XIV Legislatura - Dossier di documentazione | |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento ambiente |
Titolo: | Disposizioni correttive ed integrative del codice dei beni culturali e del paesaggio, in relazione al paesaggio - Schema di D.Lgs. n. 595 (art. 10, co. 4, L. 137/2002) |
Serie: | Pareri al Governo Numero: 524 |
Data: | 01/02/06 |
Organi della Camera: | VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici |
Servizio studi |
pareri al governo |
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Disposizioni correttive ed integrative del codice dei beni culturali e del paesaggio, in relazione al paesaggio Schema di D.Lgs. n. 595 (art. 10, co. 4, L. 137/2002) |
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n. 524
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xiv legislatura 1 Febbraio 2006 |
Camera dei deputati
Dipartimento Ambiente
SIWEB
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File: Am0640
INDICE
Scheda di sintesi per l'istruttoria legislativa
Normativa nazionale
§ Cost. 27 dicembre 1947. Costituzione della Repubblica italiana (artt. 76 e 87)
§ D.M. 2 aprile 1968, n. 1444. Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765.
§ L. 22 ottobre 1971, n. 865. Programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alla L. 17 agosto 1942, n. 1150; L. 18 aprile 1962, n. 167; L. 29 settembre 1964, n. 847 (2); ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell'edilizia residenziale, agevolata e convenzionata (art. 18)
§ D.P.R. 13 marzo 1976, n. 448. Esecuzione della convenzione relativa alle zone umide d'importanza internazionale, soprattutto come habitat degli uccelli acquatici, firmata a Ramsar il 2 febbraio 1971.
§ L. 8 luglio 1986, n. 349. Istituzione del Ministero dell'ambiente e norme in materia di danno ambientale (art. 13)
§ L. 7 agosto 1990, n. 241. Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi (artt. 10-bis, 11 e 15)
§ D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 227. Orientamento e modernizzazione del settore forestale, a norma dell'articolo 7 della L. 5 marzo 2001, n. 57 (art. 2)
§ D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. (Testo A) (art. 3)
§ L. 6 luglio 2002, n. 137. Delega per la riforma dell'organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché di enti pubblici (art. 10)
§ D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42. Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137 (artt. 5, 6, 131, 134-150, 152, 154-157, 159, 167, 181-183)
§ L. 15 dicembre 2004, n. 308. Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione (art. 1, co. 37)
Allegati
§ Convenzione europea del paesaggio adottata il 19 luglio 2000
§ Parere del Ministero per i Beni e le Attività culturali del 29 settembre 2004
§ Parere della riunione tecnica premilitare della Conferenza unificata del 6 dicembre 2005
Scheda di sintesi
per l'istruttoria legislativa
Numero dello schema di decreto legislativo |
595 |
Titolo |
Schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive ed integrative del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio |
Norma di delega |
L. 6 luglio 2002, n. 137, art. 10, co. 4 |
Settore d’intervento |
Ambiente |
Numero di articoli |
30 |
Date |
|
§ presentazione |
20 gennaio 2006 |
§ assegnazione |
20 gennaio 2006 |
§ termine per l’espressione del parere |
21 marzo 2006 per Com. Ambiente e 18 febbraio 2006 per Com. Bilancio |
Commissione competente |
VIII Ambiente |
Rilievi di altre Commissioni |
V Bilancio (ai sensi del comma 2 dell’articolo 96-ter del regolamento) |
Le disposizioni contenute nella parte terza del decreto 22 gennaio 2004, n. 42, cosiddetto Codice Urbani - intitolata ai beni paesaggistici – hanno riprodotto, innovandole, le norme del titolo II del T.U. di cui al d.lgs. n. 490 del 1999.
Le principali linee innovative, secondo quanto riportato nella relazione illustrativa che accompagnava il provvedimento, sarebbero riferibili, oltre che all’esigenza di tener conto della riforma del titolo V, alla firma – avvenuta a Firenze il 20 ottobre 2000 - della Convenzione europea del paesaggio – recentemente ratifica da parte dell’Italia con legge 9 gennaio 2006, n. 14 - e dall’Accordo tra il Ministro per i beni e le attività culturali e le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sull'esercizio dei poteri in materia di paesaggio[1], concluso il 19 aprile 2001.
Può farsi riferimento, in proposito, ad uno dei principi di delega contenuti all’art. 10, comma 2, lettera d), della legge 6 luglio 2002, n. 137[2] secondo cui il decreto delegato deve provvedere all’aggiornamento degli “strumenti di individuazione, conservazione e protezione dei beni culturali e ambientali … conformandosi al puntuale rispetto degli accordi internazionali”.
Convenzione europea del paesaggio
Il 20 ottobre 2000 a Firenze, i Ministri della cultura e dell'ambiente del Consiglio d'Europa hanno aperto alla firma la Convenzione che definisce regole comuni per la protezione, la pianificazione e la gestione dei paesaggi nel diritto internazionale. L'importanza della Convenzione sta anche nell'obbligo, per i Paesi aderenti al Consiglio d'Europa che la sottoscrivono, di adeguare le proprie leggi alle direttive previste.
Tale Convenzione fissa il principio giuridico dell'unicità culturale del paesaggio: in base ad esso, la tutela dovrà essere esercitata non più su singole porzioni di territorio ma sul paesaggio nella sua complessità e totalità.
Definendo il paesaggio come una “determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”, la Convenzione afferma la centralità della tutela del paesaggio come componente irrinunciabile delle strategie di gestione del territorio.
Tale Conferenza ha rappresentato – a livello nazionale – la conferma del percorso intrapreso già negli anni precedenti. Nel corso del 1999 il tema della qualità dei paesaggi italiani era stato infatti al centro della Prima Conferenza Nazionale per il Paesaggio, un'occasione di confronto tra tutti i soggetti coinvolti a vario titolo nell'opera di protezione del paesaggio.
La Conferenza aveva visto al suo termine la costituzione di una "Commissione di studio" per la riforma della norme di tutela, cui era stato affidato il compito di rafforzarle e di adeguarle ai principi espressi nella Convenzione Europea. Ai lavori della Commissione hanno partecipato, nel corso del 2000, i rappresentanti delle Regioni, degli Enti locali e dei Ministeri interessati, oltre ad esperti del settore.
Le proposte messe a punto indicano la necessità di garantire un quadro di maggiore coordinamento in materia di pianificazione paesistica ed indirizzi generali validi su tutto il territorio nazionale. Lo strumento individuato è un "Atto di indirizzo e coordinamento per la protezione e la gestione del paesaggio italiano" che - insieme alla creazione di un "Osservatorio nazionale per la qualità del paesaggio"- è un primo passo verso l'aggiornamento culturale e normativo.
L'Atto di indirizzo prevede ed indica, in particolare:
- la necessità di standard minimi di tutela paesistica riguardanti il territorio nel suo complesso;
- la necessità di interventi di recupero paesistico delle aree degradate;
- la necessità di erogare contributi economici, riconoscimenti e premi per un marchio di qualità del paesaggio.
L’Accordo del 19 aprile 2001 tra il Ministro per i beni culturali e le regioni sull'esercizio dei poteri in materia di paesaggio
L’accordo del 19 aprile 2001 rappresenta un documento programmatico in cui lo Stato, da un lato, e gli enti territoriali, dall’altro, individuano le rispettive competenze in materia di pianificazione paesaggistica.
Con il decreto legislativo n. 112 del 1998, tra i compiti di rilievo nazionali rimasti in capo allo Stato viene individuato quello relativo alla identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale con riferimento ai valori naturali e ambientali e all’orientamento della pianificazione paesistica.
Il decreto legislativo n. 490 del 1999 ha poi disposto, con riferimento ai piani territoriali paesistici, che le Regioni possono concordare con il Ministero per i beni e le attività culturali speciali forme di collaborazione delle competenti soprintendenze alla formazione degli strumenti urbanistici territoriali.
In questo quadro il Ministero per i beni culturali, considerato che il paesaggio svolge un importante ruolo di pubblico interesse nei settori culturale, ecologico, ambientale e sociale e può costituire una risorsa favorevole all’attività economica contribuendo anche alla creazione di opportunità occupazionali, e che la tutela dello stesso comporta il perseguimento di obiettivi di sviluppo sostenibile, ha ritenuto di costituire una commissione di riforma della normativa in materia.
I lavori della commissione hanno fatto emergere l’esigenza di coordinare l’esercizio delle funzioni amministrative in materia di tutela paesaggistica, delegate alle Regioni ai sensi del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616; orientare i criteri della pianificazione paesistica; coordinare, in accordo con le Regioni, le funzioni di vigilanza sui beni ambientali e paesaggistici.
L’accordo, sancito dalla Conferenza Stato-Regioni, in attuazione del principio di leale collaborazione, risponde perciò all’esigenza di concordare tra Ministero e Regioni le reciproche attività in materia di paesaggio, considerato il ruolo di pubblico interesse dello stesso nei settori culturali, ecologici e ambientali.
L’accordo individua i criteri e le modalità per la redazione di piani paesistici o di piani urbanistico-territoriali aventi le medesime finalità di salvaguardia dei valori paesistici e ambientali. Prevede altresì che vengano individuati gli ambiti di tutela, valorizzazione e riqualificazione del territorio, cui corrispondono specifici obiettivi di qualità paesistica.
La pianificazione paesistica diviene così il momento centrale di un processo di coordinamento a livello di territorio, che non può non collegarsi con gli strumenti nazionali e regionali di sviluppo economico; mentre gli enti locali sono tenuti a conformare i piani regolatori alle norme regionali. Governo e Regioni si sono anche impegnati reciprocamente ad assicurare a tutti i livelli la concertazione istituzionale e le più ampie forme di pubblicità e di partecipazione dei soggetti privati interessati e delle associazioni.
L’art. 131 ha introdotto la definizione di paesaggio (mutuandola dall’art. 1 della Convenzione europea del paesaggio, la cui ratifica è annunciata come imminente nella relazione illustrativa al presente decreto) come di “una parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalle interrelazioni della storia umana e della natura”.
Con l’art. 134 sono stati specificati quali sono i beni paesaggistici, riprendendo la disposizione contenuta nell’art. 138 del T.U. del 1999 ed integrandola con l’indicazione degli immobili e delle aree comunque sottoposti a tutela dal piano paesaggistico.
Un’interessante novità rispetto alle previsioni del T.U. del 1999 è poi costituita dalla reviviscenza – operata dal comma 2 - di una disposizione contenuta nell’art. 16 della legge n. 1497 del 1939, secondo cui le limitazioni alle facoltà di disposizione e di godimento conseguenti al riconoscimento di beni paesaggistici non danno titolo a indennizzo.
Nella relazione illustrativa veniva segnalato che tale reintroduzione consentiva di recepire l’orientamento costantemente manifestato dalla Corte costituzionale.
Le disposizioni contenute nel capo II hanno consentito di attuare il criterio di delega contenuto nell’art. 10, comma 2, lettera d) della legge delega n. 137 del 2002 secondo cui il decreto delegato deve provvedere all’aggiornamento degli “strumenti di individuazione, conservazione e protezione dei beni culturali e ambientali”.
L’art. 136 ha provveduto all’individuazione dei beni e delle aree sottoposti a tutela in ragione del loro notevole interesse pubblico, riprendendo l’elencazione contenuta nell’art. 139 del T.U. del 1999 ed integrandola con l’inserimento, tra i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale (indicati nella lettera c) dell’art. 136), anche:
di centri storici, antichi castelli, villaggi e borghi ed agglomerati urbani , sulla base dell’opportunità – sottolineata nella relazione illustrativa – di “riconoscere nella norma il dato fattuale”, visto che una rilevazione statistica svolta nel passato ha permesso di accertare che “su 2166 decreti di vincolo ex legge 1497/1939, ben 129 riguardavano centri storici e comunque altri 614 avevano per oggetto un intero territorio comunale”;
delle zone di interesse archeologico, le quali figurano anche tra le aree tutelate ai sensi del successivo art. 142. Dalla relazione illustrativa si evince che tale scelta si basa sulla considerazione – presente nella sentenza n. 951/90 della VI Sez. del Consiglio di Stato - che la tutela imposta dal citato art. 142 ha “ad oggetto non già direttamente o indirettamente i beni riconosciuti di interesse archeologico, ma piuttosto il loro territorio”.
L’individuazione dei beni suddetti avviene in seguito ad un complesso procedimento che termina con la dichiarazione di notevole interesse pubblico, emanata dalla regione, sulla base delle proposte formulate da apposite Commissioni provinciali (la cui istituzione è disciplinata dall’art. 137, che rivede l’art. 140 del T.U. del 1999), esaminate le osservazioni e tenuto conto dell’esito dell’eventuale inchiesta pubblica.
La nuova disciplina procedurale prevista negli artt. 137-141 (che riprendono parte del contenuto degli artt. 140-145 del T.U. del 1999) si differenzia dalla precedente, essenzialmente per:
l’eliminazione del termine “elenchi” e dell’attribuzione alle Commissioni provinciali (per le quali l’art. 137 provvede anche ad una ridefinizione della loro composizione) del compito di formulare “proposte”;
i caratteri delle suddette proposte, che – secondo le previsioni recate dall’art. 138 - devono:
- provenire da un’iniziativa del soprintendente, della Regione o degli altri enti pubblici territoriali interessati[3];
- essere motivate con riferimento alle specifiche caratteristiche storiche, culturali, naturalistiche, morfologiche ed estetiche proprie dell’immobile o dell’area;
- contenere le prescrizioni, le misure ed i criteri di gestione indicati dall’art. 143 per i piani paesaggistici. Questo aspetto rappresenta – secondo la relazione illustrativa – “una forte innovazione” finalizzata a “superare la dicotomia oggi di fatto esistente tra il sistema dei vincoli e quello della pianificazione, costruendo un sistema di tutela per così dire integrato”. La proposta mira, infatti, a far sì che la successiva “dichiarazione non si connota soltanto come un provvedimento conservativo ma anche di gestione del bene e si inserisce nel sistema di tutela previsto dal piano paesaggistico”. Ciò viene confermato dal comma 2 dell’art. 138, secondo cui, successivamente all’approvazione del piano paesaggistico, le proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico sono dirette a stabilire una specifica disciplina di tutela e valorizzazione che costituisca parte integrante di quella prevista nel piano.
la specificazione, nell’ambito delle norme sulla partecipazione al procedimento, dei diversi soggetti interessati e dei ruoli ad essi attribuiti;
il diverso ruolo attribuito al Ministero: mentre l’art. 144 del T.U. del 1999 attribuiva all’amministrazione centrale la facoltà di integrare gli elenchi dei beni e delle località da tutelare in ragione del loro notevole interesse pubblico, l’art. 141 del nuovo codice contempla solamente un intervento sostitutivo nell’ipotesi in cui la Commissione non provveda o nell’ipotesi in cui alla proposta della Commissione stessa non segua il provvedimento regionale. Ulteriore novità è rappresentata dalla sottrazione del relativo decreto ministeriale al controllo di legittimità della Corte dei conti (art. 141, comma 4, ultimo periodo), giustificata da esigenze di rapidità e tempestività[4]. Sia nel testo vigente che in quello del presente decreto l’intervento ministeriale deve essere attivato da una richiesta del soprintendente.
L’art. 142 ha individuato le aree tutelate per legge per il loro interesse paesaggistico, riprendendo le disposizioni dell’art. 146 del T.U. del 1999 ed aggiungendo che tale tutela opera fino all’approvazione del piano paesaggistico.
Si osserva che, con riferimento alle zone di interesse archeologico (previste alla lettera m) viene delimitata la tutela ope legis a quelle individuate alla data di entrata in vigore del codice.
Si segnala, in proposito, la novità rappresentata dalla circostanza che eventuali altre zone di interesse archeologico possono essere tutelate solo in seguito a dichiarazione di notevole interesse pubblico (v. art. 136), mentre nel T.U. del 1999, invece, la tutela per legge viene assegnata a tutte le zone archeologiche, senza limitazioni.
L’ambito e le finalità della pianificazione del paesaggio sono stati indicati nell’art. 135, che ha ripreso il dettato dell’art. 2 dell’accordo del 19 aprile 2001 estendendo (e qui risiede, secondo la relazione illustrativa, il carattere innovativo della disposizione) l’attività pianificatoria all’intero territorio regionale.
Si ricorda, infatti, che l’art. 149 del T.U. del 1999 prevedeva l’obbligo per le regioni di sottoporre a specifica normativa d'uso e di valorizzazione ambientale, mediante la redazione di piani territoriali paesistici o di piani urbanistico-territoriali, il territorio includente i beni ambientali tutelati per legge, mentre per le località indicate alle lettere c) e d) dell'articolo 139 (corrispondente all’art. 136 del nuovo codice) e dichiarate di notevole interesse pubblico, tale pianificazione è facoltativa.
In base al comma 2 dell’art. 135 il piano paesaggistico (tale riferimento riguarda sia il piano paesaggistico in senso stretto che il piano urbanistico-territoriale) definisce, con particolare riferimento ai beni paesaggistici (definiti all’art. 134):
ü le trasformazioni compatibili con i valori paesaggistici;
ü le azioni di recupero e riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela;
ü gli interventi di valorizzazione del paesaggio, anche in relazione alle prospettive di sviluppo sostenibile.
Le disposizioni di cui all’art. 135 sono connesse a quelle raccolte al Capo III, che si apre con l’art. 143, anch’esso recante disposizioni innovative rispetto al T.U. del 1999, volte ad individuare gli obiettivi e a disciplinare il contenuto del piano paesaggistico, riprendendo in più punti il dettato del citato accordo del 19 aprile 2001 (in particolare gli artt. 3, 4 e 5).
L’art. 143, comma 1, ha previsto che il piano effettui la ripartizione del territorio regionale in ambiti paesistici omogenei, da quelli di elevato pregio paesaggistico fino a quelli significativamente compromessi o degradati.
Il successivo comma 2 prevede che il piano attribuisca a ciascun ambito, sulla base del valore paesaggistico riconosciuto, corrispondenti obiettivi di qualità paesaggistica.
Il comma 3 prevede che il piano abbia un triplice contenuto (descrittivo, prescrittivo e propositivo) e ne indica le fasi dell’elaborazione.
Nella relazione illustrativa veniva evidenziato che, mentre i contenuti ricognitivo e prescrittivo rappresentano le fasi che tipicamente connotano la pratica già consolidata (secondo quanto affermato dal Consiglio di Stato), il contenuto propositivo rappresenta invece un elemento di novità introdotto con il presente decreto.
Si segnala che la lettera b) del comma 3 ha inserito, nell’ambito della fase ricognitiva, la “comparazione con gli altri atti di programmazione, di pianificazione e di difesa del suolo”. Si tratta di una disposizione che ha la finalità di favorire il coordinamento dei vari strumenti pianificatori esistenti.
Conseguente al comma 3 è la disposizione recata dal comma 4, che prevede che il piano individui e distingua le aree nelle quali la realizzazione degli interventi di trasformazione del territorio è consentita sulla base della verifica del rispetto delle prescrizioni dello stesso piano definite quali parametri vincolanti per gli strumenti urbanistici.
L’esigenza del coordinamento tra strumenti diversi viene poi contemperata con il successivo art. 145 che, oltre a confermare la competenza (già prevista dal comma 1 dell’art. 150 del T.U.) del Ministero ad individuare le linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio, con finalità di indirizzo della pianificazione,ha introdotto un comma che dispone l’inserimento, nei piani paesaggistici, di misure di coordinamento con gli strumenti di pianificazione territoriale e di settore, nonché con gli strumenti nazionali e regionali di sviluppo economico.
In merito ad un confronto con la normativa vigente, si osserva che già l’art. 150, comma 2, del T.U. del 1999 prevedeva che “i piani regolatori generali e gli altri strumenti urbanistici si conformano, secondo l'articolo 5 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e le norme regionali, alle previsioni dei piani territoriali paesistici e dei piani urbanistico-territoriali”.
Tuttavia un elemento differenziale fra le due normative può cogliersi negli effetti che possono aversi a seguito dell’applicazione del nuovo modello di pianificazione paesaggistica, in cui lo strumento è esteso all’intero territorio.
Tale circostanza permette di prefigurare una situazione in cui non sarà sufficiente la semplice conformazione delle previsioni di uno strumento a quelle dell’altro, ma piuttosto un coordinamento fra i due differenti strumenti (come disposto, infatti, dall’articolo 145, comma 2) ed una vera e propria integrazione reciproca .
Il comma 3 dell’art. 145 poi ha previsto che le previsioni dei piani paesaggistici siano cogenti per i piani urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province ed immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, nelle more del loro adeguamento, reso obbligatorio per gli enti locali dal successivo comma 4 e, più specificamente, dall’art. 156, comma 1, che fissa il termine di 4 anni per tale adeguamento.
Nella relazione illustrativa si leggeva che “i piani paesaggistici acquistano quindi un valore preminente rispetto ad altri strumenti”.
Si ricorda, inoltre, che il comma 9 dell’art. 143 ha recato una novità, introdotta con l’art. 5 dell’accordo del 19 aprile, prevedendo che il piano paesaggistico individui anche progetti prioritari per la conservazione, il recupero, la riqualificazione, la valorizzazione e la gestione del paesaggio regionale indicandone gli strumenti di attuazione, comprese le misure incentivanti.
L’art. 144 ha recepito il contenuto dell’art. 6 dell’accordo del 19 aprile 2001 al fine di assicurare, nei procedimenti di approvazione dei piani paesaggistici:
- la concertazione istituzionale;
- la partecipazione dei soggetti interessati e delle associazioni costituite per la tutela degli interessi diffusi, individuate ai sensi dell’articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349;
- ampie forme di pubblicità.
Le disposizioni del capo IV, relative al controllo e alla gestione dei beni soggetti a tutela hanno previsto 2 tipi di autorizzazione (analogamente a quanto previsto dal T.U. del 1999):
- quella ordinaria, disciplinata dall’art. 146;
- quella relativa ad opere da eseguirsi da parte di amministrazioni dello Stato, regolata dall’art. 147, a cui si aggiunge l’autorizzazione “in via transitoria” (prevista nell’ambito del capo V all’art. 159) che viene concessa nelle more dell’adeguamento – previsto dall’art. 143 - dei piani paesistici.
Per quanto riguarda il caso ordinario, l’art. 146 (che ha modificato l’art. 151 del T.U. del 1999) ha previsto una diversa procedura autorizzatoria che non si caratterizza più per il potere di annullamento del Ministero (che viene eliminato e sostituito dalla possibilità per i soggetti interessati di impugnazione innanzi al T.A.R. o con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica), quanto per la previsione di fasi istruttorie successive volte – come si leggeva nella relazione illustrativa – “ad indirizzare le amministrazioni verso una corretta valutazione … (e) garantire il rilascio di autorizzazioni congruamente motivate”.
Nell’ambito di questa procedura viene reso obbligatorio il parere di una speciale Commissione per il paesaggio istituita dall’art. 148.
Si segnala, inoltre, per il carattere innovativo che riveste, la disposizione recata dal comma 8 sempre dell’art. 146, secondo cui l’autorizzazione costituisce atto distinto e presupposto della concessione o di altri titoli legittimanti l’intervento edilizio, per cui i lavori non possono iniziare in difetto di essa.
Si ricorda infatti che le disposizioni vigenti prevedono il rilascio congiunto dell’autorizzazione (in seguito annullabile dal Ministero) e del titolo edilizio.
Tale norma veniva motivata nella relazione illustrativa al fine di “risolvere l’annosa questione della commistione fra urbanistica e tutela del paesaggio determinatasi dal confluire delle due competenze in capo ai comuni subdelegati dalle regioni”.
L’art. 146, comma 12, ha previsto la costituzione – a fini di trasparenza e pubblicità dell’azione amministrativa - di un elenco comunale delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate, aggiornato settimanalmente e liberamente consultabile, con i relativi dati sintetici.
Il successivo comma 13 ha attribuito al Ministero per i beni e le attività culturali le competenze in materia di:
- cave e torbiere, facenti capo in precedenza al Ministero dell’ambiente (secondo quanto confermato dall’art. 156, comma 3, del vigente T.U.), anche in ragione – così si legge nella relazione illustrativa - della presenza capillare - sul territorio - del dicastero dei beni culturali, attraverso le Soprintendenze. Tale organizzazione territoriale non esiste invece per il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio,
- attività minerarie di ricerca ed estrazione.
L’art. 147, comma 1, ha sostituito la procedura autorizzativa speciale per le opere da eseguirsi da parte di amministrazioni statali (prevista dal comma 1 dell’art. 156 del T.U. del 1999), con la valutazione espressa in sede di conferenza di servizi.
Tale scelta appare confortata, secondo quanto riportato nella relazione illustrativa, dall’esperienza pratica, ove l’utilizzo di questo strumento costituisce la prassi ordinaria.
Si ricorda che l’istituto della conferenza dei servizi – che non è altro che la conferenza delle pubbliche amministrazioni in un tavolo comune, per poter meglio risolvere i problemi e confrontarsi su tematiche comuni, semplificando e razionalizzando così i procedimenti -é regolato dagli articoli da 14 a 14-quater della legge n. 241 del 1990, così come modificati dagli articoli 9-12 della legge 24 novembre 2000, n. 340.
Il comma 3 del medesimo articolo è specificatamente attuativo del principio - dettato dall’art. 10, comma 2, lettera d), della legge di delega – di “individuare forme di collaborazione, in sede procedimentale, tra le amministrazioni per i beni e le attività culturali e della difesa, per la realizzazione di opere destinate alla difesa militare”.
Tale comma ha previsto, infatti, l’individuazione delle modalità di valutazione congiunta e preventiva della localizzazione delle opere di difesa nazionale che incidano su immobili o aree sottoposti a tutela paesaggistica, mediante D.P.C.M. da adottarsi entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
L’art. 148 ha previsto che le regioni promuovano l’istituzione di una Commissione per il paesaggio presso gli enti locali ai quali sono attribuite le competenze in materia di autorizzazione paesaggistica, composta da soggetti con particolare e qualificata esperienza nella tutela del paesaggio.
Tale commissione esprime il parere obbligatorio in merito al rilascio delle diverse autorizzazioni previste dagli articoli 146, 147 e 159.
Gli interventi non soggetti ad autorizzazione (previsti nell’art. 149) rimangono gli stessi individuati dal T.U. del 1999.
Gli artt. 153 e 154 hanno riconosciuto – come si leggeva nella relazione illustrativa - il dato fattuale della delega ai comuni delle competenze regionali relative all’autorizzazione per il collocamento di cartelli e altri mezzi pubblicitari nell’ambito e in prossimità dei beni paesaggistici e alla facoltà di imporre, nelle località contemplate dalle lettere c) e d) dell’articolo 136, che sia dato alle facciate dei fabbricati, il cui colore rechi disturbo alla bellezza dell’insieme, un diverso colore che con quella armonizzi.
Il successivo art. 155 ha incaricato le regioni di vigilare sull’ottemperanza alle disposizioni contenute nel presente decreto legislativo da parte delle amministrazioni da loro individuate per l’esercizio delle competenze in materia di paesaggio, prevedendo che, in caso di inottemperanza o di persistente inerzia, la regione possa esercitare i poteri sostitutivi.
L’art. 156, comma 1, ha previsto la verifica di conformità e l’eventuale successivo adeguamento alle norme dell’art. 143 – entro 4 anni dall’entrata in vigore del decreto -, per i piani adottati dalle regioni sulla base delle previsioni dell’art. 149 del T.U. del 1999.
A tal fine, i commi successivi hanno previsto che il Ministero provveda alla stipula:
- di una convenzione con le regioni (sulla base di uno schema predisposto -entro centottanta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto - dal medesimo Ministero, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni) volte a stabilire le metodologie e le procedure di ricognizione, analisi, censimento e catalogazione degli immobili e delle aree oggetto di tutela, ivi comprese le tecniche per la loro rappresentazione cartografica e le caratteristiche atte ad assicurare l’interoperabilità dei sistemi informativi;
- di accordi con le medesime regioni per disciplinare lo svolgimento d’intesa delle attività volte alla verifica e all’adeguamento dei piani paesaggistici (sulla base del citato schema generale di convenzione).
Qualora al completamento delle attività non consegua il provvedimento regionale il piano è approvato in via sostitutiva con decreto ministeriale sottratto al controllo della Corte dei conti.
Si ricorda che l’art. 147 del testo unico del 1999 prevedeva il censimento, la catalogazione e l’individuazione anche su cartografia informatizzata dei beni paesaggistici sulla base di tecniche di rappresentazione e sistemi informatici tra loro compatibili e interscambiabili predisposti dal Ministero, d'intesa con la Conferenza unificata.
Si ricorda, inoltre, che, prima ancora dell’approvazione del T.U. del 1999, il Ministero dei beni culturali ha avviato un progetto per la costruzione di un Sistema Informativo Territoriale Ambientale Paesaggistico (S.I.T.A.P.[5]) per la creazione di una banca dati territoriale per il controllo e la gestione dei beni ambientali e culturali sottoposti a tutela.
Si segnala, inoltre, l’art. 158 che ha previsto l’emanazione non più di un regolamento statale ma di apposite disposizioni regionali di attuazione del decreto. Tale modifica si era resa necessaria alla luce – si leggeva nella relazione illustrattiva - del nuovo titolo V della Costituzione, che attribuisce la potestà regolamentare in materia alle regioni.
L’art. 159 ha contemplato la procedura di rilascio dell’autorizzazione ai fini paesaggistici nelle more dell’adeguamento dei piani paesistici previsto dall’art. 143.
Tra le sanzioni l’art. 167 ha previsto l’ordine di rimessione in pristino o del versamento di indennità pecuniaria, nel caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I della Parte terza e l’art. 181 norme per le opere eseguite in assenza di autorizzazione o in difformità da essa.
Lo schema di decreto presentato contiene disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo n. 42 del 2004 (cosiddetto Codice Urbani), ai sensi dell’art. 10, comma 4, della legge delega 6 luglio 2002, n. 137 che ha previsto che disposizioni correttive ed integrative dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega stessa possono essere adottate, nel rispetto degli stessi princìpi e criteri direttivi e con le medesime procedure, entro due anni dalla data della loro entrata in vigore”. Essendo il decreto legislativo n. 42 entrato in vigore il 1° maggio 2004, il termine previsto dalla legge per l’emanazione dei decreti correttivi è ormai prossimo alla scadenza.
Si ricorda che le disposizioni contenute nella parte terza del decreto 22 gennaio 2004, n. 42, - intitolata ai beni paesaggistici – hanno riprodotto, innovandole, le norme del titolo II del T.U. di cui al d.lgs. n. 490 del 1999.
Le principali linee innovative sono riferibili, oltre che all’esigenza di tener conto della riforma del titolo V, alla firma – avvenuta a Firenze il 20 ottobre 2000 - della Convenzione europea del paesaggio – recentemente ratifica da parte dell’Italia con legge 9 gennaio 2006, n. 14 - e dall’Accordo tra il Ministro per i beni e le attività culturali e le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sull'esercizio dei poteri in materia di paesaggio[6], concluso il 19 aprile 2001.
Può farsi riferimento, in proposito, ad uno dei principi di delega contenuti all’art. 10, comma 2, lettera d), della legge 6 luglio 2002, n. 137[7] secondo cui il decreto delegato deve provvedere all’aggiornamento degli “strumenti di individuazione, conservazione e protezione dei beni culturali e ambientali … conformandosi al puntuale rispetto degli accordi internazionali”.
Si ricorda che, in data 5 dicembre 2005, le regioni hanno espresso, sullo schema di decreto in esame approvato preliminarmente dal Consiglio dei Ministri il 18 novembre 2005, parere negativo nella riunione tecnica preliminare dellaConferenza Unificata, convocata dapprima per il 6 dicembre 2005 poi rinviata al 15 dicembre, e di nuovo rinviata su richiesta delle regioni e delle autonomie locali.
Le Regioni hanno, infatti, espresso i seguenti rilievi di carattere generale, oltre ad una serie di osservazioni che sono state riportate nel corso dell’illustrazione dei singoli articoli:
§ preliminarmente è stato evidenziato che il testo ora vigente del Codice Urbani è stato il frutto di un lungo e faticoso lavoro di rilettura dei testi normativi in materia di paesaggio, svolto congiuntamente dalle Regioni e dal Ministero, con l’obiettivo di razionalizzare il sistema di tutela e di valorizzazione alla luce della Convenzione Europea del Paesaggio del 2000 (in corso di ratifica da parte dello Stato) e in coerenza con il nuovo assetto costituzionale. Pertanto, il testo vigente del Codice è stato concordato avendo trovato il punto di mediazione per il quale, ad un ampliamento delle forme di collaborazione e di coinvolgimento del Ministero nell’esercizio delle funzioni di pianificazione e gestione dei vincoli, corrisponde la significativa semplificazione amministrativa del sistema di tutela. Lo schema del decreto legislativo proposto, invece, manterrebbe detti poteri aggiuntivi al Ministero e contestualmente farebbe venir meno gli aspetti innovativi introdotti con il decreto legislativo n. 42;
§ viene poi rilevato come sia stato disatteso l’accordo consolidato, con violazionedel principio di leale collaborazione, riaprendo in tal modo la lunga stagione conflittuale tra Stato e Regioni in materia di gestione del paesaggio, che si era conclusa con l’adozione del Codice Urbani. Ciò avverrebbe ingiustificatamente e senza nemmeno attendere un congruo periodo per monitorare e valutare gli esiti e gli effetti delle disposizioni del Codice vigente, tenuto conto che le Regioni sono in regola con i tempi fissati dal Codice stesso per svolgere la verifica e l’eventuale adeguamento dei piani;
§ tale iniziativa unilaterale (le Regioni non sarebbero state – fra l’altro - messe in condizione di partecipare ai lavori di elaborazione del testo) dimostrerebbe diffidenza nei confronti di tutte le Amministrazioni regionali e locali, anche di quelle che in questi mesi di prima applicazione del Codice vigente si sono già adoperate ad attuarlo con la propria legislazione, ovvero hanno posto in essere gli atti propedeutici alle verifiche e aggiornamenti dei piani paesaggistici. Difatti lo schema di decreto collocherebbe il passaggio in un sistema che vede il Ministero al centro di tutti i momenti decisionali relativi alla tutela del paesaggio, e lo qualificherebbe al tempo stesso “soggetto proponente, partecipante e decidente, nonché titolare di un severo potere sostitutivo, da esercitarsi, tra l’altro, con strettissima tempistica”.
Il Governo, quindi, in data 12 dicembre 2005, ha elaborato alcune osservazioni sulle valutazioni delle regioni espresse il 5 dicembre 2005, nelle quali viene innanzitutto affermato che la lamentata violazione, da parte delle regioni, del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, è “priva di fondamento giuridico in quanto il principio di leale collaborazione concerne l’adozione di provvedimenti amministrativi, quando via sia una compresenza di poteri decisori, ma certo non può essere inteso come una preclusione a che lo Stato predisponga un testo prenormativo in una materia, la tutela del paesaggio, che l’art. 117 della Costituzione assegna alla sua competenza esclusiva”. Nel documento si legge, ancora, che “Comunque la concertazione istituzionale avrà ampio modo di dispiegarsi – innanzitutto in ambito tecnico – in sede istruttoria della Conferenza Unificata”.
Le principali modifiche sono contenute nei primi tre articoli dello schema di decreto in esame e vanno a modificare alcune definizioni contenute sia nella parte prima del codice, relativa alle disposizioni generali del decreto legislativo n. 42 (articoli 5 e 6), che nella parte terza relativa ai beni paesaggistici (articolo 131).
1) Le modifiche più rilevanti riguardano l’art. 5 (art. 1 del testo del decreto in esame) relativo alle forme di cooperazione delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali in materia di tutela del patrimonio culturale.
Attraverso una novella al comma 6 viene previsto che le funzioni amministrative di tutela dei beni paesaggistici siano esercitate dallo Stato e dalle regioni, secondo le disposizioni di cui alla parte terza del presente codice.
Il testo vigente prevede, invece, che esse siano “conferite” alle regioni secondo le disposizioni di cui alla parte terza del presente codice.
Il nuovo testo non sembra contraddire né i principi costituzionali – e in particolare il principio di sussidiarietà affermato dall’art. 118 (in quanto appare pacifico che lo Stato eserciti funzioni amministrative in materia attraverso una amministrazione centrale dedicata, articolata, fra l’altro, anche a livello territoriale), né l’assetto consolidato delle competenze, come legislativamente definito (artt. 148 e seguenti del decreto legislativo n. 112 del 1998).
Nella relazione introduttiva allo schema di decreto si legge che tale modifica ha permesso di enunciare espressamente la “compresenza dello Stato, oltre che delle regioni, nelle funzioni di tutela dei beni paesaggistici, secondo le disposizioni di cui alla Parte Terza del codice. Si tratta, in tutta evidenza, di una mera esplicazione che non altera l'assetto sostanziale del riparto delle funzioni, già cristallizzato nelle disposizioni della citata Parte Terza, cui l'articolo 5 rinvia”.
Anche nella relazione illustrativa di sintesi dello schema di decreto in esame si riafferma che la tutela del paesaggio “spetta alla competenza esclusiva dello Stato in forza del combinato disposto degli articoli 9, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera s) e terzo comma della Costituzione. Nella relazione si legge “Il terzo comma dell”articolo 117, infatti, nell’elencare le materie di competenza legislativa concorrente, ha bene distinto tra “governo del territorio” (quinto rigo del comma) e “valorizzazione dei beni culturali e ambientali” (nono rigo del comma). E’ noto che per beni ambientali si intendono oggi i beni paesaggistici: il codice dei beni culturali e del paesaggio ha sostituito la dizione beni ambientali con quella, più precisa, di beni paesaggistici”. E’ dunque provato per tabulas, che nella stessa lettera dell’art. 117 Cost., il governo del territorio è cosa diversa dalla valorizzazione dei beni ambientali (cioè paesaggistici). E poiché - come è pacifico – la valorizazione segue la tutela (che rispetto alla prima costituisce un prius logico giuridico), ne consegue la conclusione che la tutela del paesaggio è (a fortori) cosa diversa dal governo del territorio”. Si argomenta ancora “Sarebbe del resto assurdo ipotizzare ( e non consta che alcun commentatore l’abbia ipotizzato) che la tutela del territorio sia ricaduta nell’ambito del potere esclusivo residuale regionale di cui al quarto comma dell’art. 117, poiché, se così fosse, si perverrebbe alla conclusione inaccettabile e illogica per cui la tutela sarebbe solo regionale, mentre la valorizzazione sarebbe affidata al concorso di funzioni normative statali e regionali (potestà concorrente). E’ naturale, dunque, come già statuito dall’adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 14 dicembre 2001, n. 9, ritenere che la tutela del paesaggio, sia contenuta nella lettera s) del secondo comma dell’art. 117: per l’esattezza la tutela del paesaggio deve essere identificata con la nozione di ambiente che la predetta lettera s) associa all’ecosistema e ai beni culturali. La locuzione costituzionale “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” contenuta nella disposizione costituzionale va dunque più ampiamente ricostruita, alla luce delle successive chiarificazioni concettuali che hanno sitinto l’ambiente/ecologia dell’ambiente/patrimonio culturale (paesaggio, già beni ambientali), nel senso di “tutela dell’ambiente, dei beni culturali e del paesaggio”. Viene, infine, sottolineato che”Questa conclusione – come è noto – è stata definitivamente consacrata nel codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004 che, all’articolo 2, sotto la rubrica Patrimonio culturale, al comma 1, ha sancito che Il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici”.
Le regioni, nella riunione tecnica preliminare della Conferenza Unificata del 5 dicembre 2005 hanno sostenuto, invece, che “Nel merito delle nuove previsioni legislative si riscontra la loro evidente pervasività della autonomia legislativa e organizzativa delle Regioni Aldilà di poche disposizioni volte al chiarimento del significato della normativa pregressa, la maggior parte delle norme sono dirette a limitare gli ambiti di discrezionalità del legislatore regionale nella definizione dei compiti propri e degli enti locali, in materia di tutela del paesaggio e di gestione dei relativi vincoli, con un maggior dettaglio circa l’iter amministrativo degli atti e dei contenuti degli stessi”.
2) Relativamente alla novella al comma 7 dell’art. 5 essa appare, invece, di carattere formale, in quanto è volta a esplicitare che sono le regioni ad esercitare le funzioni di tutela previste nello stesso articolo, sulle quali poi il Ministero esercita la potestà di indirizzo e vigilanza.
3) La modifica all’art. 6 (art. 2 del decreto in esame) chiarisce i contenuti della definizione di valorizzazione del patrimonio culturale - intesa come promozione della conoscenza e assicurazione delle migliori condizioni di utilizzazione e di fruizione del patrimonio – estendendola ai beni paesaggistici. In tal caso essa comprende anche “la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degradati, ovvero la realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti ed integrati."
4) La modifica all’art 131, comma 1 (art. 3 del decreto in esame), riguarda la definizione di paesaggio inteso, secondo il testo vigente, quale “parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni”.
Tale definizione viene sostituita espungendo il carattere dell’omogeneità ed aggiungendo caratteri “distintivi”.
Pertanto, secondo la nuova definizione per paesaggio si dovrebbero intendere “parti di territorio i cui caratteri distintivi derivano dalla natura, dalla storia umana e dalle reciproche interrelazioni”.
La relazione illustrativa ha motivato l’eliminazione del carattere di omogeneità, in quanto “L'oggettiva varietà delle forme del territorio, in cui si articola il paesaggio, non si lascia infatti ridurre alla nozione di omogeneità, che appartiene soprattutto alla pianificazione urbanistica, con fini di programmazione dell'assetto urbanistico edilizio, e mal si presta alla definizione della nozione di paesaggio. La scelta dell’inserimento dell’aggettivo “distintivi”, riferito alle parti di territorio di cui si compone il paesaggio, viene motivata col fatto che “il tratto definiente una porzione di territorio come paesaggio si rinviene piuttosto nella sua specifica caratterizzazione distintiva , che non in una tipologia omogenea astratta”.
In merito a tale ultima modifica, nella riunione tecnica preliminare della Conferenza Unificata del 5 dicembre 2005, si legge “Nella revisione del testo si evince la chiara disattenzione ai principi, obiettivi, previsioni e raccomandazioni stabiliti dalla Convenzione Europea del Paesaggio. Ciò si evidenzia già dalla definizione di Paesaggio proposta, che viene circoscritto al “territorio con caratteri distintivi”, rinnegando il concetto integrale di paesaggio, e diviene ancora più manifesta nella indicazione del campo di applicazione della pianificazione paesaggistica, limitata alle aree e immobili sottoposti a vincolo paesaggistico”.
Appare, quindi, opportuno riportare l’art. 1, lett. a) della Convenzione Europea, ove il «"Paesaggio" designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni».
1) La sostituzione del vigente art. 135 (art. 5 del decreto in esame) prevede, al comma 1, il concorso dello Stato, assieme alle regioni, alle finalità generali di tutela e valorizzazione del paesaggio, aggiungendo anche la finalità della conoscenza del paesaggio stesso. A tal fine, i piani paesaggistici vengono approvati dalla regioni, “anche in collaborazione con lo Stato”.
Si ricorda che il testo vigente del comma 1 dispone, invece, che siano le regioni ad assicurare la tutela e la valorizzazione del paesaggio e che, a tal fine, le stesse regioni sottopongono a specifica normativa d'uso il territorio, approvando piani paesaggistici ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, concernenti l'intero territorio regionale, entrambi di seguito denominati “piani paesaggistici”.
Nella relazione illustrativa viene sottolineato che le modifiche al comma 1 sono intese “ad esplicitare ciò che peraltro era pacifico, benché solo implicito, già nel testo vigente che lo Stato non è (ovviamente) estraneo alle finalità generali di tutela e valorizzazione del paesaggio. L'esordio del comma 1 vigente sembrava porre, invece, curiosamente, tale fondamentale compito solo in capo alle Regioni. Viceversa, ai sensi dell'articolo 9 della Costituzione, la tutela del paesaggio è compito della Repubblica, in tutte le sue componenti. Si è ritenuto di aggiungere, tra i compiti fondamentali in questione, la conoscenza del paesaggio, non già perché tale propedeutico compito non fosse già incluso nella nozione di tutela (conoscere, conservare, proteggere), bensì per dare un'opportuna evidenza a tale profilo, essenziale per una corretta pianificazione e gestione del paesaggio. Nel secondo periodo del comma 1 dell'articolo 135 si è data enunciazione espressa, per le stesse ragioni sopra enunciate, alla possibile partecipazione collaborativa dello Stato nella funzione di pianificazione. Con ciò non si è certo inteso revocare in dubbio il consolidato assetto delle competenze in materia (delegate alle Regioni già con D.P.R. n. 8 del 1972), ma si è voluto dare giusto rilievo al principio della leale cooperazione StatoRegioni che, come insegnato dalla costante giurisprudenza della Corte costituzionale, costituisce la pietra angolare su cui poggia ogni, funzione amministrativa in materia di paesaggio”.
La relazione continua precisando che “L'enunciazione della collaborazione dello Stato si raccorda inoltre armonicamente con le proposizioni normative contenute nell'articolo 143 in ordine alla auspicata ed incentivata conclusione di accordi per l'elaborazione dei piani paesaggistici, nonché all'indicazione, emergente dal medesimo articolo 143, nonché dagli articoli 146 e 159 del codice, della condivisione della funzione pianificatoria come “via maestra" per l'attuazione del codice (e condicio sine qua non per l'artuazíone di molte sue importanti disposizioni innovative, quali, ad es., quelle in tema di nuovo procedimento autorizzatorio)”.
Nella riunione tecnica preliminare della Conferenza Unificata del 5 dicembre 2005 si legge, invece, che rispetto alla pianificazione paesaggistica, già trasferita alle Regioni dal DPR n. 8/1972, lo schema di decreto proposto “evidenzia una chiara intenzione dello Stato di riprenderne definitivamente il controllo. Infatti, le modifiche apportate sanciscono, in maniera perentoria, l’obbligo delle Regioni di elaborare i piani paesaggistici “congiuntamente” anziché d’intesa (si veda il nuovo art. 143, comma 3), per poter accedere alle cosiddette semplificazioni di natura amministrativa, peraltro di ben più limitata portata. Inoltre, l’ambito di applicazione della pianificazione di competenza delle Regioni diventa residuale con l’evidente compromissione della possibilità, sancita dall’art. 135 dello stesso Codice, di elaborare i piani urbanistico-territoriali con valenza paesaggistica, in luogo dei piani paesaggistici in senso stretto”.
2) Il nuovo comma 2 dell’art. 135 riproduce, con alcune modifiche, il contenuto del comma 1 del vigente art. 143 relativo ai principi direttivi della pianificazione paesaggistica prevedendo che i “piani paesaggistici, in base alle caratteristiche naturali e storiche, individuano ambiti definiti in relazione alla tipologia, rilevanza e integrità dei valori paesaggistici”.
Il vigente comma 1 dell’art. 143, qui in parte trasfuso, prevede però, che il piano ripartisca il territorio in ambiti omogenei, da quelli di elevato pregio paesaggistico fino a quelli significativamente compromessi o degradati e che, quindi, necessitano di interventi di riqualificazione, così da individuare i differenti livelli di integrità dei valori paesaggistici, la loro diversa rilevanza e di scegliere per ogni ambito le forme più idonee di tutela e valorizzazione.
Nella relazione illustrativa si precisa che l‘inserimento del nuovo comma 2, “anticipa, nella sede dei principi generali sulla pianificazione, una disposizione che era già contenuta nell'articolo 143. Di conseguenza si è precisato, nello stesso comma 2, che la disciplina d’uso compatibile del territorio è dettata dalla pianificazione paesaggistica con riferimento a ciascun ambito definito in relazione alla tipologia ed al livello di conservazione dei valori paesaggistici”.
3) Il comma 3 dell’art. 135 ripropone anch’esso, con alcune modifiche prevalentemente formali, il contenuto del vigente comma 2 dell’art. 143 recante anch’esso principi direttivi sulla pianificazione paesaggistica, ricollocando quindi norme recanti principi direttivi all’interno della disposizione normativa più appropriata.
Nella relazione illustrativa di sintesi allo schema di decreto si sottolinea come le modifiche apportate, in particolare agli artt. 135 e 143, sono in larga parte finalizzate a correggere errori materiali ed a fornire migliori formulazioni lessicali delle disposizioni o ad esprimere in termini più chiari e giuridicamente più corretti alcuni concetti ed istituti giuridici.
Una modifica che presenta invece carattere sostanziale è la soppressione del riferimento agli “obiettivi di qualità paesaggistica” contemplati dal vigente comma 2 dell’art. 143.
La scelta sembrerebbe motivata dalla circostanza che la nozione di “obiettivi di qualità paesaggistica”, appare di difficile da definire, in quanto i valori paesaggistici sono – ad esempio - difficilmente collegabili a fattori passibili di misurazione.
Tuttavia si ricorda che la Convenzione europea sul Paesaggio prevede gli obiettivi di qualità, definendoli all’articolo 1, lettera c) e rinviando alla legislazione degli Stati membri una più dettagliata definizione degli stessi (art. 6).
Si ricorda inoltre che allo stesso articolo si prevede che tale definizione deve avvenire sulla base di una procedura di consultazione pubblica (specificata dall’art. 5).
Nelle valutazioni delle regioni espresse in data 5 dicembre 2005, tale omissione viene interpretata nel senso di una “una involuzione della concezione del paesaggio quale elemento settoriale, di “corredo” alla pianificazione territoriale, e così riportandolo ad un assetto prettamente vincolistico. Tale approccio è confermato, nel nuovo testo, anche dalla esclusione degli “obiettivi di qualità paesaggistica” previsti dalla Convenzione Europea del Paesaggio e assunti dal Codice Urbani quale fondamento del piano paesaggistico”.
Gli obiettivi di qualità paesaggistica sono, infatti, definiti nella Convenzione Europea del Paesaggio quali “la formulazione da parte delle autorità pubbliche competenti, per un determinato paesaggio, delle aspirazioni delle popolazioni per quanto riguarda le caratteristiche paesaggistiche del loro ambiente di vita”. La Convenzione prevede, poi, all’art. 6 sulle misure specifiche, che “Ogni parte si impegna a stabilire degli obiettivi di qualità paesaggistica riguardanti i paesaggi individuati e valutati, previa consultazione pubblica, conformemente all'articolo 5”.
Il Governo, in data 12 dicembre 2005, ha elaborato, in una bozza di documento, alcune osservazioni sulle valutazioni delle regioni nelle quali fa presente che l’inserimento, al nuovo comma 3 dell’art. 135, della locuzione “Al fine di tutelare e migliorare la qualità del paesaggio”, “esprime in termini giuridici più appropriati il medesimo concetto di obiettivi di qualità (che appartiene al linguaggio dell’economia aziendale ed è applicabile alle produzioni industriali, ad esempio ai capi di vestiario delle griffes italiane, ma certo non alla forma del territorio, come è definito il paesaggio dal massimo giurista che se ne è occupato: Alberto Predieri)”.
4) Alcune delle disposizioni dell’art. 143 vigente (art. 13 dello schema in esame) relativo al piano paesaggistico,in particolare i commi 1 e 2, sono state trasfuse, come appena illustrato, nell’art. 135 per “attribuire loro un più evidente carattere di principio”, come sottolinea la relazione illustrativa e pertanto, la formulazione della disposizione copre un ambito ridotto.
Il nuovo testo dell’art. 143, comma 1, ha eliminato rispetto al testo vigente (art. 143, comma 3) la disposizione che prevede che il piano debba avere un contenuto descrittivo, prescrittivo e propositivo, ma ha riproposto quasi esattamente le disposizioni relative alle fasi in cui si articola il piano paesaggistico.
Nella relazione di sintesi si sottolinea, infatti, che “dal raffronto tra la nuova e la vecchia formulazione dei commi 1 e 2 risulta una modifica solo concettuale che non riduce la potestà regionale di dettare prescrizioni e regole d’uso per tutto il territorio regionale (ciò che già avveniva con lo strumento del piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici)”. Viene poi rilevato come “l’unica novità consiste nell’aver chiarito (ciò che era comunque incontestabile nella sostanza) che il piano paesaggistico (che peraltro può tipizzare ed individuare nuovi beni vincolati) conforma l’uso del territorio (e limita la proprietà privata) solo nell’ambito dei beni vincolati (dei beni paesaggistici), mentre considera e valorizza l’intero territorio regionale. Ogni altra prescrizione limitativa della libertà che riguardi aree o immobili non vincolati (cioè non dichiarati, con provvedimento, per legge “Galasso” o dal piano stesso, di notevole interesse paesaggistico) si fonda, evidentemente su una base giuridica diversa (e concorrente), che è quella urbanistica (come limiti “morfologici” o “ambientali” in senso lato). Non c’è, dunque, nessuna limitazione al potere regionale di dettare regole d’uso del territorio; si è solo chiarito che quando queste regole d’uso vertono su aree e immobili non vincolati, esse sono espressione della potestà pianificatoria regionale urbanistica e non rendono paesaggistico, a tutti gli effetti di legge, il bene preso in considerazione, che resta assoggettato a un vincolo meramente urbanistico, con tutte le conseguenze che ne derivano”.
Le modifiche principali, pertanto, riguardano i commi 3 e 4:
Il comma 3 (comma 10 vigente) prevede che le regioni possano elaborare congiuntamente con i due Ministeri (beni culturali ed ambiente) i piani paesaggistici previa stipula di specifiche intese.
L’intesa dovrà quindi stabilire il termine entro il quale deve essere completata l'elaborazione del piano. II contenuto del piano, elaborato congiuntamente, forma oggetto dì apposito accordo preliminare ai sensi degli artt. 15 e 11 della legge n. 241 del 1990 ed entro i 90 giorni successivi all'accordo, il piano dovrà essere approvato con provvedimento regionale. Decorso inutilmente tale termine, il piano verrà approvato in via sostitutiva con decreto del Ministro dei beni culturali, sentito il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio. L'accordo preliminare stabilisce altresì i presupposti, le modalità ed i tempi per la revisione del piano, con particolare riferimento all'eventuale sopravvenienza di provvedimenti emanati ai sensi degli articoli 14o e 141.
Parzialmente diverso è il tenore del vigente comma 10 che prevede, invece che “Le regioni, il Ministero e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio possono stipulare accordi per l'elaborazione d'intesa dei piani paesaggistici. Nell'accordo è stabilito il termineentro il quale è completata l'elaborazione d'intesa, nonché il termine entro il quale la regione approva il piano. Qualora all'elaborazione d'intesa del piano non consegua il provvedimento regionale, il piano è approvato in via sostitutiva con decreto del Ministro, sentito il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio.
Sostanzialmente, la competenza alla pianificazione rimane attribuita alle Regioni, mentre viene – in modo più puntuale – disciplinata la ipotesi (sostanzialmente già prevista dalle norme vigenti) di una preventiva collaborazione fra Regioni e Ministero nella fase genetica del piano.
Nella relazione illustrativa si argomenta che “al comma 3, risolvendo, coerentemente con gli istituti generali del procedimento amministrativo, un'ambiguità terminologica presente nel testo vigente, viene precisato che il procedimento di elaborazione congiunta del piano è sorretto dalla previa intesa e trova il suo momento di conclusione in un accordo preliminare, rispetto al quale potranno eventualmente essere esercitati i poteri sostitutivi (già previsti)”.
Nella riunione tecnica preliminare della Conferenza Unificata del 5 dicembre 2005 le regioni hanno sottolineato come “Rispetto alla pianificazione paesaggistica, già trasferita alle Regioni dal DPR n. 8/1972, lo schema di decreto proposto evidenzia una chiara intenzione dello Stato di riprenderne definitivamente il controllo. Infatti, le modifiche apportate sanciscono, in maniera perentoria, l’obbligo delle Regioni di elaborare i piani paesaggistici “congiuntamente” anziché d’intesa, per poter accedere alle cosiddette semplificazioni di natura amministrativa, peraltro di ben più limitata portata”.
Il Governo, nella bozza di documento contenente alcune osservazioni sulle valutazioni delle regioni elaborate in data 12 dicembre 2005, fa presente che l’osservazione delle Regioni in merito ad una riappropriazione dello Stato del controllo della pianificazione paesaggistica non risponde a verità, in quanto “La pianificazione paesaggistica era e resta di competenza regionale. Lo schema di D.Lgs. si limita ad incentivare, con alcune norme promozionali, gli accordi tra Stato e Regioni sul contenuto dei paiani paesaggistici. Tali accordi sono già previsti nel vigente “Codice Urbani”. Lo schema di decreto correttivo è tanto rispettoso della sfera di decisione regionale che qualifica il concordamento sul contenuto del piano come accordo preliminare, proprio perché prevede che esso sia, successivamente, approvato con provvedimento della Regione. La Regione è e rimane libera di elaborare ed approvare il piano senza previo accordo del Ministero. Nell’esercizio della sua competenza esclusiva in materia di regime giuridico dei beni paesaggistici lo Stato si limita a ritenere che un piano elaborato congiuntamente, dalla regione d’intesa con il Ministero, dia garanzia di massima tutela dei beni stessi e a far discendere da ciò un regime di maggiore flessibilità delle scelte di piano e di minore ingerenza dello Stato stesso in sede di lascio delle autorizzazioni paesistiche”. Continua, infine, sottolineando che “Se la Regione opta per l’elaborazione solitaria del piano è – specularmene – del tutto legittimo che Ministero possa esprimere – “a valle” del piano stesso – un parere vincolante sulle richieste di autorizzazione paesaggistica (proprio perché è stato “tagliato fuori” dalle scelte pianificatorie).”
Il nuovo comma 4 introduce la previsione che, nel caso in cui il piano venga approvato a seguito dell'accordo di cui al comma 3, nel procedimento autorizzatorio di cui agli artt. 146 e 147, il parere del soprintendente è obbligatorio, ma non vincolante (si vedano le modifiche recate al successivo art. 146, comma 8, ove viene introdotta la previsione del parere vincolante del soprintendente sulla proposta di autorizzazione regionale).
1) La modifica all’art. 136 vigente (art. 6 dello schema di decreto) integra una delle categorie dei beni e delle aree sottoposti a tutela in ragione del loro notevole interesse pubblico previste alla lettera c) del comma 1 ove sono indicati i “complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale”, includendovi i centri storici e le zone di interesse archeologico, le quali figurano anche tra le aree tutelate ai sensi del successivo art. 142.
Nella relazione illustrativa tale integrazione viene giustificata da un duplice fine:
§ «chiarire definitivamente che il vincolo paesaggistico dei complessi di immobili può ben riguardare i centri storici, come del resto già suggerito dall'articolo 9, punto 4, del regolamento di cui al r.d. 1357 del 1934;
§ "spostare" le zone di interesse archeologico, di cui alla legge "Galasso", dall'ambito dei vincoli ex lege (articolo 142) a quelle dei vincoli provvedimentali (articolo 136), atteso che tali zone, per loro natura in quanto "contesti di giacenza" di (anche potenziali) resti archeologici esigono un atto di perimetrazione e di individuazione, non essendo individuabili visibilmente né in base al criterio meramente geografico morfologico, né in base a quello ubicazionale (come accade, invece, ad es., per le aree e ali immobili compresi nelle Università agrarie)».
Vengono poi apportate modifiche agli articoli dal 137 al 141 relativi al complesso procedimento teso ad individuare i beni e le aree sottoposti a tutela in ragione del loro notevole interesse pubblico, e che termina con la dichiarazione di notevole interesse pubblico, emanata dalla regione, sulla base delle proposte formulate da apposite Commissioni provinciali (la cui istituzione è disciplinata dall’art. 137, esaminate le osservazioni e tenuto conto dell’esito dell’eventuale inchiesta pubblica.
Nella relazione di sintesi allo schema di decreto si sottolinea come alcune di tali modifiche (artt. 138, 139 140 e 141) siano finalizzate a razionalizzare e a prevedere termini certi per il procedimento di vincolo.
1) Le modifiche all’art. 137 vigente (art. 7 dello schema di decreto) prevedono, in luogo delle commissioni provinciali che devono essere istituite con atto regionale per ciascuna provincia, l’istituzione una o più commissioni commissioni regionali.
Vengono quindi previste norme che integrano la composizione delle commissioni con due dirigenti regionali competenti in materia di paesaggio, al fine di una pari rappresentanza regionale, e norme tese a qualificarne la composizione. In relazione ai restanti membri da nominare da parte delle regioni, essi (due dei quattro previsti) devono, infatti, essere scelti nell’ambito di terne designate in ambito universitario regionale e dalle associazioni portatrici di interessi diffusi.
E’ stata, infine, prevista, al nuovo comma 3, una disposizione transitoria in attesa della costituzione di tali commissioni, al fine di evitare la paralisi delle attuali commissioni provinciali.
Nella relazione illustrativa le modifiche apportate sono giustificate dalla necessità di “dare un indirizzo uniforme sulla composizione della Commissione, inserendo, quali ulteriori membri di diritto, oltre ai tre rappresentanti statali, due rappresentanti regionali (i dirigenti preposti all'area e al servizio competenti in materia di paesaggio). Di conseguenza i residui componenti sono previsti in un numero massimo di quattro. Al medesimo comma si è altresì intervenuti sulle modalità di nomina dei componenti della commissione, al fine di assicurare una elevata qualificazione e competenza tecnica.. Si è aggiunto, in fine, un comma contenente una previsione transitoria necessaria a evitare la paralisi delle attuali commissioni provinciali in attesa che le Regioni provvedano alla nomina delle nuove commissioni in base alla presente disciplina”.
Anche nella relazione di sintesi si fa presente che la previsione sulla formazione delle commissioni regioni mira a una migliore qualificazione di tali organi.
2) Alcune delle modifiche all’art. 138 (art. 8 dello schema di decreto) relativo alla proposta di dichiarazione di pubblico interesse, e in particolare quelle del comma 1, tendono ad una sistematizzazione del testo, in quanto vengono ricollocate all’interno di tale comma alcune disposizioni impropriamente previste all’interno dell’art. 137, comma 2, e relative alla facoltà delle commissioni di consultare i comuni interessati ed esperti, come sottolinea anche la relazione illustrativa.
Il nuovo comma 3, aggiunto dal decreto in esame, mira ad assicurare, come riferisce anche la relazione illustrativa, l'efficienza ed efficacia dell'azione propositiva della Commissione prevedendo che tempi certi per la relativa deliberazione di pubblico interesse. La Commissione è tenuta, infatti, a deliberare entro 60 giorni dalla presentazione dell’atto di iniziativa.
Decorso il termine senza che la Commissione si sia in alcun modo pronunziata, viene comunque previsto che la proposta venga senz'altro formulata dallo stesso organo (statale o regionale) che aveva avviato il procedimento o, in alternativa – nel caso che anche questi rimanga a sua volta inerte - che altro organo statale o regionale rappresentato nella commissione possa fare sua l'iniziativa e surrogarsi alla commissione inadempiente nel formulare la proposta.
3) Le principali modifiche all’art. 139 (art. 9 dello schema di decreto) relativo alle forme di partecipazione al procedimento di dichiarazione di pubblico interesse riguardano, al comma 1, una corretta informazione agli organi locali intermedi (provincia e città metropolitana) collocata impropriamente nel comma 4 vigente relativo, invece, alla partecipazione del privato.
Viene poi introdotta, al comma 2, una forma di pubblicità anche per le determinazioni negative della Commissione.
La relazione illustrativa motiva tale scelta con “al fine di rendere esperibili i rimedi, anche giurisdizionali, previsti dall'ordinamento, anche avverso la scelta della Commissione di "bocciare" l'iniziativa del Soprintendente (o del dirigente della regione) volta ad apporre un nuovo vincolo”.
Sempre al comma 2 si è introdotta anche una precisazione chiarificatrice, mediante l'aggiunta di un apposito ultimo periodo, circa la decorrenza degli effetti del vincolo dì cui all'articolo 146, comma 1 (divieto di mutazione dello stato dei luoghi senza previa autorizzazione), a far data dal primo giorno di pubblicazione all'albo pretorio della proposta.
Al comma 3 viene introdotta una norma di semplificazione procedimentale, prevedendo che solo per la procedura di vincolo riguardante i beni individui (immobili di cui alle lett. a) e b) dell’art. 136) è dovuta la comunicazione individuale di avvio del procedimento. Il testo vigente (comma 4 dell’art. 139), come tra l’altro, sottolinea anche la relazione illustrativa, “prevede infatti un inutile appesantimento procedurale imponendo, nel caso di vincolo su beni individui, una vera e propria duplicazione della fase partecipativa, con incongruo differimento della comunicazione individuale al previo esperimento della fase partecipativa "pubblica".
4) Le principali modifica all’art. 140 (art. 10 dello schema in esame) riguardano:
§ al comma 1, l’introduzione di un termine più spedito, 60 giorni, per la conclusione del procedimento regionale di vincolo, vale a dire la dichiarazione di notevole interesse pubblico da parte della regione, dalla conclusione della precedente fase procedurale relativa alla presentazione di osservazioni e documenti da parte di eventuali interessati (art. 139, comma 5);
§ l’introduzione di un nuovo comma 2 ove viene precisato che i provvedimenti con i quali si dichiara il notevole interesse pubblico devono contenere specifiche disposizioni in ordine alle trasformazioni compatibili con la tutela del bene paesaggistico che si vincola, specularmene a quanto già previsto all’art. 138, comma 2, per le proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico. Nella relazione illustrativa si legge, infatti, che “sia nella proposta, che, a fortiori, nell'atto terminale del procedimento, è necessario che vi sia uno specifico contenuto di regola d'uso del territorio compatibile con il valore paesaggistico”.
5) Le modifiche all’art. 141 (art. 11 dello schema in esame) ancorano a termini certi, come tra l’altro fa presente anche la relazione illustrativa, la procedura sostitutiva ministeriale prevedendo, al comma 1, che nel caso di inerzia della Commissione (art. 138) o della regione (art. 140) nei tempi loro assegnati con le modifiche suesposte, il competente organo ministeriale periferico comunica alla regione e al Ministero l’avvio della procedura di sostituzione.
Il vigente comma prevede, invece, un termine massimo di un anno decorso il quale il direttore regionale può richiedere al Ministero di provvedere in via sostitutiva.
Anche nel nuovo comma 3 viene inserito un termine massimo, pari a 90 giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle osservazioni, entro il quale il Ministero provvede all’emanazione del decreto di dichiarazione di notevole interesse pubblico.
Nella relazione illustrativa - in relazione a tali modifiche - viene sottolineato come “si è ritenuto di dover intervenire in modo da riportare il rapporto tra potestà regionale e potestà statale al punto di equilibrio definito dalla nota pronuncia della Corte costituzionale 14 luglio 1998, n. 334. La previsione vigente come osservato dalla dottrina che per prima ha commentato il codice aveva in sostanza ridotto il ruolo statale nella funzione di individuazione definito dalla Consulta come parallelo e concorrente a un mero potere sostitutorio succedaneo, reso peraltro di scarsa efficacia dalla previsione di un termine assai lungo (un anno) di inerzia regionale al fine di integrare il presupposto dell'intervento sostitutivo. Più realisticamente e con previsione di maggiore efficacia per la funzione di tutela, l'intervento statale viene ancorato ai più stringenti termini previsti per la proposta della commissione e per la conclusione del procedimento regionale di dichiarazione (rispettivamente) dagli articoli 138 e 140 (come qui modificati). Al fine di contenere entro tempi ragionevoli la compressione dei diritti reali sul bene che deriva dal vincolo in itinere e dare certezza alle situazioni giuridiche, è stata anche prevista la cessazione degli effetti interinali del vincolo una volta decorso infruttuosamente il termine stabilito per l'emanazione del provvedimento ministeriale. Nella disposizione, inoltre, come già chiarito a proposito dell'articolo 139, si è provveduto a sostituire la dizione direttore regionale con la più generica locuzione competente organo ministeriale periferico al fine di non impegnare il Codice su previsioni di riparto di competenza interna al Ministero e di evitare disarmonie (anche solo potenziali) tra il Codice e la disciplina secondaria speciale di organizzazione del Ministero (D.P.R. n. 173 del 2004)”.
Si ricorda, ancora, che nella riunione tecnica preliminare della Conferenza Unificata del 5 dicembre 2005, le regioni avevano lamentato un “complessivo appesantimento in termini e tempi delle procedure, in palese contrasto con i principi di autonomia e con l’evidente intenzione di accentramento delle funzioni, anche con l’obiettivo di rafforzare il potere di controllo….”, mentre il Governo, nella bozza di documento contenente alcune osservazioni sulle valutazioni delle regioni elaborate in data 12 dicembre 2005, ha precisato che:
“a) che tutti i termini per provvedere, nelle diverse fasi del procedimento, sono stati abbreviati;
b) che sono state eliminate le lacune esistenti nella attuale normativa, che consentivano inerzie e insabbiamenti, lasciando “appesi” a tempo indeterminato i procedimenti autorizzatori;
c) che il parere della soprintendenza è vincolante solo – e non “in particolare” – in caso in cui una Regione non abbia voluto elaborare il piano d’intesa con lo Stato;
d) che la competenza in materia autorizzatoria era ed è delle Regioni, che dovrebbero esercitarla in prima persona”.
6) La modifica principale all’art. 142, comma 1, (art. 12 dello schema in esame) ha valore di chiarimento ai fini interpretativi. In materia di individuazione delle aree tutelate per legge per il loro interesse paesaggistico, la nuova norma dispone la soppressione dal testo vigente della disposizione che prevede che tale tutela opera fino all’approvazione del piano paesaggistico.
Tale modifica viene motivata nella relazione illustrativa con la necessità di “fugare l'equivoco, che si era affacciato in taluni interpreti nella prima applicazione del Codice, che il predetto inciso potesse rendere solo temporanee la tutela delle zone ex lege "Galasso", da trattarsi alla stregua di beni paesaggistici "minori". Nella relazione di sintesi viene aggiunto che “Una diversa interpretazione del Codice del 2004 – nel senso dell’abrogazione dei vincoli ex lege Galasso – avrebbe reso il Codice medesimo in parte qua incostituzionale per palese violazione del limite, imposto dalla legge delega 137 del 2002, di non diminuire gli strumenti di tutela vigenti”.
1) L’art. 146 (art. 16 dello schema in esame) sul procedimento autorizzatorio reca tre modifiche di carattere sostanziale rispetto al testo vigente.
La prima modifica riguarda l’introduzione di un nuovo comma 3 che prevede la possibilità, per le regioni, nel caso in cui stabiliscono di non esercitare direttamente la funzione autorizzatoria prevista dallo stesso art. 146, di delegarne l'esercizio alle (sole) province, nel rispetto del principio dell’adeguatezza del livello di governo al quale delegano la funzione (il riferimento costituzionale, in materia, è reperibile all’articolo 118, in materia di distribuzione delle competenze amministrative).
Viene, inoltre, previsto che, nel caso in cui la regione abbia già approvato il piano paesaggistico, che essa possa delegare ai comuni il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche alle seguenti condizioni: i comuni devono aver provveduto al conseguente adeguamento degli strumenti urbanistici al piano regionale approvato ed il parere della soprintendenza, di cui successivo comma 8 del presente articolo, resta vincolante.
Nella relazione illustrativa si spiega che tale modifica “consiste nell’enunciazione di un criterio fondamentale per le Regioni, le quali, nell'esercizio della (eventuale) delega agli enti locali della funzione autorizzatoria paesaggistica, devono rispettare il principio costituzionale della adeguatezza del livello di governo al quale delegano la funzione. Ciò, in relazione al "conflitto di interessi" derivante dal cumulo nell'ente comunale delle funzioni (spesso incompatibili) di sviluppo edilizio e di tutela paesaggistica (cumulo verificatosi nell'ultimo ventennio in quasi tutta Italia con risultati ritenuti unanimemente negativi). Si è così indicato nella Provincia il livello di gestione preferibile ed adeguato, sia in ragione della presenza, in capo a questo ente locale, di competenze in materia di controllo ambientale, sia per la maggiore distanza di questa amministrazione dagli interessi edilizi locali di trasformazione del territorio. Naturalmente, resta intatta la potestà regionale di delegare le funzioni autorizzatorie ai Comuni, ma si sono introdotti, per tale caso, opportuni limiti e condizioni, volti a compensare, sul piano della garanzia della effettività della tutela del paesaggio, la deroga al criterio di adeguatezza. Si è in primo luogo subordinata la possibilità di affidamento ai Comuni alla doppia condizione dell'avvenuto adeguamento del piano paesaggistico da parte della regione, e dei piani urbanistici comunali al predetto piano paesaggistico; si e poi previsto che, nel caso in cui la competenza venga delegata ai comuni, il parere del soprintendente sull'autorizzazione paesaggistica sia comunque vincolante (anche nel caso in cui il piano venga approvato e/o adeguato d'intesa tra Stato e Regioni, come previsto dall'articolo 143, comma 3)”.
Anche nella bozza di documento contenente alcune osservazioni sulle valutazioni delle regioni elaborate in data 12 dicembre 2005, il Governo ha rilevato come la delega di essa ai Comuni abbia dato risultati negativi, in quanto, nella maggior parte dei casi, a livello comunale vengano per essere privilegiati gli interessi edilizi su quelli di tutela paesaggistica. Pertanto si suggerisce alle Regioni di operare una riconsiderazione delle forme di organizzazione della funzione autorizzatoria, nel “rispetto del principio costituzionale di adeguatezza del livello di amministrazione cui esse debbono essere affidate (art. 118 Cost.)”.
La seconda modifica sostanziale è stata inserita alla fine del comma 8 e prevede che il parere del soprintendente diventi vincolante, ad eccezione del caso in cui il piano venga approvato a seguito dell'accordo tra lo Stato e le regioni (art. 143, comma 3), chiarendo dubbi interpretativi derivanti dalla mancata esplicitazione nel comma vigente della natura del parere stesso.
Infatti, nella valutazione complessiva del reale peso dei tre soggetti nell’iter di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica ai sensi delle norme vigenti, il dominus appare sostanzialmente l’autorità competente, in quanto il parere della Commissione sul paesaggio è obbligatorio ma non vincolante, mentre quello della soprintendenza è un ibrido tra un parere obbligatorio – anche se l’obbligo è in realtà per l’autorità competente all’invio della proposta – ed un parere facoltativo, potendo proseguire l’iter in caso di non espressione e potendo anche essere disatteso.
Si ricorda, brevemente, che le disposizioni del codice vigente prevedono tre soggetti coinvolti nel rilascio dell’autorizzazione paesaggistica: la Commissione per il paesaggio, la soprintendenza e l’autorità competente alla decisione.
La Commissione per il paesaggio, istituita (entro il 1 maggio 2005) presso ogni ente locale, dovrà esprimere parere obbligatorio in merito al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.
Per ciò che concerne la Soprintendenza, l’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione, una volta accertata la compatibilità paesaggistica dell’intervento e acquisito il parere della Commissione per il paesaggio, deve trasmetterle entro 40 giorni la proposta di autorizzazione corredata del progetto e della relativa documentazione e darne notizia agli interessati (art. 146, comma 6). Salvo richiesta di integrazione, la soprintendenza ha 60 giorni di tempo per far pervenire il suo parere dalla data di ricezione della proposta di autorizzazione (art. 146, comma 7), trascorso il quale l’autorità competente assume comunque posizione in merito.
In ogni caso, l’autorizzazione paesaggistica è rilasciata o negata entro venti giorni dalla data di ricezione del parere della soprintendenza, “costituisce atto distinto e presupposto della concessione o degli altri titoli legittimanti l’intervento edilizio”, diventa efficace “trascorsi 20 giorni dalla sua emanazione” (art. 146, comma 10) e, viene precisato, che i lavori non possono essere iniziati in difetto di essa. I lavori non possono essere iniziati in difetto dell’autorizzazione paesaggistica ma essa può non rispettare l’eventuale parere negativo della Soprintendenza. Ciò viene evidenziato in particolare nel comma 12 dell’art. 143 che prevede una interessante forma di pubblicità per le autorizzazioni rilasciate tramite un elenco, aggiornato almeno ogni giorni e liberamente consultabile, dove vengono indicate le date di rilascio di ognuna di esse corredate di un annotazione sintetica inerente l’oggetto e con la precisazione “se essa sia stata rilasciata in difformità del parere della Sopraintentenza”.
Nella relazione illustrativa l’inserimento del parere vincolante del soprintendente “è diretta a ripristinare una reale cogestione del vincolo tra Stato e Regioni (o enti delegati), in ossequio alla costante giurisprudenza sia costituzionale che amministrativa che ha sempre affermato e ribadito il concorso paritario dello Stato e delle Regioni anche nella gestione dello strumento autorizzatorio. Essa consiste nella previsione del carattere vincolante del parere soprintendentizio sulla proposta di autorizzazione regionale (o dell'ente cui la funzione sia stata dalla Regione affidata). La vincolatività del parere è però esclusa nell'ipotesi in cui il contenuto del piano sia stato definito d'accordo tra Stato e regione (articolo 143, comma 3). Si tratta di una novità importante, fortemente voluta dalle associazioni ambientaliste e da numerosi studiosi della materia e operatori del settore che avevano duramente criticato il codice del 2004 proprio sotto il profilo dell'indebolimenito della tutela per il "combinato disposto" dell'abrogazione dello strumento dell'annullamento rninisteriale e della sua trasformazione m un parere meramente obbligatorio, ma non vincolante. La innovazione introdotta, dunque, rafforza la tutela e intende far cessare ogni dubbio, anche in punto di legittimità costituzionale, dell'attuale conformazione del procedimento autorizzatorio (sotto il profilo del pieno rispetto del fondamentale criterio e limite dato dalla legge delega n. 137 del 2002 nel senso della non riduzione degli strumenti di tutela vigenti).
La terza modifica sostanziale è riferita al comma 12 (comma 10, lett. c), nel testo vigente) ed è finalizzata a consentire l’autorizzazione in sanatoria successiva alla realizzazione, anche parziale, soltanto per i “piccoli” abusi di cui ai successivi commi 4 e 5 dell’art. 167.
La norma vigente - vale a dire il comma 10, lett. c) che il comma 12 ora sostituisce - prevede, invece, che in nessun caso l’autorizzazione in sanatoria possa essere rilasciata successivamente alla realizzazione anche parziale degli interventi.
La relazione illustrativa motiva l’introduzione di tale “eccezione” da un lato, con la richiesta delle stesse regioni e, dall’altro in quanto “imposta per la sopravvenienza della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione) che, ai commi 36 e ss. dell'articolo unico, ha apportato modifiche al sistema delle sanzioni in campo paesaggistico, sia amministrative che penali, reintroducendo, sia pur limitatamente ai "piccoli" abusi, la sanabilità ex post”. Nella relazione si legge ancora “Al fine di coniugare, in un giusto punto di equilibrio, rigore e ragionevolezza nello strumentario sanzionatorio amministrativo, nonché di rendere coerente il quadro normativo, si è previsto di tenere ferma la regola essenziale per un recupero di effettività della tutela del paesaggio – della inammissibilità di una valutazione della compatibilità paesaggistica della trasformazione territoriale che sia spostata a "dopo" la manomissione del bene; e di ammettere, nel contempo, una tassativa eccezione alla predetta regola, consentendo la “sanatoria" dei soli "piccoli" abusi (quelli che non producono aumenti di superficie o di volume), comunque previa valutazione dell'amministrazione competente, nei termini e secondo le modalità stabilite nell'articolo 167 sulle sanzioni amministrative (cui si rinvia)”.
In conseguenza delle modifiche introdotte dall’art. 146 sul procedimento autorizzatorio, con l’introduzione della deroga al divieto di autorizzazione ex post limitatamente agli abusi “minori”, vengono poi introdotte modifiche all’art. 167 (art. 27 dello schema in esame), attraverso l’introduzione dei due nuovi commi (4 e 5) che prevedono, appunto, disposizioni specifiche per i piccoli abusi.
Nella relazione di sintesi allo schema di decreto si sottolinea come si è proceduto ad una necessaria “razionalizzazione del sistema sanzionatorio, resa urgente dalla sopravvivenza della legge 308 del 2004”.
L’accertamento dell’autorità amministrativa, operato ai sensi del comma 4, tende ad accertare la compatibilità paesaggistica nei seguenti casi:
a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbi ano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
b) per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica;
c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del DPR 6 giugno 2001, n. 380.
Ai sensi del nuovo comma 5 il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati di tali interventi, è tenuto a presentare apposita domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. A sua volta l’autorità competente deve pronunciarsi entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni.
Nel caso in cui venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. L'importo della sanzione pecuniaria è determinato previa perizia di stima.
Nell’eventualità, invece, di rigetto della domanda, viene applicata la sanzione demolitoria prevista dal comma 1. Viene, infine, previsto che la domando di accertamento della compatibilità paesaggistica presentata ai sensi dell’art. 181, comma 1-quate per opere eseguite in assenza di autorizzazione o in difformità da essa, si intende presentata anche ai sensi e per gli effetti del presente comma.
Nella relazione illustrativa viene sottolineato come “il funzionamento di questo meccanismo di sanabilità dei piccoli abusi (commi 4 e 5) è stato ripreso dalla legge n. 308 del 2004 (che ha inserito i commi 1-ter, 1-quater e 1-quinquies del comma 3 dell’articolo 181 del codice), mutuando, con alcuni aggiustamenti lessicali, la formulazione delle disposizioni contenute ai predetti commi…”. Nella relazione si legge ancora che la “riformulazione introdotta si pone in linea con il parere n. 1956/2005 reso dalla sez. Il del Consiglio di Stato in data 15 giugno 2005 (trasmesso al Ministero richiedente il 12 ottobre 2005) sul quesiti posti dal Ministero in tema di condono paesaggistico (legge n. 308 del 2004, art. 1, commi 37 e ss.) e di condono edilizio su aree sottoposte a vincolo paesaggistico. In tale parere il Consiglio di Stato ha riconnesso effetti di sanatoria amministrativa al condono (penale) del reato paesaggistico relativamente agli abusi commessi entro il 30 settembre 2004, ai sensi del comma 37 dell'articolo 1 della legge 308/2004, ma ha escluso che la nuova procedura di accertamento di compatibilità paesaggistica di cui al comma 1-quater aggiunto all'articolo 181 del codice dal comma 36 dell'articolo 1 della legge 308 del 2004 possa avere una valenza estesa al campo amministrativo. Questa ricostruzione, per quanto indubbiamente aderente al testo della legge n. 308, del 2004, come autorevolmente interpretato dall'Organo consultivo, cristallizza tuttavia una discrasia tra procedimenti eccezionali di condono edilizio, cui conseguono anche effetti di sanatoria amministrativa, e procedimenti "a regime" di accertamento di compatibilità paesaggistica (novella all'articolo 181 del codice introdotta dal comma 36 del ripetuto articolo 1 della legge 308/2004), con effetti limitati esclusivamente al piano penale (e ferma restando l’irrogazione successiva delle sanzioni amministrative, anche ripristinatorie). Con la conseguenza incongrua della possibile demolizione di piccoli abusi per i quali l'autorità competente, con il parere della Soprintendenza, abbia già accertato la "compatibilità paesaggistica". La nuova disciplina proposta, come già chiarito nella relazione all'articolo 146 sul procedimento autorizzatorio, armonizza il sistema, prevedendo che l'accertamento di compatibilità paesaggistica (id est l'autorizzazione paesaggistica in sanatoria, ex post) comporti sempre ed in ogni caso effetti sia sul piano penale (esclusione del reato), sia sul piano amministrativo (esclusione della sanzione demolitoria, logicamente incompatibile con l'intervenuto accertamento di compatibilità paesaggistica, e irrogazione della sola sanzione pecuniaria, diretta a "colpire" l'abuso formale, ossia la violazione della norma del previo controllo autorizzatorio)”.
Un’ulteriore sostanziale modifica all’art. 167 riguarda il comma 1 ove viene eliminata una delle due sanzioni che potevano essere comminate, in alternativa, dall’amministrazione preposta alla gestione del vincolo, vale a dire quella pecuniaria e, mantenuta, invece solo quella della rimessione in pristino a spese del trasgressore, ovvero la demolizione.
La finalità della disposizione, come tra l’altro, anche sottolineato nella relazione illustrativa, è volta ad una più penetrante tutela del paesaggio, in quanto tutti gli abusi vengono puniti con la demolizione e si è, inoltre, “.introdotta una soluzione che elimina l'ambigua formula dell'articolo 167, comma 1, ereditata dall'articolo 15 della legge n. 1497 del 1939, che ammetteva la "scelta" dell'amministrazione, preposta alla gestione del vincolo tra sanzione pecuniaria e sanzione demolitoria (formula la cui ambiguità aveva “legittimato" l'invenzione pretoria dell'autorizzazione postuma in sanatoria), e la si è sostituita con la perentoria affermazione, di reale tutela del paesaggio, per cui tutti gli abusi sono puniti con la demolizione (in quanto sanzione ripristinatoria di tutela del bene protetto, al di là del suo contenuto afflittivo). A temperare tale regola generale, di serietà e rigore nella tutela “si è però affiancata, in ossequio al principio di ragionevolezza e proporzionalità, la sanabilità, previa valutazione dell'amministrazione competente, dei soli "piccoli" abusi che non comportino aggiunte di superfici o di volumi e abbiano, quindi, un impatto meno rilevante sul paesaggio”.
1) Una delle modifiche di rilievo all’art. 156 (art. 24 dello schema in esame) riguarda il comma 1, ove viene introdotta una disposizione che prevede l’attivazione del potere sostitutivo ministeriale nel caso di inadempienza regionale nell’adeguamento dei piani paesaggistici nel termine previsto del 1° maggio 2008.
La relazione illustrativa precisa che “non vi sarebbe motivo per lasciare l'adempimento centrale della tutela del paesaggio senza strumenti atti ad assicurarne la realizzazione di fronte ad eventuali comportamenti inerti o dilatori”.
L’altra modifica riguarda il comma 3 ove viene precisato che lo strumento di elaborazione congiunta (tra regioni e Ministero) della verifica e dell’adeguamento del piano è rappresentato dall’intesa. Nell'intesa è stabilito il termine entro il quale devono essere completati la verifica e l'adeguamento, nonché il termine entro quale la regione approva il piano adeguato.
Il contenuto del piano adeguato formerà quindi oggetto di accordo preliminare tra il Ministero e la regione. Nel caso in cui all'accordo preliminare non consegua, entro sessanta giorni l'approvazione da parte della regione, il piano è approvato in via sostitutiva con decreto del Ministro.
La versione vigente del comma 3 prevede, invece, che lo strumento per disciplinare lo svolgimento dell’intesa delle attività volte alla verifica e all’adeguamento dei piani paesaggistici tra regioni e Ministero, sia l’accordo. E’ nell’accordo, quindi, che devono essere stabiliti i termini di conclusione delle attività e di approvazione, da parte della regione, del piano adeguato. Nel caso di mancata approvazione regionale, subentra il potere sostituivo del Ministero. Nel comma vigente manca il termine di sessanta giorni entro il quale deve intervenire l’approvazione regionale.
La relazione illustrativa sottolinea che tale modifica è tesa a chiarire, in coerenza con gli istituti generali del procedimento amministrativo, un’ambiguità terminologica presente nel testo vigente.
2) Le modifiche più rilevanti all’art. 159 (art. 26 dello schema in esame) sul procedimento di autorizzazione in via transitoria riguardano il comma 1, 2 ed il nuovo comma 6.
Al comma 1 la cessazione del regime transitorio è stata collegata, anziché all’adeguamento del piano paesaggistico, alla scadenza del termine previsto per tale adempimento (1 maggio 2008), trattandosi di un termine sufficientemente ampio per consentire alle amministrazioni di adeguare le proprie strutture amministrative al nuovo procedimento.
La modifica al comma 2 prevede l’obbligatorietà, invece della vigente facoltatività, nell’invio, da parte dell’amministrazione competente alla soprintendenza di una relazione illustrativa degli accertamenti previsti dall’art. 146, comma 6.
Le disposizioni introdotte dal comma 6 dispongono l’applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 146, commi 1,2,5,6 e 12 relative al regime autorizzatorio introdotto.
La relazione illustrativa precisa che la finalità del nuovo comma è quella di chiarire un “dubbio interpretativo che si era profilato in ordine alla immediata applicabilità di alcune previsioni sulla natura dei potere autorizzatorio esercitabile contenute nell'articolo 146 (che avrebbero potuto intendersi come applicabili soltanto nel procedimento autorizzatorio "a regime"). In particolare, la nuova disposizione conferma la immediata applicabilità del divieto di autorizzazione paesaggistica in sanatoria, affermata da questo Ministero con circolare n. …del.. e peraltro ritenuta anche dalla prima giurisprudenza amministrativa che si è pronunciata sul tema”. Si osserva che la relazione illustrativa non reca il riferimento al numero ed alla data della circolare citata, ma da ricerche effettuate sembrerebbe essere la circolare del 29 settembre 2004, n. 26189/B.
3) Le modifiche all’art. 182 (art. 29 dello schema in esame) prevedono l’introduzione di tre nuovi commi recanti disposizioni transitorie necessarie in seguito alle modifiche introdotte nel testo soprattutto all’art. 146, comma 12 e all’art. 167, finalizzate a disciplinare la sorte di numerosi procedimenti di autorizzazione ex post pendenti alla data di entrata in vigore delle disposizioni in esame (comma 4) ed a chiarire l’efficacia anche amministrativa delle domande di condono paesaggistico presentate entro il 30 gennaio 2005 (comma 5).
Il nuovo comma 4 prevede che, in deroga al divieto di cui all'articolo 146, comma 12, vengano conclusi dall'autorità competente alla gestione del vincolo paesaggistico i procedimenti relativi alle domande di autorizzazione paesaggistica in sanatoria presentate entro il 30 aprile 2004 non ancora definiti alla data di entrata in della disposizione in esame, ovvero definiti con determinazione di improcedibilità della domanda per il sopravvenuto divieto, senza pronuncia nel merito della compatibilità paesaggistica dell'intervento. In tale ultimo caso l'autorità competente è obbligata, su istanza della parte interessata, a riaprire il procedimento ed a concluderlo con atto motivato nei termini di legge. Vengono, quindi, applicate le sanzioni pecuniarie previste dall'articolo 167, comma 5.
La relazione illustrativa sottolinea come “In conseguenza delle modifiche introdotte negli articoli 146, comma 10, e 167, nel senso della "mitigazione" dell'assoluto divieto di autorizzazione paesaggistica in sanatoria, si è resa necessaria l'aggiunta in un apposito quarto comma di una disposizione transitoria finalizzata a disciplinare la sorte dei numerosi procedimenti di autorizzazione ex post pendenti alla data di entrata in vigore del codice, che non siano già stati definiti dalle amministrazioni competenti. Si è al riguardo ammessa una sorta di "ultrattività" sostanziale del vecchio regime pretorio ammissivo (senza limiti) di tale sanabilità e, anche per ragioni di tutela dell'affidamento del cittadino, tenuto conto anche del confuso intreccio normativo venutosi a creare per la sopravvenienza della norma del dicembre 2004 (legge n. 308 del 2004), si è ammessa la possibilità che i procedimenti relativi alle domande di autorizzazione paesaggistica in sanatoria presentate entro il 30 aprile 2004 e non ancora definiti entro la data di entrata in vigore del presente decreto legislativo possano essere definiti nel merito. Si è naturalmente chiarito che in caso di esito favorevole del vaglio di compatibilità paesaggistica dell'abuso, il trasgressore vada oggetto alla sanzione pecuniaria determinata previa perizia di stima, in una somma equivalente al maggiore importo tra, il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione”.
Il comma 5 dispone che le previsioni recate dal comma 4 vadano applicate anche alle domande di sanatoria presentate nei termini ai sensi dell'articolo 1, commi 37 e 39, della legge 15 dicembre 2004, n. 308, ferma restando la quantificazione della sanzione pecuniaria ivi stabilita. Il parere della soprintendenza di cui all'articolo 1, comma 39, della legge 15 dicembre 2004, n. 308, sì intende vincolante.
La relazione illustrativa motiva l’inserimento di tale comma nell’intento di“chiarire l'efficacia anche amministrativa delle domande di condono paesaggistico presentate entro il 30 gennaio 2005 ai sensi della legge n. 308 del 2004, così da risolvere un difficile problema di coordinamento normativo, in linea con le indicazioni al riguardo fornito dal parere dalla sez. II del Consiglio di Stato in data 15 giugno 2005 (trasmesso al Ministero richiedente il 12 ottobre 2005) sui quesiti posti dal Ministero in tema di condono paesaggistico, (legge n. 308 del 2004, art. 1, commi 37 e ss.) e di condono edilizio su aree sottoposte a vincolo paesaggistico”.
[1] Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 114 del 18 maggio 2001.
[2]“Delega per la riforma dell'organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché di enti pubblici”.
[3] La relazione illustrativa riporta (in modo non corrispondente al testo dell’articolato) che l’iniziativa può essere anche della stessa commissione.
[4] Sul dibattito che, nel merito, si è instaurato tra il Ministero per i beni e le attività culturali e la Corte dei conti si rinvia alla relazione illustrativa, pagg. LXVIII-LXIX.
[5] Consultabile all’indirizzo http://www.paesaggio.beniculturali.it/sitap/sitap.html.
[6] Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 114 del 18 maggio 2001.
[7]“Delega per la riforma dell'organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché di enti pubblici”.