XIV Legislatura - Dossier di documentazione | |||
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento agricoltura | ||
Altri Autori: | Servizio Studi - Dipartimento agricoltura , Ufficio Rapporti con l'Unione Europea | ||
Titolo: | Revisione della legge sulla caccia | ||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 105 | ||
Data: | 19/10/04 | ||
Abstract: | Nota introduttiva; attività parlamentare; normativa nazionale; normativa comunitaria; giurisprudenza; dottrina e documentazione. | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | XIII-Agricoltura |
Servizio studi |
documentazione e ricerche |
Revisione della legge
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n. 105
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19 ottobre 2004 |
Camera dei deputati
Il presente dossier è stato redatto in collaborazione con il dipartimento regioni e l’Ufficio Rue
Dipartimento Agricoltura
SIWEB
I dossier del Servizio studi sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
File: Ag0215.doc
INDICE
L'attività venatoria in Italia
La normativa europea e le convenzioni internazionali
Normativa regionale e contenzioso costituzionale
Procedure di infrazione e documenti all’esame delle istituzioni Europee
- Seduta del 30 settembre 2003
Normativa nazionale
§ L. 6 dicembre 1991, n. 394 Legge quadro sulle aree protette
§ L. 11 febbraio 1992, n. 157 Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio
Normativa comunitaria
§ Dir. 79/409/CEE del 2 aprile 1979 Direttiva del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici
Giurisprudenza (massime)
§ Corte costituzionale
§ Corte di Cassazione
§ Corte di Giustizia europea
Dottrina
§ F. Di Dio La tutela della Fauna selvatica, dell’ambiente e dell’ecosistema nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Diritto e giurisprudenza agraria e dell’ambiente n. 2/2004
§ Carlo Scheggi Gli obblighi incombenti sugli Stati membri in materia di tutela della fauna e dell’Habitat naturali in Diritto e giurisprudenza agraria e dell’ambiente n. 6/2003)
Documentazione
§ Ministero delle politiche agricole e forestali: Relazione sullo stato di attuazione della legge n. 157/1992 del 30 marzo 2004
§ Ministero delle politiche agricole e forestali: Relazione sullo stato di attuazione della legge n. 157/1992 del 13 luglio 2004
§ Accordo tra BIRDLIFE e FACE (12 ottobre 2004)
§ Relazioni sullo stato di attuazione delle deroghe in materia di protezione della fauna selvatica e di prelievo venatorio, previste dall’art. 9 della Dir. 79/409/CEE
- Regione Toscana – stagione venatoria 2002-2003
- Regione Liguria – stagione venatoria 2002-2003
- Regione Veneto – stagione venatoria 2002-2003
- Regione Molise – stagione venatoria 2002-2003
- Regione Piemonte – stagione venatoria 2002-2003
- Regione Umbria – stagione venatoria 2002-2003
- Regione Valle d’Aosta – stagione venatoria 2002-2003
- Provincia Bolzano – stagione venatoria 2002-2003
- Regione Puglia – stagione venatoria 2002-2003
- Provincia Trento – stagione venatoria 2002-2003
- Regione Valle d’Aosta – stagione venatoria 2003-2004
- Regione Friuli Venezia Giulia – stagione venatoria 2003-2004
- Regione Lombardia – stagione venatoria 2003-2004
- Regione Liguria – stagione venatoria 2003-2004
- Regione Marche – stagione venatoria 2002-2003 e 2003-2004
- Provincia Bolzano – stagione venatoria 2003
- Regione Toscana – stagione venatoria 2003-2004
- Regione Emilia Romagna – stagione venatoria dal 1° settembre 2002 al 31 gennaio 2003 e dal 1° settembre 2003 al 31 gennaio 2004
- Regione Molise – stagione venatoria 2003-2004
- Regione Veneto – stagione venatoria 2003-2004
- Regione Basilicata – stagione venatoria 2002-2003 e 2003-2004
Cenni storici sulla disciplina dell'attività venatoria in Italia
Al momento dell'unità d'Italia la caccia era regolata da leggi fondamentali in ogni singolo stato. L'art.712 del codice civile del 1865 rinviava per la disciplina della caccia alle leggi particolari, stabilendo anche il principio generale secondo cui è illecito introdursi nel fondo altrui per l'esercizio della caccia contro il divieto del possessore e, parallelamente, l'art. 428 del codice penale del 1889 prevedeva una pena pecuniaria per il delitto di caccia abusiva nel fondo altrui. L'esercizio della caccia, pur concepito come diritto naturale dell'uomo, volto all'acquisto del diritto di proprietà sugli animali selvatici, considerati come res nullius, era comunque subordinato nella legislazione preunitaria ad un permesso amministrativo, accompagnato al pagamento di una tassa. La prima disciplina unitaria è contenuta nella legge 24 giugno 1923, n. 1420, per la protezione della selvaggina e l'esercizio della caccia. A questa seguì il testo unico 15 gennaio 1931, n.117, con il quale si provvedeva al completo riordino della materia. Ad esso si sostituì un secondo testo unico, il n. 1016 del 5 giugno 1939, che contiene una regolamentazione dell'attività venatoria attraverso le limitazioni di tempo, mezzi e modalità di uccisione della selvaggina. Alcune norme riguardavano inoltre l'antagonismo fra i cacciatori. La regolamentazione appare discendere dalla necessità di non intaccare il patrimonio comune della fauna selvatica. Tuttavia a questo interesse si affianca anche quello di tutelare gli agricoltori preoccupati di veder danneggiate le coltivazioni. L'attenzione all'agricoltura è evidente nelle disposizioni, contenute nel testo unico del 1939, che consentono di uccidere e di catturare anche di notte e con mezzi altrimenti vietati gli animali nocivi, nonché dall'inclusione fra le specie protette di animali utili, quali taluni insettivori o rapaci. Il codice civile, approvato con regio decreto il 16 marzo 1942, all'art.842, prevede che il proprietario non possa impedire l'accesso sul fondo del cacciatore munito di regolare licenza, a meno che non sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge o vi siano colture in atto suscettibili di danni. Nel 1967, ormai superata la visione di una normativa improntata da misure di protezione della fauna, subordinate essenzialmente agli interessi della caccia, con la legge 2 agosto, n.799, si introducono significative modifiche, soprattutto in materia di licenza e di calendario venatorio. Viene inoltre introdotto l'obbligo dell'assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile. Una delle più importanti novità è comunque la previsione della possibilità da parte dei Comitati provinciali di caccia di instaurare regimi di "caccia controllata" e cioè un esercizio venatorio soggetto a limitazioni riguardanti il tempo, il luogo per lo svolgimento dell’attività venatoria nonché le specie e il numero di capi di selvaggina da abbattere, a tutela dell'agricoltura e della selvaggina stanziale protetta. La legge 28 gennaio 1970, n.17, recante disposizioni integrative alla legge 799/67 pone il divieto definitivo di uccellagione. Con il D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, si dà attuazione all'art. 117 della Costituzione che assegna la competenza legislativa concorrente alle regioni in alcune materie, tra cui la caccia. La legge 27 dicembre 1977, n.968 pone i principi generali e le disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia. La fauna selvatica cessa di essere res nullius, per diventare bene patrimoniale indisponibile per lo Stato. L'inclusione della fauna selvatica nel patrimonio indisponibile dello stato porta come conseguenza la discussa applicabilità delle norme sul furto a chi si impossessi di selvaggina in periodi, luoghi o con modalità non consentite. L'esercizio della caccia è consentito, purché non contrasti con l'esigenza di conservazione della selvaggina e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole. Da regola generale, pertanto la facoltà di esercizio dell'attività venatorio diverrebbe un'eccezione, sia pure di rilevanti dimensioni. Aumentano le misure di salvaguardia e di indennizzi per l'agricoltura, con la previsione del divieto di caccia in forma vagante nei terreni ove siano in atto determinate coltivazioni, con l'attribuzione alle regioni, di concerto con le principali organizzazioni agricole, di speciali facoltà e con il divieto di caccia da certe distanze da macchine operatrici agricole. Parte delle tasse di concessioni regionali è destinata per legge al fondo regionale per la prevenzione e il risarcimento dei danni arrecati alle produzioni agricole dalla fauna selvatica e dall'esercizio dell'attività venatoria.
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I referendum |
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Negli ultimi anni l'opinione pubblica è stata direttamente interessata dal dibattito sulla caccia, che ha coinvolto in un acceso confronto i cacciatori, gli agricoltori e gli ambientalisti, soprattutto in occasione dei seguenti referendum popolari, che si sono svolti in materia di caccia: - il 3 giugno 1990, per l'abrogazione parziale della legge 27 dicembre 1977, n.968, recante principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e disciplina della caccia; - 3 giugno 1990, per l'abrogazione dell'art.842, primo e secondo comma, del codice civile, in materia di accesso nei fondi privati per l'esercizio della caccia; - il 15 giugno 1997, per l'abrogazione dell'art.842, primo e secondo comma, del codice civile, in materia di accesso nei fondi privati per l'esercizio della caccia; Per tutti e tre i referendum le proposte non sono state approvate, in quanto non ha partecipato alla consultazione la maggioranza degli aventi diritto, come previsto dall'art.75 della Costituzione.
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La legge n. 157 del 1992 |
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L'attuale disciplina dell'attività venatoria è contenuta nella legge 11 febbraio 1992, n.157, "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio", con la quale si passa da una concezione della caccia controllata, così come prevista dalla precedente disciplina legislativa, ad una concezione della caccia programmata, nell'intento, fra l'altro, di tenere conto degli interessi connessi con l'ambiente e con l'agricoltura. Secondo la legge del 1992 la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è salvaguardato nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale. Tuttavia chi viola le norme sulla caccia, impadronendosi di animali selvatici non incorre più nel reato di furto, discussa interpretazione, scaturente dalla precedente normativa. L’esercizio della caccia è autorizzato a condizione che non costituisca ostacolo alla preservazione della fauna selvatica e che non provochi danni alle produzioni agricole. Pertanto la totalità degli spazi naturali deve essere oggetto di una pianificazione della fauna che permetta una gestione programmata della caccia. L'art.12 della legge sulla caccia contiene norme riguardanti la qualificazione oggettiva degli atti di caccia, riproponendo il contenuto di disposizioni risalenti al Testo unico del 1931. In particolare si definisce esercizio venatorio ogni atto diretto all'abbattimento o alla cattura della fauna selvatica mediante l'uso del fucile, avente determinate caratteristiche, dell'arco e del falco. E' considerato inoltre esercizio venatorio anche "il vagare o il soffermarsi con i mezzi destinati allo scopo o in attitudine di ricerca della fauna selvatica o in attesa della medesima per abbatterla".
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In merito al rapporto intercorrente tra il tra il diritto di caccia e il diritto di proprietà si rammenta che già il citato testo unico del 1939, anche al fine di contrastare il bracconaggio, aveva sottoposto l'esercizio della pratica venatoria al previo rilascio della licenza e aveva introdotto la mera licenza di detenzione del fucile da caccia. Lo Stato è titolare del diritto di caccia e concede il diritto di cacciare a coloro che ne facciano domanda e che soddisfino i criteri fissati dalla legge sulla caccia. Come sopra ricordato, ai sensi dell’articolo 842 del codice civile, in linea di principio, il proprietario non può opporsi a che si cacci sui suoi terreni. Tuttavia, poiché la legge del 1992 prevede che l’esercizio del diritto di caccia sia limitato a certe zone, il proprietario e anche il conduttore del fondo, entro trenta giorni dalla pubblicazione del piano regionale faunistico-venatorio, può inviare richiesta motivata al Presidente della giunta regionale, affinché il suo terreno non ne faccia parte. La richiesta è accolta, ove corrisponda a determinati requisiti e in particolare non ostacoli l'attuazione dalla pianificazione faunistico-venatoria o tenda alla salvaguardia di colture specializzate o sperimentali, oppure quando lo svolgimento dell'attività venatoria sia motivo di disturbo per attività di rilevante interesse economico, sociale o ambientale. Se la richiesta viene accolta l’interessato è tenuto a segnalare chiaramente il divieto, applicabile a tutti, proprietario compreso. Inoltre la legge prevede che la Regione versi al proprietario o al locatario, le cui terre siano comprese in una zona di caccia un contributo finanziario. Riguardo al risarcimento per i danni prodotti dalla fauna selvatica e dall'attività venatoria, l'art. 26 della legge, n.157, del 1992 prevede che venga istituito, a cura di ogni regione, un fondo destinato alla prevenzione e ai risarcimenti, nel quale affluisce anche una parte dei proventi delle tasse di concessione regionale. |
Il diritto di caccia e il diritto di proprietà |
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I territori di caccia |
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Tutto il territorio agro-silvo-pastorale nazionale è soggetto a pianificazione faunistico-venatoria, finalizzata, per quanto riguarda le specie carnivore, alla conservazione delle effettive capacità riproduttive e al contenimento naturale di altre specie e, per quanto riguarda le altre specie, al conseguimento della densità ottimale, mediante la riqualificazione delle risorse ambientali e la regolamentazione del prelievo venatorio. La legge del 1992 prevede che la pianificazione venga attuata dalle regioni mediante destinazione differenziata del territorio nel modo che segue: - Zone di protezione della fauna selvatica, che rappresentino dal 20 al 30% del territorio agro-silvo-pastorale, dove la caccia deve essere vietata; - Aziende faunistico-venatorie (associazioni senza fini di lucro con obiettivi naturalistici), ovvero aziende agri-turistico-venatorie (imprese agricole destinate ad ospitare fauna) per la caccia riservata a gestione privata, su di una superficie massima del 15%[1]; - Territori di caccia sul resto dello spazio considerato, nei quali le regioni devono incoraggiare la gestione programmata della caccia. Qui le regioni provvedono a delimitare gli ambiti territoriali di caccia su base subprovinciale, possibilmente omogenei e delimitati da confini naturali. L'Ambito Territoriale di Caccia rappresenta uno dei perni della riforma: è attraverso questo strumento che deve realizzarsi in concreto la programmazione dell'attività venatoria. Il nuovo regime di caccia programmata si caratterizzerebbe infatti per una predeterminata presenza di cacciatori legati al territorio e coinvolti nella sua gestione. Ai sensi dell'art.14, comma 4, della legge, il Ministero delle politiche agricole stabilisce con periodicità quinquennale, sulla base di dati censuari, l'indice di densità venatoria minima per ogni ambito territoriale di caccia. Tale indice è costituito dal rapporto fra il numero dei cacciatori e il territorio agro-silvo-pastorale nazionale[2]. Ogni cacciatore ha il diritto di accedere, ad uno o più ambiti territoriali della provincia di residenza, nei limiti numerici posti da i regolamenti di attuazione dei piani faunistico-venatori. Le province, sulla base degli orientamenti impartiti dall'Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, predispongono tali piani, definendo le oasi di protezione destinate al rifugio alla protezione e alla sosta della fauna selvatica, le zone di ripopolamento e di cattura, le zone di addestramento per i cani, i luoghi destinati agli appostamenti fissi. I piani provinciali sono coordinati a livello regionale. |
Le differenti categorie di terreni di caccia |
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I periodi di caccia |
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La legge, n. 157, del 1992, all'art. 18 fissa il calendario per le varie specie, ripartendole in quattro gruppi: - le specie che possono essere cacciate a partire dalla terza domenica di settembre al 31 dicembre ( in particolare, fra le altre, quaglie, pernici e lepri); - quelle che possono essere cacciate dalla terza domenica di settembre al 31 gennaio ( in particolare, fra le altre, fagiani, beccacce e anatre); - quelle che possono essere cacciate tra il 10 ottobre e il 30 novembre (in particolare, fra le altre, camoscio, capriolo, cervo, daino e muflone); - il cinghiale non può essere cacciato che fra il 10 ottobre e il 31 dicembre o fra il 10 novembre e il 31 gennaio. La caccia è vietata quando il terreno sia coperto dal manto nevoso. Malgrado il divieto introdotto dalla legge nazionale di cacciare quando il terreno sia ricoperto dal manto nevoso, le regioni alpine possono autorizzare la caccia in tali condizioni atmosferiche, mediante esplicite disposizioni. La legge nazionale consente alle regioni di modificare il calendario nazionale. Queste possono, previo parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, ampliare il periodo di caccia o al contrario restringerlo, nonché vietare la caccia per determinate specie, ad esempio per densità della fauna, per ragioni climatiche particolari o per motivi sanitari. Tuttavia hanno l'obbligo contenere i termini tra il 1° settembre ed il 31 gennaio. Ogni regione è tenuta alla pubblicazione del calendario venatorio entro il 15 giugno di ogni anno, accompagnato dalla determinazione del numero di animali che possono essere abbattuti per ogni giorno di caccia.
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Il calendario di caccia
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La legge nazionale stabilisce che il numero settimanale dei giorni di caccia è limitato a tre e che la caccia è vietata nei giorni di martedì e di venerdì. La legge nazionale consente, pertanto, alle regioni di scegliere tre giorni della settimana durante i quali è possibile cacciare, a condizione di rispettare il divieto nei giorni di martedì e di venerdì. La maggior parte delle regioni consentono ai cacciatori di scegliere i tre giorni nei quali preferiscono cacciare. Tuttavia alcune regioni limitano a due giorni alla settimana (generalmente la domenica e un altro giorno) la caccia in alcuni mesi, per certe specie o per talune modalità di caccia. Altre stabiliscono direttamente i tre giorni di caccia per tutti i cacciatori, come ad esempio la Basilicata, o per la caccia a determinate specie (in particolare per il cinghiale). Talune regioni hanno stabilito il divieto di caccia in occasione di determinate festività. Così, ad esempio, in Sardegna è vietata la caccia nel giorno di Natale. Le regioni possono fissare i giorni di caccia per settimana in un numero superiore a tre per la caccia agli uccelli migratori, che si svolge dal 10 ottobre al 30 novembre, sempre tuttavia mantenendo il divieto di caccia nei giorni di martedì e di venerdì.
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I giorni della settimana in Cui la caccia È vietata |
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La caccia, secondo la legge nazionale, è consentita da un'ora prima del sorgere del sole fino al tramonto. La caccia di selezione per gli ungulati è consentita fino ad un'ora dopo il tramonto. Le singole regioni determinano l'orario di caccia giornaliero facendo riferimento a periodi di quindici giorni. Ad esempio la Toscana stabilisce un orario dalle ore 6 alle ore 19 dal 19 al 30 settembre, dalle 6 e 30 alle 18 e 30 dal 1° al 15 ottobre ecc. |
Gli orari di caccia |
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Il permesso di caccia |
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L'esercizio della caccia si svolge per concessione dello Stato. L'art.12 ribadisce il principio in base al quale l'attività venatoria è intesa come concessione che lo Stato rilascia ai cittadini che la richiedono e che possiedano i requisiti previsti dalla legge. Per ottenere la licenza occorre il triplice requisito della maggiore età, del conseguimento del permesso di porto di fucile da caccia, del possesso di polizza assicurativa, sia per danni a terzi, sia per gli infortuni personali. I massimali sono aggiornati ogni quattro anni, con decreto, dal Ministro delle politiche agrarie. Il primo rilascio della licenza di porto di fucile per uso di caccia è subordinata al superamento di un esame, dinanzi ad una commissione nominata dalla regione in ciasun capoluogo di provincia. Le regioni devono, secondo la legge nazionale, verificare che il candidato abbia conoscenza sufficiente delle seguenti materie: - legislazione venatoria; - zoologia applicata alla caccia con prove pratiche di riconoscimento delle specie cacciabili; - armi e munizioni da caccia e relativa legislazione; - tutela della natura e principi di salvaguardia della produzione agricola; - norme di pronto soccorso; Per sostenere gli esami il candidato deve essere munito di un certificato medico di idoneità. Il candidato che ha superato l'esame ottiene il permesso valevole in tutto il territorio nazionale, per un periodo di sei anni. Durante i dodici mesi seguenti al primo rilascio del permesso di caccia, il cacciatore deve essere accompagnato da un cacciatore titolare di un permesso da almeno tre anni, che non abbia commesso alcuna delle infrazioni della legge sulla caccia, sanzionate dalla sospensione o dall'annullamento del permesso di caccia. I cacciatori debbono inoltre essere in possesso di un tesserino, rilasciato dalle autorità regionali, contenente le indicazioni relative al calendario venatorio, ai giorni della settimana in cui la caccia è consentita e le eventuali scelte in proposito da parte del cacciatore, nonché indicazioni sulle forme di caccia autorizzate e i territori. I cacciatori sono inoltre tenuti ad annotare sul tesserino la modalità di caccia prescelta fra quelle indicate dal legislatore al comma 5 dell'art.12 della legge del 1992 e cioè: - caccia vagante in zona Alpi; - appostamento fisso; - altre forme di pratica venatoria consentite. |
Il rilascio del permesso di caccia |
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Alla fine dei sei anni il rinnovo del permesso per il fucile da caccia presuppone la presentazione di un nuovo certificato medico. Annualmente il cacciatore è tenuto al pagamento di una tassa regionale. |
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La legge sulla caccia prevede delle sanzioni di carattere penale. In alcuni casi si giunge sino alla sospensione del permesso di caccia, che si accompagna al sequestro delle armi da caccia. Il permesso di portare il fucile da caccia può essere sospeso, per un periodo di durata compresa fra un anno e tre anni, qualora il cacciatore abbia commesso le infrazioni definite dalla legge quadro sulla caccia, che corrispondono essenzialmente al mancato rispetto dei divieti di caccia riguardanti i territori o le specie. L'annullamento del permesso, che prevede l'obbligo di superare nuovamente l'esame, può essere comminato qualora l'animale abbattuto sia un animale appartenente ad una specie alla quale è riservata una speciale protezione, come l'orso, o qualora siano stati utilizzati dei mezzi di caccia agli uccelli vietati. A seguito dell'annullamento non può essere richiesto un nuovo permesso per un periodo di dieci anni. In caso di recidiva o di più gravi infrazioni definite dalla legge quadro, il ritiro del permesso può essere definitivo. La vigilanza sull'applicazione della legge n.157 del 1992 e delle leggi regionali è affidata, fra gli altri, agli agenti dipendenti degli enti locali delegati dalle regioni, alle guardie volontarie di talune associazioni venatorie, agricole e di protezione ambientale nazionali, alle quali sia riconosciuta la qualifica di guardia giurata, nonché agli ufficiali, sottufficiali e guardie del Corpo forestale dello Stato e agli appartenenti alla polizia giudiziaria.
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Il ritiro del permesso di caccia |
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Le competenze del Ministero delle politiche agricole e il decentramento.
Per quanto concerne, innanzitutto, la normativa di rango costituzionale, la caccia non risulta espressamente menzionata nel nuovo articolo 117 Cost. Risulta, tuttavia, attribuita alla competenza esclusiva statale la disciplina legislativa in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, mentre è devoluta alla potestà concorrente la disciplina dell’ordinamento sportivo e del governo del territorio. |
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La legge del 1992, per quanto riguarda la ripartizione di competenze tra Stato e Regioni in materia venatoria, ha elencato le specie protette, le specie cacciabili ed i periodi in cui la caccia a tali specie è consentita; all’art.18, invece, ha previsto in capo alle regioni, la facoltà di modificare tali periodi per determinate specie, in relazione alle situazioni ambientali delle diverse realtà territoriali, previo parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica, e previa la predisposizioni di adeguati piani faunistico-venatori. Allo Stato inoltre, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’Agricoltura e delle foreste, d’intesa con il Ministro dell’ambiente, sentito l’Istituto nazione per la fauna selvatica, è stata riservata anche la modifica dell’elenco delle specie cacciabili, da esercitare in conformità alle direttive comunitarie e alle convenzioni internazionali sottoscritte, tenendo conto altresì della consistenza delle singole specie sul territorio. L’art. 19 della legge sulla caccia del 1992, per completare il quadro delle disposizioni, ha previsto che le regioni, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico artistico, per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche, possano provvedere al controllo selettivo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia, di norma mediante l’utilizzo di metodi ecologici, su parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica, ed in subordine, nel caso di inefficacia di tali metodi, autorizzando i piani di abbattimento.
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Le Compe- tenze in base alla legge n. 157 del 1992 |
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La legge sulla caccia del 1992 ha portato ad un ulteriore grado di sviluppo il trasferimento delle funzioni amministrative alle province, realizzando quell’articolato sistema di attribuzioni che il testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali – D. Lgs, n. 267 del 18 agosto 2000 ha inteso strutturare. Secondo quanto disposto dall’art. 19 del testo unico richiamato, alla provincia spettano le funzioni amministrative di interesse provinciale che comprendono vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale in determinati settori, tra i quali figurano la caccia e la protezione della fauna.
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La legge n. 142 del 1990 |
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Il D.Lgs n.143 del 1997 - primo provvedimento di attuazione della legge 15 marzo 1997, n.59, di delega per la riforma della pubblica amministrazione - con il quale fra l'altro si sopprime il Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali e si istituisce il Ministero per le politiche agricole, riconosce la competenza regionale per tutte le funzioni precedentemente svolte dal Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali, fra le quali è menzionata la caccia. L'art.3, comma 2, del citato D.Lgs n.143, inserisce fra i compiti di disciplina generale e di coordinamento nazionale che spettano al nuovo Ministero per le politiche agricole - che deve fungere fondamentalmente da centro di riferimento degli interessi nazionali nella propria area di competenza, individuata nella materia agricola, forestale agroalimentare, piuttosto che conservare competenze gestionali- la salvaguardia e tutela delle biodiversità vegetali e animali e dei rispettivi patrimoni genetici nonchè le specie cacciabili.
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Il D. Lgs. n. 143 del 1997 |
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Una più precisa ripartizione di competenze, fra lo Stato, le regioni e gli enti locali, viene prevista nel D.P.R. dell’8 settembre 1997, n. 357, regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche - rinnovato con D.M. del 20 gennaio 1999[3] -. Ai sensi di tale decreto, conformemente alla normativa comunitaria, l’Italia è tenuta ad istituire apposite zone speciali di conservazione degli habitat delle specie di uccelli selvatici. La procedura da seguire in tal caso riserva alla regioni il compito di individuare i siti degli habitat e di adottare le relative misure di conservazione. Al Ministro dell’ambiente viene attribuita invece la funzione di comunicare l’elenco dei siti alla Commissione dell’Unione Europea; di designare con decreto ministeriale i siti suddetti quali “zone speciali di conservazione”, entro sei anni dalla definizione dei siti da parte della Commissione dell’Unione Europea e di definire con la Conferenza Stato-Regioni-Città, nell’ambito delle linee fondamentali dell’assetto del territorio, le direttive per la gestione delle aree di collegamento ecologico funzionale.
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Il D.P.R. n. 357 del 1997 |
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Il D.Lgs. del 31 marzo 1998, n.112, Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della legge n.59 del 1997, ha posto un nuovo assetto nell'ambito delle competenze Stato - regioni anche in materia di tutela della flora e della fauna. Così, malgrado il comparto agricolo - forestale abbia trovato una sistemazione ad opera di uno specifico provvedimento, il decreto legislativo in questione regola materie di particolare interesse per il comparto primario e anche per il tema qui trattato. Infatti sono state devolute alle regioni e agli enti locali tutte le funzioni amministrative inerenti alla materia della protezione della natura che non rientrano in quelle espressamente mantenute allo Stato, ovvero quei compiti (art.69 lett. b, i, l, m, del D.Lgs. n. 112/98) che (conformemente all’art.1, comma 4, lett. c, della legge n. 59/97) assumono “rilievo nazionale per la tutela dell’ambiente”. In particolare sono di competenza statale le funzioni relative: alla conservazione ed alla valorizzazione della aree naturali protette terrestri e marine ivi comprese le zone umide, riconosciute di importanza internazionale o nazionale, nonché alla tutela della biodiversità, della fauna e della flora specificamente protette da accordi e convenzioni e dalla normativa comunitaria; alle variazioni dell’elenco delle specie cacciabili, ai sensi dell’art.18, comma 3, della legge 11 febbraio 1992, n. 157; all’indicazione delle specie della fauna e della flora terrestre e marina minacciate di estinzione; all’autorizzazione in ordine all’importazione e all’esportazione di fauna selvatica viva appartenente alle specie autoctone. Il legislatore, sottraendo alle regioni e agli enti locali “tutte quelle funzioni amministrative non espressamente indicate nelle disposizioni che concernono le competenze statali” (artt. 68 e 69 del D.Lgs. n. 112/98), vi fa rientrare ad ogni modo quelle che concernono: il controllo in ordine alla commercializzazione e detenzione degli animali selvatici, il ricevimento di denunce, i visti su certificati d’importazione, il ritiro dei permessi errati o falsificati, l’autorizzazione alla detenzione temporanea, ad eccezione della normativa di cui alla Convenzione sul commercio internazionale delle specie di faune e di flora selvatiche minacciate di estinzione[4].
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Il D. Lgs. n. 112 del 1998 |
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Il decreto legislativo n. 300 del 1999, che riforma l'organizzazione di Governo a norma della legge Bassanini, non innova nulla quanto a distribuzione di competenze fra amministrazioni centrali, da una parte, e regioni, province e autonomie locali dall'altra. Infatti, l'art. 33, relativo alle attribuzioni del Ministero per le politiche agricole e forestali, stabilisce che sono attribuiti al Ministero le funzioni e i compiti spettanti allo Stato, fra l'altro, in materia di caccia, ai sensi del decreto legislativo n.143 del 1997. Il decreto-legge 12 giugno 2001, n. 217, recante modificazioni al decreto legislativo 30 luglio n. 300, non ha inciso sulla materia della caccia.
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Il D. Lgs. n. 300 del 1999 |
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Tabella n. 1
Numero di cacciatori e variazioni
Anni |
Cacciatori(*) |
Numeri Indice |
Variazione % anno |
1990 |
1.446.935 |
100,0 |
-2,3 |
1991 |
1.315.946 |
90,9 |
-9,1 |
1992 |
1.137.801 |
78,6 |
-13,5 |
1993 |
1.023.157 |
70,7 |
-10,1 |
1994 |
966.586 |
66,8 |
-5,5 |
1995 |
901.006 |
62,3 |
-6,8 |
1996 |
874.627 |
60,4 |
-2,9 |
1997 |
809.983 |
55,9 |
-7,4 |
1998 |
770.000 |
53,3 |
-4,8 |
1999 |
750.000 |
51,7 |
-2,6 |
2000 |
730.000 |
50,5 |
-2,7 |
(*) Numero di persone che richiedono il tesserino per praticare l’attività venatoria.
Fonte: Eurispes 1998-2005 (Istat 1990-1997)
Tabella n. 2
Numero di cacciatori per regione e rapporto con la popolazione
Anno 2000 - Stime
Regioni |
Cacciatori |
% sul totale |
Cacciatori per |
Densità |
Piemonte |
11.680 |
1,6 |
2,7 |
0,01 |
Valle d’Aosta |
1.460 |
0,2 |
12,2 |
0,01 |
Lombardia |
87.600 |
12,0 |
9,8 |
0,05 |
Trentino Alto Adige |
12.410 |
1,7 |
12,7 |
0,01 |
Veneto |
54.020 |
7,4 |
11,5 |
0,04 |
Friuli Venezia Giulia |
19.710 |
2,7 |
16,1 |
0,04 |
Liguria |
27.010 |
3,7 |
16,3 |
0,07 |
Emilia Romagna |
55.480 |
7,6 |
13,3 |
0,04 |
Toscana |
106.580 |
14,6 |
29,5 |
0,06 |
Umbria |
37.960 |
5,2 |
45,1 |
0,06 |
Marche |
26.280 |
3,6 |
17,7 |
0,04 |
Lazio |
68.620 |
9,4 |
12,5 |
0,05 |
Abruzzo |
13.140 |
1,8 |
9,8 |
0,02 |
Molise |
3.650 |
0,5 |
10,8 |
0,01 |
Campania |
46.720 |
6,4 |
8,0 |
0,05 |
Puglia |
27.740 |
3,8 |
6,4 |
0,02 |
Basilicata |
10.220 |
1,4 |
16,3 |
0,01 |
Calabria |
30.660 |
4,2 |
14,2 |
0,03 |
Sicilia |
46.720 |
6,4 |
8,8 |
0,03 |
Sardegna |
42.340 |
5,8 |
24,9 |
0,03 |
Italia |
730.000 |
100,0 |
12,6 |
0,03 |
Nord-Centro |
521.950 |
71,5 |
14,3 |
0,04 |
Mezzogiorno |
208.050 |
28,5 |
9,8 |
0,03 |
(a) Rapporto tra il numero dei cacciatori e la superficie agro-forestale espressa in ettari.
Fonte: Elaborazione Eurispes su dati Istat.
La normativa europea e le convenzioni internazionali |
|
La legge 11 febbraio 1992, n.157, contiene numerosi richiami sia alla normativa dell'Unione Europea, sia alle convenzioni internazionali in materia di protezione della fauna. Anche in considerazione del rilievo che l'attività venatoria assume per i vari Paesi dell'Unione Europea - si veda in proposito la Tabella n.1 di seguito pubblicata - piuttosto vasta appare in materia la normativa comunitaria, anche successiva alla legge citata. Fra le più rilevanti direttive in materia appare opportuno ricordare: - la direttiva C.E.E. n.409 del 2 aprile 1979[5], concernente la conservazione degli uccelli selvatici, prima direttiva comunitaria in materia di caccia[6], che introduce -una serie di divieti e limiti finalizzati ad una migliore tutela della fauna selvatica, prevedendo, inoltre, all'art.9, lett. c), la possibilità per gli Stati membri di introdurre un regime derogatorio (cioè più permissivo) quando ricorrano alcuni presupposti (tra l'altro, per ragioni attinenti alla salute e alla sicurezza pubblica, alla sicurezza aerea, alla prevenzione di danni alle colture, al bestiame, ai boschi) e a condizione di un regime di severo controllo dei presupposti stessi[7]; - la direttiva C.E.E. n.477 del 1991 (attuata in Italia con il d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 527) per la carta europea d'arma da fuoco, con cui i titolari possono liberamente trasferire da uno stato membro della comunità europea a un altro le armi di caccia per l'esercizio dell'attività venatoria; - la direttiva C.E.E. n.45 del 16 giugno1992, che è intervenuta a stabilire i requisiti sanitari applicabili all'uccisione della selvaggina, nonché alla preparazione e alla commercializzazione delle relative carni. Tra le considerazioni introduttive il legislatore comunitario riconosce l'importanza della commercializzazione di carni di selvaggina come fonte di reddito per un parte della popolazione rurale. La direttiva non trova applicazione nel caso di cessione da parte del cacciatore di piccole quantità di capi interi di selvaggina abbattuta non scuoiata e non spennata e nel caso di selvaggina piccola non eviscerata. Rientra tra i compiti degli Stati membri la vigilanza affinché le carni di selvaggina provengano da esemplari uccisi in territorio di caccia e con mezzi autorizzati dalla legislazione nazionale sull'attività venatoria; Per quanto riguarda le convenzioni internazionali si ricordano: - la Convenzione di Berna del 1979, per la conservazione della fauna, della flora selvatiche e dell'habitat naturale in Europa[8], con la quale sono state poste le basi per una protezione normativa uniforme per la flora e la fauna nel continente. Gli Stati si sono accordati per prendere tutte le misure necessarie per proteggere l'habitat della flora e della fauna selvatiche e di prestare particolare attenzione a quelle aree di specifico rilievo per le specie migratorie. Queste specie di animali, che sono elencate nell'Appendice III, possono essere cacciate, ma, in considerazione del loro status, sono soggette ad un più elevato livello di protezione: stagioni di caccia definite, regolamentazione della vendita ecc.; - la Convenzione di Bonn del 1979, sulla conservazione della specie migratrici della fauna selvatica"[9], che prevede misure per la conservazione degli uccelli acquatici, prestando particolare attenzione alle specie a rischio di estinzione. A questo fine, il piano di azione e le linee guida per la conservazione, adottati tenendo di alcune priorità in relazione alle specie da tutelare, hanno come temi principali: le specie e la conservazione del loro habitat, la regolamentazione delle attività umane, la ricerca e il monitoraggio, l'educazione e l'informazione; - Convenzione di Ramsar del 1971, sulla conservazione delle zone umide"[10], in base alla quale ogni Paese partecipante è tenuta ad individuare almeno una zona umida da includere in una lista di zone umide, che assumeranno un'importanza internazionale da un punto di vista ecologico, nonché ad assumere responsabilità anche a livello internazionale per la protezione della fauna di tali zone e per la razionalizzazione della cattura. Gli Stati sono tenuti inoltre a favorire la conservazione delle zone umide e degli uccelli che vi vivono, creandovi delle riserve.
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|
Tabella n. 3
Stati |
Area |
Popolazione |
Densità |
cacciatori |
% cacciatori |
Relazione |
km2 |
in milioni |
abitanti/km2 |
abitante/ |
|||
|
|
|
cacciatore |
|||
Austria |
84.000 |
8 |
97 |
115.000 |
1,4 |
70 |
Belgio |
31.000 |
10 |
337 |
20.000 |
0,2 |
500 |
Cipro |
9.000 |
0,7 |
82 |
45.000 |
6,4 |
15 |
Danimarca |
43.000 |
5 |
125 |
160.000 |
3,2 |
31 |
Estonia |
43.000 |
1,5 |
31 |
15.000 |
0,1 |
100 |
Finlandia |
306.000 |
5 |
15 |
290.000 |
5,8 |
17 |
Francia |
544.000 |
61 |
107 |
1.400.000 |
2,3 |
44 |
Germania |
357.000 |
82 |
230 |
340.000 |
0,4 |
241 |
Grecia |
132.000 |
10 |
83 |
270.000 |
2,7 |
37 |
Irlanda |
70.000 |
3 |
54 |
350.000 |
8,9 |
9 |
Italia |
301.000 |
57 |
181 |
900.000 |
1,6 |
63 |
Lettonia |
65.000 |
2 |
37 |
25.000 |
1,2 |
80 |
Lituania |
65.000 |
3 |
57 |
25.000 |
0,8 |
120 |
Lussemburgo |
3.000 |
0,4 |
174 |
2.000 |
0,5 |
200 |
Malta |
300 |
0,4 |
1234 |
15.000 |
3,7 |
27 |
Paesi Bassi |
34.000 |
15 |
385 |
30.000 |
0,2 |
500 |
Portogallo |
92.000 |
10 |
113 |
230.000 |
2,3 |
43 |
Regno Unito |
244.000 |
59 |
241 |
800.000 |
1,3 |
74 |
Rep Ceca |
79.000 |
10 |
131 |
110.000 |
1,1 |
91 |
Slovacchia |
49.000 |
5 |
110 |
55.000 |
1,1 |
100 |
Slovenia |
20.000 |
1 |
99 |
20.000 |
2 |
91 |
Spagna |
505.000 |
39 |
78 |
1.100.000 |
2,8 |
35 |
Svezia |
411.000 |
8 |
20 |
290.000 |
3,6 |
28 |
Ungheria |
93.000 |
9 |
107 |
50.000 |
0,5 |
180 |
(Fonte: Face - Associazione internazionale con sede a Bruxelles, i cui membri sono associazioni di cacciatori)
REGIONE
|
RIFERIMENTO NORMATIVO
|
ABRUZZO
|
§ LEGGE REGIONALE N. 10 DEL 28-01-2004 Normativa organica per l'esercizio dell'attività venatoria, la protezione della fauna selvatica omeoterma e la tutela dell'ambiente. |
BASILICATA
|
§ LEGGE REGIONALE N. 2 DEL 9-01-1995 Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio (Modificata dalle LL.RR. n. 14 del 11.3.1997 e n. 14 del 7.5.2003) |
CALABRIA
|
§ LEGGE REGIONALE N. 9 DEL 17-05-1996 Norme per la tutela e la gestione della fauna selvatica e l' organizzazione del territorio ai fini della disciplina programmata dell' esercizio venatorio. (Modificata dalle LL.RR. n. 7 del 2 maggio 2001 e n. 24 del 8 luglio 2002) § Delibera del Consiglio Regionale 25 giugno 2003, n. 222 - Piano Faunistico Venatorio Regionale - in particolare: attività venatoria in deroga |
|
§ Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha promosso ricorso per conflitto di attribuzione nei confronti della regione Calabria innanzi la Corte costituzionale (Ricorso n. 8 del 29/4/2004, pubblicato nella GU n. 31 del 11/8/2004). Oggetto del ricorso è la Delibera della Giunta regionale n. 88 del 17 febbraio 2004 (che non risulta pubblicata nel BUR) che ha consentito il prelievo venatorio in deroga di alcune specie selvatiche dal 21 febbraio al 21 marzo 2004 – in attuazione del piano faunistico venatorio regionale (D.C.R. 25 giugno 2003, n. 222) |
CAMPANIA
|
§ LEGGE REGIONALE N. 8 DEL 10-04-1996 Norme per la protezione della fauna selvatica e Disciplina dell' attività venatoria in Campania (Modificata dall’art. 49 della L.R. 26 luglio 2002, n. 15) § D.G.R. 9 settembre 2002, n. 4039. - Riformulazione calendario venatorio annata 2002-2003 in esecuzione sentenza Tar n. 4022 del 4/9/02. Il Calendario Venatorio 2002-2003 (D.G.R. 26 luglio 2002, n. 3628) è stato modificato a seguito della Sentenza del TAR Campania che ha disposto la sospensione dell’efficacia del calendario in relazione all’apertura anticipata per alcune specie faunistiche, nonostante il parere contrario dell’Istituto nazionale della Fauna Selvatica. |
|
§ La Corte costituzionale, con sentenza 2-15 ottobre 2003, n. 311 (G.U. n. 42 del 22 ottobre 2003), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della lettera lettera f), dell’articolo 49 della L.r. 15/2002 che modifica la lettera b) dell’articolo 16 della L.r. 8/1996. La disposizione censurata prorogava il termine di cessazione dell’attività venatoria per talune specie dal 31 gennaio al 28 febbraio. § Successivamente con Ordinanza n. 99 del 18 marzo 2004 (G.U. n. 12 del 24/3/2004) la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 49 della L.r. 26/7/2002, n. 15 – di modifica dell’art. 16 della L.r. 10 aprile 1996, n. 8, Norme per la protezione della fauna selvatica e Disciplina dell'attività venatoria in Campania. La decisione è intervenuta sul giudizio di legittimità costituzionale promosso dal TAR Campania a seguito del ricorso proposto dal WWF (Ricorso n. 607/2003 – G.U. n. 35/2003 – specie cacciabili nel territorio regionale e stagione venatoria: omessa previsione del parere dell’Istituto nazionale della Fauna Selvatica) |
EMILIA ROMAGNA
|
§ LEGGE REGIONALE N. 8 DEL 15-02-1994 Disposizioni per la protezione della fauna selvatica e per l' esercizio dell' attività venatoria (Modificata dalle L.R. n. 34 del 19.8.94,n. 30 del 25.8.97, n. 6 del 16.2.2000, n. 38 del 13 novembre 2001, n. 15 del 12 luglio 2002 e n. 17 del 2004) § LEGGE REGIONALE 12 luglio 2002, n. 15 Disciplina dell'esercizio delle deroghe previste dalla direttiva 79/409/CEE...". (modificata da ultimo dall’art. 37 della L.r. 17/2004) § LEGGE REGIONALE 12 luglio-2002 n. 14 Norme per la definizione del calendario venatorio regionale. |
|
§ La regione Emilia Romagna ha promosso ricorso per conflitto di attribuzione (Ricorso n. 7 del 19/3/2003 – pubblicato nella G.U. n. 13 del 2/4/2003) contro il Presidente del Consiglio dei ministri in relazione alla Decisione del Consiglio di Stato di conferma dell’Ordinanza del TAR Emilia Romagna che disponeva la sospensione cautelare del Calendario venatorio della Provincia di Bologna, calendario emanato – sostiene la ricorrente - in attuazione delle leggi regionali n. 14/2002 (Norme per la definizione del calendario venatorio regionale) e n. 15/2002 (esercizio delle deroghe previste dalla direttiva 79/409/CEE). |
FRIULI V.G.
|
§ Legge regionale n. 30 del 31-12-1999 Gestione ed esercizio dell'attività venatoria nella regione Friuli Venezia Giulia (Modificata dalle L.L.RR. n. 13/2000, n. 4/2001, n. 20/2001. § LEGGE REGIONALE 17-4-2003 n. 10 – Capo I, artt. 1-6 Disciplina del regime di deroga previsto dall'articolo 9 della direttiva n. 79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici. |
LAZIO
|
§ legge regionale n. 17 del 2-5-1995 Norme per la tutela della fauna selvatica e la gestione programmata dell'esercizio venatorio. (Modificata dalle L.R. n. 53 del 28 .10.1995 e n. 3 del 30 gennaio 2002) § Delib.G.R. 7-11-2003, n. 1116 - Legge regionale n. 17/1995, art. 35-bis. Prelievo in deroga della specie Storno (Sturnus Vulgaris). Art. 9 della direttiva n. 79/409/CEE e successive modifiche. |
LIGURIA
|
§ LEGGE REGIONALE N. 29 DEL 01- 07-1994 Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio. (Modificata dalle LL.RR. n. 15/1997, n. 29/1999, n. 38/2000. § LEGGE REGIONALE N. 34 DEL 5 ottobre 2001 Attuazione dell'articolo 9 della Direttiva comunitaria 79/409 del 2 aprile 1979 sulla conservazione degli uccelli Selvatici; § LEGGE REGIONALE N. 31 DEL 3-8-2002 Allegato B (sostituisce l’Allegato 1 alla legge 34/2001, recante specie, tempi e modalità del prelievo in deroga)
|
LOMBARDIA
|
§ LEGGE REGIONALE N. 26 DEL 16-08-1993 Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell'equilibrio ambientale e disciplina dell'attività venatoria (Modificata dalle LL.RR. n. 34/1998, n. 7/2002, n. 15/2002). § LEGGE REGIONALE N. 18 DEL 7/8/2002 Applicazione del regime di deroga previsto dall'art. 9 della direttiva 79/409/CEE del consiglio, del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici. |
|
§ La Corte costituzionale con sentenza n. 129 del 28/4/2004 (G.U. n. 18 del 5/5/2004) ha accolto il ricorso per conflitto di attribuzione sollevato dalla regione Lombardia. La Corte ha disposto l’annullamento dell’ordinanza del GIP di Cremona che aveva disposto la disapplicazione della legge della regione Lombardia n. 18/2002. |
MARCHE
|
§ LEGGE REGIONALE N. 7 DEL 5-01-1995 Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell'equilibrio ambientale e disciplina dell'attività venatoria (Modificata dalla L.R. n. 8 del 5.1.1995 e art. 35 della L.R. n. 11/2001) § Delib.G.R. 13-7-2004 n. 808 - L.R. n. 7/1995, art. 30 - Calendario venatorio 2004/2005 (in particolare: Caccia alle specie in deroga; analogamente nel Calendario venatorio 2002/2003, approvato con Delib.G.R. 2-7-2002 n. 1220-AG/SCP) |
MOLISE
|
§ LEGGE REGIONALE N. 19 DEL 10-08-1993 Norme per la protezione della fauna selvatica (Modificata dall’art. 1 della L.R. 19/2001 e n. 15/2004) |
|
§ Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 1, comma 19 della legge regionale n. 15/2004 (sostitutivo dell'art. 22, comma 8, della legge regionale 10 agosto 1993, n. 19) che prevede l’obbligo di pagamento, per i cacciatori di altra regione, per l'esercizio della caccia nel territorio di una Provincia della Regione Molise, per ogni ambito territoriale di caccia concesso, di una «quota» determinata dalla Provincia interessata in un importo compreso tra quello della tassa di concessione governativa ed il triplo della stessa (ricorso n. 80 del 6/8/2004 – G.U. n. 38 del 29.09.2004 ) |
PIEMONTE
|
§ LEGGE REGIONALE N. 70 DEL 4-09-1996 Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio (Integrata dalla L.R. 27.1.2000, n. 9) §
Delib.G.R. Non risulta disciplinato né attivato l’esercizio delle deroghe ai sensi dell’art. 9 della direttiva 79/409/CEE |
PUGLIA
|
§ LEGGE REGIONALE N. 27 DEL 13-08-1998 Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma, per la tutela e la programmazione delle risorse faunistico-ambientali e per la regolamentazione dell’attività venatoria. (modificata dalle LL.RR. n. 9/2000, art. 37, n. 7/2002 art. 38 e dalla l. 15/2003. § LEGGE REGIONALE 25 AGOSTO 2003, N. 16 – Applicazione del regime di deroga ai sensi della legge 3 ottobre 2002, n. 221. |
|
§ La Corte costituzionale, con sentenza n. 226 del 4/7/03 (GU n. 27 del 9/7/03), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del comma 2, articolo 38 della L.R. 21-5-2002 n. 7 che aggiungeva la lettera d-bis) al comma 1 dell'art. 31, L.R. 13 agosto 1998, n. 27. La disposizione censurata consentiva la caccia di talune specie di uccelli fino all’ultimo giorno di febbraio, in contrasto con le disposizioni della legge 157/1992. § Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato la legge regionale 25/10/2003, n. 15 modificativa dell'art. 33, comma 7, della legge regionale 13 agosto 1998, n. 27 - (ricorso n. 78 del 30/10/2003 – G.U. n. 48 del 3/12/2003). La modifica riguarda gli orari in cui viene consentito il prelievo venatorio, che viene esteso ad un’ora dopo il tramonto anche per la caccia da appostamento degli animali acquatici. |
SARDEGNA
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§ LEGGE REGIONALE 29 LUGLIO 1998, N. 23 Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia in Sardegna. (modificata dalle L:R:4/2000, 14/2000, n. 17/2000 e da ultimo n. 5/2002) § LEGGE REGIONALE 13 FEBBRAIO 2004, N. 2 Norme in materia di protezione della fauna selvatica e di prelievo venatorio in Sardegna, in attuazione della legge 3 ottobre 2002, n. 221. § Dec.Ass. 18-2-2004 n. 3/V - Prelievo in deroga ai sensi della L.R. 13 febbraio 2004, n. 2. § La Corte costituzionale, con sentenza n. 536 del 20/12/02 (G.U. ediz.Str. del 27/12/02), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L.R. n. 5/2002 che modifica l’art. 49 della L.R. 29/7/1998, n. 23. La disposizione censurata consentiva la caccia di talune specie di uccelli fino all’ultimo giorno di febbraio, in contrasto con le disposizioni della legge 157/1992 § Il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto ricorso per conflitto di attribuzione (ricorso n. 7 del 27/4/2004 – G.U. n. 30 del 4/8/04), chiedendo l’annullamento del Decreto dell’Assessore alla difesa dell’Ambiente 18/2/2004 n. 3/V con cui si consente il prelievo in deroga di alcune specie di volatili |
SICILIA
|
§ LEGGE REGIONALE N. 33 DEL 1-9-1997 Norme per la protezione, la tutela e l’incremento della fauna selvatica e per la regolamentazione del prelievo venatorio. Disposizioni per il settore agricolo e forestale. (Modificata dalle LL.RR. n. 15 del 31.8.1998, e n. 7 dell’8 maggio 2001) § Dec.Ass. 14-6-1994 Calendario venatorio 1994-95 (esercizio di deroghe in riferimento alla direttiva 79/409/CEE) |
TOSCANA
|
§ LEGGE REGIONALE N. 3 DEL 12 -1-1994 recepimento della Legge 11 febbraio 1992, n. 157 "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio". (Modificata dalle leggi regionali n. 58/1997, n. 7/1999, n. 20/2002e n. 36/2002. § LEGGE REGIONALE N. 31 DEL 26 LUGLIO 2002 Attuazione dell'articolo 9 della direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, per il periodo settembre 2002 - gennaio 2003. § Delib.G.R. 27-8-2004 n. 811 - L.R. n. 3/1994 articolo 37-bis - prelievo in deroga della specie storno. |
UMBRIA
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§ legge REGIONALE N. 14 DEL 17-05-1994 Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio. (Modificata dalle LL.RR. n. 18/1996, n. 22/1999, n. 32/2001, n. 20/2002e n. 17/2003) |
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§ Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato la legge regionale 29/7/2003, n. 17 modificativa della legge regionale 17 maggio 1994, n. 14 - (ricorso n. 72 del 17/10/2003 – G.U. n. 46 del 19/11/2003). La modifica interviene nel senso di ampliare la possibilità di prelievo venatorio, anticipando la possibilità di cacciare talune specie al 1° settembre. |
VALLE D'AOSTA
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§ legge REGIONALE N. 64 DEL 27-08-1994 Norme per la tutela e la gestione della fauna selvatica e per la disciplina dell'attività venatoria. (Modificata dalle LL.RR. n. 33/1996, n. 1/2000, n. 38/2001 e n. 25/2002) § Delib.G.R. 17-6-2002, n. 2202 - Approvazione del calendario venatorio per la stagione 2002/2003. Non risulta disciplinato né attivato l’esercizio delle deroghe ai sensi della 79/409/CEE - |
VENETO
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§ legge regionale N. 50 DEL 9-12-1993 norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio (Modificata dalle LL. RR. N. 37/1997, n. 7/1999, n. 27/2001. § legge regionale N. 17 DEL 13-8-2004 Disciplina del regime di deroga previsto dall'articolo 9 della direttiva 79/409/CEE del 2 aprile 1979 del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici, in attuazione della legge 3 ottobre 2002, n. 221 "Integrazioni alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, in materia di protezione alla fauna selvatica e di prelievo venatorio, in attuazione dell'articolo 9 della direttiva comunitaria 79/409/CEE” |
PROV. TRENTO
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§ Legge Provinciale N. 24 DEL 9-12-1991 Norme per la protezione della fauna selvatica e per l'esercizio della caccia (modificata, dalla L.P. n. 10/1998 e da ultimo dalla L.P. n. 8/2004) |
PROV. BOLZANO |
§ Legge Provinciale N. 14 DEL 17-7-1987 Norme per la protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia (modificata, dalla L.P. n. 10/1998 e da ultimo dalla L.P. n. 4/2000) § D.P.G.P. 6-4-2000 n. 18 Regolamento relativo alle norme per la protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia. . |
(a cura dell’Ufficio Rue)
Sentenze
Sulla istituzione e conservazione delle zone speciali di protezione previste dalla direttiva 79/409/CEE relativa alla conservazione degli uccelli selvatici e dalla direttiva 92/43/CEE sulla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatica (direttiva Habitat)[11], la Corte di giustizia ha emesso due sentenze di condanna dell’Italia. In particolare, il 23 marzo 2003, l’Italia è stata condannata:
Si ricorda che il 16 ottobre 2003 la Corte di Giustizia, in una causa[14] che opponeva la Francia alla Ligue pour la protection des oiseaux, ha stabilito che uno Stato membro può derogare in determinati casi e sotto alcune condizioni ai periodi di apertura e chiusura della caccia agli uccelli selvatici.
Procedure in atto
Il 30 marzo 2003 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora[15] per violazione della direttiva 79/409/CEE sulla conservazione degli uccelli selvatici. Secondo la Commissione, l’Italia avrebbe omesso di adottare le misure idonee ad evitare il degrado degli habitat naturali e la perturbazione delle specie viventi nella zona protetta ZPS IT 3210018 “Basso Garda” . In particolare i rilievi della Commissione sottolineano che :
Il 16 dicembre 2003 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato[16] per la mancata applicazione delle misure di salvaguardia previste per le zone speciali di conservazione e/o di protezione, ai sensi dell’art. 7 della direttiva 92/43.
In particolare l’Italia non avrebbe adottato le misure idonee ad evitare il degrado della zona di protezione speciale IT5210070 “Lago Trasimeno”. Tale degrado, causato da un impoverimento idrico di rilevante entità (per scopi agricoli e licenze di varia natura), ha compromesso la funzionalità ecologica del sito. Inoltre sulle parti prosciugate è in corso di costruzione una pista ciclabile senza che sia stata effettuata la valutazione di incidenza prevista dall’art. 6 della direttiva 92/43. La Commissione ritiene pertanto che l’Italia sia venuta meno agli obblighi derivanti dagli articoli 6 e 7 della direttiva 92/43/CEE.
La Commissione ha inviato all’Italia, il 13 luglio 2004, quattro pareri motivati. L’Italia avrebbe violato la direttiva n. 92/43/CEE e la direttiva n. 79/409/CEE omettendo di valutare l’impatto potenziale di una serie di progetti di costruzione all’interno dei siti protetti. In particolare i rilievi della Commissione sono relativi ai seguenti casi:
Si segnala che, a seguito delle numerose controversie sorte negli ultimi anni a proposito della compatibilità della caccia con alcune disposizione della direttiva 79/409/CEE sulla conservazione degli uccelli selvatici, e in occasione del 25° anniversario della sua adozione, la Commissione ha presentato nell’agosto 2004 una Guida volta a chiarire le disposizioni della direttiva stessa con indicazione più complete ed esaurienti.
Documenti all’esame dell’UE
La Commissione ha presentato, il 15 luglio 2004, una comunicazione sul finanziamento della rete Natura 2000[21] (COM(2004) 431). Con il documento la Commissione propone che l’attuazione della rete Natura 2000 venga cofinanziata, su richiesta degli Stati membri interessati, attraverso i fondi strutturali e i fondi per lo sviluppo rurale. La Commissione provvederà all’adozione di orientamenti sull’utilizzo di detti fondi a sostegno della rete Natura 2000.
Il 14 ottobre 2004 il Consiglio ha iniziato la discussione della comunicazione che è in attesa di essere esaminata dal Parlamento europeo.
Il 30 luglio 2004 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva che introduce norme relative a metodi di cattura non crudeli per alcune specie di animali (COM(2004)532). La proposta introduce il divieto all’uso di tutte le trappole, finalizzate all’immobilizzazione e all’uccisione di 19 specie di animali da pelliccia, che non risultino conformi alle norme previste dai due accordi conclusi nel 1998 tra UE, Canada e Federazione russa, e tra UE e USA, sulle norme internazionali relative a metodi di cattura non crudeli.
La proposta, che segue la procedura di codecisione, è in attesa di esame da parte del Parlamento europeo e del Consiglio.
L’8 agosto 2004 la Commissione ha presentato una proposta di decisione relativa alla conclusione, da parte della Comunità europea, dell’accordo sulla conservazione degli uccelli acquatici migratori afro-euroasiatici (COM(2004)531). La Comunità è parte della Convenzione sulla conservazione delle specie migratrici della fauna selvatica (Convenzione di Bonn) che prevede la conclusione di accordi regionali per le specie il cui stato di conservazione è sfavorevole. L’accordo presentato nella proposta è volto a creare un quadro normativo per una politica concertata di conservazione da parte degli Stati europei ed africani dell’area di distribuzione delle suddette specie di migratori acquatici .
La proposta, che segue la procedura di consultazione, è in attesa di essere esaminata dal Parlamento europeo e dal Consiglio.
COMMISSIONE XIII
AGRICOLTURA
RESOCONTO STENOGRAFICO
INDAGINE CONOSCITIVA
1.
SEDUTA DI MERCOLEDI 7 MAGGIO 2003
presidenza del vicepresidente Gianluigi Scaltritti
La seduta comincia alle 15,35.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
Audizione di rappresentanti delle associazioni ambientaliste WWF, LIPU, Lega per l'abolizione della caccia, LAV e Legambiente.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva inerente l'esame dei progetti di legge C. 27 Stefani, C. 291 Massidda, C. 498 Bono, C. 1417 Onnis, C. 1418 Onnis, C. 2016 Benedetti Valentini, C. 2314 Serena, C. 3533 Pezzella e C. 3761 Bellillo, recanti «Modifiche alla legge n.157 del 1992, protezione della fauna selvatica e prelievo venatorio», l'audizione di rappresentanti delle associazioni ambientaliste WWF, LIPU, Lega per l'abolizione della caccia, LAV e Legambiente.
Sono presenti Gaetano Benedetto e Sara Fioravanti per il WWF, Camillo Danilo Selvaggi per la LIPU, Carlo Consiglio per la Lega per l'abolizione della caccia, Ennio Bonfanti per la LAV ed Antonino Morabito per Legambiente. Rivolgo un saluto ai nostri ospiti e do loro la parola.
GAETANO BENEDETTO, Segretario aggiunto per gli affari pubblici e le relazioni istituzionali del WWF. La ringrazio, signor presidente.
Premetto che è intenzione delle associazioni invitate oggi in questa sede svolgere un unico e breve intervento, affidato al sottoscritto: si tratterà, in pratica, di una «non audizione». La nostra presenza oggi presso questa Commissione testimonia il rispetto che le associazioni ambientaliste hanno nei confronti delle istituzioni parlamentari.
Come i deputati presenti ben sanno, le associazioni ambientaliste non hanno mai declinato l'invito a partecipare ad audizioni o ad altre occasioni di incontro nelle sedi parlamentari, di qualunque natura; anzi, hanno sempre fornito documenti, osservazioni e quant'altro potesse contribuire alla riflessione ed all'approfondimento dei temi trattati dal Parlamento e per i quali veniva richiesta l'opinione delle associazioni ambientaliste.
Nella vicenda in oggetto stiamo vivendo una condizione di grave imbarazzo. Siamo in presenza, infatti, di una situazione fortemente contraddittoria; pertanto, il mio breve intervento si limiterà alla formalizzazione di una nota, sottoscritta da WWF, Lega per l'abolizione della caccia, LAV, LIPU e Legambiente, che lasciamo agli atti della Commissione e con la quale manifestiamo, tra l'altro, come sia fortemente opinabile la procedura che la Commissione agricoltura della Camera dei deputati ha deciso di seguire con riferimento a questa indagine conoscitiva.
Per essere più chiaro, a nostro avviso manca il presupposto istituzionale, obbligatorio per legge, per lo svolgimento di una indagine conoscitiva in tema di attività venatoria. Mi riferisco alla relazione del Ministero delle politiche agricole e forestali, obbligatoria ex articolo 35 della legge n.157 del 1992, sullo stato di attuazione della normativa in materia. Tale relazione non è mai stata presentata, così come non sono stati forniti quegli elementi tecnici che avrebbero dovuto consentire una valutazione sia dell'incidenza dell'attività venatoria sia dello stato di applicazione della citata legge n. 157 del 1992 (penso, ad esempio, ai censimenti dell'avifauna che avrebbe dovuto realizzare l'Istituto nazionale per la fauna selvatica).
Il Parlamento, pertanto, si trova oggi a discutere di proposte di legge che non si sa bene su quali presupposti scientifici o giuridici si fondino: ossia, sta esaminando delle proposte di modifica della legge n. 157 del 1992 non sulla base di analisi oggettive, giuridiche e tantomeno scientifiche, bensì sulla base di chiare pressioni di una parte del mondo venatorio. Certo, è di tutta evidenza che nell'ambito del dibattito parlamentare (si pensi alla Costituzione e alle normative comunitarie) la sovranità dei proponenti è assoluta; ma nell'ambito di una attività conoscitiva qual è l'indagine in corso i riferimenti non possono che essere documentali ed oggettivi: e rispetto a questi ultimi mancano quei riferimenti essenziali che rappresentano il cardine per qualunque tipo di analisi e di valutazione.
È altresì nostra intenzione sottolineare che il modo contraddittorio di operare della Commissione viene messo in risalto dall'azione del Governo, il quale ha deciso di avviare una consultazione diretta con il mondo venatorio per elaborare una propria ulteriore proposta di riforma, che a nostro avviso comporterà uno snaturamento della legge n.157 del 1992. Ma, così facendo, l'esecutivo svuota di significato il lavoro svolto da questa Commissione.
È a tutti nota, inoltre, la convocazione di un convegno (di presunta natura internazionale), che si terrà a Venezia nei prossimi giorni; è altrettanto noto a tutti, però, come tale appuntamento sia stato organizzato in diretta relazione con il mondo venatorio.
In tale situazione e nella circostanza specifica, le associazioni ambientaliste chiedono che si adempia quanto è obbligatorio per legge: la relazione, di competenza del ministero, sullo stato di applicazione della legge n.157 del 1992, rispetto alla quale le stesse associazioni si riservano di esprimere le proprie valutazioni e di porre a confronto i propri dati con quelli in essa contenuti. Le associazioni ambientaliste chiedono altresì alla Commissione, prima ancora di discutere di qualunque proposta di legge, di valutare se vi sia o meno una condivisione del principio cardine della legge n. 157, che è una legge non sulla caccia bensì sul prelievo venatorio. Pertanto, come il titolo stesso di tale legge afferma, questa normativa muove dall'esigenza e dall'istanza di tutela in base alla quale viene stabilito il prelievo venatorio.
Se vi è ancora condivisione del principio grazie al quale si è creata una sorta di pax tra ambientalisti e settore venatorio, nell'ambito della quale le regioni hanno provveduto all'allargamento del calendario venatorio e dell'elenco delle specie cacciabili, allora tutto seguirà di conseguenza. Se, al contrario, non vi fosse più condivisione del concetto di prelievo venatorio - e non già del concetto di caccia -, ci troveremmo su un piano diverso e di fronte alla prospettiva di operare un completo stravolgimento dei principi della legge n. 157 del 1992.
Concludo ribadendo l'insostenibilità delle attuali proposte di modifica della legislazione in materia di prelievo venatorio ed auspicando che il Governo si esprima anche producendo la relazione sopra richiamata, che è obbligatoria per legge; solo quando ciò avverrà, sarà possibile da parte nostra fornire ulteriore documentazione o partecipare costruttivamente ad un altro incontro sul tema.
PRESIDENTE. Mi preme sottolineare che il nostro è un sistema che si ispira ai principi di democrazia e di libertà e che, in ambito parlamentare, l'esercizio della democrazia e del confronto sono un diritto, oltre che un dovere.
Vi ringrazio quindi nuovamente per la vostra presenza e ritengo sia nel nostro pieno diritto proseguire l'audizione con gli interventi dei colleghi. Non credo che questa Commissione meriti censure, anche perché in tale sede vengono raccolte le vostre posizioni, le vostre dichiarazioni e la documentazione da voi fornita.
SAURO SEDIOLI. Ringrazio le associazioni ambientaliste per aver accolto il nostro invito e per la nota che hanno lasciato agli atti della Commissione. Ho ascoltato le loro osservazioni e debbo dire che in parte le condivido.
Quando abbiamo iniziato a discutere in questa sede delle proposte di legge di modifica della legge n. 157 del 1992, la motivazione era la necessità di aggiornare una legge che aveva già più di dieci anni e, quindi, di tenere conto di una realtà che era mutata.
Noi abbiamo sollevato un problema: oggetto di discussione è la legge o la sua applicazione? Noi riteniamo che molte difficoltà e molti contrasti dipendano dal fatto che la legge n. 157 del 1992 è male applicata: quindi, prima di tutto occorre una verifica in merito alla sua applicazione. Nella mia regione, l'Emilia Romagna, questa legge è stata in gran parte attuata e gli ATC funzionano; credo che l'attacco agli ATC venga invece dalle regioni dove essi non sono ancora stati istituiti.
È necessario effettuare il monitoraggio previsto dalla legge; il ministero ha compiuto un primo monitoraggio, che però risale al 1997, cioè ad una fase iniziale di applicazione della legge. Gli anni più interessanti sono quelli successivi, quindi abbiamo segnalato la necessità, trattandosi di una materia particolarmente delicata, di conoscere bene lo stato di attuazione della legge. L'ampio ventaglio di audizioni che abbiamo richiesto, sulla cui utilità il presidente e il relatore hanno convenuto, sono necessarie per conoscere in modo approfondito la realtà.
Abbiamo espresso un'ulteriore preoccupazione. Riteniamo che la legge n. 157 del 1992 sia una buona legge, perché ha corresponsabilizzato i cacciatori e ha creato le condizioni per una caccia regolamentata e, soprattutto, per il mantenimento dei caratteri popolari, e non solo di quelli privatistici, della caccia. Abbiamo rilevato che le posizioni estreme manifestate in alcune proposte di legge rischiano di alterare questa situazione e di portare ad uno scontro che potrebbe condurre alle vecchie polemiche, ad un referendum ed anche alla fine della caccia regolamentata.
Queste sono le nostre preoccupazioni. Sulla base delle audizioni svolte e della relazione aggiornata sullo stato di attuazione della legge n. 157 del 1992, avremo la possibilità di dimostrare quali effetti positivi abbia prodotto tale legge e quali siano i suoi limiti. Limiti che possono essere superati anche senza modificare la legge, ma con una maggiore volontà di rispettarne l'impianto.
PRESIDENTE. Informo i nostri ospiti che una relazione sullo stato di attuazione della legge n. 157 del 1992 è stata presentata dal ministro al Parlamento in data 31 dicembre 2001.
ANTONINO MORABITO, Responsabile settore fauna di Legambiente. Ne siamo a conoscenza, ma quella relazione non ha nulla a che vedere con quanto previsto dall'articolo 35 della legge n. 157 del 1992.
LUANA ZANELLA. Il problema della relazione sulla gestione del patrimonio faunistico, prevista dalla normativa vigente, è già stato sollevato in sede di Commissione. Non vorrei che tornassimo a discutere di quello che è un dato di fatto, cioè dell'inadempienza del Governo rispetto ad uno dei nodi fondamentali della legge n. 157 del 1992.
Se non si parte dai dati reali, si rischia di legiferare in modo ideologico e, soprattutto, sulla base delle pressioni della parte estremista del mondo venatorio, anziché adempiere una funzione propria del Parlamento, che è quella di rivedere una normativa nel momento in cui essa non funziona.
Senza entrare nel merito, in quanto abbiamo già discusso dei contenuti, vorrei rilevare che la posizione assunta dal Governo mette all'angolo quel mondo che è per noi un interlocutore essenziale, cioè il mondo dell'associazionismo, che ha contribuito alla costruzione della normativa contenuta nella legge n. 157 del 1992.
Sotto le patinate ed eleganti spoglie di una conferenza internazionale, che si svolgerà a Venezia, dovremo assistere all'esibizione di un vero e proprio attacco alla legge n. 157 del 1992 e alla probabile presentazione di un disegno di legge governativo. Tutto ciò dopo che il Governo sembrava aver lasciato spazio al dibattito parlamentare e sembrava essersi limitato ad una sorta di recepimento di quanto emerso da tale dibattito. L'azione del Governo, invece, sarà molto decisa e decisiva, anche perché, accanto ai ministri Alemanno e Matteoli, vi sarà l'euro deputato Berlato, il quale, come sa chi, come me, vive nel Veneto e lo conosce bene, sa esprimere in modo forte posizioni assolutamente inaccettabili rispetto alla caccia.
Quindi, io pongo alla Commissione un problema politico. In questo modo si rischia di rompere il rapporto difficilmente ma positivamente costruito tra il Governo, il Parlamento e la società civile, che non può essere rappresentata unicamente da una lobby, seppure forte, di cacciatori e di produttori di armi. Ricordo (l'ho segnalato anche con una interrogazione) che è stato invitato anche il presidente di una associazione venatoria, che di fatto è formata da produttori di armi, sportive e non solo. Se si vuole limitare il confronto esclusivamente a queste associazioni, si esclude qualsiasi dialogo con l'associazionismo animalista e ambientalista e con la stessa società civile, che, come sappiamo sulla base dei sondaggi e del sentire comune, si esprime in modo nettamente contrario alla pratica venatoria in generale.
Noi non vogliamo tornare indietro. Abbiamo già raggiunto un equilibrio, ma non possiamo certamente subire un attacco così forte, articolato, potente e coordinato, che - a questo punto lo dobbiamo dire - trova complicità a vari livelli. Ricordo che in sede di Commissione ambiente si è assistito ad un tentativo fortissimo, da parte di chi ha la delega in materia ambientale, di consentire la caccia nei parchi; a livello regionale questa pressione è forte e travolge - come nella regione Lazio - la stessa realtà dei parchi. Non possiamo quindi assistere passivamente allo stravolgimento non soltanto della normativa vigente, ma anche dei rapporti istituzionali con la società civile.
FRANCESCO ONNIS. In primo luogo, ringrazio gli autorevoli rappresentanti delle associazioni ambientaliste per aver aderito all'invito della Commissione e per essere venuti in questa sede a spiegare le loro posizioni.
È stato osservato che quella odierna sarebbe una «non audizione»: francamente, questo mi dispiace e mi sembra un rifiuto del dialogo, un sottrarsi ad una valutazione che, pur con probabili reciproche polemiche, sarebbe stata volta a conseguire risultati soddisfacenti per tutti. Ritengo sia una perdita per l'istituzione parlamentare non poter utilizzare da subito il contributo delle associazioni ambientaliste.
La ragione di tale rifiuto al dialogo, di questa «non audizione», mi appare - uso tale espressione senza alcun intento offensivo - un po' pretestuosa. Ciò, non tanto perché esiste già una relazione sullo stato di attuazione della legge n. 157 del 1992 (che, tuttavia, non copre l'intero periodo fino ad oggi), quanto piuttosto perché assumere che la mancanza di un dato formale debba in qualche modo frapporsi al dialogo e al rapporto costruttivo con le associazioni significa, in una certa misura, sottovalutare il ruolo del Parlamento. Da un lato, si afferma - e di ciò prendiamo atto - che si partecipa all'audizione odierna per rispetto verso le istituzioni, dall'altro, si sottovalutano i poteri istituzionali del Parlamento. Se è vero, infatti, che l'articolo 35 della legge n. 157 del 1992 prevede la presentazione da parte del Governo della relazione sopra richiamata, è altrettanto vero che i parlamentari possono autonomamente, a prescindere da tale relazione, valutare se la legge in questione sia congrua, se sia o meno corrispondente a situazioni ed esigenze attuali, se sia ancora sentita a distanza di più di dieci anni dalla sua entrata in vigore, se, infine, sia la migliore legge che in Italia si possa avere per quanto riguarda la tutela della fauna.
Per tali motivi, sono dispiaciuto per la presa di posizione delle associazioni ambientaliste; spero che possa «rientrare» e mi auguro che la ragionevolezza - che vi assicuro sussiste in chi sommessamente vi parla - possa permeare i vostri passi successivi. Nessuno - l'ho già dichiarato ed è agli atti - ha intenzione di sconvolgere l'impianto della legge n. 157 del 1992 né, tanto meno, di sostituirla con un altro corpo normativo. Fin dall'inizio ho chiarito che tale legge possiede dei meriti, quegli stessi meriti già sottolineati dal collega Sedioli; ho anche precisato, tuttavia, che forse ha bisogno di qualche operazione di «chirurgia» legislativa in quanto non è più attuale, è troppo centralista e non presta debita attenzione a certe esigenze, proprie anche del mondo venatorio. Non possiamo mettere al bando il mondo venatorio in quanto tale; esso è costituito da cittadini uguali a tutti gli altri, che hanno diritto di esercitare le loro facoltà secondo le previsioni di una legge che, pur tutelando il mondo della fauna selvatica e l'ambiente, non deve trascurare - o non del tutto - le loro aspettative.
Questo è il nostro approccio e il nostro punto di partenza. Intendiamo soltanto emendare, nell'interesse di tutti, la legge n. 157 del 1992: per questo, ritenevo che da parte vostra sarebbe venuto un contributo. Spero che tale contributo verrà quando il Governo soddisferà anche il presupposto - che per me è soltanto formale - dell'aggiornamento sullo stato di attuazione della legge sopra richiamata. Confido che, a quel punto, da parte del mondo ambientalista - che noi rispettiamo ed al quale riconosciamo i meriti che si è conquistato sul campo - vi sia la collaborazione necessaria affinché si possa pervenire ad una modifica legislativa il più possibile condivisa, che soddisfi le aspettative della società italiana ed anche quelle del mondo ambientalista.
Quanto alla conferenza di Venezia, si tratta di un tema che non credo possa riguardare il percorso legislativo in atto. Infatti, ancora non sappiamo cosa accadrà e quali potrebbero essere le eventuali - e sottolineo eventuali - iniziative; comunque, voi che conoscete le prassi e i regolamenti parlamentari intendete benissimo che, qualunque iniziativa possa essere assunta, essa si affiancherebbe a quelle attualmente in discussione, che hanno già fatto un percorso abbastanza lungo. Quindi, tale ipotetica iniziativa si aggiungerebbe a quelle delle quali il Parlamento - credo responsabilmente e con molta moderazione - si sta occupando già, ormai, da quattro o cinque mesi
Vi ringrazio ancora e confido nel vostro successivo contributo.
GAETANO BENEDETTO, Segretario aggiunto per gli affari pubblici e le relazioni istituzionali del WWF. Tutti odiamo il fatto di essere cavillosi inutilmente; chiedo scusa, perciò, se apparirò tale.
Se la XIII Commissione della Camera dei deputati ritenesse di convocare le associazioni ambientaliste domani mattina - e sottolineo domani mattina - per l'espressione di un parere sulle proposte di legge presentate, noi saremmo in grado, per domani mattina, di formalizzare osservazioni puntuali. Ma se tale Commissione vuole svolgere, invece, un'audizione nell'ambito di un'indagine conoscitiva sullo stato di applicazione della legge n. 157 del 1992, la questione è completamente diversa, perché il riferimento obbligatorio per legge, assolutamente insoddisfatto dalla relazione presentata dal ministro Alemanno, è un caposaldo ineludibile, un presupposto fondamentale del dibattito. L'indagine conoscitiva non può svolgersi sulla base di pareri discrezionali, così come un dibattito relativo a progetti di legge. La nostra posizione relativamente all'indagine conoscitiva riguardante la legge n. 157 del 1992, pertanto, non può non richiamare quanti sono tenuti per
legge a fornire il quadro di applicazione della legge con riferimento ad innumerevoli aspetti che non sono stati affrontati dal ministro.
Faccio solo alcuni esempi. Qualcuno sa, in questo paese, quanto sia stato speso per i ripopolamenti? Qualcuno sa quanti siano stati gli animali immessi con i ripopolamenti e quali siano state le conseguenze di tali operazioni? Circa i calendari venatori (prima deliberati in via amministrativa, poi con un iter legislativo da parte delle regioni), qualcuno sa quale sia il numero di contestazioni, regione per regione, in base all'applicazione della legge n. 157? Vi è un quadro di riferimento? In assenza di tutto ciò, assistiamo, oggi, ad un dibattito che mette in discussione il caposaldo della legge n. 157 del 1992.
Inoltre, onorevole Onnis, pur non volendo contraddirla, devo osservare che in questo paese non esiste un diritto alla caccia.
FRANCESCO ONNIS. Non ne ho parlato.
GAETANO BENEDETTO, Segretario aggiunto per gli affari pubblici e le relazioni istituzionali del WWF. I cacciatori hanno una pretesa limitata dal diritto generale alla tutela ed alla conservazione della fauna, tant'è che il nostro ordinamento parla di concessione, e non di diritto (il che è completamente diverso).
Vi è un censimento da cui si possa inferire come viene valutato il prelievo venatorio? Il prelievo venatorio si stabilisce in base ad un'analisi condotta sulla capacità di riproduzione di una determinata specie animale e ad una valutazione del reinserimento attraverso i sistemi riproduttivi artificiali. Risulta a qualcuno che sia mai stata fatta un'analisi di tale natura?
In questo contesto abbiamo assistito alla presentazione, assolutamente legittima, delle proposte di legge in oggetto, sulle quali, se ci sarà richiesto, ci esprimeremo; in maniera ancora più incredibile, siamo di fronte ad una conferenza internazionale - che definirei, scusandomi per il termine, pseudo scientifica - che ha evidenziato una relazione diretta del Governo solo con il mondo venatorio. Questo va sottolineato ed esplicitato con la necessaria chiarezza.
Si tratta, quindi, di un dibattito distorto nella sua interpretazione, ancorché assolutamente legittimo sotto il profilo legislativo e delle proposte di modifica presentate; un dibattito meno coerente sotto il profilo di un'indagine conoscitiva che, come ricordavo poc'anzi, non può che ricondursi a dati oggettivi e documentali.
PRESIDENTE. Vorrei precisare che l'indagine conoscitiva in corso si inquadra nell'ambito dell'esame delle proposte di legge presentate: per questo motivo ritengo di non poter condividere una parte delle sue osservazioni.
Rilevo, inoltre, che la disponibilità delle associazioni ambientaliste ad intervenire nuovamente presso questa Commissione dovrà essere valutata in sede di ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi.
Ringrazio i rappresentanti delle associazioni ambientaliste intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 16,05.
COMMISSIONE XIII
aGRICOLTURA
RESOCONTO STENOGRAFICO
INDAGINE CONOSCITIVA
2.
SEDUTA DI MERCOLEDI 14 MAGGIO 2003
presidenza del vicepresidente Gianluigi Scaltritti
La seduta comincia alle 15,10.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente.)
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
Audizione di rappresentanti delle organizzazioni professionali agricole Confagricoltura, CIA, Copagri e Coldiretti.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva inerente l'esame dei progetti di legge C. 27 Stefani, C. 291 Massidda, C. 498 Bono, C. 1417 Onnis, C. 1418 Onnis, C. 2016 Benedetti Valentini, C. 2314 Serena, C. 3533 Pezzella e C. 3761 Bellillo, recanti «Modifiche alla legge n. 157 del 1992, protezione della fauna selvatica e prelievo venatorio», l'audizione di rappresentanti delle organizzazioni professionali agricole Confagricoltura, CIA, Copagri e Coldiretti.
Sono presenti: per la Confagricoltura, il dottor Andreotto Gaetani, rappresentante del servizio ambiente e sviluppo rurale, e l'avvocato Giorgio Buso, capo dell'area legislativa; per la Coldiretti, il dottor Stefano Masini, responsabile dell'area territorio e ambiente; per la CIA, il dottor Marino Berton.
Rivolgo un saluto ai nostri ospiti e do loro la parola.
ANDREOTTO GAETANI, Rappresentante del servizio ambiente e sviluppo rurale della Confagricoltura. Desidero anzitutto ringraziare la Commissione per averci invitato a questa audizione, che per noi è molto importante in quanto il rapporto tra il mondo venatorio e l'attività agricola è determinante, anche in considerazione del tema della multifunzionalità previsto dalla politica agricola comune.
In linea generale, concordiamo sull'esigenza, manifestata dall'onorevole Onnis e da altri deputati, di riconsiderare la legge n. 157 del 1992. Si tratta infatti di una legge che risale a undici anni fa, è nata in un particolare momento storico ed è frutto di lunghissime mediazioni e di una profonda dialettica. Ritengo, pertanto, che al fine di rivedere tale legge occorra riaprire un ampio confronto: l'incontro di oggi è uno dei momenti principali di tale confronto, ma non l'unico.
Va sottolineato che, ferma restando la disponibilità a modificare la legge n. 157 del 1992, una serie di principi sui quali si è raggiunta molto faticosamente un'intesa non debbono essere abbandonati. Mi riferisco al principio della concertazione, al principio della pariteticità del mondo agricolo e dei cacciatori negli organismi di gestione, al principio della gestione comune, al principio dell'attualità di coltivazione, al principio dei fondi chiusi con una recinzione di un metro e venti. Non riteniamo sia oggi il momento di riparlare dell'articolo 842 del codice civile, ma crediamo che consentire agli imprenditori agricoli che desiderano svolgere adeguatamente il proprio mestiere di realizzare recinzioni dell'altezza di un metro e venti dimostri la sensibilità del legislatore nei confronti delle imprese agricole. Altrimenti - lo diciamo con molta chiarezza - meglio sarebbe non toccare nulla.
È inoltre molto importante considerare quello che sta accadendo negli altri paesi europei, nei quali la caccia è gestita in modo completamente diverso, come emerge dalla documentazione predisposta dagli uffici, della cui competenza e serietà desidero dare atto. Occorre ragionare sull'attività venatoria in modo equilibrato, corretto e sereno, con il consenso di tutti, affinché essa sia veramente una risorsa della multifunzionalità a favore delle aziende agricole, del mondo venatorio e, per quanto riguarda il ripopolamento e la presenza faunistica, del mondo ambientalista.
Riteniamo, dunque, che occorra fare riferimento ai principi europei e alla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo del 29 aprile 1999, relativa all'inviolabilità del diritto di proprietà: non è il caso di impugnarla, ma è il caso di ricordarla. Si tratta di un argomento molto rilevante, al pari dell'articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, anche esso relativo al diritto di proprietà.
Passo ora alle considerazioni tecniche, sulle quali è altresì opportuno confrontarsi. Per quanto riguarda le date e le specie, non si tratta di un problema agricolo. Esiste però il problema della difesa delle colture in atto, che nel periodo in questione sono particolarmente presenti. Su questo c'è poco da discutere, non occorre attendere che intervenga la regione: se c'è una coltura in atto, c'è una coltura in atto!
Non entro nel merito dei problemi giuridici relativi alle competenze regionali, al Titolo V della Costituzione, alle competenze comunitarie, alle date di anticipo della chiusura del periodo venatorio: quello che ci preme è che sia prevista una difesa efficace. Al riguardo, nel documento che consegneremo alla Commissione ci siamo permessi di suggerire specifiche proposte di modifica.
Un analogo ragionamento va fatto per quanto riguarda le specie. Non intendiamo entrare nel contenzioso relativo alle singole specie, ma bisogna dire chiaramente che le specie dannose dal nostro punto di vista sono solamente - forse ne dimentico qualcuna - lo storno, il piccione e il cormorano nonché, tra i mammiferi, la nutria. In tali casi più che di caccia si può parlare di prelievo effettuato da soggetti autorizzati, senz'altro anche da cacciatori o da agricoltori, purché autorizzati. Non vorremmo si pensasse che l'allargamento delle specie viene attuato con il consenso di agricoltori che considerano tutte le specie dannose (il fringuello, ad esempio, non lo è).
ANDREOTTO GAETANI, Rappresentante del servizio ambiente e sviluppo rurale della Confagricoltura. Le gazze potrebbero esserlo: quando, a seguito di un censimento, ciò sarà indicato dall'Istituto nazionale della fauna selvatica, anche l'agricoltore potrà prelevarle.
Tutto ciò anticipa un importante ragionamento, per il quale può essere opportuno modificare la legge n. 157 del 1992. Dopo dieci anni la situazione faunistica è profondamente mutata, in particolare per quanto riguarda il problema della gestione degli ungulati (cinghiali, cervi, caprioli, e via dicendo). A nostro avviso, la gestione del patrimonio faunistico deve essere migliorata - considerando che la gestione del controllo delle specie in eccesso non può essere, di fatto, affidata ai cacciatori, che, come gli agricoltori, sono degli strumenti operativi - attraverso un'intesa e con strumenti di concertazione e tecnico-scientifici.
LUIGINO VASCON. E i censimenti chi li fa?
ANDREOTTO GAETANI, Rappresentante del servizio ambiente e sviluppo rurale della Confagricoltura. L'Istituto nazionale della fauna selvatica, d'intesa con gli operatori locali.
LUIGINO VASCON. Sa quante riserve di caccia ci sono in Italia?
LUIGINO VASCON. Pensi quanti tecnici servono solamente per effettuare i censimenti!
ANDREOTTO GAETANI, Rappresentante del servizio ambiente e sviluppo rurale della Confagricoltura. La riserva di caccia è un altro istituto.
Per quanto riguarda alcune aree ad alta intensità agricola, come i vigneti del Chianti ed altre colture particolari, alcune specie faunistiche, d'intesa con la regione, non possono essere accettate (quest'anno in Toscana sono stati già abbattuti 50.000 cinghiali).
Quanto al risarcimento dei danni, ritengo che non sia questa la soluzione del problema dell'eccesso delle specie. Ringrazio, comunque, l'onorevole Onnis e gli altri presentatori della proposta di legge che prevede la costituzione di un fondo ad hoc, che, se venisse finanziato, sarebbe senz'altro auspicabile. Le regioni non hanno fondi disponibili e non li preleveranno autonomamente dalle tasse: quindi, proponiamo una percentuale specifica del 20 o del 30 per cento.
Inoltre, riteniamo che i fondi chiusi - ricollegandosi ad una volontà dell'impresa agricola di carattere privato, non avendo creato problemi ai cacciatori ed essendo superfici obiettivamente ridotte sotto il profilo dei costi - non possano essere computati nella percentuale di area protetta. In alcune regioni, come la Puglia, è vietata la costituzione di fondi chiusi (ad esempio, un agricoltore che recinta la sua casa): questo non ci sembra equo.
In attuazione della normativa comunitaria, è cambiata la gestione di alcune aziende agricole, con la costituzione di aziende biologiche e agrituristiche. Le prime, che non hanno grandi dimensioni ma sono molto presenti sul territorio e con elevata intensità agricola, per principio svolgono un'operazione agricola ambientale e, tra l'altro, sono sottoposte ad una certificazione per controllare se il territorio sia contaminato da altre situazioni. Non mi soffermo sul problema del piombo e del saturnismo, ma riteniamo che nelle aziende biologiche si possa consentire il ripopolamento a favore dei cacciatori. Le aziende agrituristiche, che negli ultimi dieci anni hanno avuto un'enorme crescita, offrono ristoro e riposo a moltissimi turisti: non credo sia di buon senso che questi passeggino in campagna mentre sono in corso attività venatorie. Anche in questo caso potrebbe essere consentita un'attività di ripopolamento a favore del mondo venatorio, ma in tali aree bisogna creare condizioni di maggiore serenità.
Negli anni in cui fu approvata la legge sulla caccia, anche con l'aiuto del compianto onorevole Rosini, si discusse a lungo sulla questione degli ambiti territoriali. Sulla base del parere dei tecnici e degli esperti, quello territoriale di caccia era considerato un ambito di gestione tecnica della fauna e dell'ambiente. Senza entrare nel merito del problema della mobilità del cacciatore, che per quanto ci riguarda può essere amplissima, se si creasse un istituto di gestione del territorio, questo dovrebbe essere vicino al territorio stesso, altrimenti si tratterebbe di una commissione. Peraltro, sull'ambito territoriale di caccia a carattere provinciale esprimiamo un parere nettamente contrario, così come sul fatto di non prevedere una gestione paritetica con il mondo agricolo: questo, infatti, è uno dei principi per il quale ci battemmo dieci anni fa.
Infine, non vorrei dare l'impressione che gli agricoltori intendano «staccare» un ticket dall'attività venatoria: non è questo il problema. Non abbiamo parlato di proprietà della selvaggina, ma riteniamo che la fauna sia in funzione della modifica del territorio. Infatti, tutte le volte che si interviene sul territorio con attività di coltivazione, si verifica un aumento o una diminuzione della fauna selvatica. Riteniamo debba essere approfondita la proposta delle aree convenzionate (come in Francia), dove agricoltori e cacciatori si mettono d'accordo su quali colture ed aree migliorare per l'ambiente. Tutto ciò va fatto sulla base di un'intesa, attraverso strumenti di carattere convenzionale o contrattuale, con il mondo venatorio, il quale deciderà chi dovrà essere o meno presente.
STEFANO MASINI, Responsabile aria territorio e ambiente della Coldiretti. Per formulare alcune osservazioni ho recuperato l'accordo del 1984 sulla riforma della caccia, dal quale è scaturito il grande progetto di gestione del governo del territorio e delle risorse faunistiche tra le confederazioni agricole e le associazioni venatorie, sul quale sarebbe opportuno riflettere in relazione alle parti non attuate.
Dopo la legge n. 157 del 1992, infatti, ci impegnammo a parlare di caccia responsabile, che si svolgesse cioè all'interno di un grande progetto di gestione dell'ambiente, del territorio e delle sue risorse: quindi, di una caccia intesa come forma di gestione estensiva del territorio. Dall'esame delle proposte di legge presentate, pur interessanti ed apprezzabili, emerge l'omissione di un rinnovato legame tra agricoltura e caccia come forma di gestione delle risorse. Vengono trattati alcuni argomenti che non corrispondono alla necessità odierna di ricomporre un quadro normativo in un tessuto coerente con il decreto legislativo n. 226 del 1991 (la cosiddetta legge di orientamento in materia agricola), che potrebbe dotare gli ATC dei contratti territoriali, una volta chiariti alcuni elementi normativi dell'istituto (ente pubblico o privato) nelle varie leggi regionali, e potrebbe fornire una lettura territoriale della caccia in uno scenario di riforma della politica agricola comune. Mancano infatti elementi di sostegno alla multifunzionalità, la definizione di una politica di accordi negoziali, una disciplina diversa in materia di risarcimento dei danni e di sviluppo di alcuni elementi volti a valorizzare la tipicità della fauna.
Se vogliamo realizzare una modifica, dovremo considerare il cinghiale come un prodotto tipico della campagna toscana, un prodotto che, essendo allevato, diverrebbe proprietà dell'agricoltore, e non fauna selvatica. Se intendiamo incrementare il circuito della ristorazione e delle sagre, dovremo valorizzare la risorsa come prodotto.
Poiché le proposte di legge presentate hanno diversi orientamenti, apprezzabili sul piano della sistemazione dei reati, ma non hanno prestato l'attenzione da noi richiesta al fenomeno agricoltura, non formuleremo suggerimenti in quanto siamo favorevoli ad una riconsiderazione complessiva e, in questa fase, ad una applicazione più attenta della legge n. 157 del 1992. Auspichiamo, inoltre, che si giunga ad una sospensione dell'esame delle proposte di legge e si approfondiscano, attraverso un'attività conoscitiva, alcuni aspetti che sul piano giuridico rischierebbero di creare conflitti. Mi riferisco sostanzialmente a tre aspetti: i parchi, i calendari e le forme di caccia.
Per quanto riguarda il primo aspetto, quello relativo ai parchi, sarebbe necessario tenere conto dell'orientamento della Corte costituzionale in merito al principio di destinazione differenziata del territorio agrosilvopastorale. È chiaro che - condividiamo l'assunto di base - l'aumento dell'estensione complessiva del territorio destinato a parco non è sufficiente a realizzare un sistema durevole di conservazione. I parchi - ne siamo convinti - hanno interpretato una stagione di difesa vincolistica dell'ambiente che non è più sostenibile per gli agricoltori. Oggi dobbiamo introdurre un concetto di gestione flessibile del territorio nel suo complesso, che consenta anche alle regioni di tenere conto di istituti di programmazione e di tutela del territorio, diversi da quelli funzionalmente, per legge, legati all'esclusione della caccia. Bisogna introdurre il concetto di parco rurale.
Se si dovesse modificare la legge n. 157 del 1992, non si potrebbe omettere di riconsiderare la legge n. 394 del 1991, altrimenti si rischierebbe di frantumare la gestione del territorio. Questo è il vero valore che i principi cardine della pianificazione agrosilvopastorale e della programmazione delle risorse faunistiche introducono e che attraverso gli ATC dobbiamo valorizzare, anche sperimentando istituti amministrativi nuovi, come gli accordi di programma, che dovrebbero risolvere il contenzioso tra ATC ed ente parco. Attualmente le aree contigue sono «terra di nessuno» e penalizzano una gestione della fauna che non conosce limiti di territorio.
Sarebbe quindi necessario riconsiderare anche alcune norme della legge n. 394 del 1991, con riferimento al controllo e al contenimento numerico delle popolazioni presenti. In quest'aula si affrontano problemi estremamente «nobili» dell'agricoltura, ma spesso gli agricoltori affrontano problemi riguardanti i danni provocati da cinghiali, caprioli e ungulati vari, che sono molto più gravi, per le economie individuali di molti imprenditori, della questione precedentemente esaminata.
Per quanto riguarda le forme di caccia, sarebbe necessario «leggere» la riforma del Titolo V della Costituzione attraverso il rovesciamento dell'elencazione delle competenze. Riteniamo che un cambiamento nelle competenze sia avvenuto; si può considerare la caccia appartenente alla competenza regionale, ad esempio per quanto riguarda la distribuzione delle forme e delle modalità di accesso agli appostamenti.
Infine, in relazione alle stagioni di caccia (a parte fare salve le forme di coltivazione in atto, in particolare nel periodo di cosiddetta preapertura), la sentenza n. 536 del 2002 è chiarissima e dovrebbe costituire un'utile chiave di lettura. In essa è espressamente riportato che «se può ritenersi che gli aspetti più strettamente connessi alla regolamentazione dell'esercizio venatorio rientrino nella competenza regionale (...), non potrebbe comunque dubitarsi che la competenza attribuita allo Stato sulla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema costituisca limite alla potestà regionale nella materia». Al di là della condanna della regione Sardegna, il discorso riguardante la competenza risulta attratto da una dimensione europea, conseguentemente alla disciplina concorrente di fonte comunitaria, che costituisce un principio per la regione e per lo Stato.
È a livello comunitario che si stabilisce il limite di tutela della fauna legato al periodo di nidificazione delle varie fasi di riproduzione e di dipendenza.
Riteniamo che, evitando di sollevare problemi legati alla mancanza di un quadro di concertazione del tessuto delle associazioni che hanno contribuito al progetto culturale alla base della legge n. 157 del 1992, sia necessario ridefinire la stagione venatoria, in quanto la competenza è radicata nella fonte comunitaria, nella direttiva. Richiediamo, quindi, attività conoscitive di approfondimento anche con le istituzioni comunitarie, al fine di trovare una maggiore intesa. Tanto più che nel provvedimento di delega in materia ambientale vi sono aspetti strettamente connessi a quello del territorio su cui si esercita la caccia che sembrerebbero sfuggire ad una rimodulazione coerente ed organica con questa legge, che tuttora costituisce un elemento portante dell'attività di programmazione.
PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Masini.
Mi preme evidenziare che un eventuale intervento sulla legge quadro per le aree protette, la legge n. 394 del 1991, coinvolgerebbe le competenze della Commissione ambiente.
MARINO BERTON, Rappresentante della CIA. Ringrazio il presidente della Commissione per l'invito a partecipare all'audizione odierna.
La nostra confederazione non intende entrare nel merito dell'articolato dei nove progetti di legge presentati, ma svolgere alcune considerazioni sul tema della protezione della fauna selvatica e dell'esercizio venatorio che, dal nostro punto di vista (quello di una associazione che rappresenta gli imprenditori agricoli), resta comunque correlato a due aspetti, uno dei quali di carattere generale, cioè il fatto di considerare le politiche venatorie parte delle più generali politiche di governo e di gestione del territorio che hanno nell'approccio al tema venatorio specificità di particolare interesse.
Ciò premesso, le nostre considerazioni sul tema possono essere così sintetizzate. Noi confermiamo una posizione di collaborazione con il mondo venatorio, in un rapporto di reciproco rispetto e senza pregiudizi. In altre parole, continuiamo a pensare che si possa ancora costruire un rapporto costruttivo e positivo, ma la legge quadro nazionale - la n.157 del 1992 - rappresenta un riferimento imprescindibile, soprattutto per alcuni principi in essa espressi.
Ci permettiamo di sottolineare l'articolo 1, che tutti voi conoscete benissimo, per la portata dei principi che in esso si esprimono rispetto al patrimonio indisponibile dello Stato. Ci è sembrata quasi una provocazione, in alcuni progetti di legge, parlare di res nullius, ma ci permettiamo di sottolineare anche la portata dell'articolo 14 nella gestione programmata della caccia per ambiti territoriali definiti.
Per noi agricoltori rapportarci con un cacciatore che è legato ad un territorio significa conoscerlo, relazionarsi con esso, costruire intese, accordi e anche una giusta azione di controllo rispetto all'attività venatoria. Per noi, un cacciatore che si aggira negli ambiti con un numero identificativo (e che quindi può essere segnalato alla gestione dell'ambito nel caso in cui commetta delle infrazioni o rovini le nostre coltivazioni) è un elemento importante (magari, poi, si tratterà di un cacciatore che, una volta conosciuto, apprezzeremo, con cui collaboreremo, con il quale proveremo a costruire intese e modalità per migliorare i nostri reciproci interessi).
A più di dieci anni dalla promulgazione della legge quadro nazionale sulla caccia e mentre la Commissione agricoltura della Camera dei deputati ha avviato l'esame di nove proposte di modifica, sottolineiamo un elemento: mai, se non parzialmente, è stata presentata in Parlamento la prevista relazione annuale sullo stato di attuazione della suddetta legge (salvo il documento presentato alla Commissione e riferito al periodo fino al 1997, peraltro piuttosto parziale). Risulta quindi difficile esprimere un giudizio compiuto sulla legge in materia se non si parte da un'analisi di quanto è avvenuto in questi dieci anni.
Riteniamo che il principio «conoscere per deliberare» rimanga sempre molto attuale e che nel corso degli anni non sia stato scalfito. Quindi, ci piacerebbe avere un quadro completo su come effettivamente stanno andando le cose. Per esempio, ci interesserebbe sapere in quante regioni siano stati istituiti gli ambiti territoriali di caccia, come funzionino, quale sia il tasso di partecipazione, oltre ad ulteriori aspetti legati all'applicazione della legge n. 157 del 1992. Ciò nonostante, riteniamo opportuno tenere conto delle modificazioni del patrimonio faunistico nazionale che si verificano nel corso degli anni, in particolare per i cinghiali e i cervidi, la cui proliferazione, in assenza di predatori naturali, provoca problemi alle aree agricole e forestali, rendendo necessaria una riconsiderazione dell'opportunità del prelievo faunistico.
Anche a seguito del pronunciamento della Corte costituzionale e della modifica del titolo V della Costituzione, risulta ancora più evidente che in materia venatoria bisogna tenere conto del fatto che vi sono competenze legislative articolate a livello europeo, nazionale e regionale. Riteniamo che il quadro legislativo debba necessariamente tenere conto di questo.
La nostra confederazione è interessata alle politiche venatorie per i riflessi che queste hanno su tre fondamentali elementi. Innanzitutto, sulle politiche di gestione del territorio agricolo e forestale. In secondo luogo, sulle opportunità offerte alla multifunzionalità delle imprese agricole, anche alla luce degli indirizzi - che qui sono stati ricordati - della politica agricola comunitaria e della legge di orientamento. Infine, sul mantenimento della biodiversità, sulle politiche agroambientali legate alle direttive dell'Unione europea e sulla protezione degli uccelli.
In particolare, siamo interessati alla partecipazione attiva dei rappresentanti delle categorie agricole, alla gestione degli ambiti territoriali di caccia, a sviluppare e promuovere le opportunità che l'esercizio e la gestione della fauna cacciabile può offrire alle imprese agricole (mi riferisco alle aziende faunistico-venatorie, alle aziende agrituristico-venatorie, agli allevamenti di fauna selvatica, ai campi di addestramento cani, ai centri di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale, così come previsto dall'articolo 10 della legge nazionale, alle azioni di ripristino ambientale a scopo di ripopolamento).
Siamo preoccupati per i ritardi che, da più parti, ci vengono segnalati nella liquidazione dei danni causati dalla fauna selvatica alle colture agrarie. Anche le modalità ed i criteri di accertamento del danno evidenziano problemi e sperequazioni. Chiediamo con forza che tali danni vengano risarciti integralmente e non, come ora accade, laddove ciò avviene, con contributi irrisori del danno reale.
Infine, auspichiamo criteri e regole che possano concretamente attivare azioni di prevenzione del danno: vorremmo, cioè, che fossero attivate iniziative atte a prevenire i danni. In presenza di popolazioni che, presumibilmente, potranno causare danni importanti a colture specializzate, si possono e si devono attivare iniziative in tal senso.
Riteniamo che vada intrapresa un'iniziativa più efficace per la riduzione del danno conseguente alla proliferazione incontrollata di talune specie (mi riferisco agli ungulati e ai volatili), che arrecano danni alle colture agrarie e alle produzioni ittiche (per esempio, ai cormorani), incentivando la prevenzione e l'autodifesa, peraltro già prevista dall'articolo 19 della legge nazionale.
Abbiamo rispetto per l'autonomia delle associazioni venatorie, e quindi siamo dell'avviso che talune questioni specifiche, legate ad aspetti particolari dell'esercizio sportivo e ricreativo della caccia, debbano essere oggetto di un confronto diretto tra le stesse associazioni venatorie e le istituzioni nazionali, regionali e provinciali. In altre parole, non vorremmo essere coinvolti in una discussione sui cani, sui colpi, sui numeri, insomma su aspetti molto particolari, ma vorremmo affrontare i temi fondamentali che ci vedono coinvolti, salvaguardando comunque il lavoro delle imprese agricole e la corretta gestione del territorio.
PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Berton.
Do ora la parola ai colleghi che desiderino intervenire.
LUIGINO VASCON. Mi dispiace che solamente i rappresentanti presenti oggi abbiano risposto all'invito rivolto dalla Commissione, per nome e per conto delle rispettive associazioni di categoria. Ogni occasione è comunque utile per un confronto e, se pure le posizioni possono essere diverse ed alcuni possono vantare una maggiore esperienza, il confronto costituisce la base democratica per qualsiasi tipo di azione, in particolare da parte del Parlamento.
Prima di entrare nel merito, vorrei premettere che sono un cacciatore e caccio in tutta l'Italia e l'Europa, tempo permettendo. La legge n. 157 del 1992, pur avendo una visione venatoria europea, è una legge nata male, zoppa, vecchia. Essa è il frutto di un orrendo compromesso tra la Democrazia cristiana e i Verdi di allora, e - aggiungo -, se nel giro di soli undici anni è già considerata da «rottamare», possiamo immaginare quali devastanti effetti abbia prodotto nel mondo venatorio, in quello agricolo e in quello ambientale!
Vi è una visione - ed una gestione - purtroppo estremamente limitata a livello nazionale, perché ogni regione ha la proprie tipicità, ambientali, faunistiche e tradizionali. Vi sono diversità addirittura all'interno delle regioni medesime. Pertanto, ci troviamo di fronte a situazioni specifiche, rappresentate ad esempio, in alcune parti d'Italia, da una presenza eccessiva di ungulati o di determinate specie di volatili che definirei nocive, tant'è che in alcune province ne è previsto l'abbattimento per 365 giorni l'anno. Ciò nonostante, alcune specie sono addirittura inserite tra quelle cacciabili: sono cose dell'altro mondo!
Desidero ricordare a quanti hanno parlato di piccioni, cormorani, e quant'altro, che è stato sempre possibile cacciare tali specie: è sufficiente un provvedimento comunale (nei comuni amministrati dal partito di cui faccio parte è stata adottata una delibera ad hoc). Sappiamo che il piccione costituisce un problema per l'agricoltura. Cito come esempio l'area dalla quale provengo, la zona di produzione del mais da seme del Veneto: per un piccione il mais è un invito a nozze! Voi tutti sapete quanto sia delicata la selezione del seme e quanti danni arrecano la tortora dal collare, il piccione torraiolo, e via dicendo.
In quest'area siamo intervenuti a livello amministrativo locale, ma ora, grazie alle deroghe consentite in virtù di una legge (da me proposta quale primo firmatario) approvata il 17 settembre scorso, sono state inserite a livello regionale tra le specie nocive il piccione, il cormorano, lo storno e il passero. Per alcune specie nocive che non sono cacciabili, come la nutria, la regione ha comunque provveduto prevedendo un abbattimento che sarebbe erroneo considerare un prelievo, perché si tratta di un abbattimento per motivi igienico-sanitari (peraltro previsto dalla legge, in particolar modo per gli ungulati). Tale abbattimento viene effettuato dai cacciatori: di solito si tratta di pensionati, ai quali l'ambito territoriale fornisce gratuitamente le munizioni e quant'altro serve loro. Pertanto, c'è già un'azione di cooperazione.
Ciò che mi spaventa - lo dico con molta franchezza - è che vengono rivendicate - a torto o a ragione, questo è da stabilire - norme che andrebbero a condizionare l'impianto della legge sull'esercizio venatorio. Perché, piaccia o non piaccia, al di là della buona volontà di chi si attiva per promuovere iniziative in tema agrario, agricolo e venatorio, dobbiamo renderci conto del fatto che la caccia è di competenza regionale. Lo Stato ha il compito di adottare una legge quadro nazionale che preveda le linee generali per l'esercizio dell'attività venatoria; spetta poi alla regione la formulazione della propria legge regionale. In tal modo si tiene conto delle specificità di cui non si può tenere conto a livello nazionale. Pertanto, una volta imbastito il palinsesto, che deve raccogliere principalmente le norme di testo unico per l'esercizio venatorio, il resto è di espressa competenza delle regioni.
Considerate la regione dalla quale provengo, il Veneto: quale altra regione d'Italia ha la laguna, e quindi le zone umide, e contemporaneamente i laghi, le montagne, le colline e le pianure? Emergono dunque diversità gestionali, ambientali e faunistiche. La fauna è una cosa delicatissima: il dottor Gaetani ha parlato dei censimenti. Sono un appassionato di censimenti: è meraviglioso andare a censire i cervi al bramito, è un momento fantastico! Sapete quante persone sono necessarie per censire i cervi in una montagna? Sappiate che il bramito è un brevissimo lasso di tempo durante il quale i cervi sono in amore, e quindi fanno rumore e si possono vedere, cosa che altrimenti non è possibile: ciò avviene, infatti, durante brevissimi spazi di tempo nell'arco della giornata, all'alba e al tramonto. In una montagna, per quanto piccola possa essere, sono necessarie tra le cinquanta e le sessanta persone: non si può infatti essere dappertutto, bisogna appostarsi in silenzio, altrimenti i cervi non si fanno vedere. Quindi, o si lascia il censimento alle riserve alpine - e abbiamo censimenti certificati, in quanto in Italia per fortuna è cresciuta di gran lunga la cultura dell'attività venatoria nei confronti di quello che io chiamo l'ungulato nobile, perché un conto è il cinghiale e un conto è il cervo -, o si va incontro a difficoltà. La mia interruzione nei confronti del dottor Gaetano mirava ad introdurre una riflessione di questo tipo.
C'è poi un tipo di fauna che, credo anche per la sua specificità, non è stata citata. Il dottor Masini ha parlato di cinghiali da recinto: a quel punto si tratta di un allevamento di suini, anche dal punto di vista della proprietà; non possiamo inserire l'allevamento di animali selvatici e metterlo in carico alla gestione faunistica! La stessa cosa vale per i recinti di lepri, utilizzate a fini riproduttivi, e per volatili quali il fagiano, la starna o la quaglia, la quale è addirittura allevata per la macellazione: in alcune zone dell'Italia settentrionale vi sono capannoni che ospitano milioni di esemplari che ogni venti o al massimo trenta giorni vengono macellati; la stessa quaglia viene inoltre utilizzata per le prove cinofile. In buona sostanza, non possiamo confondere l'attività di allevamento, per quanto rurale ed agricola, con la gestione del patrimonio faunistico nazionale.
C'è un insieme di passaggi che, a mio avviso, meritano considerazione e approfondimento. Quando il dottor Gaetani ha detto che ci dobbiamo fermare qui perché dobbiamo lavorarci sopra, ha ragione: dobbiamo confrontarci e lavorarci sopra!
Il problema relativo alla recinzione di un metro e venti è a mio avviso discutibile: in alcuni casi, infatti, la recinzione dovrebbe essere più alta, in altri più bassa oppure sollevata rispetto al terreno.
Concordo con le osservazioni del dottor Gaetani sulle colture in atto, ma, come egli sa bene, la tutela delle colture in atto è già prevista dalla legge n. 157 del 1992: non si può entrare nei campi sfalciati, per un determinato periodo di tempo dopo la sfalciatura; non si può entrare all'interno di colture quali gli uliveti (l'uliveto è sempre una coltura in atto, non occorre l'oliva appesa, c'è una giurisprudenza al riguardo).
C'è pertanto una serie di questioni sulle quali dobbiamo trovare un punto di incontro e tessere una tela, che però non sia quella di Penelope, perché altrimenti è meglio che ciascuno segua la propria strada!
Credo che il mondo agricolo debba assolutamente essere coinvolto, ma deve esserlo in maniera propositiva, come ad esempio accade in Francia. Conosco bene la realtà francese, nella quale non è possibile accedere in aree di proprietà privata senza il consenso del proprietario o del conduttore del fondo. Se c'è tale consenso, si accede senza pagare nulla, contrariamente a quanto accade in Austria, dove si paga (conosco e frequento tali realtà). La Francia è molto ligia per quanto riguarda il passaggio del cacciatore, che non deve lasciare traccia di sé, ma dobbiamo considerare che in quel paese l'attività venatoria riguarda al 99 per cento gli ungulati. Quindi, il relativo prelievo viene fatto in maniera codificata, attraverso la vigilanza gestita dalla guardia forestale, che non ha nulla a che vedere con quella italiana perché è pagata dai proprietari dei terreni. Esiste, dunque, un monitoraggio diverso.
In Austria la guardia forestale controlla la salubrità dei boschi, la presenza di infestanti e, quindi, esiste una considerazione del patrimonio completamente diversa. Le proposte di legge presentate sono nelle mani di un ottimo relatore, ma il collega Onnis sa che dobbiamo approvare un testo che abbia dei riferimenti precisi e non interpretabili; in caso contrario, non faremmo un ottimo servizio né all'agricoltura né ai cacciatori, ma complicheremmo un esercizio venatorio già tanto conteso e spesso anche ingiustamente diffamato.
Esistono delle giuste aspettative per quanto riguarda la rifusione dei danni procurati dagli animali selvatici, ma non dobbiamo attingere ancora una volta alle risorse versate dal mondo venatorio. Nessuno vorrebbe la nutria perché, quando se ne insedia una colonia, crea dei danni enormi, non solo alle colture, ma anche all'ambiente (perfora ed indebolisce incessantemente gli argini, provocando straripamenti ed allagamenti di strade e case). Pertanto, ritengo sia giusta e motivata la richiesta di creare un fondo per il risarcimento di danni causati da animali selvatici, inseriti o meno nel calendario venatorio, ma bisogna prendere in considerazione le questioni serie per rispondere alle richieste oggettivamente riscontrabili.
SAURO SEDIOLI. Ringrazio le organizzazioni intervenute per il contributo fornito alla nostra discussione. Abbiamo insistito molto sulle audizioni delle parti interessate ed abbiamo ritenuto che non si potesse procedere alla discussione di nuove proposte di legge senza questo contributo di idee, di proposte e, soprattutto, senza conoscere l'iter applicativo della legge n. 157 del 1992 (la relazione a nostra disposizione risale al 1997, cioè agli anni meno significativi). Riteniamo, inoltre, che il Governo debba riferire sugli esiti dell'incontro della commissione ministeriale a Bruxelles: ci risulta che non siano stati così positivi da sostenere le proposte di legge avanzate e rischiamo di illudere i cacciatori con provvedimenti irrealizzabili.
Riteniamo che in questa discussione sia necessario conoscere la posizione del Governo, che - attraverso l'incaricato del ministro Alemanno, Berlato - ha annunciato in più occasioni la presentazione di un suo provvedimento (mi è stato riferito che questo avverrà sicuramente a Venezia), il quale andrà valutato anche rispetto alla riforma del titolo V della Costituzione e alle competenze regionali.
Siamo partiti con la presentazione di nove proposte di legge che contengono posizioni estreme e pericolose. Crediamo che, tutto sommato, la legge n. 157 del 1992 abbia consentito di raggiungere un equilibrio e che, romperlo senza un supporto scientifico adeguato, rischierebbe di peggiorare la situazione. Per tali motivi, non siamo disponibili a stravolgere la normativa contenuta in tale legge; il percorso prospettato, invece, potrebbe creare le condizioni per un confronto capace di dimostrare che alcune questioni possono essere risolte senza attendere la riforma.
Credo che la prima preoccupazione delle organizzazioni agricole sia quella di non dimenticare il comparto agricolo, il territorio rurale e i coltivatori: su questo siamo perfettamente d'accordo e dovremo rispondere alle preoccupazioni e alle attese dei coltivatori.
ORLANDO RUGGIERI. Ringrazio anch'io le associazioni presenti per l'apporto fornito alla Commissione, anche se ciò non mi impedisce di esprimere una nota di delusione per gli interventi, che, a mio parere, hanno interpretato in modo corporativo la legge n. 157 del 1992, che ha valenze decisamente più ampie e apre spazi di lavoro più vasti tra associazioni venatorie, ambientaliste e mondo agricolo.
Tali interpretazioni sono state anche inframmezzate da considerazioni che evidenziano un approccio eccessivamente ideologico e non sufficientemente costruttivo. Ad esempio, il passaggio riguardante la relazione sullo stato di attuazione della legge n. 157 mi fa pensare che vi sia un fine dilatorio, mentre la questione dovrebbe essere posta in termini più costruttivi.
Bisogna uscire dal «pantano» della discussione generale sulla legge n. 157: è innegabile che si tratta di una buona normativa, che apre spazi per tutte le associazioni, ambientaliste, venatorie ed agricole. Non è intenzione di nessuno smantellare tale legge, ma ritenerla scritta sulla pietra, come si trattasse di una tavola di Mosè, è una concezione incompatibile con i lavori parlamentari. Debbono essere prese in considerazione alcune modifiche, pur mantenendo l'impalcatura della normativa, che coinvolge tutti nella gestione del territorio, ma senza ottiche ideologiche o, peggio ancora, corporative, che invece mi sembra di avere colto nel dibattito odierno.
FRANCESCO ONNIS. In primo luogo, intendo ringraziare anch'io gli autorevoli rappresentanti delle organizzazioni agricole, non solo in quanto ci hanno onorato della loro presenza, ma perché hanno fornito un contributo puntuale e costruttivo all'indagine che la Commissione sta svolgendo nell'ambito dell'esame delle proposte di legge di modifica (e sottolineo il termine modifica) della legge n. 157 del 1992.
Credo vi sia un consenso unanime sullo snodo della questione parlamentare, che è anche una questione giuridica: nessuno intende - è stato ripetuto da più parti - fare «carta straccia» di tale legge, né stravolgere o modificare radicalmente l'impianto di questo corpo giuridico riguardante l'esercizio venatorio. Tutti i presentatori delle proposte di legge hanno preso spunto dall'esigenza - che mi sembra sia stata condivisa dalle associazioni presenti - di migliorare lo spessore e la portata della legge quadro vigente.
Posso assicurare ai rappresentanti delle organizzazioni agricole presenti che la Commissione, ed in particolare il sottoscritto, si muoverà tenendo presente una «stella polare» assolutamente irrinunciabile ed obbligatoria: il prelievo venatorio, quale sarà regolamentato a seguito delle modifiche apportate alla legge n. 157, sarà sempre, e soprattutto, compatibile con l'attività agricola. Su tale aspetto non possono esservi dubbi di sorta: dovrà essere una regolamentazione totalmente rispettosa dell'attività agricola.
È nota la simbiosi naturale esistente tra mondo agricolo e venatorio; la solidarietà, la vicinanza, la compattezza e l'interscambio tra i due mondi sono assolutamente cruciali per un possibile prelievo venatorio, come è sempre stato da quando si è ritenuto necessario regolamentare l'attività venatoria con legge. Per questo motivo, penso di poter obiettare al dottor Masini, il quale si è lamentato del fatto che le proposte di legge non prevedono innovazioni in riferimento alle tematiche agricole, che quanto è previsto dalla legge n. 157 in materia rimane assolutamente immodificato. I principi cui si faceva riferimento richiamando l'accordo del 1984, recepiti nella legge con piena soddisfazione del mondo agricolo, rimarranno inalterati.
Intendo anche rimarcare che, se nel corso dell'esame delle proposte di legge emergessero ulteriori esigenze del mondo agricolo, da parte nostra vi sarà la massima disponibilità a prenderle in considerazione ed, eventualmente, a trasfonderle in modifiche del testo normativo.
Non intendiamo stravolgere la legge perché siamo convinti della valenza dell'innovazione legislativa nel mondo venatorio ed agricolo italiano. La legge n. 157 del 1992 ha introdotto principi che non intendiamo affatto sovvertire. Concetti come la fauna della collettività hanno rappresentato un momento di responsabilità, di civilizzazione e di crescita anche del mondo venatorio: una cosa è sostenere che la fauna selvatica sia di proprietà dell'inventore o una res nullius, come sostenevano gli antichi; altra cosa è valutare, e quindi orientare la propria condotta sul dato giuridico che la fauna è proprietà della collettività. Colui che si impossessa della fauna si impossessa di un bene della collettività ed è, quindi, consapevole che può fare ciò soltanto in quanto da essa ha ricevuto l'autorizzazione, o meglio, la concessione, quale è la licenza di caccia. Tale principio cardine della legge n. 157 deve essere assolutamente rispettato: se continuerò ad essere relatore sulle proposte di legge in materia, eventuali tentativi di modificarlo non troveranno presso di me alcuna udienza.
Allo stesso modo, deve essere rispettato un altro principio di civiltà, il recepimento delle direttive comunitarie e l'allineamento doveroso alla normativa comunitaria. Nessuno intende metterlo in discussione. Però, dal momento che la lettura di questi principi e la portata dei testi normativi può influire sul prelievo venatorio, non debbono discenderne per i cittadini italiani regole di condotta più penalizzanti, che comportino sacrifici maggiori rispetto a quelli che debbono essere affrontati da altri Stati europei.
Non sempre da queste normative discendono regole puntualmente fissate: non è espresso da alcun principio comunitario, ad esempio, che il prelievo venatorio debba cessare il 31 gennaio. È noto che molti Stati europei sono andati al di là della interpretazione del principio comunitario, certamente errata, secondo cui il prelievo dovrebbe cessare il 31 gennaio: la Francia, la Grecia, il Portogallo e la Spagna hanno consentito il prelievo venatorio sino a periodi molto successivi, comprendenti anche il mese di febbraio.
Ecco perché, alla luce del discorso sulle date - del quale prendo atto -, fermo restando il rispetto delle regole comunitarie, bisognerà consentire anche in Italia quanto già previsto altrove. Soprattutto, bisognerà consentire una lettura delle norme comunitarie non nel senso voluto da coloro che si oppongono per principio ad una dilatazione dei tempi del prelievo venatorio ma, al contrario, nel senso consentito dalle norme comunitarie suddette.
Per quanto riguarda poi il discorso sulle specie, non vi è l'intendimento - neppure è scritto - di modificare tali specie (in più o in meno). Semmai, l'intervento potrà riguardare due o tre specie al massimo (forse neppure quelle). Potrà, invece, essere presa in seria considerazione - questo è un messaggio che ritengo si possa responsabilmente lanciare al mondo ambientalista - l'ipotesi di ridurle. In effetti, esiste la possibilità del prelievo di specie che, dal punto di vista venatorio, non hanno alcuna rilevanza.
Per quanto concerne i problemi e i temi che più specificamente riguardano il mondo agricolo, oltre a ringraziarvi, aggiungo che sarà potenziato il rispetto delle colture in atto (che pure è già nella legge). Sappiamo, infatti, che la caccia non può essere esercitata nei terreni in attualità di coltivazione (per la verità, non si tratta di un principio molto nuovo, perché risale ai primi del '900, quando, regolamentata la caccia, si disse che in quei fondi essa non poteva essere praticata).
Infine, trovo particolarmente penetrante il rilievo da voi mosso con riferimento alla esigenza di ricompensare il mondo agricolo dei danni che possono derivare da un esercizio non sempre corretto del prelievo venatorio. Ritengo che, qualora si arrivasse all'elaborazione di un testo unificato, si potrà introdurre una norma per la costituzione di un fondo da destinare al risarcimento dei pregiudizi economici eventualmente subiti dagli agricoltori a causa dell'esercizio dell'attività venatoria.
Tuttavia, si tratterebbe di un versante sul quale la legge dello Stato potrebbe intervenire soltanto per stabilire i principi, poiché l'esercizio effettivo dei poteri derivanti spetterebbe alle regioni. Per quanto riguarda, per esempio, il cinghiale, trovo interessante l'ipotesi di impedire la presenza di questo selvatico laddove produce danni gravissimi: esamineremo questa possibilità (cioè, se sia possibile, in certe situazioni agricole di particolare delicatezza, intervenire per evitare la presenza di tale animale).
Dedicheremo molta attenzione anche alle esigenze delle aziende biologiche (anche se ritengo che l'attività di prelievo venatorio possa essere compatibile con la presenza e la gestione di tali aziende) e prenderemo in esame lo stesso problema anche con riferimento alle aziende agrituristiche.
Certamente, gli interventi dovranno andare nella direzione di stabilire delle regole-principio - si tratta sempre di una legge quadro -, consentendo alle regioni l'esercizio di quei poteri e di quelle facoltà che sono ad esse già stati assegnati, anche a seguito della modifica della Costituzione. Per esempio, con riferimento alla dimensione degli ambiti di caccia, comprendo che bisogna salvaguardare il legame tra cacciatore e territorio, ma ritengo altresì opportuno che la determinazione delle dimensioni dei territori all'interno dei quali tale legame dovrà essere attuato venga rimessa alle regioni. In altre parole, saranno esse, e non lo Stato, a stabilire se vogliono un ambito di un chilometro quadrato o di mille chilometri quadrati. Lo Stato, infatti, non ha una coscienza del territorio altrettanto approfondita, anzi, nella maggior parte dei casi, si trova in una posizione di reale distanza da esso. Per questo motivo non è in grado di gestirlo nel migliore dei modi.
Si è accennato anche al problema dei parchi, che è contiguo a quello del prelievo venatorio. Desidero tuttavia ricordare che esiste una legge quadro, la cui modifica è già oggetto di iniziative oggi all'esame del Parlamento. Non c'è dubbio che, ad un certo punto, bisognerà riequilibrare la situazione, ma sempre nel rispetto delle esigenze dell'agricoltura, anche all'interno di quei territori dove è, dovrà o potrà essere costituito un parco.
Vi ringrazio ancora per la vostra collaborazione, che ritengo debba continuare ed essere arricchita da ulteriori incontri e contributi, perché tutti noi sappiamo che il rapporto di collaborazione tra i due mondi dei quali in questo momento stiamo discutendo è cruciale e ad esso nessuno di noi intende rinunciare.
PRESIDENTE. Do ora la parola ai nostri ospiti per la replica.
Devo quindi darle atto e merito, signor presidente, della estrema attenzione con cui questa Commissione ci ha oggi ascoltato - lo abbiamo molto apprezzato - e della disponibilità al confronto da parte di tutti i commissari. Per l'esperienza passata, non posso che qualificare tutto ciò in termini molto positivi.
Ciò premesso, una battuta nel merito vorrei riservarla all'intervento dell'onorevole Onnis. Pur considerando in maniera molto positiva le sue argomentazioni, vorrei evidenziare il fatto che in una delle due proposte di legge da lui presentate vi è un riferimento alla dimensione degli ambiti (si prevede, infatti, che gli ATC debbano avere dimensioni non inferiori a quelle della provincia). Non vi è, quindi, un rinvio tout court alla decisione delle regioni ma una definizione esplicita, quanto meno nella dimensione della provincia. Questo, per noi, costituisce un problema perché fissando comunque un tetto (che non può essere inferiore a una certa soglia), non si rimette alle regioni la scelta delle dimensioni degli ambiti di caccia. Sarebbe invece più opportuno concedere ad esse tale facoltà in maniera completa.
FRANCESCO ONNIS. Ma infatti io ho parlato nella prospettiva dell'elaborazione di un testo unificato, che non sarebbe mai, comunque, il testo della mia proposta!
MARINO BERTON, Rappresentante della CIA. È chiaro, la ringrazio.
Desidero tuttavia ribadire, qualora non fossi stato sufficientemente chiaro, che, non introducendo le proposte di legge in esame elementi di innovazione o di significativo scostamento rispetto alla legge n. 157 del 1992, non ne avvertiamo - forse le nostre parole saranno lette in termini corporativi - l'urgenza e la necessità, né esse soddisfano le esigenze delle nostre imprese, che vanno in tutt'altra direzione.
Possiamo parlare in termini diversi, non di risarcimento dei danni ma di gestione delle specie selvatiche che creano danni all'agricoltura, ovvero in termini di disponibilità di strumenti di controllo. Se i piani di abbattimento ex articolo 19 della legge n. 157 non sono sufficienti, andiamo a vedere quali sono gli strumenti amministrativi che ci consentono di intervenire in maniera più adeguata, per poi parlare di risarcimento, prevenzione, fondi assicurativi, eccetera. Si tratta di un capitolo che manca, così come manca....
PRESIDENTE. Mi dispiace interromperla, ma il tempo a nostra disposizione sta terminando. La prego di concludere.
STEFANO MASINI, Responsabile area territorio e ambiente della Coldiretti. Mi
consenta, signor presidente, solo una battuta: la mancanza di sufficiente considerazione per i problemi dell'agricoltura richiederebbe, ad avviso della Coldiretti, una più adeguata attenzione nell'organizzazione dei tempi dei lavori parlamentari, in modo da rendere possibili tutte le modifiche necessarie a far sì che le proposte di legge in esame non si limitino ad intervenire sulle norme in tema di caccia, ma intervengano anche sulle norme in materia di territorio, di agricoltura e di ambiente.
ANDREOTTO GAETANI, Rappresentante del servizio ambiente e sviluppo rurale della Confagricoltura. Desidero sottolineare l'intesa fra noi e il dottor Berton e il dottor Masini.
Ritengo che il tema in esame debba essere ulteriormente approfondito e che i principi della legge n. 157 del 1992 non debbano essere stravolti, in particolare quello della pariteticità nella gestione degli ambiti. Concordo inoltre con l'osservazione del dottor Masini relativa alla dimensione di tali ambiti.
Reputo pertanto opportuno un momento di riflessione e rinvio, per il resto, al documento che consegneremo alla Commissione. Vogliamo migliorare la situazione, non peggiorarla; se una delle componenti della triade che gestisce il territorio, costituita da agricoltori, cacciatori e ambientalisti, va nella direzione opposta rispetto alle altre, non realizzeremo nulla di buono.
PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti delle organizzazioni professionali agricole che sono intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 16,30.
COMMISSIONE XIII
AGRICOLTURA
RESOCONTO STENOGRAFICO
INDAGINE CONOSCITIVA
3.
SEDUTA DI MERCOLEDÌ 28 MAGGIO 2003
presidenza del presidente Giacomo de Ghislanzoni Cardoli
La seduta comincia alle 15,05.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
Audizione di rappresentanti delle associazioni venatorie Associazione italiana della caccia, Associazione nazionale libera caccia, Associazione dei migratoristi italiani per la conservazione dell'ambiente naturale, Unione nazionale Enalcaccia pesca e tiro, Arci-caccia, Federazione italiana della caccia e Ente produttori selvaggina.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva inerente l'esame dei progetti di legge C. 27 Stefani, C. 291 Massidda, C. 498 Bono, C. 1417 Onnis, C. 1418 Onnis, C. 2016 Benedetti Valentini, C. 2314 Serena, C. 3533 Pezzella e C. 3761 Bellillo, recanti «Modifiche alla legge n. 157 del 1992, protezione della fauna selvatica e prelievo venatorio», l'audizione di rappresentanti delle associazioni venatorie Associazione italiana della caccia, Associazione nazionale libera caccia, Associazione dei migratoristi italiani per la conservazione dell'ambiente naturale, Unione nazionale Enalcaccia pesca e tiro, Arci-caccia, Federazione italiana della caccia e Ente produttori selvaggina.
Sono presenti: l'onorevole Mario Gargano, presidente dell'Associazione italiana della caccia; il dottor Giovanni Bana e il dottor Massimo Marracci, rispettivamente presidente nazionale e presidente del comitato esecutivo dell'Associazione dei migratoristi italiani per la conservazione dell'ambiente naturale; il dottor Roberto Cicognani, vicepresidente dell'Unione nazionale Enalcaccia pesca e tiro; il signor Marco Ciarafoni, presidente del consiglio federativo nazionale dell'Arci-caccia; il dottor Fausto Prosperini e il dottor Massimo Cocchi, rispettivamente presidente e vicepresidente della Federazione italiana della caccia; l'onorevole Nello Balestracci e il dottor Mario Giardini, rispettivamente presidente e vicepresidente dell'Ente produttori selvaggina.
Do subito la parola ai nostri illustri ospiti.
GIOVANNI BANA, Presidente nazionale dell'Associazione migratoristi italiani per la conservazione dell'ambiente naturale. Signor presidente, ringrazio la Commissione per l'invito a partecipare all'audizione odierna, che riguarda un tema particolarmente importante ed interessante.
Vorrei svolgere alcune considerazioni di carattere non tanto nazionale quanto europeo. Innanzitutto, intendo riferirmi ad alcune affermazioni svolte nel corso del noto convegno tenutosi recentemente a Venezia, con cui l'Istituto nazionale della fauna selvatica ha rilevato la singolarità del fatto che gli animali cacciati in Italia, in base all'articolo 18 della normativa in vigore, godono di buona salute, mentre talune specie di uccelli selvatici escluse dall'attività venatoria non versano in uno stato di salute altrettanto buono. L'Istituto ha quindi indicato quali siano le specie interessate.
Queste osservazioni sono state immediatamente colte, in rappresentanza della commissaria europea all'ambiente, dal direttore generale Prudencio Perera, il quale ha concluso che, alla luce di quanto disposto sia dalla direttiva comunitaria sugli uccelli del 1979 sia da quella in tema di habitat del 1992, i nostri risultati non sono stati positivi in termini di efficienza. Egli ha svolto un ragionamento molto chiaro, anche in rapporto ad altri interventi normativi europei. Se pensiamo che la direttiva sull'amianto, nei suoi dieci anni di vita, è stata modificata ben quattro volte, il distacco è evidente. La direttiva del 1979 sugli uccelli non è stata mai modificata, nonostante sia stata originariamente concepita per un numero ristretto di Stati membri (precisamente nove) e successivamente estesa prima a dodici e poi a quindici paesi europei. Con il medesimo «contenitore» normativo dovranno confrontarsi i nuovi Stati membri - per un totale di ben 25 paesi - a far data dal 1o maggio 2004.
Queste osservazioni di carattere tecnico-giuridico hanno una chiara ragion d'essere. Nell'ambito di un'Europa molto più ampia, la normativa comunitaria principale che regola il settore in esame appare inadeguata ad affrontare la realtà attuale. Cito, a titolo esemplificativo, il Consiglio internazionale della caccia, riunitosi recentemente ad Helsinki, nel corso del quale ci siamo resi conto della discrepanza eccessiva tra i caratteri di quell'area geografica e la situazione italiana, o meglio ancora del bacino mediterraneo. Ad Helsinki la primavera è in ritardo di due mesi e mezzo rispetto alla nostra, i tulipani non sono ancora in fiore e gli uccelli migratori non sono ancora arrivati. Quando parliamo a livello scientifico di migrazione prenuziale, dobbiamo tenere conto anche del fatto che agli eventi naturali cui ci riferiamo la regolamentazione legislativa sta evidentemente stretta. «La natura non fa un salto», osservavano gli antichi. Di conseguenza, anche sotto questo punto di vista, dobbiamo compiere un ripensamento.
Voglio concludere richiamandomi ad un suggerimento che si riconduce all'accordo di Goteborg del 2002, in cui si fa riferimento al problema della biodiversità. La Comunità europea si chiede se in questo momento le sue direttive abbiano raggiunto il loro scopo o siano fallite. In questo contesto si colloca la modifica della legge sulla caccia in Italia.
Siamo alla vigilia del semestre di presidenza italiana. È un semestre molto importante. Invito tutti i parlamentari a sollecitare il Governo italiano ad istituire un consiglio informale dell'agricoltura - e, se del caso, anche dell'ambiente - sul tema fondamentale dell'agricoltura e della biodiversità. Siamo nella sede competente al massimo livello e, di conseguenza, l'agricoltura deve ricevere una tutela particolare. Portare questo tema all'attenzione dell'Europa può essere importante per lo Stato italiano ai fini della legge nazionale sulla caccia.
MASSIMO MARRACCI, Presidente del comitato esecutivo dell'Associazione dei migratoristi italiani per la conservazione dell'ambiente naturale. Mi ricollegherò in parte a quanto ha detto l'avvocato Bana per svolgere alcune brevi considerazioni sulla situazione europea in rapporto a quella del nostro paese.
Vi è una valutazione generale comunque positiva sullo spirito iniziale della legge n. 157 del 1992, che era quello di favorire una collaborazione tra le diverse categorie di cittadini che, a vario titolo, sono coinvolte nella gestione diretta della fauna selvatica, dell'ambiente naturale e del territorio rurale. Questo è un problema estremamente importante - come diceva l'avvocato Bana - in quanto la perdita di biodiversità in Europa e, in parte, nel nostro paese è al centro della discussione, perché si preannunciano scenari futuri estremamente innovativi e non troppo lontani.
Sono intervenute (tutti noi lo abbiamo sperimentato, anzitutto come cittadini italiani) diverse modifiche nell'assetto costituzionale. Pensiamo, ad esempio, alla riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, che è stata sottoposta anche a referendum popolare. Inizialmente l'impianto della legge n. 157 del 1992, essendo precedente a questa riforma o comunque all'evoluzione in senso federalista della normativa nei vari settori del sociale e della vita quotidiana e politica, non poteva rispondere a tale esigenza, di cui si è dibattuto solo in anni molto recenti.
Per far sì che il settore della gestione della fauna selvatica e quello dell'attività venatoria procedano su binari non solo paralleli ma convergenti, riteniamo dunque che la questione del federalismo debba essere tenuta in considerazione, anche nell'ottica di una modifica della legge n. 157 del 1992, in quanto è ancora aperto un dibattito giuridico in merito.
ROBERTO CICOGNANI, Vicepresidente dell'Unione nazionale Enalcaccia pesca e tiro. Ringrazio anzitutto la Commissione per l'opportunità che ci ha dato.
Finalmente si è arrivati a questo punto: è da molto che il popolo venatorio lo aspettava. Senza entrare nel dettaglio delle varie tematiche (quali federalismo o non federalismo), noi chiediamo principalmente una dilatazione dei tempi di caccia che sia rispettosa dei calendari europei e un elenco di specie cacciabili in linea con quello europeo. Ci auguriamo, inoltre, che venga eliminato il regime che prevede l'opzione della caccia come elemento essenziale per l'esercizio della nostra attività.
Non abbiamo altro da aggiungere; aspettiamo l'evolversi dei lavori e, se sarà il caso, interverremo con ulteriori considerazioni.
MARCO CIARAFONI, Presidente del consiglio federativo nazionale dell'Arci-caccia. Ringrazio il presidente e i membri della Commissione per questa opportunità che ci viene data.
È sempre un bel modo di agire quello di invitare le rappresentanze dei cittadini ad esporre le proprie opinioni: in questo contesto, noi vogliamo esprimere il nostro punto di vista in merito ai progetti di legge presentati in questo ramo del Parlamento. Siamo consapevoli del nostro compito associativo ed intendiamo richiamare l'attenzione del legislatore su alcuni aspetti. Al termine di questo incontro, inoltre, consegneremo alla Commissione un documento che illustra in modo articolato le nostre proposte.
Riteniamo che qualsiasi legge possa essere oggetto di modifiche; per fare questo, però, occorre tenere conto, dal nostro punto di vista, di almeno quattro aspetti, che riteniamo fondamentali.
Il primo aspetto è che, per modificare, occorre conoscere. Per conoscere, occorre dare seguito a quanto previsto dalla legge n. 157 del 1992, cioè acquisire la relazione sullo stato di applicazione della stessa, per capire sia i suoi aspetti positivi sia i suoi limiti applicativi, e predisporre le eventuali correzioni legislative qualora il legislatore ritenga, alla luce delle audizioni svolte, che sia necessario procedere in tal senso. Oggi ci troviamo di fronte ad una relazione parziale, perché si ferma a qualche anno fa, quando la legge ancora non veniva applicata in gran parte del paese, e non affronta questioni di fondo legate agli investimenti, alle risorse impiegate, ai risultati faunistici prodotti e ad una serie di problematiche che meriterebbero un maggiore approfondimento. Chiediamo alla Commissione di sollecitare il ministero competente affinché la relazione di cui si parla venga aggiornata e, ove ciò non fosse possibile, riteniamo utile che la Commissione svolga delle audizioni di merito con i soggetti istituzionali, le regioni, le province, l'INFS, l'università, gli ATC e i CA, che sono stati chiamati dalla legge ad affrontare compiutamente questo aspetto.
In secondo luogo, i progetti di legge presentati contengono innovazioni molto forti sotto il profilo dei tempi e delle specie cacciabili. Sappiamo che le due questioni sono direttamente collegate ad impegni di carattere europeo; non ci risulta che il Governo italiano, o lo stesso Parlamento, abbia verificato se le proposte presentate rispettino le disposizioni comunitarie. Probabilmente, sarà necessaria una verifica per capire se il tema di cui stiamo discutendo (più tempi o più specie) sia in linea con le normative europee, anche per evitare procedimenti di infrazione imbarazzanti, soprattutto in prossimità del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea.
Il terzo aspetto riguarda la riforma costituzionale. Le competenze sono state diversificate per quanto attiene all'ambiente e alla caccia; fermo restando che la tutela dell'ecosistema rientra nella competenza legislativa dello Stato (sempre nel rispetto delle convenzioni internazionali), riteniamo che occorra procedere ad una definizione certa delle competenze che, probabilmente, spetterà al Parlamento con una legge specifica, come è già avvenuto per altre materie. È molto utile effettuare questa verifica perché tutta la parte regolamentare anteriore alla legge n. 157 del 1992 potrebbe essere «storicizzata» alla luce di una verifica degli aspetti che rimangono in capo allo Stato e di quelli che, invece, rientrano nella potestà legislativa regionale.
Per quanto riguarda il quarto aspetto, siamo fortemente preoccupati perché la legge n. 157 del 1992 ha rappresentato un punto di equilibrio avanzato e condiviso da larga parte della popolazione, nonché dalle associazioni ambientaliste, dagli agricoltori, e via dicendo. Procedere a modifiche di tipo normativo senza i presupposti di cui parlavo prima rischia di aprire uno scontro sociale nel paese, ma anche di alimentare tensioni tra gli stessi cacciatori su alcune questioni, quali il nomadismo venatorio o l'ampiezza degli ATC, che già sono state dibattute e sulle quali si era pervenuti ad punto di equilibrio.
Ecco perché auspichiamo che la Commissione, dopo aver effettuato le opportune audizioni, compia una riflessione che coinvolga tutti coloro che hanno prodotto osservazioni di merito sulle proposte di legge presentate.
Per quanto riguarda tali proposte di legge, non possiamo astenerci dal rilevare come esse, nel loro complesso, sembrino convergere su un sistema di caccia deregolato e consumistico, il che suscita in noi preoccupazione. Come interpretare, d'altronde, le proposte di modifica dello stato giuridico della fauna selvatica, volte a considerare quest'ultima res nullius oppure appartenente ad istituti privati quali i comprensori? Questa parte verrebbe smantellata oppure si procederebbe anche all'ampliamento delle aziende private di caccia fino al 25 per cento? Ancora, vi sarebbe uno smantellamento degli ATC a livello subprovinciale per farne ambiti a livello interregionale? E per quanto riguarda la ripartizione, sugli assetti del territorio quale sarebbe la situazione?
Riteniamo che occorra rafforzare la politica della gestione del territorio e valorizzare gli ATC: a questo riguardo, potrebbe prefigurarsi un'iniziativa legislativa finalizzata proprio a far sì che la gestione sociale si rafforzi sempre più nell'attuale sistema legislativo del paese.
Per tali motivi, concordando con le proposte già avanzate in questa sede dalle organizzazioni agricole, chiediamo una pausa di riflessione al fine di acquisire gli elementi conoscitivi di cui ho parlato nonché di verificare l'esistenza di alleanze più larghe nella società per dare seguito alle iniziative di modifica della legge n. 157 del 1992.
FAUSTO PROSPERINI, Presidente della Federazione italiana della caccia. Signor presidente, abbiamo letto attentamente le proposte di legge presentate e condividiamo i concetti espressi in alcune di essi (ma non in altri), tendenti a valorizzare e rafforzare alcuni principi contenuti nella legge n. 157 del 1992. Mi riferisco alla gestione del territorio, al coinvolgimento delle forze sociali (e, quindi, al ruolo importante degli agricoltori, degli ambientalisti, delle istituzioni e degli stessi cacciatori), al permanere del concetto di una caccia che sia sostenibile non solo rispetto all'ambiente ma anche sotto altri punti di vista. In altre parole, mi riferisco al concetto di prelevare gli interessi senza mai intaccare il capitale.
Non condividiamo, invece, alcune proposte di legge laddove mettono in discussione lo status della selvaggina, paventando una possibile privatizzazione della caccia. Ciò non ci convince e respingiamo con forza tale approccio nel suo complesso: la selvaggina deve rimanere proprietà indisponibile dello Stato, e non del proprietario del fondo.
Ribadiamo il carattere non consumistico e quindi non privatistico della caccia. Quest'ultima - non è retorica - ha accompagnato l'uomo nei secoli: il primo atto varato dall'Assemblea dopo il 14 luglio del 1789 fu una convocazione ad hoc per regolamentare l'accesso ai fondi per quanto riguarda il prelievo dell'attività venatoria. Nel contempo, sono pervenute all'attenzione del paese, su iniziativa di questo Parlamento, atti importanti quali la modifica del Titolo V della Costituzione.
La legge n. 157 del 1992 è stata una grande legge, che ha corrisposto ad esigenze molto importanti non soltanto sotto l'aspetto della gestione del territorio ai fini faunistici ma anche dal punto di vista della gestione del territorio nel suo complesso. Tuttavia, si tratta di una legge fortemente centralistica e particolarmente di dettaglio: nel 1992, d'altronde, l'attività legislativa era contrassegnata da una forte visione centralista ed era lo Stato che tendeva a prevalere sulle istituzioni locali. Adesso, invece, bisogna dare più potere alle regioni.
Ribadiamo tale nostra convinzione in tema di caccia, agricoltura ed ambiente. Non sono d'accordo con coloro i quali sostengono che nelle regioni vi sia una sorta di «moderno Attila», forse anche perché sono stato legislatore regionale, e quindi so con quanta sofferenza si tenti di avvicinare le istituzioni ai problemi della gestione del territorio. Il legislatore regionale incontra quotidianamente il cittadino e si confronta con quest'ultimo: qualora commettesse un errore, verrebbe avvertito dal cittadino molto prima di quanto avverrebbe nel caso che, a commettere lo stesso errore, fosse il legislatore nazionale. Sono convinto che nelle regioni vi siano forze e legislatori responsabili, che, in ottemperanza a quanto previsto dalla modifica del titolo V della Costituzione, possano fare bene il proprio lavoro.
A questo riguardo, desideriamo lasciare all'attenzione della Commissione un documento quale testimonianza della Federazione italiana della caccia.
Vorrei concludere con una sottolineatura non positiva. Nella legge n. 157 del 1992 è scritto che il Parlamento avrebbe dovuto discutere una relazione presentata dal Governo sullo stato di attuazione della suddetta legge. Purtroppo, sono passati dieci anni ma questa relazione non è mai stata presentata. Riteniamo che, senza una conoscenza completa degli atti, sia difficoltoso portare a compimento in maniera esaustiva la discussione in corso. Sappiamo che alcune regioni hanno applicato bene la legge n. 157 attraverso leggi di recepimento di altissimo livello, non soltanto per appagare, come è stato rilevato da qualcuno, la passione dei cacciatori, ma anche per dare una risposta positiva alla qualità della vita in quelle regioni. Altre regioni, al contrario, non l'hanno mai applicata.
Per questo, chiediamo con urgenza che il Parlamento, innanzitutto, ma anche le organizzazioni sociali e le associazioni venatorie, siano messi in condizione di conoscere lo stato di attuazione della legge n. 157 del 1992.
NELLO BALESTRACCI, Presidente dell'Ente produttori selvaggina. Ringrazio il presidente per averci dato questa opportunità.
Vorrei svolgere una brevissima premessa, afferente ad una questione a mio parere molto presente al legislatore. Si discute circa la necessità di modificare la legge n. 157 del 1992: in proposito, osservo che sarebbe opportuno dare garanzie di certezza e definizione al quadro istituzionale complessivo, attualmente in via di riforma. Mi riferisco, ovviamente, al Titolo V della Costituzione. Non vorrei vi fosse una sfasatura temporale, ossia il rischio di approvare una legge - che a mio parere dovrebbe opportunamente qualificarsi come normativa di principio - e poi di diversificare ulteriormente, nel processo di riforma del Titolo V, i poteri dello Stato e delle regioni, dando seguito alle conflittualità ormai iscritte nella storia degli ultimi anni.
Noi rappresentiamo la parte privatistica, che non è necessariamente conflittuale - lo dico al collega Ciarafoni - con quella che è stata definita «gestione sociale» della caccia. Vorrei ricordare al presidente (il quale certamente conosce la realtà di cui si discute) che le nostre aziende faunistico-venatorie (non soltanto quelle collinari, di pianura o montane, ma anche quelle vallive) svolgono, senza fini di lucro, per molti aspetti una insostituibile funzione pubblica. Vi sono concessionari che, seppure dediti ad attività di riproduzione e conservazione della selvaggina, sono prioritariamente interessati alla tutela ambientale. Se fosse diversamente, si porrebbe una contraddizione in termini.
Vi sono soggetti che liberano risorse molto consistenti, svolgendo una funzione non dico di supplenza ma quantomeno di coordinamento e concorso nella tutela ambientale. Questo a me pare non possa essere minimamente messo in discussione. A fronte di ciò, ritengo si debba affermare con coerenza che la legge n. 157 del 1992, nel momento politico in cui è nata, ha rappresentato un grande elemento di equilibrio. Allora mi trovavo anch'io nelle aule parlamentari e so quali sono state le difficoltà per conciliare le varie esigenze; tra l'altro, per quanto attiene ai problemi venatori, era un momento molto più conflittuale di quello attuale.
Allo stato, ritengo essenziale, nell'intento di verificare se vi sia la necessità di adeguare e modificare la normativa esistente, mantenere fermo un concetto base, quello della programmazione, da estendere all'intero territorio agro-silvo-pastorale che, nelle varie regioni, non è stato oggetto di una coerente azione legislativa ed amministrativa. Mi riferisco ai nostri istituti. La legge prevedeva la possibilità di destinare fino ad un 15 per cento del territorio agro-silvo-pastorale ad aziende faunistico-venatorie oppure a centri privati di produzione faunistica. Ma, come è noto, molte regioni e province hanno destinato a questi soggetti il 4, il 7 o il 10 per cento del territorio, anche a fronte di richieste molto serie a favore della promozione di dette aziende.
Chiediamo, quindi, che la programmazione dell'intero territorio agro-silvo-pastorale, da destinare alla caccia pubblica o a quella privata, costituisca un principio essenziale, al quale non si possa successivamente derogare. In passato, del resto, abbiamo vissuto situazioni drammatiche. Ad esempio, talvolta nella creazione di parchi nazionali o regionali sono state coinvolte numerose aziende, presenti sul territorio da decine di anni, che improvvisamente sono state «ablate», cioè «fatte fuori». Capisco l'esigenza di prevedere oasi di protezione, ma una programmazione non può partire dal nulla, in quanto si deve tenere conto degli istituti presenti. Secondo me, questo è un principio che dovrebbe stare a cuore a tutti noi, perché è negli ATC, nelle aziende, che può essere trovata oggettivamente una risposta alla pratica alla caccia. Potremmo anche svolgere una riflessione sui parchi nazionali o regionali, sulle oasi: in questo senso, non si può non ritenerli come confluenti rispetto alla programmazione di tutto il territorio; altrimenti, compiremmo delle scelte non molto coerenti.
Ritengo siano questi i problemi essenziali da affrontare. Non mi soffermo sulla questione della proprietà della selvaggina: come i colleghi sanno, anche noi ci siamo espressi in modo molto netto su tale questione.
In conclusione, vorrei dire che ci aspettiamo una considerazione non ideologica degli istituti privati, che non sono soggetti privilegiati ma concorrono, tutti insieme, all'esercizio della caccia, da un lato, e alla protezione ambientale, dall'altro. Ritengo che su questi punti fondamentali possa essere trovato un accordo tra tutte le componenti, quelle maggiormente rappresentative dei cacciatori e quelle rappresentative degli agricoltori e dei concessionari.
MARIO GARGANO, Presidente dell'Associazione italiana della caccia. Signor presidente, vorrei innanzitutto ringraziarla per la convocazione odierna. Apprezzo anche la particolare attenzione che a questi problemi sta dedicando il relatore, onorevole Onnis: non si tratta di un lavoro di routine, ma di una attività svolta con una passione ammirevole. Ringrazio altresì i membri della Commissione per la loro disponibilità e sensibilità, in particolare l'onorevole Marcora.
Anche l'Italcaccia si riserva di inviare una memoria contenente elementi concreti. In principio, in base alle riflessioni condotte sulla legge n. 157 del 1992, si è ritenuto che la normativa in essa contenuta dovesse essere superata; nel corso delle discussioni, invece, abbiamo capito che essa rimane un capitolo indispensabile nella legislazione in materia. Credo che ciò sia molto importante. Forse, avremmo potuto utilizzare più propriamente la normativa in vigore, che, consapevole del carattere sperimentale della materia, aveva previsto i famosi rapporti triennali: sono passati ben tre di questi cicli temporali senza che alcuno se ne sia servito. Avremmo potuto invece valutare come la sperimentazione potesse essere calata nella realtà concreta.
Sono intervenuti, inoltre, i ben noti problemi relativi alla modifica del Titolo V della Costituzione, che naturalmente presuppongono una visione diversa. Arrivati a questo punto, occorre verificare a cosa conduca e come proceda il consolidarsi della potestà legislativa regionale. Non vorremmo si invadesse il campo spettante alle regioni; d'altra parte, bisogna acquisire dalle istituzioni europee informazioni precise circa i limiti da rispettare in materia. Stabilire per legge la possibilità di ampliare il tempo di caccia e le specie cacciabili senza averne l'autorevolezza significa compiere un'operazione a vuoto.
Su quanto detto esprimo, in ogni caso, la mia piena condivisione, riservandomi di inviare ulteriori considerazioni contenenti proposte concrete in materia.
PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire.
LUIGINO VASCON. Credo che quella odierna, più che un'audizione, sia un'ottima occasione per confrontarci con coloro che dovrebbero avere - e spero abbiano - il reale polso della situazione. Cercherò di essere breve, anche se dovrei parlare per ore, in quanto gli argomenti sono tanti; tuttavia, conosco le esigenze della Commissione e quindi cercherò di essere estremamente stringato.
Sono stati toccati punti molto delicati, ma dobbiamo essere franchi e trasparenti. Mentre oggi, in questa sede, noi stiamo portando avanti un confronto con coloro che rappresentano in maniera più che autorevole il mondo venatorio nazionale sulla modifica della legge n. 157 del 1992 (una legge che non ho mai fatto segreto di contestare, ma che non per questo è da «rottamare»), c'è chi sta lavorando - del resto, ero stato invitato anche io oggi - presso il ministero per elaborare un'iniziativa legislativa del Governo volta a cancellare completamente la legge n. 157.
Io non ho nulla da nascondere e da coprire. Ieri ho scritto una lettera a Berlato, il quale, da quanto ho letto, è stato indicato dal ministro quale consigliere particolare e responsabile dell'ufficio tecnico che dovrebbe redigere il disegno di legge in questione. Ho scritto anche al ministro delle politiche agricole e forestali e a tutti i rappresentanti della Casa delle libertà per quanto riguarda la materia della caccia, nonché all'amico e collega Onnis. Non elenco i contenuti di tali lettere, ma riferisco solo la conclusione: il gruppo della Lega Nord Padania, che io rappresento in materia venatoria, riconosce esclusivamente il lavoro svolto dalla Camera dei deputati e dà pieno appoggio e massima disponibilità al relatore, onorevole Onnis.
MARCO LION. Chiedendo le dimissioni di Alemanno?
LUIGINO VASCON. Questo dovreste farlo voi, che siete l'opposizione! Voi Verdi dovreste avere un po' di spina dorsale, che ultimamente vi è mancata.
Al di là delle pieghe del provvedimento (di cui poi elencherò brevemente i passaggi che mi hanno maggiormente colpito), mi preoccupa il rischio che noi, involontariamente, potremmo diventare coloro che promuovono un referendum sulla caccia. Signori rappresentanti delle associazioni venatorie, sapete benissimo cosa vuol dire questo! Non credo vi siano le condizioni ottimali per un referendum. Comunque, se qualcuno vuole questo, sappia che se ne dovrà anche assumere la responsabilità.
MARIO GARGANO, Presidente dell'Associazione italiana della caccia. È una minaccia?
LUIGINO VASCON. No, è una previsione. Non è affatto una minaccia: anzi, io lo scongiuro fortemente.
In merito alle considerazioni svolte dagli auditi, sono in piena sintonia con quanto è stato affermato, in particolare (in questa circostanza, non in altre) dal signor Ciarafoni. Condivido ciò che ha detto, soprattutto con riferimento al nomadismo venatorio, all'ampiezza degli ATC e alla conseguente gestione degli stessi, perché è frutto di buon senso, di attenta osservazione e di profonda conoscenza.
Mi ha fatto riflettere un'esternazione del presidente Prosperini, il quale ha detto che per modificare occorre conoscere. È verissimo e sacrosanto: molto spesso ci sono persone che producono atti senza sapere come né perché, e poi gli effetti sono quelli che sono. Noi dobbiamo essere responsabili, attenti e vigili, anche, purtroppo, nei confronti di chi, preso da eccesso di zelo o strattonato per la giacca dall'amico, porta avanti concetti improponibili.
Si è parlato di aziende faunistico-venatorie. Si tratta di un argomento su cui si dovrebbe discutere a lungo, anche perché dovremmo fare un po' di luce su ciò che è l'azienda faunistico-venatoria e su ciò che è quella faunistico-agrovenatoria. Non dobbiamo avere la presunzione di prendere in giro la gente. L'azienda faunistico-venatoria è riservata a pochi eletti dai generosi portafogli; l'azienda faunistico-agrovenatoria è riservata a coloro che intendono andare in un fagianomedro per ammazzare 100-200 fagiani a battuta. Ma questa non è caccia, è produzione di un bene di consumo, come le scarpe, i copertoni per le auto, e altre cose.
Ognuno di noi sa che nove su dieci di queste autorizzazioni andrebbero revocate perché non corrispondono esattamente alla realtà e ai dettami legislativi, in particolare per quanto riguarda le aziende faunistico-venatorie. Semmai, ne risponderanno coloro che hanno concesso tali autorizzazioni, cioè i politici, perché la concessione dell'autorizzazione è un atto politico-amministrativo.
Come è noto, mi batto fortemente per il decentramento amministrativo e politico a livello regionale, quindi per un federalismo reale ed applicato. Sono fortemente convinto che la legge n. 157 del 1992 debba essere modificata ma non stravolta, perché rappresenta un punto di riferimento. Sappiamo che essa è nata in un momento politico particolare ed è frutto di un compromesso politico dell'epoca, che probabilmente non consentiva altre soluzioni. Non entro nello specifico del come e del perché essa è nata. Resta il fatto che è una legge già vecchia e zoppa; mancano addirittura le relazioni di riferimento.
Ad avviso mio e del gruppo che rappresento, la legge n. 157 del 1992 (che va riformata e che tutti, credo, vogliono riformare) deve essere modificata in modo semplice e snello, nel rispetto delle modifiche del titolo V della Costituzione. La legge di modifica dovrà contenere le disposizioni in tema di pubblica sicurezza e quelle volte a rispettare la normativa europea; per il resto, si dovrà dare alle regioni la facoltà di produrre leggi adatte alle loro esigenze. Sfido chiunque a contraddirmi quando affermo che le condizioni ambientali, morfologiche, territoriali e climatiche del Veneto non sono uguali a quelle della Sardegna e neppure a quelle del vicino Friuli. Non possiamo avere l'ardire di produrre un provvedimento legislativo peggiore di quello esistente!
Ho appreso con soddisfazione l'esternazione fatta dai rappresentanti dell'INFS alla convention di Venezia, i quali affermano che gli animali delle specie immesse nell'ambiente a fini di riproduzione risultano più sani di quelli che, non essendo cacciati, non vengono reintrodotti nell'ambiente.
Questo ci dovrebbe far pensare, ma ancora di più dovrebbe fare riflettere in particolare i protezionisti e i proibizionisti, i quali hanno una visione limitata e ottusa della situazione poiché ritengono che con il divieto di riformare si ottenga qualcosa, mentre invece è vero il contrario.
Sono presenti, oggi, gli esponenti delle associazioni venatorie di tutta Italia e non della sola Padania. Provate a domandare loro per quale motivo nel meridione non c'è fauna stanziale! Provate a domandare loro per quale motivo nel meridione c'è un grandissimo - e purtroppo anche molto preoccupante - numero di animali nocivi, come la volpe!
Desidero rivolgere un appello - in realtà si tratta più di una raccomandazione, poiché sono sicuro che le associazioni coinvolte hanno già pensato a quanto sto per dire - ai tanti rappresentanti presenti oggi in questa sede. Bisogna promuovere occasioni di incontro, affinché il cacciatore italiano si adegui, diventi più moderno, meno facile bersaglio di chi intende strumentalizzare o criminalizzare la caccia. In altre parole, dobbiamo rendere il cacciatore italiano più europeo.
Ho la fortuna di poter cacciare in giro per il mondo e mi rendo conto che altrove la situazione è diversa. Mi piacerebbe che anche a casa mia i cacciatori, i presidenti delle sezioni - perché è da loro che parte l'esempio -, avessero una visione più moderna: la caccia, fortunatamente, non è uno sport! La caccia, oggi, non serve più per mangiare, bensì rappresenta la continuità di una tradizione e di una cultura: anche per questo è necessaria una forma adeguata.
Ritengo che nessuno meglio dei rappresentanti delle associazioni venatorie sia in grado di veicolare questo mio messaggio, probabilmente condiviso da molti.
Molto spesso, signor presidente, l'attività venatoria viene intesa semplicemente come un prelievo barbaro, mentre dovrebbe essere vista in una giusta ottica, quella di chi ha rispetto per coloro che, autorizzati da una legge dello Stato, compiono determinate azioni rituali e gestuali, derivanti da una tradizione e da una cultura che altri vorrebbero venisse cancellata. Noi siamo qui per legiferare affinché sia tutelata la continuità delle nostre tradizioni e delle nostre culture popolari. Ciò non significa che dobbiamo legiferare male; anzi, dobbiamo legiferare al meglio!
Per questo motivo, ribadisco ancora una volta la grande disponibilità che io ed il mio gruppo daremo all'onorevole Onnis, anche se egli sa bene che mi adopererò per cercare di snellire il più possibile il testo e per dare alle regioni più competenze possibili. La nostra sarà una collaborazione seria e leale.
In conclusione, signor presidente, auguro buon lavoro a lei e all'onorevole Onnis, che ha una bella «gatta da pelare»!
MARCO LION. Ho ascoltato con molto interesse le relazioni e gli approfondimenti che i vari rappresentanti delle associazioni venatorie italiane hanno oggi sottoposto all'attenzione della Commissione.
Devo anche ammettere che, per alcuni aspetti, esiste un approccio - come il mio, per esempio - che non vuole essere ideologico nei confronti del problema della caccia ma mira al confronto sui dati di questi ultimi anni relativi al rapporto tra caccia, agricoltura, associazioni ambientaliste e tutela dell'ambiente. Questi dati sono sfociati nella legge n. 157 del 1992, che noi consideriamo, ancora oggi, una legge valida e quindi da mantenere nel suo insieme.
Riteniamo sia importante legare il cacciatore al proprio territorio e dare alle associazioni venatorie la possibilità di lavorare per una corretta gestione del territorio (quindi anche per una corretta gestione della fauna, anche se, a differenza del mio personale convincimento, tutto ciò porta alle finalità dell'attività venatoria). Pertanto, credo (lo abbiamo già sostenuto all'inizio della discussione delle proposte di legge in materia) che molti dei firmatari di tali provvedimenti dovrebbero imparare ad avere un approccio più calibrato e più legato alla realtà di fatti la cui importanza è stata sottolineata, anche oggi, da alcune associazioni venatorie. Oggettivamente - ritengo di dover dire le cose come stanno - alcune delle proposte di legge presentate sono una pura e semplice provocazione, in quanto non sono riconducibili ad una cultura avanzata della gestione del nostro ambiente, cultura che, invece, siamo riusciti a conseguire in Italia negli ultimi anni.
Per questo motivo, condivido sia l'osservazione secondo la quale bisogna andare nella direzione di una deregulation per quanto riguarda la caccia in Italia, sia quella relativa all'uso consumistico di tale attività. Tuttavia, l'approccio che alcune proposte di legge hanno al tema in esame è legato più ad una logica esclusivamente «di mercato» che ad un vero rapporto tra il cittadino, il cacciatore e il territorio.
Ritengo che vada certamente approfondita ed accolta la proposta, da più parti avanzata, di una pausa di riflessione anche in merito all'effettiva attuazione della legge n. 157 del 1992: è vero, infatti, che a questo riguardo non è stato mai presentato da parte del ministero uno straccio di documento! Sarebbe quindi importante verificare ciò che è accaduto finora, anche perché sappiamo che non tutti gli di ATC funzionano in Italia nella stessa maniera e con lo stesso grado di qualità; anzi, bisognerebbe forse verificare, a livello nazionale, cosa è accaduto nei diversi ATC locali.
Io provengo da una provincia, quella di Ancona, nella quale alcuni passi importanti sono stati compiuti e ritengo che, legando saldamente il cacciatore al proprio territorio, si sia giunti a risultati qualitativamente buoni. Tuttavia, ciò non è avvenuto in tutte le parti d'Italia ma solo in alcune. Forse, bisognerebbe che la stessa magistratura, più che il Parlamento, intervenisse.
Ritengo che un approfondimento ed una verifica da parte del ministero in merito allo stato di attuazione della legge n. 157 del 1992 andrebbero senz'altro condotti, così come sottolineo e condivido la necessità di non compiere «salti in avanti», al di fuori o contro norme e convenzioni comunitarie esistenti, perché di procedimenti di infrazione in questo settore ve ne sono già stati abbastanza e i risultati di certe «fughe in avanti», anche dal punto di vista della legislazione, sono sotto gli occhi di tutti! È altrettanto vero che una definizione incerta delle competenze spettanti allo Stato e alle regioni, in questa fase di modifiche costituzionali e di approccio federalista del nostro Stato, non ci permette di giungere a definizioni che possano precorrere il quadro legislativo, attualmente in evoluzione.
Mi auguro che le considerazioni svolte oggi in quest'aula non concorrano a riaprire quello che è stato definito uno «scontro sociale» nel paese su questa tematica. Uno scontro di questo genere, infatti, sarebbe anacronistico e, se fosse portato avanti, vedrebbe senz'altro le realtà ambientaliste attestarsi su posizioni dure, ferme, di forte opposizione.
LUIGI BORRELLI. Signor presidente, vorrei svolgere alcune brevi considerazioni.
In primo luogo, reputo estremamente positiva l'iniziativa di effettuare un'indagine conoscitiva in materia, in quanto avevamo avviato un po' affrettatamente l'esame delle proposte di legge presentate. Nel corso delle audizioni che stiamo effettuando, compresa quella odierna, sono state svolte delle considerazioni molto apprezzabili - che mi sento di condividere - da parte dei rappresentanti delle associazioni venatorie, che ci impongono di riflettere in modo più approfondito sulle questioni affrontate.
È stato detto: per modificare, occorre conoscere. Sono d'accordo. Del resto, avevamo già evidenziato come, mancando una relazione sullo stato di attuazione della legge n. 157 del 1992, fosse difficile apportare alla normativa vigente le modifiche necessarie. Ritengo che nulla sia immodificabile e che tutto vada discusso ed adattato; ma, prima di farlo, ovviamente è necessario avere ben chiaro quale obiettivo si intende conseguire. Ritengo che il ministero dovrebbe sciogliere un nodo essenziale e trasmettere al Parlamento i dati completi circa l'applicazione della legge n. 157, onde consentirgli, sulla base di tali dati, di discutere sulle questioni qui sollevate, non ultima quella relativa al rapporto tra Stato e regioni.
Devo dire che, in base alle mie precedenti esperienze (ho ricoperto l'incarico di assessore regionale alla caccia), non è affatto corrispondente a verità l'affermazione secondo la quale le regioni sarebbero prive di competenze in materia. Al contrario, possiedono competenze a sufficienza, anche nel quadro della legge n. 157 del 1992: negare questo significa volerci prendere in giro. Non saprei dire se queste competenze siano state esercitate sempre in maniera corretta, piena e consapevole, ma esse esistono. Ovviamente, è forte il problema del rapporto tra centro ed ente regionale; lo snodo nazionale rimane fondamentale anche per gli impegni assunti in sede di Unione europea, sulla base delle indicazioni normative comunitarie, per onorare le quali una funzione nazionale forte è ancora necessaria. In ogni caso, è importante che tutto ciò sia calibrato. Non mi soffermo su questo punto perché condivido molte delle considerazioni svolte in proposito.
Vi è poi un secondo aspetto, che è tutto politico. L'onorevole Vascon diceva che, contemporaneamente a questa indagine conoscitiva, c'è qualcosa d'altro in movimento. Ciò, del resto, è emerso chiaramente anche dal comunicato stampa del deputato europeo Berlato, riferito alla Conferenza internazionale tenutasi nei giorni 15, 16 e 17 maggio scorso. Ne cito uno stralcio: «(...) Attesissimo l'intervento della ministro Alemanno che, nel nome del Governo italiano, ha definito come improcrastinabile l'emanazione di un disegno di legge di iniziativa governativa che il Parlamento sarà chiamato ad approvare per garantire una maggiore definizione delle competenze statali e regionali in materia di gestione faunistico-ambientale».
Vorrei soffermarmi su un primo aspetto. È stato detto in questa sede che non esisteva un'iniziativa governativa in materia; noi abbiamo avviato questa discussione e ora sono state convocate le associazioni venatorie. Poiché non ci piace né essere presi in giro, né prendere in giro i nostri referenti, credo che l'affermazione da me riferita debba essere valutata politicamente con grande attenzione. Affermare, come conseguirebbe dalla dichiarazione di Berlato, che il Parlamento avrebbe meramente la funzione di ratificare, a scatola chiusa, quanto deciso dal Governo in materia è piuttosto pesante.
Vi è un'ulteriore valutazione, legata ad un'altra parte del suddetto comunicato che è utile commentare. Si legge: «Nel suo intervento, il ministro Alemanno, più volte interrotto dagli applausi di qualificati partecipanti che hanno gremito la stupenda sala degli scrutini del Palazzo Ducale, ha ribadito che le contestazioni di alcune associazioni ambientaliste italiane riguardo all'iniziativa governativa erano del tutto immotivate, in quanto si riferivano a proposte di alcuni parlamentari italiani di modifica della vecchia legge n. 157 del 1992, proposte con cui il Governo non ha nulla a che vedere e che si discostano nettamente dalle iniziative del Governo». Dunque, il Governo ha apposto un timbro pesante sul lavoro del relatore Onnis e sulle iniziative legislative parlamentari, disapprovando totalmente l'attività che questa Commissione sta portando avanti.
Mi pare, dunque, che la confusione sia totale e che, a questo punto, occorra evitare di prendere in giro noi stessi e i cittadini. È necessario che noi tutti svolgiamo qualche riflessione più accurata, che il Governo si presenti in questa sede comunicandoci ciò che ha intenzione di fare, che fornisca i documenti necessari e ci dica quale sia lo stato di attuazione della legge n. 157, da quando è stata approvata sino ad oggi. A quel punto, il Parlamento dovrà richiedere con forza di poter esercitare le proprie prerogative senza diventare, ripeto, un mero strumento di ratifica delle decisioni assunte in altra sede ed essere smaccatamente delegittimato nell'esercizio delle sue funzioni.
LUCA MARCORA. Il tema è ampio e complesso; cercherò, in ogni caso, di essere sintetico.
In primo luogo, per mettere mano alla modifica di una legge bisogna disporre di informazioni e dati adeguati. Questo è stato detto da molti ed io concordo al riguardo con gli auditi.
È ovvio che una legge che risale al 1992 possa necessitare di una riforma, ma ciò non può che avvenire sulla base, ripeto, di dati ed informazioni. È stato ricordato da tutti che la relazione sullo stato di attuazione della legge n. 157 del 1992 si ferma al 1997; essa, pertanto, copre solo i primi cinque anni di vigenza della disciplina, che sono forse quelli meno significativi, mentre per i successivi sei anni siamo completamente privi di informazioni e dati.
In secondo luogo, dobbiamo tenere conto del riferimento europeo. Come abbiamo affermato in più occasioni, se tutti siamo d'accordo nel considerare il patrimonio faunistico non res nullius ma patrimonio indisponibile dello Stato, noi lo reputiamo anche patrimonio indisponibile dell'Europa. Quindi, ogni eventuale modifica della legge n. 157 deve passare attraverso il confronto con la normativa europea.
Alla luce di ciò, se la modifica della disciplina richiamata vuole essere condotta riguardo ai due temi critici e cruciali del calendario venatorio, da un lato, e delle specie cacciabili, dall'altro, occorrerà tenere presente un fatto essenziale. Sotto il primo aspetto, se si intendesse procedere ad una modifica invocando la possibilità di estendere i calendari venatori, come avviene in alcuni paesi, bisognerebbe ricordare che quelle normative sono in palese infrazione comunitaria. Esempi come quello della Spagna, infatti, sono in contrasto con le disposizioni europee. Questi riferimenti sono sicuramente indebiti; in ogni caso, va tenuto presente che il riferimento alla normativa europea deve essere quello che fa premio su tutto il resto.
Per quanto riguarda, invece, l'altro punto, ovvero le specie cacciabili, non dobbiamo dimenticare che è stata appena approvata una legge che introduce deroghe in materia. Questo risolve, secondo noi, il problema di eventuali specie dannose per l'agricoltura o di interventi resi necessari a causa di un sovrappopolamento anomalo.
Quanto al federalismo, a nostro avviso è importante; siamo stati, infatti, convinti sostenitori della riforma del Titolo V della Costituzione. L'onorevole Vascon ha ragione quando afferma che nelle regioni esistono difformi situazioni climatiche (non parlo delle tradizioni faunistiche, ma di questioni oggettive); dobbiamo anche ricordare, però, che la materia ambientale rientra nella potestà legislativa statale proprio in base alla riforma del Titolo V. Dico questo rammentando, peraltro, anche la sentenza con cui la Corte costituzionale è intervenuta in materia su una legge regionale della Sardegna, che è stata molto chiara in proposito.
Se da un lato, quindi, dobbiamo sicuramente tenere presente un principio di differenziazione regionale, dall'altro dobbiamo anche ricordarci che la caccia, rientrando tra le attività afferenti agli equilibri ambientali, viene disciplinata dallo Stato. La potestà legislativa dello Stato è in questo caso, secondo me, chiara e certa.
In conclusione, voglio sottolineare che noi consideriamo la legge n. 157 del 1992 un punto alto di equilibrio raggiunto tra le esigenze di ambientalisti, cacciatori e agricoltori.
Parliamo tutti di gestione del territorio. Questa gestione non può che essere fatta in maniera unitaria fra tutte le diverse componenti e sicuramente l'alto equilibrio raggiunto rischia di essere messo in discussione se si toccano i punti fondamentali che caratterizzano la legge n. 157 del 1992.
La legge n. 157 non è un totem (non dobbiamo essere ideologici su questo; tra l'altro, siamo parlamentari e quindi abbiamo il dovere di mettere mano ad una legge quando questa non sia più idonea a raggiungere i suoi obiettivi), ma non devono essere toccati i suoi principi fondamentali. Su questo dobbiamo essere molto chiari perché, altrimenti, compromettiamo un equilibrio che, da dieci anni a questa parte, ha permesso alla caccia di rinnovarsi e di legittimarsi a livello nazionale, un equilibrio con il mondo dell'ambientalismo e dell'agricoltura. Questo sarebbe deleterio in primo luogo per i cacciatori e, in secondo luogo, per la gestione faunistica.
Mi dispiace ricordarlo, onorevole Onnis, ma il problema è dato anche dal fatto che un giorno abbiamo un'informazione e il giorno dopo ne riceviamo un'altra. Lei ha ricordato che il ministro Alemanno ha affermato in questa sede che non c'è nessuna iniziativa legislativa del Governo in materia di caccia; una settimana dopo ha convocato le associazioni venatorie per discutere di un progetto di legge di iniziativa governativa, e la settimana successiva ha smentito che questo fosse successo: poi, alla conferenza di Venezia, ha presentato quella iniziativa. Tutto ciò sicuramente non facilita l'iter legislativo delle proposte di legge presentate.
Concludo dicendo che, se si volesse mettere mano ad una modifica della legge n. 157 del 1992 per toccare i punti cruciali dell'equilibrio raggiunto, si arrecherebbe un danno innanzitutto al mondo della caccia.
PRESIDENTE. Voglio solo precisare, onorevole Marcora, che non è stato il ministro Alemanno ma il sottosegretario Dozzo a dichiarare in Commissione che non esiste alcuna iniziativa legislativa del Governo.
FRANCESCO ONNIS. Ringrazio il presidente per la possibilità che mi dà anche in questa occasione di esprimere sinteticamente la mia opinione. Ringrazio inoltre i nostri ospiti per la loro presenza, che onora il Parlamento: il contributo che avete dato e che - mi auguro - sarete ancora in grado di dare sarà certamente di grande aiuto a chi dovrà procedere all'adozione di leggi che potranno modificare la disciplina della caccia e la sua attuale gestione in Italia.
Ho una preoccupazione, quella di non poter rispondere a ciascuno di voi e a tutte le obiezioni penetranti che avete posto, nonché quella di non aver potuto leggere in questi pochi minuti i documenti che avete consegnato alla Commissione, che certamente contengono ulteriori importanti contributi.
Mi preoccupa altresì una nota che accomuna i vostri interventi (forse mi sbaglio, ma accettate questa mia affermazione, fatta in assoluta buona fede e simpatia), i quali, pur acuti e interessanti, hanno un po' trascurato i contenuti delle proposte di modifica della legge n. 157 del 1992. Mi sarebbe stato molto d'aiuto conoscere le valutazioni delle diverse associazioni venatorie con riferimento ai punti della legge n. 157 che le proposte di legge presentate vorrebbero modificare, affinché il lavoro della Commissione possa continuare con la consapevolezza del consenso da parte delle associazioni venatorie.
Devo dirvi con altrettanta franchezza che, nel complesso, ciò che avete detto mi incoraggia e mi tranquillizza, perché mi pare sia emerso un sostanziale consenso da parte delle associazioni venatorie. Voglio ribadire - ho avuto più volte occasione di esprimere questo concetto e quasi mi annoio io stesso a ribadirlo - che nessuno intende assolutamente «rottamare», per usare un'espressione dell'onorevole Vascon, la legge n. 157 del 1992 né stravolgere il suo impianto. Abbiamo però tutti l'esigenza di rivedere una legge datata, che ha manifestato tanti difetti, che ha regolamentato male tante situazioni, che è stata adottata in un clima diverso (mi riferisco al mondo sociale italiano, venatorio e agricolo) e che oggi ha più di undici anni.
Non c'è dubbio che, quando il legislatore avverte l'esigenza di adeguare una norma giuridica ai tanti bisogni e alle diverse sensibilità della società, egli abbia il dovere di valutare quel corpo normativo per cercare di modificarlo migliorandolo. Nessuno intende toccare i principi cardine della legge n. 157, quello dell'appartenenza della fauna alla collettività e quello della programmazione venatoria (che si realizza attraverso la sua gestione tramite gli ATC), né modificare gli ottimi rapporti che esistono tra il mondo agricolo e quello venatorio, attentando alla salvaguardia dei valori ambientali, ai quali, io ritengo, il mondo venatorio è più sensibile di tanti altri settori della nostra società.
Ciò che si vorrebbe ottenere sono soltanto alcune modifiche di questa legge. Tali modifiche riguardano i tempi del prelievo venatorio nei termini che preciserò subito, onorevole Marcora, e i poteri delle regioni. Si ha un bel dire quando, invocando la modifica del Titolo V della Costituzione, si rimarca il fatto che le regioni hanno assistito ad un ampliamento delle loro competenze, perché questo principio, poi, va attuato nella pratica anche con riferimento alla gestione della caccia.
La modifica del Titolo V va nella direzione di un potenziamento dei poteri delle regioni. Nessuno contesta che i poteri dello Stato, dopo tale modifica, siano quelli che voi avete sottolineato, che l'ecosistema rientri nella competenza legislativa dello Stato e che, facendo la materia venatoria parte dell'ecosistema, la competenza a legiferare spetti allo Stato. Ma questo non significa che le regioni non debbano vedere rafforzati i loro poteri e che non possano gestire il prelievo venatorio all'interno dei loro territori.
Allora, vogliamo prendere atto del fatto che, diversificando il territorio nazionale (che è diverso da regione a regione, come voi avete sottolineato), è opportuno che, anche con riferimento all'esistenza, alle dimensioni e all'operatività degli ambiti, sia la regione a stabilire come e di quali dimensioni questi ultimi debbano essere, piuttosto che lo Stato, che è lontano dai territori?
Con riferimento al nomadismo venatorio, perché togliere alle regioni la possibilità di consentire al loro interno l'opzione per la caccia ai migratori? Perché vietare che più regioni si accordino tra loro per consentire, all'interno dei loro territori, l'esercizio di quello che, sprezzantemente, viene chiamato «nomadismo venatorio»?
Il legame tra cacciatore e territorio è certamente un principio importante della legge, ma dobbiamo salvaguardarlo con riferimento al prelievo della fauna stanziale, perché è in questo caso che conta il legame tra chi abita nel territorio e il territorio stesso, che è preziosa la sorveglianza da parte di chi abita e il collegamento tra il cacciatore e l'agricoltore che vive in quel territorio.
Noi vogliamo migliorare la legge n. 157 del 1992. Per esempio, mi stupisce che da parte del mondo ambientalista (che pure ha manifestato molta sensibilità, lo riconosco) non si prospetti l'opportunità o l'esigenza di potenziare la tutela delle rotte di migrazione della fauna migratoria, prevista nella legge, un obiettivo che invece con questa modifica ci si propone di raggiungere. Sappiamo, infatti, che mentre per la gestione della fauna stanziale sono stati già ottenuti dei buoni risultati, per quanto riguarda quella migratoria simili risultati non sono stati ancora raggiunti o, perlomeno, non c'è stato uno sforzo di potenziamento della presenza di questa fauna.
Adottiamo, allora, simili iniziative, individuiamo queste rotte di migrazione, tuteliamole! In sostanza, facciamo in modo che il territorio dell'Italia possa godere della presenza di quantitativi maggiori di fauna migratoria, perché questo sarà senz'altro un vantaggio per tutti.
Non si è parlato delle sanzioni. Francamente, mi pare che all'introduzione di novità importanti, in linea con la tendenza verso una depenalizzazione generalizzata, non abbia corrisposto la revisione dell'aspetto delle sanzioni. Ciò, non tanto perché ci si dovrebbe adeguare a tale tendenza, quanto piuttosto perché ritengo che, equilibrando l'eventuale depenalizzazione (parziale e non di tutte le condotte venatoriamente illecite, perché le più grave rimarrebbero reati) con l'introduzione di sanzioni amministrative (che sono più pesanti e più temute per chi viola la norma venatoria), ci si avvicinerebbe ancora meglio a quell'obiettivo di deterrenza, di dissuasione e di prevenzione sul piano della condotta criminosa che, probabilmente, la sanzione penale non sarebbe in grado di conseguire.
Per quanto riguarda i tempi di caccia, non è esatto sostenere - lo ha abilmente ed intelligentemente affermato l'onorevole Marcora - che quanto avviene in tanti altri Stati europei che citiamo come esempi rappresenti una violazione della norma comunitaria. Caro onorevole Marcora, la norma comunitaria non ha mai previsto che il prelievo di certe specie debba avvenire entro il 31 gennaio! Questa è un'interpretazione che è stata data, ma si tratta di una regola che non è mai stata codificata; quindi, gli Stati che si fossero visti contestare delle infrazioni avranno mille e una ragione per difendersi!
Per quanto concerne il problema dei tempi, non si tratterebbe di un prelievo venatorio indiscriminato ma di un prelievo per specie, con riferimento a decadi. Nella misura in cui fosse proponibile una tale regolamentazione ed essa fosse sopportabile dall'ambiente, senza alcun danno per esso, si potrebbero effettuare questi prelievi migratori in febbraio, entro decadi, sulla base di risultati scientifici e delle verifiche compiute sul territorio.
Devo all'esperienza e alla puntualità dell'avvocato Bana l'introduzione in questo dibattito di una tendenza che va in qualche modo a dilatare, in termini ragionati e limitati, i tempi del prelievo (trovo questo un elemento non solo prezioso, ma anche di conferma sostanziale di quanto avviene). Infatti, quando l'avvocato Bana riferisce che è stato verificato come le specie cacciabili non sarebbero «sane» (non in termini di salute) poiché sarebbero presenti in quantità maggiori mentre quelle non cacciate lo sarebbero in quantità minori, egli afferma che il prelievo venatorio non squilibra la presenza della fauna selvatica. Quando, poi, aggiunge che ad Helsinki non è arrivata ancora la primavera, ci sta offrendo un dato scientifico di verifica diretta, da cui risulta che i tempi delle stagioni, in relazione ai quali si è data quella interpretazione (e solo quell'unica interpretazione) della direttiva del 1979, sono tempi che, ormai, non trovano più conforto nella realtà (o che probabilmente erano sbagliati fin dall'inizio).
Ecco perché, nel legiferare, terremo conto della dimensione europea, con l'obiettivo di rimanere aderenti alla normativa vigente in Europa.
Per quanto riguarda, infine, la questione relativa alla Conferenza di Venezia, continua ad agitarsi un vero e proprio fantasma, perché non esiste alcuna proposta, alcun testo scritto, alcuna iniziativa in merito.
LUCA MARCORA. Sono informazioni ufficiali!
FRANCESCO ONNIS. Non sono informazioni ufficiali, perché qui è stato letto il comunicato di un consulente del ministro, ma non si è letto nulla che provenga direttamente dal ministro!
LUCA MARCORA. È lui che l'ha nominato suo portavoce!
FRANCESCO ONNIS In ogni caso, il ministro potrebbe, in ipotesi, addivenire ad un'iniziativa di questo genere nel momento in cui il Consiglio dei ministri, all'unanimità, deliberasse in tal senso. Supponiamo, comunque, che una tale iniziativa giunga in Parlamento. Qualcuno di voi prima ha affermato che bisogna parlare con la massima buona fede, guardandoci negli occhi. Per questo, vi dico che, se ciò avvenisse, si tratterebbe di un'iniziativa giunta in Parlamento mentre è in corso l'esame di altre iniziative, che stanno procedendo celermente, attraverso il contributo di tutte le forze sociali e di tutte le categorie coinvolte. Per questo motivo, quell'iniziativa verrebbe abbinata alle altre.
Si tratterebbe, quindi, di un'iniziativa che, per quanto riguarda i contenuti, potrebbe anche essere utile (non bisogna chiudere gli occhi ma essere pronti a raccogliere i contributi di tutti), ma non rallenterebbe né frenerebbe affatto quelle già in corso. Ritengo, dunque, che agitare questo fantasma significhi mettere in atto un tentativo pseudo-ostruzionismo, volto in qualche modo a frenare la volontà del Parlamento. Nella stessa direzione ritengo si muova la richiesta di una pausa di riflessione, motivata solo dal fatto che non sarebbe stata depositata la relazione di cui si è parlato. Il Parlamento può sapere tutto ciò autonomamente e non è necessario che vi sia una relazione aggiornata a ieri perché ci si renda conto delle esigenze! Tuttavia, procederemo a tutti gli approfondimenti dovuti.
Questa occasione è la riprova della volontà del Parlamento, e segnatamente di questa Commissione, di approfondire la tematica in esame sotto ogni profilo. Quando affermate che la legge n. 157 del 1992 non è un totem, quando reclamate la necessità che essa sia modificata, se offrirete il vostro contributo per tali modifiche, sarete i benvenuti. Vorremmo che il Parlamento italiano potesse pervenire ad una legge che fosse il frutto di tutte le posizioni politiche - ambientaliste e non - ma, soprattutto, che fosse una legge condivisa ed accettata da tutti.
PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti delle associazioni venatorie intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 16,30.
COMMISSIONE XIII
AGRICOLTURA
RESOCONTO STENOGRAFICO
INDAGINE CONOSCITIVA
4.
SEDUTA DI MERCOLEDÌ 4 GIUGNO 2003
presidenza del presidente Giacomo de Ghislanzoni Cardoli
La seduta comincia alle 15.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
Audizione di rappresentanti della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, dell'Associazione nazionale comuni italiani, dell'Unione delle province d'Italia, dell'Unione nazionale comuni, comunità ed enti montani.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva inerente l'esame dei progetti di legge C. 27 Stefani, C. 291 Massidda, C. 498 Bono, C. 1417 Onnis, C. 1418 Onnis, C. 2016 Benedetti Valentini, C. 2314 Serena, C. 3533 Pezzella e C. 3761 Bellillo, recanti «Modifiche alla legge n. 157 del 1992, protezione della fauna selvatica e prelievo venatorio», l'audizione di rappresentanti della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, dell'Associazione nazionale comuni italiani, dell'Unione delle province d'Italia, dell'Unione nazionale comuni, comunità ed enti montani.
Sono presenti: per la Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, il dottor Emilio Pani, assessore alla difesa dell'ambiente della regione Sardegna, il dottor Mario Luigi Bruschini, assessore alla difesa del suolo e alla protezione civile della regione Emilia-Romagna, e la dottoressa Tiziana Turra, responsabile dell'attività faunistico-venatoria della regione Emilia-Romagna; per l'Associazione nazionale comuni italiani, il dottor Leonardo Lippi, consigliere nazionale e sindaco di Cingoli, e la dottoressa Antonella Galdi; per l'Unione delle province d'Italia, il dottor Carmine Talarico, membro dell'ufficio di presidenza e presidente della provincia di Crotone, e la dottoressa Luisa Gottardi.
Rivolgo un saluto ai nostri ospiti e do loro la parola.
EMILIO PANI, Assessore alla difesa dell'ambiente della regione Sardegna. Signor presidente, mi onoro di rappresentare tutte le regioni, nessuna esclusa, e in questa veste sento il dovere di sollecitare una decisa innovazione della legge n. 157 del 1992, alla quale è necessario ed opportuno, a nostro giudizio, apportare alcune modifiche e soprattutto alcuni chiarimenti.
La legge in esame ha per oggetto la tutela della fauna: essa viene impropriamente definita legge sulla caccia, ma ha lo scopo di tutelare il patrimonio faunistico. Mi sembra opportuno richiamare in questa sede la coesistenza di molteplici istituzioni che si propongono di tutelare la fauna. Sono state create in ambito nazionale, anche in attuazione della direttiva sugli habitat, le oasi, le zone di ripopolamento e cattura, i siti di interesse comunitario, le zone di protezione speciale, i parchi nazionali, i parchi regionali, le riserve naturali.
Ci troviamo pertanto di fronte a un coacervo di istituti, che a nostro giudizio debbono trovare un'uniformità di disciplina. Una particolare attenzione deve essere riservata alle zone di ripopolamento e cattura, che sono limitate per sette anni, e alle zone di protezione speciale, che sono destinate alla protezione del patrimonio avicolo e che costituiscono un altro esempio di diversificazione delle competenze in materia.
La regione Sardegna, in virtù della specificità del proprio statuto, ha competenza, naturalmente nel rispetto della legislazione nazionale e comunitaria, in materia di caccia, e ha promulgato la legge n. 23 del 1998, con la quale sono state introdotte alcune innovazioni, che in sede di Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome ho proposto quali ipotesi di intesa anche con le altre regioni.
L'argomento di maggiore rilevanza è, a mio giudizio, quello relativo agli ambiti territoriali, che in base alla legge debbono essere due per ciascuna provincia e che, a nostro avviso, dovrebbero essere uniformati, anche perché essi nella nostra regione non hanno trovato ancora applicazione, in quanto sono in corso di elaborazione i piani faunistici provinciali. Soltanto una provincia, quella di Cagliari, ha presentato il proprio piano, mentre le altre tre non lo hanno ancora fatto; la situazione risulterà più problematica quando le province diventeranno otto.
È pertanto auspicabile che gli ambiti diventino di competenza regionale e costituiscano oggetto di una scelta locale, nell'autonomia delle diverse regioni, e che si possa quindi operare con un certo criterio, a seconda di quando vengono presentati i piani faunistici, soprattutto in riferimento al patrimonio che devono preservare.
Un'ulteriore questione che intendo evidenziare è quella relativa alla fauna migratoria. In alcune regioni italiane, fra cui la Sardegna, la caccia alla fauna migratoria si chiude alla fine del mese di gennaio, nonostante in Sardegna si sia accertata, attraverso un'indagine, la necessità di prolungare il periodo di caccia anche al mese di febbraio per una parte di tale fauna che, dopo essere transitata in Sardegna, si dirige verso altre zone, anche al di fuori del territorio nazionale. Si tratta di un'ipotesi naturalmente limitata a determinate specie, che non prevede l'apertura incondizionata a tutti e che, a mio giudizio, sarebbe di valido aiuto all'esercizio dell'attività venatoria e, secondo talune pubblicazioni, anche al ripopolamento.
MARIO LUIGI BRUSCHINI, Assessore alla difesa del suolo e alla protezione civile della regione Emilia-Romagna. Per quanto riguarda il punto di vista specifico della regione Emilia-Romagna, è evidente che la legge n. 157 del 1992 presenta aspetti obsoleti, anche alla luce della riforma del Titolo V della Costituzione e della conseguente necessità di un nuovo bilanciamento tra le competenze esclusive dello Stato e quelle delle regioni. Soprattutto su questo versante, dunque, vi è la necessità di mettere mano ad una modifica della legge in questione per adeguarla al nuovo quadro giuridico e istituzionale.
Nello stesso tempo, però, siamo fortemente preoccupati che si verifichi un sovvertimento dei principi ispiratori fondamentali della legge n. 157 del 1992. Ben venga una revisione per adeguare e rendere più funzionale questa legge, ma bisogna cercare di evitare ogni sovvertimento o abbandono dei suoi principi ispiratori fondamentali.
Un esempio per tutti è la questione della caccia programmata. Il lavoro da noi svolto nel periodo considerato (cioè da quando la legge è entrata in vigore) ha portato a risultati globalmente soddisfacenti sotto il profilo della creazione di un legame stabile, profondo, affettivo e di responsabilità tra il cacciatore e il territorio su cui egli opera. Se tale legame si venisse a spezzare e il cacciatore si trovasse ad esercitare l'attività venatoria su un territorio a lui alieno, sconosciuto, verso il quale non nutre legami di responsabilità di alcun genere, si rischierebbe di ritornare ad una situazione analoga a quella precedente alla legge n. 157 del 1992.
A nostro avviso, in sostanza, su una serie di questioni la competenza spetta allo Stato o, addirittura, alla Comunità europea. Penso, per esempio, all'individuazione delle specie cacciabili. In questo caso, infatti, esiste una giurisdizione europea e noi stessi, come regione Emilia-Romagna, non pensiamo certo di arrogarci il diritto di stabilire quali fra le specie considerate siano cacciabili, in quanto riconosciamo, in questo contesto, la giurisdizione europea e quella dello Stato.
Siamo anche dell'idea che sia mantenuto l'attuale statuto giuridico della fauna, anche riguardo agli ATC. È stata poc'anzi richiamata l'esperienza sarda, ma vorrei ricordare che noi, in Emilia, viviamo un'esperienza divisa fra due estremi, poiché da un lato vi è la provincia di Rimini, che ha un solo ATC, e dall'altro la provincia di Piacenza, che ne ha diciassette. Tuttavia, entrambe le province vivono felicemente questa situazione, grazie alla libertà che noi, appunto, lasciamo ad ogni provincia di trovare e meglio calibrare il proprio punto di equilibrio.
Inoltre, si sente la mancanza di un bilancio riguardo all'attuazione della legge n. 157 del 1992, tra l'altro espressamente previsto dalla medesima: che effetti ha prodotto questa legge? Nel momento in cui si intende mettere mano alla modifica di una legge complessa e delicata come quella in esame, bisognerebbe infatti sapere quali punti di essa hanno funzionato e quali no. Da diversi anni, invece, non si conosce lo stato dell'arte circa l'applicazione della legge in questione. Sarebbe pertanto auspicabile (ritengo di poter parlare a nome di tutte le regioni) che si venisse a conoscenza dei dati concreti sulle modalità di funzionamento della legge n. 157.
Infine, vorrei spendere qualche parola a favore dell'Istituto nazionale della fauna selvatica, la cui sede è a Ozzano, in provincia di Bologna. A nostro avviso, questo istituto è un'istituzione scientifica di alto livello, che ha condotto ricerche di genetica animale invidiate in tutta l'Europa, per cui è divenuto un interlocutore assolutamente affidabile. Lo scorso anno, ad esempio, abbiamo preparato un calendario venatorio regionale, in occasione del quale, con un certo coraggio, abbiamo affrontato in modo nuovo la questione del contenimento demografico degli ungulati (nella nostra regione la pressione dei cervi - in provincia di Bologna - e dei caprioli - su tutto l'arco appenninico - si sta facendo pesante). Per stabilire i periodi, calibrati su maschi, femmine e classi sociali differenti, abbiamo ricevuto il contributo decisivo dell'istituto. In questo momento, gli operatori dell'INFS vivono un momento di abbandono, che definirei un po' angoscioso. Per questo motivo, ho ritenuto importante far conoscere alla Commissione il nostro giudizio sulla validità di tale istituto.
Concludo ricordando che qualsiasi decisione o innovazione nel campo dell'attività venatoria non può prescindere dalla considerazione che vi è un rapporto stretto (noi avvertiamo il problema in maniera particolarmente pressante, ma ritengo che lo stesso avvenga anche altrove) con i problemi del mondo agricolo, con le attività economiche nella media-alta collina e nella bassa montagna, dove la pratica venatoria e le sue modalità realmente si incontrano - e sovente si scontrano - con le esigenze economiche di una specifica fascia della popolazione. Raccomandiamo pertanto la massima attenzione a questo riguardo.
LEONARDO LIPPI, Consigliere nazionale dell'ANCI e sindaco di Cingoli. Premetto, signor presidente, che ci riserviamo di far pervenire alla Commissione una più dettagliata documentazione sulla materia.
Questa mattina si è riunita la commissione nazionale ambiente dell'ANCI e, nel corso della riunione, abbiamo dibattuto sul tema della caccia. Vorrei dunque fornire alcune indicazioni che sono emerse nell'ambito di tale discussione.
Alla luce dell'entrata in vigore del nuovo Titolo V della Costituzione (speriamo che la questione si risolva quando verranno scritti gli statuti regionali in tutta Italia, o magari con la creazione di una Camera delle autonomie), in questa fase riteniamo necessario un raccordo tra le varie istituzioni (comuni, province e regioni) per il varo delle leggi regionali, in quanto siamo di fronte ad una materia completamente delegata alle regioni e a norme che devono essere discusse ad ampio spettro, su più tavoli di concertazione. Vorremmo, pertanto, che innanzitutto la legge nazionale riconoscesse tale approccio come norma di principio fondamentale.
Un altro tema riguarda la gestione del territorio, che dovrebbe partire dai comuni per poi essere coordinata con il livello provinciale e regionale. La legge dovrebbe indicare linee di principio generali, perché tra le regioni del nord e quelle del sud le esigenze cambiano notevolmente, sia per quanto riguarda il problema delle date, legate alla selvaggina, sia con riferimento alla gestione dei piani faunistici venatori di ogni singola regione.
Ci preme inoltre rilevare le problematiche che spesso incontriamo a causa della presenza di animali selvatici, che creano situazioni di pericolo, anche da un punto di vista sanitario, sul nostro territorio. Si faceva riferimento agli ungulati in Romagna e sull'Appennino, ma non bisogna dimenticare neanche i cinghiali, i quali sono causa di problemi altrettanto seri. Tale specie dovrebbe essere oggetto di normazione all'interno dei parchi e delle aree demaniali, dove oggi, invece, è vietata la caccia. In sostanza, si sente la necessità di una norma specifica per contenere l'elevato numero di cinghiali ed ungulati presenti.
Un altro problema riguarda la gestione della caccia, in quanto vi è la gestione «stanziale», che mira a legare un cacciatore ad un territorio o ad un ambito, e la gestione «migratoria», che tende a dare al cacciatore l'opportunità di spostarsi all'interno della nazione, evitando però che diventi una figura d'élite (in pratica, evitando che solo alcuni cacciatori possano permettersi di cacciare in nazioni straniere, facendo quindi fuoriuscire denaro dal nostro paese). Questo è un aspetto che dobbiamo tenere presente a livello sia economico, sia sociale. Mi riferisco, in particolare, al caso degli anziani, ai quali l'opzione crea seri problemi. Gli anziani non deturpano né distruggono la selvaggina, ma svolgono un tipo di caccia a livello sportivo, secondo una tradizione antica.
Si pongono poi ulteriori problemi, quali il risarcimento di eventuali danni. Mentre l'abbattimento di un capo selvatico (appartenente allo Stato) potrebbe implicare conseguenze gravi - anche di natura penale - per il cittadino che ne fosse responsabile, nessuno sarebbe tenuto a farsi carico di quanto accaduto nell'ipotesi opposta, quando, cioè, fosse un animale a distruggere un'auto o a cagionare il ferimento di persone. Reputiamo, invece, necessario che la legge nazionale prenda in esame opportunamente tali questioni.
Quanto ad altri profili problematici, ci riserviamo di far pervenire alla Commissione la documentazione che si rendesse necessaria.
CARMINE TALARICO, Membro dell'ufficio presidenza dell'Associazione nazionale dei comuni italiani e presidente della provincia di Crotone. L'audizione odierna offre la possibilità di trattare alcune tematiche strettamente attinenti all'esercizio di funzioni derivate, nonché attività di controllo e autorizzazione, che vedono le province protagoniste sul territorio, compatibilmente con quanto disposto dalla legge n. 157 del 1992.
Come è stato correttamente osservato da chi mi ha preceduto, riteniamo anche noi opportuna una revisione di questo strumento normativo, ma senza provocarne uno stravolgimento, il che avverrebbe qualora adottassimo un'altra strategia di intervento rispetto a tematiche collocate nel quadro del Titolo V della Costituzione. Sarà pertanto necessario definire un percorso legislativo adeguato, in modo che la futura normativa statale sia compatibile con il Titolo V sopra richiamato.
Ciò sta a noi particolarmente a cuore, considerando che nei territori di «periferia» le province sono chiamate ad esercitare il ruolo e la funzione propri delle regioni. Guardiamo, dunque, con attenzione ai casi in cui gli enti regionali hanno, di fatto, già adeguato in sede locale le attività previste dalla legge n. 157 del 1992, a seguito degli impulsi impressi dalla normativa comunitaria, che ha suggerito, se non imposto, una modifica legislativa.
Siamo profondamente convinti - per il ruolo riconosciutoci dal legislatore - che la questione della caccia non possa, inoltre, essere avulsa da un equilibrato progetto complessivo, tenendo conto degli effetti prodotti sull'ambiente e sull'agricoltura. Siamo, per primi, fautori di una strategia di salvaguardia globale di un territorio circoscritto, che, tuttavia, possiamo definire di area vasta. Abbiamo quindi la necessità di esaminare con particolare attenzione le proposte di legge presentate, purché si mantenga questo equilibrio sostanziale, di grande importanza economica e culturale.
Alla luce delle nostre specifiche competenze in materia di caccia, ambiti territoriali, programmazione e gestione di attività, riteniamo di poter suggerire, a chi ha competenza in tal senso, l'istituzione di un tavolo presso la Conferenza unificata, affinché i vari livelli istituzionali abbiano la possibilità di confrontarsi su una problematica così vasta e articolata, per evitare che si pervenga alla stesura di un testo normativo in controtendenza rispetto ad attività e funzioni allo stato esplicate sul territorio nazionale in piena sintonia con la riforma del Titolo V della Costituzione.
PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che desiderino intervenire.
EGIDIO BANTI. Ringrazio tutti gli intervenuti, in particolare i rappresentanti delle regioni, per il contributo offertoci.
Allo stato, la legge vigente già contempla la possibilità di accordi tra le regioni, soprattutto per l'interscambio venatorio, ma anche per altre fattispecie. Ritengo si tratti di una previsione giusta, sia pure dal punto di vista teorico, perché è del tutto evidente che i confini politico-amministrativi del nostro paese non si identificano con quelli faunistico-venatori. Del resto, anche dal punto di vista storico e delle abitudini tradizionali sul territorio, è possibile documentare la partecipazione di cacciatori, iscritti in una regione, ad attività venatorie svolte in altra area regionale. Mi riferisco, in particolare, al confine appenninico tra Emilia-Romagna, alta Toscana e Liguria.
Chiedo pertanto se, a vostro giudizio, questa previsione, abbastanza blanda ma presente nella legge n. 157 del 1992, abbia funzionato oppure se riteniate che debba essere incrementata o comunque modificata in ragione di nuove esigenze. Anche sulla base della mia personale e precedente esperienza in materia, reputo che quanto contenuto al riguardo nella legge n. 157 sia importante e vada incentivato, sia pure nel rispetto dell'autonomia e delle competenze proprie delle regioni. Una legge quadro dovrebbe insistere su questo punto, operando all'insegna di una flessibilità maggiore nell'impianto complessivo, sebbene quanto appena affermato non voglia significare libera licenza di cacciare o caduta della sensibilità sinora dimostrata dal legislatore. Si tratta, al contrario, di rispondere ad un'esigenza particolare.
Uno degli aspetti della legge da sottoporre, a mio parere, a revisione è rappresentato da alcune disposizioni piuttosto «vincolistiche», legate anche all'individuazione di criteri numerici. Il principio che in ogni provincia debba esservi più di un ATC è già, di per sé, discutibile. Tale disposizione non pare tenere conto delle difformi estensioni dei territori provinciali nel nostro paese: se il riferimento alla provincia in quanto tale ha potuto avere un senso nella fase iniziale di applicazione della normativa, lo avrà molto meno - a mio giudizio - in una fase più matura come quella verso cui dovremo avviarci.
Ugualmente, suscita perplessità il limite relativo alla zona non venabile, cioè il territorio su cui non è consentita la caccia, ancorato esclusivamente ad un dato numerico, sia pure compreso tra il 20 e il 30 per cento del territorio agro-faunistico-pastorale complessivo. Si tratta probabilmente, anche in questo caso, di una norma dettata dall'esigenza originaria di intervenire e di avviare una strategia del tutto nuova in materia faunistico-venatoria, che allo stato non sembra però corrispondente ad una stagione più matura di applicazione della legge.
L'opportunità di modificare il quadro legislativo esistente trova dunque giustificazione proprio nell'esigenza di individuare criteri più razionali e più corrispondenti alla reale natura dei problemi di cui trattiamo, andando oltre prospettive e criteri meramente percentualistici. Consapevoli della complessità di questa operazione e del fatto che la pianificazione faunistica è una stretta competenza regionale (seppure talvolta delegata alle province o ad altre realtà amministrative), riteniamo essenziale la collaborazione fra legislatore nazionale e regionale, auspicando un più fruttuoso confronto - anche al di là dell'incontro odierno - con le realtà regionali e locali.
SAURO SEDIOLI. Credo che l'audizione di oggi confermi la necessità di un'ampia conoscenza della materia che stiamo affrontando, in relazione alla quale sono state presentate numerose proposte di legge di modifica.
Ritengo sia stato giusto avviare questa serie di audizioni, in quanto ci troviamo di fronte ad una realtà molto complessa e delicata. In presenza di una richiesta di decisa innovazione della legge n.157 del 1992, non possiamo pensare di modificare tale normativa senza un ampio consenso. Dobbiamo tenere presenti i mutamenti intervenuti a livello del territorio e dell'attività venatoria, ma, allo stesso tempo, dobbiamo prestare la giusta attenzione ai mutamenti negli orientamenti dell'opinione pubblica. Occorre quindi fare in modo che le necessarie modifiche alla legge n. 157 del 1992 abbiano un consenso il più ampio possibile, abbandonando le proposte più estreme, pure presenti nelle iniziative di legge presentate. Si è parlato di fauna in termini di patrimonio comune: ebbene, alcune proposte di legge considerano invece la fauna come patrimonio di nessuno. Questo aspetto ci preoccupa molto.
Ritengo sia opportuno agire sulla base di un adeguato confronto. Ricordo che, in occasione dell'esame del provvedimento recante deroghe al divieto di prelievo venatorio, la discussione ha consentito di giungere ad un ampio consenso all'interno del Parlamento (si pensò addirittura di attivare la sede legislativa in Commissione), eccezion fatta per alcune posizioni estreme emerse nel corso del dibattito. Si trattava di un provvedimento necessario per completare il quadro normativo della legge n. 157 del 1992.
La preoccupazione attuale è proprio che non si parta con l'intenzione di modificare l'impianto della legge n. 157 che, tutto sommato, riteniamo abbia funzionato. Abbiamo bisogno di conoscere le diverse realtà, che sono variegate. Ad esempio, in merito agli ambiti territoriali di caccia, è importante evitare di fare esclusivamente riferimento alla loro dimensione, magari senza sapere perché la si modifica. Ho spesso ascoltato critiche agli ambiti territoriali da parte chi non ha predisposto tali aree e quindi non può dimostrare se funzionino o meno; sarebbe opportuno, invece, ascoltare l'opinione di chi ha promosso la costituzione di tali ambiti e quindi è in grado di individuarne i limiti, ma anche di riconoscerne le funzionalità all'interno di una gestione che tenga conto di tutte le differenti situazioni.
È nostra intenzione incentrare l'attenzione su alcuni aspetti. Anzitutto, credo sia necessaria una adeguata conoscenza in ordine al funzionamento della legge n. 157 del 1992. Bisogna tenere conto, poi, del dibattito a livello europeo. Il ministero interessato ha costituito una commissione, che si è recata a Bruxelles: desideriamo conoscere gli esiti di tale incontro e sapere quali sono i problemi da affrontare. Ci risulta che da tale incontro non sia emersa una posizione favorevole ad uno stravolgimento della legge n. 157 del 1992.
Il ministro, inoltre, ha annunciato la presentazione di un disegno di legge in materia; desideriamo conoscerne i contenuti, anche perché riteniamo che, grazie alle audizioni che stiamo svolgendo nonché alla conoscenza del funzionamento della legge n. 157 e delle proposte del ministro, la nostra Commissione possa lavorare adeguatamente e con cognizione di causa. Ripeto, si tratta di un problema delicato ed è pertanto necessario conoscerne in profondità tutti gli aspetti, per poter comprendere quali siano le questioni da affrontare.
Desidero richiamare l'attenzione sul problema della fauna migratoria. È necessario, al riguardo, conoscere gli orientamenti a livello europeo. Alcune zone di passaggio della fauna migratoria sono situate in paesi che attualmente non fanno parte dell'Unione europea e dove quindi vigono normative differenti. Tali paesi, facendo il loro ingresso nell'Unione, dovranno adeguarsi ai regolamenti europei. È un aspetto di cui dovremo tenere conto allorché affronteremo le modifiche alla legge n. 157 del 1992.
Auspico infine dei chiarimenti sulle modalità di funzionamento della caccia nelle aree dei pre-parchi. Credo che nei pre-parchi regionali dell'Emilia Romagna già si pratichi la caccia e che i risultati siano, tutto sommato, buoni. Al riguardo, so che vi è una forte collaborazione tra le organizzazioni venatorie e gli organi del pre-parco, che ha portato anche ad una crescita della fauna selvatica: alcune specie, come l'airone rosa, sono tornate addirittura a nidificare nel pre-parco di Ravenna.
Quanto da me accennato dimostra come, per poter modificare la normativa vigente, occorra acquisire alcune conoscenze indispensabili; ritengo che le audizioni che stiamo svolgendo possano aiutarci a giungere ad una modifica che tenga conto dei mutamenti intercorsi, senza peraltro modificare l'impianto della legge n. 157 del 1992. Se modificassimo tale impianto, ci addentreremmo in una discussione che, a mio avviso, risulterà dannosa per gli stessi cacciatori. Potrebbe infatti prevalere la tendenza a porre un fermo alla caccia; ma, così facendo, non faremmo gli interessi dei cacciatori.
FRANCESCO ONNIS. Desidero anzitutto ringraziare i nostri ospiti per il prezioso apporto all'approfondimento della materia in esame.
Credo che l'incontro di oggi sia stato ricco di spunti e suggerimenti ed abbia portato all'attenzione della Commissione problematiche che forse, fino a questo momento, erano rimaste estranee alla discussione. Si conferma quindi l'opportunità di un approfondimento, come inizialmente richiesto dall'opposizione ed in seguito voluto dalla stessa maggioranza.
Nella mia qualità di relatore sulle proposte di legge presentate in materia, ribadisco che non è intenzione di nessuno, né della Commissione né del sottoscritto, stravolgere l'impianto della legge n.157 del 1992. Abbiamo riconosciuto - e lo ribadiamo in questa sede - che questa legge, pur essendo nata in un momento particolare, ha avuto certamente dei meriti; essa ha proposto nuove tematiche, nel rispetto dei principi venatori ma, soprattutto, della tutela dell'ambiente, ed ha introdotto alcuni principi fondamentali, tuttora validi. Vogliamo che tali principi siano rispettati, anzi auspichiamo che possano essere potenziati, sempre nell'ottica della tutela dell'ambiente e della fauna. Pertanto, i principi cardine che fanno della legge n. 157 del 1992, per il momento in cui è stata emanata, una legge moderna, verranno assolutamente rispettati.
Allo stesso modo, nella legge di modifica verranno rispettate le competenze dello Stato e quelle della Comunità europea.
Ritengo che i rappresentanti delle regioni, delle province e dei comuni vorranno considerare che uno dei contenuti e degli obiettivi pregnanti delle modifiche che si intendono introdurre è proprio quello di dare concretezza alla riforma del Titolo V della Costituzione.
Auspichiamo che con il nuovo testo, destinato a modificare e a sostituire, parzialmente, la legge n. 157 del 1992, i principi sanciti da tale riforma - di autonomia e di attribuzione di nuove competenze alle regioni, alle province e ai comuni - siano attuati e realizzati nel modo migliore.
L'assessore Pani ha voluto evidenziare - e di questo gli sono grato - due problemi di particolare rilevanza, sul piano delle competenze delle regioni e anche con riferimento all'esercizio del prelievo venatorio in modo il più possibile accettabile e coerente rispetto all'esigenza di tutela dell'ambiente. Sottolineando la questione degli ambiti territoriali di caccia e facendone addirittura il centro del proprio intervento, l'assessore Pani ha dimostrato un'attenzione particolare ai problemi del territorio di tutte le nostre regioni, dal momento che ogni regione ha caratteristiche territoriali ed esperienze agricole e venatorie diverse e ha l'esigenza di regolamentare il prelievo venatorio attraverso modalità e regole che non possono essere sempre le stesse.
D'altra parte, anche l'assessore Bruschini ha sottoposto alla nostra attenzione un argomento che non solo ci induce alla riflessione, ma ci rafforza nella convinzione di quanto sia opportuna e necessaria, anzi doverosa, la modifica delle disposizioni della legge n. 157 del 1992, che prevedono che gli ambiti territoriali di caccia debbano avere dimensioni inferiori alla provincia. Il fatto che in una provincia dell'Emilia-Romagna ci sia un ambito territoriale di caccia e in un'altra ce ne siano diciassette - è un dato che ignoravo, ringrazio l'assessore Bruschini per avercelo fornito - costituisce la prova evidente e la dimostrazione concreta del fatto che non si può assolutamente costringere la regione o la provincia a costituire un ambito territoriale di caccia che abbia dimensioni inferiori a quelle della provincia stessa.
È necessario che le regioni, nello spirito dell'allargamento delle proprie competenze, al fine di tutelare nel modo più opportuno il rispettivo territorio, abbiano la facoltà di stabilire direttamente quanti debbano essere gli ambiti territoriali di caccia e che dimensione debbano avere, a seconda delle esigenze del territorio stesso.
È stata inoltre affrontata la questione del prelievo della fauna migratoria. Quando ho fatto riferimento ai principi cardine della legge avevo ben presente anche tale aspetto, ovvero il dato qualificante del legame fra il territorio e il cacciatore, ma si tratta di un dato che può riferirsi al prelievo della fauna stanziale. È infatti difficile estendere tale legame al prelievo della fauna migratoria, perché i territori e l'ambiente sono diversi: non si può imporre a chi vive in una zona nella quale non è presente la fauna migratoria di rinunziare all'esercizio di questo tipo di caccia. Stabilendo che l'ambito per l'esercizio della caccia alla fauna migratoria non sia più delle dimensioni attualmente previste, ma sia ad esempio di dimensioni nazionali, come propongono alcuni, oppure di dimensioni regionali, come propongono altri, o anche - ricordo l'osservazione dell'onorevole Banti - di dimensioni interregionali, dal momento che si possono concludere accordi fra le regioni, tuteleremmo non solo le aspettative dei cittadini cacciatori ma credo anche, e nel modo migliore, l'ambiente. Infatti, consentire ai cacciatori di irradiarsi sul territorio anziché rimanere concentrati in una piccola zona, significa evitare che il prelievo in quella piccola zona possa determinare danni per la fauna. Quindi, prevedere un raggio d'azione più ampio per quanto riguarda la fauna migratoria significa anzitutto tutelare l'ambiente.
D'altronde, le proposte di legge in esame intendono migliorare l'impianto della legge n. 157 del 1992 anche attraverso l'introduzione di istituti che consentano proprio una migliore tutela della fauna migratoria. Quando si ricordano le esperienze, indubbiamente positive, e i risultati ottenuti con gli ambiti, si fa riferimento alla fauna stanziale: mi domando cosa abbiamo fatto e cosa hanno fatto gli ambiti in Italia per la tutela della fauna migratoria. Le proposte in esame intendono introdurre alcuni istituti o rafforzare l'operatività e l'efficienza degli istituti già previsti proprio al fine di salvaguardare la fauna migratoria, di proteggere le rotte di migrazione e di creare ulteriori zone di protezione che possano consentire l'arrivo, la sosta e la tutela di questo tipo di fauna. Emerge pertanto, a mio avviso, l'esigenza di modificare le norme relative all'estensione degli ambiti e al prelievo della fauna migratoria.
Ho ascoltato con attenzione - mi avvio alla conclusione, signor presidente - le osservazioni formulate dall'assessore Bruschini riguardanti la funzione, la capacità, l'esperienza e l'utilità dell'Istituto nazionale della fauna selvatica. Sarebbe tuttavia stato opportuno che, unitamente agli esempi relativi all'intervento puntuale e utile di questo istituto, l'assessore Bruschini avesse portato anche esempi relativi ad altre parti d'Italia. Ritengo peraltro che, con riferimento all'Istituto nazionale della fauna selvatica, egli avrebbe potuto parlare solamente dell'Emilia-Romagna, perché se gli domandassi quanti punti o centri di monitoraggio ha tale istituto nel resto del territorio nazionale, probabilmente egli non sarebbe in grado di darmi una risposta. Se dicessi che il citato istituto ha ritenuto più volte di «mettere il becco» - consentitemi l'espressione un po' venatoria - su questioni riguardanti la Sardegna o altre regioni dell'Italia meridionale, senza aver avuto mai un punto di controllo o funzionari o tecnici che esaminassero direttamente sul luogo le situazioni della Sardegna o di altre parti d'Italia, l'assessore Bruschini non potrebbe darmi una risposta positiva.
Ecco perché affermiamo che l'Istituto nazionale della fauna selvatica deve essere certamente salvaguardato e potenziato, ma deve essere anche affiancato da altri istituti che siano presenti sui territori, che possano collaborare con le autorità istituzionali ed eventualmente anche con l'istituto stesso, e che possano dare un contributo diretto, appropriato, qualificato e di conoscenze effettive, perché soltanto in tal modo si possono gestire i delicati problemi della caccia.
Quanto agli anziani - sono grato a chi ha richiamato questo aspetto -, si tratta di una questione che, nel corso dell'esame delle proposte di legge, sarà certamente oggetto di attenzione da parte della Commissione e del Parlamento nel suo complesso.
Per quanto riguarda i danni, sono indubbiamente necessarie norme che non soltanto prevedano il risarcimento del danno (è un obbligo che, a norma del codice civile, fa già capo allo Stato quale ente proprietario degli animali), ma rendano il risarcimento stesso snello, rapido ed effettivo. A fronte di fatti anche dolorosi e talvolta mortali, lo Stato deve intervenire per risarcire i cittadini che abbiano riportato danni per effetto della presenza o della condotta degli animali.
Quanto alla caccia nei parchi, si tratta di un problema di estrema delicatezza, che credo possa essere soltanto sfiorato in questa sede, ma difficilmente affrontato nel testo della nuova legge.
Vi sono alcune proposte di modifica della legge n. 394 del 1991 (la legge quadro sulle aree protette) che potranno essere esaminate, e certamente l'esercizio del prelievo venatorio nei pre-parchi può portare ad affrontare le problematiche relative all'eccessiva e pericolosa presenza degli animali selvatici, che a volte causano danni anche irreparabili.
Tutto ciò, nel rispetto e nello spirito di una collaborazione sempre maggiore tra il mondo venatorio e quello agricolo (si tratta di un presupposto indefettibile, in mancanza del quale è impossibile legiferare in materia di caccia) e cercando di ottenere e conquistare il consenso dell'opinione pubblica, che non può vedere il mondo venatorio soltanto come un mondo di cittadini che pensano a distruggere e a non salvaguardare l'ambiente. Tutti sanno che la presenza del mondo venatorio costituisce una tutela (forse la più efficace) dell'ambiente.
Le proposte di legge presentate sono particolarmente variegate ed anche di diversa provenienza, ma non vi è dubbio che da esse scaturirà un testo unificato nell'ambito del quale saranno eliminate tutte le parti contrastanti con i principi che, ormai da molti mesi, stiamo esaminando. Questo testo unificato dovrà essere il più omogeneo possibile e dovrà tenere conto delle indicazioni che tutti abbiamo avanzato proprio per rendere più praticabile e più lineare la gestione della caccia attraverso una nuova stesura della legge n.157 del 1992.
Per quanto riguarda il tavolo europeo, questa Commissione farà gli opportuni passi affinché si comprendano e si apprezzino le eventuali limitazioni che potrebbero giungere dalla Commissione europea. Sappiamo, tuttavia, che da anni in molti Stati della Comunità si esercita il prelievo venatorio oltre i limiti imposti, che noi, in Italia, abbiamo invece rispettato. Per questo motivo, non sarebbe giusto che una tale situazione di ingiustizia continuasse a perpetuarsi. D'altro canto, la Comunità europea non ha mai posto dei principi ferrei in materia e - lo ripeto - non c'è alcuna regola di carattere europeo per la quale il prelievo venatorio debba cessare in tutto il territorio della Comunità entro il 31 di gennaio. Ciò basta ad evidenziare quanto sia opportuno e necessario modificare le norme con riferimento ai tempi di caccia.
PRESIDENTE. Do ora la parola ai nostri ospiti per la replica.
LEONARDO LIPPI, Consigliere nazionale dell'Associazione nazionale comuni italiani e sindaco di Cingoli. Sono sindaco del comune di Cingoli, nelle Marche e, per quanto riguarda la presa di attenzione nei confronti dell'agricoltura a basso impatto ambientale, vorrei offrire un ulteriore contributo.
Nelle Marche, abbiamo varato alcuni provvedimenti e i benefici sono subito stati evidenti (aumento della selvaggina sul territorio); le misure assunte prendono le mosse dai fondi e dai finanziamenti europei e fanno sì che la caccia non sia vissuta come un problema ma, al contrario, come un'opportunità.
Un altro aspetto legato alla questione migratoria riguarda la nostra intenzione di evitare il mercimonio che avviene sotto banco: vogliamo evitare forme di acquisto non lecito ed intendiamo regolarizzare i procedimenti. Per noi la caccia è una risorsa e vogliamo farla diventare tale.
MARIO LUIGI BRUSCHINI, Assessore alla difesa del suolo e alla protezione civile della regione Emilia-Romagna. La regione Emilia-Romagna sta lavorando in maniera molto convinta sul settore degli accordi interregionali (per esempio, vi è un accordo fra Emilia e Marche, fra la provincia di Rimini e quella di Pesaro). Si tratta di un vero e proprio scambio, nel quale noi ci occupiamo della convenzione (una sorta di accordo quadro), che rinnoviamo annualmente ma che potrebbe anche avere durata più ampia.
Insieme alla provincia di Pistoia, abbiamo la gestione di una popolazione di cervi del parco dell'Acquirino, proprio sul crinale appenninico. La stessa situazione si verifica con le province lombarde di Piacenza e Parma, e con i loro corrispettivi lombardi a livello provinciale, con i quali è possibile calibrare meglio il fabbisogno e, quindi, la possibilità di «aprire» o di «chiudere» in una direzione o nell'altra: insomma, ci sono scambi continui.
Non c'è dubbio che organizzare e rendere ancora più stringente l'aspetto degli accordi interregionali potrebbe essere una via (per comparti omogenei per geomorfologia, come nell'Appennino oppure nella Pianura padana) estremamente produttiva e favorevole, senza sconvolgere il quadro esistente o provocare esodi biblici, mantenendo gli interventi nel quadro di caratteristiche ben individuate.
TIZIANA TURRA, Responsabile dell'attività faunistico-venatoria della regione Emilia-Romagna. In Emilia-Romagna, è prevista la possibilità di esercitare la caccia anche nelle aree contigue ai parchi.
Nel documento regionale che detta gli indirizzi per la pianificazione faunistico-venatoria da parte delle province (quindi, per l'elaborazione dei rispettivi piani faunistico-venatori) il parco e, soprattutto, le aree di pre-parco possono essere considerati, a discrezione della provincia, aree a gestione e a regolamentazione speciale, oppure venire inclusi in quel territorio classificato come ATC. Per questo motivo, nella nostra regione abbiamo situazioni nelle quali il pre-parco è considerato a gestione, per così dire, specifica e particolare, mentre vi sono altre realtà in cui quest'ultimo, praticamente, fa invece parte dell'ATC vicino oppure è inglobato in un determinato ATC (addirittura, nello stesso parco del delta del Po abbiamo una realtà ferrarese di un certo tipo, è una realtà ravennate di un tipo diverso).
Naturalmente, è l'ente parco che deve gestire ed organizzare il tutto, avvalendosi, come succede spesso da noi, della collaborazione dei comitati direttivi degli ambiti territoriali di caccia. Ancora siamo lontani dall'aver raggiunto l'optimum, tant'è vero che, nella nostra regione, abbiamo anche costituito un gruppo di lavoro tra assessorato competente in materia di caccia e assessorato all'ambiente, per cercare di avvicinare e di integrare in misura sempre maggiore la gestione faunistica del territorio, sia che si tratti di parchi, sia che si tratti di altre realtà dove la caccia è consentita.
Ovviamente, il concetto è che la gestione territoriale deve essere complessiva, nel senso che non vi sono tabelle per quanto riguarda i parchi o gli ATC in termini di fauna o altro: la gestione, insomma, deve essere complessiva. Se il parco non sa ciò che avviene al di fuori di esso e chi gestisce dal di fuori non sa cosa avviene all'interno del parco, la gestione faunistico-venatoria complessiva non è perfetta. Stiamo quindi lavorando per migliorare la situazione e questo tipo di rapporto.
PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per la loro disponibilità e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle ore 16.
COMMISSIONE XIII
AGRICOLTURA
RESOCONTO STENOGRAFICO
INDAGINE CONOSCITIVA
5.
SEDUTA DI MERCOLEDÌ 18 GIUGNO 2003
presidenza del vicepresidente Gianluigi Scaltritti
La seduta comincia alle 15,10.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
Audizione di rappresentanti del Corpo forestale dello Stato.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva inerente l'esame dei progetti di legge C. 27 Stefani, C. 291 Massidda, C. 498 Bono, C. 1417 Onnis, C. 1418 Onnis, C. 2016 Benedetti Valentini, C. 2314 Serena, C. 3533 Pezzella e C. 3761 Bellillo, recanti «Modifiche alla legge n. 157 del 1992, protezione della fauna selvatica e prelievo venatorio», l'audizione di rappresentanti del Corpo forestale dello Stato.
Sono presenti il dottor Giuseppe Di Croce, capo del Corpo forestale dello Stato, il dottor Davide De Laurentis, primo dirigente, e il dottor Marco Panella, funzionario.
Do la parola al dottor Di Croce.
GIUSEPPE DI CROCE, Capo del Corpo forestale dello Stato. In materia di caccia, il compito del Corpo forestale dello Stato è semplicemente quello del controllo del territorio e della vigilanza, così come prescrive l'articolo 27 della legge n.157 del 1992. Come organo di polizia, esercitiamo questo compito anche tenendo conto di una lunga tradizione al riguardo.
Sono soprattutto le nostre strutture periferiche, segnatamente i nostri comandi di stazione, ad esercitare la funzione di vigilanza. Ci sono alcuni periodi dell'anno in cui, per particolari esigenze, soprattutto lungo le isole tirreniche e lo stretto di Messina, nelle valli lombarde in autunno, oppure nelle zone umide in Puglia, esercitiamo controlli particolari perché vi sono attività venatorie speciali che debbono essere contrastate. Il numero dei controlli e, purtroppo, anche quello delle sanzioni amministrative e delle notizie di reato sono molto elevati. Devo, peraltro, confermare un trend negativo, instauratosi negli ultimi tempi, riguardante la propensione al bracconaggio, che in qualche modo ci preoccupa. La natura penale degli illeciti venatori introdotti dalla legge n. 157 del 1992 ha in qualche modo fatto chiarezza nella materia, in quanto tali illeciti sono stati ricondotti agli articoli 624, 625 e 626 del codice penale, il che ha facilitato anche il nostro compito.
Un elemento positivo che abbiamo riscontrato è il legame creatosi con il cacciatore: l'istituzione degli ambiti territoriali di caccia ha in qualche modo legato il cacciatore al territorio e, soprattutto, ha incentivato la partecipazione delle associazioni di cacciatori, oltre che delle associazioni di protezione dell'ambiente, del mondo agricolo e degli enti locali. Un vantaggio ulteriore è rappresentato dal fatto che, evitando le concentrazioni di cacciatori in queste aree in alcuni periodi della migrazione, il nostro compito viene facilitato.
Un altro elemento di equilibrio e di interesse che riteniamo di dover evidenziare è rappresentato dal rispetto delle funzioni regionali. Vorrei sottolineare che in materia di stagione venatoria la Corte Costituzionale ha emesso una sentenza, la n. 536 del 20 dicembre 2002, la quale richiama l'attenzione sulla conclusione del periodo venatorio entro il 31 gennaio, facendo riferimento a precedenti sentenze della Corte di giustizia europea, segnatamente riconducibili al principio contenuto nell'articolo 7, comma 4, della direttiva 79/409 CE. Tale principio prevede che le specie soggette alla legislazione della caccia non vengano cacciate durante il periodo della riproduzione e durante il ritorno al luogo di nidificazione.
Da parte nostra, riteniamo che un ampliamento del calendario venatorio potrebbe determinare l'apertura di una procedura di infrazione. Come organismo di controllo, crediamo che eventuali modifiche dovrebbero scongiurare ricadute negative sull'efficienza delle attività di controllo e sulla capacità di garantire la tutela del patrimonio faunistico, che rappresenta quasi sempre un valore che travalica gli interessi nazionali.
PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Di Croce per la sua sintetica esposizione e do la parola ai deputati che desiderino intervenire.
EGIDIO BANTI. Fermo restando il tradizionale e lodevole impegno del Corpo forestale nella vigilanza, è noto come, in base alla legge n. 157 del 1992, i soggetti abilitati a svolgere funzioni di controllo e vigilanza, pubblici e privati, siano numerosi. Al Corpo forestale si aggiungono, infatti, i guardiacaccia delle province (ormai inquadrati come polizia provinciale, quindi come vera e propria polizia, anche se diversa da quella statale tradizionale), i rappresentanti delle numerose associazioni venatorie, i rappresentanti delle associazioni ambientaliste.
Talora, operando politicamente sul territorio, ci viene rappresentata l'idea che i controlli siano giusti, ma qualche volta si rischia che siano eccessivi, non in quanto particolarmente efficaci, ma perché esercitati da più soggetti non sempre coordinati fra loro. La legge n. 157 del 1992, pur prevedendo una pluralità di soggetti, anche molto diversi tra loro, abilitati a funzioni di vigilanza e di controllo (e quindi anche ad esercitare sanzioni che poi sconfinano nel penale), non contempla alcuna forma di coordinamento.
A vostro giudizio, esiste un'esigenza di coordinamento nell'ambito di questa situazione? Faccio un esempio banale: è noto che tra Polizia e carabinieri vi è una duplicità di funzioni, ma esiste anche, in base alle competenze del prefetto e del questore di ogni provincia, un accordo per cui il controllo nelle strade provinciali viene effettuato o dall'una o dagli altri, e non da entrambi contemporaneamente. Ritenete in tal senso possibile determinare forme di coordinamento, ponendolo in capo ad un soggetto, che naturalmente va individuato e che, comunque, deve avere il consenso dei soggetti interessati?
Ciò potrebbe essere utile anche per evitare certe forme di controllo (non certamente vessatorie, benché qualche volta i cacciatori parlino anche di vessazione), essendovi comunque il rischio che un comportamento possa essere considerato valido in un luogo e non in un altro, che pure si trova a soli 150 metri di distanza, in quanto il soggetto che controlla appartiene ad un diverso organismo. Come si può realizzare un migliore coordinamento in una materia così delicata?
ORLANDO RUGGIERI. Ricollegandomi alla domanda appena formulata dal collega Banti, quanto all'ipotesi di un coordinamento tra le forze addette alla vigilanza e al controllo, mi sembra di aver colto, in un passo della relazione del dottor Di Croce, una certa avversione ad un eventuale prolungamento del calendario venatorio. Vorrei sapere se ciò si ricollega alla normativa europea o a qualcos'altro.
FRANCESCO ONNIS. Vorrei sapere dal dottor Di Croce se egli interviene anche a nome dei corpi forestali regionali, che - se non sbaglio - dovrebbero essere cinque in ogni regione a statuto speciale.
PRESIDENTE. Do la parola al dottor Di Croce per la replica.
Da parte nostra, come abbiamo sempre fatto, aspiriamo ad essere considerati la polizia ambientale del paese. La legge di riforma del Corpo, licenziata dalla Camera ed attualmente in discussione al Senato, sancisce tale principio: ci auguriamo che esso sia confermato in maniera definitiva.
Non esprimo alcun giudizio sul soggetto deputato ad esercitare il coordinamento. Credo, comunque, che questa forma di coordinamento consentirebbe un risparmio di energie, permettendo di esplicare maggiori azioni sul territorio. Il Corpo forestale dello Stato è a disposizione per esercitare al meglio il proprio dovere sul territorio. L'unico rammarico è che purtroppo siamo, per così dire, «quattro gatti»: ricordo, infatti, che in tutto il paese il numero degli addetti del Corpo è inferiore a quello dei vigili urbani di Roma. So bene che si verificano conflitti, però in genere il rapporto fra il Corpo forestale dello Stato e le altre forze di polizia, quali agenti venatori delle province e delle altre associazioni, sono ottimi, anzi direi eccellenti. A volte succede che vi siano punti di vista diversi ed anche frizioni, ma ciò è nella natura della dialettica.
Per quanto riguarda la domanda formulata dall'onorevole Ruggieri, relativa al prolungamento dell'attività venatoria, essa va ricollegata al quadro europeo complessivo (a questo riguardo, consultiamo spesso il sito Internet della Comunità europea). Tutti gli atti ci richiamano a mantenere l'attività entro il 31 gennaio, proprio perché la disciplina statale, che prevede tale data come termine dell'attività venatoria, si inserisce in un contesto normativo comunitario e internazionale rivolto alla tutela della fauna migratorica e si propone di garantire il sistema ecologico nel suo complesso. Ciò è quanto ha affermato la Corte costituzionale nella sentenza n. 536 del 2002, che si richiama al quadro normativo comunitario. Questo, naturalmente, è un giudizio tecnico e non politico.
ORLANDO RUGGIERI. Quanto ha affermato si riferisce alla chiusura della stagione venatoria: cosa può dirci sull'apertura?
GIUSEPPE DI CROCE, Capo del Corpo forestale dello Stato. Sull'apertura non abbiamo elementi di valutazione, ma negli stessi documenti a cui mi riferivo il periodo della stagione venatoria viene richiamato ed inquadrato in un contesto ben preciso, proprio al fine di evitare contenziosi.
Infine, faccio presente all'onorevole Onnis che rappresento solo il Corpo forestale dello Stato.
PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti del Corpo forestale dello Stato intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.
Audizione di rappresentanti dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva inerente all'esame dei progetti di legge C. 27 Stefani, C. 291 Massidda, C. 498 Bono, C. 1417 Onnis, C. 1418 Onnis, C. 2016 Benedetti Valentini, C. 2314 Serena, C. 3533 Pezzella e C. 3761 Bellillo, recanti «Modifiche alla legge n. 157 del 1992, protezione della fauna selvatica e prelievo venatorio», l'audizione di rappresentanti dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica.
Sono presenti il dottor Fernando Spina e il dottor Silvano Toso, dirigenti di ricerca. Li ringrazio, a nome della Commissione, per la loro partecipazione all'odierna audizione e do loro la parola.
SILVANO TOSO, Dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. Desideriamo anche noi ringraziare la Commissione per aver invitato l'Istituto nazionale per la fauna selvatica a questa audizione riguardante le proposte di modifica della legge n. 157 del 1992.
Come è noto, l'Istituto rappresenta l'organo scientifico e tecnico cui le amministrazioni centrali dello Stato e gli enti locali fanno riferimento per l'applicazione del quadro normativo nazionale ed internazionale relativo alla conservazione e alla gestione delle popolazioni faunistiche. Svolgendo questo ruolo, esso ha avuto modo di seguire l'evoluzione della situazione faunistica nazionale e può, entro i limiti connessi alla disponibilità di dati oggettivi, esprimere un giudizio sull'influenza dell'applicazione della suddetta legge su tale realtà.
Questo giudizio è sostanzialmente positivo, anche se deve essere calibrato in funzione delle diverse realtà regionali, che si presentano assai diversificate, come pure, anche nell'ambito di una stessa regione, in funzione dei diversi gruppi sistematici oggetto di prelievo venatorio o da esso condizionati in maniera indiretta. Alcune regioni dell'Italia settentrionale e centrale hanno visto migliorare sensibilmente la propria condizione faunistica negli ultimi dieci anni, in particolare con riferimento a gruppi quali gli ungulati, gli uccelli acquatici e, più localmente, anche lagomorfi e fasianidi.
A ciò hanno contribuito in maniera significativa sia i contenuti di alcune leggi e regolamenti regionali, sia le esperienze di gestione condotte da diversi ATC e comprensori alpini. Ove queste esperienze hanno consentito l'esaltazione del rapporto tra tecniche di gestione corrette e impegno in termini di volontariato da parte del mondo venatorio organizzato all'interno degli enti gestori, i risultati positivi non sono mancati, in termini di miglioramento delle risorse faunistiche, progressiva limitazione degli aspetti meno ecologicamente compatibili della gestione (come i ripopolamenti artificiali con selvaggina importata), attenzione crescente alla gestione del territorio per esaltarne la produttività faunistica naturale in un rapporto sinergico con il mondo dell'agricoltura.
Come considerazione generale va ricordato che, soprattutto per quanto riguarda diversi gruppi di uccelli migratori, il miglioramento dello stato di conservazione è stato determinato in misura considerevole dalla sospensione della chiusura della stagione venatoria alla fine del mese di gennaio, introdotta proprio dalla legge n. 157 del 1992.
Accanto a queste esperienze positive, vanno tuttavia segnalate gravi carenze nell'applicazione della legge conseguenti ad omissioni o ritardi da parte dei soggetti a vario titolo impegnati in questo processo in diversi settori del paese, tendenzialmente - ma non solo - nel meridione d'Italia. Basti pensare che in alcune regioni la creazione degli ATC è un fatto assai recente e, per certi versi, ancora incompiuto e che in molti casi questi organismi sono stati istituiti sulla carta, ma non hanno avuto modo di influenzare nella pratica la gestione faunistica del territorio sul quale insistono.
Questa condizione non ha mancato di riflettersi sullo status locale della fauna, come è possibile rilevare dall'esame dei rapporti che l'INFS ha recentemente prodotto e divulgato. Un elemento preoccupante è la sostanziale carenza di dati sull'entità del prelievo venatorio conseguito. Le statistiche venatorie rappresentano infatti una base conoscitiva indispensabile per una gestione consapevole e conservativa delle popolazioni cacciate; nel caso italiano informazioni di questo tipo sono limitate a poche realtà locali o al solo caso degli ungulati cacciati con i metodi selettivi.
Nelle scorse settimane abbiamo avuto modo di esaminare i testi delle proposte di legge di modifica della vigente normativa nazionale sulla protezione della fauna e l'esercizio dell'attività venatoria, attualmente all'attenzione di questa Commissione. Naturalmente, non intendiamo entrare nel merito di aspetti per i quali l'Istituto non ha diretta competenza, come quelli di carattere giuridico, amministrativo, o più squisitamente politico, sui quali il giudizio compete ad altri.
Ci sembra siano due gli aspetti di carattere scientifico e tecnico più rilevanti che accomunano le proposte di legge presentate: l'inserimento di nuove specie tra quelle cacciabili e l'estensione dei periodi di caccia. Entrambi necessitano di un approccio che, accanto agli elementi conoscitivi di natura biologica, deve tenere conto del quadro normativo internazionale, cioè delle convenzioni e direttive comunitarie recepite dal nostro paese.
Per quanto riguarda l'ampliamento delle specie cacciabili, è bene distinguere tra i mammiferi e gli uccelli. Per i primi, il riferimento normativo è costituito dalla legge n. 503 del 1981, che recepisce la Convenzione di Berna, i cui allegati indicano le specie che devono essere oggetto di protezione assoluta nell'ambito dei paesi membri e le specie il cui utilizzo, anche venatorio, può essere consentito, sia pure a determinate condizioni; le rimanenti specie possono essere oggetto di utilizzo venatorio secondo le regole che ciascun paese si è dato. Il confronto tra gli allegati della Convenzione di Berna e le specie di mammiferi attualmente cacciabili in Italia ai sensi della legge 157 del 1992 consente di affermare che un certo numero di specie di generico interesse venatorio potrebbero essere inserite tra quelle cacciabili, in piena osservanza del dettato della convenzione.
Per quanto concerne gli uccelli, la situazione è, almeno in parte, diversa. La direttiva 409/79, infatti, è corredata da allegati che stabiliscono in maniera precisa ed univoca le specie cacciabili nell'intero territorio dell'Unione europea e quelle cacciabili nei singoli paesi membri (allegati II/1 e II/2). Il confronto tra le specie attualmente cacciabili ai sensi dell'articolo 18 della legge n. 157 del 1992 e gli allegati di cui sopra consente di affermare che l'inclusione di quattro specie, e precisamente oca selvatica, oca granaiola, gallo cedrone e pettegola, tra quelle cacciabili nel nostro paese potrebbe avvenire semplicemente attraverso il meccanismo previsto dal già citato articolo 18, comma 3, e ciò in sintonia con quanto già previsto dalla direttiva comunitaria.
Naturalmente, gli allegati non sono immutabili e di fatto, su richiesta dei paesi membri, la Commissione europea ha già provveduto in passato a modificarli, inserendo o sottraendo specie in funzione di diversi parametri: stato di conservazione generale e locale delle specie, esigenze di carattere socio-economico, e via dicendo. È dunque senz'altro possibile, per il nostro paese, richiedere l'inserimento di nuove specie di interesse venatorio nell'allegato II/2, purché la richiesta sia supportata da un'adeguata memoria di carattere scientifico e tecnico in grado di motivarla e di evidenziare la compatibilità del prelievo venatorio che verrebbe attuato rispetto allo status di ogni singola specie considerata.
L'Istituto nazionale per la fauna selvatica rimane disponibile, qualora richiesto dai competenti organi politico-amministrativi, a sviluppare le memorie tecniche relative alla materia in oggetto, come è avvenuto in passato per la richiesta di inserimento dello storno tra le specie cacciabili, avanzata all'Unione europea da parte del Ministero delle politiche agricole e forestali. Per fare questo, l'Istituto sia avvale di un esame critico della letteratura scientifica esistente e dei dati originali raccolti nelle proprie banche dati e di una valutazione della dimensione e delle caratteristiche della pressione venatoria che verrebbe eventualmente esercitata su ciascuna specie.
Alcune considerazioni di base sono necessarie per affrontare in maniera corretta le problematiche relative al prelievo venatorio degli uccelli migratori, che sono veri e propri permeanti ecologici ed attraversano liberamente i confini politici nel corso dei loro lunghi spostamenti. La comune responsabilità condivisa tra gli Stati interessati dalle rotte di migrazione è riconosciuta dalla comunità internazionale. Essa è anche riflessa negli strumenti normativi internazionali che mirano alla protezione di questa importante componente della biodiversità globale. Gli uccelli migratori forniscono uno degli esempi migliori e più ampiamente riconosciuti dell'esigenza di sforzi coordinati su vasta scala geografica per la gestione e la conservazione delle risorse faunistiche. Essi seguono rotte specifiche, lungo le quali si spostano tra le aree di nidificazione e quelle di svernamento. Una rotta di migrazione è un sistema funzionale di aree di nidificazione, sosta, muta, acquisizione delle riserve energetiche e svernamento idonee per le diverse fasi del ciclo annuale. Ciascuna di queste aree può essere di importanza cruciale perché gli uccelli riescano a compiere i loro viaggi di migrazione.
La nostra conoscenza del ruolo funzionale delle rotte di migrazione è quindi requisito essenziale per la pianificazione di politiche di gestione e conservazione coordinate su vaste aree geografiche. Numerose specie di uccelli che transitano regolarmente attraverso il territorio dell'Unione europea sono cacciabili, ai sensi della direttiva 409/79 CEE, nota anche come «direttiva uccelli». Una gestione ecologicamente compatibile di questa legittima modalità di utilizzo della risorsa naturale rappresentata dagli uccelli migratori cacciabili, che costituiscono una fonte di attività economiche, sociali e ricreative, necessita di informazioni scientifiche che possano consentire una valutazione corretta circa la sostenibilità del prelievo venatorio stesso.
La citata direttiva, unitamente all'Agreement on the Conservation of African-Eurasian Migratory Waterbirds (AEWA) nell'ambito della Convenzione di Bonn sulle specie migratrici, forniscono un quadro normativo per politiche concertate di conservazione e gestione degli uccelli migratori. La stessa Commissione europea ha istituito un gruppo di lavoro specifico (comitato ORNIS e gruppo di lavoro scientifico ORNIS) per assicurare una applicazione della direttiva uccelli basata su solidi dati scientifici, il che per molte specie implica la necessità di considerare e valutare numerosi parametri legati alla migrazione. Informazione scientifica di alta qualità ed alti standard nella interpretazione dei dati sono dunque elementi essenziali per utilizzare in modo efficiente gli strumenti normativi esistenti.
Sulla questione dell'estensione dei periodi di caccia, lascio la parola al dottor Spina.
FERNANDO SPINA, Dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. La già citata direttiva uccelli pone una serie di limitazioni alla possibile collocazione temporale del prelievo venatorio nell'arco annuale. In particolare, l'articolo 7(4) richiede che le specie, a cui si applica la legislazione della caccia, non siano cacciate durante il periodo della nidificazione, né durante le varie fasi della riproduzione e della dipendenza. Quando si tratta di specie migratrici, gli Stati membri provvedono affinché le specie oggetto della legislazione di caccia non vengano cacciate durante il periodo della riproduzione e durante il ritorno al luogo di nidificazione.
Da un punto di vista gestionale, le ragioni che motivano queste restrizioni sono le seguenti: per quanto riguarda l'eventuale possibilità di caccia durante il periodo di riproduzione, nidificazione e dipendenza, il prelievo venatorio di un soggetto adulto, nel corso delle varie fasi della riproduzione, si ripercuotere anche sulla progenie, pur a diversi stadi di sviluppo e comunque prima della raggiunta indipendenza, causando una perdita aggiuntiva per la popolazione difficilmente stimabile e prevedibile. Riguardo invece alla necessità di conservazione durante il ritorno al luogo di nidificazione, gli uccelli migratori, impegnati nei movimenti di ritorno a tale luogo, sono soggetti sopravvissuti con successo al picco di mortalità rappresentato dall'inverno. Essi hanno quindi elevate probabilità di essere parte dello stock dei riproduttori che darà vita alla popolazione di prede potenziali - ampiamente rappresentate dai giovani dell'anno -, che potranno essere correttamente soggette a prelievo venatorio nella successiva stagione post-riproduttiva di caccia.
Classicamente, prelevare uccelli migratori in movimento di ritorno equivale ad intaccare non l'utile di un nostro capitale, rappresentato in questo caso dalla popolazione dei potenziali riproduttori, bensì una parte del capitale stesso. In questo caso, dunque, viene meno il principio basilare che legittima, dal punto di vista ecologico, la caccia, intesa come utilizzo di una risorsa naturale rinnovabile, in quanto la mortalità, dovuta al prelievo venatorio, diventerebbe aggiuntiva e non parzialmente sostitutiva della mortalità naturale.
Al fine di collocare correttamente questi periodi sensibili nei diversi Stati membri, la Commissione ha chiesto agli esperti del gruppo di lavoro scientifico ORNIS di raccogliere informazioni relative alle specie inserite nell'allegato II della direttiva. Tale gruppo di lavoro ha adottato metodologie chiare e condivise, tali da consentire un'interpretazione univoca di dati relativi ai diversi Stati membri. Attraverso un processo di raccolta e di validazione dei migliori dati esistenti, i singoli esperti nazionali hanno prodotto un set di informazioni, che sono state formalmente trasmesse dai singoli esperti nazionali ai competenti ministeri (nel caso dell'Italia, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, il quale poi ha formalmente trasmesso queste informazioni alla Commissione). Tutto ciò ha dato luogo ad un documento sui concetti chiave dell'articolo 7(4), accessibile sul sito della Commissione.
Recentemente, più precisamente nell'agosto 2002, ci sono state alcune verifiche dei dati relativi all'Italia. Il Ministero delle politiche agricole e forestali ha scritto alla Commissione europea, chiedendo una revisione di alcune delle date fornite proprio dall'Italia e presenti nel suddetto documento. In occasione di un incontro che si è tenuto nel settembre 2002 presso il Ministero delle politiche agricole e forestali, la rappresentanza della Commissione ha ricevuto copia di una relazione dell'università degli studi di Firenze, la quale forniva elementi di supporto tecnico alle proposte di modifica formulate nella lettera di agosto.
La Commissione ha poi preso l'impegno di organizzare un incontro scientifico con esperti ornitologi, per esaminare le nuove informazioni fornite, e quindi per determinare se esistesse una base una base scientifica per modificare alcune delle date relative all'Italia, contenute nel documento dei concetti chiave. A tal fine, oltre agli autori del già citato rapporto dell'università di Firenze e al delegato italiano nel gruppo scientifico ORNIS, la Commissione ha invitato anche Birdlife international e la FACE, con due rappresentanti ciascuno. L'incontro ha avuto luogo a Bruxelles nel dicembre 2002 e, sulla base degli elementi forniti nel documento prodotto dall'università di Firenze, come anche delle discussioni svoltesi durante l'incontro, la Commissione ha concluso che non vi sono nuovi dati scientifici a supporto di una modifica, in Italia, delle date di inizio dei periodi di migrazione prenuziale, né su quelle di termine della fase riproduttiva per le specie di uccelli di cui all'allegato II; perciò, non ha ritenuto di dover apportare alcuna modifica alle date di riproduzione migrazione prenuziale incluse nel suo documento.
Su richiesta del rappresentante della FACE, e quindi della stessa Commissione, il rappresentante italiano del gruppo scientifico ORNIS ha prodotto un ulteriore resoconto scientifico, contenente numerosi dati inediti, scaturiti da analisi prodotte specificatamente in occasione di questo incontro, che è stato acquisito dalla Commissione, quale ulteriore documentazione scientifica relativa all'Italia.
La Commissione, inoltre, ha ribadito la piena disponibilità a prendere in considerazione eventuali nuovi dati scientifici che si rendessero disponibili, nell'ottica del regolare aggiornamento dei contenuti del documento ORNIS, previsto su base regolare, verosimilmente a cadenza annuale per i singoli Stati membri.
Nell'ambito della più volte ricordata esigenza di disporre di informazioni scientifiche per quanto possibile dettagliate circa la collocazione spazio-temporale degli uccelli migratori, le modalità dei loro movimenti (in particolare attraverso il nostro paese), l'origine e la destinazione dei migratori in transito, sosta e svernamento in Italia, nonché la consistenza numerica dei contingenti svernanti di un ampio spettro di specie, le banche dati predisposte e costantemente aggiornate presso l'Istituto nazionale per la fauna selvatica, insieme alle specifiche competenze dei suoi ricercatori, sono a disposizione per essere ulteriormente analizzate ai fini applicativi. Queste banche dati sono, al momento, la più vasta raccolta di dati scientifici relativi alla fauna italiana, acquisiti attraverso metodiche standardizzate, esistenti in Italia.
Grazie al contributo volontario di oltre 1.200 rilevatori, sono stati infatti acquisiti ed informatizzati, già da oltre vent'anni, più di 3.500.000 dati georeferenziati relativi alla distribuzione spazio-temporale, in Italia, di circa 380 specie diverse di uccelli.
In conclusione, vorrei ribadire che l'Istituto nazionale per la fauna selvatica rimane pienamente disponibile a fornire il proprio contributo in ogni sede di discussione di eventuali modifiche dell'attuale normativa sulla conservazione della fauna e l'esercizio dell'attività venatoria.
PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire.
FRANCESCO ONNIS. Vorrei sapere dal dottor Toso se siano state istituite le unità operative tecniche consultive decentrate, se l'Istituto nazionale per la fauna selvatica possieda centri di monitoraggio distribuiti su tutto il territorio nazionale, dove si trovino e, in caso contrario, come sia stato effettuato il controllo fino ad oggi.
EGIDIO BANTI. Il dottor Toso ha riconosciuto che i confini regionali non sono, di per sé, faunistico-venatori, nel senso che la Costituzione attribuisce la competenza in materia di caccia alle regioni. Bisogna però tenere conto del fatto che ogni regione comprende territori tra loro anche molto diversi. Ad esempio, la regione da cui provengo, la Liguria, ha un territorio molto esteso in senso longitudinale: a ponente si tratta di fatto di un territorio alpino, con caratteristiche tipiche proprie della fauna alpina, almeno di quella meridionale, mentre a levante la Val di Magra è poco più che un'estensione del territorio dell'alta Toscana, con assenza di fauna stanziale e grande presenza di migratori.
Credo che un calendario unico a livello regionale abbia poco senso se non prevede differenziazioni da un territorio all'altro. Alcune regioni, pur non essendo obbligatorio, hanno previsto delle diversificazioni, ma altre ancora non lo hanno fatto. Ritenete realizzabile una sorta di atlante faunistico venatorio del nostro paese (che tra l'altro in parte già esiste), che serva di base per un diverso e più affinato tipo di pianificazione faunistico-venatoria? È possibile immaginare calendari venatori non per provincia e per regione, in maniera indifferenziata (posto che in ogni provincia e in ogni regione possono esservi esigenze e situazioni molto diverse fra loro), ma per territori omogenei dal punto di vista tecnico, faunistico-venatorio?
La legge non prevede tale obbligo, anche perché in origine non esistevano le condizioni, ma forse questo potrebbe essere un punto su cui lavorare con la collaborazione del vostro istituto.
Associandomi alla domanda formulata dalla collega Onnis, mi interesserebbe inoltre sapere se il vostro istituto dispone di dotazioni logistiche ed organiche sufficienti ad un aumento di responsabilità e di impegno, o se sia necessario, magari nella forma decentrata, un incremento di tali dotazioni.
SAURO SEDIOLI. Le ultime audizioni ci hanno permesso di delineare un quadro più preciso circa l'operatività della legge n. 157 del 1992, visto che la nostra Commissione non dispone della relazione aggiornata sullo stato di attuazione di tale legge. La relazione a nostra disposizione risale infatti al 1993, quindi al secolo scorso!
Si è detto che il giudizio sulla operatività della legge in questione deve essere calibrato, nel senso che la sua applicazione non è omogenea in tutto il paese e, soprattutto, vi è una differenza rilevante tra le zone dove sono operativi gli ATC e quelle in cui essi non sono operativi. Dal momento che nelle proposte di legge di modifica sono in discussione proprio gli ATC, sarebbe opportuno supportare con elementi conoscitivi la descrizione del loro operato: sarebbe infatti impensabile che una richiesta di soppressione degli ATC venisse proprio da coloro che non li hanno mai istituiti.
A parte ciò, quello che mi interessa maggiormente è sottolineare che noi, spesso, ci occupiamo delle leggi, e non degli strumenti; e le leggi, poi, non vengono applicate proprio perché gli strumenti non funzionano. Oltre ai centri di monitoraggio, quali sono le difficoltà che incontra oggi l'Istituto nazionale per la fauna selvatica nella propria attività? Noi abbiamo affidato al vostro istituto, con la legge sul prelievo in deroga, una funzione importante. Quale è la situazione del personale? Quali sono le risorse a vostra disposizione? Quali i problemi organizzativi?
Le mie domande sono motivate anche dal fatto che dovremo prevedere una valorizzazione della funzione dell'istituto.
PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per le risposte.
SILVANO TOSO, Dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. Cercherò di rispondere per ordine.
In merito alle fonti conoscitive con cui costruiamo le banche dati faunistiche, devo sottolineare che investono tutto il territorio nazionale; tuttavia, la qualità dei dati a nostra disposizione dipende dalla fonte iniziale del dato. Noi abbiamo sviluppato una banca dati degli ungulati in Italia, unico esempio tra la fauna stanziale cacciata, e abbiamo potuto realizzarla perché in generale gli ungulati vengono cacciati con metodi selettivi, che presuppongono che gli organismi di gestione inneschino un circolo virtuoso composto dalla valutazione delle presenze faunistiche, cioè dell'entità delle popolazioni locali, dalla stesura di un piano di prelievo, dall'esecuzione e dal controllo del piano di prelievo.
Tutti i dati statistici relativi a queste attività sono concentrati a livello di enti gestori, siano essi ATC o amministrazioni provinciali; a noi spetta il compito di far confluire questi dati periferici al centro, di esaminarli criticamente e di produrre dei rapporti. È evidente che da un istituto con meno di quaranta persone non si può pretendere che il dato venga raccolto direttamente a livello centrale; del resto, ciò non potrebbe avvenire neanche se l'istituto disponesse di 200 persone!
Per quanto riguarda i dati di inanellamento, su cui sono basate, in maniera molto consistente, le analisi sui trend dei regimi migratori, esiste una rete capillare di operatori abilitati direttamente dall'istituto, anche in questo caso, però, con diverse concentrazioni nelle varie parti del paese. Ciò dipende dal livello di sensibilità e di diffusione di questo tipo di approccio, che, ovviamente, dipende non da noi, ma dalle condizioni locali.
Per quanto concerne le strutture decentrate, che pure erano previste dall'articolo 7 della legge n.157 del 1992, ci ricolleghiamo a quanto detto prima. L'istituto ha ricevuto dalla legge un compito veramente considerevole, ma lo Stato non è mai stato in grado, già a partire dal varo della legge, di consentire all'istituto di sviluppare queste attività in maniera degna. Affermo ciò con forza, perché le risorse a nostra disposizione non solo non sono aumentate, ma negli ultimi quattro anni sono fortemente diminuite. Noi abbiamo una pianta organica ufficiale, approvata al momento del varo della legge, di 126 persone, ma non abbiamo mai superato le 45 persone in organico, compresi gli amministrativi. Credo che, a fronte di queste gravi carenze, il lavoro che abbiamo svolto sia stato addirittura incredibile, grazie anche alla collaborazione disinteressata e continua di tutti i collaboratori dell'istituto.
FRANCESCO ONNIS. Quindi, in sostanza, non esistono centri di monitoraggio?
Al riguardo, abbiamo una situazione abbastanza fortunata, in quanto possiamo disporre di oltre 900 collaboratori volontari. Disponiamo di 700 collaboratori per quanto riguarda i censimenti invernali degli uccelli acquatici; la sola attività di inanellamento fornisce dati che vengono raccolti in una media di 13 mila giornate uomo all'anno, fornite gratuitamente da queste persone. È evidente che in alcun paese del mondo esiste una copertura del tutto omogenea del territorio nazionale per quanto riguarda l'attività sugli uccelli migratori. La nostra fortuna è data dal fatto che, in anni forse più felici, abbiamo avuto la possibilità di informatizzare questi dati, ivi compresi quelli relativi alle caratteristiche ecologiche e morfometriche di ogni singolo uccello marcato. Ciò fa sì che la banca dati dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, se riuscirà a sopravvivere, sia la migliore in Europa, con oltre 3 milioni e mezzo di dati informatizzati.
Dico questo non per farci apparire più grandi di quanto siamo, ma semplicemente per rilevare che vi è una rete di monitoraggio sufficientemente capillare, sicuramente la migliore nell'ambito della realtà ornitologica italiana. Esiste un grande potenziale di utilizzo di questi dati, cosa che noi, purtroppo, stiamo facendo con grande difficoltà. Stiamo per produrre un atlante destinato alle amministrazioni locali, nel quale, su base regolare, forniremo una statistica molto dettagliata di tutta l'attività svolta per quanto riguarda gli uccelli migratori in ciascun comparto amministrativo.
FRANCESCO ONNIS. Potremo avere anche noi questi dati?
FERNANDO SPINA, Dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. Questi dati sono già disponibili. Essi sono stati già ampiamente analizzati ed utilizzati, non da ultimo proprio per gli aspetti legati all'applicazione della già citata direttiva, ed hanno costituito proprio la base conoscitiva che ha consentito all'Italia di produrre il materiale inserito nei documenti della Commissione.
FRANCESCO ONNIS. Dove sono questi centri di rilevamento?
FERNANDO SPINA, Dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. Le posso dire che esistono stazioni di inanellamento in tutte le regioni di Italia, per un totale di oltre 1400 siti. Esistono più di 600 siti di conteggio e monitoraggio degli uccelli migratori acquatici; quindi, in totale esiste una rete composta da oltre 2 mila siti di rilevamento in tutta Italia.
I dati raccolti in questo settore potranno essere messi a vostra disposizione in brevissimo tempo poiché sono informatizzati.
LUANA ZANELLA. Purtroppo il dibattito è molto costretto, ma questo passaggio è importantissimo. Ricordo alla Commissione che, insieme ad altri colleghi, tra cui gli onorevoli Rava e Marcora, ho presentato un'interpellanza proprio sul regime di commissariamento e sulle note vicende relative alla revisione dell'istituto, il quale, oltre alle funzioni attribuitegli dalla legge n. 157 del 1992, ha assunto anche un ruolo fondamentale a seguito del recepimento della direttiva europea in materia.
L'Italia sarebbe fuori dall'Europa se gli enti locali, che hanno assunto potestà legislative e regolamentari, non avessero alla base un riferimento fortissimo di tipo scientifico Ritengo che tale questione, che è indispensabile per la tenuta di tutto il sistema normativo ed istituzionale, debba essere ulteriormente approfondita alla presenza dei rappresentanti dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica.
LUCA MARCORA. Signor presidente, chiedo che l'audizione prosegua in un'altra seduta.
PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica per la presenza e li invito a fornire alla Commissione i dati di cui dispongono.
Ritengo di poter accedere alla richiesta avanzata dai deputati Zanella e Marcora e, pertanto, rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.
La seduta termina alle 16.
COMMISSIONE XIII
AGRICOLTURA
RESOCONTO STENOGRAFICO
INDAGINE CONOSCITIVA
6.
SEDUTA DI MARTEDÌ 22 luglio 2003
presidenza del presidente Giacomo de Ghislanzoni Cardoli
La seduta comincia alle 14,45.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
Audizione del ministro per gli affari regionali, senatore Enrico La Loggia.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva inerente l'esame dei progetti di legge C. 27 Stefani, C. 291 Massidda, C. 498 Bono, C. 1417 Onnis, C. 1418 Onnis, C. 2016 Benedetti Valentini, C. 2314 Serena, C. 3533 Pezzella e C. 3761 Bellillo, recanti «modifiche alla legge n.157 del 1992, protezione della fauna selvatica e prelievo venatorio», l'audizione del ministro per gli affari regionali, senatore Enrico La Loggia.
Ringrazio il ministro per la sua presenza e gli do subito la parola.
ENRICO LA LOGGIA, Ministro per gli affari regionali. In verità, presidente, sono in parte contento ed in parte stupito per questo incontro. Il mio stupore nasce dal fatto che, al di là della legge di recepimento delle direttive europee che ha modificato la legge n. 157 del 1992, il mio dicastero non ha competenze specifiche in materia di caccia, tema che rientra maggiormente nella competenza del ministro delle politiche agricole e forestali, Giovanni Alemanno. Ciò nonostante, sono lieto di poter intervenire oggi in questa sede, perché mi viene offerta l'opportunità di fare alcune precisazioni su un tema sul quale esiste un acceso dibattito, in cui si interviene, forse, senza neppure sapere esattamente di cosa si stia parlando.
Tornerò tra poco - spiegandone il senso - sull'iniziativa che è stata annunciata, relativa alla possibile presentazione di un emendamento. Preciso sin da ora, tuttavia, che tale emendamento non esiste: si tratta soltanto di un'idea, sulla quale si deve aprire un confronto che, laddove avesse esito positivo, potrebbe portare alla formalizzazione di un emendamento.
Per quanto riguarda le proposte di legge all'esame della Commissione, esse sostanzialmente perseguono due obiettivi, a mio avviso del tutto condivisibili. Anzitutto, si propongono di colmare le lacune che l'operatività della legge n.157 del 1992 ha manifestato col trascorrere degli anni, segnatamente consentendo a tutti i cittadini, in qualunque parte del territorio nazionale risiedano, pari opportunità di prelievo venatorio, con tutte le garanzie necessarie, incluse quelle ulteriori da introdurre.
Il secondo obiettivo, più propriamente riferito all'attività del mio dicastero, riguarda l'adeguamento della legge n. 157 del 1992 al nuovo riparto delle competenze conseguente alla modifica del Titolo V della Costituzione, parte seconda, concernente i rapporti tra Stato e regioni. Su tale argomento chiarirò qual è, grosso modo, la situazione e come possa essere, a mio avviso, ulteriormente migliorata.
Non spetta a me ricordare, soprattutto in questa sede, il significativo sviluppo dei rapporti civili e sociali nel nostro paese segnato dalla legge n. 157 del 1992 e dalla successiva modifica della stessa per il recepimento delle direttive europee in materia. Vi è una sensibilità enorme su questo argomento, che non nasce soltanto dalla tradizionale contrapposizione tra ambientalisti e cacciatori ma è diffusa nell'opinione pubblica. Ciò è dovuto, forse, al grande numero - sempre crescente peraltro - di ambientalisti (fatto sicuramente apprezzabile), ma anche all'enorme numero di persone dedite all'attività venatoria, che hanno indubbiamente una notevole influenza sulla pubblica opinione.
La legge n. 157 del 1992 costituisce (e si è in qualche modo voluto proseguire in questa direzione) un'efficace sintesi tra le varie istanze, o almeno noi l'abbiamo considerata tale. Possiamo non avere raggiunto appieno questa finalità, ma l'obiettivo verso il quale ci siamo mossi è proprio quello di un'efficace sintesi tra le aspirazioni dei cacciatori, le istanze ambientaliste e le richieste degli agricoltori, che vanno tenute in considerazione trattandosi di attività che hanno un'influenza diretta sul mondo dell'agricoltura. Credo si sia riusciti in qualche modo a costruire le premesse per un legame forte e interessato tra il cacciatore ed il territorio, le sue risorse venatorie ma anche quelle ambientali ed agricole.
Non si esclude, certo, che possano essere ipotizzati altri sistemi di composizione dei vari interessi (variegati e a volte non coincidenti), ma quanto posto in essere sembra, almeno fino a questo momento, avere iniziato a funzionare e, non appena sarà disponibile una nuova relazione sulla materia, si potrà avere la conferma di questa sensazione.
Informo la Commissione che, in occasione dell'ultima Conferenza Stato-regioni, svoltasi nei primi giorni di luglio, ho ulteriormente sollecitato tutte le regioni che non vi avevano provveduto (in realtà, soltanto una regione lo aveva fatto nei termini previsti) a consegnare la relazione che la legge prevede sia inviata entro il 30 giugno, affinché il Governo, su mio impulso, possa assumere tutte le iniziative necessarie, laddove le regioni abbiano debordato rispetto alle competenze previste, anche in deroga alla normativa di cui stiamo parlando.
Detto questo, credo si possa entrare più nello specifico dei due argomenti che avevo segnalato all'inizio e, in particolare, dei temi che sono oggetto di ripartizione di competenze tra lo Stato e le regioni. Comincerei dai temi affrontati dalle proposte di legge all'esame di questa Commissione, che sono: la proprietà della fauna selvatica stanziale e migratoria, attualmente appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato, e gli obblighi risarcitori per i danni arrecati; la determinazione delle specie cacciabili; la delimitazione del periodo di caccia.
Per quanto riguarda il primo aspetto, la materia rientra certamente nella competenza legislativa statale. In tal modo, inizio a fornirvi anche alcune indicazioni su come dobbiamo districarci nel complesso delle normative, spesso non chiare, che segnano le rispettive competenze dello Stato e delle regioni. In questo caso - ripeto - la materia rientra tra quelle di competenza della legislazione statale, ferma restando l'esigenza di tutela della fauna migratoria, espressa dalla normativa comunitaria.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, esso trova una puntuale e vincolante disciplina nella normativa internazionale e comunitaria. Come già più volte precisato, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 323 del 1998, ha stabilito che lo Stato membro può soltanto aumentare il numero delle specie non cacciabili, e non diminuirlo, salvo il ricorso, nella sussistenza dei presupposti previsti, alle deroghe sopra ricordate. In proposito, ricordo che la Corte di giustizia europea, con sentenza del 17 maggio 2001 (quindi, recentissima), resa nella causa C159/99, ha condannato l'Italia per avere incluso tra quelle cacciabili quattro specie di uccelli, in violazione della direttiva della Comunità europea n. 409 del 1979. Perciò, al di fuori delle classificazioni comunitarie, può operarsi solo avvalendosi del potere di deroga, disciplinato dalla legge n. 221 del 2002.
Per quanto riguarda il terzo aspetto, esso trova nelle finalità protezionistiche della normativa internazionale e comunitaria seri limiti, oggi recepiti dall'articolo 18 della legge n. 157 del 1992. Tale legge fissa il periodo generale di caccia, entro il quale sono articolati i periodi per gruppi di specie, tra il 1osettembre e il 31 gennaio. Una recente sentenza della Corte costituzionale ha stabilito che la delimitazione temporale del prelievo venatorio disposto dall'articolo 18 della legge n. 157 del 1992 è rivolta ad assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili e risponde all'esigenza di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema. Inoltre, se è vero che le suddette normative non prevedono termini inderogabili per l'esercizio della attività venatoria, occorre precisare, però, che esse si prefiggono primariamente l'obiettivo di garantire la conservazione di tutte le specie di uccelli viventi allo stato selvatico, che devono essere protette dalle legislazioni nazionali (mi riferisco alla sentenza n. 536 del 20 dicembre 2002, che risale a poco più di due mesi fa, e quindi, a mio avviso, è da tenere in particolare considerazione).
Tali concetti sono stati ripresi anche nelle più recenti sentenze della medesima Corte, secondo le quali la disciplina statale che delimita il periodo venatorio è stata ascritta al novero delle misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili. In tal senso si esprimono anche le sentenze n. 226 e n. 227 del 4 luglio 2003, nelle quali si è sottolineata anche la funzione indispensabile del parere dell'Istituto nazionale della fauna selvatica quale organo scientifico e tecnico garante del rispetto di standard di tutela uniformi. In proposito, mi ha colpito un'osservazione del rappresentante dell'Istituto nazionale della fauna selvatica in merito alle ragioni del divieto di caccia nel periodo di riproduzione e nidificazione della fauna migratoria, secondo la quale si tratta di prelievi venatori che si ripercuoterebbero anche sulla progenie. Infatti, prelevare uccelli migratori in movimento di ritorno equivale ad intaccare non l'utile del nostro capitale, rappresentato dalla popolazione di potenziali riproduttori, bensì una parte del capitale stesso. Questo paragone di tipo finanziario mi è sembrato estremamente efficace rispetto all'argomento di cui trattasi.
A questo punto, si possono trarre le conclusioni, almeno per questa parte. Il calendario venatorio è di competenza regionale, ma deve rispettare i vincoli derivanti dalle normative internazionali e comunitarie vigenti per l'Italia. Per una maggiore elasticità dei tempi di caccia e delle specie cacciabili, occorre operare quindi in più direzioni.
Innanzitutto, nel senso di una modifica delle suddette normative sovranazionali, adducendo anche evidenze scientifiche che abbiano mutato il quadro ambientale. Non si tratta di una cosa facilissima: il nostro paese si è già attivato, a proposito ad esempio dello storno, ma è chiaro che si tratta di una via possibile ma molto difficile. Inoltre, è necessario un migliore adeguamento della normativa statale alle convenzioni in vigore, inserendo tra le specie cacciabili quelle ritenute tali dalle convenzioni stesse e non dalla legge n. 157 del 1992. Si tratta di un altro argomento estremamente complesso. Vi deve essere, altresì, una maggiore possibilità di modulazione dei periodi di attività venatoria nell'ambito del periodo temporale massimo oggi vigente, soprattutto con riferimento alla distinzione tra le varie specie cacciabili. È necessario, poi, il ricorso motivato, nel rispetto della legge n. 221 del 2002, alle deroghe consentite dalla normativa comunitaria e dalle convenzioni internazionali, che permettono di adeguare il regime generale alle specifiche esigenze regionali.
Infine, ferma l'esigenza di mantenere un collegamento del cacciatore con il territorio, la definizione degli assetti territoriali è materia pertinente alla potestà legislativa regionale, cui pertanto deve essere attribuita la valutazione delle concrete dimensioni in ambito regionale.
Sono, per formazione e per origini, un autonomista, molto vicino a chi ritiene che, ancor più dopo la modifica del Titolo V della Costituzione, i poteri di legislazione statale in materia devono essere finalizzati ad assicurare il rispetto delle convenzioni internazionali e della normativa comunitaria e della pubblica sicurezza, nonché l'esercizio della potestà legislativa regionale, mentre spetta alle regioni dimensionare l'attività venatoria in base alle proprie esigenze, assai variabili tra zona e zona. Ciò equivale ad affermare che quanto possiamo fare, come Stato, è poco più di niente.
In altri termini, possiamo continuare ad avere un rapporto con la Comunità europea e con le convenzioni internazionali e possiamo tentare di portare avanti quel tipo di attività che ho indicato, laddove sia considerata utile e necessaria e laddove si ritenga possa rappresentare un obiettivo perseguibile, fermo restando che quasi tutto il resto è di competenza regionale. Credo che questo debba essere tenuto nella dovuta considerazione, altrimenti apriremmo un dibattito nazionale in una sede non propria, cioè in Parlamento. È evidente che le forze politiche possono discutere su tutto, sempre e in ogni luogo, ma sapendo quali sono i rispettivi poteri. Ritengo sia molto più appropriato e congruo un dibattito a livello regionale, a seconda delle specifiche attitudini del territorio, piuttosto che un unico dibattito nazionale su questioni di mero principio (purtroppo o per fortuna, a seconda dei punti di vista). Naturalmente, non spetta a me esprimere un'opinione sul tema, anche se sono chiaramente autonomista e federalista.
Non è questa la sede per fare una battaglia verso il federalismo, l'autonomismo, il centralismo o l'accentramento dei poteri statali; però, bisogna tenere conto della realtà. La Costituzione non è più quella che eravamo abituati a considerare. Esiste una legge di attuazione che reca anche il mio nome (la legge n. 131 del 2003) e c'è un'intesa interistituzionale, promossa dal sottoscritto e sottoscritta dal Presidente del Consiglio e dai presidenti delle rappresentanze delle autonomie locali, delle quali bisogna tenere conto.
Concludo accennando brevemente ad una strana polemica, che non ho ben compreso perché non ho capito su che cosa verta; ritengo utile dirvi come l'ho vissuta, in modo tale che nell'ambito dei rapporti tra Governo e Parlamento e tra maggioranza e opposizione vi siano la massima buona fede e la massima chiarezza.
Sono stato fortemente interessato da alcune regioni dell'arco alpino a considerare l'eventualità che si possa rendere più elastico o più flessibile il periodo di cacciabilità di alcune specie, con particolare riguardo agli ungulati. Ho annunciato che avremmo potuto esaminare un eventuale emendamento relativo a tale aspetto, sul quale si sarebbe potuto aprire un confronto ed un dibattito. Il solo «effetto annuncio» che forse si stava studiando l'ipotesi di aprire un confronto su questo delicatissimo argomento ha scatenato un putiferio di e-mail, fax e prese di posizione, quasi fossi il peggior nemico degli animali! Dichiaro che questo non è vero: sono addirittura un obiettore di coscienza. Mi occupo di tale argomento per dovere d'ufficio, ma non sono capace di ammazzare neanche una mosca e scappo se vedo una scarafaggio!
Sono quindi la persona meno adatta da accusare di essere un nemico degli animali. Ho tenuto un cane in casa per quindici anni, che è stato accudito come un familiare ed è morto da poche settimane, lasciandomi nella costernazione più profonda. Francamente, riesco ad ammettere tutto nella polemica politica, tranne che mi si accusi di essere un nemico degli animali, perché non è vero. Tutta la mia storia, personale e politica, lo può testimoniare.
Ciò posto, sono aperto al confronto. Si potrà dire che estendere il periodo di caccia per gli ungulati va bene oppure no: dinanzi ad una forte richiesta, mi è sembrato giusto ed opportuno chiedere che l'argomento venisse discusso per vedere se sia possibile una modifica. Ma un emendamento non c'è: materialmente ancora non esiste, non è stato scritto. Vi è invece l'esigenza di un approfondimento ed approfitto di questa occasione per ribadire che non solo sono aperto al confronto, ma lo sollecito. Parliamone, parlatene tra di voi, per vedere di trovare una soluzione.
Mi premeva, comunque, sottolineare le scarse, anzi scarsissime competenze dello Stato su questa delicatissima materia: tutto o quasi spetta all'Europa oppure alle regioni. Questo è uno di quelli classici casi in cui la devoluzione - termine tanto caro al mio amico Bossi - è andata verso l'alto e verso il basso. Allo Stato è rimasto poco più che niente.
PRESIDENTE. Ringrazio il ministro La Loggia e do la parola ai colleghi che desiderino intervenire.
Il ministro ha commesso un unico errore. La polemica in corso non riguarda alcune sue affermazioni, ma è dovuta all'incertezza che regna in questo momento in tema di caccia. Le polemiche e le discussioni si sono sviluppate soprattutto per tale motivo, in quanto a tutt'oggi non sappiamo quale sia l'atteggiamento del Governo in materia di caccia. Da una parte, la Commissione sta lavorando seriamente, ed ha anche avviato un'indagine conoscitiva, per cercare di capire cosa sta succedendo nel mondo della caccia; dall'altra parte, il ministro Alemanno ha annunciato, alla conferenza di Venezia, un disegno di legge sulla caccia. In questa Commissione sono in discussione nove proposte di legge; un sottosegretario ha affermato che non esiste una iniziativa legislativa del Governo in tema di caccia, mentre un altro sottosegretario, appartenente allo stesso ministero, rispondendo ad una mia interrogazione, ha detto che il Governo adotterà un proprio disegno di legge. La confusione è causata essenzialmente da queste dichiarazioni.
ENRICO LA LOGGIA, Ministro per gli affari regionali. Chiedetelo domani al ministro Alemanno.
ALDO PREDA. Sentiremo cosa ci dirà il ministro Alemanno.
In conclusione, signor ministro, ho apprezzato la sua relazione per la chiarezza, soprattutto con riferimento alle competenze dello Stato e delle regioni.
LUIGINO VASCON. Signor ministro, sono addirittura disarmato di fronte alla sua chiarezza: se mi fossero state riportate le sue parole, non avrei creduto a tanta trasparenza!
Non si preoccupi del popolo delle e-mail, che arrivano ogni qualvolta si parla di caccia e di mondo venatorio: sia io sia tutti i miei colleghi abbiamo appurato che si tratta di uno sparuto gruppetto di persone, animato da qualche politico nostro collega, che si diletta ad inviare e-mail tutte uguali e che ha solo voglia di disturbare.
Per quanto riguarda le competenze delle regioni, mi permetto di rammentare che purtroppo, nonostante siano passati diversi anni, in Italia vi sono ancora regioni che non hanno applicato quella forma di regolamentazione e gestione che è l'ambito territoriale di caccia. Lei sa benissimo che l'ambito territoriale di caccia è stato istituito proprio per evitare il nomadismo venatorio e per avere un monitoraggio delle azioni e dell'attività agrovenatoria ed una nuova forma di gestione, che risponda alle esigenze in maniera più soddisfacente rispetto al passato.
Relativamente ai danni arrecati dalla selvaggina, mi è piaciuto il passaggio in cui lei ha richiamato lo stretto ed indissolubile legame che esiste tra il cacciatore e il territorio, quindi tra il cacciatore e il mondo agricolo. Sono un cacciatore e so che quanti esercitano l'attività venatoria devono tenere sempre presente che entrano in casa di altri e calpestano la proprietà altrui; nello stesso tempo, però, anche l'agricoltore sa che il cacciatore è legittimamente autorizzato a fare questo. Pertanto, vi deve essere un'armonia tra le parti, affinché possano confrontarsi in modo costruttivo e non conflittuale: dobbiamo creare i presupposti per tutelare la proprietà e per consentire l'esercizio venatorio. Credo che questo sia il passaggio più delicato.
Rispetto all'elenco delle specie cacciabili, ho avuto la fortuna e il piacere di cacciare in tutta Italia, in Europa ed anche in buona parte del mondo.
L'elenco delle specie cacciabili, in Italia, è troppo corposo, perché sono stati inseriti animali che non verranno mai cacciati in quanto non possono essere considerati selvaggina, come la volpe, la cornacchia nera o quella grigia. In molte regioni e province si spendono discrete somme per arginare il fenomeno della diffusione di queste specie, che sono particolarmente nocive. Mi permetto di suggerire, quindi, che tali animali siano depennati dall'elenco delle specie cacciabili ed inseriti in quello delle specie nocive, perché i danni che essi arrecano sono enormi.
Quanto ai periodi di caccia, è vero che un'estensione generica operata sulla base della legge n. 157 del 1992 sarebbe infruttuosa e determinerebbe grandi conflittualità; non si può infatti, a livello centrale, avere la presunzione di gestire la caccia a livello locale intervenendo sui periodi di caccia. Mi riferisco, in particolare, agli ungulati. Il ministro La Loggia ha poc'anzi dichiarato la sua disponibilità ad esaminare, eventualmente, un emendamento su tale aspetto, qualora venisse formalizzato.
In Austria, vi sono alcuni problemi legati alla stagione venatoria, che è simile alla nostra: il camoscio rischia l'estinzione, pur essendo una specie molto diffusa sul territorio austriaco, in quanto le colonie di questi animali sono affette da malattie dovute alla consanguineità proprio perché sono mancati gli abbattimenti. Se fosse un problema che riguarda solo dell'Austria, la cosa ci dispiacerebbe soltanto; ma i camosci non conoscono le linee di confine e, attraversandole, portano nel nostro paese le stesse epidemie. Di conseguenza, il Trentino, a cui è stato censurato il calendario venatorio, rischia di vedere distrutto il suo patrimonio faunistico.
Come tutti sanno, essendo della Lega, sono un federalista convinto. Ritengo, pertanto, che ogni regione dovrebbe avere un istituto paritetico, il quale, al limite, potrebbe rispondere all'INFS nazionale. Presso alcuni consigli regionali sono depositate delle proposte di legge per la creazione di un istituto paritetico a livello regionale, anche perché l'osservazione si fa in loco. Basti pensare ai flussi migratori, che in pochissimo tempo hanno cambiato le rotte a causa dell'inquinamento acustico, della cementificazione, dell'urbanizzazione. Non si può quindi continuare ad utilizzare studi e dati non aggiornati, e pertanto non più attendibili; bisogna avere dei punti di osservazione paritetici a livello regionale in loco. Tra l'altro, l'INFS è popolato da persone che di certo non amano la caccia: nel momento in cui si è chiamati a gestire un'istituzione, si deve essere lontani dalle parti in causa. Al riguardo, mi fa piacere che il ministro non sia un cacciatore, perché altrimenti diventerebbe attaccabile, e quindi condizionabile.
Si è parlato anche della polemica nata intorno alla revisione della legge n. 157 del 1992. Voglio precisare che tale polemica non è certo sorta all'interno di questa Commissione. Nessun componente della Commissione ha mai voluto alimentare alcuna polemica ed io stesso ho inviato una lettera al relatore, onorevole Onnis, per offrirgli la massima disponibilità affinché si pervenga ad un provvedimento il più possibile unitario. Purtroppo, c'è chi, al contrario, attraverso conferenze degne del Festival del cinema di Venezia, ha fatto enunciazioni vergognose per la dignità di tutte le componenti politiche! Nel momento in cui il Parlamento viene scavalcato e denigrato per l'arroganza di qualcuno, pur essendo consapevole di fare parte di una forza politica di maggioranza, io non mi presto a simili giochi.
Da vecchio cacciatore, ricordo che incombe su di noi l'ombra di un referendum contro la caccia: noi ed il Parlamento non vogliamo questo! Credo che nessuna forza politica lo voglia; sarebbe una sconfitta istituzionale, in quanto ben nove proposte di legge verrebbero considerate carta straccia. Ministro La Loggia, confido pienamente nelle sue parole trasparenti, che non ho mai avuto il piacere di ascoltare fino ad ora in materia di caccia. Credo che il collega Onnis potrà fare tesoro di quanto lei ha affermato in questa sede.
GIUSEPPE ROMELE. Il collega Vascon, meravigliandomi non poco, ha anticipato gran parte del mio intervento.
Credo che il ministro sappia che in questa Commissione, su molti argomenti, vi è un clima positivo, il che è dovuto anche all'operato del presidente. Pur non avendo ancora le idee chiare in materia di caccia, uno dei temi più delicati da affrontare, siamo tuttavia animati da uno spirito comune, al fine di giungere, anzitutto, ad una definizione dell'assetto delle competenze. Il ministro ha fatto bene a sintetizzare tutti i passaggi e a fornire una lettura delle competenze costituzionali.
Non voglio entrare nella polemica che si trascina da tempo; mi auguro che il presidente, unitamente al relatore, di concerto con le forze politiche sia di maggioranza che di opposizione e con il sostegno del ministro La Loggia, riescano a concludere positivamente il cammino delle proposte di legge all'esame della Commissione. Non bisogna dimenticare che questa Commissione, in tema di deroghe regionali al divieto di prelievo venatorio, è riuscita a dare una risposta positiva alle attese dei cacciatori, che si trascinavano da più di venti anni. Ciò dimostra come vi sia lo spirito di costruire, in modo chiaro, un percorso definitivo, nel rispetto delle competenze esistenti in materia. La linea tracciata, in termini sia di competenza che di equilibrio, fra i vari soggetti istituzionali è chiara e, in un certo senso, inappuntabile. Se poi qualcuno ha problemi rispetto alla prossima campagna elettorale per le europee, stia buono ancora per un po', tanto i cacciatori sono tutti maturi e sanno per chi devono votare!
Per quanto riguarda l'INFS, condivido pienamente quanto detto dall'onorevole Vascon. Le regioni hanno le competenze, le capacità e le professionalità per fornire gli input definitivi all'INFS, anche se si può discutere sulle modalità di tale rapporto.
Oggettivamente, non può essere un istituto asettico; alcune volte - l'esperienza ce lo insegna - è troppo di parte (contro i cacciatori, così il ministro lo sa!) ed è deputato ad indirizzare i tempi, i modi, e via dicendo.
Esprimo un autentico apprezzamento nei confronti del ministro La Loggia. Ritengo che la Commissione agricoltura - non voglio rappresentare nessuno, se non me stesso - sia una sede ottimale per portare a compimento l'iter delle proposte di legge in esame, così come quello del provvedimento sulla montagna (su questo siamo forse un po' in ritardo, per colpa delle forze politiche, e non del ministro). È un preludio a positivi futuri sviluppi.
FRANCESCO ONNIS. Voglio esprimere alcune brevi considerazioni nella mia veste di relatore sulle proposte di legge in esame, dando ad esse un taglio di natura giuridica.
Ho apprezzato la sua impostazione, signor ministro. Lei ha voluto approfondire una dimensione astratta dei problemi, che sono estremamente difficili anche sul piano giuridico, e ricostruire la vicenda con un tono cattedratico (o quasi) che noi certamente apprezziamo. Ha detto di essere stupito e al tempo stesso contento per la convocazione odierna; mi fa piacere che esprima tale valutazione, ma la sua convocazione trova ragione nello spirito e nell'obiettivo delle proposte di modifica della legge n. 157 del 1992.
L'obiettivo centrale, al di là del merito, è quello di adeguare i poteri delle regioni alla nuova ripartizione costituzionale delle competenze tra lo Stato e le stesse regioni. La Commissione - è una mia interpretazione - vorrebbe che, nel contesto di tale nuovo sistema giuridico, le regioni potessero esprimere al massimo le loro prerogative, cioè potessero esercitare tutti i poteri e le facoltà che la Costituzione riconosce loro.
In tale ottica - lei l'ha rimarcato - si deve tenere conto, in un paese come l'Italia, delle diversità esistenti tra i territori delle regioni, non fosse altro che per le differenze geografiche e per le situazioni diversificate, che richiedono un intervento variegato da parte del legislatore.
Sotto tale profilo, devo rilevare alcuni aspetti. A proposito dell'INFS (sul quale è opportunamente intervenuto anche il collega Vascon), non vi è dubbio che tale ente, che si trova in una zona d'Italia particolare e non dispone di strutture per effettuare un monitoraggio circa la presenza della fauna selvatica su tutto il territorio nazionale (quando parlo di fauna selvatica mi riferisco soprattutto a quella migratoria, che attualmente rappresenta l'aspetto più importante del prelievo venatorio), non possa acquisire conoscenze su situazioni distanti e diversificate tra loro. Occorre pertanto pensare, a mio giudizio, ad un istituto regionale della fauna selvatica che, essendo presente sul territorio, conoscendolo e studiandolo, possa aiutare meglio le regioni nella gestione del prelievo della fauna selvatica. Sotto tale profilo, ritengo sia necessario rendere operativi, attraverso le modifiche alla legge n. 157 del 1992, tali istituti regionali, che potranno essere raccordati all'Istituto nazionale, con poteri individuati e graduati dalla legge.
Un'altra esigenza attiene ai tempi di prelievo della fauna selvatica. Mi è parso che lei, signor ministro, abbia ancorato il suo discorso ad una regola comunitaria, quella secondo cui il prelievo dei migratori in Italia deve cessare il 31 gennaio. Mi permetta, però, di fare una piccola obiezione: non mi sembra che il problema giuridico si ponga esattamente in tali termini. È la legge nazionale, infatti, a fissare al 31 gennaio la data di cessazione del prelievo, mentre la normativa comunitaria non fa riferimento ad alcuna data. Essa introduce dei concetti, dei dati, degli elementi sulla base dei quali il legislatore italiano del 1992 ha ritenuto di introdurre tale sbarramento. Si tratta, però, di uno sbarramento errato ed ingiusto, che penalizza le regioni ed è in contrasto con i tempi di prelievo che vigono in altri Stati europei. Non vi è dubbio, pertanto, che tale sbarramento debba essere superato dal legislatore italiano.
Non credo che il Parlamento italiano debba sacrificare sull'altare delle regole comunitarie le proprie competenze legislative. Diversi Stati europei operano un prelievo degli stessi migratori che vengono prelevati in Italia in tempi diversi e successivi rispetto al 31 gennaio. Partendo dal presupposto che si tratta di una regola comunitaria, contrastata dagli studi sulle presenze dei migratori e sui loro movimenti all'interno dei territori dell'Unione europea, non si può rinunziare alla facoltà dello Stato italiano di regolare diversamente i tempi del prelievo dei migratori.
In conclusione, signor ministro, è necessario regolare tali tempi non in modo indiscriminato e non in tutto il territorio dello Stato secondo le stesse date e gli stessi tempi, non per tutte le specie, perché gli studi più approfonditi ed attuali sotto il profilo giuridico hanno dimostrato che per molte specie di migratori è possibile un prelievo per decadi, che arrivi fino alla fine del mese di febbraio. Tali studi hanno altresì dimostrato che, se il prelievo può essere compatibile per alcune specie di migratori, non lo è per altre.
Sarà, perciò, compito del Parlamento individuare i tempi, con riferimento, però, soltanto ai migratori che possono essere oggetto di prelievo e salve le tutele, alle quali lei opportunamente ha fatto riferimento, introdotte dalla normativa comunitaria: se una specie è in buona salute, può essere oggetto di prelievo; se non lo è, non può esserlo.
PRESIDENTE. Do ora la parola al ministro La Loggia per la replica.
ENRICO LA LOGGIA, Ministro per gli affari regionali. La ristrettezza dei tempi a disposizione non mi consente di replicare in modo completo.
In merito alle ultime osservazioni, la normativa comunitaria viene introdotta nel nostro paese attraverso la legislazione statale; la competenza in ordine al calendario, però, come ho precisato prima, spetta alle regioni. Nell'ambito dei limiti posti, occorre valutare soltanto se, attraverso la nuova procedura costituzionale, possa essere saltato il passaggio del recepimento della normativa comunitaria attraverso lo Stato, con il diretto recepimento da parte dalle regioni. Si tratta di un argomento estremamente delicato, che peraltro non riguarda solo questo tema, ma una pluralità di materie: è in corso un approfondimento, rispetto al quale, debbo dire, poco c'entra la politica e molto di più l'interpretazione normativa. Su questo deve essere compiuto un ulteriore approfondimento, diretto all'individuazione di un'esauriente spiegazione per il prosieguo delle diverse attività connesse con tale tipologia di materie.
In ogni caso, nell'ambito dei limiti europei, il calendario è di competenza regionale. Ciò deve essere ben chiaro. Nel varare una nuova legge, non possiamo non tenere conto del mutato assetto costituzionale.
LUCA MARCORA. Signor presidente, chiedo di intervenire.
PRESIDENTE. Dato che sono imminenti votazioni in Assemblea, le chiedo di rinunciare al suo intervento, onorevole Marcora.
LUCA MARCORA. Sta bene, presidente.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Marcora.
Ringrazio il ministro La Loggia e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15,30.
COMMISSIONE XIII
AGRICOLTURA
RESOCONTO STENOGRAFICO
INDAGINE CONOSCITIVA
7.
SEDUTA DI MERCOLEDÌ 23 LUGLIO 2003
presidenza del presidente Giacomo de Ghislanzoni Cardoli
La seduta comincia alle 15.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
Audizione del ministro delle politiche agricole e forestali, onorevole Giovanni Alemanno.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva inerente l'esame dei progetti di legge C. 27 Stefani, C. 291 Massidda, C. 498 Bono, C. 1417 Onnis, C. 1418 onnis, C. 2016 Benedetti Valentini, C. 2314 Serena, C. 3533 Pezzella e C. 3761 Bellillo, recanti «Modifiche alla legge n. 157 del 1992, protezione della fauna selvatica e prelievo venatorio», l'audizione del ministro delle politiche agricole e forestali, onorevole Giovanni Alemanno.
Do la parola al ministro Alemanno.
GIOVANNI ALEMANNO, Ministro delle politiche agricole e forestali. Sulla tematica delle attività venatorie, vi sono due elementi da verificare. So che la Commissione sta lavorando su un testo unificato che raccoglie i contenuti di numerose proposte di legge, presentate da diversi gruppi parlamentari, che recano modifiche all'attuale legislazione in tema di attività venatorie. Si tratta, naturalmente, di proposte che vanno ulteriormente elaborate, rispetto alla quali, comunque, non vi è un atteggiamento contrario da parte del Governo.
I nostri uffici stanno lavorando attorno all'ipotesi di definire un disegno di legge di riordino complessivo del settore, alla luce delle disposizione europee e del nuovo titolo V della Costituzione. Su questo disegno di legge - che ancora circola in bozza, non essendo stato formalizzato dal ministero - si è creata una forte polemica, in quanto si è sostenuto che esso rappresenterebbe una fortissima «piegatura» a favore del mondo dei cacciatori e della legislazione di settore; credo anche che, a giudicare dall'intervento svolto dall'onorevole Rava in un precedente dibattito, sarà considerato una sovrapposizione rispetto all'attività della Commissione sul testo unificato da me richiamato.
Ritengo sia presto per dare una compiuta valutazione di questa bozza di provvedimento, in quanto si potrà esprimere un giudizio solo quando sarà approvata come disegno di legge dal Consiglio dei ministri. Non c'è, comunque, la volontà di forzare la situazione, ma solo l'intenzione di predisporre un testo il più possibile aderente alla legislazione europea e alla realtà costituzionale, dando ampio mandato alle regioni di legiferare, non certo favorendo una categoria piuttosto che un'altra.
Non c'è, inoltre, sovrapposizione rispetto all'attività di questa Commissione, perché il disegno di legge in questione potrebbe essere presentato in autunno e, per di più, darebbe luogo ad una normativa che, per essere applicata compiutamente, necessita di misure legislative di carattere regionale. Si andrebbe così a descrivere un arco temporale di almeno due anni. Ciò significa che, se nel frattempo il Parlamento operasse una modifica della legislazione attuale, tale modifica avrebbe un arco di tempo abbastanza lungo per essere applicata e tale da rappresentare in qualche modo un precedente, un'esperienza rispetto a quella che può essere una legge quadro di riordino. Quindi, non ritengo che i due percorsi siano conflittuali.
Attendo di verificare quale sia l'orientamento presso questa Commissione; non c'è ancora una determinazione definitiva da parte del Governo in tal senso. Siamo quindi nella fase in cui possiamo definire anche in maniera concordata un percorso da seguire. Consideratemi, pertanto, disponibile ed aperto a definire la situazione in base a ciò che emergerà da questo dibattito e dalle indicazioni provenienti dalla Commissione.
Nel merito, ritengo che, oltre alla necessità di adeguare la normativa nazionale al diverso contesto costituzionale e comunitario, occorra valutare un dato. La legislazione italiana in tema di attività venatorie non si presenta, nel contesto europeo, come una delle legislazioni più aperte; al contrario, essa si differenzia dalle altre legislazioni europee in quanto è nettamente più restrittiva.
Credo, quindi, che una revisione di tale legislazione, in un quadro e in una logica strettamente europea, ci permetta non soltanto di avere un contesto di gestione comune ed armonizzata del territorio, ma anche di uscire dalla vecchia logica per cui il mondo dei cacciatori rappresenta una sorta di contesto da ghettizzare e limitare progressivamente nel tempo. Si tratta di una logica che spesso si è imposta dal punto di vista culturale in Italia.
Pur non essendo un cacciatore e possedendo una forte sensibilità ambientalista, non ritengo che l'attività venatoria sia da criminalizzare o da ghettizzare, perché la considero lo sport popolare oggi più diffuso in Italia ed un'attività tradizionale che, da sempre, ha caratterizzato le abitudini del nostro popolo. Quindi, c'è un discorso culturale. Non condivido la logica secondo cui la caccia viene considerata alla stregua del fumo, cioè di qualcosa che esiste ma che progressivamente va sempre più limitato.
Se l'attività venatoria, in termini sostenibili e, ovviamente, responsabili, viene giudicata alla stregua di un'attività normale, che non deve essere nel tempo progressivamente annullata o limitata, un'attività che ha una propria storia, un proprio destino, che non deve essere sempre più compresso e negato (come ritengono alcune correnti culturali), sono convinto che alla fine, sia nell'iter delle proposte di legge all'esame della Commissione sia in quello del disegno di legge, potremo giungere ad un testo equilibrato, nel quale la difesa dell'ambiente e l'attività venatoria potranno trovare un giusto equilibrio, come è sempre possibile in qualsiasi cultura scientificamente fondata dal punto di vista ecologico.
PRESIDENTE. Ringrazio il ministro e do ora la parola ai colleghi che desiderino intervenire.
LUANA ZANELLA. Avere finalmente la possibilità di parlare di queste tematiche con il ministro competente rappresenta un'occasione ghiotta, anche perché le notizie che riceviamo attraverso altri canali sono molto inquietanti.
Mi riferisco, in particolare, al sito Internet dell'onorevole Sergio Berlato, dove non solo è possibile reperire il testo del disegno di legge del Ministero delle politiche agricole e forestali, ma si dà anche ai visitatori la possibilità di interloquire in merito alla stesura di questo testo. Viene rivolto, infatti, un esplicito invito, in particolare al mondo dei cacciatori, a presentare delle proposte: ormai, Internet e le vie del web coinvolgono e stravolgono anche i livelli istituzionali!
Lo stesso provvedimento, d'altronde, è stato presentato nell'ambito di un convegno internazionale, al quale non hanno partecipato (benché invitate: si tratta di un segno molto forte politicamente) le associazioni veramente ambientaliste (cioè, non quelle solo apparentemente tali), né alcune rappresentanze del mondo venatorio, poiché, a loro giudizio, veniva «forzata la mano» sul merito della revisione. Una revisione che è molto forte, anzi direi quasi una controriforma rispetto alla legge n. 157 del 1992, la quale, dopo un lavoro intenso, aveva consentito di raggiungere un punto di mediazione con il mondo venatorio.
In questo contesto, non stiamo parlando di «caccia sì, caccia no», bensì di tornare indietro rispetto ad un livello di mediazione avanzata che era stato già raggiunto. Per questo, desidero sapere dal ministro se corrisponda a verità quanto ho appreso in merito alle innovazioni pregnanti che sarebbero contenute nel disegno di legge. Mi riferisco, innanzitutto, all'intenzione di dilatare il periodo di caccia dal 16 agosto al 28 febbraio. Lasciando da parte tutte le altre motivazioni e senza parlare di deroghe, vorrei sapere dal ministro se vi sia realmente la volontà di allungare il suddetto periodo, anche in considerazione della profonda modifica del clima (è evidente, infatti, che il 28 febbraio di oggi non è più quello di una volta, così come pure le temperature del mese di agosto).
Mi riferisco, inoltre, alla caccia dai natanti o a quella generalizzata sulla neve. Quest'ultima inciderebbe profondamente sulla vocazione turistica di zone importanti del nostro territorio, che sono dedite non soltanto allo sci alpino o allo sci di fondo ma sempre di più anche allo sci fuori pista.
Mi riferisco, poi, alla diminuzione delle sanzioni penali per il porto di fucile abusivo (senza licenza) e alla caccia permessa ai sedicenni. A questo proposito, al di là della concezione della caccia come sport (che rispetto poiché siamo in democrazia, anche se personalmente non posso ritenere la caccia uno sport), vorrei cercare di capire perché, nel momento in cui attraverso un'altra norma gli animali sono considerati esseri senzienti, che quindi hanno il diritto al rispetto e alla tutela attraverso la legge, all'improvviso poi essi diventino oggetto soltanto del nostro divertimento. Consentire la caccia ai sedicenni significa permettere ai ragazzi (quelli di oggi sono molto diversi dai sedicenni di una volta) di disporre di un'arma, il che secondo me non è accettabile. Ricordo che i fucili calibro 22 sono più silenziosi e più occultabili: sono, quindi, i fucili dei bracconieri!
LUIGINO VASCON. Sono boiate!
LUANA ZANELLA. Saranno boiate ma io dico quello che penso!
LUIGINO VASCON. Si va già adesso a caccia a 16 anni!
LUANA ZANELLA. Sarà così, ma non si dovrebbe!
Mi riferisco, ancora, all'inserimento fra le specie cacciabili del gabbiano reale, della tortora dal collare orientale, delle oche, del chiurlo, della pettegola.
Infine, spariscono gli ATC subprovinciali e le nutrie vengono equiparate alle talpe, ai ratti, ai topi e alle arvicole, con la possibilità di una distruzione di massa.
Ho qui con me il testo del disegno di legge, che ho preso da Internet; invito il ministro a consultarsi con uno mondo diverso da quello rappresentato dall'onorevole Berlato, perché penso che possa trarne suggerimenti importanti ed interessanti per evitare di incorrere in un conflitto che potrebbe rivelarsi senza precedenti su questo delicatissimo problema.
Chiediamo inoltre al ministro, relativamente al potere di intervento del Governo su leggi regionali illegittime, come abbia agito e in base a quali criteri il Dipartimento per gli affari regionali della Presidenza del Consiglio possa decidere che una legge in materia di caccia abbia dei contenuti illegittimi e debba essere impugnata. Queste informazioni ci provengono non solo dal mondo dell'associazionismo, ma anche da funzionari che conoscono molto bene queste materie e lavorano negli ambiti regionali e provinciali.
A titolo di esempio, mi domando perché moltissime specie protette dall'Unione europea siano state oggetto di deroga da parte di provvedimenti di ben otto regioni: nel Veneto, lo storno, la peppola e il fringuello (ma è stata anche consentita la caccia libera per il passero e la tortora dal collare orientale); in Lombardia, la passera mattuggia, lo storno e la peppola; in Toscana, il passero, la passera, il fringuello e lo storno. Stessa situazione in Emilia Romagna e nel Lazio; il regime di caccia libera per lo storno e il fringuello vale anche in Liguria e in Umbria. Vorremmo capire, in sostanza, come si stia comportando il dipartimento competente.
Rispetto alla relazione sullo stato di attuazione della legge n. 157 del 1992, dal momento che quella di cui disponiamo è vecchia e non ce ne è stata fornita una aggiornata, attualmente non sappiamo nulla in merito allo stato di attuazione della legge in questione. La relazione di cui disponiamo, infatti, risale al 1997. Qualora la Commissione decidesse di intervenire in materia, quindi, dovrebbe farlo partendo da una conoscenza molto precisa della realtà, che al momento non è possibile acquisire.
Vorremmo che il dibattito sul tema in esame non fosse ideologico ma basato su elementi razionali. Un dibattito non sottoposto a spinte corporative, emotive o ad interessi di parte (come è avvenuto finora), ma che tenga in considerazione la parte silente e silenziosa (che, tuttavia, è la maggioranza) di coloro che non fanno parte di alcun circolo dell'ARCI caccia o di altre associazioni, che non vendono armi per i cacciatori e che non sono, a loro volta, cacciatori o cacciatrici (queste ultime, per fortuna, sono poche, dato il buonsenso femminile!). Insomma, un dibattito che tenga conto di quella maggioranza silenziosa che, secondo tutti i sondaggi, è contro la caccia, contro la caccia, contro la caccia!
Vogliamo mantenere la caccia perché esistono degli interessi, perché c'è una tradizione prevalentemente virile e questa virilità deve esprimersi in qualche maniera? Benissimo. Però, lo si faccia tenendo in considerazione il fatto che la maggioranza degli italiani, donne, uomini, bambine e bambini, anziani e anche molti cacciatori pentiti (qualche volta ascolterei anche loro!), non è favorevole alla caccia.
LINO RAVA. Tengo anzitutto a precisare che non siamo contro la caccia o contro i cacciatori. Dalle affermazioni del ministro, infatti, sembra quasi che l'opposizione sia pregiudizialmente contro questi soggetti. Credo di poter affermare con tranquillità che ciò non corrisponde al vero.
In realtà, in tale dibattito emergono le molte voci della maggioranza e questo ci disorienta: Berlato, in varie assemblee, parla di una nuova legge quadro governativa; circolano delle bozze che sono state consegnate alle associazioni; il sottosegretario Dozzo ha rilasciato una dichiarazione in cui sostiene che si sta lavorando ad un decreto-legge; il ministro La Loggia ha affermato che la soluzione al problema è contenuta in un emendamento di attuazione del nuovo Titolo V della Costituzione; infine, oggi il ministro Alemanno ci dice che è in preparazione una legge quadro, che verrà presentata in autunno.
La posizione del ministro, a mio avviso, è un po' paradossale: dal suo ragionamento si evince che il Parlamento dovrebbe definire una legge che avrà validità per uno o due anni, cioè sino a quando il Governo non avrà definito una sua riforma e, naturalmente, interverrà ed aggiusterà tutto! Se è questa la vera posizione del ministro, ritengo che sia paradossale. Provo a mettermi nei panni della maggioranza e del relatore: quest'ultimo sta lavorando su proposte di legge che trattano temi molto ampi, ma lo dovrebbe fare sapendo che, anche nel caso in cui il suo lavoro giungesse a buon fine e venisse varata una legge, questa sarà in breve tempo superata.
La strada intrapresa non è, secondo me, quella giusta ed ho qualche difficoltà a pensare che si debba proseguire in questa direzione. Sono altresì convinto che la Commissione abbia svolto finora un discreto lavoro. Noi stessi ci siamo battuti affinché, rispetto alle posizioni iniziali, venissero approfondite le questioni in discussione; l'indagine conoscitiva svolta, inoltre, è stata sicuramente utile al nostro lavoro.
Ritengo quindi, a nome del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, di dover chiedere, come ha già fatto la collega Zanella, la relazione aggiornata sullo stato di attuazione della legge n.157 del 1992. Questo è un aspetto fondamentale. Provengo da una realtà in cui questa legge è stata ben applicata ed ha dato risultati straordinariamente positivi ai fini dell'evoluzione della fauna. Lo ricordo sia ai colleghi della maggioranza sia alla collega Zanella: laddove la legge n.157 è ben applicata, essa diventa uno strumento straordinario di gestione della caccia e del rapporto tra l'attività venatoria, il settore agricolo e il vasto mondo delle associazioni animaliste.
È importante, pertanto, avere cognizione di come la legge n. 157 del 1992 sia stata applicata e di quali risultati abbia conseguito su tutto il territorio nazionale. Questo elemento è invece assente: la relazione di cui disponiamo, infatti, si ferma al 1997, quindi a metà del percorso di applicazione della legge in questione. Riteniamo, ripeto, che questo sia un aspetto fondamentale. Non abbiamo mai fatto mistero del fatto che questa legge ha rappresentato un elemento di equilibrio estremamente avanzato tra le varie sensibilità presenti nella società italiana. Essa, naturalmente, può necessitare di modifiche ed aggiustamenti; non lo escludiamo e svolgeremo un approfondimento per capire quali possano essere gli ulteriori elementi positivi da introdurre. Ribadisco però che, dal nostro punto di vista, stravolgere del tutto la situazione attuale e cambiarla radicalmente potrebbe essere controproducente proprio per quei cacciatori i cui interessi lei, signor ministro, ha affermato di voler difendere.
Chiediamo, quindi, la relazione aggiornata sullo stato di attuazione della legge n.157 del 1992; chiediamo, inoltre, che venga realizzato un lavoro costruttivo e che il tavolo di confronto si svolga presso il Parlamento e, in particolare, in questa Commissione. Non si discuta in altre sedi, non si prepari altrove il disegno di legge del Governo! Esistono già dei testi sui quali confrontarci; se il Governo lo ritiene opportuno, presenti in questa sede - adesso o successivamente - un proprio disegno di legge e su quello discuteremo, signor ministro.
Lo stesso ragionamento vale anche per il latte microfiltrato, rispetto al quale oggi il ministro ha sostenuto delle motivazioni che, anche se non sono condivisibili, rappresentano comunque dei ragionamenti razionali. Il ministro ha avuto il coraggio di sostenere delle posizioni diverse da quelle che sosteneva qualche mese fa; sono posizioni per le quali abbiamo rispetto. Noi vogliamo confrontarci su questi tavoli, e non essere semplicemente degli spettatori ed assistere ai vari decreti che lei emanerà!
È questa la differenza nel modo di agire; è questo il tipo di rapporto che deve essere ripristinato. Altrimenti, rischiamo di non comprenderci più reciprocamente. Non è accettabile il principio che il collega Onnis lavori come relatore su un testo unificato che, ammesso che giunga a buon fine, sarà poi immediatamente superato. Ha senso ragionare in questi termini? Credo di no.
Sono convinto che si possa e si debba ragionare in maniera trasparente: se il Governo ha delle proposte, le presenti in Parlamento e ne discuteremo insieme alle proposte di iniziativa parlamentare. Probabilmente, alla fine non saremo d'accordo, ma almeno avremo fatto un lavoro utile e trasparente, comunque positivo in vista del risultato finale. Si può anche non essere d'accordo, ma tutti dobbiamo portare degli elementi costruttivi.
KATIA BELLILLO. Signor ministro, l'attività venatoria è considerata anche uno sport: esistono, infatti, delle federazioni venatorie collegate al CONI. Prima ancora di considerarla uno sport, però, è necessario comprendere che questa attività scaturisce dalla grande passione di oltre un milione di uomini e donne, per i quali questo sport non è rappresentato solo dal momento del prelievo, dell'abbattimento della fauna.
La caccia non è rappresentata soltanto dal periodo dell'anno nel quale la fauna può essere cacciata.
È l'insieme delle attività che tutto l'anno centinaia di migliaia di persone, con passione e spesso con grandi competenze, rivolgono al territorio. La caccia, oltre a non essere dannosa per l'ambiente (al contrario di altre attività umane, per esempio di certi tipi di allevamento e di agricoltura), e quindi da non tenere sotto controllo, è anche una grande risorsa.
La legge n. 157 del 1992, laddove è stata applicata interpretandola in positivo, ha prodotto risultati eccezionali. L'associazionismo volontario, praticato da persone disposte tutto l'anno a recarsi nei territori abbandonati per far sì che gli animali, durante l'inverno, non restino senza cibo, è stata una grande risorsa anche per gli enti locali, ai fini della tutela del territorio che, se abbandonato, verrebbe lasciato alla mercé degli eventi sismici e di altri fenomeni similari.
Credo che, allo stesso tempo, la legge n. 157 del 1992 sia sicuramente più avanzata delle leggi e dei regolamenti di altri paesi europei. Innanzitutto, essa ha un carattere sociale e popolare, che le legislazioni di altri Stati europei non hanno. Ritengo, signor ministro, che dobbiamo difendere tale caratteristica. Il principio per cui la fauna è patrimonio indisponibile dello Stato deve essere esteso, a mio avviso, a livello europeo.
La filosofia di fondo che ha ispirato la legge in questione l'ha trasformata in una grande riforma economico-sociale, perché l'attività venatoria, con tale legge, è diventata anche un mezzo per integrare il reddito degli agricoltori. Esistono territori che erano stati abbandonati e che, grazie a detta legge, sono stati recuperati per lo svolgimento di attività turistico-venatorie. Non bisogna scandalizzarsi di ciò. E non bisogna scandalizzarsi neppure se i giovani, insieme ai loro genitori, praticano un sano turismo agro-silvo-pastorale e venatorio. L'attività venatoria non è maschilista: questa è la più grande stupidaggine che si possa dire.
Non credo di essere una donna «fallica»; non ho bisogno di rappresentarmi come tale: ho la licenza di caccia e, quando posso, lo dico con sincerità, sto benissimo nei boschi e nei campi assieme ai miei amici. Spesso non spariamo nemmeno, perché l'attività venatoria è anche andare in giro ed osservare ciò che accade ed, eventualmente, abbattere animali, qualora ve ne sia bisogno. Chi non ama gli uccellini? Il problema si pone quando la quantità degli uccellini è superiore al fabbisogno del territorio e della realtà in cui ci troviamo ad operare.
Voglio ricordare che cinque anni fa, prima dell'approvazione della legge sulle deroghe regionali al divieto di prelievo venatorio, nella provincia di Perugia, applicando semplicemente la legge n. 157 del 1992, siamo intervenuti per prevedere la selezione, attraverso l'abbattimento, di storni e di passeri. Le colture dell'Umbria, infatti, erano danneggiate da un'eccessiva presenza di tali uccellini che, ripeto, sono meravigliosi, ma vanno tenuti sotto controllo affinché non rechino danno all'agricoltura ed alla produzione corrente.
Quando si parla di questi temi, non bisogna strumentalizzare, non bisogna cadere nell'ideologia o nell'ideologismo; è necessario capire effettivamente l'argomento di cui si sta parlando. Ripeto, la caccia non è dannosa all'ambiente; vi sono alcuni atteggiamenti etico-morali, che io naturalmente rispetto, ma che devono misurarsi con l'ambiente qual è, e non come vorremmo che fosse. Devono misurarsi con un ambiente in cui l'uomo, la sua presenza e la sua intelligenza sono fondamentali.
So che esistono convinzioni filosofiche in base alle quali la natura è buona e l'uomo costituisce l'elemento negativo. Come ho detto, rispetto tali convizioni etiche, morali o filosofiche. Ritengo, tuttavia, che il rapporto tra ambiente ed uomo sia dinamico, di relazione. L'uomo deve sapere che per intervenire sull'ambiente e su ciò che insiste all'interno di esso si devono prevedere regolamentazioni molto chiare ed applicabili. Deve trattarsi, però, di regolamentazioni giuste, sane e di buon senso.
Dicevo che la legge n. 157 del 1992 ha il carattere di una grande riforma economica e sociale, che ha prodotto risultati positivi, laddove è stata applicata. I colleghi del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, in questo momento all'opposizione, chiedono che sia aggiornata la relazione sullo stato di attuazione della legge in questione, che è ferma al 1997. È una richiesta che sottoscrivo anch'io, perché abbiamo bisogno di capire che cosa hanno fatto effettivamente le regioni, che non l'hanno applicata ma interpretata. Regioni quali l'Umbria, le Marche, l'Emilia-Romagna, la Toscana, in cui la legge funziona e gli ATC ci sono, sono andate oltre la legge n. 157 del 1992. Dette regioni hanno dovuto tenere conto della realtà. Soltanto le regioni, che hanno in mano la programmazione (perché la caccia è programmata, in base alla legge in questione), insieme alle provincie ed agli ATC, possono definire gli interventi necessari e gli eventuali abbattimenti.
Ritengo, pertanto, che la modifica del calendario venatorio non debba essere vista come uno stravolgimento. Bisogna infatti considerare lo stesso calendario venatorio come uno strumento della programmazione faunistica. La legge stabilisce che le regioni che sono intervenute, che hanno monitorato il territorio, che sanno effettivamente ciò che si muove nelle proprie realtà, possono prevedere una apertura anticipata; ritengo sia opportuno prevedere anche una chiusura posticipata, che va regolata secondo la programmazione.
Il ministro ed il Governo devono spiegarci per quale motivo alcune regioni, a quasi dodici anni dall'entrata in vigore della legge, non l'hanno ancora applicata.
Dobbiamo avere dati per capire perché alcune regioni non hanno provveduto ad applicare la legge. Come ricordava il collega che mi ha preceduto, nelle regioni in cui essa è stata applicata, i risultati sono stati eccezionali. Nella nostra regione si è registrata non una diminuzione ma un aumento della fauna, nonostante una pressione venatoria di oltre 46 mila cacciatori con licenza. Ciò è avvenuto in una regione con 800 mila abitanti, che ha stabilito rapporti di collaborazione con le province e le regioni limitrofe anche per superare un altro aspetto scottante e problematico della legge n. 157 del 1992 (che è estremamente farraginosa), quello relativo alla reciprocità, per garantire anche ai migratoristi la possibilità di portare avanti la propria cultura di caccia. La caccia non è un qualcosa di granitico e di omogeneo, in quanto comprende mille passioni, con tutte le conseguenze che da ciò derivano.
Pur comprendendo lo spirito con il quale il ministro ha agito, in questo momento ritengo che la sua proposta sia una mina vagante. Oggi abbiamo appreso che, forse, sarà definita ad ottobre; dopo aver ascoltato il ministro La Loggia, credo, signor ministro, che dovrà mettersi al lavoro all'interno del Governo, in quanto mi sembra che ci sia qualche problema.
La proposta di cui ha parlato il ministro è un elemento di turbativa, perché dà fiato a chi vuole provocare su questo argomento guerre di tipo ideologico, che credo nessuno in tutto il centrosinistra e sicuramente nessuno nel mio partito, intende scatenare. Vi è soltanto l'esigenza di interventi pragmatici, alla luce dei risultati ottenuti dalle regioni più avanzate. La prego quindi, signor ministro, di consentire al Parlamento di lavorare, perché, nonostante le difficoltà, può dare un contributo anche all'attività svolta dal ministero rispetto ai rapporti con l'Europa.
Se, invece, si continuerà a parlare di una proposta che c'è e che non c'è, o che comunque viene usata in modo assolutamente strumentale, si creeranno grandi problemi; in tal caso, promuoveremo tutte le battaglie necessarie affinché in tema di caccia si ponga fine alle strumentalizzazioni.
PRESIDENTE. Prima di dare la parola al ministro per alcune precisazioni, avverto che, essendovi ancora numerosi colleghi che desiderano intervenire ed essendo il ministro disponibile a ritornare in questa sede la prossima settimana, l'audizione si concluderà in una seduta successiva.
Do ora la parola al ministro.
All'inizio del mio intervento, ho prospettato l'ipotesi di due percorsi separati. L'onorevole Rava ha invitato ad accelerare la presentazione del disegno di legge per consentire lo svolgimento di un unico dibattito, mentre l'onorevole Bellillo ha invitato a non presentarlo e a proseguire l'iter delle proposte di legge attualmente in corso. Ritengo, quindi, che sia opportuno effettuare una verifica di agenda e di metodo.
Per quanto riguarda i contenuti, vi invito a non avvalervi dei siti personali di onorevoli di questo o quel partito, ma unicamente del sito del Ministero delle politiche agricole e forestali.
LUCA MARCORA. Ma Berlato è il suo consigliere per la caccia!
SAURO SEDIOLI. È proprio così!
LUIGINO VASCON. È delegato da lei, signor ministro!
GIOVANNI ALEMANNO, Ministro delle politiche agricole e forestali. Berlato è il mio consigliere, ma non è il sottosegretario delegato in materia.
L'onorevole Berlato ha fatto una sua proposta, che naturalmente è al vaglio degli uffici del ministero (compreso il Corpo forestale dello Stato); solo quando presenteremo ufficialmente un testo, esso potrà essere attribuito al ministero. Le bozze che circolano, che provengano da questo o da quel consigliere del ministro, sono semplici bozze.
Abbiamo svolto una conferenza sulla caccia, alla quale avevamo invitato anche il mondo ambientalista, che però ha deciso di non partecipare, facendo così sfumare un luogo importante di confronto. Riteniamo che un confronto sia assolutamente necessario, così come è indispensabile predisporre una legge che sia equilibrata. Auspico che, la settimana prossima, si possa trovare un'intesa su un metodo che sia chiaro e trasparente, al fine di evitare guerre di religione.
PRESIDENTE. Ringrazio il ministro per il suo intervento e rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.
La seduta termina alle 15,50.
COMMISSIONE XIII
AGRICOLTURA
RESOCONTO STENOGRAFICO
INDAGINE CONOSCITIVA
8.
SEDUTA DI MERCOLEDÌ 30 LUGLIO 2003
presidenza del presidente Giacomo de Ghislanzoni Cardoli
La seduta comincia alle 14.45.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
Seguito dell'audizione del ministro delle politiche agricole e forestali, onorevole Giovanni Alemanno.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva inerente l'esame dei progetti di legge C. 27 Stefani, C. 291 Massidda, C. 498 Bono, C. 1417 Onnis, C. 1418 onnis, C. 2016 Benedetti Valentini, C. 2314 Serena, C. 3533 Pezzella e C. 3761 Bellillo, recanti «Modifiche alla legge n.157 del 1992, protezione della fauna selvatica e prelievo venatorio», il seguito dell'audizione del ministro delle politiche agricole e forestali, onorevole Giovanni Alemanno.
Do ora la parola ai colleghi che desiderano intervenire.
LUCA MARCORA. Anche il ministro Alemanno la volta scorsa ha dato atto che l'iter legislativo delle proposte di legge in esame sulla riforma della legge n. 157 del 1992 è un po' travagliato. Il ministro non può non essere a conoscenza che il consigliere speciale per la caccia da lui nominato, l'onorevole Berlato, ha annunciato più volte - non solo nelle riunioni che ha fatto con le associazioni venatorie ma anche in incontri pubblici e, addirittura, sul suo sito Internet - la volontà da parte del Governo di presentare un disegno di legge di riforma della legge n. 157 del 1992.
La volta scorsa il ministro ha detto che Berlato non è un sottosegretario e non ha alcuna delega alla caccia: ne prendiamo atto ma, comunque, è stato nominato dal ministro come consigliere sulle questioni faunistiche e, quindi, vorremmo un chiarimento definitivo. Penso che anche gli onorevoli presentatori delle proposte di legge di modifica della legge n. 157 vogliano avere un chiarimento definitivo sull'effettiva volontà del Governo di presentare un suo progetto di legge perché sono quasi dieci i provvedimenti giacenti in questa Commissione. Su richiesta dell'opposizione è stata avviata la dovuta indagine conoscitiva e non vorremmo che si verificasse la stessa situazione del latte fresco, in cui la Commissione ha lavorato su alcune proposte di legge e poi, all'ultimo, è arrivato un decreto ministeriale. Dobbiamo anche ricordare che, in un'intervista, il sottosegretario Dozzo ha dichiarato che il Governo vorrebbe addirittura riformare la legge n. 157 attraverso un decreto-legge.
Sicuramente la Commissione ha bisogno di un chiarimento definitivo (e penso che anche l'onorevole Onnis convenga su tale necessità). Il gruppo della Margherita, che ha già espresso la sua posizione in Commissione nelle audizioni e nelle sedute in cui si è discusso di questo tema, ritiene che la legge n. 157 sia una buona normativa, che è riuscita a coniugare gli interessi dei cacciatori con quelli delle associazioni ambientaliste e degli agricoltori. Inoltre, ritiene che su tale questione nel 1992 si sia raggiunto un punto alto di equilibrio, che sicuramente può lasciare ancora aperti problemi irrisolti ed eventuali modifiche. A dieci anni di distanza qualsiasi legge è riformabile, ma il punto fermo deve essere che qualsiasi proposta di riforma della legge n. 157 deve partire da un'attenta analisi dello stato di attuazione della suddetta normativa. Quindi, signor ministro, non possiamo non farle notare che la relazione sullo stato di attuazione della legge n. 157 si ferma al 1997, cioè esattamente a metà del tempo che è intercorso dal 1992 ad oggi.
Fra l'altro, stiamo parlando dei primi cinque anni di applicazione e, quindi, probabilmente di quelli meno efficaci ai fini del raggiungimento degli obiettivi della normativa. Dall'altro lato, dobbiamo anche dire che alcune indagini effettuate sullo stato di applicazione della legge n. 157 indipendentemente dalla relazione presentata dal Governo testimoniano che, laddove tale legge è stata applicata, ha dato ottimi risultati in termini di incremento del patrimonio faunistico e di gestione territoriale della caccia. Riteniamo, quindi, che la legge n. 157 nel suo impianto e nei suoi punti fondamentali non sia da modificare; sicuramente possono essere apportati dei miglioramenti, ma senza toccare i suoi punti fondamentali.
In primo luogo, il patrimonio faunistico è un bene indisponibile dello Stato e, quindi, come hanno confermato per la terza volta le sentenze della Corte costituzionale, non è possibile che la gestione del patrimonio faunistico venga demandato alle regioni. Infatti, se si tratta di un bene indisponibile dello Stato, appartiene a tutta la nazione: di conseguenza, non possiamo pensare ad una gestione parcellizzata della caccia, tale per cui ogni regione fa quello che vuole.
In secondo luogo, dobbiamo avere come riferimento - fra l'altro, ciò è stato confermato dallo stesso ministro La Loggia - la normativa comunitaria in materia di gestione faunistica. L'Ulivo ha proposto un documento in cui prospetta la necessità della creazione di un osservatorio europeo sulle gestione del patrimonio faunistico. Quindi, non possiamo derogare dalle normative e dai regolamenti comunitari in materia di gestione faunistica.
In terzo luogo, qualsiasi modifica deve necessariamente passare attraverso un'attenta valutazione dei dati e delle informazioni sullo stato di attuazione della legge n. 157. Se volessimo, invece, forzare la mano - purtroppo, abbiamo letto sul sito dell'onorevole Berlato quale potrebbe essere il disegno di legge del Governo - e operare uno stravolgimento della suddetta normativa, rischieremmo di riproporre una contrapposizione muro contro muro fra ambientalisti e cacciatori, che costituirebbe sicuramente un arretramento rispetto al punto alto di equilibrio raggiunto attraverso la legge n. 157.
Penso che le conseguenze negative riguarderebbero, in primo luogo, i cacciatori. Se rompessimo questo equilibrio, cercando di forzarlo con proposte di legge estremiste, creeremmo un movimento di opinione che metterebbe a rischio la stessa sopravvivenza della caccia in Italia. Più volte abbiamo denunciato tutto ciò in Commissione dicendo che sicuramente l'interesse dei cacciatori non è questo; oggi vogliamo ribadirlo in maniera molto forte.
Siamo disponibili ad apportare dei miglioramenti alla legge n. 157 ma, se mettessimo in discussione i suoi punti fondamentali (la gestione territoriale della caccia, la questione dei calendari e delle specie cacciabili in coerenza con quanto stabilito dall'Unione europea), apriremmo una contrapposizione muro contro muro, dalla quale non uscirebbero bene i cacciatori e neanche il ministro, se si facesse portavoce di proposte estremistiche.
LUCA BELLOTTI. Credo che la legge n. 157 del 1992 sia nata sulla spinta di situazioni politiche abbastanza incerte: si era alla fine della legislatura e vi era la volontà di confermare o di dare ulteriore forza alla posizione dei Verdi che, all'epoca, era molto forte in questa direzione.
Quindi, tale normativa nasce già sulla base di una valutazione e di una visione della situazione della caccia, dell'uomo e del rapporto caccia-ambiente quanto meno discutibile.
A distanza di dieci anni, vi sono alcune aree in cui lo stato di applicazione di tale legge è confortante, ma anche altre in cui esistono invece problemi rilevanti. Vi sono anche regioni in cui l'applicazione è abbastanza incerta, a seconda che ci si trovi da una parte o dall'altra del fiume. Quindi, credo che, a distanza di 10-12 anni dall'applicazione della legge, sia necessario un approfondimento serio, per riproporre l'essenza del rapporto tra caccia, ambiente e uomo in maniera completamente diversa rispetto alla visione ambientalistica portata avanti in questi ultimi anni.
Uno degli elementi che mi preme sottolineare attiene al rapporto della legge n. 157 con i parchi. La legge n. 394 del 1991, istitutiva dei parchi, è abbastanza datata e necessita anch'essa di una rivisitazione, in modo tale che si possa dare vita ai parchi, perché in molti casi tutte le attività umane presenti al loro interno sono, se non compromesse, fortemente «ingessate». Si tratta, per quanto concerne il rapporto tra la legge n. 394 del 1991 e la legge n. 157 del 1992, di trovare una soluzione, anche perché mi risulta che siano state depositate alcune proposte di modifica della legge n. 394. A mio parere, bisognerebbe anche effettuare un lavoro parallelo tra le due leggi per quanto riguarda la caccia e l'ambiente, svolgendo un'indagine conoscitiva in tale direzione.
SAURO SEDIOLI. Ritengo che questa discussione sia nata male. Essa si è sviluppata su posizioni estreme, che hanno provocato delle contrapposizioni difficili da gestire. Dobbiamo pertanto riportare questo dibattito nel suo ambito.
La motivazione forte a sostegno di una revisione della normativa è che una legge, dopo dieci anni, deve tenere conto dei cambiamenti intervenuti. Credo che la Commissione e lo stesso ministro abbiano bisogno di elementi di carattere scientifico e giuridico. Tra i cambiamenti che sono avvenuti, vi è la normativa europea in materia e, soprattutto, quella regionale, nonché i nuovi poteri delle regioni. Su tali punti, forse, non disponiamo di sufficienti elementi di conoscenza. Se è vero che dobbiamo esaminare ciò che è cambiato, è indispensabile conoscere lo stato di attuazione della legge n. 157 del 1992. Rivolgo una sollecitazione in tal senso al ministero.
Vi è un altro aspetto. Il ministero si è dotato di un gruppo di lavoro, composto da esperti che si sono recati in Europa. Qual è il risultato del loro lavoro? Quali sono gli elementi di novità in merito? Sarebbe bene che li conoscessimo.
Sarebbe altresì opportuno che il ministero ci fornisse una comparazione tra la situazione dell'Italia e quella degli altri paesi, compresi quelli che entreranno a far parte a pieno titolo dell'Unione europea dal prossimo anno. Avverto, cioè, l'esigenza non che il ministero presenti un nuovo progetto di legge ma che fornisca risposte su tali elementi, per consentirci di acquisire le conoscenze che ci permettano di modificare in modo serio la legge n. 157 del 1992, senza fare ricorso a posizioni estreme, che sono pericolosissime.
Stiamo affrontando un problema delicato. Nelle audizioni svolte finora abbiamo già ascoltato l'opinione delle organizzazioni agricole sugli aspetti fondanti della legge n. 157 del 1992: ho avvertito il pericolo che sia messo in discussione, ad esempio, il principio che consente l'accesso al fondo altrui. Ciò significherebbe mettere in discussione la stessa caccia, avere in Italia la caccia costosa come in molti altri paesi, quali la Spagna o la Francia. Credo sia nell'interesse dei cacciatori stessi disporre di una legge buona, equilibrata, che sappia mantenere i caratteri popolari della caccia, riconosciuti dalla legge n. 157 del 1992.
In conclusione, ritengo che vi sia bisogno più di un supporto del ministero per acquisire le conoscenze e le comparazioni richieste che di un nuovo progetto di legge.
GIUSEPPE ROMELE. Signor presidente, cercherò di fare una sintesi del dibattito, molto pacato e schietto, che si sta svolgendo. Gli interventi sono stati molto pertinenti e costruttivi, poiché non hanno avuto un taglio tale da dare adito a polemiche né, tantomeno, a contrasti, anche se vi sarebbero stati tutti i presupposti per una accesa contropposizione.
Sono stati presentati numerosi progetti di legge e vi è un'ipotesi, fortunatamente non espressa dal ministro ma da un suo collaboratore, forse dettata da entusiasmi localistici. L'insieme di questo sistema normativo- è stato ribadito a più riprese, anche negli interventi dei colleghi - va rivisto. La legge n. 157 del 1992 va modificata, ma cum grano salis, in quanto, come ha giustamente detto il collega Marcora, essa rappresenta un punto di equilibrio Tale punto di equilibrio è stato raggiunto tra i cacciatori, gli agricoltori, decine di migliaia di imprenditori ed il mondo delle associazioni. Si tratta di un equilibrio che, in questo momento, ha raggiunto un livello di convivenza. Pertanto, non è facile immaginare un progetto - nonostante la buona volontà di chi lo abbia proposto - che ribalti una situazione che si sta sempre più, per fortuna, consolidando in un equilibrio. Va ricordato, non da ultimo, il provvedimento sulle deroghe regionali al divieto di prelievo venatorio, approvato lo scorso anno, che qualcuno ha giudicato una forzatura e altri il completamento di detto equilibrio.
Il ministro La Loggia, audito dalla Commissione, ha svolto una relazione più da professore universitario che da ministro, ma ha definito il quadro esatto dei passaggi, anche a livello legislativo e delle competenze, dalla Unione europea allo Stato ed alle regioni. In tale contesto dobbiamo muoverci. È in atto, tra l'altro, una rivisitazione del titolo V della Costituzione, che impone una certa cautela al riguardo. È, comunque, un momento buono, poiché vi è il desiderio di operare in modo positivo. Bisogna, però, stare attenti: nel momento in cui togliamo mattoni da un lato, l'edificio rischia di crollarci sulla testa.
Vorrei fare al ministro una proposta concreta: è possibile creare un comitato di studio e di verifica, composto da un gruppo di funzionari ministeriali, prevalentemente provenienti dai due dicasteri competenti, quello delle politiche agricole e forestali e quello degli affari regionali, e da membri della Commissione, che darebbero allo stesso valenza politica? Ciò consentirebbe, nell'arco di pochi mesi, di acquisire dati certi, anche in ordine alla richiesta avanzata dall'onorevole Sedioli. Mi chiedo se tale ipotesi sia praticabile. Potrebbe essere una buona soluzione per lavorare seriamente sul tema.
Prima di iniziare l'esame delle proposte di legge di modifica della legge n. 157 del 1992, abbiamo ascoltato, in questa Commissione, il sottosegretario Dozzo, il quale, a nome del Governo, ci ha detto che, allo stato, non vi era alcuna proposta governativa in materia di caccia. Abbiamo deciso di effettuare un'indagine conoscitiva, in modo da approfondire i contenuti dei progetti di legge in esame. In seguito, un altro sottosegretario, l'onorevole Delfino, rispondendo ad una mia interrogazione, ha detto che vi è una proposta del Governo.
FRANCESCO ONNIS. Non l'ha mai detto!
ALDO PREDA. Il sottosegretario Delfino ha detto, rispondendo ad una mia interrogazione: «c'è una proposta del Governo». Il relatore non si è dimesso, anche se lo avevo invitato a fare tale passo. Successivamente, un consulente del ministro, tale Berlato, in giro per l'Italia, alla presenza dello stesso ministro (è successo a Ravenna ed a Venezia), ha annunziato una nuova legge in materia.
Il ministro La Loggia è intervenuto, devo dire in modo molto corretto, affermando che, dati i rapporti con le regioni, vi è, al massimo, la necessità di un emendamento (non si sa, però, a quale provvedimento o norma). Vogliamo assicurazioni sul fatto che la discussione avviata dalla Commissione ed il metodo da essa adottato, che ci sembra giusto e corretto, non subiranno improvvise modifiche (come avvenuto in altri casi) a causa della presentazione da parte del ministro di un disegno di legge o di un decreto-legge, che farebbe saltare tutto il nostro lavoro.
Rimanendo aderente alla realtà, voglio dire che ho preso atto, con realismo e con soddisfazione, delle precisazioni che il ministro ha ritenuto di fare nell'audizione del 23 luglio scorso. Dobbiamo basarci su ciò che il ministro ha affermato e non discettare su quello che forse l'opposizione sperava che il ministro avrebbe detto. Non possiamo neanche modificare quel che si era detto in precedenza o la lettura che dei fatti precedenti poteva essere data.
Il ministro ha affermato che è favorevole, e non contrario, al fatto che le proposte di modifica della legge n. 157 del 1992 vadano avanti ultimando il loro iter. E ha soggiunto che, se in ipotesi fosse presentata una iniziativa del Governo, essa sarebbe aggiuntiva, ad adiuvandum, e che non vi sarebbe incompatibilità o sovrapposizione fra le iniziative legislative all'esame della Commissione e quella, eventuale, del Governo.
Il ministro ha soprattutto evidenziato - mettendo in risalto il grande respiro della materia della quale stiamo discutendo - che la caccia è un prezioso valore sociale, rispetto al quale - e per la tutela del quale - spero che le opposizioni (che hanno soltanto da perdere in caso di eventuale approvazione delle proposte di modifica) siano più adeguate alla realtà del problema e un po' più conseguenti ad una serena valutazione dei fatti che venisse prospettata in buona fede. Non ho mai dubitato della buona fede del ministro né ho mai dubitato che egli avrebbe dimostrato, anche in questa occasione, la sua sensibilità istituzionale, il suo rispetto per il Parlamento e il suo intelligente approccio politico al problema.
Oggi il ministro afferma che il Governo è dalla parte di chi sta chiedendo una modifica della legge n. 157 del 1992: questo è un fatto politico e parlamentare di grande rilevanza, perché spiana la strada al successo di queste iniziative legislative e le rafforza, contribuendo certamente ad un risultato positivo.
Il ministro Alemanno non poteva non considerare che sono state presentate nove proposte di legge, che provengono da disparati schieramenti politici e da diverse forze parlamentari, e non poteva dimenticare i contenuti di queste proposte, che sono pressappoco coincidenti con quelli delle bozze che il ministro non ha mai rilasciato e non ha mai conosciuto, perché quelle bozze si sono rifatte ai contenuti delle proposte di modifica in esame. Soprattutto, egli non poteva dimenticare che, nel chiedere la modifica della legge n. 157, si è voluta sottolineare l'importanza dell'assegnazione alle regioni di quei poteri che il nuovo testo della Costituzione attribuisce loro, con i quali si intendeva dare forza alle regioni per riempire e dare contenuto alle nuove potestà regionali anche in materia di caccia.
LUCA MARCORA. Cosa c'è a fare la Corte costituzionale?
FRANCESCO ONNIS. Cosa c'entra la Corte costituzionale? C'è il nuovo testo della Costituzione, che ha attribuito nuovi poteri alle regioni: le proposte di modifica vanno nella direzione della Costituzione e vogliono che questi nuovi poteri diventino concreti. Questa è la filosofia delle proposte di legge in esame.
Se il Governo vorrà dare un suo contributo, mi permetto di chiedere sommessamente al ministro che questo contributo eventuale (debbo usare tale aggettivo) intervenga in tempi ravvicinati (cioè non oltre la metà o il 20 di settembre), per una esigenza che, credo, possiamo tutti condividere. Se questo contributo arrivasse nei tempi che sto prefigurando, si tratterebbe di un'iniziativa che potrebbe essere abbinata, senza «sconquassi» parlamentari, alle proposte di modifica in esame. In tal caso, l'iter di queste ultime proseguirebbe rafforzato, con maggiore concretezza e con il vento in poppa, qual è certamente il vento che soffierebbe dalla parte del Governo.
Nell'ipotesi in cui questa iniziativa dovesse concretizzarsi, mi permetto di chiederle, signor ministro, che si tratti di un'iniziativa di modifica della legge n. 157. Lei avrà certamente colto il peso dei rilievi che sono stati prospettati dagli autorevoli esponenti dell'opposizione, la quale ritiene che questa legge non debba essere stravolta, perché potrebbe continuare ad avere cittadinanza nel nostro ordinamento giuridico, e che il suo impianto non debba essere alterato da una nuova iniziativa legislativa che lo sostituisse in toto.
Questa è anche la mia richiesta, perché in tutte le occasioni in cui ho avuto modo di intervenire non ho mai detto che io o la maggioranza saremmo stati favorevoli ad una sostituzione della legge quadro vigente con un nuovo testo del tutto innovativo, che ne stravolgesse i contenuti. Ho sempre affermato che questa legge avrebbe potuto sopravvivere, che certamente ha innovato determinando una situazione di equilibrio, che è un codice venatorio che comunque non deve essere abrogato, che, semmai, dovevano effettuarsi degli interventi di «chirurgia legislativa» tali da migliorarne il contenuto.
Onorevole Marcora, quando lei sostiene che non è possibile toccare i capitoli relativi ai tempi del prelievo venatorio oppure al potere delle regioni, non solo si pone al di fuori della Costituzione negando i poteri delle regioni, ma dimentica anche la normativa europea.
LUCA MARCORA. Mi dica, allora, cosa c'è a fare la Corte costituzionale!
FRANCESCO ONNIS. Lei dimentica la normativa europea, che si sta evolvendo e consente a molti Stati della Comunità di effettuare prelievi al di là dei tempi ristretti vigenti in Italia, e dimentica che esistono degli studi scientifici approfonditi, dai quali risulta che i tempi del prelievo venatorio possono essere modificati e che le eventuali modifiche dovrebbero riguardare delle decadi e non tempi genericamente previsti. Lei dimentica, soprattutto, che questa modifica riguarderebbe soltanto alcune specie: non c'è mai stata una richiesta di aumentare le specie prelevabili, anzi, se è possibile, vorremo diminuirle.
Se i tempi del prelievo venatorio si dovessero allungare, il prelievo dilatato non riguarderebbe indiscriminatamente tutte le specie cacciabili, ma soltanto quelle il cui prelievo fosse compatibile con il perpetuarsi dello stato di salute della stessa specie. Quindi, diamoci da fare: possiamo ancora fare fronte comune per ottenere un risultato che potrebbe soddisfare le aspettative e i diritti di una parte importante della nostra società.
Ritengo che anche l'opposizione converrà sul fatto che lo Stato italiano non può rinunziare aprioristicamente, sull'altare del 31 gennaio o per altri elementi che possono essere valutati, alla facoltà di legiferare e di riaffermare la propria autonomia statale, giacché non sarà difficile, nel momento in cui questa legge dovesse essere modificata, trattare con l'Unione europea per ottenere che quanto ha legiferato lo Stato italiano diventi legge europea o sia comunque accettato, perché esistono dei precedenti.
LUANA ZANELLA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUANA ZANELLA. Sono un po' disorientata.
Sono intervenuta anche nella precedente seduta, di cui questa è il prosieguo. Dal momento che ritengo sia fondamentale la chiarezza (chi mi ha preceduto ha bene espresso lo stato confusionale in cui versiamo da tempo), è indispensabile, per procedere ad una revisione della legge n. 157 del 1992 - come la maggioranza intende fare -, partire quanto meno dalla relazione sullo stato di attuazione di tale legge. È necessario che la Commissione disponga di questa relazione e sappia, almeno con riferimento alle ultime stagioni venatorie, quanti uccelli, in particolare migratori, sono stati abbattuti e quante delle quarantotto specie più una (l'ultima è la lepre italica, che come sapete è molto rara) insistono sul nostro territorio. Si parla del territorio quale patrimonio disponibile o indisponibile dello Stato, ma esso è oggettivamente patrimonio indisponibile. È necessaria una quantificazione: è inutile fantasticare su calendari venatori, deroghe, e così via, se non sappiamo di cosa stiamo parlando.
L'Unione europea chiede ai paesi di essere responsabili, anche dal punto di vista tecnico e scientifico, dell'impegno, che purtroppo state assumendo oggi, di modificare la legge n. 157. Questo non vuol dire che io sposo la legge n. 157 in toto; avrei molto da dire a questo proposito da alcuni punti di vista. Su questo, però, invito il ministro a convocare presso il ministero non soltanto le associazioni venatorie, ma anche quelle ambientaliste ed animaliste.
PRESIDENTE. Onorevole Zanella, l'audizione odierna del ministro delle politiche agricole e forestali verte sul tema che è all'ordine del giorno dei nostri lavori. Per quanto riguarda la relazione sullo stato di attuazione della legge n. 157 del 1992, la presidenza si farà carico di sollecitare l'invio di ulteriore documentazione.
Do ora la parola al ministro Alemanno per la replica.
GIOVANNI ALEMANNO, Ministro delle politiche agricole e forestali. Credo di poter dire una parola conclusiva rispetto alle informazioni che sono state generate anche da parte nostra, causando dei fraintendimenti. Nei vari interventi svolti non è stata citata una dichiarazione con cui avevo ipotizzato la possibilità che il dibattito procedesse secondo due iter separati.
A prescindere da tutto quello che è stato detto fino a questo momento, intendo darvi un punto di riferimento preciso, che è il seguente. Abbiamo esaminato le proposte di legge sulle quali state lavorando al fine di giungere ad un testo unificato. Riteniamo che all'interno di esse manchino alcuni elementi di modifica della legge n. 157 del 1992 e che sia opportuna un'iniziativa da parte del Governo, da inserire nell'iter avviato dalla Commissione con l'indagine conoscitiva in corso e con il lavoro svolto finora.
Il nostro impegno, quindi, è quello di presentare un disegno di legge di modifica della legge n. 157 del 1992 alla luce del titolo V della Costituzione, ma in forma leggera, con poche norme integrative di quelle presenti nelle varie proposte di legge presentate. Dirameremo il testo ai ministeri competenti, così da poterlo presentare alle Camere nei primi giorni di settembre, in modo che ciò avvenga dopo la conclusione dell'indagine conoscitiva in corso (di cui si acquisiranno i risultati) e prima della predisposizione di un testo unificato. In tal modo, si eviteranno sovrapposizioni e possibili contrasti tra il lavoro svolto dalla Commissione e gli intendimenti del Ministero delle politiche agricole e forestali.
Devo fare alcune ulteriori precisazioni. Ho specificato che l'eurodeputato Berlato è un mio consigliere; come tutti sanno, i consiglieri del ministro non hanno la possibilità di presentare proprie iniziative, salvo che non abbiano deleghe specifiche, che non siano presidenti di commissioni o di comitati tecnici specificamente incaricati. Il consigliere Berlato si occupa di attività venatorie, esercitando la propria opera di consulenza; egli, magari, può avere generato qualche confusione, tuttavia il testo di cui ha parlato è soltanto una bozza di lavoro attinente alle sue responsabilità. Questa bozza di lavoro è attualmente all'esame di una commissione di cui fanno parte gli uffici, rappresentanti del Corpo forestale dello Stato, ed altri soggetti. L'obiettivo è quello di ottenere un provvedimento leggero, che modifichi, e non sostituisca, la legge n. 157 del 1992.
Il contributo del ministero sarà un'ulteriore proposta normativa che andrà ad inserirsi nel testo unificato. Credo che ciò sia opportuno, perché noi ravvisiamo delle carenze (gli stessi lavori successivi della Commissione consentiranno di verificare se questa opinione è corretta) che, se non venissero colmate, rischierebbero di lasciare aperti margini di conflittualità tra le regioni e lo Stato. Tali margini di conflittualità si sono già evidenziati rispetto alle deroghe regionali al divieto di prelievo venatorio, tema sul quale il Governo ha già di dimostrato di non voler percorrere la strada della decretazione di urgenza. Anche in questo caso era stata prospettata tale ipotesi, ma il Governo, pur in presenza di impugnative presso la Corte costituzionale nei confronti di numerose leggi regionali, ha scelto di non adottare un decreto-legge e di seguire, invece, la strada del disegno di legge. Se non è stata seguita la strada del decreto-legge in quella circostanza, non vediamo perché la si debba seguire in questo caso, in cui si tratta di introdurre modifiche che, tra l'altro, non hanno un carattere di urgenza tale da giustificare il ricorso ad un decreto-legge. Senza creare ulteriori tensioni e malintesi, credo si possa considerare chiuso il problema di metodo.
Rimane, ovviamente, il problema attinente al merito, perché da ciò che emergerà dal testo unificato e dagli emendamenti che verranno presentati dipenderà l'equilibrio, che ritengo occorra trovare e mantenere. Credo che nessuno abbia intenzione di operare una forzatura in un senso o nell'altro. L'unico aspetto che dovrà essere verificato attentamente attiene al fatto che la modifica della normativa vigente dovrà riconoscere all'attività venatoria un carattere non demonizzante. Il ministero farà, al riguardo, un comunicato specifico, pubblicandolo sul suo sito. Forniremo dei segnali da questo versante e incontreremo anche le organizzazioni ambientaliste, che, peraltro, erano già state invitate a Venezia. Non partecipare a quel dibattito è stata una loro scelta: probabilmente, se vi avessero preso parte, anche l'immagine che ne sarebbe uscita dell'iniziativa del ministero sarebbe stata più tranquillizzante per tutti. Si è trattato di una scelta politica, che non voglio discutere in questa sede, ma è stata una scelta di contestazione.
È ovvio che, quando ci si confronta su temi di questo genere da due versanti (mi riferisco al convegno a cui hanno partecipato tutte le organizzazioni venatorie, eccetto l'Arcicaccia, e alla provocatoria assenza delle organizzazioni ambientaliste), si acuiscono i contrasti e le spaccature. Da parte nostra, quando avremo a disposizione il testo elaborato dagli uffici, convocheremo le organizzazioni ambientaliste e quelle animaliste. Ci auguriamo che queste ultime accettino l'invito e si confrontino con noi, in modo che il disegno di legge non assuma caratteri che possano ingenerare polemiche. Il nostro obiettivo non è sicuramente quello di creare nuove polemiche ma, più semplicemente, quello di apportare alcune modifiche ad una legge che ha dei limiti ed è in alcuni punti inadeguata al nuovo dettato costituzionale.
Tuttavia, se il mantenimento della legge n. 157 del 1992 può essere la condizione per giungere in termini celeri a queste modifiche, e se, nonostante questa disponibilità, si dovesse generare un nuovo muro contro muro, è chiaro che questo atteggiamento andrebbe profondamente rivisto. Dal momento che l'opposizione si riconosce fortemente nella legge n. 157 del 1992, ne prendiamo atto e lo accettiamo, presentando le nostre iniziative come modifiche di tale legge. Mi auguro che, di fronte a questa disponibilità, anche l'opposizione si adoperi per trovare un punto di equilibrio. Se invece, come è accaduto in altre circostanze, si andrà verso una spaccatura, bisognerà cambiare ottica, entrando nella logica di uno scontro che, penso, tutti vogliamo evitare.
Sono convinto che, rispetto alle crescenti minacce all'ambiente, l'attività venatoria non possa più essere rappresentata come un pericolo o una minaccia. Un'attività venatoria sostenibile e consapevole, avversa a qualsiasi forma di bracconaggio, può e deve essere vista come una attività compatibile con la necessaria tutela dell'ambiente.
PRESIDENTE. Ringrazio il ministro per la sua disponibilità e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15.40.
COMMISSIONE XIII
AGRICOLTURA
RESOCONTO STENOGRAFICO
INDAGINE CONOSCITIVA
9.
SEDUTA DI MARTEDÌ 30 SETTEMBRE 2003
presidenza del vicepresidente Gianluigi Scaltritti
La seduta comincia alle 14,30.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
Seguito dell'audizione di rappresentanti dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva inerente l'esame dei progetti di legge C. 27 Stefani, C. 291 Massidda, C. 498 Bono, C. 1417 Onnis, C. 1418 onnis, C. 2016 Benedetti Valentini, C. 2314 Serena, C. 3533 Pezzella e C. 3761 Bellillo, recanti «Modifiche alla legge n.157 del 1992, protezione della fauna selvatica e prelievo venatorio», il seguito dell'audizione di rappresentanti dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica.
Ricordo che la prima parte di questa audizione si è svolta il 18 giugno 2003. Sono presenti, in rappresentanza dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, il commissario straordinario, dottor Massimo Pensato, ed i dirigenti di ricerca, dottor Fernando Spina e dottor Silvano Toso. Ringrazio i rappresentanti intervenuti per la loro presenza e chiedo loro se intendano integrare gli interventi svolti nella seduta precedente.
MASSIMO PENSATO, Commissario straordinario dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. A seguito delle richieste che ci sono state rivolte nella precedente seduta, intendiamo lasciare agli atti della Commissione una documentazione aggiuntiva, inerente all'attività svolta dall'istituto e, in particolare, a quella di inanellamento, della quale si occupa direttamente il dottor Spina.
FERNANDO SPINA, Dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. Sulla base di una richiesta avanzata dall'onorevole Onnis alla fine del mese di luglio scorso, abbiamo preparato una documentazione relativa ad alcuni aspetti dell'attività di inanellamento, in Italia, negli ultimi dieci anni.
Nel documento da noi predisposto, abbiamo esaminato la distribuzione spazio-temporale di quest'attività nel nostro paese ed, inoltre, a fronte di una richiesta relativa alla distribuzione dell'attività di inanellamento nelle diverse regioni italiane, abbiamo effettuato analisi di notevole dettaglio. Siamo in grado di fornire, per ciascuna regione, analisi relative alla distribuzione storica e stagionale dello sforzo di inanellamento, nonché al numero delle stazioni attive, al numero di uccelli inanellati e alle specie campionate, su base annuale e di decade.
Inoltre, in merito alle richieste di chiarimenti circa le attività di inanellamento riguardanti alcune specie di interesse venatorio quali, in particolare, colombaccio, beccaccia, merlo, tordo bottaccio e tordo sassello, abbiamo effettuato una serie di analisi (in parte già in vostro possesso perché contenute nei volumi che avevamo trasmesso a suo tempo alla Commissione), che forniscono molte indicazioni di dettaglio riguardo ad alcuni aspetti legati a queste specie. In particolare, per quanto riguarda la beccaccia, abbiamo allegato una relazione che origina da un progetto, finanziato dal Ministero delle politiche agricole e forestali, con il coordinamento del nostro istituto, che si sta realizzando nei pressi di Roma, a Castelporziano, e rappresenta il materiale informativo più dettagliato circa questa specie in Italia. Da ultimo, abbiamo descritto in maniera estesa la distribuzione, nel nostro paese, dei titolari di autorizzazioni all'inanellamento.
Insieme a questa relazione, vi consegniamo copia della traduzione italiana di una relazione, che ci è stata richiesta dalla Commissione europea nell'ambito delle attività del Comitato Ornis, sia in forma cartacea sia su supporto informatico (CD-ROM), al fine di rendere più agevole l'utilizzo e la lettura dei grafici.
PRESIDENTE. Do ora la parola ai deputati che desiderino intervenire.
FRANCESCO ONNIS. Dottor Spina, lei ha citato i titolari di autorizzazione all'inanellamento. Queste autorizzazioni consistono nel cosiddetto «patentino»?
FERNANDO SPINA, Dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. Sì.
FRANCESCO ONNIS. Potremmo conoscere il numero dei «patentini» in corso di validità in Italia?
FERNANDO SPINA, Dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. Al momento, in Italia ci sono 375 titolari di autorizzazione; alcuni di essi operano in più regioni italiane. Quindi, il totale delle autorizzazioni attualmente attive nel nostro paese è di 468. A questo numero devono essere aggiunti gli aspiranti inanellatori, che sono 111, ed i collaboratori, cioè le persone che aiutano nell'attività di campo pur non essendo titolari di autorizzazione ad operare sugli animali catturati, dei quali debbono essere rilevati i dati biometrici e fisiologici. Tali rilevazioni, infatti, rientrano specificamente tra i compiti dell'inanellatore. Il totale delle persone coinvolte, dunque, è di 699, come evidenziato nell'ultima parte della relazione, con una distribuzione geografica molto varia, in quanto si passa dalle 8 unità della Calabria fino ad un massimo di 125, in Lombardia. I dati di inanellamento prodotti da questa rete di rilevatori, negli ultimi dieci anni, assommano a 2 milioni e 245 mila e sono relativi ad oltre 300 specie.
FRANCESCO ONNIS. Quindi, i soggetti legittimati sarebbero 375?
FERNANDO SPINA, Dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. Al momento, i titolari sono 375.
FRANCESCO ONNIS. La mia domanda è volta semplicemente ad acquisire questo dato.
FERNANDO SPINA, Dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. È tutto indicato nella relazione che abbiamo consegnato alla Commissione, compresa la distribuzione per regioni.
FRANCESCO ONNIS. I titolari del cosiddetto «patentino» procedono all'attività di inanellamento per un tipo di fauna o per tutta la fauna migratoria? Ad esempio, può effettuarsi una distinzione fra acquatici e non acquatici?
FERNANDO SPINA, Dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. Ci sono tre tipi di autorizzazione, dal livello C, B ed A, richiedenti un esperienza crescente. Tali diverse autorizzazioni comportano la possibilità di inanellare insiemi di specie diverse tra loro. La ragione per cui non si dà la possibilità a chiunque di inanellare le specie deriva dal fatto che inanellare un certo numero di specie dell'agrifauna italiana è un'operazione che richiede grandi capacità (per esempio, a livello di identificazione delle singole specie oppure in termini di tecniche di cattura delle stesse o di gestione di alcuni animali particolari). Tuttavia, non esiste una differenziazione a livello di gruppi sistematici.
FRANCESCO ONNIS. Esistono, per esempio, stazioni di inanellamento solo per gli acquatici?
FRANCESCO ONNIS. Tra i 375 di cui abbiamo parlato, quali sono i soggetti titolati che si dedicano solo agli acquatici?
FERNANDO SPINA, Dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. Al momento, ci sono una decina di stazioni che catturano uccelli acquatici in Italia.
LUIGINO VASCON. Non vi è dubbio che la base scientifica del censimento che avviene attraverso gli inanellamenti rappresenta il presupposto ed il fondamento a cui il Ministero delle politiche agricole e forestali e quello dell'ambiente, così come le singole regioni, si riferiscono per stabilire divieti o autorizzazioni ai prelievi (tutto ciò, normalmente, avviene sulla base dei censimenti).
L'argomento è talmente interessante e pregnante che, approfittando della cortesia dei nostri ospiti, bisognerebbe spendere molto più tempo per capire nello specifico di che cosa stiamo parlando.
Un aspetto, comunque, rimane poco chiaro. Visto l'elenco delle specie cacciabili (parlo non degli ungulati o della selvaggina stanziale, bensì di quella prevalentemente migratoria), mi sorprende che solamente sei specie vengano censite. In particolare, per quanto riguarda la beccacia, la sua presenza viene rilevata nel parco di Castelporziano. Vorrei sapere se esistono altre stazioni di controllo di questa specie migratoria.
FERNANDO SPINA, Dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. La ragione per la quale ho citato le sei specie cui lei fa riferimento è data dal fatto che proprio queste specie sono state citate dall'onorevole Onnis nell'ambito di una delle sue richieste di chiarimento.
In realtà, l'attività di inanellamento consente la raccolta di dati e, quindi, un'attività di censimento di un numero molto elevato di specie. La media annuale di specie inanellate in Italia, a partire dell'ultimo decennio, è sempre superiore alle 270 specie l'anno, con un picco di 293 nel 1997, per cui i dati si riferiscono ad un campione molto rappresentativo dell'agrifauna italiana nel suo complesso. Al momento, la nostra banca dati nazionale ospita 3 milioni 250 mila dati relativi a 362 specie diverse.
Per quanto riguarda la beccaccia, il problema è legato alla tecnica che deve essere utilizzata per l'inanellamento di questa specie che, notoriamente, di giorno rimane ferma in zone cosiddette di rimessa, per andare, invece, ad alimentarsi di notte in zone aperte. Le catture, quindi, vanno effettuate di notte secondo una tecnica molto specifica che richiede l'utilizzo di fari di forte intensità e di retini particolari. Finora è stato difficile localizzare, in Italia, aree che assicurino la presenza di un numero congruo di animali durate l'alimentazione notturna in situazioni tali da consentirne poi la cattura e permettere così l'organizzazione positiva di un progetto.
Con l'occasione vorrei anche sottolineare che i dati che si riferiscono alla migrazione degli uccelli (in generale, degli uccelli migratori di interesse gestionale), relativi all'attività di inanellamento, non sono rappresentati soltanto dai dati di cattura, bensì anche da quelli di ricattura di uccelli già inanellati. Mentre i dati di cosiddetta prima cattura possono essere - e vengono - prodotti ed acquisiti esclusivamente dai titolari di una specifica autorizzazione (ai sensi della legge n. 157 del 1992), i dati di ricattura di un uccello inanellato vengono prodotti da chiunque, da qualsiasi cittadino che, per le ragioni più diverse, prova l'esperienza di un contatto diretto con un uccello inanellato. Per tale ragione, se è vero che le località di inanellamento delle beccacce in Italia sono molto limitate, è altrettanto vero che le località di ricattura di tali uccelli inanellati nel nostro paese sono molto più numerose.
Ho citato la tenuta presidenziale di Castelporziano per sottolineare che in questa località si sta svolgendo il progetto più intenso di ricerca sull'ecologia dello svernamento di tale specie, che si basa anche, in maniera significativa, su tecniche di radiotracking, che consentono di descrivere meglio le esigenze ecologiche e l'utilizzo dell'habitat compiuto da questa specie nel corso dell'inverno.
LUIGINO VASCON. Quindi, se ho ben capito...
PRESIDENTE. Onorevole Vascon, non ha già completato la sua domanda?
LUIGINO VASCON. Signor presidente, la prego di avere pazienza: non abbiamo altre occasioni come questa! La prego, quindi, di lasciarmi esprimere.
Innanzitutto, il censimento che viene effettuato dall'INFS a Castelporziano avviene in primavera (quindi, in ripasso) oppure durante il passo autunnale di svernamento?
In secondo luogo, i 375 titolari di autorizzazione ad effettuare il controllo sulla presenza e sulla transitabilità di questi animali dipendono dall'ente, oppure sono dei volontari o degli appartenenti ad associazioni ambientaliste ed ecologiste? Vorrei sapere, inoltre, come queste 375 persone vengono reperite e quale disponibilità offrono.
FERNANDO SPINA, Dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. Il progetto di Castelporziano per la beccaccia copre l'intero periodo di svernamento della specie (da quando arriva a quando riparte).
Le 375 persone chiamate in causa (che, con i collaboratori, innalzano il totale degli inanellatori) non dipendono direttamente dall'istituto. Ai sensi dell'articolo 4 della legge n. 157 del 1992, l'istituto coordina le attività di inanellamento in Italia e gestisce una banca dati nazionale centrale. Da un punto di vista amministrativo, le autorizzazioni vengono rilasciate non dall'istituto ma dalle diverse amministrazioni locali, siano esse provinciali o regionali. La legge n. 157 del 1992 non pone alcun limite nei confronti di chi può diventare inanellatore né, tantomeno, può farlo il nostro istituto.
Nell'ambito degli inanellatori italiani sono rappresentate le più ampie categorie professionali, di qualsiasi tipo (noi non andiamo assolutamente a verificare l'appartenenza di queste persone a qualsivoglia associazione). Ciò che facciamo, direi in maniera abbastanza stringente anche a livello internazionale (sono sicuro di questo perché presiedo da dieci anni l'organismo europeo che coordina 38 centri di inanellamento a livello internazionale ed oltre 10 mila inanellatori in tutta Europa), consiste nel curare la formazione tecnica di queste persone.
Attualmente, in Italia, per poter sostenere il primo esame di inanellamento è richiesto un periodo molto intenso di attività di campo, da svolgere insieme a due titolari di autorizzazione «A», per almeno due anni. Dopodiché, questi soggetti sostengono un primo esame e, ove lo superino, possono operare con un permesso «C». Ogni qualvolta desiderino passare ad un permesso di categoria superiore, debbono superare un nuovo esame. Nel caso in cui uno di tali soggetti che abbia smesso di operare per un periodo di tre anni, o superiore, desideri riprendere l'attività di inanellamento, deve superare un esame di verifica.
Gli inanellatori italiani operano offrendo gratuitamente la loro attività allo Stato italiano, per il tramite dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, mediamente per 9 mila giornate all'anno. Dal momento che, in media, vengono impiegate circa tre persone in ciascuna sessione di inanellamento, quel dato deve essere moltiplicato per tre; quindi, stiamo parlando di un valore pari ad oltre 20 mila giornate-uomo di rilevamento all'anno.
PRESIDENTE. Credo che l'onorevole Vascon abbia completato le sue richieste di approfondimento. La presidenza si rende conto che sono importanti, tuttavia deve tenere presente anche il diritto degli altri deputati ad intervenire.
LUIGINO VASCON. Non ho ancora completato le mie domande, presidente. Stiamo discutendo di un argomento significativo ed interessante: non ritengo lo si possa trattare compiutamente in un tempo così limitato. Il mio intervento è durato soltanto un minuto e mezzo!
PRESIDENTE. Potrà formulare ulteriori domande più avanti, onorevole Vascon.
LUIGINO VASCON. Lei non mi può interrompere, signor presidente: deve lasciarmi il tempo di porre le mie domande! Mi allontano dalla Commissione, così potrà fare come vuole! Ho terminato, signor presidente (Il deputato Vascon abbandona l'aula della Commissione).
LUANA ZANELLA. Allargando l'orizzonte del confronto, vorrei rivolgere alcuni quesiti ai nostri ospiti.
La legge prevede che l'istituto che rappresentano rilasci alle regioni, alle province e agli ATC numerosi pareri in ordine a provvedimenti riguardanti varie materie, tra cui l'applicazione delle deroghe comunitarie e gli abbattimenti di fauna. In base all'esperienza che avete maturato in questi anni, siete in grado di fornire un giudizio in merito alla coerenza degli atti adottati dalle varie amministrazioni rispetto ai pareri espressi?
Inoltre, vorrei sapere se le province e le regioni, cioè i soggetti che debbono adottare e fare applicare le normative, ciascuno nel proprio ambito, abbiano competenze adeguate per relazionarsi con un livello quale il vostro, caratterizzato da un approccio scientifico, e per applicare la tutela costituzionale dell'ambiente e della fauna, che di esso è parte in misura sostanziale.
Per quanto riguarda più specificamente le deroghe, vorrei sapere se siano state applicate a specie protette quali le peppole e i fringuelli. La normativa prevede che questa scelta sia effettuata non a fini ludici, ma in casi eccezionali e con precisi limiti, che ben conoscete. Vorrei sapere se l'utilizzo della deroga sia stato strumentalizzato per allargare le maglie delle possibilità di caccia anche alle specie tutelate.
Infine, se ben ricordo, l'INFS ha sempre sostenuto la necessità che il periodo di caccia terminasse in inverno, precisamente non oltre il 31 gennaio. A vostro giudizio, sono intervenuti mutamenti tali da costituire il presupposto anche per modificare un principio che a me sembra non soltanto condivisibile, ma volto, oggettivamente, a tutelare la fauna?
SILVANO TOSO, Dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. Cercherò di rispondere con ordine a tutte le domande.
Per quanto riguarda la coerenza degli atti amministrativi o normativi adottati dalle amministrazioni locali in base ai pareri rilasciati dall'istituto, la situazione è assolutamente varia. In diversi casi, questi pareri sono recepiti in maniera completa; in altri, in maniera parziale; in altri ancora, vengono completamente ignorati. D'altra parte, si tratta di un'attività consultiva di carattere tecnico, che le amministrazioni acquisiscono come parte degli atti propedeutici ai fini dell'adozione di un provvedimento amministrativo o normativo. Non sempre abbiamo la conoscenza esatta di come si concludano i procedimenti. A noi, infatti, viene rivolta una proposta e su di essa - ad esempio, su una bozza di delibera - formuliamo il nostro parere; non siamo tenuti a conoscere l'iter successivo e non abbiamo neppure i canali per conoscerlo.
Per quanto riguarda la questione delle strutture tecniche nell'ambito delle amministrazioni delegate dallo Stato alla gestione della fauna selvatica, anche in questo caso la situazione è piuttosto differenziata a seconda delle singole amministrazioni. In alcuni casi, pur non esistendo strutture vere e proprie, vi operano persone dotate di una laurea specifica e di una buona competenza in materia di conservazione della fauna. Si tratta di pochi casi, per la verità; nella maggior parte degli altri, gli uffici che si occupano di questa materia vantano personale dotato di una competenza giuridica o amministrativa ma privo di una specifica competenza tecnico-scientifica.
Voglio ricordare che, in uno dei primi capitoli del documento predisposto dal nostro istituto, in ottemperanza a quanto stabilito dalla stessa legge n. 157 del 1992 riguardo alla omogeneità e congruenza della sua applicazione, richiamammo l'esigenza che le amministrazioni locali si dotassero di servizi tecnici che fungessero da interlocutori, in modo da parlare la stessa lingua sotto il profilo tecnico-scientifico. In particolare, la legge n. 157 del 1992, prevede (se ben ricordo, all'articolo 11) che l'istituto predisponga un documento sui criteri di omogeneità e congruenza che le regioni dovrebbero adottare per applicare la legge. Nei termini previsti dalla norma, l'INFS produsse questo documento, destinato ad essere fatto proprio dai Ministeri dell'ambiente e delle politiche agricole e forestali. Questo secondo passaggio non è mai stato effettuato: in altri termini, noi abbiamo prodotto il documento, ma i ministeri in questione non lo hanno supportato né trasmesso in via ufficiale alle regioni. Peraltro, ne abbiamo pubblicato una parte tra i nostri documenti tecnici e, comunque, lo abbiamo divulgato.
Per quanto attiene al problema delle deroghe ai sensi dell'articolo 9, punto C, della direttiva comunitaria n. 409 del 1979, in virtù dell'approvazione di una legge nazionale che ha introdotto, nell'ambito della disciplina prevista dalla legge n. 157 del 1992, un articolo 19-bis in materia di deroghe, abbiamo svolto un incontro con le regioni presso la sede dell'istituto, proprio per far capire quali fossero le procedure di carattere scientifico e tecnico seguite nell'espressione del parere su questa materia.
Le regioni sono state, quindi, ben edotte sul modo di procedere dell'istituto in questo senso. Alcuni anni fa, una sentenza della Corte di giustizia europea ha stabilito che, purché le deleghe ai sensi del punto C rispettassero tutti i limiti stabiliti dalla direttiva, l'uso della deroga per l'esercizio venatorio fosse ammissibile. Sulla base di tale pronunciamento di carattere giuridico, che non sta a noi discutere, abbiamo chiarito alle regioni quali erano le procedure da noi seguite per stabilire il concetto di piccola quantità (si tratta di una delle norme prescritte per l'applicazione della deroga, ai sensi del punto C dell'articolo 9), ed abbiamo fatto alcuni esempi concreti (come quelli del fringuello e della peppola), viste le pressioni delle regioni rispetto a queste specie.
Abbiamo fornito la consistenza di prelievo possibile, ai sensi di quanto prescritto dalla direttiva, e poi abbiamo ovviamente lasciato che le regioni ripartissero tra di loro tale quota parte a livello nazionale in maniera del tutto autonoma.
Tale quantità è stata stabilita sulla base di una serie di parametri di carattere biologico, che consistono nella reale captazione dei migratori che arrivano in Italia, nella stima di queste popolazioni che transitano e nel calcolo dell'uno per cento di mortalità annuale, così come stabilito dalla stessa Commissione europea per il calcolo della piccola quantità.
FERNANDO SPINA, Dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. Per quanto riguarda la questione della chiusura stagionale del prelievo venatorio, si richiama l'articolo 7.4 della direttiva «Uccelli» n. 79/409/CE, il quale afferma che, in particolare per gli uccelli migratori, gli esemplari che siano impegnati in movimenti di ritorno verso le aree di nidificazione non debbono essere soggetti a prelievo venatorio.
Questo aspetto è stato recentemente curato dalla Commissione europea attraverso uno specifico gruppo di lavoro istituito da parte del comitato ORNIS, e a ciascuno Stato membro è stato richiesto di produrre dati relativi, in particolare, ai due periodi sensibili ai sensi della direttiva, rappresentati, l'uno, dalle fasi di nidificazione e di pendenza e, l'altro, dall'inizio della migrazione di ritorno.
Il nostro istituto, anche prima dell'approvazione della legge n. 157 del 1992, aveva effettuato una serie di analisi mirate a descrivere la stagionalità dei movimenti di ritorno dei migratori attraverso il nostro paese. Analisi più dettagliate sono state prodotte in occasione della richiesta avanzata dalla Commissione, nell'ambito dello Scientific working group ORNIS, ed abbiamo prodotto dati relativi all'Italia che sono stati inseriti nel database già citato. Tali dati sono attualmente pubblicati in un documento intititolato Key concepts of article 74, che è possibile scaricare dal sito della Commissione europea.
Il materiale relativo all'Italia è stato sottoposto l'anno scorso ad un esame critico in base ad una relazione tecnica commissionata dal Ministero delle politiche agricole e forestali. Nel dicembre 2002, si è tenuto un incontro, organizzato dalla Commissione, nel quale sono stati discussi i dati già forniti per l'Italia e i nuovi dati che venivano proposti a modifica dei primi. La Commissione, a seguito di questo incontro, non ha ritenuto che fosse necessario - o ammissibile - modificare alcuno dei dati fino a quel momento contenuti nella banca dati ORNIS per quanto riguarda l'inizio dei movimenti di ritorno degli uccelli migratori in Italia. Naturalmente, la Commissione e il comitato ORNIS hanno ribadito la possibilità di discutere eventuali aggiornamenti dei contenuti scientifici di questa banca dati, ove questi si basino su dati scientificamente oggettivati.
Per quanto riguarda l'ultima domanda posta, cioè se siano intervenuti mutamenti tali da far ipotizzare delle modifiche, si tratta di aspetti che, evidentemente, le nostre banche dati consentono di monitorare, ma bisogna anche sottolineare che, a livello di correlazione tra uccelli e clima, esiste un'ampia e recente letteratura scientifica che dimostra come, in molti casi, gli uccelli migratori ed anche i migratori cosiddetti di lungo raggio (cioè i transahariani) ritornino nelle aree di nidificazione molto prima, perché le condizioni climatiche in tali aree sono migliori da questo punto di vista in relazione al riscaldamento globale.
Esistono poi lavori pubblicati sulle più famose riviste scientifiche mondiali, come Nature o Science, nei quali si dimostra, per esempio, un anticipo sensibile della data di deposizione del primo uovo in un ampio spettro di migratori transahariani.
LUCA MARCORA. Una prima richiesta riguarda la possibilità di acquisire la relazione (che non è stata diffusa dal ministero) sulla omogeneità e congruenza nell'applicazione della legge n. 157 del 1992 da parte delle regioni.
La seconda richiesta concerne lo stato di attuazione della legge in questione, in quanto la relazione in materia è stata presentata alla fine dell'anno scorso ma si ferma al 1997, quindi riguarda solo i primi cinque anni di applicazione della legge n. 157 del 1992. Vorrei sapere se il ministero vi ha incaricato di fornire dati o altri elementi in merito alla seconda parte del decennio trascorso dalla data di entrata in vigore della citata legge. Potete darci notizie che possano far sperare che la relazione verrà presentata in tempi brevi? Questo sarebbe un elemento decisivo rispetto a qualsivoglia ipotesi di modifica della legge in esame. Il primo periodo di applicazione, cioè quello che arriva fino al 1997, è probabilmente il meno ricco di risultati; comunque, manca ancora un lasso temporale troppo ampio perché si possa fornire un giudizio sullo stato di applicazione di tale legge.
SILVANO TOSO, Dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. Per quanto riguarda la sua prima richiesta, mi impegno a far pervenire alla Commissione alcune copie del documento che l'istituto ha prodotto.
Quanto alla seconda domanda, le rispondo negativamente in quanto non siamo stati contattati dal Ministero delle politiche agricole e forestali, né abbiamo notizie in merito ad una relazione concernente il secondo periodo di applicazione della legge n. 157 del 1992.
Hanno messo a nostra disposizione i documenti che avevamo richiesto ed hanno risposto in tempi brevi alla mia richiesta che, forse, era un po' sopra le righe e, probabilmente, richiedeva tempi lunghi ai fini della formulazione delle risposte. Sono loro grato per questo; il contributo dell'istituto sarà prezioso, comunque evolveranno i lavori della Commissione e qualunque sarà la volontà legislativa del Parlamento.
Vorrei formulare alcune domande, in quanto la nostra funzione è proprio questa: voi siete qui per fornirci ulteriori elementi di conoscenza e per illuminarci su una tematica e su problemi che non sono semplici, ma certamente coinvolgenti ed anche appassionanti.
Nel corso della precedente seduta, il dottor Spina ha fatto un'affermazione che a mio avviso richiede un approfondimento. A seguito di una richiesta del ministro, il quale - con una lettera che conosciamo - aveva sollecitato un riesame dei tempi del prelievo, in occasione dell'incontro svoltosi a Bruxelles nel dicembre 2002, si era giunti alla conclusione che i tempi già fissati non potevano essere modificati. Lei ha dichiarato, dottor Spina, che non si poteva operare una revisione delle date fornite dall'Italia e riportate nel suddetto documento. Vorrei sapere quando queste date siano state fornite dall'Italia, in quale contesto - ufficiale, immagino - e da chi. Questi elementi di conoscenza ci consentiranno di acquisire ulteriori dati oggettivi, che possono orientarci nella ricerca della strada più giusta per la soluzione del problema in esame.
Inoltre, sia il dottor Spina sia il dottor Toso si sono riferiti ad uno studio svolto dell'Università di Firenze. Il dottor Spina ha affermato che questo studio sarebbe stato commissionato dal ministero. Ho capito bene?
FERNANDO SPINA, Dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. Sì.
FRANCESCO ONNIS. Si tratta di uno studio ufficialmente richiesto dal Ministero delle politiche agricole e forestali? Vi riferite allo studio elaborato dall'Università di Firenze ed, in particolare, dai professori Paolo Casanova e Anna Memoli?
Vorrei anche sapere se esistano altri studi che confliggano con quello sopra richiamato nell'indicazione delle date; in caso affermativo, quali siano e se tra essi ve ne sia uno (che reputo abbastanza pregevole, anche se si tratta di una mia valutazione, senz'altro opinabile) del dottor Giuseppe Micali, il quale, a quanto mi risulta (vorrei al riguardo una conferma o una smentita), è il componente italiano della FACE.
Dal documento che ci avete consegnato e che, purtroppo, non ho avuto la possibilità di consultare, se non nelle sue parti essenziali, vorrei estrapolare, come esempio, il riferimento alla Sardegna, la regione da cui provengo. In tale regione, il totale delle stazioni di inanellamento sarebbe di 163. Il documento riporta anche l'elencazione anno per anno: 12 nel 1991, 18 nel 1992, e così via. Ciò significa che, alle 12 stazioni del 1991, se ne sono aggiunte 18 nel 1992 e 14 nel 1993?
Vorrei anche sapere se, in questo documento, viene riportata la distribuzione, regione per regione, delle stazioni di inanellamento. I territori delle diverse regioni sono molto vasti, in alcuni casi enormi; quindi, al fine di cogliere le implicazioni interessanti dal punto di vista venatorio ed ambientalista, potrebbe essere utile conoscere in quali parti delle regioni si effettuano gli accertamenti, cioè, in sostanza, dove operano le stazioni di inanellamento.
FERNANDO SPINA, Dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. Rispondo innanzitutto alle domande da lei poste riguardo all'incontro di Bruxelles e al documento che ne è scaturito.
Con il preventivo consenso della Commissione, ho realizzato una traduzione non ufficiale, nel gennaio 2003, su richiesta del direttore dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, professor Spagnesi. Il resoconto della Commissione europea afferma che il 28 agosto 2002 il Ministero delle politiche agricole e forestali italiano ha scritto alla medesima Commissione, chiedendo una revisione di alcune date fornite in un documento, denominato Key concepts of article 74, approvato dal Comitato ORNIS nel 2001. In occasione di un incontro presso gli uffici del ministero, a Roma, in data 11 settembre 2002, la rappresentanza della Commissione ha ricevuto copia di una relazione dell'Università degli studi di Firenze, che forniva elementi di supporto tecnico alle proposte fatte nella lettera del 28 agosto. A mio avviso, questo risponde alla domanda se detta relazione sia stata acquisita, da parte del Ministero delle politiche agricole e forestali, dall'Università di Firenze. La relazione di cui parliamo - di cui ho con me una copia - è stata redatta dal professor Casanova e dalla dottoressa Memoli.
Per quanto riguarda i dati italiani nell'ambito della banca dati ORNIS, essi sono stati prodotti nel corso degli anni in cui si è svolta l'attività dello Scientific working group di ORNIS, in merito al ricordato documento, denominato Key concepts of article 74, cioè tra il 1998 ed il 2001. Tale è il contesto nel quale tali dati sono stati prodotti. Sono stati rispettati parametri di metodologia scientifica e agli esperti di ciascuno Stato membro è stato chiesto di presentare i migliori dati possibili a livello nazionale, relativi, in questo caso, all'inizio della migrazione di ritorno degli uccelli attraverso il territorio del loro Stato.
I parametri che dovevano essere seguiti erano molto chiari: ove si trattasse di paesi membri di rilevante estensione geografica, soprattutto dal punto di vista latitudinale, bisognava prendere in considerazione i primi movimenti nelle latitudini più meridionali, escludendo, evidentemente, i dati assolutamente eccezionali. Nel caso in cui, in un determinato Stato membro, fossero transitate sottospecie, o popolazioni diverse di una stessa specie, gli esperti avrebbero dovuto prendere in considerazione i movimenti della prima tra le sottospecie o popolazioni che in quel territorio fossero transitate in migrazione di ritorno. Per l'Italia, io stesso ho raccolto questi dati, essendo stato incaricato dal Ministero dell'ambiente, a suo tempo. I dati, lo ripeto, sono stati prodotti tra il 1998 e il 2001. Comunque, nel documento specifico, vi è una spiegazione del come, perché e quando questo esercizio è stato svolto, contenuta nel preambolo, il quale, quindi, inserisce tale problema nel contesto relativo alle esigenze poste dalla direttiva comunitaria in materia di uccelli.
Relativamente a quanto da me affermato nella precedente seduta, riferisco le conclusioni della Commissione.
Sulla base degli elementi forniti nel documento prodotto dall'Università di Firenze, sia nella sua versione originale sia in quella aggiornata (distribuita in occasione dell'incontro; proprio durante quest'ultimo l'Università di Firenze produsse infatti una nuova versione), come anche delle discussioni svoltesi nel corso dell'incontro, si può concludere - è ciò che afferma la Commissione - che non vi sono nuovi dati scientifici che meritino di determinare, in Italia, una modifica delle date di inizio dei periodi di migrazione prenuziale, né di quelle di termine della riproduzione per le specie di uccelli, di cui all'allegato 2. Questa è la conclusione a cui è giunta la Commissione europea.
In occasione dell'incontro di cui si parla, era presente anche il dottor Micali, che si qualificava come rappresentante della FACE e che non produsse in quell'occasione alcuno studio specifico. In quanto esperto italiano, ho cercato, finché ho potuto e per ciò che sono riuscito a fare, di verificare tutta la bibliografia italiana esistente; attualmente, nell'ambito del documento ORNIS, la bibliografia italiana (potete verificarlo) è una delle più estese a livello europeo. Evidentemente, si tratta di un processo in svolgimento e in continuo, potenziale aggiornamento. La letteratura scientifica viene quindi seguita in tempo reale.
Per quanto riguarda la Sardegna, nella seconda pagina del resoconto si parla della distribuzione geografica dei siti di inanellamento e ricattura presenti nella banca dati italiana, mentre, per quanto riguarda il numero variabile su base annuale di siti attivi in Sardegna, il numero che trovate è quello dei siti che hanno prodotto dati di inanellamento della Sardegna in ciascuno degli anni. Ciò vuol dire che, in anni diversi, nell'ambito del numero di siti indicato, possono essere ampiamente rappresentate le medesime stazioni. In sostanza, non si tratta ogni volta di stazioni che si aggiungono e il totale è appunto di 163 stazioni, così come riportato nella tabella riassuntiva nella colonna relativa al numero totale delle stazioni dal 1982 al 2001.
FRANCESCO ONNIS. Il dottor Spina ha affermato che il dottor Giuseppe Micali si era qualificato come rappresentante della FACE. Anch'io sono in possesso della relazione intitolata «Note sull'incontro del 10 dicembre 2002» e, alla prima pagina, risulta che il dottor Giuseppe Micali ed altri erano presenti in rappresentanza della FACE. In pratica, il dottor Micali non si è soltanto qualificato ma è stato sentito ed ha partecipato all'incontro come rappresentante della FACE.
FERNANDO SPINA, Dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. Mi scuso se ho utilizzato un termine non corretto, ma intendevo questo.
PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15,25.
Normativa nazionale
L. 6
dicembre 1991, n. 394
Legge quadro sulle aree protette
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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 13 dicembre 1991, n. 292, S.O.
(1/circ) Con riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti istruzioni:
- Ministero del tesoro: Circ. 15 gennaio 1999, n. 3;
- Ministero dell'economia e delle finanze: Ris. 21 luglio 2003, n. 155/E;
- Ministero della pubblica istruzione: Circ. 17 dicembre 1996, n. 752.
TITOLO I
Principi generali
1. Finalità e ambito della legge.
1. La presente legge, in attuazione degli articoli 9 e 32 della Costituzione e nel rispetto degli accordi internazionali, detta princìpi fondamentali per l'istituzione e la gestione delle aree naturali protette, al fine di garantire e di promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del paese.
2. Ai fini della presente legge costituiscono il patrimonio naturale le formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche, o gruppi di esse, che hanno rilevante valore naturalistico e ambientale.
3. I territori nei quali siano presenti i valori di cui al comma 2, specie se vulnerabili, sono sottoposti ad uno speciale regime di tutela e di gestione, allo scopo di perseguire, in particolare, le seguenti finalità:
a) conservazione di specie animali o vegetali, di associazioni vegetali o forestali, di singolarità geologiche, di formazioni paleontologiche, di comunità biologiche, di biotopi, di valori scenici e panoramici, di processi naturali, di equilibri idraulici e idrogeologici, di equilibri ecologici;
b) applicazione di metodi di gestione o di restauro ambientale idonei a realizzare una integrazione tra uomo e ambiente naturale, anche mediante la salvaguardia dei valori antropologici, archeologici, storici e architettonici e delle attività agro-silvo-pastorali e tradizionali;
c) promozione di attività di educazione, di formazione e di ricerca scientifica, anche interdisciplinare, nonché di attività ricreative compatibili;
d) difesa e ricostituzione degli equilibri idraulici e idrogeologici.
4. I territori sottoposti al regime di tutela e di gestione di cui al comma 3 costituiscono le aree naturali protette. In dette aree possono essere promosse la valorizzazione e la sperimentazione di attività produttive compatibili.
5. Nella tutela e nella gestione delle aree naturali protette, lo Stato, le regioni e gli enti locali attuano forme di cooperazione e di intesa ai sensi dell'articolo 81 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (2), e dell'articolo 27 della L. 8 giugno 1990, n. 142 (3). Per le medesime finalità lo Stato, le regioni, gli enti locali, altri soggetti pubblici e privati e le Comunità del parco possono altresì promuovere i patti territoriali di cui all'articolo 2, comma 203, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (4).
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(2) Riportato alla voce Regioni.
(3) Riportata alla voce Comuni e province.
(4) Periodo aggiunto dall'art. 2, comma 21, L. 9 dicembre 1998, n. 426, riportata al n. LXXIV.
1-bis. Programmi nazionali e politiche di sistema.
1. Il Ministro dell'ambiente promuove, per ciascuno dei sistemi territoriali dei parchi dell'arco alpino, dell'Appennino, delle isole e di aree marine protette, accordi di programma per lo sviluppo di azioni economiche sostenibili con particolare riferimento ad attività agro-silvopastorali tradizionali, dell'agriturismo e del turismo ambientale con i Ministri per le politiche agricole, dell'industria, del commercio e dell'artigianato, del lavoro e della previdenza sociale e per i beni culturali e ambientali, con le regioni e con altri soggetti pubblici e privati. 2. Il Ministro dell'ambiente, sentito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, degli Enti parco interessati e delle associazioni ambientalistiche maggiormente rappresentative, individua altresì le risorse finanziarie nazionali e comunitarie, impiegabili nell'attuazione degli accordi di programma di cui al comma 1 (5).
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(5) Articolo aggiunto dall'art. 2, comma 22, L. 9 dicembre 1998, n. 426, riportata al n. LXXIV.
2. Classificazione delle aree naturali protette.
1. I parchi nazionali sono costituiti da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono uno o più ecosistemi intatti o anche parzialmente alterati da interventi antropici, una o più formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche, biologiche, di rilievo internazionale o nazionale per valori naturalistici, scientifici, estetici, culturali, educativi e ricreativi tali da richiedere l'intervento dello Stato ai fini della loro conservazione per le generazioni presenti e future.
2. I parchi naturali regionali sono costituiti da aree terrestri, fluviali, lacuali ed eventualmente da tratti di mare prospicienti la costa, di valore naturalistico e ambientale, che costituiscono, nell'ambito di una o più regioni limitrofe, un sistema omogeneo individuato dagli assetti naturali dei luoghi, dai valori paesaggistici ed artistici e dalle tradizioni culturali delle popolazioni locali.
3. Le riserve naturali sono costituite da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono una o più specie naturalisticamente rilevanti della flora e della fauna, ovvero presentino uno o più ecosistemi importanti per le diversità biologiche o per la conservazione delle risorse genetiche. Le riserve naturali possono essere statali o regionali in base alla rilevanza degli interessi in esse rappresentati.
4. Con riferimento all'ambiente marino, si distinguono le aree protette come definite ai sensi del protocollo di Ginevra relativo alle aree del Mediterraneo particolarmente protette di cui alla L. 5 marzo 1985, n. 127 (6), e quelle definite ai sensi della L. 31 dicembre 1982, n. 979 (7).
5. Il Comitato per le aree naturali protette di cui all'articolo 3 può operare ulteriori classificazioni per le finalità della presente legge ed allo scopo di rendere efficaci i tipi di protezione previsti dalle convenzioni internazionali ed in particolare dalla convenzione di Ramsar di cui al D.P.R. 13 marzo 1976, n. 448 (8).
6. La classificazione delle aree naturali protette di rilievo internazionale e nazionale, qualora rientrino nel territorio delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, ha luogo d'intesa con le regioni e le province stesse secondo le procedure previste dalle norme di attuazione dei rispettivi statuti d'autonomia e, per la regione Valle d'Aosta, secondo le procedure di cui all'articolo 3 della L. 5 agosto 1981, n. 453 (9).
7. La classificazione e l'istituzione dei parchi nazionali e delle riserve naturali statali, terrestri, fluviali e lacuali, sono effettuate d'intesa con le regioni (10).
8. La classificazione e l'istituzione dei parchi e delle riserve naturali di interesse regionale e locale sono effettuate dalle regioni.
9. Ciascuna area naturale protetta ha diritto all'uso esclusivo della propria denominazione.
9-bis. I limiti geografici delle aree protette marine entro i quali è vietata la navigazione senza la prescritta autorizzazione sono definiti secondo le indicazioni dell'Istituto idrografico della Marina e individuati sul territorio con mezzi e strumenti di segnalazione conformi alla normativa emanata dall'Association Internationale de Signalisation Maritime-International Association of Marine Aids to Navigation and Lighthouse Authorities (AISM-IALA) (10/a).
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(6) Recante ratifica del protocollo relativo alle aree specialmente protette del Mediterraneo, aperto alla firma a Ginevra il 3 aprile 1982.
(7) Riportata alla voce Marina mercantile.
(8) Riportato alla voce Ministero per i beni culturali e ambientali.
(9) Riportata alla voce Valle d'Aosta.
(10) Comma così sostituito dall'art. 2, comma 23, L. 9 dicembre 1998, n. 426, riportata al n. LXXIV.
(10/a) Comma aggiunto dall'art. 4, L. 8 luglio 2003, n. 172.
3. Comitato per le aree naturali protette e Consulta tecnica per le aree naturali protette.
1. È istituito il Comitato per le aree naturali protette, di seguito denominato «Comitato», costituito dai Ministri dell'ambiente, che lo presiede, dell'agricoltura e delle foreste, della marina mercantile, per i beni culturali e ambientali, dei lavori pubblici e dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, o da sottosegretari delegati, e da sei presidenti di regione o provincia autonoma, o assessori delegati, designati, per un triennio, dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Alle riunioni del Comitato partecipano, con voto consultivo, i presidenti, o gli assessori delegati, delle regioni nel cui territorio ricade l'area protetta, ove non rappresentate. Alla costituzione del Comitato provvede il Ministro dell'ambiente con proprio decreto.
2. Il Comitato identifica, sulla base della Carta della natura di cui al comma 3, le linee fondamentali dell'assetto del territorio con riferimento ai valori naturali ed ambientali, che sono adottate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente, previa deliberazione del Comitato.
3. La Carta della natura è predisposta dai servizi tecnici nazionali di cui alla legge 18 maggio 1989, n. 183 (11), in attuazione degli indirizzi del Comitato. Essa integrando, coordinando ed utilizzando i dati disponibili relativi al complesso delle finalità di cui all'articolo 1, comma 1, della presente legge, ivi compresi quelli della Carta della montagna di cui all'articolo 14 della legge 3 dicembre 1971, n. 1102 (12), individua lo stato dell'ambiente naturale in Italia, evidenziando i valori naturali e i profili di vulnerabilità territoriale. La Carta della natura è adottata dal Comitato su proposta del Ministro dell'ambiente. Per l'attuazione del presente comma è autorizzata la spesa di lire 5 miliardi nel 1992, lire 5 miliardi nel 1993 e lire 10 miliardi nel 1994 (13).
4. Il Comitato svolge, in particolare, i seguenti compiti:
a) integra la classificazione delle aree protette, sentita la Consulta di cui al comma 7;
b) adotta il programma per le aree naturali protette di rilievo internazionale e nazionale di cui all'articolo 4, sentita la Consulta di cui al comma 7 del presente articolo, nonché le relative direttive per l'attuazione e le modifiche che si rendano necessarie;
c) approva l'elenco ufficiale delle aree naturali protette.
5. Il Ministro dell'ambiente convoca il Comitato almeno due volte l'anno, provvede all'attuazione delle deliberazioni adottate e riferisce sulla loro esecuzione.
6. Ove sull'argomento in discussione presso il Comitato non si raggiunga la maggioranza, il Ministro dell'ambiente rimette la questione al Consiglio dei ministri, che decide in merito.
7. È istituita la Consulta tecnica per le aree naturali protette, di seguito denominata «Consulta», costituita da nove esperti particolarmente qualificati per l'attività e per gli studi realizzati in materia di conservazione della natura, nominati, per un quinquennio, dal Ministro dell'ambiente, di cui tre scelti in una rosa di nomi presentata dalle associazioni di protezione ambientale presenti nel Consiglio nazionale per l'ambiente, tre scelti, ciascuno, sulla base di rose di nomi rispettivamente presentate dall'Accademia nazionale dei Lincei, dalla Società botanica italiana e dall'Unione zoologica italiana, uno designato dal Consiglio nazionale delle ricerche e due scelti in una rosa di nomi proposta dai presidenti dei parchi nazionali e regionali. Per l'attuazione del presente comma è autorizzata una spesa annua fino a lire 600 milioni a partire dall'anno 1991.
8. La Consulta esprime pareri per i profili tecnico-scientifici in materia di aree naturali protette, di sua iniziativa o su richiesta del Comitato o del Ministro dell'ambiente.
9. Le funzioni di istruttoria e di segreteria del Comitato e della Consulta sono svolte, nell'ambito del servizio conservazione della natura del Ministero dell'ambiente, da una segreteria tecnica composta da un contingente di personale stabilito, entro il limite complessivo di cinquanta unità, con decreto del Ministro dell'ambiente di concerto con il Ministro del tesoro e con il Ministro per gli affari regionali (14). Il predetto contingente è composto mediante apposito comando di dipendenti dei Ministeri presenti nel Comitato, delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, nonché di personale di enti pubblici anche economici, ai quali è corrisposta una indennità stabilita con decreto del Ministro dell'ambiente di concerto con il Ministro del tesoro. Fanno parte del contingente non più di venti esperti di elevata qualificazione, assunti con contratto a termine di durata non superiore al biennio e rinnovabile per eguale periodo, scelti con le modalità di cui agli articoli 3 e 4 del decreto-legge 24 luglio 1973, n. 428 (15), convertito dalla legge 4 agosto 1973, n. 497. Con proprio decreto il Ministro dell'ambiente, sentiti i Ministri che fanno parte del Comitato, disciplina l'organizzazione della segreteria tecnica. Per l'attuazione del presente comma è autorizzata una spesa annua fino a lire 3,4 miliardi a partire dall'anno 1991 (16).
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(11) Riportata al n. XI.
(12) Riportata alla voce Boschi, foreste e territori montani.
(13) Con Del. 2 dicembre 1996 (Gazz. Uff. 20 giugno 1997, n. 142) il Comitato per le aree naturali protette ha approvato il programma operativo per la Carta della natura. La Corte costituzionale, con sentenza 13-22 ottobre 1999, n. 389 (Gazz. Uff. 27 ottobre 1999, n. 43, serie speciale), ha dichiarato che non spetta allo Stato, e per esso al Comitato per le aree naturali protette, non accogliere le richieste di iscrizione nell'Elenco ufficiale delle aree naturali protette di sette parchi naturali provinciali e di dodici riserve naturali già individuati dalla Provincia di Bolzano, sotto il profilo che in tali aree «le deroghe al divieto di cui al comma 3 punto a) dell'art. 11 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 non siano esplicitamente riconducibili a quanto indicato dal comma 4, art. 11 della legge medesima; di conseguenza ha annullato, nella parte corrispondente, la suddetta deliberazione 2 dicembre 1996».
(14) Per l'aumento del contingente di personale della segreteria tecnica vedi l'art. 4, comma 12, L. 8 ottobre 1997, n. 344, riportata al n. LXIII.
(15) Riportato alla voce Ministero del bilancio e della programmazione economica.
(16) Per la soppressione del comitato di cui al presente articolo vedi il D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, riportato alla voce Regioni.
4. Programma triennale per le aree naturali protette.
1. Il programma triennale per le aree naturali protette, di seguito denominato «programma», sulla base delle linee fondamentali di cui all'articolo 3, comma 2, dei dati della Carta della natura e delle disponibilità finanziarie previste dalla legge dello Stato:
a) specifica i territori che formano oggetto del sistema delle aree naturali protette di interesse internazionale, nazionale e regionale quali individuate nelle vigenti disposizioni di legge, statali e regionali, operando la necessaria delimitazione dei confini;
b) indica il termine per l'istituzione di nuove aree naturali protette o per l'ampliamento e la modifica di quelle esistenti, individuando la delimitazione di massima delle aree stesse;
c) definisce il riparto delle disponibilità finanziarie per ciascuna area e per ciascun esercizio finanziario, ivi compresi i contributi in conto capitale per l'esercizio di attività agricole compatibili, condotte con sistemi innovativi ovvero con recupero di sistemi tradizionali, funzionali alla protezione ambientale, per il recupero e il restauro delle aree di valore naturalistico degradate, per il restauro e l'informazione ambientali;
d) prevede contributi in conto capitale per le attività nelle aree naturali protette istituite dalle regioni con proprie risorse, nonché per progetti delle regioni relativi all'istituzione di dette aree;
e) determina i criteri e gli indirizzi ai quali debbono uniformarsi lo Stato, le regioni e gli organismi di gestione delle aree protette nell'attuazione del programma per quanto di loro competenza, ivi compresi i compiti relativi alla informazione ed alla educazione ambientale delle popolazioni interessate, sulla base dell'esigenza di unitarietà delle aree da proteggere.
2. Il programma è redatto anche sulla base delle indicazioni di cui all'articolo 1 della legge 31 dicembre 1982, n. 979 (17).
3. Il programma fissa inoltre criteri di massima per la creazione o l'ampliamento di altre aree naturali protette di interesse locale e di aree verdi urbane e suburbane, prevedendo contributi a carico dello Stato per la loro istituzione o per il loro ampliamento a valere sulle disponibilità esistenti.
4. La realizzazione delle previsioni del programma di cui al comma 3, avviene a mezzo di intese, eventualmente promosse dal Ministro dell'ambiente, tra regioni ed enti locali, sulla base di specifici metodi e criteri indicati nel programma triennale dell'azione pubblica per la tutela dell'ambiente di cui alla legge 28 agosto 1989, n. 305 (18). L'osservanza dei predetti criteri è condizione per la concessione di finanziamenti ai sensi della presente legge.
5. Proposte relative al programma possono essere presentate al Comitato da ciascun componente del Comitato stesso, dagli altri Ministri, da regioni non facenti parte del Comitato e dagli enti locali, ivi comprese le comunità montane. Le proposte per l'istituzione di nuove aree naturali protette o per l'ampliamento di aree naturali protette esistenti possono essere altresì presentate al Comitato, tramite il Ministro dell'ambiente, dalle associazioni di protezione ambientale individuate ai sensi dell'articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349 (19), ovvero da cinquemila cittadini iscritti nelle liste elettorali.
6. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro dell'ambiente presenta la proposta di programma al Comitato il quale delibera entro i successivi sei mesi. Il programma è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Il programma ha durata triennale ed è aggiornato annualmente con la stessa procedura. In sede di attuazione del primo programma triennale, il programma stesso finalizza non meno di metà delle risorse di cui al comma 9 ai parchi e riserve regionali esistenti, a quelli da istituire e a quelli da ampliare. Esso ripartisce le altre risorse disponibili per le finalità compatibili con la presente legge ed in particolare con quelle degli articoli 7, 12, 14 e 15, ed è predisposto sulla base degli elementi conoscitivi e tecnico-scientifici esistenti presso i servizi tecnici nazionali e le amministrazioni statali e regionali.
7. Qualora il programma non venga adottato dal Comitato nel termine previsto dal comma 6, si provvede con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente.
8. In vista della formulazione del programma è autorizzata la spesa da parte del Ministero dell'ambiente di lire 22,9 miliardi per il 1991 e lire 12 miliardi per il 1992 per l'avvio delle attività connesse alla predisposizione della Carta della natura nonché per attività di informazione ed educazione ambientale.
9. Per l'attuazione del programma ed in particolare per la redazione del piano per il parco di cui all'articolo 12, per le iniziative per la promozione economica e sociale di cui all'articolo 14, per acquisti, espropriazioni e indennizzi di cui all'articolo 15, nonché per interventi connessi a misure provvisorie di salvaguardia e primi interventi di riqualificazione ed interventi urgenti per la valorizzazione e fruibilità delle aree, è autorizzata la spesa di lire 110 miliardi per il 1992, lire 110 miliardi per il 1993 e lire 92 miliardi per il 1994 (20).
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(17) Riportata alla voce Marina mercantile.
(18) Riportata al n. XIII.
(19) Riportata al n. I.
(20) Per la soppressione del programma triennale per le aree naturali protette vedi l'art. 76, D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, riportato alla voce Regioni.
5. Attuazione del programma; poteri sostitutivi.
1. Il Ministro dell'ambiente vigila sull'attuazione del programma e propone al Comitato le variazioni ritenute necessarie. In caso di ritardi nell'attuazione del programma tali da pregiudicarne gravemente le finalità, il Ministro dell'ambiente, sentita la Consulta, indica gli adempimenti e le misure necessarie e fissa un termine per la loro adozione decorso il quale, previo parere del Comitato, rimette la questione al Consiglio dei ministri che provvede in via sostitutiva anche attraverso la nomina di commissari ad acta.
2. Il Ministro dell'ambiente provvede a tenere aggiornato l'elenco ufficiale delle aree protette e rilascia le relative certificazioni. A tal fine le regioni e gli altri soggetti pubblici o privati che attuano forme di protezione naturalistica di aree sono tenuti ad informare il Ministro dell'ambiente secondo le modalità indicate dal Comitato.
3. L'iscrizione nell'elenco ufficiale delle aree protette è condizione per l'assegnazione di contributi a carico dello Stato.
6. Misure di salvaguardia.
1. In caso di necessità ed urgenza il Ministro dell'ambiente e le regioni, secondo le rispettive competenze, possono individuare aree da proteggere ai sensi della presente legge ed adottare su di esse misure di salvaguardia. Per quanto concerne le aree protette marine detti poteri sono esercitati dal Ministro dell'ambiente di concerto con il Ministro della marina mercantile. Nei casi previsti dal presente comma la proposta d'istituzione dell'area protetta e le relative misure di salvaguardia devono essere esaminate dal Comitato nella prima seduta successiva alla pubblicazione del provvedimento di individuazione dell'area stessa. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 5 della legge 8 luglio 1986, n. 349 (21), in materia di individuazione di zone di importanza naturalistica nazionale ed internazionale, nonché dall'articolo 7 della legge 3 marzo 1987, n. 59 (22).
2. Dalla pubblicazione del programma fino all'istituzione delle singole aree protette operano direttamente le misure di salvaguardia di cui al comma 3 nonché le altre specifiche misure eventualmente individuate nel programma stesso e si applicano le misure di incentivazione di cui all'articolo 7.
3. Sono vietati fuori dei centri edificati di cui all'articolo 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (23), e, per gravi motivi di salvaguardia ambientale, con provvedimento motivato, anche nei centri edificati, l'esecuzione di nuove costruzioni e la trasformazione di quelle esistenti, qualsiasi mutamento dell'utilizzazione dei terreni con destinazione diversa da quella agricola e quant'altro possa incidere sulla morfologia del territorio, sugli equilibri ecologici, idraulici ed idrogeotermici e sulle finalità istitutive dell'area protetta. In caso di necessità ed urgenza, il Ministro dell'ambiente, con provvedimento motivato, sentita la Consulta, può consentire deroghe alle misure di salvaguardia in questione, prescrivendo le modalità di attuazione di lavori ed opere idonei a salvaguardare l'integrità dei luoghi e dell'ambiente naturale. Resta ferma la possibilità di realizzare interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria di cui alle lettere a) e b) del primo comma dell'articolo 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457 (23), dandone comunicazione al Ministro dell'ambiente e alla regione interessata.
4. Dall'istituzione della singola area protetta sino all'approvazione del relativo regolamento operano i divieti e le procedure per eventuali deroghe di cui all'articolo 11.
5. Per le aree protette marine le misure di salvaguardia sono adottate ai sensi dell'articolo 7 della legge 3 marzo 1987, n. 59 (22).
6. L'inosservanza delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 comporta la riduzione in pristino dei luoghi e la eventuale ricostituzione delle specie vegetali ed animali danneggiate a spese dell'inadempiente. Sono solidalmente responsabili per le spese il committente, il titolare dell'impresa e il direttore dei lavori in caso di costruzione e trasformazione di opere. Accertata l'inosservanza, il Ministro dell'ambiente o l'autorità di gestione ingiunge al trasgressore l'ordine di riduzione in pristino e, ove questi non provveda entro il termine assegnato, che non può essere inferiore a trenta giorni, dispone l'esecuzione in danno degli inadempienti secondo la procedura di cui ai commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 27 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (24), ovvero avvalendosi del Corpo forestale dello Stato o del nucleo operativo ecologico di cui al comma 4 dell'articolo 8 della legge 8 luglio 1986, n. 349 (21). La nota relativa alle spese è resa esecutiva dal Ministro dell'ambiente ed è riscossa ai sensi del testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, approvato con regio decreto 14 aprile 1910, n. 639 (25).
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(21) Riportata al n. I.
(22) Riportata al n. IV.
(23) Riportata alla voce Case popolari ed economiche.
(24) Riportata alla voce Urbanistica.
(25) Riportato alla voce Riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato.
7. Misure di incentivazione.
1. Ai comuni ed alle province il cui territorio è compreso, in tutto o in parte, entro i confini di un parco nazionale, e a quelli il cui territorio è compreso, in tutto o in parte, entro i confini di un parco naturale regionale è, nell'ordine, attribuita priorità nella concessione di finanziamenti dell'Unione europea, statali e regionali richiesti per la realizzazione, sul territorio compreso entro i confini del parco stesso, dei seguenti interventi, impianti ed opere previsti nel piano per il parco di cui, rispettivamente, agli articoli 12 e 25 (26):
a) restauro dei centri storici ed edifici di particolare valore storico e culturale;
b) recupero dei nuclei abitati rurali;
c) opere igieniche ed idropotabili e di risanamento dell'acqua, dell'aria e del suolo;
d) opere di conservazione e di restauro ambientale del territorio, ivi comprese le attività agricole e forestali;
e) attività culturali nei campi di interesse del parco;
f) agriturismo;
g) attività sportive compatibili;
h) strutture per la utilizzazione di fonti energetiche a basso impatto ambientale quali il metano e altri gas combustibili nonché interventi volti a favorire l'uso di energie rinnovabili.
2. Il medesimo ordine di priorità di cui al comma 1 è attribuito ai privati, singoli od associati, che intendano realizzare iniziative produttive o di servizio compatibili con le finalità istitutive del parco nazionale o naturale regionale.
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(26) Alinea così modificato dall'art. 2, comma 8, L. 9 dicembre 1998, n. 426, riportata al n. LXXIV.
TITOLO II
Aree naturali protette nazionali
8. Istituzione delle aree naturali protette nazionali.
1. I parchi nazionali individuati e delimitati secondo le modalità di cui all'articolo 4 sono istituiti e delimitati in via definitiva con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'ambiente, sentita la regione.
2. Le riserve naturali statali, individuate secondo le modalità di cui all'articolo 4, sono istituite con decreto del Ministro dell'ambiente, sentita la regione.
3. Qualora il parco o la riserva interessi il territorio di una regione a statuto speciale o provincia autonoma si procede di intesa.
4. Qualora il parco o la riserva interessi il territorio di più regioni, ivi comprese quelle a statuto speciale o province autonome, è comunque garantita una configurazione ed una gestione unitaria.
5. Con il provvedimento che istituisce il parco o la riserva naturale possono essere integrate, sino alla entrata in vigore della disciplina di ciascuna area protetta, le misure di salvaguardia introdotte ai sensi dell'articolo 6.
6. Salvo quanto previsto dall'articolo 34, commi 1 e 2, e dall'articolo 35, commi 1, 3, 4 e 5, alla istituzione di enti parco si provvede sulla base di apposito provvedimento legislativo.
7. Le aree protette marine sono istituite in base alle disposizioni di cui all'articolo 18.
9. Ente parco.
1. L'Ente parco ha personalità di diritto pubblico, sede legale e amministrativa nel territorio del parco ed è sottoposto alla vigilanza del Ministro dell'ambiente (27).
2. Sono organi dell'Ente:
a) il Presidente;
b) il Consiglio direttivo;
c) la Giunta esecutiva;
d) il Collegio dei revisori dei conti;
e) la Comunità del parco.
3. Il Presidente è nominato con decreto del Ministro dell'ambiente, d'intesa con i presidenti delle regioni o delle province autonome di Trento e di Bolzano nel cui territorio ricada in tutto o in parte il parco nazionale. Il Presidente ha la legale rappresentanza dell'Ente parco, ne coordina l'attività, esplica le funzioni che gli sono delegate dal Consiglio direttivo, adotta i provvedimenti urgenti ed indifferibili che sottopone alla ratifica del Consiglio direttivo nella seduta successiva.
4. Il Consiglio direttivo è formato dal Presidente e da dodici componenti, nominati con decreto del Ministro dell'ambiente, sentite le regioni interessate, scelti tra persone particolarmente qualificate per le attività in materia di conservazione della natura o tra i rappresentanti della Comunità del parco di cui all'articolo 10, secondo le seguenti modalità:
a) cinque, su designazione della Comunità del parco, con voto limitato;
b) due, su designazione delle associazioni di protezione ambientale individuate ai sensi dell'articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349, scelti tra esperti in materia naturalisticoambientale;
c) due, su designazione dell'Accademia nazionale dei Lincei, della Società botanica italiana, dell'Unione zoologica italiana, del Consiglio nazionale delle ricerche e delle Università degli studi con sede nelle province nei cui territori ricade il parco; in caso di designazione di un numero superiore a due la scelta tra i soggetti indicati è effettuata dal Ministro dell'ambiente;
d) uno, su designazione del Ministro dell'agricoltura e delle foreste;
e) due, su designazione del Ministro dell'ambiente.
5. Le designazioni sono effettuate entro quarantacinque giorni dalla richiesta del Ministro dell'ambiente. Qualora siano designati membri dalla Comunità del parco sindaci di un comune oppure presidenti di una comunità montana, di una provincia o di una regione presenti nella Comunità del parco, la cessazione dalla predetta carica a qualsiasi titolo comporta la decadenza immediata dall'incarico di membro del consiglio direttivo e il conseguente rinnovo della designazione. La stessa norma si applica nei confronti degli assessori e dei consiglieri degli stessi enti (28).
6. Il Consiglio direttivo elegge al proprio interno un vice presidente scelto tra i membri designati dalla Comunità del parco ed una Giunta esecutiva formata da cinque componenti, compreso il Presidente, secondo le modalità e con le funzioni stabilite nello statuto dell'Ente parco (29).
7. Il Consiglio direttivo è legittimamente insediato quando sia nominata la maggioranza dei suoi componenti.
8. Il Consiglio direttivo delibera in merito a tutte le questioni generali ed in particolare sui bilanci, che sono approvati dal Ministro dell'ambiente di concerto con il Ministro del tesoro, sui regolamenti e sulla proposta di piano per il parco di cui all'articolo 12, esprime parere vincolante sul piano pluriennale economico e sociale di cui all'articolo 14 (29).
8-bis. Lo statuto dell'Ente è deliberato dal consiglio direttivo, sentito il parere della Comunità del parco ed è trasmesso al Ministero dell'ambiente che ne verifica la legittimità e può richiederne il riesame entro sessanta giorni dal ricevimento. L'Ente parco deve controdedurre entro sessanta giorni dal ricevimento alle eventuali osservazioni di legittimità del Ministero dell'ambiente, con deliberazione del consiglio direttivo. Il Ministro dell'ambiente adotta lo statuto con proprio decreto entro i successivi trenta giorni (30).
9. Lo statuto dell'Ente definisce in ogni caso l'organizzazione interna, le modalità di partecipazione popolare, le forme di pubblicità degli atti.
10. Il Collegio dei revisori dei conti esercita il riscontro contabile sugli atti dell'Ente parco secondo le norme di contabilità dello Stato e sulla base dei regolamenti di contabilità dell'Ente parco, approvati dal Ministro del tesoro di concerto con il Ministro dell'ambiente. Il Collegio dei revisori dei conti è nominato con decreto del Ministro del tesoro ed è formato da tre componenti scelti tra funzionari della Ragioneria generale dello Stato ovvero tra iscritti nel ruolo dei revisori ufficiali dei conti. Essi sono designati: due dal Ministro del tesoro, di cui uno in qualità di Presidente del Collegio; uno dalla regione o, d'intesa, dalle regioni interessate.
11. Il direttore del parco è nominato, con decreto, dal Ministro dell'ambiente, scelto in una rosa di tre candidati proposti dal consiglio direttivo tra soggetti iscritti ad un albo di idonei all'esercizio dell'attività di direttore di parco istituito presso il Ministero dell'ambiente, al quale si accede mediante procedura concorsuale per titoli. Il presidente del parco provvede a stipulare con il direttore nominato un apposito contratto di diritto privato per una durata non superiore a cinque anni (31).
12. Gli organi dell'Ente parco durano in carica cinque anni ed i membri possono essere confermati una sola volta.
13. Agli Enti parco si applicano le disposizioni di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70; essi si intendono inseriti nella tabella IV allegata alla medesima legge.
14. La pianta organica di ogni Ente parco è commisurata alle risorse finalizzate alle spese per il personale ad esso assegnate. Per le finalità di cui alla presente legge è consentito l'impiego di personale tecnico e di manodopera con contratti a tempo determinato ed indeterminato ai sensi dei contratti collettivi di lavoro vigenti per il settore agricolo-forestale.
15. Il Consiglio direttivo può nominare appositi comitati di consulenza o avvalersi di consulenti per problemi specifici nei settori di attività dell'Ente parco (32).
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(27) Vedi, anche, l'art. 80, comma 25, L. 27 dicembre 2002, n. 289.
(28) Gli ultimi due periodi sono stati aggiunti dall'art. 2, comma 24, L. 9 dicembre 1998, n. 426, riportata al n. LXXIV.
(29) Comma così modificato dall'art. 2, comma 24, L. 9 dicembre 1998, n. 426, riportata al n. LXXIV.
(30) Comma aggiunto dall'art. 2, comma 24, L. 9 dicembre 1998, n. 426, riportata al n. LXXIV.
(31) Comma così sostituito dall'art. 2, comma 25, L. 9 dicembre 1998, n. 426, riportata al n. LXXIV. Con D.M. 2 novembre 2000 (Gazz. Uff. 29 dicembre 2000, n. 302) sono state emanate norme relative all'albo degli idonei all'esercizio dell'attività di direttore di parco.
(32) In deroga a quanto disposto dal presente articolo vedi l'art. 80, comma 25, L. 27 dicembre 2002, n. 289.
10. Comunità del parco.
1. La Comunità del parco è costituita dai presidenti delle regioni e delle province, dai sindaci dei comuni e dai presidenti delle comunità montane nei cui territori sono ricomprese le aree del parco.
2. La Comunità del parco è organo consultivo e propositivo dell'Ente parco. In particolare, il suo parere è obbligatorio:
a) sul regolamento del parco di cui all'articolo 11;
b) sul piano per il parco di cui all'articolo 12;
c) su altre questioni, a richiesta di un terzo dei componenti del Consiglio direttivo;
d) sul bilancio e sul conto consuntivo;
d-bis) sullo statuto dell'Ente parco (33).
3. La Comunità del parco delibera, previo parere vincolante del Consiglio direttivo, il piano pluriennale economico e sociale di cui all'articolo 14 e vigila sulla sua attuazione; adotta altresì il proprio regolamento.
4. La Comunità del parco elegge al suo interno un Presidente e un Vice Presidente. È convocata dal Presidente almeno due volte l'anno e quando venga richiesto dal Presidente dell'Ente parco o da un terzo dei suoi componenti.
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(33) Lettera aggiunta dall'art. 2, comma 27, L. 9 dicembre 1998, n. 426, riportata al n. LXXIV.
11. Regolamento del parco.
1. Il regolamento del parco disciplina l'esercizio delle attività consentite entro il territorio del parco ed è adottato dall'Ente parco, anche contestualmente all'approvazione del piano per il parco di cui all'articolo 12 e comunque non oltre sei mesi dall'approvazione del medesimo.
2. Allo scopo di garantire il perseguimento delle finalità di cui all'articolo 1 e il rispetto delle caratteristiche naturali, paesistiche, antropologiche, storiche e culturali locali proprie di ogni parco, il regolamento del parco disciplina in particolare:
a) la tipologia e le modalità di costruzione di opere e manufatti;
b) lo svolgimento delle attività artigianali, commerciali, di servizio e agro-silvo-pastorali;
c) il soggiorno e la circolazione del pubblico con qualsiasi mezzo di trasporto;
d) lo svolgimento di attività sportive, ricreative ed educative;
e) lo svolgimento di attività di ricerca scientifica e biosanitaria;
f) i limiti alle emissioni sonore, luminose o di altro genere, nell'ambito della legislazione in materia;
g) lo svolgimento delle attività da affidare a interventi di occupazione giovanile, di volontariato, con particolare riferimento alle comunità terapeutiche, e al servizio civile alternativo;
h) l'accessibilità nel territorio del parco attraverso percorsi e strutture idonee per disabili, portatori di handicap e anziani (34).
2-bis. Il regolamento del parco valorizza altresì gli usi, i costumi, le consuetudini e le attività tradizionali delle popolazioni residenti sul territorio, nonché le espressioni culturali proprie e caratteristiche dell'identità delle comunità locali e ne prevede la tutela anche mediante disposizioni che autorizzino l'esercizio di attività particolari collegate agli usi, ai costumi e alle consuetudini suddette, fatte salve le norme in materia di divieto di attività venatoria previste dal presente articolo (35).
3. Salvo quanto previsto dal comma 5, nei parchi sono vietate le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat. In particolare sono vietati:
a) la cattura, l'uccisione, il danneggiamento, il disturbo delle specie animali; la raccolta e il danneggiamento delle specie vegetali, salvo nei territori in cui sono consentite le attività agro-silvo-pastorali, nonché l'introduzione di specie estranee, vegetali o animali, che possano alterare l'equilibrio naturale;
b) l'apertura e l'esercizio di cave, di miniere e di discariche, nonché l'asportazione di minerali;
c) la modificazione del regime delle acque;
d) lo svolgimento di attività pubblicitarie al di fuori dei centri urbani, non autorizzate dall'Ente parco;
e) l'introduzione e l'impiego di qualsiasi mezzo di distruzione o di alterazione dei cicli biogeochimici;
f) l'introduzione, da parte di privati, di armi, esplosivi e qualsiasi mezzo distruttivo o di cattura, se non autorizzati;
g) l'uso di fuochi all'aperto;
h) il sorvolo di velivoli non autorizzato, salvo quanto definito dalle leggi sulla disciplina del volo.
4. Il regolamento del parco stabilisce altresì le eventuali deroghe ai divieti di cui al comma 3. Per quanto riguarda la lettera a) del medesimo comma 3, esso prevede eventuali prelievi faunistici ed eventuali abbattimenti selettivi, necessari per ricomporre squilibri ecologici accertati dall'Ente parco. Prelievi e abbattimenti devono avvenire per iniziativa e sotto la diretta responsabilità e sorveglianza dell'Ente parco ed essere attuati dal personale dell'Ente parco o da persone all'uopo espressamente autorizzate dall'Ente parco stesso.
5. Restano salvi i diritti reali e gli usi civici delle collettività locali, che sono esercitati secondo le consuetudini locali. Eventuali diritti esclusivi di caccia delle collettività locali o altri usi civici di prelievi faunistici sono liquidati dal competente commissario per la liquidazione degli usi civici ad istanza dell'Ente parco.
6. Il regolamento del parco è approvato dal Ministro dell'ambiente, previo parere degli enti locali interessati, da esprimersi entro quaranta giorni dalla richiesta, e comunque d'intesa con le regioni e le province autonome interessate; il regolamento acquista efficacia novanta giorni dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Entro tale termine i comuni sono tenuti ad adeguare alle sue previsioni i propri regolamenti. Decorso inutilmente il predetto termine le disposizioni del regolamento del parco prevalgono su quelle del comune, che è tenuto alla loro applicazione (36).
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(34) Comma così modificato dall'art. 2, comma 28, L. 9 dicembre 1998, n. 426, riportata al n. LXXIV.
(35) Comma aggiunto dall'art. 2, comma 28, L. 9 dicembre 1998, n. 426, riportata al n. LXXIV.
(36) Comma così modificato dall'art. 2, comma 28, L. 9 dicembre 1998, n. 426, riportata al n. LXXIV.
11-bis. Tutela dei valori naturali storici e ambientali e iniziative per la promozione economica e sociale.
1. Il consiglio direttivo del parco e la Comunità del parco elaborano contestualmente, e attraverso reciproche consultazioni di cui agli articoli 12 e 14, il piano del parco e il piano pluriennale economico-sociale secondo le norme di cui agli stessi articoli 12 e 14 (37).
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(37) Articolo aggiunto dall'art. 2, comma 29, L. 9 dicembre 1998, n. 426, riportata al n. LXXIV.
12. Piano per il parco.
1. La tutela dei valori naturali ed ambientali nonché storici, culturali, antropologici tradizionali affidata all'Ente parco è perseguita attraverso lo strumento del piano per il parco, di seguito denominato «piano», che deve, in particolare, disciplinare i seguenti contenuti:
a) organizzazione generale del territorio e sua articolazione in aree o parti caratterizzate da forme differenziate di uso, godimento e tutela;
b) vincoli, destinazioni di uso pubblico o privato e norme di attuazione relative con riferimento alle varie aree o parti del piano;
c) sistemi di accessibilità veicolare e pedonale con particolare riguardo ai percorsi, accessi e strutture riservati ai disabili, ai portatori di handicap e agli anziani;
d) sistemi di attrezzature e servizi per la gestione e la funzione sociale del parco, musei, centri di visite, uffici informativi, aree di campeggio, attività agroturistiche;
e) indirizzi e criteri per gli interventi sulla flora, sulla fauna e sull'ambiente naturale in genere (38).
2. Il piano suddivide il territorio in base al diverso grado di protezione, prevedendo:
a) riserve integrali nelle quali l'ambiente naturale è conservato nella sua integrità;
b) riserve generali orientate, nelle quali è vietato costruire nuove opere edilizie, ampliare le costruzioni esistenti, eseguire opere di trasformazione del territorio. Possono essere tuttavia consentite le utilizzazioni produttive tradizionali, la realizzazione delle infrastrutture strettamente necessarie, nonché interventi di gestione delle risorse naturali a cura dell'Ente parco. Sono altresì ammesse opere di manutenzione delle opere esistenti, ai sensi delle lettere a) e b) del primo comma dell'articolo 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457 (39);
c) aree di protezione nelle quali, in armonia con le finalità istitutive ed in conformità ai criteri generali fissati dall'Ente parco, possono continuare, secondo gli usi tradizionali ovvero secondo metodi di agricoltura biologica, le attività agro-silvo-pastorali nonché di pesca e raccolta di prodotti naturali, ed è incoraggiata anche la produzione artigianale di qualità. Sono ammessi gli interventi autorizzati ai sensi delle lettere a), b) e c) del primo comma dell'articolo 31 della citata legge n. 457 del 1978 (39), salvo l'osservanza delle norme di piano sulle destinazioni d'uso;
d) aree di promozione economica e sociale facenti parte del medesimo ecosistema, più estesamente modificate dai processi di antropizzazione, nelle quali sono consentite attività compatibili con le finalità istitutive del parco e finalizzate al miglioramento della vita socio-culturale delle collettività locali e al miglior godimento del parco da parte dei visitatori.
3. Il piano è predisposto dall'Ente parco entro diciotto mesi dalla costituzione dei suoi organi, in base ai criteri ed alle finalità della presente legge. La Comunità del parco partecipa alla definizione dei criteri riguardanti la predisposizione del piano del parco indicati dal consiglio direttivo del parco ed esprime il proprio parere sul piano stesso. Il piano, approvato dal consiglio direttivo, è adottato dalla regione entro novanta giorni dal suo inoltro da parte dell'Ente parco (40).
4. Il piano adottato è depositato per quaranta giorni presso le sedi dei comuni, delle comunità montane e delle regioni interessate; chiunque può prenderne visione ed estrarne copia. Entro i successivi quaranta giorni chiunque può presentare osservazioni scritte, sulle quali l'Ente parco esprime il proprio parere entro trenta giorni. Entro centoventi giorni dal ricevimento di tale parere la regione si pronuncia sulle osservazione presentate e, d'intesa con l'Ente parco per quanto concerne le aree di cui alle lettere a), b) e c) del comma 2 e d'intesa, oltre che con l'Ente parco, anche con i comuni interessati per quanto concerne le aree di cui alla lettera d) del medesimo comma 2, emana il provvedimento d'approvazione. Qualora il piano non venga approvato entro ventiquattro mesi dalla istituzione dell'Ente parco, alla regione si sostituisce un comitato misto costituito da rappresentanti del Ministero dell'ambiente e da rappresentanti delle regioni e province autonome, il quale esperisce i tentativi necessari per il raggiungimento di dette intese; qualora le intese in questione non vengano raggiunte entro i successivi quattro mesi, il Ministro dell'ambiente rimette la questione al Consiglio dei ministri che decide in via definitiva.
5. in caso di inosservanza dei termini di cui al comma 3, si sostituisce all'amministrazione inadempiente il Ministro dell'ambiente, che provvede nei medesimi termini con un commissario ad acta.
6. Il piano è modificato con la stessa procedura necessaria alla sua approvazione ed è aggiornato con identica modalità almeno ogni dieci anni.
7. Il piano ha effetto di dichiarazione di pubblico generale interesse e di urgenza e di indifferibilità per gli interventi in esso previsti e sostituisce ad ogni livello i piani paesistici, i piani territoriali o urbanistici e ogni altro strumento di pianificazione.
8. Il piano è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e nel Bollettino ufficiale della regione ed è immediatamente vincolante nei confronti delle amministrazioni e dei privati.
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(38) Comma così modificato dall'art. 2, comma 30, L. 9 dicembre 1998, n. 426, riportata al n. LXXIV.
(39) Riportata alla voce Case popolari ed economiche.
(40) Comma così sostituito dall'art. 2, comma 30, L. 9 dicembre 1998, n. 426, riportata al n. LXXIV.
13. Nulla osta.
1. Il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all'interno del parco è sottoposto al preventivo nulla osta dell'Ente parco. Il nulla osta verifica la conformità tra le disposizioni del piano e del regolamento e l'intervento ed è reso entro sessanta giorni dalla richiesta. Decorso inutilmente tale termine il nulla osta si intende rilasciato.
Il diniego, che è immediatamente impugnabile, è affisso contemporaneamente all'albo del comune interessato e all'albo dell'Ente parco e l'affissione ha la durata di sette giorni. L'Ente parco dà notizia per estratto, con le medesime modalità, dei nulla osta rilasciati e di quelli determinatisi per decorrenza del termine.
2. Avverso il rilascio del nulla osta è ammesso ricorso giurisdizionale anche da parte delle associazioni di protezione ambientale individuate ai sensi della legge 8 luglio 1986, n. 349 (41).
3. L'esame delle richieste di nulla osta può essere affidato con deliberazione del Consiglio direttivo ad un apposito comitato la cui composizione e la cui attività sono disciplinate dal regolamento del parco.
4. Il Presidente del parco, entro sessanta giorni dalla richiesta, con comunicazione scritta al richiedente, può rinviare, per una sola volta, di ulteriori trenta giorni i termini di espressione del nulla osta.
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(41) Riportata al n. I.
14. Iniziative per la promozione economica e sociale.
1. Nel rispetto delle finalità del parco, dei vincoli stabiliti dal piano e dal regolamento del parco, la Comunità del parco promuove le iniziative atte a favorire lo sviluppo economico e sociale delle collettività eventualmente residenti all'interno del parco e nei territori adiacenti.
2. A tal fine la Comunità del parco, avvia contestualmente all'elaborazione del piano del parco un piano pluriennale economico e sociale per la promozione della attività compatibili, individuando i soggetti chiamati alla realizzazione degli interventi previsti eventualmente anche attraverso accordi di programma. Tale piano, sul quale esprime la propria motivata valutazione il consiglio direttivo, è approvato dalla regione o, d'intesa, dalle regioni interessate. In caso di contrasto tra Comunità del parco, altri organi dell'Ente parco e regioni, la questione è rimessa ad una conferenza presieduta dal Ministro dell'ambiente il quale, perdurando i contrasti, rimette la decisione definitiva al Consiglio dei ministri (42).
3. Il piano di cui al comma 2 può prevedere in particolare: la concessione di sovvenzioni a privati ed enti locali; la predisposizione di attrezzature, impianti di depurazione e per il risparmio energetico, servizi ed impianti di carattere turistico-naturalistico da gestire in proprio o da concedere in gestione a terzi sulla base di atti di concessione alla stregua di specifiche convenzioni; l'agevolazione o la promozione, anche in forma cooperativa, di attività tradizionali artigianali, agro-silvo-pastorali, culturali, servizi sociali e biblioteche, restauro, anche di beni naturali, e ogni altra iniziativa atta a favorire, nel rispetto delle esigenze di conservazione del parco, lo sviluppo del turismo e delle attività locali connesse. Una quota parte di tali attività deve consistere in interventi diretti a favorire l'occupazione giovanile ed il volontariato, nonché l'accessibilità e la fruizione, in particolare per i portatori di handicap.
4. Per le finalità di cui al comma 3, l'Ente parco può concedere a mezzo di specifiche convenzioni l'uso del proprio nome e del proprio emblema a servizi e prodotti locali che presentino requisiti di qualità e che soddisfino le finalità del parco.
5. L'Ente parco organizza, d'intesa con la regione o le regioni interessate, speciali corsi di formazione al termine dei quali rilascia il titolo ufficiale ed esclusivo di guida del parco.
6. Il piano di cui al comma 2 ha durata quadriennale e può essere aggiornato annualmente con la stessa procedura della sua formazione.
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(42) Comma così modificato dall'art. 2, comma 31, L. 9 dicembre 1998, n. 426, riportata al n. LXXIV.
15. Acquisti, espropriazioni ed indennizzi.
1. L'Ente parco, nel quadro del programma di cui al comma 7, può prendere in locazione immobili compresi nel parco o acquisirli, anche mediante espropriazione o esercizio del diritto di prelazione di cui al comma 5, secondo le norme generali vigenti.
2. I vincoli derivanti dal piano alle attività agro-silvo-pastorali possono essere indennizzati sulla base di princìpi equitativi. I vincoli, temporanei o parziali, relativi ad attività già ritenute compatibili, possono dar luogo a compensi ed indennizzi, che tengano conto dei vantaggi e degli svantaggi derivanti dall'attività del parco. Con decreto da emanare entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge il Ministro dell'ambiente provvede alle disposizioni di attuazione del presente comma.
3. L'Ente parco è tenuto a indennizzare i danni provocati dalla fauna selvatica del parco.
4. Il regolamento del parco stabilisce le modalità per la liquidazione e la corresponsione degli indennizzi, da corrispondersi entro novanta giorni dal verificarsi del documento.
5. L'Ente parco ha diritto di prelazione sul trasferimento a titolo oneroso della proprietà e di diritti reali sui terreni situati all'interno delle riserve e delle aree di cui all'articolo 12, comma 2, lettere a) e b), salva la precedenza a favore di soggetti privati di cui al primo comma dell'articolo 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590 (43), e successive modificazioni e integrazioni.
6. L'Ente parco deve esercitare la prelazione entro tre mesi dalla notifica della proposta di alienazione. La proposta deve contenere la descrizione catastale dei beni, la data della trasmissione del possesso, l'indicazione del prezzo e delle sue modalità di pagamento. Qualora il dante causa non provveda a tale notificazione o il prezzo notificato sia superiore a quello di cessione, l'Ente parco può, entro un anno dalla trascrizione dell'atto di compravendita, esercitare il diritto di riscatto nei confronti dell'acquirente e di ogni altro successivo avente causa a qualsiasi titolo.
7. L'Ente parco provvede ad istituire nel proprio bilancio un apposito capitolo, con dotazione adeguata al prevedibile fabbisogno, per il pagamento di indennizzi e risarcimenti, formulando un apposito programma, con opportune priorità.
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(43) Riportata alla voce Piccola proprietà contadina.
16. Entrate dell'Ente parco ed agevolazioni fiscali.
1. Costituiscono entrate dell'Ente parco da destinare al conseguimento dei fini istitutivi:
a) i contributi ordinari e straordinari dello Stato;
b) i contributi delle regioni e degli enti pubblici;
c) i contributi ed i finanziamenti a specifici progetti;
d) i lasciti, le donazioni e le erogazioni liberali in denaro di cui all'articolo 3 della legge 2 agosto 1982, n. 512 (44), e successive modificazioni e integrazioni;
e) gli eventuali redditi patrimoniali;
f) i canoni delle concessioni previste dalla legge, i proventi dei diritti d'ingresso e di privativa e le altre entrate derivanti dai servizi resi;
g) i proventi delle attività commerciali e promozionali;
h) i proventi delle sanzioni derivanti da inosservanza delle norme regolamentari;
i) ogni altro provento acquisito in relazione all'attività dell'Ente parco.
2. Le attività di cessione di materiale divulgativo, educativo e propagandistico di prodotti ecologici, nonché le prestazioni di servizi esercitate direttamente dall'Ente parco, non sono sottoposte alla normativa per la disciplina del commercio.
3. Le cessioni e le prestazioni di cui al comma 2 sono soggette alla disciplina dell'imposta sul valore aggiunto. La registrazione dei corrispettivi si effettua in base all'articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (45), come sostituito dall'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 29 gennaio 1979, n. 24, senza l'obbligo dell'uso dei registratori di cassa.
4. L'Ente parco ha l'obbligo di pareggio del bilancio.
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(44) Riportata alla voce Redditi delle persone fisiche e delle persone giuridiche (Imposte sui).
(45) Riportato alla voce Valore aggiunto (Imposta sul).
17. Riserve naturali statali.
1. Il decreto istitutivo delle riserve naturali statali, di cui all'articolo 8, comma 2, oltre a determinare i confini della riserva ed il relativo organismo di gestione, ne precisa le caratteristiche principali, le finalità istitutive ed i vincoli principali, stabilendo altresì indicazioni e criteri specifici cui devono conformarsi il piano di gestione delle riserva ed il relativo regolamento attuativo, emanato secondo i princìpi contenuti nell'articolo 11 della presente legge. Il piano di gestione della riserva ed il relativo regolamento attuativo sono adottati dal Ministro dell'ambiente entro i termini stabiliti dal decreto istitutivo della riserva stessa, sentite le regioni a statuto ordinario e d'intesa con le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano.
2. Sono vietati in particolare:
a) ogni forma di discarica di rifiuti solidi e liquidi;
b) l'accesso nelle riserve naturali integrali a persone non autorizzate, salvo le modalità stabilite dagli organi responsabili della gestione della riserva.
18. Istituzione di aree protette marine.
1. In attuazione del programma il Ministro dell'ambiente, d'intesa con il Ministro del tesoro, istituisce le aree protette marine, autorizzando altresì il finanziamento definito dal programma medesimo. L'istruttoria preliminare è in ogni caso svolta, ai sensi dell'articolo 26 della legge 31 dicembre 1982, n. 979 (46), dalla Consulta per la difesa del mare dagli inquinamenti (47).
1-bis. L'istituzione delle aree protette marine può essere sottoposta ad accordi generali fra le regioni e il Ministero dell'ambiente (47/a).
2. Il decreto istitutivo contiene tra l'altro la denominazione e la delimitazione dell'area, gli obiettivi cui è finalizzata la protezione dell'area e prevede, altresì, la concessione d'uso dei beni del demanio marittimo e delle zone di mare di cui all'articolo 19, comma 6.
3. Il decreto di istituzione è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
4. Per il finanziamento di programmi e progetti di investimento per le aree protette marine è autorizzata la spesa di lire 5 miliardi per ciascuno degli anni 1992, 1993 e 1994.
5. Per le prime spese di funzionamento delle aree protette marine è autorizzata la spesa di lire 1 miliardo per ciascuno degli anni 1991, 1992 e 1993.
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(46) Riportata alla voce Marina mercantile.
(47) Comma così modificato dal comma 8 dell'art. 8, L. 23 marzo 2001, n. 93. Per la soppressione della Consulta per la difesa del mare dagli inquinamenti ed il trasferimento delle relative funzioni al Ministero dell'ambiente, vedi l'art. 2, comma 14, L. 9 dicembre 1998, n. 426, riportata al n. LXXIV.
(47/a) Comma aggiunto dal comma 9 dell'art. 8, L. 23 marzo 2001, n. 93.
19. Gestione delle aree protette marine.
1. Il raggiungimento delle finalità istitutive di ciascuna area protetta marina è assicurato attraverso l'Ispettorato centrale per la difesa del mare. Per l'eventuale gestione delle aree protette marine, l'Ispettorato centrale si avvale delle competenti Capitanerie di porto. Con apposita convenzione da stipularsi da parte del Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro della marina mercantile, la gestione dell'area protetta marina può essere concessa ad enti pubblici, istituzioni scientifiche o associazioni riconosciute.
2. Qualora un'area marina protetta sia istituita in acque confinanti con un'area protetta terrestre, la gestione è attribuita al soggetto competente per quest'ultima.
3. Nelle aree protette marine sono vietate le attività che possono compromettere la tutela delle caratteristiche dell'ambiente oggetto della protezione e delle finalità istitutive dell'area. In particolare sono vietati:
a) la cattura, la raccolta e il danneggiamento delle specie animali e vegetali nonché l'asportazione di minerali e di reperti archeologici;
b) l'alterazione dell'ambiente geofisico e delle caratteristiche chimiche e idrobiologiche delle acque;
c) lo svolgimento di attività pubblicitarie;
d) l'introduzione di armi, esplosivi e ogni altro mezzo distruttivo e di cattura;
e) la navigazione a motore;
f) ogni forma di discarica di rifiuti solidi e liquidi.
4. I divieti di cui all'articolo 11, comma 3, si applicano ai territori inclusi nelle aree protette marine.
5. Con decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro della marina mercantile, sentita la Consulta per la difesa del mare dagli inquinamenti (47/b), è approvato un regolamento che disciplina i divieti e le eventuali deroghe in funzione del grado di protezione necessario.
6. Beni del demanio marittimo e zone di mare ricomprese nelle aree protette possono essere concessi in uso esclusivo per le finalità della gestione dell'area medesima con decreto del Ministro della marina mercantile. I beni del demanio marittimo esistenti all'interno dell'area protetta fanno parte della medesima.
7. La sorveglianza nelle aree protette marine è esercitata dalle Capitanerie di porto, nonché dalle polizie degli enti locali delegati nella gestione delle medesime aree protette (48).
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(47/b) Per la soppressione della Consulta per la difesa del mare dagli inquinamenti ed il trasferimento delle relative funzioni al Ministero dell'ambiente, vedi l'art. 2, comma 14, L. 9 dicembre 1998, n. 426, riportata al n. LXXIV.
(48) Comma così modificato dall'art. 2, comma 17, L. 9 dicembre 1998, n. 426, riportata al n. LXXIV.
20. Norme di rinvio.
1. Per quanto non espressamente disciplinato dalla presente legge, ai parchi marini si applicano le disposizioni relative ai parchi nazionali. Alle riserve marine si applicano le disposizioni del titolo V della legge 31 dicembre 1982, n. 979, non in contrasto con le disposizioni della presente legge.
21. Vigilanza e sorveglianza.
1. La vigilanza sulla gestione delle aree naturali protette di rilievo internazionale e nazionale è esercitata per le aree terrestri dal Ministro dell'ambiente e per le aree marine congiuntamente dal Ministro dell'ambiente e dal Ministro della marina mercantile.
2. La sorveglianza sui territori delle aree naturali protette di rilievo internazionale e nazionale è esercitata, ai fini della presente legge, dal Corpo forestale dello Stato senza variazioni alla attuale pianta organica dello stesso. Per l'espletamento di tali servizi e di quant'altro affidato al Corpo medesimo dalla presente legge, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro dell'ambiente e, sino all'emanazione dei provvedimenti di riforma in attuazione dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto di cui all'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 4 giugno 1997, n. 143, e fermo restando il disposto del medesimo articolo 4, comma 1, di concerto con il Ministro dell'agricoltura e delle foreste, sono individuate le strutture ed il personale del Corpo da dislocare presso il Ministero dell'ambiente e presso gli Enti parco, sotto la dipendenza funzionale degli stessi, secondo modalità stabilite dal decreto medesimo (49). Il decreto determina altresì i sistemi e le modalità di reclutamento e di ripartizione su base regionale, nonché di formazione professionale del personale forestale di sorveglianza. Ai dipendenti dell'Ente parco possono essere attribuiti poteri di sorveglianza da esercitare in aggiunta o in concomitanza degli ordinari obblighi di servizio. Nell'espletamento dei predetti poteri i dipendenti assumono la qualifica di guardia giurata. Fino alla emanazione del predetto decreto alla sorveglianza provvede il Corpo forestale dello Stato, sulla base di apposite direttive impartite dal Ministro dell'ambiente, d'intesa con il Ministro dell'agricoltura e delle foreste. Nelle aree protette marine la sorveglianza è esercitata ai sensi dell'articolo 19, comma 7 (50).
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(49) Vedi il D.P.C.M. 26 giugno 1997 e il D.P.C.M. 5 luglio 2002.
(50) Comma così modificato dall'art. 2, comma 32, L. 9 dicembre 1998, n. 426, riportata al n. LXXIV. In deroga a quanto previsto dal presente comma vedi l'art. 80, comma 25, L. 27 dicembre 2002, n. 289.
TITOLO III
Aree naturali protette regionali
22. Norme quadro.
1. Costituiscono princìpi fondamentali per la disciplina delle aree naturali protette regionali:
a) la partecipazione delle province, delle comunità montane e dei comuni al procedimento di istituzione dell'area protetta, fatta salva l'attribuzione delle funzioni amministrative alle province, ai sensi dell'articolo 14 della legge 8 giugno 1990, n. 142 (51). Tale partecipazione si realizza, tenuto conto dell'articolo 3 della stessa legge n. 142 del 1990 (51), attraverso conferenze per la redazione di un documento di indirizzo relativo all'analisi territoriale dell'area da destinare a protezione, alla perimetrazione provvisoria, all'individuazione degli obiettivi da perseguire, alla valutazione degli effetti dell'istituzione dell'area protetta sul territorio;
b) la pubblicità degli atti relativi all'istituzione dell'area protetta e alla definizione del piano per il parco di cui all'articolo 25;
c) la partecipazione degli enti locali interessati alla gestione dell'area protetta;
d) l'adozione, secondo criteri stabiliti con legge regionale in conformità ai princìpi di cui all'articolo 11, di regolamenti delle aree protette;
e) la possibilità di affidare la gestione alle comunioni familiari montane, anche associate fra loro, qualora l'area naturale protetta sia in tutto o in parte compresa fra i beni agrosilvopastorali costituenti patrimonio delle comunità stesse.
2. Fatte salve le rispettive competenze per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano, costituiscono princìpi fondamentali di riforma economico-sociale la partecipazione degli enti locali alla istituzione e alla gestione delle aree protette e la pubblicità degli atti relativi all'istituzione dell'area protetta e alla definizione del piano per il parco.
3. Le regioni istituiscono parchi naturali regionali e riserve naturali regionali utilizzando soprattutto i demani e i patrimoni forestali regionali, provinciali, comunali e di enti pubblici, al fine di un utilizzo razionale del territorio e per attività compatibili con la speciale destinazione dell'area.
4. Le aree protette regionali che insistono sul territorio di più regioni sono istituite dalle regioni interessate, previa intesa tra le stesse, e gestite secondo criteri unitari per l'intera area delimitata.
5. Non si possono istituire aree protette regionali nel territorio di un parco nazionale o di una riserva naturale statale.
6. Nei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali regionali l'attività venatoria è vietata, salvo eventuali prelievi faunistici ed abbattimenti selettivi necessari per ricomporre squilibri ecologici. Detti prelievi ed abbattimenti devono avvenire in conformità al regolamento del parco o, qualora non esista, alle direttive regionali per iniziativa e sotto la diretta responsabilità e sorveglianza dell'organismo di gestione del parco e devono essere attuati dal personale da esso dipendente o da persone da esso autorizzate scelte con preferenza tra cacciatori residenti nel territorio del parco, previ opportuni corsi di formazione a cura dello stesso Ente (52).
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(51) Riportata alla voce Comuni e province.
(52) Comma così modificato dall'art. 2, comma 33, L. 9 dicembre 1998, n. 426, riportata al n. LXXIV.
23. Parchi naturali regionali.
1. La legge regionale istitutiva del parco naturale regionale, tenuto conto del documento di indirizzo di cui all'articolo 22, comma 1, lettera a), definisce la perimetrazione provvisoria e le misure di salvaguardia, individua il soggetto per la gestione del parco e indica gli elementi del piano per il parco, di cui all'articolo 25, comma 1, nonché i princìpi del regolamento del parco. A tal fine possono essere istituiti appositi enti di diritto pubblico o consorzi obbligatori tra enti locali od organismi associativi ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142 (51). Per la gestione dei servizi del parco, esclusa la vigilanza, possono essere stipulate convenzioni con enti pubblici, con soggetti privati, nonché con comunioni familiari montane.
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(51) Riportata alla voce Comuni e province.
24. Organizzazione amministrativa del parco naturale regionale.
1. In relazione alla peculiarità di ciascuna area interessata, ciascun parco naturale regionale prevede, con apposito statuto, una differenziata forma organizzativa, indicando i criteri per la composizione del consiglio direttivo, la designazione del presidente e del direttore, i poteri del consiglio, del presidente e del direttore, la composizione e i poteri del collegio dei revisori dei conti e degli organi di consulenza tecnica e scientifica, le modalità di convocazione e di funzionamento degli organi statutari, la costituzione delle comunità del parco.
2. Nel collegio dei revisori dei conti deve essere assicurata la presenza di un membro designato dal Ministro del tesoro.
3. Gli enti di gestione dei parchi naturali regionali possono avvalersi sia di personale proprio che di personale comandato dalla regione o da altri enti pubblici.
25. Strumenti di attuazione.
1. Strumenti di attuazione delle finalità del parco naturale regionale sono il piano per il parco e il piano pluriennale economico e sociale per la promozione delle attività compatibili.
2. Il piano per il parco è adottato dall'organismo di gestione del parco ed è approvato dalla regione. Esso ha valore anche di piano paesistico e di piano urbanistico e sostituisce i piani paesistici e i piani territoriali o urbanistici di qualsiasi livello.
3. Nel riguardo delle finalità istitutive e delle previsioni del piano per il parco e nei limiti del regolamento, il parco promuove iniziative, coordinate con quelle delle regioni e degli enti locali interessati, atte a favorire la crescita economica, sociale e culturale delle comunità residenti. A tal fine predispone un piano pluriennale economico e sociale per la promozione delle attività compatibili. Tale piano è adottato dall'organismo di gestione del parco, tenuto conto del parere espresso dagli enti locali territorialmente interessati, è approvato dalla regione e può essere annualmente aggiornato.
4. Al finanziamento del piano pluriennale economico e sociale, di cui al comma 3, possono concorrere lo Stato, le regioni, gli enti locali e gli altri organismi interessati.
5. Le risorse finanziarie del parco possono essere costituite, oltre che da erogazioni o contributi a qualsiasi titolo, disposti da enti o da organismi pubblici e da privati, da diritti e canoni riguardanti l'utilizzazione dei beni mobili ed immobili che appartengono al parco o dei quali esso abbia la gestione.
26. Coordinamento degli interventi.
1. Sulla base di quanto disposto dal programma nonché dal piano pluriennale economico e sociale di cui all'articolo 25, comma 3, il Ministro dell'ambiente promuove, per gli effetti di cui all'articolo 27 della legge 8 giugno 1990, n. 142 (53), accordi di programma tra lo Stato, le regioni e gli enti locali aventi ad oggetto l'impiego coordinato delle risorse. In particolare gli accordi individuano gli interventi da realizzare per il perseguimento delle finalità di conservazione della natura, indicando le quote finanziarie dello Stato, della regione, degli enti locali ed eventualmente di terzi, nonché le modalità di coordinamento ed integrazione della procedura.
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(53) Riportata alla voce Comuni e province.
27. Vigilanza e sorveglianza.
1. La vigilanza sulla gestione delle aree naturali protette regionali è esercitata dalla regione. Ove si tratti di area protetta con territorio ricadente in più regioni l'atto istitutivo determina le intese per l'esercizio della vigilanza.
2. Il Corpo forestale dello Stato ha facoltà di stipulare specifiche convenzioni con le regioni per la sorveglianza dei territori delle aree naturali protette regionali, sulla base di una convenzione-tipo predisposta dal Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro dell'agricoltura e delle foreste.
28. Leggi regionali.
1. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge le regioni adeguano la loro legislazione alle disposizioni contenute nel presente titolo.
TITOLO IV
Disposizioni finali e transitorie
29. Poteri dell'organismo di gestione dell'area naturale protetta.
1. Il legale rappresentante dell'organismo di gestione dell'area naturale protetta, qualora venga esercitata un'attività in difformità dal piano, dal regolamento o dal nulla osta, dispone l'immediata sospensione dell'attività medesima ed ordina in ogni caso la riduzione in pristino o la ricostituzione di specie vegetali o animali a spese del trasgressore con la responsabilità solidale del committente, del titolare dell'impresa e del direttore dei lavori in caso di costruzione e trasformazione di opere.
2. In caso di inottemperanza all'ordine di riduzione in pristino o di ricostituzione delle specie vegetali o animali entro un congruo termine, il legale rappresentante dell'organismo di gestione provvede all'esecuzione in danno degli obbligati secondo la procedura di cui ai commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 27 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (54), in quanto compatibili, e recuperando le relative spese mediante ingiunzione emessa ai sensi del testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, approvato con regio decreto 14 aprile 1910, n. 639 (55).
3. L'organismo di gestione dell'area naturale protetta può intervenire nei giudizi riguardanti fatti dolosi o colposi che possano compromettere l'integrità del patrimonio naturale dell'area protetta e ha la facoltà di ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi lesivi delle finalità istitutive dell'area protetta.
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(54) Riportata alla voce Urbanistica.
(55) Riportato alla voce Riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato.
30. Sanzioni.
1. Chiunque viola le disposizioni di cui agli articoli 6 e 13 è punito con l'arresto fino a dodici mesi e con l'ammenda da lire duecentomila a lire cinquantamilioni. Chiunque viola le disposizioni di cui agli articoli 11, comma 3, e 19, comma 3, è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda da lire duecentomila a lire venticinquemilioni. Le pene sono raddoppiate in caso di recidiva.
1-bis. Qualora l'area protetta marina non sia segnalata con i mezzi e gli strumenti di cui all'articolo 2, comma 9-bis, chiunque, al comando o alla conduzione di un'unità da diporto, che comunque non sia a conoscenza dei vincoli relativi a tale area, violi il divieto di navigazione a motore di cui all'articolo 19, comma 3, lettera e), è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 200 euro a 1.000 euro (55/a).
2. La violazione delle disposizioni emanate dagli organismi di gestione delle aree protette è altresì punita con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire cinquantamila a lire duemilioni. Tali sanzioni sono irrogate, nel rispetto delle disposizioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689 (56), dal legale rappresentante dell'organismo di gestione dell'area protetta.
2-bis. La sanzione amministrativa pecuniaria di cui al comma 2 è determinata in misura compresa tra 25 euro e 500 euro, qualora l'area protetta marina non sia segnalata con i mezzi e gli strumenti di cui all'articolo 2, comma 9-bis, e la persona al comando o alla conduzione dell'unità da diporto non sia comunque a conoscenza dei vincoli relativi a tale area (56/a).
3. In caso di violazioni costituenti ipotesi di reati perseguiti ai sensi degli articoli 733 e 734 del codice penale può essere disposto dal giudice o, in caso di flagranza, per evitare l'aggravamento o la continuazione del reato, dagli addetti alla sorveglianza dell'area protetta, il sequestro di quanto adoperato per commettere gli illeciti ad essi relativi. Il responsabile è tenuto a provvedere alla riduzione in pristino dell'area danneggiata, ove possibile, e comunque è tenuto al risarcimento del danno.
4. Nelle sentenze di condanna il giudice può disporre, nei casi di particolare gravità, la confisca delle cose utilizzate per la consumazione dell'illecito.
5. Si applicano le disposizioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689 (56), in quanto non in contrasto con il presente articolo.
6. In ogni caso trovano applicazione le norme dell'articolo 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349 (57), sul diritto al risarcimento del danno ambientale da parte dell'organismo di gestione dell'area protetta.
7. Le sanzioni penali previste dal comma 1 si applicano anche nel caso di violazione dei regolamenti e delle misure di salvaguardia delle riserve naturali statali.
8. Le sanzioni penali previste dal comma 1 si applicano anche in relazione alla violazione alle disposizioni di leggi regionali che prevedono misure di salvaguardia in vista della istituzione di aree protette e con riguardo alla trasgressione di regolamenti di parchi naturali regionali.
9. Nell'area protetta dei monti Cervati, non si applicano, fino alla costituzione del parco nazionale, i divieti di cui all'articolo 17, comma 2.
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(55/a) Comma aggiunto dall'art. 4, L. 8 luglio 2003, n. 172.
(56) Riportata alla voce Ordinamento giudiziario.
(56/a) Comma aggiunto dall'art. 4, L. 8 luglio 2003, n. 172.
(56) Riportata alla voce Ordinamento giudiziario.
(57) Riportata al n. I.
31. Beni di proprietà dello Stato destinati a riserva naturale.
1. Fino alla riorganizzazione, ai sensi dell'articolo 9 della legge 18 maggio 1989, n. 183 (58), del Corpo forestale dello Stato, le riserve naturali statali sono amministrate dagli attuali organismi di gestione dell'ex Azienda di Stato per le foreste demaniali. Per far fronte alle esigenze di gestione delle riserve naturali statali indicate nel programma, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ed in attesa della riorganizzazione di cui all'articolo 9 della citata legge n. 183 del 1989 (58), la composizione e le funzioni dell'ex Azienda di Stato possono essere disciplinate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da emanarsi su proposta del Ministro dell'ambiente di concerto con il Ministro dell'agricoltura e delle foreste. Per l'esercizio delle attività di gestione per i primi tre anni successivi alla data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi le disposizioni di cui alla legge 5 aprile 1985, n. 124 (59) (60).
2. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro dell'agricoltura e delle foreste, di concerto con il Ministro delle finanze, trasmette al Comitato l'elenco delle aree individuate ai sensi del decreto ministeriale 20 luglio 1987, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 175 del 29 luglio 1987, e delle altre aree nella sua disponibilità con la proposta della loro destinazione ad aree naturali protette nazionali e regionali anche ai fini di un completamento, con particolare riguardo alla regione Veneto e alla regione Lombardia, dei trasferimenti effettuati ai sensi dell'articolo 68 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 (61).
3. La gestione delle riserve naturali, di qualunque tipologia, istituite su proprietà pubbliche, che ricadano o vengano a ricadere all'interno dei parchi nazionali, è affidata all'Ente parco (62).
4. Le direttive necessarie per la gestione delle riserve naturali statali e per il raggiungimento degli obiettivi scientifici, educativi e di protezione naturalistica, sono impartite dal Ministro dell'ambiente ai sensi dell'articolo 5 della legge 8 luglio 1986, n. 349 (63).
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(58) Riportata al n. XI.
(59) Riportata alla voce Ministero dell'agricoltura e delle foreste.
(60) Per la proroga del termine, vedi l'art. 3, D.L. 28 agosto 1995, n. 361, riportato alla voce Impiegati civili dello Stato.
(61) Riportato alla voce Regioni.
(62) Comma così sostituito dall'art. 2, comma 34, L. 9 dicembre 1998, n. 426, riportata al n. LXXIV.
(63) Riportata al n. I.
32. Aree contigue.
1. Le regioni, d'intesa con gli organismi di gestione delle aree naturali protette e con gli enti locali interessati, stabiliscono piani e programmi e le eventuali misure di disciplina della caccia, della pesca, delle attività estrattive e per la tutela dell'ambiente, relativi alle aree contigue alle aree protette, ove occorra intervenire per assicurare la conservazione dei valori delle aree protette stesse.
2. I confini delle aree contigue di cui al comma 1 sono determinati dalle regioni sul cui territorio si trova l'area naturale protetta, d'intesa con l'organismo di gestione dell'area protetta.
3. All'interno delle aree contigue le regioni possono disciplinare l'esercizio della caccia, in deroga al terzo comma dell'articolo 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 968 (64), soltanto nella forma della caccia controllata, riservata ai soli residenti dei comuni dell'area naturale protetta e dell'area contigua, gestita in base al secondo comma dello stesso articolo 15 della medesima legge.
4. L'organismo di gestione dell'area naturale protetta, per esigenze connesse alla conservazione del patrimonio faunistico dell'area stessa, può disporre, per particolari specie di animali, divieti riguardanti le modalità ed i tempi della caccia.
5. Qualora si tratti di aree contigue interregionali, ciascuna regione provvede per quanto di propria competenza per la parte relativa al proprio territorio, d'intesa con le altre regioni ai sensi degli articoli 8 e 66, ultimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 (61). L'intesa è promossa dalla regione nel cui territorio è situata la maggior parte dell'area naturale protetta.
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(64) Riportata alla voce Caccia.
(61) Riportato alla voce Regioni.
33. Relazione al Parlamento.
1. Il Ministro dell'ambiente, previa deliberazione del Consiglio nazionale per l'ambiente, presenta annualmente al Parlamento una relazione sullo stato di attuazione della presente legge e sull'attività degli organismi di gestione delle aree naturali protette nazionali.
34. Istituzione di parchi e aree di reperimento.
1. Sono istituiti i seguenti parchi nazionali:
a) Cilento e Vallo di Diano (Cervati, Gelbison, Alburni, Monte Stella e Monte Bulgheria);
b) Gargano;
c) Gran Sasso e Monti della Laga;
d) Maiella;
e) Val Grande;
f) Vesuvio.
2. È istituito, d'intesa con la regione Sardegna ai sensi dell'articolo 2, comma 7, il Parco nazionale del Golfo di Orosei e del Gennargentu. Qualora l'intesa con la regione Sardegna non si perfezioni entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con le procedure di cui all'articolo 4 si provvede alla istituzione del parco della Val d'Agri e del Lagonegrese (Monti Arioso, Volturino, Viggiano, Sirino, Raparo) o, se già costituito, di altro parco nazionale per il quale non si applica la previsione di cui all'articolo 8, comma 6 (65).
3. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro dell'ambiente provvede alla delimitazione provvisoria dei parchi nazionali di cui ai commi 1 e 2 sulla base degli elementi conoscitivi e tecnico-scientifici disponibili, in particolare, presso i servizi tecnici nazionali e le amministrazioni dello Stato nonché le regioni e, sentiti le regioni e gli enti locali interessati, adotta le misure di salvaguardia, necessarie per garantire la conservazione dello stato dei luoghi. La gestione provvisoria del parco, fino alla costituzione degli Enti parco previsti dalla presente legge, è affidata ad un apposito comitato di gestione istituito dal Ministro dell'ambiente in conformità ai princìpi di cui all'articolo 9.
4. Il primo programma verifica ed eventualmente modifica la delimitazione effettuata dal Ministro dell'ambiente ai sensi del comma 3.
5. Per l'organizzazione ed il funzionamento degli Enti parco dei parchi di cui ai commi 1 e 2 si applicano le disposizioni della presente legge.
6. Il primo programma, tenuto conto delle disponibilità finanziarie esistenti, considera come prioritarie aree di reperimento le seguenti:
a) Alpi apuane e Appennino tosco-emiliano;
b) Etna;
c) Monte Bianco;
d) Picentino (Monti Terminio e Cervialto);
e) Tarvisiano;
f) Appennino lucano, Val d'Agri e Lagonegrese (Monti Arioso, Volturino, Viggiano, Sirino e Raparo);
g) Partenio;
h) Parco-museo delle miniere dell'Amiata;
i) Alpi marittime (comprensorio del massiccio del Marguareis);
l) Alta Murgia;
l-bis) Costa teatina (66).
7. Il Ministro dell'ambiente, d'intesa con le regioni, può emanare opportune misure di salvaguardia.
8. Qualora il primo programma non venga adottato entro il termine previsto dall'articolo 4, comma 6, all'approvazione dello stesso provvede il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente.
9. Per le aree naturali protette i cui territori siano confinanti o adiacenti ad aree di interesse naturalistico facenti parte di Stati esteri, il Ministro degli affari esteri, su proposta del Ministro dell'ambiente, sentite le regioni e le province autonome interessate, promuove l'adozione delle opportune intese o atti, al fine di realizzare forme integrate di protezione, criteri comuni di gestione e facilitazioni di accesso, ove ammesso. Le intese e gli atti possono riguardare altresì l'istituzione di aree naturali protette di particolare pregio naturalistico e rilievo internazionale sul territorio nazionale. Le disposizioni delle intese e degli atti sono vincolanti per le regioni e gli enti locali interessati.
10. Per l'istituzione dei parchi nazionali di cui ai commi 1 e 2 è autorizzata la spesa di lire 20 miliardi per l'anno 1991 e lire 30 miliardi per ciascuno degli anni 1992 e 1993.
11. Per la gestione dei parchi nazionali di cui ai commi 1 e 2 è autorizzata la spesa di lire 10 miliardi per il 1991, lire 15,5 miliardi per il 1992 e lire 22 miliardi a decorrere dal 1993.
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(65) Comma così modificato dall'art. 4, L. 8 ottobre 1997, n. 344, riportata al n. LXII. Vedi il D.P.R. 30 marzo 1998, riportato alla voce Parchi nazionali.
(66) Lettera aggiunta dall'art. 4, L. 8 ottobre 1997, n. 344, riportata al n. LXIII.
35. Norme transitorie.
1. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente, si provvede all'adeguamento ai princìpi della presente legge, fatti salvi i rapporti di lavoro esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge di dipendenti in ruolo, della disciplina del Parco nazionale d'Abruzzo, del Parco nazionale del Gran Paradiso, previa intesa con la regione a statuto speciale Val d'Aosta e la regione Piemonte, tenuto conto delle attuali esigenze con particolare riguardo alla funzionalità delle sedi ed alla sorveglianza. Per il Parco nazionale dello Stelvio si provvede in base a quanto stabilito dall'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 279 (67). Le intese ivi previste vanno assunte anche con la regione Lombardia e devono essere informate ai princìpi generali della presente legge.
2. In considerazione dei particolari valori storico-culturali ed ambientali, nonché della specialità degli interventi necessari per il ripristino e la conservazione degli importanti e delicati ecosistemi, la gestione delle proprietà demaniali statali ricadenti nei Parchi nazionali del Circeo e della Calabria sarà condotta secondo forme, contenuti e finalità, anche ai fini della ricerca e sperimentazione scientifica nonché di carattere didattico formativo e dimostrativo, che saranno definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente di concerto con il Ministro dell'agricoltura e delle foreste ed il Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, da emanarsi entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
3. Ai parchi nazionali previsti dalla lettera c) del comma 1 dell'articolo 18 della legge 11 marzo 1988, n. 67 (68), e dall'articolo 10 della legge 28 agosto 1989, n. 305 (69), si applicano le disposizioni della presente legge, utilizzando gli atti posti in essere prima dell'entrata in vigore della legge stessa in quanto compatibili.
4. Entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge le regioni interessate provvedono, d'intesa con il Ministro dell'ambiente, alla istituzione del parco naturale interregionale del Delta del Po a modifica dell'articolo 10 della legge 28 agosto 1989, n. 305 (69), in conformità delle risultanze dei lavori della Commissione paritetica istituita in applicazione della delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) del 5 agosto 1988, pubblicata nel supplemento ordinario n. 87 alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 215 del 13 settembre 1988. Qualora l'intesa non si perfezioni nel suddetto termine, si provvede alla istituzione di un parco nazionale in tale area a norma del comma 3 (70).
5. Nell'ipotesi in cui si istituisca il parco interregionale del Delta del Po, con le procedure di cui all'articolo 4 si procede alla istituzione del parco nazionale della Val d'Agri e del Lagonegrese (Monti Arioso, Volturino, Viggiano, Sirino, Raparo), o, se già costituito, di altro parco nazionale, per il quale non si applica la previsione di cui all'articolo 8, comma 6.
6. Restano salvi gli atti di delimitazione di riserve naturali emessi alla data di entrata in vigore della presente legge e le conseguenti misure di salvaguardia già adottate. Dette riserve sono istituite, secondo le modalità previste dalla presente legge, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa.
7. Ove non diversamente previsto, il termine per l'espressione di pareri da parte delle regioni ai fini della presente legge è stabilito in giorni quarantacinque.
8. Per l'attuazione del comma 1 è autorizzata la spesa di lire 2 miliardi per il 1991, lire 3 miliardi per il 1992 e lire 4 miliardi a decorrere dal 1993.
9. Per l'attuazione dei commi 3, 4 e 5 è autorizzata la spesa di lire 14 miliardi per il 1991, lire 17,5 miliardi per il 1992 e lire 21 miliardi a decorrere dal 1993.
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(67) Riportato alla voce Trentino-Alto Adige.
(68) Riportata alla voce Amministrazione del patrimonio e contabilità generale dello Stato.
(69) Riportata al n. XIII.
(70) Per la proroga al 31 dicembre 1996 del termine previsto dal presente comma 4, vedi l'art. 6, D.L. 23 ottobre 1996, n. 548, riportato alla voce Cassa per il Mezzogiorno.
36. Aree marine di reperimento.
1. Sulla base delle indicazioni programmatiche di cui all'articolo 4, possono essere istituiti parchi marini o riserve marine, oltre che nelle aree di cui all'articolo 31 della legge 31 dicembre 1982, n. 979 (71), nelle seguenti aree:
a) Isola di Gallinara;
b) Monti dell'Uccellina - Formiche di Grosseto - Foce dell'Ombrone - Talamone;
c) Secche di Torpaterno;
d) Penisola della Campanella - Isola di Capri;
e) Costa degli Infreschi;
f) Costa di Maratea;
g) Penisola Salentina (Grotte Zinzulusa e Romanelli);
h) Costa del Monte Conero;
i) Isola di Pantelleria;
l) Promontorio Monte Cofano - Golfo di Custonaci;
m) Acicastello - Le Grotte;
n) Arcipelago della Maddalena (isole ed isolotti compresi nel territorio del comune della Maddalena);
o) Capo Spartivento - Capo Teulada;
p) Capo Testa - Punta Falcone;
q) Santa Maria di Castellabate;
r) Monte di Scauri;
s) Monte a Capo Gallo - Isola di Fuori o delle Femmine;
t) Parco marino del Piceno;
u) Isole di Ischia, Vivara e Procida, area marina protetta integrata denominata «regno di Nettuno»;
v) Isola di Bergeggi;
z) Stagnone di Marsala;
aa) Capo Passero;
bb) Pantani di Vindicari;
cc) Isola di San Pietro;
dd) Isola dell'Asinara;
ee) Capo Carbonara;
ee-bis) Parco marino «Torre del Cerrano» (72);
ee-ter) Alto Tirreno-Mar Ligure «Santuario dei cetacei» (73);
ee-quater) Penisola Maddalena-Capo Murro Di Porco (72/a).
2. La Consulta per la difesa del mare (74) può, comunque, individuare, ai sensi dell'articolo 26 della legge 31 dicembre 1982, n. 979 (71), altre aree marine di particolare interesse nelle quali istituire parchi marini o riserve marine.
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(71) Riportata alla voce Marina mercantile.
(72) Lettera aggiunta dall'art. 4, L. 8 ottobre 1997, n. 344, riportata al n. LXIII.
(73) Lettera aggiunta dall'art. 2, comma 10, L. 9 dicembre 1998, n. 426, riportata al n. LXXIV.
(72/a) Lettera aggiunta dal comma 4 dell'art. 8, L. 23 marzo 2001, n. 93.
(74) Per la soppressione della Consulta per la difesa del mare dagli inquinamenti ed il trasferimento delle relative funzioni al Ministero dell'ambiente, vedi l'art. 2, comma 14, L. 9 dicembre 1998, n. 426, riportata al n. LXXIV.
37. Detrazioni fiscali a favore delle persone giuridiche e regime per i beni di rilevante interesse paesaggistico e naturale.
1. (75).
2. È deducibile dal reddito imponibile di qualunque soggetto obbligato, fino a un massimo del 25 per cento del reddito annuo imponibile, il controvalore in denaro, da stabilirsi a cura del competente organo periferico del Ministero per i beni culturali e ambientali, d'intesa con l'ufficio tecnico erariale competente per territorio, corrispondente a beni immobili che vengano ceduti a titolo gratuito da persone fisiche e giuridiche allo Stato ed ai soggetti pubblici e privati di cui alle lettere a) e b) del comma 2-bis dell'articolo 114 del citato testo unico delle imposte sui redditi, purché detti immobili siano vincolati ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497 (76), e facciano parte degli elenchi relativi ai numeri 1) e 2) dell'articolo 1 della medesima legge, o siano assoggettati al vincolo della inedificabilità in base ai piani di cui all'articolo 5 della medesima legge e al decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312 (77), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, e la donazione avvenga allo scopo di assicurare la conservazione del bene nella sua integrità, per il godimento delle presenti e delle future generazioni.
3. Le agevolazioni di cui all'articolo 5 della legge 2 agosto 1982, n. 512 (78), sono accordate nel caso di trasferimenti delle cose di cui ai numeri 1) e 2) dell'articolo 1 della citata legge n. 1497 del 1939 effettuati da soggetti che abbiano fra le loro finalità la conservazione di dette cose.
4. Alla copertura delle minori entrate derivanti dall'attuazione del presente articolo, valutate in lire 100 milioni per il 1991, lire 1 miliardo per il 1992 e lire 2 miliardi per il 1993, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1991-1993, al capitolo 6856 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per il 1991, all'uopo parzialmente utilizzando l'accantonamento «Norme generali sui parchi nazionali».
5. Il Ministro delle finanze presenta annualmente al Parlamento una relazione sugli effetti finanziari del presente articolo.
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(75) Aggiunge i commi 2-bis e 2-ter all'art. 114, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, riportato alla voce Redditi delle persone fisiche e delle persone giuridiche (Imposte sui).
(76) Riportata alla voce Bellezze naturali.
(77) Riportato alla voce Bellezze naturali.
(78) Riportata alla voce Redditi delle persone fisiche e delle persone giuridiche (Imposte sui).
38. Copertura finanziaria.
1. All'onere derivante dalla attuazione dell'articolo 3, comma 3, pari a lire 5 miliardi per ciascuno degli anni 1992 e 1993 ed a lire 10 miliardi per l'anno 1994, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1991-1993, al capitolo 9001 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l'anno 1991, all'uopo parzialmente utilizzando l'accantonamento «Programma di salvaguardia ambientale e tutela dei parchi nazionali e delle altre riserve naturali».
2. All'onere derivante dall'attuazione dell'articolo 3, comma 7, pari a lire 600 milioni per ciascuno degli anni 1991, 1992 e 1993 e a regime, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1991-1993, al capitolo 6856 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l'anno 1991, all'uopo parzialmente utilizzando l'accantonamento «Ristrutturazione del Ministero dell'ambiente».
3. All'onere derivante dall'attuazione dell'articolo 3, comma 9, pari a lire 3,4 miliardi per ciascuno degli anni 1991, 1992 e 1993 e a regime, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1991-1993, al capitolo 6856 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l'anno 1991, all'uopo parzialmente utilizzando l'accantonamento «Ristrutturazione del Ministero dell'ambiente».
4. All'onere derivante dall'attuazione dell'articolo 4, comma 8, pari a lire 22,9 miliardi per l'anno 1991 ed a lire 12 miliardi per l'anno 1992, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1991-1993, al capitolo 6856 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l'anno 1991, all'uopo parzialmente utilizzando l'accantonamento «Norme generali sui parchi nazionali e le altre riserve naturali».
5. All'onere derivante dall'attuazione dell'articolo 4, comma 9, pari a lire 110 miliardi per ciascuno degli anni 1992 e 1993 ed a lire 92 miliardi per l'anno 1994, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1991-1993, al capitolo 9001 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l'anno 1991, all'uopo parzialmente utilizzando l'accantonamento «Programma di salvaguardia ambientale e tutela dei parchi nazionali e delle altre riserve naturali».
6. All'onere relativo all'attuazione dell'articolo 18, comma 4, pari a lire 5 miliardi per ciascuno degli anni 1992, 1993 e 1994, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1991-1993, al capitolo 9001 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l'anno 1991, all'uopo parzialmente utilizzando l'accantonamento «Programma di salvaguardia ambientale e tutela dei parchi nazionali e delle altre riserve naturali».
7. All'onere derivante dall'attuazione dell'articolo 18, comma 5, pari a lire 1 miliardo per ciascuno degli anni 1991, 1992 e 1993 e a regime, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1991-1993, al capitolo 6856 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l'anno 1991, all'uopo parzialmente utilizzando l'accantonamento «Norme generali sui parchi nazionali e le altre riserve naturali».
8. All'onere derivante dall'attuazione dell'articolo 34, comma 10, pari a lire 20 miliardi per l'anno 1991 ed a lire 30 miliardi per ciascuno degli anni 1992 e 1993, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1991-1993, al capitolo 9001 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l'anno 1991, all'uopo parzialmente utilizzando l'accantonamento «Programma di salvaguardia ambientale e tutela dei parchi nazionali e delle altre riserve naturali».
9. All'onere derivante dall'attuazione dell'articolo 34, comma 11, pari a lire 10 miliardi per l'anno 1991, lire 15,5 miliardi per l'anno 1992 ed a lire 22 miliardi per l'anno 1993 e a regime, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1991-1993, al capitolo 6856 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l'anno 1991, all'uopo parzialmente utilizzando l'accantonamento «Norme generali sui parchi nazionali e le altre riserve naturali».
10. All'onere derivante dall'attuazione dell'articolo 35, comma 8, pari a lire 2 miliardi per l'anno 1991, lire 3 miliardi per l'anno 1992 e lire 4 miliardi per l'anno 1993 e a regime, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1991-1993, al capitolo 6856 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l'anno 1991, all'uopo parzialmente utilizzando l'accantonamento «Norme generali sui parchi nazionali e le altre riserve naturali».
11. All'onere derivante dall'attuazione dell'articolo 35, comma 9, pari a lire 14 miliardi per l'anno 1991, lire 17,5 miliardi per l'anno 1992 e lire 21 miliardi per l'anno 1993 e a regime, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1991-1993, al capitolo 6856 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l'anno 1991, all'uopo parzialmente utilizzando l'accantonamento «Norme generali sui parchi nazionali e le altre riserve naturali».
12. Per gli oneri derivanti dall'attuazione dell'articolo 3, comma 3, dell'articolo 4, comma 9, dell'articolo 18, comma 4, e dell'articolo 34, comma 10, gli stanziamenti relativi agli anni successivi al triennio 1991-1993 saranno rimodulati ai sensi dell'articolo 11, comma 3, lettera c), della legge 5 agosto 1978, n. 468, come modificata dalla legge 23 agosto 1988, n. 362.
13. Il Ministro del tesoro è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
L. 11
febbraio 1992, n. 157
Norme per
la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio
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Pubblicata nella Gazz. Uff. 25 febbraio 1992, n. 46, S.O.
Con riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti istruzioni:
- Ministero dell'economia e delle finanze: Ris. 9 settembre 2002, n. 291/E;
- Ministero dell'interno: Circ. 6 maggio 1997, n. 559/C-50.065-E-97;
- Ministero delle finanze: Circ. 26 agosto 1999, n. 180/E;
- Presidenza del Consiglio dei Ministri: Dipartimento per la funzione pubblica e gli affari regionali: Circ. 20 febbraio 1996, n. 1637.
1. Fauna selvatica.
1. La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale ed internazionale.
2. L'esercizio dell'attività venatoria è consentito purché non contrasti con l'esigenza di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole.
3. Le regioni a statuto ordinario provvedono ad emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica in conformità alla presente legge, alle convenzioni internazionali ed alle direttive comunitarie. Le regioni a statuto speciale e le province autonome provvedono in base alle competenze esclusive nei limiti stabiliti dai rispettivi statuti. Le province attuano la disciplina regionale ai sensi dell'articolo 14, comma 1, lettera f), della legge 8 giugno 1990, n. 142 (2).
4. Le direttive 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979, 85/411/CEE della Commissione del 25 luglio 1985 e 91/244/CEE della Commissione del 6 marzo 1991, con i relativi allegati, concernenti la conservazione degli uccelli selvatici, sono integralmente recepite ed attuate nei modi e nei termini previsti dalla presente legge la quale costituisce inoltre attuazione della Convenzione di Parigi del 18 ottobre 1950, resa esecutiva con legge 24 novembre 1978, n. 812 (3), e della Convenzione di Berna del 19 settembre 1979, resa esecutiva con legge 5 agosto 1981, n. 503 (4).
5. Le regioni e le province autonome in attuazione delle citate direttive 79/409/CEE, 85/411/CEE e 91/244/CEE provvedono ad istituire lungo le rotte di migrazione dell'avifauna, segnalate dall'Istituto nazionale per la fauna selvatica di cui all'articolo 7 entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, zone di protezione finalizzate al mantenimento ed alla sistemazione, conforme alle esigenze ecologiche, degli habitat interni a tali zone e ad esse limitrofi, provvedono al ripristino dei biotopi distrutti e alla creazione dei biotopi. Tali attività concernono particolarmente e prioritariamente le specie di cui all'elenco allegato alla citata direttiva 79/409/CEE, come sostituito dalle citate direttive 85/411/CEE e 91/244/CEE. In caso di inerzia delle regioni e delle province autonome per un anno dopo la segnalazione da parte dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, provvedono con controllo sostitutivo, d'intesa, il Ministro dell'agricoltura e delle foreste e il Ministro dell'ambiente (4/a).
6. Le regioni e le province autonome trasmettono annualmente al Ministro dell'agricoltura e delle foreste e al Ministro dell'ambiente una relazione sulle misure adottate ai sensi del comma 5 e sui loro effetti rilevabili.
7. Ai sensi dell'articolo 2 della legge 9 marzo 1989, n. 86 (5), il Ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie, di concerto con il Ministro dell'agricoltura e delle foreste e con il Ministro dell'ambiente, verifica, con la collaborazione delle regioni e delle province autonome e sentiti il Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale di cui all'articolo 8 e l'Istituto nazionale per la fauna selvatica, lo stato di conformità della presente legge e delle leggi regionali e provinciali in materia agli atti emanati dalle istituzioni delle Comunità europee volti alla conservazione della fauna selvatica.
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(2) Riportata alla voce Comuni e province.
(3) Riportata alla voce Zootecnia.
(4) Ai sensi di quanto disposto dall'art. 1, D.P.R. 1° dicembre 2000, n. 425 (Gazz. Uff. 22 gennaio 2001, n. 17), in relazione alle specie di uccelli selvatici da proteggere in modo particolare e prioritario, il riferimento all'Allegato I della direttiva 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979, di cui al presente comma, è sostituito dal riferimento all'Allegato I della direttiva 97/49/CE della Commissione del 29 luglio 1997, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee L 223 del 13 agosto 1997.
(4/a) Ai sensi di quanto disposto dall'art. 1, D.P.R. 1° dicembre 2000, n. 425 (Gazz. Uff. 22 gennaio 2001, n. 17), in relazione alle specie di uccelli selvatici da proteggere in modo particolare e prioritario, il riferimento all'Allegato I della direttiva 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979, di cui al presente comma, è sostituito dal riferimento all'Allegato I della direttiva 97/49/CE della Commissione del 29 luglio 1997, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee L 223 del 13 agosto 1997.
(5) Riportata alla voce Comunità europee.
2. Oggetto della tutela.
1. Fanno parte della fauna selvatica oggetto della tutela della presente legge le specie di mammiferi e di uccelli dei quali esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà nel territorio nazionale. Sono particolarmente protette, anche sotto il profilo sanzionatorio, le seguenti specie:
a) mammiferi: lupo (Canis lupus), sciacallo dorato (Canis aureus), orso (Ursus arctos), martora (Martes martes), puzzola (Mustela putorius), lontra (Lutra lutra), gatto selvatico (Felis sylvestris), lince (Lyn lyn), foca monaca (Monachus monachus), tutte le specie di cetacei (Cetacea), cervo sardo (Cervus elaphus corsicanus), camoscio d'Abruzzo (Rupicapra pyrenaica);
b) uccelli: marangone minore (Phalacrocorax pigmeus), marangone dal ciuffo (Phalacrocorax aristotelis), tutte le specie di pellicani (Pelecanidae), tarabuso (Botaurus stellaris), tutte le specie di cicogne (Ciconiidae), spatola (Platalea leucorodia), mignattaio (Plegadis falcinellus), fenicottero (Phoenicopterus ruber), cigno reale (Cygnus olor), cigno selvatico (Cygnus cygnus), volpoca (Tadorna tadorna), fistione turco (Netta rufina), gobbo rugginoso (Oxyura leucocephala), tutte le specie di rapaci diurni (Accipitriformes e falconiformes), pollo sultano (Porphyrio porphyrio), otarda (Otis tarda), gallina prataiola (Tetrax tetrax), gru (Grus grus), piviere tortolino (Eudromias morinellus), avocetta (Recurvirostra avosetta), cavaliere d'Italia, (Himantopus himantopus), occhione (Burhinus oedicnemus), pernice di mare (Glareola pratincola), gabbiano corso (Larus audouinii), gabbiano corallino (Larus melanocephalus), gabbiano roseo (Larus genei), sterna zampenere (Gelochelidon nilotica), sterna maggiore (Sterna caspia), tutte le specie di rapaci notturni (Strigiformes), ghiandaia marina (Coracias garrulus), tutte le specie di picchi (Picidae), gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax);
c) tutte le altre specie che direttive comunitarie o convenzioni internazionali o apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri indicano come minacciate di estinzione.
2. Le norme della presente legge non si applicano alle talpe, ai ratti, ai topi propriamente detti, alle arvicole.
3. Il controllo del livello di popolazione degli uccelli negli aeroporti, ai fini della sicurezza aerea, è affidato al Ministro dei trasporti.
3. Divieto di uccellagione.
1. È vietata in tutto il territorio nazionale ogni forma di uccellagione e di cattura di uccelli e di mammiferi selvatici, nonché il prelievo di uova, nidi e piccoli nati.
4. Cattura temporanea e inanellamento.
1. Le regioni, su parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, possono autorizzare esclusivamente gli istituti scientifici delle università e del Consiglio nazionale delle ricerche e i musei di storia naturale ad effettuare, a scopo di studio e ricerca scientifica, la cattura e l'utilizzazione di mammiferi ed uccelli, nonché il prelievo di uova, nidi e piccoli nati.
2. L'attività di cattura temporanea per l'inanellamento degli uccelli a scopo scientifico è organizzata e coordinata sull'intero territorio nazionale dall'Istituto nazionale per la fauna selvatica; tale attività funge da schema nazionale di inanellamento in seno all'Unione europea per l'inanellamento (EURING). L'attività di inanellamento può essere svolta esclusivamente da titolari di specifica autorizzazione, rilasciata dalle regioni su parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica; l'espressione di tale parere è subordinata alla partecipazione a specifici corsi di istruzione, organizzati dallo stesso Istituto, ed al superamento del relativo esame finale.
3. L'attività di cattura per l'inanellamento e per la cessione a fini di richiamo può essere svolta esclusivamente da impianti della cui autorizzazione siano titolari le province e che siano gestiti da personale qualificato e valutato idoneo dall'Istituto nazionale per la fauna selvatica. L'autorizzazione alla gestione di tali impianti è concessa dalle regioni su parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, il quale svolge altresì compiti di controllo e di certificazione dell'attività svolta dagli impianti stessi e ne determina il periodo di attività.
4. La cattura per la cessione a fini di richiamo è consentita solo per esemplari appartenenti alle seguenti specie: allodola; cesena; tordo sassello; tordo bottaccio; merlo; pavoncella e colombaccio. Gli esemplari appartenenti ad altre specie eventualmente catturati devono essere inanellati ed immediatamente liberati (5/a).
5. È fatto obbligo a chiunque abbatte, cattura o rinviene uccelli inanellati di darne notizia all'Istituto nazionale per la fauna selvatica o al comune nel cui territorio è avvenuto il fatto, il quale provvede ad informare il predetto Istituto.
6. Le regioni emanano norme in ordine al soccorso, alla detenzione temporanea e alla successiva liberazione di fauna selvatica in difficoltà.
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(5/a) Comma così sostituito dall'art. 34, L. 1° marzo 2002, n. 39 - Legge comunitaria 2001.
5. Esercizio venatorio da appostamento fisso e richiami vivi.
1. Le regioni, su parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, emanano norme per regolamentare l'allevamento, la vendita e la detenzione di uccelli allevati appartenenti alle specie cacciabili, nonché il loro uso in funzione di richiami.
2. Le regioni emanano altresì norme relative alla costituzione e gestione del patrimonio di richiami vivi di cattura appartenenti alle specie di cui all'articolo 4, comma 4, consentendo, ad ogni cacciatore che eserciti l'attività venatoria ai sensi dell'articolo 12, comma 5, lettera b), la detenzione di un numero massimo di dieci unità per ogni specie, fino ad un massimo complessivo di quaranta unità. Per i cacciatori che esercitano l'attività venatoria da appostamento temporaneo con richiami vivi, il patrimonio di cui sopra non potrà superare il numero massimo complessivo di dieci unità.
3. Le regioni emanano norme per l'autorizzazione degli appostamenti fissi, che le province rilasciano in numero non superiore a quello rilasciato nell'annata venatoria 1989-1990.
4. L'autorizzazione di cui al comma 3 può essere richiesta da coloro che ne erano in possesso nell'annata venatoria 1989-1990. Ove si realizzi una possibile capienza, l'autorizzazione può essere richiesta dagli ultrasessantenni nel rispetto delle priorità definite dalle norme regionali.
5. Non sono considerati fissi ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 12, comma 5, gli appostamenti per la caccia agli ungulati e ai colombacci e gli appostamenti di cui all'articolo 14, comma 12.
6. L'accesso con armi proprie all'appostamento fisso con l'uso di richiami vivi è consentito unicamente a coloro che hanno optato per la forma di caccia di cui all'articolo 12, comma 5, lettera b). Oltre al titolare; possono accedere all'appostamento fisso le persone autorizzate dal titolare medesimo.
7. È vietato l'uso di richiami che non siano identificabili mediante anello inamovibile, numerato secondo le norme regionali che disciplinano anche la procedura in materia.
8. La sostituzione di un richiamo può avvenire soltanto dietro presentazione all'ente competente del richiamo morto da sostituire.
9. È vietata la vendita di uccelli di cattura utilizzabili come richiami vivi per l'attività venatoria.
6. Tassidermia.
1. Le regioni, sulla base di apposito regolamento, disciplinano l'attività di tassidermia ed imbalsamazione e la detenzione o il possesso di preparazioni tassidermiche e trofei.
2. I tassidermisti autorizzati devono segnalare all'autorità competente le richieste di impagliare o imbalsamare spoglie di specie protette o comunque non cacciabili ovvero le richieste relative a spoglie di specie cacciabili avanzate in periodi diversi da quelli previsti nel calendario venatorio per la caccia della specie in questione.
3. L'inadempienza alle disposizioni di cui al comma 2 comporta la revoca dell'autorizzazione a svolgere l'attività di tassidermista, oltre alle sanzioni previste per chi detiene illecitamente esemplari di specie protette o per chi cattura esemplari cacciabili al di fuori dei periodi fissati nel calendario venatorio.
4. Le regioni provvedono ad emanare, non oltre un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, un regolamento atto a disciplinare l'attività di tassidermia ed imbalsamazione di cui al comma 1.
7. Istituto nazionale per la fauna selvatica.
1. L'Istituto nazionale di biologia della selvaggina di cui all'articolo 35 della legge 27 dicembre 1977, n. 968 (6), dalla data di entrata in vigore della presente legge assume la denominazione di Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS) ed opera quale organo scientifico e tecnico di ricerca e consulenza per lo Stato, le regioni e le province.
2. L'Istituto nazionale per la fauna selvatica, con sede centrale in Ozzano dell'Emilia (Bologna), è sottoposto alla vigilanza della Presidenza del Consiglio dei ministri. Il Presidente del Consiglio dei ministri, di intesa con le regioni, definisce nelle norme regolamentari dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica l'istituzione di unità operative tecniche consultive decentrate che forniscono alle regioni supporto per la predisposizione dei piani regionali (6/a).
3. L'Istituto nazionale per la fauna selvatica ha il compito di censire il patrimonio ambientale costituito dalla fauna selvatica, di studiarne lo stato, l'evoluzione ed i rapporti con le altre componenti ambientali, di elaborare progetti di intervento ricostitutivo o migliorativo sia delle comunità animali sia degli ambienti al fine della riqualificazione faunistica del territorio nazionale, di effettuare e di coordinare l'attività di inanellamento a scopo scientifico sull'intero territorio italiano, di collaborare con gli organismi stranieri ed in particolare con quelli dei Paesi della Comunità economica europea aventi analoghi compiti e finalità, di collaborare con le università e gli altri organismi di ricerca nazionali, di controllare e valutare gli interventi faunistici operati dalle regioni e dalle province autonome, di esprimere i pareri tecnico-scientifici richiesti dallo Stato, dalle regioni e dalle province autonome.
4. Presso l'Istituto nazionale per la fauna selvatica sono istituiti una scuola di specializzazione post-universitaria sulla biologia e la conservazione della fauna selvatica e corsi di preparazione professionale per la gestione della fauna selvatica per tecnici diplomati. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge una commissione istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, composta da un rappresentante del Ministro dell'agricoltura e delle foreste, da un rappresentante del Ministro dell'ambiente, da un rappresentante del Ministro della sanità e dal direttore generale dell'Istituto nazionale di biologia della selvaggina in carica alla data di entrata in vigore della presente legge, provvede ad adeguare lo statuto e la pianta organica dell'Istituto ai nuovi compiti previsti dal presente articolo e li sottopone al Presidente del Consiglio dei ministri, che li approva con proprio decreto.
5. Per l'attuazione dei propri fini istituzionali, l'Istituto nazionale per la fauna selvatica provvede direttamente alle attività di cui all'articolo 4.
6. L'Istituto nazionale per la fauna selvatica è rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato nei giudizi attivi e passivi aventi l'autorità giudiziaria, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali.
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(6) Riportata al n. XXII.
(6/a) Vedi, anche, l'art. 6, comma 2, D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 419.
8. Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale.
1. Presso il Ministero dell'agricoltura e delle foreste è istituito il Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale (CTFVN) composto da tre rappresentanti nominati dal Ministro dell'agricoltura e delle foreste, da tre rappresentanti nominati dal Ministro dell'ambiente, da tre rappresentanti delle regioni nominati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da tre rappresentanti delle province nominati dall'Unione delle province d'Italia, dal direttore dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, da un rappresentante per ogni associazione venatoria nazionale riconosciuta, da tre rappresentanti delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale, da quattro rappresentanti delle associazioni di protezione ambientale presenti nel Consiglio nazionale per l'ambiente, da un rappresentante dell'Unione zoologica italiana, da un rappresentante dell'Ente nazionale per la cinofilia italiana, da un rappresentante del Consiglio internazionale della caccia e della conservazione della selvaggina, da un rappresentante dell'Ente nazionale per la protezione degli animali, da un rappresentante del Club alpino italiano.
2. Il Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale è costituito, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sulla base delle designazioni delle organizzazioni ed associazioni di cui al comma 1 ed è presieduto dal Ministro dell'agricoltura e delle foreste o da un suo delegato.
3. Al Comitato sono conferiti compiti di organo tecnico consultivo per tutto quello che concerne l'applicazione della presente legge.
4. Il Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale viene rinnovato ogni cinque anni.
9. Funzioni amministrative.
1. Le regioni esercitano le funzioni amministrative di programmazione e di coordinamento ai fini della pianificazione faunistico-venatoria di cui all'articolo 10 e svolgono i compiti di orientamento, di controllo e sostitutivi previsti dalla presente legge e dagli statuti regionali. Alle province spettano le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna secondo quanto previsto dalla legge 8 giugno 1990, n. 142 (7), che esercitano nel rispetto della presente legge.
2. Le regioni a statuto speciale e le province autonome esercitano le funzioni amministrative in materia di caccia in base alle competenze esclusive nei limiti stabiliti dai rispettivi statuti.
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(7) Riportata alla voce Comuni e province.
10. Piani faunistico-venatori.
1. Tutto il territorio agro-silvo-pastorale nazionale è soggetto a pianificazione faunistico-venatoria finalizzata, per quanto attiene alle specie carnivore, alla conservazione delle effettive capacità riproduttive e al contenimento naturale di altre specie e, per quanto riguarda le altre specie, al conseguimento della densità ottimale e alla sua conservazione mediante la riqualificazione delle risorse ambientali e la regolamentazione del prelievo venatorio.
2. Le regioni e le province, con le modalità previste nei commi 7 e 10, realizzano la pianificazione di cui al comma 1 mediante la destinazione differenziata del territorio.
3. Il territorio agro-silvo-pastorale di ogni regione è destinato per una quota dal 20 al 30 per cento a protezione della fauna selvatica, fatta eccezione per il territorio delle Alpi di ciascuna regione, che costituisce zona faunistica a sé stante ed è destinato a protezione nella percentuale dal 10 al 20 per cento. In dette percentuali sono compresi i territori ove sia comunque vietata l'attività venatoria anche per effetto di altre leggi o disposizioni (6/cost).
4. Il territorio di protezione di cui al comma 3 comprende anche i territori di cui al comma 8, lettere a), b), e c). Si intende per protezione il divieto di abbattimento e cattura a fini venatori accompagnato da provvedimenti atti ad agevolare la sosta della fauna, la riproduzione, la cura della prole.
5. Il territorio agro-silvo-pastorale regionale può essere destinato nella percentuale massima globale del 15 per cento a caccia riservata a gestione privata ai sensi dell'articolo 16, comma 1, e a centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale.
6. Sul rimanente territorio agro-silvo-pastorale le regioni promuovono forme di gestione programmata della caccia, secondo le modalità stabilite dall'articolo 14.
7. Ai fini della pianificazione generale del territorio agro-silvo-pastorale le province predispongono, articolandoli per comprensori omogenei, piani faunistico-venatori. Le province predispongono altresì piani di miglioramento ambientale tesi a favorire la riproduzione naturale di fauna selvatica nonché piani di immissione di fauna selvatica anche tramite la cattura di selvatici presenti in soprannumero nei parchi nazionali e regionali e in altri ambiti faunistici, salvo accertamento delle compatibilità genetiche da parte dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica e sentite le organizzazioni professionali agricole presenti nel Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale tramite le loro strutture regionali.
8. I piani faunistico-venatori di cui al comma 7 comprendono:
a) le oasi di protezione, destinate al rifugio, alla riproduzione ed alla sosta della fauna selvatica;
b) le zone di ripopolamento e cattura, destinate alla riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale ed alla cattura della stessa per l'immissione sul territorio in tempi e condizioni utili all'ambientamento fino alla ricostituzione e alla stabilizzazione della densità faunistica ottimale per il territorio;
c) i centri pubblici di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale, ai fini di ricostituzione delle popolazioni autoctone;
d) i centri privati di riproduzione di fauna selvatica allo stato naturale, organizzati in forma di azienda agricola singola, consortile o cooperativa, ove è vietato l'esercizio dell'attività venatoria ed è consentito il prelievo di animali allevati appartenenti a specie cacciabili da parte del titolare dell'impresa agricola, di dipendenti della stessa e di persone nominativamente indicate;
e) le zone e i periodi per l'addestramento, l'allenamento e le gare di cani anche su fauna selvatica naturale o con l'abbattimento di fauna di allevamento appartenente a specie cacciabili, la cui gestione può essere affidata ad associazioni venatorie e cinofile ovvero ad imprenditori agricoli singoli o associati;
f) i criteri per la determinazione del risarcimento in favore dei conduttori dei fondi rustici per i danni arrecati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e alle opere approntate su fondi vincolati per gli scopi di cui alle lettere a), b), e c);
g) i criteri per la corresponsione degli incentivi in favore dei proprietari o conduttori dei fondi rustici, singoli o associati, che si impegnino alla tutela ed al ripristino degli habitat naturali e all'incremento della fauna selvatica nelle zone di cui alle lettere a) e b);
h) l'identificazione delle zone in cui sono collocabili gli appostamenti fissi.
9. Ogni zona dovrà essere indicata da tabelle perimetrali, esenti da tasse, secondo le disposizioni impartite dalle regioni, apposte a cura dell'ente, associazione o privato che sia preposto o incaricato della gestione della singola zona.
10. Le regioni attuano la pianificazione faunistico-venatoria mediante il coordinamento dei piani provinciali di cui al comma 7 secondo criteri dei quali l'Istituto nazionale per la fauna selvatica garantisce la omogeneità e la congruenza a norma del comma 11, nonché con l'esercizio di poteri sostitutivi nel caso di mancato adempimento da parte delle province dopo dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
11. Entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l'Istituto nazionale per la fauna selvatica trasmette al Ministro dell'agricoltura e delle foreste e al Ministro dell'ambiente il primo documento orientativo circa i criteri di omogeneità e congruenza che orienteranno la pianificazione faunistico-venatoria. I Ministri, d'intesa, trasmettono alle regioni con proprie osservazioni i criteri della programmazione, che deve essere basata anche sulla conoscenza delle risorse e della consistenza faunistica, da conseguirsi anche mediante modalità omogenee di rilevazione e di censimento.
12. Il piano faunistico-venatorio regionale determina i criteri per la individuazione dei territori da destinare alla costituzione di aziende faunistico-venatorie, di aziende agri-turistico-venatorie e di centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale.
13. La deliberazione che determina il perimetro delle zone da vincolare, come indicato al comma 8, lettere a), b) e c), deve essere notificata ai proprietari o conduttori dei fondi interessati e pubblicata mediante affissione all'albo pretorio dei comuni territorialmente interessati.
14. Qualora nei successivi sessanta giorni sia presentanta opposizione motivata, in carta semplice ed esente da oneri fiscali, da parte dei proprietari o conduttori dei fondi costituenti almeno il 40 per cento della superficie complessiva che si intende vincolare, la zona non può essere istituita.
15. Il consenso si intende validamente accordato anche nel caso in cui non sia stata presentata formale opposizione.
16. Le regioni, in via eccezionale, ed in vista di particolari necessità ambientali, possono disporre la costituzione coattiva di oasi di protezione e di zone di ripopolamento e cattura, nonché l'attuazione dei piani di miglioramento ambientale di cui al comma 7.
17. Nelle zone non vincolate per la opposizione manifestata dai proprietari o conduttori di fondi interessati, resta, in ogni caso, precluso l'esercizio dell'attività venatoria. Le regioni possono destinare le suddette aree ad altro uso nell'ambito della pianificazione faunistico-venatoria.
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(6/cost) La Corte costituzionale, con sentenza 16-30 dicembre 1997, n. 448 (Gazz. Uff. 7 gennaio 1998, n. 1, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 3, sollevata in riferimento all'art. 97, primo comma, della Costituzione.
11. Zona faunistica delle Alpi.
1. Agli effetti della presente legge il territorio delle Alpi, individuabile nella consistente presenza della tipica flora e fauna alpina, è considerato zona faunistica a sé stante.
2. Le regioni interessate, entro i limiti territoriali di cui al comma 1, emanano, nel rispetto dei principi generali della presente legge e degli accordi internazionali, norme particolari al fine di proteggere la caratteristica fauna e disciplinare l'attività venatoria, tenute presenti le consuetudini e le tradizioni locali.
3. Al fine di ripristinare l'integrità del biotopo animale, nei territori ove sia esclusivamente presente la tipica fauna alpina è consentita la immissione di specie autoctone previo parere favorevole dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica.
4. Le regioni nei cui territori sono compresi quelli alpini, d'intesa con le regioni a statuto speciale e con le province autonome di Trento e di Bolzano, determinano i confini della zona faunistica delle Alpi con l'apposizione di tabelle esenti da tasse.
12. Esercizio dell'attività venatoria.
1. L'attività venatoria si svolge per una concessione che lo Stato rilascia ai cittadini che la richiedano e che posseggano i requisiti previsti dalla presente legge.
2. Costituisce esercizio venatorio ogni atto diretto all'abbattimento o alla cattura di fauna selvatica mediante l'impiego dei mezzi di cui all'articolo 13.
3. È considerato altresì esercizio venatorio il vagare o il soffermarsi con i mezzi destinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della fauna selvatica o di attesa della medesima per abbatterla.
4. Ogni altro modo di abbattimento è vietato, salvo che non avvenga per caso fortuito o per forza maggiore.
5. Fatto salvo l'esercizio venatorio con l'arco o con il falco, l'esercizio venatorio stesso può essere praticato in via esclusiva in una delle seguenti forme:
a) vagante in zona Alpi;
b) da appostamento fisso;
c) nell'insieme delle altre forme di attività venatoria consentite dalla presente legge e praticate nel rimanente territorio destinato all'attività venatoria programmata.
6. La fauna selvatica abbattuta durante l'esercizio venatorio nel rispetto delle disposizioni della presente legge appartiene a colui che l'ha cacciata.
7. Non costituisce esercizio venatorio il prelievo di fauna selvatica ai fini di impresa agricola di cui all'articolo 10, comma 8, lettera d).
8. L'attività venatoria può essere esercitata da chi abbia compiuto il diciottesimo anno di età e sia munito di licenza di porto di fucile per uso di caccia, di polizza assicurativa per la responsabilità civile verso terzi derivante dall'uso delle armi o degli arnesi utili all'attività venatoria, con massimale di lire un miliardo per ogni sinistro, di cui lire 750 milioni per ogni persona danneggiata e lire 250 milioni per danni ad animali ed a cose, nonché di polizza assicurativa per infortuni correlata all'esercizio dell'attività venatoria, con massimale di lire 100 milioni per morte o invalidità permanente.
9. Il Ministro dell'agricoltura e delle foreste, sentito il Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale, provvede ogni quattro anni, con proprio decreto, ad aggiornare i massimali suddetti.
10. In caso di sinistro colui che ha subito il danno può procedere ad azione diretta nei confronti della compagnia di assicurazione presso la quale colui che ha causato il danno ha contratto la relativa polizza.
11. La licenza di porto di fucile per uso di caccia ha validità su tutto il territorio nazionale e consente l'esercizio venatorio nel rispetto delle norme di cui alla presente legge e delle norme emanate dalle regioni.
12. Ai fini dell'esercizio dell'attività venatoria è altresì necessario il possesso di un apposito tesserino rilasciato dalla regione di residenza, ove sono indicate le specifiche norme inerenti il calendario regionale, nonché le forme di cui al comma 5 e gli ambiti territoriali di caccia ove è consentita l'attività venatoria. Per l'esercizio della caccia in regioni diverse da quella di residenza è necessario che, a cura di quest'ultima, vengano apposte sul predetto tesserino le indicazioni sopramenzionate.
13. Mezzi per l'esercizio dell'attività venatoria.
1. L'attività venatoria è consentita con l'uso del fucile con canna ad anima liscia fino a due colpi, a ripetizione e semiautomatico, con caricatore contenente non più di due cartucce, di calibro non superiore al 12, nonché con fucile con canna ad anima rigata a caricamento singolo manuale o a ripetizione semiautomatica di calibro non inferiore a millimetri 5,6 con bossolo a vuoto di altezza non inferiore a millimetri 40.
2. È consentito, altresì, l'uso del fucile a due o tre canne (combinato), di cui una o due ad anima liscia di calibro non superiore al 12 ed una o due ad anima rigata di calibro non inferiore a millimetri 5,6, nonché l'uso dell'arco e del falco.
3. I bossoli delle cartucce devono essere recuperati dal cacciatore e non lasciati sul luogo di caccia.
4. Nella zona faunistica delle Alpi è vietato l'uso del fucile con canna ad anima liscia a ripetizione semiautomatica salvo che il relativo caricatore sia adattato in modo da non contenere più di un colpo.
5. Sono vietati tutte le armi e tutti i mezzi per l'esercizio venatorio non esplicitamente ammessi dal presente articolo.
6. Il titolare della licenza di porto di fucile anche per uso di caccia è autorizzato, per l'esercizio venatorio, a portare, oltre alle armi consentite, gli utensili da punta e da taglio atti alle esigenze venatorie (7/cost).
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(7/cost) La Corte costituzionale, con ordinanza 20-30 marzo 1995, n. 95 (Gazz. Uff. 5 aprile 1995, n. 14, Serie speciale), ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 30, primo comma, lett. h), e dell'art. 13, sollevata in riferimento agli artt. 25, secondo comma e 3 della Costituzione.
14. Gestione programmata della caccia.
1. Le regioni, con apposite norme, sentite le organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale e le province interessate, ripartiscono il territorio agro-silvo-pastorale destinato alla caccia programmata ai sensi dell'articolo 10, comma 6, in ambiti territoriali di caccia, di dimensioni subprovinciali, possibilmente omogenei e delimitati da confini naturali.
2. Le regioni tra loro confinanti, per esigenze motivate, possono, altresì, individuare ambiti territoriali di caccia interessanti anche due o più province contigue.
3. Il Ministero dell'agricoltura e delle foreste stabilisce con periodicità quinquennale, sulla base dei dati censuari, l'indice di densità venatoria minima per ogni ambito territoriale di caccia. Tale indice è costituito dal rapporto fra il numero dei cacciatori, ivi compresi quelli che praticano l'esercizio venatorio da appostamento fisso, ed il territorio agro-silvo-pastorale nazionale (7/a).
4. Il Ministero dell'agricoltura e delle foreste stabilisce altresì l'indice di densità venatoria minima per il territorio compreso nella zona faunistica delle Alpi che è organizzato in comprensori secondo le consuetudini e tradizioni locali. Tale indice è costituito dal rapporto tra il numero dei cacciatori, ivi compresi quelli che praticano l'esercizio venatorio da appostamento fisso, e il territorio regionale compreso, ai sensi dell'articolo 11, comma 4, nella zona faunistica delle Alpi (7/a).
5. Sulla base di norme regionali, ogni cacciatore, previa domanda all'amministrazione competente, ha diritto all'accesso in un ambito territoriale di caccia o in un comprensorio alpino compreso nella regione in cui risiede e può aver accesso ad altri ambiti o ad altri comprensori anche compresi in una diversa regione, previo consenso dei relativi organi di gestione.
6. Entro il 30 novembre 1993 i cacciatori comunicano alla provincia di residenza la propria opzione ai sensi dell'articolo 12. Entro il 31 dicembre 1993 le province trasmettono i relativi dati al Ministero dell'agricoltura e delle foreste.
7. Entro sessanta giorni dalla scadenza del termine di cui al comma 6, il Ministero dell'agricoltura e delle foreste comunica alle regioni e alle province gli indici di densità minima di cui ai commi 3 e 4. Nei successivi novanta giorni le regioni approvano e pubblicano il piano faunistico-venatorio e il regolamento di attuazione, che non può prevedere indici di densità venatoria inferiori a quelli stabiliti dal Ministero dell'agricoltura e delle foreste. Il regolamento di attuazione del piano faunistico-venatorio deve prevedere, tra l'altro, le modalità di prima costituzione degli organi direttivi degli ambiti territoriali di caccia e dei comprensori alpini, la loro durata in carica nonché le norme relative alla loro prima elezione e ai successivi rinnovi. Le regioni provvedono ad eventuali modifiche o revisioni del piano faunistico-venatorio e del regolamento di attuazione con periodicità quinquennale.
8. È facoltà degli organi direttivi degli ambiti territoriali di caccia e dei comprensori alpini, con delibera motivata, di ammettere nei rispettivi territori di competenza un numero di cacciatori superiore a quello fissato dal regolamento di attuazione, purché si siano accertate, anche mediante censimenti, modificazioni positive della popolazione faunistica e siano stabiliti con legge regionale i criteri di priorità per l'ammissibilità ai sensi del presente comma.
9. Le regioni stabiliscono con legge le forme di partecipazione, anche economica, dei cacciatori alla gestione, per finalità faunistico-venatorie, dei territori compresi negli ambiti territoriali di caccia e nei comprensori alpini ed, inoltre, sentiti i relativi organi, definiscono il numero dei cacciatori non residenti ammissibili e ne regolamentano l'accesso.
10. Negli organi direttivi degli ambiti territoriali di caccia deve essere assicurata la presenza paritaria, in misura pari complessivamente al 60 per cento dei componenti, dei rappresentanti di strutture locali delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale e delle associazioni venatorie nazionali riconosciute, ove presenti in forma organizzata sul territorio. Il 20 per cento dei componenti è costituito da rappresentanti di associazioni di protezione ambientale presenti nel Consiglio nazionale per l'ambiente e il 20 per cento da rappresentanti degli enti locali.
11. Negli ambiti territoriali di caccia l'organismo di gestione promuove e organizza le attività di ricognizione delle risorse ambientali e della consistenza faunistica, programma agli interventi per il miglioramento degli habitat, provvede all'attribuzione di incentivi economici ai conduttori dei fondi rustici per:
a) la ricostituzione di una presenza faunistica ottimale per il territorio; le coltivazioni per l'alimentazione naturale dei mammiferi e degli uccelli soprattutto nei terreni dismessi da interventi agricoli ai sensi del regolamento (CEE) n. 1094/88 del Consiglio del 25 aprile 1988; il ripristino di zone umide e di fossati; la differenziazione delle colture; la coltivazione di siepi, cespugli, alberi adatti alla nidificazione;
b) la tutela dei nidi e dei nuovi nati di fauna selvatica nonché dei riproduttori;
c) la collaborazione operativa ai fini del tabellamento, della difesa preventiva delle coltivazioni passibili di danneggiamento, della pasturazione invernale degli animali in difficoltà, della manutenzione degli apprestamenti di ambientamento della fauna selvatica.
12. Le province autorizzano la costituzione ed il mantenimento degli appostamenti fissi senza richiami vivi, la cui ubicazione non deve comunque ostacolare l'attuazione del piano faunistico-venatorio. Per gli appostamenti che importino preparazione del sito con modificazione e occupazione stabile del terreno, è necessario il consenso del proprietario o del conduttore del fondo, lago o stagno privato. Agli appostamenti fissi, costituiti alla data di entrata in vigore della presente legge, per la durata che sarà definita dalle norme regionali, non è applicabile l'articolo 10, comma 8, lettera h).
13. L'appostamento temporaneo è inteso come caccia vagante ed è consentito a condizione che non si produca modifica di sito.
14. L'organo di gestione degli ambiti territoriali di caccia provvede, altresì, all'erogazione di contributi per il risarcimento dei danni arrecati alle produzioni agricole dalla fauna selvatica e dall'esercizio dell'attività venatoria nonché alla erogazione di contributi per interventi, previamente concordati, ai fini della prevenzione dei danni medesimi.
15. In caso di inerzia delle regioni negli adempimenti di cui al presente articolo, il Ministro dell'agricoltura e delle foreste, di concerto con il Ministro dell'ambiente, assegna ad esse il termine di novanta giorni per provvedere, decorso inutilmente il quale il Presidente del Consiglio dei ministri provvede in via sostitutiva, previa deliberazione del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro dell'agricoltura e delle foreste, di concerto con il Ministro dell'ambiente.
16. A partire dalla stagione venatoria 1995-1996 i calendari venatori delle province devono indicare le zone dove l'attività venatoria è consentita in forma programmata, quelle riservate alla gestione venatoria privata e le zone dove l'esercizio venatorio non è consentito.
17. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, in base alle loro competenze esclusive, nei limiti stabiliti dai rispettivi statuti ed ai sensi dell'articolo 9 della legge 9 marzo 1989, n. 86 (8), e nel rispetto dei principi della presente legge, provvedono alla pianificazione faunistico-venatoria, alla suddivisione territoriale, alla determinazione della densità venatoria, nonché alla regolamentazione per l'esercizio di caccia nel territorio di competenza.
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(7/a) Il D.M. 30 gennaio 1993 (Gazz. Uff. 15 febbraio 1993, n. 37), sostituendo il precedente D.M. 31 dicembre 1992 (Gazz. Uff. 20 gennaio 1993, n. 15), ha così disposto:
«Art. 1. L'indice di densità venatoria minima, di cui all'art. 14, comma 3, della L. 11 febbraio 1992, n. 157, in sede di prima attuazione e per ogni ambito territoriale di caccia, già fissato con D.M. 31 dicembre 1992, è ridefinito pari a 0,0526 cacciatori/ettaro, ovvero 19,01 ettari/cacciatore.
Art. 2. L'indice di densità venatoria minima, di cui all'art. 14, comma 4, della L. 11 febbraio 1992, n. 157, in sede di prima attuazione e per il territorio compreso nella zona faunistica delle Alpi è ridefinito pari a 0,0518 cacciatori/ettaro, ovvero 19,30 ettari/cacciatore».
(7/a) Il D.M. 30 gennaio 1993 (Gazz. Uff. 15 febbraio 1993, n. 37), sostituendo il precedente D.M. 31 dicembre 1992 (Gazz. Uff. 20 gennaio 1993, n. 15), ha così disposto:
«Art. 1. L'indice di densità venatoria minima, di cui all'art. 14, comma 3, della L. 11 febbraio 1992, n. 157, in sede di prima attuazione e per ogni ambito territoriale di caccia, già fissato con D.M. 31 dicembre 1992, è ridefinito pari a 0,0526 cacciatori/ettaro, ovvero 19,01 ettari/cacciatore.
Art. 2. L'indice di densità venatoria minima, di cui all'art. 14, comma 4, della L. 11 febbraio 1992, n. 157, in sede di prima attuazione e per il territorio compreso nella zona faunistica delle Alpi è ridefinito pari a 0,0518 cacciatori/ettaro, ovvero 19,30 ettari/cacciatore».
(8) Riportata alla voce Comunità europee.
15. Utilizzazione dei fondi ai fini della gestione programmata della caccia.
1. Per l'utilizzazione dei fondi inclusi nel piano faunistico-venatorio regionale ai fini della gestione programmata della caccia, è dovuto ai proprietari o conduttori un contributo da determinarsi a cura della amministrazione regionale in relazione alla estensione, alle condizioni agronomiche, alle misure dirette alla tutela e alla valorizzazione dell'ambiente.
2. All'onere derivante dalla erogazione del contributo di cui al comma 1, si provvede con il gettito derivante dalla istituzione delle tasse di concessione regionale di cui all'articolo 23.
3. Il proprietario o conduttore di un fondo che intenda vietare sullo stesso l'esercizio dell'attività venatoria deve inoltrare, entro trenta giorni dalla pubblicazione del piano faunistico-venatorio, al presidente della giunta regionale richiesta motivata che, ai sensi dell'articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (9), dalla stessa è esaminata entro sessanta giorni.
4. La richiesta è accolta se non ostacola l'attuazione della pianificazione faunistico-venatoria di cui all'articolo 10. È altresì accolta, in casi specificatamente individuati con norme regionali, quando l'attività venatoria sia in contrasto con l'esigenza di salvaguardia di colture agricole specializzate nonché di produzioni agricole condotte con sistemi sperimentali o a fine di ricerca scientifica, ovvero quando sia motivo di danno o di disturbo ad attività di rilevante interesse economico, sociale o ambientale.
5. Il divieto è reso noto mediante l'apposizione di tabelle, esenti da tasse, a cura del proprietario o conduttore del fondo, le quali delimitino in maniera chiara e visibile il perimetro dell'area interessata.
6. Nei fondi sottratti alla gestione programmata della caccia è vietato a chiunque, compreso il proprietario o il conduttore, esercitare l'attività venatoria fino al venir meno delle ragioni del divieto.
7. L'esercizio venatorio è, comunque, vietato in forma vagante sui terreni in attualità di coltivazione. Si considerano in attualità di coltivazione: i terreni con coltivazioni erbacee da seme; i frutteti specializzati; i vigneti e gli uliveti specializzati fino alla data del raccolto; i terreni coltivati a soia e a riso, nonché a mais per la produzione di seme fino alla data del raccolto. L'esercizio venatorio in forma vagante è inoltre vietato sui terreni in attualità di coltivazione individuati dalle regioni, sentite le organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale, tramite le loro strutture regionali, in relazione all'esigenza di protezione di altre colture specializzate o intensive.
8. L'esercizio venatorio è vietato a chiunque nei fondi chiusi da muro o da rete metallica o da altra effettiva chiusura, di altezza non inferiore a metri 1,20, o da corsi o specchi d'acqua perenni il cui letto abbia la profondità di almeno metri 1,50 e la larghezza di almeno 3 metri. I fondi chiusi esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge e quelli che si intenderà successivamente istituire devono essere notificati ai competenti uffici regionali. I proprietari o i conduttori dei fondi di cui al presente comma provvedono ad apporre a loro carico adeguate tabellazioni esenti da tasse.
9. La superficie dei fondi di cui al comma 8 entra a far parte della quota dal 20 al 30 per cento del territorio agro-silvo-pastorale di cui all'articolo 10, comma 3.
10. Le regioni regolamentano l'esercizio venatorio nei fondi con presenza di bestiame allo stato brado o semibrado, secondo le particolari caratteristiche ambientali e di carico per ettaro, e stabiliscono i parametri entro i quali tale esercizio è vietato nonché le modalità di delimitazione dei fondi stessi.
11. Scaduti i termini di cui all'articolo 36, commi 5 e 6, fissati per l'adozione degli atti che consentano la piena attuazione della presente legge nella stagione venatoria 1994-1995, il Ministro dell'agricoltura e delle foreste provvede in via sostitutiva secondo le modalità di cui all'articolo 14, comma 15. Comunque, a partire dal 31 luglio 1997 le disposizioni di cui al primo comma dell'articolo 842 del codice civile si applicano esclusivamente nei territori sottoposti al regime di gestione programmata della caccia ai sensi degli articoli 10 e 14 (9/a).
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(9) Riportata alla voce Ministeri: provvedimenti generali.
(9/a) Comma così modificato dall'art. 11-bis, D.L. 23 ottobre 1996, n. 542, riportato alla voce Termini di prescrizione e decadenza (Sospensione di). Lo stesso articolo ha, inoltre, disposto che non sono punibili i fatti commessi, in violazione delle presenti norme, in data anteriore a quella di entrata in vigore della legge di conversione del suddetto decreto-legge.
16. Aziende faunistico-venatorie e aziende agri-turistico-venatorie.
1. Le regioni, su richiesta degli interessati e sentito l'Istituto nazionale per la fauna selvatica, entro i limiti del 15 per cento del proprio territorio agro-silvo-pastorale, possono:
a) autorizzare, regolamentandola, l'istituzione di aziende faunistico-venatorie, senza fini di lucro, soggette a tassa di concessione regionale, per prevalenti finalità naturalistiche e faunistiche con particolare riferimento alla tipica fauna alpina e appenninica, alla grossa fauna europea e a quella acquatica; dette concessioni devono essere corredate di programmi di conservazione e di ripristino ambientale al fine di garantire l'obiettivo naturalistico e faunistico. In tali aziende la caccia è consentita nelle giornate indicate dal calendario venatorio secondo i piani di assestamento e di abbattimento. In ogni caso, nelle aziende faunistico-venatorie non è consentito immettere o liberare fauna selvatica posteriormente alla data del 31 agosto;
b) autorizzare, regolamentandola, l'istituzione di aziende agri-turistico-venatorie, ai fini di impresa agricola, soggette a tassa di concessione regionale, nelle quali sono consentiti l'immissione e l'abbattimento per tutta la stagione venatoria di fauna selvatica di allevamento.
2. Le aziende agri-turistico-venatorie devono:
a) essere preferibilmente situate nei territori di scarso rilievo faunistico;
b) coincidere preferibilmente con il territorio di una o più aziende agricole ricadenti in aree di agricoltura svantaggiata, ovvero dismesse da interventi agricoli ai sensi del citato regolamento (CEE) n. 1094/88.
3. Le aziende agri-turistico-venatorie nelle zone umide e vallive possono essere autorizzate solo se comprendono bacini artificiali e fauna acquatica di allevamento, nel rispetto delle convenzioni internazionali.
4. L'esercizio dell'attività venatoria nelle aziende di cui al comma 1 è consentito nel rispetto delle norme della presente legge con la esclusione dei limiti di cui all'articolo 12, comma 5.
17. Allevamenti.
1. Le regioni autorizzano, regolamentandolo, l'allevamento di fauna selvatica a scopo alimentare, di ripopolamento, ornamentale ed amatoriale.
2. Le regioni, ferme restando le competenze dell'Ente nazionale per la cinofilia italiana, dettano altresì norme per gli allevamenti dei cani da caccia.
3. Nel caso in cui l'allevamento di cui al comma 1 sia esercitato dal titolare di un'impresa agricola, questi è tenuto a dare semplice comunicazione alla competente autorità provinciale nel rispetto delle norme regionali.
4. Le regioni, ai fini dell'esercizio dell'allevamento a scopo di ripopolamento, organizzato in forma di azienda agricola singola, consortile o cooperativa, possono consentire al titolare, nel rispetto delle norme della presente legge, il prelievo di mammiferi ed uccelli in stato di cattività con i mezzi di cui all'articolo 13.
18. Specie cacciabili e periodi di attività venatoria.
1. Ai fini dell'esercizio venatorio è consentito abbattere esemplari di fauna selvatica appartenenti alle seguenti specie e per i periodi sottoindicati:
a) specie cacciabili dalla terza domenica di settembre al 31 dicembre: quaglia (Coturnix coturnix); tortora (Streptopeia turtur); merlo (Turdus merula); [passero (Passer italiae)] (9/b); [passera mattugia (Passer montanus)] (9/b); [passera oltremontana (Passer domesticus)] (9/b); allodola (Alauda arvensis); [colino della Virginia (Colinus virginianus)] (9/b); starna (Perdix perdix); pernice rossa (Alectoris rufa); pernice sarda (Alectoris barbara); lepre comune (Lepus europaeus); lepre sarda (Lepus capensis); coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus); minilepre (Silvilagus floridamus);
b) specie cacciabili dalla terza domenica di settembre al 31 gennaio: [storno (Sturnus vulgaris)] (9/b); cesena (Turdus pilaris); tordo bottaccio (Turdus philomelos); tordo sassello (Turdus iliacus); fagiano (Phasianus colchicus); germano reale (Anas platyrhynchos); folaga (Fulica atra); gallinella d'acqua (Gallinula chloropus); alzavola (Anas crecca); canapiglia (Anas strepera); porciglione (Rallus aquaticus); fischione (Anas penelope); codone (Anas acuta); marzaiola (Anas querquedula); mestolone (Anas clypeata); moriglione (Aythya ferina); moretta (Aythya fuligula); beccaccino (Gallinago gallinago); colombaccio (Columba palumbus); frullino (Lymnocryptes minimus); [fringuello (Fringilla coelebs)] (9/c); [peppola (Fringilla montifringilla)] (9/c); combattente (Philomachus pugnax); beccaccia (Scolopax rusticola); [taccola (Corvus monedula)] (9/b); [corvo (Corvus frugilegus)] (9/b); cornacchia nera (Corvus corone); pavoncella (Vanellus vanellus); [pittima reale (Limosa limosa)] (9/b); cornacchia grigia (Corvus corone cornix); ghiandaia (Garrulus glandarius); gazza (Pica pica); volpe (Vulpes vulpes);
c) specie cacciabili dal 1 ottobre al 30 novembre: pernice bianca (Lagopus mutus); fagiano di monte (Tetrao tetrix); [francolino di monte (Bonasa bonasia)] (9/b); coturnice (Alectoris graeca); camoscio alpino (Rupicapra rupicapra); capriolo (Capreolus capreolus); cervo (Cervus elaphus); daino (Dama dama); muflone (Ovis musimon); con esclusione della popolazione sarda; lepre bianca (Lepus timidus);
d) specie cacciabili dal 1 ottobre al 31 dicembre o dal 1 novembre al 31 gennaio: cinghiale (Sus scrofa);
e) specie cacciabili dal 15 ottobre al 30 novembre limitatamente alla popolazione di Sicilia: Lepre italica (Lepus corsicanus) (9/d).
2. I termini di cui al comma 1 possono essere modificati per determinate specie in relazione alle situazioni ambientali delle diverse realtà territoriali. Le regioni autorizzano le modifiche previo parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. I termini devono essere comunque contenuti tra il 1 settembre ed il 31 gennaio dell'anno nel rispetto dell'arco temporale massimo indicato al comma 1. L'autorizzazione regionale è condizionata alla preventiva predisposizione di adeguati piani faunistico-venatori. La stessa disciplina si applica anche per la caccia di selezione degli ungulati, sulla base di piani di abbattimento selettivi approvati dalle regioni; la caccia di selezione agli ungulati può essere autorizzata a far tempo dal 1 agosto nel rispetto dell'arco temporale di cui al comma 1.
3. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'agricoltura e delle foreste, d'intesa con il Ministro dell'ambiente, vengono recepiti i nuovi elenchi delle specie di cui al comma 1, entro sessanta giorni dall'avvenuta approvazione comunitaria o dall'entrata in vigore delle convenzioni internazionali. Il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'agricoltura e delle foreste, d'intesa con il Ministro dell'ambiente, sentito l'Istituto nazionale per la fauna selvatica, dispone variazioni dell'elenco delle specie cacciabili in conformità alle vigenti direttive comunitarie e alle convenzioni internazionali sottoscritte, tenendo conto della consistenza delle singole specie sul territorio.
4. Le regioni, sentito l'Istituto nazionale per la fauna selvatica, pubblicano, entro e non oltre il 15 giugno, il calendario regionale e il regolamento relativi all'intera annata venatoria, nel rispetto di quanto stabilito ai commi 1, 2 e 3, e con l'indicazione del numero massimo di capi da abbattere in ciascuna giornata di attività venatoria.
5. Il numero delle giornate di caccia settimanali non può essere superiore a tre. Le regioni possono consentirne la libera scelta al cacciatore, escludendo i giorni di martedì e venerdì, nei quali l'esercizio dell'attività venatoria è in ogni caso sospeso.
6. Fermo restando il silenzio venatorio nei giorni di martedì e venerdì, le regioni, sentito l'Istituto nazionale per la fauna selvatica e tenuto conto delle consuetudini locali, possono, anche in deroga al comma 5, regolamentare diversamente l'esercizio venatorio da appostamento alla fauna selvatica migratoria nei periodi intercorrenti fra il 1 ottobre e il 30 novembre.
7. La caccia è consentita da un'ora prima del sorgere del sole fino al tramonto. La caccia di selezione agli ungulati è consentita fino ad un'ora dopo il tramonto.
8. Non è consentita la posta alla beccaccia né la caccia da appostamento, sotto qualsiasi forma, al beccaccino.
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(9/b) Il D.P.C.M. 21 marzo 1997 (Gazz. Uff. 29 aprile 1997, n. 98), entrato in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ha escluso dall'elenco la presente specie. L'art. 3 dello stesso decreto ha disposto che le Regioni provvedano ai rispettivi atti legislativi ed amministrativi.
(9/c) Il D.P.C.M. 22 novembre 1993 (Gazz. Uff. 1 aprile 1994, n. 76) ha escluso dall'elenco la presente specie. L'art. 3 dello stesso decreto ha disposto che le Regioni provvedano ai rispettivi atti legislativi e amministrativi.
(9/d) Lettera aggiunta dall'articolo unico, D.P.C.M. 7 maggio 2003 (Gazz. Uff. 3 luglio 2003, n. 152).
19. Controllo della fauna selvatica.
1. Le regioni possono vietare o ridurre per periodi prestabiliti la caccia a determinate specie di fauna selvatica di cui all'articolo 18, per importanti e motivate ragioni connesse alla consistenza faunistica o per sopravvenute particolari condizioni ambientali, stagionali o climatiche o per malattie o altre calamità.
2. Le regioni, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico, per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche, provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia. Tale controllo, esercitato selettivamente, viene praticato di norma mediante l'utilizzo di metodi ecologici su parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. Qualora l'Istituto verifichi l'inefficacia dei predetti metodi, le regioni possono autorizzare piani di abbattimento. Tali piani devono essere attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali. Queste ultime potranno altresì avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani medesimi, purché muniti di licenza per l'esercizio venatorio, nonché delle guardie forestali e delle guardie comunali munite di licenza per l'esercizio venatorio.
3. Le province autonome di Trento e di Bolzano possono attuare i piani di cui al comma 2 anche avvalendosi di altre persone, purché munite di licenza per l'esercizio venatorio.
19-bis. Esercizio delle deroghe previste dall'articolo 9 della direttiva 79/409/CEE.
1. Le regioni disciplinano l'esercizio delle deroghe previste dalla direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, conformandosi alle prescrizioni dell'articolo 9, ai princìpi e alle finalità degli articoli 1 e 2 della stessa direttiva ed alle disposizioni della presente legge.
2. Le deroghe, in assenza di altre soluzioni soddisfacenti, possono essere disposte solo per le finalità indicate dall'articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 79/409/CEE e devono menzionare le specie che ne formano oggetto, i mezzi, gli impianti e i metodi di prelievo autorizzati, le condizioni di rischio, le circostanze di tempo e di luogo del prelievo, il numero dei capi giornalmente e complessivamente prelevabili nel periodo, i controlli e le forme di vigilanza cui il prelievo è soggetto e gli organi incaricati della stessa, fermo restando quanto previsto dall'articolo 27, comma 2. I soggetti abilitati al prelievo in deroga vengono individuati dalle regioni, d'intesa con gli àmbiti territoriali di caccia (ATC) ed i comprensori alpini.
3. Le deroghe di cui al comma 1 sono applicate per periodi determinati, sentito l'Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS), o gli istituti riconosciuti a livello regionale, e non possono avere comunque ad oggetto specie la cui consistenza numerica sia in grave diminuzione.
4. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, previa delibera del Consiglio dei Ministri, può annullare, dopo aver diffidato la regione interessata, i provvedimenti di deroga da questa posti in essere in violazione delle disposizioni della presente legge e della direttiva 79/409/CEE.
5. Entro il 30 giugno di ogni anno, ciascuna regione trasmette al Presidente del Consiglio dei Ministri, ovvero al Ministro per gli affari regionali ove nominato, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro delle politiche agricole e forestali, al Ministro per le politiche comunitarie, nonché all'Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS), una relazione sull'attuazione delle deroghe di cui al presente articolo; detta relazione è altresì trasmessa alle competenti Commissioni parlamentari. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio trasmette annualmente alla Commissione europea la relazione di cui all'articolo 9, paragrafo 3, della direttiva 79/409/CEE (9/c).
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(9/c) Articolo aggiunto dall'art. 1, L. 3 ottobre 2002, n. 221 (Gazz. Uff. 11 ottobre 2002, n. 239).
20. Introduzione di fauna selvatica dall'estero.
1. L'introduzione dall'estero di fauna selvatica viva, purché appartenente alle specie autoctone, può effettuarsi solo a scopo di ripopolamento e di miglioramento genetico.
2. I permessi d'importazione possono essere rilasciati unicamente a ditte che dispongono di adeguate strutture ed attrezzature per ogni singola specie di selvatici, al fine di avere le opportune garanzie per controlli, eventuali quarantene e relativi controlli sanitari.
3. Le autorizzazioni per le attività di cui al comma 1 sono rilasciate dal Ministro dell'agricoltura e delle foreste su parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, nel rispetto delle convenzioni internazionali.
21. Divieti.
1. È vietato a chiunque:
a) l'esercizio venatorio nei giardini, nei parchi pubblici e privati, nei parchi storici e archeologici e nei terreni adibiti ad attività sportive;
b) l'esercizio venatorio nei parchi nazionali, nei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali conformemente alla legislazione nazionale in materia di parchi e riserve naturali. Nei parchi naturali regionali costituiti anteriormente alla data di entrata in vigore della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (10), le regioni adeguano la propria legislazione al disposto dell'articolo 22, comma 6, della predetta legge entro il 31 gennaio 1997, provvedendo nel frattempo all'eventuale riperimetrazione dei parchi naturali regionali anche ai fini dell'applicazione dell'articolo 32, comma 3, della legge medesima (10/a);
c) l'esercizio venatorio nelle oasi di protezione e nelle zone di ripopolamento e cattura, nei centri di riproduzione di fauna selvatica, nelle foreste demaniali ad eccezione di quelle che, secondo le disposizioni regionali, sentito il parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, non presentino condizioni favorevoli alla riproduzione ed alla sosta della fauna selvatica;
d) l'esercizio venatorio ove vi siano opere di difesa dello Stato ed ove il divieto sia richiesto a giudizio insindacabile dell'autorità militare, o dove esistano beni monumentali, purché dette zone siano delimitate da tabelle esenti da tasse indicanti il divieto;
e) l'esercizio venatorio nelle aie e nelle corti o altre pertinenze di fabbricati rurali; nelle zone comprese nel raggio di cento metri da immobili, fabbricati e stabili adibiti ad abitazione o a posto di lavoro e a distanza inferiore a cinquanta metri da vie di comunicazione ferroviaria e da strade carrozzabili, eccettuate le strade poderali ed interpoderali;
f) sparare da distanza inferiore a centocinquanta metri con uso di fucile da caccia con canna ad anima liscia, o da distanza corrispondente a meno di una volta e mezza la gittata massima in caso di uso di altre armi, in direzione di immobili, fabbricati e stabili adibiti ad abitazione o a posto di lavoro; di vie di comunicazione ferroviaria e di strade carrozzabili, eccettuate quelle poderali ed interpoderali; di funivie, filovie ed altri impianti di trasporto a sospensione; di stabbi, stazzi, recinti ed altre aree delimitate destinate al ricovero ed all'alimentazione del bestiame nel periodo di utilizzazione agro-silvo-pastorale;
g) il trasporto, all'interno dei centri abitati e delle altre zone ove è vietata l'attività venatoria, ovvero a bordo di veicoli di qualunque genere e comunque nei giorni non consentiti per l'esercizio venatorio dalla presente legge e dalle disposizioni regionali, di armi da sparo per uso venatorio che non siano scariche e in custodia;
h) cacciare a rastrello in più di tre persone ovvero utilizzare, a scopo venatorio, scafandri o tute impermeabili da sommozzatore negli specchi o corsi d'acqua;
i) cacciare sparando da veicoli a motore o da natanti o da aeromobili;
l) cacciare a distanza inferiore a cento metri da macchine operatrici agricole in funzione;
m) cacciare su terreni coperti in tutto o nella maggior parte di neve, salvo che nella zona faunistica delle Alpi, secondo le disposizioni emanante dalle regioni interessate;
n) cacciare negli stagni, nelle paludi e negli specchi d'acqua artificiali in tutto o nella maggior parte coperti da ghiaccio e su terreni allagati da piene di fiume;
o) prendere e detenere uova, nidi e piccoli nati di mammiferi e uccelli appartenenti alla fauna selvatica, salvo che nei casi previsti all'articolo 4, comma 1, o nelle zone di ripopolamento e cattura, nei centri di riproduzione di fauna selvatica e nelle oasi di protezione per sottrarli a sicura distruzione o morte, purché, in tale ultimo caso, se ne dia pronto avviso nelle ventiquattro ore successive alla competente amministrazione provinciale;
p) usare richiami vivi, al di fuori dei casi previsti dall'articolo 5;
q) usare richiami vivi non provenienti da allevamento nella caccia agli acquatici;
r) usare a fini di richiamo uccelli vivi accecati o mutilati ovvero legati per le ali e richiami acustici a funzionamento meccanico, elettromagnetico o elettromeccanico, con o senza amplificazione del suono;
s) cacciare negli specchi d'acqua ove si esercita l'industria della pesca o dell'acquacoltura, nonché nei canali delle valli da pesca, quando il possessore le circondi con tabelle, esenti da tasse, indicanti il divieto di caccia;
t) commerciare fauna selvatica morta non proveniente da allevamenti per sagre e manifestazioni a carattere gastronomico;
u) usare munizione spezzata nella caccia agli ungulati; usare esche o bocconi avvelenati, vischio o altre sostanze adesive, trappole, reti, tagliole, lacci, archetti o congegni similari; fare impiego di civette; usare armi da sparo munite di silenziatore o impostate con scatto provocato dalla preda; fare impiego di balestre;
v) vendere a privati e detenere da parte di questi reti da uccellagione;
z) produrre, vendere e detenere trappole per la fauna selvatica;
aa) l'esercizio in qualunque forma del tiro al volo su uccelli a partire dal 1 gennaio 1994, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 10, comma 8, lettera e);
bb) vendere, detenere per vendere, acquistare uccelli vivi o morti, nonché loro parti o prodotti derivati facilmente riconoscibili, appartenenti alla fauna selvatica, che non appartengano alle seguenti specie: germano reale (anas platyrhynchos); pernice rossa (alectoris rufa); pernice di Sardegna (alectoris barbara); starna (perdix perdix); fagiano (phasianus colchicus); colombaccio (columba palumbus);
cc) il commercio di esemplari vivi di specie di avifauna selvatica nazionale non proveniente da allevamenti;
dd) rimuovere, danneggiare o comunque rendere inidonee al loro fine le tabelle legittimamente apposte ai sensi della presente legge o delle disposizioni regionali a specifici ambiti territoriali, ferma restando l'applicazione dell'articolo 635 del codice penale;
ee) detenere, acquistare e vendere esemplari di fauna selvatica, ad eccezione dei capi utilizzati come richiami vivi nel rispetto delle modalità previste dalla presente legge e della fauna selvatica lecitamente abbattuta, la cui detenzione viene regolamentata dalle regioni anche con le norme sulla tassidermia;
ff) l'uso dei segugi per la caccia al camoscio.
2. Se le regioni non provvedono entro il termine previsto dall'articolo 1, comma 5, ad istituire le zone di protezione lungo le rotte di migrazione dell'avifauna, il Ministro dell'agricoltura e delle foreste assegna alle regioni stesse novanta giorni per provvedere. Decorso inutilmente tale termine è vietato cacciare lungo le suddette rotte a meno di cinquecento metri dalla costa marina del continente e delle due isole maggiori; le regioni provvedono a delimitare tali aree con apposite tabelle esenti da tasse.
3. La caccia è vietata su tutti i valichi montani interessati dalle rotte di migrazione dell'avifauna, per una distanza di mille metri dagli stessi.
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(10) Riportata alla voce Ministero dell'ambiente.
(10/a) Lettera così modificata dall'art. 11-bis, D.L. 23 ottobre 1996, n. 542, riportato alla voce Termini di prescrizione e decadenza (Sospensione di). Lo stesso articolo ha, inoltre, disposto che non sono punibili i fatti commessi, in violazione delle presenti norme, in data anteriore a quella di entrata in vigore della legge di conversione del suddetto decreto-legge.
22. Licenza di porto di fucile per uso di caccia e abilitazione all'esercizio venatorio.
1. La licenza di porto di fucile per uso di caccia è rilasciata in conformità alle leggi di pubblica sicurezza.
2. Il primo rilascio avviene dopo che il richiedente ha conseguito l'abilitazione all'esercizio venatorio a seguito di esami pubblici dinanzi ad apposita commissione nominata dalla regione in ciascun capoluogo di provincia.
3. La commissione di cui al comma 2 è composta da esperti qualificati in ciascuna delle materie indicate al comma 4, di cui almeno un laureato in scienze biologiche o in scienze naturali esperto in vertebrati omeotermi.
4. Le regioni stabiliscono le modalità per lo svolgimento degli esami, che devono in particolare riguardare nozioni nelle seguenti materie:
a) legislazione venatoria;
b) zoologia applicata alla caccia con prove pratiche di riconoscimento delle specie cacciabili;
c) armi e munizioni da caccia e relativa legislazione;
d) tutela della natura e principi di salvaguardia della produzione agricola;
e) norme di pronto soccorso.
5. L'abilitazione è concessa se il giudizio è favorevole in tutti e cinque gli esami elencati al comma 4.
6. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge le regioni promuovono corsi di aggiornamento sulle caratteristiche innovative della legge stessa.
7. L'abilitazione all'esercizio venatorio è necessaria, oltre che per il primo rilascio della licenza, anche per il rinnovo della stessa in caso di revoca.
8. Per sostenere gli esami il candidato deve essere munito del certificato medico di idoneità.
9. La licenza di porto di fucile per uso di caccia ha la durata di sei anni e può essere rinnovata su domanda del titolare corredata di un nuovo certificato medico di idoneità di data non anteriore a tre mesi dalla domanda stessa.
10. Nei dodici mesi successivi al rilascio della prima licenza il cacciatore può praticare l'esercizio venatorio solo se accompagnato da cacciatore in possesso di licenza rilasciata da almeno tre anni che non abbia commesso violazioni alle norme della presente legge comportanti la sospensione o la revoca della licenza ai sensi dell'articolo 32.
11. Le norme di cui al presente articolo si applicano anche per l'esercizio della caccia mediante l'uso dell'arco e del falco.
23. Tasse di concessione regionale.
1. Le regioni, per conseguire i mezzi finanziari necessari per realizzare i fini previsti dalla presente legge e dalle leggi regionali in materia, sono autorizzate ad istituire una tassa di concessione regionale, ai sensi dell'articolo 3 della legge 16 maggio 1970, n. 281 (11), e successive modificazioni, per il rilascio dell'abilitazione all'esercizio venatorio di cui all'articolo 22.
2. La tassa di cui al comma 1 è soggetta al rinnovo annuale e può essere fissata in misura non inferiore al 50 per cento e non superiore al 100 per cento della tassa erariale di cui al numero 26, sottonumero I), della tariffa annessa al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641 (12), e successive modificazioni. Essa non è dovuta qualora durante l'anno il cacciatore eserciti l'attività venatoria esclusivamente all'estero.
3. Nel caso di diniego della licenza di porto di fucile per uso di caccia la tassa regionale deve essere rimborsata. La tassa di concessione regionale viene rimborsata anche al cacciatore che rinunci all'assegnazione dell'ambito territoriale di caccia. La tassa di rinnovo non è dovuta qualora non si eserciti la caccia durante l'anno.
4. I proventi della tassa di cui al comma 1 sono utilizzati anche per il finanziamento o il concorso nel finanziamento di progetti di valorizzazione del territorio presentati anche da singoli proprietari o conduttori di fondi, che, nell'ambito della programmazione regionale, contemplino, tra l'altro, la creazione di strutture per l'allevamento di fauna selvatica nonché dei riproduttori nel periodo autunnale; la manutenzione degli apprestamenti di ambientamento della fauna selvatica; l'adozione di forme di lotta integrata e di lotta guidata; il ricorso a tecniche colturali e tecnologie innovative non pregiudizievoli per l'ambiente; la valorizzazione agri-turistica di percorsi per l'accesso alla natura e alla conoscenza scientifica e culturale della fauna ospite; la manutenzione e pulizia dei boschi anche al fine di prevenire incendi.
5. Gli appostamenti fissi, i centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale, le aziende faunistico-venatorie e le aziende agri-turistico-venatorie sono soggetti a tasse regionali.
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(11) Riportata alla voce Regioni.
(12) Riportato alla voce Concessioni governative (Tasse sulle).
24. Fondo presso il Ministero del tesoro.
1. A decorrere dall'anno 1992 presso il Ministero del tesoro è istituito un fondo la cui dotazione è alimentata da una addizionale di lire 10.000 alla tassa di cui al numero 26, sottonumero I), della tariffa annessa al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641 (12), e successive modificazioni.
2. Le disponibilità del fondo sono ripartite entro il 31 marzo di ciascun anno con decreto del Ministro del tesoro, di concerto con i Ministri delle finanze e dell'agricoltura e delle foreste, nel seguente modo:
a) 4 per cento per il funzionamento e l'espletamento dei compiti istituzionali del Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale;
b) 1 per cento per il pagamento della quota di adesione dello Stato italiano al Consiglio internazionale della caccia e della conservazione della selvaggina;
c) 95 per cento fra le associazioni venatorie nazionali riconosciute, in proporzione alla rispettiva, documentata consistenza associativa.
3. L'addizionale di cui al presente articolo non è computata ai fini di quanto previsto all'articolo 23, comma 2.
4. L'attribuzione della dotazione prevista dal presente articolo alle associazioni venatorie nazionali riconosciute non comporta l'assoggettamento delle stesse al controllo previsto dalla legge 21 marzo 1958, n. 259 (13).
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(12) Riportato alla voce Concessioni governative (Tasse sulle).
(13) Riportata alla voce Corte dei Conti.
25. Fondo di garanzia per le vittime della caccia.
1. È costituito presso l'Istituto nazionale delle assicurazioni un Fondo di garanzia per le vittime della caccia per il risarcimento dei danni a terzi causati dall'esercizio dell'attività venatoria nei seguenti casi:
a) l'esercente l'attività venatoria responsabile dei danni non sia identificato;
b) l'esercente l'attività venatoria responsabile dei danni non risulti coperto dall'assicurazione per la responsabilità civile verso terzi di cui all'articolo 12, comma 8 (14).
2. Nell'ipotesi di cui alla lettera a) del comma 1 il risarcimento è dovuto per i soli danni alla persona che abbiano comportato la morte od un'invalidità permanente superiore al 20 per cento, con il limite massimo previsto per ogni persona sinistrata dall'articolo 12, comma 8. Nell'ipotesi di cui alla lettera b) del comma 1 il risarcimento è dovuto per i danni alla persona, con il medesimo limite massimo di cui al citato articolo 12, comma 8, nonché per i danni alle cose il cui ammontare sia superiore a lire un milione e per la parte eccedente tale ammontare, sempre con il limite massimo di cui al citato articolo 12, comma 8. La percentuale di invalidità permanente, la qualifica di vivente a carico e la percentuale di reddito del sinistrato da calcolare a favore di ciascuno dei viventi a carico sono determinate in base alle norme del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, recante il testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
3. Le modalità di gestione da parte dell'Istituto nazionale delle assicurazioni del Fondo di garanzia per le vittime della caccia sono stabilite con decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato.
4. Le imprese esercenti l'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile di cui all'articolo 12, comma 8, sono tenute a versare annualmente all'Istituto nazionale delle assicurazioni, gestione autonoma del Fondo di garanzia per le vittime della caccia, un contributo da determinarsi in una percentuale dei premi incassati per la predetta assicurazione. La misura del contributo è determinata annualmente con decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato nel limite massimo del 5 per cento dei predetti premi. Con lo stesso decreto sono stabilite le modalità di versamento del contributo. Nel primo anno di applicazione della presente legge il contributo predetto è stabilito nella misura dello 0,5 per cento dei premi del ramo responsabilità civile generale risultanti dall'ultimo bilancio approvato, da conguagliarsi l'anno successivo sulla base dell'aliquota che sarà stabilita dal Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, applicata ai premi dell'assicurazione di cui all'articolo 12, comma 8 (14/a).
5. L'Istituto nazionale delle assicurazioni, gestione autonoma del Fondo di garanzia per le vittime della caccia, che, anche in via di transazione, abbia risarcito il danno nei casi previsti dal comma 1, ha azione di regresso nei confronti del responsabile del sinistro per il recupero dell'indennizzo pagato nonché dei relativi interessi e spese (15/cost).
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(14) La Corte costituzionale, con sentenza 23 ottobre-6 novembre 2000, n. 470 (Gazz. Uff. 15 novembre 2000, n. 47 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità del presente comma, nella parte in cui non prevede il risarcimento dei danni alla persona da parte del Fondo di garanzia per le vittime della caccia nel caso in cui colui che ha causato il danno risulti assicurato presso un'impresa assicuratrice che al momento del sinistro si trovi in stato di liquidazione coatta o vi venga posta successivamente.
(14/a) Per la determinazione del contributo e delle modalità di versamento di cui al presente comma, vedi il D.M. 12 ottobre 1993, riportato al n. XXXIII.
(15/cost) La Corte costituzionale, con ordinanza 17-24 giugno 2002, n. 278 (Gazz. Uff. 3 luglio 2002, n. 26, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 25 sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
26. Risarcimento dei danni prodotti dalla fauna selvatica e dall'attività venatoria.
1. Per far fronte ai danni non altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola e alle opere approntate sui terreni coltivati e a pascolo dalla fauna selvatica, in particolare da quella protetta, e dall'attività venatoria, è costituito a cura di ogni regione un fondo destinato alla prevenzione e ai risarcimenti, al quale affluisce anche una percentuale dei proventi di cui all'articolo 23.
2. Le regioni provvedono, con apposite disposizioni, a regolare il funzionamento del fondo di cui al comma 1, prevedendo per la relativa gestione un comitato in cui siano presenti rappresentanti di strutture provinciali delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale e rappresentanti delle associazioni venatorie nazionali riconosciute maggiormente rappresentative.
3. Il proprietario o il conduttore del fondo è tenuto a denunciare tempestivamente i danni al comitato di cui al comma 2, che procede entro trenta giorni alle relative verifiche anche mediante sopralluogo e ispezioni e nei centottanta giorni successivi alla liquidazione.
4. Per le domande di prevenzione dei danni, il termine entro cui il procedimento deve concludersi è direttamente disposto con norma regionale (14/cost).
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(14/cost) La Corte costituzionale con ordinanza 15-29 dicembre 2000, n. 581 (Gazz. Uff. 3 gennaio 2001, n. 1, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 26, sollevata in riferimento agli artt. 3, 32, primo comma, e 42, secondo comma, della Cost.
27. Vigilanza venatoria.
1. La vigilanza sulla applicazione della presente legge e delle leggi regionali è affidata:
a) agli agenti dipendenti degli enti locali delegati dalle regioni. A tali agenti è riconosciuta, ai sensi della legislazione vigente, la qualifica di agenti di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza. Detti agenti possono portare durante il servizio e per i compiti di istituto le armi da caccia di cui all'articolo 13 nonché armi con proiettili a narcotico. Le armi di cui sopra sono portate e detenute in conformità al regolamento di cui all'articolo 5, comma 5, della legge 7 marzo 1986, n. 65 (15);
b) alle guardie volontarie delle associazioni venatorie, agricole e di protezione ambientale nazionali presenti nel Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale e a quelle delle associazioni di protezione ambientale riconosciute dal Ministero dell'ambiente, alle quali sia riconosciuta la qualifica di guardia giurata ai sensi del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (16).
2. La vigilanza di cui al comma 1 è, altresì, affidata agli ufficiali, sottufficiali e guardie del Corpo forestale dello Stato, alle guardie addette a parchi nazionali e regionali, agli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, alle guardie giurate comunali, forestali e campestri ed alle guardie private riconosciute ai sensi del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza; è affidata altresì alle guardie ecologiche e zoofile riconosciute da leggi regionali.
3. Gli agenti svolgono le proprie funzioni, di norma, nell'ambito della circoscrizione territoriale di competenza.
4. La qualifica di guardia volontaria può essere concessa, a norma del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, a cittadini in possesso di un attestato di idoneità rilasciato dalle regioni previo superamento di apposito esame. Le regioni disciplinano la composizione delle commissioni preposte a tale esame garantendo in esse la presenza tra loro paritaria di rappresentanti di associazioni venatorie, agricole ed ambientaliste.
5. Agli agenti di cui ai commi 1 e 2 con compiti di vigilanza è vietato l'esercizio venatorio nell'ambito del territorio in cui esercitano le funzioni. Alle guardie venatorie volontarie è vietato l'esercizio venatorio durante l'esercizio delle loro funzioni.
6. I corsi di preparazione e di aggiornamento delle guardie per lo svolgimento delle funzioni di vigilanza sull'esercizio venatorio, sulla tutela dell'ambiente e della fauna e sulla salvaguardia delle produzioni agricole, possono essere organizzati anche dalle associazioni di cui al comma 1, lettera b), sotto il controllo della regione.
7. Le province coordinano l'attività delle guardie volontarie delle associazioni agricole, venatorie ed ambientaliste.
8. Il Ministro dell'agricoltura e delle foreste, d'intesa con il Ministro dell'ambiente, garantisce il coordinamento in ordine alle attività delle associazioni di cui al comma 1, lettera b), rivolte alla preparazione, aggiornamento ed utilizzazione delle guardie volontarie.
9. I cittadini in possesso, a norma del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, della qualifica di guardia venatoria volontaria alla data di entrata in vigore della presente legge, non necessitano dell'attestato di idoneità di cui al comma 4 (16/a).
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(15) Riportata alla voce Comuni e province.
(16) Riportato alla voce Sicurezza pubblica.
(16/a) Vedi, anche, l'art. 163, D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, riportato alla voce Regioni.
28. Poteri e compiti degli addetti alla vigilanza venatoria.
1. I soggetti preposti alla vigilanza venatoria ai sensi dell'articolo 27 possono chiedere a qualsiasi persona trovata in possesso di armi o arnesi atti alla caccia, in esercizio o in attitudine di caccia, la esibizione della licenza di porto di fucile per uso di caccia, del tesserino di cui all'articolo 12, comma 12, del contrassegno della polizza di assicurazione nonché della fauna selvatica abbattuta o catturata.
2. Nei casi previsti dall'articolo 30, gli ufficiali ed agenti che esercitano funzioni di polizia giudiziaria procedono al sequestro delle armi, della fauna selvatica e dei mezzi di caccia, con esclusione del cane e dei richiami vivi autorizzati. In caso di condanna per le ipotesi di cui al medesimo articolo 30, comma 1, lettere a), b), c), d) ed e), le armi e i suddetti mezzi sono in ogni caso confiscati.
3. Quando è sequestrata fauna selvatica, viva o morta, gli ufficiali o agenti la consegnano all'ente pubblico localmente preposto alla disciplina dell'attività venatoria il quale, nel caso di fauna viva, provvede a liberarla in località adatta ovvero, qualora non risulti liberabile, a consegnarla ad un organismo in grado di provvedere alla sua riabilitazione e cura ed alla successiva reintroduzione nel suo ambiente naturale; in caso di fauna viva sequestrata in campagna, e che risulti liberabile, la liberazione è effettuata sul posto dagli agenti accertatori. Nel caso di fauna morta, l'ente pubblico provvede alla sua vendita tenendo la somma ricavata a disposizione della persona cui è contestata l'infrazione ove si accerti successivamente che l'illecito non sussiste; se, al contrario, l'illecito sussiste, l'importo relativo deve essere versato su un conto corrente intestato alla regione.
4. Della consegna o della liberazione di cui al comma 3, gli ufficiali o agenti danno atto in apposito verbale nel quale sono descritte le specie e le condizioni degli esemplari sequestrati, e quant'altro possa avere rilievo ai fini penali.
5. Gli organi di vigilanza che non esercitano funzioni di polizia giudiziaria, i quali accertino, anche a seguito di denuncia, violazioni delle disposizioni sull'attività venatoria, redigono verbali, conformi alla legislazione vigente, nei quali devono essere specificate tutte le circostanze del fatto e le eventuali osservazioni del contravventore, e li trasmettono all'ente da cui dipendono ed all'autorità competente ai sensi delle disposizioni vigenti.
6. Gli agenti venatori dipendenti degli enti locali che abbiano prestato servizio sostitutivo ai sensi della legge 15 dicembre 1972, n. 772 (17), e successive modifiche e integrazioni, non sono ammessi all'esercizio di funzioni di pubblica sicurezza, fatto salvo il divieto di cui all'articolo 9 della medesima legge.
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(17) Riportata alla voce Forze armate.
29. Agenti dipendenti degli enti locali.
1. Ferme restando le altre disposizioni della legge 7 marzo 1986, n. 65 (18), gli agenti dipendenti degli enti locali, cui sono conferite a norma di legge le funzioni di agente di polizia giudiziaria e di agente di pubblica sicurezza per lo svolgimento dell'attività di vigilanza venatoria, esercitano tali attribuzioni nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza e nei luoghi nei quali sono comandati a prestare servizio, e portano senza licenza le armi di cui sono dotati nei luoghi predetti ed in quelli attraversati per raggiungerli e per farvi ritorno.
2. Gli stessi agenti possono redigere i verbali di contestazione delle violazioni e degli illeciti amministrativi previsti dalla presente legge, e gli altri atti indicati dall'articolo 28, anche fuori dall'orario di servizio.
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(18) Riportata alla voce Comuni e province.
30. Sanzioni penali.
1. Per le violazioni delle disposizioni, della presente legge e delle leggi regionali si applicano le seguenti sanzioni:
a) l'arresto da tre mesi ad un anno o l'ammenda da lire 1.800.000 a lire 5.000.000 per chi esercita la caccia in periodo di divieto generale, intercorrente tra la data di chiusura e la data di apertura fissata dall'articolo 18;
b) l'arresto da due a otto mesi o l'ammenda da lire 1.500.000 a lire 4.000.000 per chi abbatte, cattura o detiene mammiferi o uccelli compresi nell'elenco di cui all'articolo 2;
c) l'arresto da tre mesi ad un anno e l'ammenda da lire 2.000.000 a lire 12.000.000 per chi abbatte, cattura o detiene esemplari di orso, stambecco, camoscio d'Abruzzo, muflone sardo;
d) l'arresto fino a sei mesi e l'ammenda da lire 900.000 a lire 3.000.000 per chi esercita la caccia nei parchi nazionali, nei parchi naturali regionali, nelle riserve naturali, nelle oasi di protezione, nelle zone di ripopolamento e cattura, nei parchi e giardini urbani, nei terreni adibiti ad attività sportive;
e) l'arresto fino ad un anno o l'ammenda da lire 1.500.000 a lire 4.000.000 per chi esercita l'uccellagione;
f) l'arresto fino a tre mesi o l'ammenda fino a lire 1.000.000 per chi esercita la caccia nei giorni di silenzio venatorio;
g) l'ammenda fino a lire 6.000.000 per chi abbatte, cattura o detiene esemplari appartenenti alla tipica fauna stanziale alpina, non contemplati nella lettera b), della quale sia vietato l'abbattimento;
h) l'ammenda fino a lire 3.000.000 per chi abbatte, cattura o detiene specie di mammiferi o uccelli nei cui confronti la caccia non è consentita o fringillidi in numero superiore a cinque o per chi esercita la caccia con mezzi vietati. La stessa pena si applica a chi esercita la caccia con l'ausilio di richiami vietati di cui all'articolo 21, comma 1, lettera r). Nel caso di tale infrazione si applica altresì la misura della confisca dei richiami (7/cost);
i) l'arresto fino a tre mesi o l'ammenda fino a lire 4.000.000 per chi esercita la caccia sparando da autoveicoli, da natanti o da aeromobili;
l) l'arresto da due a sei mesi o l'ammenda da lire 1.000.000 a lire 4.000.000 per chi pone in commercio o detiene a tal fine fauna selvatica in violazione della presente legge. Se il fatto riguarda la fauna di cui alle lettere b), c) e g), le pene sono raddoppiate.
2. Per la violazione delle disposizioni della presente legge in materia di imbalsamazione e tassidermia si applicano le medesime sanzioni che sono comminate per l'abbattimento degli animali le cui spoglie sono oggetto del trattamento descritto. Le regioni possono prevedere i casi e le modalità di sospensione e revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività di tassidermia e imbalsamazione.
3. Nei casi di cui al comma 1 non si applicano gli articoli 624, 625 e 626 del codice penale (18/cost). Salvo quanto espressamente previsto dalla presente legge, continuano ad applicarsi le disposizioni di legge e di regolamento in materia di armi.
4. Ai sensi dell'articolo 23 del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (19), le sanzioni penali stabilite dal presente articolo si applicano alle corrispondenti fattispecie come disciplinate dalle leggi provinciali (19/cost).
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(7/cost) La Corte costituzionale, con ordinanza 20-30 marzo 1995, n. 95 (Gazz. Uff. 5 aprile 1995, n. 14, Serie speciale), ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 30, primo comma, lett. h), e dell'art. 13, sollevata in riferimento agli artt. 25, secondo comma e 3 della Costituzione.
(18/cost) La Corte costituzionale, con ordinanza 5-12 febbraio 1996, n. 32 (Gazz. Uff. 21 febbraio 1996, n. 8, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 30, comma 3, primo periodo, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 9 della Costituzione.
(19) Riportato alla voce Trentino-Alto Adige.
(19/cost) La Corte costituzionale, con ordinanza 12-19 gennaio 1995 n. 25 (Gazz. Uff. 25 gennaio 1995, n. 4, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 30 e 31, sollevata in riferimento agli artt. 3, 9 e 42 della Costituzione.
31. Sanzioni amministrative.
1. Per le violazioni delle disposizioni della presente legge e delle leggi regionali, salvo che il fatto sia previsto dalla legge come reato, si applicano le seguenti sanzioni amministrative:
a) sanzione amministrativa da lire 400.000 a lire 2.400.000 per chi esercita la caccia in una forma diversa da quella prescelta ai sensi dell'articolo 12, comma 5;
b) sanzione amministrativa da lire 200.000 a lire 1.200.000 per chi esercita la caccia senza avere stipulato la polizza di assicurazione; se la violazione è nuovamente commessa, la sanzione è da lire 400.000 a lire 2.400.000;
c) sanzione amministrativa da lire 300.000 a lire 1.800.000 per chi esercita la caccia senza aver effettuato il versamento delle tasse di concessione governativa o regionale; se la violazione è nuovamente commessa, la sanzione è da lire 500.000 a lire 3.000.000;
d) sanzione amministrativa da lire 300.000 a lire 1.800.000 per chi esercita senza autorizzazione la caccia all'interno delle aziende faunistico-venatorie, nei centri pubblici o privati di riproduzione e negli ambiti e comprensori destinati alla caccia programmata; se la violazione è nuovamente commessa, la sanzione è da lire 500.000 a lire 3.000.000; in caso di ulteriore violazione la sanzione è da lire 700.000 a lire 4.200.000. Le sanzioni previste dalla presente lettera sono ridotte di un terzo se il fatto è commesso mediante sconfinamento in un comprensorio o in un ambito territoriale di caccia viciniore a quello autorizzato;
e) sanzione amministrativa da lire 200.000 a lire 1.200.000 per chi esercita la caccia in zone di divieto non diversamente sanzionate; se la violazione è nuovamente commessa, la sanzione è da lire 500.000 a lire 3.000.000;
f) sanzione amministrativa da lire 200.000 a lire 1.200.000 per chi esercita la caccia in fondo chiuso, ovvero nel caso di violazione delle disposizioni emanate dalle regioni o dalle province autonome di Trento e di Bolzano per la protezione delle coltivazioni agricole; se la violazione è nuovamente commessa, la sanzione è da lire 500.000 a lire 3.000.000;
g) sanzione amministrativa da lire 200.000 a lire 1.200.000 per chi esercita la caccia in violazione degli orari consentiti o abbatte, cattura o detiene fringillidi in numero non superiore a cinque; se la violazione è nuovamente commessa, la sanzione è da lire 400.000 a lire 2.400.000;
h) sanzione amministrativa da lire 300.000 a lire 1.800.000 per chi si avvale di richiami non autorizzati, ovvero in violazione delle disposizioni emanate dalle regioni ai sensi dell'articolo 5, comma 1; se la violazione è nuovamente commessa, la sanzione è da lire 500.000 a lire 3.000.000;
i) sanzione amministrativa da lire 150.000 a lire 900.000 per chi non esegue le prescritte annotazioni sul tesserino regionale;
l) sanzione amministrativa da lire 150.000 a lire 900.000 per ciascun capo, per chi importa fauna selvatica senza l'autorizzazione di cui all'articolo 20, comma 2; alla violazione consegue la revoca di eventuali autorizzazioni rilasciate ai sensi dell'articolo 20 per altre introduzioni;
m) sanzione amministrativa da lire 50.000 a lire 300.000 per chi, pur essendone munito, non esibisce, se legittimamente richiesto, la licenza, la polizza di assicurazione o il tesserino regionale; la sanzione è applicata nel minimo se l'interessato esibisce il documento entro cinque giorni.
2. Le leggi regionali prevedono sanzioni per gli abusi e l'uso improprio della tabellazione dei terreni.
3. Le regioni prevedono la sospensione dell'apposito tesserino di cui all'articolo 12, comma 12, per particolari infrazioni o violazioni delle norme regionali sull'esercizio venatorio.
4. Resta salva l'applicazione delle norme di legge e di regolamento per la disciplina delle armi e in materia fiscale e doganale.
5. Nei casi previsti dal presente articolo non si applicano gli articoli 624, 625 e 626 del codice penale.
6. Per quanto non altrimenti previsto dalla presente legge, si applicano le disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689 (20), e successive modificazioni (19/cost).
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(20) Riportata alla voce Ordinamento giudiziario.
(19/cost) La Corte costituzionale, con ordinanza 12-19 gennaio 1995 n. 25 (Gazz. Uff. 25 gennaio 1995, n. 4, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 30 e 31, sollevata in riferimento agli artt. 3, 9 e 42 della Costituzione.
32. Sospensione, revoca e divieto di rilascio della licenza di porto di fucile per uso di caccia. Chiusura o sospensione dell'esercizio.
1. Oltre alle sanzioni penali previste dall'articolo 30, nei confronti di chi riporta sentenza di condanna definitiva o decreto penale di condanna divenuto esecutivo per una delle violazioni di cui al comma 1 dello stesso articolo, l'autorità amministrativa dispone:
a) la sospensione della licenza di porto di fucile per uso di caccia, per un periodo da uno a tre anni, nei casi previsti dal predetto articolo 30, comma 1, lettere a), b), d), ed i), nonché, relativamente ai fatti previsti dallo stesso comma, lettere f), g) e h), limitatamente alle ipotesi di recidiva di cui all'articolo 99, secondo comma, n. 1, del codice penale;
b) la revoca della licenza di porto di fucile per uso di caccia ed il divieto di rilascio per un periodo di dieci anni, nei casi previsti dal predetto articolo 30, comma 1, lettere c) ed e), nonché, relativamente ai fatti previsti dallo stesso comma, lettere d) ed i), limitatamente alle ipotesi di recidiva di cui all'articolo 99, secondo comma, n. 1, del codice penale;
c) l'esclusione definitiva della concessione della licenza di porto di fucile per uso di caccia, nei casi previsti dal predetto articolo 30, comma 1, lettere a), b), c) ed e), limitatamente alle ipotesi di recidiva di cui all'articolo 99, secondo comma, n. 1, del codice penale;
d) la chiusura dell'esercizio o la sospensione del relativo provvedimento autorizzatorio per un periodo di un mese, nel caso previsto dal predetto articolo 30, comma 1, lettera l); nelle ipotesi di recidiva di cui all'articolo 99, secondo comma, n. 1, del codice penale, la chiusura o la sospensione è disposta per un periodo da due a quattro mesi.
2. I provvedimenti indicati nel comma 1 sono adottati dal questore della provincia del luogo di residenza del contravventore, a seguito della comunicazione del competente ufficio giudiziario, quando è effettuata l'oblazione ovvero quando diviene definitivo il provvedimento di condanna.
3. Se l'oblazione non è ammessa, o non è effettuata nei trenta giorni successivi all'accertamento, l'organo accertatore dà notizia delle contestazioni effettuate a norma dell'articolo 30, comma 1, lettere a), b), c), d), e) ed i), al questore, il quale può disporre la sospensione cautelare ed il ritiro temporaneo della licenza a norma delle leggi di pubblica sicurezza.
4. Oltre alle sanzioni amministrative previste dall'articolo 31, si applica il provvedimento di sospensione per un anno della licenza di porto di fucile per uso di caccia nei casi indicati dallo stesso articolo 31, comma 1, lettera a), nonché, laddove la violazione sia nuovamente commessa, nei casi indicati alle lettere b), d), f) e g) del medesimo comma. Se la violazione di cui alla citata lettera a) è nuovamente commessa, la sospensione è disposta per un periodo di tre anni.
5. Il provvedimento di sospensione della licenza di porto di fucile per uso di caccia di cui al comma 4 è adottato dal questore della provincia del luogo di residenza di chi ha commesso l'infrazione, previa comunicazione, da parte dell'autorità amministrativa competente, che è stato effettuato il pagamento in misura ridotta della sanzione pecuniaria o che non è stata proposta opposizione avverso l'ordinanza-ingiunzione ovvero che è stato definito il relativo giudizio.
6. L'organo accertatore dà notizia delle contestazioni effettuate a norma del comma 4 al questore, il quale può valutare il fatto ai fini della sospensione e del ritiro temporaneo della licenza a norma delle leggi di pubblica sicurezza.
33. Rapporti sull'attività di vigilanza.
1. Nell'esercizio delle funzioni amministrative di cui all'articolo 9 le regioni, entro il mese di maggio di ciascun anno a decorrere dal 1993, trasmettono al Ministro dell'agricoltura e delle foreste un rapporto informativo nel quale, sulla base di dettagliate relazioni fornite dalle province, è riportato lo stato dei servizi preposti alla vigilanza, il numero degli accertamenti effettuati in relazione alle singole fattispecie di illecito e un prospetto riepilogativo delle sanzioni amministrative e delle misure accessorie applicate. A tal fine il questore comunica tempestivamente all'autorità regionale, entro il mese di aprile di ciascun anno, i dati numerici inerenti alle misure accessorie applicate nell'anno precedente.
2. I rapporti di cui al comma 1 sono trasmessi al Parlamento entro il mese di ottobre di ciascun anno.
34. Associazioni venatorie.
1. Le associazioni venatorie sono libere.
2. Le associazioni venatorie istituite per atto pubblico possono chiedere di essere riconosciute agli effetti della presente legge, purché posseggano i seguenti requisiti:
a) abbiano finalità ricreative, formative e tecnico-venatorie;
b) abbiano ordinamento democratico e posseggano una stabile organizzazione a carattere nazionale, con adeguati organi periferici;
c) dimostrino di avere un numero di iscritti non inferiore ad un quindicesimo del totale dei cacciatori calcolato dall'Istituto nazionale di statistica, riferito al 31 dicembre dell'anno precedente quello in cui avviene la presentazione della domanda di riconoscimento.
3. Le associazioni di cui al comma 2 sono riconosciute con decreto del Ministro dell'agricoltura e delle foreste di concerto con il Ministro dell'interno, sentito il Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale.
4. Qualora vengano meno i requisiti previsti per il riconoscimento, il Ministro dell'agricoltura e delle foreste dispone con decreto la revoca del riconoscimento stesso.
5. Si considerano riconosciute agli effetti della presente legge la Federazione italiana della caccia e le associazioni venatorie nazionali (Associazione migratoristi italiani, Associazione nazionale libera caccia, ARCI-Caccia, Unione nazionale Enalcaccia pesca e tiro, Ente produttori selvaggina, Associazione italiana della caccia - Italcaccia) già riconosciute ed operanti ai sensi dell'articolo 86 del testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia, approvata con regio decreto 5 giugno 1939, n. 1016 (21), come sostituito dall'articolo 35 della legge 2 agosto 1967, n. 799.
6. Le associazioni venatorie nazionali riconosciute sono sottoposte alla vigilanza del Ministro dell'agricoltura e delle foreste.
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(21) Riportato al n. I.
35. Relazione sullo stato di attuazione della legge.
1. Al termine dell'annata venatoria 1994-1995 le regioni trasmettono al Ministro dell'agricoltura e delle foreste e al Ministro dell'ambiente una relazione sull'attuazione della presente legge.
2. Sulla base della relazioni di cui al comma 1, il Ministro dell'agricoltura e delle foreste, d'intesa con il Ministro dell'ambiente, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, presenta al Parlamento una relazione complessiva sullo stato di attuazione della presente legge.
36. Disposizioni transitorie.
1. Le aziende faunistico-venatorie autorizzate dalle regioni ai sensi dell'articolo 36 della legge 27 dicembre 1977, n. 968 (22), fino alla naturale scadenza della concessione sono regolate in base al provvedimento di concessione.
2. Su richiesta del concessionario, le regioni possono trasformare le aziende faunistico-venatorie di cui al comma 1 in aziende agri-turistico-venatorie.
3. Coloro che, alla data di entrata in vigore della presente legge, detengano richiami vivi appartenenti a specie non consentite ovvero, se appartenenti a specie consentite, ne detengano un numero superiore a quello stabilito dalla presente legge, sono tenuti a farne denuncia all'ente competente.
4. In sede di prima attuazione, il Ministero dell'agricoltura e delle foreste definisce l'indice di densità venatoria minima di cui all'articolo 14, commi 3 e 4, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
5. Entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro dell'agricoltura e delle foreste sono fissati i termini per l'adozione, da parte dei soggetti partecipanti al procedimento di programmazione ai sensi della presente legge, degli atti di rispettiva competenza, secondo modalità che consentano la piena attuazione della legge stessa nella stagione venatoria 1994-1995 (23).
6. Le regioni adeguano la propria legislazione ai princìpi ed alle norme stabiliti dalla presente legge entro e non oltre il 31 luglio 1997 (24).
7. Le regioni a statuto speciale e le province autonome, entro il medesimo termine di cui al comma 6, adeguano la propria legislazione ai princìpi ed alle norme stabiliti dalla presente legge nei limiti della Costituzione e dei rispettivi statuti.
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(22) Riportata al n. XXII.
(23) Vedi il D.M. 12 agosto 1992, riportato al n. XXX.
(24) Comma così modificato dall'art. 11-bis, D.L. 23 ottobre 1996, n. 542, riportato alla voce Termini di prescrizione e decadenza (Sospensione di). Lo stesso articolo ha, inoltre, disposto che non sono punibili i fatti commessi, in violazione delle presenti norme, in data anteriore a quella di entrata in vigore della legge di conversione del suddetto decreto-legge.
37. Disposizioni finali.
1. È abrogata la legge 27 dicembre 1977, n. 968 (22), ed ogni altra disposizione in contrasto con la presente legge.
2. Il limite per la detenzione delle armi da caccia di cui al sesto comma dell'articolo 10 della legge 18 aprile 1975, n. 110 (25), come modificato dall'articolo 1 della legge 25 marzo 1986, n. 85, e dall'articolo 4 della legge 21 febbraio 1990, n. 36, è soppresso.
3. Ferme restando le disposizioni che disciplinano l'attività dell'Ente nazionale per la protezione degli animali, le guardie zoofile volontarie che prestano servizio presso di esso esercitano la vigilanza sull'applicazione della presente legge e delle leggi regionali in materia di caccia a norma dell'articolo 27, comma 1, lettera b).
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(22) Riportata al n. XXII.
(25) Riportata alla voce Sicurezza pubblica.
Dir. 79/409/CEE del 2
aprile 1979
Direttiva del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici
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(1) Pubblicata nella G.U.C.E. 25 aprile 1979, n. L 103. Entrata in vigore il 6 aprile 1979.
(2) Termine di recepimento: 6 aprile 1981. Direttiva recepita con L. 11 febbraio 1992, n. 157 e D.P.C.M. 27 settembre 1997.
Il Consiglio delle Comunità europee,
visto il trattato che istituisce la Comunità economica europea, in particolare l'articolo 235,
vista la proposta della Commissione,
visto il parere del Parlamento europeo,
visto il parere del Comitato economico e sociale,
considerando che la dichiarazione del Consiglio del 22 novembre 1973, concernente un programma d'azione delle Comunità europee in materia ambientale, prevede azioni specifiche per la protezione degli uccelli, completata dalla risoluzione del Consiglio delle Comunità europee e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio, del 17 maggio 1977, concernente il proseguimento e l'attuazione di una politica e di un programma di azione delle Comunità europee in materia ambientale;
considerando che per molte specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri si registra una diminuzione, in certi casi rapidissima, della popolazione e che tale diminuzione rappresenta un serio pericolo per la conservazione dell'ambiente naturale, in particolare poiché minaccia gli equilibri biologici;
considerando che gran parte delle specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri appartengono alle specie migratrici; che dette specie costituiscono un patrimonio comune e che l'efficace protezione degli uccelli è un problema ambientale tipicamente transnazionale, che implica responsabilità comuni;
considerando che le condizioni di vita degli uccelli in Groenlandia sono sostanzialmente diverse da quelle esistenti nelle altre regioni del territorio europeo degli Stati membri, a causa delle circostanze generali ed in particolare del clima, della scarsa densità di popolazione, della dimensione e della posizione geografica eccezionali dell'isola;
considerando che, quindi, la presente direttiva non deve essere applicata alla Groenlandia;
considerando che la conservazione delle specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri è necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, gli obiettivi comunitari in materia di miglioramento delle condizioni di vita, di sviluppo armonioso delle attività economiche nell'insieme della Comunità e di espansione continua ed equilibrata, ma che i poteri di azione specifici necessari in materia non sono stati previsti dal trattato;
considerando che le misure da prendere devono applicarsi ai diversi fattori che possono influire sull'entità della popolazione aviaria, e cioè alle ripercussioni delle attività umane, in particolare alla distruzione e all'inquinamento degli habitat, alla cattura e all'uccisione da parte dell'uomo, al commercio che ne consegue, e che nel quadro di una politica di conservazione bisogna adeguare la severità di tali misure alla situazione delle diverse specie;
considerando che la conservazione si prefigge la protezione a lungo termine e la gestione delle risorse naturali in quanto parte integrante del patrimonio dei popoli europei; che essa consente di regolarle disciplinandone lo sfruttamento in base a misure necessarie al mantenimento e all'adeguamento degli equilibri naturali delle specie entro i limiti di quanto è ragionevolmente possibile;
considerando che la preservazione, il mantenimento o il ripristino di una varietà e di una superficie sufficienti di habitat sono indispensabili alla conservazione di tutte le specie di uccelli; che talune specie di uccelli devono essere oggetto di speciali misure di conservazione concernenti il loro habitat per garantirne la sopravvivenza e la riproduzione nella loro area di distribuzione; che tali misure devono tener conto anche delle specie migratrici ed essere coordinate in vista della costituzione di una rete coerente;
considerando che, per evitare che gli interessi commerciali esercitino eventualmente una pressione nociva sui livelli di prelievo, è necessario istituire un divieto generale di commercializzazione e limitare le deroghe alle sole specie il cui status biologico lo consenta, tenuto conto delle condizioni specifiche che prevalgono nelle varie regioni;
considerando che, a causa del livello di popolazione, della distribuzione geografica e del tasso di riproduzione in tutta la Comunità, talune specie possono formare oggetto di atti di caccia, ciò che costituisce un modo ammissibile di utilizzazione, sempreché vengano stabiliti ed osservati determinati limiti; che tali atti di caccia devono essere compatibili con il mantenimento della popolazione di tali specie a un livello soddisfacente;
considerando che i mezzi, impianti o metodi di cattura e di uccisione in massa o non selettivi nonché l'inseguimento con taluni mezzi di trasporto devono essere vietati a causa dell'eccessiva pressione che esercitano o possono esercitare sul livello di popolazione delle specie interessate;
considerando che, data l'importanza che possono avere talune situazioni particolari, occorre prevedere la possibilità di deroghe a determinate condizioni e sotto il controllo della Commissione;
considerando che la conservazione dell'avifauna e delle specie migratrici in particolare presenta ancora dei problemi, per cui si rendono necessari lavori scientifici, lavori che permetteranno inoltre di valutare l'efficacia delle misure prese;
considerando che si deve curare, in consultazione con la Commissione, che l'eventuale introduzione di specie di uccelli che non vivono naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri non danneggi in alcun modo la flora e la fauna locali;
considerando che ogni tre anni la Commissione elaborerà e comunicherà agli Stati membri una relazione riassuntiva basata sulle informazioni inviatele dagli Stati membri per quanto riguarda l'applicazione delle disposizioni nazionali adottate conformemente alla presente direttiva;
considerando che il progresso scientifico e tecnico impone un rapido adeguamento di alcuni allegati; che, per facilitare l'attuazione dei provvedimenti necessari, bisogna prevedere una procedura che assicuri una stretta cooperazione tra gli Stati membri e la Commissione nell'ambito di un Comitato per l'adeguamento al progresso scientifico e tecnico,
ha adottato la presente direttiva:
Articolo 1
1. La presente direttiva concerne la conservazione di tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato. Essa si prefigge la protezione, la gestione e la regolazione di tali specie e ne disciplina lo sfruttamento.
2. Essa si applica agli uccelli, alle uova, ai nidi e agli habitat.
3. La presente direttiva non si applica alla Groenlandia.
Articolo 2
Gli Stati membri adottano le misure necessarie per mantenere o adeguare la popolazione di tutte le specie di uccelli di cui all'articolo 1 ad un livello che corrisponde in particolare alle esigenze ecologiche, scientifiche e culturali, pur tenendo conto delle esigenze economiche e ricreative.
Articolo 3
1. Tenuto conto delle esigenze di cui all'articolo 2, gli Stati membri adottano le misure necessarie per preservare, mantenere o ristabilire, per tutte le specie di uccelli di cui all'articolo 1, una varietà e una superficie di habitat.
2. La preservazione, il mantenimento e il ripristino dei biotopi e degli habitat comportano anzitutto le seguenti misure:
a) istituzione di zone di protezione;
b) mantenimento e sistemazione conforme alle esigenze ecologiche degli habitat situati all'interno e all'esterno delle zone di protezione;
c) ripristino dei biotopi distrutti;
d) creazione di biotopi.
Articolo 4
1. Per le specie elencate nell'allegato I sono previste misure speciali di conservazione per quanto riguarda l'habitat, per garantire la sopravvivenza e la riproduzione di dette specie nella loro area di distribuzione.
A tal fine si tiene conto:
a) delle specie minacciate di sparizione;
b) delle specie che possono essere danneggiate da talune modifiche del loro habitat;
c) delle specie considerate rare in quanto la loro popolazione è scarsa o la loro ripartizione locale è limitata;
d) di altre specie che richiedono una particolare attenzione per la specificità del loro habitat.
Per effettuare le valutazioni si terrà conto delle tendenze e delle variazioni dei livelli di popolazione.
Gli Stati membri classificano in particolare come zone di protezione speciale i territori più idonei in numero e in superficie alla conservazione di tali specie, tenuto conto delle necessità di protezione di queste ultime nella zona geografica marittima e terrestre in cui si applica la presente direttiva.
2. Analoghe misure vengono adottate dagli Stati membri per le specie migratrici non menzionate nell'allegato I che ritornano regolarmente, tenuto conto delle esigenze di protezione nella zona geografica marittima e terrestre in cui si applica la presente direttiva per quanto riguarda le aree di riproduzione, di muta e di svernamento e le zone in cui si trovano le stazioni lungo le rotte di migrazione. A tale scopo, gli Stati membri attribuiscono una importanza particolare alla protezione delle zone umide e specialmente delle zone d'importanza internazionale.
3. Gli Stati membri inviano alla Commissione tutte le informazioni opportune affinché essa possa prendere le iniziative idonee per il necessario coordinamento affinché le zone di cui al paragrafo 1, da un lato, e 2, dall'altro, costituiscano una rete coerente e tale da soddisfare le esigenze di protezione delle specie nella zona geografica marittima e terrestre in cui si applica la presente direttiva.
4. Gli Stati membri adottano misure idonee a prevenire, nelle zone di protezione di cui ai paragrafi 1 e 2, l'inquinamento o il deterioramento degli habitat, nonché le perturbazioni dannose agli uccelli che abbiano conseguenze significative tenuto conto degli obiettivi del presente articolo. Gli Stati membri cercheranno inoltre di prevenire l'inquinamento o il deterioramento degli habitat al di fuori di tali zone di protezione.
Articolo 5
Fatte salve le disposizioni degli articoli 7 e 9, gli Stati membri adottano le misure necessarie per instaurare un regime generale di protezione di tutte le specie di uccelli di cui all'articolo 1, che comprenda in particolare il divieto:
a) di ucciderli o di catturarli deliberatamente con qualsiasi metodo;
b) di distruggere o di danneggiare deliberatamente i nidi e le uova e di asportare i nidi;
c) di raccogliere le uova nell'ambiente naturale e di detenerle anche vuote;
d) di disturbarli deliberatamente in particolare durante il periodo di riproduzione e di dipendenza quando ciò abbia conseguenze significative in considerazione degli obiettivi della presente direttiva;
e) di detenere le specie di cui sono vietate la caccia e la cattura.
Articolo 6
1. Fatte salve le disposizioni dei paragrafi 2 e 3, gli Stati membri vietano, per tutte le specie di uccelli menzionate all'articolo 1, la vendita, il trasporto per la vendita, la detenzione per la vendita nonché l'offerta in vendita degli uccelli vivi e degli uccelli morti, nonché di qualsiasi parte o prodotto ottenuto dall'uccello, facilmente riconoscibili.
2. Per le specie elencate nell'allegato III/1, le attività di cui al paragrafo 1 non sono vietate, purché gli uccelli siano stati in modo lecito uccisi o catturati o altrimenti legittimamente acquistati.
3. Gli Stati membri possono ammettere nel loro territorio, per le specie elencate nell'allegato III/2, le attività di cui al paragrafo 1 e prevedere limitazioni al riguardo, purché gli uccelli siano stati in modo lecito uccisi o catturati o altrimenti legittimamente acquistati.
Gli Stati membri che intendono concedere tale permesso si consultano in via preliminare con la Commissione, con la quale esaminano se la commercializzazione degli esemplari della specie in questione contribuisca o rischi di contribuire, per quanto è ragionevolmente possibile prevedere, a mettere in pericolo il livello di popolazione, la distribuzione geografica o il tasso di riproduzione della specie stessa nell'insieme della Comunità. Se tale esame rivela che il permesso previsto porta o può portare, secondo la Commissione, ad uno dei rischi summenzionati, la Commissione rivolge allo Stato membro una raccomandazione debitamente motivata, nella quale disapprova la commercializzazione della specie in questione. Se la Commissione ritiene che non esista tale rischio, ne informa lo Stato membro.
La raccomandazione della Commissione deve essere pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee.
Lo Stato membro che concede il permesso di cui al presente paragrafo verifica ad intervalli regolari se sussistano le condizioni necessarie per la concessione di tale permesso.
4. Per le specie di cui all'allegato III/3, la Commissione compie degli studi sul loro status biologico e sulle ripercussioni della commercializzazione su tale status.
Al massimo quattro mesi prima della scadenza del termine di cui all'articolo 18, paragrafo 1, essa sottopone una relazione e le sue proposte al Comitato di cui all'articolo 16, ai fini di una decisione in merito all'iscrizione di tali specie nell'allegato III/2.
Nell'attesa di tale decisione, gli Stati membri possono applicare a dette specie le regolamentazioni nazionali esistenti, salvo restando il paragrafo 3.
Articolo 7
1. In funzione del loro livello di popolazione, della distribuzione geografica e del tasso di riproduzione in tutta la Comunità le specie elencate nell'allegato II possono essere oggetto di atti di caccia nel quadro della legislazione nazionale. Gli Stati membri faranno in modo che la caccia di queste specie non pregiudichi le azioni di conservazione intraprese nella loro area di distribuzione.
2. Le specie dell'allegato II/1 possono essere cacciate nella zona geografica marittima e terrestre in cui si applica la presente direttiva.
3. Le specie dell'allegato II/2 possono essere cacciate soltanto negli Stati membri per i quali esse sono menzionate.
4. Gli Stati membri si accertano che l'attività venatoria, compresa eventualmente la caccia col falco, quale risulta dall'applicazione delle disposizioni nazionali in vigore, rispetti i princìpi di una saggia utilizzazione e di una regolazione ecologicamente equilibrata delle specie di uccelli interessate e sia compatibile, per quanto riguarda il contingente numerico delle medesime, in particolare delle specie migratrici, con le disposizioni derivanti dall'articolo 2. Essi provvedono in particolare a che le specie a cui si applica la legislazione della caccia non siano cacciate durante il periodo della nidificazione né durante le varie fasi della riproduzione e della dipendenza. Quando si tratta di specie migratrici, essi provvedono in particolare a che le specie soggette alla legislazione della caccia non vengano cacciate durante il periodo della riproduzione e durante il ritorno al luogo di nidificazione. Gli Stati membri trasmettono alla Commissione tutte le informazioni utili sull'applicazione pratica della loro legislazione sulla caccia.
Articolo 8
1. Per quanto riguarda la caccia, la cattura o l'uccisione di uccelli nel quadro della presente direttiva, gli Stati membri vietano il ricorso a qualsiasi mezzo, impianto e metodo di cattura o di uccisione, in massa o non selettiva o che possa portare localmente all'estinzione di una specie, in particolare a quelli elencati nell'allegato IV, lettera a).
2. Gli Stati membri vietano inoltre qualsiasi tipo di caccia con mezzi di trasporto ed alle condizioni indicati nell'allegato IV, lettera b).
Articolo 9
1. Sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti, gli Stati membri possono derogare agli articoli 5, 6, 7 e 8 per le seguenti ragioni:
a) - nell'interesse della salute e della sicurezza pubblica,
- nell'interesse della sicurezza aerea,
- per prevenire gravi danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla pesca e alle acque,
- per la protezione della flora e della fauna;
b) ai fini della ricerca e dell'insegnamento, del ripopolamento e della reintroduzione nonché per l'allevamento connesso a tali operazioni;
c) per consentire in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità.
2. Le deroghe dovranno menzionare:
- le specie che formano oggetto delle medesime,
- i mezzi, gli impianti e i metodi di cattura o di uccisione autorizzata,
- le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo in cui esse possono esser fatte,
- l'autorità abilitata a dichiarare che le condizioni stabilite sono realizzate e a decidere quali mezzi, impianti e metodi possano essere utilizzati, entro quali limiti, da quali persone,
- i controlli che saranno effettuati.
3. Gli Stati membri inviano ogni anno alla Commissione una relazione sull'applicazione del presente articolo.
4. In base alle informazioni di cui dispone, in particolare quelle comunicatele ai sensi del paragrafo 3, la Commissione vigila costantemente affinché le conseguenze di tali deroghe non siano incompatibili con la presente direttiva. Essa prende adeguate iniziative in merito.
Articolo 10
1. Gli Stati membri incoraggiano le ricerche e i lavori necessari per la protezione, la gestione e l'utilizzazione della popolazione di tutte le specie di uccelli di cui all'articolo 1.
2. Un'attenzione particolare sarà accordata alle ricerche e ai lavori sugli argomenti elencati nell'allegato V. Gli Stati membri trasmettono alla Commissione tutte le informazioni ad essa necessarie per prendere misure appropriate per coordinare le ricerche e i lavori di cui al presente articolo.
Articolo 11
Gli Stati membri vigilano affinché l'eventuale introduzione di specie di uccelli che non vivono naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri non pregiudichi la flora e la fauna locali. Essi consultano al riguardo la Commissione.
Articolo 12
1. Gli Stati membri trasmettono alla Commissione ogni tre anni, a decorrere dalla scadenza del termine di cui all'articolo 18, paragrafo 1, una relazione sull'applicazione delle disposizioni nazionali adottate in virtù della presente direttiva.
2. La Commissione elabora ogni tre anni una relazione riassuntiva basata sulle informazioni di cui al paragrafo 1. La parte del progetto di relazione relativa alle informazioni fornite da uno Stato membro viene trasmessa per la verifica alle autorità dello Stato membro in questione. La versione definitiva della relazione verrà comunicata agli Stati membri.
Articolo 13
L'applicazione delle misure adottate in virtù della presente direttiva non deve provocare un deterioramento della situazione attuale per quanto riguarda la conservazione di tutte le specie di uccelli di cui all'articolo 1.
Articolo 14
Gli Stati membri possono prendere misure di protezione più rigorose di quelle previste dalla presente direttiva.
Articolo 15
Le modifiche necessarie per adeguare gli allegati I a V al progresso scientifico e tecnico, nonché le modifiche di cui all'articolo 6, paragrafo 4, secondo comma, sono adottate conformemente alla procedura di cui all'articolo 17.
Articolo 16
1. Ai fini delle modifiche di cui all'articolo 15, è istituito un Comitato per l'adeguamento al progresso scientifico e tecnico della presente direttiva, in appresso denominato "Comitato", composto di rappresentanti degli Stati membri e presieduto da un rappresentante della Commissione.
[2. Il Comitato stabilisce il proprio regolamento interno.] (3).
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(3) Paragrafo soppresso dall'allegato III del regolamento (CE) n. 807/2003.
Articolo 17 (4)
1. La Commissione è assistita dal comitato per l'adeguamento al progresso scientifico e tecnico della presente direttiva.
2. Nei casi in cui è fatto riferimento al presente articolo, si applicano gli articoli 5 e 7 della decisione 1999/468/CE.
Il periodo di cui all'articolo 5, paragrafo 6, della decisione 1999/468/CE è fissato a tre mesi.
3. Il comitato adotta il proprio regolamento interno.
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(4) Articolo inizialmente modificato dall'allegato I al trattato di adesione della Grecia alla Comunità economica europea e alla Comunità europea dell'energia atomica e, successivamente dall'allegato I al trattato di adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese alla Comunità economica europea e alla Comunità europea dell'energia atomica e, da ultimo, così sostituito dall'allegato III del regolamento (CE) n. 807/2003.
Articolo 18
1. Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro due anni dalla sua notifica. Essi ne informano immediatamente la Commissione.
2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni essenziali di diritto interno che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva.
Articolo 19
Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.
Fatto a Lussemburgo, addì 2 aprile 1979.
Per il Consiglio
il presidente
J. François-Poncet
Allegato I (5)
GAVIIFORMES
Gaviidae
Gavia stellata
Gavia arctica
Gavia immer
PODICIPEDIFORMES
Podicipedidae
Podiceps auritus
PROCELLARIIFORMES
Procellariidae
Pterodroma madeira
Pterodroma feae
Bulweria bulwerii
Calonectris diomedea
Puffinus puffinus mauretanicus (Puffinus mauretanicus)
Puffinus yelkouan
Puffinus assimilis
Hydrobatidae
Pelagodroma marina
Hydrobates pelagicus
Oceanodroma leucorhoa
Oceanodroma castro
PELECANIFORMES
Pelecanidae
Pelecanus onocrotalus
Pelecanus crispus
Phalacrocoracidae
Phalacrocorax aristotelis desmarestii
Phalacrocorax pygmeus
CICONIIFORMES
Ardeidae
Botaurus stellaris
Ixobrychus minutus
Nycticorax nycticorax
Ardeola ralloides
Egretta garzetta
Egretta alba (Ardea alba)
Ardea purpurea
Ciconiidae
Ciconia nigra
Ciconia ciconia
Threskiornithidae
Plegadis falcinellus
Platalea leucorodia
PHOENICOPTERIFORMES
Phoenicopteridae
Phoenicopterus ruber
ANSERIFORMES
Anatidae
Cygnus bewickii (Cygnus columbianus bewickii)
Cygnus cygnus
Anser albifrons flavirostris
Anser erythropus
Branta leucopsis
Branta ruficollis
Tadorna ferruginea
Marmaronetta angustirostris
Aythya nyroca
Polysticta stelleri
Mergus albellus (Mergellus albellus)
Oxyura leucocephala
FALCONIFORMES
Pandionidae
Pandion haliaetus
Accipitridae
Pernis apivorus
Elanus caeruleus
Milvus migrans
Milvus milvus
Haliaeetus albicilla
Gypaetus barbatus
Neophron percnopterus
Gyps fulvus
Aegypius monachus
Circaetus gallicus
Circus aeruginosus
Circus cyaneus
Circus macrourus
Circus pygargus
Accipiter gentilis arrigonii
Accipiter nisus granti
Accipiter brevipes
Buteo rufinus
Aquila pomarina
Aquila clanga
Aquila heliaca
Aquila adalberti
Aquila chrysaetos
Hieraaetus pennatus
Hieraaetus fasciatus
Falconidae
Falco naumanni
Falco vespertinus
Falco columbarius
Falco eleonorae
Falco biarmicus
Falco cherrug
Falco rusticolus
Falco peregrinus
GALLIFORMES
Tetraonidae
Bonasa bonasia
Lagopus mutus pyrenaicus
Lagopus mutus helveticus
Tetrao tetrix tetrix
Tetrao urogallus
Phasianidae
Alectoris graeca saxatilis
Alectoris graeca whitakeri
Alectoris barbara
Perdix perdix italica
Perdix perdix hispaniensis
GRUIFORMES
Turnicidae
Turnix sylvatica
Gruidae
Grus grus
Rallidae
Porzana porzana
Porzana parva
Porzana pusilla
Crex crex
Porphyrio porphyrio
Fulica cristata
Otididae
Tetrax tetrax
Chlamydotis undulata
Otis tarda
CHARADRIIFORMES
Recurvirostridae
Himantopus himantopus
Recurvirostra avosetta
Burhinidae
Burhinus oedicnemus
Glareolidae
Cursorius cursor
Glareola pratincola
Charadriidae
Charadrius alexandrinus
Charadrius morinellus (Eudromias morinellus)
Pluvialis apricaria
Hoplopterus spinosus
Scolopacidae
Calidris alpina schinzii
Philomachus pugnax
Gallinago media
Limosa lapponica
Numenius tenuirostris
Tringa glareola
Xenus cinereus (Tringa cinerea)
Phalaropus lobatus
Laridae
Larus melanocephalus
Larus genei
Larus audouinii
Larus minutus
Sternidae
Gelochelidon nilotica (Sterna nilotica)
Sterna caspia
Sterna sandvicensis
Sterna dougallii
Sterna hirundo
Sterna paradisaea
Sterna albifrons
Chlidonias hybridus
Chlidonias niger
Alcidae
Uria aalge ibericus
PTEROCLIFORMES
Pteroclididae
Pterocles orientalis
Pterocles alchata
COLUMBIFORMES
Columbidae
Columba palumbus azorica
Columba trocaz
Columba bollii
Columba junoniae
STRIGIFORMES
Strigidae
Bubo bubo
Nyctea scandiaca
Surnia ulula
Glaucidium passerinum
Strix nebulosa
Strix uralensis
Asio flammeus
Aegolius funereus
CAPRIMULGIFORMES
Caprimulgidae
Caprimulgus europaeus
APODIFORMES
Apodidae
Apus caffer
CORACIIFORMES
Alcedinidae
Alcedo atthis
Coraciidae
Coracias garrulus
PICIFORMES
Picidae
Picus canus
Dryocopus martius
Dendrocopos major canariensis
Dendrocopos major thanneri
Dendrocopos syriacus
Dendrocopos medius
Dendrocopos leucotos
Picoides tridactylus
PASSERIFORMES
Alaudidae
Chersophilus duponti
Melanocorypha calandra
Calandrella brachydactyla
Galerida theklae
Lullula arborea
Motacillidae
Anthus campestris
Troglodytidae
Troglodytes troglodytes fridariensis
Muscicapidae (Turdinae)
Luscinia svecica
Saxicola dacotiae
Oenanthe leucura
Oenanthe cypriaca
Oenanthe pleschanka
Muscicapidae (Sylviinae)
Acrocephalus melanopogon
Acrocephalus paludicola
Hippolais olivetorum
Sylvia sarda
Sylvia undata
Sylvia melanothorax
Sylvia rueppelli
Sylvia nisoria
Muscicapidae (Muscicapinae)
Ficedula parva
Ficedula semitorquata
Ficedula albicollis
Paridae
Parus ater cypriotes
Sittidae
Sitta krueperi
Sitta whiteheadi
Certhiidae
Certhia brachydactyla dorotheae
Laniidae
Lanius collurio
Lanius minor
Lanius nubicus
Corvidae
Pyrrhocorax pyrrhocorax
Fringillidae (Fringillinae)
Fringilla coelebs ombriosa
Fringilla teydea
Fringillidae (Carduelinae)
Loxia scotica
Bucanetes githagineus
Pyrrhula murina (Pyrrhula pyrrhula murina)
Emberizidae (Emberizinae)
Emberiza cineracea
Emberiza hortulana
Emberiza caesia
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(5) Allegato sostituito dall'articolo 1 della direttiva 81/854/CEE; dall'articolo 1 della direttiva 85/411/CEE; dall'articolo 1 della direttiva 91/244/CEE, successivamente modificato dall'allegato I al trattato di adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese alla Comunità economica europea e alla Comunità europea dell'energia atomica e dall'allegato I al trattato di adesione del Regno di Norvegia, della Repubblica d'Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia all'Unione europea, nella versione adattata dalla decisione 95/1/CE in seguito alla mancata adesione del Regno di Norvegia, sostituito dall'articolo 1 della direttiva 97/49/CE e da ultimo così sostituito dall'allegato II dell'atto di adesione allegato al trattato 16 aprile 2003.
Allegato II/1 (6)
ANSERIFORMES
Anatidae
Anser fabalis
Anser anser
Branta canadensis
Anas penelope
Anas strepera
Anas crecca
Anas platyrhynchos
Anas acuta
Anas querquedula
Anas clypeata
Aythya ferina
Aythya fuligula
GALLIFORMES
Tetraonidae
Lagopus lagopus scoticus et hibernicus
Lagopus mutus
Phasianidae
Alectoris graeca
Alectoris rufa
Perdix perdix
Phasianus colchicus
GRUIFORMES
Rallidae
Fulica atra
CHARADRIIFORMES
Scolopacidae
Lymnocryptes minimus
Gallinago gallinago
Scolopax rusticola
COLUMBIFORMES
Columbidae
Columba livia
Columba palumbus
------------------------
(6) Allegato, inizialmente sostituito dall'articolo 1 della direttiva 81/854/CEE, successivamente modificato dall'allegato I al trattato di adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese alla Comunità economica europea e alla Comunità europea dell'energia atomica e dall'allegato I al trattato di adesione del Regno di Norvegia, della Repubblica d'Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia all'Unione europea, nella versione adattata dalla decisione 95/1/CE in seguito alla mancata adesione del Regno di Norvegia e da ultimo così sostituito dall'allegato II dell'atto di adesione allegato al trattato 16 aprile 2003.
Allegato II/2 (7)
ANSERIFORMES
Anatidae
Cygnus olor
Anser brachyrhynchus
Anser albifrons
Branta bernicla
Netta rufina
Aythya marila
Somateria mollissima
Clangula hyemalis
Melanitta nigra
Melanita fusca
Bucephala clangula
Mergus serrator
Mergus merganser
GALLIFORMES
Meleagridae
Meleagris gallopavo
Tetraonidae
Bonasa bonasia
Lagopus lagopus lagopus
Tetrao tetrix
Tetrao urogallus
Phasianidae
Francolinus francolinus
Alectoris barbara
Alectoris chukar
Coturnix coturnix
GRUIFORMES
Rallidae
Rallus aquaticus
Gallinula chloropus
CHARADRIIFORMES
Haematopodidae
Haematopus ostralegus
Charadriidae
Pluvialis apricaria
Pluvialis squatarola
Vanellus vanellus
Scolopacidae
Calidris canutus
Philomachus pugnax
Limosa limosa
Limosa lapponica
Numenius phaeopus
Numenius arquata
Tringa erythropus
Tringa totanus
Tringa nebularia
Laridae
Larus ridibundus
Larus canus
Larus fuscus
Larus argentatus
Larus cachinnans
Larus marinus
COLUMBIFORMES
Columbidae
Columba oenas
Streptopelia decaocto
Streptopelia turtur
PASSERIFORMES
Alaudidae
Alauda arvensis
Muscicapidae
Turdus merula
Turdus pilaris
Turdus philomelos
Turdus iliacus
Turdus viscivorus
Sturnidae
Sturnus vulgaris
Corvidae
Garrulus glandarius
Pica pica
Corvus monedula
Corvus frugilegus
Corvus corone
|
IT (8) |
Cygnus olor |
|
Anser brachyrhynchus |
|
Anser albifrons |
|
Branta bernicla |
|
Netta rufina |
|
Aythya marila |
|
Somateria mollissima |
|
Clangula hyemalis |
|
Melanitta nigra |
|
Melanitta fusca |
|
Bucephala clangula |
|
Mergus serrator |
|
Mergus merganser |
|
Bonasa bonasia |
|
Lagopus lagopus lagopus |
|
Tetrao tetrix |
+ |
Tetrao urogallus |
+ |
Francolinus francolinus |
|
Alectoris barbara |
+ |
Alectoris chukar |
|
Coturnix coturnix |
+ |
Meleagris gallopavo |
|
Rallus aquaticus |
+ |
Gallinula chloropus |
+ |
Haematopus ostralegus |
|
Pluvialis apricaria |
|
Pluvialis squatarola |
|
Vanellus vanellus |
+ |
Calidris canutus |
|
Philomachus pugnax |
+ |
Limosa limosa |
|
Limosa lapponica |
|
Numenius phaeopus |
|
Numenius arquata |
|
Tringa erythropus |
|
Tringa totanus |
+ |
Tringa nebularia |
|
Larus ridibundus |
|
Larus canus |
|
Larus fuscus |
|
Larus argentatus |
|
Larus cachinnans |
|
Larus marinus |
|
Columba oenas |
|
Streptopelia decaocto |
|
Streptopelia turtur |
+ |
Alauda arvensis |
+ |
Turdus merula |
+ |
Turdus pilaris |
+ |
Turdus philomelos |
+ |
Turdus iliacus |
+ |
Turdus viscivorus |
|
Sturnus vulgaris |
|
Garrulus glandarius |
+ |
Pica pica |
+ |
Corvus monedula |
|
Corvus frugilegus |
|
Corvus corone |
+ |
IT = Italia |
+ = Stati membri che possono autorizzare, conformemente all'articolo 7, paragrafo 3, la caccia delle specie elencate. |
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(7) Allegato inizialmente sostituito dall'articolo 1 della direttiva 81/854/CEE; modificato dall'allegato I al trattato di adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese alla Comunità economica europea e alla Comunità europea dell'energia atomica; sostituito, da ultimo, dall'articolo 1 della direttiva 94/24/CE e, infine, modificato dall'allegato I al trattato di adesione del Regno di Norvegia, della Repubblica d'Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia all'Unione europea, nella versione adattata dalla decisione 95/1/CE in seguito alla mancata adesione del Regno di Norvegia.
(8) Nella presente tabella si riporta soltanto la parte di testo riguardante l'Italia.
Allegato III/1 (9)
ANSERIFORMES
Anatidae
Anas platyrhynchos
GALLIFORMES
Tetraonidae
Lagopus lagopus lagopus, scoticus et hibernicus
Phasianidae
Alectoris rufa
Alectoris barbara
Perdix perdix
Phasianus colchicus
COLUMBIFORMES
Columbidae
Columba palumbus
------------------------
(9) Allegato inizialmente sostituito dall'articolo 1 della direttiva 81/854/CEE, modificato dall'allegato I al trattato di adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese alla Comunità economica europea e alla Comunità europea dell'energia atomica, successivamente sostituito dall'articolo 1 della direttiva 91/244/CEE, modificato dall'allegato I al trattato di adesione del Regno di Norvegia, della Repubblica d'Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia all'Unione europea, nella versione adattata dalla decisione 95/1/CE in seguito alla mancata adesione del Regno di Norvegia e, da ultimo così sostituito dall'allegato II dell'atto di adesione allegato al trattato 16 aprile 2003.
Allegato III/2 (10)
ANSERIFORMES
Anatidae
Anser albifrons albifrons
Anser anser
Anas penelope
Anas crecca
Anas acuta
Anas clypeata
Aythya ferina
Aythya fuligula
Aythya marila
Somateria mollissima
Melanitta nigra
GALLIFORMES
Tetraonidae
Lagopus mutus
Tetrao tetrix britannicus
Tetrao urogallus
GRUIFORMES
Rallidae
Fulica atra
CHARADRIIFORMES
Charadriidae
Pluvialis apricaria
Scolopacidae
Lymnocryptes minimus
Gallinago gallinago
Scolopax rusticola
------------------------
(10) Allegato inizialmente sostituito dall'articolo 1 della direttiva 81/854/CEE, modificato dall'allegato I al trattato di adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese alla Comunità economica europea e alla Comunità europea dell'energia atomica, successivamente sostituito dall'articolo 1 della direttiva 91/244/CEE, modificato dall'allegato I al trattato di adesione del Regno di Norvegia, della Repubblica d'Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia all'Unione europea, nella versione adattata dalla decisione 95/1/CE in seguito alla mancata adesione del Regno di Norvegia e da ultimo così sostituito dall'allegato II dell'atto di adesione allegato al trattato 16 aprile 2003.
Allegato IV (11)
a) - Lacci (con l'eccezione della Finlandia, della Norvegia e della Svezia per la cattura di Lagopus lagopus lagopus e Lagopus mutus a nord della latitudine 58° N), vischio, esche, uccelli vivi accecati o mutilati impiegati come richiamo, registratori, apparecchi fulminanti.
- Sorgenti luminose artificiali, specchi, dispositivi per illuminare i bersagli, dispositivi ottici equipaggiati di convertitore d'immagine o di amplificatore elettronico d'immagine per tiro notturno.
- Esplosivi.
- Reti, trappole, esche avvelenate o tranquillanti.
- Armi semiautomatiche o automatiche con caricatore contenente più di due cartucce.
b) - Aerei, autoveicoli.
- Battelli spinti a velocità superiore a 5 km/h. In alto mare gli Stati membri possono autorizzare, per motivi di sicurezza, l'uso di battelli a motore con velocità massima di 18 km/h. Gli Stati membri informano la Commissione delle autorizzazioni rilasciate.
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(11) Allegato modificato dall'allegato I al trattato di adesione del Regno di Norvegia, della Repubblica d'Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia all'Unione europea, nella versione adattata dalla decisione 95/1/CE in seguito alla mancata adesione del Regno di Norvegia.
Allegato V
a) Fissazione dell'elenco nazionale delle specie minacciate di estinzione o particolarmente in pericolo tenendo conto della loro area di ripartizione geografica.
b) Censimento e descrizione ecologica delle zone di particolare importanza per le specie migratrici durante le migrazioni, lo svernamento e la nidificazione.
c) Censimento dei dati sul livello di popolazione degli uccelli migratori sfruttando i risultati dell'inanellamento.
d) Determinazione dell'influenza dei metodi di prelievo sul livello delle popolazioni.
e) Messa a punto e sviluppo dei metodi ecologici per prevenire i danni causati dagli uccelli.
f) Determinazione della funzione di certe specie come indicatori d'inquinamento.
g) Studio degli effetti dannosi dell'inquinamento chimico sulla popolazione delle specie di uccelli.
Giurisprudenza (massime)
Giurisprudenza della Corte costituzionale sulla legge n. 157 del 1992 e in materia di caccia in generale (massime)
COMPETENZE DELLO STATO E DELLE REGIONI |
Argomento |
Sentenza/Massima |
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Sulla natura di norme fondamentali di riforma economico-sociale delle disposizioni della legge n. 157 del 1992 |
35/1995 21865 272/1996 22867 323/1998 24119 168/1999 24690 4/2000 25092 25093 25094 227/2003 27872 27873 27874 |
|
|
Sull’interesse unitario alla uniforme disciplina inerente al nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica |
168/1999 24690 |
|
|
Sulla tutela uniforme della fauna sull’intero territorio dello Stato |
536/2002 27450 |
|
|
Sulla violazione delle competenze regionali in materia di caccia cosi’ come disciplinate dalla legge quadro n. 157/1992 |
289/1993 19667 |
|
|
Sulla necessità del parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS) nella fase preliminare all’adozione di provvedimenti sulla caccia |
35/1995 21865. 4/2000 25092. 227/2003 27874 |
SPECIE CACCIABILI |
Argomento |
Sentenza/Massima |
|
|
Sull’elenco delle specie cacciabili |
272/1996 22866 22867. 323/1998 24119 169/1999 24703 227/2003 27873 |
|
|
Sul potere di deroga di cui all’articolo 9 della Direttiva 79/409/CEE |
272/1996 22865. 168/1999 24690. 24691. 24692. |
|
|
Aspetti procedurali del potere di deroga e mancanza della sua disciplina nella normativa statale |
169/1999 24702. |
|
|
CALENDARIO VENATORIO |
Argomento |
Sentenza/Massima |
|
|
Sulle leggi regionali che modificano i calendari venatori |
323/1998 24119. 168/1999 24690 536/2002 27450 226/2003 27868. 27869. 227/2003 27873 311/2003 27973 |
ALTRI PUNTI |
Argomento |
Sentenza/Massima |
|
|
In tema di potere dello Stato di disapplicazione di una legge regionale |
129/2004 28443 |
|
|
Sulla mancata abrogazione dell’art. 842 c.c. da parte della legge n. 157/92 |
32/1997 23106. |
|
|
Sull’attività venatoria nelle aree protette . |
20/2000 25104 |
|
|
In tema di risarcimento da parte del fondo di garanzia per le vittime della caccia |
470/2000 25794. |
COMPETENZE DELLO STATO E DELLE REGIONI
Sulla natura di norme fondamentali di riforma economico-sociale delle disposizioni della legge n. 157 del 1992
Sentenza 35/1995
21865. L'art. 9, primo comma, lett. a) della legge regionale del Lazio riapprovata il 4 maggio 1994, che nel consentire, nel territorio della riserva naturale parziale "Selva del Lamone", istituita con la stessa delibera, la cattura di specie animali selvatiche a scopo di ricerca scientifica, prevede, in relazione al piano organico da approvarsi in proposito dall'ente gestore, il parere di un comitato tecnico-scientifico presieduto dal sindaco di Farnese, ed omette di specificare, demandandone l'individuazione all'ente, a quali soggetti la cattura e' permessa, e' in contrasto con le statuizioni dell'art. 4 della legge statale 11 febbraio 1992, n. 157, che richiede invece il parere di un organismo (Istituto nazionale per la fauna selvatica) operante su tutto il territorio statale, e, soprattutto, prevede che la cattura delle specie animali sia riservata esclusivamente a determinati istituti scientifici. E poiche' tale articolo, coerente com'e' alle finalita' pubbliche complessive, connesse alla protezione della fauna selvatica, che la legge n. 157 ha inteso perseguire, rappresenta indubbiamente un principio fondamentale tale da condizionare e vincolare la potesta' legislativa regionale - che, fondata sugli artt. 117 Cost, e 79 e 99, d.P.R. n. 616 del 1977, nella materia 'de qua' e' solo di tipo concorrente - la contestata disposizione della legge della regione Lazio, deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima, per violazione dei limiti di tale competenza. - Sulla natura di principi fondamentali di tutte in genere le norme costituenti affievolimento del diritto di caccia, v. S. n. 1002/1988, e piu' di recente, con riferimento alla legge-quadro statale (ora peraltro abrogata) 27 dicembre 1977, n. 968, S. n. 454/1991. Sul divieto di ogni attivita' che comprometta la conservazione dei beni, come precipuo effetto della istituzione delle riserve naturali, v. inoltre S. nn. 366/1992, e, in precedenza, 223/1984. red.: S.P.
Sentenza n. 272/1996
22867. Spetta allo Stato, e per esso alla Commissione di controllo sugli atti della regione Umbria, annullare la delibera della Giunta regionale n. 7454 del 6 ottobre 1995, avente ad oggetto 'Prelievo delle specie fringuello in deroga alla direttiva CEE n. 409/1979". Invero, secondo la legge 11 febbraio 1992, n. 157, e la restante disciplina statale in materia di caccia, non contraddetta sul punto dalla legislazione regionale, nell'attuale assetto dato dal legislatore nazionale all'attivita' venatoria ed ai fini della stessa, i divieti posti dalla direttiva comunitaria n. 409/1979 in tema di specie cacciabili sono suscettibili di modifica soltanto nei limiti del potere di variazione degli elenchi delle specie medesime, potere che l'art. 18, comma 3, della legge n. 157 del 1992 riserva allo Stato. Questa soluzione trova sostegno anche nella giurisprudenza della Corte, secondo cui l'individuazione delle specie cacciabili costituisce un interesse unitario nazionale, la cui tutela spetta allo Stato ed a fronte del quale alle regioni va riconosciuta la facolta' di modificare l'elenco delle specie medesime soltanto nel senso di limitare e non di ampliare il numero delle eccezioni al divieto generale di caccia. Nell'esercizio di tale potere spettante in via esclusiva allo Stato, e' stato emesso il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 novembre 1993, che ha appunto escluso il fringuello dalle specie cacciabili. L'autorizzazione della caccia al fringuello, pertanto, non rientra tra le competenze regionali in materia di caccia di cui all'art. 117 Cost. e all'art. 99 del d.P.R. n. 616 del 1977, anche a tener presente l'art. 6 del medesimo d.P.R. n. 616 del 1977, che trasferisce alle regioni le funzioni amministrative relative all'attuazione delle direttive comunitarie fatte proprie dallo Stato con legge che indica espressamente le norme di principio, perche', anche qualora l'esecuzione o l'attuazione di una direttiva competa alla regione, lo Stato resta comunque abilitato all'uso di tutti gli strumenti consentitigli per far valere gli interessi unitari di cui e' portatore. - V. S. nn. 1002/1988, 577/1990, nonche' le precedenti massime B, C e D. red.: A. Franco
Sentenza n. 323/1998
24119 L'art. 49, comma 1, lett. b), della legge riapprovata dal Consiglio regionale della Sardegna il 16 dicembre 1996, recante "Norme per la protezione della fauna selvatica e per l'esercizio della caccia in Sardegna", nella parte in cui consente di abbattere le specie di uccelli ivi elencate (colombaccio, beccaccia, merlo, ecc.) dalla terza domenica di settembre fino all'ultimo giorno di febbraio dell'anno successivo, va dichiarato illegittimo per violazione dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione. Non v'ha dubbio, infatti, che tra le norme fondamentali di riforma economico-sociale il cui rispetto, in forza del precetto statutario, e' limite invalicabile della potesta' legislativa della Regione in materia, sia da annoverarsi il disposto dell'art. 18, comma 2, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il periodo venatorio) secondo il quale i termini dei periodi di caccia, in conformita' e in attuazione della direttiva 79/409/CEE (concernente la conservazione degli uccelli selvatici) "devono essere comunque contenuti tra il 1^ settembre e il 31 gennaio", dovendo escludersi, dato il rapporto di stretta connessione tra le disposizioni che individuano le specie ammesse al prelievo e quelle -volte ad assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili- che tale prelievo delimitano dal punto di vista temporale, che -come pure ha sostenuto la difesa della Regione - la natura di norme fondamentali di riforma economico-sociali possa riconoscersi solo alle prime. La decisione adottata, peraltro, non incide sulla facolta' delle Regioni, ad esse attribuita dallo stesso art. 18, comma 2, della legge n. 157 del 1992, - fermi restando i limiti dell'arco temporale 1^ settembre-31 gennaio - di apportare deroghe, in base ad accertamenti attendibili dal punto di vista tecnico-scientifico, alla disciplina generale dei periodi venatori, per determinate specie, in relazione alle situazioni ambientali. - V. S. nn. 272/1996, 35/1995, 577/1990 e 1002/1988. V. anche la precedente massima A. red.: S. Pomodoro
Sentenza n. 168/1999
24690 Nel ribadire il carattere di norma fondamentale di riforma economico-sociale proprio delle disposizioni legislative statali che individuano le specie cacciabili, riconosciuto da un costante giurisprudenza, la Corte costituzionale ha ancora di recente precisato che tale carattere compete anche alle "norme strettamente connesse con quelle che individuano le specie ammesse al prelievo venatorio". Sussiste infatti un interesse unitario, non frazionabile, alla uniforme disciplina dei vari aspetti inerenti al nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica: dall'individuazione delle specie cacciabili alla variazione dei relativi elenchi; dalla disciplina delle modalita' di caccia, nei limiti in cui prevede misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie selvatiche, alla delimitazione dei periodi venatori, alla disciplina delle deroghe, ex art. 9 della direttiva 79/409/CEE, al generale regime di protezione degli uccelli selvatici. Un'interpretazione della direttiva 79/409/CEE nell'esclusiva prospettiva di un'eccezionale autorizzazione di attivita' venatorie altrimenti vietate sarebbe quindi parziale e fuorviante.
Sentenza n. 4/2000
25092. L'art. 18, comma 1, della legge della Regione Siciliana 1^ settembre 1997, n. 33 (Norme per la protezione, la tutela e l'incremento della fauna selvatica e per la regolamentazione del prelievo venatorio) e' costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che l'Assessore regionale per l'agricoltura e le foreste emani il calendario venatorio regionale, previa acquisizione del parere dell'Istituto nazionale della fauna selvatica. Tale disposizione, infatti, si pone in contrasto con la prescrizione dell'art. 18, comma 4, della legge-quadro statale 11 febbraio 1992, n. 157 - costituente norma di grande riforma economico-sociale - che nell'esigere che il calendario venatorio sia emanato "sentito l'Istituto nazionale per la fauna selvatica", si basa su una scelta che trova spiegazione nel ruolo spettante a questo Istituto, qualificato dall'art. 7 della stessa legge-quadro come "organo scientifico e tecnico di ricerca e consulenza" non solo dello Stato, ma anche delle Regioni e delle Province. - Su altre norme della legge regionale in questione riguardanti il calendario venatorio, v. le seguenti massime H, I e P. red.: S. Pomodoro
25093. Per violazione delle norme di grande riforma economico-sociale stabilite dagli artt. 12, 16, 18 e 30 della legge-quadro sulla caccia 11 febbraio 1992, n. 157, e, conseguentemente, dell'art. 14 dello Statuto della Regione Siciliana e dell'art. 25, comma secondo, Cost., e' illegittimo l'art. 17, comma 6, della legge della Regione Siciliana 1^ settembre 1997, n. 33 (Norme per la protezione, la tutela e l'incremento della fauna selvatica e per la regolamentazione del prelievo venatorio), secondo il quale il prelievo di fauna selvatica ai fini delle ivi previste attivita' di impresa agricola, limitatamente all'area dove vengono allevati gli animali e alle specie oggetto di allevamento, non costituisce esercizio venatorio. Tale disposizione, infatti, considerando in modo del tutto indifferenziato, come attivita' non riconducibile all'esercizio venatorio, "il prelievo di fauna selvatica ai fini dell'esercizio di attivita' di impresa agricola", finisce per infrangere il quadro di riferimenti posto dalla legge statale, improntato a puntuali distinzioni circa i limiti di liceita' dell'esercizio venatorio stesso, a seconda delle diverse strutture (centri privati di riproduzione di fauna selvatica allo stato naturale, aziende turistico-venatorie senza fini di lucro, aziende agri-turistico-venatorie, ecc.) di volta in volta considerate. - Su altre norme della legge regionale in questione riguardanti il prelievo di fauna selvatica nell'esercizio di impresa agricola, v. anche la seguente massima L. red.: S. Pomodoro
25094. Per violazione dei limiti posti alla potesta' legislativa regionale, in base all'art. 14 dello Statuto speciale per la Sicilia, dalle norme di grande riforma economico-sociale stabilite dalla legge-quadro sulla caccia, 11 febbraio 1992, n. 157, riguardo alle finalita' e caratteristiche degli ambiti territoriali di caccia ivi previsti, sono illegittime le disposizioni dell'art. 22 della legge regionale 1^ settembre 1997, n. 33 (Norme per la protezione, la tutela e l'incremento della fauna selvatica e per la regolamentazione del prelievo venatorio) secondo le quali (comma 2) "le zone costituite in ambiti territoriali di caccia hanno dimensioni provinciali e sono delimitate dai confini della provincia", e (comma 7) "le isole Eolie, Pelagie Egadi, Pantelleria ed Ustica fanno parte dell'ambito territoriale della provincia cui esse appartengono". Tali disposizioni, infatti, sono in contrasto con l'art. 14 della legge-quadro, il quale dispone che le Regioni, con apposite norme, ripartiscono il territorio agro-silvo-pastorale destinato alla caccia programmata, in ambiti territoriali di caccia, di dimensioni subprovinciali, possibilmente omogenei e delimitati da confini naturali. Giacche', se e' pur vero che - come risulta dai commi 1 e 3 dello stesso art. 22 - l'opzione operata verso la dimensione provinciale degli ambiti territoriali in questione non si presenta nella legge regionale come rigida e definitiva, prevedendosi la possibilita' , per l'Assessore regionale per l'agricoltura e le foreste, di riorganizzarne l'estensione, "al fine di garantire parita' di condizioni per l'esercizio venatorio", tale intervento dell'Assessore regionale si presenta tuttavia come futuro e incerto e, cio' che piu' conta, finalizzato ad obiettivi non del tutto coincidenti con quelli del legislatore statale. Il quale non solo ha voluto, attraverso la piu' ridotta dimensione degli ambiti stessi, pervenire ad una piu' equilibrata distribuzione dei cacciatori sul territorio, ma ha inteso, altresi', attraverso il richiamo ai confini naturali, conferire specifico rilievo anche alla dimensione propria della comunita' locale, in chiave di gestione, responsabilita' e controllo del corretto svolgimento dell'attivita' venatoria. - Su altre norme della legge regionale in questione riguardanti gli ambiti territoriali di caccia (ATC) v. anche le seguenti massime G, N ed O. red.: S. Pomodoro
Sentenza n. 227/2003
27872 Contrariamente a quanto afferma la Provincia di Trento, le norme di attuazione statutaria (art. 5 del d.lgs. n. 267 del 1992) in materia di protezione della fauna non consentono di ritenere che la legislazione provinciale dovrebbe riferirsi solo e direttamente (senza ulteriori intermediazioni statali) alla normativa internazionale ed europea giacché, alla luce delle norme statutarie (art. 8, n. 15), l'esercizio della competenza provinciale in materia di caccia non può prescindere dal rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali, quali sono nella specie le previsioni che danno attuazione al diritto comunitario contenute nella legge dello Stato n. 157 del 1992.
27873 È costituzionalmente illegittimo l'art. 29, commi 2 e 4, della legge della Provincia autonoma di Trento 9 dicembre 1991, n. 24, come sostituito dall'art. 32 della legge provinciale 23 febbraio 1998, n. 3, nella parte in cui prevede specie cacciabili diverse e periodi venatori più ampi di quelli previsti dall'art. 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, le cui disposizioni - a' termini dello statuto - vincolano la legislazione provinciale in quanto appartenenti al novero delle "norme fondamentali delle riforme economico-sociali", volte a garantire standards minimi e uniformi di tutela della fauna sull'intero territorio nazionale.
27874 È costituzionalmente illegittimo l'art. 29, commi 7 e 9, della legge della Provincia di Trento 9 dicembre 1991, n. 24, come sostituito dall'art. 32 della legge provinciale 23 febbraio 1998, n. 3, nella parte in cui non prevede l'obbligatorietà del parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS) preliminare all'adozione di provvedimenti sulla regolazione della caccia, con ciò violando il limite statutario che impone il rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali e, in particolare, ledendo la prescrizione di grande riforma economico-sociale (contenuta nell'art. 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992) volta a garantire, su tutto il territorio nazionale, standards uniformi di tutela della fauna.
Sull'interesse unitario ad una uniforme disciplina inerente al nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica
Sentenza n. 168/1999
24690 Nel ribadire il carattere di norma fondamentale di riforma economico-sociale proprio delle disposizioni legislative statali che individuano le specie cacciabili, riconosciuto da un costante giurisprudenza, la Corte costituzionale ha ancora di recente precisato che tale carattere compete anche alle "norme strettamente connesse con quelle che individuano le specie ammesse al prelievo venatorio". Sussiste infatti un interesse unitario, non frazionabile, alla uniforme disciplina dei vari aspetti inerenti al nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica: dall'individuazione delle specie cacciabili alla variazione dei relativi elenchi; dalla disciplina delle modalita' di caccia, nei limiti in cui prevede misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie selvatiche, alla delimitazione dei periodi venatori, alla disciplina delle deroghe, ex art. 9 della direttiva 79/409/CEE, al generale regime di protezione degli uccelli selvatici. Un'interpretazione della direttiva 79/409/CEE nell'esclusiva prospettiva di un'eccezionale autorizzazione di attivita' venatorie altrimenti vietate sarebbe quindi parziale e fuorviante.
Sulla tutela uniforme della fauna sull'intero territorio dello Stato
Sentenza n. 536/2002
27450 E' costituzionalmente illegittima la legge della Regione Sardegna 7 febbraio 2002, n. 5, la quale, procrastinando la chiusura della stagione venatoria, nel territorio sardo, oltre il termine del 31 gennaio, ha derogato senza giustificazione alcuna al precetto - che ha fissato l'anzidetto termine - della legge statale n. 157 del 1992, con ciò recando lesione ai limiti stabiliti per l'esercizio della potestà legislativa dallo statuto della Regione Sardegna, dal momento che la legge dello Stato - inserita in un contesto normativo comunitario e internazionale - risponde all'esigenza di una tutela uniforme dell'ambiente e dell'ecosistema, riservata alla competenza esclusiva dello Stato (ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), il cui rispetto deve essere perciò assicurato nell'intero territorio nazionale e, dunque, anche nell'ambito delle Regioni a statuto speciale.
Sulla violazione delle competenze regionali in materia di caccia cosi' come disciplinate dalla legge quadro n. 157/1992
Sentenza n. 289/1993
19667 Nello svolgimento dei compiti di "conservazione e valorizzazione del patrimonio naturale nazionale" il Ministro dell'ambiente puo' intervenire a difesa della risorsa ambientale espressa dalla fauna selvatica adottando lo strumento dell'ordinanza contingibile ed urgente di cui all'art. 8 della l. n. 59 del 1987 solo ove ricorrano le due condizioni previste rappresentate dalla esistenza di una situazione di "grave pericolo di danno ambientale" e dall'impossibilita' di fare ricorso alla ordinaria disciplina. Nel caso di specie, ai fini della sospensione dell'attivita' venatoria per motivi climatici, ben poteva farsi ricorso alla disciplina ordinaria rappresentata innanzi tutto dall'art. 19 della nuova legge quadro sulla caccia, (l. 11 febbraio 1992 n. 157) che affida alle Regioni il potere di vietare o ridurre per periodi prestabiliti la caccia a determinate specie di fauna selvatica per sopravvenute ragioni stagionali o climatiche, ed in secondo luogo dall'art. 8, terzo comma, della legge n. 349/1986 che affida al Ministro dell'ambiente il potere di intervento sostitutivo nel caso di inosservanza o mancata attuazione da parte delle Regioni delle leggi relative alla tutela dell'ambiente. Nell'adottare l'ordinanza contingibile ed urgente 5 gennaio 1993 recante il divieto dell'attivita' venatoria su tutto il territorio nazionale per un periodo di giorni otto, il Ministro dell'ambiente ha trascurato la disciplina ordinaria senza aver preventivamente provveduto a compiere accertamenti adeguati in ordine alla sussistenza delle condizioni idonee a giustificare l'adozione alle misure straordinarie. Non spetta pertanto allo Stato e per esso al Ministro dell'ambiente disporre un generale e temporaneo divieto di caccia giustificato da particolari condizioni meteo-climatiche, senza avere preventivamente accertato la non disponibilita' delle Regioni ad intervenire ex art. 19 l. n. 157 del 1992 e per l'effetto annulla l'ordinanza adottata dal Ministro dell'ambiente in data 5 gennaio 1993.
Sulla necessità del parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS) nella fase preliminare all’adozione di provvedimenti sulla caccia
Sentenza 35/1995
21865. L'art. 9, primo comma, lett. a) della legge regionale del Lazio riapprovata il 4 maggio 1994, che nel consentire, nel territorio della riserva naturale parziale "Selva del Lamone", istituita con la stessa delibera, la cattura di specie animali selvatiche a scopo di ricerca scientifica, prevede, in relazione al piano organico da approvarsi in proposito dall'ente gestore, il parere di un comitato tecnico-scientifico presieduto dal sindaco di Farnese, ed omette di specificare, demandandone l'individuazione all'ente, a quali soggetti la cattura e' permessa, e' in contrasto con le statuizioni dell'art. 4 della legge statale 11 febbraio 1992, n. 157, che richiede invece il parere di un organismo (Istituto nazionale per la fauna selvatica) operante su tutto il territorio statale, e, soprattutto, prevede che la cattura delle specie animali sia riservata esclusivamente a determinati istituti scientifici. E poiche' tale articolo, coerente com'e' alle finalita' pubbliche complessive, connesse alla protezione della fauna selvatica, che la legge n. 157 ha inteso perseguire, rappresenta indubbiamente un principio fondamentale tale da condizionare e vincolare la potesta' legislativa regionale - che, fondata sugli artt. 117 Cost, e 79 e 99, d.P.R. n. 616 del 1977, nella materia 'de qua' e' solo di tipo concorrente - la contestata disposizione della legge della regione Lazio, deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima, per violazione dei limiti di tale competenza. - Sulla natura di principi fondamentali di tutte in genere le norme costituenti affievolimento del diritto di caccia, v. S. n. 1002/1988, e piu' di recente, con riferimento alla legge-quadro statale (ora peraltro abrogata) 27 dicembre 1977, n. 968, S. n. 454/1991. Sul divieto di ogni attivita' che comprometta la conservazione dei beni, come precipuo effetto della istituzione delle riserve naturali, v. inoltre S. nn. 366/1992, e, in precedenza, 223/1984. red.: S.P.
Sentenza n. 4/2000
25092. L'art. 18, comma 1, della legge della Regione Siciliana 1^ settembre 1997, n. 33 (Norme per la protezione, la tutela e l'incremento della fauna selvatica e per la regolamentazione del prelievo venatorio) e' costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che l'Assessore regionale per l'agricoltura e le foreste emani il calendario venatorio regionale, previa acquisizione del parere dell'Istituto nazionale della fauna selvatica. Tale disposizione, infatti, si pone in contrasto con la prescrizione dell'art. 18, comma 4, della legge-quadro statale 11 febbraio 1992, n. 157 - costituente norma di grande riforma economico-sociale - che nell'esigere che il calendario venatorio sia emanato "sentito l'Istituto nazionale per la fauna selvatica", si basa su una scelta che trova spiegazione nel ruolo spettante a questo Istituto, qualificato dall'art. 7 della stessa legge-quadro come "organo scientifico e tecnico di ricerca e consulenza" non solo dello Stato, ma anche delle Regioni e delle Province. - Su altre norme della legge regionale in questione riguardanti il calendario venatorio, v. le seguenti massime H, I e P. red.: S. Pomodoro
Sentenza n. 227/2003
27874 È costituzionalmente illegittimo l'art. 29, commi 7 e 9, della legge della Provincia di Trento 9 dicembre 1991, n. 24, come sostituito dall'art. 32 della legge provinciale 23 febbraio 1998, n. 3, nella parte in cui non prevede l'obbligatorietà del parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS) preliminare all'adozione di provvedimenti sulla regolazione della caccia, con ciò violando il limite statutario che impone il rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali e, in particolare, ledendo la prescrizione di grande riforma economico-sociale (contenuta nell'art. 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992) volta a garantire, su tutto il territorio nazionale, standards uniformi di tutela della fauna.
SPECIE CACCIABILI
Sull’elenco delle specie cacciabili
Sentenza n. 272/1996
22866. La legge 11 febbraio 1992, n. 157, conferisce alle regioni a statuto ordinario il compito di emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica in conformita' alla legge medesima, alle convenzioni internazionali ed alle direttive comunitarie. Detta legge affida l'elencazione delle specie cacciabili ad un apposito elenco, contenuto nell'art. 18; elenco al quale, secondo quanto previsto dal comma 3, possono essere disposte "variazioni" con decreto del Presidente del consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell'agricoltura e delle foreste, d'intesa con il ministro dell'ambiente e sentito il parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, in conformita' delle vigenti direttive comunitarie e alle convenzioni internazionali sottoscritte, tenendo conto della consistenza delle singole specie sul territorio. - V. anche la precedente massima C. red.: A. Franco
22867. Spetta allo Stato, e per esso alla Commissione di controllo sugli atti della regione Umbria, annullare la delibera della Giunta regionale n. 7454 del 6 ottobre 1995, avente ad oggetto 'Prelievo delle specie fringuello in deroga alla direttiva CEE n. 409/1979". Invero, secondo la legge 11 febbraio 1992, n. 157, e la restante disciplina statale in materia di caccia, non contraddetta sul punto dalla legislazione regionale, nell'attuale assetto dato dal legislatore nazionale all'attivita' venatoria ed ai fini della stessa, i divieti posti dalla direttiva comunitaria n. 409/1979 in tema di specie cacciabili sono suscettibili di modifica soltanto nei limiti del potere di variazione degli elenchi delle specie medesime, potere che l'art. 18, comma 3, della legge n. 157 del 1992 riserva allo Stato. Questa soluzione trova sostegno anche nella giurisprudenza della Corte, secondo cui l'individuazione delle specie cacciabili costituisce un interesse unitario nazionale, la cui tutela spetta allo Stato ed a fronte del quale alle regioni va riconosciuta la facolta' di modificare l'elenco delle specie medesime soltanto nel senso di limitare e non di ampliare il numero delle eccezioni al divieto generale di caccia. Nell'esercizio di tale potere spettante in via esclusiva allo Stato, e' stato emesso il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 novembre 1993, che ha appunto escluso il fringuello dalle specie cacciabili. L'autorizzazione della caccia al fringuello, pertanto, non rientra tra le competenze regionali in materia di caccia di cui all'art. 117 Cost. e all'art. 99 del d.P.R. n. 616 del 1977, anche a tener presente l'art. 6 del medesimo d.P.R. n. 616 del 1977, che trasferisce alle regioni le funzioni amministrative relative all'attuazione delle direttive comunitarie fatte proprie dallo Stato con legge che indica espressamente le norme di principio, perche', anche qualora l'esecuzione o l'attuazione di una direttiva competa alla regione, lo Stato resta comunque abilitato all'uso di tutti gli strumenti consentitigli per far valere gli interessi unitari di cui e' portatore. - V. S. nn. 1002/1988, 577/1990, nonche' le precedenti massime B, C e D. red.: A. Franco
Sentenza n. 323/1998
24119 L'art. 49, comma 1, lett. b), della legge riapprovata dal Consiglio regionale della Sardegna il 16 dicembre 1996, recante "Norme per la protezione della fauna selvatica e per l'esercizio della caccia in Sardegna", nella parte in cui consente di abbattere le specie di uccelli ivi elencate (colombaccio, beccaccia, merlo, ecc.) dalla terza domenica di settembre fino all'ultimo giorno di febbraio dell'anno successivo, va dichiarato illegittimo per violazione dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione. Non v'ha dubbio, infatti, che tra le norme fondamentali di riforma economico-sociale il cui rispetto, in forza del precetto statutario, e' limite invalicabile della potesta' legislativa della Regione in materia, sia da annoverarsi il disposto dell'art. 18, comma 2, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il periodo venatorio) secondo il quale i termini dei periodi di caccia, in conformita' e in attuazione della direttiva 79/409/CEE (concernente la conservazione degli uccelli selvatici) "devono essere comunque contenuti tra il 1^ settembre e il 31 gennaio", dovendo escludersi, dato il rapporto di stretta connessione tra le disposizioni che individuano le specie ammesse al prelievo e quelle -volte ad assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili- che tale prelievo delimitano dal punto di vista temporale, che -come pure ha sostenuto la difesa della Regione - la natura di norme fondamentali di riforma economico-sociali possa riconoscersi solo alle prime. La decisione adottata, peraltro, non incide sulla facolta' delle Regioni, ad esse attribuita dallo stesso art. 18, comma 2, della legge n. 157 del 1992, - fermi restando i limiti dell'arco temporale 1^ settembre-31 gennaio - di apportare deroghe, in base ad accertamenti attendibili dal punto di vista tecnico-scientifico, alla disciplina generale dei periodi venatori, per determinate specie, in relazione alle situazioni ambientali. - V. S. nn. 272/1996, 35/1995, 577/1990 e 1002/1988. V. anche la precedente massima A. red.: S. Pomodoro
Sentenza n. 169/1999
24703 A rigetto del ricorso per conflitto di attribuzione proposto dalla Regione Veneto, deve dichiararsi che spetta allo Stato, e per esso alla Commissione di controllo sugli atti della Regione Veneto, annullare le delibere della Giunta regionale n. 3401 e n. 3402 del 7 ottobre 1997, aventi oggetto l'applicazione, al regime delle specie cacciabili per il periodo 11 ottobre - 31 dicembre 1997, delle deroghe, alle limitazioni e ai divieti stabiliti, previste dall'art. 9, paragrafo 1, lettera c), della direttiva comunitaria (concernente la conservazione degli uccelli selvatici) 79/409/CEE. Il disposto comunitario richiede, infatti, per la sua concreta attuazione nell'ordinamento interno, una normativa nazionale che valuti e ponderi i vari interessi che vengono in rilievo e che non sono certamente soltanto quelli connessi all'esercizio venatorio. E poiche' tale normativa non e' rintracciabile nella legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) - la quale, a sua volta, pur avendo all'art. 1, comma 4, recepito espressamente la direttiva comunitaria, si limita a prevedere il potere di variazione degli elenchi delle specie cacciabili - di conseguenza e' da escludere che - in tale situazione, le Regioni possano provvedere - come preteso dalla ricorrente - ad attivare autonomamente le deroghe, in quanto l'esercizio di un siffatto potere si rifletterebbe sulla tutela minima delle specie protette, il cui nucleo va visto, in realta', come la risultante di una serie di opzioni qualitative concernenti le singole specie animali, cacciabili o non, che non puo' essere incisa e alterata da contrastanti scelte degli enti territoriali, anche ad autonomia speciale, se non a condizione di creare incertezze sull'estensione della stessa sfera protetta come interesse unitario. E cio' - anche in considerazione del carattere meramente facoltativo, secondo la norma della direttiva, dell'attivazione delle deroghe - senza che venga a configurarsi un inadempimento degli obblighi derivanti dall'ordinamento comunitario. - V. la precedente massima A. Cfr. anche, in particolare, S. n. 577/1990, nonche', da ultimo, S. n. 168/1999. red.: S. Pomodoro
Sentenza n. 227/2003
27873 È costituzionalmente illegittimo l'art. 29, commi 2 e 4, della legge della Provincia autonoma di Trento 9 dicembre 1991, n. 24, come sostituito dall'art. 32 della legge provinciale 23 febbraio 1998, n. 3, nella parte in cui prevede specie cacciabili diverse e periodi venatori più ampi di quelli previsti dall'art. 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, le cui disposizioni - a' termini dello statuto - vincolano la legislazione provinciale in quanto appartenenti al novero delle "norme fondamentali delle riforme economico-sociali", volte a garantire standards minimi e uniformi di tutela della fauna sull'intero territorio nazionale.
Sul potere di deroga di cui all’articolo 9 della Direttiva 79/409/CEE
Sentenza n. 272/1996
22865. La direttiva CEE 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (79/409/CEE), prevede una pluralita' di misure a carico degli Stati membri, in forma per lo piu' di divieti e di limitazioni, alle quali fa riscontro l'elencazione delle specie cacciabili nel quadro della legislazione nazionale. Si tratta di un regime che la stessa direttiva consente di superare mediante il ricorso al potere di deroga che l'art. 9 riconosce agli Stati membri, in presenza di determinate ragioni di interesse generale ivi specificate, nell'osservanza di precise condizioni e modalita', e sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti. La disposizione in questione e' immediatamente operativa a prescindere dal recepimento espresso, ma solo nel senso di legittimare le autorita' nazionali ad adottare, ove lo ritengano, provvedimenti di deroga alle norme protettive della specie, verificando che ricorrano le situazioni ipotizzate dall'art. 9 ed apprestando specifiche misure che comportino un circostanziato riferimento agli elementi di cui ai nn. 1 e 2 della disposizione stessa. red.: A. Franco
Sentenza n. 168/1999
24690. Nel ribadire il carattere di norma fondamentale di riforma economico-sociale proprio delle disposizioni legislative statali che individuano le specie cacciabili, riconosciuto da un costante giurisprudenza, la Corte costituzionale ha ancora di recente precisato che tale carattere compete anche alle "norme strettamente connesse con quelle che individuano le specie ammesse al prelievo venatorio". Sussiste infatti un interesse unitario, non frazionabile, alla uniforme disciplina dei vari aspetti inerenti al nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica: dall'individuazione delle specie cacciabili alla variazione dei relativi elenchi; dalla disciplina delle modalita' di caccia, nei limiti in cui prevede misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie selvatiche, alla delimitazione dei periodi venatori, alla disciplina delle deroghe, ex art. 9 della direttiva 79/409/CEE, al generale regime di protezione degli uccelli selvatici. Un'interpretazione della direttiva 79/409/CEE nell'esclusiva prospettiva di un'eccezionale autorizzazione di attivita' venatorie altrimenti vietate sarebbe quindi parziale e fuorviante.
24691. L'art. 9 della direttiva 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, prevede che gli Stati membri - "sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti" - possono derogare alle misure di protezione disposte dalla medesima direttiva per le seguenti ragioni: a) nell'interesse della salute e della sicurezza pubblica; nell'interesse della sicurezza aerea; per prevenire gravi danno alle colture, al bestiame, ai boschi, alla pesca e alle acque; per la protezione della flora e della fauna; b) ai fini della ricerca e dell'insegnamento, del ripopolamento e della reintroduzione nonche' per l'allevamento connesso a tali operazioni; c) per consentire in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantita'. Si tratta di un potere di deroga esercitabile in via eccezionale per consentire non tanto la caccia, quanto, piuttosto, piu' in generale, l'abbattimento o la cattura di uccelli selvatici appartenenti alle specie protette dalla direttiva medesima, alle condizioni ed ai fini di interesse generale indicati dall'art. 9.1, e secondo le procedure e le modalita' di cui al punto 2 dello stesso art. 9. Gli interessi a garanzia dei quali l'art. 9 consente di adottare i provvedimenti di deroga - alcuni dei quali, come la sicurezza aerea e la sicurezza pubblica, di indubbia pertinenza statale - possono essere quindi soddisfatti anche attraverso misure diverse dall'eccezionale autorizzazione al prelievo venatorio di specie altrimenti protette.
24692. In accoglimento dei ricorsi proposti dal Presidente del Consiglio, le leggi delle Regioni Liguria, Umbria e Veneto - riapprovate, a seguito di rinvii governativi, rispettivamente, il 20 settembre e il 17 novembre 1997 e il 5 marzo 1998 e tutte e tre attinenti alla disciplina e all'applicazione delle deroghe, ai vari divieti stabiliti, previste dall'art. 9 della direttiva CEE n. 409/79, per la conservazione degli uccelli selvatici - vanno dichiarate costituzionalmente illegittime. Al riguardo, infatti, - assorbita ogni altra censura - a confutare la rivendicazione di una propria competenza in materia da parte delle Regioni resistenti - competenza che non potrebbe comunque basarsi sulla non assimilabilita', che e' fuori di discussione, del potere di deroga in questione al potere di variazione degli elenchi delle specie cacciabili previsto dall'art. 18, comma 3, della legge 11 febbraio 1992, n. 357 - e' sufficiente osservare che l'art. 9 della citata direttiva CEE, piu' che a regolare l'attivita' venatoria, e' volto a consentire eccezioni al regime di protezione della fauna selvatica, per la salvaguardia di interessi generali, e pertanto l'esercizio del potere di disporle, potendo incidere sul nucleo minimo di tale protezione, non puo' prescindere - secondo i principi costantemente accolti dalla giurisprudenza della Corte costituzionale - da una previa disciplina espressa - come richiesto, in particolare, da sentenza 15 marzo 1990 della Corte di giustizia della Comunita' - in precise disposizioni nazionali idonee a garantire su tutto il territorio dello Stato un uniforme e adeguato livello di salvaguardia, disciplina che - anche in considerazione del carattere meramente facoltativo, secondo la direttiva comunitaria, dell'attivazione delle deroghe - non rileva che nella legge n. 357 del 1992 non sia rintracciabile. In questo senso, del resto, deve interpretarsi anche l'art. 69, comma 1, lett. b), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), che annovera tra i compiti di rilievo nazionale per la tutela dell'ambiente, ai sensi dell'art. 1, comma 4, lett. c), della legge 15 marzo 1997, n. 59 - accanto a quelli relativi alle variazioni degli elenchi delle specie cacciabili - quelli attinenti alla "tutela... della fauna e della flora specificamente protette da accordi e convenzioni e dalla normativa comunitaria".
Aspetti procedurali del potere di deroga e mancanza della sua disciplina nella normativa statale
Sentenza n. 169/1999
24702. In accoglimento dei ricorsi per conflitto di attribuzione proposti dalle Regioni Toscana, Veneto, Emilia-Romagna, Lombardia ed Umbria, deve dichiararsi che non spetta allo Stato disciplinare con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 settembre 1997 le modalita' di esercizio delle deroghe di cui all'art. 9, paragrafo 1, lett. c), della direttiva comunitaria 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici. Di conseguenza tale decreto - che, al fine di "garantire l'omogeneita' di applicazione della direttiva comunitaria" (art. 1, comma 1) dispone che le suddette deroghe vengano adottate dalle Regioni "d'intesa con i Ministri dell'ambiente e per le politiche agricole", precisando gli elementi che le Regioni sono tenute ad indicare (art. 2) ed inoltre nell'estendere (art. 3) la disciplina delle condizioni e modalita' di applicazione delle deroghe anche all'ipotesi della cattura per la cessione a fini di richiamo, di cui all'art. 4, comma 4, della legge 11 febbraio 1992, n. 157, individua nell'Istituto nazionale per la fauna selvatica (art. 4) l'autorita' abilitata a dichiarare che le condizioni stabilite sono realizzate - e' annullato. Se e' vero, infatti, che le attribuzioni che incontestabilmente spettano alle Regioni in tema di caccia non consentono, anche a tener conto dell'ulteriore trasferimento di competenze operato in loro favore dal d.lgs. 4 giugno 1997, n. 143, il disconoscimento delle competenze che, in materia di tutela della fauna selvatica, restano, comunque, affidate allo Stato e che sono tali da riverberarsi - come la Corte costituzionale ha avuto occasione di affermare - anche sulla disciplina delle modalita' della caccia stessa, nei limiti in cui prevede misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie selvatiche, cio' pero' non significa che lo Stato sia legittimato ad intervenire, riguardo alle deroghe in questione, sulla base di presupposti e secondo modalita' che non siano quelli richiesti dall'ordinamento. Il che appunto si verifica nel caso di specie, in quanto, sia che il provvedimento impugnato si consideri atto di natura regolamentare, sia che lo si qualifichi atto di indirizzo e coordinamento - a parte, nella prima ipotesi, la mancanza, nel procedimento seguito, di una deliberazione collegiale del Governo, e dei pareri delle competenti Commissioni parlamentari e del Consiglio di Stato o della stessa Conferenza Stato-Regioni, previsti, rispettivamente, dall'art. 4, commi 4 e 5, della legge 9 marzo 1989, n. 86, e dall'art. 2, comma 3, del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, per la emanazione di regolamenti in materie di spettanza regionale e, nella seconda, la mancanza di una delibera del Consiglio dei ministri, adottata previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni, secondo le regole oggi desumibili dall'art. 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (nel testo risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 408 del 1998) - e' decisivo in proposito che l'esercizio della potesta' regolamentare, o della funzione di indirizzo e coordinamento, sia avvenuto senza un supporto legislativo, in ambo i casi necessario. Supporto legislativo che comunque non potrebbe certo rinvenirsi nell'art. 18, comma 3, della legge n. 157 del 1992, posto che il potere di modifica degli elenchi delle specie cacciabili, da tale disposizione disciplinato, va tenuto distinto dal potere di deroga di cui all'art. 9 della direttiva comunitaria, dalla legge n. 157 del 1992, peraltro, in alcun modo regolato. - Cfr. S. nn. 278/1993 e 323/1998, nonche', in particolare, S. n. 272/1996. red.: S. Pomodoro
CALENDARIO VENATORIO
Sulle leggi regionali che modificano i calendari venatori
Sentenza n. 323/1998
24119. L'art. 49, comma 1, lett. b), della legge riapprovata dal Consiglio regionale della Sardegna il 16 dicembre 1996, recante "Norme per la protezione della fauna selvatica e per l'esercizio della caccia in Sardegna", nella parte in cui consente di abbattere le specie di uccelli ivi elencate (colombaccio, beccaccia, merlo, ecc.) dalla terza domenica di settembre fino all'ultimo giorno di febbraio dell'anno successivo, va dichiarato illegittimo per violazione dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione. Non v'ha dubbio, infatti, che tra le norme fondamentali di riforma economico-sociale il cui rispetto, in forza del precetto statutario, e' limite invalicabile della potesta' legislativa della Regione in materia, sia da annoverarsi il disposto dell'art. 18, comma 2, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il periodo venatorio) secondo il quale i termini dei periodi di caccia, in conformita' e in attuazione della direttiva 79/409/CEE (concernente la conservazione degli uccelli selvatici) "devono essere comunque contenuti tra il 1^ settembre e il 31 gennaio", dovendo escludersi, dato il rapporto di stretta connessione tra le disposizioni che individuano le specie ammesse al prelievo e quelle -volte ad assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili- che tale prelievo delimitano dal punto di vista temporale, che -come pure ha sostenuto la difesa della Regione - la natura di norme fondamentali di riforma economico-sociali possa riconoscersi solo alle prime. La decisione adottata, peraltro, non incide sulla facolta' delle Regioni, ad esse attribuita dallo stesso art. 18, comma 2, della legge n. 157 del 1992, - fermi restando i limiti dell'arco temporale 1^ settembre-31 gennaio - di apportare deroghe, in base ad accertamenti attendibili dal punto di vista tecnico-scientifico, alla disciplina generale dei periodi venatori, per determinate specie, in relazione alle situazioni ambientali. - V. S. nn. 272/1996, 35/1995, 577/1990 e 1002/1988. V. anche la precedente massima A. red.: S. Pomodoro
Sentenza n. 168/1999
24690 Nel ribadire il carattere di norma fondamentale di riforma economico-sociale proprio delle disposizioni legislative statali che individuano le specie cacciabili, riconosciuto da un costante giurisprudenza, la Corte costituzionale ha ancora di recente precisato che tale carattere compete anche alle "norme strettamente connesse con quelle che individuano le specie ammesse al prelievo venatorio". Sussiste infatti un interesse unitario, non frazionabile, alla uniforme disciplina dei vari aspetti inerenti al nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica: dall'individuazione delle specie cacciabili alla variazione dei relativi elenchi; dalla disciplina delle modalita' di caccia, nei limiti in cui prevede misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie selvatiche, alla delimitazione dei periodi venatori, alla disciplina delle deroghe, ex art. 9 della direttiva 79/409/CEE, al generale regime di protezione degli uccelli selvatici. Un'interpretazione della direttiva 79/409/CEE nell'esclusiva prospettiva di un'eccezionale autorizzazione di attivita' venatorie altrimenti vietate sarebbe quindi parziale e fuorviante.
Sentenza n. 536/2002
27450 E' costituzionalmente illegittima la legge della Regione Sardegna 7 febbraio 2002, n. 5, la quale, procrastinando la chiusura della stagione venatoria, nel territorio sardo, oltre il termine del 31 gennaio, ha derogato senza giustificazione alcuna al precetto - che ha fissato l'anzidetto termine - della legge statale n. 157 del 1992, con ciò recando lesione ai limiti stabiliti per l'esercizio della potestà legislativa dallo statuto della Regione Sardegna, dal momento che la legge dello Stato - inserita in un contesto normativo comunitario e internazionale - risponde all'esigenza di una tutela uniforme dell'ambiente e dell'ecosistema, riservata alla competenza esclusiva dello Stato (ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), il cui rispetto deve essere perciò assicurato nell'intero territorio nazionale e, dunque, anche nell'ambito delle Regioni a statuto speciale.
Sentenza n. 226/2003
27868. È costituzionalmente illegittimo l'art. 38, comma 2, della legge della Regione Puglia 21 maggio 2002, n. 7, in quanto protrae il prelievo venatorio oltre il termine previsto dalla legge dello Stato n. 157 del 1992, con ciò contravvenendo all'esigenza di uno 'standard' di tutela uniforme nell'intero territorio nazionale dell'ambiente e dell'ecosistema - per il cui soddisfacimento l'art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione richiede l'intervento in via esclusiva della potestà legislativa statale - venendo così ad incidere sulla disciplina delle modalità di caccia che, anche in funzione di adeguamento agli obblighi comunitari, è rivolta ad assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili.
27869. Alla luce di quanto già affermato nella giurisprudenza pregressa in materia di delimitazione temporale del prelievo venatorio, non sussistono i presupposti per sollevare - in accoglimento della richiesta avanzata dalla resistente Regione Puglia - la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, comma 2, della legge 11 febbraio 1992, n. 157, che, in conformità con la normativa comunitaria, determina i periodi di caccia ponendo il divieto di attività venatoria oltre il termine del 31 gennaio: diversamente da quanto opina la Regione Puglia (richiamando la sentenza n. 536/2002), non ricorrono, infatti, nella specie le condizioni dettate dalla direttiva comunitaria, perché a livello regionale eventuali deroghe agli standards minimi di tutela fissati nella legislazione statale, sono consentite soltanto per la salvaguardia degli interessi generali.
Sentenza n. 227/2003
27873 È costituzionalmente illegittimo l'art. 29, commi 2 e 4, della legge della Provincia autonoma di Trento 9 dicembre 1991, n. 24, come sostituito dall'art. 32 della legge provinciale 23 febbraio 1998, n. 3, nella parte in cui prevede specie cacciabili diverse e periodi venatori più ampi di quelli previsti dall'art. 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, le cui disposizioni - a' termini dello statuto - vincolano la legislazione provinciale in quanto appartenenti al novero delle "norme fondamentali delle riforme economico-sociali", volte a garantire standards minimi e uniformi di tutela della fauna sull'intero territorio nazionale.
Sentenza n. 311/2003
27973. E’ costituzionalmente
illegittimo l’art. 49, comma 1, lettera f), della legge della Regione Campania
26 luglio 2002, n. 15 nella parte in cui proroga al “28 febbraio” l’originario
termine del “31 gennaio” per l’esercizio della caccia di diverse specie. Prorogare
la stagione venatoria oltre i termini di cui all’art. 18 della legge n. 157 del
1992, previsti allo scopo di assicurare la sopravvivenza e la riproduzione
delle specie cacciabili, equivale, infatti, ad incidere sul nucleo minimo –
comprensivo anche delle modalità di caccia – di salvaguardia della fauna
selvatica, in violazione di uno standard di tutela uniforme valido per l’intero
territorio nazionale e pertanto riservato alla competenza esclusiva dello
Stato, per come attribuita dall’art. 117, secondo comma, lettera s), della
Costituzione in riferimento all’esigenza di tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema.
ALTRI PUNTI
In tema di potere dello Stato di disapplicazione di una legge regionale
Sentenza n. 129/2004
28443 Non spetta allo Stato, e per esso al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cremona, disapplicare, nei termini di cui all’ordinanza 2 novembre 2002, la legge della Regione Lombardia 7 agosto 2002, n. 18, concernente la conservazione degli uccelli selvatici e, conseguentemente, annulla tale ordinanza per quanto di ragione. L’ordinanza, che dispone la disapplicazione della fonte legislativa regionale, ritenendo che la facoltà di attivare autonomamente le deroghe previste dall’art. 9 della direttiva 79/409/CEE spetti non già alle Regioni, bensì allo Stato, lede, infatti, le attribuzioni costituzionali della Regione Lombardia. Sono, infatti, errate le premesse della disposta disapplicazione, poiché le incertezze riscontrabili in ordine al profilo della efficacia diretta dell’art. 9 e la denuncia di incompatibilità, che non si risolve unicamente nel rapporto tra la direttiva e la legge regionale, ma richiede la necessaria intermediazione legislativa statale, confermano il carattere meramente servente delle argomentazioni rispetto alla effettiva ‘ratio decidendi’, consistente nel denunciato vizio di incompetenza della legge regionale.
Sulla mancata abrogazione dell’art. 842 c.c. da parte della legge n. 157/92
Sentenza n. 32/1997
23106. E' ammissibile la richiesta di 'referendum' popolare per l'abrogazione dell'art. 842 cod. civ. - approvato con regio decreto 16 marzo 1942, n. 262 - comma 1 (<<Il proprietario di un fondo non puo' impedire che vi si entri per l'esercizio della caccia, a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia o vi siano colture in atto suscettibili di danno.>>) e comma 2 (<<Egli puo' sempre opporsi a chi non e' munito della licenza rilasciata dall'autorita'.>>), in quanto il quesito si presenta <<chiaro, univoco ed omogeneo: tale quindi da consentire all'elettore di esprimere la sua volonta' con piena consapevolezza>>. Peraltro, la legge 11 febbraio 1992, n. 157 (in tema di protezione della fauna selvatica omeoterma e sul prelievo venatorio) - che ha innovato profondamente la disciplina precedente (testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia, approvato con r.d. 5 giugno 1939, n. 1016; legge 27 dicembre 1977, n. 968) - pur attribuendo maggiore rilievo, ai fini dell'inclusione del terreno da parte delle Regioni in un ambito territoriale di caccia, alle posizioni del proprietario o del conduttore del fondo che intendano vietare sullo stesso l'esercizio della attivita' venatoria, non ha abrogato l'art. 842 cod. civ., del quale si chiede l'abolizione con la finalita' di espandere il diritto del proprietario di godere in modo pieno ed esclusivo del fondo, senza piu' il limite imposto da detta norma. - Cfr. S. n. 63/1990, con la quale la Corte ha ritenuto ammissibile una precedente richiesta di 'referendum' di identico contenuto. [Il 'referendum' popolare sul quesito allora ammesso, indetto con d.P.R. 26 marzo 1990, non ha tuttavia avuto esito, perche', secondo quanto ha accertato l'Ufficio Centrale per il 'referendum', ai sensi dell'art. 36 della legge 25 maggio 1970, n. 352, alla votazione non ha partecipato la maggioranza degli aventi diritto, cosi' come richiede l'art. 75 della Costituzione]. - Per l'inammissibilita' delle precedenti richieste, v. S. nn. 28/1987 e 27/1981. red.: G. Leo
Sull’attività venatoria nelle aree protette
Sentenza n. 20/2000
25104. E' costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 117 Cost. - in relazione all'art. 22, comma 6, l. 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette) e agli artt. 21, comma 1, lett. b) e 30, comma 1, lett. d), l. 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) - l'art. 1, comma 47, n. 8, della delibera legislativa approvata dal Consiglio regionale della Liguria il 12 marzo 1997 e riapprovata il 22 aprile 1997, recante "Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 22 febbraio 1995, n. 12 (Riordino delle aree protette), modificata con legge regionale 21 aprile 1995, n. 32". Infatti, la disposizione impugnata - che, definendo, con valore retroattivo, le "aree protette esistenti" come "parco naturale regionale" a decorrere dal 1^ febbraio 1996, incontra il limite, contenuto nella legislazione nazionale sulle aree protette e sulla protezione della fauna selvatica, la quale (rispettivamente, nell'art. 22, comma 6, l. n. 394 del 1991 e negli artt. 21, comma 1, lett. b) e 30, comma 1, lett. d), l. n. 157 del 1992) sancisce un esplicito divieto, penalmente sanzionato, di attivita' venatoria, tra l'altro, "nei parchi naturali regionali - consente, attraverso il suo preteso carattere transitorio, l'attivita' venatoria nei territori in essa considerati per un tempo indefinito, rendendo cosi' configurabile una "elusione sostanziale" del principio fondamentale del divieto di caccia.
In tema di risarcimento dei danni da parte del fondo di garanzia per le vittime della caccia
Sentenza n. 470/2000
25794. E' costituzionalmente illegittimo l'art. 25, comma 1, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 nella parte in cui non prevede il risarcimento dei danni alla persona da parte del Fondo di garanzia per le vittime della caccia nel caso in cui colui che ha causato il danno risulti assicurato presso un'impresa assicuratrice che al momento del sinistro si trovi in stato di liquidazione coatta amministrativa o vi venga posta successivamente. Lo scopo dell'istituzione del Fondo di garanzia per le vittime della caccia e' quello di consentire in ogni caso il pieno ristoro dei danni alla persona; la previsione della operativita' del Fondo soltanto quando l'autore del danno sia ignoto o non sia assicurato (cioe' in ipotesi nelle quali il danno viene causato da un soggetto del quale non si conosce se ha copertura o da un soggetto che, non essendo assicurato, non ha contribuito al Fondo) con esclusione, invece, dell'intervento del Fondo nel caso in cui il danno venga causato da chi, pur regolarmente assicurato, subisce le conseguenze di un evento (la messa in liquidazione coatta dell'impresa assicuratrice) in ordine al quale, evidentemente, non ha alcuna responsabilita', appare del tutto priva di ragionevole giustificazione e quindi si pone in evidente contrasto con l'art. 3 della Costituzione. L.T.
Giurisprudenza della Corte di cassazione nella legge n. 157 del 1992 (massime)
Articolo |
Organo giudicante |
Argomento |
n. massima |
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1 |
Poteri delle Regioni in tema di gestione e tutela della fauna selvatica |
1 |
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Responsabilità delle Regioni per i danni provocati da animali selvatici |
2 |
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Efficacia della normativa anche nelle Regioni a statuto speciale |
3 |
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4 |
Uso di richiami vivi |
1-9 |
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5 |
Uso di richiami vivi |
1-12 |
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10 |
Tabellazione perimetrale |
1 |
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12 |
1 |
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2-3 |
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18 |
1 |
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19 |
Competenza esclusiva delle Regioni in materia di controllo della fauna selvatica |
1 |
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21 |
Cassazione civile |
Esercizio venatorio a distanza inferiore a cinquanta metri da strade carrozzabili: qualificazione di via vicinale pubblic |
1 |
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Uso di richiami vivi al di fuori dei casi previsti dall'art. 5 |
2 |
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Cassazione penale |
3-5 |
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Spari a distanza inferiore a centocinquanta metri da luoghi abitati |
6 |
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7 |
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8-12 |
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13-15 |
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16 |
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17 |
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Richiami vietati: |
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o uso, a fini di richiamo, di uccelli vivi non identificabili mediante anello inamovibile |
18 |
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o uso, a fini di richiamo, di uccelli vivi ingabbiati |
19-21 |
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o uso, a fini di richiamo, di uccelli vivi legati o mutilati |
22-23 |
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24-26 |
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o uso di richiami vivi non consentiti: configurazione del reato |
27 |
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28 |
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29-31 |
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32 |
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30 |
12-14 |
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15-17 |
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21-24 |
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25-28 |
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o - uso, a fini di richiamo, di uccelli vivi non identificabili mediante anello amovibile |
29 |
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30-34 |
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o - uso, a fini di richiamo, di uccelli vivi legati o mutilati |
35-37 |
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38 |
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39 |
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41 |
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Articolo |
Organo giudicante |
Argomento |
n. massima |
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Segue art. 30 |
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42-43 |
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o - faiole |
44 |
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45 |
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46-48 |
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31 |
Cassazione penale |
1-2 |
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Esercizio di caccia in zone di divieto non diversamente sanzionate |
3 |
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4 |
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Giurisprudenza della Corte di cassazione nella legge n. 157 del 1992 (massime)
Articolo 1
1. Poteri delle Regioni in tema di gestione e tutela della fauna selvatica
2. Responsabilità delle Regioni per i danni provocati da animali selvatici
1. 2. Sebbene la fauna selvatica rientri nel patrimonio indisponibile dello Stato, la legge 11 febbraio 1992, n. 157 (recante "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio") attribuisce alle Regioni a statuto ordinario l'emanazione di norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica (art. 1, comma terzo) e affida alle medesime (cui la legge n. 142 del 1990, nel definire i rapporti tra Regioni, Provincie e Comuni, ha attribuito la qualifica di ente di programmazione e di coordinamento) i poteri di gestione, tutela e controllo, riservando invece alle Provincie le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna ad esse delegate ai sensi della legge n. 142 del 1990 (art. 9, comma primo). Ne consegue che la Regione, in quanto obbligata ad adottare tutte le misure idonee ad evitare che la fauna selvatica arrechi danni a terzi, è responsabile ex art. 2043 c.c. dei danni provocati da animali selvatici a persone o a cose, il cui risarcimento non sia previsto da specifiche norme.
Sez. III, sent. n. 13907 del 24-09-2002, Regione Toscana c. Bartolucci (rv 557557).
Cassazione Penale
Efficacia della normativa anche nelle Regioni a statuto speciale
3. In virtù del principio costituzionale della riserva di legge statale in materia penale, il fatto che la Regione Siciliana abbia potestà legislativa esclusiva in materia di caccia non può incidere, nel senso di farne venir meno l'efficacia limitatamente al territorio siciliano, sulle norme contenute nella legge 11 febbraio 1992 n. 157, mentre non sarebbe nemmeno possibile un loro recepimento da parte della legge regionale.
Sez. III, sent. n. 2029 del 14-07-1995 (ud. del 30-05-1995), Fiorentino (rv 202478).
Articolo 4
Cassazione Penale
Uso di richiami vivi 1- 9
1. In tema di maltrattamento di animali ( art. 727 cod. pen.), l'art. 4 della legge 11 febbraio 1992 n. 157 (norme per la protezione della fauna selvatica omeotermica e per il prelievo venatorio) prevede espressamente l'esercizio venatorio con l'uso di richiami vivi, sempre che questo non costituisca ipotesi di crudeltà, eccessiva fatica o ingiustificata tortura. Dopo l'entrata in vigore della legge 22 novembre 1993 n. 473, che ha modificato l'art. 727 cod. pen., l'uso di richiami vivi è vietato anche quando è incompatibile con la natura dell'animale, a prescindere dalla specifica sofferenza causata. Pertanto, l'uso di gabbie per i richiami, ampiamente permesso nel vigore della pregressa disciplina, è ora consentito solo nelle ipotesi residuali, da valutare in concreto, di compatibilità con la natura dell'animale. (Fattispecie nella quale è stato ritenuto integrata la contravvenzione ex art. 727 cod. pen., poiché dieci volatili, quali richiami per la caccia, erano stati tenuti in minuscole gabbie, incompatibili con la loro natura).
Sez. III, sent. n. 6903 del 16-06-1995 (cc. del 27-04-1995), Clearco (rv 201789).
2. In tema di maltrattamento di animali, l'art. 4 della legge sulla caccia (legge 11 febbraio 1992 n. 157) prevede espressamente l'esercizio venatorio con l'uso di richiami vivi, ma esso deve ritenersi lecito sempre che non costituisca, a mente dell'art. 727 cod. pen. - come modificato dalla legge 22 novembre 1993 n. 473 - ipotesi di crudeltà, fatica eccessiva, ingiustificata tortura o non determini condizioni per l'animale incompatibili con la propria natura, tenuto conto anche delle sue caratteristiche etologiche. I comportamenti vietati, indicati nell'art. 21, lett. r), della legge n. 157 del 1992 citata, hanno, dunque, carattere esemplificativo e non esauriscono le condotte illecite integranti gli estremi del reato previsto dall'art. 727 cod. pen.
Sez. III, sent. n. 10673 del 10-12-1996 (cc. del 11-11-1996), Calopaci (rv 206480).
3. L'art. 30, lett. h), della legge 11 febbraio 1992 n. 157 sanziona penalmente non soltanto l'esercizio della caccia "con l'ausilio di richiami vietati" di cui all'art. 21, comma primo, lett. r), della legge n. 157 del 1992 medesima, ma anche con previsione generale, l'esercizio della caccia "con mezzi vietati". Va ricompreso, tra tali "mezzi vietati", l'uso di richiami vivi "non identificabili mediante anello inamovibile", uso che è appunto espressamente vietato dall'art. 5, comma settimo, della legge n. 157 del 1992 citata .(Nella specie, la S.C. ha osservato che non possono dedursi ragioni di "inesigibilità" del prescritto comportamento dalla mancata emanazione della normativa regionale di esecuzione, ovvero dalla non attuata distribuzione degli anelli numerati di identificazione, poiché in situazioni siffatte il cacciatore deve astenersi dall'uso di uccelli vivi di richiamo e non può certo violare i precetti posti dalla legge-quadro statale).
Sez. III, sent. n. 8880 del 02-10-1996 (cc. del 04-07-1996), Zaghis (rv 206417).
4. La condotta venatoria, anche quando sia consentita, non può comportare sofferenze per gli animali, ove si esplichi con modalità non compatibili con la loro natura e con le loro caratteristiche etologiche. Pertanto, l'uso di uccelli vivi privati delle penne timoniere costituisce pratica assolutamente illegittima, sia per violazione dell'art. 21, lett. r), della legge 11 febbraio 1992 n. 157 (che espressamente esclude l'uso a fini di richiamo di uccelli "mutilati"), sia rispetto all'art. 727 cod. pen. perché priva l'animale di una condizione naturale di vita e di una caratteristica etologica costituita dalla possibilità reale del volo e percio' stesso comporta una grave forma di maltrattamento. Egualmente illegittimo, e anche in questo caso concorrono le due indicate ipotesi di reato, è l'uso di uccelli vivi di richiamo non "legati per le ali", ma con le zampe in modo da bloccare non solo il volo, ma addirittura tutto il corpo, con un legame rigido ad un filo di ferro e conseguente caduta a testa in giù per ogni tentativo, pur impossibile, di volo.
Sez. III, sent. n. 10674 del 10-12-1996 (cc. del 11-11-1996), Zauli (rv 206481).
5. La norma ricavabile dal nuovo testo dell'art. 727 cod. pen. e relativa alla detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura non si trova in alcun modo in una situazione di puntuale ed inevitabile contraddizione con la norma della legge 11 febbraio 1992 n. 157 relativa all'uso degli uccelli in funzione di richiami e la sua applicazione non comporta necessariamente ed in ogni caso la disapplicazione della seconda, dal momento che è possibile una interpretazione delle due disposizioni che consenta una coerente ed armonica applicazione di entrambe. È infatti nozione elementare di teoria generale del diritto che l'abrogazione per incompatibilità (a differenza di quella espressa) intercorre tra le norme e non tra le disposizioni e che essa si verifica non già quando vi sia una generica non conformità fra nuova e vecchia disciplina, bensì soltanto quando fra le due norme vi siano una contraddizione ed un contrasto puntuali ed irresolubili, tali che l'applicazione di una norma implichi necessariamente ed indefettibilmente la disapplicazione dell'altra, il che sta a significare che è canone fondamentale di interpretazione quello secondo cui l'interprete è obbligato a compiere tutti gli sforzi ermeneutici al fine di salvare la vigenza della norma precedente, ossia è obbligato ad interpretare, fin dove è possibile, nuova e vecchia disposizione in modo tale da ricavarne norme non incompatibili e che solo quando ciò non sia possibile, ossia solo quando in nessun modo l'applicazione della nuova norma consenta anche l'applicazione della precedente, l'interprete stesso possa dichiarare l'avvenuta abrogazione della vecchia norma.
Sez. III, sent. n. 601 del 29-01-1997 (cc. del 01-10-1996), Dal Prà (rv 206819).
6. Allorquando il reato di maltrattamento di animali viene in evidenza con riferimento a comportamenti che costituiscono l'esercizio di pratiche venatorie, occorre tener conto, oltre che della norma di cui all'art. 727 cod. pen., come modificato dalla legge 22 novembre 1993 n. 473, anche delle disposizioni che regolano l'esercizio della caccia, di cui alla legge 11 febbraio 1992 n. 157. E ciò non perché le norme della predetta legge si pongano in rapporto di specialità con le norme del codice penale, dato che è diversa la loro oggettività giuridica, ma perché un comportamento venatorio che è consentito dalla predetta legge n.157 del 1992, ed è quindi considerato lecito, non può integrare gli estremi del reato di maltrattamento di animali, anche se idoneo a cagionare sofferenze agli animali stessi. Infatti, per la scelta non manifestamente irragionevole operata dal legislatore, è stato ritenuto prevalente l'interesse a garantire l'esercizio della caccia, per cui una pratica venatoria che è consentita dalla legge 11 febbraio 1992 n. 157 non può essere punita a norma dell'art. 727 cod. pen. perché il fatto è scriminato dall'art. 51 cod. pen., costituendo l'esercizio di un diritto. Ovviamente non ricorre una tale esimente nel caso in cui la pratica venatoria, pur essendo consentita a norma della citata legge n. 157 del 1992, per le sue concrete modalità di attuazione sottoponga l'animale ad un aggravamento di sofferenze che non trovi giustificazione nelle esigenze della caccia.
Sez. III, sent. n. 601 del 29-01-1997 (cc. del 01-10-1996), Dal Prà (rv 206820).
7. Nel caso di detenzione in gabbie di uccelli catturati e destinati alla cessione a fini di richiamo, la misura delle gabbie non può ritenersi troppo ristretta, e quindi idonea di per sé a causare inutili sofferenze agli uccelli e, di conseguenza, ad integrare il reato di maltrattamento di animali, quando le gabbie siano conformi alle misure stabilite dall'Istituto nazionale per la fauna selvatica (I.N.F.S.). In ogni caso, nel comportamento di chi detenga legittimamente uccelli in gabbie conformi alle dette misure, deve escludersi l'elemento psicologico del reato, essendo ravvisabile un evidente caso di errore scusabile.
Sez. III, sent. n. 601 del 29-01-1997 (cc. del 01-10-1996), Dal Prà (rv 206822).
8. In tema di maltrattamento di animali, nel caso in cui la detenzione degli uccelli in gabbia, a fini di richiamo per uso dell'esercizio della caccia, sia lecita e le gabbie, quanto alla loro misura, siano regolari, occorre dimostrare, per affermare la penale responsabilità che la consumazione delle penne e della coda e lo "stress" psichico che gli uccelli abbiano subito siano derivati da altri e diversi fattori che non fossero la sola detenzione in gabbie di quella misura.
Sez. III, sent. n. 601 del 29-01-1997 (cc. del 01-10-1996), Dal Prà (rv 206823).
9. Nell'ipotesi di uccelli che siano utilizzati come richiami nell'esercizio della caccia, ed a tal fine siano imbracati e legati con una cordicella alla quale venga impresso uno strattone, che li faccia sollevare in volo e poi ricadere, deve ritenersi che tale comportamento venatorio, consentito dalla legge 11 febbraio 1992 n. 157, non può integrare gli estremi del reato di maltrattamento di animali. (Nella specie, la Corte ha precisato che l'utilizzo dell'uccello è lecito quando questo sia regolarmente imbracato e non si sottoponga la fune a violenti strattonamenti, ma ci si limiti a tirarla quel tanto che basti a fare alzare in volo l'animale).
Sez. III, sent. n. 2543 del 30-11-1998 (ud. del 02-10-1998), Nava (rv 212166).
Articolo 5
Cassazione Penale
Uso di richiami vivi 1-12
1. In tema di maltrattamento di animali ( art. 727 cod. pen.), l'art. 4 della legge 11 febbraio 1992 n. 157 (norme per la protezione della fauna selvatica omeotermica e per il prelievo venatorio) prevede espressamente l'esercizio venatorio con l'uso di richiami vivi, sempre che questo non costituisca ipotesi di crudeltà, eccessiva fatica o ingiustificata tortura. Dopo l'entrata in vigore della legge 22 novembre 1993 n. 473, che ha modificato l'art. 727 cod. pen., l'uso di richiami vivi è vietato anche quando è incompatibile con la natura dell'animale, a prescindere dalla specifica sofferenza causata. Pertanto, l'uso di gabbie per i richiami, ampiamente permesso nel vigore della pregressa disciplina, è ora consentito solo nelle ipotesi residuali, da valutare in concreto, di compatibilità con la natura dell'animale. (Fattispecie nella quale è stato ritenuto integrata la contravvenzione ex art. 727 cod. pen., poiché dieci volatili, quali richiami per la caccia, erano stati tenuti in minuscole gabbie, incompatibili con la loro natura).
Sez. III, sent. n. 6903 del 16-06-1995 (cc. del 27-04-1995), Clearco (rv 201789).
2. L'art. 30, lett. h), della legge 11 febbraio 1992 n. 157 sanziona penalmente non soltanto l'esercizio della caccia "con l'ausilio di richiami vietati" di cui all'art. 21, comma primo, lett. r), della legge n. 157 del 1992 medesima, ma anche con previsione generale, l'esercizio della caccia "con mezzi vietati". Va ricompreso, tra tali "mezzi vietati", l'uso di richiami vivi "non identificabili mediante anello inamovibile", uso che è appunto espressamente vietato dall'art. 5, comma settimo, della legge n. 157 del 1992 citata .(Nella specie, la S.C. ha osservato che non possono dedursi ragioni di "inesigibilità" del prescritto comportamento dalla mancata emanazione della normativa regionale di esecuzione, ovvero dalla non attuata distribuzione degli anelli numerati di identificazione, poiché in situazioni siffatte il cacciatore deve astenersi dall'uso di uccelli vivi di richiamo e non può certo violare i precetti posti dalla legge-quadro statale).
Sez. III, sent. n. 8880 del 02-10-1996 (cc. del 04-07-1996), Zaghis (rv 206417).
3. In tema di maltrattamento di animali, l'art. 4 della legge sulla caccia (legge 11 febbraio 1992 n. 157) prevede espressamente l'esercizio venatorio con l'uso di richiami vivi, ma esso deve ritenersi lecito sempre che non costituisca, a mente dell'art. 727 cod. pen. - come modificato dalla legge 22 novembre 1993 n. 473 - ipotesi di crudeltà, fatica eccessiva, ingiustificata tortura o non determini condizioni per l'animale incompatibili con la propria natura, tenuto conto anche delle sue caratteristiche etologiche. I comportamenti vietati, indicati nell'art. 21, lett. r), della legge n. 157 del 1992 citata, hanno, dunque, carattere esemplificativo e non esauriscono le condotte illecite integranti gli estremi del reato previsto dall'art. 727 cod. pen.
Sez. III, sent. n. 10673 del 10-12-1996 (cc. del 11-11-1996), Calopaci (rv 206480).
4. La condotta venatoria, anche quando sia consentita, non può comportare sofferenze per gli animali, ove si esplichi con modalità non compatibili con la loro natura e con le loro caratteristiche etologiche. Pertanto, l'uso di uccelli vivi privati delle penne timoniere costituisce pratica assolutamente illegittima, sia per violazione dell'art. 21, lett. r), della legge 11 febbraio 1992 n. 157 (che espressamente esclude l'uso a fini di richiamo di uccelli "mutilati"), sia rispetto all'art. 727 cod. pen. perché priva l'animale di una condizione naturale di vita e di una caratteristica etologica costituita dalla possibilità reale del volo e percio' stesso comporta una grave forma di maltrattamento. Egualmente illegittimo, e anche in questo caso concorrono le due indicate ipotesi di reato, è l'uso di uccelli vivi di richiamo non "legati per le ali", ma con le zampe in modo da bloccare non solo il volo, ma addirittura tutto il corpo, con un legame rigido ad un filo di ferro e conseguente caduta a testa in giù per ogni tentativo, pur impossibile, di volo.
Sez. III, sent. n. 10674 del 10-12-1996 (cc. del 11-11-1996), Zauli (rv 206481).
5. La norma ricavabile dal nuovo testo dell'art. 727 cod. pen. e relativa alla detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura non si trova in alcun modo in una situazione di puntuale ed inevitabile contraddizione con la norma della legge 11 febbraio 1992 n. 157 relativa all'uso degli uccelli in funzione di richiami e la sua applicazione non comporta necessariamente ed in ogni caso la disapplicazione della seconda, dal momento che è possibile una interpretazione delle due disposizioni che consenta una coerente ed armonica applicazione di entrambe. È infatti nozione elementare di teoria generale del diritto che l'abrogazione per incompatibilità (a differenza di quella espressa) intercorre tra le norme e non tra le disposizioni e che essa si verifica non già quando vi sia una generica non conformità fra nuova e vecchia disciplina, bensì soltanto quando fra le due norme vi siano una contraddizione ed un contrasto puntuali ed irresolubili, tali che l'applicazione di una norma implichi necessariamente ed indefettibilmente la disapplicazione dell'altra, il che sta a significare che è canone fondamentale di interpretazione quello secondo cui l'interprete è obbligato a compiere tutti gli sforzi ermeneutici al fine di salvare la vigenza della norma precedente, ossia è obbligato ad interpretare, fin dove è possibile, nuova e vecchia disposizione in modo tale da ricavarne norme non incompatibili e che solo quando ciò non sia possibile, ossia solo quando in nessun modo l'applicazione della nuova norma consenta anche l'applicazione della precedente, l'interprete stesso possa dichiarare l'avvenuta abrogazione della vecchia norma.
Sez. III, sent. n. 601 del 29-01-1997 (cc. del 01-10-1996), Dal Prà (rv 206819).
CONFORME:(1) Sez. III, sent. n. 5868 del 19/05/1998 (ud. del 17/03/1998), Gottardi (rv 210943).
6. Allorquando il reato di maltrattamento di animali viene in evidenza con riferimento a comportamenti che costituiscono l'esercizio di pratiche venatorie, occorre tener conto, oltre che della norma di cui all'art. 727 cod. pen., come modificato dalla legge 22 novembre 1993 n. 473, anche delle disposizioni che regolano l'esercizio della caccia, di cui alla legge 11 febbraio 1992 n. 157. E ciò non perché le norme della predetta legge si pongano in rapporto di specialità con le norme del codice penale, dato che è diversa la loro oggettività giuridica, ma perché un comportamento venatorio che è consentito dalla predetta legge n.157 del 1992, ed è quindi considerato lecito, non può integrare gli estremi del reato di maltrattamento di animali, anche se idoneo a cagionare sofferenze agli animali stessi. Infatti, per la scelta non manifestamente irragionevole operata dal legislatore, è stato ritenuto prevalente l'interesse a garantire l'esercizio della caccia, per cui una pratica venatoria che è consentita dalla legge 11 febbraio 1992 n. 157 non può essere punita a norma dell'art. 727 cod. pen. perché il fatto è scriminato dall'art. 51 cod. pen., costituendo l'esercizio di un diritto. Ovviamente non ricorre una tale esimente nel caso in cui la pratica venatoria, pur essendo consentita a norma della citata legge n. 157 del 1992, per le sue concrete modalità di attuazione sottoponga l'animale ad un aggravamento di sofferenze che non trovi giustificazione nelle esigenze della caccia.
Sez. III, sent. n. 601 del 29-01-1997 (cc. del 01-10-1996), Dal Prà (rv 206820).
7. Nel caso di detenzione in gabbie di uccelli catturati e destinati alla cessione a fini di richiamo, la misura delle gabbie non può ritenersi troppo ristretta, e quindi idonea di per sé a causare inutili sofferenze agli uccelli e, di conseguenza, ad integrare il reato di maltrattamento di animali, quando le gabbie siano conformi alle misure stabilite dall'Istituto nazionale per la fauna selvatica (I.N.F.S.). In ogni caso, nel comportamento di chi detenga legittimamente uccelli in gabbie conformi alle dette misure, deve escludersi l'elemento psicologico del reato, essendo ravvisabile un evidente caso di errore scusabile.
Sez. III, sent. n. 601 del 29-01-1997 (cc. del 01-10-1996), Dal Prà (rv 206822).
8. In tema di maltrattamento di animali, nel caso in cui la detenzione degli uccelli in gabbia, a fini di richiamo per uso dell'esercizio della caccia, sia lecita e le gabbie, quanto alla loro misura, siano regolari, occorre dimostrare, per affermare la penale responsabilità che la consumazione delle penne e della coda e lo "stress" psichico che gli uccelli abbiano subito siano derivati da altri e diversi fattori che non fossero la sola detenzione in gabbie di quella misura.
Sez. III, sent. n. 601 del 29-01-1997 (cc. del 01-10-1996), Dal Prà (rv 206823).
9. In tema di maltrattamento di animali, la sola detenzione di un uccello in gabbia, ai fini di utilizzarlo come richiamo vivo per l'esercizio della caccia, correttamente modalizzata, non costituisce di per sé solo maltrattamento, in quanto non incompatibile con la sua natura. Ciò per la naturale assuefazione allo stato di cattività di tutti gli animali, selvatici e non, sia per il fatto che tale modo di detenzione è comune a svariati tipi di animali. (Fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto non integrare il reato la detenzione di uccelli in gabbie regolari quanto alla loro misura).
Sez. III, sent. n. 5868 del 19-05-1998 (cc. del 17-03-1998), Gottardi (rv 210944).
10. In materia di caccia, l'utilizzabilità dei richiami vivi è tassativamente limitata ad alcune specie, nelle quali non sono compresi i fringuelli; così che la caccia con l'uso di fringuelli quali richiami vivi equivale a caccia con mezzi vietati. Ciò in quanto la peppola ed il fringuello sono state escluse dall'elenco delle specie cacciabili dall'art. 2 del D.P.C.M. 22 novembre 1995; pertanto anche la cattura a fini di richiamo è vietata dall'art. 4 della legge 11 febbraio 1992 n. 157.
Sez. III, sent. n. 1151 del 15-06-1998 (ud. del 01-04-1998), Guerini (rv 211205).
11. Lo stato di cattività nel quale vengono tenuti i volatili usati quali richiami vivi per la caccia non costituisce, per sé solo, un'ipotesi di maltrattamento degli stessi, a norma dell'art. 727 cod. pen., essendo tale reato ravvisabile soltanto se la detenzione dei volatili sia connotata da modalità tali da comportare crudeltà, fatica eccessiva, non giustificata tortura o condizioni che danneggino lo stato di salute degli animali, compromettendone la possibilità di esplicare le funzioni biologiche essenziali, con l'eccezione del volo. (Nella specie, la Corte ha escluso il reato in caso di lecita detenzione di uccelli in gabbie di misura rispondente alle regole della letteratura tecnica in materia).
Sez. III, sent. n. 7150 del 15-06-1998 (cc. del 07-05-1998), Composta (rv 211221).
12. Nell'ipotesi di uccelli che siano utilizzati come richiami nell'esercizio della caccia, ed a tal fine siano imbracati e legati con una cordicella alla quale venga impresso uno strattone, che li faccia sollevare in volo e poi ricadere, deve ritenersi che tale comportamento venatorio, consentito dalla legge 11 febbraio 1992 n. 157, non può integrare gli estremi del reato di maltrattamento di animali. (Nella specie, la Corte ha precisato che l'utilizzo dell'uccello è lecito quando questo sia regolarmente imbracato e non si sottoponga la fune a violenti strattonamenti, ma ci si limiti a tirarla quel tanto che basti a fare alzare in volo l'animale).
Sez. III, sent. n. 2543 del 30-11-1998 (ud. del 02-10-1998), Nava (rv 212166).
Articolo 10
Cassazione Penale
Tabellazione perimetrale
1. I parchi nazionali, essendo stati istituiti e delimitati con appositi provvedimenti pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale non necessitano della tabellazione perimetrale al fine di individuarli come aree ove sia vietata l'attività venatoria. A questi non si applica, pertanto, la disciplina di cui all'art. 10 della legge 11 febbraio 1992 n. 157 che prevede la perimetrazione delle aree oggetto di pianificazione faunistico-venatoria.
Sez. III, sent. n. 4756 del 22-04-1998 (cc. del 09-03-1998), Giacometti (rv 210516).
Articolo 12
Cassazione Civile
Esercizio venatorio: nozione
1. In tema di sanzioni amministrative, costituisce esercizio venatorio anche il vagare o il soffermarsi con i mezzi destinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della fauna selvatica o di attesa della medesima per abbatterla, senza che tale attitudine possa considerarsi esclusa dal fatto che il cacciatore abbia il fucile scarico ed aperto, potendo essere, proprio perché aperto, rapidamente caricato ed utilizzato per abbattere la selvaggina.
Sez. I, sent. n. 8890 del 10-09-1997, Morlupi c. Amministrazione provinciale di Perugia (rv 507796).
Cassazione Penale
Esercizio venatorio: nozione 2-3
2. È esercizio venatorio non solo ogni atto diretto all'abbattimento e alla cattura degli animali selvatici, ma anche l'attività prodromica di appostamento e di ricerca della fauna. Ne consegue che il comma quinto dell'art. 13 della legge 11 febbraio 1992 n. 157, nel vietare "tutte le armi e tutti i mezzi per l'esercizio venatorio non esplicitamente ammessi" dall'articolo stesso, riferendosi all'esercizio venatorio come sopra definito, comprende tutti quei mezzi che possono essere impiegati per la ricerca della fauna, per braccarla e stanarla. (Nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto non consentito l'impiego dell'apparecchio radioelettrico ricetrasmittente utilizzato dai cacciatori nell'esercizio venatorio al fine di predisporsi in battuta e ricercare più efficacemente la prede da abbattere).
Sez. III, sent. n. 8322 del 23-07-1994 (cc. del 17-06-1994), Scilironi (rv 198779).
3. Il concetto di esercizio venatorio deve essere inteso in senso ampio quale attitudine concreta volta alla uccisione ed al danneggiamento di uccelli e di animali in genere. L'attitudine può ricavarsi da elementi quali il possesso di fucile e delle relative cartucce, lo sparo di uno o più colpi, l'accompagnamento con un cane da caccia, l'insieme delle altre circostanze di tempo e di luogo. Il relativo accertamento costituisce giudizio di fatto, incensurabile in Cassazione se adeguatamente motivato. Perciò la Polizia giudiziaria può legittimamente procedere al sequestro probatorio del fucile e delle cartucce appartamenti a chi sia trovato in atteggiamento venatorio.
Sez. III, sent. n. 2555 del 25-10-1994 (ud. del 30-09-1994), Cammaroto (rv 199754).
Articolo 18
Cassazione Penale
Modifica del calendario venatorio: presupposti
1. In materia di caccia, l'omissione di un parere obbligatorio quale quello dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica previsto dall'art. 18 della legge 11 febbraio 1992 n. 157, rende invalido , siccome violazione delle regole del procedimento e violazione di legge, l'atto amministrativo con cui la Regione modifica il calendario generale di caccia, che pertanto va disapplicato incidentalmente nel procedimento penale. (Fattispecie in cui è stata esclusa la sussistenza del reato di cui all'art. 30 della legge 11 febbraio 1992 n. 157, lett. a), atteso che, dovendosi ritenere in vigore il calendario venatorio generale, la caccia nel giorno considerato era legittima).
Sez. III, sent. n. 1665 del 10-02-1999 (ud. del 12-12-1998), Zito (rv 212601).
Articolo 19
Cassazione Penale
Competenza esclusiva delle Regioni in materia di controllo della fauna selvatica
1. In tema di reati venatori, la legge 11 febbraio 1992 n. 157 (norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), è rivolta ad apprestare le più ampie forme di tutela della fauna selvatica, nell'ambito di una normativa che disciplina anche l'attività venatoria quale mezzo consentito di cattura e di abbattimento delle specie protette nei limiti imposti dalla stessa legge; sicché la fauna selvatica, in quanto appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato, può essere sottratta alla sua destinazione naturale solo nei limiti e con le modalità previste dalla legge. Ne consegue che ai sensi degli artt. 7 e 19 della detta legge il potere deliberante in materia di controllo della fauna selvatica, nella cui nozione rientra la previsione di abbattimento selettivo di specie nocive o l'adozione di misure atte a determinare la riduzione numerica di alcune specie in favore di altre incompatibili con le prime e ritenute meritevoli di maggior tutela, è attribuito in via esclusiva alle Regioni. (Nella specie, la Corte ha ritenuto che la distruzione di una specie "scoiattolo grigio" introdotta dal nord America, ritenuta dannosa per le coltivazioni agricole e per la sopravvivenza di una specie autoctona, non rientrasse fra i compiti dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica previsti dalla legge n. 157 del 1992).
Sez. III, sent. n. 4694 del 31-01-2003 (ud. del 11-12-2002), Spagnesi (rv 224736).
Articolo 21
Cassazione Civile
Esercizio venatorio a distanza inferiore a cinquanta metri da strade carrozzabili: qualificazione di via vicinale pubblica
1. Perché una strada possa rientrare nella categoria delle vie vicinali pubbliche devono sussistere i requisiti del passaggio (esercitato "iure servitutis pubblicae" da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale), della concreta idoneità della strada a soddisfare (anche per il collegamento con la pubblica via) esigenze di generale interesse, di un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico (che può identificarsi anche nella protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile). È, pertanto, corretta la decisione del pretore che, non fondandosi unicamente sulla qualificazione della strada operata dal Comune, abbia svolto i suddetti accertamenti per stabile che la strada in oggetto non è da qualificarsi come vicinale (bensì come "carrozzabile interpoderale") e che, quindi, non sussiste in relazione ad essa il divieto di caccia sancito dagli artt. 21 e 31 della legge n. 157 del 1992.
Sez. I, sent. n. 10932 del 02-11-1998, Provincia di Firenze c. Dei (rv 520275).
Uso di richiami vivi al di fuori dei casi previsti dall'art. 5
2. È legittima la contestazione della violazione amministrativa di cui all'art. 21 della legge n. 157 del 1992 a colui il quale abbia esercitato la caccia con richiami animali vivi, in mancanza di una normativa regionale disciplinante tale esercizio in via derogatoria (così come previsto dal comma primo, lett. p), del medesimo art. 21 della legge n. 157 del 1992 citata) rispetto al divieto sancito, in via generale, dalla ricordata normativa statale.
Sez. I, sent. n. 12404 del 10-12-1998, Pescaioli c. Amministrazione provinciale di Viterbo (rv 521490).
Cassazione Penale
Esercizio di caccia: nozione 3-5
3. L'ampia nozione di esercizio di caccia comprende non solo l'effettiva cattura od uccisione della selvaggina, ma anche ogni attività prodromica o preliminare organizzazione dei mezzi, nonché ogni atto, desumibile dall'insieme delle circostanze di tempo e di luogo, che, comunque, appare diretto a tale fine. Tali sono l'essere sorpreso nel recarsi a caccia, con l'annotazione sul relativo tesserino, in possesso di richiami vietati; il pagare o il soffermarsi con armi, arnesi o altri mezzi idonei, in attitudine di ricerca o di attesa della selvaggina.
Sez. III, sent. n. 6812 del 05-07-1996 (cc. del 05-06-1996), Mazzoni (rv 205719).
4. La nozione di esercizio di attività venatoria usata nella legge 11 febbraio 1992 n. 157 non può essere intesa in senso riduttivo, dovendosi ritenere che essa comprenda non solo l'effettiva cattura o uccisione della selvaggina, ma anche ogni attività preliminare, e la complessiva organizzazione dei mezzi e, pertanto, qualsiasi atto, desumibile dall'insieme delle circostanze di tempo e di luogo, che appaia diretto a tale fine. Conseguentemente costituisce atteggiamento di caccia l'ispezione di trappole predisposte per la cattura di richiami vivi.
Sez. III, sent. n. 452 del 15/01/1999 (ud. del 26/11/1998), Giovagnoli (rv 212842).
5. Costituisce esercizio di caccia mettere in funzione un apparato preregistrato contenente richiami vietati, costituendo esso atto diretto all'abbattimento della fauna selvatica, che con questo viene attirata.
Sez. III, sent. n. 14242 del 16-12-1999 (ud. del 08-11-1999), Lorusso (rv 215014).
Spari a distanza inferiore a centocinquanta metri da luoghi abitati
6. La disposizione di cui all'art. 21, lett. f), della legge 11 febbraio 1992 n. 157, che punisce con la sanzione amministrativa la violazione del divieto di sparare da distanza inferiore ai centocinquanta metri con armi ad anima liscia (o da distanza corrispondente ad una volta e mezzo la gittata massima nel caso di uso di armi diverse) in direzione di immobili, fabbricati adibiti ad abitazione o luoghi di lavoro, strade ferrate o carrozzabili, è speciale rispetto a quella generale di cui all'art. 703 cod. pen. (accensioni ed esplosioni pericolose), in quanto contiene, rispetto al generico elemento comune dello sparo in direzione di luogo abitato, gli ulteriori elementi caratterizzanti relativi alla distanza ed al tipo di arma; con la conseguenza che, in virtù del principio di specialità sancito dall'art. 9 della legge 24 novembre 1981 n. 689, nell'ipotesi in cui la fattispecie concreta corrisponde in tutti i suoi aspetti a quella descritta dal suddetto art. 21, lett. f), è applicabile solo quest'ultima disposizione.
Sez. II, sent. n. 6708 del 08-06-1995 (cc. del 06-02-1995), Martinelli (rv 201770).
Spari da automobili, aeromobili o natanti
7. Integra la contravvenzione prevista dall'art. 30, lett. i), della legge 11 febbraio 1992 n. 157, che punisce chi esercita la caccia sparando da autoveicoli, natanti o aeromobili, non chi esercita dal natante (o autoveicolo o aeromobile) una qualunque delle operazioni in cui si sostanzia l'attività di caccia (spostamento sul luogo di caccia, recupero della selvaggina in acqua), ma solo chi dal natante compie quell'atto centrale della caccia che è lo sparo contro la selvaggina.
Sez. III, sent. n. 697 del 23-01-1996 (cc. del 21-11-1995), Piras (rv 204350).
Divieto di introdurre armi nei parchi nazionali 8-12
8. In tema di divieto d'introduzione di arma non autorizzata in un parco nazionale, la relativa disposizione di cui all'art. 11, comma terzo, lett. a) ed f), della legge 6 dicembre 1991 n. 394 (legge quadro sulle aree protette) non è stata abrogata dall'art. 21 della legge 11 febbraio 1992 n. 157 (norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio). Infatti il richiamo contenuto nella lett. g) del detto art. 21 della legge n. 157 del 1992 si riferisce agli altri luoghi, in cui è vietata l'attività venatoria, previsti nel medesimo articolo, ma non alle aree protette della legge n. 394 del 1991, per le quali rimangono in vigore i divieti d'introduzione di armi a qualsiasi titolo da parte di privati. (Nella specie, il ricorrente sosteneva, invece, che l'art. 21, lett. g), della legge n. 157 del 1992, che vieta il trasporto delle armi per uso venatorio nei centri abitati e nelle altre zone dove tale attività è vietata, si applicherebbe anche ai parchi nazionali e che l'art. 11 della legge n. 394 del 1991, contrastando con la norma predetta, dovrebbe ritenersi abrogato).
Sez. III, sent. n. 2652 del 07-08-1995 (ud. del 06-07-1995), Macrì (rv 202625).
9. In materia di caccia è immediatamente applicabile su tutto il territorio nazionale il divieto di caccia nelle aree dei parchi sancito dagli artt. 11 e 22 dalla legge 6 dicembre 1991 n. 394 una volta scaduto il termine di un anno concesso dalla legge alle Regioni per adeguare la loro legislazione ai principi ispiratori della legge quadro del 1991, termine previsto dall'art. 28 della legge 6 dicembre 1991 n. 394. Il divieto è percio vigente e sanzionato penalmente dagli artt. 21 e 30 della legge 11 febbraio 1992 n. 157. (Nell'affermare il principio di cui in massima, la Corte ha precisato che la potestà legislativa esclusiva riconosciuta alla Regione siciliana in materia di caccia non implica che per tale Regione non valgano i principi generali fissati dalla legislazione statale e valevoli su tutto il territorio nazionale, essendo la potestà normativa regionale comunque assoggettata all'obbligo di rispetto dei principi generali dell'ordinamento, all'interesse nazionale e agli obblighi assunti dallo stato a livello internazionale e perciò doveva considerarsi illecito penale quello attribuibile al soggetto sorpreso ad esercitare la caccia all'interno della zona D) del parco naturale dell'Etna).
Sez. III, sent. n. 3132 del 27-03-1996 (cc. del 27-02-1996), Briguglio (rv 205003).
10. Il divieto di introduzione di arma in aree protette, posto dall'art. 11, comma terzo, della legge 6 dicembre 1991 n. 394, per la specificità dei beni giuridici tutelati, non può considerarsi abrogato ai sensi dell'art. 37, comma primo, della legge 11 febbraio 1992 n. 157. Né il trasporto di un'arma dovrebbe considerarsi lecito e consentito dall'art. 21 della legge n. 157 del 1992, lett. g), che autorizza il trasporto di armi da sparo per uso venatorio, purché scariche ed in custodia, anche all'interno di zone ove la caccia è vietata. Infatti tale possibilità non opera nei luoghi specificati alle lettere da a) ad e) dello stesso rt. 21, tra cui le aree protette.
Sez. III, sent. n. 30 del 05-01-2000 (ud. del 22-10-1999), Bianchi (rv 215114).
11. Poiché nei territori delle aree protette a norma della legge quadro 6 dicembre 1991 n. 394, è quest'ultima, con l'art. 11, comma terzo, lett. f), a prescrivere espressamente la necessità della preventiva autorizzazione degli enti preposti alla tutela delle aree stesse per l'introduzione, da parte di privati, di armi, esplosivi e qualsiasi mezzo distruttivo o di cattura, a fissare con sufficiente chiarezza le condotte vietate e a dettare, in caso di violazione dei divieti previsti, specifiche sanzioni penali, non sono necessarie ulteriori determinazioni regolamentari per la sua immediata applicabilità. Ne discende che, ai fini della configurabilità della contravvenzione al divieto di introduzione di armi in area protetta, è sufficiente la constatata presenza del privato, senza la prescritta autorizzazione, all'interno dell'area e in possesso di arma e munizioni, a prescindere dalla flagranza dell'attività venatoria o dell'atteggiamento di caccia, costituendo il relativo divieto lo strumento prescelto dal legislatore per la radicale salvaguardia della fauna protetta. (Nell'enunciare il principio di cui in massima, con riferimento a una fattispecie relativa all'introduzione non autorizzata di un fucile da caccia e relativo munizionamento all'interno della riserva naturale biogenetica di Vallombrosa, la S.C. ha anche precisato che la norma dell'art. 11, comma terzo, della legge n. 394 del 1991 non è stata abrogata dall'art. 21 della legge 11 febbraio 1992 n. 157, perché il richiamo contenuto nella lett. g) di quest'ultima disposizione si riferisce alle altre zone - in cui è vietata l'attività venatoria e il trasporto delle armi per uso venatorio, a meno che non siano scariche e in custodia - previste nel medesimo articolo, ma non alle aree protette previste dalla legge n. 394 del 1991).
Sez. I, sent. n. 2919 del 09-03-2000 (ud. del 14-02-2000), Nocentini (rv 215508).
12. In tema di divieto di introduzione di arma non autorizzata in un parco nazionale, la disposizione di cui all'art. 11 della legge 6 dicembre 1991 n. 394, comma terzo, lett. a) e f), (legge quadro sulle aree protette) non è stata abrogata dall'art. 21 della legge 11 febbraio 1992 n. 157 (norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio). E invero il richiamo contenuto nella lett. g) del citato art. 21 si riferisce agli altri luoghi, in cui è vietata l'attività venatoria, previsti nel medesimo articolo, ma non alle aree protette della legge n. 394 del 1991, per le quali rimangono in vigore i divieti di introduzione di armi a qualsiasi titolo da parte di privati.
Sez. I, sent. n. 5977 del 22-05-2000 (ud. del 13-03-2000), D'Addario (rv 216013).
Divieto di caccia nei parchi 13-15
13. In materia di caccia il divieto di cui all'art. 21 della legge 157 del 1992 (relativamente all'esercizio venatorio nei Parchi) demanda, per quelli già esistenti, alle Regioni di provvedere all'eventuale riperimetrazione dei parchi naturali regionali ove restringere il divieto sancito dalla legge statale. Pertanto l'abolizione, con legge regionale successiva, della precedente fonte regionale che individuava una specifica zona nella quale applicare il divieto di attività venatoria, determina l'abolizione della fonte subprimaria integrativa della fattispecie, con l'effetto di annullare il disvalore penale rispetto al fatto criminoso commesso, in quanto viene a mancare uno degli elementi costitutivi della condotta punibile.
Sez. III, sent. n. 8454 del 01/07/1999(ud. del 26/05/1999), Conotti (rv 214279).
14. Poiché nei territori delle aree protette a norma della legge quadro 6 dicembre 1991 n. 394, è quest'ultima, con l'art. 11, comma terzo, lett. f), a prescrivere espressamente la necessità della preventiva autorizzazione degli enti preposti alla tutela delle aree stesse per l'introduzione, da parte di privati, di armi, esplosivi e qualsiasi mezzo distruttivo o di cattura, a fissare con sufficiente chiarezza le condotte vietate e a dettare, in caso di violazione dei divieti previsti, specifiche sanzioni penali, non sono necessarie ulteriori determinazioni regolamentari per la sua immediata applicabilità. Ne discende che, ai fini della configurabilità della contravvenzione al divieto di introduzione di armi in area protetta, è sufficiente la constatata presenza del privato, senza la prescritta autorizzazione, all'interno dell'area e in possesso di arma e munizioni, a prescindere dalla flagranza dell'attività venatoria o dell'atteggiamento di caccia, costituendo il relativo divieto lo strumento prescelto dal legislatore per la radicale salvaguardia della fauna protetta. (Nell'enunciare il principio di cui in massima, con riferimento a una fattispecie relativa all'introduzione non autorizzata di un fucile da caccia e relativo munizionamento all'interno della riserva naturale biogenetica di Vallombrosa, la S.C. ha anche precisato che la norma dell'art. 11, comma terzo, della legge n. 394 del 1991 non è stata abrogata dall'art. 21 della legge 11 febbraio 1992 n. 157, perché il richiamo contenuto nella lett. g) di quest'ultima disposizione si riferisce alle altre zone - in cui è vietata l'attività venatoria e il trasporto delle armi per uso venatorio, a meno che non siano scariche e in custodia - previste nel medesimo articolo, ma non alle aree protette previste dalla legge n. 394 del 1991).
Sez. I, sent. n. 2919 del 09-03-2000 (ud. del 14-02-2000), Nocentini (rv 215508).
15. In tema di divieto di introduzione di arma non autorizzata in un parco nazionale, la disposizione di cui all'art. 11 della legge 6 dicembre 1991 n. 394, comma terzo, lett. a) e f), (legge quadro sulle aree protette) non è stata abrogata dall'art. 21 della legge 11 febbraio 1992 n. 157 (norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio). E invero il richiamo contenuto nella lett. g) del citato art. 21 si riferisce agli altri luoghi, in cui è vietata l'attività venatoria, previsti nel medesimo articolo, ma non alle aree protette della legge n. 394 del 1991, per le quali rimangono in vigore i divieti di introduzione di armi a qualsiasi titolo da parte di privati.
Sez. I, sent. n. 5977 del 22-05-2000 (ud. del 13-03-2000), D'Addario (rv 216013).
Uso di munizione spezzata
16. La condotta che integra il reato di cui all'art. 30 della legge 11 febbraio 1992 n. 157, lett. h), che punisce chi esercita la caccia con mezzi vietati, è costituita non già dalla semplice detenzione della munizione spezzata, bensì dal suo uso. Infatti, non è sufficiente il solo trasporto e la detenzione della stessa all'interno della cartucciera indossata dal cacciatore nel corso della battuta, ma occorre quanto meno il caricamento dell'arma da sparo con quelle cartucce vietate nella caccia agli ungulati (ex art. 21 della legge 11 febbraio 1992 n. 157, lett u).
Sez. III, sent. n. 2714 del 01-03-1999 (cc. del 27-11-1998), Papera (rv 213011).
Uso di esche o bocconi avvelenati
17. In tema di caccia, l'espressione "esche o bocconi avvelenati", di cui all'art. 21, lett. u), della legge 11 febbraio 1992 n. 157, deve essere intesa nel senso che l'aggettivo si riferisce ad entrambi i sostantivi. Infatti, tale interpretazione deriva dalla "ratio" della norma diretta a vietare l'uso di mezzi di cattura insidiosi e crudeli; dall'impianto normativo complessivo ed in particolare dall'esercizio dell'attività venatoria, come definita ed individuata dagli artt. 12 e 13 dell'indicata legge n. 157 del 1992, e dagli atti internazionali e comunitari, recepiti ed attuati con i loro allegati nei modi e nei termini previsti dalla citata legge ed in special modo dalla direttiva del Consiglio n. 79/409/CEE del 2 aprile 1979 e successive modificazioni, concernente solo gli uccelli selvatici; e dalla Convenzione di Berna del 19 settembre 1989, resa esecutiva con legge 5 agosto 1981 n. 503, relativa a tutti gli animali, cioé ai mammiferi ed agli uccelli selvatici, cui i divieti, contemplati dall'art. 21 della legge n. 157 del 1992, si inspirano. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso avverso sentenza di assoluzione dalla contravvenzione di esercizio continuato della caccia al cinghiale, utilizzando una fatturazione di grano e pane come esca, il P.M., nel censurare l'impugnata sentenza che richiedeva quale ulteriore requisito dell'esca il suo avvelenamento per poter configurare il reato contestato, aveva dedotto che l'esca, essendo un mezzo di caccia teso ad attivare gli animali mediante il cibo per poterli proditoriamente uccidere, è di per sè insidioso e non consono ad una "disciplina sportiva". La S.C. ha precisato che "per i mammiferi l'espressione "esche e bocconi avvelenati" deve essere intesa quale necessità dell'avvelenamento, ivi incluso l'uso di tranquillanti, dell'esca").
Sez. III, sent. n. 6159 del 26-05-1994 (cc. del 21-03-1994), Mannucci (rv 199197).
Richiami vietati - uso, a fini di richiamo, di uccelli vivi non identificabili mediante anello inamovibile
18. L'art. 30, lett. h), della legge 11 febbraio 1992 n. 157 sanziona penalmente non soltanto l'esercizio della caccia "con l'ausilio di richiami vietati" di cui all'art. 21, comma primo, lett. r), della legge n. 157 del 1992 medesima, ma anche con previsione generale, l'esercizio della caccia "con mezzi vietati". Va ricompreso, tra tali "mezzi vietati", l'uso di richiami vivi "non identificabili mediante anello inamovibile", uso che è appunto espressamente vietato dall'art. 5, comma settimo, della legge n. 157 del 1992 citata .(Nella specie, la S.C. ha osservato che non possono dedursi ragioni di "inesigibilità" del prescritto comportamento dalla mancata emanazione della normativa regionale di esecuzione, ovvero dalla non attuata distribuzione degli anelli numerati di identificazione, poiché in situazioni siffatte il cacciatore deve astenersi dall'uso di uccelli vivi di richiamo e non può certo violare i precetti posti dalla legge-quadro statale).
Sez. III, sent. n. 8880 del 02-10-1996 (cc. del 04-07-1996), Zaghis (rv 206417).
Richiami vietati - uso, a fini di richiamo, di uccelli vivi ingabbiati 19-21
19. In tema di maltrattamento di animali ( art. 727 cod. pen.), l'art. 4 della legge 11 febbraio 1992 n. 157 (norme per la protezione della fauna selvatica omeotermica e per il prelievo venatorio) prevede espressamente l'esercizio venatorio con l'uso di richiami vivi, sempre che questo non costituisca ipotesi di crudeltà, eccessiva fatica o ingiustificata tortura. Dopo l'entrata in vigore della legge 22 novembre 1993 n. 473, che ha modificato l'art. 727 cod. pen., l'uso di richiami vivi è vietato anche quando è incompatibile con la natura dell'animale, a prescindere dalla specifica sofferenza causata. Pertanto, l'uso di gabbie per i richiami, ampiamente permesso nel vigore della pregressa disciplina, è ora consentito solo nelle ipotesi residuali, da valutare in concreto, di compatibilità con la natura dell'animale. (Fattispecie nella quale è stato ritenuto integrata la contravvenzione ex art. 727 cod. pen., poiché dieci volatili, quali richiami per la caccia, erano stati tenuti in minuscole gabbie, incompatibili con la loro natura).
Sez. III, sent. n. 6903 del 16-06-1995 (cc. del 27-04-1995), Clearco (rv 201789).
20. In tema di maltrattamento di animali, nel caso in cui la detenzione degli uccelli in gabbia, a fini di richiamo per uso dell'esercizio della caccia, sia lecita e le gabbie, quanto alla loro misura, siano regolari, occorre dimostrare, per affermare la penale responsabilità che la consumazione delle penne e della coda e lo "stress" psichico che gli uccelli abbiano subito siano derivati da altri e diversi fattori che non fossero la sola detenzione in gabbie di quella misura.
Sez. III, sent. n. 601 del 29-01-1997 (cc. del 01-10-1996), Dal Prà (rv 206823).
21. Nel caso di detenzione in gabbie di uccelli catturati e destinati alla cessione a fini di richiamo, la misura delle gabbie non può ritenersi troppo ristretta, e quindi idonea di per sé a causare inutili sofferenze agli uccelli e, di conseguenza, ad integrare il reato di maltrattamento di animali, quando le gabbie siano conformi alle misure stabilite dall'Istituto nazionale per la fauna selvatica (I.N.F.S.). In ogni caso, nel comportamento di chi detenga legittimamente uccelli in gabbie conformi alle dette misure, deve escludersi l'elemento psicologico del reato, essendo ravvisabile un evidente caso di errore scusabile.
Sez. III, sent. n. 601 del 29-01-1997 (cc. del 01-10-1996), Dal Prà (rv 206822).
Richiami vietati - uso, a fini di richiamo, di uccelli vivi legati o mutilati 22-23
22. Una pratica venatoria che è consentita dalla legge 11 febbraio 1992 n. 157 non può essere punita a norma dell'art. 727 cod. pen. (maltrattamento di animali), poiché il fatto è scriminato a norma dell'art. 51 cod. pen. in quanto costituisce l'esercizio di un diritto. Non ricorre una tale esimente nel caso in cui la pratica venatoria, pur essendo consentita a norma della citata legge n. 157 del 1992, per le sue concrete modalità di attuazione sottopone l'animale ad un aggravamento di sofferenze non giustificate dalle esigenze della caccia. (Nella specie, la S.C., considerato che la legge n. 157 del 1992 all'art. 21 vieta l'uso di uccelli come richiamo nel caso in cui l'animale è legato per le ali, mentre nella specie l'allodola venne legata con una imbracatura attorno al corpo, ha ritenuto che gli imputati adattarono una pratica venatoria consentita dalla predetta legge, sia perché non espressamente vietata e sia perché certamente meno dolorosa per l'animale rispetto a quella per la quale è stato fissato il divieto).
Sez. III, sent. n. 11962 del 06-12-1995 (cc. del 07-11-1995), Amadori (rv 203300).
23. La condotta venatoria, anche quando sia consentita, non può comportare sofferenze per gli animali, ove si esplichi con modalità non compatibili con la loro natura e con le loro caratteristiche etologiche. Pertanto, l'uso di uccelli vivi privati delle penne timoniere costituisce pratica assolutamente illegittima, sia per violazione dell'art. 21, lett. r), della legge 11 febbraio 1992 n. 157 (che espressamente esclude l'uso a fini di richiamo di uccelli "mutilati"), sia rispetto all'art. 727 cod. pen. perché priva l'animale di una condizione naturale di vita e di una caratteristica etologica costituita dalla possibilità reale del volo e percio' stesso comporta una grave forma di maltrattamento. Egualmente illegittimo, e anche in questo caso concorrono le due indicate ipotesi di reato, è l'uso di uccelli vivi di richiamo non "legati per le ali", ma con le zampe in modo da bloccare non solo il volo, ma addirittura tutto il corpo, con un legame rigido ad un filo di ferro e conseguente caduta a testa in giù per ogni tentativo, pur impossibile, di volo.
Sez. III, sent. n. 10674 del 10-12-1996 (cc. del 11-11-1996), Zauli (rv 206481).
Richiami vietati - uso di richiami acustici vietati 24-26
24. Integra il reato di cui all'art. 21 della legge 11 febbraio 1992 n. 157, lett. r), l'essere sorpreso in possesso di richiami vietati durante l'esercizio dell'attività venatoria, a nulla rilevando che un apparecchio di registrazione, munito di cassetta riproducente canti di uccelli, sia inattivo al momento del controllo, stante l'inequivoca destinazione e la concreta possibilità di utilizzazione a fini venatori.
Sez. III, sent. n. 5593 del 11-06-1997 (cc. del 20-05-1997), Taddei (rv 208438).
25. In tema di caccia con il mezzo vietato del richiamo elettroacustico previsto ex art. 21 della legge 11 febbraio 1992 n. 157, lett. r), e art. 30 della legge 11 febbraio 1992 n. 157, lett. m), l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione non esclude la confisca dei richiami. Infatti il giudizio di pericolosità è contenuto nella stessa norma penale incriminatrice che ne vieta in modo assoluto l'uso e la detenzione. Né si può invocare una diversa e ipotetica utilizzazione della cosa per evitare la confisca.
Sez. III, sent. n. 10558 del 08/09/1999(ud. del 02/07/1999), Conversano (rv 214350).
26. Non è ipotizzabile la contravvenzione prevista dall'art. 30 della legge 11 febbraio 1992 n. 157, lett. h), nel caso di uso di ricetrasmittenti, essendo queste soltanto un mezzo ausiliario all'esercizio della caccia, non rientrante nel divieto di cui all'art. 13. Infatti l'ambito del divieto per i mezzi non previsti, di cui al comma quinto dell'art. 13, deve essere limitato ai mezzi diretti all'abbattimento e non esteso ai mezzi ausiliari all'esercizio della caccia.
Sez. III, sent. n. 1920 del 24/09/1999(cc. del 19/05/1999), Gasperi (rv 214352).
Richiami vietati - uso di richiami vivi non consentiti: configurazione del reato
27. L'uso di richiami vivi non consentiti implica il reato di caccia con mezzi vietati, anche al di fuori delle ipotesi di cui all'art. 21, lett. r), della legge n. 157 del 1992, perché la nozione di mezzi vietati è ampia e comprende qualsiasi strumento di caccia vietato, compresi i richiami in genere. Il riferimento contenuto invece nell'art. 31 della legge n. 157 del 1992 a richiami non autorizzati attiene ai casi in cui i richiami sono astrattamente consentiti, ma non autorizzati nel caso concreto.
Sez. III, sent. n. 7756 del 04-07-2000 (ud. del 28-04-2000), Medaglia (rv 216985).
Uccellagione
28. Costituisce uccellagione qualsiasi sistema di cattura degli uccelli con mezzi fissi, di impiego non momentaneo, e comunque diversi da armi da sparo (reti, panie, ecc.), che, rispetto alle altre forme di caccia, abbia una potenzialità offensiva più indeterminata - con pericolo quindi di depauperamento, sia pure parziale, della fauna selvatica - e comporti maggiore sofferenza biologica per i volatili. (Fattispecie di trappole con predisposizione di lacci di crine per lo strangolamento degli uccelli).
Sez. III, sent. n. 9607 del 27-07-1999 (ud. del 02-06-1999), Baire (rv 214597).
Vendita, detenzione per la vendita ed acquisto di uccelli 29-31
29. La fauna selvatica oggetto di tutela da parte della legge n. 157 del 1992, purché appartenente al patrimonio dello Stato, è costituita esclusivamente da quelle specie di animali (mammiferi e uccelli) delle quali esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà nel territorio nazionale, e ciò fino a quando tale vincolo permanga, perché, cessato questo, non si rende ulteriormente esercitabile il dominio, per essere la cosa uscita dalla sfera di appartenenza dello Stato stesso. Ne consegue che il divieto di commercializzazione o di detenzione a fini di commercio previsto dall'art. 21, lett. bb), della citata legge n. 157 del 1992 si riferisce esclusivamente agli uccelli, loro parti o prodotti, cacciati o catturati nel territorio nazionale e non anche a quelli importati dall'estero. (Fattispecie relativa all'importazione di passeri morti provenienti dalla Cina).
Sez. U., sent. n. 25 del 28-12-1994 (ud. del 14-12-1994), Bertolini (rv 199390).
CONFORME:(1) Sez. III, sent. n. 3932 del 05/02/1998 (cc. del 19/11/1997), Ventrih (rv 209826).
30. La deduzione circa la destinazione alla vendita di cardellini in conseguenza della presenza di numerose gabbie, in cui siano singolarmente contenuti, non è destituita di fondamento e si fonda su nozioni di comune esperienza, giacché anche per gli uccellini la possibilità di "socializzare" in un ambiente più ampio è propria del collezionista, mentre il venditore è portato a restringere lo spazio vitale, approntando singole gabbie per una vendita più rapida e per consentire all'acquirente di osservare le diverse gradazioni di colore dei cardellini. Inoltre questa modalità di detenzione non è indicativa della nascita "in cattività" in assenza di ulteriori riscontri, mentre l'allevamento di fauna selvatica, che rimane tale anche se nata o temporaneamente detenuta in gabbia, giacché occorre considerare lo stato di naturale libertà in cui essa dovrebbe vivere sul territorio dello Stato, è sottoposto ad autorizzazione regionale ed a particolari prescrizioni dall'art. 17 della legge 11 febbraio 1992 n. 157. (Fattispecie relativa a rigetto di ricorso avverso ordinanza di riesame confermativa di sequestro probatorio).
Sez. III, ord. n. 2950 del 06-12-1994 (ud. del 08-11-1994), Guarino (rv 200825).
31. Nel caso di vendita - nella specie, l'imputato era stato sorpreso in flagranza - di uccelli appartenenti a specie protetta, in violazione dell'art. 30, lett. l), della legge 11 febbraio 1992 n. 157, la condotta sanzionata è quella di "avere posto in commercio" detti uccelli in violazione del divieto posto dall'art. 21 della legge n. 157 del 1992, comma primo, lett. b), stessa, a prescindere dall'accertata legittimità della loro mera detenzione, del tutto ininfluente sulla condotta incriminata, essendo comunque vietata la "detenzione per la vendita".
Sez. III, sent. n. 5345 del 06-06-1997 (cc. del 06-05-1997), Bagagli (rv 208385).
Provenienza legittima di fauna selvatica: onere della prova
32. È possibile, per il detentore di un esemplare di fauna selvatica, dimostrarne la provenienza non illegittima, con conseguente esclusione di sua responsabilità penale; l' "onus probandi" incombe, però, su di lui e non sull'accusa, posto che la regola generale stabilita dall'art. 21 della legge 11 febbraio 1992 n. 157, comma primo, lett. e), è quella del divieto di detenzione di esemplari di fauna selvatica. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, il pretore, pur condividendo l'orientamento innanzi indicato e propugnato dalla difesa, aveva ritenuto - sulla base delle acquisizioni processuali - non raggiunta la prova, gravante sull'imputato, che gli esemplari di uccelli particolarmente protetti (un'aquila reale e due falchi pellegrini) da lui detenuti fossero nati ed allevati in cattività).
Sez. III, sent. n. 8877 del 02-10-1997 (cc. del 08-05-1997), Muz (rv 209368).
Articolo 30
Cassazione Penale
Esercizio di caccia: nozione 12-14
12. L'ampia nozione di esercizio di caccia comprende non solo l'effettiva cattura od uccisione della selvaggina, ma anche ogni attività prodromica o preliminare organizzazione dei mezzi, nonché ogni atto, desumibile dall'insieme delle circostanze di tempo e di luogo, che, comunque, appare diretto a tale fine. Tali sono l'essere sorpreso nel recarsi a caccia, con l'annotazione sul relativo tesserino, in possesso di richiami vietati; il pagare o il soffermarsi con armi, arnesi o altri mezzi idonei, in attitudine di ricerca o di attesa della selvaggina.
Sez. III, sent. n. 6812 del 05-07-1996 (cc. del 05-06-1996), Mazzoni (rv 205719).
13. Costituisce esercizio di caccia mettere in funzione un apparato preregistrato contenente richiami vietati, costituendo esso atto diretto all'abbattimento della fauna selvatica, che con questo viene attirata.
Sez. III, sent. n. 14242 del 16-12-1999 (ud. del 08-11-1999), Lorusso (rv 215014).
14. La nozione di esercizio di attività venatoria contenuta nella legge 11 febbraio 1992 n. 157 non va intesa in senso riduttivo, ricomprendendo non soltanto l'effettiva cattura o uccisione della selvaggina, ma altresì ogni altra attività preliminare o atto desumibile dall'insieme delle circostanze di tempo e di luogo e che si mostri diretto a tale fine.
Sez. III, sent. n. 18088 del 16-04-2003 (cc. del 06-03-2003), Febi (rv 224732).
Esercizio di caccia in periodo di divieto generale 15-17
15. Nel caso in cui il reato venatorio sia stato accertato in periodo di caccia chiusa (tenuto presente l'art. 18 della legge 11 febbraio 1992 n. 157) e, quindi, di divieto generale di caccia, sussiste il reato di cui alla lett. a) dell'art. 30 della citata legge (punito con arresto o ammenda) e non quello di cui alla lett. h) dello stesso articolo (punito con la sola ammenda), che presuppone l'esercizio della caccia in regolare periodo di apertura.
Sez. III, sent. n. 3157 del 06-04-1993 (cc. del 26-02-1993), Batini (rv 194109).
16. Il reato di esercizio della caccia in "periodo di divieto generale" previsto dall'art. 30 della legge 11 febbraio 1992 n. 157, comma 1, lett. a), è configurabile anche nel caso in cui sia stato abbattuto un animale nel periodo della stagione venatoria (che va dal primo settembre al 31 dicembre di ogni anno) ma al di fuori del più limitato arco di tempo nel quale sia consentita, ex art. 18 della legge n. 157 del 1992 succitata, la caccia alla specie cui l'animale predetto appartenga.
Sez. III, sent. n. 2499 del 09-10-1999 (cc. del 07-07-1999), Convalle (rv 215099).
17. L'art. 30, lett. a), della legge 11 febbraio 1992, n. 157, nel prevedere come reato l'esercizio della caccia in "periodo di divieto generale", si riferisce ai periodi di divieto rapportati all'anno solare e non alle limitazioni di orario che vigono anche durante i periodi in cui la caccia è consentita. L'infrazione di dette limitazioni integra pertanto solo gli estremi dell'illecito amministrativo sanzionato dall'art. 31, lett. g), della stessa legge.
Sez. III, sent. n. 22335 del 01-06-2001 (ud. del 08-05-2001), Gambetta (rv 219214).
Esercizio della caccia nei giorni di silenzio venatorio 21-24
21. In tema di caccia, l'art. 30 della nuova legge 11 febbraio 1992 n. 157 ha operato, al comma terzo, l'"abolitio criminis" nei confronti del reato di furto, mentre ha previsto al comma primo, lett. f), una nuova figura di reato quando si eserciti la caccia nei giorni di silenzio venatorio, sanzionando così penalmente quella condotta che la legge 27 dicembre 1977 n. 968 considerava mero illecito amministrativo. Pertanto, qualora tale condotta sia stata realizzata prima dell'entrata in vigore della citata nuova legge n. 157 del 1992, essa non può essere punita secondo quest'ultima, ostandovi il principio di irretroattività delle norme incriminatrici di cui all'art. 2, primo comma, cod. pen. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso avverso sentenza di assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, il P.M. aveva dedotto che, essendo stata esclusa dalla nuova legge la configurabilità del furto, ma mantenuta la configurazione criminosa - contravvenzionale - della condotta venatoria, a tale condotta doveva essere applicata, ai sensi dell'art. 2, terzo comma, cod. pen., la disposizione più favorevole del reato contravvenzionale).
Sez. II, sent. n. 1679 del 23-02-1993 (cc. del 03-12-1992), Toffoletto (rv 193765).
22. Nel caso in cui sia stata affermata la responsabilità dell'imputato per il reato di esercizio dell'uccellagione - nella specie mediante la predisposizione di archetti in funzione posti per la cattura degli uccelli - tale specifico fatto-reato esaurisce del tutto la condotta criminosa posta in essere, sicché detta uccellagione, vietata e punita in qualunque periodo dell'anno non può essere punita due volte per il solo fatto di essere stata esercitata in un periodo di silenzio venatorio.
Sez. III, sent. n. 3971 del 05-04-1994 (cc. del 18-02-1994), Castellani (rv 199109).
23. In materia di specie cacciabili l'art. 18 della legge 11 febbraio 1992 n. 157, primo comma, lett. c), correttamente prevede il fagiano di monte ("tetrao tetrix"). Infatti tale previsione è compatibile con la direttiva comunitaria n. 409 del 1979 emanata a seguito della Convenzione di Parigi del 18 ottobre 1950 e della Convenzione di Berna del 19 settembre 1979; ciò in quanto tale direttiva prevede soltanto l'adozione di speciali misure di conservazione per l'habitat, onde garantire la sopravvivenza e la riproduzione per le specie indicate nell'allegato n. 1 (tra cui il fagiano di monte). Ciò non comporta un divieto assoluto di caccia, esercitabile secondo tempi e modalità regolamentate. Pertanto l'abbattimento di un esemplare di fagiano di monte, nel rispetto della regolamentazione vigente, non integra il reato di cui all'art. 30 della legge n. 157 del 1992.
Sez. III, sent. n. 2931 del 07-03-1998 (cc. del 23-01-1998), Lazzarotto (rv 210286).
24. In materia di caccia, integra il reato contravvenzionale di cui all'art. 30, comma 1, lett. a) della legge 11 febbraio 1992 n. 157, e non semplice infrazione amministrativa, l'abbattimento di un esemplare di fauna in periodo nel quale, pur essendo generalmente consentita la caccia, essa è tuttavia vietata con riguardo alla specie cui appartiene l'esemplare abbattuto.
Sez. III, sent. n. 34293 del 14-10-2002 (ud. del 07-06-2002), Signorini (rv 222503).
Esercizio della caccia con richiami vietati - in genere 25-28
25. La legge 11 febbraio 1992 n. 157 consente l'uso di richiami vivi, ma vieta che ad esseri viventi, dotati di sensibilità psicofisica, siano arrecate ingiustificate sofferenze con offesa al comune sentimento di pietà verso gli animali, indicando dei comportamenti vietati con carattere meramente esemplificativo perché rispondenti a pratiche diffuse, ma non escludendo altri usi dei richiami vivi con modalità parimenti offensive.
Sez. III, sent. n. 5868 del 19-05-1998 (cc. del 17-03-1998), Gottardi (rv 210942).
26. La norma di cui al nuovo testo dell'art. 727 cod. pen., e relativa alla detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura, non ha abrogato la disciplina sui richiami vivi della legge 11 febbraio 1992 n. 157, pertanto di tali due discipline occorre rinvenire l'armonico coordinamento.
Sez. III, sent. n. 5868 del 19-05-1998 (cc. del 17-03-1998), Gottardi (rv 210943).
27. In materia di caccia, l'utilizzabilità dei richiami vivi è tassativamente limitata ad alcune specie, nelle quali non sono compresi i fringuelli; così che la caccia con l'uso di fringuelli quali richiami vivi equivale a caccia con mezzi vietati. Ciò in quanto la peppola ed il fringuello sono state escluse dall'elenco delle specie cacciabili dall'art. 2 del D.P.C.M. 22 novembre 1995; pertanto anche la cattura a fini di richiamo è vietata dall'art. 4 della legge 11 febbraio 1992 n. 157.
Sez. III, sent. n. 1151 del 15-06-1998 (ud. del 01-04-1998), Guerini (rv 211205).
28. Non è ipotizzabile la contravvenzione prevista dall'art. 30 della legge 11 febbraio 1992 n. 157, lett. h), nel caso di uso di ricetrasmittenti, essendo queste soltanto un mezzo ausiliario all'esercizio della caccia, non rientrante nel divieto di cui all'art. 13. Infatti l'ambito del divieto per i mezzi non previsti, di cui al comma quinto dell'art. 13, deve essere limitato ai mezzi diretti all'abbattimento e non esteso ai mezzi ausiliari all'esercizio della caccia.
Sez. III, sent. n. 1920 del 24/09/1999(cc. del 19/05/1999), Gasperi (rv 214352).
Esercizio della caccia con richiami vietati - uso, a fini di richiamo, di uccelli vivi non identificabili mediante anello amovibile
29. L'art. 30, lett. h), della legge 11 febbraio 1992 n. 157 sanziona penalmente non soltanto l'esercizio della caccia "con l'ausilio di richiami vietati" di cui all'art. 21, comma primo, lett. r), della legge n. 157 del 1992 medesima, ma anche con previsione generale, l'esercizio della caccia "con mezzi vietati". Va ricompreso, tra tali "mezzi vietati", l'uso di richiami vivi "non identificabili mediante anello inamovibile", uso che è appunto espressamente vietato dall'art. 5, comma settimo, della legge n. 157 del 1992 citata .(Nella specie, la S.C. ha osservato che non possono dedursi ragioni di "inesigibilità" del prescritto comportamento dalla mancata emanazione della normativa regionale di esecuzione, ovvero dalla non attuata distribuzione degli anelli numerati di identificazione, poiché in situazioni siffatte il cacciatore deve astenersi dall'uso di uccelli vivi di richiamo e non può certo violare i precetti posti dalla legge-quadro statale).
Sez. III, sent. n. 8880 del 02-10-1996 (cc. del 04-07-1996), Zaghis (rv 206417).
Esercizio della caccia con richiami vietati - uso, a fini di richiamo, di uccelli vivi ingabbiati 30-34
30. In tema di maltrattamento di animali ( art. 727 cod. pen.), l'art. 4 della legge 11 febbraio 1992 n. 157 (norme per la protezione della fauna selvatica omeotermica e per il prelievo venatorio) prevede espressamente l'esercizio venatorio con l'uso di richiami vivi, sempre che questo non costituisca ipotesi di crudeltà, eccessiva fatica o ingiustificata tortura. Dopo l'entrata in vigore della legge 22 novembre 1993 n. 473, che ha modificato l'art. 727 cod. pen., l'uso di richiami vivi è vietato anche quando è incompatibile con la natura dell'animale, a prescindere dalla specifica sofferenza causata. Pertanto, l'uso di gabbie per i richiami, ampiamente permesso nel vigore della pregressa disciplina, è ora consentito solo nelle ipotesi residuali, da valutare in concreto, di compatibilità con la natura dell'animale. (Fattispecie nella quale è stato ritenuto integrata la contravvenzione ex art. 727 cod. pen., poiché dieci volatili, quali richiami per la caccia, erano stati tenuti in minuscole gabbie, incompatibili con la loro natura).
Sez. III, sent. n. 6903 del 16-06-1995 (cc. del 27-04-1995), Clearco (rv 201789).
31. In tema di maltrattamento di animali, nel caso in cui la detenzione degli uccelli in gabbia, a fini di richiamo per uso dell'esercizio della caccia, sia lecita e le gabbie, quanto alla loro misura, siano regolari, occorre dimostrare, per affermare la penale responsabilità che la consumazione delle penne e della coda e lo "stress" psichico che gli uccelli abbiano subito siano derivati da altri e diversi fattori che non fossero la sola detenzione in gabbie di quella misura.
Sez. III, sent. n. 601 del 29-01-1997 (cc. del 01-10-1996), Dal Prà (rv 206823).
32. Nel caso di detenzione in gabbie di uccelli catturati e destinati alla cessione a fini di richiamo, la misura delle gabbie non può ritenersi troppo ristretta, e quindi idonea di per sé a causare inutili sofferenze agli uccelli e, di conseguenza, ad integrare il reato di maltrattamento di animali, quando le gabbie siano conformi alle misure stabilite dall'Istituto nazionale per la fauna selvatica (I.N.F.S.). In ogni caso, nel comportamento di chi detenga legittimamente uccelli in gabbie conformi alle dette misure, deve escludersi l'elemento psicologico del reato, essendo ravvisabile un evidente caso di errore scusabile.
Sez. III, sent. n. 601 del 29-01-1997 (cc. del 01-10-1996), Dal Prà (rv 206822).
33. In tema di maltrattamento di animali, la sola detenzione di un uccello in gabbia, ai fini di utilizzarlo come richiamo vivo per l'esercizio della caccia, correttamente modalizzata, non costituisce di per sé solo maltrattamento, in quanto non incompatibile con la sua natura. Ciò per la naturale assuefazione allo stato di cattività di tutti gli animali, selvatici e non, sia per il fatto che tale modo di detenzione è comune a svariati tipi di animali. (Fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto non integrare il reato la detenzione di uccelli in gabbie regolari quanto alla loro misura).
Sez. III, sent. n. 5868 del 19-05-1998 (cc. del 17-03-1998), Gottardi (rv 210944).
34. Lo stato di cattività nel quale vengono tenuti i volatili usati quali richiami vivi per la caccia non costituisce, per sé solo, un'ipotesi di maltrattamento degli stessi, a norma dell'art. 727 cod. pen., essendo tale reato ravvisabile soltanto se la detenzione dei volatili sia connotata da modalità tali da comportare crudeltà, fatica eccessiva, non giustificata tortura o condizioni che danneggino lo stato di salute degli animali, compromettendone la possibilità di esplicare le funzioni biologiche essenziali, con l'eccezione del volo. (Nella specie, la Corte ha escluso il reato in caso di lecita detenzione di uccelli in gabbie di misura rispondente alle regole della letteratura tecnica in materia).
Sez. III, sent. n. 7150 del 15-06-1998 (cc. del 07-05-1998), Composta (rv 211221).
Esercizio della caccia con richiami vietati - uso, a fini di richiamo, di uccelli vivi legati o mutilati 35, 37
35. Nei confronti degli animali è consentita ogni attività che non rientri in uno dei divieti specificamente dettati dalla legge 11 febbraio 1992 n. 157 per la "Protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio"; quest'ultima, però, da sola non esaurisce la tutela della fauna stessa, poiché, a seguito della successiva entrata in vigore della legge 22 novembre 1993 n. 473, di modifica dell'art. 727 cod. pen., la sfera di garanzia si è notevolmente ampliata attraverso l'introduzione dell'ulteriore divieto di tenere condotte che comunque possano determinare il maltrattamento dell'animale utilizzato come richiamo o della stessa preda catturata. Pertanto è configurabile il reato di cui all'art. 727 cod. pen. citato quando nell'esercizio della caccia siano utilizzate allodole imbracate e legate con una cordicella, alla quale venga impresso uno strattone, che le faccia sollevare in volo e, poi, ricadere bruscamente perché trattenute dal legaccio: tale comportamento integra una sevizia, poiché la sua ripetitività ossessiva viene ad incidere sull'istinto naturale dell'animale stesso, dapprima dandogli la sensazione di poter assolvere alla primaria funzione del volo ed immediatamente dopo costringendolo a ricadere dolorosamente.
Sez. III, sent. n. 4703 del 20-05-1997 (cc. del 19-11-1996), Gemetto (rv 208042).
CONFORME:(1) Sez. III, sent. n. 8890 del 25-06-1999 (ud. del 24-05-1999), Albertini (rv 214193).
CONTRARIA 36. Una pratica venatoria che è consentita dalla legge 11 febbraio 1992 n. 157 non può essere punita a norma dell'art. 727 cod. pen. (maltrattamento di animali), poiché il fatto è scriminato a norma dell'art. 51 cod. pen. in quanto costituisce l'esercizio di un diritto. Non ricorre una tale esimente nel caso in cui la pratica venatoria, pur essendo consentita a norma della citata legge n. 157 del 1992, per le sue concrete modalità di attuazione sottopone l'animale ad un aggravamento di sofferenze non giustificate dalle esigenze della caccia. (Nella specie, la S.C., considerato che la legge n. 157 del 1992 all'art. 21 vieta l'uso di uccelli come richiamo nel caso in cui l'animale è legato per le ali, mentre nella specie l'allodola venne legata con una imbracatura attorno al corpo, ha ritenuto che gli imputati adattarono una pratica venatoria consentita dalla predetta legge, sia perché non espressamente vietata e sia perché certamente meno dolorosa per l'animale rispetto a quella per la quale è stato fissato il divieto).
Sez. III, sent. n. 11962 del 06-12-1995 (cc. del 07-11-1995), Amadori (rv 203300).
37. La condotta venatoria, anche quando sia consentita, non può comportare sofferenze per gli animali, ove si esplichi con modalità non compatibili con la loro natura e con le loro caratteristiche etologiche. Pertanto, l'uso di uccelli vivi privati delle penne timoniere costituisce pratica assolutamente illegittima, sia per violazione dell'art. 21, lett. r), della legge 11 febbraio 1992 n. 157 (che espressamente esclude l'uso a fini di richiamo di uccelli "mutilati"), sia rispetto all'art. 727 cod. pen. perché priva l'animale di una condizione naturale di vita e di una caratteristica etologica costituita dalla possibilità reale del volo e percio' stesso comporta una grave forma di maltrattamento. Egualmente illegittimo, e anche in questo caso concorrono le due indicate ipotesi di reato, è l'uso di uccelli vivi di richiamo non "legati per le ali", ma con le zampe in modo da bloccare non solo il volo, ma addirittura tutto il corpo, con un legame rigido ad un filo di ferro e conseguente caduta a testa in giù per ogni tentativo, pur impossibile, di volo.
Sez. III, sent. n. 10674 del 10-12-1996 (cc. del 11-11-1996), Zauli (rv 206481).
Esercizio della caccia con richiami vietati - uso di richiami acustici vietati
38. Integra il reato di cui all'art. 21 della legge 11 febbraio 1992 n. 157, lett. r), l'essere sorpreso in possesso di richiami vietati durante l'esercizio dell'attività venatoria, a nulla rilevando che un apparecchio di registrazione, munito di cassetta riproducente canti di uccelli, sia inattivo al momento del controllo, stante l'inequivoca destinazione e la concreta possibilità di utilizzazione a fini venatori.
Sez. III, sent. n. 5593 del 11-06-1997 (cc. del 20-05-1997), Taddei (rv 208438).
Esercizio della caccia da automobili, aeromobili o natanti
39. Integra la contravvenzione prevista dall'art. 30, lett. i), della legge 11 febbraio 1992 n. 157, che punisce chi esercita la caccia sparando da autoveicoli, natanti o aeromobili, non chi esercita dal natante (o autoveicolo o aeromobile) una qualunque delle operazioni in cui si sostanzia l'attività di caccia (spostamento sul luogo di caccia, recupero della selvaggina in acqua), ma solo chi dal natante compie quell'atto centrale della caccia che è lo sparo contro la selvaggina.
Sez. III, sent. n. 697 del 23-01-1996 (cc. del 21-11-1995), Piras (rv 204350).
Uso di caricatori capaci di contenere oltre due cartucce
41. Tra i mezzi vietati per l'esercizio della caccia non rientra il fucile con canna ad anima rigata con caricatore capace di contenere oltre due cartucce. Tale limitazione, infatti, va riferita soltanto ai fucili ad anima liscia.
Sez. III, sent. n. 1897 del 29-07-1999(cc. del 18-05-1999), Bruzzone (rv 214081).
Abbattimento, cattura o detenzione di mammiferi o uccelli nei cui confronti la caccia non è consentita - specie protette provenienti da allevamento 42-43
42. Il concetto di fauna selvatica è riferito dalla legge 11 febbraio 1992 n. 157 alle "specie", intese come categorie generali, di mammiferi ed uccelli, dei quali esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente, in stato di naturale libertà, sul territorio nazionale. Oggetto di "particolare" protezione, ai sensi dell'art. 2, seconda parte, della legge n. 157 del 1992 citata, sono alcune specie di mammiferi ed uccelli, espressamente indicate, nonché tutte le altre specie di mammiferi "minacciate di estinzione" in base alla normativa comunitaria ed internazionale specificamente richiamata: per queste categorie esiste un divieto assoluto ed incondizionato di abbattimento, cattura e detenzione ex art. 30, della legge n. 157 del 1992, lett. b), senza che possa essere eccepita la provenienza da allevamento. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso con il quale l'imputato deduceva inidonea motivazione in ordine alla circostanza della provenienza da allevamento degli animali e, quindi, della carenza della natura selvatica degli stessi, la S.C., pacifico che la detenzione riguardava due specie "particolarmente protette", espressamente vietata dalla legge e sanzionata penalmente, ha osservato che "Il pretore correttamente ha ritenuto che è punita "la semplice detenzione degli esemplari faunistici" costituiti da cigni e volpoche e, benché non fosse richiesto dalla normativa, ha escluso con accertamento di merito la provenienza da allevamento delle specie in questione").
Sez. III, sent. n. 7159 del 22-07-1997 (cc. del 27-05-1997), Maldi (rv 208961).
CONTRARIA:
43. È possibile, per il detentore di un esemplare di fauna selvatica, dimostrarne la provenienza non illegittima, con conseguente esclusione di sua responsabilità penale; l' "onus probandi" incombe, però, su di lui e non sull'accusa, posto che la regola generale stabilita dall'art. 21 della legge 11 febbraio 1992 n. 157, comma primo, lett. e), è quella del divieto di detenzione di esemplari di fauna selvatica. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, il pretore, pur condividendo l'orientamento innanzi indicato e propugnato dalla difesa, aveva ritenuto - sulla base delle acquisizioni processuali - non raggiunta la prova, gravante sull'imputato, che gli esemplari di uccelli particolarmente protetti (un'aquila reale e due falchi pellegrini) da lui detenuti fossero nati ed allevati in cattività).
Sez. III, sent. n. 8877 del 02-10-1997 (cc. del 08-05-1997), Muz (rv 209368).
Abbattimento, cattura o detenzione di mammiferi o uccelli nei cui confronti la caccia non è consentita - faiole
44. Nell'ipotesi di caccia di faiole - specie non cacciabile - è ravvisabile il reato di cui all'art. 30, lett. h), della legge 11 febbraio 1992 n. 157 e non più il delitto di furto.
Sez. III, sent. n. 519 del 22-01-1993 (cc. del 18-11-1992), Trabalza (rv 192739).
Abbattimento, cattura o detenzione di mammiferi o uccelli nei cui confronti la caccia non è consentita - tortore
45. Nel caso in cui sia stata abbattuta una tortora dal collare, specie non cacciabile, è irrilevante, sotto il profilo dell'elemento soggettivo, la somiglianza tra la tortora dal collare e quella europea. Infatti, l'asserita confondibilità in fase di volo tra i suddetti uccelli deve rendere più attento il cacciatore al momento dello sparo, perché, appartenendo la tortora dal collare a specie di uccelli assolutamente non cacciabile, il cacciatore deve astenersi dallo sparare in caso di incertezza.
Sez. III, sent. n. 3435 del 08-04-1993 (cc. del 11-02-1993), Pittori (rv 194118).
Abbattimento, cattura o detenzione di mammiferi o uccelli nei cui confronti la caccia non è consentita – fringuelli 46-48
46. Nel caso in cui una legge successiva preveda un fatto come reato permanente e la condotta si protragga nel vigore della nuova legge, è questa che deve essere applicata per il principio dell'unitarietà del reato e per essersi la sua consumazione esaurita sotto l'impero della legge attualmente vigente. (Fattispecie relativa a ritenuta sanzionabilità penale, prevista dall'art. 30 della legge 11 febbraio 1992 n. 157, comma primo, lett. h), della condotta di detenzione, in numero superiore a 5, di uccelli appartenenti alla specie dei fringuellidi, oltre a scoiattoli, a prescindere se il segmento di condotta realizzatosi sotto l'impero della normativa abrogata desse luogo a un reato più o meno grave o a una violazione sanzionata in via amministrativa).
Sez. III, sent. n. 11043 del 02-12-1993 (cc. del 03-11-1993), Rizzi (rv 196742).
47. In tema di specie cacciabili, a fianco del generale divieto di cacciare i fringillidi (art. 30, comma primo, lett. h), e art. 31, comma primo, lett. g), della legge 11 febbraio 1992 n. 157) coesiste (o meglio coesisteva) una norma di deroga (art. 18, comma primo, lett. b), della legge n. 157 del 1992) che permette (o, più precisamente permetteva) di cacciare soltanto due specie di fringillidi (il fringuello e la peppola) e soltanto nel periodo di tempo compreso tra la terza domenica di settembre e il 31 gennaio. (Nella specie, relativa ad annullamento di sentenza di condanna perché il fatto non sussiste, la S.C. ha ritenuto che la caccia ai fringuelli era pienamente lecita all'epoca del fatto (8 ottobre 1992, mentre attualmente, a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 22 novembre 1993 - variazioni dell'elenco delle specie cacciabili di alcuni volatili - non lo è più).
Sez. III, sent. n. 5259 del 27-05-1996 (cc. del 24-04-1996), Delfini (rv 205252).
48. L'abbattimento e l'impossessamento di un fringuello non integra il reato di furto in base a quanto disposto dall'art. 30 della legge 11 febbraio 1992 n. 157, comma primo, lett. b), e comma terzo, il quale punisce con l'ammenda solo chi abbatte o cattura, tra l'altro, fringillidi in numero superiore a cinque, dal che si deduce che l'abbattimento di un solo fringuello non costituisce più reato.
Sez. II, sent. n. 7855 del 08-07-1992 (cc. del 05-06-1992), Mafi (rv 191017).
Articolo 31
Cassazione Penale
Cattura di fringillidi 1-2
1. In tema di specie cacciabili, a fianco del generale divieto di cacciare i fringillidi (art. 30, comma primo, lett. h), e art. 31, comma primo, lett. g), della legge 11 febbraio 1992 n. 157) coesiste (o meglio coesisteva) una norma di deroga (art. 18, comma primo, lett. b), della legge n. 157 del 1992) che permette (o, più precisamente permetteva) di cacciare soltanto due specie di fringillidi (il fringuello e la peppola) e soltanto nel periodo di tempo compreso tra la terza domenica di settembre e il 31 gennaio. (Nella specie, relativa ad annullamento di sentenza di condanna perché il fatto non sussiste, la S.C. ha ritenuto che la caccia ai fringuelli era pienamente lecita all'epoca del fatto (8 ottobre 1992, mentre attualmente, a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 22 novembre 1993 - variazioni dell'elenco delle specie cacciabili di alcuni volatili - non lo è più).
Sez. III, sent. n. 5259 del 27-05-1996 (cc. del 24-04-1996), Delfini (rv 205252).
2. A norma dell'art. 30 della legge 11 febbraio 1992 n. 157, lett h), nel caso in cui la caccia dei fringuelli non sia consentita, si avrà reato soltanto se il numero di fringuelli illecitamente abbattuti, catturati o detenuti, è superiore a cinque unità, mentre ai sensi dell'art. 31 della legge n. 157 del 1992, lett. g), nel caso in cui il numero di fringuelli sia inferiore a cinque si avrà un semplice illecito amministrativo.
Sez. III, sent. n. 11771 del 15-10-1999 (ud. del 02-07-1999), Parolini (rv 215414).
Esercizio di caccia in zone di divieto non diversamente sanzionate
3. Non è configurabile il reato di cui all'art. 30, lett. b), della legge 11 febbraio 1992 n. 157 nel caso di esercizio di caccia con abbattimento di colombaccio in zona vietata (nella specie ex oasi di S. Donato in territorio di Fabriano). L'illecito "de quo", ai sensi dell'art. 31, lett. a), della stessa legge, costituisce violazione amministrativa.
Sez. III, sent. n. 1700 del 13-11-1992 (ud. del 14-10-1992), Gentili (rv 192349).
Uso di richiami non autorizzati
4. L'uso di richiami vivi non consentiti implica il reato di caccia con mezzi vietati, anche al di fuori delle ipotesi di cui all'art. 21, lett. r), della legge n. 157 del 1992, perché la nozione di mezzi vietati è ampia e comprende qualsiasi strumento di caccia vietato, compresi i richiami in genere. Il riferimento contenuto invece nell'art. 31 della legge n. 157 del 1992 a richiami non autorizzati attiene ai casi in cui i richiami sono astrattamente consentiti, ma non autorizzati nel caso concreto.
Sez. III, sent. n. 7756 del 04-07-2000 (ud. del 28-04-2000), Medaglia (rv 216985).
Giurisprudenza della Corte di giustizia europea sulla direttiva 79/409/CE (massime)
Argomento |
Sentenza |
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Campo di applicazione- specie protetta |
Causa 202/94 |
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Delimitazione delle zone di protezione speciale- potere discrezionale degli Stati membri |
Causa 44/95 Causa 118/94 |
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Causa 10/96 |
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Divieto di vendita - esemplare nato e allevato in cattività |
Causa 149/94 |
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Causa 159/99 Causa 378/01 |
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Proc 435/ 1992 |
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Giurisprudenza della Corte di giustizia europea sulla direttiva 79/409/CE (massime)
Campo di applicazione - specie protetta
1. La direttiva 79/409, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, si applica alle sottospecie di uccelli che vivono naturalmente allo stato selvatico soltanto al di fuori del territorio europeo degli Stati membri se la specie cui appartengono o altre sottospecie di questa vivono naturalmente allo stato selvatico nel detto territorio. Infatti, in primo luogo risulta sia dal secondo e dal terzo considerando e dall'art. 1 della direttiva, sia dalla direttiva nel suo complesso che questa mira alla efficace protezione dell'avifauna europea e che tale protezione si basa sulla nozione di specie, la quale comprende, nella tassonomia aviaria, tutte le suddivisioni di una specie, quali le razze e le sottospecie. In secondo luogo, considerato che la nozione di sottospecie non si fonda su criteri distintivi così rigorosi ed oggettivi come quelli impiegati allo scopo di delimitare le specie tra loro, se la sfera di applicazione della direttiva si limitasse alle sottospecie viventi nel territorio europeo e non si estendesse alle sottospecie non europee, sarebbe difficile applicare la direttiva negli Stati membri e si rischierebbe pertanto di causare un'applicazione non uniforme della medesima nella Comunità. Inoltre, se le sottospecie non europee potessero essere liberamente introdotte nella Comunità, non si potrebbe escludere il rischio che sottospecie esotiche siano lasciate allo stato libero, con la conseguenza di una modifica artificiale dell'avifauna naturale della Comunità. Ciò è incompatibile con l'obiettivo della conservazione degli equilibri biologici, quale risulta dal secondo considerando della direttiva.
Causa 202/94, sent. del 08-02-1996, Procedimento penale a carico di Godefridus van der Feesten.
Delimitazione delle zone di protezione speciale - potere discrezionale degli Stati membri
2. L'art. 4, n. 1 o 2, della direttiva del Consiglio n. 79/409/CEE del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, dev'essere interpretato nel senso che uno Stato membro non è autorizzato a tener conto delle esigenze economiche menzionate nell'art. 2 all'atto della scelta e della delimitazione di una zona di protezione speciale. L'art. 4, n. 1 o 2, della direttiva 79/409/CEE dev'essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può, all'atto della scelta e della delimitazione di una zona di protezione speciale, tener conto di esigenze economiche come se si trattasse di un interesse generale superiore a quello cui risponde la finalità ecologica contemplata da questa direttiva. L'art. 4, n. 1 o 2, della direttiva 79/409/CEE, dev'essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può, all'atto della scelta e della delimitazione di una zona di protezione speciale, tener conto di esigenze economiche in quanto esse rispondono a motivi imperativi di rilevante interesse pubblico quali quelli cui all'art. 6, n. 4, della direttiva del Consiglio 92/43/CEE del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche.
Causa 44/95, sent.
3. L'art. 9 della direttiva 79/409, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, che prevede, al n. 1, la possibilità per gli Stati membri di derogare, a condizione che non esista un'altra soluzione soddisfacente e per motivi tassativamente elencati, al divieto generale di caccia di specie protette risultante dagli artt. 5 e 7 della direttiva e che enuncia, al n. 2, i precisi requisiti di forma cui devono rispondere siffatte deroghe, dev'essere interpretato nel senso che autorizza gli Stati membri ad accordare queste ultime soltanto mediante misure che comportino un riferimento, adeguatamente circostanziato, agli elementi di cui ai nn. 1 e 2. Ci si trova infatti in un settore in cui la gestione del patrimonio comune è affidata, per il rispettivo territorio, agli Stati membri ed in cui, pertanto, l'esattezza dell'attuazione delle direttive ha particolare importanza.
Causa 118/94, sent. del 07-03-1996, Associazione Italiana per il World Wildlife Fund, Ente Nazionale per la Protezione Animali, Lega per l'Ambiente - Comitato Regionale, Lega AntiVivisezione - Delegazione Regionale, Lega per l'Abolizione della Caccia, Federnatura Veneto e Italia Nostra - Sezione di Venezia c. Regione Veneto
Divieto di cattura - deroghe
4. La direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, in particolare la disposizione dell'art. 9, n. 1, lett. c), va interpretata nel senso che uno Stato membro non può autorizzare in modo degressivo e per un periodo di tempo limitato la cattura di determinate specie protette, al fine di permettere agli allevatori dilettanti di rifornire le loro uccelliere, laddove l'allevamento e la riproduzione in cattività di tali specie sono possibili, ma non ancora praticabili su larga scala, in quanto numerosi allevatori dilettanti si vedrebbero costretti a modificare le proprie installazioni ed abitudini. Alle autorità nazionali è consentito, a norma della direttiva 79/409/CEE, in particolare del suo art. 9, n. 1, lett. c), autorizzare la cattura di specie protette allo scopo di prevenire, negli allevamenti di uccelli a fini di diletto, gli inconvenienti della consanguineità derivante da un numero troppo elevato di incroci endogeni, a condizione che non esistano altre soluzioni soddisfacenti, essendo inteso che il numero di esemplari catturabili va fissato al livello che si riveli necessario al fine di rimediare a siffatti inconvenienti, fermo restando, comunque, il rispetto del limite massimo delle "piccole quantità" di cui alla disposizione in parola.
Causa 10/96, sent. del 12-12-1996, Ligue royale belge pour la protection des oiseaux ASBL e Société d'études ornithologiques AVES ASBL c. Regione vallona, in presenza di Fédération royale ornithologique belge ASBL.
Divieto di vendita - esemplare nato e allevato in cattività
5. La direttiva 79/409, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, obbliga gli Stati membri a vietare la messa in commercio degli esemplari appartenenti ad una specie di uccelli che non figura nei suoi allegati, purché si tratti di una specie vivente naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il Trattato, fatta salva la possibilità di deroga stabilita dall'art. 9. Tale obbligo di protezione non viene meno per il fatto che la specie considerata non ha il suo habitat naturale nel territorio dello Stato membro interessato. Infatti, l'importanza di una protezione completa ed efficace degli uccelli selvatici nell'ambito dell'intera Comunità, indipendentemente dal loro luogo di soggiorno o dalla loro zona di passaggio, rende incompatibile con la direttiva qualsiasi normativa nazionale che determini la protezione degli uccelli selvatici in relazione alla nozione di patrimonio nazionale. Per contro, la predetta direttiva non si applica agli esemplari di uccelli nati e allevati in cattività. Infatti, una estensione del regime di protezione al di là delle popolazioni di uccelli presenti nel loro ambiente naturale non sarebbe utile per il perseguimento dello scopo ambientale che è alla base della direttiva. Peraltro, dato che il legislatore comunitario non è intervenuto nel commercio dei detti esemplari, gli Stati membri restano competenti a disciplinare tale materia, fatti salvi gli artt. 30 e seguenti del Trattato che riguardano le merci importate da altri Stati membri.
Causa 149/94, sent. del 08-02-1996, Procedimento penale a carico di Didier Vergy.
Inadempimento da parte dell'Italia
6. La Repubblica italiana, istituendo un regime normativo che autorizza la cattura e la detenzione delle specie Passer Italiae, Passer montanus e Sturnus vulgaris, in violazione del combinato disposto degli articoli 5 e 7 e dell'allegato II della direttiva del Consiglio 79/409/CEE del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi della detta direttiva.
Causa 159/99, sent. del 17-05-2001, Commissione delle Comunità europee c. Repubblica italiana.
7. La Repubblica italiana, non avendo classificato in misura sufficiente come zone di protezione speciale i territori più idonei, per numero e per superficie, alla conservazione delle specie di cui all'allegato I della Dir. 79/409/CEE del 2 aprile 1979 del Consiglio, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, e successive modifiche, e delle altre specie migratrici che ritornano regolarmente in Italia, e non avendo comunicato alla Commissione tutte le informazioni opportune in merito alla maggior parte delle dette zone da essa classificate, è venuta meno agli obblighi che le incombono in virtù dell'articolo 4, nn. 1-3, della predetta direttiva.
Causa 378/01 sent. del 20-03-2003, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana.
Conservazione degli uccelli selvatici
In applicazione dell'art. 7, n. 4, della dir. 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, la data di chiusura della caccia agli uccelli migratori e alle specie selvatiche cacciabili deve essere fissata secondo un metodo che garantisca la protezione completa di dette specie durante la migrazione che precede l'accoppiamento: i metodi che intendono sottrarre una determinata percentuale di uccelli di una specie a detta protezione o che conducono a ciò non sono conformi a detta disposizione. Pertanto, la fissazione da parte di uno Stato membro di date di chiusura scaglionate in funzione della specie di uccelli è incompatibile, con l'art. 7, n. 4, terza frase, della direttiva, a meno che detto Stato membro possa fornire la prova, fondata su dati scientifici appropriati a ciascun caso particolare, che uno scaglionamento delle date di chiusura della caccia non è di ostacolo alla protezione completa delle specie di uccelli che possono essere interessate da detto scaglionamento.
Proc. n. 435 del 1992, Sent. del 19-01-1994, Association pour la protection des animaux sauvages e a. c. Préfet de Maine-et-Loire e Préfet de la Loire-Atlantique-pregiudiziale.
[1] Tali aziende, che rappresentano anche uno strumento per produrre sviluppo nei territori marginali attraverso l'attività venatoria, ammontavano nel 1997 a 1399, per un totale di 1.318.000 ettari. Cfr. Eurispes , "Dieci anni di caccia - Evoluzione del mondo venatorio in Italia", Roma, settembre 2000.
[2] Riguardo all’indice di densità venatoria minima per ogni ambito territoriale di caccia, si veda l'art.1, D.M.31 dicembre 1992, con il quale fu stabilito un indice minimo comune a tutti i territori di caccia, pari a 18,98 ettari per cacciatore (per la zona faunistica delle Alpi, 17,67). Con decreto immediatamente successivo, del 30 gennaio 1993, in seguito alla rettifica di alcuni dati trasmessi dalle regioni, gli indici sono stati portati a 19,01 per ogni ambito territoriale e19,30 per le Alpi.
[3] D.M. del 20 gennaio 1999, recante le “modificazioni degli allegati A e B del D.P.R. 8/9/1997 n. 357, in attuazione della direttiva del consiglio 97/62 CE sull’adeguamento al progresso tecnico e scientifico della direttiva 92/93/CE”. Con D.M del 3 aprile 2000, corretto con Comunicato pubblicato nella Gazz. Uff. 6 giugno 2000, n. 130, è stato approvato l'elenco delle zone di protezione speciale designate ai sensi della direttiva 79/409/CEE e dei siti di importanza comunitaria proposti ai sensi della direttiva 92/43/CEE. Inoltre, con D.M. 25 marzo 2004 è stato approvato l'elenco dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica alpina in Italia, ai sensi della direttiva 92/43/CEE.
[4] Convenzione resa esecutiva con legge del 19 dicembre 1975, n. 875.
[5] La direttiva è stata modificata, per quanto riguarda l'individuazione degli uccelli assoggettati a particolari forme di protezione, dalle direttive 85/411, del 25 luglio 1985 e 91/244, del 6 marzo 1991.
[6] Il termine per la trasposizione della direttiva negli ordinamenti degli stati membri era fissato al 6 aprile 1981 e l'Italia ha subito una duplice declaratoria di inadempimento da parte della Corte di giustizia, la quale ha stabilito che la Repubblica italiana era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti, non adottando nel termine prescritto le disposizioni di legge, di regolamento e amministrative per conformarsi alla direttiva, relativamente all'elenco degli uccelli che possono essere cacciati, alla commercializzazione degli uccelli, alle autorizzazioni regionali alla vendita e alla cattura degli uccelli migratori, all'uso degli uccelli migratori come richiami vivi per la caccia.
Non sono invece stati ritenuti fondati gli addebiti di mancata attuazione della direttiva per quanto riguarda la delimitazione dei periodi di caccia e l'uso dei fucili a ripetizione e semiautomatici.
[7] La norma comunitaria facoltizzante ha finito per far aprire un contenzioso con molte regioni, le quali hanno tentato di introdurre con legge regionale un siffatto regime, andando incontro all'impugnazione da parte dello Stato.
Si veda in proposito la raccolta di dottrina riportata nel presente dossier.
[8] Per l'Italia si veda la L. n. 503 del 5 agosto 1981.
[9] Per l'Italia si veda la L. n. 42 del 25 gennaio 1983.
[10] Per l'Italia si veda il D.P.R. 13 marzo 1976 n.448
[11]La direttiva Habitat tutela una serie di animali minacciati, nonché una serie di siti, inserendoli nella rete europea delle zone protette nota come Natura 2000, una rete ecologica di circa 18.000 siti naturali protetti designati dai vari Stati membri. La direttiva prescrive l’obbligo di assoggettare i piani e i progetti suscettibili di avere un impatto significativo sui siti di Natura 2000 ad una valutazione prima della loro realizzazione. Analogamente, la direttiva sulla conservazione degli uccelli selvatici istituisce un sistema organico di tutela, con particolare riguardo alle specie selvatiche di uccelli presenti in Europa.
[12]Causa C-378/01.
[13] Causa C-143/02.
[14] Causa C-182/02.
[15] Procedura di infrazione n. 2001/5308.
[16] Procedura di infrazione n. 2002/4342.
[17] Procedura di infrazione n. 2001/4156.
[18]Procedura di infrazione n. 2003/5023.
[19] Procedura di infrazione n. 2003/5138.
[20] Procedura di infrazione n. 2003/5145.
[21]Vedi nota n. 1.