XIV Legislatura - Dossier di documentazione
Autore: Servizio Studi - Dipartimento ambiente
Altri Autori: Servizio Studi - Dipartimento ambiente , Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: Accesso del pubblico all’informazione ambientale - Direttiva 2003/4/CE - Schema di D.Lgs. n. 494 (art. 1, co. 3,, L. 306/2003)
Serie: Pareri al Governo    Numero: 430
Data: 13/06/05
Descrittori:
AMBIENTE   DIRITTO DI ACCESSO
INFORMAZIONE   PUBBLICITA' DI ATTI E DOCUMENTI
Organi della Camera: Commissione per le politiche dell'Unione europea
VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici

servizio studi

segreteria generale
ufficio rapporti con l’ue

 

pareri al governo

Accesso del pubblico all’informazione ambientale

Direttiva  2003/4/CE

Schema di D.Lgs. n. 494

(art. 1, co. 3,, L. 306/2003)

n. 430

 


xiv legislatura

13 giugno 2005

 

Camera dei deputati


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dipartimento Ambiente

 

SIWEB

 

I dossier del Servizio studi sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

 

File: Am0594

 


INDICE

Scheda di sintesi per l'istruttoria legislativa

Dati identificativi3

Struttura e oggetto  4

§      Contenuto  4

§      Relazioni e pareri allegati5

Elementi per l’istruttoria legislativa  6

§      Conformità con la norma di delega  6

§      Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite  7

§      Rispetto degli altri princìpi costituzionali7

§      Compatibilità comunitaria  7

§      Incidenza sull’ordinamento giuridico  9

§      Formulazione del testo  10

Schede di lettura

§      La normativa nazionale in materia di accesso all’informazione ambientale  13

§      La direttiva 2003/4/CE   15

§      Art. 1 (Finalità)18

§      Art. 2 (Definizioni)19

§      Art. 3 (Accesso all'informazione ambientale su richiesta)22

§      Art. 4 (Cataloghi e punti d’informazione)25

§      Art. 5 (Casi di esclusione del diritto di accesso)27

§      Art. 6 (Tariffe)31

§      Art. 7 (Tutela del diritto di accesso)33

§      Art. 8 (Diffusione dell'informazione ambientale)35

§      Art. 9 (Qualità dell'informazione ambientale)38

§      Art. 10 (Relazioni)39

§      Art. 11 (Aspetti organizzativi e procedimentali delle regioni e degli enti locali)41

§      Art. 12 (Norme finanziarie, di rinvio e abrogazioni)42

Schema di d.lgs. n. 494

Schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale  45

Normativa nazionale

§      Cost. 27 dicembre 1947. Costituzione della Repubblica italiana. (Artt. 76, 87 e 117)71

§      L. 8 luglio 1986, n. 349. Istituzione del Ministero dell'ambiente e norme in materia di danno ambientale. (Artt. 1 e 14)74

§      L. 7 agosto 1990, n. 241. Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi. (Artt. 22, 24, 25 e 27)76

§      D.P.R. 27 giugno 1992, n. 352.  Regolamento per la disciplina delle modalità di esercizio e dei casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti amministrativi, in attuazione dell'art. 24, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241, recante nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi (Artt. 11 e 12)84

§      D.Lgs. 24 febbraio 1997, n. 39.  Attuazione della direttiva 90/313/CEE, concernente la libertà di accesso alle informazioni in materia di ambiente.86

Normativa comunitaria

§      Dir. 90/313/CEE del 7 giugno 1990. Direttiva del Consiglio concernente la libertà di accesso all'informazione in materia di ambiente.93

§      Dir. 2003/4/CE del 28 gennaio 2003. Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale e che abroga la direttiva 90/313/CEE del Consiglio.99

 


Scheda di sintesi
per l'istruttoria legislativa


Dati identificativi

Numero dello schema di decreto legislativo

494

Titolo

Schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale

Norma di delega

Art. 1, co. 3, L. 31 ottobre 2003, n. 306

Settore d’intervento

Ambiente

Numero di articoli

12

Date

 

§       presentazione

24 maggio 2005

§       assegnazione

25 maggio 2005

§       termine per l’espressione del parere

4 luglio 2005

§       scadenza della delega

1 settembre 2005

Commissione competente

VIII Ambiente e XIV Politiche dell’Unione europea

Rilievi di altre Commissioni

V Bilancio

 


Struttura e oggetto

Contenuto

Lo schema di decreto in esame mira al recepimento della direttiva 2003/4/CE in materia di accesso del pubblico all’informazione ambientale. Tale direttiva abroga la direttiva 90/313 avente ad oggetto la stessa materia e recepita nel nostro ordinamento attraverso l’emanazione del decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 39, di cui si dispone l’abrogazione attraverso il presente schema.

La direttiva 2003/4/CE – come si evince dalla scheda di lettura contenuta nel presente dossier – ha l’obiettivo di ampliare rispetto alla direttiva precedente i tipi di informazione ambientale disponibili e gli strumenti per reperire tali informazioni, anche attraverso la creazione di apposite banche dati. Viene inoltre rafforzata la tutela del diritto ad ottenere l’informazione ambientale, attraverso l’abbreviazione dei tempi previsti per l’ottenimento dell’informazione e la previsione che le esclusioni al diritto a tale informazione devono essere interpretate in modo restrittivo. Inoltre, la direttiva si propone l’obiettivo di rendere gratuito almeno l’esame diretto presso la pubblica amministrazione dell’informazione ambientale.

Lo schema di decreto, che ricalca sostanzialmente l’impianto della direttiva 2003/4, dopo avere enucleato all’articolo 1 le finalità del provvedimento, fornisce all’articolo 2 le definizioni.

Gli articoli 3,4 e 5 costituiscono il nucleo del provvedimento. Essi disciplinano il diritto all’informazione ambientale. L’articolo 3 prevede che – in linea di principio – chiunque ne faccia richiesta possa accedere all’informazione ambientale, senza dover dimostrare l’interesse che sostiene tale richiesta. Tale richiesta deve avere risposta generalmente entro un mese e in casi particolari entro 2 mesi. Viene inoltre garantita -di norma- la possibilità di ottenere l’informazione nel formato richiesto. L’articolo 4 istituisce, al fine di rendere effettivo l’esercizio del diritto di cui all’articolo 3, cataloghi pubblici dell’informazione ambientale, mentre l’articolo 5 prevede una serie di esclusioni al diritto all’informazione ambientale, prevedendo comunque una serie di garanzie, tra cui quella - prevista dalla direttiva 2003/4  -  della necessità di interpretare in senso restrittivo i casi di esclusione previsti.

L’articolo 6 prevede che quantomeno l’accesso ai cataloghi di cui all’articolo 4 e l’esame presso il detentore dell’informazione siano gratuiti.

L’articolo 7 prevede la possibilità di ricorrere in via amministrativa o giurisdizionale contro le decisioni assunte dalla pubblica amministrazione in materia di diritto all’informazione ambientale.

L’articolo 8 prevede vari obblighi a carico dell’autorità pubblica in materia di diffusione informazione ambientale, da adempiersi attraverso l’uso delle tecnologie di telecomunicazione in informatica e delle tecnologie elettroniche disponibili e in particolare attraverso la creazione di banche dati elettroniche.

L’articolo 9 assegna all’APAT il compito di garantire la qualità dell’informazione ambientale.

L’articolo 10 prevede l’elaborazione di una relazione sull’attuazione della direttiva da parte del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e la sua trasmissione alla Commissione europea.

L’articolo 11 disciplina gli aspetti organizzativi e procedimentali che le Regioni e gli enti locali debbono adottare per l’attuazione dello schema di decreto.

L’articolo 12, infine, prevede le abrogazioni e le norme finanziarie.

Relazioni e pareri allegati

Lo schema di decreto è accompagnato dalla relazione illustrativa e da una relazione tecnico-normativa. Non è stato trasmesso il parere della Conferenza unificata.

 


Elementi per l’istruttoria legislativa

Conformità con la norma di delega

La delega relativa allo schema in esame è recata dall’articolo 1 comma 1 della legge 31 ottobre 2003, n. 306 (legge comunitaria per il 2003), che fa rinvio agli elenchi di direttive recate dagli Allegati A e B alla legge stessa. Le direttiva 2003/4/CE è riportata nell’elenco di cui all’Allegato B (è pertanto previsto il parere delle competenti Commissioni parlamentari). I principi e i criteri direttivi sono quelli di carattere generale contenuti nell’articolo 2 della legge stessa.

 

I principi e criteri direttivi da considerare ai fini della valutazione di conformità fra norma di delega e norme delegate possono riassumersi nei seguenti:

-          necessità - da parte delle amministrazioni interessate - di provvedere all’attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture amministrative (lettera a) del comma 1);

-          coordinamento fra le nuove norme e le discipline vigenti per i singoli settori interessati (lettera b)) e ricorso, ove possibile, alla tecnica della novellazione (lettera e)) nel caso di attuazione di direttive che modificano precedenti direttive già attuate con legge o decreto legislativo, ad esclusione delle materie oggetto di delegificazione ovvero dei procedimenti oggetto di semplificazione amministrativa;

-          vari criteri in materia di sanzioni amministrative e penali, fra cui la limitazione delle sanzioni penali ai soli casi in cui le infrazioni “ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti” (lettera c));

-          piena conformità alla normativa comunitaria, anche sopravvenuta (lettera f);

-          coordinamento fra le competenze amministrative, secondo i principi generali di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, nella salvaguardia delle competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, nonché degli ulteriori principi generali di unitarietà dei processi decisionali, trasparenza, celerità, efficacia ed economicità e individuazione dei soggetti responsabili (lettera g)).

 

Tali principi e criteri indicati dal legislatore nella norma di delega sembrano – in linea generale- essere stati rispettati.

 

 

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Lo schema affronta le tematiche dell’informazione ambientale, che è materia che rientra nella tutela dell’ambiente. Tale materia è, ai sensi della lettera s) secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione, assegnata alla legislazione esclusiva dello Stato.

Lo schema peraltro regola procedimenti amministrativi riguardanti l’informazione ambientale. Anche volendo considerare questo aspetto, non sembra però potersi dubitare del fatto che la materia deve essere disciplinata con legge dello Stato. Vengono infatti posti principi fondamentali, imposti da una normativa comunitaria, ai quali, peraltro le Regioni e gli enti locali si dovranno uniformare sulla base di accordi da raggiungere in sede di Conferenza unificata (articolo 11).

Sembra quindi, in ogni caso sufficientemente garantita l’autonomia degli enti locali. D’altra parte, occorre ricordare che la lettera p) del comma 2 dell’articolo 117 della Costituzione attribuisce allo Stato il compito  di organizzare le funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane.

Rispetto degli altri princìpi costituzionali

Nulla da segnalare

Compatibilità comunitaria

Esame del provvedimento in relazione alla normativa comunitaria

Il provvedimento sembra sostanzialmente conforme alla direttiva 2003/4/CE.

Procedure di contenzioso in sede comunitaria
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione europea)

Nulla da segnalare.

Documenti all’esame delle istituzioni europee
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione europea)

Il 24 ottobre 2003 la Commissione ha presentato un pacchetto di proposte legislative per l’adeguamento completo della normativa comunitaria alle disposizioni previste dalla Convenzione UNECE[1]di Århus sull’accesso alle informazioni[2], la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale. La Convenzione è stata ratificata dall’Unione europea con decisione 2005/370/CE del 17 febbraio 2005.

Il pacchetto di proposte legislative comprende:

·         una proposta di regolamento per l’applicazione alle istituzioni comunitarie delle disposizioni della Convenzione di Århus (COM(2003) 622), sulla quale, dopo la prima lettura del Parlamento europeo del 31 marzo 2004, il Consiglio ha raggiunto l’accordo politico in vista della posizione comune il 20 dicembre, secondo la procedura di codecisione;

·         una proposta di direttiva relativa all’accesso alla giustizia in materia ambientale (COM(2003) 624), sulla quale il Parlamento europeo si è espresso in prima lettura il 31 marzo 2004, secondo la procedura di codecisione.

 

Dal 25 al 27 maggio 2005 si è svolta ad Almaty, in Kazakistan, il secondo Incontro delle Parti della Convenzione di Arhus.

Secondo fonti informali, nel corso della Conferenza sono stati registrati progressi in direzione di una graduale armonizzazione delle politiche in materia di “democrazia ambientale” dei Paesi EECCA (Eastern Europe, Caucasus and Central Asia) con quelle dell’Unione europea. In particolare, è stato approvato un emendamento alla Convenzione che introduce procedure più dettagliate volte a favorire la partecipazione della società civile nell’autorizzazione al rilascio deliberato nell’ambiente e alla commercializzazione di organismi geneticamente modificati.

Sono state inoltre approvate alcune linee guidafinalizzate a promuovere presso gli altri forum internazionali di carattere ambientale i principi, già operanti nel contesto della Convenzione di Arhus, del coinvolgimento e della partecipazione della società civile.

 

Il 6 ottobre 2004 la Commissione ha presentato una proposta di decisione relativa alla conclusione, a nome della Comunità europea, del protocollo UNECE[3] sui registri delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti (COM (2004) 635).

Il protocollo sui registri delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti prevede la creazione di un sistema coerente di registrazione dei dati sull’inquinamento in una base di dati informatizzata strutturata e accessibile al pubblico, ai fini della prevenzione e della riduzione integrate dell’inquinamento.

La proposta di decisione sarà esaminata dal Consiglio e dal Parlamento europeo secondo la procedura di consultazione.

Per garantire la piena osservanza del protocollo, il 7 ottobre 2004 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento sulla creazione di un registro europeo dei trasferimenti e dell’eliminazione degli inquinanti (PRTR Pollutant Release and Transfer Registers) (COM(2004)634). La proposta è intesa a facilitare l’accesso del pubblico all’informazione sull’ambiente tramite la creazione di un registro europeo coerente ed integrato delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti. Il registro, che, nelle intenzioni della Commissione, contribuirà alla prevenzione e alla riduzione dell’inquinamento, fornirà dati ai responsabili delle politiche ambientali e faciliterà la partecipazione del pubblico al processo decisionale in materia di ambiente.

La proposta di regolamento verrà esaminata dal Parlamento europeo e dal Consiglio secondo la procedura di codecisione.

 

Incidenza sull’ordinamento giuridico

Riflessi sulle autonomie e sulle altre potestà normative

L’articolo 11 prevede che in attuazione del principio di leale collaborazione, gli aspetti organizzativi e procedimentali che le Regioni e gli enti locali debbono adottare per l’attuazione del decreto sono individuate sulla base di accordi da raggiungere in sede di Conferenza unificata.

Attribuzione di poteri normativi

Nulla da segnalare.

Coordinamento con la normativa vigente

La materia di cui tratta lo schema di decreto è attualmente disciplinata dal decreto legislativo 24 febbraio 1997, n.39, che ha attuato la direttiva 90/313. Tale ultima direttiva viene abrogata dalla direttiva 2003/4. Conseguentemente, lo schema di decreto prevede l’abrogazione del decreto legislativo n.39 del 1997.

Formulazione del testo

All’articolo 2 lettera comma 1 lettera b), si valuti l’opportunità di rendere la definizione di “autorità pubblica” maggiormente aderente al dettato della direttiva 2003/4, specificando che anche i soggetti privanti che svolgono funzioni pubbliche connesse alle tematiche ambientali, rientrano tra le autorità pubbliche tenute a fornire le informazioni ambientali.

 

 

 


Schede di lettura

 


La normativa nazionale in materia di accesso all’informazione ambientale

Il diritto di accesso alle informazioni ambientali, così come disciplinato dal decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 39 trova il suo fondamento sia nella direttiva 90/313/CEE, concernente la libertà di accesso alle informazioni in materia di ambiente, che il decreto ha provveduto a recepire, sia in previgenti norme nazionali, quali:

§         l’art. 14 della legge 8 luglio 1986, n. 349, recante l’istituzione del Ministero dell'ambiente, che riconosce il diritto di accesso alle informazioni sullo stato dell’ambiente a qualsiasi cittadino;

§         la legge 7 agosto 1990, n. 241 recante “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”:

Con il d.lgs. n. 39/1997 si è provveduto a derogare alla disciplina generale del diritto di accesso dettata dalla legge n. 241/1990, “ampliandolo sia soggettivamente che oggettivamente, svincolandolo da una particolare posizione legittimante del richiedente (l’art. 3 del decreto prevede, infatti, che “Le autorità pubbliche sono tenute a rendere disponibili le informazioni relative all'ambiente a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dimostrare il proprio interesse”) e dando per presupposto, considerata la particolare rilevanza del bene in questione, la prevalenza dell’interesse all’informazione sulle condizioni ambientali, e consentendo, in tal modo, il controllo diffuso sui beni ambientali”[4].

Ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. n. 39/1997, per quanto non previsto dal decreto trovano peraltro applicazione le disposizioni generali sul diritto di accesso alla documentazione amministrativa.

 

 

Si ricorda, altresì, che numerose discipline settoriali in materia di tutela dell’ambiente prevedono norme finalizzate a consentire l’informazione e la partecipazione del pubblico; è questo il caso delle norme nazionali in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA), secondo cui – tra l’altro - il pubblico deve essere informato nello stadio iniziale della procedura e il parere finale della Commissione competente a decidere deve non solo essere reso pubblico ma anche essere basato sulle osservazioni proposte dal pubblico. La normativa sull’IPPC (protezione e controllo integrati dell’inquinamento), recata in Italia dal d.lgs. 18 febbraio 2005, n. 59, di integrale recepimento della direttiva 96/61/CE prevede un’analoga procedura di partecipazione del pubblico alla decisione sull’autorizzazione integrata ambientale. Vi è poi la normativa in materia di organismi geneticamente modificati, ove il processo di decisione circa il rilascio deliberato di OGM è regolato dalla direttiva 2001/18 che detta alcuni requisiti sull’informazione e consultazione del pubblico. Tale direttiva è stata recepita in Italia con l’adozione del decreto legislativo n. 224/2004 che identifica l’Autorità nazionale competente nel Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio. La consultazione pubblica effettuata a livello nazionale riguarda esclusivamente il rilascio di OGM a scopo sperimentale.

Un altro esempio viene dalla legge quadro sulle aree protette (legge n. 394/1991) che prevede la partecipazione del pubblico nella predisposizione del piano per la creazione e la gestione dell’area e la messa a disposizione dello stesso a beneficio del pubblico per commenti ai quali l’autorità dell’area protetta e le amministrazioni regionali e locali devono obbligatoriamente rispondere.

Si segnala infine la direttiva comunitaria sulla valutazione ambientale strategica (VAS) 2001/42/CE, che comprende una fase di consultazione del pubblico sugli impatti ambientali del progetto di piano o programma, ancora non recepita, così come non sono ancora state recepite le modifiche recate alla direttiva sulla VIA dalla direttiva 2003/35/CE, che integra nella procedura di VIA le disposizioni della Convenzione di Aarhus in tema di partecipazione del pubblico[5].

Altre norme nazionali finalizzate a consentire l’esercizio del diritto di accesso

La citata legge n. 241/1990 non rappresenta l’unica norma che, nell’ambito dell’ordinamento nazionale, si propone di garantire l'effettivo esercizio del diritto di accesso, in termini di informazione, partecipazione e controllo dell’attività delle amministrazioni pubbliche.

In particolare, con il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (abrogato e sostituito dal d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165) è stata prevista l'istituzione degli "Uffici per le Relazioni con il Pubblico" (URP), aventi il compito (ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. n. 165/2001) di:

-   garantire al pubblico l'esercizio dei propri diritti di informazione, accesso ai documenti, partecipazione, secondo quanto previsto dalla legge n. 241/90;

-   facilitare al pubblico la fruizione dei servizi forniti dalle medesime istituzioni, informandolo, tra l’altro, sulle competenze e la strutture delle stesse nonché riscontrare presso il pubblico la qualità dei servizi forniti.

La legge 7 giugno 2000, n. 150 disciplina poi le attività di comunicazione pubblica che ogni amministrazione è tenuta ad espletare, ivi inclusa l'adozione, da parte delle istituzioni centrali, di appositi piani di comunicazione.

Con il relativo regolamento di attuazione di cui al D.P.R. n. 422 del 2001 sono stati poi indicati i requisiti professionali che devono possedere i funzionari pubblici incaricati dell'informazione e della comunicazione.

 

La direttiva 2003/4/CE

La Direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale abroga la precedente direttiva 90/313/CEE (recepita con d.lgs. n. 39 del 1997) a decorrere dal 14 febbraio 2005.

Tale direttiva si propone, sostituendosi alla precedente direttiva, tre obiettivi:

-          correggere i problemi concreti riscontrati nell'applicazione pratica della direttiva 90/313/CEE;

-          allineare la normativa comunitaria alla Convenzione di Aarhus[6];

Il 25 giugno 1998 la Comunità europea ha firmato la Convenzione ONU/ECE sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale (cd. Convenzione di Aarhus), impegnandosi in tal modo a rendere le disposizioni di diritto comunitario compatibili con quelle della convenzione.

La Convenzione è entrata in vigore il 30 ottobre 2001, in seguito alla ratifica dei Paesi firmatari. La ratifica dell’Italia è avvenuta nel medesimo anno, con la legge n. 108 del 2001, mentre solo recentemente è stata approvata definitivamente la decisione del Consiglio del 17 febbraio 2005 relativa alla conclusione, a nome della Comunità europea, della Convenzione sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale n. 2005/370/CE.

-          adeguare la direttiva 90/313/CEE agli sviluppi delle tecnologie dell'informazione per emanare una direttiva di "seconda generazione" che rifletta i nuovi modi di creazione, raccolta, stoccaggio e trasmissione dell'informazione.

 

La direttiva tende ad operare un rafforzamento dell'accesso del pubblico all'informazione ambientale, avviato dalla direttiva 90/313/CEE, e della diffusione di tale informazione, al fine di sensibilizzare il pubblico alle questioni ambientali mediante una sua più efficace partecipazione al processo decisionale.

La direttiva 90/313/CEE aveva infatti avviato il processo di apertura e trasparenza, da parte delle autorità pubbliche, prevedendo misure per l'esercizio del diritto di accesso del pubblico all'informazione ambientale che l’attuale direttiva ha sviluppato ed ampliato.

 

La direttiva 2003/4/CE si riferisce a una definizione di "informazione ambientale" più ampia rispetto a quella richiamata dalla direttiva 90/313, includendovi qualsiasi informazione - e in qualsiasi forma, scritta, visiva, sonora, elettronica o in qualunque altra forma materiale - concernente lo stato dell'ambiente, i fattori, le misure o le attività che incidono o possono incidere sull'ambiente ovvero sono destinati a proteggerlo, le analisi costi-benefici e altre analisi economiche usate nell'ambito di tali misure o attività, nonché l'informazione sullo stato della salute e della sicurezza umana, compresa la contaminazione della catena alimentare, le condizioni della vita umana, i siti e gli edifici di interesse culturale, nella misura in cui essi siano o possano essere influenzati da uno qualsiasi di questi elementi (art. 2).

L'informazione ambientale deve essere messa a disposizione di chiunque ne faccia richiesta il più presto possibile e, comunque, in tempi certi e ragionevoli, nelle forme o nei formati richiesti dal richiedente, salvo se non sia già pubblicamente disponibile in altra forma o formato. (art. 3)

In particolare, mentre la direttiva 90/313 prevedeva che l’informazione ambientale dovesse essere fornita al più tardi entro due mesi dalla richiesta, la nuova direttiva stabilisce un termine ordinario di un mese, prorogabile a due in certi casi. Inoltre, la nuova direttiva prevede non solo -come la precedente- che i motivi del rifiuto di fornire l’informazione ambientale siano comunicati, ma anche che siano comunicati entro il termine entro il quale la richiesta deve essere evasa.

Gli Stati membri sono tenuti comunque a garantire l’accesso all'informazione nei confronti del pubblico attraverso reti di telecomunicazioni pubbliche, inclusi elenchi, pubblicamente accessibili, delle autorità pubbliche, nonché registri o elenchi dell'informazione ambientale detenuta dalle autorità pubbliche o per conto di esse (art. 3 e 7).

In particolare, al fine di sensibilizzare maggiormente il pubblico alle questioni ambientali e migliorare la protezione dell'ambiente, le autorità pubbliche dovrebbero, se del caso, rendere disponibili e diffondere informazioni sull'ambiente nell'ambito delle loro funzioni, in particolare mediante le tecnologie di telecomunicazione informatica e/o le tecnologie elettroniche, se disponibili, comprendendo, tra l’altro, i testi dei trattati, convenzioni e accordi internazionali, e gli atti legislativi comunitari, nazionali, regionali o locali concernenti direttamente o indirettamente l'ambiente, le politiche, i piani e i programmi relativi all'ambiente; le relazioni sullo stato dell'ambiente, le autorizzazioni con un impatto significativo sull'ambiente, gli studi sull'impatto ambientale (art. 7).

Ciò amplia di molto le possibilità di informazione offerte al pubblico rispetto alla direttiva 90/313, che prevedeva all’articolo 7 in modo molto più generico che “Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per fornire al pubblico informazioni di carattere generale sullo stato dell’ambiente mediante mezzi quali la pubblicazione periodica di relazioni descrittive”.

Il diritto all'informazione implica che la divulgazione dell'informazione sia ritenuta un principio generale e che alle autorità pubbliche sia consentito respingere una richiesta di informazione ambientale solo in casi specifici e chiaramente definiti.

Conseguentemente vengono esplicitate le eccezioni indicando i casi in cui gli Stati membri possono disporre che una richiesta di informazione ambientale possa essere respinta. Le eccezioni previste ricalcano quelle indicate dalla direttiva 90/313, ma a differenza che in tale direttiva viene esplicitato che i motivi di rifiuto devono essere interpretati in maniera restrittiva, ponderando l'interesse pubblico tutelato dalla divulgazione delle informazioni con l'interesse tutelato dal rifiuto di divulgarle Per dare attuazione alle disposizioni in materia di eccezioni, la direttiva 2003/4 prevede inoltre che gli Stati membri possano redigere un elenco di criteri accessibile al pubblico (art. 4).

 

A differenza della direttiva 90/313, la direttiva 2003/4 prevede inoltre che se la richiesta di informazioni riguarda le emissioni nell'ambiente, gli Stati membri non possono respingerla.

.

Inoltre, la direttiva 2003/4 prevede, a differenza della direttiva 90/313 la gratuità dell’accesso a tutti i registri o elenchi pubblici e dell’esame in situ dell’informazione ambientale. Può essere invece applicata – come era già previsto -  dagli Stati una tassa per la fornitura dell’informazione ambientale, ma tale tassa non deve superare un importo ragionevole (art. 5).

Contro gli atti o le omissioni della pubblica autorità, in relazione ad una richiesta, i richiedenti possono ricorrere in sede giurisdizionale o amministrativa (art. 6).

 

Entro il 14 febbraio 2009 ciascuno Stato membro redige un rapporto sull'esperienza acquisita nell'applicazione della direttiva (art. 9). Ai sensi dell’articolo 8, inoltre, gli Stati membri provvedono affinché tutte le informazioni raccolte dagli stessi o per loro conto siano aggiornate, precise e confrontabili. Ciò costituisce un’ulteriore elemento di differenziazione rispetto alla direttiva 90/313.

Gli Stati membri sono infine tenuti a dare attuazione alla direttiva entro il 14 febbraio 2005 (art. 10)[7].


Art. 1
(Finalità)

 

L’articolo in esame elenca, conformemente al corrispondente articolo della direttiva, le seguenti due finalità principali cui tende il presente decreto, nello stabilire i principi generali in materia di informazione ambientale:

a)   garantire il diritto d'accesso all'informazione ambientale detenuta dalle autorità pubbliche e stabilire i termini, le condizioni fondamentali e le modalità per il suo esercizio;

Si fa notare che tale definizione, rispetto a quella recata dalla normativa vigente dal d.lgs. n. 39/1997, non si preoccupa più di garantire la libertà all’informazione ambientale bensì di istituire un vero e proprio “diritto d’accesso” alle medesime informazioni.

b)   garantire, ai fini della trasparenza, che l'informazione ambientale sia sistematicamente e progressivamente messa a disposizione del pubblico e diffusa, anche attraverso i mezzi di telecomunicazione e gli strumenti informatici, in forme o formati facilmente consultabili.

Si fa notare che quest’ultima definizione non è perfettamente aderente a quella riportata nella corrispondente lettera b) della direttiva. Nel testo in esame non compare, infatti, l’inciso volto a specificare che la messa a disposizione del pubblico e la diffusione dell’informazione ambientale devono avvenire “in modo da ottenere la più ampia possibile sistematica disponibilità e diffusione al pubblico dell'informazione ambientale”. Ciò tuttavia non sembra far emergere problemi di compatibilità, anche alla luce del contenuto degli articoli successivi.


Art. 2
(Definizioni)

 

L’articolo in esame reca le seguenti definizioni rilevanti ai fini del presente decreto, che riprendono sostanzialmente i contenuti di quelle previste dal corrispondente articolo della direttiva:

a)   informazione ambientale: qualsiasi informazione disponibile in forma scritta, visiva, sonora, elettronica od in qualunque altra forma materiale concernente:

1)    lo stato degli elementi dell'ambiente, quali l'aria, l'atmosfera, l'acqua, il suolo, il territorio, i siti naturali, compresi gli igrotopi, le zone costiere e marine, la diversità biologica ed i suoi elementi costitutivi, compresi gli organismi geneticamente modificati, e, inoltre, le interazioni tra questi elementi;

2)    fattori quali le sostanze, l'energia, il rumore, le radiazioni od i rifiuti, anche quelli radioattivi, le emissioni, gli scarichi ed altri rilasci nell'ambiente, che incidono o possono incidere sugli elementi dell'ambiente, individuati al punto 1);

3)    le misure, anche amministrative, quali le politiche, le disposizioni legislative, i piani, i programmi, gli accordi ambientali e le attività che incidono o possono incidere sugli elementi e sui fattori dell'ambiente di cui ai punti 1) e 2), e le misure o le attività finalizzate a proteggere i suddetti elementi;

4)    le relazioni sull'attuazione della legislazione ambientale;

5)    le analisi costi-benefici ed altre analisi ed ipotesi economiche, usate nell'ambito delle misure e delle attività di cui al punto 3);

6)    lo stato della salute e della sicurezza umana, compresa la contaminazione della catena alimentare, le condizioni della vita umana, il paesaggio, i siti e gli edifici d'interesse culturale, per quanto influenzabili dallo stato degli elementi dell'ambiente di cui al punto 1) o, attraverso tali elementi, da qualsiasi fattore di cui ai punti 2) e 3);

Come si è già avuto modo di sottolineare, tale definizione risulta allargata rispetto a quella recata dalla direttiva 90/313/CEE e, di conseguenza, dal d.lgs. n. 39/1997.

Alcuni autori sottolineano, con riferimento alla definizione recata dalla direttiva e ripresa dall’articolo in esame, che “quello che emerge subito con chiarezza è la volontà di ricomprendere tra le informazioni sensibili non solo ciò che riguarda lo stato dell’ambiente in quanto tale, ma tutto ciò che, in una visione più dinamica, può influenzarne l’evoluzione e, quindi, determinare un qualsivoglia effetto sull’equilibrio dell’ecosistema, ivi compresa la salute dell’uomo.”[8].

Altri sottolineano l’importanza dell’inclusione, nella definizione in esame, delle informazioni “inerenti alle emissioni ed agli scarichi, comprese le relative modalità di misurazione. Legittimando, in tal modo, le istanze di accesso in ordine ai criteri adottati nel rilevamento degli scarichi”[9].

Del resto l’art. 3, comma 6, prevede proprio che, qualora il richiedente ne faccia esplicita richiesta, l'autorità pubblica indica dove possono essere reperite, se disponibili, le informazioni relative al procedimento di misurazione - ivi compresi i metodi d'analisi, di prelievo di campioni e di preparazione degli stessi - utilizzato per raccogliere l'informazione ovvero fa riferimento alla metodologia normalizzata utilizzata.

Rispetto alla definizione recata dalla direttiva 2004/3/CE, si fa notare che il termine “paesaggio” compare sì nella definizione in esame, ma in una parte diversa da quella che ci si attenderebbe in seguito alla lettura del testo della direttiva.

Un’altra differenza riguarda la contaminazione della catena alimentare: mentre nella direttiva ne viene prevista la valutazione solo “ove pertinente”, nel testo in esame assurge a criterio generale.

b)   autorità pubblica: le amministrazioni pubbliche statali, regionali, locali, le aziende autonome e speciali, gli enti pubblici ed i concessionari di pubblici servizi;

Tale definizione si propone di recepire quella, più articolata, dettata dalla direttiva che ha allargato, in linea con quanto previsto dalla Convenzione di Aarhus, la nozione di autorità pubblica prevista dalla precedente direttiva 90/313/CE.

La direttiva 2003/4 intende per  «autorità pubblica»:

a) il governo o ogni altra amministrazione pubblica, compresi gli organi consultivi pubblici, a livello nazionale, regionale o locale;

b) ogni persona fisica o giuridica svolgente funzioni di pubblica amministrazione ai sensi della legislazione nazionale, compresi incarichi, attività o servizi specifici connessi all'ambiente; e

c) ogni persona fisica o giuridica avente responsabilità o funzioni pubbliche o che fornisca servizi pubblici connessi con l'ambiente, sotto il controllo di un organismo o di una persona di cui alla lettera a) o b).

 

In realtà però la definizione prevista dalla lettera in esame è identica a quella recata dall’art. 2, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 39/1997.

Si fa notare, altresì, che mentre nel testo del d.lgs. n. 39/1997 vi era indicata esplicitamente l’esclusione “degli organi che esercitano competenze giurisdizionali o legislative”, tale inciso non compare nel testo in esame, nonostante la direttiva 2003/4 consenta ciò.

 

Al riguardo si osserva, comunque, che la direttiva dispone che “Gli Stati membri possono stabilire che questa definizione non comprende gli organismi o le istituzioni che agiscono nell'esercizio di competenze giurisdizionali o legislative”

 

Sull’allargamento della nozione in commento alcuni autori sottolineano che questa si riferisce non solo alle pubbliche amministrazioni in senso tecnico, ma anche “a tutti i soggetti che, indipendentemente dalla loro natura giuridica, svolgono compiti di gestione ambientale nell’interesse o sotto la vigilanza delle PA. Sembrano, perciò, rientrare in questo novero, per esempio, le aziende, anche private, che svolgono servizi pubblici ambientali, ma anche quelle di trasporto o sanitarie, nella misura in cui realizzino attività che interagiscano in qualche misura con l’ambiente o il territorio”[10].

Si osserva che, al fine  di rendere la definizione di “autorità pubblica” maggiormente aderente al dettato della direttiva 2003/4, potrebbe essere opportuno specificare che anche i soggetti privanti che svolgono funzioni pubbliche connesse alle tematiche ambientali, rientrano tra le autorità pubbliche tenute a fornire le informazioni ambientali.

 

c)   informazione detenuta da un'autorità pubblica: l'informazione ambientale in possesso di una autorità pubblica in quanto dalla stessa prodotta o ricevuta o materialmente detenuta da persona fisica o giuridica per suo conto;

Tale definizione accorpa due distinte nozioni precisate nei punti 3) e 4) dell’art. 2 della direttiva e relative, rispettivamente, all’«informazione detenuta da un'autorità pubblica» e all’«informazione detenuta per conto di un'autorità pubblica».

d)   richiedente: la persona fisica o l'ente che chiede l'informazione ambientale;

e)   pubblico: una o più persone, fisiche o giuridiche, e le associazioni, le organizzazioni o gruppi di persone fisiche o giuridiche.

 


Art. 3
(Accesso all'informazione ambientale su richiesta)

 

Il comma 1 dell’articolo in esame prevede che l’autorità pubblica renda disponibile, secondo le disposizioni del presente decreto, l'informazione ambientale detenuta a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dichiarare il proprio interesse.

 

Tale disposizione riproduce il contenuto del corrispondente comma dell’art. 3 della direttiva ed è sostanzialmente identica anche all’art. 3 del d.lgs. n. 39/1997.

Come si è già avuto modo di ricordare nella SCHEDA INTRODUTTIVA la disciplina in tema di accesso all’informazione ambientale non si è mai sovrapposta alle norme relative al diritto di accesso ai documenti amministrativi.

Un confronto tra le due discipline evidenzia che, nel caso in esame, il diritto di accesso può essere esercitato da chiunque, diversamente da ciò che accade in ambito amministrativo ove, ai sensi dell’art. 22, comma 1, lettere a) e b), della legge n. 241/1990, il diritto può essere esercitato solo da chi dimostri di essere titolare di “un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso”.

 

Il comma 2 dispone che, fatto salvo quanto stabilito all'art. 5 e tenuto conto del termine eventualmente specificato dal richiedente, l'informazione ambientale sia messa a disposizione del richiedente, da parte dell'autorità pubblica:

§         quanto prima possibile e, comunque, entro 30 giorni dalla data di ricevimento della richiesta;

§         oppure entro 60 giorni dalla stessa data nel caso in cui l'entità e la complessità della richiesta sono tali da non consentire di soddisfarla entro il predetto termine di 30 giorni. In tale caso l'autorità pubblica informa tempestivamente e, comunque, entro il predetto termine di 30 giorni il richiedente della proroga e dei motivi che la giustificano.

Rispetto alla direttiva 90/313, vi è quindi una riduzione del termine, dato che tale direttiva prevedeva all’articolo 3 un termine di due mesi.

Si ricorda, in proposito, che il termine di 30 giorni coincide con quello già previsto dall’art. 4, comma 6, del d.lgs. n. 39/1997. Tuttavia tale norma prevedeva che “trascorso inutilmente detto termine la richiesta si intende rifiutata”, in linea con la previsione recata dall’art. 25, comma 4, della legge n. 241/1990.

In proposito si segnala la recente sentenza della Corte di giustizia europea, del 21 aprile 2005, n. C-186/04, sulla non ammissibilità di una decisione implicita di rigetto della richiesta di informazioni in materia di ambiente

Secondo la Corte il combinato disposto dell'art. 3, par. 4, e dell'art. 4 della direttiva 90/313, concernente la libertà di accesso all'informazione in materia di ambiente, non si oppone a una normativa nazionale secondo la quale, ai fini della concessione di una tutela giurisdizionale effettiva, si ritiene che il silenzio dell'autorità pubblica per un periodo di due mesi faccia sorgere una decisione implicita di rigetto che può costituire oggetto di un ricorso giurisdizionale o amministrativo in conformità dell'ordinamento giuridico nazionale. Tuttavia, detto art. 3, par. 4, si oppone a che una tale decisione non sia accompagnata da una motivazione al momento della scadenza del termine di due mesi. In tale contesto la decisione implicita di rigetto dev'essere considerata viziata da illegittimità.

Tale problema appare comunque superato dalla direttiva 2003/4/CE e dal decreto in esame ove non viene mai contemplata la possibilità del silenzio-rigetto.

 

Il comma 3 prevede che, nel caso in cui la richiesta d'accesso sia formulata in maniera eccessivamente generica, l'autorità pubblica può:

§         chiedere al richiedente, al più presto e, comunque, entro 30 giorni dalla data del ricevimento della richiesta stessa, di specificare i dati da mettere a disposizione. In tal caso viene previsto che, a tale scopo, l’autorità pubblica presti al richiedente la propria collaborazione, anche attraverso la fornitura di informazioni sull'uso dei cataloghi pubblici di cui all'art. 4, comma 1;

§         se lo ritiene opportuno, respingere la richiesta, ai sensi dell'art. 5, comma 1, lettera c).

 

Il comma 4 prevede che, nel caso in cui l'informazione ambientale è richiesta in una forma o in un formato specifico, ivi compresa la riproduzione di documenti, l'autorità pubblica la mette a disposizione nei modi richiesti, eccetto nel caso in cui:

a)      l'informazione è già disponibile al pubblico in altra forma o formato, a norma dell'art. 8, e facilmente accessibile per il richiedente;

b)      è ragionevole per l'autorità pubblica renderla disponibile in altra forma o formato.

Tale disposizione costituisce una novità rispetto alla direttiva 90/313.

Il comma 5 prevede che, nei casi disciplinati dal comma 4, qualora l'autorità pubblica si rifiuti di fornire l'informazione nella forma o nel formato richiesti, i motivi del rifiuto devono essere comunicati al richiedente entro 30 giorni dalla data del ricevimento della richiesta stessa.

 

Ai sensi del comma 6, nel caso di richiesta d'accesso concernente i fattori di cui all'art. 2, comma 1, lettera a), punto 2), l'autorità pubblica indica al richiedente, se da questi espressamente richiesto, dove possono essere reperite, se disponibili, le informazioni relative al procedimento di misurazione - ivi compresi i metodi d'analisi, di prelievo di campioni e di preparazione degli stessi - utilizzato per raccogliere l'informazione ovvero fa riferimento alla metodologia normalizzata utilizzata.

Si ricorda che i fattori qui richiamati sono il rumore, le radiazioni, le emissioni, gli scarichi, ecc. Tale disposizione impone quindi alle autorità pubbliche di assicurare la trasparenza dei metodi utilizzati nella valutazione delle emissioni, degli scarichi, ecc. che rappresentano un importante elemento (forse il più importante) nell’ambito della gestione ambientale di un impresa, per il rispetto della normativa ambientale.

Si fa notare che il comma in esame riproduce la disposizione recata dall’art. 8, par. 2, della direttiva.

 

Il comma 7 dispone che l'autorità pubblica mantiene l'informazione ambientale detenuta in forme o formati facilmente riproducibili e, per quanto possibile, consultabili tramite reti di telecomunicazione informatica o altri mezzi elettronici.

Tale disposizione si ritrova, nella direttiva, all’interno del par. 4 dell’art. 3.


Art. 4
(Cataloghi e punti d’informazione)

 

Ai sensi del comma 1 dell’articolo in esame, al fine di fornire al pubblico tutte le notizie utili al reperimento dell'informazione ambientale, viene imposto all’autorità pubblica di provvedere all’istituzione, entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, di appositi cataloghi pubblici dell'informazione ambientale contenenti l'elenco delle tipologie dell'informazione ambientale detenuta.

Viene altresì previsto che tali cataloghi siano aggiornati almeno annualmente.

Il comma dispone, infine, che, in alternativa all’istituzione dei citati cataloghi, l’autorità pubblica possa avvalersi degli uffici per le relazioni con il pubblico (URP) già esistenti.

 

Il comma 2 prevede che l'autorità pubblica fornisca adeguata informazione al pubblico sul diritto di accesso alle informazioni ambientali disciplinato dal presente decreto.

 

Si noti che le disposizioni dei commi citati consentono di recepire, almeno in parte, il disposto dell’art. 3, par. 5 della direttiva, che impone agli Stati membri di assicurare “che:

a)    i funzionari siano tenuti ad assistere il pubblico che chiede di accedere all'informazione;

b)    gli elenchi delle autorità pubbliche siano accessibili al pubblico;

c)    siano stabilite le modalità pratiche per assicurare che il diritto di accesso all'informazione ambientale possa essere effettivamente esercitato, in particolare:

-        la designazione di addetti all'informazione,

-        l'istituzione e il mantenimento di uffici per la consultazione dell'informazione richiesta,

-        registri o elenchi dell'informazione ambientale detenuta dalle autorità pubbliche o dai punti di informazione, con indicazioni chiare per quanto riguarda il luogo dove tale informazione è disponibile.

Gli Stati membri garantiscono che le autorità pubbliche informino adeguatamente il pubblico in merito ai diritti di cui gode ai sensi della presente direttiva e forniscano, in misura appropriata, informazioni, orientamenti e consigli a tal fine”.

 

Alcuni autori sottolineano il ruolo attivo che viene conferito alla PA da disposizioni come quelle recate dall’articolo in esame, nonché da quelle dell’art. 3, commi 3 e 7, per cui la PA non si deve “limitare a fornire in modo efficiente le informazioni richieste, ma anche ad assistere il pubblico nella migliore focalizzazione della ricerca e nella corretta formulazione delle richieste […] ad attivarsi per informare i cittadini dei loro diritti e ad attrezzarsi adeguatamente”[11].


Art. 5
(Casi di esclusione del diritto di accesso)

 

L’articolo in esame disciplina i casi di esclusione del diritto d’accesso.

 Il comma 1 elenca casi di esclusione del diritto di accesso all'informazione ambientale relativi alle modalità della richiesta o alla disponibilità delle informazioni:

a)   l'informazione richiesta non è detenuta dall'autorità pubblica alla quale è rivolta la richiesta di accesso. In tal caso l'autorità pubblica, se conosce quale autorità detiene l'informazione, trasmette rapidamente la richiesta a quest'ultima e ne informa il richiedente ovvero comunica allo stesso quale sia l'autorità pubblica dalla quale è possibile ottenere l'informazione richiesta;

b)   la richiesta è manifestamente irragionevole avuto riguardo alle finalità di cui all'articolo 1;

c)   la richiesta è espressa in termini eccessivamente generici;

d)   la richiesta concerne materiali, documenti o dati incompleti o in corso di completamento. In tale caso, l'autorità pubblica informa il richiedente circa l'autorità che prepara il materiale e la data approssimativa entro la quale detto materiale sarà disponibile;

Alcuni autori[12] sottolineano che l’informazione ambientale cui viene consentito l’accesso deve essere già disponibile in forma completa presso l’autorità, per cui non può essere richiesto all’autorità medesima “alcuna attività di rielaborazione, ovvero di estrapolazione, scomposizione e/o riaggregazione delle informazioni custodite, né alcuna attività valutativa, volta, ad esempio, a ricavare dalle informazioni possedute i «livelli di inquinamento di aria, acqua e suolo» in un determinato ambito territoriale, venendo di fatto a coincidere questa attività con una prestazione di consulenza”.

e)   la richiesta riguarda comunicazioni interne, tenuto, in ogni caso, conto dell'interesse pubblico tutelato dal diritto di accesso.

 

Il comma 2 prevede ulteriori casi di esclusione volti a tutelare particolari categorie di informazioni. Viene infatti previsto che l'accesso all'informazione ambientale sia negato quando la divulgazione dell'informazione reca pregiudizio:

a)   alla riservatezza delle deliberazioni interne delle autorità pubbliche;

b)   alle relazioni internazionali, all'ordine e sicurezza pubblica o alla difesa nazionale;

c)   allo svolgimento di procedimenti giudiziari o alla possibilità per l'autorità pubblica di svolgere indagini per l'accertamento di illeciti;

Si fa notare che, rispetto al testo della direttiva, nella lettera in esame non figura la “possibilità per ogni persona di avere un processo equo”.

d)   alla riservatezza delle informazioni commerciali o industriali per la tutela di un legittimo interesse economico e pubblico, ivi compresa la riservatezza statistica ed il segreto fiscale, nonché ai diritti di proprietà industriale, di cui al d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30;

e)   ai diritti di proprietà intellettuale;

f)     alla riservatezza dei dati personali o riguardanti una persona fisica, nel caso in cui essa non abbia acconsentito alla divulgazione dell'informazione al pubblico, tenuto conto di quanto stabilito dal d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196;

Il d.lgs 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali) rappresenta il primo tentativo di comporre in maniera organica le innumerevoli disposizioni relative alla privacy.

Il Codice è un vero e proprio testo unico che riunisce sia la legge n. 675/1996, (prima legge quadro in materia) e gli altri decreti legislativi, regolamenti e codici deontologici che si sono succeduti dal 1997 ad oggi, sia le innovazioni derivanti dalla “giurisprudenza” del Garante e dal recepimento delle direttive comunitarie in tema di riservatezza.

Il d.lgs n. 196/2003 - fondamentalmente ispirato alla introduzione di un solido sistema di garanzie per i cittadini, alla razionalizzazione delle norme già esistenti ed alla semplificazione degli adempimenti in materia di trattamento dei dati - appare diviso in tre parti fondamentali:

- la prima è dedicata alle disposizioni generali, riordinate in modo tale da individuare i diritti dell’interessato e tutti gli adempimenti e le regole del trattamento dei dati personali con riferimento ai settori pubblico e privato;

- la seconda è la parte speciale, dedicata a specifici settori (trattamento in ambito giudiziario e da parte delle forze di polizia, per difesa e sicurezza, in ambito pubblico e sanitario, per scopi storici, statistico e scientifici, ecc); questa sezione, oltre a disciplinare aspetti in parte inediti (informazione giuridica, notificazioni di atti giudiziari, dati sui comportamenti debitori), contiene anche la disciplina sui servizi di comunicazione elettronica tra cui i delicati aspetti relativi ad Internet , alla libera manifestazione del pensiero ed al cd. marketing diretto.;

- la terza parte, infine, affronta la materia delle tutele amministrative e giurisdizionali con il consolidamento delle sanzioni amministrative e penali e con le disposizioni relative all’Ufficio del Garante.

g)   agli interessi o alla protezione di chiunque abbia fornito di sua volontà le informazioni richieste, in assenza di un obbligo di legge, a meno che la persona interessata abbia acconsentito alla divulgazione delle informazioni in questione;

h)   alla tutela dell'ambiente e del paesaggio;

Si noti che nel testo della direttiva, all’art. 4, par. 2. lett. h), si fornisce un esempio di caso in cui il diritto di accesso può essere negato, facendo riferimento all’ubicazione delle specie rare. Tale esempio, che non compare nella disposizione in esame, viene tuttavia citato nella relazione illustrativa, ove si legge che “in particolare, può essere negato l'accesso all'informazione relativa alla tutela dell'ambiente qualora da esso possa derivare un pregiudizio alla tutela stessa, come nel caso di informazioni sull'ubicazione delle specie rare”.

 

Il comma 3 impone all'autorità pubblica di applicare le disposizioni dei commi 1 e 2 in modo restrittivo, effettuando, in relazione a ciascuna richiesta di accesso, una valutazione ponderata fra l'interesse pubblico all'informazione ambientale e l'interesse tutelato dall'esclusione dall'accesso.

 

Essa consente di recepire il dettato dell’art. 4, par. 2, della direttiva 2003/4/CE, che a sua volta fa proprio il disposto dell’art. 4, comma 4, ultimo periodo, della Convenzione di Aarhus, che fornisce anche un chiaro esempio di preminenza dell’interesse all’informazione, nella disposizione (recata dall’art. 5, comma 1) in cui prevede che “in caso di minaccia imminente per la salute o per l’ambiente, che sia imputabile ad attività umane oppure dovuta a cause naturali, tutte le informazioni capaci di permettere al pubblico di prendere dei provvedimenti per prevenire o limitare eventuali danni e che sono in possesso dell’autorità pubblica siano divulgate immediatamente e senza indugi alle persone che rischiano di essere coinvolte”.

Tale disposizione, ripresa dalla direttiva, viene recepita dall’art. 8, comma 5, del decreto in esame.

 

Il comma 4 prevede un’eccezione ai casi di esclusione contemplati al comma 2, lettere a), d), f), g) e h). Viene infatti previsto che in tali casi la richiesta di accesso non può essere respinta qualora riguardi informazioni su emissioni nell'ambiente.

Il comma 5 prevede un accesso parziale a favore del richiedente, nei casi di cui al comma 1, lettere d) ed e), ed al comma 2, qualora sia possibile espungere dall'informazione richiesta le informazioni escluse dal diritto di accesso ai sensi dei predetti commi 1 e 2.

 

Il comma 6 disciplina l’attività dell’autorità pubblica, nei casi in cui il diritto di accesso sia rifiutato in tutto o in parte.

In tali casi l'autorità pubblica deve informare il richiedente dell’avvenuto rifiuto:

-        per iscritto o, se richiesto, in via informatica;

-        entro i termini previsti all'articolo 3, comma 2;

-        precisando i motivi del rifiuto stesso;

Viene altresì previsto che il richiedente sia informato della procedura di riesame prevista all'art. 7.

 

Il comma 7 consente all'autorità pubblica di individuare, evidenziandole nei cataloghi di cui all'art. 4, le informazioni ambientali detenute che sono sottratte all'accesso ai sensi del presente articolo.

 

Si fa notare che i casi di esclusione contemplati dall’articolo in esame sono sostanzialmente gli stessi indicati dall’art. 4 della direttiva 2003/4, mentre rispetto alla normativa nazionale vigente rappresenta una novità la norma recata dal comma 3 dell’articolo in esame che, come si legge nella relazione illustrativa, “disciplina, in termini più restrittivi rispetto al decreto n. 39 del 1997, i casi di esclusione del diritto di accesso, in quanto, attesa la rilevanza pubblica dell'interesse all'informazione ambientale, impone all'autorità pubblica di effettuare, in relazione a ciascuna richiesta di accesso, una valutazione ponderata degli interessi coinvolti”.

Volendo continuare il paragone con la normativa in materia di accesso dei documenti amministrativi recata dalla legge n. 241/1990 si segnala innanzitutto che sono sottratti alle norme sul diritto di accesso (art. 24):

-   i documenti coperti da segreto di Stato;

-   gli atti dei procedimenti tributari;

-   l’attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione;

-   i documenti formati nei procedimentio selettivi (quali i concorsi pubblici) contenenti informazioni di carattere psico-attitudinale relativi a terzi.

Ai sensi dell’art. 24, comma 6, della legge n. 214, come modificato dalla legge n. 15/2005, in Governo può, con regolamento[13], prevedere ulteriori casi di esclusione del diritto di accesso:

a)    quando, al di fuori delle ipotesi disciplinate dall'art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, dalla loro divulgazione possa derivare una lesione, specifica e individuata, alla sicurezza e alla difesa nazionale, nonché all'esercizio della sovranità nazionale e alla continuità e alla correttezza delle relazioni internazionali, con particolare riferimento alle ipotesi previste nei trattati e nelle relative leggi di attuazione;

b)    quando possa arrecarsi pregiudizio ai processi di formazione, di determinazione e di attuazione della politica monetaria e valutaria;

c)    quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell'ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, nonché all'attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini;

d)    quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, di persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all'amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono;

e)    quando i documenti riguardino l’attività in corso di contrattazione collettiva nazionale di lavoro e gli atti interni connessi all’espletamento del relativo mandato.

Deve comunque essere garantita ai richiedenti la visione degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro stessi interessi giuridici.

 


Art. 6
(Tariffe)

 

Il comma 1 prevede la gratuità dell'accesso ai cataloghi previsti all'art. 4 e dell'esame presso il detentore dell'informazione richiesta, fatto salvo quanto stabilito all'articolo 25, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modifiche, relativamente al rilascio di copie.

Si fa notare che la direttiva prevede la gratuità dell’accesso ai cataloghi citati e per l’esame. L’esigenza di fare salvo l’art. 25, comma 1, della legge n. 241/1990 deriva anche dall’esigenza di non porre nuovi oneri a carico del bilancio dello Stato, in accordo al disposto dell’art. 12, comma 1. Del resto una disposizione analoga si rinviene nell’art. 5, comma 4, del d.lgs. n. 39/1997.

Si ricorda peraltro che l’art. 25, comma 1, della legge n. 241/1990 dispone che “Il diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi, nei modi e con i limiti indicati dalla presente legge. L'esame dei documenti è gratuito. Il rilascio di copia è subordinato soltanto al rimborso del costo di riproduzione, salve le disposizioni vigenti in materia di bollo, nonché i diritti di ricerca e di misura”.

 

Ai sensi del successivo comma 2, fermo restando quanto previsto al comma 1, viene prevista la possibilità per l'autorità pubblica, in casi specifici, di applicare una tariffa per rendere disponibile l'informazione ambientale.

Viene inoltre previsto che tale tariffa sia determinata dalla stessa autorità sulla base del costo effettivo del servizio.

In tali casi il pubblico è adeguatamente informato sulla entità della tariffa e sulle circostanze nelle quali può essere applicata.

Si fa notare che nella direttiva viene specificato, all’art. 5, par. 2, che la tariffa “non supera un importo ragionevole”.

Tale condizione, secondo quanto affermato nel 18° considerando della direttiva, risulta soddisfatta dalla previsione che la determinazione della tariffa sia commisurata al costo effettivo del servizio.

Si ricorda, altresì, che nell’art. 5, comma 4, del d.lgs. 39/1997, si dispone, tra l’altro, che “il rilascio di copie di atti e la duplicazione di tali materiali è subordinato al rimborso dei costi relativi alla riproduzione”, in linea con il dettato dell’art. 25, comma 1, della legge n. 241/1990.

 

Il comma 3 consente l’applicazione di una tariffa calcolata sulla base del mercato, nei casi in cui l'autorità pubblica mette a disposizione l'informazione ambientale a titolo commerciale e l'esigenza di garantire la continuazione della raccolta e della pubblicazione dell'informazione l'impone.

Lo stesso comma dispone che tale tariffa è predeterminata e pubblica.

 

La disposizione recata dal comma in esame non ha corrispondenti nella normativa previgente recata dal d.lgs. n. 39/1997 e nemmeno nell’articolato della direttiva, tuttavia nel 18° considerando della medesima si legge che “In casi particolari, in cui le autorità pubbliche mettono a disposizione l'informazione ambientale a titolo commerciale e l'esigenza di garantire la continuazione della raccolta e della pubblicazione dell'informazione lo impone, si considera ragionevole un corrispettivo calcolato sulla base del mercato”.

 


Art. 7
(Tutela del diritto di accesso)

 

Il comma 1 disciplina la tutela del diritto d’accesso nei seguenti casi:

§         determinazioni dell'autorità pubblica concernenti il diritto di accesso;

§         mancata risposta entro i termini di cui all'art. 3, comma 2.

 

In tali casi il richiedente può:

§         presentare ricorso in sede giurisdizionale secondo la procedura di cui all'art. 25, commi 5, 5-bis e 6 della legge n. 241 del 1990;

Si ricorda, in proposito, che l’art. 25, comma 5, della legge n. 241/1990 consente di ricorrere al tribunale amministrativo regionale (TAR) contro le determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso e nei casi di diniego dell'accesso, espresso o tacito, o di differimento dello stesso, nel termine di trenta giorni. Lo stesso comma prevede che il TAR decida in camera di consiglio entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori delle parti che ne abbiano fatto richiesta.

Il successivo comma 5-bis dispone che “Nei giudizi in materia di accesso, le parti possono stare in giudizio personalmente senza l'assistenza del difensore. L'amministrazione può essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente, purché in possesso della qualifica di dirigente, autorizzato dal rappresentante legale dell'ente”, mentre il comma 6 consente al giudice amministrativo, sussistendone i presupposti, di ordinare l'esibizione dei documenti richiesti.

§         chiedere il riesame delle determinazioni suddette, secondo la procedura stabilita all'art. 25, comma 4, della stessa legge n. 241 del 1990:

-         al difensore civico competente per territorio, nel caso di atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali;

-        alla Commissione per l'accesso di cui all'art. 27 della citata legge n. 241 del 1990, nel caso di atti delle amministrazioni centrali o periferiche dello Stato.

La procedura prevista dal citato art. 25, comma 4, della legge n. 241/1990 prevede che la richiesta di riesame sia avanzata entro 30 giorni e che il difensore civico o la Commissione per l'accesso si pronuncino entro i trenta giorni successivi.

Viene altresì previsto che “Scaduto infruttuosamente tale termine, il ricorso si intende respinto. Se il difensore civico o la Commissione per l'accesso ritengono illegittimo il diniego o il differimento, ne informano il richiedente e lo comunicano all'autorità disponente. Se questa non emana il provvedimento confermativo motivato entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico o della Commissione, l'accesso è consentito”.

Lo stesso comma prevede, infine, che “se l'accesso è negato o differito per motivi inerenti ai dati personali che si riferiscono a soggetti terzi, la Commissione provvede, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale si pronuncia entro il termine di dieci giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale il parere si intende reso”.

L’articolo in commento consente di recepire le disposizioni recate dall’art. 6 della direttiva e, inoltre, di aumentare, nel diritto nazionale, le forme di tutela previste per il diritto di accesso all’informazione ambientale.

Come sottolineato infatti anche nella relazione illustrativa lo schema di decreto all’esame “Rispetto al decreto n. 39 del 1997 (all’art. 6) prevede, oltre ad una tutela giurisdizionale, anche una tutela in via amministrativa, secondo le procedure previste dalla legge 7 agosto 1990, n. 241”.

 


Art. 8
(Diffusione dell'informazione ambientale)

 

Il comma 1 dell’articolo in esame prevede che, fatto salvo quanto previsto dall'art. 5 sui casi di esclusione del diritto di accesso, l'autorità pubblica provveda alla diffusione dell'informazione ambientale detenuta rilevante ai fini delle proprie attività istituzionali mediante le tecnologie elettroniche e di telecomunicazione informatica disponibili.

 

Ai sensi del comma 2, per le finalità di cui al comma 1, l'autorità pubblica definisce, entro 6 mesi dall’entrata in vigore del presente decreto, un piano per rendere l'informazione ambientale progressivamente disponibile in banche dati elettroniche facilmente accessibili al pubblico tramite reti di telecomunicazione pubbliche, da aggiornare annualmente.

Si fa notare, in proposito, che l’aggiornamento annuale di tali banche dati non è contemplato dall’art. 7 della direttiva, ove si prevede (al par. 2) che l’informazione venga aggiornata solo “se del caso”.

 

Il comma 3 disciplina il contenuto informativo minimo di cui devono essere dotate le banche dati - istituite in attuazione dei piani previsti al comma 2 - entro 2 anni dall’entrata in vigore del presente decreto.

Viene infatti disposto che, entro tale scadenza, l’autorità pubblica, per quanto di competenza, trasferisca in tali banche dati almeno le seguenti informazioni:

a)   testi di trattati, convenzioni e accordi internazionali, atti legislativi comunitari, nazionali, regionali o locali, aventi per oggetto l'ambiente;

b)   politiche, piani e programmi relativi all'ambiente;

c)   relazioni sullo stato d'attuazione degli elementi menzionati ai punti a) e b), se elaborati o detenuti in forma elettronica dalle autorità pubbliche;

d)   relazione sullo stato dell'ambiente, prevista dall'art. 1, comma 6, della legge n. 349/1986 ed eventuali relazioni sullo stato dell'ambiente a livello regionale o locale, laddove predisposte;

L’art. 1, comma 6, della legge 8 luglio 1986, n. 349 recante “Istituzione del Ministero dell'ambiente e norme in materia di danno ambientale” dispone che “Il Ministero presenta al Parlamento ogni due anni una relazione sullo stato dell'ambiente”.

Tale previsione consente il rispetto di quanto previsto dall’art. 7, par. 3, della direttiva.

Si ricorda, tuttavia, che nel corso della XIV legislatura non è stata presentata nessuna relazione al Parlamento: l’ultima relazione disponibile (XIII legislatura, Doc. LX, n. 2)[14], risalente al dicastero Bordon, è stata presentata al Parlamento il 31 gennaio 2001[15].

Numerose regioni ed enti locali provvedono, spesso attraverso il sistema delle agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (cd. ARPA)[16], alla redazione di un rapporto o relazione dello stato dell’ambiente.

e)   dati o sintesi di dati ricavati dal monitoraggio di attività che incidono o possono incidere sull'ambiente;

f)     autorizzazioni e pareri rilasciati dalle competenti autorità in applicazione delle norme sulla valutazione d'impatto ambientale e gli accordi in materia ambientale, ovvero un riferimento al luogo in cui può essere richiesta o reperita l'informazione, a norma dell'art. 3;

g)   studi di impatto ambientale, valutazioni dei rischi relativi agli elementi dell'ambiente, di cui all'art. 2, co. 1, lett. a), ovvero il riferimento al luogo in cui l'informazione ambientale può essere richiesta o reperita a norma dell'art. 3.

 

Con riferimento alla situazione attuale del paese in ordine alla creazione di banche dati di informazione ambientale vale la pena ricordare che, recentemente, sei Regioni e Province autonome italiane, hanno collaborano con il Ministero dell'Ambiente, l'Agenzia Nazionale per la protezione dell'ambiente (APAT) ed altri soggetti istituzionali per costruire una rete di cooperazione attraverso la quale condividere dati e informazioni di rilevanza ambientale.

Tale progetto per il governo dell'ambiente e l’informazione ambientale (GAIA[17]) ha avuto come obiettivo la costruzione di un sistema che rendesse effettivamente fruibile agli amministratori pubblici, ai professionisti e ai cittadini il patrimonio di conoscenze sull'ambiente raccolte e gestite dalla Pubblica Amministrazione.

Il risultato è stato la costituzione di un sistema installato presso gli enti partecipanti. I diversi siti sono stati connessi attraverso una rete di cooperazione e condividono la medesima architettura tecnica e le strutture dati definite dal progetto.

Tale progetto si colloca nell’ambito del Sistema Informativo Nazionale Ambientale (SINA), le cui finalità sono la raccolta, elaborazione e diffusione di dati e informazioni derivanti dal monitoraggio ambientale, dalle iniziative di controllo delle fonti di inquinamento, dalla integrazione con i sistemi informativi ambientali di Regioni e Province autonome, infine dalla cooperazione con altri sistemi informativi regionali, nazionali ed europei di interesse ambientale.

Organizzato secondo una logica di rete (SINAnet), il sistema comprende diversi nodi funzionali: l’APAT, che rappresenta l’organizzazione responsabile del coordinamento generale del sistema e del collegamento con la rete europea di informazione e osservazione ambientale (EIOnet); i Punti Focali Regionali (PFR), che assicurano la funzione di riferimento territoriale; i Centri Tematici Nazionali (CTN),che rappresentano il supporto operativo dell’APAT per quanto attiene alla gestione dei dati e delle informazioni ambientali di interesse del Sistema; le Istituzioni Principali di Riferimento (IPR), che rappresentano un insieme di centri d’eccellenza di interesse nazionale.

Dati, servizi informativi e prodotti realizzati dalla rete sono resi disponibili attraverso il sito internet del sistema http://www.sinanet.apat.it.

Per ulteriori informazioni sulle iniziative nazionali nel campo dell’informazione, sensibilizzazione e dell’educazione ambientale si rinvia al Rapporto nazionale sull’attuazione della Convenzione di Aarhus, redatto dal Ministero dell’ambiente in vista della Conferenza delle Parti firmatarie della Convenzione, tenutasi in Kazakistan nel maggio 2005.

 

Il comma 4 dispone che, fermo restando quanto previsto al comma 3, l'informazione ambientale può essere resa disponibile creando collegamenti a banche dati elettroniche facilmente accessibili al pubblico.

 

Il comma 5 prevede che, in caso di minaccia imminente per la salute umana e per l'ambiente, causata da attività umane o dovuta a cause naturali, le autorità pubbliche, nell'ambito dell'espletamento delle attività di protezione civile previste dalla legge 24 febbraio 1992, n. 225, e dalle altre disposizioni in materia, provvedano alla diffusione, senza indugio, delle informazioni detenute che permettono, a chiunque possa esserne colpito, di adottare misure atte a prevenire o alleviare i danni derivanti da tale minaccia.

 

In base al comma 6 le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 non si applicano all'informazione raccolta dall'autorità pubblica precedentemente all'entrata in vigore del presente decreto, a meno che tale informazione non sia già disponibile in forma elettronica.

 

 


Art. 9
(Qualità dell'informazione ambientale)

 

L’articolo in esame, che consente il recepimento dell’art. 8, par. 1, della direttiva, prevede che l'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), nell'ambito delle proprie competenze, assicura che l'informazione ambientale detenuta dall'autorità pubblica sia aggiornata, precisa e confrontabile.

 


Art. 10
(Relazioni)

 

Il comma 1 dell’articolo in esame dispone che a partire dal 2005 e fino al 2008, entro il 30 dicembre di ogni anno, l'autorità pubblica trasmette al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio:

§         i dati degli archivi automatizzati previsti agli artt. 11 e 12 del D.P.R. n. 352 del 1992, relativi alle richieste d'accesso all'informazione ambientale;

Si ricorda che gli art. 11 e 12 del D.P.R. n. 352/1992 dispongono, tra l’altro, che “al fine di consentire il più celere ed agevole esercizio del diritto di accesso, ciascuna amministrazione istituisce, presso i propri uffici, archivi automatizzati delle richieste di accesso” e che “gli archivi contengono i dati ricognitivi, soggettivi, oggettivi e cronologici della richiesta di accesso e sono costantemente aggiornati con le informazioni attinenti al relativo corso”. Viene poi previsto che tali archivi devono essere compatibili con quello generale costituito presso la Presidenza del Consiglio che devono provvedere ad alimentare.

§         una relazione sugli adempimenti posti in essere in applicazione del presente decreto.

 

Il comma 2 prevede l’elaborazione, da parte del Ministero dell’ambiente, entro il 14 febbraio 2009, sulla base delle informazioni di cui al comma 1 e secondo le modalità definite a livello comunitario, di una relazione sulla attuazione del presente decreto.

 

Il comma 2 prevede inoltre che entro il 14 agosto 2009 il Ministero dell'ambiente provvede alla trasmissione della relazione di cui al comma 1:

§         alla Commissione europea;

§         al Parlamento.

Viene inoltre previsto che tale relazione sia resa accessibile al pubblico.

 

L’articolo in esame ricalca (tranne le diverse scadenze temporali previste) la sostanza delle disposizioni contenute nell’art. 8 del d.lgs. n. 39/1997 ove viene disposto l’invio annuale al Parlamento di una relazione “per la verifica dello stato di attuazione delle norme previste nel presente decreto” e ove viene disposto che  a tale fine, le autorità pubbliche “trasmettono al Ministero dell'ambiente i dati degli archivi automatizzati, previsti dagli articoli 11 e 12 del D.P.R. 27 giugno 1992, n. 352, relativi alle richieste di accesso in materia ambientale, nonché una relazione dettagliata sugli adempimenti posti in essere in applicazione del presente decreto”[18].

Si ricorda, infine, che in attuazione del disposto dell’art. 8 del d.lgs. n. 39/1997 il Ministero dell’ambiente ha presentato nel corso degli anni l’apposita relazione sullo stato di attuazione del decreto legislativo n. 39/97. L’ultima relazione disponibile è stata trasmessa il 22 dicembre 2003 (XIV legislatura, Doc. CLIII, n. 2)[19].

 


Art. 11
(Aspetti organizzativi e procedimentali delle regioni e degli enti locali)

 

L’articolo in esame, in attuazione del principio di leale collaborazione, prevede l’individuazione sulla base di accordi da raggiungere in sede di Conferenza Unificata degli aspetti organizzativi e procedimentali che le Regioni e gli enti locali debbono adottare per l'attuazione del presente decreto.

Si ricorda che la composizione e le funzioni della Conferenza unificata sono disciplinate dal Capo III (artt. 8, 9 e 10) del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281.

 


Art. 12
(Norme finanziarie, di rinvio e abrogazioni)

 

Il comma 1 dell’articolo in esame dispone che le autorità pubbliche provvedano all’adeguamento - entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto -, alle disposizioni dei presente decreto, delle misure organizzative poste in essere in attuazione delle norme previgenti in materia.

Viene altresì disposto che dall'attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri né minori entrate a carico della finanza pubblica.

 

Il comma 2, analogamente a quanto disposto in ambito comunitario dall’art. 11 della direttiva, prevede l’abrogazione della previdente normativa in materia recata dal d.lgs. n. 39 del 1997.

 

 


Schema di d.lgs. n. 494


Schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale

 




[1] Trattasi dalla Commissione economica delle Nazioni Unite per l’Europa, che raggruppa i Paesi dell’Europa occidentale, centrale ed orientale, nonché quelli dell’Asia centrale e dell’America settentrionale.

[2] La Convenzione di Århus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale stabilisce le regole fondamentali per  incoraggiare la partecipazione dei cittadini alle questioni riguardanti l’ambiente e per promuovere l’effettiva osservanza del diritto ambientale. La Convenzione si compone di tre pilastri, ciascuno dei quali garantisce diritti differenti: il primo pilastro prevede l’accesso alle informazioni ambientali, il secondo la partecipazione ai processi decisionali ed il terzo l’accesso alla giustizia.

[3] Il protocollo è stato firmato il 21 maggio 2003 in una riunione straordinaria delle Parti della Convenzione di Århus, nel quadro della Quinta conferenza ministeriale “Ambiente per l’Europa” svoltasi a Kiev dal 21 al 23 maggio 2003.

 

[4] F. Franzoso, “Il diritto di accesso alle informazioni ambientali”, in Rivista giuridica dell’ambiente n. 5/2004.

[5] L’art. 19 della legge 18 aprile 2005, n. 62 (legge comunitaria 2004) delega il Governo ad emanare un decreto legislativo di recepimento della direttiva 2001/42/CE entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge. Inoltre nell’allegato B della medesima legge figura la direttiva 2003/35/CE che dovrà, quindi (ai sensi dell’art. 1), essere recepita con d.lgs. “entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge”. Si ricorda che tale legge è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 96 del 27 aprile 2005 - supplemento ordinario n.76 e quindi è entrata in vigore il 12 maggio 2005.

[6] Il sito internet ufficiale della Convenzione è http://www.unece.org/env/pp. Il testo della Convenzione può essere consultato, in lingua italiana, all’indirizzo internet:

www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/aarhus_convenzione/convenzione_aarhus_it.pdf.

Un breve commento dei contenuti della Convenzione e delle norme volte a recepirli è disponibile nell’articolo di E. Croci “La convenzione di Aarhus: verso il cittadino consapevole” all’indirizzo internet www.arpa.emr.it/documenti/arparivista/pdf2004n2/croci.pdf.

[7] Per ulteriori approfondimenti e spunti di riflessione si rinvia all’articolo di E. Pelosi “Rafforzamento dell’accesso all’informazione ambientale alla luce della direttiva 2003/4/CE” in Rivista giuridica dell’ambiente n. 1/2004.

[8] D. Dal Maso “Informazioni ambientali più accessibili per una maggiore tutela dell’ecosistema", in Ambiente e sicurezza n. 13/2003.

[9] ARPA Lombardia “L’ARPA e il diritto all’informazione ambientale”, disponibile all’indirizzo internet http://www.arpalombardia.it/new/live/urp/normative/Inf_ambientale.pdf.

[10] D. Dal Maso “Informazioni ambientali più accessibili per una maggiore tutela dell’ecosistema", in Ambiente e sicurezza n. 13/2003.

[11] D. Dal Maso “Informazioni ambientali più accessibili per una maggiore tutela dell’ecosistema", in Ambiente e sicurezza n. 13/2003.

[12] ARPA Lombardia “L’ARPA e il diritto all’informazione ambientale”, disponibile all’indirizzo internet http://www.arpalombardia.it/new/live/urp/normative/Inf_ambientale.pdf.

[13]    Il regolamento di attuazione dell’art. 24 (DPR 27 giugno 1992, n. 352, Regolamento per la disciplina delle modalità di esercizio e dei casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti amministrativi) dovrà essere integrato alla luce delle modifiche introdotte all’art. 24 della legge 11 febbraio 2005, n. 15, Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull' azione amministrativa.

[15] Nel Rapporto nazionale sull’attuazione della Convenzione di Aarhus consultabile all’indirizzo internet www.minambiente.it/SVS/aarhus/docs/rapporto_aarhus.pdf viene tuttavia segnalato che “nel 2002 è stata prodotta una versione per ragazzi della RSA nazionale (RSA Junior) al fine di fornire ai più giovani una visione onnicomprensiva delle questioni ambientali. La RSA Junior è stata utilizzata in via sperimentale nelle scuole, all'interno di 4 Regioni. L'esperimento ha prodotto risultati positivi e verrà ripetuto. La RSA 2004 è in corso di ultimazione. Maggiore attenzione verrà dedicata al rapporto tra ambiente e crescita economica, allo scopo di evidenziare i reciproci benefici e diffondere la visione positiva dell'ambiente come opportunità".

[16] Si ricorda, infatti, che ai sensi del D.L. 4 dicembre 1993, n. 496 le Regioni hanno provveduto ad istituire proprie Agenzie regionali per l'ambiente (ARPA) finalizzate a fornire il supporto tecnico-scientifico necessario per la pianificazione e gli interventi a livello regionale, gestire l'informazione ambientale regionale, ecc. Tali Agenzie affiancano l'Agenzia Nazionale per la protezione dell’ambiente (APAT) e sono strutturate secondo un modello a rete che ne permette il coordinamento e la cooperazione.

[17] Per approfondimenti si rinvia all'indirizzo internet www.regione.piemonte.it/ambiente/sina/gaia.

[18] Nella relazione sullo stato di attuazione del d.lgs. n. 39/97 presentata nel dicembre 2003 si legge che “in applicazioni di tali disposizioni il decreto del Presidente della Repubblica del 17 giugno 2003, n. 261, sul “Regolamento di organizzazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio” all’art. 4, attribuisce la competenza per la trattazione della materia relativa al diritto di accesso alle informazioni ambientali alla Direzione Generale per la Ricerca Ambientale e lo Sviluppo”.

Si segnala, altresì, che per la trasmissione dei dati da parte delle autorità pubbliche ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. n. 39/97 il Ministero dell’ambiente ha predisposto due apposite schede informative sin dal 1997 con la circolare 22 luglio 1997, aggiornata dalla successiva circolare dell’11 gennaio 2001.