle Amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo, assunti o confermati in servizio con contratto a tempo determinato, a condizione che abbiano compiuto quattro anni di effettivo servizio ed abbiano un contratto di durata non inferiore a tre anni, che assicuri ad essi il diritto a un trattamento di quiescenza od altro equivalente. La cessione non può in ogni caso eccedere il periodo di tempo che, a contare dal momento dell'operazione, deve ancora trascorrere per la scadenza del contratto in corso.
[144] La durata della cessione – il cui importo sarà calcolato sul compenso percepito dai soggetti al netto delle ritenute fiscali - non potrà superare il periodo di tempo che, al momento dell’operazione, manca alla scadenza del contratto di lavoro.
[145] Al riguardo si rileva che l’art. 545 c.p.c. dispone che non possono essere pignorati i crediti alimentari, tranne che per cause di alimenti, e sempre con l'autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato e per la parte determinata mediante apposito decreto; non possono essere pignorati inoltre i sussidi di grazia o di sostentamento in favore di persone comprese nell'elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie o funerali da casse di assicurazione, enti di assistenza o istituti di beneficenza.
Le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura autorizzata dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato. Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito. Il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause sopra indicate non può estendersi oltre alla metà dell'ammontare delle somme predette. Restano in ogni caso ferme le altre limitazioni contenute in speciali disposizioni di legge.
[146]La struttura trilaterale è determinata dalla possibile presenza di una società di leasing che acquista il bene per concederlo in locazione all’utilizzatore.
[147] D.M. 2 luglio 2004, Interventi, per l'anno 2004, del piano triennale 2004-2006 per la protezione delle risorse acquatiche, nell'ambito di politiche a sostegno della pesca responsabile.
[148]Si veda il dossier “I fondi strutturali 2007-2013 – Le proposte della Commissione” (Documentazione sulle politiche comunitarie, n. 21), a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione europea.
[149]Sulla proposta di regolamento relativo al nuovo fondo europeo per la pesca si veda il dossier “La riforma degli strumenti finanziari per l’agricoltura e la pesca (2007-2013) – Le proposte della Commissione europea” del 23 settembre 2004 (Documentazione sulle politiche comunitarie, n. 22), a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione europea.
[150] Si veda ad esempio il rapporto World energy, technology and climate policy outlook 2030 della Commissione europea.
[151]Secondo la Commissione, le tecnologie per l’idrogeno e le celle a combustibile dovrebbero costituire parte integrante dei futuri sistemi energetici sostenibili, al fine di contribuire al miglioramento della sicurezza energetica e della qualità dell’aria in Europa e alla lotta contro i cambiamenti climatici. Nell’ambito di questa piattaforma, il 18 marzo 2004, la Commissione ha promosso l’iniziativa “quick start” nel settore dell’idrogeno e delle celle a combustibile, che beneficerà di investimenti pari a 300 milioni di euro, di cui 150 provenienti dal bilancio comunitario. Questi stanziamenti andranno ad aggiungersi ai 100 milioni di euro già destinati dall’UE ai progetti di ricerca in questo settore nell’ambito del sesto programma di ricerca e sviluppo tecnologico e ad altri 100 milioni di euro provenienti dal settore privato. Tale iniziativa costituisce la fase iniziale di un’iniziativa più vasta nel settore dell’economia dell’idrogeno individuata nel programma “quick start”, presentato l’11 novembre 2003 dalla Commissione europea nel quadro dell'Azione europea per la crescita, promossa dalla Presidenza italiana e dalla Commissione nel luglio 2003 e rientrante nell’ambito delle azioni volte a far progredire la strategia di Lisbona; l’Azione individua una serie di misure finanziarie e normative, da attuare in cooperazione con la BEI, volte a favorire la crescita mediante un aumento degli investimenti globali e il coinvolgimento del settore privato nel settore delle reti TEN e in quello della ricerca e dello sviluppo tecnologico.
[152] Recante "Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione – Legge di semplificazione 2001").
[153] Recante Disposizioni per la razionalizzazione degli interventi di sostegno pubblico alle imprese a norma dell’articolo 4, comma 4, lettera c), della legge 15 marzo 1997, n. 59.
[154] Altre forme contrattuali sono il cd. leasing operativo (destinato a porre per lo più il locatario in condizione di utilizzare per un periodo generalmente breve, beni strumentali o di consumo durevoli prodotti in serie, evitando i rischi connessi alla proprietà del bene medesimo), e il recente (nella prassi contrattuale) lease-back (con cui il proprietario di un bene, mobile o immobile, aliena il medesimo ad un soggetto, normalmente un operatore di leasing che concede lo stesso bene ad un terzo in locazione finanziaria).
[155] Si ricorda che, per quanto riguarda le norme poste in via generale dalla legge quadro per le attività di progettazione, esecuzione e collaudo, gli articoli dal 16 al 28 disciplinano sia le varie fasi della progettazione (preliminare, definitiva ed esecutiva), che i sistemi di realizzazione dei lavori pubblici (contratti di appalto o di concessione di lavori pubblici) con le loro forme di affidamento, fino alle norme sul collaudo. Ad integrazione di tale disciplina generale soccorrono poi le specifiche disposizioni del regolamento di attuazione, D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554: le norme sulla progettazione nel Titolo III, Capo II (artt. 15-49), quelle relative all’esecuzione dei lavori nel Titolo IX, Capo II (artt. 128-141) e le norme sul collaudo nel Titolo XII, Capi I (artt. 187-191) e II (artt. 192-210).
[156] In particolare si rinvia all’articolo di S. Sambri “La procedura di scelta del contraente nel leasing pubblico alla luce della nuova direttiva 2004/18”, in Giustizia amministrativa n. 5/2005, disponibile all’indirizzo internet “www.giustamm.it/new_2005/ART_2130.htm.”
[157] Nell’articolo citato di Sambri si precisa, al riguardo che «la Corte dei Conti, con deliberazione 16/93 del 15 febbraio 1993, ha affermato che "l'acquisto di cosa futura è un istituto che opera in deroga alla normativa generale in materia di pubblici appalti che, come noto, è lo strumento ordinario per l'acquisizione di opere pubbliche, ivi comprese le unità immobiliari da destinare a uffici pubblici. Occorre quindi che la scelta dello strumento derogatorio sia avvalorata dalla sussistenza delle condizioni che ne consentono la praticabilità, evitando il sospetto che il sistema prescelto sia, in realtà, rivolto a dissimulare un contratto di appalto, così eludendo i principi comunitari in materia di opere pubbliche". Sulla stessa scia si colloca il Consiglio di Stato ritenendo che l’utilizzazione, da parte della PA, dello strumento della locazione finanziaria immobiliare in costruendo per la realizzazione di opere pubbliche abbia la veste dell’eccezionalità (sent. sez. V, 4 novembre 1994, n. 1257). Più di recente, lo stesso CdS ha aperto uno spiraglio maggiore alla praticabilità del leasing immobiliare in costruendo, esprimendosi in merito al contratto di vendita di cosa futura e ritenendo, - con il parere reso in Ad. Gen. 17/02/2000, che ha fatto seguito ad una lunga disamina della legislazione comunitaria e nazionale esistente nella materia dei lavori- legittimo il contratto di compravendita di cosa futura stipulato dall’amministrazione direttamente con il venditore, sempre che sia assente qualsiasi controllo sul processo produttivo teso alla realizzazione del risultato finale, che si miri al trasferimento di una diritto reale su una cosa, che l’oggetto del contratto sia un dare e non un facere. Ne consegue che, in casi siffatti, la vendita di cosa futura come il leasing finanziario per l’acquisizione di beni già esistenti o da realizzare, sono fuori al portata della normativa in tema di lavori pubblici (v. analogia con il general contractor)».
[158] In quel caso il ricorso al leasing era stato motivato dal Ministero della giustizia con l’impossibilità di provvedervi tramite il project financing - vista la difficoltà di “associare servizi in grado di generare un flusso di cassa adeguato a compensare il costo di realizzazione” -, e considerata l’urgenza di reperire nuovi immobili, a tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza.
[159] Organismi di diritto pubblico di cui all'art. 2, comma 1, lettera b) del decreto legislativo n. 157 del 1995: Società «Stretto di Messina» (D.P.C.M. 23 gennaio 1998); Ente autonomo mostra d'oltremare e del lavoro italiano nel mondo; Ente nazionale per l'aviazione civile - ENAC; Ente nazionale per l'assistenza al volo - ENAV. Categorie: Autorità portuali; Aziende speciali, istituzioni e società di cui all'articolo 22 della legge 8 giugno 1990, n. 142, nonché società per azioni a prevalente capitale privato di cui all'articolo 12 della legge 23 dicembre 1992, n. 498; Consorzi per le opere idrauliche; Università statali, Istituti universitari statali; Istituti superiori scientifici e culturali, Osservatori astronomici, astrofisici, geofisici o vulcanologici; Enti di ricerca e sperimentazione; Istituzioni pubbliche di assistenza e di beneficenza; Consorzi di bonifica; Enti di sviluppo o di irrigazione; Consorzi per le aree industriali; Enti preposti a servizi di pubblico interesse; Enti pubblici preposti ad attività di spettacolo, sportive, turistiche e del tempo libero; Enti culturali e di promozione artistica.
[160]Si tratta di incarichi che, sottratti al libero confronto concorrenziale, sono consentiti anche dal D.Lgs. 157/95 che, all'art. 5, comma 2, lettera h), ne prevede l'esclusione dall'ambito applicativo nel caso in cui l'appalto di servizi di ingegneria sia aggiudicato "ad un ente che sia esso stesso un'amministrazione aggiudicatrice ai sensi dell'art. 2, in base ad un diritto a esclusiva di cui beneficia in virtù di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, purché siano compatibili con il Trattato".
[161] Si ricorda che sulla G.U. del 10 dicembre 2002 n. 289 è stata pubblicata la determinazione dell'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici del 13 novembre 2002 che stabilisce che le modifiche introdotte nella legge 109/1994 dalla legge 166/2002 comportano una suddivisione degli affidamenti delle prestazioni di cui all’art. 17, comma 1, della legge 109/94 (progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva nonché alla direzione dei lavori ed agli incarichi di supporto tecnico-amministrativo alle attività del responsabile unico del procedimento e del dirigente competente alla formazione del programma triennale) in tre nuove fasce di importi. La prima fascia riguarda gli affidamenti i cui corrispettivi sono inferiore a 100.000 euro; la seconda fascia gli affidamenti i cui corrispettivi sono pari o superiori a 100.000 euro ed inferiori alla soglia di applicazione della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici di servizi; la terza fascia gli affidamenti pari o superiori alla suddetta soglia. Va osservato che la attuale soglia comunitaria è pari all’equivalente in euro di 200.000 DSP (diritti speciale di prelievo) e cioè 249.681 euro pari a 483.449.829 di vecchie lire (D. M. Economia e Finanza, G.U. 3 gennaio 2002, n. 2).
[162] S. Sambri “La procedura di scelta del contraente nel leasing pubblico alla luce della nuova direttiva 2004/18”, in Giustizia amministrativa n. 5/2005, disponibile all’indirizzo internet “www.giustamm.it/new_2005/ART_2130.htm”.
[163] Si veda l’articolo di P. Soprani, “Direttore pubblico dei lavori e coordinatore per l'esecuzione: cumulo irrazionale o civile convivenza?”, in “Ambiente e sicurezza”, n. 12/2004.
[164]La normativa sul project financing è stata, successivamente, modificata dall’articolo 7 della legge n. 166 del 2002.
[165] Agenda 21 è un documento di intenti ed obiettivi programmatici su ambiente, economia e società sottoscritto da oltre 170 paesi di tutto il mondo, durante la Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo (UNCED) svoltasi a Rio de Janeiro nel giugno 1992.
[166] La legge n. 30 del 2003, recante delega in materia di occupazione e mercato del lavoro che rappresenta una prima trasposizione sul piano normativo degli obiettivi e delle misure indicati nel “Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia. Proposte per una società attiva e per un lavoro di qualità”, elaborato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali nell’ottobre del 2001.
[167] Si ricorda che in attuazione delle disposizioni del Titolo VI del Decreto 276 è stata emanata da parte del Ministero del lavoro la Circolare 14 ottobre 2004, n. 40 “Nuovo contratto di apprendistato”.
[168] Qualora i soggetti siano in possesso di una qualifica conseguita ai sensi della legge 53 del 2003 (“Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale”) il limite minimo di età è ridotto a diciassette anni.
[169] I commi 2 e 2-bis dell’art. 70 del D.Lgs. n. 276/2003 sono stati così modificati dall’art. 1-bis del D.L. n. 35/2005, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione (legge n. 80/2005).
[170] “Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all’occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria”.
[171] Per la deducibilità degli oneri sostenuti da tali enti al di fuori dell’attività produttiva di reddito di impresa si applica l’articolo 146 del TUIR, come novellato dalla successiva lettera f) del comma 1 dell’articolo 25 in esame.
[172] L’articolo 2 del D.Lgs. n. 490 del 1999, reca una definizione dei beni del patrimonio storico, artistico, demo-etno-antropologico, archeologico, archivistico e librario.
Si segnala che il D.Lgs. n. 490 del 1999 è stato abrogato dal D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137. La definizione di beni culturali è ora inserita nell’articolo 10 del D.Lgs. n. 42 del 2004.
[173] Il D.P.R. n. 1409 del 1963, che reca Norme relative all'ordinamento ed al personale degli Archivi di Stato, è stato parzialmente abrogato e le disposizioni relative ai beni archivistici sono confluite nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.
[174] Il citato articolo 28 disciplina il riconoscimento di idoneità delle organizzazioni non governative che operano nel campo della cooperazione con i Paesi in via di sviluppo.
[175] il Consiglio dei ministri, in data 18 marzo 2005, ha approvato un disegno di legge di riforma della legge quadro sul volontariato (legge n. 266/1991). Tale disegno di legge non risulta ancora presentato alle Camere.
[176] Il comma 2 dell’articolo 15 della legge 11 agosto 1991, n. 266 stabilisce che le casse di risparmio, fino a quando non abbiano proceduto alle operazioni di ristrutturazione devono destinare alla costituzione di fondi speciali una quota pari ad un decimo delle somme destinate ad opere di beneficenza e di pubblica utilità.A seguito del processo di ristrutturazione delle banche pubbliche e delle banche specializzate il riferimento potrebbe essere quindi inteso ai bilanci delle attuali fondazioni bancarie.
[177] Art. 1 comma 1, del D.Lgs. 20 novembre 1990, n. 356 sulle disposizioni per la ristrutturazione e per la disciplina del gruppo creditizio. A seguito del l’emanazione del T.U. bancario (D.Lgs. n. 385 del 1993, il legislatore ha soppresso le categorie di banche specializzate indicate nella norma richiamata.
[178] Vedi in particolare la discussione sull’emendamento 18.12.
[179] Vedi anche l’art. 15-bis, co. 4, lettere f), g), h). In particolare, la modifica approvata in Commissione alla lettera f) precisa che la quota spettante ai centri di servizio è determinata d’intesa con i centri medesimi, sulla base dei programmi da essi elaborati.
[180] Vedi l’art. 2, commi 1, 4, 6 del D.M. 8.10.1997.
[181] Vedi, al contrario, quanto previsto dall’art. 2, comma 2, lettere d) ed e) del D.M. 8.10.1997.
[182] Vedi l’art. 2 del D.M. 8.10.1997.
[183] L’art. 3, commi 1 e 2, del D.M. 8.10.1997 prevede che la procedura possa essere avviata dagli enti locali, da almeno 5 organizzazioni di volontariato, dalle casse di risparmio e della federazioni di volontariato. Sull’istanza è previsto il parere dell’ente locale.
[184] Tale parere è stato introdotto nel testo approvato in Commissione, nel quale è previsto altresì che il decreto detti le regole sulla pubblicizzazione dei rendiconti dei comitati di gestione.
[185] Vedi l’art. 5 del D.M. 8.10.1997.
[186] Il Consiglio europeo del 23 marzo 2005 ha adottato il Patto europeo per la gioventù come uno degli strumenti che contribuiscono alla realizzazione degli obiettivi di Lisbona. Attraverso tale strumento il Consiglio europeo intende promuovere una serie di politiche e misure in favore dei giovani europei che si integrino pienamente nella strategia di Lisbona.
[187] La misura del 58,5% per l’aliquota di base sulle sigarette è stata determinata dall’art. 1 del D.M. 15 ottobre 2004. In seguito all’aumento di tale aliquota, è stato emanato il D.M. 11 novembre 2004, recante Ripartizione dei prezzi di vendita al pubblico delle sigarette a decorrere dall'8 novembre 2004.
[188] La classe di prezzo più richiesta viene rilevata, attualmente ogni semestre, con decreto del Ministro dell’economia, ai sensi dell’articolo 9 della citata legge n. 76 del 1985, sulla base dei dati risultanti dalle vendite nell’intero territorio nazionale, registrate dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato.
Il D.M. 15 luglio 2004 riporta che, nel corso del primo semestre dell’anno 2004, la classe di prezzo più richiesta è stata quella di euro 140,00 per chilogrammo convenzionale.
[189] L’articolo 4, comma 1, del D.L. n. 24 del 2004 ricollega il proprio intervento alla finalità di dare urgente attuazione della direttiva 2002/10/CE del 12 febbraio 2002, recante disposizioni concernenti la struttura e le aliquote delle accise che gravano sui tabacchi lavorati.
In particolare, per quanto riguarda le sigarette vendute ad un prezzo inferiore a quello delle sigarette appartenenti alla classe di prezzo più richiesta, il punto 2 dell’articolo 3 della citata direttiva (che sostituisce il paragrafo 5 dell’articolo 16 della direttiva 95/59/CE) prevede che gli Stati membri possano applicare un’accisa minima alle sigarette vendute ad un prezzo inferiore a quello delle sigarette appartenenti alla classe di prezzo più richiesta, a condizione che tale accisa non superi l’importo dell’accisa gravante sulle sigarette appartenenti alla classe di prezzo più richiesta.
[190] L’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 92/79/CEE, relativa al ravvicinamento delle imposte sulle sigarette, stabilisce che “l'accisa minima globale sulle sigarette è fissata in riferimento alle sigarette appartenenti alla classe di prezzo più richiesta in base ai dati disponibili al 1° gennaio di ogni anno”.
[191] La proposta è abbinata ad una relazione sull'applicazione degli articoli da 7 a 10 della direttiva stessa.
[192] L’applicazione di tale principio, infatti, contrasterebbe con l politica in materia di sanità prevista dal trattato istitutivo delle Comunità europee, in particolare con l’articolo 152.
[193] Secondo le stime contenute nella relazione tecnica del disegno di legge di conversione del D.L. n. 282/2004, il differimento dei termini sopra indicati (A.S. 3233) comporta un minor gettito di 2.215,5 milioni di euro per il 2004 e un corrispondente maggior gettito per il 2005, che viene destinato al Fondo in questione.
[194] In base alla disposizione di cui al comma 297 della legge finanziaria per il 2005, le maggiori entrate derivanti dalle previsioni contenute nel decreto-legge n. 282/2004 sono state inserite nella manovra di finanza pubblica per il 2005 e concorrono alla copertura dei maggiori oneri derivanti dalle misure contenute nella legge finanziaria.
Nel prospetto di copertura degli oneri di natura corrente previsti dalla legge finanziaria per il 2005 è infatti inserita, tra i mezzi di copertura derivanti da riduzione delle spese correnti, la voce “Fondo interventi strutturali di politica economica”, in relazione alla quale viene indicato un importo di 2.000 milioni di euro per il 2005.