XIV Legislatura - Dossier di documentazione | |||||||
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento agricoltura | ||||||
Altri Autori: | Servizio Studi - Dipartimento agricoltura , Servizio Rapporti Internazionali , Ufficio Rapporti con l'Unione Europea | ||||||
Titolo: | Missione delle Commissione agricoltura in Estonia, Lituania e Lettonia | ||||||
Serie: | Missioni di studio Numero: 40 | ||||||
Data: | 30/05/05 | ||||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | XIII-Agricoltura |
Camera dei deputati Senato della Repubblica |
missioni di studio |
Missione delle Commissioni agricoltura in Estonia, Lituania e Lettonia 13-17 giugno 2005 |
n. 40
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30 maggio 2005 |
Camera dei deputati
Dipartimento Agricoltura
SIWEB
I dossier del Servizio studi sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
File: Ag0196
INDICE
Indagine conoscitiva sugli scenari della politica agricola nazionale nell’Europa allargata
§ Deliberazione, 9ª Commissione (Agricoltura e produzione agroalimentare), 20 maggio 2004
§ Deliberazione, XIII Commissione (Agricoltura), 26 maggio 2004
§ I Negoziati agricoli nell’ambito dell’OMC (a cura del Servizio R.U.E.)
§ Il nuovo quadro finanziario 2007-2013 (a cura del Servizio R.U.E.)
§ La riforma della PAC per il settore dello zucchero (a cura del Servizio R.U.E.)
§ Audizione ministro delle politiche agricole e forestali
§ Audizione dell'onorevole Adolfo Urso, viceministro per le attività produttive
§ Audizione del ministro per le politiche comunitarie
§ Audizione di rappresentanti delle organizzazioni professionali agricole
§ Audizione di rappresentanti della Confindustria-Federalimentare
Seduta del 13 aprile 2005 (Bozza non corretta)
§ Audizione di rappresentanti dell'ICE, dell'INEA e dell'ISMEA
Seduta del 10 maggio 2005 (Bozza non corretta)
Documentazione di carattere generale
§ Scheda paese – Repubblica di Estonia (a cura del Ministero degli affari esteri)
§ Scheda paese – Repubblica di Lituania (a cura del Ministero degli affari esteri)
§ Scheda paese – Repubblica di Lettonia (a cura del Ministero degli affari esteri)
Documentazione in materia agricola
§ Impact of the Common agricultural market policy on central and eastern european countries (Università di Siena – Centro interdipartimentale di politica agroalimentare-ambientale – CIPA, secondo Tarditi) (Estratto) (con traduzione in italiano)
§ Enlargement and agricolture (Commissione europea) (con traduzione in italiano)
§ Agricolture and Rural Development in Baltic countries: Seminar held in Tallin, 10-12 june 2003 (con traduzione in italiano)
§ Dati sull’agricoltura in Estonia (dal sito del Ministero dell’Agricoltura dell’Estonia www.agri.ee.eng)
§ Dati sull’agricoltura in Lituania (dal sito del Ministero dell’Agricoltura della Lituania www.zum.lt/min/)
§ Dati sull’agricoltura in Lettonia (dal sito del Ministero dell’Agricoltura della Lettonia www.zm.gov.lv)
Articoli di stampa
§ Della Vedova L’amaro prezzo del protezionismo, il Sole 24 ore,. 5 maggio 2004
AGRICOLTURA E PRODUZIONE AGROALIMENTARE (9a)
GIOVEDÌ 20 MAGGIO 2004
241a Seduta
Presidenza del Presidente
RONCONI
Interviene il sottosegretario di Stato per le politiche agricole e forestali Scarpa Bonazza Buora.
La seduta inizia alle ore 9 .
SUI LAVORI DELLA COMMISSIONE
Proposta di indagine conoscitiva sugli scenari delle politiche agricole nell'Europa allargata
Il presidente RONCONI ricorda che, sulla base di quanto già unanimemente convenuto nell’ultima riunione dell’Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi, è iscritta all’ordine del giorno una proposta di indagine conoscitiva sugli scenari delle politiche agricole nell’Europa allargata, su cui la Commissione ha già svolto attività conoscitive.
Alla luce della modifica della PAC e del corrispondente ingresso di dieci nuovi Stati membri nella Comunità europea, ritiene pertanto opportuno proporre alla Commissione lo svolgimento di un’indagine conoscitiva sugli scenari delle politiche agricole nell’Europa allargata e fa altresì presente che la Commissione agricoltura della Camera dei deputati intende avviare una iniziativa su analogo tema e che l’Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi ha manifestato disponibilità a procedere congiuntamente, ove intervengano le opportune intese previste dai Regolamenti, stante la sostanziale coincidenza degli ambiti di indagine.
Sottolinea che l’allargamento dell’Unione europea a dieci nuovi Stati membri, intervenuto il 1° maggio scorso, rappresenta un passo in avanti di importanza storica, destinato a produrre effetti di grande rilievo su tutte le politiche che impegnano le istituzioni comunitarie e quelle degli Stati membri, tenuto anche conto della prevalente vocazione agricola dei nuovi Stati membri. Il Consiglio dell’Unione europea ha infatti recentemente approvato, con il regolamento (CE) n. 1782/2003 del Consiglio del 29 settembre 2003, una profonda riforma della PAC la cui attuazione interesserà tutti i livelli istituzionali di governo; osserva altresì che sulla PAC nei prossimi anni, si riverbereranno gli effetti dei negoziati in sede OMC attualmente in corso in seguito al sostanziale fallimento del vertice di Cancun del settembre 2003, sia dell’ulteriore fase di allargamento dell’Unione europea.
Attraverso l’indagine conoscitiva in argomento, la 9a Commissione intende continuare a seguire da vicino le evoluzioni della politica agricola comune, e in particolare gli effetti che sui suoi caratteri e, conseguentemente, sulla politica agricola nazionale, sta esercitando il progressivo allargamento dell’Unione europea: sia, dunque, l’ingresso dei dieci nuovi Stati membri, che è avvenuto il 1° maggio 2004 ma che produrrà gradualmente i suoi effetti, in base ai diversi scadenzari previsti nei trattati di adesione, sia i successivi ed ulteriori ampliamenti dell’Unione europea (o comunque il rafforzarsi dei rapporti commerciali che l’allargamento verso Est inevitabilmente comporta). In tal modo, infatti, la 9a Commissione potrà approfondire le trasformazioni in atto, anche in relazione alla posizione che l’Esecutivo esprimerà a livello comunitario ed internazionale, ed adeguare ad esse gli indirizzi della politica agricola nazionale.
Propone pertanto di deliberare, ai sensi dell’ articolo 48 del Regolamento, un’indagine conoscitiva sugli scenari delle politiche agricole nell’Europa allargata che preveda le audizioni del Ministro delle politiche agricole e forestali, del Ministro delle attività produttive e Vice-ministro con delega per il commercio con l’estero, del Ministro per le politiche comunitarie, delle Organizzazioni professionali agricole, degli Istituti ed enti di ricerca, nonché della Conferenza dei Presidenti delle Regioni. Fornisce quindi precisazioni sulle ipotizzate missioni da svolgere (sia in alcuni nuovi Stati membri dell’Unione europea, sia in Stati destinati ad entrare nell’Unione europea nel 2007 e in data successiva, sia in altri Stati europei a forte vocazione agricola, con i quali gli scambi per il settore primario sono destinati ad incrementarsi, sia, infine, presso i rappresentanti delle istituzioni comunitarie), ricordando che analoghe indicazioni sia per le audizioni che per le missioni sono previste nell’ipotesi di programma della Commissione Agricoltura della Camera dei deputati.
A tale riguardo propone sin d’ora che – ove i Presidenti di Assemblea raggiungano le opportune intese – le due Commissioni procedano congiuntamente allo svolgimento dell’indagine, ai sensi dell’articolo 48, comma 7, del Regolamento.
Avverte che, in mancanza di ulteriori interventi, porrà ai voti la proposta di deliberazione di una indagine conoscitiva, ai sensi dell’articolo 48 del Regolamento, sugli scenari delle politiche agricole nell’Europa allargata.
Dopo che il PRESIDENTE ha accertato, ai sensi dell'articolo 30, comma 2, del Regolamento, la presenza del numero legale per deliberare, la Commissione, all'unanimità, approva, ai sensi dell'articolo 48 del Regolamento del Senato, la proposta di indagine conoscitiva in titolo nei termini illustrati dal Presidente, deliberando altresì di procedere congiuntamente alla XIII Commissione della Camera dei deputati, ove intervengano le necessarie intese tra i Presidenti di Assemblea
La Commissione dà quindi mandato al Presidente di acquisire dal Presidente del Senato il prescritto assenso sul programma di massima esposto dal Presidente.
XIII COMMISSIONE PERMANENTE
(Agricoltura)
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INDAGINE CONOSCITIVA
Mercoledì 26 maggio 2004
Presidenza del presidente Giacomo de GHISLANZONI CARDOLI.
Indagine conoscitiva sugli scenari della politica agricola nazionale nell'Europa allargata.
(Deliberazione).
Giacomo de GHISLANZONI CARDOLI, presidente, ricorda che nella riunione dell'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, del 13 maggio 2004, si è deliberato di proporre lo svolgimento di un'indagine conoscitiva sugli scenari della politica agricola nazionale nell'Europa allargata. Comunica che, al riguardo, è stata acquisita, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del regolamento, la prescritta intesa con il Presidente della Camera. Considerato che risulta che la Commissione Agricoltura e produzione agroalimentare del Senato ha proceduto ad analoga iniziativa, ha altresì richiesto al Presidente della Camera di procedere alle opportune intese con il Presidente del Senato, al fine di poter procedere congiuntamente, ai sensi dell'articolo 144, comma 5, del regolamento.
Propone, quindi, di deliberare l'avvio dell'indagine conoscitiva, secondo il programma concordato in sede di Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi (vedi allegato 2) e altresì di procedere congiuntamente con il Senato, subordinatamente al perfezionamento delle intese tra i Presidenti di Assemblea.
La Commissione approva la proposta del presidente.
La seduta termina alle 16.05.
ALLEGATO 2
Indagine conoscitiva sugli scenari della politica agricola nazionale nell'Europa allargata.
PROGRAMMA DELL'INDAGINE
Il 1o maggio 2004, con l'allargamento dell'Unione europea a dieci nuovi Stati membri, si è compiuto un passo di importanza storica, destinato a produrre effetti di grande momento su tutte le politiche che impegnano le istituzioni comunitarie e quelle degli Stati membri. Tra queste politiche, un ruolo di primo piano spetta alla politica agricola comunitaria (PAC), i cui equilibri vengono ad essere profondamente ridefiniti per effetto dell'ingresso nell'Unione europea di dieci nuovi Stati, molti dei quali a forte vocazione agricola: non a caso, anche in previsione di tale allargamento, il Consiglio dell'Unione europea ha approvato, con il regolamento (CE) n. 1782/2003 del Consiglio del 29 settembre 2003, una profonda riforma della PAC la cui attuazione interesserà nei prossimi mesi Governo, Parlamento e Regioni. Ulteriori modifiche interesseranno la PAC nei prossimi anni, sia per effetto dei negoziati WTO attualmente in corso in seguito al fallimento del vertice di Cancun del settembre 2003, sia per effetto delle fasi successive di allargamento dell'Unione europea.
Precedente attività della Commissione: La XIII Commissione della Camera dei deputati ha già avuto modo di approfondire, in via preventiva, i problemi e le opportunità derivanti dall'allargamento nell'ambito dell'indagine conoscitiva «sul ruolo, gli strumenti e le prospettive della politica agricola nazionale di fronte ai processi di allargamento dell'Unione europea», deliberata dalla Commissione, previa intesa con il Presidente della Camera, il 14 gennaio 2002. Nell'ambito di tale indagine, il cui documento conclusivo è stato approvato il 30 luglio 2003, la Commissione ha effettuato una serie di missioni in alcuni Paesi interessati all'adesione (in particolare, Polonia e Ungheria), nonché a Bruxelles, presso le istituzioni comunitarie, ed in alcune capitali europee (Parigi e Berlino).
Attraverso l'indagine conoscitiva, la XIII Commissione intende continuare a seguire da vicino le evoluzioni della politica agricola comune, e in particolare gli effetti che sui suoi caratteri e, conseguentemente, sulla politica agricola nazionale, sta esercitando il progressivo allargamento dell'Unione europea: sia, dunque, l'ingresso dei dieci nuovi Stati membri, che è avvenuto il 1o maggio 2004 ma che produrrà gradualmente i suoi effetti, in base ai diversi scadenzari previsti nei trattati di adesione; sia i successivi ed ulteriori ampliamenti dell'Unione europea (o comunque il rafforzarsi dei rapporti commerciali che l'allargamento verso Est inevitabilmente comporta). Solo in questo modo, infatti, la XIII Commissione potrà comprendere appieno le trasformazioni in atto, incidendo ove necessario sulla posizione che l'Esecutivo esprime a livello comunitario ed internazionale, ed adeguare ad esse gli indirizzi della politica agricola nazionale.
I soggetti da audire potrebbero essere i seguenti:
Ministro delle politiche agricole e forestali;
Ministro delle attività produttive e Viceministro con delega per il commercio con l'estero;
Ministro per le politiche comunitarie;
Organizzazioni professionali agricole;
Istituti ed enti di ricerca;
Conferenza dei Presidenti delle Regioni.
Si rende opportuno svolgere missioni in alcuni nuovi Stati membri (Estonia, Lettonia e Lituania), negli Stati destinati ad entrare nell'Unione europea nel 2007 (Bulgaria e Romania) e in data successiva (Turchia), nonché in altri Stati europei a forte vocazione agricola (Ucraina), con i quali gli scambi commerciali sono destinati ad incrementarsi. Utile potrà rivelarsi anche una missione a Bruxelles, per approfondire presso i rappresentanti delle istituzioni comunitarie le questioni legate alla riforma della PAC e alla sua attuazione negli Stati membri.
L'indagine dovrebbe concludersi entro il 28 febbraio 2005.
RAPPORTI PARLAMENTARI ITALIA ESTONIA
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In questa Legislatura, i contatti parlamentari italo-estoni si sono sviluppati a livello di Commissioni nonché sul piano multilaterale, con la partecipazione dei rispettivi delegati alle riunioni delle Assemblee parlamentari del Consiglio d'Europa, dell'UEO, della NATO e dell'OSCE.
Commissioni parlamentari
Si segnala quindi la missione di una delegazione della Commissione per le Politiche dell’Unione europea, guidata dal Presidente on. Giacomo Stucchi (Lega), in Estonia (e Lettonia) dal 7 all’11 luglio 2003 per approfondire l’andamento del dibattito sul futuro dell’Europa. Nel corso della missione la delegazione ha incontrato il Presidente della Commissione Affari europei del Parlamento estone, Rein Lang, il Primo Ministro, Juhan Parts e il Ministro degli esteri, Kristiina Ojuland.
Una delegazione della Commissione Affari esteri, guidata dal Presidente, on. Gustavo Selva, ha visitato le tre capitali baltiche dal 4 al 9 luglio 2002. In Estonia si sono tenuti incontri con il Ministro della Difesa, che svolge anche le funzioni di Ministro degli Esteri, Sven Mikser, e con il Vice Ministro per gli Affari europei.
Il Presidente della Commissione Esteri, on. Gustavo Selva, ha incontrato a Roma il 3 ottobre 2002 una delegazione parlamentare estone.
Inoltre, l’on. Marco Airaghi, in rappresentanza della Commissione Politiche dell’Unione europea, e il Presidente della Commissione Affari esteri, on. Gustavo Selva, si sono recati in missione a Tallinn, dal 30 ottobre all’1 novembre 2002, per partecipare alla IX Conferenza internazionale sul tema “L’Estonia e l’Unione europea”.
Da menzionare anche la visita di una delegazione della Commissione Politiche dell’Unione europea a Tallinn, dal 31 ottobre al 2 novembre 2001, per partecipare alla VII Conferenza internazionale sul tema “L’Estonia e l’Unione europea”. La Commissione Affari esteri era stata inoltre invitata dal Parlamento estone a compiere una visita nel Paese.
Collaborazione amministrativa
Una delegazione di funzionari della Repubblica di Estonia ha visitato la Camera dei deputati il 20 ottobre 2003.
Cooperazione multilaterale
L’Estonia invia proprie delegazioni alle Assemblee parlamentari del Consiglio d'Europa, dell'UEO (in quanto membro associato), della NATO (di cui è membro dal 29 marzo 2004) e dell'OSCE.
La Conferenza dei Presidenti delle Assemblee dei Paesi membri del Consiglio d’Europa si svolgerà a Tallin, il 30 e 31 maggio 2006.
Si segnala inoltre che il Parlamento estone partecipa alla Conferenza Parlamentare del Mar Baltico (BSPC) alla cui X, XI e XII riunione, rispettivamente nel 2001, 2002 e nel 2003, ha partecipato, in qualità di invitato, e nella fattispecie in rappresentanza della dimensione parlamentare dell’Iniziativa Adriatico-Ionica, la Camera dei deputati. La Camera dei deputati è stata rappresentata dal Vicepresidente Biondi (2002 e 2003) e dal Presidente della Commissione esteri, on. Selva (2001).
Tale partecipazione si inserisce infatti nell'ambito dell'invito rivolto dai rappresentanti della BSPC alla trojka parlamentare dell’Iniziativa Adriatico Ionica, di cui l’Italia fa parte.
Da ricordare, a margine, la partecipazione dell’on. Toomas Alatalu al Forum Parlamentare sullo Sviluppo in Africa che è stato ospitato dalla Camera dei deputati a Roma dal 29 al 30 gennaio 2004.
Le giornate sono state organizzate dall’UNDESA e dall’Associazione dei Parlamentari Europei per l’Africa (Awepa). Al Forum parlamentare hanno partecipato venti Delegazioni parlamentari di Paesi dell’Africa sub-sahariana e diciotto Delegazioni di Paesi europei. Scopo del Forum Parlamentare era quello di favorire un confronto sul ruolo dei Parlamenti per lo sviluppo in Africa.
La Conferenza parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza
Si segnala che le onorevoli Margi EIN e Katrin SAKS, hanno preso parte alla Conferenza mondiale delle donne parlamentari per la tutela dell’infanzia e dell’adolescenza che è stata ospitata dalla Camera dei deputati il 17 e 18 ottobre 2004.
Unione Interparlamentare (UIP)
Nell'ambito dell'Unione Interparlamentare opera la sezione bilaterale di amicizia Italia-Paesi Baltici, presieduta dall’on. Migliori. La sezione si è recata in missione nei Paesi baltici, visitando anche l'Estonia, il 13-17 maggio 2002, mentre l'omologa sezione estone è stata ricevuta presso la Camera dei deputati dal 2 al 6 ottobre 2002.
Attività legislativa
A. C. 5587 / A.S. 3012
Ratifica ed esecuzione dell'Accordo sulla partecipazione allo Spazio Economico Europeo della Repubblica Ceca, della Repubblica di Estonia, della Repubblica di Cipro, della Repubblica di Lettonia, della Repubblica di Lituania, della Repubblica di Ungheria, della Repubblica di Malta, della Repubblica di Polonia, della Repubblica di Slovenia e della Repubblica slovacca, con allegati, dichiarazioni ed atto finale, fatto a Lussemburgo il 14 ottobre 2003
Approvato dal Senato il 2 febbraio 2005. Attualmente all’esame dell’Aula.
A. C. 4292 / A.S. 2610
Ratifica ed esecuzione del Trattato di adesione all'Unione europea tra gli Stati membri dell' Unione europea e la Repubblica ceca, la Repubblica di Estonia, la Repubblica di Cipro, la Repubblica di Lettonia, la Repubblica di Lituania, la Repubblica di Ungheria, la Repubblica di Malta, la Repubblica di Polonia, la Repubblica di Slovenia, la Repubblica slovacca, con Atto di adesione, Allegati, Protocolli, Dichiarazioni, Scambio di lettere e Atto finale, fatto ad Atene il 16 aprile 2003
Legge 380/03 del 24 dicembre 2003 GU n.17 del 22 gennaio 2004 suppl. ord
A .C. 4045 / A.S. 2390
Ratifica ed esecuzione dei Protocolli di adesione al Trattato Nord Atlantico - NATO - delle Repubbliche di Bulgaria, di Estonia, di Lettonia, di Lituania, di Romania, di Slovacchia e di Slovenia, firmati a Bruxelles il 26 marzo 2003
Legge 255 del 9 agosto 2003, GU n.212 del 12 settembre 2003, suppl. ord. Supplemento ordinario.
RAPPORTI PARLAMENTARI ITALIA -ESTONIA
(A cura del Servizio Studi del Senato)
Commissioni parlamentari
Dal 7 all'11 luglio 2003, una delegazione congiunta della Giunta per gli affari delle Comunità europee del Senato e della Commissione Politiche dell'Unione europea della Camera dei deputati si è recata in missione in Estonia (e Lettonia) per acquisire elementi conoscitivi in merito allo stato di avanzamento del negoziato di adesione all'Unione europea e all'andamento del dibattito nazionale sul futuro dell'Europa, anche in rapporto ai lavori della Convenzione.
Nel corso della visita, la delegazione ha avuto l'opportunità di incontrare il Presidente della Commissione affari europei del Parlamento estone, Rein Lang, il Primo Ministro, Juhan Parts e il Ministro degli affari esteri, Kristiina Ojuland.
RAPPORTI PARLAMENTARI ITALIA-LITUANIA
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Rapporti bilaterali
Il 13 maggio 2004 il Presidente della Camera ha incontrato il Primo Ministro della Repubblica di Lituania, Algirdas Mykolas Brazauskas.
Nel corso del colloquio, i temi principali su cui si sono soffermati i due interlocutori sono stati la situazione internazionale (Iraq, Kossovo, Afganistan, Medio Oriente) e la futura Costituzione europea. Un’ulteriore riflessione ha riguardato l’enclave di Kaliningrad e i rapporti della Repubblica di Lituana con alcuni suoi vicini come Bielorussia e Moldavia; in riferimento a questo, il Primo Ministro ha auspicato che l’UE nella sua politica di vicinato riconosca in futuro alla Lituania un ruolo di rilievo per sostenere lo sviluppo dei due paesi. Il Presidente Casini ha altresì auspicato il ritorno dell’ONU in Iraq e il raggiungimento, a livello di Unione europea, di una forte coesione in particolare sui temi di politica estera. Si è inoltre parlato del futuro ingresso della Turchia nell’UE per la quale il Presidente Casini ha esortato una profonda riflessione ritenendo il paese un bastione contro il fanatismo islamico; sulla stessa questione Brazauskas ha espresso invece maggiori perplessità.
Il 2 ottobre 2003 il Presidente della Camera, On. Pier Ferdinando Casini, ha incontrato a Roma il Presidente della Repubblica di Lituania, Rolandas Paksas in visita ufficiale in Italia.
L’incontro è stato occasione per affrontare i temi dell’ingresso della Lituana nell’Unione europea, con particolare riferimento ai lavori della Conferenza intergovernativa e al progetto di Costituzione europea. Il Presidente lituano ha sottolineato che l’opinione pubblica del suo Paese segue con grande attenzione i prossimi passi che l’Unione europea compierà e ha ricordato in modo specifico l’importanza della realizzazione dei collegamenti infrastrutturali.
Si segnala che Paksas è stato destituito il 6 aprile 2004 a seguito di una procedura di impeachment come previsto dalla Costituzione lituana. L’incarico ad interim è stato assunto dal Presidente del Seimas, Paulauskas. Le elezioni presidenziali, che si sono svolte nel giugno 2004, hanno sancito la vittoria di Valdas Adamkus.
Il 17 luglio 2002 il Presidente Casini ha ricevuto il Presidente della Repubblica lituana, Valdas Adamkus, in visita ufficiale in Italia.
Durante il colloquio il Presidente lituano ha ricordato gli sforzi compiuti dal suo Paese, sia in campo economico che legislativo, per aderire alla NATO e all'UE. Ha inoltre sottolineato i legami che uniscono i due Paesi, ricordando come un numero sempre maggiore di studenti lituani scelga di dedicarsi allo studio della lingua e della cultura italiane.
Il Presidente della Camera ha incontrato il Presidente del Parlamento lituano (Seimas), Arturas Paulauskas, il 19 marzo 2002, nel quadro della visita ufficiale di quest'ultimo in Italia.
Durante il colloquio sono stati affrontati in particolare i temi dell'ingresso lituano nella NATO e nell'Unione europea. Il Presidente Paulaskas si è dichiarato convinto della necessità di una politica europea comune in politica estera e in materia di difesa. È stato inoltre affrontato il tema di Kaliningrad, regione russa separata geograficamente dalla madrepatria e collocata tra la Polonia e la Lituania. Sono stati sottolineati i buoni rapporti parlamentari tra il Seimas e la Camera dei deputati; il Presidente Paulaskas ha auspicato un incremento degli investimenti italiani nel suo Paese, affermando che la Lituania ha bisogno del know-how imprenditoriale italiano.
Protocollo di collaborazione
Il 3 novembre 1999 è stato siglato tra la Camera dei deputati italiana e il Seimas della Repubblica lituana un Protocollo di collaborazione parlamentare. Il Protocollo prevede, oltre all’organizzazione di incontri regolari tra le Commissioni permanenti e all’intensificazione dei contatti con l’area dei Paesi Baltici in seno all’UIP, dove esiste un gruppo di amicizia relativo all'Estonia, alla Lettonia e alla Lituania, la preparazione a cadenza biennale di giornate parlamentari dedicate al tema dei rapporti tra Paesi del Mediterraneo e Paesi del Baltico.
Commissioni parlamentari
Il 7 ottobre 2003 la Commissione per le Politiche dell’Unione europea della Camera ha incontrato a Roma una delegazione della Commissione per gli Affari europei del Parlamento lituano guidata dal suo Presidente, guidata dal Presidente Vytenis Povilas Andriukaiti.
Il 23 giugno 2003 il Presidente Selva ha incontrato a Roma una delegazione del Governo lituano, guidata dal Sottosegretario agli Affari esteri, Evaldas Ignatavicius.
Il 16 ottobre 2002 il Presidente della Commissione Affari esteri, on. Gustavo Selva, ha ricevuto il Presidente della omologa Commissione del Seimas, on. Gediminas Kirkilas, che svolge le funzioni di rappresentante del Presidente della Repubblica lituana per la questione di Kaliningrad.
Dal 29 settembre al 1° ottobre 2002 una delegazione della XIV Commissione della Camera, guidata dal Presidente on. Giacomo Stucchi (Lega), e della Giunta per gli Affari delle Comunità europee del Senato si è recata in missione a Vilnius per verificare lo stato dei negoziati per l’adesione all’Unione europea.
Una delegazione della Commissione Affari esteri si è recata in missione a Vilnius nel quadro di una missione in Lettonia, Lituania ed Estonia svoltasi dal 4 al 9 luglio 2002.
Il 20 marzo 2002 i componenti degli Uffici di Presidenza delle Commissioni Affari esteri e Politiche dell'Unione europea hanno incontrato il Presidente del Parlamento lituano, Arturas Paulaskas.
Cooperazione multilaterale
La Lituania prende parte alla cooperazione parlamentare nell'ambito dell'Unione europea in qualità di Paese candidato. Invia proprie delegazioni alle Assemblee parlamentari del Consiglio d'Europa, dell’UEO (in quanto partner associato), della Nato (di cui è membro dal 29 marzo 2004, in precedenza era membro associato) e dell’OSCE.
Si segnala inoltre che il Parlamento lituano partecipa alla Conferenza Parlamentare del Mar Baltico (BSPC) alla cui X, XI e XII riunione, rispettivamente nel 2001, 2002 e nel 2003, ha partecipato, in qualità di invitato, e nella fattispecie in rappresentanza della dimensione parlamentare dell’Iniziativa Adriatico-Ionica, la Camera dei deputati. La Camera dei deputati è stata rappresentata in tali occasioni dal Vice Presidente Biondi (2002, 2003) e dall’on. Selva (2001).
Tale partecipazione si inserisce infatti nell'ambito dell'invito rivolto dai rappresentanti della BSPC alla trojka parlamentare dell’Iniziativa Adriatico Ionica, di cui l’Italia fa parte.
Da menzionare, inoltre, la presenza di una delegazione del Parlamento lituano, in qualità di invitati speciali della Presidenza, alla riunione costitutiva dell’Assemblea Parlamentare Euromediterranea (APEM) che ha avuto luogo ad Atene dal 22 al 23 marzo 2004. L’interesse verso la politica mediterranea è stata successivamente confermata dalla partecipazione, questa volta a pieno titolo in quanto membro dell’UE, di una delegazione parlamentare lituana alla prima riunione ordinaria dell’APEM che si è tenuta al Cairo, dal 12 al 15 marzo 2005.
Si segnala altresì che gli onn. Arminas Lydeka e Egidijus Vareikis hanno preso parte al Forum Parlamentare sullo Sviluppo in Africa che è stato ospitato dalla Camera dei deputati a Roma dal 29 al 30 gennaio 2004. Le giornate sono state organizzate dall’UNDESA e dall’Associazione dei Parlamentari Europei per l’Africa (Awepa). Al Forum parlamentare hanno partecipato venti Delegazioni parlamentari di Paesi dell’Africa sub-sahariana e diciotto Delegazioni di Paesi europei. Scopo del Forum Parlamentare era quello di favorire un confronto sul ruolo dei Parlamenti per lo sviluppo in Africa.
La Conferenza parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza
Si segnala che le onorevoli Ona BABONIENE e Dalia TEISERSKYTE, hanno preso parte alla Conferenza mondiale delle donne parlamentari per la tutela dell’infanzia e dell’adolescenza che è stata ospitata dalla Camera dei deputati il 17 e 18 ottobre 2004.
Collaborazione amministrativa
Dall’11 al 13 giugno 2003 una delegazione di funzionari del Parlamento lituano è stata in visita alla Camera. Scopo della missione è stato di approfondire alcune tematiche legate all’andamento dei lavori parlamentari e ai rapporti con gli organi costituzionali di altri Paesi.
Il 4 ottobre 2001 una delegazione di funzionari statali lituani, nell'ambito del Protocollo di collaborazione, ha svolto uno stage presso la Camera dei deputati.
Unione Interparlamentare (UIP)
Nell'ambito dell'Unione Interparlamentare opera la Sezione bilaterale di amicizia Italia – Paesi Baltici (Lettonia, Estonia, Lituania), presieduta dall’on. Riccardo Migliori (Alleanza nazionale). Una delegazione della Sezione si è recata in missione presso le tre capitali baltiche dal 13 al 17 maggio 2002 mentre l'omologa sezione lituana è stata in visita presso la Camera dei deputati il 17 luglio successivo.
Si segnala che opera nel Parlamento lituano dal 1997 un analogo Gruppo parlamentare per le relazioni con l’Italia presieduto dall’on. Egidijus Varekis[1].
Attività legislativa
A. C. 5587 - A.S. 3012
Ratifica ed esecuzione dell'Accordo sulla partecipazione allo Spazio Economico Europeo della Repubblica Ceca, della Repubblica di Estonia, della Repubblica di Cipro, della Repubblica di Lettonia, della Repubblica di Lituania, della Repubblica di Ungheria, della Repubblica di Malta, della Repubblica di Polonia, della Repubblica di Slovenia e della Repubblica slovacca, con allegati, dichiarazioni ed atto finale, fatto a Lussemburgo il 14 ottobre 2003
Approvato dal Senato il 2 febbraio 2005. Attualmente all’esame dell’Aula.
A.C. 2361/A.S. 1526
Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Lituania sulla cooperazione nel campo della difesa, fatto a Venezia il 27 marzo 1999.
Legge 27 settembre 2002, n. 230. Pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 249 del 23 ottobre 2002.
A.C. 4045/A.S. 2390
Ratifica ed esecuzione dei Protocolli di adesione al Trattato Nord Atlantico - NATO - delle Repubbliche di Bulgaria, di Estonia, di Lettonia, di Lituania, di Romania, di Slovacchia e di Slovenia, firmati a Bruxelles il 26 marzo 2003.
Legge 19 agosto 2003, n. 255. Pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 212 del 12 settembre 2003. Supplemento Ordinario.
A.C. 4292/A.S. 2610
Ratifica ed esecuzione del Trattato di adesione all'Unione europea tra gli Stati membri dell'Unione europea e la Repubblica ceca, la Repubblica di Estonia, la Repubblica di Cipro, la Repubblica di Lettonia, la Repubblica di Lituania, la Repubblica di Ungheria, la Repubblica di Malta, la Repubblica di Polonia, la Repubblica di Slovenia, la Repubblica slovacca, con Atto di adesione, Allegati, Protocolli, Dichiarazioni, Scambio di lettere e Atto finale, fatto ad Atene il 16 aprile 2003.
Legge n. 380 del 24 dicembre 2003 GU n.17 del 22 Gennaio 2004 suppl. ord.
Si segnalano altresì, nell’ambito delle attività di sindacato ispettivo:
Interrogazione a risposta scritta n. 4-08669 del 28 gennaio 2004 sulla questione della sede dell’Ambasciata lituana a Roma (risposta del governo in data 6 aprile 2004);
Interrogazione a risposta in Commissione n. 5-02954 del 4 marzo 2004 e interpellanza n. 2-01121 del 18 marzo 2004 sulle misure transitorie relative alla libera circolazione dei lavoratori provenienti dai nuovi paesi membri (esame in corso).
RAPPORTI PARLAMENTARI ITALIA -LITUANIA
(A cura del Servizio Studi del Senato)
Rapporti bilaterali
Il Presidente del Senato, Marcello Pera, ha ricevuto il 17 luglio 2002 a Palazzo Giustiniani il Presidente della Repubblica di Lituania, Valdas Adamkus.
Nel corso del cordiale colloquio sono state affrontate le questioni attinenti all'adesione della Lituania all'Unione europea e alla Nato; l'incontro ha costituito inoltre l'occasione per una ricognizione dello stato delle relazioni bilaterali.
Commissioni parlamentari
Una delegazione della Commissione Ambiente del Senato ha effettuato, nei giorni 17-25 giugno 2004, una missione a Vilnius nel quadro dell'indagine conoscitiva da tale Commissione promossa sull'impatto ambientale delle raffinerie e delle centrali elettriche.
Una delegazione della Commissione Affari esteri del Senato ha effettuato, nei giorni 15-16 gennaio 2004, una missione a Vilnius. Nel corso di tale visita, sono stati effettuati colloqui, in particolare, con il Presidente del Parlamento Arturas Paulauskas, con la Commissione esteri, presieduta dall'On. Kirkilas, con il Ministro degli affari esteri Antanas Valionis e con il Sottosegretario allo stesso Dicastero Rytis Martikonis.
Una delegazione della Commissione Finanze del Senato ha effettuato, nei giorni 21-24 settembre 2003, una missione a Vilnius nel quadro dell'indagine conoscitiva da tale Commissione promossa sugli aspetti finanziari, monetari e creditizi connessi all'allargamento dell'Unione europea.
Dal 29 settembre al 1° ottobre 2002, una delegazione congiunta della Giunta per gli affari delle Comunità europee del Senato e della Commissione Politiche dell'Unione europea della Camera dei deputati ha svolto una missione in Lituania per verificare lo stato dei negoziati di adesione all'Unione europea. Nel corso della visita, la delegazione ha incontrato il Presidente del Parlamento Arturas Paulaskas, il Presidente della Commissione per gli Affari europei, rappresentante del Parlamento lituano alla Convenzione, Vyetenis Povilas Andriukaitis, il Presidente della Commissione Affari esteri, Gediminas Kirkilas, il Presidente del Gruppo interparlamentare per le relazioni con l'Italia, Egidijus Vareikis, il Ministro degli Affari esteri, Antanas Valionis e il Sottosegretario allo stesso Dicastero Rytis Martikonis. La delegazione ha inoltre incontrato il Capo negoziatore per l'entrata della Lituania nell'Unione europea, Petras Austrevicius.
A conclusione della visita, la delegazione congiunta è stata ricevuta dal Presidente della Repubblica di Lituania, Valdas Adamkus.
RAPPORTI PARLAMENTARI CON LA LETTONIA
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Cooperazione bilaterale
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Il Presidente della Camera dei deputati, on. Pier Ferdinando Casini, ha incontrato, il 15 marzo 2005, una delegazione parlamentare lettone della UIP, guidata dall’on. Inara Ostrovska. In tale occasione la delegazione della Lettonia ha assicurato il proprio sostegno alla candidatura del Presidente Casini alla guida della UIP. Il Presidente Casini ha dichiarato il proprio interessa a effettuare prossimamente una visita nei Paesi baltici.
Il 15 giugno 2004 il Presidente della Commissione Affari Esteri, on. Gustavo Selva, ha incontrato il Segretario di Stato del Ministero degli Affari esteri della Lettonia, Maris Riekstins.
Una delegazione della Commissione per le Politiche dell’Unione europea, guidata dal Presidente on. Giacomo Stucchi (Lega), si è recata in Missione in Estonia e Lettonia dal 7 all’11 luglio 2003 per approfondire l’andamento del dibattito sul futuro dell’Europa. Nel corso della missione in Lettonia, la delegazione ha incontrato il Presidente della Commissione Affari esteri del Parlamento della Lettonia, il Presidente del Gruppo di collaborazione parlamentare Lettonia-Italia, il Capo del Gruppo di lavoro per il referendum sull'adesione all'Unione europea e il Sottosegretario agli Affari esteri.
Una delegazione della Commissione Affari esteri, guidata dal Presidente on. Gustavo Selva (AN), si è recata in missione a Riga nel quadro di una missione in Lettonia, Lituania ed Estonia svoltasi dal 4 al 9 luglio 2002. I deputati italiani hanno preso parte alla tavola rotonda sull’“Allargamento della Nato dopo Praga”, alla quale hanno partecipato anche i Primi Ministri di Romania, Bulgaria e Albania. In quest’occasione ha anche avuto luogo un colloquio con il Ministro degli Esteri lettone, Indulis Berzins, e con il Vice Presidente del Parlamento, Richard Piks.
Cooperazione multilaterale |
Il Parlamento lettone invia delegazioni alle Assemblee parlamentari del Consiglio d'Europa, dell’UEO (in quanto partner “assimilato”), della NATO (la Lituania è paese membro dell’Alleanza Atlantica dal 29 marzo 2004; il Parlamento lettone invia tre delegati all’Assemblea Parlamentare NATO) e dell’OSCE.
Si segnala inoltre che il Parlamento lettone partecipa alla Conferenza Parlamentare del Mar Baltico (BSPC) alla cui X, XI e XII riunione, rispettivamente nel 2001, 2002 e nel 2003 ha partecipato, in rappresentanza della dimensione parlamentare dell’Iniziativa Adriatico-Ionica, la Camera dei deputati. Si specifica che nel settembre 2001 la Camera dei deputati è stata rappresentata dal Presidente della Commissione affari esteri, on. Gustavo Selva, mentre nel 2002 e nel 2003 la Camera è stata rappresentata dal Vice Presidente Alfredo Biondi.
Tale partecipazione si inserisce infatti nell'ambito dell'invito rivolto dai rappresentanti della BSPC alla trojka parlamentare dell’Iniziativa Adriatico Ionica, di cui l’Italia fa parte.
La Conferenza parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza
Si segnala che la Presidente del Saeima lettone, Ingrida UDRE, è intervenuta nella sessione inaugurale della Conferenza mondiale delle donne parlamentari per la tutela dell’infanzia e dell’adolescenza che è stata ospitata dalla Camera dei deputati il 17 e 18 ottobre 2004. Della delegazione lettone facevano inoltre parte le onorevoli Ināra OSTROVSKA e Inese SLESERE.
Unione Interparlamentare (UIP) |
Nell'ambito dell'Unione Interparlamentare opera la Sezione bilaterale di amicizia Italia – Paesi Baltici (Lettonia, Estonia, Lituania), presieduta dall’on. Riccardo Migliori (Alleanza nazionale). Una delegazione della Sezione si è recata in missione presso le tre capitali baltiche dal 13 al 17 maggio 2002.
Dal 2 al 7 maggio 2003 una delegazione del Parlamento lettone ha visitato la Camera.
Una nuova visita della delazione lettone della UIP alla Camera si è svolta il 15 e 16 marzo 2005.
Attività legislativa
AC 5587 / AS 3012
Ratifica ed esecuzione dell' Accordo sulla partecipazione allo Spazio economico europeo della Repubblica ceca, della Repubblica di Estonia, della Repubblica di Cipro, della Repubblica di Lettonia, della Repubblica di Lituania, della Repubblica di Ungheria, della Repubblica di Malta, della Repubblica di Polonia, della Repubblica di Slovenia e della Repubblica slovacca, con allegati, dichiarazioni ed atto finale, fatto a Lussemburgo il 14 ottobre 2003.
Approvato dal Senato il 2 febbraio 2005. Attualmente all’esame dell’Aula.
AS 1502 / AC 3167 Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Lettonia sullo sviluppo delle relazioni nel campo della cooperazione e dei contatti militari, fatto a Riga il 20 febbraio 1998.
Legge n. 11/03 del 15 Gennaio 2003 GU n.28 del 4 Febbraio 2003.
A.C. 4292/ A.S. 2610 Ratifica ed esecuzione del Trattato di adesione all' Unione europea tra gli Stati membri dell' Unione europea e la Repubblica ceca, la Repubblica di Estonia, la Repubblica di Cipro, la Repubblica di Lettonia, la Repubblica di Lituania, la Repubblica di Ungheria, la Repubblica di Malta, la Repubblica di Polonia, la Repubblica di Slovenia, la Repubblica slovacca, con Atto di adesione, Allegati, Protocolli, Dichiarazioni, Scambio di lettere e Atto finale, fatto ad Atene il 16 aprile 2003
Legge L. 380/03 del 24 Dicembre 2003 GU n.17 del 22 Gennaio 2004 suppl. ord.
A.C. 4045/ A.S. 2390 Ratifica ed esecuzione dei Protocolli di adesione al Trattato Nord Atlantico - NATO - delle Repubbliche di Bulgaria, di Estonia, di Lettonia, di Lituania, di Romania, di Slovacchia e di Slovenia, firmati a Bruxelles il 26 marzo 2003.
Legge L. 255/03 del 19 Agosto 2003 GU n.212 del 12 Settembre 2003 suppl. ord.
RAPPORTI PARLAMENTARI ITALIA -LETTONIA
(A cura del Servizio Studi del Senato)
Commissioni parlamentari
Dal 7 all'11 luglio 2003, una delegazione congiunta della Giunta per gli affari delle Comunità europee del Senato e della Commissione Politiche dell'Unione europea della Camera dei deputati si è recata in missione in Lettonia (ed Estonia) per acquisire elementi conoscitivi in merito allo stato di avanzamento del negoziato di adesione all'Unione europea e all'andamento del dibattito nazionale sul futuro dell'Europa, anche in rapporto ai lavori della Convenzione.
Nel corso della visita, la delegazione ha avuto l'opportunità di incontrare il Presidente della Commissione affari esteri del Parlamento, il Presidente del Gruppo di cooperazione parlamentare Lettonia-Italia, il Capo del Gruppo di lavoro per il referendum sull'adesione all'Unione europea, Ramona Umblija, il Sottosegretario agli affari esteri, Andris Kesteris e il Presidente della Commissione Affari europei del Parlamento, Guntars Krasts.
I Negoziati agricoli nell’ambito dell’OMC
L’Organizzazione mondiale del commercio (OMC)
L’Organizzazione Mondiale per il Commercio (OMC, o WTO secondo l’acronimo inglese) è stata istituita il 1° gennaio 1995 a seguito dei negoziati commerciali multilaterali dell’Uruguay round (1986-1994), conclusisi il 15 aprile 1994 a Marrakech con la firma di tre accordi: l’Accordo sul commercio delle merci (GATT), l’Accordo Generale sul Commercio dei Servizi (GATS) e l’Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale relativi al commercio (TRIPS). L’OMC ha sostituito l’Accordo Generale sulle tariffe doganali e commerciali (GATT) stabilito nel 1948, nell’ambito del quale si sono svolti i negoziati per la creazione del nuovo organismo per il commercio mondiale. Gli Accordi di Marrakech hanno stabilito, inoltre, un calendario per l’apertura di nuovi negoziati relativi, in particolare, al settore agricolo e a quello del commercio dei servizi. Scopo dell’Organizzazione è il sostegno al commercio internazionale, attraverso la gestione degli accordi sul commercio; la creazione di un forum per i negoziati commerciali; la soluzione delle controversie commerciali; il rinnovo delle politiche nazionali sul commercio; il sostegno ai paesi in via di sviluppo (PVS) per le questioni attinenti le politiche commerciali, attraverso l’assistenza tecnica e i programmi di formazione, la cooperazione con altre organizzazioni internazionali. Attualmente i membri dell’OMC sono 148 e costituiscono il 97% del commercio mondiale. Il 26 maggio 2005 il Consiglio generale dell’OMC ha nominato Pascal Lamy alla carica di direttore generale dell’organizzazione. Lamy succederà, il 1° settembre 2005, al direttore generale uscente, Supachai Panitchpakdi, e resterà in carica quattro anni. |
1. L’Agenda di Doha
La quarta Conferenza ministeriale[2] dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), svoltasi dal 9 al 14 novembre 2001 a Doha (Qatar), ha lanciato un negoziato commerciale diretto a consentire una maggiore apertura dei mercati e a stabilire un rinnovato sistema di regole multilaterali per sostenere e rilanciare gli scambi mondiali.
Il programma di lavoro delineato nella Dichiarazione ministeriale approvata dalla Conferenza, - comunemente indicato come Agenda di Doha per lo sviluppo in quanto pone le esigenze dei paesi in via di sviluppo e di quelli meno avanzati al centro dei suoi obiettivi – ha enumerato 21 questioni oggetto di negoziato e stabilito un calendario per ciascun settore, compreso quello agricolo.
La V Conferenza ministeriale di Cancún (Messico), svoltasi dal 10 al 14 settembre 2003, avrebbe dovuto procedere ad un bilancio generale dei lavori fino ad allora realizzati. La Conferenza di Cancún si è conclusa, tuttavia, senza raggiungere alcun accordo.
2. L’accordo di Ginevra dell’agosto 2004
Dopo il fallimento della Conferenza di Cancún, i negoziati agricoli sono stati riavviati al Consiglio generale dell’OMC, svoltosi a Ginevra il 27 e 28 luglio 2004, che ha raggiunto un accordo quadro per il settore agricolo, adottato formalmente il 1° agosto 2004.
Gli elementi principali dell’accordo sono i seguenti:
E’ rimasta invece fuori dall’accordo, pur presentando elementi di interesse, la questione delle indicazioni geografiche, un tema al quale l’UE attribuisce particolare importanza.
3. La posizione dell’Unione europea sull’accordo di Ginevra
Il Consiglio Affari generali del 30 luglio 2004, dopo aver esaminato l’accordo in definizione in seno al Consiglio generale dell’OMC:
Ø ha sottolineato come la stragrande maggioranza delle delegazioni ritenesse il testo una base soddisfacente per il mantenimento dello slancio dei negoziati;
Ø ha ribadito l’impostazione dell’UE nei negoziati attuali (ambiziosa liberalizzazione degli scambi, norme commerciali rafforzate e una migliore integrazione dei paesi in via di sviluppo nel sistema del commercio mondiale) ritenendo che questa debba essere mantenuta nei negoziati futuri;
Ø ha convenuto di iscrivere a verbale del Consiglio generale dell’OMC una dichiarazione relativa alla questione del cotone, con la quale si ribadisce l’importanza della riforma della PAC quale contributo dell’UE al Doha round, ma si precisa anche il limite oltre il quale non possono essere presi ulteriori impegni, sottolineando anche l’importanza del cotone per talune zone rurali della Comunità.
L’11 ottobre 2004, il Consiglio Affari generali ha adottato conclusioni nelle quali, per quanto riguarda l’agricoltura, ha richiamato l’attenzione sull’importanza di un parallelismo totale nell’eliminazione di tutte le forme di aiuti all’esportazione e la conseguente necessità di importanti riforme in questo senso negli altri paesi industrializzati. Il Consiglio ha ricordato infine l’esigenza di compiere progressi, nel negoziato, su altre questioni di particolare interesse per l’UE come gli aspetti non commerciali e le indicazioni geografiche.
4. Il successivo negoziato sui dazi doganali agricoli
Le fasi negoziali successive all’accordo di Ginevra si sono complicate e bloccate negli ultimi mesi su alcune questioni tecniche quali, in particolare, quella del calcolo dei dazi doganali per i prodotti agricoli. L’accordo sul calcolo dei dazi doganali costituisce infatti la base per la negoziazione di una formula di riduzione generalizzata dei dazi doganali nel mondo.
Il 9 maggio 2005, nel corso di una mini sessione ministeriale dell’OMC cui hanno partecipato una trentina di paesi, è stato raggiunto un accordo[9] sulla conversione in percentuale dei dazi espressi in valore assoluto (generalmente in euro o dollari) per tonnellata, dando il via libera così ai negoziati veri e propri sulla riduzione degli ostacoli doganali in campo agricolo. L’accordo dovrà essere adottato dal Consiglio generale dell’OMC.
Il negoziato sui dazi agricoli è stato oggetto, nel corso del Consiglio agricoltura del 27 aprile 2005, di un dibattito nel quale undici delegazioni, tra cui l’Italia, hanno chiesto alla Commissione di assicurare un metodo di negoziato “più trasparente” e con una resocontazione molto precisa (scritta e regolare), volta a migliorare la comunicazione tra il Consiglio e la Commissione per tutta la durata dei negoziati OMC.
5. La posizione del Parlamento europeo
Il 12 maggio 2005, Il Parlamento europeo ha adottato, a larga maggioranza, una risoluzione sulla valutazione del ciclo negoziale di Doha nella quale esprime la soddisfazione per la decisione di Ginevra dell’agosto 2004 e sottolinea l’interesse che i negoziati portino ad una reale integrazione nel commercio mondiale dei paesi emergenti e in particolare di quelli meno avanzati. Sui negoziati agricoli in particolare, il PE:
· ritiene che siano necessarie iniziative politiche volte a dare impulso ai negoziati nell’ambito dei tre pilastri (sussidi all’esportazione, aiuti interni e accesso ai mercati) ed occorra elaborare una bozza di modalità dettagliate, nelle materia previste dall’accordo di Ginevra dell’agosto 2004, entro luglio 2005;
· chiede che le misure concernenti i citati tre pilastri siano applicate parallelamente da tutti i paesi industrializzati aderenti all’OMC al fine di evitare un disarmo unilaterale da parte europea, pur applicando al contempo un trattamento speciale e differenziato per i paesi in via di sviluppo;
· esorta la Commissione ad esaminare la possibilità di introdurre nei negoziati agricoli un “capitolo sullo sviluppo” per i paesi in via di sviluppo affinché questi possano affrontare le questione della sicurezza alimentare e dell’occupazione rurale, che sono i principali problemi per l’eliminazione della povertà,
· chiede alla Commissione di considerare le ripercussioni dei negoziati di Doha sull’accordo di Cotonou[10];
· sostiene una graduale eliminazione dei sussidi all’esportazione, che deve andare di pari passo con tutte le forme di concorrenza all’esportazione dei partner commerciali industrializzati;
· chiede che i negoziati sulle indicazioni geografiche, le quali costituiscono un elemento importante per l’orientamento verso una produzione agricola di qualità e la sua valorizzazione, siano presi pienamente in considerazione nel quadro delle discussioni sull’accesso al mercato dei prodotti agricoli.
Il Parlamento europeo ha infine sottolineato la necessità di una profonda riforma dell’OMC volta al miglioramento dei processi decisionali e del dialogo con la società civile.
Il nuovo quadro finanziario 2007-2013
1. Il dibattito sulle prospettive finanziarie
I profili relativi al finanziamento della politica agricola comune nel periodo 2007-2013 sono oggetto di discussione nel più ampio contesto dei negoziati sulle nuove prospettive finanziarie.
Nel febbraio 2004 la Commissione ha presentato le proprie proposte[11] per il nuovo quadro finanziario 2007-2013, accompagnate successivamente da un pacchetto di proposte legislative relative ai settori specifici[12].
Per il prossimo quadro finanziario, la Commissione individua, anzitutto, 5 grandi categorie di spesa (rispetto alle 7 attuali): crescita sostenibile (articolata in due sottorubriche: competitività per la crescita e l’occupazione e coesione per la crescita e l’occupazione);conservazione e gestione delle risorse naturali;cittadinanza, libertà, sicurezza e giustizia;politiche esterne; spese amministrative.
Per il finanziamento complessivo di queste priorità politiche, la Commissione ha previsto di mantenere invariato il tetto massimo di spesa previsto dalle prospettive finanziarie in vigore, pari all’1,24% del RNL europeo in stanziamenti di impegno (1,14% in stanziamenti di pagamento). Tale massimale coinciderebbe con quello proposto dalla Commissione stessa per le risorse proprie dell’Unione nel periodo 2007-2013.
Per quanto riguardo più specificamente la rubrica 2 “Conservazione e gestione delle risorse naturali”, essa concerne sia la spesa relativa al mercato e ai pagamenti diretti nel settore agricolo, sia gli stanziamenti per lo sviluppo rurale e la pesca.
Nella seguente tabella si riportano i massimali di stanziamento proposti dalla Commissione, evidenziando gli incrementi in termini percentuali rispetto al 2006, ultimo anno dell’attuale programmazione (dati in milioni di euro):
Promozione di un’agricoltura UE più competitiva, orientata al mercato e sostenibile
2006 |
2007 |
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
2012 |
2013 |
|
43.735 |
43.500 |
43.673 |
43.354 |
43.034 |
42.714 |
42.506 |
42.293 |
301.074 totale stanziamento |
|
-1% |
0% |
-1% |
-1% |
-1% |
0% |
-1% |
0% incremento medio annuo |
|
-235 |
173 |
-319 |
-320 |
-320 |
-208 |
-213 |
-3% incremento sul 2006 |
Sviluppo rurale
2006 |
2007 |
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
2012 |
2013 |
|
10.544 |
11.575 |
12.050 |
12.500 |
12.600 |
12.725 |
12.850 |
12.975 |
87.275 totale stanziamento |
|
10% |
4% |
4% |
1% |
1% |
1% |
1% |
3% incremento medio annuo |
|
+1.031 |
+475 |
+450 |
+100 |
+125 |
+125 |
+125 |
23% incremento sul 2006 |
La posizione su cui sembra concordare la maggior parte delle delegazioni nazionali è nel senso di mantenere fermi, per la spesa relativa ai mercati e ai pagamenti diretti, i massimali annui di stanziamento già fissati dal Consiglio europeo di Bruxelles dell’ottobre 2002, pari alla cifra fissata per il 2006 (54.279 milioni di euro) maggiorata dell’1% annuo a partire dal 2007.
Tuttavia, alcuni Stati membri, tra cui l’Italia, nonché la Commissione temporanea del Parlamento europeo sulle prospettive finanziarie, sostengono la necessità di valutare, fermi restando i massimali indicati, l’introduzione di un cofinanziamento nazionale per la spesa relativa ai mercati.
Il 19 maggio 2005 la Presidenza lussemburghese ha presentato una versione aggiornata di uno schema negoziale in cui si prospettano possibili soluzioni di compromesso sul nuovo quadro finanziario, relativamente alla politica agricola. Lo schema negoziale conferma il rispetto dei massimali fissati dal Consiglio di Bruxelles e non prevede l’introduzione del cofinanziamento nazionale.
La Presidenza lussemburghese mira a raggiungere un accordo complessivo tra gli Stati membri sulle prospettive finanziarie al Consiglio europeo del 16-17 giugno 2005.
Il 7 giugno 2005 il Parlamento europeo esaminerà la proposta di risoluzione sulle prospettive finanziarie 2007-2013 già approvata dalla Commissione temporanea succitata. La risoluzione, se approvata, costituirà la posizione negoziale del Parlamento europeo ai fini della conclusione dell’accordo interistituzionale sul nuovo quadro finanziario.[13]
2. La riforma degli strumenti finanziari del settore agricolo
Nell’ambito delle proposte legislative collegate alle nuove prospettive finanziarie 2007-2013, la Commissione ha presentato, il 14 luglio 2004, due proposte le legislative concernenti gli strumenti finanziari per la politica agricola comune.
Le due proposte trovano la loro base giuridica nell’art. 37 del Trattato CE (politiche relative all’agricoltura e alla pesca) e non nelle disposizioni in materia di politica di coesione economica e sociale (artt. 158-162 del Trattato CE), sui quali si fondava la disciplina dei fondi strutturali per l’agricoltura (FEOGA, sezione orientamento) per il periodo di programmazione 2000-2006.
Si tratta in particolare di [14]:
· una proposta di regolamento (COM(2004)489, procedura di consultazione) relativa al finanziamento della politica agricola comune, che istituisce il Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) e il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASER);
La proposta è stata approvata con emendamenti dal Parlamento europeo il 26 maggio 2005. Il Consiglio ne ha iniziato la discussione il 28 febbraio 2005 e dovrebbe adottare la decisione finale presumibilmente il 20 giugno 2005.
· una proposta di regolamento (COM(2004)490, procedura di consultazione) relativa al sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo di sviluppo rurale (FEASER). In particolare, tale fondo verrà impiegato secondo tre assi principali: migliorare la competitività dell’agricoltura e della silvicoltura, misure relative all’ambiente e alla gestione del territorio agricolo (tra cui alcune misure per gli agricoltori delle zone di montagna), il miglioramento della qualità di vita e la diversificazione delle attività;
La proposta verrà esaminata dal Parlamento europeo, secondo la procedura di consultazione, nella sessione dell’8 giugno 2005. Il Consiglio, che ne ha iniziato la discussione il 15 luglio 2004, dovrebbe adottare una decisione finale il 20 giugno 2005.
Il Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA)
Il FEAGA è concepito quale strumento finanziario per il 1° pilastro della PAC, vale a dire la politica di sostegno al mercato e ai redditi.
Il fondo finanzierà in gestione condivisa tra gli Stati membri e la Comunità (art. 3) le seguenti spese:
· le restituzioni per l’esportazione di prodotti agricoli verso i paesi terzi;
· gli interventi destinati a regolare i mercati agricoli;
· i pagamenti diretti agli agricoltori previsti nel quadro della PAC;
· le azioni di informazione e promozione a favore di prodotti agricoli sul mercato interno della Comunità e nei paesi terzi.
Il fondo finanzierà invece in maniera centralizzata le spese seguenti:
· il contributo finanziario della Comunità ad azioni veterinarie e ad azioni di controllo, in ambito veterinario, delle derrate alimentari e degli alimenti per animali, a programmi per l’eradicazione e sorveglianza di malattie animali, nonché ad azioni fitosanitarie;
· la promozione di prodotti agricoli;
· le misure per la conservazione, caratterizzazione, raccolta e utilizzazione delle risorse genetiche in agricoltura;
· la messa in opera e il mantenimento di un sistema di informazione contabile agricola;
· i sistemi d’indagine nel campo agricolo, ivi compresi quelli relativi alla struttura delle aziende;
· le azioni tecniche e amministrative per la messa in opera della PAC per quanto riguarda i sistemi di audit e di controllo.
Il tetto annuale della spese del FEAGA è costituito dai montanti più elevati fissati nel quadro finanziario pluriennale che saranno previsti nel prossimo accordo interistituzionale sulle prospettive finanziarie diminuito dei montanti fissati dalla Commissione per il FEASER.
Il Fondo europeo agricolo di sviluppo rurale (FEASER)
La proposta di regolamento relativa allo sviluppo rurale prevede, nel quadro della strategia comunitaria relativa al 2° pilastro della PAC costituito appunto dallo sviluppo rurale, che i finanziamenti del FEASER saranno organizzati seguendo quattro assi principali:
· il miglioramento della competitività dell’agricoltura e della silvicoltura;
· le misure relative all’ambiente e alla gestione del territorio agricolo (tra cui alcune misure per gli agricoltori delle zone di montagna);
· il miglioramento della qualità di vita e la diversificazione delle attività;
· l’asse LEADER, attorno al quale verranno attuati programmi relativi alle strategie di sviluppo locali dei gruppi di azione locale (GAL).
All’interno di ciascun asse, la proposta di regolamento sullo sviluppo rurale indica dettagliatamente le misure suscettibili di usufruire dei contributi del fondo.
Le risorse finanziarie dei fondi per l’agricoltura
Le risorse finanziarie disponibili per i due Fondi relativi al settore agricolo, secondo quanto stabilito dall’art. 70, comma 1, del regolamento sugli strumenti di finanziamento della PAC, si aggirano attorno a 88,75 miliardi di euro (prezzi 2004) per il periodo 2007-2013. Di queste risorse, almeno 31,3 miliardi di euro sono destinati alle regioni eleggibili per l’obiettivo “Convergenza”.
Il tasso di cofinanziamento dei programmi è fissato a livello dei singoli assi, come segue:
asse 1: dal 20% al 50% (75% per le regioni dell’Obiettivo Convergenza);
asse 2: dal 20% al 55% (80% nelle regioni dell’Obiettivo Convergenza);
asse 3: dal 20% al 50% (75% per le regioni dell’Obiettivo Convergenza);
Leader: dal 20% al 55% (80% nelle regioni dell’Obiettivo Convergenza).
All’interno di tali percentuali, il sostegno comunitario sarà ripartito sui tre assi nel seguente modo: 15% all’asse 1 e all’asse 3, mentre il 25% all’asse 2. Infine, agli Stati membri più efficaci nell’utilizzare l’asse Leader, sarà riservato in aggiunta tra il 2012 e il 2013 un 3% del sostegno comunitario totale per lo sviluppo rurale.
La riforma della PAC per il settore dello zucchero
1. La riforma della PAC.
La riforma della politica agricola comune (PAC) è stata operata con l’adozione da parte del Consiglio, il 29 settembre 2003, di sette regolamenti[15], in conformità dell’accordo politico raggiunto, dopo un difficile negoziato, dal Consiglio agricoltura del 26 giugno 2003[16].
La riforma adottata costituisce il cambiamento più radicale dalla creazione della PAC, nel 1958. Gli elementi fondamentali della riforma sono:
· l’introduzione della regola fondamentale del disaccoppiamento[17] parziale degli aiuti dalla produzione (formula con la quale si intende l’erogazione degli aiuti all’azienda agricola indipendentemente dal volume della produzione)[18];
· il versamento di tali aiuti, il cui ammontare si basa sul periodo di riferimento 2000-2002, viene subordinato al rispetto delle norme ambientali, di benessere degli animali, d’igiene e di conservazione del paesaggio;
· l’istituzione del pagamento unico per azienda a partire dal 1° gennaio 2005 con la possibilità di mantenere in via transitoria gli aiuti completamente accoppiati fino al 31 dicembre 2006;
· lo sviluppo del “secondo pilastro” della PAC, riguardante lo sviluppo rurale, mediante l’aumento degli aiuti orizzontali, svincolati dall’attività produttiva;
· la riduzione dei prezzi di intervento (per es. nel grano duro e nel riso) e del sostegno comunitario (per es. nella frutta a guscio) prevedendo compensazioni parziali per queste diminuzioni o incentivi per le produzioni di qualità.
A seguito dell’adesione all’ UE dei dieci nuovi, sono state introdotte alcune correzioni e integrazioni mediante l’adozione, il 22 marzo 2004, del regolamento (CE) n. 583/2004 recante adattamento del regolamento (CE) n. 1782/2003 (regimi di sostegno diretto nell’ambito della PAC), n. 1786/2003 (OCM foraggi essiccati) e n. 1257/1999 (sostegno allo sviluppo rurale da parte del FEAOG).
Successivamente, al fine di proseguire la riforma della PAC estendendone i principi anche ad altri settori (tabacco, olio d’oliva, cotone e zucchero), il Consiglio ha adottato, il 29 aprile 2004, i due regolamenti (CE) n. 864/2004 e n. 865/2004, concernenti rispettivamente le norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto nell’ambito della politica agricola comune e l’organizzazione comune dei mercati nel settore dell’olio di oliva e delle olive da tavola.
Come per i regolamenti adottati nel 2003, l’elemento centrale dei due regolamenti del 2004 è costituito dal trasferimento di una parte notevole degli aiuti attualmente legati alla produzione ad un nuovo regime di pagamento unico disaccoppiato.
L’accordo recepisce le preoccupazioni e le perplessità di alcuni Stati membri (Italia, Spagna, Grecia, Portogallo e Francia) soprattutto per quanto riguarda l’avvenire del settore del tabacco e le ricadute sociali della riforma in termini di occupazione.
Rispetto alla proposta iniziale della Commissione, che stabiliva l’applicazione della riforma a partire dal 2005 per tutti i settori interessati, l’accordo prevede uno slittamento della data d’inizio della riforma stessa al 2006 (tranne che per il settore del luppolo la cui riforma partirà dal 2005) e, per quanto riguarda il settore del tabacco, un periodo transitorio di quattro anni che sposta al 2010 l’applicazione a regime della riforma stessa[19].
2. La riforma del settore dello zucchero
La riforma della PAC dovrebbe essere completata con la revisione del settore dello zucchero. Tale settore è considerato rilevante anche per le sue connessioni con la discussione in corso sull’apertura dei mercati, nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio.
Si ricorda che l’Unione europea è il 3° produttore mondiale di zucchero, dopo il Brasile e l’India, con una produzione di 19 milioni di tonnellate (17,4 da parte dei venticinque Stati membri, e il resto importato dai paesi ACP e dall’India[20]).
2.1 Le proposte della Commissione
In una prima comunicazione[21] presentata il 23 settembre 2003, la Commissione ha analizzato il regime attuale e le sue prospettive, avviando un dibattito su tre opzioni di riforma dell’organizzazione comune dei mercati (OCM): proroga dell’attuale regime oltre il 2006, riduzione dei prezzi interni, eliminazione graduale delle quote di produzione e liberalizzazione completa del regime.
Il 14 luglio 2004 la Commissione ha presentato una seconda comunicazione (COM(2004)499) dal titolo: “Realizzazione di un modello agricolo sostenibile per l’Europa mediante la riforma della PAC – riforma del settore dello zucchero”.
Nel documento la Commissione sottolinea l’opportunità di adeguare la politica comunitaria nel settore dello zucchero ai principi fondamentali della nuova politica agricola comune sanciti dalla riforma del 2003 e 2004: l’orientamento al mercato, il sostegno disaccoppiato al reddito agricolo e la ricerca di un migliore equilibrio tra i due pilastri della PAC attraverso il rafforzamento dello sviluppo rurale.
Secondo la Commissione, inoltre, l’attuale regime non garantisce il mantenimento del livello di occupazione nel settore: nell’ultima decennio la filiera ha perso globalmente 17.000 posti di lavoro; e i 240 zuccherifici presenti in Europa nel 1990 si sono ridotti nel 2001 a 135.
La Commissione ritiene pertanto inevitabile la riforma, che nelle sue intenzioni sarebbe dovuta entrare in vigore nel luglio 2005. La Commissione prospetta, in particolare:
· la riduzione significativa del prezzo di sostegno attuale (circa 632 euro/t) applicabile allo zucchero, da realizzare in due tappe, nell’arco di tre anni, e abbinata alla soppressione del meccanismo di intervento, nonché l’introduzione di un prezzo di riferimento (che servirà a fissare alcune soglie come il prezzo minimo da versare ai produttori di barbabietola, il limite per l’avvio dell’ammasso privato, il livello di protezione alle frontiere e il prezzo garantito per le importazioni preferenziali):
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Attuale
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2005/2006 e 2006/2007 |
2007/2008 |
Prezzo dello zucchero |
632 |
506 |
421 |
Prezzo minimo della barbabietola |
43,6 |
32,8 |
27,4 |
· l’istituzione di una compensazione parziale che dovrebbe coprire circa il 60% della perdita di redditoa favore dei produttori (aiuto diretto disaccoppiato basato sul triennio di riferimento 2000-2002, lo stesso utilizzato per la riforma della PAC del 2003), integrata nel regime di pagamento unico per azienda; l’importo complessivo di questa compensazione dovrebbe aggirarsi attorno agli 895 milioni di euro durante le campagne 2005/06 e 2006/07 e ai 1.340 milioni di euro a partire dal 2007/2008. L’Italia dovrebbe ricevere da questa voce tra gli 80 e i 119 milioni di euro[22];
· la semplificazione dell’attuale sistema delle quote (che prevede tre quote: la quota A corrispondente alla domanda interna comunitaria, la quota B corrispondente alla quantità esportabile con restituzione all’esportazione, e la quota C relativa alla produzione in eccedenza delle due quote precedenti e che viene esportato senza restituzione) attraverso la riduzione ad una sola quota; il volume della quota comunitaria di produzione (oggi pari a 7 milioni di tonnellate) sarebbe ridotto di 1,3 milioni di tonnellate nel 2005/2006 per raggiungere la riduzione totale di 2,8 milioni di tonnellate nell’annata 2008/2009.
· la trasferibilità delle quote tra Stati membri: il venditore resterebbe responsabile dello stato ambientale del luogo di produzione e del ricollocamento della manodopera;
· l’istituzione di un piano di riconversione per gli zuccherifici volto a facilitare gli adeguamenti e attutirne l’impatto (aiuto di 250 euro/t);
· la modifica del regime d’importazione dai Balcani occidentali; verrebbero invece mantenute le disposizioni del protocollo dello zucchero tra UE e paesi ACP ( 79 paesi dell’Africa, dei Carabi e del Pacifico) ma il prezzo garantito verrebbe ridotto a livello del prezzo di riferimento comunitario[23].
La Commissione propone di rivedere nel 2008 i livelli dei prezzi e delle quote presentati nell’ambito dell’attuale progetto di riforma, al fine di consentirne l’adeguamento alle variazioni del mercato mondiali dello zucchero conseguenti alla conclusione dei negoziati del ciclo di Doha, e alla soluzione delle contestazioni, sollevate nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), di alcuni elementi dell’attuale regime.
La Commissione ha annunciato la sua intenzione di presentare la proposta legislativa relativa alla riforma del settore dello zucchero il 22 giugno prossimo[24].
Secondo fonti di stampa[25] la Commissione intenderebbe proporre un prezzo di riferimento (in sostituzione del prezzo di intervento che sarebbe soppresso) di 505,5 euro per tonnellata durante la campagna di commercializzazione 2006-2007 e di 385,5 e/t a decorrere dalla campagna 2007-2008 (con un calo complessivo del 39%).
Il prezzo minimo della barbabietola sarebbe di 32,8 euro per tonnellata nel 2006-2007 e di 25,05 euro/t a partire dal 2007-2008.
La Commissione inoltre manterrebbe la proposta di semplificazione dell’attuale sistema di quote; non sarebbe invece prevista la possibilità, contestata dalla maggioranza degli Stati membri, di trasferimento di tali quote tra Stati membri e sarebbe proposto al suo posto un progetto di piano di ristrutturazione volontaria da attuarsi in quattro anni. Il piano consentirebbe di offrire alle aziende che cessano l’attività un aiuto di 730 euro per tonnellata nel 2006-2007 e di 270 euro per tonnellata nel 2009-2010.
Verrebbe previsto un aiuto diretto ai produttori di barbabietole per compensare fino a circa il 60% della perdita di reddito prevista.
Infine, la Commissione starebbe valutando l’adozione di misure volte ad incoraggiare l’uso dello zucchero come biocarburante.
La comunicazione della Commissione del luglio 2004 è stata discussa una prima volta dal Consiglio agricoltura il 19 luglio 2004.
Secondo fonti informali[26], Gran Bretagna, Svezia, Danimarca, Paesi Bassi e Germania hanno dichiarato in quella sede di considerare la comunicazione una buona base di partenza per la discussione, molti altri Stati membri, tra cui la Francia[27], si sono detti preoccupati circa alcuni elementi presenti nel documento della Commissione. In particolare avrebbero suscitato perplessità il calendario di applicazione della riforma, le modalità di riduzione dei prezzi e delle quote, cosi come le modalità del loro possibile trasferimento.
Nel corso del Consiglio agricoltura del 24 gennaio 2005 ha avuto luogo un incontro informale tra i ministri dell’agricoltura dell’UE e i rappresentanti dei paesi ACP (Africa, Carabi, Pacifico) produttori di zucchero. Durante tale incontro è stato dibattuto il piano d’azione presentato dalla Commissione il giorno stesso e volto ad attenuare le conseguenze della riforma comunitaria del regime dello zucchero presso i 18 paesi ACP che esportano tale prodotto nell’UE e che dovrebbero adattarsi alla nuova situazione del mercato europeo[28].
La questione delle importazioni di zucchero dai paesi ACP è stata nuovamente dibattuta nel corso del Consiglio agricoltura del 28 febbraio 2005. Diverse delegazioni (Francia, Irlanda, Danimarca, Gran Bretagna, Germania, Svezia, Lettonia e Malta) hanno sottolineato la necessità di tener conto delle preoccupazioni e delle richieste di tali paesi.
Nell’ambito di una riunione informale del Consiglio agricoltura, tenutasi a Echternach il 9 maggio 2005, le delegazioni degli Stati membri si sono dichiarati incerti sull’opportunità di arrivare ad un accordo entro novembre. In particolare, il ministro dell’agricoltura olandese, Veerman, ha auspicato la possibilità del trasferimento di quote tra uno Stato membro e l’altro nel caso venisse adottata una riduzione dei prezzi e delle quote del 30%, chiedendo altresì che la riforma venga attuata progressivamente. Il rappresentante francese, Bussereau, ha sottolineato la non contrarietà del suo paese rispetto alle proposte della Commissione sottolineando tuttavia due problemi da non trascurare, quello delle conseguenze sociali della riforma per alcune imprese e quello costituito dalla canna da zucchero delle Antille. La Germania si è dichiarata a favore sia di una riforma progressiva che di compensazioni per le industrie saccarifere che bloccheranno l’attività a seguito della riforma, chiedendo altresì che il fondo di ristrutturazione per aiutare gli agricoltori colpiti dalla riforma sia finanziato dai produttori.
2.3 Il parere del Parlamento europeo
Il 10 marzo 2005 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla riforma del settore dello zucchero nella quale ha espresso la sua preoccupazione sulle misure di riforma prospettate dalla Commissione. In particolare, la risoluzione approvata:
· sottolinea che gli operatori del settore dello zucchero dello zucchero hanno bisogno di una sufficiente prospettiva per il loro investimenti e suggerisce quindi che l’OCM non sia modificata fino al 2012;
La Commissione agricoltura del Parlamento europeo, il 13 luglio 2005, organizzerà un’audizione per esaminare con le organizzazioni agricole le proposte della Commissione sulla riforma, ivi compresi gli aspetti internazionali del dossier tra cui il negoziati OMC e gli accordi preferenziali con i paesi ACP. Il Presidente della Commissione agricoltura, Joseph Daul, prevede l’approvazione del progetto di relazione nel settembre 2005 e la sua adozione in plenaria nell’ottobre successivo.
3. La decisione dell’organo di appello dell’OMC
Il 28 aprile 2005 è stata resa pubblica la conferma da parte dell’organo di appello dell’OMC della condanna[29] del regime comunitario dello zucchero. Di conseguenza l’UE è stata invitata a conformarsi all’impegno di limitare a 1,273 milioni di tonnellate la quantità di zucchero esportata con sovvenzioni (si ricorda che l’UE è il 2° esportatore mondiale di zucchero, dopo il Brasile, per un totale di 5,5 milioni di tonnellate e che il bilancio 2004 prevede).
In sintesi l’OMC ritiene che l’UE esporti più zucchero sovvenzionato rispetto a quanto autorizzato e ciò avviene grazie a due meccanismi:
1) lo zucchero “C” (zucchero prodotte fuori quote) deve, secondo le regole comunitarie essere esportato senza sovvenzioni; secondo l’OMC invece questo zucchero risulta sovvenzionato attraverso l’incrocio degli utili ricavati dalle produzioni rientranti nelle quote A e B.
2) l’UE contravviene alle regole dell’OMC riesportando con restituzioni una quantità di 1,6 milioni di tonnellate di zucchero importate annualmente dall’UE dai paesi ACP e dall’India a condizioni preferenziali.
COMMISSIONE Riunite
XIII (AGRICOLTURA) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 9a (AGRICOLTURA E PRODUZIONE AGROALIMENTARE) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA
RESOCONTO STENOGRAFICO
INDAGINE CONOSCITIVA
2.
SEDUTA DI MARTEDÌ 27 OTTOBRE 2004
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA XIII COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI GIACOMO de GHISLANZONI CARDOLI
La seduta comincia alle 14.
(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
Audizione dell'onorevole Adolfo Urso, viceministro per le attività produttive.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dell'onorevole Adolfo Urso, viceministro per le attività produttive, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli scenari delle politiche agricole nell'Europa allargata, che le Commissioni agricoltura della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica hanno deliberato di svolgere congiuntamente, previa intesa tra i Presidenti dei due rami del Parlamento.
Anche a nome del presidente della IX Commissione agricoltura del Senato, senatore Maurizio Ronconi, do il benvenuto al viceministro Urso, con il quale ci siamo recati in missione a Cancun nell'ottica dei negoziati in ambito WTO. Oggi, comunque, ci atterremo di più alle problematiche legate all'allargamento dell'Unione europea; tra l'altro, nei giorni scorsi abbiamo svolto una missione congiunta in Romania e Bulgaria al fine di comprendere gli scenari che si andranno a delineare per la nostra politica agricola. Per questo abbiamo avviato l'indagine conoscitiva in oggetto, nell'ambito della quale è stato già audito il ministro Alemanno. Do ora la parola al viceministro Urso.
ADOLFO URSO, Viceministro per le attività produttive. Ringrazio il presidente e le due Commissioni di Camera e Senato che hanno inteso promuovere questa indagine conoscitiva particolarmente pertinente ed attuale. Recentemente il processo di allargamento dell'Unione europea ha registrato l'adesione di dieci nuovi partner, alcuni dei quali attribuiscono grande importanza al settore agricolo. Tale processo di allargamento, verosimilmente, proseguirà nei prossimi anni grazie anche alle candidature di paesi quali la Bulgaria, la Romania, la Turchia e la Croazia. Il round negoziale del WTO, come voi sapete, è entrato nella sua fase fattiva, concreta dopo il recente accordo di Ginevra che, innanzitutto, ha riguardato le tematiche agricole per l'impatto che esse possono avere sull'attività agricola e agroalimentare del nostro paese nell'ambito dello scacchiere europeo e mondiale.
Ovviamente la riforma della politica agricola comune ha profondamente modificato il modo di sostenere il settore agricolo da parte dell'Unione europea. Di questo avrà sicuramente parlato il ministro Alemanno, che segue con particolare competenza questo settore in ambito comunitario e non solo. In sintesi la riforma prevede quanto segue: un pagamento unico per azienda agli agricoltori dell'Unione europea, indipendentemente dalla loro produzione, anche se una parte degli aiuti saranno mantenuti per evitare l'abbandono della produzione; pagamenti condizionati al rispetto delle norme in materia di salvaguardia ambientale, sicurezza alimentare, sanità animale e vegetale, protezione degli animali, oltre alla cosiddetta «condizionalità», ovvero l'impegno di mantenere la terra in buone condizioni agronomiche; riduzione dei pagamenti diretti alle grandi aziende (modulazione) al fine di finanziare la nuova politica di sviluppo rurale; un meccanismo di disciplina finanziaria che impedisca il superamento del bilancio agricolo, fissato fino al 2013; ritocchi alla politica dei mercati agricoli, ovvero: riduzione asimmetrica dei prezzi nel settore lattiero-caseario, incrementi mensili dimezzati nel settore dei cereali, mantenendo l'attuale prezzo di intervento, riforme nei comparti riso, frumento duro, frutta a guscio, patate da fecola e foraggi essiccati, settori alcuni dei quali di particolare rilevanza per l'agricoltura italiana.
Il settore agricolo, soprattutto con l'allargamento dell'Unione europea a venticinque paesi, è essenziale nelle economie specie dei paesi di più recente adesione, che hanno richiesto per la nuova Europa un sempre maggiore ricorso ai principi ed agli strumenti della PAC ed alle politiche di coesione per i territori in difficoltà, soprattutto per colmare le disparità regionali: redditi equi e stabili per gli agricoltori, autoapprovvigionamento alimentare sicuro e di qualità, ambiente, paesaggio e gestione del territorio.
Pur con un minore impegno finanziario, l'agricoltura dei venticinque godrà di un sistema più razionale ed equilibrato in termini di distribuzione delle risorse e delle produzioni disponibili. Tra l'altro la riforma della PAC, come voi sapete, ha rappresentato un prioritario elemento, sia in vista dell'adesione dei nuovi paesi all'Unione europea sia per sbloccare il round negoziale del WTO. L'una e l'altra questione sono indissolubilmente legate nell'ambito di quella che viene definita «economia globale».
Già sono stati erogati ingenti finanziamenti per l'ammodernamento delle aziende agricole, delle industrie di trasformazione e delle strutture di commercializzazione dei prodotti alimentari e per promuovere un'agricoltura ecocompatibile. Inoltre, dopo l'adesione all'Unione europea, nel maggio scorso, gli ultimi dieci paesi membri hanno avuto accesso ad un fondo speciale di 5,1 miliardi di euro. Si tratta di un pacchetto triennale che prevede aiuti finanziari per il prepensionamento degli agricoltori, aiuti per zone svantaggiate, protezione dell'ambiente, imboschimento, adeguamento alla normativa comunitaria in materia di igiene alimentare e benessere degli animali.
Si sta, quindi, procedendo su un doppio binario; mi riferisco al processo di riforma della PAC, con le relative decisioni finanziarie per razionalizzare il ruolo di questo importante strumento di politica europea. In secondo luogo, la bozza di Costituzione europea continua a sottolineare l'importanza della PAC per rafforzare il modello agricolo europeo, anche in considerazione del fatto che per i dieci paesi aderenti il settore agricolo è di primaria importanza.
Occorre segnalare, comunque, che inizialmente la PAC si applicherà ai nuovi arrivati solo parzialmente, per i prossimi anni. Ad esempio, nella maggior parte di questi paesi si opterà inizialmente per un sistema di pagamento unico di superficie, una sorta di regionalizzazione applicata a tutte le superfici ammissibili, comprese le coltivazioni legnose. I pagamenti entreranno in vigore gradualmente e ogni paese di nuova adesione potrà incrementarli a valere sulle proprie risorse nazionali.
L'allargamento dell'Unione europea rappresenta una sorta di sfida e occorrerà porre molta attenzione per non mettere in competizione i 15 Stati già membri dell'Unione con i 10 Stati di più recente adesione, ancora bisognosi del sostegno finanziario comunitario. La distribuzione dei finanziamenti sul territorio è fortemente dispersa in azioni di sostegno di singole imprese, senza considerare le esigenze del territorio nel suo complesso e, soprattutto, le sinergie con altre azioni finanziate dagli stessi piani di sviluppo rurale o da altri programmi comunitari e/o nazionali.
È noto che uno degli obiettivi della riforma delle politiche strutturali dell'agenda 2000 di Berlino del 1999 è quello di migliorare l'efficacia degli strumenti di politica strutturale per arrivare alla coesione economica e sociale di tutti gli Stati membri dell'Unione europea, tramite aiuti e stanziamenti. Fra questi, per il settore che si sta analizzando, occorre ricordare il FEOGA, fondo di garanzia per spese di politiche comuni di merci e di prezzi agricoli e per lo sviluppo rurale a sostegno dei mercati e, per lo sviluppo rurale non sovvenzionato dalla sezione garanzia, il LEADER, orientato allo specifico sviluppo socioeconomico delle zone rurali.
Occorre segnalare che le regole del FEOGA non sono sempre appropriate per la realizzazione di investimenti, mentre l'esperienza LEADER ha evidenziato capacità progettuali differenziate sul territorio, consentendo di sperimentare, localmente, nuovi approcci, soluzioni organizzative più efficaci ed innovazioni per la valorizzazione delle risorse e dei prodotti locali che, altrimenti, andrebbero definitivamente perduti. Essa è servito a migliorare la capacità progettuale, consentendo, di conseguenza, di accedere con successo ad altre opportunità di finanziamento comunitarie o nazionali. Il LEADER dovrà essere salvaguardato nei suoi aspetti fondamentali, garantendo l'opportunità di sperimentare innovazioni per il territorio. Tale importante iniziativa comunitaria deve potersi avvalere di adeguate risorse finanziarie.
Per una visione ancora più allargata del problema si segnala che il 1o agosto scorso, a Ginevra, in occasione del Consiglio generale della WTO, è stato decretato il definitivo rilancio dei negoziati multilaterali nel quadro dei lavori dell'agenda di Doha, iniziata nel novembre 2001. L'agricoltura ha rappresentato il dossier più critico e più complesso e la decisione raggiunta dal Consiglio generale rappresenta un risultato di grande rilevanza per il prosieguo dei negoziati. Ovviamente, in quella sede rappresentavo il nostro paese, assieme al sottosegretario Scarpa Bonazza Buora.
Tra i risultati più rilevanti che sono stati ottenuti vi è l'importante accordo in tema di prodotti agricoli. Si è arrivati a definire un quadro di elementi su tre noti pilastri.
Innanzitutto, il tema del sostegno all'export è quello che ha consentito la chiusura del pacchetto. Determinante è stata la tattica seguita dai commissari Lamy e Fischler, abili a far uscire dall'angolo l'Unione europea, con un'offerta condizionata per l'eliminazione di tutte le restituzioni alle esportazioni, lasciando gli Stati Uniti di fronte alle proprie responsabilità. Si è raggiunto, così, il completo parallelismo tra tutte le forme di sostegno all'export: i sussidi alle esportazioni saranno eliminati a partire da una data credibile da definirsi, così come i crediti alle esportazioni che superano i 180 giorni. Per i crediti a più breve durata dovranno essere negoziate discipline più severe. Alcune attività delle imprese commerciali di Stato, lesive del corretto funzionamento del mercato, saranno eliminate. L'aiuto alimentare utilizzato per pratiche commerciali scorrette (ad esempio, l'eliminazione delle eccedenze) dovrà conformarsi a normative stringenti da concordare. I paesi in via di sviluppo potranno continuare a beneficiare di tali forme di sostegno per un periodo ragionevole, da negoziare, dopo che si sarà realizzato il completo smantellamento da parte dei paesi industrializzati.
Sulla seconda questione, quella del sostegno interno, è stato riconfermato il principio contenuto nella dichiarazione di Doha per una riduzione sostanziale del sostegno interno, ottenuta tramite una formula a bande che concatena le tre forme di sussidio (scatola gialla, blu e verde), secondo il principio che obbliga a maggiori tagli chi destina più risorse verso programmi di sostegno che alterino le condizioni di mercato (la cosiddetta armonizzazione). Già dal primo anno, il sostegno distorsivo non potrà superare l'80 per cento della sommatoria della scatola gialla consolidata, del de minimis e della scatola blu, la quale non potrà eccedere il 5 per cento della produzione agricola riferita ad un preciso periodo storico. Questo tetto riduce le possibilità di trasferire misure di sostegno da una categoria all'altra. Quale primo anno, ovviamente, si intende il primo anno successivo alla chiusura del round negoziale della WTO che, verosimilmente, si concluderà nel primo semestre del 2006, a seguito della determinante conferenza già programmata, per il dicembre del prossimo anno, ad Hong Kong. I criteri che definiscono la scatola verde, che contiene quegli aiuti che non alterano - o solo in minima parte - le condizioni di mercato, saranno rivisti e chiariti per assicurarne il rispetto ai principi di base e prendere in considerazione le preoccupazioni non commerciali.
Per quanto riguarda il terzo aspetto, quello dell'accesso al mercato, è stato riaffermato il contenuto della dichiarazione di Doha per un miglioramento sostanziale dell'accesso al mercato, da realizzarsi tramite un approccio singolo - cioè valido per tutti i paesi membri - con una formula a bande, che assicuri una maggiore armonizzazione tra le diverse strutture tariffarie. In prima battuta, saranno considerati tutti i picchi tariffari e tutte le riduzioni saranno effettuate a partire dai dazi consolidati. Ogni membro potrà individuare un numero appropriato - da negoziare - di propri prodotti sensibili, ai quali sarà riservato un trattamento di favore ma che, comunque, dovrà dar luogo ad un sostanziale miglioramento dell'accesso al mercato, attraverso una combinazione tra allargamento di contingenti e riduzioni tariffarie. Esentati da impegni di riduzione i paesi meno avanzati, mentre per i paesi in via di sviluppo è prevista una serie di disposizioni: periodi più lunghi di attuazione degli accordi, minori riduzioni tariffarie, trattamento di favore per i prodotti speciali, definiti in base a criteri di sicurezza alimentare, sviluppo rurale, e così via. La differenziazione tra paesi meno avanzati e paesi in via di sviluppo con capacità competitive è particolarmente rilevante, ovviamente, per il nostro paese e per l'Unione europea.
Nonostante i confini della trattativa negoziale restino in gran parte da definire, la recente riforma della PAC appare collocarsi all'interno della cornice concordata a Ginevra, mentre alcuni dei nostri maggiori partner negoziali, Stati Uniti in testa, con molta probabilità dovranno operare alcune sostanziali riforme dei loro sistemi di sostegno all'agricoltura. In pratica, se i negoziati procederanno in tal senso, sembra che l'Unione europea non dovrà cambiare la PAC, essendo contenuta all'interno degli accordi cornice già sottoscritti.
La ripresa dei lavori dopo la pausa estiva (Comitato agricoltura, sessione speciale dell'8 e 9 ottobre) ha consentito un primo scambio di battute sui vari temi negoziali: scatola verde e de minimis per i paesi in via di sviluppo, nel capitolo sostegno interno; crediti alle esportazioni, monopoli di Stato ed aiuto alimentare, nel capitolo concorrenza alle esportazioni e formula tariffaria, nell'accesso al mercato.
Su questi punti, come prevedibile, il dibattito non ha introdotto elementi di novità, salvo che nel sostegno interno deve essere osservata l'opposizione del G20, sostenuta dai paesi in via di sviluppo, a discutere del de minimis e, soprattutto, la forte insistenza del G20 e del Gruppo di Cairns a concentrare l'attenzione sulla scatola verde in un'ottica di riesame e chiarimento. All'esterno di questo, come sapete, ma con particolare rilevanza per queste tematiche, è in corso il dibattito relativo all'accordo di libero scambio tra l'Unione europea e il Mercosur che, allo stato, è fermo. Infatti, le due bozze, presentate dalle due parti, sono ritenute deficitarie, da entrambe, per accogliere le richieste. Soprattutto, noi riteniamo che la più recente bozza presentata dal Mercosur sia sostanzialmente inaccettabile per quanto riguarda i nostri interessi e su questo piano si è posta anche l'Unione europea.
Per quanto concerne il capitolo concorrenza alle esportazioni, la questione dell'aiuto alimentare e le sue implicazioni sulla politica commerciale, soprattutto degli Stati Uniti, e sulle possibili ripercussioni sul lavoro delle organizzazioni non governative hanno dominato il dibattito.
Per quanto riguarda l'organizzazione dei lavori futuri, si segnala la volontà del G20 di fissare per la prossima conferenza ministeriale di Hong Kong, del dicembre 2005, la data per l'adozione delle cosiddette modalità agricole, cioè l'approvazione degli impegni specifici con indicazioni numeriche e temporali. In altri termini, nel dicembre 2005 si avrà la sostanziale certezza di quali saranno i termini delle questioni sulle tematiche agricole nell'ambito del round negoziale ma l'intero round sarà concluso insieme, verosimilmente nella prima parte del 2006.
Si tratta di una presa di posizione solo in apparenza ovvia, dal momento che essa si dovrà tradurre, perché sia rispettata tale data, in un fitto calendario negoziale, solo in parte tecnico, che al momento opportuno dovrà essere declinato con l'insediamento della nuova Commissione e del possibile nuovo rappresentante degli Stati Uniti, cosa che avverrà successivamente alle elezioni presidenziali. L'indicazione del G20, ripresa con qualche attenuazione dal Gruppo di Cairns, se da un lato può rappresentare un genuino tentativo di sfruttare il momentum negoziale di luglio, dall'altro rileva, come emerso nel dibattito di questi giorni, la determinazione del G20 e del Gruppo di Cairns a non mollare la presa negoziale, soprattutto in tema di sostegno interno ed accesso al mercato, dopo le concessioni ottenute a luglio, in particolare in materia di sostegno alle esportazioni.
La complessità del quadro negoziale risulterà inoltre arricchita dalla necessità di dare seguito all'impegno assunto a luglio - come richiesto dal gruppo africano - di dare vita ad un sottocomitato in materia di esame degli aspetti commerciali legati alla questione del cotone, argomento che a Cancun è diventato di grande rilevanza determinando anche il fallimento della Conferenza ministeriale mondiale.
Da parte nostra appare opportuno mantenere un approccio pragmatico per quanto concerne l'organizzazione futura dei lavori, sottolineando, in particolare, la nostra contrarietà a considerare la «scatola verde» (sulla base della quale si poggia l'intera riforma della PAC appena approvata) oggetto dei negoziati come implicitamente richiesto dal G20 e dall'Australia, e, su di un piano più generale, la necessità di considerare il pacchetto agricolo in tutti i suoi aspetti, inclusi i Non Trade Concerns e le indicazioni geografiche in tutta la loro complessità; infatti, tali aspetti sono legati l'uno all'altro, almeno per quanto riguarda la nostra piattaforma in sede internazionale.
Il quadro che ho fornito alle Commissioni ha riguardato, in sintesi - poiché certamente ne avrà parlato anche il ministro Alemanno che ha diretta competenza in materia -, la riforma della politica agricola comune e le sue prospettive, anche alla luce del secondo aspetto - sul quale, tra l'altro, ho più diretta competenza - relativo alla politica commerciale e al nuovo round negoziale del WTO; quest'ultimo è particolarmente rilevante per la politica agricola generale e mondiale e, certamente, per la politica agricola del nostro paese. Entrambe le questioni verranno evidenziate con particolare attenzione durante l'arco del prossimo anno. Per questo motivo credo che l'indagine conoscitiva portata avanti dalle Commissioni riunite di Camera e Senato risulti particolarmente pertinente e tempestiva.
Nel contempo, anche per rispondere a qualche sollecitazione pervenutaci dalla presidenza, posso brevemente dirvi che il ministero si è attivato per il sostegno all'internazionalizzazione delle imprese agricole italiane. Questo settore, infatti, deve necessariamente internazionalizzarsi; nel dire questo, tra l'altro, non mi riferisco solamente all'impresa agroalimentare - che nel nostro paese è direttamente collegata all'impresa agricola -, ma anche all'impresa agricola italiana, nel senso preciso e precipuo del termine. Ovviamente tale tipo di impresa è sottoposta alle condizioni fissate dall'Unione europea, infatti l'elemento agricolo ha inciso fortemente sulla sua evoluzione. In ogni caso debbono essere trovati altri sbocchi di mercato (non solo per le esportazioni, ma anche per quanto riguarda gli investimenti), sia nei paesi di prossima adesione sia nei paesi che nulla hanno a che spartire con il percorso di adesione all'Unione europea. Personalmente, ed in più occasioni, ho supportato imprese ed associazioni agricole italiane nelle attività di internazionalizzazione di loro associati in Romania, in Croazia, in Ucraina. Sono stati presi in considerazione anche paesi più lontani - o, comunque, fuori da ogni possibilità di far parte dell'Unione europea - quali la Tunisia e l'Angola, dove verrà tra non molto sviluppato un progetto di recente ideazione. Per la nostra impresa agricola le opportunità di crescita e le possibilità di competere su scala mondiale dipendono anche dalla capacità dei nostri imprenditori - supportati dalle loro istituzioni - di internazionalizzarsi per presidiare dall'interno i nuovi mercati. In questo modo essi possono anche conoscere e, quindi, utilizzare meglio le varie opportunità che l'internazionalizzazione dell'economia riserva loro.
Per questo noi crediamo sia importante che anche il settore agricolo contribuisca a costituire una filiera industriale internazionale - in parte operante in Italia - che abbia la capacità di cogliere le varie opportunità; nel dire questo mi riferisco non solo all'esportazione dei nostri prodotti, ma anche alla presenza in altri paesi delle nostre imprese agricole. Quando parlo di altri paesi mi riferisco sia ai paesi di recente adesione all'Unione europea (come, ad esempio, la Polonia) e di prossima adesione (Romania e Croazia) sia a quelli che, per lungo tempo, ne resteranno fuori come, ad esempio, l'Ucraina. Inoltre, in paesi non europei si potranno sviluppare potenzialità agricole, il che, fino a poco tempo fa, sembrava assolutamente impossibile. Prima ho citato il caso dell'Angola - un paese africano da noi visitato di recente - nell'ambito del quale operano imprese agricole italiane. Questo Stato presenta a tutt'oggi grosse potenzialità di sviluppo, grazie anche alla conclusione della guerra civile durata oltre ventisette anni. Infatti, come è noto a molti, sull'altopiano è presente una particolare condizione climatica che rende possibile coltivare prodotti simili a quelli mediterranei. Questi prodotti sono destinati ad essere commercializzati non soltanto in Angola o in qualunque Stato africano, ma anche all'estero.
Crediamo quindi che la tutela della competitività del settore agricolo italiano, soprattutto alla luce delle grandi trasformazioni che hanno interessato l'Unione europea (processo di adesione) e l'economia mondiale (processo di globalizzazione), debba necessariamente essere esercitata anche attraverso un processo di internazionalizzazione ben governato dall'impresa con il sostegno dello Stato.
Vi ringrazio per l'attenzione che mi avete rivolto e, ovviamente, rimango a disposizione per rispondere alle domande che i commissari vorranno pormi.
PRESIDENTE. Ringrazio il viceministro Urso per la sua brillante illustrazione.
SERGIO AGONI. Signor presidente, cercherò di rompere il ghiaccio con una provocazione rivolta al viceministro, onorevole Urso. Viceministro, il suo intervento appena concluso ha praticamente suonato la marcia funebre all'agricoltura italiana. Mi è sembrato di capire che, attualmente, per fare gli agricoltori bisogna andare in Angola a produrre olio, latte, riso e così via: tutto ciò non corrisponde alle aspettative degli agricoltori italiani. La mia è stata una battuta, una provocazione, ma veniamo alla trattazione di altre tematiche.
Lei ha parlato di internazionalizzazione dell'agricoltura italiana, quindi dovrebbe sapere che il nostro territorio è caratterizzato da un tipo di coltivazione intensiva. Abbiamo potuto sopravvivere fino ad oggi proprio per questo ed ora, invece, ci stiamo andando a confrontare con paesi del nord-est d'Europa ad agricoltura estensiva. In quei luoghi vi sono terreni sconfinati, mentre noi, per sopravvivere, dobbiamo produrre molto in poco spazio: ciò riguarda sia l'allevamento sia la produzione di cereali e così via. Quindi, è chiaro che se ci andremo a confrontare con questi paesi saremo destinati a soccombere. Ormai è già stato deciso che fino al 2013 rimarrà la PAC, dopodiché ci dovremo confrontare con il mercato. È inutile parlare dei prodotti tipici e via discorrendo, poiché la percentuale che li rappresenta è fissata attorno al 10-15 per cento. Personalmente, come agricoltore, non riesco ad intravedere un futuro per la nostra agricoltura, inoltre sono sicuro che si potrà continuare a svolgere questa attività fin quando avremo i campi. La possibilità di avere campi da arare, da coltivare non dipende da noi, ma dallo sviluppo che avrà il nostro paese. In ogni caso, finché avremo dei campi a disposizione avremo il dovere di mettere in condizione i nostri allevatori di confrontarsi con gli altri all'interno del mercato. Fino ad oggi siamo riusciti ad andare avanti con i fondi della PAC, quindi se questi venissero improvvisamente a mancare l'80 per cento delle nostre aziende fallirebbe immediatamente, soprattutto quelle operanti in zone svantaggiate come il sud d'Italia e le zone di montagna. Stiamo parlando di prodotti alimentari che vanno a finire sulla tavola dei consumatori, quindi la questione sanitaria è fondamentale, e non mi riferisco solamente al prodotto finito, ma a tutta la filiera di produzione.
Questo credo che sia uno dei problemi principali, fondamentali, per salvaguardare la nostra agricoltura. Infatti, noi stiamo producendo benissimo, dal punto di vista sanitario, i prodotti DOP e DOP/IGP e stiamo producendo altrettanto bene anche i prodotti di massa, i prodotti generali, grazie ai regolamenti sanitari delle nostre ASL e così via. Da questo punto di vista, non subiamo la concorrenza degli altri paesi, anzi, siamo i primi. Però, questo dobbiamo farlo pesare al tavolo delle trattative o, comunque, nel confronto con gli altri paesi. Chi non segua le stesse prassi che noi seguiamo nella produzione non può esportare in Europa. Credo che questo sia un elemento fondamentale.
GIOVANNI PIETRO MURINEDDU. Ho apprezzato sinceramente molte parti della relazione del viceministro Urso e ciò mi induce a svolgere una breve riflessione ed a formulare alcune domande per le quali mi piacerebbe ottenere risposte semplici e chiare, in modo da potermi orientare meglio nella materia.
Non c'è dubbio che l'apertura di nuovi mercati ponga al nostro paese gravissimi problemi in termini tecnici, di organizzazione e di mercato. È anche vero che questa è la realtà e, ovviamente, non possiamo subirla passivamente, ma dobbiamo cercare di pilotarla e di governarla nel migliore dei modi possibili. Se certe cose non le possiamo fare in Italia, perché c'è un assetto proprietario che non consente la creazione di imprese adeguate, comunque gli italiani possono realizzarle fuori dell'Italia. In altri termini, le nostre imprese possono produrre all'italiana e allargare il mercato anche ai paesi stranieri, che poi stranieri non saranno, dal momento che tutti faremo parte della stessa comunità. Come valuta, signor viceministro, l'impianto di imprese italiane all'estero, almeno per quanto riguarda l'agricoltura? Quali tipi di sostegno e di incoraggiamento possono essere assicurati dall'Italia per iniziative di questo genere? Su quali prodotti lei ritiene che l'Italia possa fare scuola anche all'estero? Infine, in che modo lei ritiene che i prodotti italiani possano avere una circolazione nell'ambito europeo ed extra europeo, con le canalizzazioni che possono essere prodotte dalle istituzioni nazionali ed internazionali?
ALDO PREDA. Dinanzi ai più recenti processi che si sono sviluppati, mi pongo una ed una sola domanda, a mio avviso legata ad una riflessione che noi dobbiamo svolgere. La riflessione è che nel mercato italiano operano 300 mila imprese agricole di base - non di più, perché le altre credo che svolgano attività diverse dall'agricoltura - le quali devono produrre in Italia e non devono produrre in Angola. Desidero ricordare alcuni dati, che già sono stati citati molte volte: il 10 per cento dei nostri prodotti è di alta qualità, un altro 10 per cento è costituito di prodotti ecologici ed il restante 80 per cento di commodities.
L'industria agroalimentare conta, mediamente, cinque o sei dipendenti per impresa. Noi dobbiamo fare i conti con questi dati, che mi inducono ad affermare che abbiamo un problema di competitività della nostra agricoltura di base e anche della nostra industria agroalimentare in un mercato più grande. Infatti, possiamo realizzare il miglior prodotto di alta qualità ma, mediamente, le nostre imprese agroalimentari occupano cinque o sei addetti, di fronte ad un mercato molto, molto vasto, che dobbiamo affrontare. Abbiamo fatto grandi scelte in agricoltura. Pur avendo una agricoltura poco competitiva, infatti, abbiamo compiuto la scelta che definisco, in generale, di salubrità della qualità, la scelta della lotta guidata. In altri termini, una scelta a favore della salute, sia per i prodotti di qualità sia per le commodities. Quindi, abbiamo questa grande risorsa. Può anche esserci qualche grande industriale del vino, ad esempio, che acquista 8 mila ettari di terra in qualche paese vicino, che già fa parte dell'Europa allargata o che, successivamente, vi dovrà entrare, per produrre un vino speciale e poi smerciarlo con l'etichetta italiana; ma il problema è quello - come ripeto - della internazionalizzazione delle nostre imprese.
Credo che noi dobbiamo affrontare questo tema e che dobbiamo compiere questo sforzo, in questo momento, anche nella ristrutturazione del nostro settore agricolo, che ha bisogno di essere ristrutturato. Infatti, se guardiamo a quanto è accaduto alle imprese agroalimentari italiane negli ultimi cinquant'anni, ci rendiamo conto che il problema di una ristrutturazione complessiva del settore agricolo deve essere risolto ed è necessaria anche una cultura diversa. L'episodio più recente è quello della Cirio, quello precedente riguarda la Parmalat e quello ancora precedente è relativo alla Federconsorzi, che qualcuno, adesso, vuole ricostituire. Noi abbiamo registrato questi incidenti di percorso, che tali non erano ma derivavano da una cultura sbagliata dell'agricoltura nel nostro paese: la cultura delle filiere miste, la cultura delle filiere non gestite dai produttori agricoli e la cultura delle non aggregazioni. Oggi, possiamo vincere nell'internazionalizzazione soltanto in questo modo.
Mi pongo, allora, una domanda: che cosa possiamo fare, a partire dalla prossima legge finanziaria e nelle leggi finanziarie dei prossimi cinque anni, con le risorse di cui disponiamo e con quelle di cui non disponiamo, per affrontare questo mercato più grande, con tutte le esigenze che ci sono? Ben vengano anche le famose etichette da gestire e la valorizzazione complessiva del sistema Italia. Secondo me, siamo deboli, dal momento in cui non affrontiamo questo grande problema. Ad oggi, noi manchiamo. È vero quanto affermava il viceministro Urso, cioè che esiste il problema della internazionalizzazione e credo che dobbiamo aiutare le nostre imprese ad affrontarlo, altrimenti siamo perdenti per i prossimi anni.
LINO RAVA. Naturalmente, ringraziamo il viceministro Urso per il suo intervento chiaro e molto puntuale. Alcuni passaggi già sono stati sottolineati da coloro che mi hanno preceduto. Ci troviamo di fronte ad un problema che non dobbiamo dimenticare. Chiedo in maniera molto chiara e diretta - poi dirò qualcosa anche rispetto ai rapporti esistenti tra il Ministero per le politiche agricole e forestali e il Ministero delle attività produttive - se crediamo o meno alla necessità che il nostro sistema agricolo nella sua interezza sopravviva e continui a produrre, migliorandosi. Credo che noi dobbiamo assolutamente ribadire con fermezza questa necessità, per le ragioni che conosciamo e che sono state sviluppate in questi anni in maniera molto chiara: ambiente, territorio, sovranità limitata e così via. Se questo è, noi abbiamo bisogno di attuare una politica sia nazionale sia internazionale - a partire dall'Europa, fino agli accordi internazionali, come quello della WTO - che ci guidi in questa direzione.
Provo a ricordare alcuni temi che ritengo prioritari in questo senso. Innanzitutto ricordo la necessità di attuare una vera politica di integrazione dell'agricoltura nell'Unione europea. Questo già è un tema fondamentale, soprattutto in un quadro di allargamento nel quale alcuni equilibri storici preesistenti sono messi in discussione. Su questo credo dobbiamo agire, come paese, anche per svolgere un'opera di orientamento nei confronti dei nostri produttori.
Il secondo punto è stato già toccato dal senatore Agoni e, al riguardo, condivido pienamente la necessità di definire regole a garanzia della sicurezza alimentare dei nostri consumatori. Si tratta di una questione fondamentale e prioritaria; inoltre la novità di ieri, rappresentata dall'approvazione del testo relativo all'istituzione dell'autorità per la sicurezza alimentare da parte della Commissione affari sociali della Camera, credo rappresenti un passo in avanti. Al riguardo occorre una politica coerente del Governo al fine di valorizzare al massimo questo tipo di impostazione.
La terza questione, che credo debba pesare anche relativamente ai rapporti internazionali, concerne il rispetto dei diritti dei lavoratori. È una questione che andrebbe doverosamente fatta presente anche nel momento in cui si concludono trattati internazionali.
Gli elementi che ho appena descritto, assieme alla necessità di definire una chiara politica nazionale, possono aiutarci a trovare delle soluzioni. Se il quadro è questo, risulta evidente che si abbisogna, quanto mai, di una politica coerente ed unitaria da parte del Governo. Abbiamo bisogno che il Ministero delle politiche agricole e forestali e il Ministero per le attività produttive agiscano in sintonia e con lo stesso indirizzo. Ho fatto presente questo perché circa un mese e mezzo fa abbiamo, invece, assistito ad una profonda divaricazione in tal senso. Mi riferisco alle nostre preoccupazioni - sottolineate e segnalate - riguardanti l'origine dei prodotti trasformati. In questa occasione si è potuto plasticamente osservare una divisione ed una mancanza di coordinamento. Su questa questione desidererei che il viceministro ci indicasse le prospettive per legare davvero, attraverso l'esercizio di una politica unitaria, il Governo nel suo complesso. Inoltre, va sottolineato che il settore agricolo, per forza di cose, ha bisogno di particolari politiche di sostegno. Infatti, sappiamo che, fino al momento in cui si realizzerà un rieliquilibrio a livello internazionale, la competizione si attuerà in base ad alcuni criteri che ci vedono in profonda difficoltà. Il nostro settore agricolo, pur potendo contare sull'alta professionalità delle imprese, è molto esposto alla competizione: quindi, avendo presente la situazione, va posto particolare orecchio circa la conclusione di accordi bilaterali concernenti la materia. Mi riferisco, ad esempio, agli accordi sugli agrumi conclusi con il Marocco e soprattutto agli accordi che, pare, si concluderanno di qui a poco con l'Egitto.
La modernizzazione e l'internazionalizzazione sono due temi su cui sicuramente ci si trova d'accordo. In ogni caso, non dovremmo limitarci ad affermazioni - tra l'altro, in materia sono state approvate anche delle risoluzioni -, ma agire concretamente e coerentemente. Debbo dire però che, secondo me, non vi è una grande attività; evito di parlare del disegno di legge finanziaria ma, a fronte di mere affermazioni, non mi pare si stiano portando avanti azioni concrete e coerenti.
GIANCARLO PIATTI. Signor presidente, condivido la parte centrale dell'intervento del viceministro relativa al commercio mondiale, alla PAC e ai suoi sviluppi. È implicito dedurne, tra l'altro, che lo scenario mondiale offre nuove opportunità, ma anche nuovi pericoli. Si può vincere, ma si può anche perdere; tra l'altro, per quanto concerne i dati relativi all'export, uno studio effettuato dalla Banca d'Italia - pubblicato oggi da un quotidiano economico - desta qualche preoccupazione anche in riferimento alle forti regioni del nord d'Italia come, ad esempio, la Lombardia. Credo che forse convenga - come già hanno sottolineato altri colleghi - concentrarsi sulle cose da fare nell'ambito del corretto quadro definito dal viceministro.
Innanzitutto, con i vincoli di bilancio e di debito pubblico che conosciamo, bisogna operare per l'affermarsi di una politica economica più espansiva. Se vi è questo drastico calo dei consumi, ciò non aiuta certo le imprese ad internazionalizzarsi poiché esse si rivolgono ai mercati esteri anche quando la situazione interna è in attivo. Non vi è, quindi, una divaricazione tra il mercato interno e il mercato internazionale. È indubbio che se non si corregge qualcosa puntando, ad esempio, sulla capacità espansiva del nostro sviluppo il rischio è che, con i tagli oggi alla nostra attenzione, si dia un'accelerata in senso negativo.
Per quanto riguarda l'organizzazione dell'offerta, i colleghi hanno ricordato i casi della Parmalat e della Cirio, cioè la condizione di crisi delle grandi imprese causata dall'estrema frammentazione. D'altra parte il termine «frammentazione» in sé non significa debolezza, ma il riconoscimento di vitalità che, però, debbono essere organizzate. Il viceministro sa che, soprattutto per quanto concerne l'agricoltura, ci troviamo in grosso ritardo circa le filiere e l'organizzazione dei produttori. Credo si debbano fare passi in avanti relativamente all'iniziativa sui distretti agroalimentari che, se in passato è stata contraddistinta da una fase espansiva, oggi è abbastanza ferma. La mia valutazione dei fatti è basata su segnalazioni provenienti da esportatori italiani; inoltre, nell'ambito di un'indagine in corso, abbiamo saputo da un grosso importatore di vino che i russi preferiscono orientarsi verso la Francia perché optano per la quantità, non sempre garantita dalle nostre piccole imprese.
Vi è poi la questione relativa alle fiere, alle mostre e, anche in questo caso, faccio riferimento alle notizie che ho ricevuto da imprenditori italiani operanti a Mosca. Essi sostengono che oggi stiamo assistendo ad un proliferare di fiere e mostre promosse da regioni e comuni, senza che ad esse seguano fatti concreti. Forse queste molteplici iniziative abbisognano di un raccordo, sia per non realizzare doppioni sia per un maggior coordinamento; tutto ciò per avere un seguito poiché è giusto seminare, ma bisogna anche raccogliere.
Relativamente alla questione dell'Istituto nazionale per il commercio estero e delle ambasciate, ne abbiamo parlato anche in altre occasioni. Che tipo di investimenti si stanno promuovendo? Non è il caso di stabilire maggiori raccordi; tra l'altro, non in tutte le ambasciate vi è un addetto agricolo. Abbiamo notato una certa disparità di comportamenti e di forze in campo soprattutto nel caso dell'agenzia francese Sopexa che manda in giro per il mondo circa 350 persone a procacciare affari per il sistema agroalimentare francese.
Infine, rispetto ai prodotti italiani sono state assunte varie iniziative di valorizzazione, ma ricordiamoci che questi prodotti di qualità richiedono anche innovazione. Quindi, sarebbe abbastanza grottesco pensare che abbiamo ereditato dai decenni e dai secoli precedenti un enorme patrimonio da salvaguardare e che adesso all'improvviso tutto si fermi. Non è così. Possiamo citare i casi, noti ai componenti delle Commissioni agricoltura di Camera e Senato, di molti prodotti che hanno problemi e sono a rischio di estinzione. Penso che una fase di maggiore innovazione e di maggiore coordinamento della ricerca sia essenziale.
L'ultima considerazione riguarda questo assunto, ricordato sia da lei, sia dal ministro Alemanno, questa necessità di fare sistema. A tal fine, però, non si può prescindere da una maggiore attenzione ai temi della grande distribuzione. Infatti, noi non abbiamo questa dimensione ed oggi, purtroppo, la subiamo. Leggevo in questi giorni su di una rivista economica che, paradossalmente, il settore italiano che ha avuto il maggior valore aggiunto è stato quello dell'acciaio, un settore che tutti avevamo considerato obsoleto. Rispetto alla politica industriale, possiamo compiere poche scelte innovative e credo che quello agroalimentare sia un grande settore il quale, effettivamente, se non siamo in grado di fare sistema, non si potrà internazionalizzare. Rispetto ad altri paesi noi siamo deboli.
LUCA MARCORA. La ringrazio, signor viceministro, per la sua disponibilità e per la completezza della sua relazione. Vorrei toccare alcuni punti critici. Ricordo che, al ritorno da Doha, lei affermò di aver ottenuto nelle trattative in sede di WTO un primo risultato nella accettazione della difesa dei nostri marchi. Ormai, sono trascorsi tre anni - se non sbaglio - e si è svolta, nel frattempo, la conferenza di Cancun, nella quale evidentemente questo obiettivo non è stato raggiunto. Vorrei avere qualche informazione più precisa a proposito della prosecuzione del negoziato, del Doha round, e sapere quali prospettive ci siano per la difesa dei marchi italiani. Una ricerca di nomi, commissionata dal suo ministero, parla di un mercato riconducibile al made in Italy, nella grande distribuzione statunitense, di 18 miliardi di dollari, di cui soltanto l'8 per cento costituito di prodotti realmente italiani, il restante 92 per cento non avendo nulla a che fare con l'Italia. Il problema è quello della difesa della nostra denominazione di origine protetta e, più in generale, dei nostri prodotti. Sono d'accordo, non si può vivere soltanto di DOP, di IGP e di biologico. Però, il made in Italy nel mondo non è soltanto questo; ci sono anche i prodotti di trasformazione industriale. Sicuramente, si tratta di difendere questo tipo di denominazione. Vorrei sapere a che punto siamo, essendo trascorsi tre anni dalle sue prime affermazioni relative ad un successo ottenuto a Doha.
Sono altrettanto convinto del fatto che a Cancun abbiamo commesso un grande errore, innanzitutto perché all'agricoltura è stato addebitato il motivo del fallimento del negoziato. Sappiamo tutti, invece, che i negoziati sono falliti sui Singapore issues. Tuttavia, sono convinto - l'ho detto al suo collega Alemanno ma lo ripeto anche a lei, anche se meno direttamente responsabile del ministro Alemanno - che noi non siamo riusciti a far capire al resto del mondo, soprattutto ai G22, quale sia stata la portata della riforma della politica agricola comunitaria, la mid term review, approvata lo scorso anno, a giugno. Abbiamo ridotto moltissimo gli aiuti distorsivi del mercato e con il disaccopiamento - totale in Italia, neanche parziale - abbiamo scollegato gli aiuti dalla tipologia e dalla quantità prodotta. Se fosse stata illustrata meglio questa riforma - avevamo noi la presidenza di turno dell'Unione europea e, quindi, spettava all'Italia compiere un'opera di diffusione, informazione e convincimento - forse avremmo trovato i G22, almeno in parte, al nostro fianco, in particolare nella difesa dei nostri prodotti tipici.
Un altro punto che sollevo è quello della sicurezza alimentare. So che dietro a questo tema si celano anche barriere non doganali all'entrata. Tuttavia, la difesa della salute dei cittadini è compito inderogabile di uno Stato. Dobbiamo mettere i nostri prodotti agricoli e alimentari in concorrenza con prodotti che, con la globalizzazione, possono provenire da ogni parte del mondo e che, con gli accordi della WTO, sicuramente saranno sempre meno protetti; ma tutto questo non può farci derogare dalla sicurezza alimentare. Sono convinto che le regole debbano essere uguali per tutti. Lei conosce benissimo il problema del pomodoro cinese e delle esportazioni che passano come triangolazioni. Questo tema deve essere affrontato inevitabilmente da chi si occupi di commercio internazionale.
A mio avviso, è più difficile contrastare il dumping sociale e il dumping ambientale. Siamo tutti d'accordo sulla necessità di preservare l'ambiente e difendere i lavoratori; però, i nostri concorrenti dei paesi in via di sviluppo potrebbero risponderci che nel 1800, all'inizio della era del nostro capitalismo, abbiamo beneficiato di condizioni ambientali e di rapporti di lavoro che, forse, erano ancora peggiori di quelli attualmente applicati nei paesi in via di sviluppo. Quindi, se dobbiamo parlare di parità di trattamento porrebbero anche risponderci che noi, comunque, abbiamo realizzato la nostra accumulazione capitalistica in condizioni ambientali e sociali addirittura peggiori di quelle esistenti nei loro paesi. Però, come ripeto, preservare la sicurezza alimentare dei propri cittadini è dovere di uno Stato.
Questo tema, secondo me, deve essere maggiormente sostenuto al tavolo delle trattative dal commercio internazionale. Lei mi dirà che le norme ci sono e che si tratta di effettuare i controlli. Tuttavia, l'Ispettorato centrale repressione frodi, i Nuclei antisofisticazione dei Carabinieri affermano che le forze a disposizione non sono sufficienti e non lo sono neppure i controlli alle dogane. Al di là della normativa, quindi, bisognerà forse dotarsi di strutture di controllo e repressione più efficienti.
Ho apprezzato la sua posizione quando la Lega nord Padania e anche il ministro Tremonti agitavano lo spettro della Cina, invocando l'imposizione di nuovi dazi per difendersi dai suoi prodotti. Ritengo che questi paesi possano rappresentare un pericolo per le nostre produzioni ma costituiscano anche una opportunità per quanto riguarda la capacità di assorbimento del mercato, in particolare riguardo ai prodotti agroalimentari. Se pensiamo che in Cina vi è anche soltanto una piccola percentuale di nuovi ricchi, applicandola ad un miliardo e 300 milioni di persone il numero di potenziali clienti diviene sicuramente molto elevato, per le nostre produzioni agroalimentari d'élite. Grazie al nome e alla fama che vantiamo nel mondo, i nostri prodotti possono essere appetibili per loro. Si tratta, però, di promuovere queste nostre produzioni. So che lei ha dimostrato grande attivismo, anche personalmente, in diversi paesi del mondo per promuovere le nostre produzioni, ma qui si parla di strutture. Qualcuno ha ricordato la Sopexa. Non penso, signor viceministro, che la risposta possa essere costituita da Buona Italia o dai marchi dei ristoranti italiani all'estero. Si è parlato della mancanza, nelle nostre ambasciate, degli addetti agricoli; bisogna parlare dell'ICE il quale, ancora, si trova in una lunga fase di transizione che non dà i risultati che tutti ci attenderemmo nella promozione delle nostre merci all'estero, in particolare del settore agroalimentare. Buona Italia rischia di essere un'ulteriore struttura che si aggiunge a quelle già esistenti. Si afferma spesso la necessità di «fare sistema», di «fare squadra», ma non mi sembra che, nelle diverse realtà istituzionali preposte alla promozione dei nostri prodotti all'estero, ci sia questo orientamento.
È ovvio che in Italia non si parla solamente di prodotti tipici, biologici e via dicendo, poiché abbiamo un mercato di commodities molto rilevante. Non voglio attuare un comportamento protezionistico, però certi passaggi debbono avvenire gradualmente. Infatti, non possiamo pensare di aprire indiscriminatamente corridoi verdi mettendo in ginocchio l'agricoltura, l'agrumicoltura e l'ortofrutta del nostro sud d'Italia. Ciò soprattutto quando, forse, vi sono motivazioni politiche che prevalgono su quelle relative alla convenienza economica per le nostre merci. Lo ripeto, non sono un protezionista, però qualche volta sarebbe augurabile mantenere un comportamento di maggior prudenza su questi temi.
ANTONIO VICINI. Ringrazio il viceministro per la chiarezza della sua esposizione. Molte questioni sono state poste dai colleghi, quindi non è il caso di ripetersi. Comunque vorrei fare una riflessione su due particolari aspetti della materia trattata. In primo luogo debbo dire che il collega Agoni, da buon coltivatore diretto, ha sollevato reali questioni di fondo, così come ha fatto l'onorevole Preda. Da un lato abbiamo un'agricoltura ancora in sofferenza e dall'altro un settore agroindustriale che industriale non è perché la media dei cinque o sei addetti, di per sé, gli nega tale qualifica. In questi mesi abbiamo discusso delle crisi della Cirio e della Parmalat, tra l'altro la Barilla non si trova in condizioni migliori: personalmente sono legato al distretto del prosciutto che presenta seri problemi. Quale significato hanno le importanti manifestazioni in cui vengono esposti i nostri prodotti principi se poi, nel contesto socio-economico - composto anche dalle aree tradizionalmente forti - non sorge nessuna attività e quelle che esistono debbono affrontare innumerevoli difficoltà? In concreto, quali politiche abbiamo intenzione di portare avanti nei confronti dei prodotti di qualità DOP e IGP?
Inoltre, se rispondono al vero le informazioni in mio possesso, la politica americana e australiana è, da sempre, notoriamente contraria alle nostre produzioni di DOP di schiena; vengono contestati gli stessi indirizzi che ci siamo dati, sia a livello nazionale sia a livello comunitario. Se compito della nostra agricoltura è anche quello di garantire la qualità e la sicurezza dei prodotti, essa deve poter contare, a tutti i livelli, su vere politiche di sostegno. Quali azioni ha intenzione di promuovere il Governo affinché vi sia un'effettiva e reale integrazione tra azione regionale e nazionale nel settore agricolo e agroindustriale? Visto che tutti noi puntiamo sul processo di internazionalizzazione, quale ruolo avrà l'agricoltura rispetto all'agroindustria in questo contesto? Noi, infatti, vorremmo si realizzasse una vera integrazione, ma spesso e volentieri nei fatti si ha un riscontro diverso, alternativo: l'agricoltura soccombe mentre, spesso, l'agroindustria riesce a compiere passi in avanti. Siamo ben lieti che l'agroindustria riprenda il cammino, soprattutto perché le difficoltà da affrontare sono enormi. La Parmalat e la Barilla sono aziende titolari di marchi internazionali di grande spessore. Nel primo caso sappiamo tutti come sono andate le cose anche se, onestamente, debbo riconoscere che, grazie all'impegno di tutti - compreso il Governo -, i prodotti Parmalat registrano tuttora una buona affermazione sul mercato; ciò significa che, anche in una situazione di crisi finanziaria, quando si marcia nella giusta direzione con l'appoggio dei governi nazionali e locali la produzione può reggere. La Barilla, però, non ci sta fornendo segnali positivi; tra l'altro la realtà emiliana presenta altre aziende in forte sofferenza. Inoltre - come sottolineato anche dal collega Piatti - queste iniziative, belle ed importanti dal punto di vista dell'immagine interna, finora non hanno trovato spazio nel contesto delle scelte strategiche. Soprattutto nel settore dei salumi, a livello generale, si guarda molto ai rapporti con la Cina e il Giappone. So che lei, signor viceministro, si è personalmente interessato per sviluppare l'azione del Governo affinché questi mercati si aprano alle nostre aziende e si creino motivi di interscambio. Prima di tutto, però, le nostre aziende debbono trovare le condizioni per potersi sviluppare all'interno del nostro territorio. In seconda battuta poi ci si può preoccupare della nascita e dello sviluppo delle nostre aziende nelle altre nazioni: siamo europei - e questo va bene -, ma non intendiamo crescere da una parte e calare dall'altra.
PRESIDENTE. Do nuovamente la parola al viceministro per la replica.
ADOLFO URSO, Viceministro per le attività produttive. Signor presidente, le domande dei commissari contenevano spunti, suggerimenti, osservazioni e critiche: cercherò, quindi, di rispondere nel tempo che mi resta seguendo l'ordine degli interventi.
Senatore Agoni, sono figlio di un coltivatore diretto che commercializzava i suoi prodotti - oltre a quelli di altri coltivatori diretti agrumicoli - e che circa vent'anni fa ha chiuso la propria attività. Ciò, ovviamente, ha comportato delle difficoltà per mio padre e per la mia famiglia, quindi capisco bene le sue preoccupazioni. Credo che le attuali vicende vadano affrontate con spirito realistico tenendo conto dei rischi e delle opportunità poiché esse, inevitabilmente, interferiranno con le nostre attività economiche e produttive. Dieci giorni fa a San Paolo, in Brasile, ho incontrato i rappresentanti della Confindustria brasiliana - quasi tutti di origine italiana -, i primi al mondo in quasi tutti i settori agricoli e agroalimentari. In quella occasione, tra gli altri, ho incontrato un ministro di punta del governo Lula che aveva origini italiane; egli è un grande produttore nel settore zootecnico e mi ha detto che quando il suo mandato scadrà ha intenzione di acquisire un marchio notorio in Italia per collegare ad esso la sua grande produzione estensiva. È questo ciò che si va prospettando; peraltro chiunque può acquisire un marchio di qualità in Italia. Di converso, ricordo - da siciliano - di aver incontrato due anni fa in Tunisia un'impresa siciliana che produceva vino in Sicilia, in Tunisia e in Australia. Per questo motivo riusciva a competere nell'ambito dello scacchiere mondiale, ovviamente con prodotti di diverso tipo.
Ho portato questo esempio per far capire che l'internazionalizzazione esiste anche in questo settore e se noi non l'affrontiamo saranno gli altri ad affrontarla in casa nostra realizzando delle economie industriali, anche nel settore agricolo, capaci di competere su più livelli. È vero che nel nostro territorio, in quasi tutti i settori, possiamo realizzare un'agricoltura solamente intensiva. In ogni modo non dobbiamo precluderci la possibilità di attuare l'agricoltura estensiva su altri territori. Le due cose, a mio avviso, marciano insieme, in un percorso che non deve essere una marcia funebre ma una marcia di riscossa, come credo che possa essere.
Cercherò di rispondere su questo tema, seguendo l'insegnamento che proviene dal settore del vino italiano. Vent'anni fa, quest'ultimo era considerato come un vino da taglio per il grande vino francese. Ricordo le guerre del vino nel porto di Marsiglia, con i produttori francesi che, irritati dalla politica agricola dell'Italia che invadeva i loro mercati, gettavano dalle navi le botti di vino italiano perché, ovviamente, volevano utilizzare soltanto quello francese. Poi si verificò lo scandalo del metanolo e tutto questo insieme di fattori portò alla rivoluzione del vino, che ci ha permesso di superare il vino francese sul mercato statunitense, lo scorso anno. È emblematico - lo dico per spiegare come, secondo la mia opinione personale, bisogna affrontare le modifiche strutturali del mercato mondiale - notare come nel mercato statunitense il vino italiano non competa più con il vino francese, che è stato superato, ma con il vino australiano. Vent'anni fa, quando si è iniziato questo percorso della qualità, in Australia non c'era la vite. Oggi, il vino australiano è prodotto grazie a una grande coltivazione estensiva - credo che ci siano 10 o 12 produttori in tutto, su territori estremamente vasti - ed è anche di buona qualità. Questo significa che, mentre in precedenza potevamo tentare di competere soltanto con i francesi, oggi ci sono gli australiani, i cileni, i sudafricani e i canadesi. Ricordo di aver visitato, nel corso di una delle mie innumerevoli missioni, la produzione vinicola realizzata da un siciliano che quarant'anni fa ha lasciato la Sicilia e, nelle pianure del Niagara, produce un vino straordinario (e non solo quello) di origine siciliana, denominato Icewine. La vendemmia è effettuata d'inverno, nel mese di dicembre, e di notte, quando la temperatura scende a 12 gradi sotto lo zero. Infatti, per quella tipologia di vino, questa è l'unica procedura che consenta di realizzare un prodotto di grandissima qualità, simile al nostro Marsala. La vendemmia, quindi, non avviene nel mese più caldo dell'anno - come abitualmente avviene in Italia - ma nel mese più freddo e nella notte più fredda. Questo è un esempio di innovazione tecnologica e qualità. È una strada che anche noi dobbiamo seguire e stiamo seguendo, cioè la strada della qualità, dell'ambiente, della tutela dell'agricoltura e della produzione intensiva e di qualità, in Italia. Accanto ad essa, dobbiamo perseguire la realizzazione di una filiera internazionale che abbia radici italiane e consenta anche all'estero - ma non sono all'estero - una coltura estensiva su altre tipologie di prodotti.
Peraltro, nel «pacchetto» che ho presentato al ministro Siniscalco sulla internazionalizzazione, noi prevediamo ulteriori misure di incentivo alla internazionalizzazione delle imprese agricole, anche di quelle agricole; nel contempo, prevediamo la sospensione di ogni incentivo per le imprese che investano all'estero, cessando la loro attività in Italia. Secondo la logica che ci muove, le risorse pubbliche devono essere concentrate nelle imprese che realizzino internazionalizzazione a somma positiva, cioè le imprese che investano all'estero per aumentare la loro capacità di penetrazione nei mercati e, nel contempo, operino in Italia, realizzando una internazionalizzazione di impresa, l'unica che possa permettere al nostro sistema economico di competere su scala globale conservando la nostra immagine di produzione di grande qualità. Questo ed altri provvedimenti - di cui, eventualmente, possiamo discutere - sono contenuti nel collegato alla legge finanziaria.
Il senatore Murineddu - anch'egli di evidente origine isolana - mi chiedeva quale possa essere il sostegno, su quali prodotti e come possano essere i prodotti. Noi sosteniamo le imprese che esportano, ovviamente, attraverso l'ICE, in base ad alcune leggi che sono in vigore ormai da tempo e di cui stiamo informando meglio le imprese e attraverso alcuni strumenti di investimento all'estero. Anche per le imprese agricole è possibile utilizzare i fondi di rotazione - che abbiamo incrementato e sono dotati di sufficiente disponibilità finanziaria - che prevedono, in alcune aree strategiche, sino al 49 per cento di sostegno da parte dello Stato per le imprese che investano all'estero, continuando ad operare anche in Italia. Ovviamente, trattandosi di fondi di rotazione producono utili anche per le casse dello Stato. Quest'anno, nella direttiva che abbiamo impartito per gli utili della SIMEST, abbiamo previsto anche un piano di business accounting per le imprese del settore agroalimentare in alcuni scenari quali il Mediterraneo, i Balcani, alcuni paesi africani come l'Angola e nello scenario sudamericano, attività che saranno realizzate con gli utili annuali che la SIMEST realizza (fortunatamente, si tratta di un'impresa pubblica che produce utili e già questo è significativo).
Però questo non basta, perché attiene al sostegno alle imprese che si internazionalizzano e credo che sia importante; tuttavia, ci deve essere anche un sostegno alle imprese che commercializzano i prodotti. Abbiamo visto quali difficoltà vi siano per le piccole e medie imprese italiane nel rimanere nei mercati anche perché, spesso, tali mercati richiedono grandi quantità di prodotto che non sempre le nostre imprese sono in grado di realizzare. In base ad alcuni esperimenti che abbiamo effettuato, abbiamo constatato quanto utili siano state alcune manifestazioni che abbiamo organizzato, prima in Canada, poi nella provincia americana e, ultimamente, in maniera più compiuta e significativa, nei grandi magazzini Harrods presso i quali, per due mesi (si chiuderà fra pochi giorni), abbiamo creato una grande esposizione del made in Italy. Chi sia stato a Londra ne è consapevole, perché tutto il sistema degli autobus londinesi e tutte le vetrine di Harrods sono dedicate al made in Italy. Grazie all'accordo con alcune regioni e alle risorse che abbiamo impiegato (il ministero, attraverso l'ICE, e le regioni, per la loro parte) abbiamo permesso a 260 piccole e medie imprese di esporre e vendere i loro prodotti, per la prima volta, nel grande mercato mondiale rappresentato da questi magazzini londinesi. Il risultato è stato straordinario, soprattutto per quanto riguarda il settore agricolo e agroalimentare. Ad esempio, alcuni produttori napoletani presso i magazzini Harrods realizzavano per il cliente e servivano la mozzarella napoletana, per far capire il processo di produzione.
È nostra intenzione realizzare un accordo pluriennale di questo tipo con la grande catena di distribuzione commerciale che, ovviamente, non sarà italiana. Infatti, non esistono più catene italiane capaci di essere presenti sul mercato; esiste la Coop Nordest, in Croazia, ma non altro. Con una grande catena di distribuzione commerciale francese, con la quale abbiamo già intrattenuto contatti, siamo in dirittura d'arrivo nella realizzazione dello stesso modello di piano di promozione e di commercializzazione dei prodotti su scala internazionale. Questa impresa è presente contemporaneamente in 29 paesi diversi, compresa la Cina. Il nostro problema è quello di far conoscere in alcuni mercati il prodotto agricolo e, soprattutto, agroalimentare italiano e di offrire una opportunità alla piccole e medie imprese per la penetrazione in quei mercati, mettendole in collegamento diretto con la grande distribuzione. In tal modo, i produttori diverranno fornitori della grande distribuzione, che può apprezzare il prodotto grazie a queste grandi campagne che stiamo realizzando. Credo che questo sia il compito principale che dobbiamo svolgere per permettere alle piccole e medie imprese del settore agricolo e, soprattutto, agroalimentare di entrare direttamente in contatto con la grande distribuzione e restare a presidiare il mercato.
Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Preda, rispondo: non l'Angola ma anche l'Angola. Non intendo affermare che le imprese agricole italiane si delocalizzeranno, nel senso che produrranno soltanto in Angola, ma sostengo che noi dobbiamo presidiare i mercati nascenti, realizzando anche in quei mercati la nostra produzione, per poi riversarla in mercati terzi. In questo caso, si tratta di una grande impresa italiana, largamente presente in Italia, che intende internazionalizzarsi per andare in Angola, prima che lo facciano altri. In Angola, ho incontrato cinesi che acquistavano il marmo per le loro produzioni e vi ho accompagnato i rappresentanti di due imprese italiane per fare altrettanto, prima che lo facciano altri. Questo riguarda tanti paesi e riguarda la ristrutturazione del mercato mondiale. Peraltro, il marchio italiano - si citavano Cirio e Parmalat - è affermato nel mondo. L'operazione di riconversione di Parmalat e di salvataggio di Cirio sono andate in porto - come si può dimostrare - proprio per la valenza dei grandi marchi e perché quella crisi era finanziaria e non certo una crisi del prodotto.
Per quanto riguarda gli accordi MIPAF-MAP, si chiedeva che cosa si potesse fare insieme. Noi stiamo svolgendo insieme una politica commerciale che nasce da Doha (perciò rispondo anche a qualche domanda formulata successivamente, in merito al round negoziale). Le regole del commercio mondiale non le scrive l'Italia, anche perché la politica commerciale non è più di pertinenza del nostro paese. Ancorché io volessi, non potrei concludere accordi bilaterali sul piano commerciale. Mi è vietato in virtù della nostra appartenenza all'Unione europea. Quando sono stato in Cina per concludere un accordo commerciale bilaterale al fine di sbloccare le importazioni di coke sono stato richiamato - verbalmente ed amichevolmente - in sede europea perché l'accordo lo può firmare solamente la Commissione europea per tutte le imprese del vecchio continente: cosa che è stata fatta successivamente anche grazie alle sollecitazioni italiane.
La politica commerciale è di esclusiva competenza europea, quindi se volessi realizzare una politica protezionistica basata sui dazi - che, comunque, non intendo promuovere poiché la ritengo non utile, anzi nociva - non potrei farlo; inoltre, voi non potreste mai approvare in Parlamento un disegno di legge riguardante l'introduzione di dazi. Lo ripeto, la politica commerciale è di esclusiva competenza europea: solo l'Unione europea può firmare accordi in materia ed elevare o abbassare i dazi nei limiti degli accordi sottoscritti in ambito WTO. Per esempio, per quanto riguarda la politica nei confronti della Cina sapete bene che, in questo momento, vi sono - credo - almeno trentatré misure daziarie di salvaguardia nei confronti di prodotti cinesi di varia natura; al riguardo, molto spesso, accade che imprese italiane mi chiedano di togliere questi dazi.
Il round è come un processo di riforma; infatti a Doha è stato presentato un disegno di legge approvato, con grandi difficoltà, dalla Conferenza. In quel disegno di legge - la bozza degli argomenti e degli obiettivi che si dovrebbero realizzare - noi abbiamo inserito, per quanto riguarda l'agricoltura, tre concetti fondamentali di politica commerciale che stiamo sviluppando in Italia, in Europa e nel WTO: essi sono fondamentali perché aprono la via al futuro.
Ad esempio, il concetto della multifunzionalità non esisteva prima della Conferenza di Doha; esso permette di considerare l'agricoltura non solo per i suoi aspetti commerciali. Tutto questo ha aperto sia la riforma della PAC - che, altrimenti, non sarebbe stato possibile realizzare - sia un'autostrada ai prodotti italiani ed europei perché viene riconosciuta la multifunzionalità dell'agricoltura. Diversamente da quanto avvenuto finora a livello di WTO, si riconosce che un paese può sostenere gli aspetti non commerciali dell'agricoltura come, ad esempio, quelli ambientali o sociali; su questo si è realizzata la PAC, altrimenti non si sarebbe potuto fare niente. Quindi, difendiamo l'aspetto della multifunzionalità nell'arco del round poiché esso è sottoposto ad alcune minacce anche se, per la verità, credo che sotto questo aspetto ci potremmo ben tutelare.
Il secondo punto riguarda l'inserimento, per la prima volta, delle tematiche ambientali. Quando si parla di standard sociali ed ambientali bisogna considerare il fatto che essi non sono di pertinenza del WTO, ma di altri organismi internazionali che non riescono ad applicarli perché, a differenza del WTO, non possono contare su un processo decisionale certo in base al quale punire i trasgressori. Noi europei vogliamo inserire queste tematiche in ambito WTO perché sappiamo che tale organo è l'unico che può sanzionare il paese più forte tra i forti (mi riferisco agli Stati Uniti d'America, ma non solo); esso, infatti, può contare su di una corte d'appello in grado di comminare sanzioni immediatamente applicabili. Per questo i paesi in via di sviluppo - non solo loro - si oppongono in modo deciso all'inserimento di standard sociali ed ambientali nell'ambito del WTO. In ogni modo, a Doha siamo riusciti ad inserire materie ambientali o parte di esse (mi riferisco anche al settore della sanità) che, in qualche misura, possono entrare all'interno del round negoziale. Debbo, però, riconoscere che per quanto riguarda il capitolo delle tematiche ambientali non sono stati fatti passi in avanti da Doha in poi. Riguardo, invece, agli standard sociali vi è stata una ferocissima opposizione - che credo si realizzerà anche per il futuro - dei paesi in via di sviluppo che li considerano alla stessa stregua di una tematica protezionistica. L'Unione europea, soprattutto durante il periodo di presidenza italiana, ha intensificato l'azione in merito a queste tematiche, affinché siano inserite nell'ambito del WTO.
Il terzo elemento preso in considerazione a Doha concerne le indicazioni d'origine che tutelano i nostri prodotti DOC in generale. Su questo argomento siamo riusciti a non arretrare nell'accordo di Ginevra; inoltre penso che riusciremo a raggiungere l'obiettivo entro il round negoziale. Quest'ultimo, che va considerato come un percorso di riforma, quanto durerà? Secondo gli obiettivi di Doha avrebbe dovuto durare tre anni, quindi si sarebbe dovuto concludere in questi giorni: in ogni modo, nessun round negoziale è durato tre anni. L'ultimo, infatti, è durato otto anni, ancorché prevedesse molti meno attori degli attuali centoquarantotto. Personalmente spero e credo che questo round si possa concludere - grazie anche al cambio dei commissari - nella primavera del 2006, praticamente dopo quattro anni e mezzo, comunque l'arco di tempo più breve finora registrato per un evento di questo tipo. Al termine del round avremo delle nuove regole per quanto riguarda il commercio internazionale, comprensive delle tematiche appena prese in esame.
Io parlo delle questioni inerenti le mie competenze relative alla promozione e all'internazionalizzazione; in ogni caso il lavoro portato avanti in coordinamento con il ministro Alemanno è straordinario e ciò riguarda varie tematiche, comprese quelle commerciali.
Il successo ottenuto dall'Italia circa la collocazione a Parma della sede europea per l'autorità alimentare dimostra come il nostro paese stia riuscendo a sviluppare una politica che ci permetta di avere degli importanti riconoscimenti. Potremmo così sviluppare una politica più importante e significativa anche nel campo della tutela sanitaria.
Il senatore Piatti ha parlato delle fiere e dei distretti agroalimentari che, tra l'altro, esistono anche all'estero. Abbiamo supportato l'esposizione Cibus, così come intendiamo supportare quella che verrà realizzata a Mosca nel 2005. L'esposizione è stata un successo nonostante, sul teatro brasiliano, si sia scontato lo scandalo della Cirio, anche se spero si possa recuperare.
Noi stiamo sostenendo le fiere italiane attraverso un accordo di settore che abbiamo sottoscritto, poiché la fiera è sicuramente uno strumento di internazionalizzazione prioritario per le imprese italiane, anche perché ormai fornisce servizi e non soltanto spazi espositivi.
Per quanto riguarda il coordinamento dell'attività, assume particolare importanza - ne sono coscienti soprattutto i colleghi senatori - il provvedimento sull'internazionalizzazione che è stato approvato dalla Commissione del Senato la scorsa settimana. Tale provvedimento prevede un quadro organico di coordinamento tra diversi ministeri per quanto concerne l'internazionalizzazione: ciò al fine di aprire gli sportelli «Italia» nel mondo. Esso prevede anche l'aumento degli esperti - collocati presso il Ministero degli affari esteri - e, di conseguenza, l'aumento degli addetti commerciali e agricoli. Si potrà contare, soprattutto, su un quadro organico di coordinamento delle attività di promozione e di internazionalizzazione nel nostro sistema. Tale quadro, al di là della buona volontà degli attori, ci permetterà di essere presenti nei paesi del mondo come sistema Italia e non soltanto come singole realtà che intendono promuovere all'estero i propri prodotti. Di grande rilevanza in tal senso è la modifica apportata dalla Camera dei deputati all'articolo 117, comma 5, della Costituzione, laddove è stata inserita - ringrazio il ministro Calderoli di aver accettato un mio suggerimento in pochi secondi - una dizione che permette di restituire allo Stato una cabina di regia per la promozione internazionale. Nell'articolo 117 è stata, infatti, inserita tra la politica di difesa e quella degli esteri la promozione internazionale del sistema paese. In conseguenza di ciò il turismo resta competenza esclusiva delle regioni, il commercio estero resta - come è giusto che sia - competenza concorrente, ma la promozione internazionale del sistema paese sarà un argomento riguardo al quale lo Stato non si potrà lavare le mani.
Sul problema dei dazi mi sono già espresso in precedenza. Sono convinto che i dazi possano e debbano essere utilizzati nell'ambito delle regole della WTO, come misure di salvaguardia. Per esempio, per quanto riguarda i settori tessile e calzaturiero, abbiamo sollecitato la Commissione europea a realizzare - e la Commissione ha recepito la proposta italiana - un sistema di monitoraggio che entrerà in vigore tra breve, in vista della scadenza dell'accordo multifibre, il 1o gennaio 2005, per verificare quanto accade e permettere a chi di dovere, eventualmente, di predisporre misure di salvaguardia, appunto secondo le regole della WTO. Tali regole prevedono due azioni in tal senso: l'una da attuarsi quando un prodotto è venduto ricorrendo al dumping - molto spesso accade, nel mercato europeo - e l'altra nel caso di una invasione anomala di prodotti, come quella che si potrebbe verificare alla scadenza dell'accordo multifibre. Anche in questo caso, è possibile ai singoli soggetti - alla Commissione europea, non all'Italia in quanto tale - azionare misure di salvaguardia di singoli prodotti o di interi settori.
Il senatore Vicini si è riferito al distretto del prosciutto. Credo che in questo ambito bisogna lavorare - come stiamo lavorando - soprattutto per aprire agli altri mercati. Ho sollecitato, con successo, il Governo cinese ad aprire la Cina ai prodotti caseari ed ai prosciutti italiani. Si sta sviluppando una serie di accordi in tal senso, ben sapendo quanto importante sia, per la produzione del prosciutto, il mercato cinese. I cinesi, infatti, lo producono e lo consumano. Sappiamo, invece, quanto sia difficile ottenere lo stesso risultato per i prodotti lattiero-caseari, perché i cinesi non ne producono e non ne consumano (come sappiamo, non hanno gli enzimi per poter digerire questi prodotti). Ovviamente, si tratta di un processo di sviluppo.
In ogni caso, per quanto riguarda l'agricoltura noi cerchiamo di realizzare un sistema tale per cui i vari settori produttivi siano promossi insieme; ovviamente, non è facile ma è doveroso soprattutto in epoca di globalizzazione. Quando ci riferiamo alle 4 A, intendiamo l'impegno volto a mettere insieme i quattro settori di eccellenza delle produzioni italiane, cioè l'agroalimentare, l'arredo, l'abbigliamento e l'automazione, che serve a produrre gli altri tre. Le 4 A devono essere promosse insieme, come stiamo facendo attraverso i grandi piani di promozione straordinaria del made in Italy in Cina, quest'anno, e in Russia, il prossimo anno, sempre se nella legge finanziaria saranno confermate le risorse secondo la proposta del Governo al Parlamento. Spero, anzi, che saranno incrementate nel corso del passaggio parlamentare. Le 4 A, insieme, disegnano il sistema della persona, e, quindi, della qualità, che ci è riconosciuto nel mondo: ciò che un uomo decide per la propria alimentazione, per la propria presenza fisica, cioè l'abbigliamento, per l'ambiente in cui vive, quindi l'arredo, e, infine, per quanto riguarda l'automazione personale, cioè l'automobile, e l'automazione industriale. Queste 4 A, insieme, sono realizzate anche per quanto riguarda la promozione del prodotto italiano. Noi crediamo molto in questa possibilità.
Infine, quanto all'analisi di Bankitalia, essa riguardava il decennio 1992-2002, ovviamente. Questo decennio ha visto l'Italia in difficoltà, perché è quello iniziatosi con la caduta delle frontiere. La WTO fu istituita nel 1994, non a caso, e con l'adesione di altri Stati a questa organizzazione si è verificato un processo di abbattimento delle frontiere e di cambiamento delle capacità competitive di ogni paese. Ovviamente, essendo entrati nuovi soggetti, nuovi attori che prima non esistevano, nell'economia mondiale, c'è bisogno di spazio per ciascuno di essi, bisogna aggiungere posti a tavola e la tavola deve essere divisa con altri. È vero che l'Italia ha perduto più degli altri paesi industrialmente avanzati perché i suoi settori produttivi sono simili a quelli dei paesi in via di sviluppo. Se sovrapponiamo i settori produttivi italiani con quelli della Cina o dell'India scopriamo che noi realizziamo le stesse produzioni, anche se qualitativamente migliori. Questo non avviene per la Francia, la Germania, la Gran Bretagna e per gli Stati Uniti, che sottoposti alla pressione competitiva italiana, nei decenni scorsi sono stati costretti a spostare i loro settori produttivi in altri ambiti a più alta tecnologia. Per questo motivo, su di essi la competizione dei paesi in via di sviluppo incide meno. Noi dobbiamo spostare le nostre produzioni verso settori a più alta tecnologia, per realizzare beni che gli altri competitori non producono e, nel contempo, elevare la qualità tecnologica delle nostre imprese nei settori produttivi tradizionali del made in Italy e la qualità della nostra produzione. Perciò la politica italiana, anche la politica commerciale, è tesa alla tutela della qualità, alla lotta alla contraffazione e alla concorrenza sleale e, nel contempo, all'apertura verso altri mercati. L'Italia ha prosperato nel mondo quando si è aperta verso altri mercati e non quando si è chiusa in se stessa.
PRESIDENTE. Ringrazio il viceministro Urso per la sua disponibilità e, soprattutto, per tutte le argomentazioni che ha enunciato, sia nella relazione introduttiva, sia nella replica ai numerosi interventi estremamente qualificati.
Se dovessimo ravvisare l'opportunità di ascoltarla nuovamente in seguito, penso di poter contare sempre sulla sua disponibilità.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15,35.
SENATO DELLA REPUBBLICA
XIVLEGISLATURA
9a COMMISSIONE PERMANENTE
(Agricoltura e produzione agroalimentare)
del Senato della Repubblica
SEDUTA CONGIUNTA CON LA
XIII COMMISSIONE PERMANENTE
(Agricoltura)
della Camera dei deputati
INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI SCENARI DELLE POLITICHE AGRICOLE NELL'EUROPA ALLARGATA
3° Resoconto stenografico
(La numerazione dei resoconti stenografici comprende le sedute svolte
dalla Commissione
XIII della Camera dei deputati congiunta con la Commissioni 9° del Senato della
Repubblica
presso la Camera dei deputati)
SEDUTA DI MERCOLEDÌ 16 FEBBRAIO 2005
Presidenza del
presidente della 9a Commissione permanente del Senato
RONCONI
Senato della Repubblica -2 - XIV Legislatura
COMMISS. CONGIUNTE 9ª SENATO E XIII CAMERA 3°RESOCONTO STEN. (16febbraio 2005)
INDICE
Audizione del Ministro per le
politiche comunitarie
PRESIDENTE ................. Pag. 3, 6, 13 e passim
* AGONI (LP), senatore ................ 5, 6, 13 e passim
BASILE (Misto), senatore .......................................... 7
* BONGIORNO (AN), senatore ....................... 10,15
BUTTIGLIONE, ministro per le politiche co‑
munitarie ........................................... 3, 9,13 e passim
* DE GHISLANZONI CARDOLI (FI), depu‑
tato ............................................................................... I1
VICINI (DS-U), senatore ................................... 8,9
N.B.: L'asterisco indica che il testo del discorso è stato rivisto dall'oratore.
Sigle dei Gruppi parlamentari del Senato della Repubblica: Alleanza Nazionale: AN; Democratici di Sinistra-l'Ulivo: DS-U; Forza Italia: FI; Lega Padana: LP; Margherita-DL-l'Ulivo: Mar-DL-U; Per le Autonomie: Aut; Unione Democristiana e di Centro: UDC; Verdi-l'Unione: Verdi-Un; Misto: Misto; Misto-Comunisti Italiani: Misto-Com; Misto-Italia dei Valori: Misto-IdV; Misto-La Casa delle Libertà: Misto-CdL; Misto-Lega per l'Autonomia lombarda: Misto-LAL; Misto-Libertà e giustizia per l'Ulivo: Misto-LGU; Misto-MSI-Fiamma Tricolore: Misto-MSI-Fiamma; Misto-Nuovo PSI: Misto-NPSI; Misto-Partito Repubblicano Italiano: Misto-PRI; Misto-Rifondazione Comunista: Misto-RC; Misto-Socialisti democratici Italiani-SDI: Misto-SDI; Misto Popolari-Udeur: Misto-Pop-Udeur.
Sigle dei gruppi parlamentari della Camera dei deputati: Forza Italia: FI; Democratici di sinistra-l'Ulivo: DS-U; Alleanza nazionale: AN; Margherita, DL-L'Ulivo: MARCII-U; Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro: UDC; Lega Nord Federazione Padana: LNFP; Rifondazione comunista: RC; Misto: Misto; Misto-Comunisti italiani: Misto-Com.it, Misto-socialisti democratici italiani: Misto-SDI; Misto-Verdi-l'Unione: Misto-VU; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.linguist.; Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI: Misto-LdRNPSI, Misto-Popolari-UDEUR: Misto-Pop-UDEUR; Misto-Ecologisti democratici: Misto-ED.
Senato della Repubblica - 3 - XIV Legislatura
COMMISS. CONGIUNTE 9' SENATO E XIII CAMERA 3° RESOCONTO STEN. (16 febbraio 2005)
I lavori hanno inizio alle ore 8,40.
PROCEDURE INFORMATIVE
Audizione del Ministro per le politiche comunitarie
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'indagine conoscitiva sugli scenari delle politiche agricole nell'Europa allargata, sospesa nella seduta del 27 ottobre 2004.
Ricordo che la pubblicità dei lavori sarà assicurata, secondo le forme stabilite dagli articoli 33 e 48 del Regolamento del Senato della Repubblica e dagli articoli 65 e 144 del Regolamento della Camera dei deputati, attraverso la resocontazione stenografica della seduta.
Comunico che il Presidente del Senato ha autorizzato la pubblicità dei lavori della seduta attraverso l'attivazione sia della trasmissione radiofonica, sia di quella televisiva attraverso il canale satellitare del Senato, eventualmente in differita. Resta naturalmente confermata la forma di pubblicità di cui all'articolo 33, comma 4, del Regolamento del Senato - autorizzata dal Presidente del Senato - e pertanto la pubblicità dei lavori sarà garantita anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
È oggi prevista l'audizione del ministro per le politiche comunitarie Buttiglione. Ricordo che nell'ambito di questa indagine conoscitiva sono già state svolte le audizioni del ministro Alemanno e del vice ministro Urso.
Saluto il presidente della XIII Commissione della Camera dei deputati, onorevole De Ghislanzoni Cardoli e cedo subito la parola all'onorevole ministro Buttiglione, che ringrazio per aver accolto il nostro invito.
BUTTIGLIONE, ministro per le politiche comunitarie. Mi limiterò a svolgere alcune brevi considerazioni di carattere politico generale.
L'avvio dell'allargamento risulta non creare particolari problemi o danni per il nostro sistema agricolo; sembra, piuttosto, di poter registrare un potente aumento degli scambi con reciproco vantaggio. Nel settore agro-alimentare ciò riflette una tendenza generale.
Si può affermare che oggi in Italia circa 400.000 posti di lavoro sono alimentati dalla crescita dell'interscambio con i Paesi dell'allargamento verificatosi già prima che essi fossero ufficialmente parte dell'Unione.
Pur nella faticosa ripresa economica che registriamo all'interno del-l'Unione Europea, questa tendenza va incrementandosi perché i Paesi coinvolti nell'allargamento procedono con un ritmo nettamente più spedito rispetto ai Paesi dell'Europa a 15. Il tasso di crescita più elevato presente in Europa è quello relativo ai Paesi baltici che si attestano su percentuali del 6-7 per cento, a cui seguono la Repubblica Ceca, la Slovacchia e l'Ungheria con un ritmo di sviluppo nettamente più basso ma comunque deci-
Senato della Repubblica - 4 - XIV Legislatura
COMMISS. CONGIUNTE 9ª SENATO E XIII CAMERA 3° RESOCONTO STEN. (16 febbraio 2005)
samente superiore rispetto a quello dei Paesi dell'Europa a 15; una situazione questa che apre nuovi mercati per il prodotto italiano che si afferma e rafforza le proprie posizioni.
Ritengo vada, invece, segnalata una forte preoccupazione su due versanti, il primo dei quali riguarda le trattative in corso sulla previsione di bilancio dell'Unione. La posizione tenuta, infatti, da Francia e Germania ,con il sostegno dell'Inghilterra per una riduzione del tetto di bilancio all' 1 per cento crea reali problemi per la politica agricola. Ci domandiamo se un'Europa con un bilancio all' 1 per cento sia in grado di finanziare le politiche agricole, le politiche di coesione, quelle di allargamento, le politiche di competitività e anche le politiche di protezione dei confini che dovrebbero essere incentivate (considerando il tema dell'immigrazione clandestina). Con le risorse disponibili siamo in grado di finanziare tutte queste politiche? Siamo in grado di finanziare con queste risorse le politi-che agricole, così come ridefinite dopo l'accordo franco-tedesco sostanzialmente recepito nella riforma di mezzo termine della PAC?
Di qui, la posizione del Governo italiano che riprende quella della Commissione chiedendo un tetto più elevato: 1,14, con un massimo di 1,24 nell'anno di massima spesa.
Con risorse di questa entità probabilmente sarebbe possibile far fronte ai citati settori; con risorse nettamente inferiori ciò evidentemente non è possibile. Si pone allora la domanda: dove si va a tagliare?
I candidati sono, inevitabilmente, le politiche di coesione e quelle agricole. E se si tagliassero le spese relative alle politiche agricole, in che modo si procederebbe? La riforma di mezzo termine, infatti, non ha avuto l'estensione auspicabile. Il passaggio da politiche di sostegno del prodotto a politiche di sostegno del produttore è stato compiuto, ma quello da politiche di sostegno del prodotto a politiche di sostegno allo sviluppo territoriale, il cosiddetto sviluppo rurale, risulta essere decisamente sotto-finanziato; la filosofia contenuta nei documenti comunitari è rispettabile, ma gli stanziamenti prevedibili risultano molto inadeguati.
Qualora si effettuassero tagli, sarebbe quanto meno necessario avere un'idea delle modalità di rinazionalizzazione di queste politiche, vale a dire prevedere la possibilità di finanziarle all'interno di un quadro europeo ma in misura crescente con fonti nazionali.
Mi auguro che questa discussione non sia necessaria, mi auguro cioè che la presente struttura possa essere mantenuta, ma è difficile immaginare che ciò possa avvenire dovendo toccare il bilancio comunitario in modo penetrante.
Un secondo motivo di preoccupazione riguarda la struttura che si va formando all'interno dell'Europa a 25 (quindi, le strutture decisionali reali). Cosa accadrà? Da un lato, l'allargamento non ha un impatto pesante sul prodotto tipico italiano perché in parte rilevante questo prodotto è di-verso, per ragioni climatiche, tradizionali e storiche, da quello dei Paesi dell'allargamento; nessuno di essi, infatti (eccetto Cipro e Malta che, come potete immaginare, per quantità non destano preoccupazione), ha un'agricoltura mediterranea. Dall'altro lato, invece, altera i meccanismi
Senato della Repubblica - 5 - XIV Legislatura
COMMISS. CONGIUNTE 9ª SENATO E XIII CAMERA 3° RESOCONTO STEN. (16 febbraio 2005)
decisionali, nel senso che il numero dei Paesi non interessati a politiche di sostegno del prodotto mediterraneo aumenta. In questo caso, vi è, da parte nostra, la necessità di uno sforzo intenso per creare simpatia per le ragioni della nostra agricoltura, per stabilire rapporti e creare blocchi di voto utili ad ottenere, quanto meno, un ascolto delle ragioni dell'agricoltura mediterranea. Questo è un cammino tutto in salita e tutto da percorrere.
L'approvazione e la conseguente pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della legge che sostituisce la precedente legge La Pergola forniranno migliori possibilità di coordinamento anche per queste finalità. Nella politica europea il coordinamento è tutto.
Forse mi ripeterò, ma credo sia importante farlo in questo caso: esiste una pluralità di tavoli negoziali. Se riusciamo a stabilire quali siano le priorità nazionali italiane, avremo la possibilità di coordinare le trattative sui diversi tavoli, magari cedendo qualcosa dove queste priorità non sono in gioco, per ottenere i risultati che ci stanno a cuore. Di fatto, abbiamo sperimentato questo metodo anche prima di predisporre la nuova legge. Ricordo come un esempio la battaglia sulle quote latte: si può discutere se abbiamo fatto una scelta giusta o meno di priorità nazionale, ma una volta definita quella priorità, con la collaborazione di tutti, siamo riusciti ad ottenere una soluzione soddisfacente per un problema che sembrava in-solubile. Credo che per il futuro dobbiamo lavorare, in modo più organizzato, nello stesso modo.
Potrete trovare maggiori particolari nella relazione che ho consegnato agli Uffici della Commissione.
* AGONI (LP). Signor Presidente, il ministro Buttiglione è stato molto chiaro. Egli ha addolcito la pillola con la sua parte filosofica, che tutti conosciamo, ma ha anche sottolineato le criticità dell'allargamento e del fatto di essere in Europa.
Si afferma che la Lega - io sono un senatore della Lega - sia contraria all'Europa, ma questo non è vero. La Lega non è contraria, ma critica nei confronti dell'Europa che, in questo caso, considera matrigna.
Lei stesso, ministro Buttiglione, ha parlato di due velocità tra i Paesi da poco entrati e gli altri 15 Stati membri. Spesso cito l'esempio della legge dei vasi comunicanti: quando si mettono in comunicazione due vasi con un livello diverso, si verifica un livellamento tra i due, cosicché mentre uno cresce l'altro diminuisce. Questo è quanto sta accadendo, pur-troppo per noi.
Lei ha parlato di tagli all'agricoltura: è quello che vogliono fare la Francia e la Germania, con l'appoggio della Gran Bretagna. Ricordo, però, che i finanziamenti sono già stati tagliati. Infatti, gli aiuti, che lei ha definito al produttore e non più al prodotto, sono stati fissati agli anni 2000, 2001 e 2002 e rimarranno invariati fino al 2014 (aggiungendo solo la svalutazione); in tal modo, è stato diminuito l'aiuto agli agricoltori del 20 o del 30 per cento. Peraltro, questi aiuti probabilmente diminuiranno ancora.
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È facile capire, quindi, dove siamo già intervenuti. È chiaro che ciò è stato fatto per mettere sul tavolo della World Trade Organization (WTO) la questione degli aiuti all'Est per le esportazioni dei prodotti agricoli. Le ricordo, signor Ministro, che in Italia, oltre ad un'agricoltura mediterranea, abbiamo aI Nord anche un'agricoltura continentale, che è molto sviluppata nelle produzioni di latte e carne. Questa agricoltura si deve confrontare con quella dei Paesi nordici. Risulta, però, che i Paesi del Nord vogliono fortemente che aumenti il costo di produzione dell'agricoltura continentale in Italia. Si parla di diminuire il rapporto dell'aflatossina da 50 a 10: come il presidente De Ghislanzoni Cardoli sa bene, ciò significa impedirci l'uso del mais, del pastone di mais, del trinciato di mais per l'alimentazione delle vacche; vuol dire aumentare i costi di produzione del 30, del 40 e, in certi casi, anche del 50 per cento.
PRESIDENTE. Ci sarebbe lo strumento degli organismi genetica-mente modificati.
* AGONI (LP). Questo è tutto un altro discorso. Il presidente Ronconi vuole introdurre il tema degli organismi geneticamente modificati: possiamo parlarne, perché per noi tale questione non rappresenta certamente un problema. Ma io cerco di capire e di evidenziare le reali preoccupazioni degli agricoltori nei confronti dell'Europa.
È chiaro che in Europa non siamo trattati tutti nello stesso modo: francesi, tedeschi, inglesi e Paesi Bassi stanno facendo i propri interessi. È evidente che noi non siamo abbastanza tutelati in Europa, ma non possiamo più permetterlo. Se sui nostri campi dobbiamo seminare rose o gladioli, non c'è problema: basta che paghino perché noi siamo disposti a fare anche questo.
Per la situazione geografica dell'Italia, la nostra agricoltura mediterranea è al centro del Mediterraneo: potremmo essere il punto focale di tutta l'agricoltura mediterranea, anche rispetto a quella del Nord Africa e dei Paesi del Maghreb. Inoltre, la nostra agricoltura continentale ha la fortuna geofisica di essere protetta dalle Alpi rispetto ai venti polari del Nord; ciò rende possibile quel tipo di coltivazione, come il mais, tenendo bassi i costi di produzione. Pertanto, non possiamo permettere ai nostri colleghi europei di inficiare tutto questo con regole che ci penalizzino.
Lei, signor Ministro, ha parlato della soluzione del problema relativo alle quote latte, su cui non intendo soffermarmi; tuttavia, la invito a confrontarsi direttamente con me, semmai concedendomi (se ne avrà la bontà) un colloquio personale su tale tematica che, le garantisco, non è un problema europeo, ma è un problema interamente italiano. Si tratta di una questione che dobbiamo approfondire.
In questo momento, ci stanno facendo chiudere centinaia di aziende. Non credo che questo sia il volere della Casa delle libertà: la Casa delle libertà vuole aumentare la produzione lorda vendibile del Paese e non certo diminuirla. Bisogna, pertanto, trovare il modo per aumentare la produzione lorda vendibile, evitando la chiusura delle aziende.
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Gli agricoltori sono disposti a chiudere le aziende perché si confrontano con il mercato e non perché qualcuno improvvisamente decide di di-fendere le proprie poltrone. Mi riferisco, signor Ministro, ai vertici sindacali italiani (non ad altre persone), che hanno visto tremare le loro sedie e, quindi, cercano di difendere il proprio orticello. Ciò va contro qualsiasi filosofia della nostra parte politica, cioè della Casa delle libertà, ma credo anche dell'opposizione, perché nessuno vuole diminuire la produzione lorda vendibile del Paese.
Vorrei poi che si approfondisca meglio la questione dei 400.000 posti di lavoro in più, che lei ha citato, perché sinceramente io non ho notato in agricoltura un simile aumento di occupazione.
BASILE (Misto). Signor Presidente, ringrazio il ministro Buttiglione per l'interessante relazione svolta.
Desidero precisare che in effetti, prima dell'allargamento, soprattutto le Regioni del Sud dell'Europa e del Mezzogiorno italiano hanno temuto l'ingresso dei nuovi Paesi, come se questi avessero potuto minare, nello scenario europeo, la posizione dell'agricoltura mediterranea. Molti studi hanno dimostrato, invece, che 1'import-export, cioè i flussi tra l'Unione Europea e i 10 nuovi Stati membri (gli otto Paesi PECO, più Cipro e Malta) hanno un reciproco vantaggio, come ha sottolineato anche il ministro Buttiglione; anzi, nel gioco delle importazioni e delle esportazioni, forse si rileva addirittura un vantaggio lievemente superiore per l'Unione Europea.
Nei Paesi candidati esiste un problema Nord-Sud; infatti, se si osserva la realtà di quegli Stati (soprattutto quella ungherese), si rileva l'esistenza di un problema territoriale.
Tra l'altro, desidero rimarcare che, dal 1993, anno in cui sono stati attivati i rapporti e poi i negoziati sull'allargamento, sono stati fatti molti progressi; all'interno dei negoziati, 31 capitoli prevedevano l'introduzione del cosiddetto acquis communitaire nei 10 Paesi. Alla fine, però, è stata assunta una decisione politica, che ha - appunto - una valenza politica, perché molti di quei Paesi non erano e non sono ancora pronti ad essere pienamente membri dell'Unione Europea.
I problemi della politica agricola comunitaria sono sì problemi finanziari, ma non solo. È stata realizzata una riforma della PAC, la cosiddetta riforma Fischler di medio termine, ma è rimasto un problema che riguarda la questione della distribuzione delle risorse fra prodotti continentali e pro-dotti mediterranei; molti studi hanno dimostrato che purtroppo i prodotti mediterranei sono stati a lungo negativamente discriminati rispetto a quelli continentali: basti pensare all'ortofrutta, con alcune organizzazioni comuni di mercato che hanno beneficiato molto meno rispetto alla loro presenza e alla loro importanza nel settore. Ricordo che quando era ministro Paolo De Castro era stato lanciato una sorta di Piano Marshall per le produzioni mediterranee, che però non ha avuto alcuna concreta realizzazione successiva.
Sono d'accordo con il Ministro sul fatto che non esista un diretto impatto sul prodotto italiano. In effetti, il prodotto tipico italiano è un pro-
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dotto del tutto diverso, per cui non possiamo assolutamente parlare di competitività con le produzioni dei Paesi PECO.
Credo che lo scopo della nostra indagine conoscitiva, riguardante gli scenari delle politiche agricole nell'Europa allargata, debba ricomprendere ormai non solo i Paesi che sono già membri dell'Unione Europea, ma soprattutto i Paesi che hanno fatto domanda di adesione e che entreranno a farne parte, a cominciare dalla Romania e dalla Bulgaria nel 2007, per passare alla Croazia e alla Turchia (Paese sul quale c'è un punto interrogativo), ad altri Paesi balcanici e forse anche alla Russia. Le politiche di vicinato e di prossimità sono estremamente importanti anche per i riflessi che può avere la politica agricola comunitaria. Credo sia necessario seguire adesso l'evoluzione dei rapporti dell'Unione Europea con questi Paesi, e cercare, con molta moderazione, con molto equilibrio, di impostare il loro ingresso in modo che non ne risenta l'agricoltura.
C'è un problema finanziario, ed il Ministro lo ha specificato molto bene. Credo ci sia anche un problema che deriva da altre importanti riforme che verranno completate nel 2006. Mi riferisco, in particolare, alla riforma dei fondi strutturali che vede l'agricoltura separata dagli altri fondi. Io non so allora come questo possa essere interpretato, perché il mio timore è che l'agricoltura venga lasciata a sé e che possa pagare lo scotto di questa nuova politica. Mi auguro che così non sia e che soprattutto per alcune produzioni, tipiche e tradizionali, che vanno incentivate, si possa sperare in qualcosa di diverso; vi è, peraltro, il grosso problema da noi già affrontato degli OGM.
In generale, ritengo che il problema degli effetti sulla PAC sia da considerare insieme al problema delle Regioni in ritardo di sviluppo. Le due politiche dell'Unione Europea vanno considerate logicamente insieme. Fino al 2013le Regioni del Mezzogiorno non subiranno gli effetti dell'ingresso dei nuovi Paesi, però, secondo me, questo problema dovrà essere affrontato in futuro.
VICINI (DS-U). Signor Presidente, vorrei innanzitutto esprimere il mio compiacimento al Ministro per la franchezza e l'onestà intellettuale con le quali ha presentato un problema e un tema di grande interesse per il nostro Paese, quello del futuro della Comunità europea allargata. E fuori di dubbio che l'allargamento dovrebbe offrire maggiori opportunità ad un grande Paese come il nostro: è evidente che l'allargamento comporta anche uno sforzo per l'innovazione. Le preoccupazioni che il Ministro molto seriamente ha posto alla nostra attenzione, tuttavia, sono condivisibili poiché, nel momento in cui stiamo confrontando la nostra economia con quella di Paesi a costi di produzione decisamente più bassi, e dal momento che i cosiddetti prodotti di qualità, i nostri prodotti tipici, devono confrontarsi con prodotti a costi decisamente inferiori, la preoccupazione è rilevante.
Fra l'altro, voglio evidenziare come non sia vero che i nuovi 10 Paesi non siano concorrenziali sul piano della tipicità. Occorre fare attenzione, perché, ad esempio nel campo dei prodotti suinicoli, comeil prosciutto e gli insaccati, la concorrenza può essere assai significativa; nel settore
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della carne quei Paesi hanno prodotti che hanno raggiunto un alto livello di qualità.
Ho apprezzato un indirizzo che il Ministro ha proposto, quello della politica di amicizia, il che significa che l'Europa deve trovare l'unità, e secondo me anche il riequilibrio, perché l'agricoltura non può pagare sempre anche per gli altri. Nell'insieme delle politiche occorre una corretta e adeguata mediazione per cui non sia sempre il produttore a pagare. Sappiamo benissimo che anche la mancanza di accordi di filiera ha provocato e sta provocando squilibri enormi. Ha ragione il senatore Agoni: il sistema del latte è sicuramente in crisi profonda, ma egli faceva riferimento al sistema delle quote latte, laddove non è questo il solo problema. Infatti, circa un anno e mezzo fa, abbiamo affrontato la questione del latte fresco: c'era in ballo qualcosa di molto più grosso rispetto alla questione delle quote latte, considerando il danno che quella situazione avrebbe procurato ai nostri produttori lombardi, emiliani e veneti.
Si è parlato poi degli OGM. Si tratta di una questione che dobbiamo mettere in conto, perché le scelte strategiche della Comunità europea vanno purtroppo in direzione opposta a quella che noi vorremmo, nel senso che con gli OGM in qualche misura dovremo fare i conti; ma non siamo attrezzati ed aggiornati per fare i conti con questa realtà, con il rischio di veder diminuire il valore aggiunto dei nostri prodotti tipici rispetto ad una situazione generale che ci creerà dei problemi.
Per quanto concerne la questione dei trattamenti differenziati, invito il Ministro a lavorare, ovviamente insieme agli altri Ministri degli affari esteri e delle politiche agricole, perché si ricostruisca in Europa, tra i grandi Paesi di cui noi ci onoriamo di far parte, quella unità senza la quale non si riuscirà ad affermare l'interesse collettivo del nostro Paese.
Probabilmente i 400.000 posti in più citati - poi ce lo dirà il Ministro - fanno riferimento ad un indotto più ampio rispetto all'agricoltura fine a se stessa.
BUTTIGLIONE, ministro per le politiche comunitarie. È un dato riferito all'intera economia italiana.
VICINI (DS-U). Quindi, questo è un messaggio che indica che l'allargamento, se gestito con politiche adeguate, può rappresentare per il fu-turo dell'Italia un elemento positivo. Però, facendo ancora riferimento a quanto detto dal senatore Agoni, occorre fare attenzione a che non sia sempre un settore a pagarne il prezzo.
Vorrei poi conoscere, signor Ministro, proprio per la stima che nutro nei suoi confronti, la sua opinione sulla riforma di medio termine della PAC, perché ho la sensazione che questo tema, che è estremamente delicato soprattutto per le zone deboli del nostro territorio, possa comportare dei grossi problemi. Non mi sembra che nella riforma della PAC il passaggio dal prodotto al produttore stia determinando effetti positivi; è ancora presto per dirlo, però temo - ripeto - che in montagna e nelle zone deboli avremo troppi cadaveri sul campo, e questa è una preoccupazione che abbiamo e sulla quale vorremmo sentire la sua opinione.
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Ho posto questa domanda perché ho notato che lei ha fatto riferimento a dati oggettivi e non di propaganda. Questo fa onore ad un Ministro della Repubblica, ma anche al Parlamento che rappresenta.
BONGIORNO (AN). Ho l'impressione che dietro qualunque questione vi sia un fatto economico. Aumentano le esigenze, anche a causa dell'allargamento (non soltanto perché in prospettiva può tradursi in una grande risorsa ed opportunità), ma non aumentano in genere proporzionalmente le risorse finanziarie e le energie.
Negli ultimi tempi sempre più si parla di ridurre gli stanziamenti in favore dell'agricoltura assistita per trasferire risorse e stanziamenti nel settore della competitività (immagino che quando si parla di competitività si faccia riferimento anche al comparto agricolo). Il principio può essere condiviso - e personalmente lo condivido - perché il vero problema dell'agricoltura italiana, in specie dell'agricoltura meridionale mediterranea, sta nel fatto che per 50 anni si è realizzata solo agricoltura assistita. Per tali motivi, condivido il trasferimento degli interventi dal prodotto al produttore.
Finora la produzione è aumentata in maniera spropositata senza tener conto di cosa il mercato richiedesse o fosse nelle condizioni di assorbire. Voglio ricordare, signor Ministro, che la Sicilia produce il 50 per cento del vino italiano e, nell'ambito della Sicilia, la Provincia di Trapani nel suo piccolo produce il 50 per cento della produzione siciliana. Proviamo ad immaginare cosa rappresenti per la vitivinicoltura italiana la Provincia di Trapani. Ebbene, le cantine siciliane sono piene del prodotto della campagna 2004; non si è riusciti ancora a vendere per intero il prodotto della campagna 2003 e la campagna 2005 è ormai alle porte.
Possiamo imputare questo stato di cose a più motivi, ma forse dovremmo iniziare a chiederci se dobbiamo continuare a difendere e soste-nere l'attuale quantità di produzione o se, invece, non sarebbe meglio rivedere l'impostazione generale del comparto primario.
Per quanto concerne la competitività, come è stato già detto, l'impostazione generale europea di cui si parla è condivisibile. Al tempo stesso, però, mi chiedo come si possa realizzare, se lo scorso mese di settembre - ho avuto modo di sottolinearlo pochi giorno or sono in questa Commissione - il Consiglio europeo ha approvato un regolamento con il quale si proroga sino al mese di settembre 2005 (dopo quella data non si sa poi cosa succederà) la facoltà di importare e commercializzare in Europa vini aggiustati argentini secondo tecniche e pratiche enologiche vietate in Europa dal 1997. Mi chiedo come si voglia realizzare in Europa la competitività nel settore agricolo quando si aggredisce sistematicamente ogni tentativo legislativo di qualificare il sistema di etichettatura.
Per quanto concerne poi gli OGM, non si tratta più di un'illazione: dobbiamo ormai fare i conti con l'indirizzo europeo e con la legge dello Stato italiano ed iniziare a comprendere come la produzione OGM debba interagire con la produzione agricola tradizionale. Tutto ciò impone una riflessione e una riforma non tanto normativa ma culturale della impresa agricola; una riforma concettuale, di principio, di impostazione generale del nostro sistema agricolo.
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Parlando di allargamento, si deve iniziare a pensare ad un ulteriore allargamento, un allargamento economico che già esiste, a prescindere dai provvedimenti, verso i Paesi del Nord Africa e verso quelli del Medio Oriente. Stiamo trattando il settore dell'agricoltura, ma credo che si possa far riferimento anche alla pesca. A tal proposito, abbiamo vissuto esperienze, purtroppo, fallimentari di società miste italo-tunisine alle quali non ha creduto nessuno e sulle quali sono stati investiti capitali marginali, utilizzate attrezzature obsolete e il peggior personale di cui disponevano le imprese ittiche. Credo che, se non la società mista, un tipo di impresa euro-mediterranea vada presa in seria considerazione e, nel caso, disciplinata con molta elasticità, senza il rigore tipico dell'approccio dirigista del nostro sistema legislativo. In tal modo, si potranno incoraggiare le interazioni fra quei Paesi ai quali sembra che l'Unione Europea abbia delegato la produzione della grande quantità, attribuendo alla nostra impresa la competenza per quanto riguarda la produzione di ricerca scientifica e di innovazione tecnologica: produce, cioè, le quantità a loro attribuite, ma con le tecniche e secondo i criteri da noi suggeriti.
Tutto ciò, a mio parere, offre uno scenario quanto più possibile completo rispetto ad una problematica che, giustamente, è oggetto del nostro incontro e dell'elaborazione di nuove strategie politiche, ma che deve por-tare a liberare l'agricoltura dalla prigione del dirigismo nella quale, pur-troppo, siamo imprigionati.
* DE GHISLANZONI CARDOLI (FI). Anch'io vorrei portare un piccolo contributo a questa interessante discussione, partendo da due considerazioni.
Forse finora gli agricoltori si sono basati su certezze che iniziano ad essere messe in discussione. La prima nasceva dall'accordo Chirac-Schroeder dell'ottobre 2002, in cui veniva stabilito che la politica agricola comunitaria fino al 2013 avrebbe avuto un incremento di finanziamento dell' 1 per cento, pari al tasso di inflazione programmato in Comunità europea, e che questo aumento del bilancio della spesa agricola avrebbe con-sentito di programmare investimenti ed attività agricole nei 15 Paesi già facenti parte della Comunità europea e nei 10 che vi hanno fatto ingresso il 1° maggio dello scorso anno.
Il problema però è un altro. A questo punto, la stagnazione economica che in Germania ha portato, ad esempio, un tasso di disoccupazione di oltre il 10 per cento inizia ad alimentare una riflessione da parte di alcuni Paesi contribuenti netti della Comunità europea sul finanziamento alla politica agricola comunitaria. Innanzitutto, perché 15-18 milioni di disoccupati rappresentano un problema sociale; in secondo luogo, perché il fatto che quasi il 50 per cento del budget comunitario sia destinato alla spesa agricola, quando esistono altri problemi di questo genere, è indubbiamente, per alcuni Paesi dove l'agricoltura non riveste un ruolo così importante, problematico. Una riflessione sul finanziamento della politica comunitaria nel suo complesso, non solo per quanto riguarda la spesa agri-cola ma anche - come giustamente ricordava il Ministro - sulla politica di coesione o sui fondi strutturali al di fuori della Comunità europea, ci porta
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ad ipotizzare uno scenario in cui i Capi di Stato e di Governo possono modificare quanto era stato concordato due o tre anni fa.
Penso che ancora una volta l'anello debole sia rappresentato dall'agricoltura che dovrà subire ulteriori tagli, penalizzazioni e mortificazioni. L'agricoltura si trova di fronte all'allargamento dell'Unione Europea, che può essere un'opportunità, ma anche un pericolo. Infatti, possiamo giusta-mente puntare sui prodotti di nicchia e di qualità, però - come ha marginalmente evidenziato il senatore Vicini - il 90 per cento della nostra produzione è data dalle commodities e il grano ungherese o polacco è pari o uguale a quello italiano. Indubbiamente, quindi, esiste questo problema.
Ci troviamo ancora in una fase negoziale per quanto riguarda i nuovi accordi mondiali sul commercio, che sicuramente useranno l'agricoltura come merce di scambio. Se venisse meno anche la certezza di poter programmare i nostri investimenti con il tasso programmato che è stato con-cordato due o tre anni fa, francamente mi preoccuperei fortemente per il futuro della nostra agricoltura, soprattutto rispetto allo spostamento del baricentro del potere decisionale nell'Unione Europea sempre più verso il Nord. Come ha ricordato il ministro Buttiglione, dei 10 nuovi Stati membri solo Cipro e Malta, che contano molto poco dal punto di vista agri-colo, fanno parte del bacino del Mediterraneo. La famosa minoranza di blocco tante volte ha consentito all'Italia di tutelare le proprie produzioni, non solo quelle mediterranee, ma anche quelle continentali; infatti, le minoranze di blocco hanno permesso anche l'applicazione di determinate agevolazioni per quanto riguarda la produzione del riso. Ricordo che l'I-talia è la prima produttrice di riso nell'Unione Europea e, in certe Regioni del nostro Paese, la risicoltura è la coltivazione principale. Indubbiamente, ciò ha rappresentato una forza.
Gli accordi di Berlino del 1999, che ci hanno consentito di incrementare di 900.000 tonnellate la produzione di latte italiano, sono dipesi anche da quell'accordo che l'allora ministro De Castro è riuscito a portare a termine con altri Stati. È fondamentale, quindi, il rapporto di interconnessione con gli altri Paesi.
Signor Ministro, non intendo porle alcuna domanda, ma voglio rivolgerle due raccomandazioni. La prima riguarda il fatto che, in questo momento, la rinegoziazione del contributo di tutti i Paesi al bilancio dell'Unione Europea, con la previsione di una diversa distribuzione, rischia di far saltare un meccanismo che per la nostra agricoltura è basilare. La seconda concerne la necessità che siano attivati tutti i canali diplomatici possibili per creare quelle sinergie con gli altri Paesi che si trovano nelle nostre stesse condizioni dal punto di vista agricolo: si devono attivare, cioè, quei meccanismi di minoranza di blocco o di maggioranza risicata al fine di ottenere un'ulteriore tutela per la nostra agricoltura, che - voglio ricordarlo - in questo momento sta già compiendo sforzi importantissimi in quel processo di modernizzazione fondamentale per le nostre strutture. Infatti, abbiamo ancora un dimensionamento aziendale troppo piccolo rispetto a quello delle identiche aziende degli altri Stati membri; abbiamo, pertanto, la necessità di stare sul mercato in modo più aggressivo e pro-positivo senza dar corso ad altri accordi bilaterali che tante volte ci hanno già penalizzato.
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Il senatore Bongiorno ha prima ricordato gli accordi di partenariato con Paesi che si affacciano sul Mediterraneo; io voglio citare, tra le misure più sciagurate, quell'accordo che ha consentito l'ingresso di 360.000 tonnellate di agrumi a dazio zero in Italia, nel momento in cui le clementine e gli altri agrumi della Sicilia venivano svenduti o buttati al macero perché non trovavano compratori.
Nel momento in cui si sta portando avanti un negoziato globale, è fondamentale evitare accordi bilaterali che indeboliscano la capacità negoziale del nostro Paese. In questo momento, pertanto, abbiamo effettiva-mente bisogno che il nostro Governo si faccia carico di tali problematiche e ci rappresenti in tutte le sedi istituzionali con la dovuta energia e determinazione.
PRESIDENTE. Do ora la parola al ministro Buttiglione, che, considerata l'ora, ricorrerà a tutte le sue grandi capacità di sintesi.
AGONI (LP). Signor Presidente, chiedo scusa, ma la questione oggi in esame è molto importante; peraltro, in Aula è prevista la discussione generale sul provvedimento relativo alla partecipazione italiana alle missioni internazionali.
PRESIDENTE. Per questioni relative alla pubblicità dei lavori, non possiamo andare oltre l'orario previsto. Senatore Agoni, non faccio io le regole.
BUTTIGLIONE, ministro per le politiche comunitarie. Vorrei partire dalle osservazioni del presidente De Ghislanzoni Cardoli, il quale ha in parte anticipato la mia replica.
Il coltivatore ha bisogno di certezze. L'accordo Chirac-Schroeder ha dato certezze: a mio avviso, non quelle giuste, ma comunque ha definito un orizzonte sul quale programmare la produzione. Oggi, in effetti, esiste un elemento di dubbio su queste certezze che potrebbero essere revocate. Benché io non sia convinto della bontà di quell'accordo, credo che oggi dobbiamo lottare per difendere quell'orizzonte perché alcune persone hanno già impegnato capitali e si sono già avviate lungo un percorso che, pertanto, non può essere violentato.
Il vero problema, senatore Agoni, non è rappresentato dall'Unione Europea, ma - come lei stesso ha evidenziato - dalla WTO, che esercita una forte pressione su tutte le agricolture dei Paesi più sviluppati affinché rinuncino ai sistemi di protezione che hanno adottato. Tutte le agricolture dei Paesi sviluppati, da quella americana a quelle italiana e tedesca, sono protette ed oggi hanno costi di produzione più elevati rispetto alla media dei prezzi sul mercato internazionale.
Qui abbiamo una duplice pressione: una che proviene dai produttori agricoli dei Paesi non sviluppati, che vogliono utilizzare al massimo l'agevolazione che deriva loro dai costi più bassi della loro manodopera, oltre che da altri vantaggi competitivi; un'altra, crescente, che proviene dall'interno delle economie industrializzate e vuole ridurre i costi del sostegno all'agricoltura. L'accordo Chirac-Shroeder, che - ripeto - non ha avuto il mio entusiastico sostegno, è stato però per certi aspetti positivo,
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se non altro perché ha bloccato una tendenza, già allora evidente in Germania, alla rivolta contro le politiche agricole europee. Non dimenticherò mai lo choc che mi ha provocato leggere su «Die Zeit», il quotidiano semiufficiale della socialdemocrazia tedesca, una pagina intera in cui ci si chiedeva se valesse veramente la pena di fare politiche agricole comuni. Il pericolo è rappresentato dal coniugarsi di due spinte, la prima delle quali è quella nostra interna, secondo cui senza politiche di sostegno agri-colo l'agricoltura sarebbe pesantemente ridimensionata: i costi per il bilancio dello Stato sarebbero fortemente alleviati e i consumatori potrebbero comprare a meno. È dubbio che avverrebbero le due cose contemporanea-mente, però questa è l'impostazione ed è l'offensiva davanti alla quale oggi ci troviamo non solo potenzialmente, ma anche di fatto.
AGONI (LP). È un'impostazione un po' qualunquista, ma potrebbe essere discussa.
BUTTIGLIONE, ministro per le politiche comunitarie. Sì, ma stiamo semplificando al massimo.
Allora, la via della riforma di mezzo termine, senatore Vicini, era quella di avviare progressivamente l'agricoltura europea verso il mercato, in modo tale da ridurre l'esigenza del sostegno, chiedendo condizioni e tempi idonei per poter andare in quella direzione senza distruggere le nostre agricolture. Per tale motivo, l'accordo Chirac-Shroeder a me non piaceva tanto: tagliava la parte più innovativa della riforma, che non prevedeva soltanto il passaggio dal sostegno al prodotto al sostegno al produttore, che pure è importante, perché crea la possibilità di cercare nuovi pro-dotti più facilmente recepitili dal mercato e, quindi, restituisce libertà ed iniziativa all'impresa (anche se, poi, con il sostegno ereditato dal passato si può entrare in settori in cui competono soggetti che non hanno quello stesso sostegno, con tutti i problemi che penso il ministro Alemanno vi avrà più volte illustrato e dei quali siete perfettamente consapevoli).
La parte innovativa della riforma era anche quella relativa allo sviluppo rurale: la gente, anche se propriamente non lavora più in agricoltura, non deve essere costretta ad emigrare verso le grandi città. È importante, quindi, che anche nell'ambiente rurale diventi possibile svolgere una serie di attività economiche in parte connesse con la trasformazione del pro-dotto agricolo e in parte anche sconnesse. Ad esempio, se portassimo la banda larga nelle aree rurali, tante persone che lavorano con il computer in città potrebbero farlo in campagna.
Questa, dunque, è la parte più penalizzata ed anche quella più innovativa e rappresenta il problema più delicato della vicenda.
Il pericolo che vedo io oggi riguarda un fatto preciso; ho sottolineato che l'agricoltura del Mezzogiorno oggi è relativamente isolata; so benissimo che abbiamo un settore molto importante nell'agricoltura nel Nord, ma quello segue logiche più o meno simili a quelle degli altri Paesi che hanno il medesimo tipo di prodotto e quindi non subisce rischi aggiuntivi dal fatto che è più facile realizzare una maggioranza dei Paesi del Nord che ignori l'agricoltura mediterranea. Infatti, l'agricoltura dei Paesi del Nord considererà comunque gli interessi dell'agricoltura padana; un po' di più o un po' di meno, e su quello bisognerà ovviamente destreggiarsi,
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ma non potrà dire, ad esempio, che da domani il latte non riceverà alcun sostegno. Al contrario, 1'ortofrutta già da oggi non riceve alcun sostegno e la possibilità che la riceva domani è sempre più teorica. Possiamo fare battaglie in nome di un principio di uguaglianza, ma è improbabile che queste battaglie possano avere un grande successo.
Cosa possiamo allora dire come linea di condotta, cosa almeno recepisco come linea del Governo? Il senatore Basile ha giustamente ricordato il problema che ho enunciato adesso della discriminazione dei prodotti mediterranei. È improbabile che si riesca a sovvertire questa situazione, dobbiamo essere molto attenti al modo in cui gli accordi di associazione più intensa nell'area mediterranea vengono ad interferire per evitare, quanto meno, che venga peggiorata la situazione attuale del prodotto mediterraneo. Poi abbiamo fondamentalmente bisogno di una integrazione tra politiche di sviluppo, politiche di coesione e politiche agricole. Lo sviluppo rurale, a mio parere, rappresenta lo snodo fondamentale in cui converge tutto, perché sui fondi dello sviluppo rurale convergevano da un lato le politiche di coesione, dall'altro le politiche agricole. Proprio questi sono i più penalizzati e credo che si debba fare invece uno sforzo per ottenere maggiore sostegno per queste politiche.
L'altro tema è quello della qualità, senatore Bongiorno. Riprendo sol-tanto un elemento, che è un punto di battaglia attuale, quello delle etichette: come si fa a valorizzare la qualità se non si ottengono meccanismi di etichettatura che diano al consumatore l'informazione adeguata sulla superiorità qualitativa del prodotto? Ricordo, ad esempio, la rilevante questione del miele, sulla quale mi sembra che alla fine abbiamo ottenuto un buon risultato. L'aver consentito al consumatore di distinguere nettamente tra miele di elevata qualità, di produzione italiana, perché siamo i più bravi a farlo, e miele di cattiva o comunque di non eccellente qualità, importato da qualche grande Paese che ha maggiori vantaggi sul costo, è stato fondamentale per difendere un settore importante della nostra agri-coltura. La battaglia è in corso, sappiamo le difficoltà che ci sono, io ho citato una vittoria, ma si potrebbe citare anche qualche sconfitta.
BONGIORNO (AN). Soprattutto quando il nemico è in Italia, più che fuori.
BUTTIGLIONE, ministro per le politiche comunitarie. Certo, questo è l'altro aspetto del problema. Comunque, la linea dello sviluppo rurale e della qualità del prodotto è l'unica che noi possiamo perseguire e sulla quale dobbiamo insistere.
AGONI (LP). Potrei anche suggerire il tema della sanità del prodotto, che rappresenta la sicurezza.
BUTTIGLIONE, ministro per le politiche comunitarie. Il concetto di qualità contiene tutto, perché essa vuol dire tracciabilità, certezze per la salute, in parte (anche se su questo occorre fare una riflessione) OGM-free o comunque un uso molto controllato di OGM.
Senato della Repubblica - 16 - XIV Legislatura
COMMISS. CONGIUNTE 9ª SENATO E XIII CAMERA 3° RESOCONTO STEN. (16 febbraio 2005)
AGONI (LP). Signor Ministro, non colleghiamo gli OGM con la sanità, in quanto si tratta di due elementi, sicuramente da discutere, ma completamente diversi. Io mi riferisco alla sanità dei prodotti proprio con riferimento alla filiera di produzione, cioè alla necessità di tener conto del momento in cui si cominciano ad utilizzare gli anticrittogamici, oppure di quello che gli altri Paesi possono ancora utilizzare (dal DDT all'atrazina): queste sono le cose importanti, che ci distinguono e che comportano un costo di produzione altissimo.
BUTTIGLIONE, ministro per le politiche comunitarie. Questa modalità di produzione legittima prezzi più elevati che il consumatore può essere disposto a pagare per avere certi vantaggi. Tutto ciò ci riconduce al tema dell'etichettatura, quindi della qualità, e dello sviluppo rurale, che sono le due gambe sulle quali cammina una vera riforma.
La battaglia è in corso. Non penso di essere stato troppo pessimista nel mio intervento iniziale, ma onesto. I problemi ci sono, non li scariche-rei sui Paesi nuovi. Peraltro, sarebbe interessante andare a vedere qual è stata la crescita dei salari in questi pochi anni all'interno di quelle economie, perché anche la differenza del costo del lavoro, che rimane elevata, ha registrato una notevole riduzione; diciamo che siamo passati dal rapporto di 1 a 10 di ieri a quello di 1 a 3 di oggi.
AGONI (LP). Lo sta pagando la nostra agricoltura.
BUTTIGLIONE, ministro per le politiche comunitarie. Comunque sto dicendo che si è ridotta la differenza dei salari, quindi si è ridotto anche il vantaggio competitivo che questa dava a quei Paesi, pur rimanendo una differenza elevata.
Credo che su queste linee noi dobbiamo proseguire, dando battaglia nelle sedi competenti europee, per evitare la diminuzione del sostegno all'agricoltura e per qualificare ulteriormente un percorso che porta nel tempo l'agricoltura europea a non avere bisogno di sostegno, senza diminuire le prospettive occupazionali per coloro che in questo settore oggi si guadagnano da vivere.
PRESIDENTE. Ringrazio il ministro Buttiglione per la sua presenza e disponibilità e dichiaro conclusa l'audizione. Rinvio il seguito dell'indagine conoscitiva ad altra seduta.
I lavori terminano alle ore 9,40.
COMMISSIONE Riunite
XIII (AGRICOLTURA) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 9a (AGRICOLTURA E PRODUZIONE AGROALIMENTARE) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA
RESOCONTO STENOGRAFICO
INDAGINE CONOSCITIVA
4.
SEDUTA DI MARTEDÌ 1° MARZO 2005
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA XIII COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI GIACOMO de GHISLANZONI CARDOLI
La seduta comincia alle 13,45.
(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
Audizione di rappresentanti delle organizzazioni professionali agricole.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti delle organizzazioni professionali agricole, Coldiretti, Confagricoltura, CIA e Copagri, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli scenari delle politiche agricole nell'Europa allargata, che le Commissioni agricoltura della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica hanno deliberato di svolgere congiuntamente, previa intesa tra i Presidenti dei due rami del Parlamento.
Anche a nome del presidente della 9a Commissione agricoltura del Senato, senatore Maurizio Ronconi, do il benvenuto agli auditi, a cui cedo la parola.
ANDREA FUGARO, Capo servizio organizzazione economica della Coldiretti. L'argomento di questa indagine è certamente di grande interesse e attualità. L'allargamento ormai avvenuto dell'Unione europea pone l'esigenza di prestare particolare attenzione agli aspetti relativi alla politica agricola comune.
Credo sia a tutti noto che ci troviamo di fronte ad una serie di paesi dalla realtà agricola importante, in termini di numero di occupati, ma soprattutto in termini di peso dell'agricoltura sul prodotto interno lordo.
Non a caso, proprio questo peso importante dell'agricoltura ha determinato nella fase di preadesione un accentuarsi delle discussioni intorno al tema della politica agricola comune, che ha portato a delle scelte da parte dell'Europa a 15 di notevole importanza.
In relazione all'allargamento, e tenendo conto del suo avvicinarsi, l'Unione europea a 15 ha deciso una riforma della politica agricola forte, importante, decisiva, direi storica.
Si è trattato di una riforma dettata da molte condizioni esterne, prima fra tutte proprio l'allargamento, e secondariamente i negoziati WTO, che procedevano di pari passo, e che proprio in quel periodo, nel momento in cui si preparava la riforma, andavano verso la Conferenza di Cancun, la quale sappiamo come si è conclusa.
Quella della PAC è stata una riforma importante per l'Unione a 15, e oggi per l'Unione a 25 membri. Si tratta di una riforma dalle caratteristiche storicamente nuove.
Mi preme sottolineare la prima di queste caratteristiche: è stato finalmente disaccoppiato l'aiuto diretto agli agricoltori, condizionandolo a parametri di tipo ambientale. Questa era la risposta che si aspettava in sede internazionale, oltre che all'interno dell'Unione europea. Si è trattato di una risposta non solo dal punto di vista finanziario (cito le scatole blu, le scatole gialle e le scatole verdi, di cui sappiamo benissimo ci parla il WTO), ma soprattutto dal punto di vista della giustificazione di questa politica agricola agli occhi della società.
Credo si tratti di una buona riforma, soddisfacente anche per i nuovi paesi aderenti. Dico questo in relazione all'aspetto finanziario, perché sappiamo che la PAC entrerà in vigore gradualmente, e con modalità alternative nei nuovi Stati membri, ma soprattutto in relazione al bilancio comunitario. Nel momento in cui sono iniziati i lavori per scrivere questa riforma, noi sapevamo che si trattava di andare a toccare la principale posta del bilancio comunitario, quella che copre quasi il 48 per cento dell'intero bilancio comunitario, decidendo nuovi meccanismi di erogazione, e cercando nuove giustificazioni a questa PAC.
Tutto ciò sarebbe stato difficile a realizzarsi mediante un compromesso con 25 paesi membri. L'Unione europea ha ben scelto, e ha ben fatto, nel decidere questa nuova politica nella sua composizione a 15 paesi, fissando e congelando il relativo bilancio comunitario almeno fino all'anno 2013.
Si è trattato di una riforma della PAC che certamente, a nostro parere, non è stata ben spesa nelle sedi internazionali, e in particolare nelle sedi WTO. La prima occasione era proprio quella del vertice di Cancun, dove l'Unione europea avrebbe potuto meglio far valere una riforma così radicale, così veramente nuova rispetto a tutte quelle del passato, che si erano concluse con dei meri e piccoli aggiustamenti.
Dunque, anche se abbiamo una politica agricola comune, relativa anche all'allargamento, certamente non abbiamo risolto tutti i problemi.
Per questo vorrei spendere qualche parola ancora su due argomenti: in primo luogo, la politica agricola non consiste soltanto nella PAC. Siamo abituati a parlare di politica agricola interna dell'unione europea, riferendoci esclusivamente alla PAC. Parlando di allargamento, io stesso ho fatto riferimento alla politica agricola comune, partendo dal presupposto che ci trovavamo di fronte ad agricolture forti, importanti, che vengono dall'est, con influenza su molti fattori, ma soprattutto sulle dinamiche di mercato.
Mi premeva sottolineare un'altra cosa: abbiamo agricolture forti, pesanti, in termini di partecipazione al PIL e in termini di occupati; vi sono tuttavia forti divari dal punto di vista territoriale, dal punto di vista della coesione economica e sociale.
È per questa ragione che intendo sottolineare, più che la PAC, la scelta di solidarietà fatta dall'Unione europea nei confronti dei nuovi paesi dell'allargamento. Si tratta di una scelta fondata sull'offrire un contributo, chiamiamolo di solidarietà, per ridurre i divari tra le regioni d'Europa, e ridurre in particolare i divari con le agricolture di quei paesi.
Non sono quindi preoccupato per il fatto che, entrando i paesi dell'est, escono da determinate forme di contributo una o più regioni del nostro mezzogiorno. Credo che il ragionamento in questo senso vada ampliato e non ridotto semplicemente ad una mera questione finanziaria, ad una mera questione di travaso di risorse da una zona l'altro.
Se veramente l'Unione europea vuole una politica di coesione territoriale, deve fare queste scelte. Ci sono delle politiche che hanno una grossa influenza sul settore agricolo dei propri paesi, cioè le politiche dei fondi strutturali, ma soprattutto la politica di sviluppo rurale.
Il mondo agricolo è abituato ad interpretare la politica di sviluppo rurale come destinata strettamente agli agricoltori, ma essa invece è una politica che va ad incidere sullo sviluppo dei territori, e in particolare dei territori rurali, dove l'agricoltura ha un peso importante, come se fosse una sorta di spina dorsale. Questa politica, tuttavia, va ad incidere sui territori e sui divari tra i territori. Sono quindi convinto che quella fatta dall'Unione europea sia una scelta importante.
Si tratta di destinare dei fondi ad hoc a favore di certi paesi, per ridurre i divari di tipo strutturale e i divari di tipo infrastrutturale legati al settore agricolo.
In questo contesto, un'ultima riflessione rispetto alle prospettive finanziarie che l'Unione europea sta mettendo in campo riguarda in questi mesi il bilancio per il prossimo periodo cosiddetto di programmazione (il periodo 2007-2013), una riflessione che riguarda sia la percentuale di contributo che ciascuno Stato membro deve versare al bilancio comunitario (si discute ora sull'1,24 per cento, ora sull'eventuale abbassamento di tale soglia), sia le politiche con le relative priorità dell'Unione europea per i prossimi sette anni.
Vorrei sottolineare che andrebbe difeso con forza il mantenimento della percentuale di contributo al PIL all'1,24 per cento (cioè, la proposta che viene dalla Commissione europea), enfatizzando l'importanza di tale percentuale rispetto, per esempio, a quella più spesso sbandierata dell'1,14 per cento: non è la stessa cosa perché l'1,14 per cento è la media dei contributi al bilancio comunitario, che già porta ad una riduzione. Bisogna, invece, difendere la percentuale dell'1,24 per cento, per un motivo molto semplice: se scende la percentuale di contributo al bilancio comunitario, le prime politiche che ne risentiranno saranno quelle cosiddette di sviluppo, cioè, la politica di coesione - i fondi strutturali - e, con essa, la politica di sviluppo rurale, che il mondo agricolo sente molto vicina, quasi una politica propria (a mio parere, tale politica andrebbe difesa molto di più rispetto all'argomentazione per cui non si dovrebbe toccare la PAC, il famoso primo pilastro e quelle risorse che l'accordo franco-tedesco dell'ottobre 2001 ha congelato fino al 2013).
In realtà, se c'è un motivo per difendere la soglia dell'1,24 per cento, questo sta nella necessità di difendere le politiche di sviluppo e, fra queste, quella di sviluppo rurale, importantissima. In fin dei conti, l'accordo dei sei «rigoristi» è tale da lasciare dei dubbi nel momento in cui si scenderà - come essi vogliono - all'1 per cento, perché bisognerà trovare il modo di accordarsi anche sulla PAC, fatto assolutamente non dato per scontato (sappiamo bene quali sono i motivi).
Concludendo, l'osservazione sull'impatto delle politiche agricole nell'Unione allargata può essere divisa in due parti. Da un lato, bisogna essere consapevoli che abbiamo una nuova politica agricola comune, compatibile anche con l'allargamento e con i vincoli internazionali, se ben spesa. Dall'altro, abbiamo soprattutto bisogno di una politica di sviluppo territoriale verso quei paesi dentro un contesto allargato sia di bilancio, sia di sostenibilità complessiva.
PAOLO SURACE, Responsabile dell'osservatorio economico della CIA. Con i colleghi, abbiamo valutato l'opportunità di seguire tracce diverse nei nostri interventi per evitare di ripeterci, nella consapevolezza che, su questioni e temi fondamentali, molto spesso siamo d'accordo (almeno, ai nostri livelli).
Partiamo dal presupposto dell'adesione dei nuovi paesi candidati. Si continua a ripetere che l'adesione costituisce una grande opportunità per l'Italia, in particolare perché consente di ampliare ed allargare i flussi del commercio. In realtà, leggo dal programma dell'indagine che la questione relativa al rafforzarsi dei rapporti commerciali, che l'allargamento verso est inevitabilmente comporta, è uno dei temi che avete posto al centro della vostra riflessione. Allora, cerchiamo di capire che cosa sia successo al di là dei fatti politici, dei fattori di coesione sociale e via dicendo: per l'Italia l'adesione è stata un'opportunità per quanto riguarda l'export agroalimentare oppure no?
È una questione di notevole attualità, se non altro perché il tema della competitività delle nostre esportazioni agroalimentari e, in particolare agricole, sta tornando prepotentemente di attualità. Vorrei ricordare che solo due o tre giorni fa, all'inaugurazione della conferenza indetta dall'ICE sul commercio, il problema della nostra presenza come investitori diretti e come esportatori verso i paesi dell'est d'Europa è stato autorevolmente posto (a mio avviso, in modo opportuno data l'importanza e vicinanza di questi paesi).
Numerose analisi, che tenterò di confermare, mostrano che, in realtà, l'Italia sta perdendo terreno in questi ultimi anni nei confronti dei paesi dell'est europeo. Parlo di una perdita di terreno per i prodotti dell'agricoltura e, più in particolare, per quelli del comparto vegetale, cioè, quello che maggiormente interessa le possibili esportazioni dell'Italia verso quei paesi.
C'è un dato generale noto a tutti. L'export agricolo, nel 2004, soffre in tutte le aree, in quella dell'euro come in quella del dollaro. Non vi è, quindi, come può esser detto in termini generali, un effetto dollaro/euro bensì vi è un effetto competitività. Noi perdiamo, nei primi dieci mesi del 2004, il 13 per cento di export agricolo nel mondo ma perdiamo ancora di più nei paesi dell'est europeo, dove la cifra sale al 28 per cento. Quindi, c'è un vero e proprio «buco nero» costituito dai paesi dell'est europeo.
In particolare, per quanto riguarda i 10 paesi nuovi aderenti la situazione non è rosea perché perdiamo il 12 per cento di esportazioni e guadagniamo il 9 per cento di importazioni: le importazioni aumentano, le esportazioni diminuiscono. Peraltro, diminuiscono le esportazioni dei nostri prodotti tipici: perdiamo il 17 per cento di ortaggi, il 18 per cento di uve, il 67 per cento di olive e olio da pressione, il 16 per cento di altra frutta e il 12 per cento, complessivamente, dei prodotti vegetali. Questi dati, riferiti ai primi dieci mesi dell'anno, sono gli ultimi che ci fornisce l'ICE. Probabilmente, si potrebbe affermare che essi non sono significativi perché c'è una contingenza particolare ma, in realtà, la valutazione risulta più utile se la proiettiamo nel medio-lungo periodo, anche perché, in tal modo, alcune considerazioni che mi appresto a fare appariranno più chiare.
Con riferimento ad una proiezione decennale, nel 1994 il principale partner commerciale dei paesi PECO era l'America latina con il 9,7 per cento dell'import complessivo. L'Italia si collocava, allora, al quinto posto, con il 4,8 per cento della quota di mercato dei paesi PECO.
Ora l'Italia è sempre al quinto posto con il 6,4 per cento, ma la Spagna è «balzata» al primo posto con l'11,8 per cento. Spagna e Costa d'Avorio hanno raddoppiato la loro quota dell'import dei paesi PECO in dieci anni. L'Italia e gli altri Paesi hanno sostanzialmente mantenuto le loro posizioni. Si può effettivamente parlare di un effetto sostituzione: abbiamo perso posizioni su quei mercati che altri paesi hanno saputo conquistare.
L'Italia nel 2003 rappresentava il 4-5 per cento delle importazioni dell'Unione europea in 14 membri; mantiene la stessa posizione del decennio precedente. Al contempo, la Spagna raggiunge il 10,6 per cento, con un incremento del 2 per cento. Lo stesso avviene per i Paesi Bassi, che aumentano tale valore di due punti percentuali.
In sostanza, il problema è rappresentato dal fatto che il nostro paese perde posizioni, nonostante il valore totale delle importazioni dei paesi PECO dall'Unione europea aumenti. Qualcuno ci sostituisce nella capacità di soddisfare la domanda alimentare di prodotti primari dei paesi PECO: è la Spagna, che dimostra una maggiore capacità di competizione (qualcuno può dire che in realtà si tratta di una maggiore capacità di «triangolazione» con i paesi della sponda meridionale del Mediterraneo).
In buona sostanza, questo non è un effetto del destino cinico e baro, né credo possa essere imputato ad un decadimento della qualità della nostra offerta agricola. Quali le cause? Per brevità vorrei citarne due: in primo luogo, occorre tenere in considerazione il fatto che aumenta la competitività di questi paesi ed aumenta la competitività delle produzioni agricole dei paesi PECO. Uno studio del 2000 effettuato dall'università di Bologna mostra come tra i principali comparti di esportazione dei paesi PECO - parlo dei comparti zootecnici - la capacità competitiva sia prossima a quella italiana. Il dato è evidente per il comparto degli ovini e dei caprini di Slovenia ed Ungheria; è evidente per i suini che provengono dalla Polonia. In sostanza, i differenziali di competitività fra gli allevamenti zootecnici italiani e quelli dei Paesi PECO si va riducendo progressivamente.
La capacità di penetrazione nei nostri mercati, e non solo, delle produzioni zootecniche dei paesi dell'Est europeo, che sono grandi esportatori di questi prodotti, aumenta progressivamente. In definitiva, il costo del lavoro non è più il principale fattore di vantaggio competitivo dei nuovi paesi aderenti e quindi vi è ben altro.
L'Italia ha ancora una posizione di forza per quanto riguarda il patrimonio tecnologico, il contesto infrastrutturale, la rispondenza ai modelli di consumo e alla qualità; è un vantaggio che però deve essere difeso ed arricchito, perché rischia di essere continuamente eroso. Già oggi la Polonia e l'Ungheria sono i principali produttori di carne bovina, suina ed avicunicola rispetto all'Italia.
Un ulteriore fattore può giustificare una nostra difficoltà su questi mercati ed esso concerne le produzioni che ho definito ortofrutticole. È vero: il nostro prodotto è qualitativamente apprezzato sui mercati esteri. Tuttavia, vorrei, per brevità, citare le risposte date da alcuni operatori esteri ad un panel di inchiesta che l'ISMEA ha effettuato diciotto mesi fa. In questi casi, citare le parole altrui vale più ogni altro ragionamento che può essere svolto sul tema.
Un operatore della Polonia si esprime nei seguenti termini: «Gli italiani pensano che il loro prodotto sia il migliore e che abbia il miglior sapore. Pensano soltanto a vendere in Italia e non all'estero. Non sono elastici nella cooperazione con gli interlocutori polacchi. Alle volte gli italiani mi fanno arrabbiare, perché non rispettano gli accordi presi. Per esempio, chiedo un certo calibro e me ne inviano uno diverso; non prestano attenzione e non conoscono la realtà polacca».
Un grossista della Repubblica CECA si esprime nei seguenti termini: «Le aziende italiane non confezionano bene. L'organizzazione all'interno delle aziende presenta alcuni problemi». In sostanza, qualcosa non funziona all'interno della filiera ortofrutticola.
Si tratta di argomentazioni che, a mio avviso, rivestono un notevole interesse, se si intende approfondire quanto accade nei rapporti commerciali tra l'Italia ed i paesi non aderenti.
Credo che la questione sia molto importante, tenuto conto che, se non ricordo male, a partire dal 2007 nuovi paesi entreranno nell'Unione europea. Si tratta di nuovi candidati che, al di là delle caratteristiche sociali e politiche, presentano profili, relativamente alle produzioni agricole, assimilabili a quelli dei nuovi paesi aderenti. Sono paesi che presentano un flusso di esportazione verso l'Italia che, a differenza di paesi come la Polonia ed altri, interessa in modo particolare le nostre produzioni tipiche.
Senza tediare con l'illustrazione di dati che ho consegnato all'attenzione della Commissione, vorrei dire che un terzo delle importazioni agricole dalla Romania è costituito da prodotti orticoli. La Turchia, uno dei colossi che entrerà tra qualche anno nell'Unione europea, è uno dei principali esportatori in Italia e nel Nord europea di frutta al guscio.
Occorre pertanto prestare attenzione alla questione relativa all'impatto dell'adesione di nuovi dieci paesi e di quelli che successivamente entreranno sia sotto il profilo finanziario sia per quanto concerne la nostra capacità competitiva sui mercati terzi.
VINCENZO LENUCCI, Responsabile servizio affari internazionali della Confagricoltura. Vorrei schematicamente affrontare cinque profili connessi in parte alle questioni legate all'allargamento dell'Unione europea, in parte alle prospettive relative ai nuovi paesi candidati all'ingresso nell'Unione europea.
Un primo inquadramento complessivo della materia non può essere trascurato: è trascorso un anno dall'adesione di dieci nuovi paesi. Si tratta di un obiettivo politico importantissimo; il risultato è stato raggiunto ed oggi siamo un'Unione europea 25 paesi membri.
I dati relativi a questi dieci paesi dicono che i fondamentali agricoli - valore aggiunto per occupato, superficie agricola - sono notevoli. L'incidenza del valore aggiunto sul totale del prodotto interno lordo è notevole: l'agricoltura in questi paesi «conta» dunque moltissimo.
Un secondo aspetto: in questi paesi vi è un gap strutturale notevole in termini di reddito pro capite e sotto il profilo del potere d'acquisto.
Questi paesi avevano e hanno tuttora una notevole distanza in termini di differenziale di sviluppo rispetto ai quindici paesi dell'Unione europea.
Nell'annettere importanza politica all'obiettivo dell'adesione, ci saremmo dovuti aspettare una politica comunitaria tesa, da un lato, ad un rafforzamento della politica agricola comune (PAC), e dall'altro, ad un rafforzamento della politica di coesione, anche in relazione ai fondi strutturali.
Se questi paesi sono incentrati sul settore primario ed hanno gaps strutturali, dovremmo attenderci uno sviluppo della politica agricola e della politica di coesione.
Come stanno andando le cose? Da un lato, i partecipanti alla convenzione europea e il testo finale della Costituzione europea confermano gli obiettivi e i relativi strumenti delle politiche nel settore agricolo e nel settore dei fondi strutturali. C'è stata sicuramente una semplificazione notevole dal punto di vista legislativo e inoltre il Parlamento europeo ha assunto un ruolo maggiore all'interno del processo decisionale.
Ma nella realtà effettiva, abbiamo avuto una riforma finanziaria della politica agricola comune, che ha portato ad una stabilizzazione della spesa agricola, con forti limiti alla spesa massima che si può sostenere nel campo agricolo. In tale riforma, decisa con l'accordo franco-tedesco dell'ottobre del 2002, non sono state incluse Romania e Bulgaria.
Parallelamente, si è delineata una prospettiva finanziaria per gli anni futuri che mette a repentaglio la solidità e la dotazione finanziaria dei fondi strutturali. Ci attendevamo più politiche agricole e più fondi strutturali, obiettivi confermati anche dalla Costituzione europea, mentre nella realtà si sta andando in una direzione più pericolosa, che mette a repentaglio due politiche fondamentali anche per il nostro paese.
Come secondo tema, vorrei affrontare le potenzialità produttive di questi paesi. Si tratta di notevoli potenzialità, anche se va detto che, per rafforzare il settore agricolo, occorrono degli interventi strutturali e delle serie riforme.
Il progresso di questi paesi è inevitabile ed essi produrranno sempre di più, ma va anche osservato che quando due mercati si vanno a fondere in un unico mercato, l'equilibrio tra domanda ed offerta si posiziona in genere ad un livello più elevato, con maggiori prezzi e con maggiori costi e questo aspetto va sottolineato. Inevitabilmente aumenteranno i costi del lavoro e i paesi aderenti dovranno far fronte ad un aumento del costo dei prodotti.
L'aumento della produttività e l'effetto sui redditi reali agricoli andranno verificati meglio, anche se la tendenza per gli agricoltori dei paesi che hanno aderito all'Unione europea sembra positiva. Gli effetti sul miglioramento della competitività nel settore agricolo potrebbero essere ritardati, anche per il minore impatto della politica di coesione.
Il terzo tema, sul quale si è poco dibattuto, è quello delle deroghe accordate a questi paesi in tema di sicurezza alimentare. In sede di trattato di adesione, abbiamo concesso alcune deroghe temporanee e condizionate per gli impianti di produzione e trasformazione degli alimenti. I compromessi sono il classico strumento decisionale di Bruxelles e nessuno si è mai scandalizzato per questo. Stiamo parlando di mille impianti in deroga alla normativa comunitaria: si tratta di deroghe limitate e condizionate. Ricordo che quei prodotti non possono varcare i confini dei paesi di provenienza e devono essere accuratamente etichettati per l'informazione e la sicurezza del consumatore. Dobbiamo verificare la situazione attuale, anche per capire se questi paesi stanno di fatto aggiornando il loro apparato produttivo e i loro impianti per poi inserirsi pienamente all'interno del mercato europeo.
Il quarto tema, emerso in sede di adesione di questi paesi, riguarda la libera circolazione dei lavoratori. Le posizioni della nostra organizzazione sono note. L'Italia ha optato per una parziale liberalizzazione di tale mercato, mentre le imprese italiane avrebbero bisogno di manodopera, anche stagionale, e quindi forse è il caso di riconsiderare questa decisione.
Come ultimo tema, c'è l'internazionalizzazione del sistema Italia rispetto ai paesi aderenti. La seconda conferenza del commercio estero, svoltasi sabato scorso, ha visto un forte richiamo alla spinta verso l'internazionalizzazione delle imprese italiane su due versanti vicini, i Balcani e il Mediterraneo. Le opportunità migliori per le nostre imprese sono vicine a noi. Anche nel settore agricolo abbiamo piccole realtà che possono trovare maggiore facilità di espansione in mercati a noi vicini.
L'area balcanica è sicuramente un terreno fertile e come rappresentanti di Confagricoltura non abbiamo mai temuto quei mercati, anzi, abbiamo sempre sostenuto la promozione degli scambi e l'investimento diretto in quelle aree. Abbiamo già in corso un progetto specifico in Romania. Crediamo che ci voglia un po' più di coraggio e molte imprese si sono impegnate a lavorare in quei paesi, per aumentare insieme a loro la competitività. Quei prodotti, non necessariamente sono in competizione con i nostri. Spesso e volentieri, anzi, essi sono venduti sul mercato locale, dove ci sono ottime possibilità di collocazione.
Evitiamo di fare della internazionalizzazione una sorta di processo da temere per il nostro sistema agricolo, perché invece, valutando rischi e opportunità, essa è una vera e interessantissima opportunità per il nostro sistema.
PRESIDENTE. Grazie dottor Lenucci. Passiamo ora alle domande da parte dei colleghi.
FILADELFIO GUIDO BASILE. Le relazioni presentate contengono molti spunti. Mi concentrerò tuttavia solo su alcuni.
Vi è un argomento sul quale esiste ancora un deficit di informazione, essendo stato poco trattato in relazione all'ingresso dei dieci nuovi paesi nell'Unione europea. Mi riferisco al mercato del lavoro in agricoltura. Credo che sia necessario conoscere maggiormente tale mercato nei nuovi dieci paesi aderenti, per poter fare opportuni raffronti e questo non solo in termini di distribuzione settoriale dell'occupazione.
Ricordo, a questo proposito, che, come XIV Commissione, abbiamo fatto delle indagini specifiche e ci siamo recati in alcuni di questi paesi, nei quali, ad esempio in Polonia, è ancora molto, molto elevata l'occupazione in agricoltura. Non parliamo poi dei due paesi che si uniranno nel 2007, cioè la Bulgaria e la Romania. Dobbiamo quindi essere attenti anche ai fenomeni di mobilità e all'export-import di manodopera nel settore agricolo.
Nell'ultimo intervento, il dottor Lenucci parlava di libera circolazione dei lavoratori, e di quanto le imprese italiane hanno bisogno di lavoratori provenienti dai paesi ex PECO.
C'è il problema della conoscenza del fenomeno del sommerso in questi paesi, che potrebbe influenzare l'intera Unione europea.
Un altro argomento è il seguente: quando è stato deciso di fare entrare questi paesi, all'improvviso si è deciso di dare per scontato l'acquis communautaire nei 31 capitoli esaminati, mentre sussistevano, soprattutto per l'agricoltura, tantissimi problemi in tutti i paesi. Vi erano in particolare, problemi igienico sanitari notevolissimi.
Ricordo i rapporti fatti periodicamente da chi conduceva i negoziati, che sottolineavano l'esigenza di fare avanzamenti in tutti questi paesi, dal punto di vista igienico sanitario.
Mi chiedo anche, a questo proposito, a che punto siano i controlli in questo settore, e per questi paesi. Qual è la situazione in questo momento?
Un altro problema è stato sollevato dal dottor Surace, il quale, penso, abbia fatto riferimento agli studi del professor Andrea Segrè, di Bologna, noto per aver condotto parecchie analisi riguardanti l'agricoltura dei paesi ex PECO e la loro competitività.
Credo che anche quello sollevato sia un tema importante e non solo il costo del lavoro.
Soccorre su questo punto, per un'analisi completa, quanto dicono gli interlocutori polacchi, i quali mettono a nudo le nostre carenze, in termini di packaging, in termini di conoscenza della realtà dei paesi ex PECO e poi, in termini di obiettivi degli esportatori italiani, che pensano spesso soltanto a vendere nel nostro paese.
Lenucci ha sottolineato l'importanza di alcune decisioni all'interno della Costituzione europea; ha sottolineato giustamente l'aspetto della semplificazione (a cui io sono molto legato, perché ho fatto parte del gruppo di lavoro che trattava questo argomento), nonché il ruolo rinnovato che avranno il Parlamento europeo e i Parlamenti nazionali, in futuro, a questo proposito.
Le prospettive finanziarie e le prospettive di riforma dei fondi strutturali rischiano, secondo me, di isolare la programmazione dello sviluppo rurale. C'è questo rischio, perché si vogliono mettere da parte i fondi per l'agricoltura rispetto a quelli per la coesione economica e sociale.
Vi è poi il problema di gestire la fase transitoria, un problema che ci dobbiamo porre: sono piuttosto scettico sul fatto che l'acquis communautaire entri in poco tempo, progressivamente in vigore.
Credo infine che sugli investimenti diretti, sulla promozione di scambi, su altre formule all'interno del programma di internazionalizzazione, occorra fare un'ampia opera di convincimento tra gli operatori.
SAURO SEDIOLI. Credo che questa audizione assuma un particolare rilievo anche alla luce del dibattito che credo apriremo nei prossimi giorni, per quanto riguarda i decreti sulla competitività. Le questioni qui sollevate mi sembrano inerenti a questa materia, e ci aiutano in questa direzione.
Non voglio peraltro soffermarmi su questo, perché avremo occasioni specifiche per discuterne.
Ci sono due questioni in particolare che hanno sollevato il mio interesse: il dottor Fugaro dice: non c'è solo la PAC. L'altra questione verte sull'interrogativo se l'adesione di questi paesi sia stata un'opportunità o no.
Credo che si possa rispondere a questo interrogativo dicendo che ci sono i vincoli e le opportunità. Rispetto a tali due questioni dobbiamo sapere come agire. Non abbiamo purtroppo una politica nazionale che ci permetta di approfondire questi due aspetti: quello dei vincoli e quello, soprattutto, delle opportunità.
Io sono romagnolo, e quindi vengo da una zona agricola, e sento tutto il malessere che c'è oggi nelle campagne. Credo che l'aspetto più preoccupante non sia solo quello di una annata che ha colpito duramente il reddito degli agricoltori; perché non considero una singola annata negativa, ma temo che si tratti di un fatto strutturale.
Il pericolo più grande è l'orientamento degli agricoltori. Il malessere si sta trasformando in una protesta che ha bisogno di essere guidata. Alcuni giorni fa si è tenuta nella mia città una assemblea di autoconvocati, con la partecipazione di 1200 agricoltori. Un'assemblea così numerosa non l'avevo vista da tempo. C'è bisogno di orientamento, c'è bisogno di sapere in quale direzione andiamo, c'è bisogno di vedere quali siano le opportunità che dobbiamo cogliere.
Ascoltando l'intervento del dottor Surace, quando ci parlava dei pericoli di una caduta della nostra competitività (anzi, non solo dei pericoli, perché è già in atto), mi chiedevo: perché la Spagna ha raddoppiato le esportazioni? Eppure si tratta di un paese membro dell'Unione europea e dell'area euro. Vi è stata una risposta di massima, ma desidererei su questo un approfondimento. Perché la Spagna ha raddoppiato l'esportazione? Sì, c'è il fatto della ricerca, dell'innovazione, eccetera, ma abbiamo sentito anche che c'è un aspetto relativo alle regole. Io credo che noi dobbiamo cominciare a vedere quali sono le regole, anche rispondendo alle critiche di provenienza polacca.
Pur senza giungere al principio dell'erga omnes, credo tuttavia che dobbiamo darci alcune regole: quest'anno le pesche sono state pagate al produttore dai 16 ai 20 centesimi, quando è andata bene. Il ritiro è stato sui 13 centesimi. Credo che se ci fosse stata una regola, per esempio, che indicasse agli agricoltori di fare il diradamento, avremmo avuto una qualità migliore, sia per l'attrezzatura, che per il contenuto zuccherino della frutta, e probabilmente avremmo avuto maggiore competitività e maggiore prezzo anche per gli agricoltori.
C'è poi il problema della concentrazione dell'offerta, che affronteremo a breve con i decreti competitivi sulle OP. Tuttavia vorrei indicare alcuni aspetti sui quali è necessario intervenire anche in termini di politiche nazionali perché non possiamo scaricare le difficoltà soltanto sui vincoli: è importante anche cogliere le opportunità, soprattutto quelle offerte nel campo delle esportazioni verso i paesi dell'est.
Pongo alla vostra attenzione tre questioni: quella che riguarda il settore ortofrutticolo (abbiamo l'OCM e il relativo piano che giace nei cassetti), quella avicola e, infine, quella disastrosa relativa al settore bieticolo saccarifero. Per questi tre ambiti ritengo necessario un intervento immediato nel quadro di una politica nazionale che porti a confrontarsi con i problemi posti dalla PAC, dall'ingresso dei nuovi paesi e dalle grandi questioni che coinvolgono il mercato mondiale.
Mi domando quali possano essere le iniziative, anche di carattere parlamentare, per affrontare il problema delle regole e della competitività (vi domando ciò non solo alla luce dell'audizione di oggi ma anche guardando al lavoro dei prossimi giorni).
FRANCESCO ZAMA. Nel quadro dell'apertura ai nuovi paesi membri, si pone, in maniera molto importante la riforma della nuova organizzazione comune di mercato dello zucchero. Abbiamo dei documenti piuttosto preoccupanti. Mi riferisco ad una lettera del commissario europeo Fischer Boel in risposta ad una lettera di dieci ministri della Comunità, fra cui il ministro italiano, nella quale, a proposito della nuova organizzazione comune di mercato dello zucchero, venivano sollecitati alcuni provvedimenti per tentare di temperare la proposta Fischer.
Il commissario europeo risponde però in maniera preoccupante. Si contestano le richieste di prudenza, così come auspicato dai ministri, nel diminuire la produzione a quegli Stati membri esportatori netti di zucchero. L'obiezione mossa dai nostri ministri è che gli Stati membri che causano un eccesso di quota nell'UE dovrebbero, da soli, farsi carico dell'importo mentre il commissario afferma che secondo tale soluzione i più efficienti verrebbero penalizzati e i meno efficienti (tra cui l'Italia) potrebbero conservare la loro quota di produzione.
La domanda, allora, è semplice: le organizzazioni professionali come si pongono di fronte al problema bieticolo saccarifero, posto che questo può trasformarsi veramente in un dramma per l'Italia e significare, se non la scomparsa totale, la riduzione ad una mera rappresentanza nel settore, con la chiusura di molti stabilimenti ed un'agricoltura che verrebbe privata di migliaia di ettari? Ricordo che il settore bieticolo saccarifero interessa circa 240-270 mila ettari che potrebbero ridursi a non più di 50-60 mila ettari. Il commissario Boel afferma che ci sono le provvidenze strutturali e che sarebbe quindi possibile diversificare la coltivazione verso altre forme. Tuttavia, a forza di diversificare, non so che cosa rimarrà della nostra agricoltura.
Io mi interesso del settore bieticolo saccarifero ma vorrei sapere dalle organizzazioni professionali quali potrebbero essere le diversificazioni colturali che, a loro parere, potrebbero sostituire un'importante cultura come quella della barbabietola da zucchero.
GIANCARLO PIATTI. Condivido il senso delle relazioni presentate dalle organizzazioni professionali, nelle quali sono state anche ricordate le ragioni storiche della nostra adesione alla nuova PAC. Emerge che la situazione del mercato internazionale è in movimento e ci sono nuovi protagonisti. Il dottor Surace ricordava che, in alcuni casi, il problema non è soltanto quello relativo ai costi ma è anche dato dal fatto che si affacciano sulla scena nuovi protagonisti che propongono prodotti di qualità, assolutamente accettati dal mercato ed esportabili.
Vi sono poi movimenti anche all'interno dell'area storica come, per esempio, nel caso della Spagna, paese che ha fatto passi da gigante in questa situazione.
Infine, sono emersi alcuni problemi specifici, da quello delle deroghe sulla sicurezza, a quello relativo alla libera circolazione dei lavoratori, fino ai processi di internazionalizzazione.
Quindi, mi pare che il senso di queste tre relazioni sia assolutamente condivisibile e che debbano essere considerate in modo integrato poiché si denota uno scenario molto complesso.
Non c'è dubbio che le difficoltà del nostro export e della nostra economia non derivano solo - lo vediamo ogni giorno dalla discussione in atto nel paese - dal settore agricolo - pensiamo anche agli interventi ripetuti da parte del Presidente della Repubblica - bensì, riguardano caratteristiche e problemi storici del nostro paese.
Forse, una critica che ci sentiamo di muovere consiste nell'avere guardato, nella prima fase della legislatura, prevalentemente alla riduzione dei costi. Tale riduzione dei costi in un mercato in continua ristrutturazione è sicuramente un tema considerevole, sul quale concentrare la massima attenzione, tuttavia, per le ragioni che sono state anche da voi ricordate, non è l'unico tema.
Il rischio evidente consiste, da un lato, nel pericolo di venire scalzati da paesi che hanno fatto più progressi nell'innovazione e, dall'altro, nel fatto che non teniamo il confronto con quei paesi che hanno costi inferiori. Quindi, siamo fra l'incudine e il martello e questa è una situazione che dobbiamo rimuovere al più presto.
L'onorevole Sedioli faceva riferimento al disegno di legge sulla competitività e ad altre scadenze parlamentari. Personalmente, credo che dovremmo, con grande rapidità, uscire da questa situazione. Proprio perché abbiamo ripetuto molte volte, anche con il ministro Alemanno, che bisogna insistere sulla qualità e fare sistema, quali suggerimenti potere darci al riguardo?
Per esempio, noi dobbiamo fare i conti con il limite della piccola impresa, anche agricola. Ci sono, sullo sfondo, quelle sollecitazioni di carattere strutturale (Confagricoltura ha insistito su questo punto), tuttavia, possiamo insistere su un'articolazione di forme: l'associazione dei produttori, i distretti, le cooperative e quant'altro, che dipendono, in parte dalla legislazione, in parte anche dal vostro protagonismo, cioè, dal protagonismo degli operatori.
Io credo che in questo caso un tema sul quale lavorare con grande rapidità sia quello del rapporto tra l'innovazione legislativa e l'iniziativa delle organizzazioni professionali, dal momento che anche nel confronto internazionale registriamo qualche arretratezza.
Inoltre, occorre porre nell'agenda politica incisivamente la questione dell'export. Il disegno di legge sull'internazionalizzazione delle imprese, il cui iter tra Camera e Senato è sostanzialmente definito, non fa nemmeno il «solletico» alla soluzione dei problemi da voi ricordati! Credo dunque che, anche grazie al contributo che può derivare dal convegno di sabato scorso, occorrerà porsi obiettivi più precisi; altrimenti, siamo alle esortazioni che rischiano di diventare litanie.
Infine, occorre assumere il comparto agroalimentare alla stregua di un settore strategico. In tal senso, spesso ci lamentiamo di una politica industriale non sempre definita.
Dal momento che sul settore agroalimentare vi è la massima convergenza politica, questo deve diventare una reale priorità, anche seguendo le vertenze relative a vicende quali quella della Parmalat, la cui evoluzione a noi non sfugge avendo chiesto un'audizione con il commissario Bondi.
È una situazione che non ci lascia del tutto tranquilli: in tal senso, voi conoscete la vicenda relativa alla possibile trasformazione in azioni dei debiti pregressi e alla possibilità da parte delle banche di entrare nel pacchetto azionario. Credo che il comparto agroalimentare debba quindi diventare una priorità, per le ragioni note, a partire dai comparti collegati.
Ad esempio, la ricerca agricola è un tema centrale: non si può avere qualità, se abbiamo 28 istituti pubblici, in buona sostanza «dispersi» ed abbandonati. Pur avendo rinnovato i relativi consigli di amministrazione, siamo ora nuovamente al punto di partenza dopo otto anni!
Il centrosinistra ha adottato una riforma, che non ha poi attuato avendola «varata» sul finire della legislatura: non so quindi come si possa competere sul mercato internazionale se non vengono debitamente seguite queste opzioni strategiche.
GIUSEPPE BONGIORNO. Sono rimasto colpito, anche se non completamente sorpreso, dai dati statistici inerenti alla capacità di esportazione e, al contempo, attestanti l'incremento del livello delle importazioni.
Questo non solo in relazione a quanto accade in altri paesi europei e mediterranei, ma in termini assoluti: mi riferisco alla capacità, «in entrata ed uscita», dell'agricoltura italiana. Mi chiedo, per andare al cuore dell'indagine che stanno conducendo le Commissioni agricoltura di Camera e Senato, quali scenari possano aprirsi sulla base dell'allargamento dell'Unione europea, per la parte già realizzata e per quella che si andrà a realizzare.
Questo non soltanto con riguardo ai paesi già individuati, ma anche con riferimento ad altri paesi verso i quali, in maniera inequivoca, l'Europa guarda: il riferimento è ai paesi del Nord Africa e ad altri paesi orientali, che possono convergere dal punto di vista geopolitico sul Mediterraneo e sull'Europa.
Mi sembra vi sia un ulteriore indirizzo difficilmente equivocabile nell'ambito della strategia europea: si tende a trasferire verso paesi esterni quote di produzione, in modo che i paesi europei, e quelli mediterranei in particolare, producano sempre di meno, trasferendo quote quantitative di produzione, e non parlo di qualità, verso aree esterne all'Unione europea.
Se poniamo in relazione i due dati, ovvero quelli relativi ad un'attuale diminuzione della produzione con quelli relativi all'indirizzo di trasferire al di fuori dell'Unione europea quote di produzione, non si può che, in maniera aritmetica, arrivare ad una conclusione, ovvero che in prospettiva l'export diminuirà ulteriormente, facendo aumentare le importazioni.
Fatta questa premessa, arrivo ad una considerazione, che inevitabilmente si tramuta in una domanda rivolta ai rappresentanti delle associazioni professionali dell'agricoltura: si tratta di una riflessione problematica sulle scelte già operate? Ammesso che di questo si tratti, credo sia impossibile tornare indietro. È un problema di regole, alle quali faceva riferimento l'onorevole Sedioli, per cui occorre dare in qualche modo indirizzi, più che regole, precisi al sistema agricolo? Aggiungerei: probabilmente è un problema che si pone in termini di sistema e di organizzazione economica.
Sono dell'idea che occorra diminuire le regole e non eliminarle (tuttavia, in modo provocatorio, vorrei dire che occorre eliminare le regole)! Cerchiamo di «seminare» maggiore democrazia nel comparto agricolo nazionale europeo, e in particolar modo in quello mediterraneo e meridionale.
Vi è stato necessariamente bisogno di regole stringenti, rigorose e «intollerabili», perché siamo ancora - e speriamo di uscirne - in un sistema di economia agricola quasi totalmente «assistita». Nel momento in cui si procede nel comparto economico attraverso l'utilizzo di risorse economiche pubbliche, queste regole non possono che essere stringenti.
È ipotizzabile una diminuzione drastica di regole, attraverso una delegificazione seria e decisa, ma soprattutto rapida? È ipotizzabile un incremento del potere contrattuale dell'agricoltore? Quest'ultimo deve inevitabilmente diventare «maggiorenne»!
È in discussione, in questi giorni, una proposta di legge inerente alla riforma del sistema dei consorzi. Si tratta di un brevissimo riferimento, che lascia intendere meglio a quale obiettivo mi riferisco. In questo caso, il commissariamento non rappresenta un fatto episodico, contingente o patologico; è divenuto un fatto fisiologico, naturale, una vera e propria regola.
Qual è il ruolo degli agricoltori nell'organizzazione dell'agricoltura? È completamente nullo! Ciò ha condotto ai risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
Si parla quindi di semplificazione amministrativa, che dovrebbe rappresentare una parte significativa del decreto-legge sulla competitività che il Governo si appresta a proporre all'esame del Parlamento.
Un'ultima considerazione: nel momento in cui la politica decide di confrontarsi con il mondo produttivo del comparto agricolo, è prassi che lo faccia con le organizzazioni professionali agricole, qui rappresentate oggi: Confagricoltura, CIA e Coldiretti.
Perché non lo facciamo anche con Confindustria e con Confcommercio? Quando facevo riferimento ad un problema di organizzazione economica, mi riferivo al fatto che non ci si può limitare ai problemi del lavoratore agricolo o del politico che in maniera specifica si occupa di queste cose. Non si può limitare l'organizzazione economica agricola soltanto al comparto della produzione della materia prima, ma bisogna andare oltre. Quando si parla di filiera, «dal campo al supermercato», si fa riferimento alla necessità di avere una maggiore interazione tra le varie fasi del ciclo produttivo, perché le trasformazioni economiche sono talmente rapide che non consentono alcun ritardo. Questa è la seconda osservazione che mi permetto di rivolgere ai nostri ospiti.
LUCA BELLOTTI. Presidente, vorrei limitarmi a sottolineare l'esigenza di avere altre occasioni per affrontare la materia all'ordine del giorno, perché alcuni temi necessitano di un migliore approfondimento. Parlare della politica agricola comunitaria significa parlare dell'agricoltura in generale e chiudere un dibattito così interessante nell'arco di quindici minuti mi sembra riduttivo. Abbiamo diversi problemi importanti da affrontare, tra cui quelli del ruolo dei giovani in agricoltura, della ricerca, della PAC, della qualità dei prodotti, della grande distribuzione dei prodotti agricoli stranieri in Italia. Avremmo quindi bisogno di maggiore tempo per approfondire questioni così rilevanti.
SERGIO AGONI. Molti colleghi si sono stupiti degli effetti derivanti dall'allargamento ad est. Ho più volte ricordato la legge dei vasi comunicanti: se mettiamo due vasi in comunicazione tra loro, se uno si abbassa l'altro si alza - la Germania dell'est è un esempio -. Ci troviamo in una fase di crisi strutturale in agricoltura, della quale ritengo i nostri sindacati responsabili, insieme agli agricoltori. Essi sono al tempo stesso vittime della globalizzazione e della mondializzazione dei mercati. L'Europa si è divisa tra Germania e Francia: la Francia si è tenuta la commercializzazione dei prodotti agricoli e la Germania tutta la produzione, mentre noi siamo rimasti in mezzo.
Rivolgo una domanda specifica: vale la pena mantenere il regime delle quote nelle produzioni, di fronte alla riforma della PAC, visto anche che il mantenimento delle quote non è servito ad alzare il reddito degli agricoltori?
Sicuramente la manodopera non incide più di tanto sul costo del prodotto, ma allora quali sono i fattori che incidono su questi costi?
Non ritenete anche voi che sia la sanità il punto fondamentale nel settore agricolo? Dobbiamo far leva sulla sanità dei prodotti italiani: ricordiamo che i nostri prodotti tipici coprono soltanto il 18 per cento della nostra produzione, mentre il restante 80 per cento riguarda prodotti per i quali la concorrenza è forte e a prezzi più bassi. Esportare prodotti tipici vuol dire anche chiedere per essi un prezzo maggiore e non sempre esistono consumatori disposti a pagarlo.
PAOLO SURACE, Responsabile dell'osservatorio economico della CIA. Mi permetto di rispondere ad alcune affermazioni in modo lapidario, mentre su altre svilupperò un piccolo ragionamento.
Non ho usato il termine di «crisi strutturale» per indicare la situazione dell'agricoltura in Italia. Non faccio parte del «club dei disfattisti», ma oggi paghiamo comunque i danni e le conseguenze di gravi ritardi strutturali. Ciò però non vuol dire ritenere in crisi il settore agricolo.
Dobbiamo evitare che l'allargamento dei mercati comporti dei rischi e dobbiamo far sì che le opportunità offerte dall'allargamento dei mercati siano colte dal nostro paese. Sono stato il primo a citare nel corso della conferenza dell'ICE il riferimento alla PECO. Se ragioniamo di mercati nuovi, tra cui Cina o India, non li possiamo poi porre sullo stesso piano di mercati vecchi, come i mercati PECO, che hanno una dimensione completamente diversa. Dire che dobbiamo entrare in quei mercati ha un senso, ma dire che dobbiamo evitare di essere scalzati via dai mercati PECO ha tutto un altro significato.
Perché la Spagna vince? Si tratta di una domanda secca, che riguarda la parte centrale di questa mia risposta. Si tratta di un dilemma grave: perché vince?
Bisogna osservare in primo luogo che non è vero che i paesi ex PECO sono poveri, e quindi non comprano. No, i paesi ex PECO sono paesi che comprano, ma comprano i prodotti che provengono dalla Spagna e non dall'Italia! Li comprano dalla Spagna perché costano di meno. Il motivo qual è? Posso citarne alcuni, anche desunti dall'esperienza nostra e dall'analisi che abbiamo fatto. Primo: infrastrutture. Si tratta di un motivo lapidario: finché per trasportare un carico di frutta da Barcellona ai mercati del nord Europa, si impiegherà meno tempo e costerà di meno che portarlo da Vittoria non c'è qualità che tenga, la nostra produzione sarà sempre poco competitiva! Non sono dirimenti i problemi di sfruttamento, di lavoro nero e di qualsiasi altra cosa vogliate. La nostra produzione non sarà mai competitiva.
Allora, io evidentemente mi domando: perché l'Italia è il paese europeo che ha la minore dotazione di carri frigo ferroviari, il che vuol dire non accedere al sistema delle grandi reti di comunicazioni? Che fine ha fatto il corridoio adriatico? Perché non si parla più di potenziamento della linea ferroviaria Reggio Calabria-Salerno, che rappresenta poi lo strumento per entrare nelle grandi reti di comunicazione? Ecco perché la Spagna vince e noi perdiamo.
Badate bene, la Spagna e la Francia si stanno offrendo come grandi terminali logistici per l'Europa dei prodotti ortofrutticoli del bacino mediterraneo sud (ovvero Marocco, eccetera).
Considerando che l'Italia è stata definita il più grande molo naturale europeo, non è assurdo osservare che essa rischia di essere bypassata dai grandi canali di traffico: a ovest da Barcellona e Marsiglia; a est dai Balcani, dalla rotta dei Balcani rappacificati. Noi, come Italia, stiamo qui in mezzo come dei baccalà, se mi passate il termine.
Secondo punto: le regole. Capisco l'intervento che dice: ma come, vogliamo altre regole? Facciamo però attenzione, perché dire regole non significa dire dirigismo. Su questo non ci deve essere alcun dubbio. Regole vuol dire organizzazione.
Allora, a chi ha domandato perché la Spagna vince, voglio in primo luogo rispondere che non è che la Spagna vinca oggi: si è trattato di un processo quanto meno di medio-lungo periodo. Ricordo, innanzitutto a me stesso, un nome, per fare un esempio: vi era un ente spagnolo che si chiamava Citrus board, il quale era un'organizzazione interprofessionale agrumicola, che operava in Spagna, di tipo privatistico, esistente addirittura dai periodi della dittatura, e recuperata poi in termini più democratici. Questo ente rappresentava sostanzialmente la struttura di governo dell'esportazione degli agrumi spagnoli nei mercati del nord, e attraverso questo sistema di regole (regole di governo volontarie), gli spagnoli hanno vinto su quei mercati, mentre l'Italia, con circa duemila esportatori che si facevano battaglie indecenti, basate sulla sleale concorrenza, perdeva sugli stessi mercati. Chiunque di voi può ricordare che cosa era la pratica della deverdizzazione degli agrumi, che ci ha fatto perdere i mercati dell'Europa del nord. Ecco che cosa intendo io per regole.
Voglio fare un altro esempio: quando in Francia, credo uno o due anni fa, scoppiò il problema dei prezzi troppo alti dei prodotti ortofrutticoli, vi fu il famoso accordo di governo per calmierare quei prezzi. Veniva prevista pertanto una riduzione dei prezzi spalmata lungo tutta la filiera. L'esperimento sostanzialmente fallì. Dichiarazione del governo francese: le potentissime organizzazioni interprofessionali francesi non consentono alcun ritocco sui prezzi.
Le potentissime organizzazioni interprofessionali francesi! In Italia, voi discuterete fra poco la proposta di decreto legislativo sulle azioni di mercato, che cancella le interprofessioni. Ecco perché la Spagna vince e l'Italia perde.
Quando si confonde, come fa la proposta di decreto legislativo, un istituto della concertazione, come è il tavolo agroalimentare, con una sede dove si fanno negoziati interprofessionali, si sbaglia. Si fa dirigismo, si fa statalismo. Esattamente quello che io non voglio, e suppongo che molti di voi non vogliano.
Vorrei aggiungere rapidamente alcuni titoli: il primo è innovazione e ricerca. Visto che si parla di decreto sulla competitività, ricordiamoci che innovazione e ricerca vuole anche dire trasferimento delle innovazioni, vuole dire consulenza aziendale, vuol dire poli eccellenti di ricerca, ma vuole anche dire che, se andiamo a vedere le tabelle di spesa del ministero e delle regioni, per queste cose la spesa è minima, è sotto il 4 per 100.
Altra questione: promozione. Presidente, secondo me, promozione non è solo partecipare alle varie fiere in giro per il mondo, è anche mettere in grado le interprofessioni strutturate di partecipare e finanziare le società di promozione, tipo Buonitalia.
Perché SOPEXA francese funziona, e funziona bene? Secondo me, anche perché gli operatori partecipano in essa al 47 per cento del capitale sociale. Essi partecipano alle iniziative.
ANDREA FUGARO, Capo servizio organizzazione economica della Coldiretti. Intervengo solo per fare alcune brevissime battute, data la scarsità di tempo, e considerando che vi saranno altre occasioni per meglio esprimere il mio pensiero.
Credo che finché parliamo di crisi dell'agricoltura, difficilmente riusciamo a dargli quel valore strategico, di priorità politica che, come qualcuno ha ricordato, desideriamo che abbia. Difficilmente riusciamo a inserirla come elemento prioritario nelle politiche economiche di questo paese. Non si tratta di un semplice ottimismo di maniera, perché i problemi certamente ci sono. Credo però sia importante anche guardare alle opportunità per poterne capire le cause, e quindi mettere in campo gli strumenti giusti.
Un'ultima battuta, sebbene occorrerebbe poter rispondere anche a molte altre domande: l'onorevole Sedioli era colpito dalla affermazione che non c'è solo la PAC, da cui il quesito sa quali altre opportunità vi siano per l'allargamento. I due argomenti sono strettamente legati, perché se è vero che la PAC, leggendola nel modo più positivo possibile, con il disaccoppiamento ci porta verso il mercato, (una cosa che ripetiamo continuamente - chi l'ha sostenuta come noi ci crede veramente), è tuttavia da segnalare che in questo momento servono regole per il mercato, che riguardino la concentrazione dell'offerta e il problema della strutturazione e formazione del prezzo (che non sempre si forma nella dinamica di mercato).
Le regole non significano ingabbiare di nuovo l'impresa in qualcosa di diverso e più forte della PAC; esse devono tendere a risolvere problemi di quella che voi avete chiamato la crisi dell'agricoltura. Sono questi i problemi: i problemi dei prezzi, i problemi della concentrazione dell'offerta, i problemi relativi al mercato.
VINCENZO LENUCCI, Responsabile servizio affari internazionali della Confagricoltura. Siamo scalzati, dice il senatore Piatti, da chi ha più innovazione e meno costi. Temo anche da chi è più organizzato. Temo anche che certi limiti riguardanti l'organizzazione economica delle produzioni, che sono stati inseriti nel provvedimento su cui tra poco dovrete esprimere il vostro parere, siano troppo bassi per cercare, se vogliamo in quel caso sì, dare un indirizzo al settore agricolo, indirizzarlo verso una vera concentrazione delle organizzazioni.
Secondo punto. Alla conferenza sul commercio estero (a cui sabato ho partecipato) non si è parlato solo di promozione ed internazionalizzazione in genere. I nostri colleghi imprenditori del settore tessile e calzaturiero hanno chiesto ed ottenuto dal Governo - che lo ha affermato a viva voce - l'impegno a darsi da fare contro la Cina per applicare misure anti dumping del tipo: vogliamo cominciare a pensare a queste cose anche per il settore agricolo? Vogliamo cominciare ad attuare veramente le clausole di salvaguardia?
Bisogna poi fare attenzione ad un paradosso che esiste perché questo tipo di strumenti, che è il caso di cominciare ad applicare anche al settore agricolo, paradossalmente, per i nuovi aderenti non avrebbero funzione perché si tratta di strumenti di politica commerciale europea e ormai noi abbiamo questi paesi nel mercato unico. Potrebbero, però, rivelarsi strumenti utili per i rapporti con i paesi del bacino del Mediterraneo, forse, anche per l'import che proviene dall'Asia (rispondo così anche alle sollecitazioni mosse su zucchero e latte).
Come c'è stata, a mio avviso, una certa incoerenza fra obiettivi politici dell'adesione ed obiettivi delle politiche comunitarie, così bisogna cominciare a pensare anche alle incoerenze che esistono tra politiche commerciali e politiche dei mercati. Quando capiterà (così come sta avvenendo) che dovremo fare di più per salvaguardare il settore dello zucchero, che noi abbiamo a cuore, o quello del latte, occorrerà riflettere anche su quali guai abbiamo prodotto prima con le massicce concessioni, con l'apertura dei mercati e via dicendo, rinunciando a quel ruolo di governo dei mercati che, con solo un po' di regole, avremmo potuto avere.
PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per le preziose informazioni che ci hanno fornito.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15,25.
SENATO DELLA REPUBBLICA
XIVLEGISLATURA
BOZZE NON CORRETTE
9a COMMISSIONE PERMANENTE
(Agricoltura e produzione
agroalimentare)
del Senato della
Repubblica
SEDUTA
CONGIUNTA CON LA
XIII
COMMISSIONE PERMANENTE
(Agricoltura)
della
Camera dei deputati
Seduta n. 20
INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI SCENARI DELLE POLITICHE AGRICOLE NELL'EUROPA ALLARGATA
50 Resoconto stenografico
(La numerazione dei
resoconti stenografici comprende le sedute svolte dalla Commissione
XIII della Camera dei deputati congiunta con la Commissioni 9° del Senato della
Repubblica
presso la Camera dei deputati)
SEDUTA DI MERCOLEDÌ 13 APRILE 2005
Presidenza del vice
presidente della 9a
Commissione permanente del Senato
PICCIONI
indi del presidente della 9a
Commissione permanente del Senato
RONCONI
I testi contenuti nel presente fascicolo - che anticipa a uso interno l'edizione del Resoconto stenografico - non sono stati rivisti dagli oratori.
Senato della Repubblica - 2 - XIV Legislatura
COMMISS. CONGIUNTE 9ª SENATO E XIII CAMERA 5° RESOCONTO STEN. (13aprile 2005)
INDICE
Audizione di rappresentanti della Confindustria-Federalimentare
PRESIDENTE:
- PICCIONI (FI), senatore Pag_ 3, 9
- RONCONI (UDC), senatore 11,23
BASILE (Misto), senatore 9
AGONI (LP), senatore 10,12
MURINEDDU (DS-U), senatore 11
DE PETRIS (Verdi-U), senatrice 11,12
PIATTI (DS-U), senatore 13
BONGIORNO (AN), senatore 14, 21, 22
VICINI (DS-U), senatore ................................... 16
ROSSI DI MONTELERA ..Pag. 4,17, 21 e passim
Sigle dei Gruppi parlamentari del Senato della Repubblica: Alleanza Nazionale: AN; Democratici di Sinistra-l'Ulivo: DS-U; Forza Italia: FI; Lega Padana: LP; Margherita-DL-l'Ulivo: Mar-DL-U; Per le Autonomie: Aut; Unione Democristiana e di Centro: UDC; Verdi-l'Ulivo: Verdi-U; Misto: Misto; Misto-Comunisti Italiani: Misto-Com; Misto-Lega per l'Autonomia lombarda: Misto-LAL; Misto-Libertà e giustizia per l'Ulivo: Misto-LGU, Misto-MSI-Fiamma Tricolore: Misto-MSI-Fiamma; Misto-Nuovo PSI: Misto-NPSI, Misto-Partito Repubblicano Italiano: Misto-PRI; Misto-Rifondazione Comunista: Misto-RC; Misto-Socialisti democratici Italiani-SDI: Misto-SDI; Misto Alleanza Popolare-Udeur: Misto-AP-Udeur.
Sigle dei Gruppi parlamentari della Camera dei deputati: Forza Italia: FI; Democratici di Sinistra-l'Ulivo: DS-U; Alleanza Nazionale: AN,• Margherita, DL-L'Ulivo: MARGH-U; Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro: UDC; Lega Nord Federazione Padana: LNFP; Rifondazione Comunista: RC; Misto: Misto; Misto-Comunisti italiani: Misto-Com.it; Misto-Socialisti Democratici Italiani: Misto-SDI; Misto-Verdi-L'Ulivo: Misto-Verdi-U; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.linguist.; Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI: Misto-LdRNPSI; Misto-popolari-UDEUR : Misto-P-UDEUR.
Senato della Repubblica - 3 - XIV Legislatura
COMMISS. CONGIUNTE 9ª SENATO E XIII CAMERA 5° RESOCONTO STEN. (13 aprile 2005)
Interviene il dottor Luigi Rossi di Montelera, presidente di Federalimentare, accompagnato dal dottor Daniele Rossi, direttore generale di Federalimentare, e dal dottor Bruno Nobile, responsabile delle relazioni parlamentari di Federalimentare.
Presidenza del vice
presidente della 9a Commissione permanente del
Senato
PICCIONI
I lavori hanno inizio alle ore14,15.
PROCEDURE INFORMATIVE
Audizione di rappresentanti della Confindustria-Federalimentare
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'indagine conoscitiva sugli scenari delle politiche agricole nell'Europa allargata, sospesa nella seduta del 1° marzo scorso.
Ricordo che la pubblicità dei lavori sarà assicurata, secondo le forme stabilite dagli articoli 33 e 48 del Regolamento del Senato della Repubblica e dagli articoli 65 e 144 del Regolamento della Camera dei deputati, attraverso la resocontazione stenografica della seduta.
Comunico che il Presidente del Senato ha autorizzato la pubblicità dei lavori della seduta attraverso l'attivazione sia della trasmissione radio-fonica, sia di quella televisiva attraverso il canale satellitare del Senato, eventualmente in differita. Resta naturalmente confermata la forma di pubblicità di cui all'articolo 33, comma 4, del Regolamento del Senato - autorizzata dal Presidente del Senato - e pertanto la pubblicità dei lavori sarà garantita anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
È oggi prevista l'audizione di rappresentanti della Confidustria-Federalimentare. Sono presenti il dottor Luigi Rossi di Montelera, presidente, il dottor Daniele Rossi, direttore generale, e il dottor Bruno Nobile, responsabile per i rapporti istituzionali.
Ricordo che, nell'ambito dell'indagine conoscitiva che la Commissione 9' del Senato e XIII della Camera dei deputati stanno svolgendo congiuntamente sui nuovi scenari delle politiche agricole nell'Europa allargata, sono state svolte Ie seguenti audizioni: il 22 settembre 2004, il Ministro delle politiche agricole e forestali; il 27 ottobre 2004, il Vice Ministro per le attività produttive, con delega per il commercio con l'estero;
Senato della Repubblica - 4 - XIV Legislatura
COMMISS. CONGIUNTE 9ª SENATO E XIII CAMERA 5° RESOCONTO STEN. (13 aprile 2005)
il 16 febbraio 2005, il Ministro per le politiche comunitarie; il 1 ° marzo 2005, le organizzazioni professionali agricole.
Cedo la parola al presidente, dottor Luigi Rossi di Montelera.
ROSSI DI MONTELERA. Signor Presidente, onorevoli senatori e deputati, innanzitutto ringrazio per l'occasione che ci è stata concessa di essere auditi dalle due Commissioni agricoltura del Parlamento sugli scenari delle politiche agricole nell'Europa allargata e quindi, anche sulla situazione conseguente all'allargamento, sugli scenari europei e sulle risultanze della più recente riforma della Politica agricola comune (PAC).
Abbiamo assistito con grande interesse al fenomeno e al processo di allargamento dell'Unione Europea in quanto esso, oltre a rispondere ad evidenti e pienamente condivise esigenze politiche, ha anche determinato la prospettiva di realizzare un mercato molto più allargato e consistente, che in settori tradizionali come il nostro non può che essere visto come un aspetto altamente positivo, foriero di aspettative di crescita importanti e rilevanti, ed anche come momento di coordinamento delle politiche agroalimentari di questi diversi Paesi europei che svolgono, sì, un ruolo fondamentale nel mondo globalizzato, ma che fino ad oggi si erano frequentemente trovati in contrasto gli uni con gli altri, piuttosto che in una posizione coordinata a livello comunitario. Oggi vi è la possibilità di avere un peso, sul piano mondiale, estremamente rilevante.
In tale quadro possiamo affermare che il commercio agroalimentare dell'Italia con gli ultimi 10 Paesi membri della Comunità appare dinamico e promettente nelle sue evoluzioni più recenti. Nell'ultimo anno, le esportazioni dell'industria alimentare nei suddetti 10 Paesi hanno raggiunto quota 426 milioni di euro, con un aumento del 12,2 per cento, nettamente superiore a quello segnato dallo stesso settore agroalimentare a livello mondiale, pari al 5,8 per cento. Questi Paesi si sono quindi confermati come aree importanti per la nostra espansione.
La nostra espansione ha contrastato la grande riflessività mostrata, in-vece, dall'export italiano complessivo (vale a dire quello di tutti i prodotti di qualunque tipo) nella stessa area dei citati 10 Paesi: infatti, nel medesimo periodo, queste esportazioni hanno registrato la contrazione dell' 1,5 per cento del fatturato.
L'export alimentare italiano nel mercato di tali 10 Paesi appare ancora suscettibile di grande sviluppo. Nonostante il progresso messo a segno nel 2004, esso ha coperto appena il 2,8 per cento dell'export globale del Paese. L'export dell'industria alimentare italiana, nell'area dei 15 membri storici della Comunità, ha raggiunto quasi 9.000 milioni di euro, con una incidenza del 6,2 per cento sull'export italiano complessivo in tale area. A sostegno della grande potenzialità di questi mercati per il made in Italy, bisogna ricordare che l'export dell'industria alimentare nazionale su un grande mercato che sta dietro a quello dei 10 suddetti Paesi (vale a dire, il mercato russo) ha registrato nel 2004 un aumento del 12,7 per cento, mentre l'export italiano complessivo in tale mercato è cresciuto
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del 29,1 per cento, il che significa che, da molti punti di vista, vi è ancora una forbice che dà spazi ad una possibile crescita.
Le voci più importanti del nostro export alimentare verso i 10 sud-detti Paesi sono i settori dolciario, del vino, del riso, degli oli e grassi, della pasta e così via; sono interessanti anche le tendenze che emergono nel settore lattiero-caseario e delle carni preparate; abbiamo però avuto una diminuzione in altri prodotti alimentari generici, nelle acque alimentari e nel settore delle acquaviti e liquori.
Nell'insieme, a parte qualche eccezione, emerge una diffusa crescita dell'export da parte di quasi tutti i principali comparti dell'industria alimentare italiana. Ciò dimostra l'interesse ampio e articolato dell'area dei 10 Paesi nei confronti del made in Italy alimentare.
Va segnalato, infine, il marcato incremento dell'import nazionale dei prodotti alimentari trasformati nell'area dei 10 Paesi considerati. Le importazioni del 2004 hanno raggiunto la quota di 231 milioni di euro, con un incremento delle importazioni - ricordiamo che l'aumento delle esportazioni, sulla base dei dati che abbiamo fornito, è stato del 2,2 per cento - dell' 85 per cento, anche se in termini assoluti va considerato che ci si è riferiti ad un punto di partenza molto inferiore. È probabile che nel 2004, nel forte impulso dell'import di prodotti alimentari trasformati - non si tratta, infatti, solo di materie prime, ma anche di prodotti trasformati - abbiano pesato in qualche modo le produzioni effettuate anche da aziende comunitarie già delocalizzate nel territorio dei citati 10 Paesi.
Il saldo attivo del settore ha così toccato la soglia di 195 milioni di euro (con un saldo positivo, quindi), ma un calo di 50 milioni di euro sull'anno precedente: dunque, 50 milioni di euro su 195. Il commercio estero italiano nel 2004 di prodotti primari, quindi agrozootecnici e ittici, con l'area dei 10 si era mostrato statico nel 2003, con un incremento del 2,5 per cento dell'export e pari a zero sull'import, ma nel 2004 ha evidenziato dinamiche più marcate e divergenti. L'import è salito infatti quasi del 15 per cento, mentre l'export è sceso del 6 per cento. Questo per i prodotti primari, quindi fondamentalmente i prodotti dell'agricoltura.
Passiamo ora a qualche valutazione di fondo. L'export dell'industria alimentare italiana rimane penalizzato da alcune caratteristiche strutturali. Essenzialmente, la grande frammentazione produttiva (cioè aziende troppo piccole, troppo frammentate) e, poi, la frammentazione dello stesso sforzo promozionale. Questo significa una pluralità di enti di promozione, con una polverizzazione della spesa, delle disponibilità finanziarie, ma anche una polverizzazione, talvolta una sorta di reciproco annullamento, dello sforzo quando le iniziative invece che avvenire su una base coordinata, programmata e costante avvengono su basi non programmate, talvolta improvvisate o addirittura su impulso di unità territoriali varie, di enti locali, che talvolta arrivano addirittura fino alla dimensione comunale.
Accanto a questi fattori, va posta la totale inconsistenza estera della nostra grande distribuzione. Siamo forse l'unico grande Paese d'Europa a non avere alcuna struttura di grande distribuzione nazionale diffusa all'e-
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stero. La mancanza di spinta estera della grande distribuzione nazionale frena enormemente i nostri prodotti rispetto a quelli della concorrenza comunitaria, che si può appoggiare a forti presidi della propria distribuzione anche sui nuovi grandi mercati in espansione. Non a caso, la percentuale di fatturato esportata dall'industria alimentare italiana si è fermata anche nel 2004 al 14 per cento della produzione nazionale, contro il 18 per cento della media comunitaria e il 22 per cento del food and drink francese, che è veicolato da formidabili catene distributive già presenti, ad esempio, nella stessa Cina. Questo è un dato molto preoccupante, su cui dobbiamo fare un profondo esame anche nell'ambito del settore industriale, ma non solo. Dal punto di vista dell'immagine, noi siamo di solito considerati, siamo il made in Italy, quindi capacissimi e molto orientati ai mercati internazionali; in realtà, lo siamo molto meno dei nostri partner europei che hanno meno qualità di made in, che hanno meno varietà della produzione, che hanno meno punte di eccellenza da presentare nel mondo, mentre noi abbiamo alcuni grandi punti di forza dell'italianità. Quindi, 14 per cento dell'Italia contro il 22 per cento della Francia.
Va ricordato infine, che enormi fette di mercato sono sottratte al food and drink italiano dal fenomeno della contraffazione: quella totalmente il-legale di marchi e denominazioni d'origine e quella scorretta, ma formalmente legale (il cosiddetto Italian Sounding), che echeggia e imita nei nomi e nel confezionamento la provenienza italiana dei prodotti: mi riferisco a bandiere italiane sull'etichetta, a nomi che suonano italiani e così via. Il fenomeno è stato già posto sotto la lente di ingrandimento anche da parte delle autorità di Governo e si sta tentando di arginarlo recuperando ai nostri prodotti le aree di mercato che vengono loro sottratte. Certo è che esso, al tasso di sviluppo attuale, rischia di portare nell'arco di pochi anni, forse addirittura di uno o due anni, la contraffazione alimentare sui mercati internazionali allo stesso livello del fatturato complessivo dell'industria alimentare nazionale. Ciò significa che se l'industria alimentare italiana produce 100, fra uno o due anni, con la tendenza di oggi, la produzione contraffatta nel mondo, illegalmente o nel senso che usa terminologie italianeggianti per far pensare al consumatore che il prodotto sia italiano, sarà anch'essa di 100. Quindi, 100 produciamo noi come fatturato e 100 producono loro: ciò vuol dire che il mercato del prodotto italiano è pari a 200 ma di questo 200 noi forniamo solo la metà. Questo dato rappresenta da un lato un grande potenziale, dall'altro una frana ed una emorragia terribile dal punto di vista dell'affermazione del prodotto.
Vorrei aggiungere due parole sui provvedimenti che riteniamo debbano essere adottati su questa materia.
Da alcune parti si è ventilato l'utilizzo di ulteriori marchi a garanzia dell'italianità del prodotto; noi riteniamo che sia un grave errore. È già difficile riuscire a far passare il concetto di made in Italy e quello dei mar-chi nazionali o delle denominazioni d'origine nazionali nel mondo; se poi andiamo ad aggiungere ulteriori marchi, denominazioni o terminologie, che si sovrappongono e qualche volta possono contrapporsi ai nostri attuali marchi di tutela, rischiamo non solo di ingenerare nel consumatore
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mondiale una grandissima confusione invece di creare certezze, ma anche di aprire delle maglie per utilizzi incongrui ed impropri di queste differenze di normativa tra denominazione e denominazione, fra marchio e marchio. Riteniamo invece che ci si debba concentrare innanzi tutto sull'affermazione di un unico principio, quello del made in Italy, secondo le regole europee che già lo definiscono, e sui marchi aziendali o le denominazioni d'origine dei prodotti, che sono anch'essi definiti per legge ed ampiamente controllati e verificati dagli appositi consorzi ed autorità esistenti, concentrando su di essi in modo univoco l'impegno promozionale del nostro Paese.
Non va poi dimenticato (passo ora ad un altro argomento, che non c'entra tanto con l'Unione Europea quanto con la globalizzazione, con il mondo intero) un altro rischio importante recato dall'allargamento: quello di concorrenza impropria legato a possibili fenomeni di dumping sociale ed ambientale. Mi riferisco all'abbattimento ingiustificato dei prezzi basato sul dumping sociale (quindi utilizzo di manodopera sottopagata o non pagata o addirittura sfruttata o infantile), sul dumping ambientale (quindi prodotti fabbricati senza le garanzie di tipo ambientale, cioè di impatto sull'ambiente) o sul dumping socio-sanitario (cioè di garanzia sulla qualità e sulla sicurezza del prodotto). In altre parole, l'elemento di sicurezza e salvaguardia igienico-sanitaria, elevatissimo in Italia e in Europa a necessaria difesa del consumatore, impedisce alla nostra industria alimentare di confrontarsi ad armi pari con produzioni a basso costo e a garanzie insufficienti. Questo, naturalmente, è riferito alla situazione attuale.
Per quanto riguarda l'Europa, ovviamente, i 10 nuovi Paesi membri, e gli altri che presumibilmente arriveranno, sicuramente dovranno adeguarsi alle normative comuni sia nelle strutture di controllo e di ricerca sia sotto i profili della sicurezza alimentare, ma il problema rimane nel resto del mondo.
Non si può sottacere, perciò, che l'ampliamento dell'Unione rechi in prospettiva chiari problemi per la nostra filiera e per l'intera agricoltura italiana. Si ha ragione di ritenere, tuttavia, che le maggiori preoccupazioni per un'industria alimentare di qualità, frammentata come quella italiana siano essenzialmente di natura interna. L'agricoltura italiana è ancora lontana da strategie orientate in termini di benchmarking ovvero di competitività di sistemi. Il processo di accorpamento delle aziende agricole italiane è stato auspicato da tempo, ma è stato completamente disatteso nell'ultimo decennio, censimento agricolo alla mano.
La frammentarietà di tutta la filiera alimentare italiana, in definitiva, pesa in modo crescente sul suo equilibrio economico e sulla competitività dei prodotti. È questo il nodo centrale del sistema, al di là di battaglie recenti attorno alla tracciabilità dei prodotti alimentari nazionali. Ed è da questo nodo che conseguono rischi aggiuntivi e strutturali per il nostro sistema rispetto alle altre filiere europee. Tali rischi si ripresentano ad ogni appuntamento innovativo importante: quindi, non solo in relazione all'allargamento dell'Unione Europea, ma anche, in grande profondità, al rinnovamento e alla riforma della Politica agricola comune e al negoziato del-l'Organizzazione mondiale del commercio.
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Vorrei soffermarmi ancora sul tema dell'agricoltura. Come abbiamo detto, riteniamo che il nodo fondamentale sia la polverizzazione delle strutture produttive agricole nazionali, che provoca costi di produzione non competitivi non solo con quelli del resto del mondo, ma anche con quelli dei Paesi più maturi, più evoluti e più ricchi della vecchia Europa, come Francia, Inghilterra e Germania. Pensare di affrontare questo problema creando una sorta di riserve di tipo amministrativo, autarchico, protezionistico per le produzioni nazionali, per il solo fatto di essere tali, è a nostro avviso un gravissimo errore. La competitività si crea su due basi: la qualità e i costi. Dobbiamo quindi batterci su questi due fronti, altrimenti il mercato globale farà giustizia comunque della non competitività del sistema. Non basteranno le misure protezionistiche, che peraltro non sono ammesse a livello comunitario, per difendere prodotti non competitivi sul piano mondiale. Infatti, in un sistema mondiale aperto le protezioni e le barriere verranno via via eliminate (già accade oggi), per cui le produzioni agricole dei Paesi che hanno costi minori, al di là di fenomeni di dumping, nonché quelle dei Paesi che, pur avendo costi unitari più alti, hanno strutture produttive agricole molto più integrate, come la Francia e la Germania, faranno giustizia di queste nostre produzioni.
Sotto questo profilo, possiamo dire che la riforma della politica agri-cola comune ha già messo il dito nella piaga, poiché ha tolto una serie di contribuzioni e di sostegni finanziari e li ha sostituiti con sostegni temporanei ai singoli agricoltori, ma ha di fatto lasciato irrisolto il problema in prospettiva. La competitività del nostro sistema agricolo deve giocarsi sulle dimensioni aziendali, sulla crescita tecnologica delle aziende e sulla questione della qualità.
Le ricerche effettuate da Federalimentare sulla redditività dell'industria alimentare italiana mostrano livelli di utili largamente cedenti, in termini assoluti e percentuali, rispetto ai ricavi, soprattutto nel segmento delle piccole e medie industrie e nel Mezzogiorno, dove la frammentazione aumenta (quindi l'industria ha assolutamente lo stesso problema).
Preferiamo però ragionare in termini positivi, cioè in chiave di opportunità che i nuovi Paesi membri e il mondo globalizzato possono offrire. Riteniamo che tali opportunità saranno senza dubbio interessanti e non certo inferiori ai rischi. L'esperienza insegna che l'adesione all'Unione Europea di nuovi Paesi crea spinte aggiuntive di sviluppo ai mercati e alle economie. L'area dei 10 Paesi potrà fornire auspicabilmente quegli spazi di espansione che il mercato dei 15 Paesi, più che maturo, ha larga-mente disatteso negli ultimi anni, con la stagnazione dell'economia inter-nazionale. Tale area, inoltre, diventerà una importante fonte di approvvigionamento di materie prime e di commodities.
Rileviamo ad oggi una situazione di modesto interscambio e dunque di esiguo impatto dell'allargamento rispetto al contesto in corso. Rileviamo peraltro che, a livello di competitività, se da un lato si apriranno nuove opportunità, dall'altro rischiamo di subire una concorrenza nell'ambito dei prodotti primari e di quelli di prima trasformazione, provenienti sia dai nuovi Stati aderenti, sia dai cosiddetti Paesi terzi. A nostro giudizio, dovrà essere compiuto ogni sforzo, non solo in termini competitivi, ma anche di obiettività normativa, per garantire che tutti i Paesi che en-
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trano nell'Unione adottino, nei tempi più rapidi possibili, le normative comunitarie.
In conclusione, sottolineiamo la necessità di ridurre i divari di tipo strutturale e infrastrutturale legati al comparto agricolo dei Paesi concorrenti; di difendere.e arricchire il patrimonio tecnologico nazionale e comunitario; di consolidare i nostri prodotti ai modelli di consumo di questi Paesi, promuovendo in essi lo stile di vita italiano e mediterraneo. Infine, occorre fare attenzione alle deroghe accordate sulla sicurezza alimentare e ambientale a livello comunitario, nonché alle deroghe riconosciute informalmente - ma purtroppo ampiamente esistenti - ai Paesi terzi. Ciò riguarda il tema del negoziato in sede di Organizzazione mondiale del commercio.
PRESIDENTE. Ringrazio il presidente di Federalimentare per la sua esaustiva relazione.
BASILE (Misto). Ringrazio il dottor Rossi di Montelera, presidente di Federalimentare, per la sua ampia e interessante relazione, che ha offerto molti spunti per il dibattito e della quale condivido alcuni passaggi. Mi riferisco, ad esempio, al fatto che il settore agroalimentare è penalizzato dalla polverizzazione diffusa sul territorio, in particolare per quanto riguarda lo sforzo promozionale, e purtroppo risente della mancanza di una concentrazione di interessi a svolgere questa attività. La grande distribuzione organizzata (GDO) soffre proprio perché non è presente all'estero e ciò si riflette sull'agroalimentare italiano.
Occorre verificare poi sia l'incidenza delle condizioni igieniche e sanitarie aIl'interno dei 10 Paesi, dal momento che la sicurezza alimentare è sempre più richiesta dai nostri consumatori, sia quale potrebbe essere lo scenario nel breve e nel medio-lungo termine. Chiedo quindi al presidente Rossi di Montelera un approfondimento a questo proposito. Sono d'accordo anche sulla necessità di tenere in considerazione il dumping sociale e ambientale.
Su un altro punto, invece, non sono d'accordo, ma forse c'è stato un equivoco nell'esposizione del presidente Rossi di Montelera. Egli ha citato alcuni dati che testimoniano un trend in aumento nell'export delle nostre imprese agroalimentari. Occorre tuttavia precisare che questo aumento trova una spiegazione in altri fattori e non è determinato dall'ingresso nell'Unione dei Paesi PECO, la cui adesione è recente (risale, infatti, al mese di maggio dell'anno scorso). Le Commissioni agricoltura del Senato e della Camera sono interessate a valutare l'impatto dell'ingresso nell'U-nione di questi Paesi, ma credo che dovremo attendere tre o quattro anni prima di comprendere quali sono gli effetti diretti dell'allargamento. Si può considerare che il trend è in aumento, però tanti fattori possono intervenire e modificare le previsioni, per cui forse è prudente compiere valutazioni periodiche, magari ogni tre o sei mesi.
Vorrei esporre un'ultima considerazione, prima di concludere. Il presidente Rossi di Montelera, all'inizio della sua relazione, ha fatto un breve riferimento al coordinamento delle politiche agroalimentari. Credo che questo sia un aspetto importante, invocato anche in altri settori per questioni diverse, tuttavia - come ci insegna l'applicazione della strategia
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di Lisbona nei cinque anni trascorsi dalla sua approvazione - il coordina-mento all'interno dei Paesi membri della UE è mancato in modo assoluto. Proprio sugli obiettivi delineati dalla strategia di Lisbona stiamo svolgendo da tempo un'indagine conoscitiva in 14a Commissione. Lo stesso presidente Barroso, in una recente comunicazione, ha confermato l'analisi del Rapporto Kok; purtroppo, il coordinamento tra le politiche economi-che in generale è uno dei motivi dell'insuccesso delle varie strategie por-tate avanti dall'Unione Europea.
L'ultimo aspetto riguarda i tempi e il presidente ha accennato a tale difficoltà. Sospettiamo che 1'acquis communautaire, cioè la fonte del recente ingresso ufficiale di alcuni nuovi Paesi all'interno dell'Unione Europea, non sia assolutamente perfezionata; occorreranno anni per adeguare i sistemi di tali Paesi alle regole dell'Unione Europea. Credo pertanto che tirare le somme di tale inserimento, avvenuto solo lo scorso anno, sia assolutamente prematuro.
AGONI (LP). Signor Presidente, nel mio intervento cercherò di essere sintetico. Molto semplicemente e concretamente vorrei dire che se fossi io l'industriale che deve trasformare i prodotti non mi preoccuperei tanto della frammentarietà della produzione agricola, perché quella si ridimensiona da sola. Potrei sicuramente portare come esempio decine di aziende, piccole e medie, che hanno grandi problemi, altrettante che vivono tranquillamente e altrettante, o forse un po' meno, trattandosi di grandi aziende, che hanno invece avuto problemi nel continuare il proprio lavoro. Questo problema si risolve soprattutto sul versante della manodopera. I nuclei familiari che dispongono di manodopera propria (parlo soprattutto dell'agricoltura di allevamento e delle fattrici, siano essi suini, bovini, conigli e via dicendo, settore in cui siamo specializzati e in cui non abbiamo concorrenti) e composti da un certo numero di persone in grado di seguire l'allevamento non incontrano grossi problemi.
In questa Commissione mi sono fatto da sempre paladino della difesa sanitaria dei prodotti agricoli italiani, da non confondere con quelli che provengono dall'estero. Ho sempre trovato il parere concorde di tutti i miei colleghi su questo punto, sia della Camera che del Senato; non c'è stato mai nessun contrasto. Proprio per questo non sono d'accordo con lei quando dichiara la sua contrarietà a nuove terminologie, in quanto potrebbero creare confusione: se stabiliamo una nuova terminologia, ne eli-miniamo una vecchia. A noi interessa che il marchio made in Italy riguardi solo prodotti italiani. La Commissione agricoltura intende difendere la produzione agricola italiana. Non vogliamo che un determinato prodotto sia, ad esempio, per il 30 per cento di produzione italiana e per il 70 per cento di produzione straniera. Se si parla di prodotto italiano, si deve trattare di produzione italiana, come minimo, al 90 per cento. Questo è quanto chiediamo per difendere la produzione agricola italiana. Poi ognuno fa il suo lavoro in base a quello che è consentito dalle leggi nazionali e dalla Comunità europea, ci mancherebbe altro, però a noi sta a cuore la difesa della produzione nazionale.
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Circa la frammentarietà delle produzioni, non c'è alcuna preoccupazione: gli agricoltori sanno fare da soli queste trasformazioni; quella dimensionale è una scelta che rientra nelle loro decisioni, che potranno compiere in conseguenza degli introiti monetari che conseguiranno.
Presidenza del presidente della 9a Commissione
permanente del Senato
RONCONI
MURINEDDU (DS-U). Dottor Rossi di Montelera, non faccio valutazioni sulla sua splendida relazione per la semplice ragione che la condivido nella sua interezza. Ciò però mi porta a farle una domanda che potrebbe chiarire alcuni aspetti del problema che mi sono oscuri. La mia domanda riguarda il rapporto tra competitività e delocalizzazione. Secondo lei, si può incidere positivamente o negativamente sull'economia agroindustriale italiana delocalizzando? Quali sono, a suo giudizio, le condizioni che potrebbero rendere positivo tale fenomeno per il Paese?
Credo che questo sia un problema molto importante, perché, anche se le nostre condizioni strutturali sono un po' carenti, è anche vero che comunque disponiamo di una rete finanziaria, commerciale e di ricerca, anche di tipo universitaria, rispettabilissima. Quindi, a suo giudizio, visto che lei è una persona estremamente competente in materia, delocalizzare per produrre prodotti di prima formazione può essere di nocumento alla nostra economia oppure può rappresentare un vantaggio?
DE PETRIS (Verdi-Un). Signor Presidente, la relazione che ci è stata presentata è estremamente interessante e ci ha fornito molti spunti di riflessione. Non siamo però ad un convegno e quindi vorrei capire come dobbiamo muoverci a livello di sistema Paese. Sono onestamente e seria-mente convinta, tanto più dai dati forniti oggi, che abbiamo la possibilità di penetrare maggiormente nel mercato europeo, quindi di cogliere anche alcune opportunità che possono venire dall'allargamento (se ci si sa muovere bene, altrimenti può essere un disastro), qualora l'industria agroalimentare e il settore primario si muovano contemporaneamente. Ve lo dico con sincerità: alcune volte noto strategie e ipotesi diverse, invece questa volta sono assolutamente convinta, e su ciò baso la mia domanda, che abbiamo dinanzi a noi una possibilità vera e reale di sfruttare appieno le potenzialità sia all'interno del mercato consolidato dei 10, che all'e-sterno, a condizione che il settore agricolo e quello dell'industria agroalimentare si muovano insieme con gli stessi obiettivi e strategie, superando una serie di problemi del passato. So che, per esempio, sulla questione delle origini delle materie prime ci sono stati alcuni problemi; ne avevamo discusso molto, ma sono convinta che, ragionando nuovamente sulla questione, si possano individuare altre possibilità per fare quanto lei dice, non solo quella di stabilire ulteriori nuovi marchi e denominazioni. Mi riferisco a come esportiamo il nostro stile di vita, quindi anche ai nostri mo-
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delli di consumo. Occorre spingere sulla qualità del consumo, perché quello è il nostro settore, non ci sono altre possibilità.
Per fare ciò, il problema principale è costituito dai nostri competitors - la Francia, la Germania e la Spagna - non solo per quanto riguarda i mercati esterni ma anche per quello interno, poiché essi stanno conquistando fasce di mercato nel nostro Paese. Voi avete posto una delle questioni che, come sanno i miei colleghi, ritengo ormai assolutamente ineludibile, su cui però bisognerebbe fare un approfondimento che chiederei di svolgere anche a voi. Possiamo ritrovare delle strategie comuni assoluta-mente fondamentali per tutto il sistema agroalimentare, per l'agricoltura e per l'industria di trasformazione dell'agroalimentare; però, se non individuiamo velocemente delle strategie, sia di penetrazione all'estero che all'interno, di aggiustamento in merito al problema della distribuzione, oggi rischiamo davvero di correre dei rischi. Altrimenti, non riesco a capire come riusciremo a procedere, considerato il fatto che 1'80 per cento della distribuzione è in mano agli stranieri e che all'estero non abbiamo alcuna presenza. Sì, potremo sempre coprire una determinata fascia di mercato, ma sapete perfettamente che aumentano moltissimo le difficoltà ed anche tutte le contraffazioni, anche quelle, per così dire, più leggere, che però sono anche le più complicate da colpire, ponendo in essere interventi efficaci. Ciò costituisce un punto assolutamente fondamentale della questione.
Mi avvio a concludere, legando a questo ragionamento anche la questione che segue. Sono assolutamente d'accordo - per un motivo anche etico e non solo di difesa del nostro sistema e dei nostri prodotti - che dobbiamo trovare il modo di porre seriamente un freno, sia in sede di WTO che anche all'interno dell'Europa allargata, alle operazioni di dumping ambientale, sociale e sanitario. Lo dico per un motivo etico, perché è evidente a tutti che non facciamo un favore nemmeno ai Paesi in via di sviluppo se continuiamo ad appoggiare le deroghe e quindi tutte le operazioni, per così dire, di sfruttamento. Anche in questo caso, però, quelli sono dazi (lo dico al senatore Agoni), ma non sono dazi che noi mettiamo.
AGONI (LP). Chiamiamoli in un altro modo: non è un problema.
DE PETRIS (Verdi-Un). Però le questioni vere, serie e giuste sono legate al fatto che, come noi non dobbiamo più fare dumping con i nostri prodotti nei Paesi in via di sviluppo, dobbiamo però anche trovare delle forme, assolutamente fondamentali anche dal punto di vista etico (dunque, non solo dal punto di vista dell'interesse economico), per porre un freno a tutte le deroghe alle regole sanitarie, ambientali e sociali. Anche a questo riguardo va considerato il fatto che al WTO i marchi piacciono poco, in generale, e non solo in termini di difesa del prodotto. Piuttosto, va considerato che i prodotti in circolazione dovrebbero avere una garanzia su come sono stati prodotti, che comprenda anche una tracciabilità sociale e ambientale: credo che questa sia una di quelle questioni che non può essere considerata come una forma di difesa, ma piuttosto come una modalità - questa si, giusta - per conciliare insieme la difesa dei nostri pro-dotti e l'affermazione, sotto questo profilo, della legalità.
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PIATTI (DS-U). Signor Presidente, interverrò rapidamente, anzi tutto ringraziando l'audito per i dati che forniti che mostrano un punto di equilibrio anche fra gli ottimisti e i pessimisti, in quanto evidenziano le potenzialità del sistema agroalimentare e industriale italiano. Tuttavia, rileviamo il trend che lei ha descritto con altri Paesi che si muovono, anche in Europa, e che occupano posizioni pure più avanzate. Concordiamo anche sulle ragioni esposte in merito alla frammentazione produttiva, all'assenza di uno sforzo promozionale adeguato e coordinato (tema all'attenzione anche del Parlamento), alla mancanza della grande distribuzione, ai temi della contraffazione e - aggiungo io - anche alla crisi delle grandi imprese che avevamo nel settore: basti pensare alla Parmalat e alla Cirio.
Ebbene, passando alle domande che intendevo porre, credo che dobbiamo concentrarci soprattutto sul cosa fare. Lei giustamente ricordava la questione della dimensione aziendale, sia sul versante agricolo che su quello industriale: anche a questo riguardo, naturalmente, occorrono politiche, anche nazionali; di incentivazione; tuttavia, sappiamo che si tratta di un processo, quindi non siamo di fronte a qualcosa che possa essere modificato dalla mattina alla sera. Nel frattempo, però, credo che dovremmo rafforzare - e mi pare che questo sia risultato in forma implicita anche nel suo ragionamento - tutte le strutture del sistema (mi riferisco alle filiere, alle associazioni dei produttori e di interprofessione): strumenti che, fra l'altro, abbiamo all'attenzione nei decreti legislativi che, come lei sa, sono stati emanati dal Governo e sui quali c'è invece un notevole ritardo rispetto all'esperienza di altri Paesi, in particolare della Francia. Dunque, rilevo il riferimento alla dimensione aziendale, ma noto subito, pero, anche l'esigenza di accelerare per recuperare il tempo perduto su quelle strutture che, in qualche modo, possono andare in quella direzione.
In secondo luogo, lei si è giustamente riferito alla omogeneità normativa e alla necessità di produrre forte innovazione. Abbiamo previsto un'audizione sui temi della ricerca agricola: osservo solo che io provengo da una città, Lodi, che in otto anni ha fisicamente costruito un polo tecnologico, con il professore Salamini, che voi conoscete bene. Da 8-9 anni stiamo discutendo della riforma della ricerca agricola in agricoltura: dunque, mentre certi enti locali periferici hanno fisicamente costruito una struttura, noi stiamo ancora tranquillamente discutendo di organizzare il settore della ricerca; è chiaro che, in questo senso, c'è un abisso da col-mare. Ritengo dunque essenziale il tema dell'innovazione.
In terzo e ultimo luogo, vorrei affrontare la delicata questione, ripresa anche dalla senatrice De Petris, che si pone fra tracciabilità e interventi strutturali. Anche voi avete spesso affermato che oggi un buon prodotto fa i conti sia con il consumatore che con il territorio. Dunque, senza esasperare la questione della tracciabilità come forma di panacea, di soluzione per tutti i mali, grazie alla quale potremmo risolvere ogni problema (perché rischia di diventare un atteggiamento un po' difensivo), credo tuttavia che sia necessario investire molto in questa direzione. Ci vuole un punto di equilibrio al riguardo, ma sappiamo che per rafforzare la competitività questo è un obiettivo strategico che dobbiamo perseguire.
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Naturalmente, sono necessari anche interventi strutturali, insieme a tutto ciò, altrimenti, se non affronteremo anche questi problemi, finiremo con il rimanere con il cerino in mano rispetto al mercato internazionale e a quello della grande distribuzione (questione che ha ricordato anche lei, nel suo intervento introduttivo).
BONGIORNO (AN). Porrò soltanto poche domande, senza avventurarmi in considerazioni, che forse non è il momento di fare.
A proposito della questione inerente alla disputa sulla tracciabilità (che è diventata quasi un luogo comune ed anche un po' noiosa) tra l'interesse dell'agricoltura e quello dell'industria agroalimentare, nella definizione del prodotto italiano e così via, osservo che nulla accade per caso. Se l'industria agroalimentare, in qualche modo, ritiene di individuare come un elemento importante o centrale della qualità della produzione agroalimentare e agroindustriale italiana il processo di trasformazione, forse ancor di più della qualità della materia prima, e ritiene, pertanto, di potere utilizzare anche materia prima proveniente da altri Paesi, una ragione c'è, non si tratta di un capriccio di Federalimentare. Le ragioni possono essere individuate nella scarsità di materia prima necessaria per avviare il prodotto all'esportazione, oltre che al consumo interno nazionale, così come nella scarsa concentrazione dell'offerta della materia prima italiana, per cui è difficile il rapporto economico tra industria e produttore di materia prima, nonchè nell'antieconomicità dell'acquisto della materia prima italiana: infatti, come ormai sappiamo tutti, il costo della materia prima italiana ha costi elevati, inevitabili se si rispettano tutte le condizioni economico-normative vigenti nel nostro Paese. Mi rendo conto che questi tre elementi, messi insieme, inevitabilmente creano dei problemi all'industria agroalimentare.
Circa l'argomento di cui ci occupiamo nella nostra indagine conoscitiva, vale a dire sugli effetti che l'allargamento dell'Unione Europea, a seguito dell'entrata degli ultimi 10 Paesi, ha prodotto sull'industria agroalimentare, sull'agricoltura, sul rapporto tra importazione ed esportazione, prendo atto che il dottor Rossi di Montelera ci ha fornito dati interessanti. Vorrei però sapere se è possibile ottenere una segmentazione del dato fornito per quanto riguarda le esportazioni e le importazioni, con riferimento alle diverse zone del Paese, chiarendo quale sia la situazione nell'Italia settentrionale, nell'Italia centrale e nell'Italia meridionale e insulare, se i dati sono omogenei o se si differenziano.
Sarebbe interessante inoltre approfondire l'argomento (i tempi sono quelli che sono, ma l'argomento dell'audizione è piuttosto articolato) del rapporto tra quanto accade in Italia e ciò che si verifica negli altri Paesi produttori europei, in particolare in Francia, in Spagna e in Grecia, soprattutto per determinati prodotti, come il vino e l'olio, verificando se l'allargamento dell'Unione Europea ha gli stessi effetti su tutti i Paesi della vecchia Unione.
Vi è poi un altro aspetto su cui vorrei soffermarmi. La riforma della Politica agricola comune e tutta l'impostazione della politica dell'Unione Europea porta verso ulteriori allargamenti, non solo, ma anche verso rapporti politici e quindi inevitabilmente economici con altri Paesi, soprat-
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tutto del Mediterraneo, che non sono candidati ad entrare nell'Unione stessa e probabilmente non lo saranno mai (ma in effetti, al momento, non lo sappiamo). Vi è quindi tutta una sfera d'influenza geopolitica che coinvolge direttamente, non solo dal punto di vista economico ma anche da quello strategico e militare, i Paesi del bacino del Mediterraneo, in particolare quelli del Nord Africa. La Turchia la consideriamo candidata all'ingresso, quindi fa parte del primo scaglione di Paesi che entreranno nell'Unione, ma possiamo pensare anche ai Paesi balcanici o a quelli del Medio Oriente più vicini al Mediterraneo. Ebbene, l'Europa ha interesse a tenere questi Paesi vicini, anche a costo di dover concretizzare accordi commerciali che sino ad oggi sono stati di un certo tipo. Faccio un esempio che può apparire banale, ma al quale si ricorre spesso: l'Italia consente al Marocco di esportare in Italia arance, penalizzando la produzione di agrumi nel Mezzogiorno d'Italia. In cambio, vendiamo autovetture FIAT al Marocco, privilegiando quindi altri settori e, purtroppo, altre aree del Paese. È vero che la FIAT ha fatto la storia dello sviluppo economico, senza aggettivi, della Sicilia e di parte del Mezzogiorno d'Italia, delocalizzando (forse è una parola che si usa da poco, ma è un concetto e un istituto che si usa da molto), ma queste delocalizzazioni sono sempre avvenute a spese dello Stato e quindi anche della Sicilia e dei Mezzo-giorno. Nel momento in cui cambiano determinati criteri d'impostazione economica, siccome è antieconomico il trasporto ed altro, si chiudono gli stabilimenti FIAT del Mezzogiorno, come quello di Termini Imerese. Ebbene, è inevitabile, secondo la strategia d'intesa economico-commerciale con quei Paesi, che si trasferiscano quote di produzione agricola: se queste ultime si trasferiscono, vengono meno in Italia e, in particolare, nel Mezzogiorno. Questo può essere un fatto positivo; anzi, se proprio debbo essere sincero, come sono solito fare, per me è un fatto positivo, perché si dà spazio all'industria agroalimentare, verso la quale ho simpatia, nonostante un'accezione troppo superficiale e troppo generalizzata venuta da determinate iniziative legislative mie e del mio partito in un certo momento. Fondamentalmente parto da un principio: o l'agricoltura si con-nette strettamente e organicamente all'industria o non ha dove andare.
Per questi motivi, a me piacerebbe, come ho affermato in occasione dell'ultima audizione, tenutasi presso la Camera, dei rappresentanti delle associazioni professionali agricole, che le audizioni non fossero tenute separatamente, prima con i rappresentanti del mondo agricolo e poi con quelli dell'industria agroalimentare, perché non capisco che differenza ci possa essere; anzi, vorrei andare al di là, mi piacerebbe che fossero presenti anche i rappresentanti della Confcommercio, della Confesercenti e così via dicendo. Infatti, il problema della grande distribuzione, della carenza strutturale della distribuzione italiana, si riconnette con il vostro interesse e con quello degli agricoltori. In sostanza, a mio avviso, si dovrebbe fare un discorso organico e complessivo.
Il trasferimento delle quote di produzione dunque può avvenire. Ad una condizione, però: che si possano mettere in atto accordi bilaterali o plurilaterali, garantiti dagli Stati e dai Governi e dall'Unione Europea, con quei Paesi per cui noi cediamo quote di produzione a condizione che la materia prima, con quei costi di produzione, che sono assoluta-
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mente ridotti rispetto ai nostri, venga ritrasferita in Italia, dove gli spazi lasciati liberi dalla produzione agricola dovrebbero essere occupati daIl'índustria agroalimentare. Quest'ultima avrebbe il vantaggio di comprare la materia prima e di poterla lavorare in Italia ai costi dei Paesi più indietro di noi dal punto di vista normativo, quindi creando occupazione, sviluppo, lavoro, con una nuova industria agroalimentare italiana anche nel Meridione. Vi chiedo, pertanto, una valutazione su questa impostazione. In Sicilia, in particolare, sono impegnato nel portare avanti una proposta organica per un piano di sviluppo agroindustriale siciliano, perché l'industria agroalimentare in Sicilia purtroppo non esiste, ci sono delle eccezioni, ma senza che vi siano idee chiare. Credo, pertanto, che questa possa essere una prospettiva particolarmente interessante. Soprattutto insisto nel dire che o si va avanti tutti assieme o non si può andare avanti, perché, ammesso e non concesso che la situazione dell'agroindustria possa miglio-rare (ma i numeri del rapporto import-export non credo siano tali da crearci soverchie illusioni, almeno in questo momento), ammesso che vada avanti l'industria agroalimentare, va indietro l'agricoltura, che si trova in condizioni tali da richiedere continui provvedimenti di emergenza (da ultimo, il decreto-legge sulla crisi di mercato in agricoltura), perché materialmente non ce la fa più a sopravvivere.
Bisogna trovare perciò la quadratura del cerchio, che credo possa essere individuata in quell'impostazione più organica ed armoniosa che vi ho sottoposto e sulla quale chiedo una vostra valutazione.
VICINI (DS-U). Innanzi tutto, desidero esprimere il mio apprezza-mento per un principio che è emerso nel corso degli interventi: allargare l'Unione significa creare nuove opportunità. È un punto sul quale, credo, siamo tutti d'accordo. Ma, secondo me, anche nella relazione dei nostri ospiti forse non si è riflettuto fino in fondo sul fatto che dobbiamo perfezionare con maggiore serietà e concretezza il sistema Italia nell'ambito del sistema Europa, altrimenti giochiamo la partita in assenza di parità di con-dizioni, di par condicio. Mi spiego meglio. Spesso ci diamo delle regole che poi, ce ne accorgiamo magari subito dopo, risultano essere assai rigide. Lo facciamo nella convinzione di garantire il consumo, che è uno dei fattori fondamentali, ma non so fino a che punto riusciamo effettiva-mente a garantirlo da questo punto di vista. Non solo, ma così facendo ci dimentichiamo che operiamo in un contesto di competizione molto ampio, dove le regole in teoria dovrebbero essere uguali per tutti, ma nella realtà non lo sono. Quindi il sistema Italia deve fare i conti con una situazione generale assai complessa. Ricordo che, per quanto riguarda il prosciutto, in America lavorano la carne su assi di legno, mentre a noi hanno imposto supporti d'acciaio, con costi spaventosi.
Spesso il nostro Paese, senatore Agoni, è costretto a produrre a costi sempre crescenti perché dobbiamo giustamente obbedire a una logica di sicurezza per i consumatori e di qualità. Occorre anche riconoscere, al-meno tra di noi, che a volte gli imprenditori seri - che sono la maggioranza - spesso devono affrontare anche internamente una concorrenza non sempre leale. Al riguardo, hanno offerto un notevole contributo le norme sulla tracciabilità, perché accade che anche i prodotti DOP e IGP
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siano lavorati in condizioni diverse, per cui poi si crea confusione sul mercato.
Manca soprattutto, come ha ricordato con estrema chiarezza il presi-dente Rossi di Montelera, la capacità di penetrazione nei mercati. Dopo l'allargamento dell'Unione, importiamo di più, ma non riusciamo ad aumentare le esportazioni, pur avendo accettato le maggiori garanzie di sicurezza e qualità.
Chiedo quindi anche a Federalimentare di fare pressioni perché si ottenga una semplificazione: meno burocrazia, meno spese inutili, meno autoreferenzialità. Sono di Parma e quindi vivo in una città spesso penalizzata dall'autoreferenzialità; si sale velocemente sull'alto del campanile, ma poi in un batter d'occhio si scende e ci si corica nella polvere, come Napoleone. Occorre quindi maggiore concretezza.
Per quanto riguarda il mercato mondiale, sono d'accordo con la senatrice De Petris quando afferma che il WTO deve essere considerato anche dal punto di vista etico. Ma dobbiamo anche prestare molta attenzione al fatto che spesso le regole generali ci penalizzano, non ci aiutano, quindi occorre intervenire a livello europeo. Come avrete capito, sono contrario alla politica delle enunciazioni e favorevole a politiche vere, come del re-sto lo sono entrambi i Presidenti delle nostre due Commissioni. Bisogna, infatti, essere anche portatori di verità e mi sembra che da questa relazione in effetti siano emerse alcune verità.
Facciamo attenzione alle dislocazioni, senatore Agoni, perché se produciamo a costi inferiori e riusciamo a manovrare sulla qualità, poi rischiamo di perdere mercato. Quindi, è vero che l'azienda piccola è efficiente, ma è anche vero che poi non conta nulla sul mercato. Segnalo tra l'altro che i contadini lamentano di avere scarso peso nelle loro associazioni e di subire crisi cicliche spaventose. Federalimentare è un'organizzazione che rappresenta il settore produttivo più importante dopo quello metalmeccanico, quindi con l'audizione odierna possiamo trovare un percorso che ci consenta di entrare sul mercato a pieno titolo e con forza.
Non si è parlato dell'unità della filiera. È necessario che i problemi della produzione, sollevati dal senatore Agoni, e quelli della trasformazione e della commercializzazione trovino una sintesi, come dicevano i colleghi Piatti e Bongiorno. Come vedete, su questo argomento c'è una posizione trasversale, non ci sono divisioni a seconda degli schieramenti politici. Sottolineo anche l'esigenza, ricordata dal senatore Basile, di attuare un coordinamento con riferimento alla nuova PAC, altrimenti rischiamo di giocare una partita in cui gli arbitri ci trattano in maniera di-versa.
Infine, per quanto riguarda le produzioni DOP e IGP, bisognerebbe trovare un'intesa - alla quale vorrei che Federalimentare partecipasse - affinché i controlli diventino effettivi, più seri: le autogestioni, da questo punto di vista, non hanno dato grandi risultati sotto il profilo etico, come diceva giustamente la collega De Petris.
ROSSI DI MONTELERA. Sono stati trattati molti argomenti, quindi cercherò di sintetizzare alcuni spunti.
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Il senatore Basile ha affermato che è troppo presto per esprimere giudizi sull'allargamento, in quanto i Paesi hanno aderito all'Unione solo di recente. Confermo che stiamo parlando di un primo segnale di tendenza; è ovvio che solo con il passare del tempo potremo disporre di risultati statistici attendibili.
Si è parlato dell'acquis communautaire e dei tempi di attuazione, cioè di quanto bisogna attendere prima che il meccanismo vada a regime. Sappiamo che i tempi sono relativamente lunghi per quanto riguarda l'applicazione delle normative e per l'adozione dei controlli che dovranno far seguito a tale attuazione.
In diversi interventi è stato trattato l'argomento della frammentazione agricola. Convengo sul fatto che non si possa applicare lo stesso ragiona-mento a qualunque tipo di azienda agricola e di produzione, perché ovvia-mente nel caso di settori agricoli di qualità, specializzati su determinate produzioni o su prodotti particolarmente legati al territorio, il problema delle dimensioni produttive è meno grave e in qualche caso addirittura in-consistente. Nell'industria alimentare, invece, viene avvertito fortemente il problema della dimensione produttiva delle commodities o delle grandi produzioni agricole, perché in tale ambito essa risente della concorrenza internazionale, anche a livello comunitario, laddove nel nostro Paese non vi siano strutture produttive adeguate.
Tale situazione ha ripercussioni di tipo economico, perché la frammentazione equivale a maggiori costi unitari, ma talvolta ha anche conseguenze dal punto di vista qualitativo, perché in una situazione di frammentazione produttiva mancano le risorse finanziarie per adottare tecnologie e strumenti di produzione necessari - talvolta, non sempre - per garantire livelli qualitativi ottimali o quelle modificazioni derivanti dall'innovazione e dalla crescita qualitativa, grazie ai progressi della ricerca. Non avrebbe senso parlare tanto di ricerca se poi non abbiamo le strutture produttive che consentano di usufruire dei risultati raggiunti, perché non c'è la possibilità di raggiungere determinate dimensioni produttive. Certa-mente, molto è stato fatto a livello di cooperazione e di strutturazione comune dei servizi alla produzione, ma è la stessa struttura produttiva che, a nostro giudizio, deve adeguarsi.
Questi discorsi riguardano non solo l'agricoltura, ma anche e soprattutto l'industria. Nel dibattito testé svolto, si è ripetuto più volte che, a proposito della penetrazione nei mercati esteri, una delle debolezze è data da dimensioni produttive industriali troppo piccole e frammentate. Questa situazione si verifica particolarmente nel Mezzogiorno, ma migliora man mano che si procede verso il Nord. Sicuramente, per attaccare i mercati internazionali, sono necessarie dimensioni aziendali adeguate; quando le dimensioni aziendali sono troppo piccole non c'è la possibilità pratica di farlo. Adesso non posso scendere nei particolari perché il tempo di cui disponiamo è limitato, però è sotto gli occhi di tutti la circostanza che le piccole aziende non possono aggredire i mercati internazionali, non hanno gli strumenti, le risorse, spesso la cultura. Lo vediamo chiaramente anche nelle benemerite iniziative del Presidente della Repubblica, il quale ormai da un anno a questa parte accompagna le sue visite di Stato a missioni economiche in cui si cerca di presentare a questi Paesi il potenziale
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dell'industria italiana, non solo alimentare ma in primis alimentare. Al termine di queste missioni, ci chiedono sempre perché mai vengono solo esponenti di aziende di dimensioni grandissime, grandi o medio-grandi. Gli esponenti delle piccole e medie aziende non partecipano: è già difficile farli venire fisicamente, figuriamoci riuscire a fargli aggredire quei mercati; anche qualora l'aggressione al mercato riuscisse, le rispettive aziende non disporrebbero poi della quantità di prodotti necessaria.
Un altro tema cui si è accennato è quello della semplificazione, che da sempre è il nostro piatto forte e quindi le vostre sollecitazioni sono per noi un invito a nozze. Sicuramente una delle penalizzazioni e delle debolezze del nostro sistema - e qui siamo arrivati a raschiare il fondo del barile per cercare elementi di competitività - è proprio l'affastellamento burocratico, cioè il peso assolutamente schiacciante della burocrazia italiana e anche europea. Chiediamo la semplificazione a livello regionale e nel coordinamento tra Stato e Regioni; la chiediamo ad ogni livello, perché non possiamo sopportare - tanto più la piccola impresa peggio della grande - l'onere economico e in più quello delle difficoltà applicative, l'incertezza del diritto, nonché i rischi di errore derivanti da un peso burocratico assolutamente sconsiderato.
In vari interventi si è parlato poi della filiera, cioè della necessità di coordinare l'azione del settore agricolo con quella del settore industriale e, come giustamente è stato aggiunto, commerciale, perché la filiera è complessiva. Siamo assolutamente convinti della necessità di una collaborazione di filiera, lo abbiamo detto a tutti i livelli e a tutti i partner della filiera. È ovvio che poi ci sono interessi e punti di vista diversi, fa parte della vita, ma sappiamo tutti che solo la filiera nel suo insieme può avere successo. Nessuno può pensare di tirare la coperta corta dalla propria parte, perché non c'è da scremare nulla a scapito di altri: o l'intero settore ha successo oppure no. Solo il 30 per cento della produzione agricola italiana totale ha uno sbocco di mercato indipendente dalla trasformazione industriale; il 70 per cento è invece dipendente dalla trasformazione industriale, per cui è inutile pensare a politiche che trascurino tale dato. Sarebbe magnifico se l'agricoltura italiana trovasse sbocchi ulteriori e questo 30 per cento diventasse un 35 per cento, si alleggerirebbe la tensione, ma, ahimè, ciò fino ad oggi non è avvenuto. È un problema che l'agricoltura e il commercio dovrà porsi nel proprio ambito. Il 70 per cento del prodotto agricolo è comunque trasformato dall'industria, quindi dobbiamo collaborare.
Per tali ragioni, nell'ultima vicenda della trattazione del decreto de-legato sull'interprofessione, che per il momento non ha avuto alcuno sbocco, ci siamo mostrati ben disponibili e favorevoli ad un iter positivo di tale provvedimento che vedesse la nascita concreta di organismi inter-professionali equilibrati, con le giuste condizioni e con l'istituzione di una sede di concertazione. Non è certamente per causa nostra che tale iter per il momento si è poi parzialmente inceppato.
Anche il tema della grande distribuzione fa parte del discorso della filiera. Il tema dell'espansione all'estero della grande distribuzione è fondamentale, non è però un tema normativo ma fondamentalmente di struttura finanziaria italiana, cioè di capacità del sistema finanziario italiano
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che è più debole di quello dei partner europei per mille fattori che è inutile adesso enunciare. O il sistema finanziario italiano viene messo in grado di affrontare questa tematica oppure non credo sarà possibile dare una grande risposta. Vi è stato anche qualche esempio concreto, nel senso che abbiamo contribuito ad alcune iniziative consortili con il commercio e l'agricoltura per attaccare mercati rilevanti, come quelli della Russia, dell'Ucraina ed altri nuovi mercati molto promettenti, dove vi erano prospettive di ingresso per la grande distribuzione italiana, ma di fatto poi queste non si sono avverate.
Molti interventi odierni hanno toccato il tema della tracciabilità sanitaria, del dumping eccetera. Ricordiamoci sempre di tenere separato il tema della tracciabilità - che noi chiamiamo rintracciabilità - a scopo sanitario dal tema della qualificazione d'origine dei prodotti. Sono due problematiche diverse. La sicurezza alimentare è oggi ben regolamentata a livello comunitario e nazionale. Riteniamo che la situazione sia piena-mente sotto controllo. Come voi sapete, siamo stati molto favorevoli ad individuare l'interfaccia italiana dell'Agenzia europea per la sicurezza alimentare in un comitato, che è stato infatti costituito, presso l'Istituto superiore di sanità., in quanto forniva ampie garanzie, in primo luogo di qualità scientifica, in secondo luogo di utilizzo delle strutture scientifiche esistenti nel Paese. Siamo invece stati invece molto contrari all'idea che venisse costruita una nuova entità, che intanto avrebbe comportato tempi di messa in marcia piuttosto lunghi e che inoltre avrebbe avuto bisogno di strutture scientifiche, con la necessità di trasferirle da organismi esistenti o di inventarle, con dubbia qualità e sicurezza. In materia di sicurezza alimentare chiediamo obiettività scientifica, quindi di avere risposte che pro-vengano da livelli scientifici assolutamente obiettivi e credibili, non da strutture nuove che rischiano di subire impostazioni diverse.
Legato a questo tema c'è anche quello della ricerca, che alcuni hanno evocato, su cui proprio Federalimentare ha svolto un ruolo molto rilevante. Il tema del settore alimentare era stato escluso dal programma europeo per la ricerca. Ci siamo accorti di questo problema e, per fortuna, grazie all'azione del Governo, esso è stato reinserito nel programma. Quindi oggi siamo di nuovo potuti rientrare in questo importante programma.
Vi sono poi due ultimi due temi: il primo è quello dell'origine delle materie prime, il secondo è quello veramente molto importante delle de-localizzazioni, su cui siamo stati da voi interpellati. Vorrei spendere solo due parole, perché il tema è molto conosciuto, sul problema dell'origine delle materie prime. Riteniamo che ai consumatori debba essere comunicato ciò che è vero e che ha valenza. Per tutti i prodotti a denominazione di origine (DOP, IGP, DOC, DOCG e così via), l'origine delle materie prime è regolata dai relativi disciplinari, controllata dai medesimi e dichiarata in etichetta a seconda del tipo di dichiarazione che il disciplinare comporta. Su questi temi, quindi, il problema è già risolto oggi e alla luce di un principio che a nostro giudizio deve regolare tutta la materia: la rilevanza dell'origine della materia prima sulla qualità del prodotto. Vale a dire che fare un vino Barolo con delle uve che non vengano prodotte in quella zona è un non senso, perché con le stesse tecnologie si produrrebbe un vino che non ha le medesime caratteristiche; analogo ragionamento
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vale anche per i formaggi e così via. Il concetto è chiarissimo: l'origine della materie prime va denunciata e dichiarata quando ha un rilievo sulla qualità e sulla caratteristica del prodotto e ne è quindi parte essenziale, senza la quale il prodotto non avrebbe quelle medesime qualità o caratteristiche.
Per quanto riguarda gli altri prodotti, quelli non a denominazione di origine, innanzi tutto sappiamo che già oggi, stante la normativa vigente, il produttore che volesse dichiarare l'origine nazionale della materia prima può farlo liberamente. Riteniamo, però, che la forza dell'industria agroalimentare italiana sia nella capacità di trasformazione, che deriva dalle antiche ricette tradizionali, dalla capacità produttiva delle imprese e così via: vale a dire da una tradizione produttiva. L'Italia è un Paese fondamentalmente trasformatore: in alcuni settori trasformatore di materie prime nazionali; in altri casi trasformatore di materie prime miste, nazionali e internazionali, per le ragioni che voi avete citato, vale a dire l'insufficienza della quantità e della qualità della materia prima in Italia e la necessità di ricette miste, che comporta anche la presenza di certi prodotti che si trovano solo all'estero, magari in Paesi lontanissimi dal nostro continente. C'è poi la terza categoria dei prodotti che non possono essere fatti con materie prime nazionali, semplicemente perché non esistono sul nostro territorio, come iI caffè, il cacao e così via. Dunque, fissarsi sulI'idea che debbano essere obbligatoriamente dichiarate le origini delle materie prime, con la conseguenza che ciò che fosse prodotto con materie prime non derivanti dal territorio nazionale non sarebbe più made in Italy, in primo luogo comporterebbe la penalizzazione di tutta la grande competenza trasformatrice dell'industria italiana e, inoltre, penalizzerebbe anche il made in Italy. Ad esempio, la pasta italiana non potrebbe essere più definita tale, così come il caffè italiano. Questa sarebbe davvero una gravissima penalizzazione delle nostre capacità produttive. In più, ciò non ha senso, a nostro giudizio, neppure per il consumatore, perché nulla aggiungerebbe sa-pere qual è il tipo di miscela usata in un prodotto. Si potrebbe fare un ragionamento di tipo sanitario, ma non sarebbe opportuno perché l'aspetto sanitario è già regolato e garantito da altre norme. Dal punto di vista della qualità, il fatto che una materia prima sia prodotta nel territorio nazionale, non ha di per sé una valenza. Infatti, un prodotto o deve essere realizzato in un certo territorio che deve possedere determinate caratteristiche (come quella di essere collinare, di godere di una certa esposizione oltreché di un determinato clima), grazie alle quali si distingue da altri, oppure, se divenisse semplicemente un fatto amministrativo di confini, dal punto di vista qualitativo non mostrerebbe alcuna differenza. Un prodotto realizzato in Friuli al confine con la Slovenia, non sarebbe diverso rispetto ad uno realizzato 10 chilometri più in là, direttamente in territorio sloveno. Queste sono le ragioni per le quali ci siamo così fortemente opposti a tale impostazione.
BONGIORNO (AN). Le conoscevamo.
ROSSI DI MONTELERA. Però ogni volta bisogna rappresentarle nuovamente, perché, anche recentemente, in alcune circostanze mi sono trovato di fronte ad affermazioni forti (di cui comprendo, peraltro, l'appeal
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sul pubblico): infatti, è facile chiedersi perché mai non si dovrebbe sapere cosa c'è in un prodotto. Però, lo stesso ragionamento lo si potrebbe fare per un'automobile FIAT, per la quale potremmo voler sapere se gli pneumatici, la plastica o la pelle siano italiani. Tale ragionamento potrebbe essere esteso a qualunque altro tipo di prodotto.
BONGIORNO (AN). Non è spirito patriottico, il nostro. Ci sono delle ragioni economiche ben precise che non possiamo approfondire in questa sede visto che il Presidente ci ha richiamati alla concisione.
ROSSI DI MONTELERA. Certamente, ma anche su tali ragioni avremmo delle fortissime obiezioni da porre.
L'ultima domanda a cui vorrei rispondere è quella interessantissima posta sulla delocalizzazione. Si tratta di un tema assolutamente cruciale, sul quale, a mio giudizio, non sono chiare le idee dell'industria e del Paese. Innanzitutto, la delocalizzazione può essere effettuata a livello di acquisto della materia prima e di prima trasformazione della materia prima all'estero oppure in termini di una trasformazione già piuttosto avanzata del prodotto, così come anche con una totale produzione posta all'estero (mi riferisco, ad esempio, all'area della Cina di cui ci dimentichiamo spesso - non tanto per il settore agroalimentare, quanto per altri - e dove andiamo addirittura a vendere la tecnologia o ad impiantare uno stabilimento): è importante che il nostro sistema sappia cosa vuole. Mi avete chiesto se la delocalizzazione faccia bene o no. Ebbene, dipende da che punto di vista la si consideri: dal punto di vista sociale, se la de-localizzazione aumenta, si producono delle conseguenze; conseguenze negative per il nostro Paese e positive per chi ne è oggetto. Dal punto di vista globale, del sistema, non credo che dobbiamo essere contrari al criterio della delocalizzazione di per sé, perché c'è sempre stato ed è la valvola di sfogo di situazioni altrimenti impossibili da risolvere: mi riferisco, ad esempio, a quando la delocalizzazione serva ad attaccare un mercato estero che altrimenti non sarebbe attaccabile, se non producendo almeno parzialmente in loco; in questo caso è un fattore positivo. La delocalizzazione, in un mercato globalizzato (ricordo che si è proceduto ad approvare la riforma della PAC e sottolineo pure la presenza del WTO), serve anche scientemente e volutamente: sappiamo di essere in un certo clima e quindi dobbiamo competere ad armi pari; se questo strumento ci serve a farlo, perché se così non facessimo saremmo distrutti dalla concorrenza internazionale, è bene utilizzarlo. È però importante che lo si faccia a ragione veduta.
Come ulteriore possibile conseguenza di quelle misure, mi domando quanto segue. Se, ad un certo punto, le industrie italiane che usano, per esempio, materie prime parzialmente estere (che costano meno e che vengono prodotte in Paesi dove anche la trasformazione costerebbe molto meno) dovessero vedersi non più attribuita la denominazione di made in Italy, proprio in ragione del fatto che usano tali materie prime estere, quali ragioni dovrebbero avere per mantenere in Italia gli stabilimenti di trasformazione? Andrebbero piuttosto a costruirli nel Paese estero in cui acquistano la materia prima e dove la trasformano a costi più bassi. Poi, porterebbero il loro prodotto in Italia o nel mondo con il loro marchio, non fre-
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giandosi più della dizione made in Italy (fatto che tanto sarebbe avvenuto lo stesso). In questo caso, si sarebbe proceduto ad una operazione favorevole alla delocalizzazione non per perseguire un obiettivo positivo, piuttosto come risposta ad una situazione obiettiva.
Dobbiamo però renderci conto - il mondo tessile ce lo sta insegnando in modo grave - che c'è anche una possibilità drammatica di questa tendenza, nel senso che se non porremo in atto quelle misure che vanno dalla razionalizzazione delle dimensioni produttive, alla ricerca, all'innovazione (e quindi anche alla qualità), alla promozione coordinata nel mondo, alla tutela di un concetto equilibrato del made in Italy e così via, la delocalizzazione produttiva non sarà una scelta per attaccare mercati nuovi, piuttosto una conseguenza non voluta di politiche sbagliate. Questo sì ci porterà allora ad una frana, con conseguenze economiche e sociali per i lavoratori delle aziende medesime, ma anche con pesanti conseguenze per il settore agricolo nazionale, che a quel punto non so bene dove potrà poi piazzare il suo 70 per cento di prodotti, e quindi con danni per il nostro sistema imprenditoriale. Quindi, l'intera materia della delocalizzazione è positiva se la consideriamo nell'ambito di un disegno preciso, ma noi siamo preoccupati per l'eventualità che possa diventare una frana, come è successo, per motivi non ascrivibili a nessuno dei nostri partner, nel mondo tessile. Questo deve essere, io credo,. il nostro segnale di allarme, il nostro fanalino rosso: dobbiamo tenere presente cosa è successo nel mondo tessile e prestare attenzione, perché anche l'alimentare potrebbe seguire la stessa strada.
PRESIDENTE. Ringrazio il Presidente Rossi di Montelera ed i suoi collaboratori per il loro prezioso contributo.
Dichiaro conclusa l'audizione.
Rinvio il seguito dell'indagine conoscitiva in titolo ad altra seduta.
I lavori terminano alle ore 15,45.
COMMISSIONE Riunite
XIII (AGRICOLTURA) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 9a (AGRICOLTURA E PRODUZIONE AGROALIMENTARE) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA
RESOCONTO STENOGRAFICO
INDAGINE CONOSCITIVA
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SEDUTA DI MARTEDÌ 10 MAGGIO 2005
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA XIII COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI GIACOMO de GHISLANZONI CARDOLI
La seduta comincia alle 14,20.
(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso e attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
(Così rimane stabilito).
Audizione di rappresentanti dell'ICE, dell'INEA e dell'ISMEA.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti dell'ICE, dell'INEA e dell'ISMEA, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli scenari delle politiche agricole nell'Europa allargata, che la Commissione agricoltura della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica hanno deliberato di svolgere congiuntamente, previa intesa dei Presidenti delle Assemblee.
Anche a nome del presidente della 9a Commissione agricoltura del Senato, senatore Maurizio Ronconi, do il benvenuto agli auditi.
Do la parola al presidente dell'ICE, professor Beniamino Quintieri, che è accompagnato dalla dottoressa Maria Cristina Brunetto.
BENIAMINO QUINTIERI, Presidente dell'ICE. Sono Beniamino Quintieri, presidente dell'Istituto per il commercio con l'estero. Questa è la prima audizione alla quale partecipo in queste Commissioni, ma ho visto che, sull'argomento, si sono svolti molti interventi in precedenza. Ritenendo che chi mi seguirà abbia competenze sull'argomento specifico della PAC, sicuramente maggiori delle mie, non intendo dilungarmi, anche perché la valutazione di una riforma è complessa e dipende, peraltro, dall'angolazione con la quale la si giudica.
Dal momento che, come sappiamo, la questione della PAC dovrebbe proseguire, teoricamente, fino al 2013, si pone un problema di scadenza. È vero che il 2013 è apparentemente lontano, ma credo che l'esperienza che stiamo vivendo, in queste settimane, nel settore tessile dovrebbe rappresentare un campanello d'allarme. Certo, c'è tutto il tempo per ovviare o per far fronte alle eventuali difficoltà che avremo nel 2013, ma in fondo otto anni non sono un periodo così lungo.
In passato, nel settore tessile, abbiamo più volte tentato di sensibilizzare le imprese. Naturalmente quelle medie, quelle più attrezzate, hanno avuto il tempo di organizzarsi di fronte al problema della liberalizzazione dei mercati, mentre molte altre imprese - la maggior parte - non hanno affrontato il problema con il tempismo dovuto. Questo è un aspetto certamente da sottolineare.
Penso che la presenza dell'ICE, in questa sede, debba significare un'attenzione maggiore ai problemi del settore, in una chiave internazionale. Ho visto che il tema è stato già affrontato anche dal viceministro Urso e dai membri delle due Commissioni.
Voglio dire qualcosa, innanzitutto, sui dieci paesi che si sono aggiunti ai 15 dell'Unione europea, ricordando brevemente alcune circostanze. In primo luogo, il settore agricolo contribuisce mediamente, in questi paesi, in una percentuale che oscilla dal 2 al 4 per cento. La prima osservazione da fare, dunque, riguarda la forte differenza che esiste in termini di rapporto tra occupati e valore aggiunto. Oggi, in questi dieci paesi, l'occupazione nel settore agricolo ammonta al 17 per cento del totale, mentre il contributo al valore aggiunto è pari mediamente al 3,5 per cento. Per i 15 paesi che già facevano parte dell'Unione europea l'agricoltura pesa, in termini di occupazione, per il 4 per cento e, in termini di valore aggiunto, per il 2 per cento.
Dobbiamo osservare, dunque, oltre all'ovvio maggior peso in termini di occupazione e di PIL, che è legato anche allo stadio di sviluppo di questi paesi, anche il fatto che la produttività del lavoro è molto bassa e parte da livelli molto inferiori rispetto a quelli medi dell'Unione europea.
Il secondo aspetto da considerare è che, nonostante o proprio in ragione di questa bassa produttività, tutti i paesi, con la sola eccezione dell'Ungheria, oggi hanno dei disavanzi in questo settore, anche se le potenzialità naturalmente sono forti.
Per quanto riguarda gli scambi fra Unione europea e questi paesi, molto è già avvenuto negli anni '90, quando il processo di integrazione ha avuto inizio, quindi non si prevede un impatto molto forte dal punto di vista dell'integrazione commerciale. Su questo concordano i vari studi che sono stati effettuati e le stime che sono state fatte.
Da questo punto di vista, credo che sia abbastanza utile l'esperienza di paesi come il Portogallo, la Spagna e la Grecia, che sono entrati più tardi nell'Unione europea. Questi paesi avevano caratteristiche simili a quelle dei paesi che entrano oggi in Europa, ma il processo di adeguamento è stato piuttosto lento; ci sono stati incrementi di produttività, ma si tratta di processi che richiedono tempo. Da un lato, certamente l'abolizione di misure protettive aumenta le potenzialità per questi paesi, dall'altro ci sono degli standard che devono essere soddisfatti e questo fa sì che molte industrie, soprattutto quelle della trasformazione, oggi non siano più competitive, alla luce delle regolazioni dell'Unione europea, e questo implica una ristrutturazione del settore.
Per quanto riguarda la PAC, credo che non ci sia molto da dire, fermo restando che ho consegnato la documentazione al presidente, in tre copie. Oggi, sempre a proposito di bassa produttività, l'ingresso dei nuovi membri ha aumentato del 30 per cento il terreno agricolo disponibile, aggiungendo 30 milioni di ettari ai 130 dell'Unione europea a 15. Ma, a fronte di questo aumento del 30 per cento, la produzione agricola aumenta in una misura molto inferiore, proprio in ragione della più bassa produttività. Naturalmente, con l'aumento dell'efficienza il contributo aumenterà presumibilmente negli anni.
Sappiamo che oggi i nuovi paesi possono accedere ai benefici delle politiche delle unità di sostegno del settore agricolo, ma l'accesso è previsto in maniera graduale e si raggiungerà il 100 per cento solo nel 2013. Da un calcolo che è stato effettuato è risultato che, tra oggi e il 2013, un agricoltore appartenente all'Unione europea a 15 riceverà circa 7.500 euro, mentre un suo collega dei dieci paesi, nello stesso periodo, riceverà circa 2.000 euro.
Per quanto riguarda l'Italia, credo che, a fronte di questo scenario di allargamento e di futura eventuale abolizione della PAC, si pongano diversi problemi. Il primo, dal nostro punto di vista, è legato alla necessità di internazionalizzarsi in misura maggiore, parlando non solo delle imprese agroalimentari, ma anche delle imprese agricole. Oggi, per restare al settore della trasformazione, quello agroalimentare è diventato il secondo settore manifatturiero, dopo la meccanica, quindi è diventato un settore di primaria importanza, con mezzo milione di occupati. È un settore che, naturalmente, ha grandi punti di forza, ai quali accenno solamente, considerato che l'argomento è stato già sottolineato in precedenti incontri: la qualità, la ricchezza dell'offerta, la specializzazione in prodotti di nicchia. Ricordo, a tal proposito, che l'Italia è leader europeo nelle produzioni di qualità ed ha circa centocinquanta DOP e IGP. Oltre ai punti di forza che ho citato, però, questo settore presenta anche grandi criticità, ed è proprio su queste che occorre lavorare.
La prima criticità, ormai sempre più citata, è quella dell'eccessiva frammentazione del tessuto produttivo. La media di occupati per impresa è bassa, sia nel settore agricolo sia nel settore agroalimentare, e questo comporta una serie di effetti organizzativi: scarsa propensione al marketing, difficoltà nel raggiungere i mercati, proliferazione di piccoli organismi di rappresentanza, difficoltà crescente nella penetrazione della grande distribuzione, polverizzazione delle fonti di finanziamento, e via discorrendo. Esistono, dunque, grandi criticità.
A fronte di questa frammentazione produttiva si assiste, invece, a una forte concentrazione dal punto di vista delle esportazioni. Quasi il 70 per cento dell'export è indirizzato verso l'Unione europea a 15 e quattro paesi soltanto (Germania, Francia, Stati Uniti e Regno Unito) coprono il 55 per cento del totale del nostro export. Se già le esportazioni italiane si caratterizzano per un'eccessiva concentrazione verso i mercati tradizionali, questo succede ancora di più, per una serie di motivi, nel settore agroalimentare.
Uno degli obiettivi principali è quello di tendere a una maggiore differenziazione, che implica una capacità di raggiungere nuovi mercati. I nuovi mercati, però, sono quelli più lontani o quelli che si stanno sviluppando e questo richiede una serie di azioni, sia a livello di impresa sia a livello istituzionale, tese a rafforzare il sistema.
Oggi le esportazioni italiane - parlo sempre di agroalimentare - verso i dieci paesi che sono entrati in un secondo momento nell'Unione europea ammontano solamente al 4 per cento. Quindi, c'è ancora una grande potenzialità per aumentare l'interscambio.
Credo che quando parliamo di internazionalizzazione dobbiamo riconoscere la necessità di pensare non solo alla possibilità di esportare, ma anche di presidiare direttamente i mercati. Dobbiamo ricordare che la terra, per quanto importante, è solo un input di produzione, che necessita di essere combinato con altri input. Occorre sostenere l'idea di produrre «all'italiana», ma allargando agli altri mercati e producendo all'estero, soprattutto nei paesi dove, contrariamente a quello che succede altrove, l'Italia ha una presenza abbastanza forte, in termini di capacità di investimento (ho distribuito una nota sugli investimenti in entrata e in uscita nel settore, quindi chi fosse interessato può valutarla).
Voglio ricordare che assistiamo oggi a flussi di investimenti in entrata, soprattutto nel settore della trasformazione. A fronte di una forte frammentazione del tessuto produttivo - parlo, in questo caso, del livello industriale -, vi sono alcune multinazionali straniere che investono, concentrando l'offerta produttiva, ma forse non è questa la via migliore.
Desidero ricordare che, in passato, quando ci capitava di menzionare gli scarsi investimenti italiani all'estero e soprattutto la mancanza di multinazionali, citavamo spesso come esempi positivi la Parmalat e la Cirio, tra le multinazionali che si caratterizzavano per la capacità di investire all'estero. Questo è un elemento che occorre considerare.
Molto brevemente vorrei ricordare, oltre a quelli già citati, altri problemi che oggi rivestono una particolare importanza. Il primo è quello della logistica, aspetto sul quale anche l'ICE sta facendo molto, in quanto oggi la logistica è diventato un fattore fondamentale di competitività. Evidentemente paghiamo il prezzo degli scarsi investimenti e della scarsa attenzione che, in passato, si sono rivolti a questo problema. Dunque, credo che sia necessario puntare particolarmente sulla variabile strategica della logistica. È noto che anche paesi che partivano dietro di noi, come la Spagna, grazie a questa organizzazione sono riusciti a raggiungere ottimi risultati.
Mi preme accennare - sto procedendo molto velocemente, comunque sono pronto a rispondere ad eventuali domande - anche alla questione relativa alla contraffazione. A fronte di una grande qualità dei prodotti italiani e di una loro riconosciuta superiorità sui mercati mondiali, assistiamo a una forte presenza sui mercati di prodotti contraffatti.
Personalmente vado spesso all'estero e visito i supermercati, dove si può avere un'idea di come l'Italia sia presente nei paesi stranieri. Ebbene, soprattutto nel continente americano, nei supermercati, colpisce la forte presenza di prodotti presunti italiani, ossia con nomi italiani. Abbiamo tentato di quantificare il fenomeno, soprattutto negli Stati Uniti e in Canada - con l'ambasciatore Vento abbiamo svolto un lavoro congiunto -, e abbiamo appurato che il 90 per cento dei prodotti che sono spacciati per italiani di fatto non lo sono. Spesso si tratta di merce prodotta da emigrati italiani, che magari fanno anche parte delle nostre Camere di commercio, i quali legittimamente, una volta emigrati, hanno portato con sé le nostre tradizioni, ma questo rimane un grosso problema. Naturalmente, molto bisogna ancora fare per diffondere la cultura e l'informazione circa la qualità dei prodotti italiani, al fine di meglio identificare i veri prodotti italiani e distinguerli da quelli più o meno contraffatti.
Per quanto riguarda la promozione, ossia l'attività dell'ICE, su questa materia si sente dire di tutto e su di essa, francamente, avrei anch'io parecchio da dire, ma mi rendo conto di non avere molto tempo. La promozione comprende vari aspetti, primo fra tutti quello delle risorse. È difficile calcolare - ci abbiamo provato due anni fa - quante risorse vengano destinate alla promozione, in realtà, tutto il settore di fatto dispone di una quantità di risorse che non è trascurabile, anzi è abbastanza cospicua. Questo in ragione del fatto che anche le istituzioni più piccole (le regioni e via elencando), quando devono fare attività di promozione, partono con il settore agroalimentare, seguendo l'idea che promuovere il vino o la pasta sia più facile che promuovere un prodotto tecnologico. Comprensibilmente, quindi, tutti pensano all'agroalimentare quando devono promuovere qualcosa all'estero.
Le risorse sono tante, ma i problemi sono legati alla polverizzazione, allo scarso coordinamento, nonché alla qualità delle attività che vengono svolte a livello locale. Uno dei capisaldi della promozione è quello della reiterazione delle attività. In altre parole, iniziative mordi e fuggi, una tantum, normalmente non danno risultati. Bisogna puntare sul mercato con le modalità giuste e reiterare le iniziative, mentre prevale, soprattutto a livello locale, la logica dell'una tantum: l'idea è che un anno si fa una gita in un paese e l'anno dopo la si fa da un'altra parte, ma questo è certamente l'aspetto più negativo del federalismo applicato in questo campo. Ci sono aspetti teoricamente o potenzialmente molto positivi, che invece dovrebbero essere sviluppati. Su questo, però, tornerò fra poco.
Tornando alle risorse che vengono destinate alla promozione, ribadisco che due anni fa abbiamo tentato di misurarle (un tentativo naturalmente difficile). L'ICE è l'istituto che di gran lunga dispone di maggiori risorse: non solo le ha di base, ma le riceve anche da istituzioni e, soprattutto, quasi la metà di ciò che l'ICE investe in questo campo proviene dal settore privato. Ho consegnato al presidente una tabella che mostra il rapporto tra quota del settore in percentuale e spesa percentuale in termini promozionali. Come si vede, il rapporto tra promozione e quota export è di gran lunga più alto in questo settore. Questo non per decisione dell'ICE - non sarebbe nemmeno una decisione razionale, visto che dovremmo promuovere anche gli altri settori -, ma perché abbiamo una spinta diretta in questo senso dal settore privato, oltre che dalle regioni e dal Ministero delle politiche agricole e forestali che ci assegnano risorse da investire.
Abbiamo calcolato che, per la promozione del settore agroalimentare, nel 2002 si sono spesi circa duecento milioni di euro. Si comprende, naturalmente, che è molto difficile fare un calcolo preciso, soprattutto a causa della grande frammentazione: quello che abbiamo verificato, infatti, è che ci sono circa duecento soggetti che hanno partecipato a questa attività, e non parlo di imprese ma di istituzioni. È evidente che è difficile coordinare duecento soggetti che fanno promozione, dunque uno dei primi problemi da affrontare è quello del mancato coordinamento e della scarsa rilevanza delle iniziative.
Ricordo che l'ICE, due anni fa, ha realizzato 100 progetti promozionali nel settore agroalimentare e 250 iniziative in 30 paesi. Attualmente stiamo cercando di ridurre il numero di iniziative, al fine di realizzarne meno ma di maggiore impatto. In ogni ufficio dell'ICE - ricordo che l'ICE è presente in 80 paesi - c'è un esperto del settore e nei mercati più importanti vi sono nove sezioni per la promozione dell'agroalimentare.
Tra gli obiettivi principali vi è, intanto, quello di ridurre la polverizzazione degli interventi, anche cercando di coordinare le iniziative delle regioni. Credo che ci sia, in questo senso, una domanda che viene dal basso, checché se ne dica. Dopo un inizio in cui tutti si erano lanciati a fare promozione, credo che molte regioni si rendano ormai conto, dopo essersi trovate sui mercati stranieri con altre regioni a fare le stesse cose, che questo non è il modo più efficiente di procedere. Pertanto, comincia a farsi strada una domanda di eventi più coordinati e, soprattutto, con una caratterizzazione nazionale. Non ha tanto senso promuovere il prodotto di una regione: come dico sempre, se dovessi chiedere a qualcuno dei presenti di indicare qualche regione del Giappone, penso che molti avrebbero difficoltà a farlo, mentre tutti conosciamo la qualità dei prodotti giapponesi in alcuni settori. Ebbene, lo stesso accade all'estero, dove nessuno conosce la Campania, la Puglia o la Lombardia, ma tutti conoscono la qualità dei prodotti italiani.
Naturalmente, l'obiettivo che si vuole raggiungere è quello di organizzare grandi «eventi contenitori», lasciando al loro interno uno spazio per le singole regioni. È giusto che le regioni più attive abbiano più spazio, ma è anche giusto che queste iniziative vengano incorniciate all'interno di un evento nazionale.
È importante che la promozione agisca dal lato della domanda e dal lato dell'offerta. Con troppa superficialità si pensa che andare a fare degustazioni all'estero sia un'attività promozionale. Al contrario, si tratta di attività praticamente inutili. È importante attivare grandi campagne, sia di immagine che di informazione, ma è anche necessario agire dal lato dell'offerta. Non dobbiamo dimenticare che all'estero, in quasi tutti i paesi del mondo, a dettare le regole è la grande distribuzione organizzata. Se non si penetra la grande distribuzione si perde solo tempo. È giusto che i consumatori siano stimolati, ma bisogna convincere chi acquista i prodotti, quindi i distributori, a comprare i prodotti italiani.
Da questo punto di vista, al di là delle questioni logistiche che ho già citato, sulle quali stiamo lavorando, credo che ci sia un problema di dimensioni. Il presidente di Carrefour mi diceva che la sua azienda non prende nemmeno in considerazione imprese che non abbiano un fatturato annuo di diversi milioni di euro. Potete ben comprendere che poche imprese italiane hanno gli standard per arrivare alla grande distribuzione. È evidente, dunque, che da questo punto di vista sarà necessario - qui, a mio avviso, il federalismo è utile - che a livello locale si mettano in moto delle forze per far sì che le imprese si consorzino e producano beni di qualità omogenea, con un unico marchio. Un altro problema che abbiamo, infatti, è quello della frammentazione dei marchi, legata in qualche modo alla volontà di mantenere un'identità, ma oggi l'impresa familiare è troppo piccola rispetto a quello che il mercato richiede.
Di recente abbiamo assunto iniziative presso la grande distribuzione internazionale, dando spazio alle regioni e alle piccole imprese. Questa è una modalità che sempre più cerchiamo di perseguire: arrivare alle grandi catene lasciando spazio alle regioni. È evidente che nessuna regione o nessuna piccola impresa sarebbe mai arrivata da Harrod's, per citare un esempio, se non all'interno di un contesto nazionale.
Prima di concludere - ci sarebbe altro da dire, ma mi fermo qui -, voglio solo sottolineare che spesso sull'attività promozionale si tende ad esprimere giudizi con troppa superficialità e senza un'adeguata conoscenza. Certamente c'è da fare molto, ma troppe volte le critiche non colgono il segno.
Incontro spesso il presidente della Sopexa, che vedrò anche la prossima settimana - che ridacchiando sostiene che la nostra intenzione sarebbe quella di copiare il loro modello, un modello che, peraltro, è ormai abbastanza obsoleto. Ricordo, fra l'altro, che la Sopexa è finanziata per il 50 per cento dai privati, e credo che in Italia sarebbe abbastanza difficile pensare a qualcosa del genere. Noi ci spostiamo, infatti, verso modelli diversi. Qualche anno fa, lo ricordo, si guardava al modello canadese come modalità ottimale per organizzare la promozione di un paese. Ebbene, per fortuna non abbiamo seguito quel modello: l'anno scorso il Canada ha cambiato completamente la propria organizzazione, ispirandosi, di fatto, ad un modello molto più simile al nostro.
È difficile, quindi, capire l'efficacia dell'azione promozionale e noi cerchiamo di farlo. Ci sono notevoli difficoltà, ma spesso queste sfuggono e si fanno valutazioni distanti dai problemi reali.
Mi rendo conto di aver toccato numerosi argomenti e sono naturalmente disponibile a rispondere ad eventuali domande.
PRESIDENTE. Grazie, professor Quintieri. Ha facoltà di intervenire il dottor Arturo Semerari, presidente dell'ISMEA.
ARTURO SEMERARI, Presidente dell'ISMEA. Ringrazio il presidente e i signori onorevoli senatori e deputati.
L'analisi di ISMEA si concentra sul mercato che, nell'attività di valutazione, è il principale oggetto delle nostre ricerche. Quando si parla di mercato non si può prescindere dagli equilibri mondiali, anche perché siamo in una fase di riapertura degli accordi WTO e si va, quindi, verso ulteriori aperture dei mercati mondiali.
Il consumo dei beni alimentari è previsto in crescita, a tassi particolarmente elevati nei paesi non OCSE, mentre nei paesi OCSE, dove i fabbisogni alimentari sono ampiamente soddisfatti, si prevede una crescita moderata, e con particolare intensità solo per alcuni beni, come la carne avicola, formaggi e latte intero.
La produzione complessiva di frumento, riso, carne bovina, formaggi e oli vegetali crescerà ad un tasso maggiore dei consumi. Per la maggior parte dei prodotti agricoli, è prevista una crescita dei prezzi in termini nominali, ma una loro effettiva riduzione in termini reali.
Il ruolo dell'Unione europea a 25 è destinato a mantenersi determinante a livello mondiale, pur essendo soggetto ad un forte ridimensionamento nei prossimi anni. I paesi emergenti sono Cina, India, Brasile e Argentina. I mercati occidentali, quelli più maturi, sono destinati anche loro ad arretrare gradualmente rispetto ai paesi che presentano un tasso di crescita della popolazione e del reddito pro capite molto più elevato.
Anticipo che consegnerò una documentazione contenente numeri più dettagliati, che non sto qui a ripetere. Per quasi tutte le produzioni, le proiezioni di confronto fra oggi e il 2014 indicano un arretramento dell'Unione europea, ma anche degli Stati Uniti, sui mercati mondiali, in particolare per alcuni settori: nell'Unione europea, per i semi oleosi, per gli oli vegetali in generale, per le carni bovine e suine. Lo stesso discorso vale per quanto riguarda i consumi. La crescita, invece, è soprattutto quella dei paesi che ho appena citato. Questo deriva anche dal fatto che si è ormai avviato un processo di riduzione dei sostegni all'agricoltura nei paesi più sviluppati e ci sarà, quindi, un incremento della competizione a livello mondiale.
Alcuni settori manterranno un buon posizionamento sicuramente fino al 2013, con l'approvazione della PAC, ma gradualmente questo processo, considerando l'Unione europea a 25 membri, è destinato a ridursi. L'approvazione della nuova PAC e le scelte di disaccoppiamento che sono state compiute determinano alcune condizioni di opportunità, in prospettiva, e alcune condizioni di pericolo.
L'opportunità consiste nell'assoggettamento ad una legislazione comune circa condizioni igienico-sanitarie e qualità delle produzioni, soprattutto per quei paesi non in grado di competere sul prezzo. Questo sicuramente potrà dare maggiori chances ai paesi della vecchia Unione a 15 rispetto ai paesi appena entrati, che potranno competere in condizioni migliori di prezzo.
Il pericolo della delocalizzazione produttiva dell'industria, che è reale, potrà essere in qualche modo limitato con la possibilità di aggredire, con produzioni di nicchia e caratterizzate da elevati standard qualitativi e sanitari, nuovi mercati che sicuramente si affacciano sia all'interno dell'Europa a 25 sia all'estero.
Il pericolo, nel brevissimo termine, è quello di un ingresso di prodotti poco controllati, che hanno un'alta competitività di prezzo. Questo è sicuramente il pericolo principale, a cui potrà seguire, in seguito ad una riduzione delle produzioni, anche una delocalizzazione dell'attività industriale, che può diventare pericolosa se accompagnata da riduzioni anticipate del sostegno ai redditi per gli agricoltori, riduzioni determinate non solo dall'ingresso di nuovi paesi come Bulgaria, Romania e in prospettiva Turchia, ma anche da rivisitazioni del budget a livello comunitario.
Le prospettive, attualmente, a livello dell'Unione europea a 25, sono le seguenti: riduzione delle superfici cerealicole; aumento del set-aside volontario, che si aggiunge all'aumento della quota di set-aside obbligatorio; stabilità delle rese e miglioramento atteso della qualità delle produzioni cerealicole; crescita modesta delle produzioni zootecniche, con conseguente stabilità nella domanda dei mangimi (questa accompagnata anche da un aumento delle produzioni foraggere, con una riduzione, quindi, dei prezzi); stabilità dei redditi agricoli nella UE a 15, a cui corrisponde un importante incremento dei redditi nei paesi di nuova adesione.
Qualche tempo fa l'ISMEA ha svolto una valutazione delle prospettive dell'applicazione della PAC, con le varie ipotesi (disaccoppiato, accoppiato parzialmente, e via dicendo), che sono state oggetto di una pubblicazione inviata a suo tempo alle Camere.
Il modello utilizzato da ISMEA - il cosiddetto MEG-ISMEA, che vuol dire «modello di equilibrio generale applicato» - è il modello che considera le varie interdipendenze esistenti nel sistema economico e prende in considerazione non solo gli aspetti economici del settore agricolo, agroindustriale e dei servizi, ma anche gli aspetti di carattere sociale.
Dalle analisi svolte, in considerazione della scelta effettuata del disaccoppiamento, quindi del trasferimento del sostegno dal prodotto al produttore, scaturiscono prospettive per una riallocazione delle produzioni a livello nazionale. In particolare, così come avverrà a livello europeo, ci sarà un aumento del set-aside e un incremento delle produzioni foraggere, che porterà un beneficio in termini di costo per le produzioni zootecniche; si prevedono, altresì, situazioni sfavorevoli per alcuni comparti, in particolare per il frumento tenero, ma ancor più per il frumento duro e per la soia, oltre che per alcune produzioni industriali, come la barbabietola da zucchero.
Le eccezioni saranno quelle degli allevamenti, che invece dovrebbero risultare moderatamente incentivati da questa riduzione dei costi, ad eccezione del settore ovi-caprino.
Il rischio, quindi, è quello di una riduzione quantitativa delle produzioni, a cui non dovrebbe corrispondere un incremento reale dei prezzi, perché ormai, in questo scenario di apertura dei mercati, i prezzi sono su scala mondiale e non più su scala periferica. Ci sarà, pertanto, una riduzione delle produzioni (e dei costi, da un certo punto di vista), ma non ci saranno aumenti dei prezzi.
L'impatto sul settore agricolo, in Italia, non dovrebbe essere particolarmente evidente per quanto riguarda l'occupazione. Si prevede sostanzialmente la stabilità del lavoro dipendente e una certa riduzione del lavoro indipendente. Ci sarà una sostanziale stabilità dei redditi delle imprese agricole, anzi un leggero incremento. Gli impatti sull'industria alimentare potrebbero portare, ad un pericolo di delocalizzazione produttiva, mentre per assurdo - come proverebbero queste analisi - dovrebbero portare a un miglioramento della qualità, anche se a scapito della quantità, della materia prima e, quindi, ad un rafforzamento delle filiere di qualità, che hanno prospettive di sviluppo soprattutto sui nuovi mercati.
La riduzione delle produzioni sarà particolarmente evidente per la soia, per alcune colture industriali come frumento duro e frumento tenero, e l'effetto dei prezzi sarà evidente solo per quelle colture a destinazione industriale, per le quali c'è una stretta correlazione tra aree di produzione e trasformazione.
Abbiamo completato l'analisi con l'individuazione di un indice di vantaggio comparato dell'Italia e un indicatore che misura il grado di competitività del paese nel settore specifico. Questo indice assume un valore positivo quando il paese registra un vantaggio competitivo in un certo comparto, diversamente è negativo.
Nell'analisi relativa agli ultimi anni - e la situazione cambia a seconda che l'analisi riguardi l'Italia verso il mondo oppure l'Italia verso l'Unione europea, quindi verso un mercato più circoscritto - si nota che i settori dove l'Italia mantiene, pur con una leggera riduzione, un vantaggio competitivo sono quelli della frutta, degli ortaggi e del vino. Inoltre, registra un miglioramento, anche se permane un certo svantaggio competitivo, il settore dell'olio d'oliva. Questa è la situazione dell'Italia nei confronti del mondo, mentre nei confronti dell'Unione europea le dinamiche sono leggermente diverse. Ad esempio, il vantaggio nel settore della frutta si mantiene stabile, mentre nei confronti del mondo si riduce (questo vuol dire che questi i paesi emergenti porteranno una maggiore concorrenza); il settore degli ortaggi si mantiene piuttosto stabile, mentre nei confronti del mondo si assiste a una forte riduzione, si registra un miglioramento nel settore dell'olio d'oliva e un mantenimento del posizionamento nel settore del vino, mentre a livello mondiale, pur mantenendo l'Italia un vantaggio competitivo importante nel settore del vino, c'è una riduzione alquanto preoccupante.
Mi preme richiamare l'attenzione - cito, al riguardo, l'analisi realizzata dall'ISMEA in collaborazione con Federalimentare sulla catena del valore - sulla tendenza, che si va sempre più accentuando, di una riduzione, all'interno della catena del valore, ai danni del settore produttivo, sia della parte primaria, ossia della parte agricola, sia della parte di trasformazione.
Nel 1995 il peso del settore agricolo era l'8,7 per cento dell'intera filiera, nel 2000 è il 6,6 per cento e tende a ridursi ulteriormente. Il settore della trasformazione, che era al 31,1 per cento, è sceso al 26 per cento, mentre il settore che di gran lunga occupa gli spazi di valore aggiunto della filiera è quello del commercio e dei trasporti, che è passato dal 38 per cento al 44,4 per cento. Un leggero incremento si registra anche per la parte della ristorazione.
Questo è un altro elemento da considerare quando si valuta il settore agroalimentare come l'unico settore della nostra economia in controtendenza. Basti ricordare che il valore aggiunto del settore agroalimentare ha registrato, dal 1980 al 2003, un incremento del 148 per cento, laddove in altri settori, come quello tessile, di cui tanto si parla in questi giorni, si è registrata una riduzione del 30 per cento. È vero che, come ricordava il presidente Quintieri, il settore agroalimentare è diventato il secondo settore manifatturiero italiano, ma gli incrementi sono soprattutto assorbiti dalle fasi a valle del settore produttivo, in maggior misura dalla parte agricola, ma anche dalla parte di trasformazione.
In sintesi, le analisi rilevano che, tendenzialmente, ci sarà una riduzione delle capacità produttive, quindi dei livelli quantitativi di produzione, e una tendenza importante a un miglioramento qualitativo delle produzioni, anche primarie (dunque anche in campagna, mentre in alcuni settori l'aiuto accoppiato non ha favorito questa tendenza). Si prevede, pertanto, un rafforzamento del settore agroalimentare di qualità, con destinazioni commerciali rivolte soprattutto ai paesi emergenti, dove, in termini di popolazione e di incremento del reddito pro capite, ci sono grandi possibilità di crescita.
Sulle commodities e sulle quantità non differenziate si prospetta, invece, un aumento delle importazioni, quindi una riduzione della capacità di autoapprovvigionamento.
Concludo qui la mia rapida illustrazione, dichiarandomi fin d'ora disponibile per eventuali delucidazioni.
PRESIDENTE. Grazie dottor Temerari. Ha facoltà di intervenire il professor Simone Vieri, presidente dell'INEA.
SIMONE VIERI, Presidente dell'INEA. Grazie, signor presidente, onorevoli senatori e deputati. L'ampliamento di cui ci occupiamo, che è il quinto dell'Unione europea, ha come caratteristica comune a tutti gli altri ampliamenti che lo hanno preceduto il fatto di aver allargato l'Unione europea a paesi che avevano ed hanno condizioni, soprattutto di carattere socio-economico, di maggiore arretratezza rispetto ai paesi che già ne facevano parte.
Questo è un primo elemento del quale dobbiamo tenere necessariamente conto. Del resto, l'allargamento crea le condizioni per l'accesso a nuovi paesi, ed è presumibile che questi nuovi paesi si trovino in una condizione di ritardo. Questa, per quanto ovvia, è una premessa importante, perché in questo caso, nel valutare gli effetti dell'ultimo ampliamento, notiamo significative differenze rispetto agli ampliamenti precedenti.
In primo luogo, il ritardo di sviluppo dei nuovi paesi aderenti all'Unione europea è molto più forte rispetto a quello dei paesi che erano entrati in occasione degli ampliamenti precedenti. Inoltre, occorre considerare che l'Europa, che riceve questi paesi, si è presentata con un livello del processo di integrazione molto più avanzato rispetto a quanto era accaduto in precedenza. Naturalmente queste due situazioni rendono l'impatto molto più forte e, sotto certi punti di vista, anche molto più preoccupante, soprattutto se ci riferiamo a dati economico-politici di tipo generale.
Penso non sfugga a nessuno che l'estensione di statuti, come il mercato unico e la moneta unica, a paesi come quelli che sono entrati nell'Unione europea lo scorso anno, pone dei problemi molto preoccupanti. È ovvio, infatti, che statuti di questo tipo funzionano bene se sono accompagnati da un'elevata omogeneità.
Sappiamo quanto l'Unione europea abbia investito nelle politiche socio-strutturali negli anni passati e sappiamo anche che queste politiche furono varate nel 1988, con il Piano Delors, quando l'obiettivo principale era quello di determinare le condizioni affinché nel 1993 fosse realizzato il mercato unico.
Questa preoccupazione di carattere generale trova inevitabilmente riscontro anche nelle tematiche agricole. Per chiarire la portata di questa preoccupazione, credo che possa essere utile considerare, in particolare, due numeri. Nell'ultimo ampliamento, il quinto, il PIL pro capite si riduce del 16 per cento rispetto alla situazione preesistente e, addirittura, la media del PIL, se facciamo uguale a 100 la media del PIL dei primi sei paesi che costituivano la Comunità Economica Europea nel 1957, con questi nuovi ingressi scende a 75. È come se tutta l'Europa avesse accusato un ritardo di sviluppo rispetto al parametro in base al quale si misura tale ritardo.
Sapete bene che l'accesso al cosiddetto Obiettivo 1 avviene quando la media del PIL è inferiore al 75 per cento rispetto ad una media europea. Questa considerazione, oltre a elementi di preoccupazione generale, ne introduce alcuni più specifici, che si riversano anche sul settore di cui ci occupiamo, ovvero l'agricoltura.
L'Istituto nazionale di economia agraria, negli anni passati, quando si discuteva, nell'ambito della più ampia discussione relativa ad «Agenda 2000», delle ipotesi di ampliamento, realizzò uno studio dedicato a questo tema; uno studio che ho riportato, non perché sia attuale, ma perché serve da base storica di riferimento rispetto al materiale relativo al tema dell'audizione.
Questo tema, dunque, è stato già affrontato in passato ed è stato sviscerato nei suoi aspetti più importanti. Tuttavia, questa volta abbiamo focalizzato la nostra attenzione su tre aspetti, che a mio avviso sono quelli che è necessario considerare in questa fase: l'effetto dell'entrata di questi paesi sull'applicazione della PAC, quindi il modo in cui la nuova PAC sarà applicata in questi paesi, l'effetto relativo alla distribuzione delle risorse per le politiche socio-strutturali, l'effetto sul commercio.
Rispetto a questi tre temi, possiamo osservare, in sintesi, alcuni elementi caratterizzanti. Per quanto riguarda l'applicazione della PAC, sappiamo che in passato c'era stata grande preoccupazione e ampia discussione riguardo al fatto di estendere anche a questi paesi gli aiuti diretti. È evidente che, trattandosi di paesi che in gran parte non avevano regimi di aiuto come quelli dell'Unione europea, estendere loro i nostri regimi di aiuto poteva significare ripetere l'errore storico che fu commesso con l'avvio della PAC, quindi incentivare la produzione in modo esagerato ed incontrollabile.
Sappiamo che questo argomento è stato oggetto di un dibattito molto ampio e prolungato, che si è risolto prevedendo una graduale estensione dei regimi di aiuto, che di fatto avverrà durante il periodo transitorio e in un modo sostanzialmente semplificato rispetto a ciò che accade, oggi, nei paesi che facevano già parte dell'Unione europea. Soprattutto, sappiamo che questi regimi di aiuto verranno applicati - e non potrebbe essere altrimenti - con quello che potremmo chiamare il sistema regionalizzato.
È ovvio che adesso diamo gli aiuti agli agricoltori che facevano parte dell'Europa a 15 sulla base di un periodo di riferimento, mentre in quel caso, non essendovi il periodo di riferimento, non si poteva che scegliere l'opzione della regionalizzazione. Verrà concessa, comunque, la possibilità di disaccoppiare e di utilizzare fino al 10 per cento del massimale per politiche particolari, così come accade per gli altri paesi.
È evidente che tutte queste circostanze, sebbene siano state definite, lasciano il tempo che trovano. Questo sistema, infatti, andrà a regime nel 2013, quando la riforma Fischler potrebbe addirittura finire o essere cambiata completamente. Oggi, quindi, ragioniamo di qualcosa che domani potrebbe non esserci. Pertanto, le considerazioni relative all'impatto che l'entrata di questi paesi provocherà sull'applicazione della PAC, francamente, non ci appassionano molto, né possono appassionarci, perché troppi sono gli elementi di incertezza in questo momento.
Di certo, sappiamo che l'applicazione della PAC in modo corretto, da parte di questi paesi, non può essere analizzata solo dal punto di vista dell'applicazione dei regimi di aiuto, quindi dell'erogazione di risorse. Vi sono numerosi obblighi da rispettare, anche relativi al funzionamento delle strutture amministrative, che sicuramente, allo stato attuale, suscitano qualche perplessità. Sappiamo - e in Italia lo sappiamo particolarmente bene - come sia difficile gestire certi regimi di aiuto, sappiamo, ad esempio, quanto sia stato oneroso, sotto tutti i punti di vista, gestire in Italia il regime delle quote latte. Ebbene, non so quanti di questi paesi, allo stato attuale, possano essere nelle condizioni di dire che, tra otto anni, saranno in grado di avere un sistema amministrativo capace di garantire una piena applicazione del regime della PAC. Questo è un altro elemento di preoccupazione.
Sull'applicazione della nuova PAC e su quale può essere l'impatto derivante dall'entrata di questi paesi ritengo che, al momento, non si abbiano elementi particolarmente rilevanti per fare delle considerazioni che possano avere un valore di previsione, proprio per gli elementi di incertezza che ho riferito prima.
Elementi di incertezza sicuramente esistono anche rispetto al secondo tema, molto più importante dal punto di vista dell'impatto finanziario, quello relativo agli squilibri che l'entrata di questi paesi può determinare in ordine alle politiche socio-strutturali. È ovvio che quello delle politiche socio-strutturali è il principale strumento di cui dispone l'Unione europea per ridurre le differenze e, quindi, gli squilibri al suo interno. È normale, dunque, che questo strumento dovrà rivolgersi prioritariamente verso questi paesi, che, come abbiamo visto prima, si presentano con un ritardo di sviluppo.
Sotto il profilo agricolo, questi paesi, dopo la caduta del muro di Berlino, hanno sicuramente realizzato una serie di riforme, anche importanti. Sicuramente certe situazioni, quali la collettivizzazione o l'uso attraverso le cooperative statali dei fattori produttivi sono state superate. Sono state attuate riforme importanti e si è giunti a soluzioni estremamente diversificate nell'ambito di questi paesi. Vi sono situazioni, ad esempio in Polonia, in Slovenia o in Lituania, dove prevalgono decisamente le imprese piccole o piccolissime, mentre in Ungheria e nella Repubblica Ceca c'è stato un maggiore sforzo verso la realizzazione di strutture aziendali di dimensioni medio-grandi o anche grandi.
È ovvio che, comunque, non è questa una condizione di per sé sufficiente per far capire quale sia la condizione strutturale di questi paesi sotto il profilo agricolo. È evidente che, trattandosi di paesi che accusano un ritardo generalizzato sotto il profilo dello sviluppo economico, la situazione agricola e anche il peso dell'agricoltura, in questi sistemi economici, più che essere un effetto è l'espressione stessa del ritardo economico. Fa parte, dunque, dell'evoluzione normale dei paesi verso standard di sviluppo più elevato il fatto di avere, in questa fase, un'agricoltura più importante rispetto a quella che hanno i paesi che già facevano parte dell'Unione europea.
Sotto questo profilo, ci sono paesi che hanno una situazione abbastanza simile alla nostra, ad esempio la Slovenia, l'Ungheria e la Repubblica Ceca, ed altri che, invece, sono più indietro, come la Polonia, la Lettonia e la Lituania.
Rimane il fatto che tutti questi paesi accusano dei ritardi di sviluppo e, quindi, verso di essi tenderà a spostarsi una parte importante dell'intervento previsto nell'ambito delle politiche socio-strutturali.
Anche in questo caso, purtroppo, gli elementi di incertezza sono prevalenti, dal momento che siamo in una fase in cui è stato da poco avviato (lo scorso anno) il negoziato con la definizione del programma finanziario del periodo 2007-2013. Circa venti giorni fa, inoltre, la Commissione Europea ha formulato una proposta abbastanza avanzata per la rivisitazione degli indicatori che servono per individuare le aree svantaggiate, tuttavia, le proposte al momento sul tappeto hanno trovato forte opposizione ed è, quindi, molto prevedibile che vengano riviste profondamente.
Di certo, a mio giudizio, gli elementi di maggior preoccupazione, relativamente alle politiche socio-strutturali riguardano sostanzialmente un aspetto. Poiché viene confermata l'importanza primaria degli interventi dedicati alle regioni in via di sviluppo, quindi al cosiddetto Obiettivo 1, è evidente che, considerato il maggiore assorbimento di risorse verso questo canale di interventi, rischiano di essere penalizzate maggiormente - oltre alle regioni prima considerate in ritardo di sviluppo e che oggi, per motivi relativi, potrebbero non esserlo più - le aree che beneficiavano di interventi di sviluppo rurale (mi riferisco a quelle che erano prima le aree 5 B e che in questo ciclo sono state inserite nell'Obiettivo 2).
Questa impressione è fortemente confermata anche dalle proposte formulate alcuni giorni fa, tendenti a modificare gli indicatori che servivano per classificare queste aree. Sappiamo che gli indicatori tendevano innanzitutto a misurare dei fatti di tipo socio-economico. Quello che contava, finora, era il PIL pro capite, il valore aggiunto pro capite, la densità di popolazione, il tasso di variazione annua della popolazione e il numero di occupati agricoli sul totale della stessa.
Occorre dire, tra l'altro, che questi dati socio-economici - da questo punto di vista, la Commissione ha ragione - sono difficili da aggiornare, dunque spesso si finiva per stilare classifiche di ammissibilità sulla base di dati anche molto vecchi, addirittura con il rischio di utilizzare fotografie relative ad un censimento vecchio di 10-15 anni.
Ebbene, a livello di proposta, sono stati introdotti, in sostituzione di questi, degli indicatori che misurano fatti più prettamente agricoli: si parla, ad esempio, di una resa media cerealicola inferiore al 60 per cento; di almeno il 60 per cento della SAV a pascoli permanenti, insomma di parametri che determinano in maniera netta le aree che possono essere o meno classificate per avere accesso agli interventi di sviluppo rurale.
Questa proposta ha dato luogo, naturalmente, ad una formalizzazione. Alcuni numeri, che ho allegato alla nota che consegnerò, dimostrano che, in effetti, sebbene per l'Italia la situazione sia più o meno invariata, a livello aggregato è in atto un vero e proprio terremoto. Lo dimostra il fatto che le opposizioni non sono mancate: proprio uno dei paesi nuovi entrati, la Polonia, si è detto contrario. Questo è un punto interrogativo forte, perché sicuramente l'impatto nel settore delle politiche socio-strutturali sarà molto rilevante e rischia di andare a colpire non solo le aree che già erano in ritardo nello sviluppo, ma anche quelle che beneficiavano di interventi cosiddetti di sviluppo rurale.
Questo è un aspetto di cui dobbiamo tenere conto in maniera particolare, perché sappiamo che la riforma della PAC realizzata lo scorso anno stravolge l'originario assetto del sostegno comunitario. Pertanto, queste politiche di sviluppo rurale hanno assunto e assumeranno un ruolo particolarmente importante, in quanto è necessario che accompagnino - passatemi il termine - la riforma della PAC.
Questo è un elemento che, sebbene ancora pieno di incertezze, deve preoccupare, a mio giudizio, più di quanto non debba preoccupare l'applicazione anche a questi nuovi paesi dei regimi di aiuto della PAC.
Un altro aspetto che abbiamo considerato è quello commerciale. Abbiamo analizzato il commercio totale dell'Italia con i nuovi paesi, ma anche la situazione relativa ai cinque principali paesi che sono entrati nell'Unione, la Polonia, le Repubbliche Ceca e Slovacca, l'Ungheria e la Slovenia.
L'INEA produce ogni anno - mi permetto di aprire una piccola parentesi - un rapporto sul commercio estero dei prodotti agroalimentari, dal quale abbiamo tratto queste informazioni. Devo dire che la situazione è un po' diversa da quella che mi aspettavo. Personalmente mi aspettavo un rapporto commerciale più simile a quello che può esserci tra paesi avanzati e paesi in via di sviluppo o quasi. Al contrario, c'è un'integrazione abbastanza forte e questo processo si è completato negli anni passati. I rapporti mi pare che siano abbastanza normali, i flussi si sono ben consolidati. A livello aggregato l'Italia ha un saldo positivo con questi paesi, e questo è sicuramente rassicurante, ma nel corso del tempo si è ben delineata una specializzazione, che vede l'export italiano concentrarsi su alcuni prodotti: il primo fra tutti è l'uva da tavola, che ha un peso determinante (tra le prime voci vi sono i prodotti ortofrutticoli), ma è forte anche la componente dell'industria alimentare. I prodotti tipici dell'export italiano, dunque, sono ben rappresentati anche in questi paesi. Sul fronte dell'importazione la situazione è, ormai, ben delineata: importiamo molto, soprattutto prodotti zootecnici, ma questa è una buona integrazione, trattandosi di una voce rispetto alla quale siamo piuttosto deficitari.
Personalmente reputo abbastanza preoccupante il fatto che sia così forte, tra le prime voci, la presenza dei prodotti ortofrutticoli. Preciso che questa è una presenza positiva, anche perché, come giustamente ha rilevato il presidente dell'ISMEA, noi godiamo di un vantaggio comparato in questo settore. Purtroppo, però, questo è uno dei settori nei quali, in questi ultimi anni, abbiamo patito le difficoltà maggiori. Se guardiamo l'andamento nel nostro export agroalimentare, notiamo che più dei due terzi dei nostri rapporti commerciali si sviluppano all'interno dell'Unione europea, e questo fa decadere l'alibi dell'euro, al quale troppo spesso e troppo comodamente si addebita la colpa di alcuni risultati non proprio positivi.
È necessario, sotto questo profilo, prestare grande attenzione ai rapporti con questi paesi, che peraltro sono ormai maturi. Una tendenza risulta del tutto evidente, ossia che noi siamo più portati ad importare prodotti zootecnici, mentre ci siamo specializzati soprattutto nell'export di prodotti che possiamo definire mediterranei. Ebbene, proprio su questi prodotti rischiamo la concorrenza, non dall'esterno, ma dall'interno dell'Unione europea. Un fenomeno che, purtroppo, già stiamo pagando abbastanza caro in questi anni, tant'è che stiamo perdendo quote di mercato non solo all'interno dell'Unione europea, ma anche in Italia.
Bisogna prestare grande attenzione, soprattutto in sede di elaborazione delle politiche, alle azioni volte a favorire l'aumento della presenza dei settori agricoli nell'ambito delle filiere. È importante, quindi, il rapporto con la grande distribuzione, ma sicuramente è necessario uno sforzo per favorire l'organizzazione economica di queste imprese. I buoni rapporti con i settori a valle si riescono ad intrattenere soprattutto se si riesce a sviluppare un'organizzazione economica che consenta di muoversi su basi di pari dignità.
L'elemento rispetto al quale si possono esprimere considerazioni di tipo più conclusivo è proprio quello relativo agli aspetti commerciali e vale, per quanto mi riguarda, ciò che ho appena detto. Relativamente agli altri due aspetti, soprattutto a quello delle politiche socio-strutturali, che probabilmente è il più rilevante, purtroppo non abbiamo ancora elementi che ci consentano di fare delle previsioni fondate.
Rimane il fatto - voglio rimarcarlo, visto che mi sembra che l'obiettivo dell'indagine sia anche quello di ragionare sulle politiche - che un aspetto importante è quello di mettere in atto politiche che guardino all'agricoltura non solo come ad un settore produttivo, ma anche in funzione del ruolo che essa svolge sul territorio.
L'azione che l'agricoltura può svolgere ai fini dello sviluppo territoriale è fondamentale e, in questo senso, un ruolo importante possono averlo proprio le politiche socio-strutturali, in particolare quelle di sviluppo rurale. Questo è proprio l'aspetto che presenta le maggiori incognite, ma è anche, a mio avviso, il punto cruciale. Infatti, nell'ambito di una politica come quella che è andata delineandosi in questi anni, che prevede un abbandono del sostegno al mercato, è ovvio che bisogna recuperare la centralità del ruolo dell'agricoltura nelle dinamiche di sviluppo territoriale. Per fare questo, un'attenzione particolare va rivolta proprio alle politiche socio-strutturali.
PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.
FILADELFIO GUIDO BASILE. Grazie, presidente. Abbiamo ascoltato tre relazioni estremamente interessanti ai fini della nostra indagine conoscitiva.
Professor Quintieri, ho trovato particolarmente interessante, delle tante cose che ha detto, la sua analisi in merito alle industrie di trasformazione, che lei ha definito, per lo più, non competitive, sottolineando il bisogno di una ristrutturazione di settore. Penso che questa sia una valutazione molto importante. A questo proposito vorrei chiederle, in particolare, cosa cambia nella politica dell'ICE in seguito all'allargamento dell'Europa. In altre parole, l'ingresso dei paesi PECO ha determinato un cambiamento di obiettivi, relativamente agli strumenti adottati dall'ICE?
Ha fatto bene, professor Quintieri, a sottolineare più volte l'esigenza di un coordinamento degli interventi per la promozione. È vero, come lei ha affermato, che duecento soggetti che fanno promozione sono troppi. Credo che lei intendesse comprendere, in questo numero, tutti i soggetti che operano, anche a livello regionale, per la promozione. Questo è un tema estremamente interessante. Qual è, a suo parere, la soluzione? Quella di far capo al Ministero delle attività produttive? A questo proposito, l'ICE è in grado di formulare delle proposte?
Credo che lei non abbia affrontato, nel suo intervento, il tema della formazione. So che l'ICE da tempo opera in questo campo: rispetto all'Europa a 25, quali strumenti sono stati adottati nel campo formativo?
Una sola domanda, invece, voglio rivolgere al dottor Semerari. Quale metodologia adotta l'ISMEA? Come individua il modo e i soggetti a cui trasferire il patrimonio di dati e di informazioni che raccoglie?
L'analisi del professor Vieri, infine, con riferimento soprattutto ad alcuni problemi relativi all'eccessiva burocratizzazione del sistema amministrativo, che occorre rendere più efficiente, mi spinge a formulare la seguente domanda: quando l'Unione europea sarà a 27, 28, 30, 32 membri, aumenteranno i problemi e, quindi, «si ingolferà» l'esigenza di chiarire? Questo problema si porrà già dal 2007, allorché entreranno nell'Unione i paesi balcanici, la Turchia, e così via. Questi problemi certamente appesantiranno la situazione.
LINO RAVA. Grazie, presidente. Credo che le audizioni siano state estremamente interessanti e abbiano posto in luce il combinato disposto che stiamo vivendo: da una parte, la modernizzazione di agricolture europee che sono nostre concorrenti - pensiamo alla Spagna, un esempio eclatante di un processo rapidissimo di modernizzazione -, dall'altra, l'allargamento dell'Unione europea, con tutte le complicazioni e le incognite che il professor Vieri ha sottolineato con grande chiarezza. A completare il quadro, il processo di apertura dei mercati, che in questi anni ha avuto uno sviluppo straordinario.
Tutto questo porta, naturalmente, da un lato alla necessità di utilizzare alcuni strumenti di cui disponiamo - cito, ad esempio, la clausola di salvaguardia, uno strumento dell'Europa con il quale dovremo abituarci a convivere e che, sebbene si pensasse a un'applicazione eccezionale, probabilmente potrà aiutarci a sostenere questa transizione -, dall'altro a riconoscere che abbiamo bisogno di avere qualcosa di più dalla politica nazionale.
Abbiamo bisogno, in pratica, di un'innovazione politica che veda insieme Stato e regioni, in un concerto che porti davvero al rafforzamento del tessuto produttivo, all'organizzazione dell'offerta e a tutti quei processi che sappiamo essere necessari per affrontare in maniera valida il mercato. Dall'altro lato - e questo è uno dei temi che dovrebbero guidarci - è altrettanto importante, dal nostro punto di vista, sviluppare un sistema di ricerca.
Tale sistema deve rivolgersi ai prodotti - pensiamo, ad esempio, a quello che è successo nel campo agrumicolo, dove l'aver messo in commercio prodotti innovativi ha significato uno sviluppo del mercato, per alcuni paesi come la Spagna, molto più forte rispetto alla capacità del nostro paese di reggere la concorrenza - e ai mercati.
In questo senso, credo che sia davvero positivo il fatto che il dottor Semerari abbia indicato come un impegno principale dell'ISMEA l'analisi di mercato, vale a dire capire cosa succede a livello mondiale e cercare di attrezzarci di conseguenza. Proprio al dottor Semerari voglio chiedere come si possa far diventare questo importante lavoro di analisi uno strumento di orientamento produttivo, ossia un elemento utile, molto dinamico e flessibile, per individuare logiche di comportamento.
Il dottor Semerari ha citato, come elementi forti del nostro sistema agricolo, l'ortofrutta e il vino, settori che in questi ultimi mesi hanno qualche problema. Stando all'intervento che abbiamo ascoltato, si tratterebbe di un fatto contingente, ma la paura è che possa diventare un fatto strutturale. Lo dico anche pensando alle annotazioni del professor Vieri sull'innovazione che alcuni paesi europei hanno apportato.
Passo ad altra questione. Le commodities, proprio per le caratteristiche del nostro sistema agricolo, sono e saranno sempre più in difficoltà, e credo che questo sia un dato assolutamente condivisibile. A questo punto, considerato che le commodities sono una parte rilevantissima della produzione nazionale (la percentuale si aggira intorno al 70-80 per cento), dopo aver giustamente rilevato le difficoltà con le quali il sistema rischia di scontrarsi, è necessario dire cosa possiamo fare per evitare che queste difficoltà travolgano una parte così importante del nostro tessuto produttivo. È evidente che, da questo punto di vista, gioca un fortissimo ruolo la trasformazione (penso alla questione della filiera della carne, un elemento che può essere certamente importante), mentre un altro ruolo importante può essere svolto dai produttori no food, soprattutto con riferimento al campo energetico. Mi interessa sapere se, su questi temi, esista già qualche indicazione, qualche studio o qualche analisi, per riuscire a capire che cosa si può fare.
Infine, è vero - mi rivolgo al presidente dell'ICE - che duecento soggetti che fanno promozione rischiano di sprecare risorse. A questo riguardo, professor Quintieri, credo che il grafico che lei ci ha consegnato, con il differenziale tra la spesa di promozione e il risultato economico dell'export, sia significativo. È altrettanto vero, però, che proprio la ricchezza del sistema produttivo nazionale - quella ricchezza straordinaria che deriva soprattutto dai prodotti di qualità che sono stati citati, e siamo d'accordo che dobbiamo sostenerla il più possibile - porta inevitabilmente ad avere tanti soggetti di riferimento, perché tante sono le situazioni locali le cui produzioni hanno un risvolto notevole rispetto all'export.
Da questo punto di vista, credo che debba essere rafforzato il lavoro di coordinamento dell'ICE e di guida nei confronti delle regioni e degli altri soggetti, in modo che nessuno pensi di organizzare autonomamente una degustazione all'estero, che risulterebbe inutile, ma si possa andare, sotto un «cappello ICE», ad esempio alla Fiera di Bordeaux per presentare al meglio, insieme a tutti gli altri, i propri prodotti.
Rispetto a questo ambito, a mio parere, un rafforzamento dell'attività dell'ICE sarebbe estremamente necessario.
GIOVANNI PIETRO MURINEDDU. Penso che dobbiamo essere veramente grati agli esperti che sono stati auditi, non soltanto per il contributo di intelligenza che hanno dato al tema che stiamo affrontando, ma anche per i suggerimenti contenuti nelle loro relazioni.
La mia domanda - non so a quale dei tre esperti rivolgerla, dunque la rivolgerò a tutti e tre - riguarda il tema della delocalizzazione. Voi avete messo in evidenza il fatto che il rapporto con i paesi che si sono aggiunti ai 15 ha creato dei problemi e sicuramente ne creerà di più in seguito, sebbene sia in corso un processo di adattamento e di armonizzazione. Resta il fatto, comunque, che anche le imprese agricole stanno delocalizzando, così come tradizionalmente hanno sempre fatto le imprese industriali. Come considerate questo problema? Quali risposte, a vostro giudizio, dovrebbe dare l'Italia per evitare che ci sia questa emorragia di innovazioni e di conoscenze tecnologiche a favore degli altri paesi?
Dobbiamo tener conto del fatto che se si delocalizza, a mio avviso, è perché in Italia c'è una carenza nella rete dei trasporti, i costi di impianto sono eccessivi, la logistica incide dal 25 al 30 per cento sui costi, per non parlare di questioni che rimandano alla parcellizzazione fondiaria, quindi all'impossibilità di creare aziende sufficientemente competitive.
Può verificarsi, anche in questo campo, quello che succede per le imprese industriali? Intendo dire che le imprese delocalizzano, ma il nostro paese perde poco finché conserva l'innovazione tecnologica, la sua struttura culturale ed universitaria e la sua capacità di accedere ai grandi mercati.
Si può imitare, nel settore dell'agricoltura, la grande industria, oppure bisogna affrontare, in questo caso, temi molto più radicali di quelli che ci troviamo ad affrontare attualmente?
Questo, a mio avviso, è un aspetto che è necessario chiarire o comunque questa è una mia personale esigenza. Vi sarei grato, dunque, se mi deste una risposta che possa tranquillizzarmi.
ANTONIO VICINI. Sarò breve, in quanto le domande che sono state già poste sono numerose e certamente condivisibili. Consentitemi, tuttavia, di svolgere alcune riflessioni.
Devo dire che quando si ha l'occasione di partecipare ad alcune iniziative - sono di Parma, quindi capite che ho un forte interesse al riguardo - si ha l'impressione che comuni, province, regioni, più che concertare, intorno all'ICE, strutture organizzate che obbediscano ad un sistema, stiano creando solo una grande confusione.
Allora, più che pensare di riformare l'ICE - spesso, in Italia, anziché riformare si distrugge, e in questo caso si distruggerebbe qualcosa che ha alle spalle una storia positiva -, non sarebbe il caso di evidenziare, con maggiore lealtà e sincerità, i veri punti critici? Non dovremmo cominciare a comprendere che l'integrazione europea, quella storica e quella allargata, richiede un insieme di politiche precise e puntuali, che dicano la verità, evidenziando gli aspetti positivi e negativi?
Si parlava giustamente di sviluppo rurale e di territorio. Come pensiamo di salvare la nostra agricoltura, intesa in senso lato (quella di collina, quella di montagna, laddove ci sono le migliori IGP e DOP), in un quadro dove sembra che ci sia più da dare che da ricevere? È evidente che quando ci si associa ai più deboli è facile che, almeno per una lunga fase, si debba dare più che ricevere.
Sembrerebbe, anche partecipando ad audizioni alla presenza di ministri e sottosegretari, che ogni tanto si verifichino delle rivoluzioni capaci di dare al settore agricolo uno sviluppo e un incentivo straordinari. Ci si accorge, poi, come dicevano i colleghi che mi hanno preceduto, che il settore dell'ortofrutta sta vivendo una crisi profonda e dobbiamo sostenerlo con provvedimenti straordinari, anche quando non abbiamo le risorse per farlo. Del resto, anche le produzioni DOP - cito alcune fra le migliori della mia realtà: parmigiano reggiano, grana padano, prosciutto - sono in crisi.
È necessario, innanzitutto, adeguare domanda e offerta. Evitiamo, dunque, di dare incentivi senza una logica, evitiamo di allargare i contributi al settore del prosciutto se già ne abbiamo qualche milione in più. Non possiamo certo esportare in Africa, dove si muore di fame, il prosciutto o il parmigiano reggiano. Abbiamo bisogno di aggiustare il tiro, abbiamo bisogno di politiche rurali combinate a livello europeo, che ci permettano di equilibrare domanda e offerta.
Devo ammettere che quella odierna è una delle audizioni migliori alle quali ho partecipato in questi quattro anni. Finalmente mi sembra che si cominci a dire effettivamente come stanno le cose, che non sono né di destra, né di centro, né di sinistra: si tratta dei problemi della nostra economia, che dobbiamo esaminare con maggiore attenzione e maggiore cognizione di causa.
Qualcuno vi ha chiesto a chi fornite i dati. Ebbene, dateli a tutti, alle associazioni di categoria, agli imprenditori agricoli. Ha ragione il collega Agoni quando afferma criticamente che il mondo agricolo ha bisogno di sapere di più, con maggiore puntualità. In Italia, infatti, rischiamo di spingere ad investire, per accorgerci, il giorno dopo, che abbiamo sbagliato gli investimenti, sprecando così risorse pubbliche e private.
Scusate la franchezza, ma le vostre relazioni provocatorie, veramente all'altezza della situazione, ci permettono di svolgere riflessioni altrettanto intelligenti, come quelle espresse prima dai miei colleghi.
SERGIO AGONI. Sarò molto breve, ma cercherò di non essere diplomatico come sono stati i miei colleghi, pur ringraziando naturalmente gli auditi per le loro relazioni esaustive.
Non spaventatevi, non parlerò di quote latte, né del comma 551 dell'articolo 1 della legge finanziaria. Il professor Vieri ha accennato a questo problema ed è veramente una vergogna che ancora oggi dobbiamo risolverlo: lo risolveremo, diamo tempo al tempo.
Stando a quello che ho sentito oggi, per bene che vada siamo rovinati. Il professor Quintieri ha parlato di contraffazione, riferendo addirittura che il 90 per cento dei prodotti spacciati per italiani in realtà non lo sono, mentre il dottor Semerari ha affermato che il pericolo deriva dall'entrata di prodotti non controllati. Qui non posso che ritornare al mio pallino, quello della sanità dei prodotti alimentari. Non risolvere questo problema significa non risolvere il vero problema della nostra agricoltura. Non possiamo permetterci, come produttori dei migliori prodotti al mondo, di avere la concorrenza di paesi dove non conoscono nemmeno la legge n. 626.
In questi giorni, nella mia azienda, ho provato a scrivere un elenco di quello che dobbiamo fare, noi agricoltori, a livello burocratico, senza parlare del costo di produzione vero e proprio: registri, fatture, addirittura dobbiamo conservare i sacchetti del mais che seminiamo, per la questione degli OGM, e via discorrendo. Non possiamo assolutamente sopportare tutto questo.
Credo che un tentativo di soluzione del problema zootecnico sia rappresentato dal disegno di legge che presenteremo in Commissione agricoltura al Senato. Tra l'altro, si tratta del risultato di due disegni di legge diversi, uno a firma di chi vi parla, uno a firma del senatore Rollandin, che la Commissione mi ha incaricato di unificare. Questo disegno di legge propone il microchip per ovicaprini e bovini. Continuo ad insistere sulle vacche da latte perché sappiamo tutti che il problema della carne e del latte viene dalle vacche da latte, che quando partoriscono producono latte e carne.
Mettere il paese nelle condizioni di sapere esattamente qual è la produzione di latte e la produzione di carne vuol dire non importare più prodotti simili alle «porcherie» che sono state scoperte un mese fa a Brescia e a Mantova. Brescia è la mia provincia ed è proprio vicino a me Ludriano, dove un pubblico ministero, per caso, ha scoperto una truffa di 5 milioni di quintali di latte scaduto. Se questo latte è stato prodotto in Italia, da vacche italiane, bisogna capire da dove provenga; ugualmente, se è stato prodotto dalla Francia o da altri paesi bisogna capire da dove provenga.
Il fatto grave è che questa scoperta è avvenuta casualmente, mentre il pubblico ministero Boccassini ascoltava un'intercettazione telefonica per indagare su un mafioso. Questo mi fa pensare che possa trattarsi della classica punta di un iceberg.
Un altro problema è quello della carne. Con questo disegno di legge - spero di portarlo in sede deliberante - potremmo non dover mangiare più «fiorentine» che vengono dall'Argentina, dal Brasile, dal nord-America o da chissà dove. Il provvedimento, che prevede l'esame del DNA (un deterrente enorme perché consente l'identificazione degli animali in modo inconfutabile), porterebbe chiarezza in questo campo.
Spero che questa iniziativa possa allargarsi anche ad altri problemi, come quelli dell'ortofrutta. Una ventina di giorni fa, a Cesena, ho partecipato a una riunione dove erano presenti migliaia di produttori ortofrutticoli che rappresentavano i propri problemi. Conosco, inoltre, i problemi dei colleghi che si occupano di olio extravergine, di agrumi della Sicilia, e via dicendo.
È necessario, innanzitutto, prevedere dei controlli seri sulle contraffazioni. Personalmente sono per la libertà del commercio: se c'è qualcuno più bravo di me, si faccia avanti e lo dimostri, ma se vogliamo correre i cento metri dobbiamo partire tutti da zero. Non è possibile che, nella stessa corsa, qualcuno parta da zero e qualcuno da dieci metri dall'arrivo. Se partiamo tutti dalle stesse condizioni, il migliore avrà spazio e gli altri dovranno cambiare lavoro. Insisto, però, sul fatto che tutti dobbiamo essere messi nelle stesse condizioni. Proprio in questo consiste il controllo.
Chiedo un maggior controllo non tanto all'estero, quanto in Italia. Nella zootecnia e nel settore dei formaggi c'è anche la produzione estero su estero. Ormai abbiamo casari che producono grana all'estero e lo esportano sempre all'estero. Queste sono concorrenze sleali contro le quali occorre prevedere alcune misure nell'ambito WTO, ma anche all'interno del nostro paese.
Se vogliamo salvare la nostra agricoltura, i controlli devono essere severi.
PRESIDENTE. Do la parola al professor Quintieri, per iniziare un giro di brevi repliche.
BENIAMINO QUINTIERI, Presidente dell'ICE. Sebbene abbia appuntato tutto, diligentemente, non posso garantire che le mie risposte saranno adeguate.
L'onorevole Basile ha parlato di imprese non competitive, un tema davvero complicato. Certamente le imprese italiane, anche piccole, hanno degli asset competitivi forti, che di fatto hanno permesso al nostro paese di diventare, negli anni passati, uno dei principali paesi industrializzati.
Il problema è che, cambiando il mondo, cambiano anche le regole in economia e ciò che prima era buono può non essere adeguato in un altro momento. Evidentemente, per come è cambiato il mondo (ora ci sono mercati più lontani, si richiede più innovazione, marchi forti, e via dicendo - non voglio ripetere quanto è stato già detto -), la piccola impresa, a fronte dei vantaggi che sappiamo, presenta alcuni svantaggi per i quali rischiamo di perdere posizioni rilevanti.
Oggi abbiamo il problema di riorganizzarci per affrontare il mondo che è cambiato, senza pensare di poterlo fermare. Indietro non si torna, quindi non dobbiamo fare battaglie di retroguardia, ma prendere atto delle cose da fare.
Si è parlato di strategie nei confronti dei nuovi paesi che sono entrati nella Comunità europea, ma parlerei in generale dei Balcani, ricordando che fra poco entreranno Romania e Bulgaria, paesi che ci vedono in posizioni di primaria importanza. Siamo reduci dalla grossa missione del Presidente Ciampi in Bulgaria, dove sono giunti centinaia di imprenditori, come anche in India e in Cina. Per la Bulgaria, comunque, siamo il primo partner commerciale e quella tra i paesi dell'est e i Balcani è l'unica area del mondo, dove l'Italia investe, in primo luogo per la vicinanza, che permette anche alle imprese più piccole di investire senza dover andare in Cina, e poi per i costi bassi (questi ci sono anche in Cina, ma è un paese un po' più difficile da raggiungere).
Questa, dunque, è un'area strategica innanzitutto perché rappresenta un mercato che si sviluppa; inoltre, è interessante dal punto di vista produttivo, considerata la sua vicinanza all'Europa e alla Russia.
Passo direttamente alla questione della delocalizzazione, che è legata alla prima domanda e alle considerazioni svolte dall'onorevole Murineddu. Capisco che, dal punto di vista politico, il problema sia di difficile soluzione. È certamente più facile la posizione degli economisti rispetto a quelle di chi fa politica, che deve confrontarsi anche con i malumori che la delocalizzazione comporta, soprattutto per l'effetto d'impatto nel breve periodo.
Questo problema ci porterebbe molto lontano, ma voglio solo ricordare che spesso si usa impropriamente il termine «delocalizzare», perché in alcuni casi, bisognerebbe pensare che produrre all'estero vuol dire anche localizzarsi e non necessariamente delocalizzare. È evidente, infatti, che se ci sono nuovi mercati e se il mondo diventa più grande è necessario avere più unità produttive.
L'analisi non può essere generalizzata, ma normalmente gli studi svolti mostrano che le imprese che hanno «delocalizzato», alla fine si sono rafforzate. Qui non si tratta di affrontare il problema in termini assoluti, ma di valutare che cosa sarebbe successo a quelle imprese qualora non avessero delocalizzato. Il problema, dunque, è più complesso. Spesso la delocalizzazione è necessaria all'impresa per sopravvivere.
Sempre per rispondere all'onorevole Murineddu, le imprese delocalizzano non perché siamo poco competitivi - in parte, forse, anche per questo -, ma perché ormai delocalizzano tutti, anche i paesi più competitivi. Il problema è che la scarsa competitività del nostro territorio implica, intanto, pochi investimenti nel nostro paese e forse abbiamo difficoltà a ritarare la nostra produzione su prodotti più sofisticati, su una maggiore innovazione, e via dicendo. Credo che combattere il fenomeno di produrre all'estero sarebbe controproducente; semmai, esso andrebbe disciplinato.
Tornando alla questione delle strategie di promozione, devo essermi espresso malissimo quando ho parlato di duecento soggetti che fanno promozione. Volevo semplicemente dire che abbiamo contato circa duecento soggetti, nei quali includiamo regioni, province, Camere di commercio, che fanno promozione non sistematicamente.
In Italia - come avviene in tutti gli altri paesi - abbiamo la SACE, la SIMES e l'ICE ma abbiamo e avevamo alcune peculiarità. La prima era che il Ministero degli esteri si disinteressava di questioni commerciali, mentre in questi anni credo che abbiamo fatto grossi passi avanti. È stato anche approvato un disegno di legge che, come ho avuto modo di dire in altre circostanze, non mi è piaciuto affatto; non tutte le riforme si fanno per legge e questa legge, a mio avviso, peggiorava la situazione. È innegabile, comunque, che alcuni passi avanti siano stati compiuti, in primo luogo perché finalmente oggi gli ambasciatori si occupano di queste questioni. C'è un problema di lungo periodo, che è quello di formare gli ambasciatori in maniera più orientata alla cultura economica; spesso, infatti, essi svolgono un lavoro per il quale non sono stati adeguatamente preparati.
Una seconda peculiarità tutta italiana è l'eccessiva proliferazione di organi di rappresentanza. La frammentazione produttiva implica anche eccessiva frammentazione di rappresentanza. Credo che siamo l'unico paese al mondo dove c'è una Confindustria suddivisa su base regionale e provinciale, dove le Camere di commercio sono suddivise anch'esse su base regionale e provinciale e si fanno concorrenza tra loro. Devo dire, tra l'altro, che Confindustria e Camere di commercio hanno il problema che il centro non controlla la periferia. Le province non rispondono alle regioni e potrei raccontare decine di episodi in proposito.
Recentemente in Germania si è svolta una fiera di prodotti alimentari: erano presenti la regione Sicilia, venuta con l'ICE, e la provincia di Ragusa che, in polemica con la regione, aveva uno stand fuori dall'area della fiera; come se non bastasse, il comune di Vittoria, in polemica con la provincia di Ragusa, aveva uno stand in altro luogo ancora. Potrei raccontare tante storie del genere.
Su questo argomento, tuttavia, sono abbastanza ottimista. Penso che abbiamo visto il lato peggiore del federalismo, dove tutti si sono buttati a capofitto scimmiottando quello che facevano gli istituti nazionali, non capendo che, in realtà, proprio in virtù di questa frammentazione, è importante il ruolo delle istituzioni locali, per coordinare e per porsi in maniera complementare, non sostitutiva. Finalmente adesso molti cominciano a capirlo, quindi, da questo punto di vista, recentemente raccogliamo dei segnali positivi.
Sulla formazione, come forse pochi sanno, l'ICE è l'istituto pubblico - a parte il MIUR, ovviamente - che fa più formazione in Italia e all'estero. Stiamo realizzando, nel settore dell'agroalimentare, un'attività di formazione e di informazione. Penso ai molti chef stranieri che portiamo in Italia, alla scuola di cucina di Colorno, dove siamo coinvolti, e via dicendo. Sui ristoranti italiani all'estero, che sono decine di migliaia, stiamo portando avanti, insieme ad altre istituzioni, un faticosissimo lavoro di selezione e di valutazione della qualità della cucina e dei prodotti. Abbiamo svolto delle campagne informative anche in Asia, ad esempio presso la «Shangri-Là», la più grossa catena alberghiera. Svolgiamo, insomma, una serie di attività finalizzate ad una migliore conoscenza dei prodotti italiani.
L'onorevole Vicini parlava di eventi. Un aspetto importante dell'attività dell'ICE è che gli eventi vengono organizzati insieme alle imprese e, soprattutto, con le associazioni di categoria, che cofinanziano. Gli imprenditori tendenzialmente sono tirchi: magari comprano la Ferrari, ma se devono dare un euro per queste attività ci pensano due volte. È evidente che noi non facciamo nulla se le imprese non cofinanziano.
Con «Cibus Med», un'altra delle nostre iniziative, la settimana scorsa abbiamo organizzato, a Bari, la prima convention mondiale degli importatori di prodotti alimentari italiani. Abbiamo convocato queste persone (erano circa un centinaio) per discutere dei problemi che essi incontrano nel collocare i prodotti italiani sui vari mercati. Ebbene, mettendo insieme i consorzi del prosciutto, del parmigiano, della pasta e del vino, abbiamo fatto grandi campagne informative nel mondo asiatico: quella di Tokyo, ad esempio, su base triennale, finanziata quasi interamente con fondi privati, ha avuto un grande successo. Tra l'altro, su otto mila partecipanti, abbiamo vinto il premio per la migliore campagna pubblicitaria in Giappone.
Ultimo argomento è quello della contraffazione. Il problema più complesso è che, in alcuni casi, il termine contraffazione non è quello corretto. Se, ad esempio, un emigrato italiano produce pasta in Brasile e la chiama con il suo cognome, non possiamo tecnicamente dire che si tratta di contraffazione. Certamente non farà un grande servizio all'Italia, perché la pasta non sarà di grande qualità. Nel Parlamento brasiliano c'è addirittura una lobby molto forte di deputati di origine italiana che svolgono attività, appunto, di lobby contro i prodotti italiani. In parte, questo è anche inevitabile, in quanto si tratta di produttori locali che fanno il loro interesse.
Devo dire che non c'è bisogno di andare in questi paesi per trovare numerosi esempi di pirateria agroalimentare. Su internet potete acquistare il «parmesan», il provolone, il pecorino romano, l'asiago, tutti prodotti nel Wisconsin, o la robiola prodotta in Canada. Su questo si potrebbe dire tanto, ma mi fermo qui.
ARTURO SEMERARI, Presidente dell'ISMEA. Il patrimonio dati dell'ISMEA si basa su un'esperienza pluriennale, tra l'altro, con la certificazione di qualità del processo di raccolta dei dati (si parla di rilevazione dei prezzi, dei costi, dei consumi presso le famiglie, dei modelli econometrici, tra cui il modello MEG). Questi dati non solo si diffondono attraverso il circuito del SISTAN - ISMEA fa parte del Sistema statistico nazionale - quindi, una volta validati, entrano nelle statistiche ISTAT, ma danno origine anche a pubblicazioni, a forniture alle università, a tutte le regioni, alla Camera e al Senato: inoltre, essi sono fruibili attraverso il sito internet di ISMEA (www.ismea.it), al cui interno diversi link contengono i dati. C'è, quindi, un buon livello non solo di raccolta dei dati, ma anche di fruizione degli stessi.
Per quanto riguarda il quesito posto dall'onorevole Rava, il lavoro di analisi svolto da parte di ISMEA - un lavoro storico che si somma alle capacità tecniche della vecchia Cassa - è finalizzato non solo all'elaborazione ed alla pubblicazione dei dati, come ho appena detto, ma anche a supportare tutta la gamma di servizi che oggi ISMEA fornisce direttamente o tramite atti convenzionali con le regioni. Chiaramente attraverso gli atti convenzionali con le regioni si possono approfondire - e lo facciamo - con dettagli alcune materie specifiche, come gli agrumi per la Sicilia, gli ovicaprini per la Sardegna; altri temi di particolare interesse per altre regioni vengono regolati, appunto, attraverso questi atti di convenzione.
Riguardo alla produzione no food, che può rappresentare senza dubbio una prospettiva importante, soprattutto per la parte dei seminativi (questi vengono tolti dalle produzioni di commodities che, come si diceva, soffrono un po' di più di questo cambiamento in corso), l'ISMEA ha avviato un'analisi e tra un po' di tempo si potrà vedere cosa ne scaturisce.
Per quanto riguarda i settori forti, ossia i settori - vino e ortofrutta - che tuttora mantengono un vantaggio comparato dell'Italia nei confronti degli altri paesi europei ed extraeuropei, non ho detto che la crisi che essi stanno attraversando sia congiunturale. Non sappiamo ancora se questa crisi rischi di diventare strutturale, ma sicuramente ci sono segnali di perdita di capacità di competitività, a cui bisogna rispondere in termini di politica nazionale, ed è quello che si sta facendo.
Ad esempio, sempre limitandomi al ruolo di ISMEA, ritengo che le competenze e l'avvio dei servizi nel settore assicurativo e del credito possano concorrere a dare una mano a quegli imprenditori che, proprio in questi settori, sono da tempo e sempre più soggetti alla concorrenza europea e internazionale.
Questo tema si collega anche al fenomeno della delocalizzazione industriale ed agricola, questione sollevata dal senatore Murineddu. La delocalizzazione industriale è all'analisi del terzo rapporto che ISMEA sta predisponendo insieme a Federalimentare, quindi, anche su questo, avremo delle risposte. Inoltre, si affronterà anche il problema della delocalizzazione agricola. Più che di delocalizzazione, come diceva in precedenza il professor Quintieri, si deve parlare anche di localizzazione. Non è detto, infatti, che ci sia un abbandono di capacità produttive in Italia per portarle in paesi più competitivi a livello di prezzi, ma si tratta di investire in altri paesi.
La delocalizzazione, quindi, non deve essere considerata solo in termini negativi. Essa potrebbe costituire, come è avvenuto in altri settori economici, una circostanza in parte positiva, mentre è pericolosa la delocalizzazione selvaggia, ossia il rincorrere una collocazione delle produzioni laddove i costi sono molto bassi e si possono spuntare prezzi inferiori sui mercati.
Per quanto riguarda le considerazioni espresse dal senatore Vicini in ordine alle politiche di sostegno agli imprenditori, ribadisco che abbiamo attuato interventi sul lato assicurativo e del credito, che possono sostenere effettivamente i redditi degli imprenditori, riducendo i rischi imprenditoriali e migliorando le condizioni di accesso al credito e, dunque, le possibilità di investimento.
Sulla parte del credito e finanziaria non abbiamo ancora elementi concreti, che invece abbiamo nel settore assicurativo, con la gestione del fondo di riassicurazione, dove sicuramente l'impatto di una formula nuova di intervento pubblico sul mercato libero, che rimane libero e regolato dai suoi meccanismi, ha portato in brevissimo tempo ad un'inversione di tendenza del mercato. Infatti, si è passati da un mercato asfittico, che andava a chiudersi sempre più, con una riduzione dei volumi assicurati e un incremento delle tariffe, quindi dei premi pagati dagli agricoltori, ad un mercato in crescita (grazie a queste nuove formule assicurative) e ad una riduzione delle tariffe pagate dagli agricoltori. Sul credito, la riattivazione dei fondi interbancari di garanzia e le nuove formule di intervento a capitale di rischio sono sicuramente strumenti che possono concorrere per sostenere la capacità degli imprenditori italiani.
Concordo con il senatore Agoni sul fatto che possiamo sicuramente competere per quanto riguarda le caratteristiche sanitarie dei nostri prodotti. È vero, abbiamo meno armi per competere sui prezzi, ma è evidente che lo stesso prodotto, realizzato in condizioni sanitarie completamente diverse, non può stare sullo stesso mercato. Questo è un elemento importante ed è, indubbiamente, un vantaggio competitivo che bisogna sempre più far pesare sui mercati; mi riferisco alla sicurezza del consumatore nell'acquistare prodotti che nascono dal rispetto di una serie di regole che, in altri paesi, anche all'interno dell'Unione europea a 25, non sempre - per non dire quasi mai -vengono applicate.
SIMONE VIERI, Presidente dell'INEA. Per quanto riguarda la domanda del senatore Basile, relativa alle difficoltà amministrative, devo ribadire che nel mio intervento mi riferivo proprio alle difficoltà amministrative che i nuovi paesi entrati nell'Unione europea, e ancor più quelli che dovranno entrarci in futuro, incontreranno per adeguarsi ad una realtà che, ancora oggi, è molto amministrata. La PAC, nonostante tutto, è una realtà molto amministrata. L'impostazione delle istituzioni comunitarie, ancora oggi, è molto orientata al controllo dei fenomeni economici attraverso l'adozione di misure amministrative. Questa è una realtà di cui bisogna tener conto, ed io avevo fatto riferimento alle quote latte unicamente per richiamare, tra le altre, la realtà maggiormente amministrata.
Questo aspetto, tuttavia, deve farci riflettere rispetto alle difficoltà che i paesi nuovi entrati e quelli che entreranno nell'Unione europea incontreranno sotto questo profilo. È evidente che non osservare certi obblighi di tipo amministrativo può costituire, come diceva il senatore Agoni, motivo di concorrenza sleale. Non è un caso che la proposta della Commissione, avanzata una ventina di giorni fa, per il piano finanziario 2007-2013, preveda numerose misure specifiche proprio per favorire l'adeguamento amministrativo, come misura di politica socio-strutturale, ossia integrativa a quella di base. Non a caso, si prevede che ci siano misure specifiche per i nuovi paesi entrati, per l'assistenza tecnica per la redazione dei programmi di sviluppo rurale. A noi fa quasi ridere, perché questo è un problema che risolviamo all'interno delle nostre amministrazioni, ma in quel caso si prevede addirittura un aiuto per scrivere i programmi. Siamo quasi al paleolitico dell'amministrazione.
Addirittura, è previsto un sostegno alle aziende che si impegnano a produrre un programma di adeguamento al complesso delle norme comunitarie, il cosiddetto «acquis» che dovrebbe essere raggiunto. Si prevedono, addirittura, misure specifiche per consentire alle imprese di avviare un processo di adeguamento alle norme, guarda caso, in materia di ambiente, di sanità, di benessere degli animali, vale a dire tutti quegli elementi sensibili a cui faceva riferimento il senatore Agoni, che da noi sono obblighi che dobbiamo rispettare e che comportano costi di produzione, mentre in paesi che si trovano ad operare sul nostro stesso mercato sono obblighi futuri. È innegabile che questi paesi, prima di arrivare a rispettare questi obblighi, non avendo questo costo, hanno un vantaggio competitivo.
Riguardo al tema della delocalizzazione, il senatore Murineddu ci chiedeva una risposta che lo tranquillizzasse. Spero di non inquietarla ulteriormente, senatore, ma forse sarà questo l'effetto delle mie parole, considerato quello che penso su questo argomento. Si è detto, giustamente, che dovremmo parlare di localizzazione, non di delocalizzazione. Alla fine, però, potremmo dire che la delocalizzazione è l'effetto della localizzazione. Bisogna capire, dunque, che cosa è oggi la localizzazione.
Viviamo un processo storico molto particolare, che è espressione del nostro tempo e con il quale dobbiamo confrontarci: la cosiddetta globalizzazione. Come ci si localizza, seguendo le logiche della globalizzazione? Le imprese che possono farlo - questo è un problema che non riguarda tutte le imprese, ma solamente quelle che hanno la capacità di muoversi in un certo contesto - vanno a localizzarsi in funzione delle logiche abbastanza semplici dell'approvvigionamento dei beni o dei fattori produttivi. Esse seguono la logica del miglior rapporto qualità/prezzo, sulla base delle loro strategie di crescita e delle loro finalità di profitto.
Il problema, sicuramente, riguarda l'industria alimentare, ma anche l'agricoltore, che difficilmente può essere un soggetto attivo in questo contesto, mentre rischia di essere un soggetto passivo. La localizzazione, o delocalizzazione, purtroppo produce effetti che ricadono particolarmente proprio sull'agricoltura, intesa non solo come settore produttivo, ma anche come complesso dei rapporti che la legano al territorio, altrimenti non parleremmo neanche di localizzazione.
Allora, la localizzazione diventa un aspetto estremamente pericoloso e difficile, che richiede grande coraggio, soprattutto da parte di voi politici. Nel momento in cui si delocalizza un processo produttivo non abbiamo solo un danno economico, né si verifica un vantaggio economico per qualcun altro. Prendiamo, ad esempio, il settore dell'agricoltura, con la complessità dei rapporti che presenta, che sono espressione di fatti che, spesso e volentieri, sono legati a tradizioni secolari, a situazioni socio-economiche estremamente complesse: in questo caso, andiamo a toccare non solo un aspetto economico, ma andiamo addirittura a mettere in discussione anche un sistema di diritti, e su questo dobbiamo riflettere.
Nel momento in cui cessa una determinata produzione, perché questa si sposta da un'altra parte o è messa in crisi da un'importazione da un altro paese, cosa avviene? Se, ad esempio, produciamo un formaggio di un determinato tipo, in un certo ambiente, e questa produzione è espressione di un processo secolare di tradizioni, richiede l'impiego di manodopera qualificata, la quale è protetta da norme specifiche, in questo caso non siamo di fronte alla realizzazione di un prodotto, ma ad un sistema di diritti. Quell'agricoltura, infatti, è inserita nell'ambiente, dunque entra in gioco il diritto alla salvaguardia dell'ambiente, il diritto al paesaggio, il diritto alla sicurezza alimentare, il diritto alla sovranità alimentare. Pertanto, se delocalizziamo, provochiamo un danno non solo economico, ma anche sociale e, se vogliamo, anche sul piano dei diritti.
Allora, localizzazione e delocalizzazione si verificano perché è in atto un processo economico, storico, rispetto al quale non possiamo fare niente. Non possiamo certo opporci alla globalizzazione, non avrebbe senso. Tuttavia, ritengo che sia compito della politica fare delle scelte. Comunque, è evidente che in questo contesto, ossia quello determinato dalla globalizzazione, emergano delle realtà e che da ciascuna di queste realtà emergano degli interessi che spesso sono in conflitto tra loro.
Questa è una fase storica particolare, perché si va ad applicare la nuova PAC, si definisce il nuovo programma finanziario per gli interventi socio-strutturali, stiamo reimpostando tante politiche, anche a livello nazionale. Pertanto, ritengo che sia giunto il momento di scegliere quali interessi tutelare e quali obiettivi perseguire. È inutile parlare di sviluppo rurale, di qualità dei prodotti, quando poi si adottano politiche che portano risorse a settori che, invece, sono espressione di realtà in conflitto con quella che si dice di voler tutelare.
Il problema principale è compiere scelte chiare, non certo per opporsi alla globalizzazione, ma per trovare una nostra dimensione in questo contesto. Peraltro, questa è l'unica via che abbiamo per uscire indenni da questa fase. Se non troviamo una nostra dimensione, finiremo per essere spazzati via da un processo che, comunque sia, è inarrestabile, perché è frutto dei nostri tempi.
Se questa ottica è giusta, bisogna anche ripensare il discorso di innovazione e di ricerca. Non è sufficiente, se subiamo una delocalizzazione, conservare le proprietà intellettuali. Non dobbiamo accontentarci di questo, è troppo poco; così rischiamo di adottare la stessa politica portata avanti dalle multinazionali, che detengono la proprietà intellettuale ma vanno a destrutturare le realtà produttive sui territori.
Dobbiamo operare delle scelte chiare rispetto agli obiettivi che vogliamo perseguire. Penso che l'obbligo della chiarezza, in un momento così delicato, dobbiamo averlo, in modo da scegliere quello che vogliamo fare sulla base delle caratteristiche socio-economiche dei nostri territori, tenendo bene a mente che le vie sono soltanto due: o si patisce il fenomeno o si cerca di viverlo.
PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi per averci dato un messaggio estremamente pragmatico, concreto ed estremamente esaustivo.
Dichiaro conclusa l'audizione
La seduta termina alle 16,30.
Impatto della politica agricola comune sui paesi dell'Europa centrale e orientale
Tarditi CIPAS Università di Siena
(estratto dal sito
http://www.unisi.it/cipas/output/030331-CAP&CEEC8/CAP&CC8.pdf)
(con traduzione in italiano a cura del Servizio studi della Camera)
2.2. I nuovi paesi membri dell'Unione europea
I dieci paesi candidati che si uniranno all'Unione europea entro il luglio del 2004 comprendono due piccoli paesi mediterranei e un più grande gruppo di otto paesi dell'Europa centrale e orientale. I due paesi mediterranei rappresentano una piccolissima quota nell'economia agricola dei nuovi paesi membri: meno dell'1 per cento in termini di occupazione agricola e di area agricola utilizzata, meno del 4 per cento in termini di valore agricolo aggiunto. Dal lato dei consumatori, la loro popolazione costituisce meno del 2 per cento del totale della popolazione dei nuovi paesi membri (schema 2-6 e schema 2-7).
Dal momento che l'economia agricola nei paesi mediterranei è piuttosto diversa dai paesi dell'Europa centrale e orientale, la nostra analisi sull'impatto dell'applicazione della PAC nei nuovi paesi membri sarà limitata agli otto paesi dell'Europa centrale e orientale. Guadagneremo in termini di approccio più omogeneo nell'identificazione e nella possibile soluzione dei problemi esistenti, senza perdere troppo nella valutazione totale dell'impatto dell'allargamento sia nei nuovi Stati membri che nei quindici.
2.3 Gli otto paesi dell'Europa centrale
Tra gli otto paesi, la Polonia è di gran lunga il maggiore, rappresentando circa la metà del totale (52 per cento della popolazione e 53 per cento del valore della produzione agricola) (schema 2-8). L'Ungheria è il secondo paese (14 per cento popolazione e 15 per cento produzione agricola), immediatamente seguita dalla Repubblica Ceca (14 per cento) e quindi dalla Slovacchia, la Lituania, la Lettonia, la Slovenia e l'Estonia.
L'informazione sul sostegno agricolo è raccolta e valutata principalmente dall'OCSE e sarà ulteriormente analizzata nei paragrafi successivi. Tratta degli undici maggiori prodotti, contando per due terzi del totale della produzione agricola degli otto paesi candidati aggregati (schema 2-10). Comunque, questa quota differisce tra ogni singolo paese, essendo più alta in Ungheria (89 per cento) e più bassa in Polonia (57 per cento).
I più importanti prodotti esaminati negli otto paesi candidati nel loro insieme (schema 2-9) sono la carne di maiale (18 per cento del totale valore di produzione), il latte (13 per cento), il grano (8 per cento) e lo zucchero (7 per cento). Un’analisi dettagliata delle tendenze nell'aiuto agricolo e il probabile impatto del passaggio a una politica di libero scambio o all'attuale politica di mercato PAC del 2001 è presentata per ogni merce e paese nell'Appendice.
3 Cambiamenti negli aiuti agricoli
Nonostante le varie riforme della PAC, il sostegno agricolo nel complesso è rimasto piuttosto invariato negli anni novanta nei quindici, come indicato nello schema 3-1.
Dopo la riforma del 1992, parte dell'aiuto concesso attraverso il sostegno al prezzo di mercato, la differenza tra il valore della produzione e i prezzi all'esportazione, è stato sostituito dai pagamenti ai produttori.
Secondo le comunicazioni inviate al WTO dall’Unione europea, l'ammontare dichiarato del sostegno incluso nella scatola ambra [30] è molto più basso dell'impegno a limitare il sovvenzionamento. Se il sostegno agricolo compreso nella scatola blu[31] è considerato distorsivo per la produzione e il commercio come sostegno specifico per prodotto agli agricoltori, allora la somma dei sostegni del tipo scatola ambra e scatola blu ha superato gli impegni comunitari a limitare il sussidio; comunque sta gradualmente avvicinando questo limite.
L'aiuto agricolo negli otto paesi candidati che diventeranno nuovi membri dell'Unione europea è cresciuto negli ultimi anni novanta in vista dell'ingresso nell'Unione europea; comunque, secondo i dati OCSE, è ancora piuttosto basso e piuttosto differente tra i vari paesi (schema 3-3).
Nella schema 3-4 l'aiuto concesso negli otto paesi agli undici maggiori prodotti esaminati è presentato nel modo più compatto, come un paese e un prodotto aggregato.
Secondo le nostre stime basate principalmente sui dati OCSE, negli otto paesi candidati il sostegno al prezzo di mercato (MPS, ossia la protezione concessa agli agricoltori principalmente attraverso i dazi all'importazione, i sussidi all'esportazione e le disponibilità di surplus) aumenta i prezzi di mercato interni sulla media del 14 per cento dei prezzi all'esportazione, mentre nei quindici questa crescita è stimata al 35 per cento. I pagamenti diretti concessi ai produttori forniscono un ulteriore aumento del 10 per cento delle entrate degli agricoltori, mentre nei quindici queste contano per il 36 per cento.
Tutto sommato, il sostegno pubblico specifico per prodotto ai produttori agricoli per i nostri undici prodotti rappresenta il 24 per cento del valore della produzione sul mercato internazionale negli otto paesi candidati e per il 71 per cento nei quindici. La spesa specifica per i servizi generali non legata al prodotto rappresenta un altro 4 per cento negli otto paesi candidati e per il 4,4 nei quindici.
A prima vista, senza prendere in considerazione l’adeguamento nelle quantità richieste e vendute conseguenza dei cambiamenti nei prezzi interni, l'impatto dell'estensione dell'acquis comunitario del 2001 dell'Unione europea nella politica agricola agli otto paesi candidati è probabile che accresca i redditi dei loro agricoltori del 38 per cento. I trasferimenti dai consumatori attraverso il sostegno al prezzo di mercato e i trasferimenti dai contribuenti attraverso i pagamenti ai produttori dovrebbero triplicare.
Analizzeremo più nel dettaglio questi dati aggregati nei paragrafi seguenti.
3.1 Sviluppi nell'aiuto negli otto e nei quindici
Lo sviluppo passato del sostegno pubblico negli anni novanta è indicato sia per i quindici che per gli otto paesi candidati nello schema 3-5 come un dato aggregato per gli undici prodotti esaminati. Nello scorso decennio, la differenza tra l'aiuto pubblico concesso nell'Unione e negli otto paesi candidati è stata piuttosto stabile.
Due scenari possono essere chiaramente individuabili:
a) scenario tradizionale: i nuovi paesi membri adotteranno l'attuale acquis comunitario della PAC, come nel caso dei precedenti ingressi nell'Unione.
L'aiuto pubblico nei nuovi paesi membri aumenterebbe sostanzialmente. Assumendo un periodo di transizione di dieci anni per la piena adozione della PAC, come previsto dal Consiglio dei ministri dell'Unione europea, l'aumento nell'aiuto seguirebbe un modello indicato dalla linea rossa con i punti a triangolo dall'attuale situazione (anno 2001 e 2003) alla piena adozione della PAC 10 anni dopo nel 2013.
Le tendenze del grafico rappresentate nello schema 3-5 indicano chiaramente quanto la politica attuata dagli otto paesi candidati sia differente dalle passate politiche. Il sostegno ai prezzi di mercato sarà applicato immediatamente nel 2004, mentre i pagamenti ai produttori cresceranno gradualmente dal 2004 al 2013.
b) Scenario del libero scambio: invece di una protezione crescente e dei pagamenti diretti negli otto paesi candidati, sia i quindici che gli otto elimineranno gradualmente le attuali politiche di prezzo distorsive della scatola rossa[32] e le sostituiranno con le politiche della scatola verde[33] ben indirizzate verso ogni obiettivo ambientale, sociale e territoriale includendoli nel secondo pilastro della PAC, la politica di sviluppo rurale. La politica di mercato della PAC si svolgerà principalmente come una rete di sicurezza, stabilizzando i prezzi interni senza sostenerli nel lungo periodo.
A parte il raggiungimento degli obiettivi di maggiore trasparenza, efficienza, equità e sostenibilità, un approccio di libero scambio era già applicato nei primi anni novanta dalla maggior parte degli otto paesi candidati ed è raccomandato nelle dichiarazioni del WTO. I cambiamenti nel sostegno di mercato impliciti in questo scenario di libero scambio sono indicati nelle linee blu (marcatori a punta per i quindici e quadrati per gli otto).
Simili grafici per ognuno dei prodotti esaminati negli otto e per ogni paese sono disponibili nell'appendice, dallo schema 10-1 al 10-11.
3.2 L’applicazione dell'acquis comunitario dei quindici
Lo schema 3-6 illustra più in dettaglio le differenze nel sostegno al prezzo concesso attualmente negli otto paesi candidati (pannello superiore) e nei quindici (pannello inferiore) per ogni prodotto esaminato. Il prezzo internazionale (all'esportazione) è preso come base (bP=100), e per ogni prodotto il sostegno al prezzo di mercato e i pagamenti specifici per prodotto ai produttori, che aumentano i loro redditi, sono indicati come crescita percentuale del prezzo all'esportazione.
Secondo le analisi e le stime OCSE, negli otto paesi candidati il sostegno al prezzo di mercato è concesso principalmente per zucchero, uova e produzione di pollame. Questi prodotti beneficiano anche di pagamenti diretti ai produttori, pagamenti concessi in un moderato ammontare a tutti i prodotti. Per i cereali, olio di semi e la carne ovina, nel 2001 i prezzi interni sono stati lievemente più bassi dei prevalenti prezzi internazionali, generando un aiuto negativo, che potrebbe essere considerato come l’equivalente di una tassa sui produttori.
Nell'Unione europea la riforma della PAC del 1992 ha smantellato il sostegno al prezzo interno per i cereali e olio di semi. I redditi dei produttori si sono stati mantenuti concedendo pagamenti compensativi per ettaro per facilitare il processo di adattamento ai nuovi prezzi relativi. A questo proposito, avrebbero dovuto essere regressivi e limitati nel tempo. Al contrario, questi pagamenti sono stati mantenuti e sono stati denominati aiuti alla produzione. Come conseguenza, il reddito dei produttori non è stato sostanzialmente toccato dalla riforma e il cambiamento strutturale previsto nella produzione non si è verificato.
Attualmente un sostegno sostanziale per zucchero, latte, carne bovina e pollame è ancora concesso attraverso il prezzo di mercato, mentre l'aiuto pubblico ad altri prodotti è concesso principalmente con pagamenti diretti. L’aiuto medio è molto più alto nei quindici rispetto agli otto paesi candidati specialmente per cereali, olio di semi, zucchero, latte e carne bovina mentre per le uova il sostegno medio negli otto paesi candidati è più alto rispetto ai quindici.
Il livello di aiuto pubblico degli otto paesi candidati ai nostri undici prodotti agricoli è stato calcolato come una media ponderata tra gli otto paesi, di cui la politica agricola specifica per prodotto è comunque ancora piuttosto differente, come mostrato nello schema 3-6. Il sostegno al prezzo di mercato è più alto in Polonia e nella Repubblica Ceca. In Slovenia il sostegno medio al prezzo di mercato e l'aiuto totale, che include pagamenti ai produttori, sono alti quasi come nei quindici, probabilmente a causa dello stato di importatore netto e per i più alti costi di produzione nelle regioni montane.
Adottando la PAC, l'aiuto agricolo medio in tutti i paesi in sostanza crescerà e si stabilizzerà (schema 3-7, pannello centrale).
Tra i prodotti, la più grande crescita nei redditi dei produttori (sostegno al prezzo e pagamenti ai produttori) dovrebbe essere per la carne bovina, i cereali e il latte. Tra i paesi, la più grande crescita dovrebbe essere per i paesi baltici, dove attualmente l'agricoltura è relativamente meno assistita, mentre la crescita più limitata nei redditi agricoli medi si verificherà in Slovenia, dove attualmente alcuni prodotti sono anche più sostenuti rispetto ai quindici.
4. Impatto sui consumatori e sui produttori.
Passando dall'attuale quadro del sostegno al prodotto degli otto paesi candidati al sostegno della PAC è probabile che si generino profondi cambiamenti nella struttura del consumo e della produzione, dando origine ad una grande redistribuzione del reddito tra i consumatori, contribuenti e produttori agricoli.
Mentre i pagamenti diretti ai produttori sono stati introdotti gradualmente dal Consiglio dei ministri dell'Europa in un periodo di transizione di 9 anni, dal 2004 al 2013, l'impatto del sostegno del prezzo di mercato sarà immediatamente percepito dagli agricoltori e dai consumatori nei nuovi Stati membri. Mentre latte e uova, per esempio, sono sostenute principalmente dalla protezione all'esportazione sia nei quindici che negli otto paesi candidati, l'adeguamento ai prezzi della PAC si verificherà immediatamente, aumentando i prezzi del latte e abbassando i prezzi delle uova (schema 10-6 e schema 10-10 in Appendice).
È probabile che questo crei uno shock nei primi mesi dopo l'accesso all'Unione specialmente per i mercati dei prodotti degli otto dove la protezione all'esportazione cambierà (schema 3-6). È probabile che si creino flussi di esportazione nel breve termine per carne bovina, latte e zucchero, insieme con le importazioni di uova, nel momento in cui si verificherà l'adeguamento strutturale nell'offerta.
4.1 Impatto sulla domanda e sulla spesa del consumatore.
Dalla parte delle famiglie, la crescita nei prezzi agricoli sarà trasmessa ai consumatori con una crescita dei prezzi alimentari. L'impatto avrà una incidenza nei relativi prezzi alimentari più estesa o limitata anche secondo la quota delle materie prime agricole sul prezzo del prodotto finale. Solo il sostegno al prezzo di mercato incide sul consumo, mentre i pagamenti diretti non hanno un impatto specifico sui prodotti sui prezzi di mercato e sui consumatori.
La domanda alimentare sarà ridotta come conseguenza di un effetto di sostituzione, spostando la spesa dei consumatori verso beni i cui prezzi non sono cresciuti. I più alti prezzi dei beni alimentari significherà anche un più basso reddito reale per i consumatori, mentre parte del costo di bilancio per i pagamenti ai produttori sarà pagato dai contribuenti degli otto paesi candidati, abbassando ulteriormente il loro reddito disponibile. Questa riduzione nel reddito reale dei consumatori contribuirà ulteriormente ad una riduzione della domanda alimentare.
Il rapporto tra la percentuale di riduzione della domanda alimentare come conseguenza della crescita percentuale nei prezzi è indicato dalla "elasticità della domanda rispetto al prezzo "[34], che è piuttosto difficile da stimare in termini statistici per questi grandi cambiamenti nei prezzi alimentari. Nei nostro calcolo assumiamo una moderata elasticità della domanda rispetto al prezzo per prevedere i probabili cambiamenti sul mercato interno e sui flussi del commercio internazionale.
I prezzi di mercato alla produzione degli otto paesi candidati cresceranno per gran parte dei prodotti agricoli (specialmente carne bovina, 122 per cento, latte 51 per cento, zucchero 33 cento) (schema 3-6) producendo una riduzione nella quantità consumata, come indicato nello schema 4-2 in migliaia di tonnellate. Questa riduzione è anche proporzionale all'importanza di ogni prodotto nel bilancio familiare dei consumatori degli otto paesi candidati, mentre le più grandi riduzioni sarebbero nel latte, nei cereali, nello zucchero e nella carne bovina.
Tale riduzione nel consumo non significa necessariamente una parallela riduzione nella spesa dei consumatori alla produzione, dal momento che la crescita nel prezzo può essere proporzionalmente più alta, risultando in una più alta spesa, come indicato nello schema 4-3. Nonostante la riduzione del consumo, è probabile che la spesa del consumatore cresca di circa il 75 per cento per carne bovina, 34 per cento per latte, 15 per cento per lo zucchero. La crescita percentuale della spesa di carne ovina non è molto importante dato il bassissimo consumo di questo prodotto. Per le uova delle sostegno al prezzo della PAC è più basso che negli otto paesi candidati, conseguentemente il prezzo di mercato pagato dal consumatore sarà ridotto insieme con la spesa alla produzione.
Lo schema 4-4 mostra l'impatto della PAC sulla spesa del consumatore nei singoli paesi. Nell’insieme degli otto paesi candidati, è probabile che l'ammontare del consumo sia ridotto del 3 per cento e la spesa del consumatore sia cresciuta del 12 per cento, equivalente 2.353 milioni di euro, vale a dire 127 euro per una famiglia di quattro persone. Le differenze tra i paesi sono ampie, passando da 19 euro in Slovenia a 230 euro in Estonia.
Mentre i cambiamenti relativi (in termini percentuali) al livello della produzione, se riferiti alla spesa del consumatore al dettaglio, saranno ridotti secondo l'incidenza del valore aggiunto di trasformatori, grossisti e dettaglianti sul prezzo al consumo finale, è probabile che i cambiamenti nella spesa espressi in termini assoluti, in euro, si trasferiscano come tali ai consumatori, almeno nel medio termine. Nel breve termine l'impatto sulla spesa del consumatore potrebbe essere più alto o più basso secondo la struttura competitiva dei mercati intermedi a livello di grossisti e dettaglianti.
I consumatori saranno danneggiati non solo come conseguenza di una spesa più alta, ma anche come conseguenza della riduzione dei prodotti consumati. Un più basso consumo e un più alto costo della spesa allimentari pagato dai consumatori è ancora solo una parte del peso che grava sulle famiglie, la parte derivante dai più alti prezzi di mercato. L'intero peso include anche il costo sostenuto delle famiglie intese come contribuenti, nel finanziare l'aiuto agricolo attraverso pagamenti ai produttori e più alte tasse, come sarà esaminato nel seguente paragrafo sulla distribuzione del reddito.
4.2 L'impatto sull'offerta
Dal lato dei produttori, una crescita nel reddito del produttore per unità (prezzi di mercato più pagamento per unità) attrarrà risorse ulteriori nelle aziende. Gli agricoltori investiranno più in quelle produzioni in cui prezzi sono cresciuti, dedicando una maggiore quota delle risorse aziendali, terreno, capitale e lavoro, a questi prodotti, adottando tecniche produttive più costose e di solito più produttive.
Conseguentemente, l'offerta si amplierà come risposta alla crescita del prezzo; il rapporto tra la percentuale di crescita dell'offerta e la percentuale di crescita nei prezzi dei produttori (elasticità dell'offerta rispetto al prezzo) varia secondo il periodo di tempo considerato. In un intervallo molto breve dopo i cambiamenti di prezzo, le ulteriori risorse dirottate sui quei generi la cui produzione diventa più redditizia sono necessariamente modeste, anche a causa alla natura biologica della produzione agricola riferita al tempo[35]. Di conseguenza l’elasticità dell'offerta rispetto al prezzo è bassa. In pochi anni, gli adeguamenti strutturali saranno possibili, si verificherà in pieno la riallocazione delle risorse disponibili e l’elasticità dell'offerta nel lungo periodo sarà conseguentemente più alta.
Nei nostri calcoli, il riferimento è fatto ad un periodo di tempo di transizione di dieci anni dalle esistenti politiche agricole degli otto paesi candidati alla piena applicazione della PAC. Una elasticità molto moderata dell'offerta è assunta per tenere conto della probabile espansione di produzione[36].
Vale la pena di ricordare che queste stime sono solo indicative, dal momento che non prendono in considerazione le limitazioni sulla produzione (quote di produzione, set-aside) e non tengono conto della elasticità incrociata tra i prodotti. Queste stime sono comunque prudenti anche a causa del fatto che l'espansione sull'offerta come conseguenza di una migliorata tecnologia non è pienamente presa in considerazione. Nello scorso decennio l'offerta di prodotti agricoli nei quindici è cresciuta a un tasso medio annuo del 2 per cento, mentre la domanda è cresciuta solo ad un tasso dello 0,5 per cento. Questa differenza nei tassi di espansione, insieme alle politica di sostegno del prezzo della PAC è la maggiore causa del surplus agricolo e delle limitazioni poste all'uso delle risorse disponibili come set-aside.
Nell'appendice i mercati dei prodotti sono presentati nel diagramma tradizionale di marshall mostrando la funzione della domanda e dell'offerta con riferimento alle quantità (1000 tonnellate) indicate nell'asse orizzontale e i prezzi (euro per tonnellata) indicati nell'asse verticale.
I più importanti componenti della produzione agricola degli otto paesi candidati sono carne suine, latte, grano e zucchero. Se non saranno imposte limitazioni quantitative sulla produzione, è probabile che si verificherà la massima espansione dell'offerta nei prodotti dove il reddito per unità di produttore (prezzi di mercato più pagamento per unità) crescerà di più, come indicato nello schema 4-5.
Gli schemi (4-6 e 4-7) mostrano la composizione della produzione agricola negli otto paesi candidati prima e dopo l'adozione della politica di mercato della PAC, sia per prodotto sia per paese membro. In alto il valore di ogni prodotto calcolato ai prezzi all'esportazione, il grafico indica il sostegno al prezzo di mercato e i pagamenti produttori in milioni di euro.
Il cambiamento nel reddito totale degli otto paesi candidati come conseguenza della politica di mercato della PAC è mostrato nello schema 4-8 per prodotto e per paese membro. Per distinguere la crescita nei redditi agricoli con una mera conseguenza dell'aumentato sostegno al prezzo e dei pagamenti diretti al produttore dalla crescita dovuta all'espansione dell'offerta, l'impatto della politica agricola è presentato in tre scenari:
a) la crescita nel reddito agricolo dovuta all'attuale sostegno al prezzo specifico per prodotto e ai pagamenti diretti (scenario 2001);
b) la crescita dovuta all'adozione dell'acquis comunitario della PAC nella politica di mercato come applicata nell'Unione europea nel 2001, assumendo l'offerta immutata;
c) la probabile crescita del reddito agricolo come conseguenza del prezzo e di una presunta moderata espansione dell'offerta, come citato nel precedente paragrafo.
Solo i produttori di uova e di pollame degli otto paesi candidati affronteranno una riduzione nel reddito, mentre tutti gli altri produttori agricoli affronteranno una sostanziale crescita nei loro redditi, spesso sopra il 70 per cento della valore della produzione espresso ai prezzi all'esportazione, se includiamo la crescita dovuta ai più alti prezzi e ad una più grande quantità prodotta.
Tra i vari paesi solo in Slovenia la crescita del reddito dei produttori è limitata. Dall'altra parte, le misure incluse nel secondo pilastro, la politica di sviluppo rurale, concentrate sulla collina, la montagna e le aree svantaggiate, contribuiranno ulteriormente ad accrescere i redditi agricoli specialmente in questo paese.
9. Conclusioni
9.1 Ora o mai più.
Dall'istituzione della PAC, gli impatti negativi delle sue politiche di mercato sui mercati interni e sul commercio internazionale sono stati ripetutamente sottolineati, non solo dagli analisti politici indipendenti, ma anche dalla stessa Commissione europea.
L'allargamento dell'Unione europea agli otto paesi candidati potrebbe estendere gli aspetti negativi dell'acquis comunitario alla maggior parte delle rimanenti paesi europei, con riflessi negativi sul benessere principalmente dei nuovi membri, rispetto ai quindici, che dovrebbero sostenere una grande quota dei costi di bilancio, e finalmente sui paesi terzi attraverso l'impatto distorsivo sui prezzi del mercato mondiale.
L'allargamento dell'Unione è quindi un'opportunità unica per riformare la PAC nei quindici per migliorare l'allocazione delle risorse, la distribuzione del reddito e la sostenibilità ambientale dell'attuale Unione e per evitare l'imposizione di misure politiche di riduzione del benessere nei nuovi membri.
Il documento di esame di medio termine della Commissione europea sta muovendo nella giusta direzione nel riformare la PAC rafforzando le politiche di sviluppo rurale e riducendo il sostegno al mercato, ma ad una velocità troppo bassa. Nel 2004, quando gli otto paesi candidati entreranno ufficialmente nell'Unione, la PAC sarà leggermente meno distorsiva rispetto a quella attualmente in vigore nei quindici; comunque l'impatto dell'estensione di questa politica agli otto paesi candidati estenderebbe i suoi aspetti negativi e ridurrebbe fortemente il benessere sociale europeo e globale.
9.2 Incoerenza con gli obiettivi dei consumatori.
Secondo l'articolo 153 del trattato consolidato che istituisce la Comunità europea, "nella definizione e nell’attuazione di altre politiche o attività comunitarie sono prese in considerazione le esigenze inerenti alla protezione dei consumatori". Chiari obiettivi di politica economica sono specificati dal Commissione consumatori dell'Unione europea nel dicembre del 1998 nel "parere sulla riforma della politica agricola comune": trasparenza, equità, efficienza, sostenibilità, sicurezza, garanzia.
L'attuale PAC è ancora in disaccordo con questi obiettivi.
Trasparenza
Una corretta conoscenza degli effetti delle politiche economiche è necessaria per valutare la loro coerenza e i risultati degli obiettivi politici stabiliti.
L'attuale PAC non è ancora trasparente. Nonostante le numerose richieste dalle associazioni dei consumatori e dai suoi rappresentanti, la Commissione europea non ha ancora menzionato nei suoi documenti ufficiali il costo sostenuto dai consumatori come conseguenza del sostegno agricolo al prezzo di mercato. Secondo le stime dell'OCSE, tale costo nei conti dei quindici rappresenta circa il 50 per cento del totale dell'aiuto; è proprio incredibile che tale enorme costo per i cittadini e il suo relativo impatto sulla distribuzione del reddito non siano ancora menzionati nei documenti che trattano della riforma della PAC e del suo allargamento ai nuovi Stati membri.
Equità
I grandi trasferimenti di reddito dai consumatori ai produttori stanno ampliando le disparità di reddito nella nostra società agendo come una tassa regressiva sui consumatori, proporzionalmente più alta sulle famiglie più povere ed un sussidio progressivo ai produttori, favorendo gli agricoltori ed i proprietari terrieri più ricchi. L'allargamento ai nuovi membri produrrà alti valori del terreno ed enormi rendite della terra totalmente ingiustificate, pagate dalle famiglie con più alti prezzi alimentari e dai contribuenti con tasse più alte. Mentre il reddito pro capite dei nuovi Stati membri è solo del 44 per cento del reddito pro capite dei quindici, il loro contributo al bilancio sarà proporzionalmente più basso e circa il 40 per cento del pagamento per produttore sarà un peso per i contribuenti dei quindici.
Efficienza
Nei quindici l'eccesso manifesto di risorse mantenuto nel settore agricolo dalla PAC è stato evidenziato negli scorsi decenni dalla distruzione o dalla vendita sottocosto del surplus alimentare, la ben ricordata eliminazione del burro e i laghi di latte e di vino con alti costi per i contribuenti. Ora questo patente spreco di risorse economiche è molto meno apparente ma probabilmente non ridotto. I cittadini europei pagano gli agricoltori per non coltivare una quota della loro terra coltivabile, al fine di mantenere alti prezzi di mercato per i prodotti agricoli. Ovviamente, questa politica manifestamente inefficiente non può essere giustificata nell'interesse dei cittadini europei ma solo nell'interesse di parte dei produttori agricoli e dei proprietari terrieri, specialmente i più ricchi.
Invece di ridurre questi privilegi, costosi e ingiustificati nell'interesse generale dei cittadini europei, la PAC ha introdotto un grande ammontare di discriminazione in favore delle piccole aziende. Facendo in questo modo ostacola fortemente l'adeguamento strutturale in agricoltura, mantenendo un alto costo di produzione nelle non economicamente vitali piccole aziende e perpetuando la necessità di sussidiare permanentemente l'agricoltura.
Invece di ridurre fortemente questo enorme spreco di risorse economiche nei quindici, la nuova PAC le sta estendendo ai nuovi paesi membri, ad un ulteriore alto costo per i cittadini dei quindici e sta ostacolando la competitività dell'agricoltura nei nuovi Stati membri.
Questo è totalmente in contrasto con l'affermato primo obiettivo del documento di esame di medio termine che punta a "accrescere la competitività dell'agricoltura europea" per "promuovere una agricoltura sostenibile, più orientata verso il mercato".
Sostenibilità
La sostanziale crescita dei prezzi agricoli e i pagamenti diretti ai produttori nei nuovi paesi membri, triplicando gli attuali trasferimenti agli agricoltori, insieme con le quote di produzione e il set-aside, inevitabilmente amplierà l'uso dei fattori inquinanti nelle aree coltivate aumentando l'inquinamento ambientale e la sostenibilità dell'agricoltura. Altri soldi spesi in misure di politica agro-ambientale non saranno sufficienti per compensare gli effetti ambientali negativi delle distorsioni nei prezzi dei produttori indotti dall'applicazione della PAC nei nuovi Stati membri.
Sicurezza
Le misure di sicurezza sono migliorate e questo miglioramento è benvenuto dei consumatori in parallelo con una reale riforma degli aspetti negativi della PAC.
Garanzia
Negli anni sessanta la politica di sostegno al prezzo della PAC era almeno in parte giustificata dalla necessità di accrescere l'offerta interna e il tasso di autosufficienza dei membri fondatori della Comunità economica europea. Ora l'Unione europea non è più un importatore netto dei maggiori prodotti di base, ma piuttosto un inefficiente esportatore netto a spese del contribuente che paga per i sussidi per le esportazioni. Inoltre, nell'attuale arena internazionale l'autosufficienza alimentare non è più il maggiore interesse dei politici, come lo era dopo la seconda guerra mondiale.
9.3 Una riforma della PAC nell'interesse generale.
Immediatamente dopo la seconda guerra mondiale, il livello di protezione per l'industria nei paesi OCSE era approssimativamente al livello dell'attuale protezione dell'agricoltura (schema 9-1). Da allora, principalmente attraverso i negoziati del GATT, il livello medio delle tariffe è stato ridotto dal 40 per cento all'attuale 5 per cento. Anche come conseguenza di questa liberalizzazione degli scambi, il commercio internazionale dei prodotti non agricoli è cresciuto molto di più rispetto al commercio dei prodotti agricoli, che era praticamente escluso dai negoziati del GATT fino all'Uruguay Round (parte bassa dello schema 9-1). Si è stimato che l'impatto sul benessere globale e sullo sviluppo economico è stato molto ampio.
Quanto è ora necessario nell'interesse dei cittadini dell'Unione europea non è di estendere le politiche protezionistiche e di mercato pianificate dallo Stato agli otto paesi candidati, ma piuttosto di riformare la PAC verso un più libero scambio, secondo gli impegni presi nei negoziati del WTO. Con riferimento allo schema 9-2, invece di accrescere l'assistenza media nominale degli otto paesi candidati dall'attuale 9 per cento al 75 per cento del livello dei quindici, una riforma della PAC nell'interesse generale farebbe l'opposto, abbassando il livello dei quindici del 75 per cento al 9 per cento del livello degli otto paesi candidati.
Di conseguenza, l'allargamento delle nostre abitudini comunitarie non produrrebbe un enorme effetto di dirottamento commerciale, ed una conseguente grande perdita di benessere sociale, piuttosto una sostanziale creazione di opportunità di scambio ed un conseguente grande aumento del benessere sociale per i quindici, gli otto paesi candidati e anche per i paesi terzi.
Ovviamente questa politica, come la gran parte delle politiche economiche, beneficerebbe alcuni grandi gruppi sociali (famiglie intese come consumatori e contribuenti) e danneggerebbe gli altri piccoli gruppi sociali (i proprietari terrieri e gli agricoltori dei quindici) nel breve termine; comunque è probabile che i benefici per coloro che guadagnano siano sostanzialmente maggiori del peso per coloro che perdono, permettendo una compensazione politica che porti ad una generale crescita nel benessere sociale.
Specialmente se la compensazione per coloro che perdono sarà lamentata e riferita ad un adeguamento strutturale, è probabile che nel più lungo periodo i benefici per la collettività dei venticinque nel loro insieme saranno molto più grandi.
9.4 Riforma istituzionale.
Per adeguare le istituzioni dei quindici rispetto alle necessità di una Unione europea più grande, con 25 e probabilmente più membri nei prossimi anni, è in corso un vasto processo di riforma istituzionale. Sarà estremamente importante riformare il processo decisionale nel settore delle politiche, anche per riformare finalmente la PAC. Negli scorsi quattro decenni le riforme della PAC sono state numerose, qualche volta molto promettenti in teoria, ma senza abbassare in pratica le profonde distorsioni di prezzo al livello della produzione il che risale dall'inizio degli anni sessanta, quando la PAC fu creata.
In realtà nel 1958 la Comunità economica europea nacque come gruppo di politiche di settore, dopo la mancanza dei vari tentativi di creare una unione politica o una comunità di difesa, e dopo il successo della prima politica di settore, la CECA. Questo sviluppo storico ha implicato un pregiudizio settoriale nelle istituzioni comunitarie, una sorta di peccato originale, dal quale vari gruppi di interesse nell'Unione europea hanno un maggiore ruolo nelle decisioni politiche rispetto agli altri governi nazionali e sovranazionali.
Quasi tutte le decisioni sulla PAC, per esempio, sono prese dal Consiglio dei ministri dell'agricoltura, dove partecipano tutti i ministri dell'agricoltura dei paesi dell'Unione europea. Nei governi nazionali i ministri dell'economia, delle finanze, del tesoro, di solito difendono gli interessi generali dell'intera collettività quando le richieste dei ministeri di settore sono troppo influenzate da particolari interessi. Questo potere che fa da contrappeso nel processo decisionale dell'Unione europea è molto meno efficace. Come conseguenza le decisioni sulla politica agricola sono prese principalmente dei ministri dell'agricoltura, di cui il principale interesse è spesso, comprensibilmente, di promuovere gli interessi delle lobby agricole che li sostengono nei loro paesi.
Il limite al di là del quale la difesa legittima degli interessi settoriali va troppo oltre e genera un maggiore costo per la collettività nel suo insieme rispetto al beneficio per uno specifico gruppo sociale è spesso difficile da percepire. Questo è vero specialmente quando l'informazione e le pressioni delle lobby sono unilaterali, come nel caso della politica agricola, dove le associazioni dei consumatori, dei contribuenti o delle famiglie sono molto meno organizzate ed efficaci nella trattare le tecnicalità coinvolte nella PAC.
Un principio generale, che dovrebbe essere applicato, è una rappresentazione equa in tutti gli organi decisori, secondo gli interessi in gioco. Le decisioni sul sostegno al prezzo agricolo, per esempio, coinvolgono benefici e costi sostenuti dagli agricoltori e dai consumatori. Conseguentemente tale decisione non dovrebbero essere discusse negli organi consultivi e decise dalle istituzioni dove gli interessi degli agricoltori prevalgono irresistibilmente, come ancora accade.
Inoltre, le decisioni sul commercio internazionale dei prodotti agricoli e sull'ambiente rurale, per esempio, dovrebbero essere prese principalmente dai ministri o dai commissari del commercio, come succede per i prodotti non agricoli o per i temi ambientali, e non principalmente dei ministri o commissari dell'agricoltura come è la regola attuale. I dipartimenti settoriali della pubblica amministrazione dovrebbero trattare con gli argomenti tecnici, mentre i temi di politica economica, dove è implicata la redistribuzione del reddito tra i settori, dovrebbero essere presi da istituzioni neutrali rispetto ai singoli settori, dove è più probabile che prevalgano gli interessi della collettività nel suo insieme piuttosto che gli interessi particolari.
L'allargamento dei quindici ai paesi candidati è una opportunità unica per guarire l'Unione dalla malattia politica di far prevalere gli interessi di settore sugli interessi generali, il che, almeno in politica economica, è in particolare modo una malattia europea.
ALLARGAMENTO E AGRICOLTURA
(http://europa.eu.int/comm/agriculture/publi/enlarge/text_en.pdf)
(con traduzione in italiano a cura del Servizio studi della Camera)
L'allargamento dell'Unione europea per includere 10 nuovi stati membri dal 1° maggio del 2004 è una storica pietra miliare nella ricostruzione dell'Europa dopo secoli di divisioni distruttive prodotte dalla guerra e dal conflitto ideologico. L'Europa tutta trarrà vantaggio da una assicurata stabilità politica e di sicurezza, così come dall'espansione del mercato interno europeo da 380 a 454 milioni di persone. Questo mercato più ampio offrirà anche nuove importanti opportunità per lo sviluppo dell'agricoltura europea e della politica agricola comune comunitaria (PAC).
Gli agricoltori nei nuovi Stati membri hanno accesso al mercato unico, al suo prezzo relativamente stabile e alle accresciute opportunità. La PAC fornirà loro sostegno diretto al reddito (in pieno, dopo un iniziale periodo di applicazione graduale) e l'accesso alle misure di sviluppo rurale ed ai finanziamenti. L'Unione europea è una voce forte per sostenere gli interessi di tutti gli agricoltori europei nei negoziati sul commercio agricolo nell'organizzazione mondiale del commercio WTO.
I guadagni non vi saranno da una sola parte, gli agricoltori nei quindici precedenti Stati membri beneficeranno anche, in particolare, dell'espansione del mercato unico, e dell'ampliamento dei prodotti di base dell'Unione europea così come della competenza agricola. I quindici e i nuovi Stati membri non si incontrano come estranei totali. Nell'agricoltura, come in altri settori, un graduale processo di adattamento si è verificato per molti anni attraverso accordi di associazione (permettendo un più libero scambio tra i quindici e i futuri membri), e i finanziamenti di pre-ingresso dell'Unione europea dello sviluppo rurale e dei programmi di ristrutturazione dell'industria agro-alimentare nei paesi entranti. Nonostante il progresso raggiunto nei nuovi Stati membri (e negli altri paesi candidati) una delle sfide chiave è di migliorare la prosperità in agricoltura e nella collettività rurale in maniera più ampia. È una sfida che l'Unione europea ha già iniziato a raccogliere.
I. L'importanza dell'allargamento per l'agricoltura dell'UE
Molti agricoltori nei nuovi Stati membri hanno già sperimentato i benefici dell'appartenenza prima dell'allargamento. Gli schemi mirati di sviluppo rurale sono già stati messi in atto nei paesi dell'Europa centrale e orientale (attraverso il SAPARD[37]), e la progressiva liberalizzazione dello scambio agricolo con l'Unione europea - attraverso concessioni commerciali bilaterali sui prodotti agricoli secondo le intese europee[38] e le intese "doppio zero"[39] e "doppio profitto"[40] - hanno aiutato i loro preparativi per operare e competere nello stesso mercato. Gli operatori commerciali nei quindici e nei nuovi Stati membri hanno guadagnato reciprocamente da condizioni commerciali più aperte.
I 10 paesi PECO hanno aumentato l'esportazione di prodotti agricoli di base all’Unione europea nei due anni seguenti all’applicazione delle intese commerciali "doppio zero" (luglio 2000-luglio 2002) in confronto con il precedente periodo di due anni.
Il mercato unico europeo
L'allargamento del 2004 amplierà il mercato unico da 380 a 454 milioni di persone.
Nei precedenti cinquant'anni l'Unione europea ha agito per abbattere le barriere tra le economie nazionali dell'Unione e per creare un mercato unico dove i beni, le persone, i capitali e i servizi si possano muovere liberamente. Nel creare un mercato unico senza frontiere ed una moneta unica (l’euro), l'Unione europea ha dato una significativa spinta allo scambio interno e all'occupazione. Anche il commercio con il resto del mondo è cresciuto moltissimo e l'Unione europea è ora una delle maggiori potenze commerciali del mondo. Dopo l'allargamento ci possono essere barriere commerciali non protettive tra gli Stati membri (vecchi e nuovi), tranne che le restrizioni essenziali, per prevenire la diffusione di malattie degli animali o delle piante.
Una moneta europea - l'euro
L'euro si è rapidamente imposto come una delle tre maggiori monete mondiali. Ha rimpiazzato le vecchie monete nazionali in 12 paesi dell'Unione europea: Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna (Danimarca, Svezia e il Regno Unito mantengo le loro monete nazionali). La moneta unica per molti operatori rende più facile e più economico agire nel mercato unico, rimuovendo la minaccia di instabilità che colpiva abbastanza frequentemente alcune monete nazionali. Questo darà benefici ai nuovi Stati membri una volta che avranno adottato l’euro.
Cosa significa l'allargamento per tutti gli agricoltori nell'Europa a 25
Numericamente, l'impatto dell'allargamento sull'agricoltura europea è marcato. Altri 4 milioni di agricoltori saranno aggiunti all'attuale popolazione dell'Unione di 7 milioni. I nuovi Stati membri aggiungeranno circa 38 milioni di ettari di area agricola utilizzata ai 130 milioni di ettari degli attuali Stati membri, una crescita del 30 per cento, mentre la produzione nell'Unione europea si amplierà di circa il 10-20 per cento per gran parte dei prodotti. Il valore aggiunto lordo dell'agricoltura crescerà solo del 6 per cento. Questi numeri confermano che i nuovi Stati membri hanno una grande produzione agricola potenziale ma ancora lontana dall'essere utilizzata appieno. Inevitabilmente, la competizione sarà più dura - ma il più vasto mercato di 454 milioni di consumatori liberi dalle restrizione tariffarie, le quote di esportazione e le barriere commerciali creeranno sfide positive ed accresceranno le opportunità così come disporranno una maggiore stabilità ai mercati agricoli in passato volatili. L'integrazione dovrebbe portare a una maggiore prosperità per gli agricoltori dell'Unione europea nel suo insieme nei vecchi e nei nuovi Stati membri. La PAC aiuterà gli agricoltori a sviluppare gradualmente una sostenibile produzione potenziale.
Più agricoltori significa anche più potenziale per l'agricoltura dell'Europa. Inevitabilmente, le vecchie e le meno efficienti aziende agricole possono essere a rischio ma le misure di sviluppo rurale dovrebbero ridurre questo rischio e di una più dura competizione beneficeranno sia gli agricoltori dei quindici come quelli nei nuovi Stati membri. Da una parte, molti agricoltori nei nuovi Stati membri possono provare a puntare ai relativamente alti redditi dei consumatori nei quindici che domandano prodotti di alta qualità, qualche volta di nicchia; dall'altra parte, gli agricoltori dei quindici sanno che la prevista crescita dei redditi nei nuovi Stati membri porterà a mercati più ampi per carne, frutta e ortaggi, prodotti di latte fresco e formaggio.
Tutti gli agricoltori dei venticinque devono comprendere che gli sviluppi nei mercati mondiali diventeranno una crescente fattore decisivo per il prospettive del mercato agricolo.
Per fare esempi specifici, alcuni dei paesi entranti hanno accresciuto la competitività nella produzione di pollame, principalmente a causa degli investimenti diretti stranieri nella produzione e nella lavorazione. Sull'allargamento, è stato anticipato che una parte crescente di produzione di pollame (fino a 600 mila tonnellate) sarà esportato nei paesi dei quindici. Altre opportunità possono emergere nell'area della coltivazione a basso costo di mangimi e altri materiali di base rinnovabili. Meno positivamente, una proporzione di produzione di carne di maiale nei nuovi Stati membri sarà ostacolata nel più vasto mercato da uno svantaggio qualitativo ossia, contenuto di carne magra e più bassa efficienza alimentare. Gli studi suggeriscono che ci può essere un mercato per una quantità aggiuntiva di 300 mila tonnellate di carne di maiale nei nuovi Stati membri.
Guardando al di là del breve termine è probabile che ci sia una rapida convergenza delle economie agricole negli attuali e nei nuovi Stati membri. I nuovi Stati membri non saranno condannati ad essere produttori a basso costo e di alimenti mentre gli altri monopolizzano tutti i mercati a valore aggiunto. Inoltre, l'Unione europea estesa avrà nuovi vicini e partner commerciali come la Russia, e sarà capace di giocare un forte ruolo sui mercati mondiali, comprendendo i mercati dell'estremo oriente che detengono un vasto potenziale. L'Unione europea continua a sforzarsi per assicurare a tutti gli agricoltori europei di avere una buona possibilità ed eguali opportunità di mercato.
Perché gli agricoltori dei nuovi Stati membri stanno meglio nell'UE?
Gli agricoltori nei nuovi Stati membri non solo potranno godere dei (potenzialmente significativi) benefici del libero accesso al mercato unico dell'Unione europea, ma beneficeranno anche delle politiche messe a punto per sviluppare la loro agricoltura in un modo sostenibile e produttivo. Senza l'allargamento, questi benefici non sarebbero stati disponibili.
Questi includono:
· Sostegno finanziario e di altro genere per la ristrutturazione delle aree rurali
· Sostegno adeguato mirato a specifiche necessità e programmi di sviluppo rurale rafforzati per aiutare a migliorare l’efficienza e incoraggiare la diversificazione. Questi sono principalmente co-finanziati con i governi nazionali ma generalmente ad un più alto tasso di contributo dell'Unione europea rispetto ai quindici;
· Lo stesso sostegno fornito agli agricoltori dei quindici dalla PAC (introdotto gradualmente lungo 10 anni).
L'accesso all'Unione europea dovrebbe portare ad una sostanziale modernizzazione e ristrutturazione delle aziende agricole e della trasformazione alimentare nei nuovi Stati membri. Questo risulterà in parte dalle opportunità offerte dal mercato unico ma anche dall'investimento di capitale co-finanziato dai fondi di sviluppo rurale dell'Unione europea.
Gli agricoltori nei nuovi Stati membri staranno chiaramente meglio all'interno dell'Unione europea. Un recente studio della Commissione europea[41] mostra che le prospettive di medio termine per il settore agricolo nel complesso in questi paesi sono positive. Il reddito del settore, misurato dal valore aggiunto lordo nel 2002, dovrebbe aumentare di circa il 35 per cento entro il 2010. Questo forte sviluppo nel credito agricolo nei nuovi Stati membri è in gran parte collegato a migliorate condizioni di mercato dopo l'allargamento, alla graduale introduzione dei pagamenti diretti della PAC e all'effetto delle misure di sviluppo rurale
Al momento, naturalmente, ci sono significative disparità tra la situazione economica degli agricoltori nei quindici e quella dei nuovi Stati membri. Generalmente si è detto che, dopo la seconda guerra mondiale, le aziende agricole nell'Europa centrale e orientale erano collettivizzate (sebbene in Polonia e in Slovenia molte aziende siano rimaste in mani private). Dopo il crollo del comunismo alcuni terreni agricoli sono ritornati ai loro proprietari originari. Molti agricoltori nei nuovi Stati membri hanno bisogno di capitale. Essi richiedono modernizzazione e investimenti per diventare competitivi. Solo una piccola parte di aziende agricole è già competitiva in termini internazionali.
Come funzionerà la PAC nei nuovi Stati membri?
Entrare a far parte dell'Unione europea è molto di più che una maggiore dimensione di mercato e un commercio più libero, sebbene questo sia un aspetto molto importante per la prosperità dell'agricoltura europea. L'Unione europea gestisce la PAC per permettere agli agricoltori di sviluppare la gran parte del loro potenziale agricolo e di sostenere la prosperità nelle aree rurali. L'Unione europea sostiene la sua agricoltura in gran parte con l’aiuto diretto al reddito per gli agricoltori (attraverso misure di stabilizzazione dei prezzi di mercato e con pagamenti diretti) e attraverso una vasta varietà di programmi di sviluppo rurale.
Una significativa ristrutturazione dell'agricoltura si è verificata nei quindici durante i quasi quarant'anni della PAC. Questo processo si è concentrato in maniera crescente sull'assistenza degli agricoltori per guidare le moderne attività con un accento sui metodi di produzione, gli standard alimentari, il benessere animale e le domande ambientali. Nonostante la ristrutturazione e il mercato unico, la struttura aziendale varia significativamente tra le regioni nell'Unione europea. Le piccole e grandi aziende agricole sono coesistite nelle aree naturalmente favorite così come in quelle svantaggiate. L'allargamento non cambia tutto questo.
Gli agricoltori di nuovi Stati membri hanno dovuto far fronte a simili pressioni, sia per adattarsi nelle preferenze dei consumatori che per rispettare le condizioni dell'acquis comunitario, in gran parte facendo conto sulle loro risorse. Sebbene dal 2000 il SAPARD ha reso un contributo significativo per co-finanziare gli investimenti richiesti, dopo l'allargamento, l'accresciuto sostegno dell'Unione europea sarà disponibile attraverso i programmi di sviluppo rurale, nel momento in cui sostenere gli investimenti sulle aziende agricole è una priorità.
L'accordo di adesione concluso nel dicembre del 2002 riflette le necessità degli agricoltori e delle aree rurali nei nuovi Stati membri, è ora adattato alla PAC di oggi e del futuro.
La politica agricola dell'unione europea a colpo d'occhio
Il ruolo dell'Unione europea nell'agricoltura è sempre stato di aiutare:
- nell’assicurare un'offerta stabile di prodotti alimentari accessibili e sicuri per la sua popolazione;
- nel disporre un ragionevole standard di vita per gli agricoltori europei, nel momento in cui consente all'industria agricola di modernizzarsi e svilupparsi;
- nell’assicurare che tutte le regioni dell'Unione europea possano sostenere l'attività agricola;
- nell’avere cura del benessere della società rurale.
Nel momento in cui la PAC si è sviluppata ed è diventata più complicata, i seguenti fattori hanno assunto una importanza maggiore:
- migliorare la qualità dei prodotti alimentari dell’Unione europea;
- garantire la sicurezza aumentare;
- assicurare che l'ambiente sia protetto per le future generazioni;
- disporre delle condizioni per una migliore salute nonché del benessere degli animali;
- fare tutto questo al minimo costo per il bilancio dell'Unione europea (che è finanziato principalmente dai contribuenti, vale a dire i cittadini ordinari).
Applicando la PAC - i nuovi Stati membri
Gli obiettivi generali della PAC si applicano ai nuovi Stati membri allo stesso modo che ai quindici. Nonostante il progresso verso l'allineamento con i quindici verificatosi negli anni recenti, alcuni meccanismi della PAC non si applicheranno immediatamente. Questo in parte perché i nuovi Stati membri e gli agricoltori hanno bisogno di tempo per instaurare e adattare le necessarie procedure amministrative, e in parte per il fatto che le continue disparità nei prezzi agricoli, nelle strutture e nelle industrie alimentari comporta che l'immediata applicazione della PAC nel suo complesso potrebbe ancora provocare improvvisi cambiamenti.
È importante sottolineare che, in generale, i nuovi Stati membri applicheranno di elementi agricoli dell'acquis comunitario (organo della legislazione europea) dal 1° maggio 2004.
Non c'è un periodo generale di transizione per l'agricoltura, sebbene ci siano alcune aree politiche dove vi sarà la piena applicazione con il passare del tempo, più in particolare, iper pagamenti diretti agli agricoltori che si applicheranno gradualmente nel corso di dieci anni (cominciando al 25 per cento del livello dell’Unione europea nel 2004). Nel momento in cui questi pagamenti stanno per essere armonizzati con i livelli dei quindici, gli agricoltori e le aree rurali nei nuovi Stati membri beneficeranno di altri elementi della PAC, come le misure di sostegno al mercato (sostegno dei prezzi di mercato in periodi di crisi) e la politica di sviluppo rurale recentemente rafforzata (fornendo assistenza, per esempio, a coloro che vorrebbero operare in modo adeguato sul piano ambientale).
I pagamenti diretti forniscono un meccanismo di sostegno per i redditi degli agricoltori e delle famiglie rurali. Nel breve termine, mentre un più basso livello di pagamento diretto influirebbe sui relativi livelli di reddito nei nuovi Stati membri, esso non riguarda il prezzo o la qualità della produzione o la capacità di vendita. Comunque, nel più lungo termine, inibisce la capacità di investire – questo è il motivo per cui la Commissione ha proposto strumenti mirati per incoraggiare l’investimento e la ristrutturazione nel quadro di programmi di sviluppo rurale rafforzati, attraverso:
- Aiuti all'investimento e alla ristrutturazione;
- Sostegno temporaneo al reddito per la semi-sussistenza delle aziende che hanno intrapreso la ristrutturazione per assicurare un elemento di liquidità finanziarie e per mantenere uno standard di vita accettabile.
Sostegno al reddito più altre misure si aggiungono a un pacchetto efficace
Gli apparenti svantaggi di avere più bassi livelli di aiuto diretto dovrebbe valutarsi in un contesto:
· Con la possibilità di reintegrazione (vedi la sezione II) l’effettivo tasso di pagamento di aiuto diretto nei primi tre anni dell’appartenenza all'Unione europea potrebbe essere rispettivamente del 55, 60 e 65 per cento dei livelli dei quindici (se i nuovi Stati membri decidono di utilizzare pienamente l'opzione della reintegrazione);
· Gli agricoltori dei nuovi paesi vedranno crescenti livelli di sostegno al reddito, prezzi stabili e sostegno ai loro processi di ristrutturazione. In particolare, nello sviluppo rurale le misure sono adattate per le necessità dei nuovi Stati membri;
· Gli agricoltori dei nuovi Stati membri avranno pieno ed immediato accesso alle misure di mercato della PAC che contribuirà a stabilizzare i loro redditi;
· Gli agricoltori dei nuovi Stati membri non devono rispettare tutti gli obblighi richiesti dalle loro controparti dei quindici. Per esempio, non dovranno osservare immediatamente le stesse regole ambientali, di benessere animale e altre ancora come gli agricoltori dei quindici per avere i requisiti per i pagamenti diretti (il principio conosciuto come cross- compliance);
Nessun compromesso sulla sicurezza alimentare
È importante sottolineare che gli obblighi dell'appartenenza all'Unione europea si applicheranno immediatamente a meno che siano state adottate misure temporanee. Il principale esempio di questo è la difesa degli standard di sicurezza alimentare. Questo è un argomento così importante per i consumatori dell'Unione europea e per le esportazioni dell'Unione europea che gli standard non possono essere abbassati. La sicurezza alimentare è un fondamentale pre-requisito per vincere i mercati sia all'interno che all'estero e per puntellare il successo della produzione agricola dell'unione europea.
Adattamenti alla PAC
Le condizioni della PAC per i nuovi Stati membri sono state adottate nel marzo del 2004 per tenere conto delle riforme che sono state decise dopo la conclusione dei negoziati per l'accesso, ma prima dell'accesso stesso. Questo non significa nessuna erosione dei termini di accesso per i nuovi Stati membri. Infatti, gli adattamenti dovrebbero facilitare la loro integrazione. Ci sono significativi punti a favore per loro, come i tetti negoziati sotto il nuovo schema di pagamento unico, la non applicazione della disciplina finanziaria e della modulazione (due nuovi concetti portati della riforma della PAC del 2003[42]) fino a che i pagamenti diretti giungano i livelli dell'Unione europea, una considerevole semplificazione amministrativa e una esenzione temporanea dalla cross-compliance – eco-condizionalità - per quei nuovi Stati membri che applicano il sistema di pagamento per area unica.
Una strategia di sviluppo rurale fatta su misura
La PAC da più grande rilievo rispetto al passato alle misure di sviluppo rurale. La riforma della PAC del 2003 rafforza tutto questo. Gli accordi per l'accesso per i nuovi Stati membri riflettono anche questo. La situazione di arretratezza dell’agricoltura e delle aree rurali nei nuovi Stati membri comporta utilizzare le risorse dell’Unione europea per dedicarsi ai problemi strutturali e di lungo termine allo stesso modo degli aiuti diretti e dei sistemi di sostegno legati al mercato.
Quindi, c'è una strategia di sviluppo rurale valorizzata per i nuovi Stati membri che è specificatamente adattata alle loro richieste e che ha le condizioni più favorevoli di quelle applicate ai quindici. L'ammontare disponibile di fondi dell'Unione europea per lo sviluppo rurale dalla FEOGA Fondo di garanzia per i nuovi Stati membri è stato stabilito in 5,76 miliardi di euro (a prezzi correnti) per il 2004-2006. In aggiunta, circa 2 miliardi di risorse dei fondi strutturali (fondo di orientamento FEOGA) sono dedicati alle misure di sviluppo rurale. Un ampia gamma di misure di sviluppo rurale sarà co-finanziata a un tasso massimo dell'80 per cento dall'Unione europea (85 per cento per le misure agroambientali e di benessere animale). Tutte le misure da prendere contribuiscono a rafforzare le economie rurali, proteggendo l’ambiente rurale e ammortizzando gli effetti sociali sfavorevoli del processo di ristrutturazione rendendo le aree rurali uno posto più attraente dove vivere e lavorare.
(una più dettagliata spiegazione delle applicazioni della PAC nei nuovi Stati membri può essere trovata nella sezione II)
Il bilancio per l'allargamento per l'agricoltura
Per finanziare tutti i costi relativi all'allargamento, il bilancio generale dell'Unione europea, nel 2006, aumenterà di circa 16 miliardi a 106,5 miliardi di euro. Fondi consistenti sono impegnanti nell'agricoltura e nelle aree rurali nei nuovi Stati membri. Il bilancio assegna il 30 per cento delle spese (impegni) nei nuovi Stati membri all'agricoltura. All'interno di quello pacchetto, il 40 per cento è per lo sviluppo rurale (gli aiuti diretti non sono, contrariamente alla percezione, il più grande capitolo di spese nei primi anni dopo l'allargamento a causa dell’applicazione graduale nei nuovi Stati membri dei pagamenti diretti per 10 anni).
Ancora la riforma della PAC è in corso, con i nuovi Stati membri pienamente coinvolti nel processo. Diversi settori devono essere riformati a cominciare da quelli del cotone, del luppolo, dell’olio di oliva e del tabacco, seguiti dalla frutta, dagli ortaggi e dai settori dello zucchero.
Conclusione: verso una campagna più prospera in Europa
L'Unione europea sarà un più forte competitore agricolo dopo l'allargamento. La riforma della politica agricola ha cominciato a rinvigorire il settore nei quindici. L’allargamento porta un significativo nuovo gruppo di agricoltori ad entrare nell’Unione europea. Questi affronteranno le sfide del futuro insieme alla loro controparte dei quindici dell'Unione europea. Faranno tutto questo alla pari, ma dopo un graduale processo di allineamento con i quindici. Dal momento che questo comporta la progressiva introduzione degli aiuti diretti, questi saranno bilanciati dalla programmazione di uno sviluppo rurale rafforzato e dai programmi dei fondi strutturali.
Le prospettive di reddito per i nuovi stati membri sono buone. Tuttavia, avranno bisogno di rispondere alle nuove sfide della loro competitività – sia sul prezzo che sulla qualità. Avranno la necessità di investire - con l'aiuto dell’Unione europea - per raggiungere nuovi standard ed espandere le loro quote di mercato.
L'assistenza comunitaria aiuterà la trasformazione ma le iniziative e le risorse proprie degli agricoltori saranno decisive per il futuro.
II. Come funzionerà la PAC nei nuovi stati membri
Introduzione
Questa sezione descrive con maggiori dettagli come funzionerà la PAC nei nuovi Stati membri.
Il principio adottato dall'Unione europea per tutti gli allagamenti è che la legge comunitaria deve essere applicata dai nuovi Stati membri dal primo giorno dell'accesso. Prima dei negoziati la Commissione europea spiega la legge comunitaria ai paesi candidati (un processo conosciuto come screening). L'obiettivo è di assicurare che i paesi candidati siano consci degli obblighi che comporta l'appartenenza all'Unione europea. Primo tra questi vi è la piena accettazione di tutti i diritti e gli obblighi del sistema comunitario e la sua struttura istituzionale, conosciuto come "acquis communautaire", e l'applicazione dell’acquis dal momento dell'accesso includendo le regole relative alla PAC.
Comunque, nel caso dell'allargamento che si verificherà dal 2004, alcuni speciali accordi sono stati negoziati e conclusi tra i quindici e i nuovi Stati membri per seguire la transizione al pieno acquis, includendo la PAC. Questi sono limitati nel tempo e nell'obiettivo, non tali da portare alla distorsione della competizione e sono accompagnati da un piano per il raggiungimento del pieno acquis.
A cosa somiglia la PAC
Il processo di riforma - dove è ora la PAC.
La PAC si è sviluppata significativamente dagli anni sessanta. Diverse significative riforme sono state intraprese, in particolare nel 1992, 1999 e 2003. Il 26 giugno 2003, i ministri dell'agricoltura dell'Unione europea hanno adottato una fondamentale riforma della PAC che cambierà il modo in cui l'Unione europea sostiene il suo settore agricolo. La nuova PAC sarà orientata verso i consumatori e i contribuenti, dando agli agricoltori europei la libertà di produrre quello che il mercato vuole. Nel futuro, la grandissima parte del sostegno sarà pagata indipendentemente dal volume della produzione, nella maggior parte dei casi, in un solo pagamento – il pagamento unico per azienda. Dove c'è una minaccia di abbandono della produzione, gli Stati membri possono scegliere di mantenere un limitato legame tra l'aiuto e la produzione sotto ben definite condizioni e all'interno di limiti chiari. I nuovi pagamenti unici per azienda saranno legati al rispetto degli standard ambientali, di sicurezza alimentare e di benessere animale.
Separare il legame tra l’aiuto e la produzione è finalizzato a rendere gli agricoltori dell'Unione europea più competitivi e orientati al mercato, mentre fornisce la necessaria stabilità di reddito. Più soldi saranno disponibili per gli agricoltori per i programmi ambientali, di qualità o di benessere animale riducendo i pagamenti diretti per le aziende agricole più grandi. L'Unione europea ha anche deciso di rivedere le misure di sostegno nei settori del latte, del riso, dei cereali, del frumento duro, del foraggio essiccato e della frutta a guscio. Per rispettare lo stretto limite di bilancio per i venticinque fino al 2013[43], i ministri hanno deciso di introdurre un meccanismo di disciplina finanziaria. I differenti elementi della riforma entreranno in vigore nel 2004 e nel 2005. Il pagamento unico per azienda entrerà in vigore nel 2005. Se uno Stato membro ha bisogno di un periodo transitorio a causa delle sue specifiche condizioni agricole, può applicare il pagamento unico per azienda al più tardi dal 2007.
Altri elementi chiave per la nuova PAC riformatasono:
- Una rafforzata politica di sviluppo rurale con più fondi comunitari, nuove misure per promuovere l'ambiente, la qualità e il benessere animale e per aiutare gli agricoltori a rispettare gli standards produttivi comunitari di sicurezza ambientale, benessere animale e occupazionale a cominciare dal 2005;
- Un meccanismo per la disciplina finanziaria per assicurare che il bilancio agricolo fissato fino al 2013 non sia superato;
- Un numero di revisioni della politica di mercato della PAC.
I testi legali sono stati formalmente adottati dal Consiglio dell'agricoltura del settembre del 2003.
Pagamenti diretti agli agricoltori
Nella PAC preriformata, gli agricoltori avevano diritto a ricevere un numero di pagamenti per sostenere i loro redditi, pagati a loro direttamente sulla base all’adempimento di obblighi stabiliti. Questi standard di pagamenti diretti rimangono in vigore fino a che è applicato il pagamento unico per azienda. Successivamente, solo una parte degli standard di sostegno diretto può essere mantenuta (sotto certi criteri), oppure possono farne a meno completamente (a scelta dello Stato membro) solo nel caso in cui sia disponibile il pagamento unico per azienda.
In base allo standard di pagamento diretto, gli agricoltori ricevono i pagamenti rispetto a certe coltivazioni o agli animali, per esempio: coltivazioni come cereali, olio di semi, piselli, fagioli, lupini, lino (anche se non il lino per le fibre), fecola di patate, carne bovina e vitelli, pecore e capre. Anche negli anni a venire si applicheranno i pagamenti diretti nel latte. Le somme dei pagamenti sono normalmente basate su alcuni riferimenti storici (raccolti, numero di animali eccetera) e le condizioni delle aziende possono essere allegate. Con minori eccezioni l’ammontare dei fondi pagabile sottoogni schema di pagamento è limitato da un tetto finanziario.
Periodo transitorio per i nuovi Stati membri
Gli agricoltori nei venticinque possono ricevere le attuali varie forme di sostegno della PAC, includendo i pagamenti diretti. Nei nuovi Stati membri altre intese speciali si applicano come descritto più avanti.
Applicazione graduale dei pagamenti diretti per 10 anni
Gli agricoltori nei nuovi Stati membri sono abilitati a ricevere i pagamenti diretti dal loro primo anno come membri dell’Unione europea. Comunque, questi non saranno pagati al tasso pieno che si applica nei quindici fino alla fine del periodo di adattamento di 10 anni. Dal 2013 i tassi di pagamento diretto degli agricoltori nei nuovi Stati membri sarà allineato con quelli esistenti nell’Unione europea. Non è possibile dire all’inizio quale effettivo ammontare di pagamento vi sarà in un dato anno (mentre potrebbe cambiare per una serie di ragioni). Comunque, le percentuali del livello dei quindici che si applicano nei nuovi Stati membri in ogni anno sono mostrate nella grafico in basso.
Le opzioni della reintegrazione
Per colmare le differenze nei livelli di pagamento diretto tra i quindici e i nuovi Stati membri durante il periodo di applicazione graduale, l’ultimo membro può (in accordo con la Commissione) reintegrare i pagamenti diretti dell’Unione europea, utilizzando i pagamenti diretti nazionali complementari, attraverso una delle due opzioni:
- Opzione 1: al massimo del 30 per cento, disponendo la somma combinata non eccedente il livello in vigore nell'Unione europea;
- Opzione 2: fino al livello che si applicava prima dell'accesso in un certo paese, più il 10 per cento, ancora disponendo che la somma combinata non ecceda il livello in vigore nell'Unione europea
Dal 2004 fino al 2006 l'Unione europea può contribuire (parzialmente) alla reintegrazione dei pagamenti mentre i nuovi Stati membri per questo proposito possono utilizzare parte dei loro fondi di sviluppo rurale (fino al 20 per cento), che sono co-finanziati dall'Unione europea.
Altre opzioni disponibili per i nuovi Stati membri nella fase iniziale
Le intese speciali praticabili per i nuovi Stati membri vanno al di là di una diretta transizione al sistema europeo. Nei primi anni dopo l'accesso i nuovi membri possono scegliere di utilizzare un tipo differente di schema di aiuto diretto per i loro agricoltori – che non è disponibile nei quindici. Questo differente schema di aiuto è un concetto più semplice rispetto agli schemi in funzione nell'Unione europea, o del pagamento unico per azienda del futuro. La logica per l’offerta di questo schema speciale è che:
- i nuovi Stati membri hanno una limitata esperienza del complesso dei sistemi di sostegno agli agricoltori;
- dato il breve tempo fra la conclusione dei negoziati di accesso e l'accesso stesso era difficile per le amministrazioni nazionali mettere a punto i necessari sistemi di controllo per gli schemi standard comunitari;
- Il pagamento unico per azienda pone un problema per i nuovi Stati membri dal momento che non è possibile calcolare i requisiti per il pagamento per i loro agricoltori sulla base dello stesso periodo storico di riferimento impiegato nei quindici (2000-2002).
Schema di pagamento per singola area (SAPS)
Per le regioni sopra menzionate l'Unione europea ha offerto ai nuovi Stati membri la possibilità di gestire un sistema semplificato di pagamenti diretti – lo Schema di pagamento per area unica (SAPS).
La SAPS coinvolge il pagamento di un ammontare uniforme per ettaro di terreno agricolo. Il livello del pagamento per ettaro sarà calcolato dividendo il pacchetto finanziario nazionale per l'area agricola utilizzata.
Come nel caso del pagamento unico per azienda, gli agricoltori nei nuovi Stati membri che applicano il sistema SAPS non hanno l’obbligo di produrre, ma devono mantenere il terreno in buone condizioni agricole e ambientali. Il SAPS è più semplice da amministrare rispetto al pagamento unico per azienda o dei pagamenti diretti standard visto che sono richieste meno informazioni dagli agricoltori (nessuna informazione è necessaria sull'utilizzo del terreno, numero degli annali e così via). La regole della nuova riforma della PAC sulla cross-compliance – eco-condizionalità - sono opzionali sotto la SAPS.
La SAPS è un'opzione per tre anni (che possono essere estesi per due anni). A quel punto i nuovi Stati membri possono scegliere per lo schema in vigore al momento nell’Unione europea.
Sistema PAC dove non si applica il SAPS
Otto dei 10 nuovi Stati membri hanno scelto di applicare la SAPS. Malta e Slovenia hanno optato per la PAC come applicata nei quindici. Sia nel caso dei paesi SAPS che dei paesi non-SAPS gli aiuti diretti sono pagati ai tassi di applicazione graduale descritti.
Accordi transitori speciali
Un numero di nuovi Stati membri ha negoziato intese speciali per assistere i settori sensibili al fine di adattarli gradualmente all’acquis comunitario, per esempio, criteri di qualità lievemente differente per gli aiuti ai cereali; quota speciale di importazione per lo zucchero, speciali diritti di piantagione del vino, periodo ulteriore per rispettare le condizioni dell’Unione europea di densità per il bestiame, mantenimento temporaneo delle leggi nazionali sull'acquisizione del terreno. La Slovenia e la Polonia hanno ottenuto un periodo di transizione di un anno per la distribuzione delle quote individuali di latte.
Limitazione di produzione
Come nel caso dei quindici gli agricoltori nei nuovi Stati membri sono soggetti ad alcune limitazioni di produzione, nella forma di:
- Quote di produzione: |
per latte, zucchero, isoglucosio, fecola di patate, tabacco; |
- Aree di base e riferimento ai raccolti: |
per alcune coltivazioni; |
per alcuni altri prodotti; |
|
- Aree massime garantite: |
per alcuni altri prodotti; |
- Limiti ai premi: |
nel settore zootecnico. |
I limiti da applicare per ogni nuovo Stato membro erano stabiliti come parte dei negoziati di accesso secondo i principi comuni e basati sui recenti periodi di riferimento, tenendo conto delle circostanze di una produzione speciale.
Come l'Unione europea sta aiutando i nuovi stati membri a far fronte alle sfide dell'Unione europea.
L'Unione europea ha dato un’assistenza notevole ai nuovi Stati membri per i primi giorni della loro candidatura all’appartenenza dell'Unione europea. È stata istituita una direzione generale della Commissione europea interamente nuova, con un commissario per l'allargamento ed è stata predisposta una strategia di pre-adesione. Il programma PHARE, iniziato nel 1989, è stato affiancato dai programmi SAPARD e ISPA nel 2000. Dalla fine del 2003 quasi 13 mila progetti SAPARD sono stati conclusi con i beneficiari finali, impegnando il 56 per cento (1,2 miliardi di euro) del contributo comunitario SAPARD distribuito ai paesi per il periodo 2000-2003.
I rapporti sui progressi dei preparativi dei paesi entranti in vista dell'appartenenza all'Unione europea erano predisposti annualmente, fornendo una fondamentale valutazione sulla loro capacità di applicare l'acquis comunitario. Questi rapporti erano accompagnati da contemporanee ispezioni degli sviluppi svolte da esperti funzionari comunitari e nazionali. Sotto il programma “twinning”, in funzione dal 1998, i funzionari dei quindici hanno lavorato per quasi due anni nei paesi candidati per dare consulenza e aiutare nella formazione dei loro funzionari. Sono stati 475 i progetti “twinning” nel periodo 1998-2001.
Assistenza allo sviluppo rurale
L'Unione europea ha concentrato la sua assistenza finanziaria per il settore agricolo, la pre-accesso, sulle misure di sviluppo rurale perché questo permette ai nuovi Stati membri di modernizzazione e ristrutturare le aziende, gli impianti di trasformazione alimentare e l’economia rurale e per migliorare lo standard di vita dei contadini. Nei paesi dell'Europa centrale e orientale, prima dell'accesso, questa assistenza arriva dai programmi SAPARD co-finanziati dall'Unione europea e dei paesi nuovi entranti. Questa assistenza continuerà dopo l’accesso attraverso speciali programmi di sviluppo rurale concordati tra i nuovi Stati membri e l'Unione europea, e con le risorse di bilancio per co-finanziarli stabilite bene in anticipo.
In aggiunta alle esistenti misure nei programmi di sviluppo rurale dei quindici (investimenti nelle aziende e nella trasformazione alimentare; messa a punto di un aiuto per i giovani agricoltori; adattamento e sviluppo delle aree rurali; sostegno per le LFA - less favoured areas: aree svantaggiate - ; programmi agro-ambientali; imboschimento), sono disponibili nuove misure nei nuovi Stati membri, ad esempio per:
- il sostegno al reddito per la semi-sussistenza degli agricoltori che intraprendono la ristrutturazione;
- la costituzione di gruppi di produttori;
- il sostegno per rispettare gli standard comunitari (come per i membri attuali); tuttavia, c'è una deroga aggiuntiva per i nuovi Stati membri per finanziare gli investimenti;
- la reintegrazione dei pagamenti diretti;
- Leader+ attività tipo, in particolare capacità di costruire a livello locale;
- la disposizione di una estensione di servizi di consulenza.
Fondi comunitari per lo sviluppo rurale nei nuovi Stati membri
FEOGA Garanzia |
FEOGA orientamento |
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Attraverso i nuovi Stati membri
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Fuori dall'Obiettivo 1 |
Solo obiettivo 1 |
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I. Misure di accompagnamento ¨ Prepensionamento ¨ Aree svantaggiate ¨ Agro-ambiente ¨ Imboschimento II. Riforma PAC ¨ Standard di rispetto (rispetto con gli standard comunitari ¨ Qualità alimentare III. Misure specifiche per i nuovi 10 membri ¨ Completamento dei pagamenti diretti ¨ Costituzione di gruppi di produttori ¨ Assistenza tecnica ¨ Semi-sussitenza alle aziende che intraprendono ristrutturazione |
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¨ Investimento nei possedimenti agricoli ¨ Giovani agricoltori ¨ Formazione ¨ Altra silvicoltura ¨ Trasformazione e commercializzazione ¨ Adattamento e sviluppo di aree rurali (art. 33) per i nuovi membri che include: estensione dei servizi di consulenza Fuori/dentro l'obiettivo 1 LEADER+ misure tipo |
|||
Misura speciale per aiutare a rendere disponibile per gli agricoltori la semi-sussistenza.
Esistono molte aziende agricole di semi-sussistenza nei nuovi Stati membri, che producono per l'autoconsumo e mettono sul mercato parte della loro produzione. Per aiutarle a cambiare verso unità commercialmente praticabili e per contribuire a dare un sostegno aggiuntivo al reddito nel momento in cui l'azienda si sta riqualificando, è concesso fino a cinque anni un pagamento specifico annuale di un massimo di 1000 euro per la semi-sussistenza agricola (1250 euro in Polonia).
Agenzie di pagamento
Controllare i pagamenti fatti agli agricoltori è importante, dal momento che si tratta del trasferimento dei soldi dei contribuenti. A causa della complessità della PAC, specialmente per gli schemi di pagamento diretto e le misure di sviluppo rurale, gli agricoltori devono fornire una grande quantità di informazione dettagliata. Gli Stati membri devono gestire l'informazione utilizzando i controlli incrociati informatizzati, controlli sul posto e telerilevamento. Le agenzie di pagamento e il sistema di controllo di amministrazione integrata (IACS), che sono necessari per far funzionare la PAC devono essere messi in atto dagli Stati membri.
I processi decisionali
E’ importante sottolineare che tutti gli Stati membri sono coinvolti nel processo di formazione e di applicazione delle decisioni. I nuovi Stati membri hanno uguali diritti di partecipare nel processo. Le politiche comunitarie e le regole non sono imposte da una terza parte. Gli Stati membri e il settore agricolo sono coinvolti a diversi livelli, ad esempio:
- Consiglio dei ministri (ministri nazionali);
- Parlamento europeo, Comitato economico e sociale, Comitato delle regioni;
- Gruppi di lavoro del Consiglio (funzionari nazionali);
- Comitati di regolamentazione (funzionari nazionali);
- Comitati di direzione (funzionari nazionali) - che si incontrano ogni settimana, ogni 15 giorni e mensilmente;
- Comitati di consultazione (esperti del settore agricolo e della società civile).
Maggiori informazioni sul processo di formazione della decisione possono essere trovate in varie pubblicazioni comunitarie nei seguenti siti Web.
http://europa.eu.int/abc/12lessons/index5_en.htm
Indirizzi internet utili
Commissione europea - Direzione generale per l'Agricoltura
http://europa.eu.int/comm/dgs/agriculture/index_en.htm
Agricoltura – riforma PAC:
http://europa.eu.int/comm/agriculture/capreform/index_en.htm
Agricoltura – Agricoltura nell'Europa dei 25
http://europa.eu.int/comm/agriculture/eu25/index_en.htm
Agricoltura – Allargamento:
http://europa.eu.int/comm/agriculture/external/enlarge/index_en.htm
Agricoltura – Pubblicazioni:
http://europa.eu.int/comm/agriculture/publi/index_en.htm
Agricoltura - Sviluppo rurale:
http://europa.eu.int/comm/agriculture/rur/index_en.htm
Allargamento:
http://europa.eu.int/comm/enlargement/index.htm
Eurostat:
http://europa.eu.int/comm/eurostat
OCSE
L'agricoltura e lo sviluppo rurale nei paesi baltici
Seminario di Tallinn, Estonia, 10 - 12 giugno 2003
http://www.oecd.org/document/10/0,2340,en_2649_34487_3228746_119808_1_1_1,00.html
(con traduzione in italiano a cura del Servizio studi della Camera)
Gli sconvolgimenti economici e sociali causati dai cambiamenti portati dalla tecnologia all'industria agroalimentare e dall'esodo dalla campagna della forza lavoro hanno creato enormi sfide per i responsabili della politica europea alla ricerca dello sviluppo di un ambiente rurale dinamico. Disporre delle opportunità alternative di impiego nelle aree rurali richiede il bilanciamento attento di una gamma di politiche macroeconomiche, sociali, regionali e settoriali. Tutti questi temi sono stati dibattuti in un seminario sull'agricoltura e lo sviluppo rurale nei paesi baltici organizzato dall'OCSE e dal ministero dell'agricoltura dell'Estonia tenutosi a Tallinn dal 10 al 12 giugno del 2003.
Aperto da Tiit Tammsaar, ministro dell'agricoltura dell'Estonia e da Ken Ash, vicedirettore dell'OCSE per il settore alimentare, l'agricoltura e la pesca, il "Seminario sull'agricoltura e i redditi rurali, la mobilità della forza lavoro, le politiche di sviluppo rurale in Estonia, Lettonia e Lituania", ha visto la partecipazione di rappresentanti di governi, industrie e di una serie esperti di politica internazionale.
Le principali conclusioni di questo seminario di tre giorni sono state le seguenti:
· Il reddito agricolo e la situazione dell'occupazione nei tre paesi baltici sono differenti degli altri paesi dell'Unione europea e dell'OCSE e richiedono soluzioni politiche apposite.
· I problemi dell'agricoltura e della disoccupazione rurale, i redditi e la mobilità sono complessi e le cause necessitano di essere meglio comprese. I governi hanno bisogno di dedicarsi alle cause dei problemi e non ai sintomi.
· L'agricoltura e le politiche sociali non sono la migliore soluzione. Lo sviluppo rurale sta nello sviluppo umano e sulle risorse naturali.
· Uno sviluppo rurale di successo coinvolge l'adozione di un vasto approccio - integrando le attività rurali in una più vasta economia; legando l'uomo e i mercati dei capitali; tenendo conto delle infrastrutture rurali e gli speciali effetti come le differenze strutturali e di dimensione tra le regioni.
· L'intervento dei governi deve rivolgersi ai problemi facilitando l'adattamento e non cercando di frenare il processo.
· L'entrata nell'Unione europea fornirà nuove opportunità, ma non risolverà tutti i problemi delle aree rurali. I governi nazionali devono prendere le iniziative per mettere a punto le loro strategie flessibili, approfittando dell'assistenza disponibile dell'Unione europea, della FAO e così via.
· È essenziale continuare ad estendere il dialogo politico, ad esempio, con i proprietari terrieri locali, gli altri paesi e il settore privato.
I partecipanti al seminario hanno esaminato le tendenze nel reddito agricolo e il crescente contributo di reddito dalle attività non agricole. Hanno notato che calcolare i redditi delle aziende familiari sta diventando sempre più difficile dal momento che le aziende sono diventate più eterogenee, mentre i dati comparabili rimangono scarsi e le differenze nella composizione delle famiglie significative. Queste difficoltà rendono il confronto incrociato tra i paesi problematico.
Nella regione baltica, i redditi delle aziende familiari sono diminuiti decisamente durante il periodo di transizione. Comunque, negli anni recenti la media dei redditi delle aziende familiari è cresciuta in Estonia e in Lettonia mentre molte aziende sono diventate più grandi, aumentando così la produzione e la produttività del lavoro. Anche le fonti di reddito stanno diventando più diversificate con l'impiego all'esterno dell'azienda agricola e i trasferimenti sociali che rappresentano una più grande quota del reddito totale. In Lituania la povertà rurale è un problema serio. Questo a causa dell'alta dipendenza dall’agricoltura, di un più lento processo di trasformazione, della natura della resa della terreno e del fatto che ci sono minori opportunità negli altri settori.
Il continuo deflusso della forza lavoro dall'agricoltura sta causando un'alta disoccupazione rurale. Con una crescita economica più forte e gli investimenti nelle regioni baltiche, è probabile che le opportunità di impiego cresceranno in primo luogo nelle aree urbane con positive ripercussioni sulle aree rurali. Tuttavia, diversi fattori possono continuare a frenare la mobilità del lavoro nella regione.
A causa del loro generalmente basso livello di istruzione, molti di coloro che lasciano l'agricoltura hanno limitate opportunità di impiego nel mercato del lavoro generale. In tutti e tre i paesi i tassi di disoccupazione rurale sono al di sopra del 50 per cento in certe arie. Di particolare riguardo, è la rapida crescita nella disoccupazione tra i giovani. Comunque, c'è un crescente interesse nello sviluppo di un più coerente approccio politico per comprendere l'agricoltura, lo sviluppo rurale, l'istruzione e la formazione professionale al fine di integrare più pienamente la disoccupazione rurale (disoccupati inesperti, giovani e a lungo termine) nel mercato del lavoro.
Una serie di misure di breve termine sta per essere applicata nei paesi baltici per superare gli effetti sociali dell'alta disoccupazione e della povertà. Nel più lungo termine, la soluzione di questi problemi dipende dalla risoluzione delle cause sottostanti come la mancanza di infrastrutture, l'assenza di istituzioni di mercato, la necessità dell'accesso all'informazione e l'interesse per la distribuzione dei redditi nelle aree rurali. Una combinazione di una dinamica iniziativa locale e un approccio dal centro sono elementi importanti nel mettere a punto le strategie rurali che riducano le disparità di redditi e di benessere tra le aree rurali e la città e all'interno delle aree rurali.
Le misure di sviluppo rurale tradizionali nell'Unione europea hanno teso a focalizzare l'agricoltura e a concentrarsi sulla redistribuzione del reddito e il sostegno al progetto. Comunque, la situazione è differente nei paesi baltici dove lo standard di vita è più basso e la varietà delle attività nelle aree rurali è meno differente. Inoltre, ci sono anche più ampie differenze tra Estonia, Lettonia e Lituania, come riportato nella serie di politiche rurali nazionali e regionaliapplicate. Il dibattito del seminario si è concentrato sul successo del programma comunitario LEADER nell'aumentare il reddito delle famiglie nelle regioni più povere dei paesi membri. La maggior parte dei fondi di queste iniziative è per le attività non agricole nelle aree rurali. È stato anche riconosciuto che mentre il programma LEADER può dimostrare di essere un importante stimolo, non dovrebbe essere visto come una soluzione tampone per tutti i problemi locali nei paesi in transizione, ma, piuttosto come un investimento di lungo termine nella costruzione della capacità per lo sviluppo.
Dati estratti dal sito del Ministero dell’Agricoltura della Repubblica di Estonia
Agriculture and Rural Development. Overview 2002-2003
1.1. General situation in agriculture
4. Agricultural Market and Trade
4.2. Export and import of agricultural products
4.3. Purchasing preferences of consumers on domestic market
4.4. Activities in World Trade Organisation
1. Agriculture
1.1. General situation in agriculture
The value added in agriculture and hunting in 2002 (based on the fixed prices of three quarters of 2000) totalled EEK 1.7713bn, which is less than in the same period of 2001 by EEK 99.7m or 5.3%. Agricultural employment decreased by 8%.
Table 1. Relative share of agriculture in GDP and employment in 1997–2001
|
1997 |
1998 |
1999 |
2000 |
2001 |
Value added by agriculture and hunting in current prices, EEK billions |
2.7795 |
2.8100 |
2.5842 |
2.6828 |
2.8679 |
Percentage of GDP |
4.9 |
4.3 |
3.7 |
3.4 |
3.3 |
Value added by agriculture and hunting in fixed prices of 2000, EEK billions |
3.0289 |
2.9097 |
2.6808 |
2.6828 |
2.4326 |
Percentage of GDP |
4.4 |
4.0 |
3.7 |
3.4 |
3.0 |
Persons employed in agriculture and hunting, ‘000 |
44.8 |
43.5 |
38.2 |
31.5 |
29.0 |
Employment rate, % |
6.9 |
6.9 |
6.2 |
5.2 |
5.0 |
Source: Statistical Office
Agricultural income decreased mainly on account of the world market situation. The drought significantly reduced the yields of summer crops and grass plants.
According to the
observations of the agrometeorologists in Jõgeva, two drought periods affected
a majority of
The total
precipitation of April and May was only 20 mm, which is 10–30% of the average
level of many years. Precipitation remained below the usual in June and July
and the air temperature was higher than usual. August was very dry and
temperatures were unusually high for
Midsummer heat
continued at the beginning of September, but the first night frosts occurred
from 12 September (about ten days earlier than usual). Rains arrived in the
middle of the month, but precipitation was insufficient: about 30–50% of the
usual. The vegetation period ended in the first days of October in most parts
of
Precipitation in 2002, compared to the average of 1951–1985
Figure 1
Source:
According to preliminary results, the growing area of the main crops was 641,500 ha in 2002.Cereals were grown on 267,200 ha, legumes on 2500 ha, potatoes on 17,500 ha, open field vegetables on 3100 ha, perennial grasses on 299,500 ha, and rape on 33,100 ha.The growing areas and yields of the main plant produce are specified in Table 2.
Table 2. Production of main plant produce in 2000, 2001, and 2002 (preliminary)
Crop |
2000 |
2001 |
2002 (preliminary) |
||||||||
growing area ‘000 ha |
quantity ‘000 t |
yield kg/ha |
growing area ‘000 ha |
quantity ‘000 t |
yield kg/ha |
growing area ‘000 ha |
quantity ‘000 t |
yield kg/ha |
|||
Total cereals |
329.3 |
696.6 |
2,115 |
274.1 |
558.4 |
2,037 |
267.2 |
543.7 |
2,035 |
||
including rye |
28.9 |
60.8 |
2,101 |
20.9 |
42.9 |
2,047 |
17.8 |
43.4 |
2,435 |
||
winter wheat |
21.7 |
51.5 |
2,368 |
25.2 |
57.3 |
2,249 |
28.6 |
68.6 |
2,399 |
||
summer wheat |
47.2 |
95.3 |
2,018 |
34.1 |
75.5 |
2,216 |
37.0 |
85.5 |
2,311 |
||
barley |
165.1 |
347.5 |
2,105 |
134.3 |
270 |
2,011 |
132 |
249.8 |
1,893 |
||
Total legumes |
3.9 |
6.6 |
1,706 |
3.6 |
6.5 |
1,780 |
2.5 |
5.3 |
2,124 |
||
Summer rape |
28.82 |
38.62 |
1,339 |
27.3 |
41.1 |
1,506 |
33.0 |
65.8 |
1,991 |
||
Potatoes |
30.9 |
471.7 |
15,281 |
22.1 |
343.1 |
15,503 |
17.5 |
285.7 |
16,314 |
||
Open field vegetables |
3.8 |
45.5 |
12,015 |
3.3 |
40 |
12,023 |
3.1 |
34.1 |
10,834 |
||
Perennial grasses |
402.9 |
x |
x |
301.9 |
x |
x |
299.5 |
x |
x |
||
Source: Statistical Office, Ministry of Agriculture
1.2.1. Cereal production
According to preliminary data of the Statistical Office, the total cereal yield from 267,200 ha was 543,700 t (558,400 t in 2001) or 97% of the previous year’s level, broken down as follows: 43,400 t of rye on 17,800 ha, 154,100 t of wheat from 65,600 ha, and 249,800 t of barley from 132,000 ha. The growing area of legumes was 2500 ha, yielding 5300 t of legumes with an average yield of 2124 kg per hectare.
The major cereal,
rape and turnip rape producers are mainly located in the central Estonian
counties where the soils are more fertile: Lääne-Viru, Järva, Jõgeva,
Winter cereals developed rapidly in the relatively high temperatures, plenty of sun, low air humidity and small precipitation of the early spring. The growth of winter cereals was low at first and premature yellowing of leaves occurred in winter wheat. The condition of winter cereals improved after the rains in June. Owing to its deep roots, rye endured the drought better than other cereals. The best fields yielded over 5000 kg/ha even in this droughty year. On more drought-sensitive sandy fields and fields on limestone subsoil, winter cereals were weakly due to dryness, there were few grains in the heads of grains, and yields were low.
The early sowing of summer cereals in the spring of
2002 was highly important, as the soils dried extremely early. Later sowings
(at the beginning of May) sprouted poorly and unevenly, and did not sprout
before the arrival of rain in some regions (west
An hectare yielded 2035 kg of cereals on average, including 2435 kg of rye, 2349 kg of wheat, and 1893 kg of barley.
The highest average
grain yield of 2579 kg/ha was obtained in
Table 3. Average yields of cereals, rape, and turnip rape across counties
County |
Average yield of rapeseed and turnip rape seed, kg/ha |
Average cereal yield, kg/ha |
|||
total |
rye |
wheat |
barley |
||
Harju |
1919 |
1760 |
1913 |
1945 |
1572 |
Hiiu |
- |
1582 |
1813 |
1342 |
1613 |
Ida-Viru |
1711 |
1776 |
1800 |
1586 |
1919 |
Jõgeva |
2054 |
2441 |
3030 |
2687 |
2254 |
Järva |
2374 |
2069 |
2900 |
2435 |
1847 |
Lääne |
1912 |
1577 |
1371 |
1747 |
1508 |
Lääne-Viru |
2153 |
2217 |
2488 |
2660 |
2033 |
Põlva |
1999 |
2178 |
2320 |
2458 |
2296 |
Pärnu |
1440 |
1478 |
1409 |
1864 |
1306 |
Rapla |
2249 |
1646 |
2265 |
1775 |
1498 |
Saare |
1836 |
1640 |
1509 |
1933 |
1287 |
Tartu |
2010 |
2579 |
3148 |
2913 |
2417 |
Valga |
1843 |
2172 |
2131 |
2625 |
1869 |
Viljandi |
1598 |
1854 |
2411 |
2001 |
1765 |
Võru |
1388 |
1641 |
1578 |
1764 |
1582 |
Total |
1991 |
2035 |
2435 |
2349 |
1893 |
Source: Statistical Office
The cereal balance
sheet covers the period from
Table 4. Cereal
balance sheet,
|
Beginning balance |
Total yield (own production) |
Import |
Total stock |
Export |
Remaining |
Total consumption |
including seed |
including animal feed |
including industrial |
including food |
Closing balance |
Rye |
23,807 |
42,862 |
30,770 |
97,439 |
9,321 |
88,118 |
77,852 |
3,947 |
18,040 |
10,491 |
44,613 |
10,266 |
Wheat |
51,087 |
133,003 |
104,501 |
288,591 |
3,135 |
285,456 |
259,690 |
15,478 |
170,658 |
166 |
71,911 |
25,766 |
Barley |
56,099 |
270,035 |
29,566 |
355,700 |
4,926 |
350,774 |
324,104 |
26,908 |
278,124 |
9,046 |
7,107 |
26,670 |
Oats |
18,670 |
91,374 |
5,051 |
115,095 |
6,242 |
108,853 |
99,508 |
7,535 |
89,301 |
– |
2,151 |
9,344 |
Other* |
10,895 |
21,168 |
22,041 |
54,104 |
97 |
54,007 |
48,133 |
2,711 |
39,690 |
94 |
5,363 |
5,874 |
Total |
160,558 |
558,442 |
19,192 |
910,929 |
23,721 |
887,208 |
809,287 |
56,579 |
595,813 |
19,797 |
131,145 |
77,920 |
*triticale, mixed
crop, buckwheat (grown in
Source: Statistical Office
The annual cereal consumption was 809,000 t; 558,000 t were produced in 2001, which forms nearly 70% of the annual consumption. Therefore, about one-third of the cereal needs to be imported. The annual feed grain and legume need, considering the present numbers of different species of animals, is about 595,000 t and may rise to 750,000–760,000 t as livestock farming grows. The use of animal protein in feedingstuffs has been limited so far due to lack of funds (producers cannot afford to buy it), and the need for self-produced protein-rich grains and legumes has increased. Common vetch (protein content 34%) seed was sold in the spring for sowing nearly 1000 ha.
In the autumn of 2002, winter cereals were sown for the 2003 harvest on a total of 63,400 ha, including 17,100 ha of rye, 37,000 ha of winter wheat and 9400 ha of triticale.
As soils were extremely dry in the autumn, winter cereals sprouted very unevenly and the plants remained small because of early frost. Winter rye may be expected to be in a worse condition this winter than winter wheat. Previous experience has shown that winter wheat makes greater progress than rye when the conditions in the spring are good.
1.2.2. Rape and turnip rape production
Rape and turnip rape production have become increasingly popular in the past few years. The careful and consistent work of oil crop associations in promoting their area of activity is noteworthy. The growing area of rape and turnip rape has expanded from 8000 ha (in 1997) to 33,600 ha.
The 33,100 ha
harvesting area of rape and turnip rape yielded 66,000 t of oil seeds in 2002,
i.e. more than in the previous year by 59.8% (41,300 t in 2001). The average
yield was 1991 kg/ha. Despite the drought, the farmers of five counties
(Jõgeva, Järva, Lääne-Viru, Rapla and
The bulk of oil seeds was processed into oil and valuable protein feed –– oilcakes –– by AS Werol Tehased.
1.2.3. Potato production
According to the preliminary data of the Statistical Office, potatoes were grown on 17,500 ha in 2002 and the total yield was 285,700 t of tubers, which forms 83% of the previous year’s production (343,100 t). The average yield of potatoes was 16,314 kg/ha.
The last winter
frost on 20–22 May damaged the already sprouted plants. The rains in June and
July contributed to the intensive growth of potato tubers, while the
temperatures of 30°C were excessively high for potatoes and the plants showed
signs of withering at
The rains that started from 21 July improved the humidity of soil for a short period and per-hectare yields increased by about 10 t by the end of the month. The assessed biological yield of mid-ripening varieties at that time was 30–40 t/ha. Early and mid-ripening varieties grew tubers at the beginning of June, when the humidity of soil was insufficient, and the number of tubers in a hill was small. However, the rainy period that followed enabled the tubers to grow and the yields of these varieties were good.
The tuber growing period of later varieties coincided with the rainy period of June and these varieties had a larger number of tubers in a hill, but as the drought intensified in August, the tubers remained relatively small and the yields were lower compared to early varieties.
Potato yields and total production over years
Figure 2
Source: Statistical Office, Ministry of Agriculture
The Variety List
contained 39 potato varieties in 2002, including 13 early, 9 mid-ripening and
17 late varieties, of which only nine were bred in
1.2.4. Open field vegetable production
According to the data of the Statistical Office, the harvested area of vegetables was 3100 ha and the total yield was 34,100 t, that is 10.8 t/ha on average. Cabbage accounts for almost one-half (15,200 t) of the total vegetable production, followed by 7300 t of carrot, 3100 t of beetroot, 1800 t of swede, 1400 t of onion bulbs and 4800 t of other vegetables.
Because of excessive drought, the direct sowings of open field swede, beetroot and carrot sprouted very unevenly. The sowings that were not watered sprouted only after the rains in the last week of June. The rains of June and July improved the moisture conditions and plants started to grow at the normal pace. However, their growth halted again due to lack of moisture in August, which is why the total production and yields of open land vegetables in 2002 were smaller than in 2001 by 10% and 15%, respectively.
1.2.5. Greenhouse vegetable production
The estimated production of greenhouse vegetables amounted to 14,000 t in 2002, including 9400 t of cucumber, 3600 t of tomatoes and 100 t of other vegetables (onion tops, dill, lettuces, chive, etc).The greenhouse vegetable production of 2001 was also 14,000 t.
1.2.6. Fruit and berry production
The total area of fruit and berry plantations was 18,400 ha in 2002, yielding a total of 31,800 t of production according to expert assessment. Fruit trees and berry plantations covered 13,000 ha and 5400 ha of the total growing area and the estimated production volumes were 23,000 t and 8800 t, respectively.
Night frosts in
spring damaged strawberries and currants during the blossoming period.The
damage done by the night frosts varied by region.The spring and summer
drought reduced the yield of berries just like the other crops everywhere in
Fruit trees and berry bushes developed faster than usual in 2002. Gooseberries and currants ripened at the beginning of July –– a month earlier than in the previous year. Apples and plums also ripened earlier than usual. As both the sun and warmth were plentiful, the fruits were sweet and tasty this year. However, the August drought was so powerful that it made an impact on trees and bushes, too. Apples and plums were small in the regions where the drought was the most intense, and fell off before fully ripe. The August drought also determined the following year’s yields and winter-hardiness, which is why the plantations needed to be watered.
1.2.7. Fibre and oil flax production
The harvested area
of fibre flax in
Oilseeds were
harvested on 86 ha in a quantity of 88.7 t, and the average yield was 1031
t/ha. The bulk of oilseeds will be processed into flax oil by small oil presses
and some will be sold as seed. The demand of the Pärnu Flax Plant for long,
quality flax fibre is about 2500 t a year and the plant imports all the raw
material it needs. Fibre flax production has not developed in
1.2.8. Tame hay production
According to expert assessment, about 140,000 t of tame hay were produced in 2002, which formed 30–60% of the previous year’s volume (316,000 t) in different regions. The drought and the low night temperatures in May impeded the growth of tame hay and it turned out thin. Clover suffered from turgor loss at the beginning of June and the plants dried in the higher parts of fields, particularly in more drought-sensitive soils. For example, in the Paala OÜ of Viljandi county where the soil quality rating is over the Estonian average and the soils are not very sensitive to drought, the dry hay yield was 1590 kg/ha in 2002 and 2850 kg/ha in 2001 –– the 2002 yield was thus only 56% of the previous year’s.
1.2.9. Production of cereal and fodder crop seeds
The need for cereal seeds was about 70,000 t in 2002. The estimated percentage of certified seed in the total seed stock is about 25%. Despite its relatively high price (up to three times higher than cereals), the use of certified seeds is increasing.
The growing areas of fodder crop seeds have expanded in recent years. While the growing area of fodder crop seeds was 2903 ha in 1999, it was already 3689 ha in 2001 and even greater in 2002 as judged from the sales of seeds.
A contractual seed production system is under formation, owing to the activities of large seed production and distribution companies. Approvals were granted to 7046 ha of cereal seed fields and 905 ha of grass plant seed fields in 2002, i.e. more than in 2001 by 10% and nearly 30%, respectively.
1.3. Livestock farming
The numbers of
bovines and poultry decreased in 2002, while the numbers of pigs, sheep, and
goats increased. According to preliminary calculations of the Statistical
Office, there were 253,000 bovines, 345,400 pigs, 35,100 sheep and goats, and
2,091,300 poultry in
The dry weather put cattle and sheep farmers in a difficult situation, because grass yields were low and the herds had to be downsized already during the grazing period. Therefore, the total livestock farming output decreased by 7.1% in 2002 compared to 2001.
Table 5. Number of animals and poultry as of 31 December, ‘000
|
2001 |
2002 |
% (2001=100) |
Bovines |
260.5 |
253.0 |
97 |
Cows |
128.6 |
112.9 |
88 |
Pigs |
345.0 |
345.4 |
100 |
Sheep and goats |
32.4 |
35.1 |
108 |
Poultry |
2294.9 |
2091.3 |
91 |
Source: Statistical Office
1.3.1. Milk production
According to preliminary data, milk production amounted to 620,700 t in 2002, i.e. less than in 2001 by 9.2% or 63,000 t.
The year 2002 was difficult for dairy farmers, as they had to reduce the number of dairy cows because of the bad market situation and climatic conditions. Both the total milk output and the average yields of cows decreased. The overall fall in milk production was caused by the lower buying-in price of raw milk that reflected the overall situation on the world market.
The negative trend was aggravated by the summer drought that put a limit on the quantity and quality of feed production. The positive aspect of 2002 compared to the previous years was the significant rise in the quantity of milk sold to the dairy industry and an even better milk quality.
As of
While the total output and the number of cows decreased, the average yield per cow (5119 kg) was slightly smaller in 2002 than in 2001 –– it decreased only by 33 kg. The halt in average yields as from the second quarter of the year can be explained by the spring and summer drought that shortened the grazing period and substantially prevented the production of grass feed. The average yield per cow was the highest in Järva county: 6079 kg, followed by Põlva, Harju and Jõgeva counties with 5477, 5321 and 5266 kg, respectively. The average yield increased by 809 and 64 kg in Harju and Järva counties, and decreased by 426 and 271 kg in Põlva and Jõgeva counties, respectively.
The accession
negotiations between
Milk production quota are applied in Estonia as from 1 April 2003 in order to ensure readiness for transition to the milk quota system that forms the basis for the regulation of the EU milk and milk products market, including readiness for collecting the necessary data and obtaining practical experience. The respective regulations were drafted in 2002 and seminars were held for producers and processors to introduce the milk quota system.
By 31 December, the
Agricultural Registers and Information Board (ARIB) had issued 7120 pre-filled
milk quota application forms to the owners of dairy cows registered in the
register of farm animals as of
On
ARIB did not receive quota applications from 4356 producers with 10,083 cows. These were mainly the keepers of one or two cows who consume all the milk on the farm and do not produce it for selling. The quota applications of 98 farmers were not satisfied, mainly because they had not registered as entrepreneurs by 15 January.
Number of cows, total milk output and yield per cow in 1995–2002
Figure 3
Source: Statistical Office
1.3.2. Buying-in of milk
The dairy industry was sold 495,300 t of milk, which is more than in 2001 by 15.8%. The sold milk formed 79.8% of all the milk produced. The increased amount of in-bought milk against the background of a smaller total output and relatively low prices may be interpreted as the producers’ reaction to preparations for transfer to the quota system. According to the data of the Statistical Office, 88.4% of the in-bought milk was elite or high grade and 10.3% was first grade, implying another shift toward improved quality compared to the previous year (the respective figures for 2001 were 86.6% and 12.3%). The average fat content of the in-bought milk was 4.1% in 2002.
Buying-in of milk, 2000–2002
Source: Statistical Office
The average buying-in price of a tonne of milk fell from EEK 3197 in 2001 to EEK 2800 in 2002, i.e. by 12.4%, while exceeding the average buying-in price of the year 2000 (by 2.9%) and the previous years.
1.3.3. Meat production
Meat output increased by 5% from 2000 to 2001 and amounted to 60,200 t. The greatest rise occurred in the production of poultrymeat; only the production of beef decreased.
Table 6. Meat production, ‘000 t
2001 2002 %, 2001=100
Beef 14.1 13.2 94
Pigmeat 33.6 35.1 104
Mutton 0.3 0.4 133
Poultrymeat 9.2 11.5 125
Total meat57.3 60.2 105
Source: Statistical Office
Beef production
The number of cattle decreased by 7000 in 2002
compared to 2001. This was influenced by the cut of 15,700 in the number of
dairy cows, although the number of bulls in a herd increased substantially.
There were a total of 35,700 bulls as of
The year 2002 may be considered somewhat revolutionary
for cattle farming, as stricter quality requirements were effected in respect
of in-bought raw milk, and the producers who were not able or willing to invest
in milk production had to make a choice. Many cattle farmers decided in favour
of beef cattle farming. The number of suckler cows had tripled according to the
database of applications for suckler cow premium. A total of 130 pedigree
animals of the
The fall in the buying-in prices of beef that started in February lasted to the end of the year, when the average buying-in price of adult and young bovine animals was EEK 17.1/kg and EEK 23.9/kg in slaughter weight. The averages of these prices at the beginning of year were EEK 20.5 and 25.5 per kg, respectively. According to the data of the Statistical Office, the average buying-in price of meat in 2002 was EEK 22.6/kg, which is lower than in 2001 by 9% (EEK 24.9/kg).
Buying-in of beef, 2000-2002–
Figure 5
Source: Statistical Office
Pigmeat production
Pigmeat production is the second important area of livestock farming besides milk production.Pigmeat accounts for over a half of the total meat production.
According to the data of the statistical office, 21,900 t of pigmeat was bought in in 2002, which is more than in 2001 by 24.6%.
Pig farming was at its lowest point in 1999 when there were only 285,700 pigs. A rapid growth in the number of pigs started at the beginning of 2001 when meat deficit and the resulting higher prices motivated farmers to increase pigmeat production. Despite the lowering of buying-in prices of pigmeat by EEK 3.4 per kg last year (the average prices in 2001 and 2002 were EEK 26.3 and 22.9 per kg, respectively), the number of pigs has increased since 2001 and more young pigs were born in 2002 than in 2001 by 19.4%: 656,800 and 529,500, respectively.
Buying-in of pigmeat, 2000–2002
Figure 6
According to the
assessment of the Veterinary and Food Board, the breed improvement of pigs has
given good results. A majority of the fattening pigs raised are hybrids and the
pigmeat quality has improved over recent years. The Estonian Pig Breeders’
Association follows the hybrid breeding programme “Marble Meat” in producing
fatlings, using Landrace,
The lean meat content of fattening pigs, which was 50.1% in 1995, has reached 56% by now. A majority of the fattening pig carcasses belonged to quality classes E and U (the lean meat content is 55–60% and 50–55% of the carcass weight in classes E and U, respectively).
Mutton production
The project
“Development of sustainable sheep farming in
The average buying-in price of mutton in slaughter weight increased somewhat over the year and reached EEK 35.2/kg (exclusive of VAT) according to the data of the Estonian Institute of Economic Research. The buying-in price of higher category carcasses already reached EEK 38.1/kg.
Poultrymeat production
Poultrymeat
production increased to 11,500 t in 2002, which is more than in 2001 by 2300 t
or 25%. The larger production owed to the use of the Ross-208 broiler chicken
strain cross which is more productive, as well as the extension of export to
Eggs
Egg production amounted to 247.3bn in 2002, which is less than in 2001 by EEK 30.6m or 11%. The entire decrease in egg production occurred in poultry enterprises. 2002. The outputs of egg powder and liquid egg products in 2002 were 234 t and 891 t, respectively.
According to expert assessment, the agricultural production of 2002 together with support payments amounted to EEK 7.43bn, of which plant production, livestock production and other production formed 32.4%, 47.3% and 20.3%, respectively. According to preliminary assessment, the value of agricultural production in current prices decreased by 2.3% in 2002 compared to the previous year.
The Ministry of Agriculture in cooperation with the Statistical Office applied the Economic Accounts for Agriculture to account for the results of the agricultural sector for 2002. The methodology was prepared by the Eurostat as a means of describing the agricultural production process and its results.
According to calculations, the income of agricultural producers decreased by 10.3% in 2002 compared to 2001.
The gross monthly wages in the agricultural and hunting sector continued to be the lowest in 2002. The gross monthly wages in the fourth quarter of 2002 were EEK 4107, representing 63% of the Estonian average level. The wages in the agricultural and hunting sector increased in the fourth quarter by 21% compared to the same period of 2001.
Average gross wages in economic sectors, EEK
Figure 7
Source: Statistical Office
Table 7. Economic Accounts for Agriculture indicators in current prices, EEK ‘000,000
2000 2001 2002
Output of agricultural enterprises 6492 7544 7430
Plant production 2411 2332 2408
Livestock production 2997 3769 3510
Total intermediate consumption 3654 4271 4331
Depreciation 680 766 766
Net value added 2158 2506 2333
Wages of workers 780 998 1097
Other taxes 64 72 68
Other support payments 31 42 166
Commercial lease of land 24 36 35
Interests 51 55 52
Income of undertakings 1270 1388 1246
Source: Ministry of Agriculture, Statistical Office
Compared to 2001, the value of milk production decreased by EEK 394m or 21%, the value of fodder crops decreased by EEK 60m or 12%, and that of vegetables decreased by EEK 46m or 15%.
The value of meat and other non-food crop production increased substantially. The value of meat production increased by EEK 160m or 11% in 2002 compared to 2001, and the value of non-food crops increased by EEK 100m or 56%.
Cereal production formed the largest share of the value of plant production in 2002 –– 31%. Potato production also accounted for a large share (22%), owing to the price increase of potatoes (35%) and feedingstuffs production (18%). The relative share of non-food crops increased the most in the overall structure of plant production in 2002: its value increased by 56% of the previous year’s level.
The value of livestock production (exclusive of income support payments) decreased in 2002 by 7.1% according to preliminary calculations. The volume of production increased by 3.0% compared to the previous year, but the prices of livestock products decreased by 9.9%. Support payments for livestock farming increased by 1.6% in respect of both the number of animals on which the support was based (particularly suckler cows and sheep) and the unit of support.
According to estimations for 2002, the value of livestock production was EEK 3.51bn, which is less than in 2001 by EEK 259m.Milk formed 42% of the value of livestock production in 2002. Compared to the previous year, the relative share of milk decreased by 6% in the overall value of livestock production. The value of milk production decreased by 21% from 2001 to 2002, on account of both the decrease in the output volume by 10% and in the milk price by 14%.
Pigmeat accounted for 31% of the value of livestock production. The relative share of pigmeat in the value of livestock production and the production value of pigmeat increased by 5% and 9%, respectively, compared to 2001. Although the price of pigmeat decreased by 13% in 2002 compared to 2001, an increase in output by nearly 25% yielded a rise in the value of pigmeat production.
The value of intermediate consumption (mainly variable costs) was on the same level in 2002 as in the previous year (+1%). Although intermediate consumption prices increased by 7%, the decrease in agricultural output was accompanied by a decrease in expenditure by 6%. Feed expenses form more than a half of the intermediate consumption value in livestock farming. The feed expenses have remained on the same level, although the quantity of feedingstuffs has decreased by 12.5%. Expenses on machine and equipment maintenance and energy and lubricants increased the most in 2002 compared to the previous year: by 17% and 11%, respectively. The increase in these expenses was caused by the higher price of the respective products. Depreciation of fixed assets was on the same level in 2002 as in 2001. Nearly 2.3% of the existing fixed assets were written off.
Labour expenses increased by 10% in 2002 compared to 2001, mainly due to the higher wages.
1.4.1. Agricultural producer price and purchase price indices
The producer prices of agricultural products, characterised by changes in price indices, decreased in the second half of 2002 compared to the same period of the previous year.
According to the data of the Statistical Office, the producer prices of agricultural products decreased in the fourth quarter of 2002 by 6.6% on average compared to the same period of the previous year; the prices of livestock and plant products decreased by 7.2% and 3.6%, respectively. The prices of agricultural inputs increased by 3.9% at the same time.
Table 8. Change in producer price index of agricultural products compared to the same period of the previous year
Quarter 1 Quarter 2 Quarter 3 Quarter 4
Cereals and legumes 6.0 1.7 -5.6 -12.2
Potatoes 190.0 137.2 43.4 14.6
Bovines (beef) 10.0 0.8 -5.8 -8.9
Pigs (pigmeat) 25.1 1.0 -2.8 -3.6
Poultry (poultrymeat) 2.6 6.7 4.1 2.4
Live bovines 6.9 9.2 -13.4 -10.5
Cows’ milk -5.0 -2.6 -5.9 -8.5
Source: Statistical Office
Table 9. Change in purchase price index of agricultural deadstock compared to the same period of the previous year
Quarter 1 Quarter 2 Quarter 3 Quarter 4
Total 2.3 2.2 3.5 3.9
Seeds 32.4 32.2 29.3 17.9
Livestock 17.6 7.3 -3.5 -6.6
Energy, fuel
Lubricants 0.3 10.7 11.4 11.7
Fertilizer and litter 0.9 0.5 -4.6 -8.4
Plant protection products 0.6 4.2 -3.4-3.2
Feedingstuffs 4.3 6.0 5.8 8.0
Veterinary services1.3 -1.0 5.6 7.4
Materials and
supplies 4.5 -8.2 2.7 2.0
Maintenance and repair
of building and equipment 12.9 4.6 9.5 10.5
Overhead costs 5.7 2.0 0.3 1.2
Source: Statistical Office
As in the third quarter of 2002, the prices of seeds, energy, fuels and lubricants increased the most in the fourth quarter when compared to the same period of the previous year, while animals, litter and plant protection products became cheaper.
1.4.2. Economic capacity of agricultural holdings
The economic sustainability of agricultural holdings and farms has been assessed on the basis of the average investments, current ratio, quick ratio, and tax arrears for the year 2002.
In 1996–2001, the ratio of investments to agricultural gross value added was 11.5%, which is 2–2.5 times less than the average of the EU Member States.
In 1996–2001, the average current ratio (current assets to current liabilities) was 1.69 and the average quick ratio (current assets less prepayments to current liabilities) was 0.51, forming 59% of the average quick ratio of all sectors of the economy.
However, the average ratios do not characterise the solvency of the entire agricultural sector. The differences between holdings and farms are three to four fold.
Due to the low purchasing power, the use of mineral fertilisers in active ingredient was 82 and 96 kg/ha of growing area of crops in 2000 and 2001, respectively –– this is less than the minimum required for cost-effectiveness by one-third.
According to calculations, agricultural producers had to pay EEK 514.6m of taxes in 2002, including EEK 283.5m of social tax, EEK 152.6m of personal income tax and EEK 61.9m of value added tax. The average tax amounts payable by legal persons and sole proprietors operating in the area of agriculture was EEK 296,100 and EEK 2300, respectively. In 2001, legal persons had to pay more by EEK 7100 and sole proprietors had to pay less taxes than in 2002 by EEK 1300.
Legal persons pay the bulk of the agricultural sector’s taxes (93%) and the taxes imposed on sole proprietors form only 7%. The tax amount payable by agricultural undertakings increased by 11% over the year, while the number of legal persons and sole proprietors increased by 8% and 26%, respectively.
Table 10. Taxes imposed on agricultural undertakings for 2002, EEK ‘000
Type of tax Legal persons Sole proprietors Total
Value added tax 58,686 3,260 61,946
Social tax 251,134 32,398 283,532
Personal income tax 146,816 5,823 152,638
Personal income tax (refundable) 0 -4,874-4,874
Corporate income tax 7,418 32 7,450
Unemployment insurance premium 8,280 515 8,796
Mandatory funded pension payments 23914254
Total 472,574 37,168 509,741
Number of agricultural holdings 1,596 16,159
Average per holding 296.1 2.3
Source: Tax Board, Ministry of Agriculture
In 2002, there were
6124 agricultural undertakings that owed tax arrears, i.e. less than in 2001 by
1% or 64 undertakings. As of
As of
Number of undertakings that owed tax arrears by counties in 2002
Figure 8
The structure of tax arrears has remained relatively stable. Social tax arrears were the largest, forming nearly 50% of the total tax arrears in 2001 and in 2002. This was followed by VAT arrears (slightly over 30%) and personal income tax arrears (14%). The total tax arrears decreased in 2002.
Table 11. Structure
of tax arrears as of
31.12.2001 |
Income tax |
% |
VAT |
% |
Sole proprietors’ income tax |
% |
Social tax |
% |
Other taxes |
% |
Total |
Legal persons |
5,962 |
2 |
99,923 |
31 |
49,675 |
16 |
152,813 |
48 |
11,504 |
4 |
319,877 |
Sole proprietors |
4,595 |
14 |
8,570 |
27 |
1,106 |
3 |
14,389 |
45 |
3,663 |
11 |
32,323 |
Total |
10,557 |
3 |
108,493 |
31 |
50,781 |
14 |
167,202 |
47 |
15,166 |
4 |
352,200 |
31.12.2002 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Legal persons |
5,395 |
2 |
91,360 |
32 |
45,239 |
16 |
133,685 |
47 |
9,118 |
3 |
284,798 |
Sole pro-prietors |
6,933 |
17 |
11,387 |
28 |
1,282 |
3 |
17,079 |
42 |
4,062 |
10 |
40,742 |
Total |
12,328 |
4 |
102,747 |
32 |
46,521 |
14 |
150,764 |
46 |
13,234 |
4 |
325,539 |
Source: Tax Board, Ministry of Agriculture
1.4.3. Activities of Rural Development Foundation
The Rural Development Foundation (RDF) was founded to contribute to the development of enterprise in rural areas. In 2002, the RDF concluded 396 loan agreements in a total amount of EEK 350m, and 131 guarantee agreements under which applicants received EEK 281m in loans. The foundation concluded 72 agreements on the purchase of land, totalling EEK 83.4m with an interest rate of 6%; 316 agreements for EEK 258.5m via credit institutions (banks and leasing companies) with an interest rate of up to 8.5% applicable to undertakings, and EEK 8.1m of loans to savings and loan associations.
Land purchase loans and investment loans are granted for a term of up to 25 years and 15 years, respectively; a five-year repayment holiday is available in both cases. Loans for working capital are granted for a term of one year. Interests reached up to 8% a year, but the interest rate for small and medium-size holdings was 5% or 6% and the rate for ensuring environmental safety (establishment of manure storage facilities) was 6% a year.
Of the loans granted in 2002, EEK 273m or 78% were granted to agricultural producers. The counties that received the greatest amount of agricultural loans were Järva (EEK 43.3m or 16%), Lääne-Viru (EEK 39.9m or 15%) and Jõgeva (EEK 25.6m or 9%) counties.
4. Agricultural Market and Trade
4.1. Changes in prices
The
situation on our agricultural products market worsened in 2002 compared to the
previous year. The world market prices fell and
The prices of bought-in pigmeat and beef decreased by 13.1% and 6.3% on average, respectively. Export of agricultural products was greater than in 2001 by only 1.8%, while import increased by 8.7%. The growth of consumer prices of food products on the domestic market decelerated: consumer prices of food products increased by 8.3% on average in 2001 and by 3.0% in 2002, compared to the previous year.
Figure 1
Figure 2
4.2. Export and import of agricultural products
The deficit of the foreign trade balance of agricultural products increased by 22% in 2002 compared to the previous year and amounted to EEK 2.97bn, while the positive trade balance of both milk and fish decreased, by EEK 30.3m and EEK 284.1m, respectively.
Figure 3 The relative share of agricultural products (Chapters 1–24 in EKN, the Estonian Nomenclature of Commodities) was 8.3% in 2002 (8.0% in 2001) in total export, and 9.7% (9.4% in 2001) in total import. Fish and fish products were traditionally the largest export article: 39.8% among Chapters 1–24, followed by milk and milk products with 21.5%, live animals, meat and meat products with 12.4% and beverages with 7.6%. Compared to 2001, export of fish and fish products decreased by 10.5% or EEK 218.6m. Export of live animals, meat and meat products has increased the fastest since the previous year: by 22.6%. Export of milk products increased by only 3% or EEK 29.9m in monetary terms; this was due to the significant price fall on the world market. |
Figure 4 The greatest amounts of agricultural
products were exported to the EU (33.1%), |
Figure 5 Milk formed 43.4% of all agricultural products exported to the EU and the percentage grew by 30.9% compared to the year 2001 despite the price falls that occurred in 2002. Of all exported milk products, 66.8% were sold to the EU (52.6% in 2001). The annual increase in customs-free export quota favoured the growth of milk products export to the EU. The overall price fall on the world
market caused the prices of milk products exported from Against the generally modest foreign
demand in 2002, the export of meat and meat products (16.3% in monetary
value) and live pigs (1.8 fold by the number of animals) grew relatively
rapidly. The 1.8 fold increase in the export of sausages and canned meat as
products of a greater value added was a positive development. As 89% of the
exported meat and meat products were sold to Export of cereals increased in 2002 (by 13% in grain equivalent), but as in the markets of other agricultural products, the price situation was worse than in 2001 and the price of exported rye and wheat decreased by 16% and 7%, respectively, compared to the previous year. As in previous years, the greatest amount of agricultural products was imported from the EU Member States, whose share in total import was 57.5% (61.0% in 2001). |
Figure 6 Soft drinks, beer and alcohol had the largest share in the import of products of EKN Chapters 1–24 (11.2%), followed by meat and meat products (8.3%), fish and fish products (8%), vegetable oils, fats and margarine (6.8%), fruits and berries (6.6%), etc. The import of milk products increased in
2002 by 20.5% compared to the year 2001; the import of butter increased 4.6
fold and amounted to 3500 t (771 t in 2001). The average price of a tonne of
imported butter was EEK 19,708, i.e. lower than the price of exported butter
by 32.4%. Forty-four per cent of imported butter was of Czech origin. Import
of whole milk powder also grew rapidly (12.4 fold compared to the year 2001).
Of the 1960 t of imported whole milk powder, 34% originated from Although the output of meat increased somewhat in 2002, the produced quantities do not meet the domestic market demand, which is why imported meat played an important role in meeting domestic market demand. Compared to the year 2001, the monetary value of imported meat and meat products decreased by 15.3%. The price of imported pigmeat was lower than in 2001 by 17.7%, and the price of poultrymeat decreased by 7.6%. The quantities of imported pigmeat and poultrymeat increased by 0.8% and 0.3%, respectively, while the quantities of imported sausage, canned meat and beef decreased by 22.9%, 6.8% and 52.5%, respectively. Import of cereals and cereal products (in grain equivalent) to the Estonian market was larger in 2002 than in 2001 by 27.5%: the import of wheat increased 2.3 fold, rye import increased 3.7 fold and oats import increased 2.1 fold, while rye import decreased by 17%. Prices also fell on the cereals market in 2002: the prices of imported rye, wheat and barley were lower by 14%, 11% and 42%, respectively.
4.3. Purchasing preferences of consumers on domestic market Surveys carried out by the Estonian Institute of Economic Research, ordered by the Ministry of Agriculture, showed that the domestic food products market has maintained a positive attitude to domestic food. In 2002, domestic food products were preferred by 87% of the respondents; the respective figure was 73% in 1996. The constant efforts of domestic companies in extending the product range and improving quality has found greater and greater recognition every year. |
Figure 7 Source: Estonian Institute of Economic Research The competitive advantages of domestic products over imported products included, according to the survey results, especially their reliability, better taste qualities and healthiness. A majority of the respondents did not consider price (86%), the wish to support Estonian farmers (85%) and patriotism (95%) to be the motivating factors. Consumers were the most satisfied with the choice of domestic milk products (77%) and bread and bakery products (74%). The choice of fish and fish products (80%), fresh fruits and vegetables (87%) and canned fruits and vegetables (90%) was still considered to be the poorest. Preference for domestic food products has increased in most of the product groups during the past seven years. Natural and processed cheese is an exception where the positions have been yielded to imported products. In 1996, seventy-two per cent of the respondents preferred to purchase only domestic natural cheese, but by 2002, the percentage of these respondents had decreased to 56%. In 2002, the Estonian Institute of Economic Research conducted a survey for the Ministry of Agriculture titled “Situation and development prospects of Estonian cheese market”, which analysed foreign trade, supply, consumption, demand, and the development plans of production. Cheese has great development potential among milk products, but its product development has been notably slower in the past ten years compared to many other milk products (yoghurt, curd, ice-cream); less attention has been paid to marketing activities. The varieties of cheese made in As the awareness of consumers increases, it is increasingly more important to observe the trends and develop the products for which the demand is rising. Estonian curd producers have made great success. Curd is an easy-to-make, healthy product that has a long tradition. Its product range is very broad and the number of different products available in the shops has constantly increased. According to the data of the Estonian Institute of Economic Research, the average number of different curd products available in the shops was 27.2 in November 2002 (8.6 in November 1996). The keywords that characterise the new generation of products are convenience, quality, and safety, implying improved taste qualities, a balanced nutritional value and enrichment of products, attractive packaging and extended shelf life. The latest inventions make it possible to biologically extend shelf life, which will encourage export. The state has made efforts to obtain better export possibilities for consumer products (EU quota). Consumer-oriented production and marketing activities are gaining relevance in the whole world. State support and market protection are also very important for agricultural producers, but a product’s reputation in the consumer’s mind is created with the help of an affordable price, stable quality, and well-targeted marketing activities. Consumers were divided into five wealth groups in the survey. Expenditure on food differs across these groups. Expenditure on food forms 45% of all expenditure in the first group where the income is the lowest, and 19% in the fifth group where the income is the highest. The percentage of expenditure on food has generally decreased (from 40% to 32%), but is still large compared to developed countries. The Estonian consumer is sensitive to
prices. This particularly concerns the third group that includes a large
number of retired persons. The great price sensitivity may be explained by
the fact that they do not consume so little food that they cannot curb
expenditure as prices rise, but incomes are small enough so that consumption
will decrease when food prices rise. The survey conducted by researchers of
the The results of the survey help undertakings to shape their strategies on the market, based on the population’s purchasing power and the related consumer behaviour when incomes change. However, against the generally positive background, there have been recently signs of a potential breaking of the trend for preference of domestic products (the reason for this may lie in abuse of the consumer’s confidence). Prescribed by the wishes of the consumer, the range of Estonian food products is very wide, but its attainment is costly. Merchandising that, along with processors, transfers the burden to the producer as the weakest link in the production chain (from the barn to the counter) is gaining greater and greater market power. The availability of different Estonian food products in the shops is affected by the development of our food industry, perception of the healthiness of food, and the intentional selection of commercial agents. In 2002, the Estonian Institute of Economic Research also studied the Estonian population’s preference for places where to purchase food products. It was found that 23% of the respondents preferred the market, 21% preferred large food stores and 20% preferred small shops (with less than three cash desks), 13% preferred hypermarkets and supermarkets, 13% preferred wholesale stores and 11% preferred to purchase directly from the producer. In comparison, 94% of purchases are made
in supermarkets and only 5% in smaller shops in the Upon accession to the EU, new possibilities will open up in the form of an expanding market, but pressure on concentration will increase. Entry into that market with consumer products (so far only raw material) would be greatly contributed to by marketing support as the “green” allowed by the World Trade Organisation (WTO). PMMi 2002.a. käsitleva aastaraamatu jaoks WTO-st Eesti põllumajanduse-alane tegevus
4.4. Activities in World Trade Organisation The highlights of the agricultural year in the World Trade Organisation were the continuing negotiations over renewal of the Agriculture Agreement. The respective committees continued their work in observing the performance by the states of their commitments. .4.1. Negotiations for renewal of WTO Agriculture Agreement It was agreed in the Uruguay Round already that the liberalisation of agricultural trade will continue. Article 20 of the agreement contains a reference to the long-term objective of establishing a fair and market-oriented agricultural trading system. The “peace clause” of the agreement (Article 13) limits the application of domestic support measures and countervailing measures against export subsidies only until the end of 2003. The new round also concerns other areas besides agriculture, such as services, protection of intellectual property, the environment, etc. In fact, discussion of other areas is, in a certain sense, a precondition for motivating agricultural negotiations, because many developed industrial countries do not win anything in the agricultural negotiations; they are interested in success in other areas that would compensate for the continuing liberalisation of the agricultural market. The first attempt to agree on the launch
of a new round was made in The renewed agreement should contain new liberalisation commitments regarding the applied rates and time frames, as well as new rules. All members will prepare a schedule of their new commitments on the basis of the new liberalisation commitments. According to the Doha Declaration, modalities will have to be agreed upon by the end of March 2003, schedules of commitments must be ready by September 2003. Negotiations are planned to be finished in 2004 and implementation should begin in 2006.
Organisation of negotiations It was decided to conduct agricultural
negotiations in a plenary form of the special sessions of the Agriculture
Committee (AC). Technical consultations on specific, not very sensitive
topics have been held in between the sessions. Bilateral and multilateral
meetings between the members have been encouraged. The negotiations are led
by the chairman of the AC –– in the intensive phase of negotiations from 2002
this person is Stuart Harbinson, the former Hong Kong Ambassador in The chairman has drawn up summaries, at his own responsibility, of the sessions held so far; his task are to prepare an overview of the proposals made (filed on 18 December 2002), as well as modality drafts (the first draft was filed on 17 February 2003, the deadline for the second draft is in mid-March). The submitted documents were prepared using the technique of listening to different opinions and drawing up a text that pertains to consensus at the chairman’s own responsibility. The positions of the members were submitted in the course of agricultural negotiations in 2001. A total of about a hundred negotiation proposals were made with the participation of 121 members. Besides formal negotiation proposals, “technical papers” were submitted in which certain members (groups) described the background of their specific interests. For example, countries with non-trade concerns (NTC) jointly submitted a lengthy paper describing different NTCs in detail. The technical papers were also discussed in the sessions where the proponents or opponents requested it. The interests of the countries declaring non-trade concerns are somewhat different; an even greater difference is present in the measures selected for addressing their interests. A majority of countries admit to the existence of agriculture, food supply, the relevance of agriculture to rural development, preservation of environmental values, sights and cultural heritage as NTCs. The third group’s negotiation materials were prepared by the WTO secretariat and they contain factual information about the countries’ commitments relating to their membership in the WTO (tariff levels, use of tariff quota, support and consumption level, etc). In the second year of negotiations (2002), the main pillars of the measures were discussed in turn (market access, export subsidy and domestic support), as well as special and differential treatment of developing countries (SDT) and non-trade concerns in parallel. At the end of 2002, the chairman presented an overview of the proposals submitted in the course of the negotiations as versions of potential new modalities. In 2003, the chairman submitted a draft of the future modalities, which was prepared by him at his own responsibility as a synthesis of the proposals and calls for support on a consensus basis. The proposal was criticized by both liberalists and protectionists, but a number of developing countries were ready to base the new modalities on the presented text. As the severe criticism contained mutually exclusive proposals, it is difficult to imagine that any major changes will be made in the first draft of the modalities. Substance of negotiations As regards market access, liberalisation means the lowering of tariffs and increasing of tariff quotas. The talk has been about the special safeguard provisions (SSG), which have so far enabled mainly developed countries to apply (besides ordinary tariffs) temporary and much higher tariff rates in a suddenly and materially aggravated market situation. In respect of domestic support for agriculture, it is attempted to achieve a substantial decrease in the “amber box” support that has a particularly distorting effect on trade. Another subject of the negotiations is the “blue box”, which includes direct support based on limits on production volumes that relatively few countries use. Some believe that it should be abolished, others want it to stay in place. As regards non-production related indirect support or the “green box” measures, there has been debate over the criteria for qualifying as green. Reduction of export subsidies is the central issue of these subsidies. Many countries, including the EU which is the largest user of export subsidies (90% of the whole world’s export subsidies), demand a greater discipline on other measures such as export credit, food aid and state export agencies, so as to prevent indirect and hidden subsidising of export. Developing countries have constantly demanded special relief from the overall discipline and the obligation to reduce support and tariffs. Developing countries were already given such relief under the Uruguay Round agreement, in which the developing countries had to reduce their support and safeguards to a lesser extent and over a longer period of time. As regards greater opportunities of providing domestic support for agriculture (as opposed to the 5% of developed countries, developing countries are allowed to give support to an extent of 10% of GAO), no country has so far actually used this opportunity. Another problem of developing countries
is that the status of a developing country is obtained in the WTO by the
country’s self-definition. That is why the same formal status applies to
countries of very different economic development levels (developing countries
include e.g. A large number “particularly vulnerable economies” have been pointed out among developing countries: net importers of food, small island states, the least developed countries, etc. An excessive differentiation into groups has been prevented so far in the negotiations context, but depriving the more developed countries of their developing country’s status is a politically sensitive issue and many countries try to avoid this topic. Non-trade concerns are already mentioned
in the Balance of powers The background of the positions lies in
the interests of the states and their status in the world’s agricultural
trade. The EU and the The Cairns Group that mainly consists of
countries with a high exporting power wishes to radically reduce all forms of
support and safeguards, while maintaining substantial advantages for
developing countries, among which the Cairns Group has many members. The
requirements of greater disciplining of state export enterprises and the sale
of tariff quota on an auction are a problem for many countries ( The NTCs group wishes that both tariffs
(the Uruguay Round formula with a general minimum of 10%) and domestic
support (reduction of support according to the Developing countries with different development levels (NFIDC, LDC, SIDC) particularly wish greater market access (a substantial reduction of tariffs) as well as substantial reduction of trade distorting support. They wish that all these measures be left in place in developing countries. The countries that joined the WTO
recently (after Transitional countries claim that the
difficulties they have undergone in the course of transition have weakened
their agriculture and opened the market. They request alleviation of the new
reduction commitments. However, many transitional countries will be members
of the EU already next year, which is why their eagerness in requesting preferences
has subsided, but these preferences may be granted to other large
transitional countries in the process of joining the WTO such as Development prognosis The second modality draft should be
ready by mid-March 2003 and be discussed at the AC special session at the end
of March. Because the proposals made so far are conflicting (some demand that
tariffs and support be reduced less than offered, others demand a greater
reduction), major changes are not very likely. The pressure is the strongest
on applying the Adoption of the CAP reform would give the European Community greater freedom in negotiations, as it would enable the abolishment of the “blue box” in the first place. A decision on modalities will probably
be taken only at the Ministerial Meeting of the WTO member states in Agricultural negotiations can be impeded by lack of progress in other areas, while success in agricultural negotiations may trigger progress in other areas. 4.4.2. Agriculture Committee “Blue box” measures that include a majority of direct aid amounted to EEK 227m in 2000 and EEK 196m in 2001. Estonia spent EEK 21m (0.3%) in 2000 and EEK 18m (0.3%) in 2001 on “amber box” measures, to which a 5% product based as well as a 5% general de minimise restriction applies. Estonia did not use product based “amber box” support in the year 2000 and EEK 0.8m of product based payments were made in 2001 to support beef cattle farming. In total, the “amber box” measures remained well below the allowed 5% (general) +5% (product based) limit, because the allowed 10% of GAO was EEK 661m in 2000 and EEK 596m in 2001. 4.4.3. Sanitary and Phytosanitary Committee In the Sanitary and Phytosanitary (SPS)
Committee, the dispute continued in Recognition of equivalence and special
and differential treatment of developing countries are the general central
topics of discussion. A mutual recognition of the equivalence of the control
systems of the states would facilitate mutual trade to a great extent, but
because of the different level of stringency of the respective requirements
of different countries, equivalence agreements are extremely hard to reach,
like By special and differential treatment,
developing countries wish to gain simplified access to the markets of
developed countries similarly to the more favourable trade policy measures.
However, in the area of SPS, developed countries cannot agree to this and
offer assistance on their part only in developing administrative capacity. A
Baltic regional seminar in the field of SPS was held in 4.4.4. Committee on Trade and Environment The Committee on Trade and Environment (CTE) also handles issues that concern agriculture, fisheries and forestry. In the case of fisheries, the subsidies paid for development of fisheries particularly in developed countries, on the one hand, and sustainable fishing that enables the preservation of fish reserves and notification of such fishing, on the other hand, are under pressure. Forestry problems concern restriction on trade in illegally cut forest. The environmental effect of agricultural trade is dual. On the one hand, excessive utilisation of soils causes problems such as soil erosion, desertification, pollution of groundwater and soil with residues, and on the other hand, agricultural production helps to maintain landscapes and biodiversity and to produce oxygen. Environmental negotiations are also held at the CTE special sessions, but a relevant agreement is not the aim at this stage. A number of international environmental conventions have been signed under the auspices of the UNO, which regulate the respective areas. In the present phase, attempts are being made to improve communication between the WTO and these conventions, and to acknowledge the environmental effect of trade. 4.4.5. Joining of new members The joining of new members has relevance
in the context of agriculture. Agriculture is one of the most difficult areas
when The level of tied domestic support that 4.5. Free trade agreements Several bilateral agricultural trade
negotiations were held in 2002 with Central European candidate states (
Table 1. EU quota for export to EU subject to most favoured nation duty
|
EKN code |
Description of goods |
|
Annual quantity, t |
||
|
|
Applicable duty (% of MFN) |
from 1.7.2002 to 30.6.2003 |
Yearly increase as from 1.7.2003 |
|
01029005 01029021 01029029 01029041 01029049 |
Live bovine animals of domestic species of a live weight not exceeding 80 kg Live bovine animals of domestic species of a live weight exceeding 80 kg but not exceeding 300 kg |
20 |
178,000 heads 153,000 heads |
0
0 |
(3) |
ex 00290 |
Heifers and cows of the following breeds: grey, brown, yellow, spotted Simmental and Pinzgau |
6% ad valorem |
7000 heads |
0 |
(4) |
0201; 0202 16025010 |
Beef, fresh, chilled or frozen Beef products, untreated or mixtures of cooked and uncooked meat or meat offal |
free |
1100 |
350 |
|
ex 0203 |
Meat of domestic species of swine, fresh, chilled or frozen (except for tenderloin) |
free |
2000 |
375 |
(5) (11) |
02061095 02062991 |
Thick skirt and think skirt of bovine animals, fresh, chilled or frozen |
free |
100 |
30 |
|
ex 0207 |
Meat and edible offal of poultry (of heading No. 0105), fresh, chilled or frozen |
free |
1005 |
250 |
(10) |
021019 |
Pigmeat: other cuts, salted, dried or smoked |
free |
100 |
30 |
|
0401 |
Milk and cream, not concentrated nor containing sweetening matter |
free |
800 |
150 |
|
04021019 04022119 |
Skimmed milk powder Whole milk powder |
free |
14,000 |
0 |
|
04031011 04031013 04031019 04031031 04031033 04031039 |
Yoghurt, unflavoured, without sugar or other supplements, of fat content by weight: not exceeding 3%, exceeding 3%, but not exceeding 6% exceeding 6% Others, of fat content by weight not exceeding 3%, exceeding 3%, but not exceeding 6%, exceeding 6% |
free |
800 |
240 |
|
04039059 04039061 04039063 04039069 |
Sour cream, of fat content by weight exceeding 6% up to 3% exceeding 3% up to 6% exceeding 6% |
free |
1 120 |
210 |
|
04051011 04051019 |
|
free |
4 800 |
900 |
|
040610 |
Fresh cheese (unripened or uncured), including curd |
free |
1 120 |
210 |
|
040620 040630 040640 040690 |
Other cheese (grated or powdered, processed cheese, blue-veined cheese, other cheese) |
free |
4 000 |
1 200 |
|
04070011 04070019 04070030 |
Eggs of poultry, for hatching |
free |
600 |
180 |
|
ex 0408 |
Birds’ eggs, both in shell, and egg yolks, fresh, dried, or otherwise preserved |
free |
205 |
40 |
(8) |
07032000 |
Garlic |
free |
60 |
5 |
|
07041000 07049010 |
Cauliflower, headed broccoli, white cabbages and red cabbages, fresh or chilled |
free |
270 |
10 |
|
07070005 07070090 |
Cucumbers, fresh or chilled |
free |
unlimited |
|
(7) |
07091000 |
Globe artichokes, fresh or chilled |
free |
unlimited |
|
(7) |
07099070 |
Courgettes, fresh or chilled |
free |
unlimited |
|
(7) |
080810 |
Apples, fresh |
free |
400 |
75 |
(7) |
08082050 |
Pears, fresh (except for unpackaged pears for making cider during 1 Aug – 31 Dec) |
free |
unlimited |
|
(7) |
08082005 |
Sour cherries (Prunus cerasus), fresh |
free |
unlimited |
|
(7) |
08092095 |
Cherries, fresh (except for sour cherries) |
free |
unlimited |
|
(7) |
Ex 08094005 |
Plums, fresh, 1 Jul – 1 Dec |
free |
unlimited |
|
(7) |
08101000 |
Strawberries, fresh |
free |
unlimited |
|
(6) |
081030 |
Black-, white- and redcurrants and gooseberries |
free |
130 |
30 |
(6) |
08111011 |
Strawberries, frozen, with a sugar content exceeding 13% by weight |
free |
240 |
45 |
(6) |
08111019 |
Strawberries, frozen, with a sugar content not exceeding 13% by weight |
free |
unlimited |
|
(6) |
08111090 |
Strawberries, frozen, other |
free |
unlimited |
|
(6) |
08112011 |
Raspberries, blackberries, black-, white- or redcurrants, gooseberries, mulberries; frozen; with a sugar content exceeding 13% by weight |
free |
640 |
120 |
|
08112019 |
Raspberries, blackberries, black-, white- or redcurrants, gooseberries, mulberries; frozen; with a sugar content not exceeding 13% by weight |
free |
unlimited |
|
(6) |
08112031 |
Raspberries, other, frozen |
free |
unlimited |
|
(6) |
08112039 |
Blackcurrants, other, frozen |
free |
unlimited |
|
(6) |
08112051 |
Redcurrants, other, frozen |
free |
unlimited |
|
(6) |
08112059 |
Blackberries and mulberries, other, frozen |
free |
unlimited |
|
(6) |
08112090 |
Other |
free |
unlimited |
|
(6) |
ex 1001 |
Wheat and meslin, except for EKN heading 1001 90 10 |
free |
4 400 |
1 300 |
|
1002 |
Rye |
free |
1 500 |
500 |
|
10030010 ex 10030090 |
Barley, seed Barley, except for barley for malt |
free |
6 500 |
2 000 |
|
ex 10030090 |
Barley, for malt |
free |
unlimited |
|
|
100400 |
Oats |
free |
4 800 |
900 |
|
1101 |
What or meslin flour |
free |
2 000 |
600 |
|
ex 1102 |
Cereal flours (of other than wheat or meslin) and except for EKN heading 1102 90 90 |
free |
2 000 |
600 |
|
ex 1103 |
Cereal groats, meal and pellets, except for EKN headings 1103 19 90 and 1103 20 90 |
free |
100 |
30 |
|
110813 |
Potato starch |
free |
100 |
30 |
|
ex 160100
160241 160242 160249 |
Sausages and similar products of meat, blood, meat offal Other prepared or preserved pigmeat, meat offal or blood : of hindquarters and cuts thereof, of shoulders and cuts thereof, of other, including mixtures |
free |
960 |
180 |
(9) |
16023211
16023921 |
Other prepared or preserved meat, meat offal or blood of poultry of heading 0105: Fowls of the species Gallus domesticus, uncooked Poultry other than fowls of the species Gallus domesticus |
free |
160 |
30 |
|
22071000 |
Undenatured ethyl alcohol, with alcohol content of 80% by volume or higher |
free |
71 |
3 |
|
2309 |
Preparations of a kind used in animal feeding, except for EKN headings: 2309 10 51, 2309 10 90, 2309 90 10, 2309 90 20 2309 90 31, 2309 90 41, 2309 90 51, 2309 90 91 |
free |
200 |
50 |
|
(3) The quota is opened for account of the needs and balance of its market within the limits of its legislation. (4) The quota is opened for the (5) Except for tenderloin presented alone. (6) Subject to minimum import price approved by the EU. (7) The reduction applies only to the ad valorem part of the duty. (8) Except for EKN headings 0408 11 20, 0408 19 20, 0408 91 20 and 0408 99 20 (100 kg of liquid egg = 25.7 kg of dried eggs). (9) Except for EKN headings 1601 00 10, 1602 41 90, 1602 42 90, 1602 49 90. (10) Except for EKN headings 0207 13 91, 0207 14 91, 0207 26 91, 0207 27 91, 0207 34 10, 0207 34 90, 0207 35 91, 0207 36 81, 0207 36 85, 0207 36 89. (11) Except for EKN headings 0203 11 90, 0203 12 90, 0203 19 90, 0203 21 90, 0203 22 90, 0203 29 90. Source: Official Journal of the European Communities L 170/15 of 27.06.2002.
An additional protocol to the Europe
Agreement entered into force on established the procedure for trade in fish and certain fish products and abolished all customs duties and quantitative restrictions (100% opening of market) for all products covered by Annex VI to the Europe Agreement (Table 2). Table 2. Products exported to EU without trade restrictions
|
CN codes |
Taric subheading |
Description |
|
0301 92 00 0302 66 00 0303 76 00 |
|
Live,
fresh/chilled or frozen eel (of the species |
|
0302 50 0302 69 35 0303 60 0303 79 41 |
|
Fresh, chilled or frozen cod (Gadus morhua, Gadus ogac, Gadus macrocephalus) and coalfish of the species Boreogadus |
|
0302 50 10 |
|
Fresh or chilled cod (Gadus morhua) |
|
0302 69 19 0303 79 19 |
|
Other fresh, chilled or frozen fish |
|
ex 0302 69 19 |
*10 |
Fresh or chilled perch, pike, and pike perch |
|
ex 0304 10 19 |
*20 *90 |
Other fresh, chilled or frozen freshwater fish fillet, except carp fillet |
|
ex 0304 20 19 |
*20 *30 *90 |
|
|
0304 10 11 through 0304 10 38 0304 20 |
|
Fresh, chilled or frozen fish fillet |
|
ex 1604 13 90 |
*91 *92 |
Prepared or preserved sprats or smoked sprats (Sprattus sprattus) |
|
ex 1604 19 94 ex 1604 19 95 |
*10 *10 |
Prepared or preserved hake (of the species Merluccius) Prepared
or preserved |
|
1604 20 10 |
|
Prepared or preserved salmon |
|
1604 20 70 |
|
Prepared or preserved tuna, skipjack or other fish of the genus Euthynnus |
|
1604 20 90 |
|
Other prepared or preserved fish |
Besides that, the customs tariff applicable to the fish and fish products not included in the most favourable nation quota list (Table 3) was reduced by one-third.
Table 3. Products exported to the EU at lowered customs tariffs
CN code |
Description of goods |
a) 0301 0302
0303 0304 |
Live fish Fresh or chilled fish, except for fish fillet and other fish meat of heading 0304
Frozen fish, except for fish fillet and other fish meat of heading 0304 Fish fillet and other fish meat (including minced), fresh, chilled or frozen |
b) 0305 |
Fish, dried, salted, or in brine, cold or hot smoked; fishmeal, powder and pellets fit for human consumption |
c) 0306
0307 |
Crustaceans, shelled or unshelled, live, fresh, chilled, frozen, dried, salted, or in brine; boiled or steamed crustaceans (unshelled), including chilled, frozen, dried, salted or in brine; meal, powder, and pellets fit for human consumption
Molluscs, shelled or unshelled, live, fresh, chilled, frozen, dried, salted or in brine; aquatic invertebrates (except for crustaceans and molluscs), live, fresh, chilled, frozen, dried, salted or in brine; meal, powder and pellets of aquatic invertebrates other than crustaceans which are fit for human consumptions |
d)
0511 91 10
0511 91 90 |
Animal products unmentioned elsewhere; dead animals of groups 1 or 3 unfit for human consumption: – other: – – products of fish, crustaceans, molluscs and other aquatic invertebrates; dead animals of group 3: – – – fish waste – – – other |
e) 1604 |
Prepared and canned fish; caviar and caviar substitutes |
f) 1605 |
Prepared or preserved crustaceans, molluscs and other aquatic invertebrates |
g)
1902 20
1902 20 10 |
Pasta products, including cooked or otherwise prepared, stuffed (e.g. with meat or other substances) or otherwise prepared, spaghetti, macaroni, noodles, lasagne; gnocchi, raviolis, cannelloni; couscous, whether or not prepared: – Uncooked pasta, not stuffed or otherwise prepared: – Stuffed pasta, whether or not cooked or otherwise prepared: - - Containing more than 20 % by weight of fish, crustaceans, molluscs or other aquatic invertebrates |
h)
2301 20 00 |
Powder, meal or pellets made of meat or offal of fish, crustaceans, molluscs or other aquatic crustaceans which are unfit for food; greaves: – Powder, meal, and pellets of fish, crustaceans, molluscs or other aquatic crustaceans |
One year
after the entry into force of the protocol (
both parties will reduce the customs duties of the products listed in the
Table by another one-third.
Dati estratti dal sito del Ministero dell’Agricoltura della Repubblica di Lituania
Agriculture of Lithuania 2004
The share of agriculture in the national economy
Agriculture and food production
Crop production
Flax
Rape
Vegetables and fruit
Stock breeding
Lithuanian foreign trade in agricultural and food industry
Market regulation means
AGRICULTURE AS A PART OF THE COUNTRY'S ECONOMY
The year 2003 was distinguished for a rapid growth of the results in all
economic sectors. According to provisional data, the Gross Domestic Product
(GPD) made 55.74 billion Litas in 2003 at current prices; the GPD changed per
year reached 9 percent, when recounted in constant prices. Such a striking
growth of GPD ensured a place for
According to provisional data, in 2003 the GPD per capita rose even quicker and reached 9.4 percent. GPD per capita increased in 1252 Litas and made 16.14 thousand Litas per year at constant prices.
GROSS DOMESTIC PRODUCT
|
Total |
Per capita |
|||||||||
At current prices, mill. Litas |
At constant prices of 2000 |
mill. Euro |
At current prices, mill. Litas |
At constant prices of 2000 |
USD |
Euro |
|||||
mill. Litas |
Change, % |
mill. Litas |
Change, % |
||||||||
**) |
***) |
**) |
***) |
||||||||
2000 |
45526 |
45526 |
3.9 |
3.9 |
12362 |
13009 |
13009 |
4.7 |
4.7 |
3252 |
3533 |
2001 |
48379 |
48429 |
6.4 |
6.4 |
13512 |
13897 |
13911 |
6.9 |
6.9 |
3474 |
3881 |
2002* |
51633 |
51701 |
6.8 |
6.8 |
14925 |
14884 |
14903 |
7.1 |
7.1 |
4078 |
4302 |
2003*) |
55737 |
56335 |
9.0 |
9.0 |
16142 |
16136 |
16310 |
9.4 |
9.4 |
5291 |
4673 |
* Non-final data
*) Provisional data
**) Compared to the previous period
***) Compared to the corresponding period of the previous year
Source:
Department of Statistics under the Government of the
A significant share of Lithuanian GPD is created in the agricultural and food sector. Next to a spectacular growth in different types of industry (energy 24.8 percent, construction 17.1 percent, manufacturing 14.1 percent, mining 13.0 percent), the increase of GPD added by agriculture in 2003 was 5.6 percent and looks statistically poorer (in 2002 agriculture created 6.1 percent of the national GPD, while the increase of the whole national GPD was 6.7 percent). The value of agricultural production, created in 2003 was 4.096 billion Litas (at current prices)
Although farmers do not keep up with the accelerating growth of the industry, the quantitative and qualitative results of production, purchase and foreign trade of agricultural products in 2003 are rather high. Preliminary calculations at current prices show that all production of agricultural products increased by 2 percent; although crop production decreased by 2 percent (especially the production of potatoes 23 percent and sugar beet 14 percent), but the production of animal products rose by 8 percent (production of meat products by 13 percent, production of milk products by 5 percent).
Last year 179.1 thousand tones of livestock and poultry (in live weight) and 1.225 million tones of milk (of basic fat content) was purchased, which respectively is 28 and 7 percent more than in 2002; only an egg purchase decrease of 7 percent was recorded in comparison to 2002 (to 483.8 million units).
In the presence of rich harvest, the purchase of crop production highly amounted, except for sugar beet, whose purchase declined by 5 percent (only 995.0 thousand tones) and rape, whose purchase dropped by 7 percent (89.4 thousand tones). A high increase of other agricultural products is evident 823.100 thousand tones of grain (18 percent more), 21.6 thousand tones of vegetables (56 percent more), 9.9 thousand tones of flax fibre (61 percent more) and 75.4 thousand of fruits and berries (twice as much as previous year) was purchased.
Although the purchasing prices for agricultural production fell down in 2003, but according to preliminary calculations, the higher purchased amount determines the increase of payments to farmers. Putting together direct and compensation payments, the total income of farmers from realization of agricultural products amounted to 1.8 billion Litas, and, in comparison to 2002, rose by 5 percent. Last year, income of the employed in agriculture per capita (direct state support included) was 7.6 thousand Litas (5.2 thousand Litas in 2000, 6.8 thousand Litas in 2001, 7.2 thousand Litas in 2002).
The production of agricultural products grew in 2003 as well the production of sausages and smoked meat products in Lithuanian companies increased by 11.8 percent (in comparison to 2002), total supply of it made 51.2 thousand tons; the production of meat and first-category edible meat by-products grew by 23.5 percent (to 94.5 thousand tons). The level of juice production went up approximately by a quarter, to 12.05 million litres, and the volume of yogurt production jumped by 32.6 percent to 15.477 thousand tons. In 2003, vodka and liqueur production rose by 6.2 percent (in comparison to 2002) and amounted to 2.619 thousand decalitres; though the production of sparkling grape wine declined by 15.2 percent to 221.1 thousand decalitres. Over the last year Lithuanian companies produced 4.8 percent more of bakery products 157.2 thousand tons.
In 2003, the foreign trade turnover of Lithuanian agricultural and food products increased by 15 percent more against 2002; exports of Lithuanian agricultural and food products increased by 25 percent or 424 million Litas, import grew by 7 percent or 126 million Litas.
AGRICULTURAL AND FOOD PRODUCTION
Lithuanian climate conditions and natural soil productivity allow agrarians to cultivate the following plants typical for this latitude wheat, rye, rape, flax, sugar-beet, potatoes, fruits, vegetables, etc. Comparatively small pollution of soil, water and air allows developing the production of ecological and natural products.
In 2003, compared to 2002, the yield of grains increased by 11 percent, rape by 13 percent, field vegetables 2.1 times. The growth was based on the particularly increased yield of winter grain (24 percent) and legume grain (33 percent). Farmers strive for bigger harvest more and more effectively applying yield increasing measures and not only increasing crop area. Area under grain became smaller by 7 percent in 2003; this area decreased by 11 percent in individual and family farms, but increased by 13 percent in agricultural companies and enterprises. The area under spring grain became smaller by 17 percent, legume crop 42 percent and land of grain cereals became larger by 9 percent. The yield of sugar-beets increased by 5 percent, whereas their harvest decreased by 7 percent, because farmers had sowed sugar-beets less by 11 percent. After land under potatoes decreased by 6.1 percent, the potato harvest decreased by almost 5.7 percent as well.
According to preliminary data of 2003 crop production, having in mind prices in 2002, decreased by 2 percent, but price index increased in average by 5.9 percent. Last year, prices of cucumbers increased by 24.0 percent, potatoes by 21.5 percent, tomatoes by 15.4 percent, oat by 13.7 percent, buckwheat 12.4 percent, flax fibre 8.5 percent; prices of cabbage decreased by18.1 percent, beetroot by 6.0 percent.
The total area of agricultural land declared by
CROPLAND, HARVEST AND FECUNDITY ACCORDING TO FARM CATHEGORIES
2003 2002 All farms Individual and family farms Agricultural ventures and enterprises All farms Individual and family farms Agricultural ventures and enterprises Grain, in total Area, thousand ha885.2 722.4 162.8 954.2 810.4 143.8 Yield, thousand tones 2680.3 2117.1 563.2 2602.0 2109.0 493.0 Fecundity, 100 kg/ha 30.3 29.3 34.6 27.3 26.0 34.3 Winter grain Area, thousand ha422.4 329.2 93.2 388.7 314.4 74.3 Harvest, thousand tones 1386.4 1050.9 335.5 1329.8 1018.2 311.6 Yield, 100 kg/ha 32.8 31.9 36.0 34.2 32.4 42.0 Spring grin Area, thousand ha441.9 376.7 65.2 529.3 464.9 64.4 Harvest, thousand tones 1245.4 1029.3 216.1 1209.3 1037.6 171.7 Yield, 100 kg/ha 28.2 27.3 33.2 22.8 22.3 26.6 Legume crop Area, thousand ha20.9 16.5 4.4 36.2 31.1 5.1 Harvest, thousand tones 48.5 36.9 11.6 62.9 53.2 9.7 Yield, 100 kg/ha 23.2 22.4 26.4 17.4 17.1 19.2 Sugar-beet Area, thousand ha25.9 16.2 9.7 29.2 18.5 10.7 Harvest, thousand tones 977.4 605.8 371.6 1052.4 672.7 379.7 Yield, 100 kg/ha 378.0 374.4 384.2 359.9 364.0 352.9 Rape Area, thousand ha66.8 46.7 20.1 60.0 41.9 18.1 Harvest, thousand tones 119.5 81.4 38.1 105.6 72.6 33.0 Yield, 100 kg/ha 17.9 17.4 18.9 17.6 17.3 18.2 Potatoes Area, thousand ha93.2 92.5 0.7 99.2 98.6 0.6 Harvest, thousand tones 1445.2 1432.5 12.7 1531.3 1521.1 10.2 Yield, 100 kg/ha 155.1 155.0 172.7 154.4 154.3 170.3 Vegetable (field) Area, thousand ha27.6 27.4 0.2 20.7 20.6 0.1 Harvest, thousand tones 536.1 528.8 7.3 261.0 259.71.3 Yield, 100 kg/ha 194.0 193.1 288.7 126.1 125.9 158.9 Source:
The Department of Statistics under the Government of the
Purchase In 2003, when the harvest was rich, it was purchased more crop products than in 2002, except for sugar-beet (less by 5 percent or 995,000 t) and rape (less by 7 percent or 89.400 t). Purchased amount of vegetables increased by 21.600 t or by 56 percent, flax straws by 9.900 t or by 61 percent.
Until
this year, 427.620 tones of grain were exported, including 402.900 t of
wheat, 22.400 t of barley and 2.320 t of buckwheat. Most of grain was
exported to the
At the beginning of January of 2004, Lithuanian grain producers kept more than 496 000 t of corn (152000 t of wheat) in their storehouses.
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PROCUREMENT OF GARDENING PRODUCTS IN 2003 Amount- in tones; Payments- in thousand LTL; Price – LTL/ tone
2002 2003 Comparing with 2002, % Corn 697884 828871 119 Purchased from: Farmers and other habitants 394135 545146 138 Agricultural ventures and enterprises 303749 28372593 Payments 269150 314792 117 Average price 386 380 98 Crop 693862 823101 119 Purchased from: Farmers and other habitants ... 541647 ... Agricultural ventures and enterprises ... 281454... Payments 267210 312090 117 Average price 385 379 98 Legume crop corn 4022 5770 143 Purchased from: Farmers and other habitants ... 3499 ... Agricultural ventures and enterprises ... 2271 ... Payments 1940 2703 139 Average price 482 468 97 Rape seeds 96278 89445 93 Purchased from: Farmers and other habitants 52493 60318 115 Agricultural ventures and enterprises 43785 29127 67 Payments 71738 67502 94 Average price 745 755 101 Flax straws 22258 36045 162 Flax fibre 6166 9925 161 Purchased from: Farmers and other habitants 4840 7857 162 Agricultural ventures and enterprises 1326 2068 156 Payments 5471 9033 165 Average price 887 963 109 Sugar-beet Recalculated to the basic sugary 1051485 995042 95 Purchased from: Farmers and other habitants 645339 617904 96 Agricultural ventures and enterprises 406146 37713893 Payments 158638 120838 76 Average price 151 121 1) 80 Potatoes 15120 14972 99 Purchased from: Farmers and other habitants 12162 13209 109 Agricultural ventures and enterprises 2958 1763 60 Payments 3852 4635 120 Average price 255 310 122 Vegetables 13859 21590 156 Purchased from: Farmers and other habitants 10881 16312 150 Agricultural ventures and enterprises 2978 5278 177 Payments 11861 19762 167 Average price 856 915 107 Fruits 37605 75381 200 1) Without calculating state grants Source:
Department of Statistics under the Government of the
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In these latter years, the main producers in the crop production sector were farmers and other habitants, who had managed to grow roughly 80 percent of all crop production per year. Almost all harvest comprised of potatoes, vegetables and most of feeding plants are being grown in individual or family farms. The increase of the yield is much more predetermined by agricultural companies and enterprises than by farmers and other habitants; modern farms and progressive agricultural enterprises grow the richest harvest. Farms, having invested into production modernization and effectiveness have already reached the yield typical of the EU countries.
In the period of 2002 2003, 192 investment projects of the SAPARD support programs were approved for both development and marketing of the following farms in the crop production sector: fruits and vegetables (33 projects of the value LTL 27.116 million), flax and grain cultures (159 projects, the total value LTL 90603 million).
Traditionally largest crop areas of these agricultural cultures undergo year-to-year decrease: in 2000 these areas amounted to 1019.400 ha; in 2002 954.200 ha and in 2003 to 885.200 ha only. The largest areas are covered by winter wheat of 253.700 ha and winter barley of 204.200 ha.
In 2003, the amount of threshed grain increased by 100.000 t and the average yield was increased from 2.7 t/ha to 3.07 t/ha. Such a result has been reached at once, following the increase in the yield of spring grain by 24 percent. Owing to bad winter conditions, the yield of winter grain decreased by 4 percent in the period of 2002 2003.
In 2003, the surplus of food grain was reached in
The weather conditions in 2003 were especially good for flax growing, farmers being enjoyed of the heavy crop. Last year, the crop area made 9.6 thousand ha as compared to 9.2 thousand ha in 2002. In 2003, flax producers were paid LTL 13.3 million of direct payments (LTL 1.3 million more than in 2002).
Following
Flax fibre processors are intended to be supported for the national guaranteed amount of flax fibre, i.e. for a tone of processed flax fibre. Thus processors shall get LTL 552 for a tone of long fibre, and LTL 311 for a tone of short fibre. The total compensation paid to flax fibre processors shall be LTL 2.33 million.
In 2003, compared to 2002, the area under rape increased by 11.3
percent; the area under spring rape increased by 50 percent (on
In 2003, The harvest of garden vegetables increased in 2.1 times. The growth was predetermined by the increase in the yield by 53 percent and in area by 33 percent in the individual and family farms, since the total area of garden vegetables reached only 0.9 percent in agricultural companies and enterprises. In 2003, the average yield of cabbage reached 800 cnt/ha, while beetroots made about 400 cnt/ha in special plant-growing farms.
Last year, vegetable prices were less than in the previous years,
because of greater yield and lack of storehouses. The decrease in import from
Last year cabbages were exported to
LTL 19 million was received from the purchase of vegetables and potatoes
in 2003. Farmers with modern storehouses are planning to supply cabbage and
carrots to the market by the new harvest. In
Last year payments for vegetable and potatoes areas have been made for the first time (the sum of LTL 1.7 million was allotted).
In 2003, The area of fruit-gardens or berry-gardens reached 42.3
thousand ha in
Buyable fruit-gardens and berry-gardens are located in middle
The state is supporting planting of new gardens: LTL 1.8 million was given for the direct payments to carefully maintained buyable fruit-gardens and berry-gardens in 2002. The sum of this support increased up to LTL 2.5 million, in 2003. Pursuant to the planned allotment for 2004, the direct payment of 116 LTL/ha would be given for potatoes, vegetables, fruit-gardens and berry-gardens.
STOCKBREEDING
Favourable natural conditions, stocks of
feedstuffs, traditions and experience in animal breeding, diary and meat
production allow
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STOCKBREEDING PRODUCE IN NATIONAL FARMS 2001 2002 2003* Increase, decrease (-, ) in 2003 as compared to 2002 Meat (live weight), thousand t 208.3 235.2 274 16 Milk yield, thousand t 1729.81780 1861 5.1 Gathered eggs, mill. units 742 790 805 0.8 *Under preliminary data Sources: The Department of Statistics, the Ministry of Agriculture
In 2003, there was an increase in output of stockbreeding by 8 ?, in the number of animals and poultry slaughtered by 16 %, in milk yield by 5.1 % and in the number of eggs gathered by 0.8 %.
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ANIMALS AND POULTRY SLAUGHTERED BY SPECIES IN 2003 In total Farms of agrarians and other habitants Agricultural Companies and enterprises 2002 2003 2002 2003 2002 2003 Animals and poultry, in total Live weight, t 139718 179056 53000 70559 86718 108497 Payments, thousand LTL 449304 475010143120 140186 306184 334824 Cattle Quantity 117321 162856 96113 13659721208 26259 Live weight, t 49327 68148 40084 56902 9243 11246 Average weight, kg 420 418 417 417 436 428 Payments, thousand LTL 123060 11544398898 95920 24162 19523 Average price, LTL/ t 2495 1694 2467 1686 2614 1736 Pigs Quantity 619653 772002 111683 124922 507970 647080 Live weight, t 61517 76450 12352 13319 49165 63131 Average weight, kg 99 99 111 107 97 98 Payments, thousand LTL 219421 257488 42269 42636 177152 214852 Average price, LTL/ t 3567 3368 3422 3201 3603 3403 Sheep and goats Units 1346 2422 1220 2331 126 91 Live weight, t 58 112 52 108 6 4 Average weight, kg 45 46 45 47 47 41 Payments, thousand LTL 258 519 228 502 30 17 Average price, LTL/ t 4254 4619 4179 4624 4955 4460 Poultry Thousand of units 14432 17599 12 22 14420 17577 Live weight, t 26416 34305 23 190 26393 34115 Payments, thousand LTL 98510 1011403 70 971 98440 100432 Average price, LTL/ t 3729 2956 3011 5111 3730 2944 Rabbits Quantity 6470 11056 6470 11056 - - Live weight, t 17 40 17 40 - - Average weight, t 3 4 3 4 - - Payments, thousand LTL 86 157 86 157 - - Average price, LTL/ t 3917 3934 3917 3934 - - Horses Quantity 198 1 178 - 20 1 Live weight, t 117 1 105 - 12 1 Average weight, t 587 580 589 - 567 580 Payments, thousand LTL 486 0.0 444 - 42 0.0 Average price, LTL/ t 4180 200 4237 - 3654 200 Meat procurement, recalculated into live weight Cattle Live weight, t 1295 - 237 - 1058 - Payments, thousand LTL 4289 - 648 - 3641 - Average price, LTL/ t 3305 - 2723 - 3436 - Pigs Live weight, t 971 - 130 - 841 - Payments, thousand LTL 3194 - 477 - 2717 - Average price, LTL/ t 3297 - 3701 - 3236 - In 2003, stock production cheapen by 14.1 %; the major decrease in price was of cattle production by 31.2 %, poultry by 14.1 % and milk by 11.0 %, though price of eggs increased by 21.5 %. In 2003, therefore, considering change of price in the plant cultivation sector, the price index, indicating the procurement of agricultural produce declined by 9.4 % as compared to the year 2002.
The decline in stock procurement prices has been beneficial to processing agrarians. In 2003, they bought 179.1 thousand t of animals and poultry (in live weight), i.e. increase by 28 % as compared to the year 2002 and 1.225 million t of milk (recalculated into base richness), i.e. increase by 7 %, though egg buying suffered decline by 7 % or up to 483.8 million units in comparison with the previous year.
Gross quantity of natural richness milk bought for dairying increased by 7 % or up to 1025.2 thousand t as compared with the year 2002.
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STOCK PRODUCTION PROCUREMENT Quantity in tones, Payments (thousand LTL); price (LTL/ t) 2002 2003 Compared to 2002, % Animals and poultry, in live weight In total 139718 179056 128 Purchased: Agrarians and other habitants farms 53000 70559 133 Agricultural companies and enterprises 86718 108497 125 Animals and poultry, in carcass weight (excluding variety meat) In total: 90994 115823 127 Purchased: Agrarians and other habitants farms 28592 38038 133 Agricultural companies and enterprises 62402 77785 125 Payments 449304 475010 106 Average price of live weight 3216 2643 82 Average price of carcass weight 4938 4101 83 Liquid milk, in total 970293 1025171 106 Purchased: Agrarians and other habitants 829853 872027 105 Agricultural companies and enterprises 140440 153144 109 Milk, recalculated into base richness, in total: 1140601 1225061 107 Purchased: Agrarians and other habitants farms 972500 1035863 107 Agricultural companies and enterprises 168301 189198 112 Payments 520888 439102 1) 84 Average price of liquid milk 537 428 2) 80 Average price of milk, recalculated into base richness 457 358 3) 78 Eggs, thousand units (sold by agricultural companies and enterprises) 521247 483757 93 Used for incubation 4092 3111 76 Payments 78468 88902 113 Average price, LTL/ 1 thousand units 151 184 122 Source: Department of Statistics
Capacity of the animal breeding sector is relatively law as compared with the EU states. Mainly, it is predetermined by the fact that most of animal breeding farms are small; larger animal herds are possessed by many agricultural companies and enterprises, though smaller marketable herds kept by farmers being much more productive.
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DISTRIBUTION OF AGRICULTURAL AND RURAL POSSESSIONS ACCORDING TO THE TYPES OF POSSESSORS AND NUMBER OF POULTRY* Types of possessors of agricultural and rural possessions Number of agricultural and rural possessions Number of the cattle bred Number of pigs bred Number of poultry bred Gross AverageGross Average Gross Average Natural person 257235 757701 2.9 612918 2.4 2088562 8.1 Legal entity 620 110738 178.6 278673 449.5 2575321 4153.7 In total: 257855 868439 3.4 891591 3.5 4663883 18.1
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* Excluding agricultural and rural possessions with no animals or poultry bred Source: Agricultural
information and rural development centre, data of
Stockbreeders, mainly, choose one of the stockbreeding types – diary or pork production blended with plant cultivation, while some large agricultural companies are engaged in complex stockbreeding – integrated meat and diary production. The number of modern farms is increasing; more than 86 million LTL are allotted under the SAPARD support programme “Agriculture and rural development” on purpose to develop stockbreeding trends pursuant to 108 approved projects. |
DIARY SECTOR
In 2003, gross diary production increased by 6 percent, though situation in national diary sector remained complicated. At the beginning of 2004, the situation has barely changed as a result of both fall in export prices in the world market and drop in dollar’s exchange rate. The negative effect has been also done to the procurement price of raw milk, i.e. the average price reached only LTL 430, whereas small diary producers had to face up with lower prices. The centralized milk composition and quality research system has been employed for several years already. As a result, the quality of bought milk undergoes real improvement: in 2003, about 79 percent of milk was bought as compared to 52 percent in 2001. All samples of milk are tested in the Public Enterprise “Pieno tyrimai” and according to the obtained data, dairying enterprises settle up with raw milk suppliers.
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QUALITY OF MILK BOUGHT, in tones Quantity Compared to gross quantity, (%) Fat Protein 2002 2003 Quant.% Quant.% Milk of natural fatness 1025171 100.0 100.041899 4.09 33545 3.27 Highest sort 806141 64.8 78.6 x x x x First sort 133027 22.1 13.0 x x x x Second sort 60466 10.6 5.9 x x x x Of no sort 25537 2.5 2.5 x x x x Source: The Department of Statistics
The number of controlled cows increased by one third
or 33 percent as compared to the previous period. On
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THE NUMBER OF COWS IN CONTROL GROUP AND DINAMICS OF THEIR PRODUCTIVITY Year Average number of controlled cows in thousand Average productivity per year Milk, kg milk fat milk protein % kg % kg 2000-2001 90.6 4863 4.32 210 3.3161 2001-2002 116.2 5015 4.24 213 3.33 167 2002-2003 154.6 5031 4.35 219 3.39 170 Source:
Public
Dairying According to the data of the Lithuanian Department of Statistics for the year 2003, production of main exportable products – fermented and melted cheese – in national dairying companies increased by 1.7 % or up to 50.377 thousand tones, while production of yoghurt increased up to 1.14 thousand tones as compared with the year 2002. There was a decline in production of drinkable milk, ice-cream and tinned milk in 2003. Over the year, 62.1 thousand tones of drinkable milk were produced, i.e. 8.6 % less than in 2002; 14.4 thousand tones of ice-cream (8.8 % less as compared to the year 2002) and 8.2 thousand tones of tinned milk (7.5 % less than in 2002).
In the final analysis, national dairying industry has completed the shake-up and concentration process of the branch. In 2002, three large groups of companies (including their affiliates) – Public Limited Liability Company AB “Rokiskio suris”, AB “Pieno zvaigzdes” and AB “Zemaitijos pienas” – successfully occupied national diary market with overall capacity to process 80 % of milk bought. Such companies as Private Limited Liability Company UAB “Vilkyskiu pienine” and UAB “Marijampoles pieno konservai” are also increasing their yielding capacity in the field. |
MEAT SECTOR
Meat production is one of the underlying agricultural branches in the country. In 2003, this sector made 20 percent of gross agricultural produce value. Following several year decline in meat production, last year a substantial increase was reached in the country: roughly 16 percent of animals and poultry was slaughtered and their procurement (in live weight) increased by 28 percent (in total – 179.1 thousand tones). The major part of animals and poultry bought made 42.7 % of pork, 38 % of cattle and 19.2 % of poultry; despite the fact that the procurement of other breed of animals, including sheep, goats, rabbits and horses, increased as twice as much, the overall buying in gross quantity was small (by several tones).
Last year, a substantial growth of cattle
procurement (in live weight) up to 38 percent was recorded. In 2003, 68,148
thousand tones of cattle were bought. Although, pork and its products is of
particular demand in national market, stockbreeders, on the threshold of
entering the EU and with regard to the growing number of cattle, perceived
that demand in beef is also increasing. In these latter years, a slight
growth in the number of beef and crossbreed cattle has been noticed. National
statistics show that in 2001 – 13 508, in 2002 - 16547, in 2003 – 20404 and
on
|
NUMBER OF ANIMALS Date Number of cattle Number of cows Number of sheep Number of goats Source: The Department of Statistics, Agricultural information and rural development centre
However, the over past year 2003 has adjusted the situation in Lithuanian meat market, thus disappointing stockbreeders not only in gradually declining prices of cattle procurement, but also in sudden slump of pig procurement prices, which were relatively high in the course of the year.
Since
Last year, the procurement of poultry increased by 30 percent, thus in the gross national balance it makes one fifth of gross buying (in 2003, increase by 19.2 %). About 90 percent of poultry is produced in six national poultry-yards, the main specialization of which is broiler breeding. The poultry-yards are engaged in breeding and slaughter of broilers as well as production of poultry of different stock. The major part of poultry is produced in the agricultural companies as well as in the farms of agrarians and other habitants of the country. Broilers, geese, ducks, turkeys and, lately, ostriches are bred in the farms. The domestic market is being supplied with 80 percent of poultry bred in the country and roughly 105 percent of eggs. Approximately, 9 kg of poultry and 170 eggs produced fall to one habitant of the country. In 2003, roughly 34 thousand tones of chicken and its products were produced, most of it being realized in the internal market. Lithuanian enterprises produced sausages and smoked meat products up by 11.8 percent as compared to the year 2001, i.e. 51.2 thousand tones in total; production of meat and variety meat of the first category increased by 23.5 percent.
Lithuanian meat as well as diary sector, in comparison with the neighbouring and Baltic states, have made good preparations (especially, in the field of quality) for the work under the EU conditions (for more information see the chapter “Quality policy”). In 2003, eight million LTL of direct payoffs were paid for the cattle slaughtered. 188.338 million LTL are allotted from the SAPARD support programme “Agriculture and rural development” and 73 projects intended to promote processing and marketing trends; these funds together with those from the structural foundations enable to betimes develop marketable stockbreeding farms as well as meat processing industry.
|
ECOLOGICAL AGRICULTURE
The General Agricultural Policy of the EU is
increasingly paying attention to the ecological agriculture. The trend of
ecological agriculture commenced more than a decade ago. In 1990, the
Ecological Agriculture Association „Gaja“ was established, the Lithuanian label
for ecological products was created and patented, Certification systems were
implemented. In 1993, the agricultural reform program approved by the
Government was started in the most delicate agricultural area of the Country,
i.e. in the Northern region of
In 2003, 697 ecological production farms were
certified. This number has almost doubled in comparison to 2002, when 393 farms
were certified. The certified area of ecological farms increased nearly three
times - from 8 780 ha (2002) to 23 244 ha (2003), in other words it constitute
about 1 percent of all Lithuanian agricultural landed property. The rate of
Ecological Agriculture Sector development indicates that ecological production
is becoming one of the alternative sources for creation of work places in
Lithuanian villages. The number of people, believing that upon
Since 1997, the development of ecological agriculture has been supported by the Government, i.e. those, who pursue ecological agriculture, receive direct allowances; they are supported by other means as well. In 2003, 3,8 million LTL were paid as direct allowances for 697 certified farms in order to support ecological agriculture. As of 2004, the development of ecological agriculture shall be supported by Ecological Agriculture Program named “Agrarian environmental protection”, Country development plan 2004-2006. The support shall be given for a certified area of land used for the production of ecological agricultural as well as food products.
In order to receive such a support, the owner of ecological farm shall be obliged to certify his farm every year as well as follow the requirements of Good Farming Practice that promote environmental protection. The owner shall be obliged to keep a register of agricultural activities. The owner shall not be allowed to decrease the ecological production areas, except for unforeseen and unavoidable events, in other words force majeure.
Lithuanian farmers have really good opportunities for the development of ecological farming, because it has lots of landed property untouched by intense agricultural activity as well as areas not subjected to the environmental pollution.
LITHUANIAN FOREIGN TRADE IN AGRICULTURAL AND FOOD INDUSTRY
General information about trade
Increase of production scopes and efficiency, modernisation of farms, introduction of higher quality requirements, decrease of trade barriers had an influence for the balance of agricultural and food product trade. This balance became positive for the first time since 1996 and amounted to LTL 70 million, i.e. export of Lithuanian products exceeded the net import.
In 2003, turnover of Lithuanian International trade of agricultural and food products increased by 15 percent as compared to 2002; export increased by 25 percent or by LTL 424 million and import by 7 percent or LTL 126 million.
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|
MAIN INDEXES OF LITHUANIAN FOREIGN TRADE OF AGRICULTURAL AND FOOD PRODUCTS, 1997 – 2003, MILLIONS LTL Year National export* Net import BalanceTurnover 1997 1634.7 1701.8 -67.1 3336.6 1998 1591.9 1943.2 -351.2 3535.1 1999 1178.8 1743.1 -564.3 2921.9 2000 1338.8 1641.5 -302.7 2980.3 2001 1717.0 1815.6 -98.6 3532.6 2002 1700.8 1928.8 -228.0 3629.6 2003 2125.3 2054.5 70.8 4179.9 * Net export of Lithuanian products
|
Main products As in the previous years, exports of dairy products were the best in the group of agricultural and food products (export of dairy products comprised of roughly quarter of all export (25 percent.)). Export of forage for animals made 17 percent. Grain export increased twice up to 12 percent. Fishes and fish products export decreased as compared to 2002; last year's export of the said production was 89.4 thousand t (meanwhile in 2002, it was 106 thousand t), whereas export of tinned fish underwent increase.
Such food products and agricultural production
are imported into |
AMOUNT OF AGRICULTURAL AND FOOD PRODUCTS IN THE NET EXPORT OF THIS GROUP PRODUCTS IN 2003 (in percentage) Products or product groups % Dairy products 25 Forage for animals 17 Grain 12 Fish and fish products 5.2 Live stock, meat and meat products 4.3 Tobacco products 4.3 Oilseeds (mostly rape seeds) 4.2 Sugar products and confectionary 2.6 Vegetables 2.4 Chocolate products 2.4 Refreshing drinks and alcohol 1.9 Flour confectionary 1.1 Fruits 0.6 Oil and margarine 0.5 Source: Ministry of Agriculture
|
AMOUNT OF AGRICULTURAL AND FOOD PRODUCTS IN THE NET IMPORT OF THIS GROUP PRODUCTS IN 2003 (percent.)
Products or product groups % Fruits and nuts 11 Oil and margarine 8.9 Fish and fish products 8.6 Waste of food industry and forage for animals7.1 coffee, tea, spices 5.7 Vegetables 3.7 Source: Ministry of Agriculture
|
Trade changes according to the products
Dairy products
Lithuanian dairying and dairy production industry is better developed and has a high quality level in comparison to the neighboring countries. Thus, in 2003 the export of such group products was 19 times higher than import. In 2003, the export of Lithuanian dairy products increased by 9 percent (LTL 45 million) as compared to 2002. Export of powdered milk, milk and cream, cheese increased, although export of butter decreased.
In 2003, the export of tinned milk to the EU,
SNG, Poland, Latvia, Estonia and other countries doubled in comparison to
2002 (10.1 thousand tones in 2003 and 4.8 thousand tones in 2002), export of
powdered milk also doubled (13.5 thousand tones in 2003, 6.7 thousand tones
in 2002).The export of sour cream increased almost three times (10.9 thousand
tones) and export of yoghurt increased 2.5 times (537 t). The export of kefir
and butter slightly decreased. Last year,
Export of dairy products into the
Lithuanian cheese producers are planning to
decrease the export to the
Meat and meat products In 2003, the export of meat and meat products was LTL 54 million, and import LTL 129 million. Last year, the export of meat and meat products increased by 18 percent or LTL 8 million.
Last year, the export of beef, poultry, and
sausages increased. In 2003,
In 2003,
Export of cattle and birds increased twice.
The export of pork slightly decreased (1191 t). Export of sausages made 177
tones. Biggest quantities of beef were exported to the
In 2003, export of meat products increased by
42 percent and reached 1320 tones. Lithuanian meat products were exported to
This year, venison was exported for the first time. It was exported only to the EU (83 tones). 2 tones of deer-meet were also exported to the EU. However only 9 tones of elk-meet were exported in comparison to the 23 tones exported in 2003.
In 2003,
Vegetable production According to State Plant Protection
Department, in 2003 grains constituted the biggest part of exported vegetable
production. Export of food grains was 604 578 tones (to 38 countries, mainly
to the
Grain export from the country is not subjected
to limitations. According to the State Plant Protection Department, there is
a demand in foreign market for Lithuanian wheat: During August December, 2003
about 427.62 thousand tones of grain (wheat 402.9 thousand tones, barley 22.4
thousand tones, buckwheat 2.32 thousand tones) were exported. The biggest
amounts of grain were exported mainly to
From the start of harvest on the 1st of August
in 2003 to the end of 2003, grains were not imported into
Last year, more than 28 thousand tones of
fresh vegetables and 10.33 fresh fruits as well as smaller amounts of other
vegetable production were exported from
In 2003, feeding crops constituted the biggest
part of the imported production, i.e. 182907 tones (from 11 countries, mainly
from
In 2003, 35126 t of fresh vegetables (1.3
times less than in 2002) were imported. Onions 7181 t (3475 t from
The import of fresh fruits was 150409 t (1.2
times more than in 2002). Citrus fruits - 35190 t (11048 t imported from
|
Trade according to the countries
|
LITHUANIAN FOREIGN TRADE OF AGRICULTURAL AND FOOD PRODUCTS WITH TRADE BLOCKS 2002-2003** Groups of countries National export Net import Change 2002 2003 2002 2003 Export Import millions LTL% millions LTL% millions LTL% millions LTL % millions LTLmillions LTL ES 653 38 716 34 984 51 938 46 63 -46 BLPS 416 24 426 20 226 12 253 12 10 27 SNG 324 19 598 28 107 6 156 8 274 49 EFTA 16 1 41 2 60 3 61 3 25 1 CEFTA 37 2 84 4 227 12 231 11 47 4 Other countries 255 15 260 12 325 17 416 20 5 91 Total 1701 100 2125 100 1929 100 2055 100 424 126 ** Imported products are classified according to the country of origination
|
Main export partners of Lithuanian foreign trade are as follows: EU (34 percent of export), Baltic States (20 percent) and SNG (28 percent); import partners: EU (46 percent of import), Baltic States (12 percent), CEFTA (Central Europe Countries, 11 percent).
Stable tendency of export growth to the
western market (i.e. trade blocks, especially to the
In 2003, the export to SNG increased
significantly (especially to
Main export flows of Lithuanian agricultural
and food production in 2003: to |
MARKET REGULATION MEANS
Before joining to the European Union (hereinafter the EU), the foreign policy of Lithuanian Republic was guided according to the legal acts valid in Lithuanian Republic as well as according to various bilateral and multilateral international Agreements (i.e. Free-trade Agreements, Economic Partnership Agreements).
Upon joining the EU, the
A new system for agricultural products import and
export licences as well as for certificates with prescribed compensation have
been introduced as of
Public Institution Lithuanian Market Control Agency for Agricultural and Food Products and National Payment Agency shall be responsible for introduction and control of market regulation means, i.e. intervention purchases, quota control, private protection of meat and grain, export payback.
Dati estratti dal sito del Ministero dell’Agricoltura della Repubblica di Lettonia
www.zm.gov/lv
Agriculture and Rural Area of Latvia - 2004
2. Role of agriculture in the National Economy
2.1. Gross domestic product
2.2. Employment
2.3. Income
6.1. Milk and Milk-based Products
6.2. Pigmeat Production
6.3. Production of Meat of Bovine Animals
6.4. Production of Eggs and Poultry Meat
6.5. Development of Sheep Farming and Goat Farming
6.14. Non-traditional Agricultural Sectors
8.1. International Trade Agreements
8.3. Market Protection Legislation in the EU
2. Role of Agriculture in the National Economy |
Agriculture as one of major industries of the national economy is closely connected with the development of the whole country, especially rural regions and food production. Therefore it should be viewed as an important factor of rural development and economic stability of the whole country. |
2.1. tabula
Table 2.1
Gross domestic product in agriculture and its share in the structure of gross domestic product in 2000 - 2003
|
2001. |
2002. |
2003. |
GDP,
in actual prices, thous |
|
|
|
GDP added value, in
actual prices, thous |
|
|
|
Agricultural
added value, in actual prices, thous |
126 509 |
132 646 |
133 742 |
2,7 |
2,6 |
2,4 |
|
|
|
|
|
continued |
|||
|
2001. |
2002. |
2003. |
GDP,
in average 2000 prices, thous |
|
|
|
108,0 |
106,4 |
107,5 |
|
Agricultural
added value, in average 2000 prices, thous |
116 402 |
121 184 |
118 425 |
107,0 |
104,1 |
97,7 |
Source: Central Statistical Bureau (CSB)
According to the CSB data, in 2003 the volume of gross domestic product increased by 7.5% against the previous year, and decreased by 2.3% in agriculture. This is the only industry where GDP volume fell. That was due to decline of agricultural produce both in crop farming and cattle-breeding. |
Source: CSB
2.1. Figure 2.1. Changes of GDP added value in 2001 – 2003
In 2003 the share of agriculture and hunting in the gross national product was 2.4%, which is higher still than in the EU on the average (1.7%). Productiveness of people employed in agriculture is very low. The added value per person employed in agriculture was lower than the average indication of the EU countries by 10%. Despite the decrease of the share of people employed in agriculture and the share of agricultural gross product in the total added value, the productiveness coefficient of the industry remained at the level of the previous year. This indicates gradual rise of production effectiveness, which stabilises the industry. |
Avots: CSP
Source: CSB
2.2.. Share of persons employed in agriculture and hunting and share of agriculture in the total GDP in 2001 – 2003
Labour force research data indicate that in 2003 a total of 1006.9 thous. people (55.4% of the total number of population of the age from 15 to 74 years) were employed in this country, of them 104.4 thous. people (7.4% of the total number of population of the age of 15-74 years), or 10.4% of the total number of employed population were employed in agriculture. In their turn, 9.2 thous. people (0.9% of the total number of employed population) were employed in farming for the purpose of production for their personal consumption. Despite the growing trend of the total number of employed population in this country, since 2001 the share of people employed in agriculture as their main work (of the age of 15-74 years) has decreased from 12.3% to 10.4% or by 13.8 thous. people. The share of people employed in agriculture part-time has decreased too from 32.6% in 2001 to 29.8% in 2003. However it continues to be higher than the average in this country (10.3%). |
Table 2.2
Dynamics of employment of the population in 2001 – 2003 in
|
2001. |
2002. |
2003. |
Economically active population of the age of 15-74 years |
1104,7 |
1123,5 |
1126,0 |
Employed |
960,0 |
989,0 |
1006,9 |
Employed in agriculture and hunting |
118,2 |
112,3 |
104,4 |
Employed in agriculture and hunting full-time |
79,7 |
75,6 |
73,4 |
Employed in agriculture and hunting part-time |
38.5 |
36,6 |
31,1 |
Source: CSB
56% of all persons employed in agriculture (of the age of 15-74 years) were men. The scope of manual labour is higher in agriculture against other industries, which attracts less educated labour force. In 2003 on the average in this country 14.6% of employed had basic or lower education, and in agriculture the share of such employed population achieved 37.8% (40.3% - men, 37% - women). In agriculture the share of older employed population continues to grow. In 2001 51.2% of the population employed in agriculture were of the age from 45 to 74 years, and in 2003 the share of employed of this age group increased up to 53.4% (on the average in this country – 37.4%). The share of population of the age of 55-74 years employed in agriculture (27%) is almost double against the average in this country (14.2%). Small income from agricultural activities fails to attract younger people. |
The level of income of people working in agriculture is lower than the average in this country. In 2003 gross salary of employees working in agriculture and hunting amounted to LVL 120 per month, which makes only 62.4% of the average gross salary in this country. In 2003 it was growing faster than in previous years against 2002 and increased by 17.6%, and faster than the average gross salary of people working in agriculture too, which increased by 11.4%. |
Source: CSB
2.3. Figure Average monthly gross salary of employees in
The Institute of Agrarian Economy of Latvia (IAEL) [Agrārās ekonomikas institūts (LVAEI)] has worked out evaluation of agricultural incomes (including non-agricultural side activities) of the sector as a whole, summarising data of the whole sector on volumes of products, their use, prices, production costs and distribution of income, using Economical Accounts of Agriculture (EAA) [Lauksaimniecības ekonomisko kopaprēķins (LEK)]. Analysis of individual agricultural branches leads to the conclusion that on the whole income from agricultural activities has decreased, mainly due to unfavourable weather conditions for most of crops. The total physical output against the previous year decreased by 4.3%, including by 5.7% in crop farming, and by 0.6% in cattle-breeding. In 2003, as well as in earlier years, milk (21%), crops (19%) and pork (12%) had the largest shares in the structure of final agricultural products at basic prices (taking into account product subsidies too). The share of cattle and potatoes showed the most considerable decrease against 2002 (by 3% and 2% points respectively), and the share of vegetables and fruit increased (by 2% points). |
Avots: LVAEI (LEK)
Source: IAEL (EAA)
2.4. Structure of final agricultural products in 2003
A survey of changes of the value of key types of
agricultural products shows that in 2003 it was only crop farming (owing to
subsidies) and pig-growing (owing to the market stabilisation and support
payments) that experienced a slight rise, whereas dairy and cattle branches
decreased. The decline of dairy branch occurred due to indemnity payments
made in 2002 (5.8 mln |
Source: IAEL (EAA)
Figure 2.5. Dynamics of the value of final products in 2000 - 2003 (at basic prices)
Income depends not only on the products value, but on related production expenses too. Figure 2.6. shows the use of final products – the share of intermediate consumption in the total output of the industry[44], capital and factor[45] expenses, and the part remaining at the disposal of farmers. |
Source: IAEL (EAA)
Figure 2.6. Expenses and income in final products in 1999 - 2003
Whereas over the period from 1995 to 1999 the share of income in the products value decreased fast, since 2000 it has increased slightly, and stabilised in 2002. In 2003 the share of both intermediate consumption and capital and factor expenses grew a little. As a result the share of income amounts to 30% of the products value. Although the total value of intermediate consumption in 2003 is similar to that in 2002, in 2003 volumes and prices of resources bought from other sectors increased, which indicates growing actual expenses. Such growth was due to the rise of fuel prices, as well as of goods imported from euro zone caused by the rise of euro Exchange rate. Consumption of chemicals considerably increased too. Compliance of farms with the EU requirements required additional costs. Moreover, expenses increased due to unfavourable climatic conditions during the harvesting period. 2003 witnessed a turning point in actually made capital investments - whereas earlier approximately twice fewer funds were invested annually than required for renovation of fixed assets, in 2003, according to the CSB data, in individual farms expenses for purchase of machinery doubled, and those for capital repairs and new construction – by nearly 20%. This has been achieved to a great extent by means of using SAPARD financing. However, the total amount does not indicate capital renewal of farms by itself, because considerable funds may be concentrated in very few farms only. As in 2003 products value
decreased by 4 mln In 2003 the change of prices did not cause decrease of income: prices of agricultural products grew by 3.3% on the average, intermediate consumption – by 2.8%, and income grew by 3.7% under the impact of prices. Income decreased due to the changed output of agricultural products. As production taxes and consumption
of fixed assets increased, net added value (taking into account factor
expenses) decreased by 7% or 8 mln |
Table 2.2
Key items of income formation in agricultural industry in 2001 - 2003 (mln
Indications |
Value at basic prices, mln |
Changes (+/-) |
|||
|
2001. |
2002. |
2003.(p) |
2002./2001. |
2003./2002. |
Crop farming) |
125,9 |
154,8 |
157,4 |
23,0% |
1,7% |
(Crops) |
49,1 |
55,8 |
59,0 |
13,6% |
5,8% |
(Rape) |
1,7 |
4,1 |
5,1 |
150,3% |
22,8% |
(Sugar beet) |
9,6 |
12,0 |
10,4 |
25,2% |
-13,0% |
(Fodder cultures) |
19,3 |
21,8 |
19,1 |
13,1% |
-12,4% |
( Vegetables) |
10,6 |
16,3 |
21,7 |
54,1% |
33,0% |
(Potatoes) |
25,3 |
35,6 |
29,8 |
40,7% |
-16,2% |
(Fruit and berries) |
5,5 |
4,3 |
8,1 |
-21,3% |
88,1% |
(Other vegetable products) |
5,0 |
4,9 |
4,1 |
-0,6% |
-15,9% |
(Cattle-breeding) |
161,2 |
152,5 |
148,0 |
-5,4% |
-3,0% |
(Milk) |
65,8 |
69,1 |
63,6 |
5,1% |
-8,0% |
(Cattle) |
26,7 |
21,0 |
13,5 |
-21,4% |
-35,8% |
(Pigs) |
35,3 |
33,7 |
36,6 |
-4,7% |
8,7% |
(Poultry) |
7,2 |
5,8 |
9,9 |
-19,5% |
71,2% |
(Eggs) |
17,2 |
14,8 |
16,7 |
-14,1% |
13,2% |
(Other animal products) |
9,0 |
8,1 |
7,6 |
-9,8% |
-6,2% |
Output of agricultural goods |
287,1 |
307,3 |
305,4 |
7,0% |
-0,6% |
(Services) |
3,2 |
3,3 |
3,2 |
2,1% |
-2,7% |
( Indivisible side activities) |
19,9 |
32,5 |
30,6 |
63,6% |
-6,0% |
(Output of agricult. Industry) |
310,3 |
343,2 |
339,2 |
10,6% |
-1,2% |
(Intermediate consumption) |
173,6 |
192,3 |
192,2 |
10,8% |
-0,1% |
(Gross value added) |
136,6 |
150,8 |
147,0 |
10,4% |
-2,5% |
Subsidies not divided into products |
6,9 |
5,9 |
6,3 |
-14,2% |
6,4% |
(Production-related taxes) |
14,1 |
16,3 |
18,4 |
15,5% |
13,3% |
(Consumption of fixed assets) |
26,3 |
27,2 |
29,6 |
3,6% |
8,7% |
(factor expenses) |
103,1 |
113,2 |
105,2 |
9,8% |
-7,0% |
(Rental) |
1,1 |
1,0 |
0,9 |
-8,4% |
-5,0% |
(Credit interest) |
3,8 |
3,7 |
3,7 |
-2,7% |
2,0% |
Income from agricult. activities |
98,3 |
108,6 |
100,6 |
10,5% |
-7,4% |
(Income tax) |
7,3 |
7,4 |
7,2 |
1,7% |
-2,5% |
(Income of hired employees) |
9,4 |
10,4 |
10,8 |
10,5% |
3,7% |
Income of family labour force |
81,6 |
90,7 |
82,5 |
11,3% |
-9,0% |
Number of people employed in agriculture, thous. People |
120,0 |
112,3 |
105,6 |
-6,4% |
-6,0% |
|
|||||
continued |
|||||
Indications |
Value at basic prices, mln |
Changes (+/-) |
|||
|
2001. |
2002. |
2003.(p) |
2002./2001. |
2003./2002. |
Income per person employed in agriculture |
758 |
901 |
884 |
18,8% |
-1,8% |
Source: IAEL (EEA)
In 2003 net income per person engaged in agriculture amounted to LVL 884, being less than in 2002 by 2%. The average level of income continues to be low –
LVL 73.65 per month. According to the CSB data, in 2003 the average net
salary in this country was |
Source: IAEL (EAA)
2.7. Income in agriculture in 1996, 2000 – 2003
Some factors determining decreased income (lower yield capacity) may be considered accidental, however others were either objective with the current agricultural strategy and conditions (higher expenses) or else determined by the market (lower value of cattle live weight growth, potatoes price, the volume of sugar beet production). According to data supplied by the countries to Eurostat, Latvia encountered one of the lowest reductions of agricultural income among new member states of the Union (only Lithuania, Czech Republic and Malta have lower figures), where income decreased by 14% on the average in 2003 (preliminary evaluation) (in Latvia by 7%). |
Dairy-farming is one of the basic agricultural sectors in Latvia. In 2003, 785,7 thousand tons of milk were produced which is by 25,8 thousand tons less than in 2002. The total reduction in the amount is mostly related to adverse weather conditions. |
Table 6.1
|
2001. |
2002. |
2003. |
Stocks at the beginning of the year, converting to milk |
40,2 |
34,7 |
16,48 |
(Resources) |
|
|
|
Produced milk and milk-based products, converting to milk |
848,0 |
813,7 |
785,7 |
Import of milk-based products, converting to milk |
69,5 |
75,9 |
88,2 |
|
|
|
|
continued |
|||
|
2001. |
2002. |
2003. |
Resources in total |
957,7 |
924,3 |
890,3 |
(Consumption) |
|
|
|
Consumption of milk and milk-based products, converting to milk |
828,1 |
816,1 |
767,7 |
- of which the consumption in people’s food |
657,2 |
640,4 |
606,2 |
- of which the consumption in animal feed |
170,9 |
175,7 |
161,5 |
Export of milk-based products, converting to milk |
94,9 |
91,8 |
100,6 |
Total amount of consumed milk and milk-based products, converting to milk |
923,0 |
907,8 |
868,2 |
Stocks at the end of the year |
34,7 |
16,5 |
22,1 |
Source: CSB, RSS
Table 6.2
Production of Milk in Farms 2001 - 2003 (thousand tons)*
Type of farms |
2001. |
2002. |
2003. |
2003./2002. % |
In farms, household plots and private subsidiary holdings |
751,7 |
713,6 |
681,2 |
95,5 |
In State farms and incorporated companies |
96,3 |
100,1 |
104,4 |
104,3 |
Source: CSB
* (including goat’s milk)
The total milk production volumes in 2003 reduced by 3.5 % comparing to the volume of 811.5 thousand tons produced in 2002. The volumes of milk production in 2003 in household plots and private subsidiary holdings reduced by 4.5%, as compared with 2002. However, the milk production has increased in the sector of State farms and incorporated companies by 4.5%. |
Number of Cows and Average Productivity |
The herd of dairy cows in Latvia has stabilised during the last three years. The total amount of cows during the period of 2003 (Table6.3.) has reduced by 8.3 %, as compared with the preceding year. The amount of cows in individual farms or residents’ farms (farms, household plots and private subsidiary holdings) has reduced by 2.3 %, but the number of cows in the sector of incorporated companies has increased by 1.7 %, because rather often the holdings in farms are not fully utilised and there are unoccupied stalls for cows, therefore the raised young bovine animals and heifers are not sold in these farms. |
Table 6.3
Number of Bovine Animals 2001-2003 (thousand heads)
|
2001. |
2002. |
2003. |
2003./2002. % |
In all types of farms |
||||
(Bovine cattle) |
384,7 |
388,1 |
378,6 |
97,6 |
of which cows |
209,1 |
204,6 |
186,3 |
91,1 |
tState farms and incorporated companies |
||||
(Bovine cattle) |
50,6 |
53,8 |
54,4 |
101,1 |
of which cows |
24,2 |
24,6 |
24,4 |
99,2 |
in residents’ farms (farms, household plots and private farms) |
||||
(Bovine cattle) |
334,1 |
334,3 |
324,2 |
97,0 |
of which cows |
184,9 |
180,7 |
161,9 |
89,6 |
Source: CSB
During the last three years the reduction of the herd of cows is partly compensated by the increase in the milk-yield, by keeping more highly productive cows in herds. In 2003, the average milk-yield from a cow was 4261 kg per year (correspondingly, in 2002 – 3958 kg per year). |
Table 6.4
|
2001. |
2002. |
2003. |
Number of cows (thousand) |
209,1 |
204,6 |
186,3 |
Number of recorded cows (thousand) |
74,5 |
75,8 |
76,3 |
Average milk-yield from a cow (kg per year ) |
4055 |
3958 |
4261 |
Average milk-yield from a recorded cow (kg per year ) |
4763 |
4833 |
4791 |
Milk fats from recorded cows (%) |
4,38 |
4,37 |
4,43 |
Milk Proteins from recorded cows ( %) |
3,27 |
3,25 |
3,24 |
Source: VCIDAC
According to the data of the Latvian State Domestic Animal Pedigree Information Data Processing Centre (SPDPC), until 1 January 2004, there were 389639 bovine animals registered in Latvia, of which 218008 were dairy cows. By 2002 the number of the recorded cows has increased by more than 22 thousand but, taking into account the adverse weather conditions in 2002, the milk-yield thereof has reduced by 42 kg, obtaining 4791 kg of milk on average from a cow. There are various breeds of cows recorded and the average milk-yield, protein and fat content thereof differ. |
Table 6.5
Productivity of Various Breeds of Recorded Cows 2002-2003
Breed of cows |
Number of animals |
Milk-yield from a cow, kg per year |
Milk proteins, % |
Milk fats, % |
||||
2002. |
2003. |
2002. |
2003. |
2002. |
2003. |
2002. |
2003. |
|
Latvian Brown breed |
50741 |
68524 |
4550 |
4550 |
3,31 |
3,22 |
4,46 |
4,45 |
Angler breed |
380 |
376 |
5242 |
5515 |
3,38 |
3,23 |
4,45 |
4,67 |
Swedish Red breed |
- |
233 |
- |
5204 |
- |
3,17 |
- |
4,32 |
Black and white Holstein breed |
18679 |
29139 |
5220 |
5296 |
3,14 |
3,09 |
4,21 |
4,21 |
Latvian Blue breed |
61 |
128 |
4671 |
4364 |
3,28 |
3,19 |
4,35 |
4,35 |
Source: VCIDAC
The herd of dairy cows in Latvia is mostly constituted of the Latvian brown breed cows – 70 % of the total amount from the number of the recorded cows with the average milk-yield of 4550 kg from a cow per year. Concerning 2002, the number of the registered cows has increased by 17783 cows (Table 6.6) in 2003. The Black and white Holstein breed cows constitute 15.6 % of the total number of the recorded cows. Comparing to 2002, the number of these cows has also increased by 10460 cows, productivity thereof has also increased by 76 kg of milk from a cow per year. Analysing the data regarding the supervision results of 2003 by breed cross-section, according to the SPDPC data, in the group of red breed cows the Angler breed has had the best indices with the average milk-yield of 5515 kg, content of milk fats 3,23 %. Cows of this breed constitute a negligible amount of the total recorded herd in the State. |
Table 6.6
Average Productivity Indices by Regions for the Period from
Regions |
Number of herds |
Number of cows |
milk-yield, kg |
(vidējais reģionā) |
(vidējais reģionā) |
|
30.09. 2003 |
per year (on average) |
(the average in the region) |
(the average in the region) |
% (the average in the region) |
||
|
1434 |
18236 |
17637,3 |
4900 |
4,45 |
3,23 |
Zemgale |
330 |
10153 |
9901,7 |
4982 |
4,28 |
3,20 |
|
|
|
|
|
|
|
continued |
||||||
Regions |
Number of herds |
Number of cows |
milk-yield, kg |
(vidējais reģionā) |
(vidējais reģionā) |
|
until 30.09. 2003 |
per year (on average) |
(the average in the region) |
Milk fats, % (the average in the region) |
Milk proteins, % (the average in the region) |
||
|
362 |
4685 |
4544,5 |
4663 |
4,46 |
3,26 |
|
148 |
2500 |
2408,6 |
4334 |
4,53 |
3,27 |
|
751 |
6096 |
5889,0 |
4579 |
4,40 |
3,30 |
Middle |
455 |
5777 |
5577,7 |
4607 |
4,51 |
3,29 |
Greater |
428 |
10330 |
10180,3 |
4900 |
4,46 |
3,20 |
|
476 |
11040 |
10901,0 |
4555 |
4,42 |
3,23 |
|
704 |
11039 |
10805,5 |
4749 |
4,41 |
3,24 |
Source: VCIDAC
As compared among regions, the best productivity indices in herds have been attained in Zemgale region, the average milk-yield from a cow is 4982 kg of milk whose fat content is 4.28 and protein content – 3.20 %, of which the average milk-yield from a cow in Dobele region has been 5204 kg of milk whose fat content is 4.18 % and protein content – 3.17%. In 2003, 3.82 million lats were disbursed for the development of dairy-farming. The aim of the subsidies was to support those owners of the cow herds registered in accordance wit the procedures specified in regulatory enactments and who are engaged in the milk production, facilitating the formation of highly productive herds, competition and production of qualitative dairy products. |
The aim of the pigmeat sector is to satisfy the needs of the internal market for qualitative pigmeat and to produce competitive products. In order to reach the aim, it is necessary to increase the production of pigmeat for the saturation of the domestic market to ensure self-supply, as well as to create conditions for the export of pigmeat products by building and modernising slaughterhouses which would conform to the EU requirements. |
Table 6.7
Pigmeat Balance (Thousand Tons) 2001 – 2003
|
2001. |
2002. |
2003. |
Stocks at the beginning of the year |
0,50 |
0,70 |
2,70 |
Resources |
|
|
|
Produced meet, live weight |
40,58 |
46,01 |
47,30 |
Produced meet, carcass weight |
31,65 |
35,89 |
36,90 |
Meat import (including live livestock), carcass weight |
17,24 |
25,83 |
28,52 |
Import of meat products (converting to meat) |
1,49 |
2,40 |
2,93 |
Total resources (converting to meat) |
50,88 |
64,82 |
71,05 |
Consumption |
|
|
|
Consumed meat and meat products (converting to meat) |
49,36 |
60,92 |
66,16 |
Meat export (including live livestock), carcass weight |
0,03 |
0,04 |
0,05 |
Export of meat products (converting to meat), carcass weight |
0,79 |
1,16 |
1,84 |
Total meat and meat products consumed (converting to meat) |
50,18 |
62,12 |
68,05 |
Stocks at the end of the year |
0,70 |
2,70 |
3,00 |
Source: RSS
According to the balance data, the amount of the produced and consumed pigmeat in 2003 has increased, as compared with the year 2002: the amount of the produced meat has increased by 2,8 %, the amount of the consumed meat and meat products has increased by 8,6 %. |
Table 6.8
Pigmeat Production by Farm Types 2001 –2003 (thousand tons in slaughterweight)
|
2001. |
2002. |
2003. |
|||
|
thousand tons |
% |
thousand tons |
% |
thousand tons |
% |
All types of farms |
31,6 |
100 |
35,9 |
100 |
36,9 |
100 |
In State farms and incorporated companies |
11,.8 |
37,3 |
17,5 |
48,7 |
18,9 |
51,2 |
In farms, household plots and private subsidiary holdings |
19,8 |
62,7 |
18,4 |
51,3 |
18,0 |
48,8 |
Source: CSB
In 2003, the total amount of the produced meat in Latvia was 71.08 thousand tons, pigmeat – 36.91 thousand tons which amounts to 51.9 % of the total meat proportion. In 2003, the amount of the produced pigmeat, as compared with 2002, has increased by 2.8 % at the expense of the meat produced in State farms and incorporated companies, but it has reduced in farms, household plots and private subsidiary holdings by 2.2 %. The recording activities pertaining to pigs in the Republic are performed by pig breeders associations in accordance with the approved breeding programme for the pig farming. The breeding programme provides for the preservation of the population of the Latvian White breed as a gene pool for future. By preserving part of the Latvian White breed without crossing it with other breeds the diversity of pig breeds increases in next generations. In order to continue further development of the pig-farming sector, subsidies were provided for the implementation of the breeding programme by utilising highly valuable breeding animals. The measure facilitates formation of competitive pigmeat production herds and increases the production efficiency, as well as preserves the gene pool of pig population. In 2003, 1.1 million lats were disbursed for such purposes. |
Table 6.9
Division of Number of Pigs by Herd Size
Herd size |
2001. |
2002. |
2003. |
|||
number |
% |
number |
% |
number |
% |
|
1-50 |
18759 |
10,5 |
23213 |
7,8 |
24055 |
7,7 |
51-100 |
8242 |
4,6 |
16148 |
5,5 |
17203 |
5,5 |
101-500 |
19514 |
10,9 |
47323 |
16,0 |
44776 |
14,4 |
501-1000 |
11224 |
6,3 |
16287 |
5,5 |
18934 |
6,1 |
1001-5000 |
44577 |
25,0 |
51517 |
17,4 |
58338 |
18,7 |
5001-10000 |
51226 |
28,7 |
56197 |
19,0 |
58099 |
18,6 |
More than 10000 |
24754 |
14,0 |
85042 |
28,8 |
90649 |
29,0 |
(Tota) : |
178296 |
100,0 |
295727 |
100,0 |
312054 |
100,0 |
Source:VCIDAC
Until 1 January 2004, there were 2115 pig herds with 312 054 pigs registered in the SPDPC register, which is a number that has increased by 5.5 %, as compared with 2002. The largest pig proportion is in herds with more than 1000 animals (in herds of 1001 to 10000 animals the proportion is 66.3 %). |
Table 6.10
Import of Pigs and Pigmeat in Latvia 2001 – 2003 (tons)
|
2001. |
2002. |
2003. |
2003/2002.% |
Live pigs above 50 kg |
4931 |
10680 |
5697 |
- 47,0 |
(Pigmeat) |
8558 |
11707 |
16339 |
+39,5 |
|
|
|
|
|
continued |
||||
|
2001. |
2002. |
2003. |
2003/2002.% |
Fresh pigmeat |
5169 |
8292 |
9701 |
+17,0 |
Frozen pigmeat |
3389 |
3415 |
6638 |
1,9 reizes (times) |
(Total) |
13489 |
22388 |
22036 |
-1,6 |
Source: CSB
According to the data of the Central Customs Board, during the period from 1 January 2002 until 1 July 2003 there were 1713 t of pigmeat imported on average each month which caused pig farming crisis. The stabilisation of the situation started in July 2003 after coming into force of the Law Regarding Safeguard Measures in Relation to Import of Pigs and Pigmeat, that was adopted by the Saeima of the Republic of Latvia, when the buying-in price of live pigs reached the normal level. Poland 63 % (subsidized pigmeat) and Estonia should be mentioned among the largest pigmeat importers in 2003. Pigmeat import has reduced by 1.6 % in total, as compared with 2002. There have been 2.4 million lats disbursed in subsidies for the stabilisation of the pig farming sector. |
There are all pre-conditions in Latvia for the production of meat of bovine animals. The main aims of the production of meat of bovine animals in Latvia include reaching the self-supply level and the quality improvement. There is a favourable situation in Latvia for the development of this sector, since there are large areas of natural and cultivated grasses which may be utilised as the pasture land, but the green mass may be utilised for the production of feedingstuff, and bovine animals are the most rational consumers of such feedingstuff. The meat of bovine animals is mainly a by-product of dairy-farming in Latvia. |
Table 6.11
Balance of Bovine Animals 2001 – 2003 (thousand tons)
|
2001. |
2002. |
2003. |
Stocks at the beginning of the year |
0,30 |
1,39 |
0,80 |
(Resources) |
|
|
|
Produced meat, live weight |
35,26 |
29,71 |
39,20 |
Produced meat, carcass weight |
19,04 |
16,04 |
21,20 |
Meat import (including the live livestock), carcass weight |
6,91 |
7,06 |
7,44 |
|
|
|
|
continued |
|||
|
2001. |
2002. |
2003. |
Import of meat products (converting to meat) |
0,02 |
0,06 |
0,01 |
Total resources (converting to meat) |
26,27 |
24,55 |
29,45 |
(Consumption) |
|
|
|
Consumed meat and meat products (converting to meat) |
24,50 |
23,27 |
27,26 |
Meat export (including the live livestock), carcass meat |
0,01 |
0,03 |
0,02 |
Export of meat products (converting to meat) |
0,37 |
0,45 |
0,67 |
Total meat and meat products consumed (converting to meat) |
24,88 |
23,75 |
27,95 |
Stocks at the end of the year |
1,39 |
0,80 |
1,50 |
Source: RSS
The meat of bovine animals amounts to 29.8 % of the total amount of the meat produced. According to the balance data, the amount of the meat produced and consumed in 2003 has increased. The amount of the produced meat in the carcass weight has increased by 1.3 times, but the consumption – by 1.1 times. In relation to the pigmeat consumption, the consumption of the meat of bovine animals in Latvia is considerably lower, which is attested by the statistical data. Thus the consumption of the meat of bovine animals and meat products (converting to meat) was 27.26 thousand tons, correspondingly, the consumption of pigmeat was 66.16 thousand tons or by 2.4 times more. |
Table 6.12
Production of Meat of Bovine Animals by Types of Farms (thousand tons in the carcass weight)
|
2001. |
2002. |
2003. |
|||
thousand tons |
% |
thousand tons |
% |
thousand tons |
% |
|
All types of farms |
19,0 |
100 |
29,7 |
100 |
21,2 |
100 |
State farms and incorporated companies |
2,4 |
12,6 |
4,8 |
16,2 |
2,9 |
13,6 |
Farms, household plots and private subsidiary holdings |
16,6 |
87,4 |
24,9 |
83,8 |
18,3 |
86,4 |
Source: RSS, CSB
Table 6.13
Division of Number of Bovine Animals by HerdSize
Herd size |
2001. |
2002. |
2003. |
|||
number |
% |
number |
% |
number |
% |
|
1-5 |
180252 |
43,8 |
164278 |
40,2 |
144596 |
37,1 |
6-10 |
61771 |
15,0 |
55837 |
13,6 |
49015 |
12,6 |
11-15 |
28491 |
6,9 |
25853 |
6,3 |
23160 |
6,0 |
16-20 |
16580 |
4,0 |
17524 |
4,3 |
16636 |
4,2 |
21-50 |
36838 |
9,0 |
46843 |
11,5 |
49496 |
12,7 |
51-100 |
16158 |
4,0 |
22691 |
5,5 |
25841 |
6,6 |
101-500 |
71052 |
17,3 |
38371 |
9,4 |
41500 |
10,7 |
more than 500 |
- |
- |
37666 |
9,2 |
39395 |
10,1 |
Total |
411142 |
100,0 |
409063 |
100,0 |
389639 |
100,0 |
Source: VCIDAC
The meat production mainly takes place in farms, household plots and private subsidiary holdings. The structure of farms producing the meat of bovine animals is still fragmented, however, the number of farms with more than 500 bovine animals in a heard is increasing. In 2003, the aim of the subsidies was to increase the proportion of the self-produced qualitative bovine animal meat and to facilitate development of the production of the bovine animal meat as an independent sector by implementing the breeding programme. The total amount disbursed in subsidies for the development of the production of qualitative bovine animal meat was 1.75 million lats. |
In accordance with the “Agricultural Development Programme 2003”, by cultivating and raising highly productive breeds of the birds for meat, the provision of the residents of Latvia with the domestically produced poultry products must be ensured. One of the tasks for the implementation of this measure in 2003 is to ensure the control of egg labelling and quality parameters of poultry meat. |
Table 6.14
Number of Poultry in all Types of Farms 2001 –2003 (thousand heads)
|
2001. |
2002. |
2003. |
2003/2002, % |
Total number of poultry |
3621,2 |
3882,0 |
4002,6 |
103,1 |
tof which in State farms and incorporated companies |
2668,8 |
2802,2 |
2973,9 |
106,0 |
in farms, household plots and private subsidiary holdings |
952,4 |
1079,8 |
1028,7 |
95,3 |
Source: CSB
The number of poultry in Latvia has increased by 3.1 % in total in 2003, as compared with 2002. In State farms and incorporated companies this increase amounts to 171,7 thousand of poultry, but in farms, household plots and private subsidiary holdings the number of poultry has decreased by 4.7% or by 51.1 thousand birds. |
Egg Production |
Table 6.15
Production and Consumption Balance of Eggs 2001 - 2003 ( million items)
|
2001. |
2002. |
2003. |
Stocks at the beginning of the year |
26,3 |
8,34 |
4,10 |
Resources |
|||
Produced |
452,5 |
508,61 |
508,83 |
Import |
4,9 |
3,95 |
10,43 |
Total resources |
483,7 |
520,9 |
523,36 |
%, as compared with the previous year |
|
107,7 |
100,5 |
Consumption |
|||
Consumed |
452,9 |
515,2 |
450,45 |
Export |
45,2 |
0,44 |
67,57 |
Consumed in total |
498,1 |
515,64 |
518,02 |
Stocks at the end of the year |
8,1 |
4,1 |
5,3 |
Source: RSS
In 2003, the egg export in Latvia has increased by 67.13 million eggs; this number has increased by 49.5 %, as compared with 2001. In 2003, the egg import has increased by 2.6 times, as compared with 2002, but the egg production has remained at the level of 2002. Practically, the production of birds’ eggs in Latvia covers the self-supply. The amount of consumption has increased by 100.5 % or by 23. 8 million eggs, as compared with the previous year. |
Production of Poultry Meat |
The situation in the poultry meat production sector is similar to the one in the egg production sector, and here too the State farms and incorporated companies prevail which produce the largest part of the amount of poultry meat in Latvia. |
Table 6.16
Production of Poultry Meat 2001 – 2003 (tons)
|
2001. |
2002. |
2003. |
2003/2002, % |
(In all types of farms) |
||||
Poultry meat (live weight) |
12707 |
15204 |
17779 |
117,0 |
Poultry meat (carcass weight) |
8895 |
10642 |
12445 |
116,9 |
(of which in State farms and incorporated companies) |
||||
Poultry meat (live weight) |
12303 |
14679 |
17456 |
118,9 |
Poultry meat (carcass weight) |
8612 |
10275 |
12219 |
118,9 |
(in farms, household plots and private subsidiary holdings) |
||||
Poultry meat (live weight) |
404 |
525 |
323 |
61,5 |
Poultry meat (carcass weight) |
283 |
367 |
226 |
61,5 |
(of which in farms) |
||||
Poultry meat (live weight) |
164 |
277 |
137 |
49,5 |
Poultry meat (carcass weight) |
115 |
194 |
96 |
49,5 |
Source: CSB
In 2003, 98.2 % of the total amount of the produced poultry meat was produced by State farms and incorporated companies. |
Table 6.17
Balance of Poultry Meat and its Products, thousand tons
|
2001. |
2002. |
2003. |
(Stocks at the beginning of the year ) |
2,36 |
1,73 |
4,00 |
(Resources) |
|||
Amount of the meat produced, live weight |
12,71 |
15,2 |
17,80 |
Amount of the meat produced, carcass weight |
8,9 |
10,64 |
12,40 |
(Meat import, carcass weight) |
18,50 |
23,85 |
24,56 |
Import of meat products (converting to meat) |
0,74 |
1,52 |
1,29 |
Total resources (converting to meat) |
30,50 |
37,74 |
42,25 |
(Consumption) |
|||
Poultry meat (live weight) |
28,56 |
33,45 |
38,33 |
Poultry meat (carcass weight) |
0,17 |
0,2 |
0,58 |
Export of meat products (converting to meat) |
0,04 |
0,09 |
0,14 |
Total meat and meat products consumed |
28,77 |
33,74 |
39,05 |
(Stocks at the end of the year ) |
1,73 |
4,0 |
3,20 |
Source: RSS
Demand in the Latvian market for poultry meat exceeds the supply which creates favourable conditions for the imported products. In 2003, there was almost twice as much poultry meat imported than produced. By cultivating and raising highly productive breeds of birds for meat the provision of the residents of Latvia with locally produced poultry meat products could be ensured. |
During the period of the last two years the number of sheep in herds continues to increase gradually in the State and therefore the rapid reduction in the number of sheep has been ceased. There has been a register of sheep herds created in the Latvian State Domestic Animal Pedigree Information Data Processing Centre which registers the movement of animals and the animals are marked. The aim of subsidies in 2003 was to facilitate the implementation of the breeding programme by utilising high-value breeding animals in order to promote the formation of a qualitative herd for the production of sheepmeat, goats’ milk and to improve the productivity of animals. The sum disbursed in subsidies was 91,3 thousand lats. The aim of |
Table 6.18
Number of Sheep and Goats 2001 – 2003 (thousand heads)
|
2001. |
2002. |
2003. |
2003./2002. % |
Sheep, of which: |
29,0 |
31,5 |
39,2 |
124,4 |
(Eves) |
14,3 |
16,8 |
20,6 |
122,6 |
(Rams) |
- |
2,7 |
3,4 |
125,9 |
Goats, among which: |
11,5 |
13,2 |
15,0 |
113,6 |
(Goat mothers) |
5,8 |
6,2 |
8,4 |
135,5 |
(He-goats) |
- |
1,6 |
1,6 |
100,0 |
Source: CSB
In 2003, the number of sheep and goats, as compared with the previous year, has increased. The number of sheep has increased by 24.4 %, the number of goats - by 13.6 %. The number of ewes has increased by 22.6 % and the number of goat mothers has increased by 35.5 % . Ewes constitute 52.6 % of the total sheep herd in Latvia, and goat mothers form 56 % of the total goat herd. |
Table 6.19
Number of Sheep by Farm Types 2001 – 2003 (thousand heads)
|
2001. |
2002. |
2003. |
|||
|
thousand items |
% |
thousand items |
% |
thousand items |
% |
In all types of farms |
29,0 |
100 |
31,5 |
100 |
39,2 |
100 |
In State farms and incorporated companies |
0,0 |
0 |
0,2 |
0,6 |
0,2 |
0,5 |
In farms, household plots and private holdings |
29,0 |
100 |
31,3 |
99,4 |
39,0 |
99,5 |
of which in agricultural holdings |
11,2 |
38,6 |
12,6 |
40,3 |
16,9 |
43,3 |
Source: CSB
Sheep and goats are mainly kept in household plots and private holdings. |
Table 6.20
Wool Production 2001 – 2003 (in tons)
|
2001. |
2002. |
2003. |
2003./2002.% |
(In all types of farms ) |
61,3 |
73,2 |
65,8 |
89,9 |
In farms, household plots and private holdings |
61,3 |
72,6 |
64,6 |
88,9 |
(of which in agricultural holdings ) |
23,3 |
32,3 |
28,4 |
87,9 |
Source: CSB
In all types of farms the acquisition and production volumes of fleece in 2003 have reduced by 10 %, as compared with 2002. The average wool clip from a sheep is 3.9 kg. |
Table 6.21
Production of Sheepmeat and Goatmeat 2001 – 2003 (in tons)
|
2001. |
2002. |
2003. |
2002./2001.% |
(Meat (live weight)) |
720 |
703 |
762 |
108,4 |
In farms, household plots and private holdings |
720 |
698 |
758 |
108,6 |
of which in agricultural holdings |
225 |
264 |
323 |
122,3 |
(Meat (carcass weight)) |
361 |
350 |
381 |
108,9 |
In farms, household plots and private holdings |
361 |
348 |
379 |
108,9 |
of which in agricultural holdings |
113 |
132 |
162 |
122,7 |
Source: CSB
In 2003, the total volume of the produced sheepmeat and goatmeat (in carcass weight) was 381 tons which is by 8.9 % more than in 2002. The volumes of the sheepmeat and goatmeat produced in agricultural holdings have increased by 22.7 %. The production of sheepmeat and goatmeat is more propitious in small farms. There is a demand for lambmeat the live weight of which is 35 – 50 kg. Goats in Latvia are raised for the acquisition of milk, and the cull goats are utilised for meat. According to the data of the Central Statistics Bureau, in 2003, there were 2514 t of milk produced from 5823 goat mothers in residents’ farms, milking 432 litres from a goat on average per year. Development of the sheep farming depends on the state aid, without it the sector is not profitable and is unable to develop at the moment. |
Horse farming in Latvia is performed in accordance with the aims as specified in the breeding programme which are based on the acquisition of high-value animals, the preservation and improvement of the genetic type, by utilising purposefully breeding material and by enhancing the horse recording. |
Table 6.22
Total Number of Horses in all Types of Farms 2002-2003 (thousand)
|
2002. |
2003. |
2003/2002, % |
(Total number of horses in all types of farms) |
18,5 |
15,4 |
83,2 |
including in State farms and incorporated companies |
1,0 |
1,1 |
110,0 |
(in residents’ farms) |
17,5 |
14,3 |
81,7 |
(of which : in agricultural holdings ) |
- |
4,8 |
- |
in household plots and private holdings) |
- |
9,5 |
- |
Juvenile horses under 3 years of age from the total number of horses in all types of farms |
1,9 |
2,1 |
110,5 |
including in State farms and incorporated companies |
0,4 |
0,5 |
1,2x |
(in residents’ farms) |
1,5 |
1,6 |
106,7 |
of which : in agricultural holdings |
- |
1,2 |
- |
(in household plots and private holdings) |
- |
0,4 |
- |
Mares 3 years and upwards from the total number of horses in all types of farms |
6,7 |
4,5 |
67,2 |
including in State farms and incorporated companies |
0,4 |
0,4 |
100,0 |
(in residents’ farms) |
6,3 |
4,1 |
65,1 |
(of which : in agricultural holdings ) |
- |
1,2 |
- |
(in household plots and private holdings) |
- |
2,9 |
- |
Stallions 3 years and upwards from the total number of horses in all types of farms |
2,5 |
1,5 |
60,0 |
int. al. in State farms and incorporated companies |
0,1 |
0,1 |
100,0 |
(in residents’ farms) |
2,4 |
1,4 |
58,3 |
of which: in agricultural holdings) |
- |
0,4 |
- |
(in household plots and private holdings) |
- |
1,0 |
- |
Source: CSB
According to the data provided in the table, it is
seen that the total number of horses continues to decrease in the State. If
it was 23 thousand in 1997, then until It must be noted that the quality of the raised horses increases due to the utilisation of the State aid, herd selection work and the implementation of qualitative breeding material and advanced technologies in the artificial insemination. In order to maintain and develop further this sector, subsidies in the amount of 134,0 thousand lats were disbursed for the purpose of developing breeding activities by utilising purposefully high-value breeding animals and by preserving and improving the existing genetic type. The implementation of the breeding programme of the Latvian horse breed must be continued, adjusting in circumstances where required the aims of the programme in accordance with changes in the market structure. The basic breed in the selection of which the Latvian horse keepers are engaged is the Latvian horse breed. At the moment, according to the SPDPC data, there are 229 herds with 4924 horses recorded. This number includes 1570 mares, 266 stallions, 3088 juvenile horses, 109 certified stallions, 374 obtained foals; working capacity examinations of 378 juvenile horses have been performed. |
Historically, cereal farming has been the most significant cropping sector in Latvia, and in 2003, cereals covered 428.5 thousand hectares or 50.9 % of the total area of planted fields, which was by 3.3 % or 13.5 thousand hectares more than in 2002. The largest amount of cereals was sown in Jelgava region (42,8 thousands per hectare), Dobele region (38.8 thousand per hectare) and in Bauska region (36.6 thousand per hectare). |
Table 6.23
Areas under Cereal in 2003
|
Areas, hectares |
Yield, tons per hectare |
(Zemgale ) |
118 255 |
3,10 |
(Vidzeme ) |
89 413 |
1,71 |
(Latgale ) |
86 970 |
1,27 |
(Kurzeme ) |
118 360 |
2,37 |
( |
9 853 |
2,27 |
Source: CSB
Traditionally, the largest areas were covered by winter wheat – 127. 9 thousand hectares and by spring barley – 129. 2 thousand hectares. |
Source: CSB
6.1. Structure of cereal sowings in 2003
In 2003, cereals were cultivated in 52,1 thousand farms but the area of almost one third of these farms was only 1,0 – 2,4 ha. Only about 1400 farms or 2,7 % of all farms in which cereals are cultivated are engaged in the cultivation of cereals for commercial purposes. |
Source: CSB
6.2. Grouping of farms by sown areas of cereals in 2003.
Examining the structure of the sown areas of cereals, there is particular tendency observed for the crop yields of cereals to grow as the sown areas increase, which shows evidence of the effect of fragmented cereal manufacture on the low average crop yield in the State. Thus in farms where cereals are cultivated in areas up to 10 ha the crop yield thereof is from 15, 9 to 16,4 quintals per ha, but in the farms the areas of which are more than 300 ha it is almost 2 times higher on average – 28,9 quintals per ha. |
Table 6.24.
Sown Areas, Total Yields and Crop Yields of Cereals
Source: CSB
Cereal production traits of the last three years allow to establish that the cereal areas do not change radically, however, the cereal areas of winter crops tend to expand, but the cereal areas of spring crops tend to become smaller. In 2003, due to adverse weather conditions (lasting incessant rain during harvesting), as compared with the previous year, the crop yields of all cereals (except buckwheat), as well as the total yields, especially for winter crops have reduced – the crop yields by 20 %, total crops by 12,7 %. |
Source: CSB
6.3. Structure of cereals in 2003
Like in previous years, the highest average crop yields in 2003 were those of winter wheat (28.5 quintals per ha) and spring wheat (26.2 quintals per ha), but the crop yields of rye, spring barley and oats were low and even failed to reach the border of 20 quintals per ha – correspondingly, 19.8 quintals per ha, 18.6 quintals per ha and 15.9 quintals per ha. |
Source: CSB
6.4. Structure of winter and spring cereals in 2003
Although in 2003, the areas of spring cereals were slightly larger, the winter cereals constituted the largest part of total yields due to the fact that their yield was 1,3 times higher that that of spring cereals. |
Table 6.25
Cereal Balance (thousand tons)
|
2000./2001. |
2001./2002. |
2002./2003. |
Stocks at the beginning of the year |
130,9 |
182,3 |
152,6 |
Produced |
923,6 |
928,0 |
1028,5 |
Import |
104,2 |
74,5 |
63,1 |
Consumption in the internal market |
902,4 |
948,1 |
944,1 |
|
|
|
|
continued |
|||
|
2000./2001. |
2001./2002. |
2002./2003. |
- of which for the seed |
100,2 |
98,7 |
101,7 |
- of which consumed for feedingstuff |
531,5 |
555,4 |
529,8 |
- of which consumed for food |
212,7 |
243,7 |
250,7 |
- of which for other usufruct |
48,6 |
41,2 |
51,9 |
- of which the losses |
9,4 |
9,1 |
10,0 |
Export |
74 |
84,1 |
119,9 |
Stocks at the end of the year |
182,3 |
152,6 |
180,2 |
Source: RSS
Among the benefits, it should be mentioned that during recent years there has been an obvious tendency for the balance of the trade in cereal to improve – each year cereal import reduces but the export thereof increases. The consumption of cereal in residents’ nutrition also has slightly increased. |
6.8. Fruits and Vegetables |
Fruit-growing |
As compared with the previous year, in 2003, the areas of fruit trees and berry bushes, have slightly reduced in the State (by 2.2%), however, no significant changes have occurred in general during the recent years. Every year the areas of apple trees and plantations of red currants and black currants slightly increase, but there is a reduction in the plantations of pear trees, plum trees and cherries. In 2003, the areas of sea buckthorns were recorded for the first time – in Latvia they were cultivated in the area of 15 ha. |
Table 6.26
Planted Areas of the Main Fruit Trees and
|
2001. |
2002. |
2003. |
(Fruit trees and berry bushes, total) |
13,3 |
13,3 |
13,0 |
(Apple trees) |
8,1 |
8,2 |
8,2 |
(Pear trees) |
0,7 |
0,7 |
0,6 |
(Plum trees) |
0,9 |
0,9 |
0,8 |
(Cherries) |
1,1 |
1,0 |
1,0 |
Red currants, black currants |
0,7 |
0,9 |
0,9 |
(Raspberries) |
0,1 |
0,1 |
0,1 |
(Gooseberries) |
0,1 |
0,1 |
0,1 |
(Strawberries) |
1,2 |
1,1 |
1,1 |
Source: CSB
The largest part of the areas of fruit trees and berry bushes is occupied by apple orchards – 63.2 % (8248 ha) strawberries – 8.1% (1062 ha), red and black currants -7.3 % (947 ha) and cherries - 7.8 % (1017 ha). During recent years apple orchards and also plantations of other fruits and vegetables have been created in conformity with the most advanced agrotechnical requirements and it is predicted that in future they will bring higher yields, in comparison with the old fruit and vegetable gardens. Each year the areas of cranberries and blueberry bushes increase, although only few farms cultivate them at the moment. |
Source:
6.5. Fruit and berry plantations in 2003, ha
The overall production of fruit trees and berry bushes in 2003 was by 26.8% lower, as compared with the previous year, because the average yield reduced by 12.6 quintals per ha. The yield of all fruit trees was lower, higher only from strawberries (by 5.6 quintals per ha) and raspberries (by 3.4 quintals per ha) the yield was higher. |
Table 6.27.
Production and Yield of Fruits and Berries
|
Production, tons |
Yield,100 kg per ha |
|||
2002. |
2003. |
2003./ 2002. % |
2002. |
2003. |
|
(Fruits and berries, total ) |
64063 |
46293 |
72.3 |
48.1 |
35.5 |
(Apples) |
50354 |
36091 |
71.7 |
61.3 |
43.8 |
( Pears) |
1776 |
1226 |
69.0 |
25.6 |
19.1 |
(Sea buckthorn) |
65 |
43 |
66.2 |
44.3 |
28.5 |
( Quinces) |
400 |
202 |
50.5 |
18.6 |
19.4 |
( Plums) |
2903 |
957 |
33.0 |
33.3 |
12.0 |
(Cherries) |
1945 |
883 |
45.4 |
19.0 |
8.7 |
(Red currants, black currants ) |
2658 |
2819 |
106.1 |
30.7 |
29.8 |
(Gooseberries) |
583 |
441 |
75.6 |
82.0 |
65.9 |
( Black chokeberries) |
308 |
119 |
38.6 |
29.0 |
21.7 |
(Raspberries) |
143 |
180 |
125.9 |
14.9 |
18.3 |
(Strawberries) |
2928 |
3332 |
113.8 |
25.8 |
31.4 |
Source: CSB
Vegetables |
Already several years ago, market gardening was considered to be one of the priority sectors of the Latvian agriculture to which the State aid is allocated too in the form of subsidies. In 2003, the areas of hothouses have significantly increased, namely, by 54%, because the tendency to cultivate vegetables in covered areas for commercial purposes is increasing. Moreover, even more rural entrepreneurs construct new hothouses in which it will be possible to apply the most advanced technologies for cultivating vegetables and thus to reduce the cost price of vegetables and to improve their quality. |
Source:
6.6. Areas of hothouses 2001 - 2003
Each year the volume of vegetables produced in covered areas also increases (by 26.4 % more in 2003 than in 2002) and the quality thereof, especially of tomatoes, cucumbers and lettuce also improves, the production of even more varying assortment of vegetables, including strawberries, has started in hothouses. |
ALESI
Table 6.28.
Siltumnīcu dārzeņu ražošanas rādītāji (t)
Production Traits of Hothouse Vegetables (tons)
|
|
2001. |
2002. |
2003. |
2003./ 2002. % |
|||||
|
Production of vegetables in all hothouses, tons |
10911 |
12979 |
16402 |
126,4 |
|||||
|
of which: |
|
|
|
|
|||||
|
tomatoes |
6074 |
6493 |
8954 |
137,9 |
|||||
|
cucumbers |
4544 |
6234 |
7067 |
113,4 |
|||||
|
lettuce |
70 |
48 |
102 |
2,1 reizi |
|||||
|
spring onions |
74 |
91 |
61 |
66,6 |
|||||
radishes |
19 |
20 |
24 |
119,0 |
|
|||||
other |
130 |
93 |
194 |
2,1 reizi |
|
|||||
In addition strawberries |
- |
7 |
20 |
3,0 reizes |
|
|||||
Source: CSB
Similar tendencies may be observed in the production of vegetables in open fields – both the sown areas and yields increase, the sown areas of cucumbers, onions, garlic, marrows and gourds have increased particularly during recent years. |
Table 6.29.
Sown Areas of Vegetables in Open Fields (ha)
|
2001. |
2002. |
2003. |
2003./2002. % |
Vegetables - total |
13273 |
12369 |
14321 |
115,8 |
of which: |
|
|
|
|
cabbage |
3945 |
3346 |
3513 |
105,0 |
cucumbers |
937 |
1197 |
1327 |
110,9 |
tomatoes |
120 |
206 |
271 |
131,6 |
beetroots |
1997 |
1648 |
2058 |
124,9 |
carrots |
3573 |
2310 |
2655 |
115,0 |
onions |
998 |
1592 |
1731 |
108,8 |
garlic |
193 |
285 |
365 |
128,1 |
horse-radish |
77 |
40 |
45 |
112,5 |
gourds marrows |
380 |
330 |
439 |
133,1 |
Source: CSB
Evaluating the production of open field vegetables, we can see that it is very fragmented – 64% of farms cultivate vegetables in areas up to 1 ha and the production is mainly utilised for own consumption. However, there is increase in the number of the farms which cultivate vegetables in fields the area of which is several tens and even hundreds of ha and which provide the supermarket networks with the products produced in Latvia. |
Source:
6.7. Sown areas of open field vegetables in farms (ha)
In comparison with 2003, vegetable yields have increased by almost 50%, mainly due to the increase in yields (increases by 40.4%). The production volume of certain crops, for example, carrots and salad beetroots, has even increased by 81.5 % and 70.2%, the productions of other vegetables too have increased by at least one third (with the exception of horse-radish). |
6.30.tabula
Table 6.30.
Production and yield of vegetables in open areas
|
Production, tons |
Yield,100 kg per ha |
|||||
2001. |
2002. |
2003. |
2003 % pret |
2001. |
2002. |
2003. |
|
(Vegetables – total ) |
148391 |
135198 |
201089 |
148.7 |
111.8 |
107.8 |
140.4 |
(of which): |
|
|
|
|
|
|
|
(cabbage) |
61811 |
59935 |
82580 |
137.8 |
156,7 |
191.6 |
258.1 |
(cucumbers) |
4687 |
7791 |
10431 |
133.9 |
50,0 |
64.7 |
78.6 |
(tomatoes) |
206 |
1037 |
1493 |
144.0 |
17,2 |
50.3 |
55.1 |
(beetroots) |
21942 |
16354 |
27835 |
170.2 |
109,9 |
98.1 |
135.3 |
(carrots) |
42803 |
22977 |
41701 |
181.5 |
119,8 |
97.9 |
157.1 |
(onions) |
7134 |
14113 |
17490 |
123.9 |
71,5 |
86.9 |
101.0 |
(garlic) |
657 |
940 |
1242 |
132.1 |
34,1 |
32.9 |
34.0 |
(horse-radish) |
450 |
260 |
156 |
60.0 |
58,4 |
49.0 |
34.6 |
(gourds marrows) |
4506 |
4651 |
6645 |
142.9 |
118,6 |
140.0 |
151.4 |
Source : CSB
Cultivation of sugar beets and production of sugar in Latvia is limited. The State specifies for refineries the production volumes of sugar, according to the data of the State balance of the production and consumption of sugar and the prognosis regarding the expected consumption. |
Table 6.31.
2001 –2003 Production and Consumption Balance of Sugar, thousand tons
No. |
Criteria |
2001. |
2002. |
2003. |
1. |
(Sugar stocks at |
46,5 |
43,5 |
60,2 |
2.
2.1. 2.2. 2.3. |
Sugar produced from sugar beets in a calendar year t.sk. (of which ): (A quota sugar) (B quota sugar) (Overquota sugar ) |
56,0
56,0 0 0 |
76,9
62,0 4,0 10,9 |
74,9
62,0 4,0 8,9 |
3. |
(Total sugar resources ) |
102,5 |
120,4 |
135,1 |
4. |
Marketing (consumption) of the sugar (A quota) produced by the local refineries |
59,0 |
60,1 |
59,8 |
5. |
Sugar of additional quota (B quota) marketed on the internal market (for the wholesale trade – 3501, for processing enterprises – 481) |
- |
- |
3,9 |
5. |
(Sugar export ) |
0 |
0 |
17,9 |
6. |
(Sugar stocks at 31 December) |
43,5 |
60,2 |
53,5 |
Source: RSS
Sugar
surplus at 1 January 2004, as compared with the sugar surplus at 1 January
2003, has reduced by 11.2% which is partly connected with the exported
overquota sugar. In the period of reference, the average sale price of sugar
on the internal market was One of the problems of the sugar processing enterprises is the high price of sugar due to which conditions of unequal competition had occurred on the domestic market in 2003 within the scope of the Baltic Free Trade Agreement. In order to solve this processing problem, partial compensation of the sugar price was provided for the processing enterprises until the accession to the European Union. In order to stabilise the sugar sector, financing from subsidies amounting to 0.96 million lats was allocated in 2003. The European sugar market is mainly regulated by means of quotas. According
to the data of the Central Statistics Office, in 2003, the procurement of
sugar beets by regions is 490807 tons of which 188256 tons from the total amount have been
purchased from the State farms and incorporated companies, 302551 tons have
been purchased from household plots and private holdings. The main regions in Latvia where sugar
beets are cultivated are Bauska, Jelgava and Dobele regions. Farms received |
Table 6.32.
Procurement of Sugar Beets by Regions in 2003
No. |
Region |
Amount, tons |
Value (exclusive of VAT) |
Lats per 1 ton |
1. |
Bauskas (Bauska) |
185656 |
|
20,25 |
2. |
Dobeles (Dobele) |
91395 |
|
19,68 |
3. |
Jelgavas (Jelgava) |
168782 |
|
20,39 |
4. |
Jēkabpils (Jekabpils) |
742 |
13766 |
18,55 |
5. |
Liepājas (Liepaja) |
10552 |
196482 |
18,62 |
6. |
Rīgas (Riga) |
3595 |
71621 |
19,92 |
7. |
Saldus (Saldus) |
12341 |
227684 |
18,45 |
8. |
Tukuma (Tukums) |
17524 |
326261 |
18,62 |
9. |
Valmieras (Valmiera) |
220 |
5063 |
23,01 |
(Total) : |
490807 |
|
20,05 |
Source: CSB
In 2003, the total sown area covered by sugar beets was 15.9 thousand ha, but in 2003 - 14.4 thousand ha, which is 90.3%, as compared with the previous year. The production thereof was 622.3 thousand tons in 2002, but in 2003 - 532.4 thousand tons or 85.6%. The average yield per 1 ha in quintals was 391 quintals in 2002 or 94.6%. |
For centuries potatoes have been a traditional Latvian crop and they are cultivated almost in every farm, mostly for the needs of the own family. The potato production is very fragmented, as in 2003, 96.8 % of the farms cultivated them in areas of less than 1 ha and it was 73.9% of the total planted areas of potatoes. In 496 farms potatoes were cultivated in areas larger than 5 ha. |
Source:
6.8. Division of farms by potato yields, quintals per ha
Planted areas of potatoes have not changed during the recent years, but the yields and productions depend on weather conditions of each particular year. It may be explained by the relatively small part of potatoes (13.3% of the total potato areas) which are cultivated in conformity with all agrotechnical requirements and the most advanced technologies and allow obtaining stable and sufficiently high yields in less favourable climatic conditions too. However, despite the unstable yields, the subsistence level has almost been attained by means of the locally produced potatoes . |
Table 6.33.
Potato Production Traits
|
2001. |
2002. |
2003. |
2003/2002.% |
(Areas, thousand ha) |
55,1 |
53,6 |
54,6 |
101,8 |
(Productions, thousand tons ) |
615,3 |
768,4 |
739,0 |
96,2 |
(Yield, quintals per ha) |
112 |
143 |
135 |
94,4 |
Source: CSB
Rape |
In 2003, the sown areas of rape continued to grow. As compared with the previous year, they increased by 7.6 thousand ha or 41.1%, the production obtained increased by 4.7 tons or 14.3%. Each year the rape proportion increases in the sowings of agricultural holdings and in 2003 it reached 3.9% (in 2002 – 2.4%). In 2003, the sown areas of spring rape have increased by 2.2 times. Due to unfavourable climatic conditions the proportion of sown fields of winter rape is rapidly reducing, and in 2003 it was only 12.0% of the total rape sowings (in 2002 – 43.8%). The year of 2003 was particularly unfavourable for winter rape sowings when one fourth of the sowings withered away or were not harvested and the production reduced by 76.4%. In 2003, as compared with 2002, the average rape production per hectare reduced by 22%. |
Source: CSB
6.9. Sown areas, production and yield of rape 2000 – 2003
In 2003, there were 9.6 thousand tons of rapeseed and 0.5 thousand tons of rape and rapeseed oil exported. |
Linseed |
In 2003, the sown areas of linseed have increased by 9.6%, as compared with 2002, but in comparison with 2001, they have decreased by almost three times. Irrespective of the fact that the area harvested in 2003 was by 24% larger than in 2002, the seed production was by 22 t smaller. |
Source:
6.10. Linseed production 2000 - 2003
In 2003, there were 416 t of turnip rape with the average production of 1.13 tons per ha harvested from 367 ha of the sown areas of turnip rape which were by 34% smaller than in 2002. |
6.12. Flax |
According to the data of the Association of Latvian Flax Growers, flax was sown in the area of 2.4 ha which is by 0.5 ha more than in 2002. In South Latgale region there was 58.0% of the total area of the fibre flax sown but in East Latgale region – 41.6%. In 2003, there were 7.8 thousand tons of flax straw harvested but, due to the lasting incessant rain, the yield was not harvested completely. Despite the fact that the yield of flax straws reduced by 6%, the yield of flax fibre reduced by about two times, as compared with 2002. |
Source:
RSS,
6.11. Yield and production of flax 2000 - 2003
The Association of Latvian Flax Growers has determined that the cultivation of flax is profitable if the production thereof is not less than 4 tons per ha, if the production is higher the quality of straws also increases. In 2003, flax for fibre was cultivated in 49 farms with the average flax area of 50 ha per farm. The average production of the flax fibre was 3.18 thousand per ha. The largest amount of flax is cultivated in Kraslava, Rezekne and Ludza regions. The highest yields were harvested in the regions of Preili and Rezekne, correspondingly, 3.9 tons per ha and 3.5 tons per ha. There were 472.9 thousand lats disbursed in total from the State subsidies for the hectares of sown flax and yield harvested in 2003. The flax
production is one of the sectors that receive the largest support of the
State subsidies. The flax growers received |
Table 6.34.
State Subsidies Received for Flax Sowings and Flax Straws in 2003
Region |
Number of beneficiaries of subsidies |
Declared sown area of flax (ha) |
Subsidised flax straws Nr.1.0 (t) |
Subsidised flax straws Nr.1.25 (t) |
Subsidised flax straws Nr.1.5 and higher (t) |
Sum disbursed ( |
|
||||||
|
24 |
1017 |
503 |
726 |
1928 |
192429 |
|||||||
|
24 |
1417 |
14 |
2471 |
2131 |
280274 |
|||||||
|
1 |
10 |
- |
- |
- |
200 |
|||||||
Total |
49 |
2444 |
516 |
3197 |
4059 |
472903 |
|||||||
Source: RSS
According
to the data of the CSB (Central Statistics Bureau), in 2003,
primary-processing establishments disbursed |
6.13. Apiculture |
There is only one State-wide professional organisation of beekeepers in Latvia – the Association of Latvian Beekeepers which has branches in all regions. The other – Ogre Apiculture Association functions within the scope of the region. The members of the professional organisations of beekeepers in Latvia own about 52% of all colonies existing in the State . According to the estimates of the Association of Latvian Beekeepers, about 47% of the colonies of bees perished during the 2002/2003 hibernation (the questioning was carried out by the Association of Latvian Beekeepers in spring 2003) which affected development of the sector and the production of beekeeping products in 2003 because the colonies that had survived during the hibernation were engaged in the renewal of the number of colonies. In comparison with 2002, the number of bee colonies in 2003 has reduced by 15%, but the volume of the honey produced – by 27%, the average honey yield from a colony of bees has also reduced. |
Source:
6.12. Honey yield and number of bee colonies 2000 - 2003
At the beginning of 2003, the first beekeeping cooperative society was established in Latvia – the cooperative society of farmer services “Medus aģentūra” [Honey agency]. The honey agency prepacks the products produced by the members of the Association of the Latvian Beekeepers and distribute them in the supermarket network in the entire State thus providing beekeepers with the opportunity to compete with the big honey wholesalers in the network of supermarkets. In 2003, the self-subsistence in relation to honey in EU Member States was about 46%, but in Latvia – 79%. In overall comparison with 2002, a negative tendency has been observed in the external trade in honey. The export has reduced by 62% but the import – by 28%. In 2003, honey was mainly exported to the USA, Estonia and Lithuania. Honey was imported from Russia, Ukraine, Hungary and Germany. |
Table 6.35.
Amount, Imports and Exports of the Produced Honey 2000 – 2003 (tons)
Parameters |
2001. |
2002. |
2003. |
Produced honey |
574,6 |
759,6 |
552,5 |
Honey export |
9,4 |
12,1 |
4,6 |
Honey import |
260,5 |
183,7 |
148,6 |
Source: CSB
As demonstrated in the figure 6.13., the average price within the period from 2000 to September 2002 has reduced. It can be explained by both the increase in the total produced honey and the low cost price of the imported honey. The average price of honey increased during 2003, however, it failed to reach the average level of the prices of 2000. |
Source:CSB
6.13. attēls. Medus vidējās cenas 2000. - 2003.gadā
Figure 6.13. The average honey prices 2000 - 2003
In 2003, the Association of Latvian Beekeepers questioned beekeepers for the purpose of obtaining data for the research of the structure of the beekeeping sector. Two beekeepers from each parish were engaged in the questioning. The results compiled suggest that the largest part of the total products of beekeeping is honey and only 4% is constituted by wax, 0.2 % - by propolis and 4% - by pollen. |
Source: LBB
6.14. attēls. Bišu produkcijas struktūra
Figure 6.14. Structure of beekeeping products
There is a great potential in Latvia for the production of pollen, the total amounts of pollen could reach 120 t. |
Fur-farming |
As concerns the fur-farming sector, mainly minks, foxes, arctic foxes, as well as chinchillas were bred in 20 farms in 2003. There were 1001 people on average employed therein. In Latvia activities of the industrial production of fur-bearing animals are coordinated by the Association of Latvian Fur-breeders. According to the data of the Association, the number of the bred arctic foxes and fox cubs increases every year but, in comparison with the previous year, the number of mink cubs bred in 2003 has decreased by 28 475 cubs, mainly due to the mortality of cubs caused by a poor quality vaccination. It was also affected by weather conditions. In 2003, 9.2 % of the total number of the born cubs died, in 2002 – 5.0%. In 2003, a mink has produced 3.76 cubs on average. |
Table 6.36.
Number of Fur-bearing Animals – Mothers and Reared Cubs 2002 – 2003 (head)
|
Number of mothers |
Number of reared cubs |
Number of mothers |
Number of reared cubs |
Number of mothers |
Number of reared cubs |
(Year) |
2001. |
2002. |
2003. |
|||
(Minks) |
99 410 |
403 876 |
100 543 |
406 552 |
102779 |
378077 |
(Arctic foxes) |
1 808 |
7 607 |
2 222 |
9 560 |
2218 |
11277 |
(Foxes) |
2 039 |
7 564 |
2 236 |
6 459 |
2506 |
8708 |
Source: MoA, Fur-farming association
Breeding chinchillas is a comparatively new sector. They were bred by seven farms. Taking into account the rising popularity of this sector, the number of farms has doubled. There is a small number of chinchilla skins marketed at the moment, because the herds of breeding animals are being increased in farms and new solutions are sought to improve the technologies for processing chinchilla skins. Within the frameworks of the Sapard sub-programme “Diversification of Rural Economy by Facilitating Alternative Sources of Income” five fur farms received significant financial aid. The resources were utilised for the modernisation of farms and feed kitchens, as well as for obtaining modern equipment for first processing of furskins. First processing of furskins was improved in five farms in 2003 in order to meet the requirements of Helsinki and Copenhagen international furskin auctions . The skins of fur animals were mainly exported. Fur marketing capacities through international auctions in Denmark and Finland increase every year. About 40% of the total amount of furskins were marketed in auctions in 2003. Breeding material for the sum total of 70.0 thousand lats was purchased in 2003 from Lithuania, Estonia, Finland and Denmark in 2003, 50 % of which was financed from the State subsidies (pursuant with Section IX, 4.“Obtaining Breeding Material Abroad” of the by-law “Development of Stock Farming”). The import of high-value breeding pure-bred animals helps farms to improve the reproduction capacities of herds, increase the number of the cubs bred, the size of animals and to improve the quality of the colour and coat hair of animals. |
Breeding of Wild Animals |
Wild animal farms mainly focus on the organisation of commercial hunt, tourism, as well as on the selection of animals. At the end of 2003, there were 37 members in the Association of Wild Animal Breeders who possessed territory of 6000 ha from which 3000 ha of land area was enclosed. In total there are about 3000 animals on 16 grounds for wild animals, among which there are deer, fallow-deer, wild boars, moufflons, roebucks, chamois, etc. In autumn 2003, the implementation of five Sapard projects was initiated in the frameworks of the association. One of the projects was implemented in Balvi region, and two in the regions of Jelgava and Tukums. In 2003, the funds of the State subsidies in the amount of In 2003, the association imported 148 animals, among which there were 28 from Poland and 120 from England. Obtaining of animals was financed in the amount of 50% from the State subsidies (pursuant with Section IX “Obtaining Breeding Material Abroad” of the by-law “Development of Stock Farming”). |
Breeding of Ostriches, Quails and Pheasants |
At the beginning of 2003, the breeding of ostriches was based on the rural tourism in Latvia, and only few were aware that the basic product of the breeding of ostriches is meat and skins, as it is common everywhere else in the world and Europe. In June 2003, the public organisation “Latgales strausi” [Latgale ostriches] which is a member of the Eastern European club of breeders of ostriches commenced its activities. Within a period of about a year the organisation has established contacts with the world’s leading scientists, practitioners in the breeding of ostriches, created the basis of the agricultural production sector for the breeding of ostriches and provided opportunities for the Latvian breeders to enter the common European market. Cooperation with the Ministry of Agriculture has been commenced in order to create legislation regulating this sector, as well as to include the breeding of ostriches among the number of those agricultural production sectors which will be eligible for the EU structural funds. In autumn 2003, intense work has been commenced in order to solve the issue concerning slaughtering of ostriches and to make it possible to market the meat of these birds legally in the marketing and restaurant network. The birds for meat are bred in the Cesis and Kraslava regions. In Atasiene parish of Jekabpils region breeding ostriches were brought in and the basis for the first farm of breeding ostriches “Ozoliņi” was laid in Latvia. Tourism objects are located in More parish of Riga region, Liepaja region, Kraslava and Daugavpils regions. According to the questioning of the breeders of quails and pheasants, it has been determined that 3 farms in Liepaja region keep quails for the acquisition of meat. The largest farm of laying quails is situated in Cesis region. Farms keeping pheasants for hunting purposes are situated in Saldus and Kuldiga regions and in Kandava and Ugale. In Latgale and Vidzeme these birds are mainly kept as tourism objects. |
Rabbit Breading |
According to the data of the Central Statistical Bureau, there were 149.2 thousand rabbits in all types of farms in 2003. In comparison with the situation at the end of 2002, the number thereof had increased by 5.4%. The reason for it is the considerable demand for the rabbit meat and the possibility to produce within a short period of time the products to be marketed. |
Source:
6.15. Number of rabbits at the end of the period of 2001-2003.
There are two organisations in Latvia that function in the rabbit-breeding sector: the Association of the Breeders of Breeding Animals, the Association of the Latvian Breeders of Small Animals “Trusis un citi” [Rabbit and others]. The rabbit breeding sector farms of the Association of the Latvian Breeders of Breeding Animals mainly deal with breeding pure-bred breeding rabbits, but it would not be possible, unless the rabbits were also produced for the purposes of meat and furskins. These purposes are closely interrelated. In 2003, the identification of rabbits and resolution of species was organised, the biological breeding of rabbits was commenced which is constantly continued. In comparison with the previous years, radical increase of the vaccinated rabbits has been attained which is suggested by the amount of the vaccine utilised. Not all breeders of rabbits in Latvia have joined organisations. It is very difficult to establish the actual number of rabbits in Latvia, since new breeders of rabbits constantly appear who keep rabbits for their own needs and have not registered their herds. Quite many breeders market rabbits without having registered them. The constantly increasing possibility to obtain rabbit meat in stores and markets suggests that the number of rabbits bred in Latvia is constantly increasing. |
Breeding of Crayfish and Fish |
During the period of 2003 the Association of the Latvian Breeders of Crayfish and Fish has grown up to 125 members. The number of licensed farms reached 26 (increase – 6 farms). The activities of the Association in 2003 were focused on further breeding of crayfish and high-value freshwater fish in the aquaculture and natural water bodies, facilitating rural development, economic diversity and the reduction of unemployment level. The principal directions: 1. expansion of activities, 2. establishment of new resources, 3. international cooperation, and 4. education. |
Source: Association of the Latvian Breeders of Crayfish and Fish
6.16. Products produced in the crayfish breeding in 2003
The research of the status of the crayfish population in the lakes of Kurzeme and Zemgale is continued. In total, there has been the situation of the crayfish population evaluated in 141 lakes until 1 2004: ü47 lakes the crayfish resources are evaluated as suitable for the utilisation, üdetailed structures of the population have been analysed in 23 lakes (in 14 lakes the crayfish resources have been evaluated as suitable for the utilisation, which provides basis for the organisation of the development of licensed crayfishing, in 5 lakes the resources are to be developed). In order to ensure development, managing and sustainable utilisation of crayfish resources, a computerised data base has been established regarding the propagation of the crayfish resources, status of the population, activities performed and the changes in the population structure. The establishment of the monitoring system of crayfish lakes has been commenced. The crayfish resources have been renewed in two lakes by adding young crayfish therein. |
|
There is no organisation in Latvia that would unite all mushroom growers therefore it is difficult to establish the total number of mushroom growers and the amount of the products produced. According to the data of the Central Statistical Bureau, there were 2509.2 tons of mushroom marketed in 2003. |
Table 6.37.
Marketing of Mushroom Products in 2003
Type of product |
Amount marketed, t |
From which marketed to processing enterprises, t |
Total proceeds from the marketing |
Average sales price per 1 quintal |
Cultivated mushrooms |
2503,1 |
84,0 |
175444 |
70,49 |
Oyster mushrooms |
2,3 |
- |
208 |
90,48 |
Shiitake mushrooms |
3,8 |
0,7 |
1612 |
423,10 |
Total |
2509,2 |
84,7 |
178264 |
71,04 |
Source: CSB
The marketed amounts of mushroom suggest that mainly cultivated mushrooms are cultivated in Latvia. The number of shiitake and oyster mushrooms cultivated is considerably lower. The Association of the Growers of Shiitake Mushrooms (AGSM) has been established and 146 members function therein. Due to their sapid and healing properties, both shiitake and oyster mushrooms are required on the world’s market, and the growers of this product have development potential. The increase in the mushroom consumption, as well as demand for ecologically pure, qualitative mushroom products are predicted. |
At the end of 2003, there were 550 certified farms in Latvia engaged in organic farming, including 186 organic farming establishments. 145 farms had been granted the transition period to fully organic farming and 219 had already entered upon the transition. |
Source: State Plant Protection Service
6.17. Structure of organic Farming Establishments in 2003
In comparison with 2002, in the year 2003, the total certified organic farming area increased by 50% and reached 1% of total agricultural land. |
Source: State Plant Protection Service
6.18. Number of certified farms in
In 2003, 292 farmers received support via state subsidy programme which amounted to 479.8 thousand LVL, expediting the growth of areas under organic farming. The sizes of organic farms are variable; in the range between 1.5 ha in smallest farms and 595 ha in the largest farms. 48% of certified farms are in the range between 20 and 100 ha, while 44% of farms have less land than 20 ha. |
8. External Trade Policy |
With accession of Latvia to the EU, pursuant to provisions of the Accession Agreement, the Treaty establishing the European Community is forthwith binding to Latvia. Since the day of accession, Latvia has terminated its membership in the previously concluded trade agreements; Free trade agreements have been likewise denounced. In accordance with the Treaty establishing the European Community, Member States form a common trade policy on the basis of equal principles in respect of tariff rates applicable and conclusion of the trade agreements, as well as export policy and other issues related to trade. Consequently, as of May 1, 2004, Latvia as an EU Member State, applies trade agreements concluded between the Community and other countries of different regions of the world. |
Source: MoA
8.1. Concluded and programmed trade agreements of the EU
Agreement on the European Economic Area foresees conclusion of membership agreement in order to become a party to this Agreement. In this respect, in 14 October 2003, the Agreement on the membership of the new Member States of the EU in the European Economic Area was signed in Luxemburg. During the preparation of the said agreement, negotiations were held also on adjustments to trade in agricultural products in order to preserve the traditional flow of products between EFTA countries and the new Member States. At the same time, in the light of enlargement, European Commission is negotiating with Switzerland, Bulgaria, Romania and Turkey to include adaptations of trade conditions with agricultural products in respective agreements for the preservation of the traditional trade flow. With Latvia becoming a member state, larger avenues are opening up for its exporters, for the EU has concluded preferential trade agreements with several countries of the world, where formerly, before May 1. Latvian products did not benefit from any trade reliefs. Moreover, as the result of the on-going negotiations on trade with agricultural products with countries the new member states had concluded free trade agreements with, there will be the same trade reliefs included in the agreements concluded by the EU. |
As the result of the accession, the acquis regulating the trade with
agricultural products with third countries has become binding for · Import and export licensing procedure for larger quantities of products and accompanying measure thereof – application of a security; · Procedure of application export refunds to certain primary and processed agricultural products; · Procedure of administration of tariff quotas, following the principle “first come, first served”- simultaneous assessment method and traditional importers’ method. One of the essential benefits of accession is the possibility to receive export refunds for exports of agricultural products to the third countries, the objective of this measure being to compensate for the price differences between the internal market and the world market. Thus, producers of agricultural products get the opportunity to become price-competitive in the markets of third countries. The application procedure of trade mechanisms is mainly provided for by the directly applicable legislative enactments of the EU. In order to secure an accurate functioning of the administration system thereof, Cabinet Regulations No. 406 from 22 April 2004 „Administration Procedure of External Trade with Basic and Processed Agricultural Products” were adopted pursuant to Article 8 of „Law on Agriculture and Rural Development”. The said Cabinet Regulations lay down the functions of institutions involved in the administration of trade mechanisms, the application conditions of choise of Member States foreseen in the EU regulations, as well as separate application provisions of trade mechanisms. Institutions involved in administration of trade mechanisms and functions thereof are reflected in table 8.1. |
Table 8.1.
Institutions involved into Administration of Trade Mechanisms and Functions thereof
Functions |
RSS1 |
Customs Authority |
FVS2 |
(Application of a security ) |
|
|
|
Issuance of import/export trade licenses |
|
|
|
Issuance of product conformability certificates |
|
|
|
(Performance of physical controls) |
|
|
|
(Sampling of products ) |
|
|
|
Performance of laboratory tests |
|
|
|
Calculation of export refunds |
|
|
|
(Application of customs duties ) |
|
|
|
Administration of tariff quotas |
|
|
|
Source: 1 RSS, 2 FVS
With accession of Latvia to the EU, the national market protection legislation „Antidumping Law”, „Law on Protection of Internal Market” and „Law on Protection Against Subsidized Import” ceased to be in force. The State Internal Market Protection Bureau was closed on 30 April, 2004. As of 1 May, its functions were taken over by EU Trade Protection Instruments’ Division established under Ministry of Economy. Since May 1, the above laws have been replaced by Commission Regulations. Market protection regulatory mechanisms in the European Union have been elaborated pursuant to conditions of agreements under World Trade Organization: · Anti-dumping prescribes measures for prevention of losses to local producers as the result of imports for dumping prices (85% of the cases investigated are brought on the basis of applications of the interested industries – EC Regulation 384/96)* · Protection against subsidized import prescribes measures to compensate for the losses caused to local producers by the subsidized imports. (14% of actions are brought on the application of the interested industries); (EC regulation 2026/97)*; · Safeguard measures prescribes the procedure of applying the internal market protection measures in the event of essential damages to local producers as the result of growth of imports. (1% of actions are brought pursuant to requests of Member States) (EC Regulations 519/94 and 3285/94)*; There is also a
special Market protection legislation in place in the EU pertaining to a
single country – ·
Special complex of
protection measures against import of goods from · Regulation of trade barriers prescribes activities in respect of having received an application from producers on adverse effect on the production of trade barriers imposed by other countries. Commission appropriately evaluates the compliance of the said barriers with WTO provisions and carries out negotiations on mutually acceptable solution to remove the negative impact of the said trade barriers on Community producers (EC regulation 3286/94).
|
Since 2000, the external trade sector shows the
tendency of both, import and export growth, the year 2001 and 2002 being
years of swift export increase – 69% and 30% increase in comparison with
earlier years. However, looking at the external trade balance (see Figure
8.2.), the tendency of increase of a negative trade balance is evident. In The growth of total exports in 2003. was caused
mainly by increases of exports of the following products – grain, by 59% or
4.6 million LVL, soft beverages and alcoholic beverages – by 20% or 4.4
million LVL, dairy products - by 24% or 3.0 million LVL, sugar and sugar
confectionary products - by 171% or 2.8 million LVL, fruit and vegetable
processing products, - by 31% or 1.8 million LVL, confectionary products - by 66% or 1.7
million |
Source: MoA, according to CSB
8.2.
Latvian External Trade Balance of Agricultural Products 2001. - 2003. (million
Source:MoA according to CSB
8.3.
Export of Agricultural Products from Latvia in 2001 - 2003 (million
Looking at the structure of Latvian agricultural exports (see Figure 8.4.), it is evident that the highest proportion is provided by products not originally produced in this country: fresh and canned exotic fruit, juices thereof, wine, coffee, tea, tobacco as well as products the production level of which is below demand locally. The highest increase in agricultural imports in 2003, in
comparison with 2002, was provided by imports of meat (19% or 5 million LVL
import growth) as well as canned fruit, vegetables and juices (23% or 3.5
million LVL growth), fresh fruit (11% or |
Source: MoA according to CSB
8.4. Import of Agricultural Products into Latvia 2001 - 2003
(milion
Looking at the import flow of agricultural products into Latvia, it is evident that 81-83% of the total imported volume is made up of imports from other Member States of the EU (see Figure 8.5.), explained by the favourable import conditions for these countries in comparison with imports from third countries. In total imports, only 0.3% are covered by imports from countries other than members of the World Trade Organization, who are liable to payment of basic customs tariff rates; the rest of imports are divided as follows – 5% from Bulgaria, Turkey and Romania, 12% from WTO member countries and CIS countries. Looking at the export flow from Latvia, it is evident that exports to countries which presently are EU Member States are growing with every year (see Figure 8.6). Thus, in the year 2003 and 2002 in comparable periods, export increased accordingly by 18% and 25%. The proportion of EU (25) countries in 2003, was 59%. 40% of the total product flow is covered by exports to CIC countries and WTO member countries. |
Source: MoA according to CSB
8.5. Import of Agricultural products into Latvia
by groups of countries in 2001 - 2003 (million
Source: MoA according to CSB
8.6. Export of Agricultural Products from
[1] Nel Seimas è stato altresì costituito un gruppo di cooperazione parlamentare con il Tibet.
[2] Sono cinque le Conferenze ministeriali svoltesi finora: a Singapore nel 1996, a Ginevra nel 1998, a Seattle nel 1999, a Doha nel 2001 e a Cancún nel 2003.
[3] Il OMC classifica le sovvenzioni in categorie designate da un colore (verde, blu e arancio) a seconda del grado distorsivo del loro effetto sulla produzione e sugli scambi.
[4] Solo gli USA, a titolo di tale deroga, impegnano 8 miliardi di dollari l’anno che si aggiungono agli aiuti agricoli erogati in via ordinaria.
[5] I paesi in via di sviluppo (attualmente circa 125 per un totale di circa 4,9 miliardi di persone) sono i paesi con un reddito basso e medio i cui baitanti hanno accesso limitato a beni e servizi.
[6] Sono 49 paesi (pari al 10% della popolazione mondiale) che rientrano in questa categoria, definita dall’ONU in base all’esistenza di handicap strutturali nei processi di sviluppo come per es. il bassissimo livello di esportazioni nel commercio mondiale (nel 1980 tali paesi realizzavano lo 0,8% delle esportazioni mondiali, percentuale scesa attualmente allo 0,5%).
[7] Regolamento (CE) n. 864/2004.
[8] Il 5-6 luglio si è tenuto a Parigi il Forum UE-Africa che ha definito una serie di indirizzi relativi alle misure di sostegno ai produttori africani di cotone. Si ricorda che l’8 settembre 2004 è stata pubblicata la sentenza con la quale il OMC ha condannato gli incentivi che il governo americano elargisce ai suoi 25 mila produttori di cotone
[9] In realtà l’accordo è stato preparato da una riunione ristretta a Parigi di cinque partners OMC: UE, USA, Brasile, India e Australia.
[10] L’accordo di Cotonou è l’accordo di partenariato tra i paesi ACP (Africa, Carabi e Pacifico) e l’Unione europea firmato il 23 giugno 2000. Tra i protocolli dell’accordo rientra anche quello che costituisce la base delle importazioni nell’UE dello zucchero prodotto dai paesi ACP (Si veda la nota RUE “La riforma della PAC per il settore dello zucchero”.
[11] COM(2004)487 del 14 luglio 2004.
[12] Si veda il dossier RUE “Prospettive finanziarie 2007-2013” del 1° aprile 2005 e il dossier RUE “Lo stato dei negoziati sulle prospettive finanziarie 2007-2013 del 24 maggio 2005.
[13] Il 15 settembre 2004 il Parlamento europeo, sulla base dell’art. 175 del regolamento, ha deliberato la costituzione di una commissione temporanea, presieduta dal Presidente del Parlamento europeo Josep Borrell, con il compito di presentare al Parlamento una relazione finale sulle prossime prospettive finanziarie, prima che il Consiglio adotti la sua posizione comune su tale questione.
[14] Sulle proposte in questione si veda il dossier RUE n. 22 “I nuovi strumenti finanziari per la politica agricola e della pesca” del 2004.
[15] Si tratta, in particolare, del regolamento (CE) n. 1782/2003 del 29 settembre 2003 che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto nell’ambito della politica agricola comune e istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori; del regolamento (CE) n. 1783/2003 del 29 settembre 2003 che modifica il regolamento (CE) n. 1257/1999 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (FEAOG); del regolamento (CE) n. 1784/2003 del 29 settembre 2003 relativo all’organizzazione comune di mercato nel settore dei cereali; del regolamento (CE) n. 1785/2003 del 23 settembre 2003 relativo all’organizzazione comune del riso; del regolamento (CE) n. 1786/2003 del 23 settembre 2003 relativo all’organizzazione comune dei mercati nel settore dei foraggi essiccati; del regolamento (CE) n. 1787/2003 del 23 settembre 2003 relativo all’organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari; del regolamento (CE) n. 1788/2003 del 29 settembre 2003 che stabilisce un prelievo nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari.
[16] I testi sono stati adottati, conformemente alla procedura di consultazione, dopo che il Parlamento europeo ha reso il suo parere nella sessione plenaria del 2-5 giugno 2003
[17] Il disaccoppiamento è una formula con la quale si intende l’erogazione degli aiuti all’azienda agricola indipendentemente dal volume di produzione.
[18] Una parte dell’aiuto comunitario resta legato alla produzione, in particolare nel settore dei cereali, dei semi oleosi e piante proteiche, della fecola delle patate e del grano duro, nonché delle carni bovine.
[19] In applicazione della riforma della PAC, la Commissione ha anche adottato tre regolamenti di attuazione: il regolamento (CE) n. 2237/2003 del 23 dicembre 2003, il regolamento (CE) n. 795/2004 del 21 aprile 2004 e il regolamento (CE) n. 796/2004 del 21 aprile 2004.
[20] Il protocollo n. 3 dell’accordo di partenariato, firmato nel 1975, è stato rinnovato a Cotonou nel giugno 2000.
[21] COM(2003)554 e documento di lavoro “Verso una riforma della politica dello zucchero dell’UE”.
[22] Agence europe del 15 luglio 2004.
[23] I paesi ACP hanno chiesto, nel corso delle ultime riunioni relative ai negoziati del ciclo di Doha, di essere indennizzati nel caso in cui la riforma comunitaria dello zucchero dovesse danneggiarli). (Agence europe del 14 luglio 2004).
[24] Sul problema delle eccedenze di zucchero accumulate dagli Stati membri, la Commissione è intervenuta il 20 aprile 2005 prorogando i termini concessi a Estonia, Cipro, Lettonia, Malta e Slovacchia per lo smaltimento. Prima dell’allargamento del maggio 2004, ai nuovi Stati membri è stato chiesto di prendere misure per impedire che gli operatori costituissero scorte di zucchero a fini speculativi per approfittare del fatto che il prezzo nell’UE è triplo rispetto ai mercati mondiali. Gli operatori dei cinque paesi citati quindi avranno tempo fino al 30 novembre 2005 per smaltire le eccedenze e le autorità dovranno entro il 31 marzo 2006 fornire le prove di tale eliminazione. Per le eccedenze non smaltite a quella data sarà imposto il pagamento di un importo al bilancio comunitario.
[25] Agence europe del 21 maggio 2005.
[26] Agence europe del 21 luglio 2004.
[27] In particolare, il ministro francese, Hervé Gaymard, ha approfondito quattro elementi sui quali si appuntano in special modo le perplessità della Francia: il mantenimento di una protezione comunitaria sufficiente, la garanzia di un trattamento adeguato dei prodotti sensibili, come lo zucchero, nelle discussioni in ambito OMC sull’accesso al mercato, la presa in considerazione delle specifiche situazioni delle zone ultraperiferiche, la necessità di trovare soluzioni ai problemi dei paesi ACP (che verrebbero colpiti direttamente da una diminuzione dei prezzi garantiti.
[28] Per quanto riguarda invece le importazioni di zucchero dai paesi balcanici (Albania, Bosnia-Erzegovina e Serbia-Montenegro) il Consiglio agricoltura del 28 febbraio 2005 ha adottato un regolamento relativo ad un sistema di contingenti tariffari a dazio nullo che sostituisce il regime di libero accesso e che entrerà in vigore il 1° luglio 2005.
[29]La controversia presso l’OMC ha avuto origine dal ricorso presentato da Australia, Brasile e Tailandia contro le sovvenzioni alle esportazioni comunitarie di zucchero contrarie, secondo tali paesi, agli accordi sul commercio internazionale.
[30] Amber box: aiuti non ammessi: misure interne di sostegno considerate distorsive per la produzione e il commercio che devono essere ridotte
[31] Blue box aiuti ammessi in esenzione dalla regola generale per cui tutti i sussidi legati alla produzione devono essere ridotti o compresi in un livello minimo definito: copre i pagamenti direttamente legati alla superficie o al numero degli animali
[32] Red box: Classificazione WTO di aiuti non consentiti, da rimuovere immediatamente
[33] Green Box: sussidi non distorsivi del commercio che comporta minime distorsioni. Finanziate dal governo non devono comportare sostegno al prezzo. Includono pagamenti diretti agli agricoltori e non sono legati (disaccoppiati) ai livelli di produzione e di prezzo
[34] Secondo questa assunzione semplificata (elasticità della domanda rispetto al prezzo 0.2) un 10 per cento di variazione di prezzo, per esempio, produrrebbe una riduzione del 2 per cento nella quantità domandata di prodotti. Le estaticità incrociate del prezzo non sono tenute in conto. Una serie di elasticità incrociate è disponibile in Munch (2002)
[35] La produzione di piante e l’allevamento di animali sono dipendenti da fattori stagionali come il ritardo biologico fisso per portare una pianta o un animale neonato allo stadio produttivo
[36] Secondo tale assunzione (elasticità dell’offerta rispetto al prezzo 0,3) un cambiamento del prezzo del 10 per cento, per esempio, produrrebbe un 3 per cento di aumento della quantità offerta. Se le stime empiriche saranno disponibili, questa assunzione sarà modificata di conseguenza
[37] Programma speciale di accesso per l'agricoltura e lo sviluppo rurale
[38] Gli accordi di associazione europea formano la base delle relazioni commerciali tra l'Unione europea e i paesi candidati, e puntano ad abbattere le barriere al commercio
[39] L'approccio adottato in certi settori, dove le parti si sono accordate per abbassare i dazi alle importazioni (nelle quote tariffarie messe ad un livello che copre il tradizionale volume commerciale) in cambio dell'abolizione dei rimborsi alle esportazioni.
[40] Il processo liberalizzazione esteso ai settori più sensibili, a prodotti per i quali è applicato un sistema di sostegno della PAC interno, accoppiato con più alta protezione dell'esportazione - per esempio, per cereali, prodotti caseari, carni bovine e ovine.
[41] Rapporto della Commissione europea - Direzione generale per l'agricoltura: "Reform of the common agricultural policy - medium-term prospects for agricultural markets and income in the European Union: 2003 - 2010", Dicembre 2003
[42] Meccanismo di disciplina finanziaria: un meccanismo per assicurare che il bilancio dell'azienda agricola comunitaria, che è fissato fino al 2013, non sia superato. Modulazione: un meccanismo dal quale la spesa comunitaria per azienda è trasferita dai pagamenti del sostegno riferito al mercato alle misure di politica di sviluppo rurale (dal pilastro 1 al pilastro 2 della FEOGA).
[43] Stabilito al vertice di Bruxelles dell'ottobre 2002
[44] Intermediate consumption is expenses of all bought resources, as well as the value of self-made resources included in final products.
[45]Capital and factor expenses – production taxes less subsidies (except products), consumption of fixed assets, rent paid and credit interest.