XIV Legislatura - Dossier di documentazione | |||||
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento ambiente | ||||
Altri Autori: | Servizio Studi - Dipartimento ambiente , Servizio Studi - Segreteria generale-Ufficio rapporti con l'Unione europea | ||||
Titolo: | Incenerimento dei rifiuti - Direttiva 2000/76/CE - Schema di decreto legislativo n. 444 - (art. 1, L. 306/2003) | ||||
Serie: | Pareri al Governo Numero: 382 | ||||
Data: | 08/02/05 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: |
V-Bilancio, Tesoro e programmazione
VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici XIV - Politiche dell'Unione europea | ||||
Riferimenti: |
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servizio studi |
segreteria generale |
pareri al governo |
Incenerimento dei rifiuti Direttiva 2000/76/CE Schema di decreto legislativo n. 444 (art. 1, L. 306/2003)
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n. 382
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8 Febbraio 2005 |
Camera dei deputati
Dipartimento Ambiente
SIWEB
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File: Am0565
INDICE
Scheda di sintesi per l'istruttoria legislativa
Elementi per l’istruttoria legislativa
§ Conformità con la norma di delega
§ Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite
§ Rispetto degli altri princìpi costituzionali
§ Incidenza sull’ordinamento giuridico
§ Situazione e possibili sviluppi dell’incenerimento di rifiuti
§ Articolo 1 (Finalità e campo di applicazione)
§ Articolo 4 (Costruzione ed esercizio di impianti di incenerimento dei rifiuti)
§ Articolo 5 (Esercizio di impianti di coincenerimento)
§ Articolo 7 (Procedure di ricezione dei rifiuti)
§ Articolo 8 (Condizioni di esercizio degli impianti di incenerimento e coincenerimento)
§ Articolo 9 (Valori limite di emissione nell'atmosfera)
§ Articolo 12 (Controllo e sorvegIianza delle emissioni nei corpi idrici)
§ Articolo 14 (Obblighi di comunicazione)
§ Articolo 15 (Informazione, accesso alle informazioni e partecipazione del pubblico )
§ Articolo 16 (Condizioni anomale di funzionamento)
§ Articolo 17 (Accessi e ispezioni)
§ Articolo 20 (Danno ambientale)
§ Articolo 21 (Disposizioni transitorie e finali)
§ Articolo 22 (Procedura di modifica degli allegati)
Scheda di sintesi
per l'istruttoria legislativa
Numero dello schema di decreto legislativo |
444 |
Titolo |
Schema di D.Lgs. recante attuazione della direttiva 2000/76/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 dicembre 2000, sull’incenerimento dei rifiuti |
Norma di delega |
Art. 1, L. n. 306/2003 |
Settore d’intervento |
Ambiente |
Numero di articoli |
22 |
Date |
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§ presentazione |
31 gennaio 2005 |
§ assegnazione |
31 gennaio 2005 |
§ termine per l’espressione del parere |
12 marzo 2005 |
§ scadenza della delega |
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Commissioni competenti |
VIII (Ambiente), XIV (Politiche dell’Unione europea) e V (Bilancio) |
Lo schema di decreto-legislativo recante attuazione della direttiva 2000/76/CE sull’incenerimento dei rifiuti, contiene una serie di disposizioni volte a rendere l’ordinamento italiano conforme alla direttiva stessa.
La direttiva 2000/76/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 dicembre 2000, al fine di creare un testo unico in materia di incenerimento dei rifiuti, sostituisce, con effetto abrogativo dal 28 dicembre 2005, le direttive 89/369/CEE, 89/429/CEE, 94/67/CE.
Essa riguarda i rifiuti pericolosi e i rifiuti non pericolosi e si applica sia agli impianti di incenerimento sia a quelli di coincenerimento, cioè a quegli impianti che non hanno come fine esclusivo quello di incenerire i rifiuti.
L’articolo 1 dello schema di decreto specifica infatti che il campo di applicazione del decreto comprende sia gli impianti destinati all’ “incenerimento” dei rifiuti che quelli di "coincenerimento" dei rifiuti.
L’articolo 2 reca le definizioni, mentre l’articolo 3 elenca le categorie di impianti escluse dall’applicazione del decreto.
L’articolo 4 reca le disposizioni riguardanti le procedure autorizzatorie ai fini della costruzione e dell’esercizio degli impianti di incenerimento, mentre l’articolo 5 reca disposizioni riguardanti la procedura autorizzatoria ai fini dell’esercizio degli impianti di coincenerimento. A differenza di quanto previsto per gli impianti di incenerimento, non è prevista per gli impianti di coincenerimento un’apposita procedura di autorizzazione alla costruzione
L’articolo 6 assoggetta alle procedure semplificate previste dagli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, il coincenerimento dei prodotti trasformati derivati da materiali di categoria 1, 2 e 3, di cui al regolamento 1774/2002/CE, cioè dei sottoprodotti di origine animale.
L’articolo 7 disciplina le procedure per la ricezione dei rifiuti che devono essere osservate dai gestori degli impianti di incenerimento e di coincenerimento.
L’articolo 8 specifica puntualmente le condizioni per l’esercizio degli impianti di incenerimento e di coincenerimento, mentre l’articolo 9 detta i valori di emissione che devono essere rispettati dagli impianti di incenerimento e da quelli di coincenerimento.
L’articolo 10 detta disposizioni in materia di scarico di acque reflue provenienti dagli effluenti gassosi degli impianti di incenerimento e coincenerimento di rifiuti.
L’articolo 11 disciplina la materia del campionamento e delle analisi delle emissioni in atmosfera degli impianti di incenerimento e di coincenerimento, mentre l’articolo 12 riguarda il controllo e la sorveglianza delle emissioni nei corpi idrici.
L’articolo 13 indica le modalità attraverso le quali deve essere effettuato il trattamento dei residui prodotti nel corso del funzionamento degli impianti.
L’articolo 14 reca obblighi di comunicazioni alla Commissione europea da parte dei Ministeri competenti.
L’articolo 15 prevede una serie di diritti d’informazione per il pubblico, nell’ambito delle procedure di autorizzazione all’esercizio degli impianti disciplinati dallo schema di decreto in esame.
L’articolo 16 prevede disposizioni particolari nel caso in cui gli impianti superino i limiti di emissione consentiti.
L’articolo 17 detta norme in materia di accessi ed ispezioni per il rispetto dei valori limite di emissione, l’articolo 18 in materia di spese relative alle ispezioni e ai controlli.
L’articolo 19 contiene le disposizioni sanzionatorie.
L’articolo 20 contiene la disciplina del “danno ambientale” relativamente alla violazione delle disposizioni contenute nello schema di decreto.
Infine, l’articolo 21 contiene disposizioni transitorie e finali e l’articolo 22 detta norme in materia di procedura di modifica degli allegati.
Lo schema di decreto contiene, oltre alla relazione illustrativa, il parere della Conferenza unificata, reso ai sensi degli articoli 2, comma 3 e 9, comma 3, del decreto legislativo n. 281 del 1997 (favorevole subordinatamente all’accoglimento di una serie di proposte emendative).
La delega relativa allo schema in esame è recata dall’articolo 1 comma 1 della legge 31 ottobre 2003, n. 306 (legge comunitaria per il 2003), che fa rinvio agli elenchi di direttive recate dagli Allegati A e B alla legge stessa. La direttiva 2000/76/CE è riportata nell’elenco di cui all’Allegato B (è pertanto previsto il parere delle competenti Commissioni parlamentari). I principi e i criteri direttivi sono quelli di carattere generale contenuti nell’articolo 2 della legge stessa.
I principi e criteri direttivi da considerare ai fini della valutazione di conformità fra norma di delega e norme delegate possono riassumersi nei seguenti:
- necessità - da parte delle amministrazioni interessate - di provvedere all’attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture amministrative (lettera a) del comma 1);
- coordinamento fra le nuove norme e le discipline vigenti per i singoli settori interessati (lettera b)) e ricorso, ove possibile, alla tecnica della novellazione (lettera e)) nel caso di attuazione di direttive che modificano precedenti direttive già attuate con legge o decreto legislativo, ad esclusione delle materie oggetto di delegificazione ovvero dei procedimenti oggetto di semplificazione amministrativa;
- vari criteri in materia di sanzioni amministrative e penali, fra cui la limitazione delle sanzioni penali ai soli casi in cui le infrazioni “ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti” (lettera c));
- piena conformità alla normativa comunitaria, anche sopravvenuta (lettera f);
- coordinamento fra le competenze amministrative, secondo i principi generali di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, nella salvaguardia delle competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, nonché degli ulteriori principi generali di unitarietà dei processi decisionali, trasparenza, celerità, efficacia ed economicità e individuazione dei soggetti responsabili (lettera g)).
Tali principi e criteri indicati dal legislatore nella norma di delega sembrano – in linea generale- essere stati rispettati.
Si ricorda, peraltro, che la legge 15 dicembre 2004, n. 308 recante "Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione" ha previsto tra i criteri specifici di delega cui il Governo deve attenersi nell’emanazione dei decreti legislativi di riordino(articolo 1, comma 9, lett. a) anche “…la promozione, il riciclo e il riuso dei rifiuti, anche utilizzando le migliori tecniche di differenziazione e di selezione degli stessi, nonché il recupero di energia, garantendo il pieno recepimento della direttiva 2000/76/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 dicembre 2000, relativa all'incenerimento dei rifiuti, ed innovando le norme previste dal decreto del Ministro dell'ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998, e successive modificazioni, con particolare riguardo agli scarti delle produzioni agricole…”
Il provvedimento mira a ridurre al minimo i rischi per l’ambiente derivanti dalle emissioni prodotte dagli impianti di incenerimento e di coincenerimento. Pertanto, esso sembra riguardare la materia “tutela dell’ambiente”, contemplata dalla lettera s) del comma 2 dell’articolo 117 e attribuita alla competenza esclusiva dello Stato.
Nulla da segnalare
Lo schema di decreto sembra sostanzialmente conforme alle disposizioni contenute nella direttiva 2000/76/CE.
Andrebbe, peraltro, valutata la compatibilità con la direttiva della disposizione contenuta nel comma 7 dell’articolo 5, in base alla quale con decreto ministeriale è possibile individuare con una lista “positiva” determinati rifiuti pericolosi, il cui coincenerimento non comporta una “modifica sostanziale” dell’attività e quindi la necessità di richiedere una nuova autorizzazione.
Il paragrafo 8 dell’articolo 4 della direttiva 2000/76/CE dispone infatti che, qualora, il gestore di un impianto di incenerimento o di coincerimento intenda mettere in atto una modifica dell’attività che comporti l’incenerimento o il coinceneriemnto di rifiuti pericolosi, tale modifica è da considerarsi sostanziale, e deve quindi essere oggetto ai sensi degli articoli 2, punto 10, lettera b) e 12, paragrafo 2 della direttiva 96/61/CE, di apposita autorizzazione
La Commissione ha deciso, il 14 dicembre 2004, di deferire l’Italia alla Corte di giustizia delle Comunità europee[1] per essere venuta meno agli obblighi derivanti dalle seguenti direttive: 75/442/CEE relativa ai rifiuti; 85/337/CEE concernente la valutazione di impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (direttiva VIA); 96/61/CE sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento; 2000/76/CE sull’incenerimento dei rifiuti.
In relazione alla direttiva 2000/76/CE, in particolare, la Commissione contesta all’Italia di non aver reso accessibile, in uno o più luoghi aperti al pubblico, per un periodo adeguato di tempo, la domanda di autorizzazione all’esercizio della terza linea dell’inceneritore di Brescia, e di non aver messo a disposizione del pubblico la decisione e una copia dell’autorizzazione, in tal modo contravvenendo all’articolo 12 della direttiva.
Tra le priorità del programma legislativo e di lavoro per il 2005 della Commissione europea figura la presentazione di una strategia tematica sulla prevenzione e il riciclo dei rifiuti, peraltro già preannunciata per il 2004.
In vista dell’elaborazione della strategia la Commissione ha svolto, tra il 27 maggio e il 30 novembre 2003, una consultazione pubblica sulla base della comunicazione “Verso una strategia tematica di prevenzione e riciclo dei rifiuti”[2].
La Commissione ha raccolto, sulla base della comunicazione, i punti di vista delle parti interessate su alcune misure potenziali, tra le quali:
§ piani di prevenzione della formazione dei rifiuti;
§ tecniche di produzione a bassa formazione di rifiuti;
§ diffusione delle best practice.
La Commissione riconosce che è necessario fissare obiettivi in materia di prevenzione dei rifiuti e prevedere al tempo stesso misure che permettano effettivamente di raggiungerli; si interroga sull’opportunità di riconsiderare la definizione di rifiuto; ritiene possibile migliorare la politica del riciclo in modo da contribuire a risolvere il problema dei rifiuti nell’UE.
Il comma 5 dell’articolo 6 prevede che con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive e con il Ministro della salute, siano compresi in una lista positiva rifiuti pericolosi, il cui incenerimento non comporta modifica sostanziale ai sensi del decreto legislativo 4 agosto 1999, n.372.
La normativa italiana sull’incenerimento dei rifiuti è sostanzialmente contenuta in una serie di provvedimenti che hanno recepito le direttive comunitarie sulla materia: il D.M. 19 novembre 1997, n. 503 (di recepimento delle direttive 89/369/CE e 89/429/CE sull’incenerimento dei rifiuti urbani e dei rifiuti non pericolosi) e il D.M. 25 febbraio 2000, n. 124 (che ha recepito la direttiva 94/67/CE sull’incenerimento dei rifiuti pericolosi).
La direttiva 2000/76/CE dispone l’abrogazione delle direttive da ultimo citate a partire dal 28 dicembre 2005. Sembrerebbe quindi opportuno, alla luce del fatto che la direttiva 2000/76/CE contiene l’intera disciplina sull’incenerimento dei rifiuti e che essa è destinata ad essere applicata nel nostro ordinamento attraverso lo schema di decreto in esame, prevedere l’abrogazione dei decreti ministeriali sopra richiamati.
Nulla da segnalare
All’articolo 2, comma 1 lettera b), sembra opportuno ai fini di una migliore intelligibilità del testo, sostituire la dizione “rifiuto pericoloso” con la seguente “rifiuti pericolosi”; andrebbe inoltre eliminato il riferimento all’Allegato 4;
All’articolo 2, comma 1 lettera c), sarebbe opportuno chiarire il riferimento all’Allegato 1, dato che il decreto legislativo n.22 del 1997 non contiene un Allegato 1, bensì un Allegato A;
La rubrica dell’articolo 5 fa riferimento all’esercizio di impianti di coincenerimento. Il comma 1 di tale articolo, disciplina, infatti, esclusivamente la procedura di autorizzazione all’esercizio degli impianti di coincenerimento. Il comma 2 dello stesso articolo fa invece riferimento all’articolo 27 del decreto legislativo n.22 del 1997, che riguarda invece la procedura per la costruzione di impianti e sembra, inoltre, ripetere disposizioni già contenute nella lettera a) del comma 1. Sembrerebbe quindi opportuno chiarire la portata delle norma citate;
Al comma 4 dell’articolo 5, lettera d), andrebbe chiarito il riferimento al divieto di cui al comma 5, dato che tale ultimo comma non contiene divieti;
Al comma 11 dell’articolo 5, andrebbe sostituito il riferimento “al comma 9” conle parole “al comma 10”;
Al comma 4 dell’articolo 10, andrebbe specificato a quali dei vari obblighi previsti dagli articoli 28 e seguenti del decreto legislativo n.22 del 1997 ci si riferisce;
All’articolo 12, andrebbe valutata l’opportunità di sopprimere i commi 5 e 6, che risultano essere sostanzialmente identici ai commi 2 e 4 dello stesso articolo;
La direttiva 2000/76/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 dicembre 2000, affronta la disciplina dell'incenerimento dei rifiuti con l’intento di condurre ad unità normativa un settore molto delicato: l’incenerimento costituisce infatti uno dei più controversi mezzi di smaltimento dei rifiuti a causa della elevata potenzialità inquinante dello stesso nell’aria, nell’acqua, nel suolo e nel sottosuolo.
Con l’esplicito obiettivo di chiarire la normativa e di facilitarne l’osservanza, la direttiva 2000/76/CE sostituisce, con effetto abrogativo dal 28 dicembre 2005, le direttive 89/369/CEE e 89/429/CEE concernenti la prevenzione dell’inquinamento atmosferico provocato dagli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani e le condizioni di combustione dei rifiuti urbani, dei rifiuti speciali non pericolosi e di taluni rifiuti sanitari, e la direttiva 94/67/CE concernente le caratteristiche degli impianti di incenerimento e coincenerimento dei rifiuti pericolosi e i valori limite di emissione.
In Italia alle prime due direttive è stata data attuazione con il D.M. n. 503 del 19 novembre 1997 ed alla terza con il D.M. n. 124 del 25 febbraio 2000. Vi è quindi una disciplina diversificata per l’incenerimento dei rifiuti non pericolosi e di quelli pericolosi che il legislatore comunitario intende ora superare – sia pure con specifiche deroghe, come quelle previste per i rifiuti animali e vegetali – proponendo una sorta di testo unico dell’incenerimento, alla luce della considerazione che la distinzione tra rifiuti pericolosi e non pericolosi, basata sulle loro caratteristiche prima dell’incenerimento, e non già sulle diverse emissioni provocate, non appariva soddisfacente.
Il legislatore comunitario ha optato quindi per l’applicazione dei medesimi valori di emissione a tutti i tipi di rifiuti, pur prevedendo le opportune differenziazioni per quanto riguarda le misure di controllo al momento della ricezione dei rifiuti e le tecniche di incenerimento.
Agli Stati membri è rimesso il compito, in sede di attuazione della direttiva, di prevedere le sanzioni da irrogare in caso di violazione degli obblighi previsti, sanzioni che dovrebbero essere effettive, proporzionate e dissuasive.
La direttiva si ripropone di prevenire o ridurre gli effetti negativi sull’ambiente derivanti dall’incenerimento e i rischi per la salute umana, attraverso rigorose condizioni di esercizio e prescrizioni tecniche, nonché istituendo i valori limite di emissione per gli impianti di incenerimento e coincenerimento.
Il campo di applicazione della direttiva comprende quindi l'incenerimento delle seguenti tipologie di rifiuto:
- i rifiuti urbani non pericolosi;
- i rifiuti non pericolosi diversi da quelli urbani (come i fanghi di depurazione, i pneumatici e i residui di origine medica);
- i rifiuti pericolosi esclusi dalla direttiva 94/67/CE (come gli oli usati e i solventi).
A differenza delle citate direttive 89/369/CEE e 89/429/CEE, la presente direttiva si applica non solo agli impianti destinati all'incenerimento dei rifiuti ("impianti di incenerimento specializzati"), ma anche agli impianti di "coincenerimento" (impianti la cui funzione principale consiste nella produzione di energia o di materiali, che utilizzano regolarmente o in via aggiuntiva rifiuti come combustibile e in cui i rifiuti sono sottoposti ad un trattamento termico a fini di smaltimento).
Le esclusioni dal campo di applicazione della direttiva riguardano gli impianti sperimentali utilizzati per migliorare il processo di incenerimento che trattano meno di 50 tonnellate di rifiuti all'anno e quelli che trattano unicamente i seguenti rifiuti:
- rifiuti vegetali derivanti da attività agricole e forestali o dalle industrie alimentari di trasformazione e dalla produzione di carta;
- rifiuti di legno;
- rifiuti di sughero;
- rifiuti radioattivi;
- carcasse di animali;
- rifiuti derivanti dallo sfruttamento delle risorse petrolifere e di gas e inceneriti negli impianti offshore.
Il funzionamento di qualunque impianto continua ad essere subordinato al rilascio di una autorizzazione, rilasciata dall'autorità competente, che presuppone, tra l’altro, la conformità delle tecniche di misurazione proposte per le emissioni in atmosfera e in acqua a quanto previsto negli allegati alla direttiva (articolo 4 della direttiva). Nell’autorizzazione, inoltre, l’autorità competente per il rilascio deve stabilire il periodo massimo durante il quale, a causa di disfunzioni o guasti dei dispositivi di misurazione o di depurazione o di arresti tecnicamente inevitabili, il valore delle emissioni può essere superato (articolo 13).
L’autorizzazione potrà essere riesaminata periodicamente o aggiornata da parte della autorità competente, che potrà altresì adottare le misure necessarie a ottenere l’osservanza delle prescrizioni qualora l’impianto non ottemperi ai requisiti della stessa e, in particolare, non rispetti i valori limite di emissione.
Negli allegati IV e V della direttiva vengono infatti rideterminati i valori limite di emissione in atmosfera e in acqua con attenzione ai principali risultati tecnici e scientifici, mentre i valori limite delle emissioni atmosferiche per gli impianti di coincenerimento sono indicati nell'allegato II.
Va ricordato che sono soggette ad autonoma autorizzazione le acque reflue e gli scarichi provenienti dal processo di depurazione dei gas di scarico ed evacuate dall’impianto.
Nell’ambito della specifica attività di gestione dell’impianto particolare attenzione è dedicata alla fase di ricezione dei rifiuti, al fine di garantire l’adeguata informazione del gestore sulla qualità e quantità dei rifiuti, con particolare attenzione ai rifiuti pericolosi (articolo 5).
Risulta, inoltre, molto dettagliata la disciplina delle condizioni di esercizio dell’impianto (articolo 6) che prevede sistemi multipli e progressivi di sicurezza da applicare ai processi termici attuati nell’impianto.
Ai fini dell’assunzione di responsabilità inerenti all’esercizio dell’impianto si sottolinea che, nonostante la direttiva preveda nella parte generale (articolo 3, n. 11) che debba intendersi per gestore “qualsiasi persona fisica o giuridica che gestisce o controlla l'impianto o, se previsto dalla legislazione nazionale, alla quale sia stato delegato il potere economico decisionale del funzionamento tecnico dell'impianto”, viene purtuttavia previsto che la gestione dell’impianto vada affidata ad una persona fisica competente nella gestione dello stesso (articolo 6, paragrafo 8).
Viene inoltre disciplinata l’attività di sorveglianza e controllo, che costituisce il presupposto del buon funzionamento degli impianti, in particolare attraverso la dettagliata previsione delle prescrizioni per le misurazioni (articolo 11) e con la statuizione dell’obbligo, per il gestore, di informare senza indugio l'autorità competente in caso di superamento dei valori limite di emissione.
Completa il sistema la disciplina per la eventuale fase di funzionamento anomalo dell’impianto (articolo 13) che prevede l’obbligo generale del gestore di ridurre o arrestare l’attività finché sia ristabilito il normale funzionamento, sia pure mitigato dalla possibilità di emissioni superiori ai valori limite nel tempo massimo previsto dall’autorità competente, nel rispetto, comunque, dei limiti normativi invalicabili che il legislatore comunitario detta.
Per quanto riguarda l’applicazione della direttiva, questa è fissata, per gli impianti esistenti, a partire dal 28 dicembre 2005 e, per i nuovi impianti, a partire dal 28 dicembre 2002.
Si ricorda che ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 6, della direttiva per impianti di incenerimento o coincenerimento esistenti si intendono quelli: a) in esercizio e autorizzati conformemente alla normativa comunitaria prima del 28 dicembre 2002; o b) autorizzati o registrati per l'incenerimento o il coincenerimento e la cui autorizzazione sia stata rilasciata prima del 28 dicembre 2002, conformemente alla normativa comunitaria, purché l'impianto sia messo in funzione entro il 28 dicembre 2003; oppure c) oggetto, a parere dell'autorità competente, di una richiesta completa di autorizzazione prima del 28 dicembre 2002, purché l'impianto sia messo in funzione entro il 28 dicembre 2004.
Il termine ultimo per l'attuazione della normativa comunitaria negli Stati membri è scaduto il 28 dicembre 2002.
Il 16 dicembre 2003 la Commissione europea ha deciso di adire la Corte di giustizia delle Comunità europee per mancata attuazione da parte dell’Italia della direttiva 2000/76/CE, visto che il termine previsto per il recepimento della direttiva era scaduto il 28 dicembre 2002 e tale procedura si è conclusa con la condanna dello Stato italiano sancita con la sentenza 2 dicembre 2004 (causa C/97/04).
Successivamente la legge 31 ottobre 2003, n. 306 (comunitaria 2003), ha previsto il recepimento della direttiva 2000/76/CE con decreto legislativo da emanarsi entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa, cioè entro il 31 maggio 2005.
Si osserva, inoltre, che la recente legge 15 dicembre 2004, n. 308 "Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione" ha previsto tra i criteri specifici di delega cui il Governo deve attenersi nell’emanazione dei decreti legislativi di riordino(articolo 1, comma 9, lett. a) anche “…la promozione, il riciclo e il riuso dei rifiuti, anche utilizzando le migliori tecniche di differenziazione e di selezione degli stessi, nonché il recupero di energia, garantendo il pieno recepimento della direttiva 2000/76/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 dicembre 2000, relativa all'incenerimento dei rifiuti, ed innovando le norme previste dal decreto del Ministro dell'ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998, e successive modificazioni, con particolare riguardo agli scarti delle produzioni agricole…”
La normativa italiana sull’incenerimento dei rifiuti è contenuta in una serie di provvedimenti che recepiscono le direttive comunitarie sulla materia: il D.M. 19 novembre 1997, n. 503 (di recepimento delle direttive 89/369/CE e 89/429/CE sull’incenerimento dei rifiuti urbani e dei rifiuti non pericolosi[3]) e il D.M. 25 febbraio 2000, n. 124 (che ha recepito la direttiva 94/67/CE sull’incenerimento dei rifiuti pericolosi[4]).
Lo stesso decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (cd. decreto Ronchi) ha introdotto delle prescrizioni relativamente all’incenerimento dei rifiuti: l’art. 5, comma 4, prescrive che dal 1° gennaio 1999 “la realizzazione e la gestione di nuovi impianti di incenerimento possono essere autorizzate solo se il relativo processo di combustione è accompagnato da recupero energetico con una quota minima di trasformazione del potere calorifico dei rifiuti in energia utile, calcolata su base annuale, stabilita con apposite norme tecniche”. Tale prescrizione è stata ribadita dal citato D.M. n. 503 del 1997. Le norme tecniche, tuttavia, non sono state mai adottate.
E’ stato, comunque, emanato, il DM 5 febbraio 1998[5], che individua i rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli artt. 31 e 33 del decreto Ronchi. L’articolo 4 del decreto ministeriale contiene una formula che stabilisce la percentuale di energia termica o elettrica che deve essere garantita al netto degli autoconsumi degli impianti stessi.
Il citato regolamento n. 503 del 1997 ha stabilito valori limite di emissione e norme tecniche generali riguardanti le caratteristiche costruttive e funzionali, i criteri temporali di adeguamento nel caso di impianti già autorizzati, nonché metodi di campionamento, analisi e valutazioni delle emissioni inquinanti relativamente alle seguenti tipologie impiantistiche:
- impianti di incenerimento di rifiuti urbani;
- impianti di incenerimento di rifiuti speciali non pericolosi;
- impianti di incenerimento di rifiuti sanitari contagiosi, purché non resi pericolosi dalla presenza di altri costituenti elencati nell'allegato II della direttiva 91/689/CEE.
L’articolo 2 definisce impianto di incenerimento “qualunque apparato tecnico utilizzato per l'incenerimento dei rifiuti di cui all'articolo 1 mediante ossidazione compreso il pretrattamento tramite pirolisi o altri processi di trattamento termico, per esempio il processo al plasma, a condizione che i prodotti che si generano siano successivamente inceneriti, con o senza recupero del calore di combustione prodotto. La presente definizione include tutte le installazioni ed il luogo dove queste sono ubicate compresi: la ricezione dei rifiuti in ingresso allo stabilimento, lo stoccaggio, le apparecchiature di pretrattamento, l'inceneritore, i sistemi di alimentazione dei rifiuti, del combustibile ausiliario e dell'aria di combustione, il generatore di calore, le apparecchiature di trattamento, movimentazione e stoccaggio dei rifiuti risultanti dal processo di incenerimento, le apparecchiature di trattamento dei gas e delle acque di scarico, i camini, i dispositivi e sistemi di controllo delle varie operazioni, e di registrazione e monitoraggio delle condizioni di incenerimento”. La definizione recata non include, comunque, gli impianti di coincenerimento che vengono ricompresi, invece, tra quelli di incenerimento dal successivo D.M. n. 124 del 2000.
Si ricorda, infatti, che le caratteristiche e le condizioni di esercizio (limiti di emissione, metodi di campionamento, di analisi e di valutazione degli inquinanti derivanti da tali impianti, criteri e norme tecniche generali riguardanti le caratteristiche costruttive e funzionali, nonché i criteri temporali di adeguamento nel caso di impianti preesistenti) degli impianti di incenerimento e di coincenerimento dei rifiuti pericolosi sono state disciplinate dal D.M. 25 febbraio 2000, n. 124.
L’art. 3 di tale D.M. esclude dal campo di applicazione i seguenti impianti di incenerimento:
a) inceneritori per carcasse o resti di animali;
b) inceneritori per rifiuti sanitari contagiosi, a condizione che tali rifiuti non siano resi pericolosi dalla presenza di altri costituenti elencati nell'allegato H al decreto legislativo n. 22 del 1997, e sue successive modifiche;
c) inceneritori per rifiuti urbani che trattino anche rifiuti sanitari contagiosi, a condizione che tali rifiuti non siano mescolati con altri rifiuti resi pericolosi a causa di una delle altre caratteristiche elencate nell'allegato I al decreto legislativo n. 22 del 1997, e sue successive modifiche;
d) inceneritori per rifiuti urbani e inceneritori per rifiuti speciali non pericolosi, a condizione che i rifiuti trattati non siano mescolati con rifiuti pericolosi.
Dell’autorizzazione alla costruzione ed all’esercizio di impianti di incenerimento e di coincenerimento di rifiuti pericolosi si occupano – rispettivamente – l’art. 4 e l’art. 5. Il primo puntualizza che le autorizzazioni alla costruzione e all'esercizio degli impianti di incenerimento sono rilasciate dalla regione ai sensi, rispettivamente, degli articoli 27 e 28 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, “soltanto se dalla domanda risulta che la progettazione, l'attrezzatura e la gestione dell'impianto di incenerimento prevedono l'adozione di adeguate misure preventive contro l'inquinamento ambientale e che siano quindi osservati i requisiti di cui all'allegato 1”.
In materia è intervenuto anche il D.M. 12 giugno 2002, n. 161[6] secondo cui non è possibile effettuare in procedura agevolata il recupero energetico dei rifiuti pericolosi (tale D.M. riguarda, infatti, solo ed esclusivamente il recupero di materia di tali rifiuti) che rimane quindi sottoposto, in ogni caso, all’autorizzazione ordinaria prevista dagli articoli 27 e 28 del decreto Ronchi e secondo le prescrizioni e norme tecniche contenute nel citato D.M. n. 124 del 2000.
Per quanto concerne, infine, gli impianti di coincenerimento, l’art. 5, oltre a confermare la competenza della regione, al comma 2 specifica che è vietato il coincenerimento di oli usati contenenti PCB/PCT e loro miscele in misura eccedente le 25 parti per milione.
I rifiuti urbani
L’incenerimento dei rifiuti urbani nel 2002, secondo i dati riportati nel recente Rapporto Rifiuti 2003 curato dall’APAT[7], ammonta a circa 2,7 milioni di tonnellate. I rifiuti classificati come pericolosi trattati in impianti per rifiuti urbani consistono, sempre nello stesso anno, in oltre 45.000 tonnellate rappresentate quasi esclusivamente da rifiuti sanitari.
La forma di gestione prevalente per i rifiuti urbani rimane, tuttavia, lo smaltimento in discarica, sebbene l’analisi dei dati relativi al 2001 confermi la diminuzione del ricorso a tale forma di gestione già registrata nel 2000 ed un aumento delle altre tipologie di trattamento e smaltimento quali il compostaggio e la termovalorizzazione.
Le quantità complessive avviate a termotrattamento rimangono, comunque, estremamente basse. Complessivamente, nel 2001 solo l’8,7 % dei rifiuti urbani sono stati avviati ad impianti di incenerimento con o senza recupero di energia, mentre circa il 67,1% sono stati smaltiti in discarica, il 12,7% destinati ad impianti di selezione con produzione di compost, frazione secca e/o CDR, il 5,8% ad impianti di compostaggio di frazioni selezionate e il 5,7% sono stati avviati ad altre forme di recupero.
Il confronto con i dati europei pone l’Italia nel gruppo dei Paesi che fanno meno ricorso a questa forma di trattamento dei rifiuti: la media europea di rifiuti urbani avviati a valorizzazione energetica è pari, infatti, a circa il 19%.
Un sistema integrato dovrebbe basarsi su raccolte differenziate spinte (il D.lgs.22/97 fissava al 2003 la percentuale del 35%), seguite da livelli elevati di recupero energetico (minimo 20%) e da quote sempre più basse di smaltimento in discarica.
Per realizzare il modello proposto sarebbe necessario potenziare la raccolta differenziata soprattutto nelle regioni del centro-sud; realizzare gli impianti di incenerimento con recupero energetico, dove necessario, ammodernare il sistema impiantistico esistente, sia attraverso il potenziamento delle linee di trattamento sia attraverso il miglioramento delle performance ambientali degli impianti, soprattutto per quanto riguarda le emissioni e la produzione e la gestione delle scorie e delle polveri da combustione.
La differenza nel numero degli impianti operativi si traduce poi, a livello gestionale, in termini di quantitativi trattati; in questo caso si può rilevare, che nel 2002, oltre l’87% dei rifiuti totali inceneriti è stato trattato in impianti localizzati nel nord, mentre la rimanente quota è ripartita quasi equamente al centro e sud Italia.
L’analisi della situazione a livello regionale consente di notare come complessivamente le regioni del nord hanno raggiunto, nel 2002, un buon livello di raccolta differenziata (intorno al 31%) e di incenerimento (17%); a fronte di una situazione ben diversa nelle regioni del centro e del sud che gestiscono i rifiuti affidandosi quasi totalmente allo smaltimento in discarica con le sole eccezioni della Toscana , dell’Umbria e delle Marche.
Tale situazione è destinata a migliorare nei prossimi anni grazie alla prevista costruzione di numerosi nuovi impianti sia di incenerimento con recupero energetico, sia di impianti di termovalorizzazione di CDR e frazione secca, che andranno a sostituire quelli con tecnologie obsolete e privi di sistemi di recupero energetico. Ciò dovrebbe quindi portare ad un notevole aumento della potenzialità di incenerimento e termovalorizzazione dei rifiuti urbani soprattutto nelle regioni del centro e del sud. Si può stimare che, considerando un aumento costante annuo della produzione di rifiuti di circa l’1,5%, l’incenerimento e la connessa termovalorizzazione possa arrivare ad una quota di oltre il 20% dei rifiuti prodotti a livello nazionale; in termini di potenzialità, si dovrebbe passare entro il 2007 dalle attuali 4 milioni di tonnellate ad oltre 7 milioni di tonnellate anno.
Per concludere, occorre ricordare che nel 2002, dall’incenerimento dei rifiuti urbani, sono stati prodotti oltre 1,4 milioni di MW di energia elettrica, in parte ceduta alla rete di distribuzione, e oltre 1,1 milioni di MW di energia termica, in genere utilizzati per autoconsumo ed in minor parte per teleriscaldamento.
I rifiuti speciali
Per quanto riguarda i rifiuti speciali inceneriti in impianti dedicati, essi ammontano, nel 2001, ad oltre 574.000 tonnellate; una quota rilevante di rifiuti speciali (circa il 35%, pari ad oltre 298.000 tonnellate) è incenerita in impianti per rifiuti urbani. Complessivamente, quindi, i rifiuti speciali inceneriti nel 2001 sono circa 869.000 tonnellate. Gli impianti operativi e censiti nel 2001 sono 98, la maggior parte dei quali localizzati nel Nord Italia. I quantitativi totali di rifiuti trattati in impianti dedicati all’incenerimento di rifiuti speciali e dotati di recupero energetico (frequentemente recupero di energia termica) sono pari a circa 463.000 tonnellate, a cui si devono aggiungere oltre 291.700 tonnellate gestite in impianti per rifiuti urbani.
Anche in questo contesto l’incremento nel biennio dei rifiuti avviati ad incenerimento 2000-2001 è stato significativo, attestandosi attorno al 17%, anche se, anche per i rifiuti speciali la discarica continua ad essere, tra le operazioni di smaltimento, quella con il valore assoluto più elevato sia nel 2000 sia nel 2001.
Le novità normative
Le numerose novità normative intervenute, in sede comunitaria e nazionale, dovrebbero portare a sostanziali modifiche nel sistema di gestione dei rifiuti delineato, con importanti ripercussioni anche a livello locale nell’ambito della pianificazione territoriale.
Il recepimento della direttiva 1999/31/CE in materia di discariche, attuato con il d.lgs. n. 36/2003, e della direttiva 2000/76/CE ad opera del presente decreto dovrebbero, in particolare, incentivare nuovi modelli di gestione basati sempre più sul recupero energetico e di materia dai rifiuti.
Anche il d.lgs. n. 387/2003 di recepimento della direttiva 2001/77/CE sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili, nonché il conseguimento degli obiettivi previsti dal Protocollo di Kyoto e dal Libro bianco sulle fonti energetiche rinnovabili, dovrebbero garantire un incremento dei rifiuti avviati a recupero energetico.
In questo contesto si inserisce anche il divieto di smaltire in discarica, a partire dal 1° gennaio 2007, i rifiuti con un potere calorifico inferiore > 13.000 kJ/kg, che imporrà a flussi importanti di rifiuti, quali il fluff di macinazione degli autoveicoli, forme di gestione alternative alla discarica.
Inoltre, la piena attuazione della normativa sui veicoli a fine vita ed il recepimento delle direttive in materia di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, che fissano ambiziosi obiettivi di riciclaggio e recupero, contribuiranno al decollo del sistema del recupero.
Infine, il raggiungimento degli obiettivi di riduzione della frazione biodegradabile da allocare in discarica, fissati dal d.lgs. n. 36/2003, porterà ad un’ulteriore crescita del sistema di trattamento biologico aerobico ed anaerobico di tali rifiuti che dovranno, poi, una volta trattati, essere avviati a circuiti di valorizzazione.
L’accettabilità sociale
Tra le cause che hanno portato al sistema di gestione dei rifiuti delineato, non va sottovalutata la difficoltà di individuazione dei siti di localizzazione degli impianti, l’assenza di ampie campagne di informazione finalizzate a realizzare un reale coinvolgimento dei cittadini nelle problematiche di gestione dei rifiuti, migliorando la cosiddetta “accettabilità sociale” su talune scelte teconologiche e di localizzazione degli impianti.
L’accettabilità sociale dell’incenerimento è, infatti, abbastanza controversa ed i recenti progressi tecnologici potranno contribuire sensibilmente a diminuire gli impatti ambientali dei trattamenti termici sull’ambiente.
In Italia si è cercato di adottare termini quali “termoutilizzazione” o “termovalorizzazione” per combattere la cd. sindrome NIMBY[8] mettendo in risalto di fronte all’opinione pubblica gli aspetti positivi del recupero energetico che si può ottenere con l’incenerimento in impianti dotati di tale opzione. La direttiva 2000/76/CE, al pari delle altre precedenti disposizioni ambientali europee, prevede un ampio accesso del pubblico alle informazioni sulle procedure autorizzative e sulla gestione dell’impianto.
Questa attitudine viene ribadita come uno dei criteri principali nelle politiche ambientali comunitarie, che prevedono un vasto coinvolgimento delle parti sociali e si propongono un’informazione articolata sulle varie fasi della gestione dei rifiuti, al fine di migliorarne l’accettabilità sociale ed evitare opposizioni controproducenti.
Articolo 1
(Finalità e campo di applicazione)
Il comma 1 dell’articolo specifica che il campo di applicazione del decreto comprende:
§ gli impianti destinati all'incenerimento dei rifiuti (cfr. art. 2, comma 1, lett. d), impianti di incenerimento specializzati);
§ gli impianti di "coincenerimento" dei rifiuti (cfr. art. 2, comma 1, lett. e), impianti la cui funzione principale consiste nella produzione di energia o di materiali, che utilizzano regolarmente o in via aggiuntiva rifiuti come combustibile e in cui i rifiuti sono sottoposti ad un trattamento termico a fini di smaltimento).
Il campo di applicazione riguarda quindi sia gli impianti di incenerimento che di coincenerimento di rifiuti, pericolosi e non [cfr. art. 2, comma 1, lettere a), b) e c)], attualmente disciplinati da due diversi decreti: D.M. 25 febbraio 2000, n. 124 e D.M. 19 novembre 1997, n. 503.
In proposito, si ricorda che il D.M. n. 503 del 1997 disciplina solamente il procedimento di incenerimento dei rifiuti urbani, speciali non pericolosi e di taluni rifiuti sanitari, non prevedendo norme relative al coincenerimento. Il processo di coincenerimento è invece ricompreso nel procedimento di incenerimento nel successivo D.M. n. 124 del 2000 in relazione al trattamento dei rifiuti pericolosi.
Nel sedicesimo considerando della direttiva 2000/76/CE viene evidenziato che “la distinzione tra rifiuti pericolosi e non pericolosi si basa essenzialmente sulle loro diverse caratteristiche prima dell'incenerimento o del coincenerimento, e non sulle diverse emissioni provocate. All'incenerimento o al coincenerimento dei rifiuti, pericolosi o meno, dovrebbero applicarsi gli stessi valori limite di emissione, pur prevedendo tecniche e condizioni di incenerimento o coincenerimento diverse e misure di controllo diverse al momento della ricezione dei rifiuti”.
Il comma 1 precisa, inoltre, che le misure e le proceduredettate dal decreto vengono stabilite con la finalità di tutelare la salute e l’ambiente,in particolare l'inquinamento atmosferico, del suolo e delle acque superficiali e sotterranee.
Il comma 2 riguarda ancora il campo di applicazione del decreto, prevedendo che esso disciplini, in relazione agli impianti di incenerimento e di coincenerimento:
a) i valori limite di emissione;
b) i metodi di campionamento, di analisi e di valutazione degli inquinanti derivanti da tali impianti;
c) le caratteristiche costruttive e funzionali, nonché le condizioni di esercizio delle due tipologie di impianti, con particolare attenzione alle esigenze di assicurare una elevata protezione dell'ambiente contro le emissioni causate dall'incenerimento e dal coincenerimento dei rifiuti;
d) i criteri temporali di adeguamento degli impianti esistenti.
Si osserva che le disposizioni dei commi in esame riproducono sostanzialmente il contenuto dell’articolo 1 e dell’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2000/76/CEE. L’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva prevede, infatti, che ogni Stato membro detti “rigorose condizioni di esercizio e prescrizioni tecniche nonché istituendo valori limite di emissione per gli impianti di incenerimento e di coincenerimento dei rifiuti nella Comunità…”.
Articolo
2
(Definizioni)
L’articolo in esame reca le seguenti definizioni, utilizzate nell’articolato del presente decreto, che – salvo diversa indicazione nel seguito della presente scheda – risultano conformi a quelle recate dal corrispondente articolo 3 della direttiva 2000/76/CE:
a) rifiuto: qualsiasi rifiuto solido o liquido come definito all'art. 6, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 22 del 1997;
Si ricorda che la definizione di rifiuto recata dall’art. 6, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 22 del 1997 (cd. decreto Ronchi) include “qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'allegato A (del medesimo decreto) e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi”.
Si ricorda che con l’art. 14 del decreto legge n. 138 del 2002[9] è stata fornita l'interpretazione autentica della definizione di rifiuto. Tale disposto normativo non è però riuscita ad eliminare i dubbi interpretativi sorti attorno alla nozione di rifiuto. L’art. 14 del D.L. n. 138 è stato recentemente oggetto di una procedura di infrazione conclusasi con la sentenza della Corte di Giustizia 11 novembre 2004 (C-457/02) che, nella sostanza, ha dichiarato l’incompatibilità della definizione recata dall’art. 14 del D.L. n. 138 con quella prevista dalla disciplina comunitaria[10].
b) rifiuti pericolosi: i rifiuti di cui all'art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 1997;
Si ricorda che ai sensi dell’art. 7, comma 4, del decreto Ronchi “sono pericolosi i rifiuti non domestici precisati nell'elenco di cui all'allegato D sulla base degli allegati G, H ed I”.
Tale allegato D è stato sostituito dall'allegato A della Dir.Min. 9 aprile 2002 recante “Indicazioni per la corretta e piena applicazione del regolamento comunitario n. 2557/2001 sulle spedizioni di rifiuti ed in relazione al nuovo elenco dei rifiuti”[11] .
Si osserva che nel testo si parla di “rifiuto pericoloso”, tuttavia sembrerebbe opportuno modificare il testo volgendo al plurale tale definizione, coerentemente con il seguito della definizione medesima.
Si osserva altresì che nella lettera in esame viene fatto rinvio ad un allegato 4 al presente decreto che, tuttavia, non compare nel testo consegnato per il parere.
c) rifiuti urbani misti: i rifiuti di cui all'art. 7, comma 2, del d.lgs. n. 22 del 1997, ad esclusione dei rifiuti individuati all'allegato 1.
Si ricorda che ai sensi dell’art. 7, comma 2, del decreto Ronchi “sono rifiuti urbani:
a) i rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione;
b) i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quelli di cui alla lettera a), assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità, ai sensi dell'articolo 21, comma 2, lettera g);
c) i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade;
d) i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d'acqua;
e) i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali;
f) i rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli di cui alle lettere b), c) ed e)”.
Si osserva che non appare chiaro il rinvio all’allegato 1, da un lato perchè gli allegati del d.lgs. n. 22 del 1997 sono indicati in modo alfabetico, dall’altro perché nell’allegato 1 al presente decreto non viene elencata nessuna tipologia di rifiuto.
In proposito si ricorda che nel testo sottoposto al parere della Conferenza unificata le esclusioni venivano individuate in modo più preciso facendo rinvio ai sottocapitoli 20.01 (raccolta differenziata) e 20.02 (rifiuti di giardini e parchi, inclusi i rifiuti provenienti da cimiteri) dell’allegato A del decreto Ronchi. Tali esclusioni corrispondevano perfettamente, inoltre, al dettato dell’art. 3, numero 3), della direttiva 2000/76/CE.
d) impianto di incenerimento: qualsiasi unità e attrezzatura tecnica, fissa o mobile, destinata al trattamento termico di rifiuti ai fini dello smaltimento, con o senza recupero del calore prodotto dalla combustione.
Sono compresi in questa definizione l'incenerimento mediante ossidazione dei rifiuti, nonché altri processi di trattamento termico, quali ad esempio la pirolisi, la gassificazione ed il processo al plasma, a condizione che le sostanze risultanti dal trattamento siano successivamente incenerite.
La definizione include il sito e l'intero impianto di incenerimento, compresi:
- le linee di incenerimento;
- la ricezione dei rifiuti in ingresso allo stabilimento e lo stoccaggio;
- le installazioni di pretrattamento in Ioco;
- i sistemi di alimentazione dei rifiuti, del combustibile ausiliario e dell'aria di combustione;
- i generatori di calore;
- le apparecchiature di trattamento, movimentazione e stoccaggio in loco delle acque reflue e dei rifiuti risultanti dal processo di incenerimento;
- le apparecchiature di trattamento dei gas;
- i camini;
- i dispositivi ed i sistemi di controllo delle varie operazioni e di registrazione e monitoraggio delle condizioni di incenerimento.
Si fa notare che tale definizione riproduce nella sostanza quella recata dall’art. 2 del D.M. 19 novembre 1997, n. 503, oltre che quella prevista dalla direttiva.
e) impianto di coincenerimento: qualsiasi impianto, fisso o mobile, la cui funzione principale consiste nella produzione di energia o di prodotti e materiali, che utilizza rifiuti come combustibile normale o accessorio, ovvero in cui i rifiuti sono sottoposti a trattamento termico ai fini dello smaltimento.
Viene altresì precisato che la definizione include il sito e l'intero impianto di incenerimento, compresa una serie di elementi, che sono gli stessi elencati per gli impianti di incenerimento
L’ultimo periodo della lettera in esame prevede, infine, che qualora il coincenerimento avvenga in modo che la funzione principale dell’impianto non consista nella produzione di energia o di prodotti materiali ma nel trattamento termico ai fini dello smaltimento dei rifiuti, l'impianto è considerato un impianto di incenerimento ai sensi della lettera d).
Vale la pena sottolineare che la caratteristica che fa da spartiacque tra le due tipologie di impianto risiede nella finalità dell’impianto stesso: si ha incenerimento quando l’impianto è destinato al trattamento termico di rifiuti ai fini dello smaltimento (con o senza recupero del calore prodotto dalla combustione), mentre si ha coincenerimento se la funzione principale dell’impianto consiste nella produzione di energia o di prodotti e materiali e i rifiuti vengono utilizzati come combustibile normale o accessorio, oppure quando nel corso del processo produttivo si ha un trattamento termico di rifiuti ai fini di un loro smaltimento. In altre parole, mentre nel primo caso il trattamento termico costituisce l’essenza stessa del processo produttivo, nel secondo caso l’incenerimento rappresenta solamente un evento accessorio all’interno di un processo produttivo più ampio.
f) impianto di incenerimento o di coincenerimento esistente: un impianto messo in funzione entro il 28 dicembre 2004 per il quale:
- l'autorizzazione all'esercizio, in conformità al decreto Ronchi, o la comunicazione di cui all'art. 31 e 33 del medesimo decreto è stata effettuata prima della data di entrata in vigore del presente decreto;
oppure
- la richiesta di autorizzazione all'esercizio sia stata presentata all'autorità competente entro il 28 dicembre 2002.
Si fa notare che tale definizione non può essere perfettamente aderente a quella recata dalla direttiva a causa del tardivo recepimento della medesima. Si ricorda, infatti, che il termine per il recepimento è scaduto il 28 dicembre 2002, termine che viene comunque mantenuto con riferimento alla richiesta di autorizzazione all'esercizio presentata all'autorità competente.
g) nuovo impianto di incenerimento o di coincenerimento: un impianto diverso da quello ricadente nella definizione di impianto esistente
Si osserva che tale definizione non si ritrova nel testo della direttiva e, del resto, non aggiunge nessun elemento informativo al quadro definitorio da essa previsto.
h) capacità nominale: la somma delle capacità di incenerimento dei fomi che costituiscono l'impianto, quali dichiarate dal costruttore e confermate dal gestore, espressa come prodotto tra la quantità oraria di rifiuti inceneriti ed il potere calorifico di riferimento dei rifiuti;
i) emissione: la diffusione diretta o indiretta nell'aria, nell'acqua o nel suolo, di sostanze, vibrazioni, calore o rumore da fonti localizzate o diffuse dell'impianto;
l) valori limite di emissione: la massa, espressa in termini di parametri specifici, la concentrazione o il livello di una emissione che non deve essere superato durante un periodo di tempo specificato;
m)diossine e furani: tutte le dibenzo-p-diossine e i dibenzofurani policlorurati di cui all'allegato B;
n) gestore: qualsiasi persona fisica o giuridica che gestisce l'impianto;
o) autorIzzazione: la decisione o più decisioni scritte da parte dell'autorità competente, di cui al d.lgs. 22 del 1997, che autorizzano l'esercizio dell'impianto a determinate condizioni, che devono garantire che l'impianto sia conforme ai requisiti del presente decreto; un'autorizzazione può valere per uno o più impianti o parti di essi che siano localizzati nello stesso sito e gestiti dal medesimo gestore;
p) residuo: qualsiasi materiale liquido o solido generato dal processo di incenerimento o di coincenerimento, dal trattamento degli effluenti gassosi o delle acque reflue o da altri processi all'interno dell'impianto di incenerimento o di coincenerimento.
Tale nozione comprende:
- le scorie e le ceneri pesanti;
- le ceneri volanti;
- la polvere di caldaia;
- i prodotti solidi di reazione derivanti dal trattamento dei gas;
- i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue;
- i catalizzatori esauriti;
- il carbone attivo esaurito, definito come rifiuto all'art. 6, comma 1, lett. a) del decreto Ronchi.
Articolo
3
(Esclusioni)
Il comma 1 elenca, in armonia con quanto disposto dall’articolo 2, paragrafo 2 della direttiva 2000/76/CE, gli impianti esclusi dal campo di applicazione del decreto:
a) gli impianti che trattano esclusivamente una o più categorie dei seguenti rifiuti:
1) rifiuti vegetali derivanti da attività agricole e forestali;
2) rifiuti vegetali derivanti dalle industrie alimentari di trasformazione, se l'energia termica generata è recuperata;
3) rifiuti vegetali fibrosi derivanti dalla pasta di carta grezza e dalla produzione di carta, se il processo di coincenerimento viene effettuato sul luogo di produzione e l'energia termica generata è recuperata;
4) rifiuti di legno ad eccezione di quelli che possono contenere composti organici alogenati o metalli pesanti, a seguito di un trattamento protettivo o di rivestimento, inclusi in particolare i rifiuti di legno dì questo genere derivanti dai rifiuti edilizi e di demolizione;
5) rifiuti di sughero;
6) rifiuti radioattivi;
7) corpi interi o parti di animali, non destinati al consumo umano, ivi compresi gli ovuIi, gli embrioni e lo sperma, di cui all'articolo 2, comma 1, lettera a) del regolamento 1774/2002/CE. Rimangono assoggettati al presente decreto gli impianti che trattano prodotti di origine animale, compresi i prodotti trasformati, di cui al regolamento 1774/2002/CE;
8) rifiuti derivanti dalla prospezione e dallo sfruttamento delle risorse petrolifere e dì gas negli impianti offshore e inceneriti a bordo di questi ultimi;
Riguardo alle tipologie di rifiuti non regolamentati dalla direttiva, va sottolineato che esse ricadono nel campo di applicazione di specifiche normative di settore (vedi biomasse, rifiuti radioattivi, scarti animali).
b) gli impianti sperimentali utilizzati a fini dì ricerca,. sviluppo e sperimentazione per migliorare il processo di incenerimento che trattano meno di 50 tonnellate di rifiuti all'anno.
Il comma 2 esclude l’applicabilità di alcune prescrizioni specifiche del decreto in materia di rifiuti pericolosi previste dall'articolo 4, comma 4, dall’articolo 5, comma 4 (si segnala, che il comma di riferimento relativo all’articolo 5 richiamato dovrebbe essere il 5 e non il 4) e dall’articolo 7, commi 3, 4 e 5 ad alcune tipologie di rifiuti pericolosi, come d’altro canto è previsto anche nell’articolo 3 della direttiva.
Le tipologie di rifiuti pericolosi cui non vengono applicate le disposizioni relative –sostanzialmente- ad alcuni dati aggiuntivi dell’autorizzazione relativa agli impianti di incenerimento e di coincenerimento (articolo 4, comma 4 e articolo 5, comma 5) e alle ulteriori informazioni che il gestore dell’impianto deve richiedere prima dell’accettazione dei rifiuti pericolosi (articolo 7, commi 3, 4 e 5), sono:
a) i rifiuti liquidi combustibili, ivi compresi gli oli usati come definiti all'articolo 1, comma 1 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 95 "Attuazione delle Direttive 751439/CEE e 871101/CEE relative alla eliminazione degli olii usati", a condizione che siano soddisfatti alcuni criteri indicati nel decreto in esame.
Si ricorda che, ai sensi dell’art. 1, comma 1, del decreto legislativo n. 95 del 1992 si intende per olio usato “qualsiasi olio industriale o lubrificante, a base minerale o sintetica, divenuto improprio all'uso cui era inizialmente destinato, in particolare gli oli usati dei motori a combustione e dei sistemi di trasmissione, nonché gli oli minerali per macchinari, turbine o comandi idraulici e quelli contenuti nei filtri usati”.
b) qualsiasi rifiuto liquido combustibile che non può causare, nei fumi risultanti direttamente dalla sua combustione, emissioni diverse da quelle prodotte dal gasolio come definito nell'articolo 3, comma 1, lettera b) del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 395 del 2001 oppure una concentrazione delle emissioni più elevata di quella risultante dalla combustione del gasolio così definito.
Ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera b) del D.P.C.M. n. 395 del 2001 viene definito gasolio “qualsiasi combustibile liquido derivato dal petrolio del codice NC 2710 00 670 2710 00 68, ovvero qualsiasi combustibile liquido derivato dal petrolio che, per i suoi limiti di distillazione, rientra nella categoria dei distillati medi destinati ad essere usati come combustibile o carburante e di cui almeno l'85% in volume, comprese le perdite, si distilla a 350 °C secondo il metodo ASTM D86.
Articolo
4
(Costruzione ed esercizio di
impianti di incenerimento dei rifiuti)
L’articolo in esame disciplina la procedura da seguire per l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti di incenerimento dei rifiuti.
Il comma 1 prevede che, fatto salvo quanto previsto dal decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 372 e sue modificazioni, ai fini della costruzione e dell'esercizio degli impianti di incenerimento, si applicano le pertinenti disposizioni degli articoli 12, 27 e 28 del d.lgs. n. 22 del 1997.
Si ricorda, in proposito, che il decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 372 di recepimento della direttiva 96/61/CE (cd. IPPC) prevede un approccio integrato alla prevenzione e alla riduzione dell'inquinamento, in cui tutti gli aspetti relativi alle prestazioni ambientali degli impianti vengano valutati in maniera integrata. In particolare, sono assoggettati ad autorizzazione integrata ambientale (AIA) le seguenti tipologie di impianti che rientrano altresì nel campo di applicazione del presente decreto:
§ gli impianti di smaltimento o recupero dei rifiuti pericolosi dotati di una capacità superiore alle 10 tonnellate al giorno (allegato I, punto 5.1 del decreto n. 372);
§ gli impianti per l'incenerimento dei rifiuti urbani dotati di una capacità superiore alle 3 tonnellate all'ora (allegato I, punto 5.2 del decreto n. 372).
Si fa notare, altresì, che il decreto n. 372 verrà interamente abrogato non appena verrà pubblicato (presumibilmente entro breve) lo schema di decreto legislativo di integrale recepimento della direttiva 96/61/CE, sul quale la Camera ha espresso parere favorevole con osservazioni in data 16 dicembre 2004.
Si ricorda, inoltre, che l’articolo 9, comma 1, del citato schema prevede che la durata ordinaria dell’AIA sia pari a cinque anni, analogamente a quanto disposto dall’analogo comma dell’art. 7 del decreto n. 372.
L’art. 9, comma 2, recante disposizioni identiche a quelle del comma 1-bis dell’art. 7 del decreto n. 372, prevede una durata maggiore, pari a otto anni, per l’AIA nel caso in cui l’impianto abbia una registrazione EMAS (ai sensi del regolamento n. 761/2001/CE).
L’art. 9, comma 3, infine, introduce un’ulteriore durata dell’AIA non contemplata dal decreto n. 372, pari a sei anni per i gestori che applicano sistemi di gestione certificati ISO (norma UNI EN ISO 14001)[12].
Per quanto riguarda le richiamate disposizioni del decreto Ronchi - che costituiranno gli unici riferimenti normativi per la costruzione e l’esercizio di impianti di incenerimento che non rientrano nelle fattispecie previste nei punti 5.1 e 5.2 dell’allegato I al decreto n. 372/99 - si ricorda che:
§ l’articolo 12 prevede l’obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico per “chiunque effettua a titolo professionale attività di raccolta e di trasporto di rifiuti, compresi i commercianti e gli intermediari di rifiuti, ovvero svolge le operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti, nonché le imprese e gli enti che producono rifiuti pericolosi e le imprese e gli enti che producono rifiuti non pericolosi di cui all'articolo 7, comma 3, lettere c), d) e g)”;
§ gli articoli 27-28 disciplinano l’iter per l’approvazione del progetto e l’autorizzazione alla realizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, nonché per l’autorizzazione all'esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero; autorizzazione quest’ultima che, ai sensi del comma 3 dell’articolo 28 del d.lgs. n. 22/97, è concessa per un periodo di cinque anni ed è rinnovabile, analogamente a quanto previsto in materia di AIA. Si ricorda che l’art. 10, comma 5, del d.lgs. 13 gennaio 2003, n. 36 “Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti” reca una deroga al citato comma 3 dell’articolo 28 prevedendo che il rinnovo dell'autorizzazione sia effettuato ogni 8 anni qualora l’impianto sia registrato ai sensi del regolamento n. 761/01/CE (EMAS).
Si segnala, in proposito, che rispetto al testo presentato per il parere alla Conferenza unificata, è stato eliminato un comma 10 che prevedeva, in deroga all’art. 28, comma 3, del decreto Ronchi, per gli impianti registrati EMAS (ai sensi del regolamento n. 761/2001/CE), il rinnovo dell’autorizzazione ogni otto anni. Nella relazione illustrativa, tuttavia, evidentemente per una dimenticanza, si continua a far riferimento a “deroghe previste in caso di registrazione EMAS di un impianto”. Occorre inoltre tener presente che una deroga di questo tipo è invece prevista dal comma 8 del successivo art. 5 per gli impianti di coincenerimento.
Confrontando le disposizioni del comma in esame con quelle del corrispondente comma dell’articolo 4 della direttiva si nota che il rinvio all’applicazione dei commi 12, 27-28 del decreto Ronchi corrisponde nella sostanza al disposto della direttiva nella parte in cui fa salvi l’art. 4 della direttiva 75/442/CE e l’art. 3 della direttiva 91/689/CE (direttive appunto entrambe recepite dal d.lgs. n. 22/97), il cui fine sembra quello di impedire l’esercizio di impianti di smaltimento (e quindi anche di incenerimento) di rifiuti pericolosi e non senza la necessaria autorizzazione.
Il comma in esame, inoltre, fa salvo il decreto n. 372 così come il comma 2 della direttiva 2000/76/CE fa salva la direttiva 96/61/CE.
Il comma 2 disciplina il contenuto della domanda per il rilascio delle autorizzazioni per la costruzione ed esercizio degli impianti di incenerimento dei rifiuti, che deve contenere, tra l'altro, informazioni da cui risulti che:
a) la progettazione, l'attrezzatura e la gestione dell'impianto prevedono l'adozione di adeguate misure preventive contro l'inquinamento ambientale e che sono quindi osservati i requisiti del presente decreto;
b) il calore generato durante il processo di incenerimento è recuperato in accordo con quanto previsto dall'art. 4 del decreto Ronchi;
Si ricorda che l’art. 4 del d.lgs. n. 22/97 prevede che, ai fini di una corretta gestione dei rifiuti le autorità competenti favoriscono la riduzione dello smaltimento finale dei rifiuti attraverso, tra l’altro, l'utilizzazione principale dei rifiuti come combustibile o come altro mezzo per produrre energia (lett. d) del comma 1).
c) i residui prodotti durante il processo di incenerimento sono minimizzati in quantità e pericolosità e sono riciclati o recuperati quando appropriato;
d) lo smaltimento dei residui che non possono essere riciclati o recuperati è effettuato conformemente alle disposizioni del decreto Ronchi;
La disposizione sembra riferirsi all’art. 5 del d.lgs. n. 22/97, dedicato appunto alle attività di smaltimento.
e) le tecniche di misurazione proposte per le emissioni negli effluenti gassosi e nelle acque di scarico sono conformi ai pertinenti requisiti di cui agli allegati al presente decreto.
Tale comma riproduce nella sostanza il corrispondente comma dell’art. 4 della direttiva. Vi si trova, inoltre, una lettera e) che, nel testo della direttiva, compare autonomamente come paragrafo 3.
Il comma 3 prevede, analogamente a quanto disposto dal par. 4 dell’art. 4 della direttiva, un contenuto aggiuntivo per le autorizzazioni per la costruzione e l’esercizio degli impianti, che devono indicare esplicitamente, in aggiunta a quanto previsto dagli articoli 27-28 del decreto Ronchi:
a) la capacità nominale di incenerimento di rifiuti dell'impianto e le quantità autorizzate per le singole categorie dei rifiuti;
b) le categorie di rifiuti che possono essere trattate nell'impianto, con l'indicazione dei relativi codici dell'elenco europeo dei rifiuti;
Nella direttiva si parla di Catalogo europeo dei rifiuti (CER), tuttavia il riferimento normativo non cambia ed è costituito dalla Dir.Min. 9 aprile 2002 recante “Indicazioni per la corretta e piena applicazione del regolamento comunitario n. 2557/2001 sulle spedizioni di rifiuti ed in relazione al nuovo elenco dei rifiuti”[13]. L'allegato A alla presente direttiva ministeriale contiene, infatti, la decisione 2000/532/CE della Commissione, modificata da ultimo con decisione 2001/573.
c) le procedure di campionamento e misurazione utilizzate per ottemperare agli obblighi di controllo periodico e sorveglianza dei singoli inquinanti atmosferici ed idrici, nonché la localizzazione dei punti di campionamento e misurazione.
Il comma 4 prevede, analogamente al par. 5 dell’art. 4 della direttiva, che per gli impianti di incenerimento che utilizzano rifiuti pericolosi le autorizzazioni rilasciate dall'autorità competente debbano aggiuntivamente indicare in modo esplicito:
a) le quantità ed i poteri calorifici delle diverse tipologie di rifiuti pericolosi che possono essere trattate nell'impianto, i loro flussi di massa minimi e massimi, nonché il loro contenuto massimo di inquinanti quali ad esempio, PCB, PCP, cloro, fluoro, zolfo, metalli pesanti;
b) eventuali prescrizioni riguardo al contenuto massimo di inquinanti nelle suddette tipologie di rifiuti pericolosi.
Il comma 5 prevede, analogamente al par. 8 dell’art. 4 della direttiva, che una modifica di un impianto di incenerimento di rifiuti non pericolosi che comporti l'incenerimento di rifiuti pericolosi, sia considerata sostanziale ai sensi del decreto legislativo n. 372 del 1999 e successive modificazioni.
Si ricorda in proposito che ai sensi dell’art. 10, comma 2, dello schema di decreto che abroga e sostituisce il decreto n. 372/99 al fine dell’integrale recepimento della direttiva 96/61/CE, la “modifica sostanziale” determina la necessità, per il gestore dell’impianto, di presentare una domanda per una nuova AIA, cui segue tutto l’iter procedimentale relativo.
Il comma 6 prevede la dismissione degli impianti in condizioni di massima sicurezza e che si provveda alla bonifica e ripristino del sito ai sensi della normativa vigente.
La norma principale di riferimento è costituita dall’art. 17 del decreto Ronchi e dal relativo regolamento di attuazione recato dal D.M. 25 ottobre 1999, n. 471 “Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell'articolo 17 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni”.
Il comma 7 prevede, al fine di ridurre l'impatto dei trasporti di rifiuti destinati agli impianti di incenerimento, che in fase progettuale possa essere prevista la realizzazione di appositi collegamenti ferroviari. Viene altresì disposto che l'approvazione di tale elemento progettuale costituisce, ove occorra, variante dello strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di pubblica utilità.
Il comma 8 prevede che, prima dell'inizio delle operazioni di incenerimento, l'autorità competente verifica che l'impianto soddisfa le condizioni e le prescrizioni alle quali è stato subordinato il rilascio dell'autorizzazione medesima.
Il medesimo comma pone a carico del titolare dell'impianto i costi di tale verifica.
Viene altresì precisato che l'esito della verifica non comporta in alcun modo una minore responsabilità per il gestore.
Il comma 9, disciplina il caso in cui l'autorità competente non provvede alla verifica di cui al comma 8 entro trenta giorni dalla ricezione della relativa richiesta.
In tal caso viene attribuita al titolare dell’impianto la facoltà di incaricare un soggetto abilitato di accertare che l'impianto soddisfa le condizioni e le prescrizioni alle quali è stato subordinato il rilascio dell'autorizzazione. L'esito di tale accertamento deve essere fatto pervenire all'autorità competente e, se positivo, trascorsi 15 giorni, consente l'attivazione dell'impianto.
Si osseva, infine, confrontando le disposizioni del presente articolo con quelle della normativa vigente che tale articolo riproduce le norme recate dall’art. 4 del D.M. n. 124 del 2000 relativamente all’autorizzazione all’incenerimento di rifiuti pericolosi.
Articolo
5
(Esercizio di impianti di
coincenerimento)
L’articolo dispone in merito alla procedura autorizzatoria per l’esercizio di impianti di coincenerimento.
Occorre innanzitutto osservare che nel titolo dell’articolo in esame non compare più, come invece accadeva per l’art. 4 dedicato all’incenerimento, il riferimento alla costruzione dell’impianto, il che probabilmente deriva dal fatto che un impianto di coincenerimento nasce tipicamente come impianto produttivo che può prescindere dal coincenrimento di rifiuti. Il coincenerimento può intervenire invece in qualsiasi momento dell’esercizio dell’impianto, poiché ad esempio basta semplicemente aggiungere rifiuti al combustibile principalmente usato nell’impianto.
Si fa notare, inoltre, che nel testo della direttiva 2000/76/CE non compaiono due distinti articoli per l’incenerimento ed il coincenerimento: l’art. 4 della direttiva riguarda infatti le procedure autorizzatorie di entrambe le tipologie di impianto. Per questo motivo negli artt. 4 e 5 del presente decreto compaiono numerose disposizioni comuni (come risulta chiaro dallo schema riportato alla fine del commento all’articolo in esame).
Il comma 1 dell’articolo in esame prevede - in modo pressoché speculare rispetto al corrispondente comma dell’art. 4 – l’applicazione delle seguenti disposizioni normative ai fini dell’esercizio degli impianti di coincenerimento:
§ le norme recate dal d.lgs. n. 372 del 1999 per gli impianti assoggettati ad autorizzazione integrata ambientale (AIA);
Si ricorda, in proposito, che il campo di applicazione del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 372 di recepimento della direttiva 96/61/CE (cd. IPPC) riguarda tutti gli impianti che svolgono una delle attività indicate nell’allegato I del decreto medesimo: attività energetiche, produzione e trasformazione dei metalli, industria dei prodotti minerali, industria chimica, gestione dei rifiuti, allevamento di animali.
Si fa notare, altresì, che il decreto n. 372 verrà interamente abrogato non appena verrà pubblicato (presumibilmente entro breve) lo schema di decreto legislativo di integrale recepimento della direttiva 96/61/CE, sul quale la Camera ha espresso parere favorevole con osservazioni in data 16 dicembre 2004.
Si ricorda, inoltre, che l’articolo 9, comma 1, del citato schema prevede che la durata ordinaria dell’AIA sia pari a cinque anni, analogamente a quanto disposto dall’analogo comma dell’art. 7 del decreto n. 372.
L’art. 9, comma 2, recante disposizioni identiche a quelle del comma 1-bis dell’art. 7 del decreto n. 372, prevede una durata maggiore, pari a otto anni, per l’AIA nel caso in cui l’impianto abbia una registrazione EMAS (ai sensi del regolamento n. 761/2001/CE).
L’art. 9, comma 3, infine, introduce un’ulteriore durata dell’AIA non contemplata dal decreto n. 372, pari a sei anni per i gestori che applicano sistemi di gestione certificati ISO (norma UNI EN ISO 14001)[14].
§ gli artt. 12, 28 (che si applicano anche per gli impianti di incenerimento, ai sensi dell’art. 4), nonché gli artt. 31, 32 e 33 del d.lgs. n. 22 del 1997.
Per quanto riguarda le richiamate disposizioni del decreto Ronchi - che costituiranno gli unici riferimenti normativi per l’esercizio di impianti di incenerimento che non rientrano nelle fattispecie previste dall’allegato I al decreto n. 372/99 - si ricorda che:
- l’articolo 12 prevede l’obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico per “chiunque effettua a titolo professionale attività di raccolta e di trasporto di rifiuti, compresi i commercianti e gli intermediari di rifiuti, ovvero svolge le operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti, nonché le imprese e gli enti che producono rifiuti pericolosi e le imprese e gli enti che producono rifiuti non pericolosi di cui all'articolo 7, comma 3, lettere c), d) e g)”;
- l’articolo 28 disciplina l’iter per l’autorizzazione all'esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero; autorizzazione quest’ultima che, ai sensi del comma 3 dell’articolo 28 del d.lgs. n. 22/97, è concessa per un periodo di cinque anni ed è rinnovabile, analogamente a quanto previsto in materia di AIA. Si ricorda che l’art. 10, comma 5, del d.lgs. 13 gennaio 2003, n. 36 “Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti” reca una deroga al citato comma 3 dell’articolo 28 prevedendo che il rinnovo dell'autorizzazione sia effettuato ogni 8 anni qualora l’impianto sia registrato ai sensi del regolamento n. 761/01/CE (EMAS).
Si segnala, in proposito, che tale disposizione derogatoria per gli impianti certificati EMAS viene riproposta dal comma 9 dell’articolo in esame, diversamente da quanto accade per gli impianti di incenerimento (si veda in proposito quanto osservato relativamente al comma 1 dell’art. 4).
- Gli articoli 31, 32 e 33 disciplinano le procedure semplificate per le attività di smaltimento e recupero dei rifiuti.
L’art. 31, comma 2, ha demandato ad apposito decreto interministeriale la determinazione delle attività e delle caratteristiche dei rifiuti per l'ammissione alle procedure semplificate delle attività di smaltimento di rifiuti non pericolosi effettuate dai produttori nei luoghi di produzione degli stessi (cd. autosmalitmento, disciplinato dall’art. 32) e le attività di recupero di cui all'allegato C (art. 33).
In entrambe le fattispecie previste dagli artt. 32 e 33 l’esercizio delle operazioni autosmaltimento o di recupero dei rifiuti possono essere intraprese decorsi 90 giorni dalla comunicazione di inizio attività alla Provincia territorialmente competente.
L’individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 è avvenuta con l’emanazione del D.M. 5 febbraio 1998, modificato dai D.M. 9 gennaio 2003 e D.M. 27 luglio 2004. In attuazione di quanto disposto dall’art. 31 è stato inoltre emanato anche il D.M. 12 giugno 2002, n. 161 recante “Regolamento attuativo degli articoli 31 e 33 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, relativo all'individuazione dei rifiuti pericolosi che è possibile ammettere alle procedure semplificate”.
Come si è detto in precedenza l’articolo in esame riguarda solo l’esercizio e non anche la costruzione dell’impianto. Tale scelta si discosta da quanto previsto nella normativa vigente: l’art. 5, comma 1, del D.M. n. 124/2000 prevede infatti che “Le autorizzazioni alla costruzione e all'esercizio degli impianti non destinati principalmente all'incenerimento di rifiuti che effettuano coincenerimento sono rilasciate dalla regione o dalla provincia autonoma ai sensi, rispettivamente, degli articoli 27 e 28 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22”. Si fa notare inoltre che, nel testo inizialmente predisposto dal Governo, nell’articolo in esame compariva un comma che rinviava al dettato dell’art. 27 del decreto Ronchi per l’autorizzazione alla realizzazione di impianti non sottoposti ad AIA che è stato soppresso in seguito alle modifiche concordate in sede di Conferenza unificata.
Il comma 2 precisa che in caso di impianti in cui le operazioni di coincenerimento dei rifiuti non possono essere effettuate sulla base delle procedure semplificate di cui all’art. 33 del decreto Ronchi, resta fermo - ai sensi dell'articolo 31, comma 6, del medesimo decreto - l'obbligo di ottenere le autorizzazioni di cui agli articoli 27 e 28 del d.lgs. n. 22.
Si osserva al riguardo, che il riferimento all’articolo 27, che riguarda le procedure relative alla “costruzione degli impianti” non sembra essere pertinente rispetto alle disposizioni contenute nell’articolo in esame, che riguarda esclusivamente l’autorizzazione per l’esercizio degli impianti.
Inoltre, il comma 2 sembra essere identico alla lettera a) del comma 1.
Il comma 3 disciplina il contenuto della domanda di autorizzazione che deve contenere, tra l'altro, informazioni da cui risulti che:
a) sono rispettati i requisiti di cui all'Allegato 2 nonché, qualunque sia la quantità di calore prodotta dal coincenerimento dei rifiuti, le linee guida per categorie di impianti industriali diversi dagli impianti destinati principalmente all'incenerimento da emanarsi, nel rispetto della normativa comunitaria vigente in materia, ai sensi dell'articolo 3, comma 2, del D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, e successive modificazioni;
Tale lettera a) ripropone, nella parte in cui richiama le linee guida, il dettato del comma 3 dell’art. 5 del D.M. n. 124/2000.
Rispetto a tale comma non compare più l’indicazione delle informazioni da cui “risulta che la progettazione, l'attrezzatura e la gestione dell'impianto prevedono l'adozione di adeguate misure preventive contro l'inquinamento ambientale e che siano quindi rispettate, qualunque sia la quantità di calore prodotta mediante combustione di rifiuti” le linee guida suddette. Tra l’altro tale indicazione relativa alla progettazione compariva nella lettera a) del par. 2 dell’art. 4 della direttiva 200/76/CE.
Quanto alle linee guida si ricorda che l’art. 3, comma 2, del D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203[15] prevede l’emanazione di un decreto del Ministro dell'ambiente - di concerto con i Ministri della sanità e dell'industria, del commercio e dell'artigianato, sentita la Conferenza dei presidenti delle giunte regionali – volto a fissare ed aggiornare:
a) le linee guida per il contenimento delle emissioni, nonché i valori minimi e massimi di emissione;
b) i metodi di campionamento, analisi e valutazione degli inquinanti e dei combustibili;
c) i criteri per l'utilizzazione delle migliori tecnologie disponibili;
d) i criteri temporali per l'adeguamento progressivo degli impianti esistenti alla normativa del presente decreto.
Si ricorda che tale disposizione ha trovato parziale attuazione nel D.M. n. 124/2000. L’art. 9, infatti, reca una serie di disposizioni applicabili nelle more dell’emanazione delle citate linee guida.
b) i residui prodotti durante il processo di coincenerimento sono minimizzati in quantità e pericolosità e sono riciclati o recuperati quando appropriato;
c) lo smaltimento dei residui che non possono essere riciclati o recuperati è effettuato conformemente alle disposizioni del decreto Ronchi;
La disposizione sembra riferirsi all’art. 5 del d.lgs. n. 22/97, dedicato appunto alle attività di smaltimento.
d) le tecniche di misurazione proposte per le emissioni negli effluenti gassosi e nelle acque di scarico sono conformi ai pertinenti requisiti di cui agli allegati al presente decreto.
Tale comma riproduce nella sostanza il par. 2 dell’art. 4 della direttiva ed è molto simile al comma 2 dell’art. 4 del presente decreto. Rispetto a quest’ultimo, tuttavia, non compare più la previsione che “il calore generato durante il processo di incenerimento è recuperato in accordo con quanto previsto dall'articolo 4, decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22”, presente nel testo iniziale ma successivamente eliminata in seguito al parere reso dalla Conferenza unificata.
Il comma 4 è pressoché speculare al comma 3 dell’art. 4 e prevede, analogamente a quanto disposto dal par. 4 dell’art. 4 della direttiva, un contenuto aggiuntivo per le autorizzazioni per l’esercizio degli impianti, che devono indicare esplicitamente, in aggiunta a quanto previsto dall’art. 28 del decreto Ronchi:
a) la capacità nominale di coincenerimento di rifiuti dell'impianto;
b) la potenza termica nominale di ciascuna apparecchiatura dell'impianto in cui sono alimentati i rifiuti da coincenerire;
c) le categorie ed i quantitativi di rifiuti che possono essere trattate nell'impianto con l'indicazione dei relativi codici dell'elenco europeo dei rifiuti di cui alla Decisione 2000/532/CE e succ. mod.;
Nella direttiva si parla di Catalogo europeo dei rifiuti (CER), tuttavia il riferimento normativo non cambia ed è costituito dalla Dir.Min. 9 aprile 2002 recante “Indicazioni per la corretta e piena applicazione del regolamento comunitario n. 2557/2001 sulle spedizioni di rifiuti ed in relazione al nuovo elenco dei rifiuti”[16]. L'allegato A alla presente direttiva ministeriale contiene, infatti, la decisione 2000/532/CE della Commissione, modificata da ultimo con decisione 2001/573.
d) Il divieto di cui al comma 5;
Si osserva che non appare chiaro tale rinvio, poiché nel comma 5 non è indicato un preciso divieto, bensì una serie di informazioni aggiuntive. Probabilmente il rinvio si riferisce al comma 6 che vieta il coincenerimento di oli usati contenenti oltre 50 ppm di PCB/PCT, il che trova conferma dalla disposzione recata dall’ultimo periodo del comma 4 dell’art. 5 del D.M. n. 124/2000.
e) le procedure di campionamento e misurazione utilizzate per ottemperare agli obblighi di controllo e sorveglianza dei singoli inquinanti atmosferici ed idrici, nonché la localizzazione dei punti di campionamento e misurazione.
Si osserva che, rispetto alla corrispondente disposizione prevista per l’incenerimento, viene eliminato l’aggettivo “periodico” con riferimento agli obblighi di controllo Iil par. 4, lett. c), dell’art. 4 della direttiva prevede, invece, sia per l’incenerimento che per il coincenerimento, “l’obbligo di misurazione periodica”.
f) i valori limite di emissione per ogni singolo inquinante, compresi quelli calcolati con la formula di miscelazione di cui all'Allegato 2.
Il comma 5 reca disposizioni speculari a quelle recate dal comma 4 dell’art. 4 e prevede, analogamente al par. 5 dell’art. 4 della direttiva, che per gli impianti di coincenerimento che utilizzano rifiuti pericolosi le autorizzazioni rilasciate dall'autorità competente debbano aggiuntivamente indicare in modo esplicito:
c) le quantità ed i poteri calorifici delle diverse tipologie di rifiuti pericolosi che possono essere trattate nell'impianto, i loro flussi di massa minimi e massimi, nonché il loro contenuto massimo di inquinanti quali ad esempio, PCB, PCP, cloro, fluoro, zolfo, metalli pesanti;
d) eventuali prescrizioni riguardo al contenuto massimo di inquinanti nelle suddette tipologie di rifiuti pericolosi.
Si fa notare che il comma in esame riproduce in buona parte il dettato del comma 4 dell’art. 5 del D.M. n. 124/2000.
Il comma 6 prevede, in conformità alle direttive 75/439/CEE e 87/101/CEE in materia di oli usati, il divieto di coincenerire oli usati contenenti PCB/PCT e loro miscele in misura superiore a 50 parti per milione (ppm).
Si ricorda che l’art. 10, comma 3, della direttiva 75/439/CEE (come modificata dalla direttiva 87/101/CE) prevede che “La rigenerazione degli oli usati contenenti PCB o PCT può essere consentita se i procedimenti di rigenerazione permettono di distruggere i PCB o i PCT oppure di ridurli in modo che gli oli rigenerati non contengano PCB/PCT oltre un limite massimo che non può comunque superare 50 ppm”.
Si segnala, tuttavia, che la normativa italiana prevede un limite più restrittivo di 25 ppm. L’art. 5, comma 2, del D.M. n. 124/2000 prevede che “Ai sensi dell'articolo 9, comma 3, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 95, è vietato il coincenerimento di oli usati contenenti PCB/PCT e loro miscele in misura eccedente le 25 parti per milione”. L’art. 9, comma 3, del d.lgs. 27 gennaio 1992 n. 95 recante “Attuazione delle direttive 75/439/CEE e 87/101/CEE relative alla eliminazione degli olii usati”, infatti, vieta la combustione degli oli usati contenenti PCB e PCT in concentrazione superiore a 25 ppm. Gli oli usati contenenti concentrazioni superiori a 25 ppm sono così assoggettati alle disposizioni del d.lgs. n. 209 del 1999 recante “Attuazione della direttiva 96/59/CE relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili”.
Il comma 7, sostanzialmente speculare al comma 5 dell’art. 4, prevede che una modifica di un impianto di coincenerimento di rifiuti non pericolosi che comporti l'incenerimento di rifiuti pericolosi, sia considerata sostanziale ai sensi del decreto legislativo n. 372 del 1999 e successive modificazioni.
Si ricorda in proposito che ai sensi dell’art. 10, comma 2, dello schema di decreto che abroga e sostituisce il decreto n. 372/99 al fine dell’integrale recepimento della direttiva 96/61/CE, la “modifica sostanziale” determina la necessità, per il gestore dell’impianto, di presentare una domanda per una nuova AIA, cui segue tutto l’iter procedimentale relativo.
Viene altresì specificata che non si ha modifica sostanziale qualora i rifiuti pericolosi inceneriti rientrino nella lista positiva, individuata con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive e con il Ministro della salute.
Si osserva, al riguardo, che la direttiva 2000/76/CE non sembra consentire tale esclusione.
L’articolo 4 della direttiva, al paragrafo 8, prevede infatti che se il gestore di un impianto di incenerimento o di coincenerimento di rifiuti non pericolosi prevede una modifica dell’attività che comporti l’incenerimento o il coincenerimento di rifiuti pericolosi, tale modifica deve essere considerata sostanziale ed essere appositamente autorizzata.
Il comma 8 prevede una deroga alla durata dell’autorizzazione prevista dall'articolo 28, comma 3, del decreto Ronchi, che sale da 5 ad 8 anni qualora l’impianto risulti registrato ai sensi del regolamento 761/01/CE (EMAS).
Si veda in proposito quanto osservato relativamente all’art. 4, comma 1.
Il comma 9 prevede, analogamente al comma 6 dell’art. 4, la dismissione degli impianti in condizioni di massima sicurezza e che si provveda alla bonifica e ripristino del sito ai sensi della normativa vigente.
La norma principale di riferimento è costituita dall’art. 17 del decreto Ronchi e dal relativo regolamento di attuazione recato dal D.M. 25 ottobre 1999, n. 471 “Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell'articolo 17 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni”.
I commi 10 e 11 riproducono per il coincenerimento le disposizioni recate per l’incenerimento dai commi 8 e 9 dell’art. 4 relativamente alle attività di verifica dell’impianto da parte dell'autorità competente prima che lo stesso entri in esercizio.
Si nota, infine, che confrontando le disposizioni del presente articolo con quelle della normativa vigente si nota, altresì, che tale articolo ricomprende le norme recate dall’art. 4 del D.M. n. 124 del 2000 relativamente all’autorizzazione all’incenerimento di rifiuti pericolosi.
Si osserva che occorrerebbe correggere il testo del comma 11 nel senso di riferirsi alla verifica di cui al comma 10.
Articolo 4 |
Articolo 5 |
(Costruzione ed esercizio di impianti di incenerimento dei rifiuti) |
(Esercizio di impianti di coincenerimento) |
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1. Fatto salvo quanto previsto dal decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 372 e sue modificazioni, ai fini della costruzione e dell'esercizio degli impianti di incenerimento, si applicano le pertinenti disposizioni degli articoli 12, 27 e 28 dei decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22. |
1. Ai fini dell'esercizio degli impianti di coincenerimento: a) per gli impianti non sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale ai sensi dei decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 372, si applicano le disposizioni di cui agli articoli 12, 28, 31, 32 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22; b) per gli impianti sottoposti ad autorizzazione ai sensi dei decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 372 si applicano, al riguardo, le disposizioni del medesimo decreto legislativo.
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2. Resta fermo ai sensi dell'articolo 3 1, comma 6, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 l'obbligo di ottenere le autorizzazioni di cui agli articoli 27 e 28 dello stesso decreto legislativo in caso di impianti in cui le operazioni di coincenerimento dei rifiuti non possano essere effettuate sulla base delle procedure semplificate di cui allo stesso articolo 33. |
2. La domanda per il rilascio delle autorizzazioni per la costruzione ed esercizio degli impianti di incenerimento dei rifiuti deve contenere, tra l'altro, informazioni da cui risulti che: |
3. La domanda di autorizzazione deve contenere, tra l'altro, informazioni da cui risulti che: |
a) la progettazione, l'attrezzatura e la gestione dell'impianto prevedono l'adozione di adeguate misure preventive contro l'inquinamento ambientale e che sono quindi osservati i requisiti del presente decreto; |
a) sono rispettati i requisiti di cui all'Allegato 2 nonché, qualunque sia la quantità di calore prodotta dal coincenerimento dei rifiuti, le linee guida per categorie di impianti industriali diversi dagli impianti destinati principalmente all'incenerimento da emanarsi, nel rispetto della normativa comunitaria vigente in materia, ai sensi dell'articolo 3, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203, e successive modificazioni ed integrazioni; |
b) il calore generato durante il processo di incenerimento è recuperato in accordo con quanto previsto dall'articolo 4, decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22; |
|
c) i residui prodotti durante il processo di incenerimento sono minimizzati in quantità e pericolosità e sono riciclati o recuperati quando appropriato; |
b) i residui prodotti durante il processo di coincenerimento sono minimizzati in quantità e pericolosità e sono riciclati o recuperati laddove tale processo risulti appropriato; |
d) lo smaltimento dei residui che non possono essere riciclati o recuperati è effettuato conformemente alle disposizioni del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22; |
c) lo smaltimento dei residui che non possono essere riciclati o recuperati è effettuato conformemente alle disposizioni del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22; |
e) le tecniche di misurazione proposte per le emissioni negli effluenti gassosi e nelle acque di scarico sono conformi ai pertinenti requisiti di cui agli Allegati al presente decreto. |
d) le tecniche di misurazione proposte per le emissioni negli effluenti gassosi e nelle acque di scarico sono conformi ai requisiti di cui agli Allegati al presente decreto. |
3. Le autorizzazioni di cui al comma 1 devono indicare esplicitamente, in aggiunta a quanto previsto dagli articoli 27 e 28 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22: |
4. Le autorizzazioni all'esercizio di cui al comma 1 devono indicare esplicitamente, in aggiunta a quanto previsto dall'articolo 28 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22: |
a) la capacità nominale di incenerimento di rifiuti dell'impianto e le quantità autorizzate per le singole categorie dei rifiuti; |
a) la capacità nominale di coincenerimento di rifiuti dell'impianto; |
|
b) la potenza termica nominale di ciascuna apparecchiatura dell'impianto in cui sono alimentati i rifiuti da coincenerire; |
b) le categorie di rifiuti che possono essere trattate nell'impianto, con l'indicazione dei relativi codici dell'elenco europeo dei rifiuti; |
c) le categorie ed i quantitativi di rifiuti che possono essere trattate nell'impianto con l'indicazione dei relativi codici dell'elenco europeo dei rifiuti dì cui alla Decisione 20001532/CE e successive modificazioni; |
|
d) il divieto di cui al comma 5; |
c) le procedure di campionamento e misurazione utilizzate per ottemperare agli obblighi di controllo periodico e sorveglianza dei singoli inquinanti atmosferici ed idrici, nonché la localizzazione dei punti di campionamento e misurazione. |
e) le procedure di campionamento e misurazione utilizzate per ottemperare agli obblighi di controllo e sorveglianza dei singoli inquinanti atmosferici ed idrici, nonché la localizzazione dei punti di campionamento e misurazione; |
|
f) i valori limite di emissione per ogni singolo inquinante, compresi quelli calcolati con la formula di miscelazione di cui all'Allegato 2. |
4. In aggiunta ai dati previsti dal comma 3, le autorizzazioni rilasciate dall'autorità competente per impianti di incenerimento che utilizzano rifiuti pericolosi devono indicare esplicitamente: |
5. In aggiunta a quanto previsto dal comma 3, le autorizzazioni concesse dall'autorità competente per impianti di coincenerimento che utilizzano rifiuti pericolosi devono indicare esplicitamente: |
a) le quantità ed i poteri calorifici delle diverse tipologie di rifiuti pericolosi che possono essere trattate nell'impianto, i loro flussi di massa minimi e massimi, nonché il loro contenuto massimo di inquinanti quali ad esempio, PCB, PCP, cloro, fluoro, zolfo, metalli pesanti; |
a) le quantità ed i poteri calorifici delle diverse tipologie di rifiuti pericolosi che possono essere trattate nell'impianto, nonché i loro flussi di massa, minimi e massimi, nonché il loro contenuto massimo di inquinanti quali, ad esempio, PCB, PCP, cloro, fluoro, zolfo, metalli pesanti: |
b) eventuali prescrizioni riguardo al contenuto massimo di inquinanti nelle suddette tipologie di rifiuti pericolosi. |
b) eventuali prescrizioni riguardo al contenuto massimo di inquinanti nelle suddette tipologie di rifiuti pericolosi. |
|
6. In conformità alle Direttive 75/439/CEE e 87/101/CEE è consentito il coincenerimento di oli usati contenenti PCB/PCT e loro miscele in misura non eccedente le 50 parti per milione. |
5. Se il gestore di un impianto di incenerimento di rifiuti non pericolosi prevede una modifica dell'attività che comporti l'incenerimento di rifiuti pericolosi, tale modifica è considerata sostanziale ai sensi del decreto legislativo 372 del 1999 e successive modificazioni. |
7. Se il gestore di un impianto dì coincenerimento di rifiuti non pericolosi prevede una modifica dell'attività che comporti l'incenerimento di rifiuti pericolosi, tale modifica è considerata sostanziale ai sensi delle decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 372, ad eccezione dell’incenerimento di rifiuti pericolosi inclusi nella lista positiva individuata con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive e con il Ministro della salute. |
|
8. In deroga a quanto previsto dall'articolo 28, comma 3, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n, 22, nel caso in cui un impianto risulti registrato ai sensi del regolamento 761/01/CE, il rinnovo dell'autorizzazione è effettuato ogni otto anni. |
6. La dismissione degli impianti deve avvenire nelle condizioni di massima sicurezza, ed il sito deve essere bonificato e ripristinato ai sensi della normativa vigente. |
9. La dismissione degli impianti deve avvenire nelle condizioni di massima sicurezza, ed ìl sito deve essere bonificato e ripristinato ai sensi della normativa, vigente. |
7. Al fine di ridurre l'impatto dei trasporti di rifiuti destinati agli impianti di incenerimento in fase progettuale può essere prevista la realizzazione dì appositi collegamenti ferroviari. L'approvazione di tale elemento progettuale costituisce, ove occorra, variante dello strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di pubblica utilità. |
|
8. Prima dell'inizio delle operazioni di incenerimento, l'autorità competente verifica che l'impianto soddisfa le condizioni e le prescrizioni alle quali è stato subordinato il rilascio dell'autorizzazione medesima. I costi di tale verifica sono a carico del titolare dell'impianto. L'esito della verifica non comporta in alcun modo una minore responsabilità per il gestore. |
10. Prima dell'inizio delle operazioni di coincenerimento, l'autorità competente verifica che l'impianto soddisfa le condizioni e le prescrizioni alle quali è stato subordinato il rilascio dell'autorizzazione medesima. I costi di tale verifica sono a carico del titolare dell'impianto. L'esito della verifica non comporta in alcun modo una minore responsabilità per il gestore. |
9. Qualora l'autorità competente non provvede alla verifica di cui al comma 8 entro trenta giorni dalla ricezione della relativa richiesta, il titolare può dare incarico ad un soggetto abilitato di accertare che l'impianto soddisfa le condizioni e le prescrizioni alle quali è stato subordinato il rilascio dell'autorizzazione. L'esito dell'accertamento è fatto pervenire all'autorità competente e, se positivo, trascorsi 15 giorni, consente l'attivazione dell'impianto. |
11. Qualora l'autorità competente non provvede alla verifica di cui al comma 10 entro trenta giorni dalla ricezione della relativa richiesta, il titolare può dare incarico ad un soggetto abilitato di accertare che l'impianto soddisfa le condizioni e le prescrizioni alle quali è stato subordinato il rilascio dell'autorizzazione. L'esito dell'accertamento è fatto pervenire all'autorità competente e, se positivo, trascorsi 15 giorni, consente l'attivazione dell'impianto. |
Articolo
6
(Coincenerimento di prodotti
trasformati derivati da materiali previsti dal regolamento 1774/2002/CE)
Il comma 1 dell’articolo in esame assoggetta alle procedure semplificate previste dagli articoli 31 e 33 del decreto Ronchi il coincenerimento dei prodotti trasformati derivati da materiali di categoria 1, 2 e 3, di cui al regolamento 1774/2002/CE (cioè di sottoprodotti di origine animale, cd. farine animali), a condizione che siano rispettati i requisiti, le modalità di esercizio e le prescrizioni di cui all'Allegato 3 e i valori limite di cui agli Allegati 1 e 2.
Si ricorda, innanzitutto, che il Regolamento del 3 ottobre 2002, n. 1774/2002/CE[17] ha stabilito le norme sanitarie e di polizia sanitaria per la raccolta, il trasporto, il magazzinaggio, la manipolazione, la trasformazione e l'uso o l'eliminazione dei sottoprodotti di origine animale al fine di evitare i rischi che tali prodotti potrebbero comportare per la salute pubblica o degli animali; nonché per l'immissione sul mercato e, in taluni casi specifici, l'esportazione e il transito dei sottoprodotti di origine animale e dei prodotti da essi derivati.
Un aspetto importante di tale Regolamento concerne la classificazione in tre categorie dei sottoprodotti animali, che va a sostituire la precedente classificazione (recata dal d.lgs. n. 508 del 1992 e dai D.M. 29 settembre 2000 e 15 gennaio 2001) basata su due categorie (materiali ad alto e basso rischio di TSE[18]).
Ai sensi dell’articolo 2 di tale Regolamento, infatti, i materiali di categoria 1, 2 e 3 corrispondono rispettivamente ai sottoprodotti di origine animale di cui agli articoli 4, 5 e 6.
Tali articoli effettuano una lunga elencazione di materiali, a titolo di esempio l’art. 4 include tutte le parti del corpo, incluse le pelli, degli animali sospettati di essere affetti da TSE conformemente al regolamento n. 999/2001/CE, nell’art. 5 si trova, invece, elencato lo stallatico e il contenuto del tubo digerente; nonché tutti i materiali di origine animale raccolti nell'ambito del trattamento delle acque reflue dei macelli, nell’art. 6, infine, rientrano parti di animali macellati idonee al consumo umano in virtù della normativa comunitaria, ma non destinate al consumo umano per motivi commerciali.
Occorre notare che l’art. 2, par. 2, lett. a), punto vii), della direttiva 2000/76/CE esclude dal campo di applicazione della stessa gli impianti (di incenerimento e di coincenerimento) che trattano unicamente rifiuti animali, come regolati dalla direttiva 90/667/CEE. Tale esclusione viene motivata, nel 25° considerato della premessa alla direttiva sulla base del fatto che “La Commissione intende proporre una revisione dei requisiti della direttiva 90/667/CEE allo scopo di ottenere elevati standard ambientali per l'incenerimento o il coincenerimento dei rifiuti animali.”
Si ricorda, tuttavia, che tale revisione è avvenuta con l’emanazione del regolamento (CE) n. 1774/2002, il cui art. 37 ha abrogato l’intera direttiva 90/667/CE, ma soprattutto, per gli aspetti che qui rilevano, il cui art. 12, par. 1, ha disposto che “L'incenerimento e coincenerimento di sottoprodotti di origine animale sono effettuati conformemente alla direttiva 2000/76/CE o, ove essa non sia d'applicazione, conformemente alle disposizioni del presente regolamento. Gli impianti di incenerimento e coincenerimento sono soggetti a riconoscimento ai sensi di detta direttiva”.
Si ricorda, inoltre, che gli articoli 31 e 33 del d.lgs. n. 22/97 disciplinano le procedure semplificate per le attività di recupero dei rifiuti, in particolare l’art. 31, comma 2, ha demandato ad apposito decreto interministeriale la determinazione delle attività e delle caratteristiche dei rifiuti per l'ammissione alle procedure semplificate delle attività di recupero di cui all'allegato C (art. 33).
L’individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 è avvenuta con l’emanazione del D.M. 5 febbraio 1998, modificato dai D.M. 9 gennaio 2003 e D.M. 27 luglio 2004. In attuazione di quanto disposto dall’art. 31 è stato inoltre emanato anche il D.M. 12 giugno 2002, n. 161 recante “Regolamento attuativo degli articoli 31 e 33 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, relativo all'individuazione dei rifiuti pericolosi che è possibile ammettere alle procedure semplificate”.
Tali decreti (D.M. 5 febbraio 1998 e D.M. n. 161/2002) non contemplano la possibilità di incenerire o coincenerire sottoprodotti di origine animale nell’ambito di tali procedure, tuttavia si fa notare che l’art. 2 dell’Ordinanza del Ministero della sanità 30 marzo 2001 (recante “Misure sanitarie ed ambientali urgenti in materia di encefalopatie spongiformi trasmissibili relative alla gestione, al recupero energetico ed all'incenerimento del materiale specifico a rischio e dei materiali ad alto e basso rischio”) ha previsto che “Le proteine animali ed i grassi fusi ottenuti da materiale specifico a rischio, e da materiali ad alto e a basso rischio presso gli impianti autorizzati, rispettivamente, ai sensi dell'art. 7 del decreto del Ministro della sanità 29 settembre 2000 e degli articoli 3, comma 2, e 5, comma 1, del decreto legislativo 14 dicembre 1992, n. 508, possono essere oggetto di attività di recupero energetico, ai sensi degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo n. 22/1997, a condizione che siano rispettati i requisiti, le modalità di esercizio e le prescrizioni riportate nell'allegato 1 alla presente ordinanza”.
Il comma 2, fatto salvo quanto previsto dalla normativa vigente in materia di autorizzazione integrata ambientale, prevede che per gli impianti esistenti in cui le attività di coincenerimento sono svolte sulla base delle comunicazioni effettuate ai sensi dell'art. 2, comma 2, dell'ordinanza del Ministro della sanità 13 novembre 2000, e delle comunicazioni effettuate prima dell'entrata in vigore dei presente decreto, nel rispetto di quanto stabilito dall'art. 2 dell'Ordinanza dei Ministro della Sanità, dei 30 marzo 2001, il gestore provveda entro il 28 settembre 2005 ad effettuare una nuova comunicazione, ai sensi dell'art. 33 del decreto Ronchi dalla quale risulti l'osservanza delle condizioni e delle norme tecniche previste dall'Allegato 3, e dei valori limite di cui agli Allegati 1 e 2, per il ricorso alle procedure semplificate di cui al medesimo decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.
Tale disposizione è consequenziale all’assoggettamento di tali attività alle procedure semplificate.
Si ricorda, infatti, che ai sensi dell’art. 33, comma 1, l’esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti possono essere intraprese decorsi 90 giorni dalla comunicazione di inizio attività alla Provincia territorialmente competente.
Si osserva che sarebbe opportuno precisare l’esatto riferimento normativo relativo alla nuova comunicazione prevista dal comma in esame indicando espressamente il comma 1 dell’art. 33.
Il successivo comma 3 dispone l’inoltro della suddetta comunicazione anche alla AUSL territorialmente competente.
Articolo
7
(Procedure di ricezione dei
rifiuti)
L’articolo in esame riproduce fedelmente, comma per comma, le disposizioni recate dall’articolo 5 della direttiva 2000/76/CE volte a disciplinare le procedure di ricezione dei rifiuti che devono essere applicate dai gestori degli impianti.
In particolare viene previsto (dai commi da 1 a 4) l’obbligo per il gestore, prima dell’accettazione dei rifiuti, di acquisire informazioni:
§ sulla massa di ciascuna categoria di rifiuti, possibilmente in base al codice dell'Elenco europeo dei rifiuti;
§ utili al fine di verificare, fra l'altro, l'osservanza dei requisiti previsti dall'autorizzazione e specificati all'art. 4, comma 4 e art. 5, comma 4;
§ sullo stato fisico e, ove possibile, sulla composizione chimica dei rifiuti, il relativo codice dell'Elenco europeo dei rifiuti e tutte le informazioni necessarie per valutare l'idoneità del previsto processo di incenerimento dei rifiuti;
§ sulle caratteristiche di pericolosità dei rifiuti e sulle sostanze con le quali non possono essere mescolati e le precauzioni da adottare nella gestione dei rifiuti.
Il comma 5 dispone i seguenti ulteriori obblighi a carico del gestore:
§ verifica dei seguenti documenti di trasporto prescritti dalle norme vigenti:
- formulario di identificazione dei rifiuti previsto dall’art. 15 del d.lgs. n. 22/97;
- documento commerciale e certificato sanitario previsti dall’art. 7, comma 2, del Regolamento n. 1774/2002/CE;
Tale documentazione non è prevista nel testo della direttiva poiché emanata prima di tale regolamento.
- documentazione di accompagnamento prevista dal Regolamento n. 259/93/CEE relativo alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti all'interno della Comunità europea, nonché in entrata e in uscita dal suo territorio;
- documenti previsti dai regolamenti sul trasporto di merci pericolose.
§ prelievo di campioni rappresentativi, ad esclusione dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo e di eventuali altri rifiuti individuati dall'autorità competente, per i quali il campionamento risulta inopportuno.
Articolo
8
(Condizioni di esercizio degli
impianti di incenerimento e coincenerimento)
L’articolo in esame riproduce fedelmente le disposizioni recate dall’art. 6 della direttiva e relative ai seguenti aspetti:
§ modalità e condizioni di esercizio degli impianti (commi 2, 3, 4, 6, 7, 9 e 11);
§ dotazioni necessarie (commi 5, 8 e 10);
§ affidamento della gestione operativa dell’impianto (comma 12);
Si fa notare che nell’articolo in esame compare un comma (il comma 1) che non ha corrispondenti diretti nel testo della direttiva e che prevede l’adozione di tutte le misure affinché le attrezzature utilizzate per la ricezione, gli stoccaggi, i pretrattamenti e la movimentazione dei rifiuti, nonché per la movimentazione o lo stoccaggio dei residui prodotti, siano progettate e gestite in modo da ottenere una riduzione delle emissioni e degli odori, secondo i criteri della migliore tecnologia disponibile (cd. BAT) di cui al decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 372 e successive modificazioni.
La normativa in materia di prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento (direttiva 96/61/CE, recepita in Italia con il d.lgs. n. 372/99 che verrà abrogato e sostituito dallo schema di decreto n. 431 sul quale le Camere hanno già espresso il parere) prevede che l’autorizzazione integrata ambientale (AIA) debba essere rilasciata, tra l’altro, nel rispetto delle linee guida per l'individuazione e l'utilizzo delle migliori tecniche disponibili (cd. BAT, acronimo dell’inglese Best Available Techniques ).
Si ricorda, in proposito, che con il D.M. 19 novembre 2002 è stata istituita la commissione prevista dall'art. 3, comma 2, ultimo periodo, del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 372, con la funzione di fornire il supporto tecnico per la definizione delle linee guida relativa all'individuazione, all'utilizzazione e all'aggiornamento delle migliori tecniche disponibili di cui al medesimo articolo e ne sono stati disciplinati composizione, compiti e modalità operative. I membri sono stati nominati con successivo D.M. emanato in data 15 aprile 2003.
Tale commissione ha provveduto ad elaborare bozze di linee guida per i diversi settori di attività, tra cui anche l’incenerimento di rifiuti. Il documento relativo (rilasciato il 13 gennaio 2004) è disponibile nel sito della Commissione all’indirizzo internet http://www.atlanteitaliano.it/MTD/Norme/LG%20MTD%20incenerimento%20-%2013%20gennaio%202004.doc.
Articolo
9
(Valori limite di emissione
nell'atmosfera)
Tale articolo, come si legge nella relazione illustrativa, “prevede il collegamento tra il testo del decreto ed i relativi allegati in merito ai valori limite delle emissioni gassose nell'atmosfera degli impianti di incenerimento e coincenerimento”.
Il comma 1 dell’articolo in esame dispone che gli impianti di incenerimento sono progettati, costruiti, equipaggiati e gestiti in modo che durante il periodo di funzionamento dell'impianto non vengano superati nell'effluente gassoso i limiti di emissione indicati dall’Allegato 1, paragrafo A.
Ai sensi del successivo comma 2 gli impianti di coincenerimento devono essere progettati, costruiti, equipaggiati e gestiti in modo tale che durante il periodo di effettivo funzionamento dell'impianto, esclusi i periodi di arresto o guasti, non vengano superati nell'effluente gassoso i limiti di emissione indicati o calcolati secondo quanto descritto nell'Allegato 2, paragrafo A.
Si fa notare che l’art. 7. par. 2, della direttiva 2000/76/CE, diversamente dal comma in esame, non provvede ad escludere i periodi di arresto e i guasti.
In base al comma 3, qualora il calore liberato dal coincenerimento di rifiuti pericolosi sia superiore al 40% del calore totale liberato nell'impianto, non si applica la “formula di miscelazione” prevista dall’allegato 2, par. A, ma si ha l’applicazione dei limiti di emissione relativi all’incenerimento (All. 1, par. A).
Viene altresì previsto che il rispetto del valore limite di emissione del CO, in questo caso, viene verificato al netto del CO di processo.
I commi 4 e 5 rimandano ai paragrafi B, rispettivamente, degli allegati 1 e 2 per la normalizzazione delle misurazioni periodiche effettuate per verificare l'osservanza dei valori limite di emissione.
Il comma 6 prevede, analogamente al par. 4 dell’art. 7 della direttiva, l’applicazione dei limiti di emissione fissati per l’incenerimento dall’Allegato 1, par. A nei casi di coincenerimento di rifiuti urbani misti non trattati.
Si ricorda che tale tipologia di rifiuti è definita all’art. 2, comma 1, lett. c).
Il comma 7 prevede che l'autorità competente possa concedere, in sede di autorizzazione, le deroghe previste nell'Allegato 1.
Nell’allegato 1 vengono previste possibilità di deroga per alcuni casi specifici, limitatamente ad alcuni inquinanti (polveri totali, ossidi di azoto e monossido di carbonio) e solo fino ad una certa data (di solito fino al 1° gennaio 2008, in linea con le previsioni della direttiva).
Si osserva in proposito che la nota 2 dell’allegato 1 andrebbe sostituita poiché errata, in quanto dovrebbe riferirsi agli ossidi di azoto e non alle polveri totali.
Articolo
10
(Scarico di acque reflue
provenienti dalla depurazione degli effluenti gassosi degli impianti di incenerimento
e coincenerimento di rifiuti)
Il comma 1 dell’articolo in esame dispone, analogamente al par. 1 dell’art. 8 della direttiva, che, fatto salvo quanto previsto dal decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 372, le acque reflue provenienti dalla depurazione degli effluenti gassosi evacuate da un impianto di incenerimento o di coincenerimento sono soggette ad autorizzazione rilasciata dall'autorità competente ai sensi dell'art. 45 e seguenti del d.lgs. n. 152/1999.
Si ricorda, in proposito, che l’art. 45 del decreto legislativo n. 152/1999 prevede, al comma 1, che tutti gli scarichi devono essere preventivamente autorizzati. I successivi commi 6 e 7 dispongono, tra l’altro, che “Salvo diversa disciplina regionale, la domanda di autorizzazione è presentata alla provincia ovvero al comune se lo scarico è in pubblica fognatura. L'autorità competente provvede entro novanta giorni dalla recezione della domanda” e che “Salvo quanto previsto dal decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 372, l'autorizzazione è valida per quattro anni dal momento del rilascio” e che “Un anno prima della scadenza ne deve essere chiesto il rinnovo”.
Il comma 2 disciplina il contenuto della domanda di autorizzazione riproducendo le disposizioni recate dall’art. 46 del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152.
Viene infatti previsto che la domanda di autorizzazione allo scarico di acque reflue provenienti dalla depurazione di effluenti gassosi deve essere accompagnata dall'indicazione:
- delle caratteristiche quantitative e qualitative dello scarico;
- della quantità di acqua da prelevare nell'anno solare;
- del corpo ricettore e del punto previsto per il prelievo al fine del controllo;
- dalla descrizione del sistema complessivo di scarico, ivi comprese le operazioni ad esso funzionalmente connesse;
- dall'eventuale sistema di misurazione del flusso degli scarichi ove richiesto;
- dei mezzi tecnici impiegati nel processo produttivo e nei sistemi di scarico;
- dei sistemi di depurazione utilizzati per conseguire il rispetto dei valori limite di emissione.
Il comma 3 recepisce il dettato del par. 6 dell’art. 8 della direttiva relativamente al contenuto dell’autorizzazione. In particolare viene disposto il rispetto dei limiti di emissione previsti dall’allegato 1, paragrafo D.
Le disposizioni del comma in esame integrano il dettato del citato paragrafo della direttiva con le disposizioni di coordinamento con il d.lgs. n. 152/1999 relative alle prescrizioni in materia di sorveglianza e per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici ricettori individuati dall’art. 4 del medesimo d.lgs. n. 152.
Si ricorda, in proposito, che l’art. 45, comma 9, del d.lgs. n. 152 dispone che “In relazione alle caratteristiche tecniche dello scarico, alla sua localizzazione e alle condizioni locali dell'ambiente interessato, l'autorizzazione contiene le ulteriori prescrizioni tecniche volte a garantire che gli scarichi, ivi comprese le operazioni ad esso funzionalmente connesse, siano effettuati in conformità alle disposizioni del presente decreto e senza pregiudizio per il corpo ricettore, per la salute pubblica e l'ambiente”.
Quanto agli obiettivi di qualità dei corpi idrici ricettori, si ricorda che l’art. 4, al fine della tutela e del risanamento delle acque superficiali e sotterranee, “individua gli obiettivi minimi di qualità ambientale per i corpi idrici significativi e gli obiettivi di qualità per specifica destinazione per i corpi idrici di cui all'articolo 6[19], da garantirsi su tutto il territorio nazionale”, prevedendo, altresì, che “Le regioni possono altresì definire obiettivi di qualità ambientale più elevati, nonché individuare ulteriori destinazioni dei corpi idrici e relativi obiettivi di qualità”.
Si fa notare che nel momento in cui vengono fatte salve le disposizioni del d.lgs. n. 152/1999 ciò può comportare, in termini di valori da utilizzare come limiti di emissione che, qualora il d.lgs. n. 152 preveda limiti più severi questi debbano essere applicati in luogo di quelli previsti dal presente decreto.
I commi 4 e 5 ribadiscono il rispetto dei limiti di emissione previsti dall’allegato 1, par. D, per lo scarico di acque reflue in acque superficiali e riguardo alla separazione delle acque reflue contenenti le sostanze di cui alla tabella 5 dell'Allegato 5 del d.lgs. n. 152 del 1999 dalle acque di raffreddamento e dalle acque di prima pioggia.
La tabella 5 dell’allegato V del d.lgs. n. 152/99 elenca le seguenti sostanze per le quali non possono essere adottati limiti meno restrittivi di quelli indicati in tabella 3, per lo scarico in acque superficiali e per lo scarico in rete fognaria, o in tabella 4, per lo scarico sul suolo: Arsenico; Cadmio; Cromo totale; Cromo esavalente; Mercurio; Nichel; Piombo; Rame; Selenio; Zinco; Fenoli; Idrocarburi di origine petrolifera persistenti e non; Solventi organici aromatici o azotati; Composti organici alogenati (compresi i pesticidi clorurati); Pesticidi fosforati; Composti organici dello stagno; Sostanze di cui, secondo le indicazioni dell'agenzia internazione di ricerca sul cancro (IARC), è provato il potere cancerogeno.
Viene altresì previsto che restino fermi:
§ l'obbligo disposto all'art. 28 e seguenti del decreto n. 152;
Si osserva a tal proposito, che essendo molteplici gli obblighi previsti dagli articoli 28 e seguenti, sembrerebbe opportuno indicare con esattezza a quali ci si riferisce
§ il divieto di scarico sul suolo, sottosuolo e nelle acque sotterranee (in analogia al par. 7 dell’art. 8 della direttiva e a quanto disposto dal d.lgs. n. 152 all’art. 29, comma 1, e 30, comma 1).
Il comma 6 vieta il conseguimento dei valori limite mediante diluizione delle acque reflue, in accordo all’ultimo periodo del par. 5 dell’art. 8 della direttiva.
Tale disposizione, lo si ricorda, è prevista anche dal comma 5 dell’art. 28 del decreto n. 152.
I commi 7 e 8 ripropongono alcune disposizioni del d.lgs. n. 152/1999 relativamente al trattamento di acque meteoriche di dilavamento, di prima pioggia e di lavaggio e delle acque contaminate derivanti da spandimenti o da operazioni di estinzione di incendi, nonché in materia di risparmio idrico da conseguire anche mediante le migliori tecniche disponibili (cd. BAT).
Si ricorda, in proposito, che l’art. 39, comma 3, del decreto n. 152 dispone che “Le regioni disciplinano altresì i casi in cui può essere richiesto che le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne siano convogliate ed opportunamente trattate in impianti di depurazione per particolari ipotesi nelle quali, in relazione alle attività svolte, vi sia il rischio di dilavamento dalle superfici impermeabili scoperte di sostanze pericolose o di sostanze che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici.”
L’art. 25, comma 1, del medesimo decreto prevede, invece, che “Coloro che gestiscono o utilizzano la risorsa idrica adottano le misure necessarie all'eliminazione degli sprechi ed alla riduzione dei consumi e ad incrementare il riciclo ed il riutilizzo, anche mediante l'utilizzazione delle migliori tecniche disponibili”.
Il comma 9 riproduce, nella sostanza, il contenuto dell’art. 52 del decreto n. 152 prevedendo un controllo, con cadenza almeno triennale, del funzionamento dei dispositivi automatici di misurazione degli scarichi idrici da parte dell'autorità competente al rilascio dell'autorizzazione.
L’art. 52 del d.lgs. n. 152/1999 dispone, infatti, che “Per gli scarichi contenenti le sostanze di cui alla tabella 5 dell'allegato 5 l'autorità competente nel rilasciare l'autorizzazione può prescrivere, a carico del titolare, l'installazione di strumenti di controllo in automatico, nonché le modalità di gestione degli stessi e di conservazione dei relativi risultati, che devono rimanere a disposizione dell'autorità competente al controllo per un periodo non inferiore a tre anni dalla data di effettuazione dei singoli controlli”.
Articolo
11
(Campionamento ed analisi delle
emissioni in atmosfera degli impianti di incenerimento e di coincenerimento)
Il comma 1 dell’articolo in esame rinvia all'articolo 3, comma 2, del D.P.R. n. 203 del 1988 per la fissazione e l’aggiornamento:
§ dei metodi di campionamento, analisi e valutazione delle emissioni in atmosfera;
§ delle procedure di trattamento dei dati (acquisizione, validazione, elaborazione ed archiviazione).
La procedura richiamata dal comma in esame, prevista dall’art. 3, comma 2, del D.P.R. n. 203 del 1988, prevede l’emanazione di un decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con i Ministri della sanità e dell'industria, del commercio e dell'artigianato, sentita la conferenza dei presidenti delle giunte regionali.
I commi da 2 a 7 sembrano recepire, nella sostanza, le disposizioni recate dai commi 2-7 dell’art. 11 della direttiva relativamente ai seguenti aspetti attinenti le misurazioni da condurre nell'effluente gassoso:
§ sostanze inquinanti e altri parametri da misurare;
§ modalità (in continuo o periodica) delle misurazioni;
§ tempistica e condizioni in cui effettuare le misurazioni.
In aggiunta alle disposizioni della direttiva il comma 8 prevede la misurazione e la registrazione della quantità di rifiuti e di combustibile alimentato al forno negli impianti di coincenerimento.
Il comma 9 rinvia al paragrafo C, punto 1), degli allegati 1 e 2, rispettivamente per l’incenerimento ed il coincenerimento, per i metodi di valutazione dei risultati delle misurazioni al fine del controllo del rispetto dei limiti previsti per le emissioni gassose.
I commi 10 e 11 prevedono la competenza dell’autorità competente in merito alla localizzazione dei punti di campionamento o di misurazione (art. 10, par. 4, della direttiva) nonché i seguenti obblighi in capo al gestore dell’impianto:
§ di elaborazione e presentazione dei dati all'autorità competente in modo da consentirle di verificare l'osservanza delle condizioni di funzionamento previste dall'autorizzazione e dei valori limite di emissione stabiliti dal presente decreto, secondo le procedure fissate dall'autorità che ha rilasciato l'autorizzazione (obbligo previsto anche dal par. 9 dell’art. 11 della direttiva);
§ di dare immediata comunicazione all'autorità competente per il controllo in caso di superamento dei limiti di emissione in atmosfera.
Il comma 12 riproduce specularmente quanto disposto dal comma 9 dell’art. 10 in materia di scarichi delle acque reflue, prevedendo un controllo, con cadenza almeno triennale, del funzionamento dei dispositivi automatici di misurazione delle emissioni gassose da parte dell'autorità competente al rilascio dell'autorizzazione.
Articolo
12
(Controllo e sorvegIianza delle
emissioni nei corpi idrici)
Il comma 1 dell’articolo in esame prevede una disposizione analoga a quella recata dallart. 10, comma 9, relativamente al controllo del corretto funzionamento dei dispositivi di sorveglianza delle emissioni nei corpi idrici.
Una disposizione analoga si ritrova anche nell’art. 10, comma 3, della direttiva.
I commi 2 e 3 riproducono specularmente per gli scarichi idrici quanto disposto dal comma 10 dell’art. 11 in materia di emissioni gassose e cioè l’obbligo di registrazione, elaborazione e presentazione delle misurazioni effettuate all'autorità competente in modo da consentire di verificare l'osservanza delle condizioni di funzionamento previste dall'autorizzazione e dei valori limite di emissione stabiliti dal presente decreto, secondo le procedure fissate dall'autorità che ha rilasciato l'autorizzazione e la competenza dell’autorità competente in merito alla localizzazione dei punti di campionamento o di misurazione.
Ciò deriva dal fatto che l’art. 10, comma 4, ed 11, comma 9, della direttiva recano disposizioni analoghe senza distinguere tra emissione gassose e scarichi idrici.
Il comma 4 rinvia all'Allegato 1, paragrafo E, per le modalità di misurazione delle emissioni negli ambienti idrici.
I commi 5 e 6 ripropongono disposizioni analoghe, rispettivamente, ai commi 2 e 4.
Sembra quindi opportuna la loro soppressione.
Il comma 7 rinvia al paragrafo E, punto 1), dell’allegato 1 per i metodi di valutazione dei risultati delle misurazioni al fine del controllo del rispetto dei limiti previsti per le emissioni gassose.
Il comma 8 prevede, analogamente al comma 11 dell’art. 11, l’obbligo di informare tempestivamente l'autorità competente in caso di superamento dei limiti di emissione nelle acque superficiali.
Articolo
13
(Residui)
L’articolo disciplina le modalità di gestione, trasporto e stoccaggio dei residui derivanti dal funzionamento degli impianti di incenerimento e di coincenerimento, nonché le modalità relative alla determinazione delle loro caratteristiche fisiche e chimiche al fine di determinare il possibile riciclaggio, recupero o smaltimento.
L’articolo riproduce, nella sostanza, le disposizioni recate in materia dall’articolo 9 della direttiva.
Si ricorda, preliminarmente, la definizione di residuo recata dall’articolo dall’articolo 1, comma 1, lettera p) dello schema di decreto in esame, vale a dire, qualsiasi materiale liquido o solido generato dal processo di incenerimento o di coincenerimento, dal trattamento degli effluenti gassosi o delle acque reflue o da altri processi all'interno dell'impianto di incenerimento o di coincenerimento. Tale nozione comprende:
- le scorie e le ceneri pesanti;
- le ceneri volanti;
- la polvere di caldaia;
- i prodotti solidi di reazione derivanti dal trattamento dei gas;
- i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue;
- i catalizzatori esauriti;
- il carbone attivo esaurito, definito come rifiuto all'art. 6, comma 1, lett. a) del decreto Ronchi.
Il comma 1 prevede che la quantità e la pericolosità dei residui prodotti durante il funzionamento dell'impianto di incenerimento o di coincenerimento devono essere ridotte al minimo. Inoltre, i residui devono essere riciclati quando appropriato, o recuperati direttamente nell'impianto o al di fuori di esso.
Solo nel caso in cui non sia possibile il loro riciclaggio o il loro recupero essi dovranno essere smaltiti in conformità al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.
Il rispetto di tale procedura nella gestione dei residui è conforme alle disposizioni generali del decreto Ronchi in materia di rifiuti che, ha, per l’appunto, segnato il passaggio da un precedente sistema imperniato sul solo smaltimento in discarica, ad un sistema integrato centrato prioritariamente sulla riduzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti, mediante il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero di materia, considerati preferibili rispetto alle altre forme di recupero (art. 4, comma 2). Lo smaltimento dei rifiuti costituisce solo la fase residuale della gestione dei rifiuti. I rifiuti, infatti, da avviare allo smaltimento finale devono essere il più possibile ridotti potenziando la prevenzione e le attività di riutilizzo, di riciclaggio e di recupero (art. 5, commi 1 e 2). Per quanto riguarda le disposizioni del decreto Ronchi sullo smaltimento dei rifiuti, si ricorda che l’art. 5 citato prevede, inoltre che esso deve essere effettuato in condizioni di sicurezza e deve essere attuato con il ricorso ad una rete integrata ed adeguata di impianti di smaltimento, che tenga conto delle tecnologie più perfezionate a disposizione che non comportino costi eccessivi, al fine di:
a) realizzare l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi in ambiti territoriali ottimali;
b) permettere lo smaltimento dei rifiuti in uno degli impianti appropriati più vicini, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi, tenendo conto del contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti;
c) utilizzare i metodi e le tecnologie più idonei a garantire un alto grado di protezione dell'ambiente e della salute pubblica.
In relazione allo smaltimento dei rifiuti si ricorda, inoltre, il recente D.Lgs. 13 gennaio 2003 n. 36 “Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti”, con il quale sono state dettate norme uniformi per la gestione delle discariche, con una serie di specifiche prescrizioni finalizzate al rilascio del titolo autorizzativo, alla costruzione e all’esercizio degli impianti nonché allo svolgimento delle operazioni di chiusura. La disciplina delle discariche si articola sostanzialmente in una nuova classificazione delle varie tipologia di discarica a seconda della tipologia dei rifiuti in esse conferiti:
- discarica per rifiuti inerti;
- discarica per rifiuti non pericolosi;
- discarica per rifiuti pericolosi.
Si ricorda, altresì, che sia l’articolo 4 che il 5 dello schema di decreto in esame prevedono che la domanda per il rilascio delle autorizzazioni per la costruzione ed esercizio degli impianti di incenerimento e di coincenerimento dei rifiuti, deve contenere, tra l'altro, le informazioni da cui risulti che lo smaltimento dei residui che non possono essere riciclati o recuperati è effettuato conformemente alle disposizioni del decreto Ronchi.
Il comma 2 dispone che il trasporto e lo stoccaggio intermedio di residui secchi sotto forma di polvere devono essere effettuati in modo tale da evitare la dispersione nell'ambiente.
L’analogo paragrafo dell’articolo 9 della direttiva reca alcuni dettagli rispetto al comma in esame, specificando alcune delle tipologie di residui secchi sotto forma di polvere quali le “polveri di caldaia e residui secchi prodotti dal trattamento dei gas di combustione” sottoposti a trasporto e stoccaggio intermedio e reca un esempio di modalità di trasporto e stoccaggio atta ad impedire la dispersione nell’ambiente di tali residui secchi quale “ad esempio utilizzando contenitori chiusi”.
Si osserva che il comma in esame non opera alcun rinvio, come invece dispone il precedente comma 1 in merito allo smaltimento, alle disposizioni del decreto Ronchi relative al trasporto e allo stoccaggio intermedio previste dall’articolo 6, comma 1, lett. l) e dall’articolo 15, sottolineando unicamente la necessità di evitare dispersioni nell’ambiente di tali residui secchi.
Il comma 3 dispone, analogamente a quanto previsto dal paragrafo 3 dell’articolo 9 della direttiva, la necessità, preliminare a qualsiasi operazione di riciclaggio, recupero o smaltimento, di sottoporre i residui prodotti dall'impianto di incenerimento o di coincenerimento, a opportune analisi per stabilire le loro caratteristiche fisiche e chimiche, nonché il loro eventuale potenziale inquinante. Tale analisi deve riguardare in particolare l'intera frazione solubile e la frazione solubile dei metalli pesanti.
Articolo
14
(Obblighi di comunicazione)
L’articolo, riproducendo le disposizioni contenute nell’articolo 15 della direttiva, prevede l’obbligo della redazione e della trasmissione alla Commissione europea, da parte dei Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio, delle attività produttive e della salute, di una relazione concernente l'applicazione del decreto in esame. La relazione deve essere redatta con cadenza triennale e con le modalità previste dall'articolo 5 della direttiva 91/692/CEE. La prima relazione dovrà essere trasmessa entro il 31 dicembre 2005.
L’obbligo di relazione dovrà riguardare gli impianti di incenerimento e coincenerimento di tutte le tipologie di rifiuti previste dal decreto in esame, mentre precedentemente tale obbligo era previsto solo per gli impianti di incenerimento e di coincenerimento dei rifiuti pericolosi dall’articolo 6 del D.M. n. 124 del 2000, nulla disponendo il D.M. n. 503 del 1997 per gli impianti di incenerimento per i rifiuti non pericolosi.
Si ricorda che la procedura prevista dall’articolo 5 della direttiva 91/692/CEE prevede che tale relazione venga elaborata sulla base di un questionario o di uno schema elaborato dalla Commissione che viene inviato agli Stati membri sei mesi prima dell'inizio del periodo contemplato dalla relazione. La relazione è trasmessa alla Commissione entro nove mesi dalla fine del periodo di tre anni da essa contemplato.
Si osserva, al riguardo, che l’articolo 15 della direttiva 2000/76/CE prevede che la prima relazione debba riguardare almeno il primo periodo completo di tre anni a partire dal 28 dicembre 2002, data in cui avrebbe dovuto essere stata recepita la direttiva stessa (fino al 28 dicembre 2005). Conseguentemente, anche se l’articolo in esame dispone che la prima trasmissione dovrà avvenire entro il 31 dicembre 2005, il periodo interessato non sarà di tre anni, bensì l’intervallo temporale intercorrente tra l’entrata in vigore dello schema di decreto in esame e il 31 dicembre 2005.
Articolo
15
(Informazione,accesso alle informazioni e partecipazione del
pubblico )
L’articolo prevede una serie di disposizioni tutte finalizzate ad un ampio accesso del pubblico alle informazionisulle procedure autorizzative e sulla gestione degli impianti di incenerimento o di coincenerimento, al fine di migliorare l’accettabilità sociale degli impianti e recependo, in tal modo, le disposizioni contenute nell’articolo 12 della direttiva 2000/76/CE. L’accettabilità sociale rappresenta, infatti , uno dei maggiori ostacoli alla localizzazione degli impianti di trattamento.
Il comma 1 dispone, in primo luogo, che tutte le autorizzazioni alla costruzione e all'esercizio degli impianti di incenerimento e di coincenerimento siano rilasciate solo dopo aver garantito l'accesso alle informazioni secondo le procedure di cui ai successivi commi 2 e 3.
Tale comma, che non compare nell’articolo 12 della direttiva, non fa che rafforzare le norme procedurali relative all’accesso del pubblico alle informazioni ambientali disciplinate nel dettaglio dai successivi commi 2 e 3 e conformi a quelle recate dall’articolo 12 della direttiva stessa.
Il comma 2, che riproduce sostanzialmente il primo paragrafo dell’articolo 12 della direttiva, prevede che, fatto salvo quanto previsto dal decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 39, le domande di autorizzazione e di rinnovo per impianti di incenerimento e di coincenerimento vengano rese accessibili in uno o più luoghi aperti al pubblico, ed individua tra essi la sede del comune territorialmente competente, e per un periodo di tempo adeguato, che viene anch’esso fissato in un periodo che non può essere inferiore a trenta giorni, affinché chiunque possa esprimere le proprie osservazioni prima della decisione dell'autorità competente.
Con le medesime modalità sono rese accessibili al pubblico:
- la decisione dell'autorità competente;
- l'autorizzazione insieme ai successivi aggiornamenti;
- la copia delle comunicazioni effettuate ai sensi degli articoli 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (cfr. precedenti articoli 5 e 6 dello schema di decreto in esame).
Si ricorda, in proposito, che il decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 39 di recepimento della direttiva 90/313/CE sulla libertà di accesso alle informazioni in materia ambientale prevede che le autorità pubbliche sono tenute a rendere disponibili le informazioni relative all'ambiente a chiunque ne faccia richiesta.
Si ricorda, inoltre, che tale decreto dovrà essere adeguato alle disposizioni contenute nella nuova direttiva 2003/4/CE del 28 gennaio 2003, sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale che abroga, per l’appunto, la precedente direttiva 90/313/CEE a decorrere dal 14 febbraio 2005, data entro la quale la nuova direttiva dovrà essere recepita dagli Stati membri. Il nostro ordinamento ha previsto il recepimento della direttiva 2003/4/CE nella legge 31 ottobre 2003, n. 306 (allegato B), attraverso l’emanazione di un decreto legislativo da emanarsi entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa, vale a dire entro il 31 maggio 2005.
In estrema sintesi la direttiva 2003/4/CE si ripropone di operare un rafforzamento dell'accesso del pubblico all'informazione ambientale, avviato dalla direttiva 90/313/CEE, e delladiffusione di tale informazione, al fine di sensibilizzare il pubblico alle questioni ambientali mediante una sua più efficace partecipazione al processo decisionale. La direttiva 90/313/CEE aveva infatti avviato il processo di apertura e trasparenza, da parte delle autorità pubbliche, prevedendo misure per l'esercizio del diritto di accesso del pubblico all'informazione ambientale che l’attuale direttiva ha sviluppato ed ampliato.
Giova ricordare altresì che un generico obbligo di informazione nei confronti del pubblico, senza dettagliare le relative modalità, era previsto dall’articolo 7 del D.M. n. 124 del 2000 relativo agli impianti di incenerimento e coincenerimento dei rifiuti pericolosi, nulla disponendo al riguardo il D.M. n. 503 del 1997 per gli impianti di incenerimento per i rifiuti non pericolosi.
Il comma 3, analogo al secondo paragrafo dell’articolo 12 della direttiva, prevede che gli impianti di incenerimento e coincenerimento dotati di una capacità nominale dì due o più tonnellate l'ora, entro il 30 giugno dell'anno successivo, siano tenuti a trasmettere all’autorità competente una relazione annuale relativa al funzionamento ed alla sorveglianza dell'impianto. L’autorità competente dovrà, a sua volta, renderla accessibile al pubblico con le stesse modalità previste al comma 2. Tale relazione dovrà contenere, quale requisito minimo, le informazioni in merito all'andamento del processo e delle emissioni nell'atmosfera e nell'acqua rispetto alle norme dì emissione previste dal decreto in esame.
Per gli impianti di incenerimento e coincenerimento aventi una capacità nominale inferiore a due tonnellate l'ora, il comma 4 dispone che l'autorità competente dovrà redigerne un elenco da rendere accessibile al pubblico. Analoghe disposizioni sono contenute nel secondo paragrafo dell’articolo 12 della direttiva.
Il comma 5 dispone, infine, che le informazioni contenute nelle domande di autorizzane accolte e nelle comunicazioni di cui agli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, relative al coincenerimento, nonché copia della relazione di cui al comma 3 (nel testo del decreto viene erroneamente indicato il comma 2) vengano trasmesse, per scopi statistici, dall'ente competente per territorio all’APAT.
Articolo
16
(Condizioni anomale di funzionamento)
L’articolo prevede alcune procedure particolari nel caso in cui gli impianti di incenerimento e coincenerimento presentino disfunzioni o guasti tali che le emissioni in atmosfera e nelle acque reflue depurate superino i valori limite di emissione autorizzati. Tali disposizioni sono sostanzialmente identiche a quelle previste dall’articolo 16 della direttiva comunitaria.
Il comma 1 dispone che sia l’autorità competente a stabilire nell’autorizzazione stessa il periodo massimo di tempo durante il quale, a causa di guasti o arresti tecnicamente inevitabili, le concentrazioni delle sostanze regolamentate presenti nelle emissioni in atmosfera e nelle acque reflue depurate possono superare i valori limite di emissione che sono stati autorizzati.
Il comma 2 prevede quindi cheil gestore riduca o arresti l'attività appena possibile, al fine di ristabilire il normale funzionamento.
Il comma 3 dispone che fatto salvo il caso previsto dall'articolo 8, comma 8, lettera c), in caso di superamento dei valori limite di emissione, per nessun motivo l’impianto di incenerimento o di coincenerimento può continuare ad incenerire rifiuti per più di quattro ore consecutive.
L’articolo 8, comma 8, lettera c), del decreto in esame prevede che gli impianti di incenerimento e coincenerimento siano dotati di un sistema automatico che impedisce l'alimentazione di rifiuti qualora le misurazioni continue degli inquinanti negli effluenti indichino il superamento di uno qualsiasi dei valori limite di emissione, a causa dei cattivo funzionamento o di un guasto dei dispositivi di depurazione dei fumi.
Il comma dispone, inoltre, che la durata cumulativa del funzionamento in tali anomale condizioni deve essere inferiore a 60 ore annuali. La durata di 60 ore si applica alle linee dell'intero impianto che sono collegate allo stesso dispositivo di abbattimento degli inquinanti dei gas di combustione.
Il comma 4 stabilisce quindi che, relativamente agli impianti di incenerimento e nei casi di cui al comma 1, il tenore totale dì polvere delle emissioni in atmosfera non deve in nessun caso superare i 150 mg/m3, espressicome media su 30 minuti. Non possono essere inoltre superati ì valori limite relativi alle emissioni nell'atmosfera di CO (monossido di carbonio) e TOC (carbonio organico totale). Devono inoltre essere rispettate tutte le altre prescrizioni di cui al precedente articolo 8 relative alle normali condizioni di esercizio degli impianti.
Il comma 5, le cui disposizioni non compaiono nella direttiva comunitaria, prevede che il gestore dell’impianto comunichi, nel più breve tempo possibile, l’anomalo funzionamento all’autorità di controllo. Analoga comunicazione è richiesta non appena viene ripristinata la completa funzionalità dell'impianto stesso.
Articolo
17
(Accessi e ispezioni)
Le disposizioni contenute in tale articolo non compaiono nell’articolato della direttiva comunitaria.
Come chiarisce la relazione di accompagnamento al decreto, con tale articolo “viene chiarito il diritto dei soggetti incaricati dei controlli ad accedere agli impianti per poter esercitare la propria funzione”.
Il comma 1 prevede, infatti, che i soggetti incaricati dei controlli sono autorizzati ad accedere in qualsiasi momento presso gli impianti di incenerimento e coincenerimento per effettuare le relative ispezioni, i controlli, i prelievi e i campionamenti necessari all'accertamento dei rispetto dei valori limite di emissione in atmosfera e in ambienti idrici, previsti rispettivamente dagli articoli 11 e 12 del decreto in esame.
Il controllo viene effettuato anche in relazione al rispetto delle prescrizioni relative alla ricezione, allo stoccaggio dei rifiuti e dei residui, ai pretrattamenti e alla movimentazione dei rifiuti e delle altre prescrizioni contenute nei provvedimenti autorizzatori o regolamentari e di tutte le altre prescrizioni contenute nel presente decreto.
Il comma 2 prevede, inoltre, che anche il titolare ed il gestore degli impianti siano tenuti a fornire tutte le informazioni, dati e documenti richiesti dai soggetti incaricati dei controlli, necessari per l'espletamento delle loro funzioni ed a consentire l'accesso all'intero impianto.
Si osserva che nei due decreti n. 503 del 1997 e n. 124 del 2000 recanti una disciplina diversificata per l’incenerimento dei rifiuti non pericolosi e di quelli pericolosi, non compaiono norme relative a procedure di controllo ed ispezione degli impianti.
Si ricorda, che in relazione agli stabilimenti ed alle imprese che smaltiscono o recuperano rifiuti, ai sensi dell’articolo 20 del decreto Ronchi, l’attività di ispezione e controllo è affidata alle Province le quali, possono anche avvalersi di organismi pubblici con specifiche esperienze e competenze tecniche in materia, con i quali stipulano apposite convenzioni.
Articolo
18
(Spese)
L’articolo, al comma 1, chiarisce che le spese relative alle ispezioni ed ai controlli, nonché quelle relative all'espletamento dell'istruttoria per il rilascio dell'autorizzazione e per la verifica degli impianti, sono a carico del titolare dell'autorizzazione, sulla base del costo effettivo del servizio, secondo tariffe e modalità di versamento che verranno determinate da disposizioni regionali.
Il comma 3 definisce le attività e le misure previste dal decreto in esame quali rientranti nell'ambito dei compiti istituzionali delle amministrazioni e degli enti interessati, cui dovranno far fronte con le risorse di bilancio allo scopo destinate a legislazione vigente.
Il comma 2 chiarisce, infine, che l'attuazione del decreto non comporterà nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Articolo
19
(Sanzioni)
L’articolo reca le seguenti sanzioni previste nei confronti di chi viola le disposizioni recate dal decreto in esame.
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Violazione |
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Comma |
Tipologia |
Riferimento normativo |
Sanzione |
1 |
Mancanza di autorizzazione all’esercizio incenerimento e coincenerimento rifiuti pericolosi |
Artt. 4 e 5 |
Arresto da 1 a 2 anni e ammenda da 10.000 a 50.000 € |
2 |
Mancanza di autorizzazione all’esercizio incenerimento e coincenerimento rifiuti non pericolosi |
Artt. 4 e 5 |
Arresto da 6 mesi ad 1 anno e ammenda da 10.000 a 30.000 € |
3 |
Scarico al suolo, sottosuolo o nelle acque sotterranee di acque reflue provenienti dalla depurazione degli effluvi gassosi degli impianti di incenerimento o coincenerimento |
Art. 10, co. 4 |
Arresto fino ad 1 anno e ammenda da 10.000 a 30.000 € |
4 |
Dismissione impianti di incenerimento e coincenerimento |
Art. 4, co. 6; Art. 5, co. 9[20] |
Arresto fino ad 1 anno e ammenda da 10.000 a 25.000 € |
5 |
Superamento limiti temporali imposti nel caso di condizioni anomale di funzionamento |
Art. 16, co. 3 |
Arresto fino a 9 mesi e ammenda da 5.000 a 30.000 € |
6 |
Scarico in acque superficiali di acque reflue provenienti dalla depurazione degli effluvi gassosi degli impianti di incenerimento o coincenerimento |
Art. 10, co. 4 e All. 1, lett. D |
Arresto fino a 6 mesi e ammenda da 10.000 a 30.000 € |
7 |
Mancanza di autorizzazione per lo scarico di acque reflue provenienti dalla depurazione degli effluvi gassosi degli impianti di incenerimento o coincenerimento |
Art. 10, co. 1 |
Arresto fino a 3 mesi e ammenda da 5.000 a 30.000 € |
8, I° periodo |
Superamento valori limite di emissione in atmosfera |
Art. 9 |
Arresto fino ad 1 anno e ammenda da 10.000 a 25.000 € |
8, II° periodo |
Superamento valori limite di emissione in atmosfera |
All. 1, lett. A, punti 3 e 4 |
Arresto da 1 a 2 anni e ammenda da 10.000 a 40.000 € |
9 |
Superamento valori limite per coincenerimento sottoprodotti di origine animale |
All. 1 e 2 |
Arresto fino ad 1 anno e ammenda da 10.000 a 25.000 € |
10 |
Accertamento, da parte di un professionista, di fatti non corrispondenti al vero nel certificato sostitutivo |
Art. 4, co. 9; Art. 5, co. 11 |
Arresto fino ad 1 anno e ammenda da 5.000 a 25.000 € |
11 |
Mancanza della prescritta verifica prima dell’esercizio dell’impianto |
Art. 4, co. 8; Art. 5, co 10[21] |
Arresto fino ad 1 anno e ammenda da 3.000 a 25.000 € |
11 |
Mancanza del relativo certificato sostitutivo |
Art. 4, co. 9; Art. 5, co. 11[22] |
Arresto fino ad 1 anno e ammenda da 3.000 a 25.000 € |
12 |
Assenza o mancato rinnovo della comunicazione per attività coincenerimento |
Art. 6, co. 2 |
Arresto fino a 3 mesi e ammenda da 10.000 a 25.000 € |
13 |
Assenza nella domanda di autorizzazione per incenerimento o coincenerimento di alcune prescrizioni |
Art. 4, co. 2; Art. 5, co. 3[23] |
Ammenda da 3.000 a 30.000 € |
13 |
Mancato rispetto procedure previste nella ricezione, stoccaggio, pretrattamento dei rifiuti |
Art. 7, co. 1; Art. 8, co. 1 |
Ammenda da 3.000 a 30.000 € |
14 |
Mancato rispetto prescrizioni imposte dall’autorità competente nell’autorizzazione nel caso di deroghe |
Art. 7, co. 6; Art. 8, co. 4 |
Ammenda da 3.000 a 25.000 € |
15 |
Mancato rispetto prescrizioni imposte dall’autorità competente nell’autorizzazione nel caso di deroghe ai valori limite di emissione in atmosfera |
Art. 9, co. 7 |
Ammenda da 2.500 a 25.000 € |
16 |
Mancato rispetto di tutte le altre prescrizioni previste dal decreto o quelle imposte dall’autorità competente in sede di autorizzazione |
|
Ammenda da 1.000 a 35.000 € |
In relazione alle sanzioni previste dall’articolo in esame si osserva, che la direttiva comunitaria, all’articolo 19, lascia la facoltà agli Stati membri di determinare le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate. Essa indica solamente che esse dovranno essere “efficaci, proporzionate e dissuasive”.
Articolo
20
(Danno ambientale)
L’articolo, le cui disposizioni non compaiono nel testo della direttiva, definisce le responsabilità di chi con il proprio comportamento omissivo o commissivo, in violazione delle disposizioni del decreto stesso, provoca un danno alle acque, al suolo, al sottosuolo e alle altre risorse ambientali, ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di inquinamento ambientale.
L’autore del danno è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali è derivato il danno, ovvero deriva il pericolo di inquinamento, ai sensi e secondo il procedimento di cui all'articolo 17 del decreto legislativo n. 22 dei 1997.
Il comma dispone, inoltre, che chi non ottempera a tali prescrizioni sia soggetto alle sanzioni di cui all'articolo 51-bis dei decreto legislativo n. 22 dei 1997.
A tale proposito si ricorda che con l’art. 17 del decreto Ronchi relativo alla bonifica ed al ripristino ambientale dei siti inquinati, e con il successivo regolamento di attuazione, D.M. 25 ottobre 1999, n. 471 (cd. Regolamento bonifiche), la materia delle bonifiche è stata disciplinata con una normativa organica e puntuale. Chi provoca un danno ambientale (o il pericolo dello stesso) è tenuto alla messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale secondo le procedure indicate nello stesso articolo 17 e nel relativo regolamento di attuazione.
Il successivo articolo 51-bis del decreto Ronchi, prevede che chiunque cagiona l'inquinamento o un pericolo concreto ed attuale di inquinamento, previsto dall'articolo 17, comma 2, è punito con la pena dell'arresto da sei mesi a un anno e con l'ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni se non provvede alla bonifica secondo il procedimento di cui all'articolo 17. Si applica la pena dell'arresto da un anno a due anni e la pena dell'ammenda da lire diecimilioni a lire centomilioni se l'inquinamento è provocato da rifiuti pericolosi. Con la sentenza di condanna per la contravvenzione di cui al presente comma, o con la decisione emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale.
In relazione al danno ambientale, si rammenta brevemente che nel diritto italiano l'espresso riconoscimento normativo del “danno ambientale” è stato effettuato dall'articolo 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, che struttura una fattispecie speciale di responsabilità civile. L’articolo 18, che ha recepito e razionalizzato i contributi della giurisprudenza ordinaria e contabile, stabilisce, infatti, l’obbligo del risarcimento in favore dello Stato in capo a colui che con qualunque fatto doloso o colposo, in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge, “comprometta l’ambiente, ad esso arrecando danno, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte”.
Si fa osservare, inoltre, che la recente legge 15 dicembre 2004, n. 308 “"Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione" ha previsto che il Governo, nell’emanazione dei decreti legislativi di riordino, tra i criteri specifici di delega anche “conseguire l'effettività delle sanzioni amministrative per danno ambientale mediante l'adeguamento delle procedure di irrogazione e delle sanzioni medesime; rivedere le procedure relative agli obblighi di ripristino, al fine di garantire l'efficacia delle prescrizioni delle autorità competenti e il risarcimento del danno; definire le modalità di quantificazione del danno; prevedere, oltre a sanzioni a carico dei soggetti che danneggiano l'ambiente, anche meccanismi premiali per coloro che assumono comportamenti ed effettuano investimenti per il miglioramento della qualità dell'ambiente sul territorio nazionale” (art. 1, comma 9, lett. e).
A livello comunitario, giova altresì ricordare che la Comunità europea, dopo la presentazione nel 2000 del Libro bianco sulla responsabilità per danni all’ambiente, ove aveva delineato la struttura di un sistema unitario di responsabilità basato sull’adozione di un concetto ampio di ambiente e su un regime di responsabilità oggettiva, ha recentemente adottato la Direttiva 2004/35/CE del 21 aprile 2004 sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, che deve essere recepita dagli Stati membri entro il 30 aprile 2007, con la quale ha appunto istituito un regime unico per prevenire e risarcire il danno ambientale.
Il principio fondamentale della direttiva dovrebbe essere quello secondo il quale l’operatore, la cui attività ha causato un danno ambientale, o la minaccia imminente di tale danno, sarà considerato finanziariamente responsabile, in modo da indurre gli operatori ad adottare misure e pratiche atte a ridurre al minimo i rischi di danno ambientale. Assecondando il suddetto principio di prevenzione, la direttiva disciplina azioni di prevenzione e azioni di riparazione.
La nuova direttiva in materia di responsabilità ambientale trova applicazione anche in materia di gestione dei rifiuti. Infatti, l’art. 3, che ne definisce l’ambito di applicazione, prevede che essa si applichi anche al danno ambientale causato da una delle attività professionali elencate nell'allegato III, tra cui rientra anche il funzionamento di impianti d'incenerimento ai sensi della direttiva 2000/76/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 dicembre 2000.
Articolo
21
(Disposizioni transitorie e finali)
Il comma 1 prevede l’adeguamento degli impianti esistenti alle disposizioni del decreto entro il 28 dicembre 2005, come, tra l’altro dispone l’articolo 20, primo paragrafo, della direttiva.
Il comma 2 prevede quindi che i titolari e i gestori degli impianti esistenti che intendono proseguire le attività di incenerimento e coincenerimento dopo il 28 dicembre 2005 sono tenuti a presentare, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, una nuova domanda di autorizzazione, insieme ad un piano dettagliato di adeguamento degli impianti alle prescrizioni di cui al decreto stesso, fermo restando quanto previsto dal decreto legislativo n. 372 del 1999 (cfr. articolo 4, comma 1, dello schema di decreto in esame).
Il comma 3 dispone, invece, che i gestori di impianti esistenti cui si applicano le procedure semplificate di cui agli articoli 31 e 33 dei decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (vale a dire per gli impianti di incenerimento di rifiuti non pericolosi) sono tenuti ad effettuare, entro il 28 dicembre 2005, una comunicazione dalla quale risulti la rispondenza alle prescrizioni di cui al presente decreto insieme, se necessario, ad una relazione di adeguamento, entro il 28 dicembre 2005, dell'impianto alle prescrizioni del decreto.
Il comma 4 sostituisce la parte della lettera f), comma 1, dell’articolo 28, del decreto legislativo n. 22 del 1997, recante un riferimento esplicito alle precedenti direttive comunitarie sugli impianti di incenerimento (89/369/CEE, 89/429/CEE e 94/67/CE), con le norme di recepimento della direttiva 2000/76/CE.
L’autorizzazione regionale all’esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero dei rifiuti prevista dall’articolo 28 dovrà rispettare, ai sensi della lettera f) novellata dal comma in esame, i limiti di emissione in atmosfera, che per i processi di trattamento termico dei rifiuti, anche accompagnati da recupero energetico, non possono essere meno restrittivi di quelli fissati per gli impianti di incenerimento “dalle norme di recepimento della direttiva 2000/76/CE”, cioè dalle disposizioni recate dal decreto in esame.
Un’ altra novella è disposta dal comma 5 che prevede la sostituzione all'articolo 31, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 della parte in cui si fa riferimento alle precedenti direttive comunitarie in materia di incenerimento (89/369/CEE, 89/429/CEE e 94/67/CE) con le norme di recepimento della direttiva 2000176/CE.
L’articolo 31, comma 3, con la novellata lettera b), prevede che per accedere alle procedure semplificate le attività di trattamento termico e di recupero energetico devono essere rispettate alcune condizioni, tra le quali i limiti di emissione che non devono essere meno restrittivi di quelli stabiliti dalle norme di recepimento della direttiva 2000176/CE.
Il comma 6 dispone, quindi chele disposizioni dei commi 4 e 5 si applicano a decorrere dal 28 dicembre 2005, fermo restando quanto previsto in merito alla nuova domanda di autorizzazione o alla comunicazione previste dai commi 2 e 3 del presente articolo (e non dal comma 4 come erroneamente segnala il comma in esame).
Il comma 7 assoggetta gli impianti di incenerimento esistenti, operanti sulla base degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo n. 22 del 1997, vale a dire gli impianti esistenti cui si applicano le procedure semplificate, entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del decreto, alla procedura di valutazione di impatto ambientale. All'esito favorevole di tale procedura, Ia Regione rilascia autorizzazione a norma dell'articolo 4.
Articolo
22
(Procedura di modifica degli allegati)
Il comma 1 prevede che per il recepimento di normative tecniche comunitarie di modifica degli allegati al presente decreto si provveda con provvedimento amministrativo del Ministro dell'ambiente e della tutela dei territorio, previa comunicazione ai Ministri della salute e delle attività produttive.
Ogniqualvolta la nuova normativa comunitaria preveda margini di discrezionalità per la sua trasposizione, il provvedimento amministrativo è emanato di concerto con i Ministri della salute e delle attività produttive, sentita la Conferenza Unificata.
Il comma 2 riguarda la normale procedura di pubblicazione del decreto.
[1] Procedura 2002/5394, avviata con lettera di messa in mora il 19 dicembre 2003. Al parere motivato del 7 luglio 2004 il Governo aveva risposto il 5 ottobre 2004.
[2] COM(2003)301
[3] “Regolamento recante norme per l'attuazione delle direttive 89/369/CEE e 89/429/CEE concernenti la prevenzione dell'inquinamento atmosferico provocato dagli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani e la disciplina delle emissioni e delle condizioni di combustione degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani, di rifiuti speciali non pericolosi, nonché di taluni rifiuti sanitari”.
[4] “Regolamento recante i valori limite di emissione e le norme tecniche riguardanti le caratteristiche e le condizioni di esercizio degli impianti di incenerimento e di coincenerimento dei rifiuti pericolosi, in attuazione della direttiva 94/67/CE del Consiglio del 16 dicembre 1994, e ai sensi dell'articolo 3, comma 2, del D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, e dell'articolo 18, comma 2, lettera a), del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22”.
[5] “Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22”.
[6] “Regolamento attuativo degli articoli 31 e 33 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, relativo all'individuazione dei rifiuti pericolosi che è possibile ammettere alle procedure semplificate”.
[7] Tale rapporto è disponibile anche in internet all’indirizzo http://www.apat.gov.it/site/it-IT/APAT/Pubblicazioni/Rapporti/Rapporto_Rifiuti/.
[8] Acronimo dall’inglese Not In My Back Yard, vale a dire “Non nel mio cortile”.
[9] Convertito, con modificazioni, in legge n. 178 del 2002.
[10] Per un approfondimento si rinvia al dossier documentazione e ricerche “La nozione di rifiuto nel diritto comunitario e nel diritto nazionale” n. 87 del 19 marzo 2004, nonché al commento di P. Ficco e M. Santoloci alla citata sentenza della Corte di Giustizia (C-457/02) in Rifiuti – Bollettino di informazione normativa n. 113 (12/04).
[11] Pubblicata nella G.U. 10 maggio 2002, n. 108, S.O.
[12] Si ricorda che la norma UNI EN ISO 14001 fornisce le indicazioni basilari per giungere alla definizione di un sistema di gestione ambientale efficiente. La norma specifica, infatti, i requisiti di un sistema di gestione ambientale che consente a un'organizzazione di formulare una politica ambientale e stabilire degli obiettivi, tenendo conto degli aspetti legislativi e delle informazioni riguardanti gli impatti ambientali significativi.
[13] Pubblicata nella G.U. 10 maggio 2002, n. 108, S.O.
[14] Si ricorda che la norma UNI EN ISO 14001 fornisce le indicazioni basilari per giungere alla definizione di un sistema di gestione ambientale efficiente. La norma specifica, infatti, i requisiti di un sistema di gestione ambientale che consente a un'organizzazione di formulare una politica ambientale e stabilire degli obiettivi, tenendo conto degli aspetti legislativi e delle informazioni riguardanti gli impatti ambientali significativi.
[15] Recante “Attuazione delle direttive CEE numeri 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 concernenti norme in materia di qualità dell'aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali, ai sensi dell'art. 15 della L. 16 aprile 1987, n. 183”.
[16] Pubblicata nella G.U. 10 maggio 2002, n. 108, S.O.
[17] Tale Regolamento (“Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano”) è entrato in vigore il 30 aprile 2003, causando l’abriogazione nel diritto nazionale del D.M. 26 marzo 1994 sulla raccolta e il trasporto di rifiuti di origine animale e del D.M. 15 maggio 1993 sui trattamenti dei materiali ad alto rischio .
[18] Encefalopatie Spongiformi Trasmissibili.
[19] Ai sensi dell’art. 6 sono “acque a specifica destinazione funzionale:
a) le acque dolci superficiali destinate alla produzione di acqua potabile;
b) le acque destinate alla balneazione;
c) le acque dolci che richiedono protezione e miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci;
d) le acque destinate alla vita dei molluschi.
[20] Nel testo del decreto è erroneamente indicato il comma 8.
[21] Nel testo del decreto si fa erroneamente riferimento al comma 9.
[22] Nel testo del decreto si fa erroneamente riferimento al comma 10.
[23] Nel testo del decreto si fa erroneamente riferimento al comma 2.